Sweet sixteen

di Yanothing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 ***


Era il primo giorno di scuola e il sedicenne Billie Joe Armstrong stava tranquillamente seduto su un muretto all'ingresso dell'edificio dentro al quale avrebbe dovuto passare il resto dei suoi giorni fino al diploma.
Stava beatamente seduto con la testa tra le nuvole, mille pensieri si annidavano nella sua mente, ma solo una era la sua preoccupazione principale: dove trovare i soldi per comprarsi le corde nuove per la sua amata fender stratocaster che prendeva il nome dal colore, Blue.
Lasciava penzolare le gambe con apatia, dondolandone una a ritmo dei Clash che si insinuavano nelle sue orecchie partendo dal piccolo walkman che teneva nella tasca dei vecchi jeans corti che gli lasciavano in bella mostra una porzione dei suoi calzini bianchi. Portò alla bocca una sigaretta che ormai stava finendo e fece un lungo tiro socchiudendo i suoi enormi occhi verdi, buttò via il fumo dai polmoni e così anche la sigaretta che finì tra le foglie ingiallite dal sole di un cespuglio, si passò una mano tra i capelli corvini e riaprì gli occhi puntandoli verso il cielo.
Quello era il ragazzo del mistero, poche persone parlavano con lui e quelli che ci parlavano scambiavano solo piccoli frammenti di discorsi adolescenziali, quello era il ragazzo dal passato tormentato e dal futuro ancora più torpido.
Davanti a lui si materializzò una macchina, combinata peggio della sua Ford del '67 color verde acqua, l'auto si fermò davanti il viale e dopo pochi istanti da essa scese un ragazzone biondo dall'aria tirata che si affrettò verso l'ingresso della scuola senza dar conto a niente e a nessuno, nemmeno alle raccomandazioni provenienti da una voce femminile nell'abitacolo dell'auto.
Il moro si girò ad osservare quel ragazzo con curiosità, era sicuro di non averlo mai visto prima e mille domande avrebbe voluto fargli, ma sapeva che quello era solo l'ennesima persona che non avrebbe fatto parte della sua vita.
Dopo pochi minuti suonò la campanella e Billie, sbuffando, spense il walkman e scese dal muretto, osservava i teenager dai visi allegri correre all'interno dell'edificio con fin troppo entusiasmo e si chiese dove trovassero quella voglia di correre per quegli squallidi corridoi, appena la maggior parte dei ragazzi furono dentro e tutto sembrava apparentemente essersi calmato, Billie si avviò con passo lento verso i corridoi ormai semi vuoti della scuola, con le mani nelle tasche e lo sguardo rivolto alle punte delle sue converse. Raggiunse il suo armadietto, prese un block notes dalla copertina nera e ruvida, una matita con l'estremità mordicchiata e si avviò verso l'aula di matematica.
Entrò e trovò tutti già seduti e intenti a passarsi compiti, giocare, scherzare in modo infantile, parlare di smalti o di qualsiasi pettegolezzo possibile, sembravano tutti uguali, tutti quaterback e tutte cheerleader, mentre lui, lui era quello fuori posto.
Si sedette in un banco in fondo la classe e si ficcò nelle orecchie le cuffie in attesa dell'arrivo del professore, pochi minuti dopo il ragazzone biondo varcò la soglia della porta e tutti si girarono a guardarlo, tranne Billie che teneva la testa poggiata sul banco e la musica che lo isolava da tutto e da tutti. Il “nuovo” guardò i visi dei suoi nuovi compagni un po' intimidito e poi si andò a sedere accanto al moro, guardò la sua chioma folta che spuntava dalle sue braccia e appena lui gli rivolse un occhiata di sottecchi girò la testa verso la lavagna.
Poco dopo entrò il professore, un uomo dai capelli bianchi e la barba folta, gli occhialetti dalla montatura in oro e la gobba sulle spalle, tutti si alzarono tranne Billie che si limitò a sfilarsi le cuffie e ad assumere una posizione decente, poggiandosi allo schienale e incrociando le braccia al petto, ormai i professori non gli dicevano più nulla, aveano perso le speranze con lui, era stato un bravo alunno e quando si impegnava riusciva a fare qualcosa, però non riuscivano ad imporgli la disciplina, era uno spirito libero, non era fatto per stare chiuso tra quattro mura, si riteneva un ribelle.
Tornarono tutti a sedersi e il professore esordì con un “Abbiamo un nuovo studente” per poi indicare il biondo che dopo un suo cenno si alzò timidamente e, mentre tutti si girarono a guardarlo , si presentò.
“Salve a tutti, mi chiamo Michael Ryan Pritchard”.
Billie lo guardò, osservandogli con insistenza le gote che sembravano diventargli sempre più rosse, si chiese come mai fosse così timido. Dopo un saluto da parte di tutti che portò l'ambiente in un clima da scuola elementare o da terapia di gruppo, Michael tornò a sedersi sotto lo sguardo indagatore di Billie che continuava a fissarlo imperterrito.
“Pritchard non credo che accanto al signorino Armstrong sia un buon posto, perché non ti siedi accanto a Jamie?”
“Perché non è un buon posto accanto a te?” il biondo prese i libri dal sottobanco e guardò Billie.
Billie si girò verso di lui e sorrise sarcastico.
“Sono la feccia della società”.

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Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


Suonò l'ultima campana e Michael era in corridoio quando vide in lontananza Billie, così affrettò il passo e lo raggiunse.
"Hey!"
Billie si girò a guardarlo e lo congedò con un gesto della mano continuando a camminare, con la fretta di uscire da quella prigione.
"Perchè vai così di fretta?" continuò a seguirlo mentre Billie lo ignorava e raggiunse l'ingresso della scuola dove venne fermato da un tipo un po' più alto di lui, con la barbetta adolescenziale appena accennata, i capelli castani leggermente scombinati e un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.
"Hey Bill!"
"Ciao Nick!" Billie gli diede un'amichevole pacca sulla spalla per poi avviarsi fuori con il tipo al seguito. Michael li osservò curioso e li seguì, ma rimase in disparte. I due parlarono per pochi secondi fin quando Billie non gli porse una bustina e, dopo essersi preso i soldi e averlo salutato, si allontanò verso i parcheggi.
Michael dopo aver guardato con curiosità Nick seguì a passo svelto Billie, raggiungendolo con poche falcate.
"Hai intenzione di rivolgermi la parola?" ma venne ignorato dal ragazzo che raggiunse la sua vecchia Ford "un attimo dai!".
"Che vuoi?" sbottò Billie girandosi a guardarlo con le braccia incrociate.
"Piacere, io sono Michael, ma..chiamami Mike" gli sorrise con quei due occhi azzurro cielo fissi negli smeraldi del moro, "sono nuovo e tu sembri un tipo interessante" continuò vedendo che Billie esitava a rispondere.
"Interessante?" rise sarcastico per poi tornare serio a guardarlo alzando un sopracciglio, "senti..Mike..io non sono il tipo per te..capisco che sei nuovo e sei solo, ma anche io lo sono..e per scelta, qui c'è tanta gente.."
"Beh ma insieme non siamo più soli" lo interruppe Mike, sorridendo.
Billie scoppiò in una fragorosa risata "te l'hanno mai detto che hai l'aria di un bambino?" poggiò una mano sul cofano della macchina continuando a ridere "bella questa! Potresti scriverci una canzone!"
Mike incrociò le braccia mentre lo guardava male, fece dietro front e si allontanò imbronciato sotto lo sguardo di Billie che si morse il labbro e cercò di far tornare il respiro regolare.
"Hey Mike! Dai torna qui!" ma il ragazzo non ne aveva alcuna intenzione così Armstrong gli corse dietro fino a superarlo e piantarsi davanti a lui "Hey! Dai scusami, scusa, non te la prendere, scherzavo!" cercò di rivolgergli un sorriso nascondendo la sua espressione divertita.
"Odio essere preso in giro" lo guardò male.
"Dai scusami, veramente, mi dispiace.." si morse il labbro mentre Mike lo fulminava con lo sguardo, in silenzio "dove abiti? Ti do un passaggio io".
"Non preoccuparti, prendo il pullman" fece per andarsene, ma Billie lo fermò prendendolo dal braccio.
"Senti veramnte..lascia che ti accompagni..intanto per farmi perdonare per averti preso in giro e poi perchè non ho niente di meglio da fare" lo guardò negli occhi, cercando di fingersi veramente dispiaciuto.
"Mh..okay.." il moro annuì e tornarono verso la macchina.
"Beh dove devo lasciarti?" chiese Billie dopo essere saliti e dopo aver messo in moto
"Lasciami all'incrocio tra California St. e Virginia St." e così partì senza aggiungere altro.
Il tragitto era abbastanza breve, ma tra traffico, semafori rossi e il silenzio che aleggiava nell'abitacolo, sembrava più lungo del dovuto.
Billie non fiatava, teneva gli occhi sulla strada, ma sembrava completamente assente e ogni suo movimento quasi meccanico, accellerava, girava, cambiava marcia, con una noia apatica che sembrava non appartenere a quel ragazzo fino a pochi minuti prima.
Mike lo scrutava come un bambino incuriosito da qualcosa di nuovo. Dall'aspetto il moro sembrava più giovane dei suoi 16 anni, quei capelli leggermente lunghi non gli stavano per niente bene, oddio, non che Mike lo avesse mai visto con i capelli corti.
Mentre era intento nel suo accurato studio la sua attenzione venne attirata da una bustina sul cruscotto così allungò instintivamente una mano verso di essa e Billie gli bloccò il polso.
"Cos'è?"
"Stai fermo. Cazzi miei." ecco tornato l'Armstrong acido dei corridoi della scuola.
"Scusa" biascicò Mike tornando con le mani sulle ginocchia mentre Billie lo guardava con la coda dell'occhio.
Dopo pochi minuti arrivarono a destinazione e Billie accostò all'incrocio.
"Okay..grazie del passaggio.." Mike aprì lo sportello e il moro si girò a guardarlo.
"Non c'è di che" mise nuovamente in moto.
"A domani." scense e si chiuse lo sportello alle spalle, "aspetta! Non mi hai detto come ti chiami"
"Billie Joe" buttò un occhiata sulla bustina e fece un respiro profondo "senti veramente, dovresti trovare qualcun'altro con cui fare amicizia, dovresti starmi lontano..e non solo durante l'ora di matematica".
"Senti Billie non mi sembra che in te ci sia qualcosa che non va, almeno a primo impatto, ma tu non mi conosci mica e io non ho mai detto di essere un bravo ragazzo, quindi a domani." il biondo gli sorrise calorosamente per poi allontanarsi e sparire dentro Virginia St.
"Mi chiamo Billie Joe" sbuffò per poi allontanarsi con la sua Ford.

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Capitolo 3
*** Capitolo 03 ***


Armstrong al solito aveva il passo svelto, frettoloso di fuggire da scuola. Il tempo non passava mai all'interno di quelle mura tinte di bianco e rosso e il ragazzo non vedeva l'ora che quella tortura finisse.

Ancora due anni.

Continuava a ripeterselo ogni istante. Da quando posteggiava la macchina nel parcheggio della scuola a quando chiedeva ad ogni professore di poter andare in bagno per sfuggire a quelle chiacchere per lui poco interessanti.
Aspettava impaziente Mike che ancora era intento ad armeggiare col contenuto del suo armadietto. Billie sbuffò e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi mentre si avvicinava al biondo.
"Allora ti smuovi il culo!?" sbottò visibilmente irritato dall'attesa.
"Un attimo solo, prendo..."
"Ma che palle!" lo interruppe Billie chiudendo di colpo e senza delicatezza l'armadietto mentre Mike tirò indietro la mano con prontezza.
"Ma che sei coglione!?"
"Senti dobbiamo fare un giro per la città, mica andare in guerra e io ho fame, ora muovi quelle chiappe e corri alla mia macchina." aveva un tono freddo e leggermente radente alla rabbia. Mike lo guardò, irritato da quel tono autoritario e si diresse verso l'uscita seguito da Billie che borbottava un "Hallelujah".
Salirono in macchina e Billie si diresse verso lo Smokehouse, il suo fast food preferito; quella settimana aveva racimolato un bel gruzzoletto di soldi e un cheeseburger infondo poteva anche permetterselo. Mike stranamente era molto silenzioso, non faceva altro che guardarsi attorno, attratto da qualsiasi cosa, incuriosito da quella città per lui nuova, infatti nonostante si trovasse a Berkeley da ormai due settimane non aveva avuto l'occasione di visitarla, così chiese a Billie se lo potesse portare un po' in giro e il moro, facendo uno sforzo quasi disumano, accettò, così i due si ritrovarono seduti al tavolo di un fast-food ad aspettare la loro ordinazione.
Mike continuava ad essere di poche parole anche se avrebbe voluto tempestare il ragazzo di domande, cercava di tenere la sua curiosità a bada, aveva già capito che con Billie, se ci tieni a fartelo amico, bisogna andarci cauti.
Forse Billie era la persona che più lo aveva incuriosito finora. Era un mistero quel ragazzo, un odioso adolescente lunatico e taciturno, chissà cosa nascondeva alle spalle, chissà perchè diceva di essere la feccia della società. Mike sapeva bene quale fosse la feccia della società e di certo il 16enne seduto di fronte a lui non rispecchiava quell'immagine.
Billie teneva gli occhi chiusi, immerso come al solito nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni quando il silenzio dei due venne interrotto dal tintinnio di due piatti poggiati sul tavolo di plexyglass rosso lucido.
Il pranzo si svolse con tranquillità, l'atmosfera si rallegrò un po' grazie alle battutine poco carine che Mike rivolse alla cameriera impacciata, Billie sembrava essere più sereno e più eloquente e questo tranquillizzò Mike che cominciava a sentirsi un po' più a suo agio.
Finito il pranzo i due lasciarono la Ford posteggiata per poi avviarsi verso Bateman Mall, un parco distante pochi isolati dal fast-food; Billie non aveva molta voglia di camminare e sperava che portarlo lì sarebbe servito a far star buono il ragazzone che gli camminava accanto con le mani nelle tasche, intento a studiare ogni particolare della piccola cittadina californiana; dopo tutto non c'era molto da vedere, Berkeley era un posto abbastanza tranquillo, modesto, le strade erano popolate dai teenager e dai bambini, insomma era una cittadina giovane e non molto interessante.
Appena raggiunsero il parco, Billie si andò a sedere ai piedi di una quercia, con Mike al seguito, poggiò la schiena contro l'albero dalla corteccia ruvida e le braccia dietro la testa puntando gli occhi al cielo.
La curiosità di Mike venne subito risvegliata, forse dalla vista dei bambini nella piccola area giochi, così un po' titubante cominciò a fare domande a più non posso.

Sei nato qui?
Hai fratelli?
Hai sorelle?
Animali?
Ti piace la musica?
Che genere ascolti?
Sai giocare a baseball?
E fare surf?
Chi ti ha regalato la Ford?
Hai una fidanzata?
Coma mai sei così taciturno?

Billie rispondeva secco e diretto ad ogni domanda, rimanendo molto vago, credeva di aver a che fare con un interrogatorio o di essere in compagnia di un bambino nell'età delle domande, ma ogni volta che alzava gli occhi verso il suo coetaneo gli veniva un moto di irritazione per tutta quella curiosità senza freni. Infondo a lui cosa poteva importare se aveva fratelli, se aveva animali, dove fosse nato, chi gli avesse regalato la Ford, cosa gli poteva interessare? Si sentiva leggermente privato della sua riservatezza, ma senza volerlo veramente continuava a rispondere.

Qual'è la miglior pizzeria qui?
Qual'è la tua squadra di baseball preferita?
Fumi?
Ti piace la birra?
Il tuo film preferito?
Guardi la TV?

Billie in preda all'esasperazione gli tappò la bocca con una mano e gli si avvicinò al viso guardandolo dritto negli occhi.
"Ora ce l'ho io una domanda per te." Mike ricambiava lo sguardo con un po' di timore "che ci sei venuto a fare a Berkeley?"
Liberò il biondo dalla sua presa e continuò a guardarlo in attesa di risposta.
"Beh sono nato a Rodeo, sono stato adottato e mio padre lavora in una ditta di ferramenta e l'hanno trasferito qui, mia madre non lavora, quindi per lei non è stato un problema seguire mio padre, non mettendo in conto che io potessi risentire di questa scelta." gli sorrise.
Billie lo guardò negli occhi, perplesso, non si aspettava quella risposta, e vederlo sorridere così lo faceva incuriosire, come poteva essere così sereno? Il moro continuava a scrutarlo finchè la sua voce non lo fece riemergere dai suoi pensieri.
"E i tuoi che fanno?"
"Mia madre fa la cameriera" Billie rivolse lo sguardo verso il prato e cominciò a strappare qualche filo d'erba, consapevole e impaurito dalla prossima domanda.
"E tuo padre?"
Eccola. E ora? Aveva ancora difficoltà a parlare di suo padre e il suo patrigno nemmeno lo voleva nominare. Come se ne poteva tirare fuori? Mike infondo era una buona compagnia, ma..ecco che uno scudo gli attanagliò il cuore, lo fece trasformare in un altra persona, gli fece cambiare l'umore, gli occhi si velarono di malinconia mentre torturava l'erba vicino alla sua coscia, fece un respiro profondo e si alzò.
"E' ora di andare" sentenziò freddo e acido come il Billie Joe dei corridoi di scuola.

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Capitolo 4
*** Capitolo 04 ***


Festa.
Una delle tante feste che si svolgevano nel fine settimana, del quale gli invitati conoscevano l'indirizzo e a mala pena il nome del proprietario della casa.
Odiavo queste feste, questo clima da post partita di baseball non faceva per me, mi irritava questo finto volersi bene da liceali che non riuscivano a tenere gli ormoni a bada.
Ma avevo bisogno di bere..

Sconfortante sentire queste parole da un ragazzo di 16 anni vero?

..e sapevo che in queste feste si trovavano grandi quantità di alcool gratis, quindi non ci pensai due volte e posteggiai la macchina vicino l'abitazione dei Grey.
C'era già confusione benché fosse relativamente presto, così scesi svogliato dalla macchina e mi avviai verso la porta d'ingresso, spalancata, pronta ad accogliere chiunque passasse davanti la modesta villetta bianca.
Entrai e salutai un paio di persone, ero abbastanza conosciuto, sopratutto perché spacciavo a buon prezzo.
Ecco una cosa che mi rendeva la feccia della società.

Sinceramente ogni tanto ho paura di cosa ha in serbo il futuro per me, non vedo grandi cose alle porte.

Ma torniamo alla festa..
Dopo aver fatto il rituale e noioso giro di saluti mi affrettai a raggiungere un tavolo con decine di birre sopra, ecco cosa cercavo, ne presi una e cominciai a bere voltandomi verso un divano color panna in fondo la stanza.
Con mia grande sorpresa vidi Mike, seduto con una birra in mano, visibilmente annoiato; sicuramente non conosceva nessuno, il che mi sembrava strano, lui con me aveva attaccato subito bottone, com'è che con gli altri sembrava essere un asociale?
Per tutta la settimana non c'eravamo visti se non durante qualche lezione e qualche volta in corridoio, questo un po' mi dispiaceva, mi sarei voluto avvicinare a salutarlo, ma sapevo che avrebbe attaccato a parlare e oggi l'ultima cosa di cui avevo bisogno erano le sue domande. Così mi avviai verso una rampa di scale e mi sedetti sul primo gradino, intento a studiare il collo allungato della bottiglia di birra già mezza vuota che avevo tra le mani, la finii con dei lunghi sorsi, tenendo gli occhi socchiusi, poi mi alzai e andai alla ricerca di altra birra, cominciai a bere, la prima, la seconda, la terza e così via fino alla sesta, quella decisiva. Afferrai con movimenti un po' bruschi la bottiglia e tornai a sedermi sul mio adorato e isolato gradino.
Mike doveva avermi visto, prima al tavolo delle birre sentivo i suoi occhi addosso, perché non mi veniva a salutare? Avevo fatto qualcosa di sbagliato?
Risi all'idea.

Billie Joe tu sei uno sbaglio umano!

Dopo aver finito la mia sesta birra cominciai a frugare nelle varie tasche dei miei indumenti, doveva essermi rimasta un po' di erba dal giro settimanale. Uno spinello è quello che ci voleva. Finalmente trovai la bustina e la tirai fuori ammirandola con fare trionfante, felice di essere riuscito nella mia impresa nonostante i miei movimenti fossero abbastanza limitati, pochi istanti dopo un tipo me la strappò dalle mani facendomi automaticamente schizzare in piedi.
"Hey ridammela!"
"Non puoi fumare qui. Se proprio vuoi vattene in giardino sul retro e butta il mozzicone lontano."
Riconobbi la voce di Matt Grey, quel quaterback salutista che tanto odiavo, così mi ripresi la bustina e andai barcollando verso la porta sul retro.
Mi sentivo osservato.
Fuori faceva freddino e non c'era nessuno, solo io, la mia bustina di erba e uno strano fruscio di foglie alle mie spalle.
Mi sentivo osservato.
Mi sedetti per terra, al centro della parte pavimentata del giardino, sotto una lampadina che rilasciava luce soffusa, incrociai le gambe appesantite dall'alcool e tirai fuori una sigaretta e un pacchetto di cartine.
Mi sentivo osservato.
Ruppi la sigaretta e mi misi il tabacco su una mano, stando attento a farne cadere il meno possibile, presi l'erba dalla bustina e la sbriciolai per poi mischiarla col tabacco.
Mi sentivo osservato.
Buttai un occhiata attorno a me e tornai alla mia operazione, giunta quasi al termine, misi il filtrino e chiusi la cartina.
Mi sentivo osservato.
Arrotolai appena la punta per compattare il tabacco e con un sorrisetto ebete forse dettato dalla lieve sbronza cominciai a cercare l'accendino nella felpa e con mio grande sconforto non lo trovai.
"Dannazione! Devo averlo lasciato in macchina!"
Alzai di poco lo sguardo e vidi davanti a me una mano pallida che mi porse un accendino.
Ero osservato.
Presi l'accendino con una mossa svelta e con mio grande sollievo accesi lo spinello.
Solo dopo aver fatto il primo lungo tiro, alzai gli occhi su quella figura dalle gambe snelle e i miei smeraldi si incastonano immediatamente negli occhi acquamarina di quel ragazzone biondo. Restai per un momento sbigottito e rimasi a fissare quegli occhi che sembravano sprizzare gioia, ma non ne ero sicuro, potevo essermi immaginato tutto, non mi fidavo delle mie condizioni.
"E' questo il motivo per cui ti reputi la feccia della società?" si sedette di fronte a me e fece un cenno verso lo spinello che si consumava lentamente tra le mie dita.
Scossi la testa per riemergere dal mio mondo e alzai le spalle facendo un lungo e rilassante tiro.
"Ti sembro uno così casa e chiesa? Uno che si scandalizza per un po' di erba?"
"Io spaccio." lo incalzai già stufo di quella chiacchierata.
"Guadagni bene?"
"Mi chiamano Two Dollar Bill per niente?" dissi con un tono ironico stringendomi nella felpa e continuando a fumare.
"Accidenti ragazzo devo insegnarti come si fanno i veri affari!"
Accennai una risata grazie al tono autoritario da adulto che aveva acquistato Mike e gli porsi lo spinello ormai giunto a metà della sua vita.
"Nah. Non posso."
"Non puoi?" l'alcool mi rendeva curioso, mi aveva sempre fatto quest'effetto.
"No."
"Perché?"
"Se tu mi dici perché non mi hai risposto su tuo padre io ti racconto la mia vita disastrosa."
A quelle parole sentii qualcosa premermi con forza contro lo stomaco, come un pugno a rallentatore, era estenuante. Perché non lo dicevo semplicemente? Forse perché non sapevo che dire, non sapevo come si dicesse "mio padre è morto". Non l'avevo mai detto. Lo so, sei anni sono molti, o molti pochi, ma in questi sei anni non avevo avuto amici, nessuno con cui parlare veramente, nessuno che mi abbia mai chiesto di mio padre, quindi perché dirlo? Non ero tipo che andava raccontando in giro le proprie cose.
Ma ora dovevo farlo. Sarei sembrato un idiota a non dire niente. Di quel John non avevo intenzione di parlare, mentire non mi era mai riuscito bene.
Quindi con un groppo in gola abbassai la testa, mi sentivo le palpebre pesanti, così le socchiusi appena, mi morsi il labbro e sussurrai un "è morto".
Per la prima volta dopo anni mi sentivo un ragazzino indifeso, forse è quel che ero, per la prima volta dopo anni avevo voglia di un abbraccio, e forse è quel di cui avevo bisogno.
Mi strinsi di più nella felpa e feci un ultimo tiro per poi buttare il mozzicone al di là della recinzione, in attesa di una sua risposta, anche se avrei voluto che tutto si fermasse lì, niente domande, niente perché, niente per come, il silenzio.
"Mia madre era una tossicodipendente, mi ha abbandonato in ospedale il giorno che sono nato, lasciandomi un regalino, ho una disfunzione della valvola cardiaca a causa delle droghe che assumeva anche durante la gravidanza, e questo è il motivo per cui non fumo, almeno per ora cerco di evitarlo, di mio padre non ho mai saputo nulla. Sono finito in casa famiglia, ma sono stato adottato a due anni da due tipi che ricordo a mala pena e che mi hanno riportato indietro a sette anni, forse facevo troppe domande" accennò un sorriso dentro il quale scorsi un briciolo di tristezza "l'anno dopo sono arrivati i Pritchard. Per carità bravissime persone, ma la loro vita non fa per me. Credo di essere nato incompatibile con la vita in famiglia."
Ascoltai il racconto guardandolo con gli occhi leggermente sgranati, sembrava così tanto, così doloroso, ma lui era così tranquillo, così sereno nel raccontarlo. Come faceva? Si era forse rassegnato al fatto che la vita è una merda per tutti? O forse non gliene fregava niente? Non provava dolore? Non aveva sentimenti? Avrei voluto essere anche io sereno e tranquillo come lui, avrei voluto essere anche io un sedicenne scapestrato e spensierato.
Avevo un moto di conforto nel petto poiché non mi fece domande e aveva capito che non ne volevo fatte, così continuai a guardarlo, continuai a fissare quel sorriso che sembrava sempre stampato sul suo viso, tranquillo come se avesse appena raccontato una fiaba o la storia di un lontano conoscente. Si distese poggiandosi sui gomiti, rivolgendo lo sguardo al cielo e dopo pochi istanti imitai la sua posizione, cercando nel cielo la stella più luminosa, Andy.
"Belle le stelle vero?".

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Capitolo 5
*** Capitolo 05 ***


Mi svegliai accecato da una luce bianca, molto forte, sopratutto dopo il profondo buio in cui erano sprofondati i miei occhi.
Misi lentamente a fuoco l'ambiente che mi circondava.
Pochi elementi lo caratterizzavano; la stanza bianca sembrava essere molto grande, sarà anche per via di quella purezza delle pareti che la rendeva fin troppo luminosa, non notai oggetti attorno a me, così rivolsi il mio sguardo verso il pavimento, anch'esso lucente, come appena pulito.
Girai il collo a destra, poi a sinistra.
Lentamente e con la mia tipica pigrizia mi resi conto di dove mi trovavo.
Lenzuola bianche con un ricamo azzurro lungo i bordi.
Un odore forte e tipico del luogo in cui mi trovavo percorreva le mie narici fino ad arrivare al cervello al quale sembrava provocare una scossa.
Una forte fitta al centro delle tempie. Ci premetti contro due dita cercando di contrastare quel dolore.
Ero in ospedale. In quell'ospedale.
Fitta al petto.
Che mi succedeva? Stavo bene, almeno credo.
Cominciai ad esaminare il mio corpo in cerca di una ferita, di una benda, una cicatrice, qualcosa che mi potesse far capire, niente.
Non capivo proprio perchè mi trovavo lì.
Nell'esaminare il mio corpo mi accorsi che era cambiato. Sembrava più maturo, più adulto, diverso. Sollevai l'elastico dei boxer insieme a quello della tuta e sbirciai.
Oh si, decisamente più adulto.
Avevo dormito così tanto?
Alzai lo sguardo e cominciai a scrutare ogni minimo particolare, ogni piccolo indizio, e scoprii che la stanza non aveva finestre, solo una porta di faggio chiaro, quella tipica degli ospedali, con un rettangolo di vetro opaco.
La porta si spalancò dopo poco e tirai un sospiro di sollievo.
Forse finalmente qualcuno mi avrebbe spiegato che succedeva.
Tenni lo sguardo basso e notai delle scarpe maschili avanzare con una lentezza estenuante e io, con la medesima lentezza alzai il viso su quell'uomo.
Sbattei le palpebre velocemente, sentivo la gola secca, non potevo formulare nemmeno una silaba, lui continuava ad avanzare con la stessa lentezza e io sgranavo gli occhi sempre di più, cominciai a sentirli bruciare.
Che ci faceva lui qui?
Si avvicinava.
Si avvicinava.
Si avvicinava.
Mi guardò col suo raro sguardo severo e si sedette ai piedi del letto.
Chiusi le labbra in una linea sottile e deglutii a fatica continuando a guardare l'uomo dritto negli occhi mentre la sua espressione si addolcì.
Avrei voluto urlare forte, ma avevo appena le forze per respirare.
Lui mi sorrise e mi posò una mano sulla guancia, pizzicandola come faceva quand'ero bambino.
I miei occhi lucidi scrutano i suoi.
Ero in paradiso?
Settembre era finito?
"Pa.."
Lui poggiò l'indice sulle mie labbra e si avvicinò al mio viso.
Le lacrime cominciarono a scendere silenziose, si fecero strada sulle mie guance fino alle labbra.
Avevo il fiato mozzato.
Andy si avvicinò sorridendo per poi darmi un lungo bacio sulla fronte. Capii che anche lui chiuse gli occhi, strizzandoli forte, mantenne il contatto delle sue labbra e il mio pianto diventava angosciante, singhiozzai e mi resi conto che anche lui stava piangendo, sentivo la fronte bagnata e gli buttai le braccia al collo.
"Pa..pa..papà!"
Lo strinsi forte, come facevo da bambino, come avevo fatto la sera prima di quel dannato giorno.
Nascosi il viso contro la sua spalla e cercai di calmarmi, ma non ci riuscii.
Forse ero morto, ma poco mi importava.
Ero tornato un bambino tra le braccia di suo padre.
Rimanemmo abbracciati per minuti che sembravano durare un' eternità o forse passare troppo in fretta. Poi lui ad un certo punto si scostò bruscamente, guardandomi nuovamente con lo sguardo severo.
Non capivo, che succedeva? Che avevo fatto di male?
Si alzò e il suo sguardo diventò arrabbiato. Minaccioso.
Alzò una mano come aveva fatto prima per carezzarmi la guancia, così i miei lineamenti si rilassarono contenti di ricevere un'altra carezza, e invece si sentì uno schiocco violento contro la mia pelle che diventò subito rossa.
Uno schiaffo in pieno viso.
Talmente forte che fui costretto a girare il viso dalla parte opposta.
Scoppiai nuovamente a piangere poggiandomi una mano sulla guancia dolorante mentre rivolsi gli occhi gonfi e pieni di lacrime a quell'uomo incazzato.
Incazzato con me.
Chissà per cosa.
Chissà perchè.
L'avevo deluso.
Che schifo Billie Joe! Qualunque cosa tu abbia fatto!
Lo guardai implorante e lui si allontanò dandomi le spalle.
Avrei voluto urlare con tutto il fiato che c'avevo in corpo, ma era come se non ne fossi capace.
Lo guardai andare via, inerme, impotente, in lacrime.
Andò via di nuovo, come quel dannato settembre.
Perchè papà?
"Papà! Ti prego non andare, torna indietro! Papà perdonami! Sono un coglione papà! Non dovevo..ti prego perdonami..mi manchi papà.."
Avrei voluto urlarlo, ma non ci riuscivo.
Mi poggiai una mano sul petto, all'altezza del cuore e mi piegai in avanti.
Una morsa di dolore.
Dovevo liberarmene.
Andy andò via sbattendo la porta.
Settembre non era finito.
Settembre non sarebbe finito mai.

Mi dimenavo sul divano in preda a un dolore assurdo, violento. Dormivo o forse ero in dormi veglia, sta di fatto che mi svegliai, disturbato dal suono del campanello, e le immagini del sogno fatto pochi istanti prima cominciarono a scorrere nella mia mente, come un treno in corsa, un treno che passava e ripassava più volte sul mio corpo.
Il campanello suona ancora e ancora.
Io piangevo e non avevo intenzione di aprire e farmi vedere in quello stato da chiunque si fosse trovato dietro quella porta.
Il campanello suona ancora e ancora.
Mi misi seduto e mi presi il viso tra le mani, ma le lacrime non si fermarono di fronte a quell'ostacolo e continuarono a gocciolare lungo le mani fino a cadere sul tappeto, lasciando piccoli cerchietti umidi sulla stoffa impolverata.
Il campanello suona ancora e ancora.
Mi alzai e cercai di tamponare le lacrime con la maglietta tirata su fino a coprire le nocche, ma loro continuavano indisturbate il loro viaggio.
Controllai chi ci fosse dietro la porta attraverso lo spioncino.
Mike.
Aprii velocemente e gli buttai immediatamente le braccia al collo, non riuscivo più a trattenermi e cominciai a singhiozzare come un bambino, il petto sembrava volermi esplodere, le sue braccia mi strinsero forte, nascosi il viso nell'incavo della sua spalla cercando conforto nell'unica persona che potesse darmelo, sentivo le gambe pesanti, gli occhi pesanti, le braccia pesanti, ero un peso, un peso per tutti, per la società, per la mia famiglia, per mio padre e forse pure per me stesso.
Sono la feccia della società.

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Capitolo 6
*** Capitolo 06 ***


Urla, pianti, abbandoni.
Solo questo c'era stato nella sua vita finora.
Non aveva altro, niente che lo comprendesse come lo comprendeva la musica, la musica dalla quale si faceva invadere le orecchie quando le urla dei suoi genitori adottivi giungevano in camera sua, infiltrandosi, lentamente ma nello stesso tempo irruente, dallo spiraglio della porta che Mike si apprestava a chiudere a chiave non appena quella folata di gelo gli sbatteva violenta contro la schiena.
Liti, liti, ancora liti.
La voce di suo padre che si alzava gradualmente esprimendo tutta la sua rabbia e il suo nervosismo.
I pianti isterici di sua madre che macchiava il marito di un crimine si commesso, ma non provato.
Mike sapeva, Mike dubitava da tempo, così un giorno ebbe il coraggio di cercare qualche indizio tra le robe di suo padre. Ci trovò un bigliettino nella sua giacca, contenente parole che non aveva il coraggio di confessare a nessuno; forse se lo avesse detto a sua madre sarebbe cambiato tutto o forse sarebbe scoppiato l'inferno.
La cosa che gli faceva più rabbia era che suo padre aveva non solo il coraggio di mentire riguardo ad una cosa fin troppo evidente, ma anche la faccia tosta di accusare sua madre di una gelosia eccessiva, non dovuta, che in realtà era basata su fondamenta ben stabili.
Continuavano le urla che ormai superavano il volume della musica che si espandeva dalle cuffiette di Mike e la sua pazienza stava superando il limite, non ce la faceva più, le parole di quel bigliettino scritte con quella grafia perfetta e tondeggiante, tipicamente femminile, gli passavano davanti gli occhi. Qualcosa lo spingeva a stare zitto, qualcos'altro lo incitava ad urlare, a far sapere a tutti una verità che non spettava a lui tenere nascosta.
I suoi occhi si spensero, le cuffie scivolarono via aiutate da un abile gesto della mano che si chiuse a pugno nell'istante successivo, la chiave aprì la serratura dello scudo che si spalancò, così un ondata di rabbia lo pervase, facendogli gonfiare le narici.
Scese di sotto e si ritrovò sulla soglia della cucina, le vene delle braccia gonfie e pulsanti sembravano volergli esplodere, gli occhi sgranati vennero sommersi da un onda rossa, un pugno si strinse talmente forte da fargli impallidire una mano.
Rimase immobile davanti quella scena, un brivido gli percosse la schiena, non sentiva nulla, era come assente, era come estraneo a quella realtà, era come se stesse seduto di fronte il megaschermo di un multi-sala dove stanno trasmettendo un film muto. Silenzio.
Vedeva solo suo padre che teneva una mano tra i capelli di Clara, così si chiamava sua madre, che stava in ginocchio davanti il tavolo, con le mani poggiate contro il bordo per cercare di proteggere la testa che suo padre le spingeva con forza animalesca, con l'intento di fargliela sbattere. Continuava a non sentire nulla e rimaneva immobile, inerme, finchè un rumore non lo riportò alla realtà.
Sua madre era accartocciata sul pavimento con un rivolo di sangue che le scendeva velocemente da una tempia, le lacrime cristalline si mescolavano con quel liquido rosso vivo che non cessava di uscire. Suo padre stava in piedi, gonfiava e sgonfiava il petto irregolarmente, con affanno, il volto ancora coperto da una maschera, una di quelle maschere che fanno paura sopratutto ai bambini poiché sopratutto i bambini riescono a scorgere la minaccia dietro quella maschera bianca, inespressiva.
Mike si scagliò contro suo padre, senza fiatare, con la rabbia che lo aiutò a sprigionare tutta la sua forza. L'uomo decisamente più minuto di lui finì a terra dimenandosi.
"Pezzo di merda io lo so che ciò che dice la mamma è vero! Mi fai schifo! Non devi toccarla, non devi nemmeno guardarla! Stalle lontano! Stai lontano da tutti noi!"
Mike continuava ad urlargli in faccia parole che si teneva dentro da troppo tempo, ma che riuscì a liberare solo in un raptus di odio puro. Pochi istanti dopo suo padre si liberò spingendolo di lato e facendogli sbattere la testa contro il pomello di un cassetto, facendolo entrare per pochi istanti in confusione, il tempo che bastò a quell'uomo per sganciarsi l'orologio, farlo scivolare fino alle nocche, stringerlo in mano e tirargli un pugno sull'occhio. Poi si allontanò ed uscì di casa sbattendo la porta, mentre Mike si portava una mano sull'occhio che gonfiava velocemente, mentre il sangue cominciava a scendere da un taglio provocato dall'orologio che gli si era aperto sullo zigomo, poco più sotto dell'occhio.
Corse in camera sua dopo aver aiutato sua madre a pulirsi il sangue che si stava seccando sulle sue gote; chiuse la porta a chiave e si rimise le cuffie, come se non fosse successo niente si sedette ai piedi del letto e si girò notando la sua figura riflessa nell'enorme specchio attaccato vicino l'armadio.
Quell'occhio rosso-viola risaltava sul suo viso pallido e il sangue ormai secco aveva assunto un colore rosso scuro, vellutato; Mike guardò se stesso con disprezzo, si alzò e tirò fuori da sotto il letto un borsone e un vecchio zaino, l'adrenalina cominciava a salire mentre la maggior parte dei suoi vestiti volavano dall'armadio, finendo un po' per terra, un po' sul letto, li infilò nel borsone e nello zaino, prese anche le sue poche musicassette che si era comprato in offerta con i risparmi di tutta una vita e chiuse tutto. Si mise lo zaino in spalla, prese il borsone e si sedette sul davanzale della finestra, con le gambe che penzolavano nel vuoto, si sentiva vivo, libero, felice.
Un salto abile su un ramo dell'albero piantato di fronte la sua finestra fu la sua via di fuga da una vita nella quale non avrebbe mai rimesso piede.

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Capitolo 7
*** Capitolo 07 ***


Era il 1989, l'anno delle nostre prime apparizioni al Gilman, ottobre era alle porte e l'aria cominciava a farsi frizzante, non saprei dire se quelle serate mi entusiasmavano, trovavo uno strano senso di distacco nei confronti della mia band da parte degli assidui frequentatori della scena punk dell'East bay.
Era una serata particolarmente stellata, amavo le stelle, amavo restare minuti interi a guardarle, amavo restare solo prima di uno show, con una sigaretta come unica compagna, mi aiutava a rilassarmi, non parlare con nessuno mi aiutava a concentrarmi.
Buttai la sigaretta ormai finita e calpestai il filtrino con la punta delle mie converse logore, non volevo rientrare, quell'aria relativamente pulita mi faceva sentire bene.
“Non credi sia l'ora di entrare?”
“Mh?” alzai lo sguardo ed incontrai gli occhi caramello di una ragazza alta e magra.
“Credo che sia il caso che rientri, tra un po' dovrebbe toccare a voi no?”
“Ci conosciamo?”
“Ancora no, ma magari ci conosceremo alla fine del concerto, sempre che tu non sparisca come ogni sera.”
“Che ne sai di cosa faccio io?”
“Oh sono un po' di sere che ti osservo.” alzai un sopracciglio al sentire quelle parole quando dalla porta sul retro spuntò Mike che mi fece cenno di entrare.
“Io..devo..devo proprio andare..”
“Certo..ci vediamo dopo..” le sorrisi cordialmente e rientrai nell'angusto retro del Gilman.
Le pareti adorne di graffiti, i ragazzi che continuavano ad entrare ed uscire, il pogo sotto quella pedana che noi definivamo palco, i fili ingarbugliati che rischiavano di farti cadere al minimo movimento poco prudente, l'illuminazione scadente, il puzzo di piscio che proveniva dai bagni sempre occupati o da ragazzi ubriachi che riuscivano ad entrare o da coppiette in piena pioggia ormonale.
Era un'atmosfera che amavo, si potrebbe pensare che è una cosa alquanto strana visto che all'apparenza non sembra un buon posto, ma in realtà, noi membri del Gilman andavamo abbastanza d'accordo e potevamo definirci come una grande famiglia, eravamo ragazzi dai principi ben chiari, accomunati dalla passione della musica e dalla voglia di vivere la strada. Eppure io non mi sentivo completamente parte di quel gruppo di ragazzi, sentivo come se ci fosse una linea sottile a separarci che con il passare del tempo poteva anche diventare più spessa, fino a separarci completamente, però passare le serate lì era qualcosa di fantastico, aprire i concerti alle band che erano state tanto di ispirazione per noi, far anche semplicemente sorridere i ragazzi con la nostra musica, avere i nostri venti minuti di gloria, vivere un piccolo sogno, era una cosa abbastanza gradevole.
Con fronte sudata, dita doloranti, ma ancora tanta energia in corpo, chiudemmo la nostra piccola esibizione e fu a quel punto che la vidi, seduta sul bracciolo di un divano con lo sguardo rivolto nella mia direzione, non sapevo definire che tipo di ragazza fosse, non so nemmeno dirvi se mi piacesse, so solo che nemmeno dieci minuti dopo ci trovammo davanti l'ingresso del Gilman con due sigarette e tante parole a farci compagnia.
Quella notte il mondo era freddo, l'aria era strana, io ero strano, avevo una strana adrenalina in corpo, volevo girare la California con la mia Ford, in quel preciso istante, volevo andare al parco con un grammo d'erba e lasciare che le immagini passassero lentamente, come se nella vita avessi bisogno solo di musica e dei suoi occhi color caramello.
Sembravamo invisibili al mondo o forse era il mondo ad essere invisibile a noi, la mia attenzione era rivolta esclusivamente a lei, alle sue parole, ai suoi sorrisi, ai movimenti delle sue labbra quando buttava via il fumo, ero talmente distratto dalla sua presenza che non mi accorsi nemmeno che tutti quei ragazzi, che erano usciti dopo la breve pausa che aveva annunciato l'organizzatore, stavano cominciando a rientrare nell'angusto locale. Solo quando lei abbassò lo sguardo per spegnere la cicca della sigaretta mi guardai attorno e notai che eravamo rimasti soli sotto la luce dorata di un lampione.
“Che dici rientriamo?” la guardai dalla testa ai piedi, sorridendole.
“Sicuro di voler entrare?”
“Che altro vorresti fare? Stare qui fuori a guardare le macchine che passano?” risi e lei insieme a me.
“No, però ho un'idea..” sorrise e mi prese da un polso, avviandosi verso una stradina buia proprio alle spalle del Gilman.
“Dove mi staresti portando?” la seguii con un sopracciglio alzato mentre l'oscurità ci inghiottiva.
“Qui non passa mai nessuno..” il buio regnava sovrano, riuscivo a scorgere solo il bianco della sua pupilla risplendere nell'oscurità, mi prese entrambe le mani e, probabilmente, si poggiò ad un muro, mi fece poggiare le mani sui suoi fianchi e passò le braccia attorno al mio collo.
“Anche se passasse qualcuno non vedrebbe un cazzo..” risi carezzandole i fianchi e sollevandole nel contempo la maglietta larga che nascondeva il suo corpo snello.
“Io ci vedo benissimo invece..hai la pelle chiara..la luna la risalta..” sentii le sue braccia sfilarsi dal mio collo e le sue mani poggiarsi sui miei fianchi, mi avvicinai a lei, finalmente la vista stava cominciando ad abituarsi alle tenebre, le sfiorai le labbra mentre le mie mani ormai si erano insinuate sotto il suo reggiseno.
“Non mi hai ancora detto c-come ti chiami..” le morsi il labbro sorridendo.
“Amanda..” sentii una delle sue mani scivolare via dal mio fianco.
“Io sono B..”
“Non c'è bisogno..so chi sei..” mi interruppe travolgendomi in un lungo bacio mentre la sua mano scivolava sul rigonfiamento dei miei pantaloni.

Quando tornammo davanti l'ingresso del Gilman l'ultima band della serata aveva appena finito di suonare e i ragazzi cominciavano ad affluire sul marciapiede, fu a quel punto che lei mi lasciò la mano, mi diede un bacio sulla guancia e si avviò verso un gruppo di suoi amici. Proprio di fianco alla porta vidi Mike che chiacchierava con Al, mi misi le mani in tasca e mi avviai verso di loro con un sorrisetto beffardo stampato sulle labbra.
“Bill! Ma dov'eri finito!?” Al fu il primo a notarmi poiché Mike mi dava le spalle, a quel punto, però, anche lui si girò a guardarmi.
“Già, ti cercava anche Larry..dov'eri finito?”
“Ero a fare un giro..” mi morsi il labbro e mi girai a guardare in direzione di Amanda, lei ricambiò lo sguardo sorridendomi.
“Vieni con me.” Mike mi prese da un polso e mi trascinò lontano dalla folla di ragazzi indecisi su cosa fare in quella notte ancora giovane.
“Che succede?” lo seguii cercando di tenere il suo passo quando si fermò improvvisamente, girandosi a guardarmi, con una strana espressione stampata sul viso.
“Eri con quella lì?”
“Quella chi? Amanda?”
“Eh si, quella!” alzai un sopracciglio e mi liberai il polso che teneva ancora stretto tra le sue dita.
“Si perché?”
“Che è successo?”
“Vuoi i dettagli o ti basta saper..”
“Ma sai almeno chi è? E' stata con almeno la metà dei frequentatori del Gilman, fa così con tutti, da quando in qua ti scopi le ragazze alla prima occasione?”
“Da quando ti importa delle ragazze che mi faccio?”
“Da quando queste ti tratteranno di merda, però hai ragione, non mi importa, quindi fa ciò che vuoi, ricordati solo che io ti ho detto a cosa vai incontro.”
Si voltò dandomi le spalle e tornò verso il gruppetto ormai ridotto di ragazzi davanti l'ingresso del Gilman, rimasi a guardarlo allontanarsi, mi passai una mano tra i capelli e scossi la testa, avviandomi poi anche io verso gli altri.

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Capitolo 8
*** Capitolo 08 ***


Guardai il suo volto illuminato da un flebile raggio di luce bianca e sentii una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Quelle due parole volteggiavano nella mia testa senza dar tregua ai miei pensieri, mi morsi il labbro, dovevo farlo, me lo sentivo che non avrei avuto altra occasione per andare via.
Mi misi seduta e raccolsi la mia felpa che era finita per terra, la indossai, sospirai e mi infilai anche i jeans, cercando di fare meno rumore possibile, misi le scarpe e lo guardai nuovamente, l'orologio aveva da poco segnato la mezzanotte, mi alzai e mi chinai su di lui finché le mie labbra non sfiorarono la sua tempia, sussurrai un “buon compleanno” e mi affrettai ad uscire da quella stanza che non avrei più rivisto.
Nel buio corridoio regnava il silenzio più assoluto, speravo di non svegliare nessuno dei fratelli di Billie, sarebbe stata una cosa fin troppo imbarazzante. Fortunatamente riuscii a scendere al piano inferiore, non mi guardai indietro, non potevo andare avanti, non era la vita che desideravo, non potevo dargli ciò che voleva, non ero fatta per stare con lui e forse in fondo non lo era nemmeno lui.
Uscii di casa a passo svelto, non sapevo bene come l'avrebbe presa, non sapevo se mi avrebbe mai capita e perdonata, ma ero certa che era la cosa giusta da fare.
La notte calava lenta ed inesorabile sulle strade di Rodeo, la stazione non era lontana, ma il silenzio aumenta le distanze fino a rendere i luoghi irraggiungibili, così, con le cuffie del walkman che intonavano diversi pezzi, mi incamminai per la mia strada con mille pensieri per la testa e tanta voglia di cambiare vita a farmi compagnia.

Rotolai dalla parte opposta del letto per sfuggire ad un fastidioso raggio di sole che si infrangeva sul mio viso, mi stropicciai un occhio e solo in quel momento realizzai che da quella parte del letto doveva esserci Amanda, mi misi seduto e mi guardai attorno, forse si era già alzata anche se non era da lei visto che erano appena le 10 del mattino.
Mi alzai e presi una maglietta che avevo poggiato sul termosifone, mi avviai verso il bagno e me la misi, cinque minuti dopo arrancavo per le scale per via delle gambe ancora insonnolite, mi diressi verso la cucina, la casa sembrava insolitamente silenziosa, appena aprii la porta della cucina venni attraversato da un boato di “auguri”, scoppiai a ridere e venni travolto dall'abbraccio di Mike ed Alan, li strinsi e ringraziai tutti per gli auguri, quando Hollie mi si avvicinò con un sorriso da orecchio ad orecchio.
“Sarai sempre il mio piccolo fratellino!” mi scombinò i capelli, quel gesto mi ricordava mio padre, era sempre lui a farlo perché sapeva che mi infastidiva, quando ci lasciò questo compito passò ad Hollie, ma io smisi di lamentarmi.
“Senti ma sai dov'è finita Amanda?” mi guardai attorno cercando di scovarla, ma non ne vedevo nemmeno l'ombra, lei mi guardò alzando un sopracciglio.
“Non è di sopra a dormire?” scossi la testa in segno di negazione e mi avvicinai a mia mamma.
“Mamma per caso Amanda è uscita stamattina presto?”
“No tesoro, non è a letto?”
“No..” mi morsi il labbro cercando di pensare ad una spiegazione razionale.
“Magari è in bagno e sta poco bene..” alzai lo sguardo su di lei e senza farmelo ripetere una seconda volta corsi verso le scale lasciandomi alle spalle una scia di curiosi brusii.
Arrivai in bagno, ma come sospettavo non trovai nessuno, i miei dubbi diventavano sempre più certi, non avevo idea di dove fosse Amanda però ero certo che non era in quella casa, feci un respiro profondo e andai in camera, non ero sicuro di voler fare quel che stavo per fare, ma era l'unico modo per scoprire se la mia paura era fondata.
Mi avvicinai al comodino, sollevai la cornetta e premetti l'indice su ogni singolo tasto con estrema lentezza, nella speranza, forse, che qualcuno mi fermasse.
Il telefono compose il numero, poi cominciò a squillare, squillare, squillare, finché una voce femminile all'altro capo non esordì con un raggiante “pronto”.
“Salve, sono Billie, c'è Amanda?” le parole uscirono fuori automaticamente, come se non comandassi più la mia lingua.
“Emh..mi è stato chiesto di chiudere qualora avessi chiamato..”
“Per favore..mi dica solo dov'è andata, non andrò a cercarla, mi dica solo se sta bene..”
“Non penso che potresti andare a cercarla, è partita per il Canada un'ora fa..”
“Il Canada..capisco..grazie mille..” attaccai senza aspettare che rispondesse e mi diressi con sguardo assente verso le scale, scesi di sotto e trovai tutti in attesa di sapere qualcosa.
“E' in Canada..” gli sguardi mutarono, le mie sorelle dipinsero il volto con la compassione, Mike aveva il suo classico sguardo da 'te-l'avevo-detto', mentre i miei fratelli avevano un'espressione che non riuscivo a decifrare, sembravano dispiaciuti però l'attimo dopo sembravano divertiti.
Decisi di ignorare l'indagine sui loro sguardi e tornai di sopra strisciando i piedi sulla moquette color panna che rivestiva le scale, non pensai nemmeno di tornare in camera di Alan, la camera dove avevo dormito la notte precedente insieme ad Amanda, ma tornai nella camera che abitualmente dividevo con Mike, mi sedetti ai piedi del letto e mi persi tra mille pensieri.
L'avevo immaginato, sapevo che sarebbe successo, in cuor mio ero pronto, ma ciò non lo rese un colpo meno duro da incassare, non pensavo sarebbe successo oggi, il giorno del mio compleanno, non pensavo sarebbe successo dopo che la sera precedente c'eravamo detti ti amo, non credevo se ne sarebbe andata così, senza lasciare traccia, come una scritta sulla sabbia che silenziosamente viene cancellata da un'onda, come un sogno di mezza estate che si dimentica al risveglio, come se la pioggia l'avesse fatta colare giù dai muri imbrattati di un edificio di periferia.
La porta scricchiolò dopo che Mike l'aprì lentamente, entrò e venne a sedersi al mio fianco, continuai a tenere il capo chino, in realtà non avevo voglia di parlare con nessuno, volevo stare in compagnia del silenzio.
“Il Canada..” il mio cervello non resistette all'occasione di svuotarsi.
“Io..” non gli lasciai finire la frase e mi alzai in piedi.
“No. Non dire che mi avevi avvertito che sarebbe finita male. Non dire che me l'avevi detto. Per una volta! Per una volta poteva anche andare bene! Ma no! Nella mia vita cosa può andare bene? Nulla vero? E per l'ennesima volta sono circondato da persone che hanno quello sguardo che ormai odio, da quando avevo 10 anni mi guardano così, compassionevoli! Sono stufo Mike, stufo.” presi la giacca dalla sedia e uscii dalla camera senza dargli il tempo di replicare, scesi con passo affrettato le scale ed uscii di casa sbattendo la porta.
Mi incamminai lungo la strada dall'asfalto scompito che conduceva alla vecchia rimessa degli autobus, la giornata era soleggiata e particolarmente calda per essere il 17 Febbraio, mi imbattei in due ragazzi che venivano a scuola con me, chinai il capo per evitare che mi riconoscessero, cosa alquanto improbabile, ma preferii evitare comunque.
Arrivai ad una fermata e decisi di sedermi sulla panchina, tenevo lo sguardo fisso sulle punte delle mie converse lacere, ero ancora carico di un mix di rabbia e tristezza, odio e delusione. Fondamentalmente il dolore per aver perso Amanda non era così forte, era un vuoto allo stomaco sopportabile, un pensiero con il quale avrei imparato a convivere e che col tempo si sarebbe cancellato del tutto, però la rabbia non passava, sentivo che quella aveva messo radici e lentamente si stava ramificando per tutto il mio corpo, non sapevo come combatterla, forse tirare pugni a qualcuno sarebbe stato utile, ma non ero il tipo, pensai di farmi uno spinello, ma non avevo alcuna voglia di andare verso la periferia poiché significava dover parlare con troppa gente, rinunciai con un sospiro quando si fermò un autobus di fronte a me.
“Allora sali?” alzai lo sguardo e il conducente mi guardò con impazienza, mi misi in piedi ma non mi mossi da dove mi trovavo “allora?”
“Si..scusi..” salii senza saperne il motivo, mi andai a sedere in uno dei tanti posti vuoti in fondo all'autobus, appoggiai la fronte al finestrino e pensai a quale potesse essere la mia meta.
I pensieri fluttuarono negli universi sconosciuti della mia mente finché non mi venne in mente che solo una persona in quel momento poteva calmarmi e non c'era giorno migliore per andare a trovarla.
La strada sembrò interminabile, conoscevo quei luoghi come le mie tasche, talmente bene che potevo chiudere gli occhi e dire con esattezza solo dalle buche della via d'accesso a Berkeley, all'ultima fermata scesi, dopo circa mezz' ora di viaggio, non ero ancora giunto a destinazione, ma tornare in quella città mi fece già sentire meglio.
Mi incamminai con tutta calma, guardandomi attorno di tanto in tanto, imboccai una piccola traversa e continuai per la mia strada fin quando non arrivai davanti un imponente cancello, alzai lo sguardo e presi un respiro profondo, cercai di entrare dal poco spazio libero che lasciava la catena e una volta dentro mi incamminai tra le lapidi, vecchie e nuove, lucide e ricoperte di muschio, pompose e semplici, lastre di marmo che raccontavano le storie di centinai di persone, la brezza faceva danzare i cipressi che disegnavano strane forme sul prato verde scuro e il sole che di tanto in tanto spuntava dalle nuvole, faceva un bellissimo gioco di controluce.
Arrivai all'unica lapide che realmente mi interessava e accennai un sorriso, ai piedi di essa erano rimasti solo due tulipani rossi, d'altronde non era mai stata nostra abitudine fare spesso visita in quel cimitero. Mi sedetti di fronte ad essa, mi passai una mano tra i capelli e cercai di sorridere, ma era una cosa praticamente impossibile.
“Diciotto eh..te ne sei persi otto..sono venuto su bene, almeno è quello che dice la mamma..è un po' che non venivo qui e oggi avevo bisogno di parlarti..hai presente quando la vita sembra scivolarti tra le dita? Mi sento esattamente così in questo momento, ho diciotto anni e non ho fatto nulla, sento che sto solo perdendo tempo restando a Rodeo..io so cosa voglio fare, so qual'è il mio destino e credo che sto proprio perdendo tempo..si..la scuola per esempio..e se la lasciassi? Non è il mio ambiente, non voglio crescere tra le mura di un liceo, voglio crescere tra i graffiti del Gilman..dovresti vederlo quel posto, quell' ambiente è la mia casa..si, mi sa che lascerò la scuola domani stesso..”
Chiusi gli occhi, forse, ingenuamente, aspettavo una risposta che non sarebbe mai arrivata, seguirono alcuni minuti di silenzio, il mondo continuava a girare, ma io ero lì, seduto su quel prato umido, immerso in quel turbine di pensieri.
“Dovresti esserci..ti stai perdendo molto..e poi..ci manchi..sembra che te ne sei andato solo ieri, e invece no..non hai visto quanto sono diventato bello..” accennai una risata e sprofondai nuovamente nel silenzio.
Non so quanto tempo passò, ma la mia mente deviò e si ritrovo a vagare nel ricordo di Amanda, ero stato lasciato nel cuore della notte, nel giorno del mo compleanno, dopo che le avevo aperto il mio cuore, avevano tutti ragione, Mike me lo aveva detto e forse mi sarei dovuto fidare di lui e invece l'avevo attaccato ingiustamente e per l'ennesima volta avevo dato ascolto solo a me stesso, restandoci deluso.
“Buon compleanno a me..” mi alzai sospirando e poggiai una mano sulla fredda lastra marmorea, lasciandomi scappare un sorriso “ciao papà..”.

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Capitolo 9
*** Capitolo 09 ***


Tenevo lo sguardo fisso sul soffitto bianco, incupito dal buio della notte, continuavo a guardare l'orologio poggiato sul comodino, ogni volta che lo guardavo sembravano passate ore e invece si trattava solo di pochi minuti. Quella data rosso acceso continuava a fissarmi, incasinando la mia mente con pensieri che portavano ovunque, sia a momenti futuri che a momenti passati della mia vita. Incrociai le braccia sul mio petto nascondendole sotto il lenzuolo e socchiusi gli occhi.

C'era un bambino rannicchiato sul sedile posteriore di una macchina.
Aveva lo sguardo assonnato rivolto verso lo specchietto retrovisore per sbirciare i volti dei suoi genitori.
Il padre guidava tenendo lo sguardo fisso sulla strada ed entrambe le mani sul volante, non proferiva parola, mentre la madre si apprestava ad alzare o abbassare il volume se la canzone che passavano alla radio era o meno di suo gradimento.
I fratelli del piccolo erano messi nelle posizioni più assurde per riuscire a dormire in comodità.
I riccioli gli ricadevano sui suoi grandi occhi verdi che risaltavano sull'ovale rotondo e pallido.
Avevano passato una bella giornata, una bella scampagnata in montagna, come non facevano da tempo.
Il piccolo adorava i suoi genitori, era un bambino di appena 9 anni che ammirava il loro amore e aveva mille domande da fargli.
Una cosa che si chiedeva spesso era se si è più belli quando si sta al fianco della persona che si ama. Chissà quando avrebbe trovato il coraggio di chiederlo a sua mamma, perché trovava che sua mamma fosse una donna bellissima, e credeva che fosse dovuto al fatto che al suo fianco c'era l'uomo della sua vita.
Ad un certo punto qualcosa attirò lo sguardo del bambino.
Il padre si mordeva il labbro, tirandoselo tra i denti, avanti e indietro, causandosi un arrossamento; strano gesto, non ricordava che avesse mai fatto qualcosa del genere.
Sai..”
La donna che canticchiava sotto voce si girò a guardare il marito, sorridendo come una ragazzina innamorata, e lui fece un lungo respiro.
..sono stato in ospedale..”
Perché?” lo sguardo della madre diventò uno sguardo stupito, e iniettato di curiosità.
Perché..Ollie..io non sto bene..”
Il piccolo era incuriosito, suo padre non stava bene, cosa voleva dire?
Ho un cancro..”

Mi alzai di scatto, sgranando gli occhi, ero sudato e avevo il fiato corto, vedevo tutto appannato.
Quelle parole mi ronzavano in testa, cancro, cancro, cancro.
E' questo il nome di quella cosa che ha portato via mio padre, ingiustamente, nel giro di pochi mesi da quando ce lo disse.
Guardai la figura di Mike stesa nel letto accanto, così tranquilla, con i lineamenti rilassati dal sonno, e un sorriso appena accennato sulle labbra.
Anche io avrei voluto fare un bel sogno, uno di quelli che sono talmente belli che non racconteresti a nessuno perché questo rovinerebbe la loro bellezza. Non facevo più un sogno del genere da anni ormai, ero continuamente tormentato da..non so nemmeno io da cosa..a volte i sogni non li ricordavo proprio, o meglio ricordavo di aver sognato qualcosa di brutto, ma non sapevo cosa di preciso e questi erano i casi peggiori.
Mi misi seduto poggiando i piedi nudi sul freddo parquet, sentii un brivido corrermi lungo la schiena, poggiai i gomiti sulle ginocchia e mi presi la testa tra le mani massaggiandomi le tempie per scacciare via quel pensiero, che in realtà sapevo che non mi avrebbe lasciato, almeno non per quel giorno, nemmeno un momento nell'arco di quella giornata.
Controllai per l'ennesima volta l'orologio, erano solo le 3.25 di quello che sarebbe stato un 10 Settembre lunghissimo.

Cercai di dormire il più possibile, la sera dovevamo lavorare al Gilman, giornata sbagliata.
Volevo stare solo, stendermi sotto le coperte col viso schiacciato contro il cuscino, quasi fino a soffocare. Prima di avere la band passavo sempre così questo giorno, chiuso in camera mia, in silenzio, solo, a scrivere, a..a piangere.
Erano le 9.00, avevo finto abbastanza di dormire, mentre ancora Mike era cullato dalle braccia di Morfeo. Mi alzai e scesi di sotto, i miei fratelli o dormivano o non c'erano, sentivo il tintinnio delle tazze in cucina, mia mamma stava apparecchiando la tavola, era domenica, quindi giorno di 'colazione in famiglia', ottimo, la prima cosa che non ci voleva, sette musi lunghi e Mike.
Strisciai i piedi fino alla soglia della cucina e rimasi a scrutare la figura di mia mamma mentre sciacquava le tazze dandomi le spalle.

Avevamo tutti una gran fretta di andare all'ospedale da papà, ma non potevamo di certo rinunciare al rito della colazione domenicale.
Mamma stava lavando le tazze e io la guardavo sorridendo dalla soglia della porta.
Ad un certo punto spuntò Anna alle mie spalle e mi cinse la piccola vita sollevandomi leggermente da terra.
Mi girai a guardarla con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.
Ciao Anna!”
Mamma si girò a guardarci, il viso era segnato dalle notti insonni passate in ospedale al fianco di papà, le occhiaie le accerchiavano i grandi occhi verdi, velati di malinconia, ma nonostante tutto ci rivolse un sorriso, il più bello che ci potesse mostrare.
Corsi da lei e l'abbracciai e lei mi tenne stretto al petto, carezzandomi e lisciandomi i boccoli marroncini.

Già, era tutto esattamente come quella domenica mattina.
Ero perso nei miei pensieri e non mi resi conto che mia mamma mi guardava mentre metteva le cose a tavola, sorrideva, come quella mattina e appena me ne resi conto sentii un blocco al cuore, come un pugno che lo stringeva con forza, i ricordi mi assalirono e la vista si annebbiò per pochi secondi. Tornai con la mente lucida e corsi ad abbracciare mia mamma, come non facevo da anni. Lei mi strinse, non sembrò poi tanto sorpresa del mio gesto, infondo mi capiva, sapeva cosa voleva significare, sapeva il motivo. Così mi carezzò i capelli corvini, che mi ero deciso a tagliare, e io poggiai il viso sulla sua spalla, piegando leggermente le spalle poiché ero più alto di lei di qualche centimetro. Sentivo gli occhi bruciare, ma non volevo, non dovevo, piangere.
Ad un certo punto irruppe in cucina la voce squillante di Alan.
“Billie sei tornato ad essere il cocco di mamma?” rise di gusto e si sedette a tavola, io mi allontanai dalle braccia di mia mamma controvoglia, infondo ero ancora un bambino, non avevo avuto l'infanzia che immaginavo, e ogni tanto qualche abbraccio mi ci voleva, però per quelli c'era Mike no?
“Vaffanculo Alan.” mi sedetti al mio solito posto e tenni per tutto il tempo lo sguardo sulla tazza vuota. Arrivarono tutti gli altri dopo un po', all'appello come al solito mancava Mike. Mi guardarono tutti male e capii che non avevano intenzione di aspettare oltre, così mi alzai.
“Torno subito.” sbuffai e salii di sopra a chiamare Mike.

La giornata passò relativamente tranquilla, riuscii a rimanere in camera da solo, e Mike stranamente non fece domande, ma arrivò il momento di salire in macchina e andare al Gilman per le prove, proprio non avevo voglia, quel giorno sinceramente toccare la chitarra mi faceva troppo male. Almeno le prove potevamo risparmiarcele, infondo era sempre il solito repertorio, sempre il solito pubblico, sempre la solita vita.
Arrivammo al Gilman e rimanemmo ad aspettare Al che al solito era in ritardo.
Scesi dalla macchina e mi sedetti sul cofano, cacciai fuori dalla tasca dei luridi pantaloni neri un pacchetto di sigarette e me ne accesi una, socchiusi gli occhi e cominciai ad espirare ed inspirare il fumo pungente della stecca di tabacco.

C'era una gran confusione davanti la camera numero 52.
Un andirivieni di medici e infermiere.
Forse era un gioco.
Perché non giocava pure mio papà?
Perché non usciva e rientrava anche lui?
Volevo giocare anche io, così andai verso la porta, quando sentii una mano tenermi dalla spalla.
Mi girai a guardare David, aveva gli occhi lucidi e faceva cenno di no con la testa, quasi impercettibilmente.
Che c'è Dav? Voglio andare da papà.”
B-Bill perché non mi accompagni a prendere un caffè prima?”
Mi prese in braccio e mi baciò la fronte, avviandosi verso le macchinette della sala attesa.
Notai che erano tutti davanti la camera e non facevano nulla, rimanevano immobili, come gli spettatori di un opera teatrale, forse quel via vai di gente era uno spettacolo?
Quando tornammo c'era Hollie inginocchiata davanti la porta col viso tra le mani, Alan le teneva una mano sulle spalle, anche lui aveva gli occhi rossi, Anna stava abbracciata alla mamma che singhiozzava vistosamente e Marci corse in contro a me e David. Che stava succedendo?
Si, quello era uno spettacolo, lo spettacolo della morte.

Piangevo, senza nemmeno rendermene conto. Piangevo tanto vistosamente che Mike corse ad abbracciarmi, cercai di soffocare i singhiozzi contro il suo petto, boccheggiando per riuscire a prendere aria, sentendo le lacrime scorrermi come fiumi in piena, scavando delle valli sulle mia guance.
“Ssh..che succede? Billie? Sssh..ci sono io..”
Non riuscii a parlare, ma mi calmai lentamente, non volevo che mi vedesse così, non volevo che qualcuno entrasse in questa parte della mia vita, era solo mia, ne ero dannatamente geloso, quelle lacrime dovevano bagnare solo i miei vestiti e i miei occhi gonfi e rossi dovevano scrutare solo le pareti della mia camera, e invece stavo bagnando la maglietta di Mike in piena aria aperta, davanti un fottutissimo locale che mi avrebbe tenuto incatenato nel giorno in cui volevo liberarmi da tutto e da tutti.

Ero seduto nei 'camerini', se si potevano ritenere tali, con le spalle poggiate contro la porta, almeno così ero pronto a scattare in piedi quando qualcuno sarebbe entrato.
Ero intento a scrivere sul mio quadernino nero, quello con le pagine ingiallite e la copertina rovinata dagli anni che la consumavano lentamente. La penna semi scarica scriveva parole che lì per lì non avevo idea da dove fossero saltate fuori.
Sentii dei passi alle mie spalle e la maniglia si abbassò lentamente, mi affrettai ad alzarmi e nell'attimo successivo Mike entrò sorridendo.
“Billie tocca a noi”.
“Si..arrivo subito..” lo guardai e dopo pochi secondi gli rivolsi un sorriso, lui riusciva sempre a strapparmene uno, in qualsiasi momento, in qualsiasi giorno, pure il 10 Settembre.
Uscì dal camerino e io riaprii il quadernino per scriverci le ultime parole.

Wake me up when september ends.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Tornarono nei camerini (se così si potevano definire due latrine adibite a mo' di camerino con una lampadina penzolante dal soffitto, il pavimento fradicio rivestito da una moquette economica, macchiata dal vomito di tutti gli artisti, o quelli che si definivano tali, passati di lì precedentemente e uno specchio attaccato malamente col silicone alla porta scricchiolante) portandosi dietro una scia di fischi d'apprezzamento e urla provenienti dalla piccola saletta che ospitava un tripudio di persone entusiaste di quello che avevano portato quella sera i Green Day.
Billie Joe con la sua birra in mano, già mezzo brillo ed eccitato dall'esibizione entrò per primo con Mike, che rideva senza un motivo apparente, e Al, che teneva le mani in tasca e lo sguardo basso, al seguito.
Ragazzi ecco..” biascicò Al mentre i due non gli davano conto ed erano intenti a ridere per i motivi più impensabili.
Ho deciso! Mi faccio i capelli blu!” disse Billie dando una pacca sul petto a Mike che rise.
Si, il grande puffo!”
Ragazzi!” Al alzò la voce e i due si girarono a guardarlo, alzarono entrambi un sopracciglio e Al si poggiò alla porta abbassando lo sguardo sulle punte delle sue scarpe.
Che!?” esordì Billie ridendo.
Il batterista fece un respiro profondo e alzò lo sguardo lentamente, studiando in quell'istante ogni dettaglio poiché sapeva che sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quel posto così squallido.
Io mollo.”
I due lo guardarono perplessi, non capendo, un po' per lo scarso intuito che li caratterizzava un po' per l'alcool che inibiva il loro ragionamento.
Continuo gli studi, questo non mi porta a niente e voglio un futuro, non voglio finire come Mark che a trent'anni è ancora chiuso qui al Gilman a suonare col suo gruppo sperando che qualche disperato gli proponga un contratto.”
Al ma che stai dicendo? Noi lo abbiamo già un contratto con la Lookout, siamo giovani, e abbiamo ancora tanta strada da fare, che cazzo dici?” Billie gli si avvicinò sentendosi sormontato dalle responsabilità del frontman che non gli piaceva avere sulle spalle.
Dai dove credi che ti possa portare Livermore? Non fare i sogni da adolescente, non è da te, io ci rinuncio, sono stufo.”
Quindi molli, ci lasci nella merda.” Mike seduto a gambe incrociate sulla moquette macchiata lo guardava, deluso o forse incazzato.
Non vi lascio nella merda, pensateci un po' e vi renderete conto che non è la cosa giusta da fare, la gente non vuole più la musica sporca che facciamo noi, non andremo da nessuna parte.”
Dì un po', ma li hai visti lì fuori? Okay non sarà come riempire uno stadio, ma stiamo cominciando piano piano, possiamo farcela, piacciamo. Questo non è un sogno da adolescente, è il mio sogno, e lo porterò avanti con o senza di te, allora, sei dentro?” il moro teneva le braccia incrociate e il suo viso si era arricchito di uno sguardo severo che penetrò gli occhi di Al che fece un gesto con la mano e si girò verso la porta “Mi dispiace..” uscì, lasciando i due ai piedi di un pendio che dovevano scalare e che non avevano idea di dove li avrebbe portati.
Qualche minuto dopo i due si cambiarono i vestiti zuppi di birra e sudore e dopo non aver proferito parola andarono a sedersi su un divanetto mentre il punk della Bay Area gli faceva compagnia e la gente passava e gli faceva i complimenti e loro rispondevano con un mezzo sorriso o un gesto della mano, Mike e guardò Billie.
Che coglione.”
La scuola!? Seriamente!? Vuole continuare la scuola!? Non so se sia più sfigato lui che molla tutto questo” Billie fece un gesto plateale con la mano per indicare il bar con le pareti graffittate e l'odore di erba che si mischiava al puzzo di sudore “o noi che siamo stati mollati da uno che vuole continuare gli studi” il cantante scoppiò a ridere cominciando a scolarsi la sua birra a grandi sorsi e Mike dopo aver alzato un sopracciglio fece lo stesso.
Dopo un po', ad interrompere il silenzio che aveva avvolto i due ragazzi in una bolla, arrivò un ragazzo dall'aria allegra, con i capelli leggermente mossi che gli coprivano a mala pena le orecchie, due grandi occhi azzurri puntati prontamente su ogni bella ragazza che gli passava accanto, la camicia leggermente aperta sul petto e i bermuda di jeans larghi che gli lasciavano in bella vista le sue vecchie converse che ormai più che sembrare nere sembravano di un grigio scompito dal sole.
Siete stati grandi!” esordì il tipo dando una pacca sulla spalla ad entrambi, che lo guardarono con fare circospetto, confusi dal fare amichevole del ragazzo.
G-grazie..” Billie lo guardò alzando un sopracciglio “hey ma tu sei il batterista dei Lookouts vero?”
Esatto! Piacere, mi chiamo Frank..” gli porse la mano, sorridendo a trentadue denti, e Billie la strinse e venne travolto da un goffo abbraccio che fece sparire il suo esile corpo tra le braccia di quel ragazzo che per quanto non fosse un colosso in altezza, si difendeva con una certa imponenza.
Da quell'abbraccio cominciò tutto, la vera storia dei Green Day cominciava quella sera, quando la persona giusta arrivò al momento giusto, quando due persone ritrovarono un fratello perso da tempo, una sera in cui si fondarono le basi di un'amicizia destinata a durare per molti anni e a portare i tre dove nemmeno loro pensavano che sarebbero mai arrivati.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Era il nostro primo tour, grazie al padre di Frank, che ora era diventato il nostro batterista, riuscimmo a girare su un furgoncino, il "Bookmobile", andammo un po' in giro per tutta l'America, da sud a nord, cominciavamo a farci conoscere, si parlava sempre più di noi, moltiplicammo il successo del Gilman per decine di tappe in più. Eravamo in Minnesota, ci aspettava un concerto di un ora e mezza, la gente era poca, ma faceva sentire il suo calore in maniera fantastica, erano li per noi e io più cantavo più non riuscivo a credere che stessero applaudendo noi, la nostra musica, la mia voce, le mie parole, non credevo che saremmo arrivati a questo, che era poco, ma già tanto per tutti e tre. Frank, che preso dalla fama del tour decise di farsi chiamare Tré, era da molto più tempo di noi incastrato nelle serate del Gilman con i Lookouts, e forse credeva che non ne sarebbe più uscito, nonostante il suo indiscutibile talento. Mike, che finalmente ci aveva dato un taglio (si, ai capelli), stava coronando insieme a me un sogno, un sogno che ci costruivamo da tanto tempo, un qualcosa di talmente grande che agli occhi degli altri sembravamo un po' come i bambini di sei anni che fantasticano sul diventare astronauti o piloti d'aeri, e invece stavamo cominciando la scalata di un monte talmente alto che non avevamo idea di dove ci portasse.
Pochi minuti prima dell'ingresso sul palco stavo seduto su un vecchio prato ingiallito, poggiato con le spalle alla ruota del Bookmobile, con una sigaretta ancora spenta tra le dita, mi sentivo tranquillo, felice, di tanto in tanto guardavo il cielo, rigirando sempre tra le dita la sigaretta dal filtrino color caramello, le sigarette mi ricordavano tanto Amanda, intanto perché ne fumava più di me e con una maestria e un modo di fare che non avevo riscontrato mai in nessun altro, e poi perché trovavo che i suoi occhi fossero dello stesso colore dei filtrini delle mie Marlboro rosse, so che può sembrare un paragone non molto gradevole, ma non potevo farci nulla, quella sigaretta mi ricordava Amanda. Non so perché le cose tra noi non hanno funzionato, forse eravamo entrambi troppo piccoli per capire ciò che realmente volevamo dalla vita o forse eravamo semplicemente due persone ai poli opposti della terra, e da quando si era trasferita in Indonesia quest'affermazione poteva essere presa alla lettera. Era stata la ragazza più importante della mia vita, l'unica che immaginavo al mio fianco tra una tourné e una sessione di registrazione, era l'unica che potevo desiderare al mio fianco oltre la musica però non eravamo fino in fondo compatibili, però non eravamo realmente due persone fatte per stare insieme per sempre, non che credessi completamente a queste cose come il vero amore e il vissero felici e contenti, però lei aveva portato un po' di favola nella mia noiosa vita da musicista adolescente.
Due converse rosse che si piantarono davanti i miei occhi fecero allontanare tutti quei ricordi dai miei pensieri.
"Ciao.."
Una voce timida e femminile mi arrivò alle orecchie, ma non la guardai, improvvisamente non capii perché avevo smesso di ragionare, perché il cuore aveva smesso di battere.
Dopo qualche secondo riuscii a sollevare lo sguardo su quella ragazza a me sconosciuta.
"Ciao."
Le sorrisi. Era veramente bellissima, due grandi occhi castani scuri, talmente scuri che potevo vederci il mio riflesso, le labbra rosee e carnose contratte in un timido sorriso, le gote piene e leggermente arrossate, i lineamenti dolci, i capelli anch'essi castani raccolti in disordinati rasta che le cadevano sulle spalle con eleganza.
Scossi la testa capendo che ero rimasto a fissarla per un tempo più che abbondante, ma quel tempo mi bastò appena per imprimere nella mia memoria i dettagli di quel viso angelico.
"Mh..posso aiutarti?" mi decisi a dire per interrompere quello strano imbarazzo che era venuto a crearsi.
"Emh..ecco..io volevo solo..chiederti dove posso trovare una copia del vostro cd.." mi sorrise e notai che infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini, come per nasconderle, come fanno quelle persone che nascondono le mani per timidezza nei polsini delle felpe.
Io ricambiai il sorriso e mi alzai, mi scrollai un po' i vestiti dai pezzettini di erba che avevo strappato e con cui avevo giocherellato.
"Dovrei avere una copia qui dentro..se aspetti un secondo te la porto subito.."
"Ma..no, volevo solo sapere se posso trovarlo in giro"
"Ecco..non ne ho idea.." risi imbarazzato "..quindi te ne do uno io."
"Ma non c'è bisogno..veramente.." sorrise e io mi morsi inaspettatamente il labbro.
"Aspettami!"
Salii sul Bookmobile e rovistai tra il casino che avevamo lasciato la notte precedente, fin quando non trovai una copia del cd, tornai da lei e glielo porsi sorridendo.
"Ecco, tutto tuo."
"Io..non so cosa dire..grazie.." prese il cd e le sfiorai la mano con l'indice, non so dirlo se l'ho fatto apposta o meno, ma lo feci e quello mi paralizzò, la guardai dritta negli occhi e lei fece lo stesso, da dove usciva fuori? Chi era la ragazza del concerto in Minnesota? Bastava poco per scoprirlo, ritornare in me e presentarmi, anche se credo non servisse, ma dovevo conoscere il suo nome, bastava porgerle la mano, ma non ci riuscii, almeno non fin quando sentii la voce di Mike sgridarmi al suo solito.
"Cristo Billie ti smuovi il culo!?"
"Eh?" scossi la testa e mi girai a guardarlo, mentre la ragazza mi guardava leggermente imbarazzata "si, scusa, arrivo che palle!" lei rise e io mi girai a guardarla, era ancora più bella, aveva un viso luminoso e allegro, solare e simpatico, dolce e intelligente
"Scusa se ti ho trattenuto..hai un concerto da cominciare.."
"Macché! Mi ha fatto piacere conoscerti.." feci una pausa sperando che lei capisse che ancora non ero a conoscenza del suo nome.
"Adrienne."
"Adrienne." sorrisi a trentadue denti mentre Mike continuava a gridarmi dietro.
"Senti meglio che vai.." rise.
"Magari a fine concerto potresti tornare qui se hai bisogno di qualche altro cd.."
Coglione, ma cosa dici!? Ah sei arrugginito mio caro Billie.
"Volentieri.." sorrise.
Un momento..però funzionò.
Corsi sul palco dopo averle donato uno dei miei sorrisi migliori, e averla guardata per un attimo negli occhi, lei andò tra il pubblico e riuscii subito a vederla, da quel giorno avrei riconosciuto quegli occhi in qualsiasi folla.
A fine concerto al Bookmobile non si presentò, ed ero alquanto deluso, ma in cuor mio sapevo che l'avrei rivista, ancora e ancora, infinite volte, oh dio cosa mi succedeva?
Tornai a sedermi sul prato, con le spalle contro la ruota del furgone, ripresi una sigaretta, ma questa volta l'accesi, cominciando ad espirare ed inspirare lentamente, tenendo gli occhi un po' socchiusi, un pò puntati al cielo, un po' fissi in un punto indefinito, finii la sigaretta e buttai la cicca ancora rossa e fumante a brillare nel buio in cui il Minnesota era stato inghiottito. Vicino a me trovai il cd che qualche ora prima avevo dato ad Adrienne, alzai un sopracciglio e lo presi, ci rimasi male, poi guardai il retro del cd e ci trovai un numero scritto sopra con una scritta fatta con un pennarello rosso.

Era solo una scusa per lasciarti il mio numero, tornerò a prendermi il cd, a presto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quel numero mi cambiò la vita. Dalla sera successiva passai il resto del tour a parlare al telefono con Adrienne, la sua voce mi faceva stare bene, la sentivo vicina ogni giorno di più nonostante mi trovassi dall'altro lato dell'America, mi piaceva raccontarle cose avevo fatto durante la giornata, anche se erano quasi sempre le solite cose, le dicevo com'era andato il concerto, le cazzate che aveva detto Frank, le perle di saggezza di Mike, e lei ricambiava raccontandomi come andava all'università, cosa aveva fatto durante il giorno, come si sentiva. Poi arrivava un momento in cui smettavamo di raccontare le solite stronzate e davamo spazio a noi due, parlavamo di quando era stato fantasico conoscerci, di quanto era stato strano il nostro primo incontro, e lei mi diceva che era una mia grande fan, e io le dicevo che mi piacevano i suoi occhi, e di come lei mi avesse riempito le giornate da quando l'avevo conosciuta, poi concludevo puntualmente con un "devi ancora riprenderti il tuo cd".
Una sera, eravamo vicino i pressi di San Diego, dopo qualche giorno saremmo tornati a Berkeley, ed erano due sere che non la sentivo, non avendo un telefono fisso dovevo andare alla ricerca di una cabina telefonica e per due sere non c'ero riuscito, però quella notte la chiamai e lei mi rispose, riconobbi la sua voce nonostante fosse assonnata.
"Dormi?"
"Eh? Billie?"
"Si..scusa se ti chiamo solo ora, ma è impossibile trovare delle cambine qui.."
"Tranquillo.."
"Stavi dormendo?"
"Quasi.."
"Scusami.."
"Tranquillo..come va?"
"Oh bene..e a te?"
"Benissimo.."
La conversazione continuò per almeno mezz'ora, mentre cacciavo fuori dalle tasche le monete per non interrompere la sua voce.
"Sai dopodomani parto.."
"E dove vai?"
"In Florida, dai parenti di Billy.."
"Di chi? Dai miei parenti?" risi.
"Eh? Che c'entrano i tuoi parenti?" rise a sua volta "dai parenti di Billy, il mio fidanzato.."
"Il tuo che?"
"Fidanzato.."
Poggia un braccio sulla parete della cambina e socchiusi gli occhi, non ci potevo credere, era fidanzata, allora cosa avevano significato tutte quelle telefonate? Tutte quelle ore a parlare? A cos'era servito? Ero io che avevo inserito malizia in una semplice amicizia?
"Ah.."
"Cosa?"
"Non mi avevi detto di essere fidanzata."
"Ah no?"
"No, Adrienne, non me lo avevi detto."
"Scusa..ora lo sai.."
"Cosa significa? Perché me lo stai dicendo solo ora? Cristo non so quanti soldi ho speso in queste settimane per pagare queste fottute cabine e tu sei fidanzata! Ti prego dimmi che non è vero..non ci credo, dimmi a cosa sono servite tutte queste ore al telefono, tutti gli apprezzamenti che ci facevamo, perché mi hai lasciato il tuo numero?"
"Ma.."
"No, niente ma, scusa, sono io che ho pensato ad altro, pensavo che ti importasse qualcosa, credevo che boh questo poteva essere l'inizio di qualcosa, e invece sono l'amico con cui chiaccherare del più e del meno no? Ma tranquilla, sono io che sbaglio, sono io che credevo ci fosse qualcosa sotto, però anche tu..me lo hai lasciato credere..una volta mi hai pure chiesto se ero fidanzato, ti risposi di no, poi cadde la linea e io non te lo chiesi più, ma potevi anche dirmelo prima."
"Ah certo, perché in questo modo avresti smesso di spendere soldi per chiamarmi."
"No! Che c'entra, avrei continuato a chiamarti, ma sicuramente non..non..non mi sarei illuso così.." nelle mie parole c'erano malinconia, tristezza e rabbia, ero deluso, credevo fosse arrivato qualcosa di veramente buono nella mia vita, ma era l'ennesima presa in giro, l'ennesima illusione, forse dovevo smetterla di cercare di costruirmi una vita felice, magari sarebbe arrivata da sola, chissà quando, chissà come.
"Billie..credimi che io.." cadde la linea, avevo smesso di tirare fuori monetine con foga.
Posai la cornetta, e uscii dalla cabina, col capo chino sulle mie converse, mi incamminai verso una meta non prefissata nella mente, ma mi ritrovai davanti la Bookmobile dopo pochi minuti, non volevo dare spiegazioni, non volevo entrare e sentire i "te l'avevo detto" di Mike, le battutine di Frank o suo padre che si preoccupava del mio stato d'animo, volevo solo stare solo, non chiedevo poi chissà che, ma non potevo di certo rimanere a dormire fuori.
Presi un lungo respiro per farmi coraggio e bussai, mi aprì Frank che rideva come un idiota, io entrai accennando un sorriso e mi affrettai a raggiungere la mia branda, sarei voluto essere trasparente, ma purtroppo Mike mi fermò.
"Eeeh quanti soldi hai speso questa volta!?"
"Secondo me non è una ragazza, si è inventato tutto per farsi figo, e se li va a sparare in puttanelle" si, Frank era decisamente brillo.
Non ebbi la forza di rispondere, spostai il braccio di Mike che ostruiva il mio passaggio e mi andai a buttare sulla mia branda, coprendomi con la coperta fino alla testa, e affondando la faccia contro il cuscino.
Quelle sue ultime parole erano tutto quello che mi era rimasto di quella giornata, lei sarebbe partita col suo fidanzato e io li avrei guardati da lontano, in silenzio.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Avevo sbagliato, non lo nego, avevo un idea totalmente diversa di come doveva finire, eppure da quel giorno non stavo per nulla bene, la mia storia con Billy era da tempo che ormai non mi rendeva felice, per un tempo non ci pensai nemmeno, lui era partito per lavoro e io conobbi l'altro Billie della mia vita, l'altro l'avevo cancellato dalla mia mente, poi tornò e la realtà si riversò su di me e rovinai quello che stava diventando un fantastico rapporto, sebbene la distanza mi teneva lontana da quel ragazzetto magrolino dagli occhi verdi di cui credevo di essermi innamorata.
Passarono varie settimane e per tutto questo tempo, ovviamente, non mi chiamò nemmeno una volta, ma io sapevo in cuor mio che anche lui non era felice, come poteva esserlo?
Un giorno decisi di cambiare la mia vita, non ero felice e non potevo continuare a stare con qualcuno solo per far felice mio padre, quella era la mia vita, dovevo prendere le mie decisioni, decisioni che possibilmente dovevano farmi essere felice. Non sapevo però dove mi avrebbe portato quella scelta, ero ad un bivio, una strada portava a Billie, l'altra a Billy.
Ma certo che avevo una fantasia in fatto di uomini.
Lasciai Billy, con la disapprovazione di mio padre che aveva una mentalità troppo diversa dalla mia, gli dissi che non l'amavo più, ed effettivamente era vero, ma solo mia madre seppe che il vero motivo fosse un altro ragazzo.
Il giorno dopo andai alla stazione, ero diretta a Berkeley, sapevo che non sarebbe stato difficile trovarlo, e volevo provarci. Una volta arrivata gironzolai per la città, in cerca di qualcosa che mi desse un indizio, finché non mi trovai di fronte ad una vecchia struttura dai tetti bassi, buttai lo sguardo sulle porte di metallo sigillate da un catenaccio e ci vidi una locandina affissa, dove annunciavano una serata, portava la data del giorno precedente e tra i nomi c'erano anche i Green Day, infondo non ero poi così lontana, almeno speravo.
Passarono accanto a me due ragazzi, sembravano del giro, non so nemmeno io perché, ma sapevo che potevano darmi qualche informazione, infondo Berkeley non è poi così grande e gente come Billie doveva essere conosciuta un po' da tutti.
"Scusate.." i due mi guardarono storti "posso chiedervi un informazione?"
"Certo.." intervenne il biondino che sembrava decisamente più amichevole del capellone castano al suo fianco.
"Conoscete per caso Billie Joe? Il cantante dei Green Day?"
"Mh? Certo che si, hanno suonato proprio ieri sera qui.."
"Sapete per caso dove abita?"
I due si guardarono, cercando di ricordare un indirizzo, o comunque un indicazione utile, ma i secondi passavano e la mia speranza di trovarlo sbiadiva lentamente.
"Guarda credo che stia ad Harrison st., non è molto lontano, è la strada proprio dietro questa..ha una stanza in una palazzina, non è un bella zona, comunque dovrebbe essere tra il 914 e il 924.."
"Oh..grazie mille!" sorrisi e dopo averli salutati mi incamminai.
Chiesi qualche altra informazione finché non trovai una palazzina che aveva tutto l'aspetto di essere adibita ad abitazione, mi fermai difronte al portone cadente, c'era silenzio, e le pareti grigie erano ricoperte da graffiti. Ad un certo punto uscì un tipo dall'aria strana, la testa coperta dal cappuccio non gli copriva comunque i lunghi capelli neri, e nella penombra si intravedevano delle occhiaie, teneva la schiena curva e le mani nelle tasche, avevo un po' di timore ad avvicinarmi, ma non avevo altra scelta.
"Scusa.." lui mi guardò, sembrò spaventato, si capiva che era strafatto, aveva gli occhi rossi e l'incarnato pallido, provai compassione per lui ed ebbi paura di quel posto.
"Che?"
"Io..volevo sapere se Billie Joe sta in questa palazzina.."
"Eh? Billie? Il cantante? Sisi! Sali bellezza, ti starà aspettando!" rise e si congedò senza dire altro, camminando su i suoi passi a testa bassa.
Titubante andai verso il portone, aperto, ed entrai, non avevo idea di che interno fosse quello di Billie, ma arrivata a quel punto ero pronta a bussare ad ogni porta pur di trovarlo.
Lo scenario che mi trovai davanti alla prima rampa di scale mi sconvolse, era una gabbia cupa e grigia, dall'odore nauseabondo, che teneva intrappolati la qualsivoglia specie di ragazzo. C'erano ragazzi strafatti accasciati sulle scale e si sentivano urla provenire dagli appartamenti. Ora il mio obiettivo non era solo trovare Billie, ma portarlo anche via da li, non era il suo posto quello, non era il posto giusto per nessuno di quei ragazzi. Bussai alla porta numero 3 e mi aprì un ragazzo in canottiera, con una bottiglia di Jack Daniel's in mano.
"Ciao tesoro.."
Feci una smorfia di disgusto e abbassai lo sguardo.
"Sai se Billie Joe sta qui?"
"Eh? Billie dici?" allungò una mano verso il mio viso ridendo "che vuoi da uno sfigatello come lui quando davanti agli occhi hai di meglio?" mi carezzò il viso e io mi scostai bruscamente.
"Sta qui o no?"
"Calma carina, no, è andato via, sta ad Oakland." fece per chiudere la porta, ma io lo fermai con la mano.
"Grazie.."
"Si..si.." sbattè la porta e io mi affrettai ad uscire da quel tugurio.
Tornai di fretta di fronte al Gilman e mi sedetti sul marciapiede.
Era andato ad Oakland. Tanta strada fatta per nulla. Non mi restava che tornare in Minnesota. Non mi restava che rassegnarmi ad aver fatto la scelta giusta troppo tardi.
Rimasi buoni minuti lì seduta, con le macchine che ogni tanto sfrecciavano davanti i miei occhi, dopo un po' mi alzai, ma non avevo le forze per tornare a casa, mi avvicinai alla struttura in mattoni rossi e mi sedetti per terra con le spalle contro la parete, le ginocchia strette al petto e il viso poggiato su di esse, faceva abbastanza freddo e stavo vivendo nello sconforto totale.
Ad un certo punto passò davanti a me una Ford verde acqua che svoltò a sinistra, era ormai sera, tutti stavano rientrando a casa dal lavoro, tornavano dalle loro famiglie, o gli amici uscivano per una pizza, e io ero lì seduta in attesa di non so cosa, socchiusi gli occhi.
"Non ti sei mai ripresa il tuo cd."
La sua voce arrivò alle mie orecchie talmente calda e vicina che credetti di star sognando, sapevo che non poteva essere lì vicino a me, con il mio cd in mano, ma aprii gli occhi per dare una diagnosi giusta alla mia pazzia, me lo trovai davanti gli occhi, con una magliettina dei Ramones che gli stava decisamente troppo larga e lo faceva sparire nel buio della notte, i capelli illuminati da un lampione sembravano più scuri di come ricordassi, e i suoi smeraldi brillavano nella notte cupa. Teneva una mano tesa verso di me con il cd in mano, lo stesso cd dove gli lasciai scritto il mio numero, mi sorrise, come poteva ancora sorridermi?
Si sedette accanto a me e mi mise un braccio sulle spalle, stringendomi a se per scaldarmi in quella gelida notte, quella gelida notte quando cominciò realmente tutto.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


"Che ci fai qui?" le chiesi dopo qualche minuto, continuando a tenerla stretta a me con un braccio, lei mi guardò, girando il viso quanto bastava.
"Sono venuta a riprendermi il cd.."
"Potevi chiamare e te l'avrei spedito."

Essere stronzo rientra nella mia natura purtroppo.
"Non ho il tuo numero..mi hai sempre chiamata dalle cabine e non mi hai mai dato il tuo numero.."
"Ah..già.." la guardai per un istante negli occhi per poi distogliere lo sguardo mentre lei abbassò il capo, mordendosi il labbro.
Non volevo ammetterlo, ma aspettavo il suo arrivo da mesi, speravo che l'avrei rivista presto, e più di una volta avevo avuto la tentazione di chiamarla, ma lei era col suo fidanzato, a cosa sarebbe servito? Però infondo non avevo mai rinunciato a lei, non mi ero arreso all'idea che tutte quelle chiamate non fossero servite a niente.
"Io.."
"Mh?" scossi la testa e la guardai con la coda dell'occhio.
"..non sono venuta solo per il cd.."
"E per cosa?"
"Per te.."
"Per me?"
"Si..io.." si girò verso di me facendo cadere il mio braccio lungo il mio fianco, mi guardò negli occhi e poi fece un respiro profondo "ho lasciato Billy.."
Alzai un sopracciglio e accennai un sorrisetto sarcastico.
"Era ovvio."
"Cosa?"
"Che se sei venuta fin qui era solo per la seconda scelta, no?" mi girai verso la strada e portai le ginocchia al petto, non la volevo guardare, non ne avevo la forza.
"Billie..io..so che ho sbagliato..so che ti ho fatto stare male e ti conosco appena..so che non mi sarei dovuta comportare così..ma il punto è che io con te sono felice..con lui era da tempo che non andava bene..mi bastava sentire la tua voce per rendere migliore una giornata andata di merda..so che avrei dovuto dirtelo..e non sai quanto mi sento in colpa, perché hai ragione, ti ho illuso, ma vedi..se oggi sono venuta fin qui è solo per te..perché non ce la facevo a non chiederti almeno scusa di presenza.." si mise in ginocchio rivolta verso di me e mi poggiò una mano sul braccio, io lentamente girai il viso verso di lei e la guardai negli occhi per minuti infiniti.
"Di qualcosa, ti prego.."
"Io.." le poggiai una mano sulla guancia e deglutii a fatica, continuavo a guardarla negli occhi e sentivo i battiti del cuore aumentare lentamente, le carezzai lo zigomo col pollice e mi avvicinai col viso, lentamente, con timore, lei sosteneva il mio sguardo, aveva gli occhi leggermente lucidi, passai la mano tra i suoi capelli e continuai ad avvicinarmi fino a sfiorarle le labbra con le mie, erano così morbide, le avevo desiderate così tanto che ora mi sembrava quasi sbagliato averle, lei socchiuse gli occhi e quasi mi dispiacque, poggiai le labbra contro le sue, e socchiusi anche io gli occhi, dischiusi le labbra e diventammo una cosa sola, la baciai a lungo, dolcemente, mi sentivo vivo, una nuova persona, ero felice, lei era lì, tra le mie braccia, le sue labbra contro le mie, la sua lingua a contatto con la mia, era il momento perfetto, sotto il lampione davanti il Gilman, in una fottuta notte fredda, non avrei mai permesso che tutto questo finisse.
Mi staccai dopo qualche secondo continuando a tenere gli occhi chiusi, sulle labbra avevo un sorriso stampato che mi sarebbe rimasto a vita; lei poggiò la fronte contro la mia buttandomi le braccia al collo, la strinsi a me, abbracciandola come per volerla proteggere e le diedi un bacio a stampo, avrei continuato a baciare quelle labbra in eterno, guardando nei suoi occhi il riflesso di tutto ciò che accadeva intorno a noi.
"Rimani con me." lei abbassò lo sguardo e io le presi il viso tra le mani per costringerla a guardarmi negli occhi "ti prego, resta con me."
Lei non rispose, mi guardò semplicemente negli occhi sorridendo e io capii cosa voleva, così mi alzai e le porsi la mano, lei la prese e dopo che si alzò le misi un braccio sulle spalle e andammo verso la stradina dove avevo posteggiato la macchina, non c'era bisogno di parlare, sarebbe stato sbagliato rovinare il silenzio che c'era attorno a noi, sarebbe stato sbagliato disturbare il sonno di Berkeley.
Salimmo in macchina e cominciai a guidare in silenzio in direzione di Oakland, ogni tanto la guardavo con la coda dell'occhio mentre lei guardava fuori dal finestrino incuriosita dal paesaggio che variava di metro in metro.
"C'eri mai stata a Berkeley?" 
"Mh? No..è la prima volta.." si girò a guardarmi sorridendo.
"E ad Oakland?"
"No, non mi sono mai mossa dal Minnesota.."
"Con me girerai il mondo" risi "fossi in te non mi farei mai perdere un occasione del genere!"
"Sei una persona sicura di se.." rise anche lei.
"Mh..meno di quel che sembra.." tornai un attimo serio e lei rimase in silenzio.
Arrivammo ad Oakland che era notte fonda, posteggiai sotto casa e lei guardò la palazzina verde che nel buio sembrava di un grigio cupo.
"Spero sia meglio di quella casa" fece le virgolette con le mani "di Berkeley".
"Si splendore, decisamente meglio." le poggiai una mano sulla guancia e le girai il viso verso di me "sei bellissima.." sorrisi e mi avvicinai fin quando le nostre labbra non entrarono in contatto e le diedi un bacio leggero, mentre lei era già pronta a dischiudere le labbra io mi allontanai ghignando.
"Dai, ho sonno!" scesi dalla macchina e le aprii la portiera, entrammo nella palazzina e le feci strada fino alle scale "prego splendore, prima le donne.." sorrisi e lei cominciò a salire mentre io rimasi poco più dietro.
"Fino a che piano?"
"Sali, sali.." le stavo guardando il sedere mordendomi il labbro.
Per un attimo mi sentii come uno di quei quarantenni arrapati.
"F-ferma..ferma qui.." arrivammo al pianerottolo del penultimo piano e l'affiancai, le misi un braccio attorno la vita e la guidai fino alla fine del corridoio, dove c'era l'appartamento n. 80, mentre camminavo scesi lentamente la mano fino ad infilarla nella tasca posteriori dei suoi jeans, lei mi guardò mentre la tenevo stretta a me e aprivo la porta.
Entrammo e strinsi la mano che tenevo sul suo sedere, la guardai sorridendo, le presi il viso con una mano e la baciai a lungo, mentre le sue mani si posavano sul mio petto, la strinsi a me facendo aderire i nostri bacini e cercai di raggiungere camera mia, passai le mani sui suoi fianchi e la feci indietreggiare fino ad aprire la porta, le sfilai la maglia staccandomi per un istante dalle sue labbra e chiusi la porta con un calcio, continuammo ad indietreggiare finché lei non cadde sul letto ridendo, io rimasi in piedi a guardarla sorridendo, studiando le sue curve perfette.
"Dio mio Adrienne, sei perfetta.." mi morsi il labbro e mi sfilai la maglia, lei indietreggiò fino a poggiare la testa sul cuscino sorridendo a trentadue denti.
Mi sbottonai i pantaloni e mi misi a cavalcioni su di lei, le carezzai i fianchi salendo le mani verso il suo seno, le abbassai lentamente le spalline e mi chinai a baciarle il collo, passando nel mentre le mani dietro la sua schiena per slacciarle il reggiseno e sfilarglielo, le sue mani passarono lungo la mia schiena, carezzandola dolcemente. Scesi nuovamente le mani sui suoi fianchi e le sbottonai i pantaloni, sfilandoli lentamente mentre le sue mani scendevano sul mio sedere e le mie labbra si insinuavano sul suo seno.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


La mattina seguente mi svegliai poggiata sul suo petto e sorrisi, mi strinsi a lui cercando di sbirciare il suo viso, dormiva beatamente, con un accenno di sorriso su quelle labbra che mi baciarono quasi tutta la notte.
Gli baciai il petto e mi misi seduta guardandomi attorno nella piccola stanza poco arredata, mi alzai e mi avvicinai alla finestra, accostai meglio le tende poi presi una maglia buttata per terra e me la misi, mi stava abbastanza grande da coprirmi metà delle cosce, non indossavo ancora le mutande, così mi infilai i boxer di Billie che erano finiti per terra e andai in cucina dopo averlo guardato un ultima volta. Cominciai a curiosare negli stipetti.

Mi svegliai infastidito da dei rumori proventienti dalla cucina, mi stropicciai un occhi e mi misi seduto, scompigliai i capelli con l'intento di sistemarli e mi alzai stiracchiandomi, mi guardai allo specchio, feci una smorfia e andai in cucina.
Rimasi a guardare quella figura femminile intenta a preparare qualcosa dal profumo decisamente invitante, la squadrai dalla testa ai piedi alzando un sopracciglio.
"Allora non si stava smanettando in bagno" risi poggiandomi allo stipite della porta, lei saltò in aria e si girò a guardarmi di scatto.
"I-io..emh.."
"Tranquilla, non mordo mica.." risi nuovamente e mi avvicinai a lei porgendole la mano che lei strinse diventando tutta rossa sulle guance "tu devi essere Adrienne.." sorrisi.
"E tu Mike..io non sapevo che Billie abbitasse insieme a te..mi spiace averti disturbato.."
"Tranquilla, mi stupisce solo vedere una donna nella mia cucina" risi.
"Beh stavo preparando la colazione a Billie..ora faccio qualche pancake in più.." tornò ai fornelli e io mi sedetti a tavola.
"Grazie, troppo gentile.." sorrisi "allora..come mai sei qui?"
"Ero andata a cercare Billie a Berkeley, ma mi ha trovata lui.."
"E avete fatto nottata!" risi nuovamente.
"Hai finito di rompere alla mia fidanzata?" Billie entrò in cucina avvicinandosi alla ragazza e abbracciandola da dietro.
"Non ti allargare carino!" rise lei mentre lui le diede un bacio sul collo.
"Buongiorno splendore.." Billie sorrise, non lo vedevo così felice dal giorno del concerto in Minnesota.
"Buongiorno a te.." lei sorrise a sua volta e si liberò dal suo abbraccio, impiattò e i pancake per poi portarli a tavola.
"Ah ti prego sposami!" Billie rise sedendosi a tavola "questo qui non mi fa mai trovare la colazione pronta!"
"Tesoro un giorno di questi mi troverai nudo in cucina con solo un grembiule addosso, vedrai bella colazione che ti preparerò!" risi insieme ad Adrienne e cominciammo a mangiare.
"Bill..io dovrei tornare a casa.."
"Mh?" la guardò.
"Dovrei tornare a casa, non era nemmeno messo in conto che dovessi passare la notte fuori.."
"Credi che ti avrei fatta tornare?" si guardarono a vicenda.
"Ragazzi vi lascio parlare.." mi alzai e andai in camera mia.

"Bill veramente..non ho nemmeno i vestiti.." mi guardò.
"Mh..ti accompagno, prendi le tue cose e torniamo qui.." la guardai quasi con sguardo implorante.
"Cosa dico a mio padre?"
"Che vieni a vivere con me..per favore, non ce la faccio a starti ancora lontano, ti ho appena ritrovata..Adie cosa devo fare?" mi inginocchiai davanti a lei e la guardai negli occhi.
"Oh Bill.." mi prese il viso tra le mani e mi baciò la fronte.
"Per favore.." socchiusi gli occhi e lei mi abbracciò avvicinando le sue labbra al mio orecchio.
"Okay..andiamo a prendere le mie cose e torniamo a casa.."
La strinsi e le carezzai la schiena sorridendo, felicemente innamorato.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


L'aveva fatto veramente, era in ginocchio ai miei piedi che mi guardava negli occhi, con i capelli ancora arruffati dal sonno interrotto da lui stesso per farmi quella domanda.
I suoi occhi brillavano nel buio della stanza e sorrideva come un bambino, quel viso ancora da quindicenne era veramente tenerissimo.
Lo amavo, con tutta me stessa, lo amavo fin dalla prima volta che l'avevo visto, seduto su quel prato bruciato dal sole, con la sigaretta ancora spenta tra le dita e gli occhi chiusi, ma comunque rivolti al cielo.
Si, lo amavo veramente e volevo passare tutta la vita al suo fianco, ma quella richiesta mi spaventò, nella mia mente cominciarono a sorvolare miriadi di pensieri legati ad un filo, mi bastava seguire quel filo per arrivare alla risposta.
Si o no.
Continuavo a fissarlo negli occhi, i miei bruciavano, il suo sorriso lentamente sparì, potevo leggere il terrore crescere in lui. Gli presi il viso tra le mani e scesi dal letto, mi inginocchiai davanti a lui e accennai un sorriso.
"Ho paura.."
Non aveva il coraggio di rispondermi, mi guardava conle iridi verdi rese lucide dalle lacrime che non tardarono ad arrivare, sembravano dei fili d'erba bagnati dalla rugiada mattutina, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
"E' un no?" singhiozzò quasi.
Mi morsi il labbro e cominciai ad avvicinare il viso al suo fino a toccare le sue labbra, le premetti con forza mentre gli carezzavo le guance, dopo qualche secondo mi staccai, ma rimasi poggiata con la fronte contro la sua, con gli occhi chiusi.
"Io ti amo..ho paura, perché magari è presto..però ti amo, troppo..non è un no Billie.."
Aprì gli occhi e io insieme a lui, il sorriso tornò sulle sue labbra e si trasferì anche sulle mie, mi baciò, a lungo, dolcemente, continuando a sorridere, dopo qualche secondo scoppiò a ridere e si buttò per terra.
"Era uno scherzo!?" lo guardai male incorciando le braccia al petto.
"S-secondo te mi s-sveglio in piena notte per farti uno scherzo!?" continuò a ridere, travolgendo pure me.


Eravamo in studio, suonavamo da circa mezz'ora e non riuscivo a concentrarmi, non riuscivo a levarmi quel sorriso dalle labbra.
Quello che era successo quella notte mi sembrava ancora un sogno, le avevo chiesto di sposarmi nel cuore della notte, senza nemmeno un anello, e lei aveva paura, ma mi aveva detto di si e anche io avevo paura, ma l'avremmo superata insieme.
Cominciai a sentire le palpebre pesanti a causa dei troppi pensieri che mi stavano travolgendo, non facevo altro che vedere davanti a me i suoi occhioni castani fissi nei miei mentre sulle sue labbra spuntava un flebile sorriso e il mio cuore cominciava a battere all'impazzata.
Mike mi diede una pacca sulla spalla e io scossi la testa, non mi ero accorto che avevo smesso di suonare.
"Che hai?"
"Eh? Niente, scusate.." sorrisi e poggiai nuovamente le dita sulle corde della Blue, ma Mike si sfilò la tracolla del basso e lo posò.
"Che succede bello? Hai litigato con Adie?" Frank rimase seduto alla batteria.
"Che? Nah!" sorrisi nuovamente e posai anche io la chitarra, poi mi miri seduto su uno sgabello.
"E allora che hai?" Mike si sedette per terra di fronte a me con le gambe incrociate.
Io guardai prima lui poi Frank continuando a sorridere come un idiota, con uno strano luccichio negli occhi, non ci avrebbero creduto, ne ero sicuro.
"Allora!?"
"Le ho chiesto di sposarmi!"
Entrambi mi guardarono stupiti senza esprimersi, per minuti interminabili, poi Frank si decise a parlare e a spezzare il silenzio.
"Oh..congratulazioni!" si alzò e mi venne incontro per poi abbracciarmi ridendo e dandomi pacche amichevoli sulla schiena; mentre io ricambiavo l'abbraccio Mike si alzò e andò verso la porta.
"Si, auguri Billie Joe.." sorrise ed uscì lasciando chiudere la porta da sola, mentre io mi liberavo dall'abbraccio di Frank e lo guardavo perplesso, confuso, ma non troppo, da quella sua reazione, la prima cosa che mi passò per la testa fu "gelosia".
"Mike.." mi morsi il labbro e Frank mi poggiò una mano sulle spalle, io mi alzai e sbuffai.
"Scusa Frank..meglio che vada..".
Andai anche io verso la porta cacciando fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette, con lo sguardo di Frank rivolto sulle mie spalle, uscii dalla piccola sala registrazioni accendendomi l'ultima sigaretta trovata nel pacchetto.
Mi diressi verso il parco vicino al lago di Oakland, con le mani nascoste nelle tasche dalla felpa, mi alzai il cappuccio e portai gli occhi sul cemento umido del marciapiede, feci qualche tiro socchiudendo gli occhi, poi buttai la cicca ormai consumata e sbattei contro un passante che andava nel verso opposto al mio.
"Scusi.." biascicai girandomi appena verso di lui e tornai per la mia strada.
Arrivai al parco dopo qualche minuto e cominciai a camminare sul sentiero, dando di tanto in tanto un calcio a qualche sassolino o a qualche lattina abbandonata.
Camminai fino a raggiungere un vecchio parco giochi, in quello stesso parco portai Mike la prima volta che uscimmo insieme, sospirai, sapevo bene perché aveva reagito in quel modo, e non era gelosia, parlavo sempre con lui e quella volta non l'avevo fatto, ma il semplice motivo era che era una cosa che non avevo programmato, certo però mi sentii comunque in colpa, forse da quando c'era Adie nella mia vita lo stavo trascurando, in quel momento però avrei solo voluto abbracciare il mio migliore amico, mio fratello, avrei voluto spiegargli tutto, scusarmi.
Poi ad un certo punto notai una chioma familiare spuntare dalla spalliera di una panchina vicina, sorrisi, infondo sapevo che l'avrei trovato lì, il mio cuore mi aveva portato da lui inconsapevolmente, così mi avvicinai dopo aver fatto un profondo respiro.
"E' una bella serata vero?" mi sedetti accanto a lui e guardai verso le stelle che stavano spuntando lentamente nel cielo, accompagnate da nuvole grigie che non promettevano nulla di buono in quella sera estiva.
"Umh..già.." sospirò e incrociò le braccia al petto.
"Mikey..non te ne ho parlato per il semlice motivo che non ne avevo idea nemmeno io che l'avrei fatto..questa notte mi sono svegliato e le ho chiesto di sposarmi, nemmeno ho comprato un anello.." cercai di guardarlo negli occhi.
"Okay, tranquillo.." si alzò e mise le mani nelle tasche dei pantaloni.
"Mike per favore..ho paura e ho bisogno di un consiglio, di parlare con te.."
"Beh ora voglio tornare a casa..potevi dirmelo questa mattina..comunque io penso che sia troppo presto..ciao Billie.." si incamminò a passo svelto verso l'uscita del parco mentre lo seguivo con lo sguardo, mordendomi il labbro.
Dopo qualche minuto che avevo passato a rimurginare su tutto quello che era successo in meno di 24 ore, mi alzai, aveva appena smesso di piovere e le goccioline cadevano dai miei capelli immischiandosi con qualche lacrima invisibile agli occhi altrui, cominciavo a pensare di aver fatto una cazzata, mi incamminai verso il pub più vicino, entrai senza pensarci due volte e mi sedetti al bancone, passai una mano tra i capelli ancora zuppi e ordinai una birra, ancora non sapevo che quel posto sarebbe diventato casa mia e che quella bottiglia sarebbe diventata la compagna di una vita.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


2 Luglio 1994.
Era una bella giornata d'estate, col sole alto in cielo pronto ad irradiare la sua luce fin negli angoli più remoti della terra, non c'era l'ombra di nuvole e l'aria era forse fin troppo calda per essere appena Luglio, e quella era una cosa troppo bella da scoprire nel bagno di una piccola stazione di servizio da qualche parte in California.
Continuava a fissare il bastoncino bianco che stringeva tra due dita, come in uno stato di trans, se qualcuno glielo avesse chiesto non avrebbe saputo spiegare quali emozioni stava provando in quel momento. Scosse la testa per liberarsi di tutti quei pensieri indefiniti e ricontrollò il foglietto illustrativo, le parole erano chiare, e quelle due asticine altrettanto.
Adie sei viva!?” la voce di Natalie rimbombò contro le pareti imbrattate di numeri di telefono e dediche di fidanzatine adolescenti.
La ragazza fece un lungo respiro e infilò il test in borsa, uscendo poi dall'angusto bagno.
Si..calma, sono qui..”
Pensavo ci avessi ripensato e non volessi più sposarlo!” scoppiò a ridere.
Nat, andiamo che è tardi!” rise al seguito della sorella ed uscirono dal bagno, tornarono in macchina.
C'era ancora un po' di strada che le separava dalla meta e l'aria sembrava caricarsi d'ansia ad ogni metro che Adrienne affrontava con gli occhi fissi sul panorama che variava ben poco.
La sorella canticchiava sulle note di Wild world e negli occhi di Adrienne intanto si inscenava un teatrino, fremeva dalla voglia di condividere con Billie la scoperta appena fatta, ma aveva paura, come ogni volta, come quando lo incontrò per la prima volta e sapeva in cuor suo che non l'avrebbe visto per molto, come quando camminò per le strade malfamate di Berkeley per cercarlo, come quando per la prima volta le loro labbra si erano sfiorate sciogliendosi in un bacio, come quando i loro corpi entrarono in un contatto talmente ravvicinato che rimasero svegli tutta la notte, come quando le aveva chiesto di trasferirsi da lui e poi di sposarla, poche settimane prima di quel giorno, quel giorno in cui aveva scoperto anche di essere incinta.

Oh baby, baby it's a wild world,
It's hard to get by just on a smile, girl
Oh baby, baby it's a wild world,
I'll always remember you like a child, girl.

 

Un passo, un altro passo, un passo dopo l'altro sotto il porticato in legno bianco che incorniciava la vecchia casa di Rodeo.
Il nervosismo di li a poco mi avrebbe fatto perdere tutti i capelli.
Ero già vestito, avevo i capelli tirati indietro grazie ad una quantità industriale di gel per capelli, la camicia azzurra mi faceva sembrare un cameriere di un fast food, ma poco mi importava, non puntavo al matrimonio in grande, non puntavo a niente di troppo eccezionale, o meglio non c'era bisogno di nulla di sfavillante per rendere quel giorno eccezionale, lo era già di suo, per il semplice motivo che era il nostro giorno, il mio e quello di Adrienne.
Di li a poco sarebbe dovuta arrivare, non vedevo l'ora, non la vedevo da tre giorni e avevo bisogno di abbracciarla perché mi stavo cagando sotto, avevo bisogno di vederla arrivare e vederla correre a cambiarsi il vestito dopo avermi dato un bacio, ah non vedevo l'ora.
I fremiti non si attenuarono appena vidi la macchina arrivare nel viale d'ingresso, non riuscivo a tenere nemmeno un muscolo fermo, tranne il cuore che sembrava essermi morto nel petto, era lì, finalmente scese dalla macchina, era sempre più bella, con i suoi lunghi dread raccolti in un'alta coda, insomma la perfezione si materializzò dinanzi i miei occhi.
Lei mi corse incontro e l'abbracciai, cingendola con le braccia attorno la vita, stringendola forte a me, sorridendo come un bambino che riceve il tanto desiderato regalo di natale, ma lei era molto meglio, lei era il regalo che mi aveva dato la vita.
“Buongiorno..” sorrise guardandomi negli occhi.
“Buongiorno..” sorrisi a mia volta dandole poi un bacio a stampo, socchiudendo gli occhi e continuando a tenere le mie labbra contro le sue “ti amo..” la travolsi un un dolce bacio che lei ricambiò mettendomi le braccia attorno il collo, per poi staccarsi qualche secondo dopo.
“Billie..” aprimmo insieme gli occhi e ci guardammo, io annegai in quei pozzi scuri che alla luce del sole sembravano impreziositi di fantastiche sfumature, così lei continuò a parlare “devo parlarti..”
Sgranai gli occhi, forse per lo spavento, non avevo idea di cosa volesse dirmi, ma quelle parole mi mettevano sempre una gran paura, ci si può aspettare qualsiasi conseguenza da quelle parole, dalla più piacevole alla più sgradevole, io e nessuno ne è a conoscenza, e le cose che non conosco mi fanno paura, sentii un qualcosa serrarmi le labbra così da non permettermi di proferire parola, e poi la sua mano si strinse attorno al mio polso e mi tirò verso un albero non troppo lontano dall'ingresso della piccola casa di campagna.
“Hai perso la lingua?”
“N-no..che devi dirmi?” deglutii a fatica appoggiandomi all'albero con le spalle.
“Intanto che ti amo..” sorrise e quelle parole mi rincuorarono un po'.
“E poi?” sorrisi a mia volta prendendole una mano.
“E poi..che..” fece un respiro profondo abbassando lo sguardo “insoma..” prese la mia mano e me la fece poggiare sulla sua pancia.

Quel gesto inatteso in quel momento mi parve privo di senso, senza una connessione logica con la realtà, quindi mi limitai ad alzare un sopracciglio e ad esortarla a continuare.
“Billie..” si morse il labbro, forse sperava che capissi quell'insolito gesto, ma non demorse “io..s-sono..incinta”.
Quelle parole non affluirono subito alla fitta rete di pensieri che si annidava nel mio cervello, così mi ci volle qualche secondo per capire, sgranai di più gli occhi e allontanai la mano, mentre lei mi guardava spaventata, ma io ero più spaventato di lei, in quel momento il terrore mi assalì.
Chi sapeva fare il padre? Okay potevo anche imparare, ma avevo solo 22 anni, e inoltre non avevo mai avuto un esempio al mio fianco, non ero pronto, e avevo paura, mi stavo letteralmente cagando sotto; un figlio non è mica un disco, non puoi provare a metter su qualcosa e vedere cosa ne esce fuori, il disco in caso lo butti via e ci rinunci, un figlio è sotto la tua responsabilità, un figlio deve crescere con sani principi, non avevi prove, quello che facevi sarebbe durato nel tempo, non era mica come prendere un foglio e scriverci sopra quattro parole, non era una cosa facile.
Il mio terrore si trasferì automaticamente negli occhi di Adie che indietreggiò appena.
“Non lo vuoi?”
“Si che lo voglio!” mi affrettai a dire senza rifletterci, come se stesse parlando un'altra parte di me.
“E allora..che c'è?”
“Io..niente..solo che..è una cosa inaspettata..”
“L-lo so..”
“Quando l'hai scoperto?”
“Poco fa..”
“Cavolo Adrienne muoviti!”
La voce di Natalie ci interruppe, distruggendo quel momento tanto pauroso quanto terribilmente fantastico.
“Dai vai..non possiamo fare tardi al matrimonio..” le sorrisi e le poggiai una mano sulla guancia, per poi darle un bacio in fronte, socchiudendo gli occhi.
“Ti amo Billie Joe, ti amo.” sorrise a sua volta e dopo avermi guardato negli occhi si dileguò in casa con la sorella.
Io mi incamminai verso il retro della casa, fino alla porta che spuntava in cucina, entrai, mi sentivo confuso, ero un mixer contenente troppe emozioni e il mix che stavo producendo per alcuni poteva essere letale, arrivai davanti al frigo e mi presi una delle tante birre della giornata, tornai fuori e mi sedetti sui gradini del portico.
Ero padre, a 22 anni, stavo diventando padre e la vita mi stava mettendo davanti l'ennesima scalata, ma avevo lei al mio fianco e dovevo essere coraggioso per lei, ma la verità era che io non ero mai stato bambino e non sapevo come ci si comportasse con i bambini, non sapevo bene cosa facesse un padre, non conoscevo le tipiche frasi da padre, lo sguardo severo e ciò che poteva divertire i figli, mio padre era un buon padre, ma non ha avuto il tempo di dimostrarlo e di insegnarmi ad essere come lui.
Quel groviglio di pensieri mi aveva provocato un groppo in gola che la birra, una dopo l'altra, una dopo l'altra, cominciava a snodare, facendomi sentire libero e spensierato, in preda ad un euforia tutta nuova, una sbronza diversa dalle altre, e come quella ce ne sarebbero state molte altre di seguito.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


La presi in braccio e scappammo da quella che sembrava essere una festa senza fine, tra le risate della gente ubriaca e le lamentele dei parenti più moralisti, il nostro matrimonio stava avendo termine, e ora io e lei potevamo avere un attimo di pace.
L'alcol mi fece barcollare sul vialetto di ghiaia che scricchiolava sotto le mie scarpe, ma le sue risate coprivano ogni rumore, non avevamo bisogno di dire a nessuno che stavamo andando via, semplicemente stavamo scappando, come ogni volta che ne avevamo voglia, alla ricerca di un posto dove stare tranquilli, anche solo a parlare per delle ore infinite, ma quella sera era la prima notte di nozze, a cosa sarebbero servite le chiacchere?
La feci sedere sul sedile in cuoio della mia Ford, e feci il giro attorno la macchina blaterando un sacco di stronzate che forse non avrei mai ricordato. Salii pure io e misi in moto la macchina.
“Hai bevuto troppo? Se hai bevuto troppo ci fermiamo a dormire qui..tua madre mi ha detto che non dobbiamo preoccuparci..”
“Di che ti preoccupi piccola!?” la zittii posandole un dito sulle labbra “ho guidato tante volte in condizioni peggiori!” risi.
“Vantiamocene..” borbottò mentre io partii ridendo come un deficiente.
L' ottantesima era stata inghiottita come il resto della California dalla notte, ma ciò non rallentò la mia andatura che era sostenuta, forse fin troppo sostenuta, la strada era tranquilla, era difficile incontrare qualcuno diretto al Pinole park a quell'ora di notte, ma la cosa non mi dispiaceva affatto, mi sentivo libero, il padrone della strada, con la musica alta che riempiva il silenzio che ci sarebbe stato tra me e Adrienne se la mia radio sarebbe stata spenta.
Arrivammo in un albergo vicino alla Pinole Valley High school, era tutto quello che potevo permettermi, e mi sentivo leggermente in colpa, la vendita del disco stava andando decisamente bene in soli cinque mesi, eppure molti li avevamo spesi per cazzate, forse non eravamo ancora abituati a tutto quell'avere, però infondo sapevo che a lei non importava l'albergo 5 stelle lusso per essere felice.
Entrammo nella piccola camera matrimoniale, poco arredata, con una luce soffusa che le donava un'atmosfera decisamente più romantica, le pareti ornate di una pessima carta da parati che si stava staccando agli angoli a causa dell'umidità, il letto a baldacchino ricordava tempi fin troppo antichi e le coperte rosa pallide stimolavano il vomito, che di li a poco non avrei riuscito a trattenere, sia per l'alcol che si smaltiva in corpo sia per la vista delle pesanti tende bianche ricamate con fiori e altri disegni, okay quel posto era pessimo, ma non lo dissi fin quando non vidi il bagno; le ceramiche bianche a pois rosa pesco e il pavimento sempre rosa pesco gli donavano un aria da casa delle bambole, il lavandino aveva residui di calcare lungo i bordi della rubinetteria e la tenda della doccia puzzava di cane bagnato, non c'era nemmeno una finestra, una ventola, un qualcosa per far cambiare l'aria in quella stanza.
Dove l'avevo portata? Non volevo realmente questo per lei, per la prima notte di nozze, eppure la sbronza non faceva altro che farmi ridere, sotto il suo sguardo sempre più preoccupato e incazzato, che di li a poco mi inchiodò contro l'armadio in mogano in pandant col letto.
Si avvicinò a me e accennò un sorriso, mi poggiò le mani sul petto e io smisi di ridere, mentre il cuore cominciava a battere forte, volevo scopare, volevo prenderla e sbatterla sul letto, come se quella era veramente la prima volta, volevo strapparle i vestiti di dosso, ma non ne avevo le forze, sentivo i muscoli indolenziti, così mi limitai a sorridere.
“Hey piccola..la stanza è uno schifo, ma di sicuro il letto non è poi così scomodo..”.
Lei si limitò a prendermi le mani e farmele poggiare sulla sua pancia, io risi, e salii con le mani, verso il suo seno, interpretando male il gesto, lei alzò gli occhi al cielo e mi fermò le mani, tenendole premute con delicatezza contro la stoffa del vestito bianco.
“Ma ci pensi? Due cose belle in un giorno..ci siamo sposati e diventeremo genitori..” mi sorrise e mi guardò negli occhi, mi stava sfidando, sapeva che in quel momento ero vulnerabile e avrei potuto dire qualcosa di sbagliato, darmi la mazza sui piedi.
“Già..che bello!” mi limitai a dire sorridendo a mia volta.
“Billie lo vuoi questo bambino?”
“Eh? C-certo che lo voglio..” sussurrai quasi.
“Non riesco a trovare convinzione nelle tue parole.”
“Mi dispiace cara.” risi, che coglione che sono.
“Dimmi ciò che pensi. E' presto? Non vuoi questo da me? Non vuoi mettere su famiglia?” si allontanò e si andò a sedere sul bordo del letto che scricchiolò sotto il suo peso.
“Adrienne..” mi decisi a dire solo dopo pochi minuti “cazzo ho 22 anni, una carriera da musicista davanti, tanta voglia di fare e scoprire il mondo e mi ritrovo nello stesso giorno con una moglie e un figlio, non è quello che mi aspettavo..mi sembra presto, non sono pronto per questo, non son..”
“Billie Joe potevi anche fare a meno di sposartici con me se ti da così fastidio.”
“Cazzo non voglio dire questo, sono deciso delle scelte che ho fatto, ma quello non l'ho scelto..non lo abbiamo deciso..”
“E allora come ce ne liberiamo di questo grande problema? Cosa dovrei fare io? So che è una grande responsabilità fare il padre, ma lo è a 22 anni come lo è a 40!”
“Ma capisci che ora come ora io non sono capace di farlo!? Capisci che sarei un pessimo esempio per mio figlio? Guarda dove ti ho portata! Non sono nemmeno capace ad organizzare una notte di nozze decente e dovrei fare il padre?”
“E che cambia tra 6 anni? Nessuno te lo insegnerà, sarà lo stesso discorso. Smettila di arrampicarti sugli specchi Billie, tu non lo vuoi, non dire che non sei pronto!”
“Cazzo io non so cosa sia un padre! Non lo so! Non ne ho avuto uno! E questa cosa mi terrorizza okay? Ma tu non hai paura? Non ti fa paura che qualcosa sta crescendo dentro di te? Ti senti pronta ad avere un figlio? Vaffanculo io ho una fottuta paura di rovinare la vita a quel bambino!”
“Ne riparliamo appena sei in te, l'alcol ti ha dato di testa.”
“Non lo sai che quando uno è ubriaco dice le cose che pensa veramente?”
Lei sbuffò e si infilò sotto le coperte dopo avermi alzato il dito, questo era il ringraziamento per essere stato sincero, forse non lo ero stato nel modo giusto, ma io ero così, non parlavo mai di me, almeno che non fosse l'alcol a farmi parlare, almeno che non avessi proprio il bisogno di dire qualcosa di stupido, e quella sera avevo detto quello che realmente provavo, lo avevo fatto davanti a lei, guardandola negli occhi, tirando fuori da me una forza che non sapevo nemmeno mi appartenesse, forse stavo crescendo, forse i miei 22 anni cominciavano a maturare, forse il tempo del divertimento stava cambiando nel tempo delle responsabilità, che prima o poi sarebbe arrivato comunque, solo che per me stava facendo un eccezione, forse era tutto troppo presto, o forse mi stavo solo sottovalutando, magari sarei stato un buon marito e un buon padre, non lo potevo sapere.
Mi misi a letto, vestito, come lei, che già sembrava essere stata rapita dalle braccia di Morfeo.
Le diedi un bacio tra i capelli e sussurrai un “ti amo” vicino al suo orecchio, poi poggiai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi, ma loro si riaprirono automaticamente dopo pochi secondi, puntandosi sul bianco intonaco, mentre le ore passavano e i rumori variavano.
Fu la mia prima notte di insonnia, a fissare il soffitto di quella squallida stanza d'albergo, mentre l'alcol si scioglieva nelle mie vene e un conato di vomito cresceva nel mio esofago, la mia prima notte di nozze passata a litigare con mia moglie per un figlio che sarebbe arrivato solo dopo 9 mesi, la prima notte di nozze, si, ma anche l'inizio di un calvario che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.


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Questa storia ha preso tante forme nella mia testa, sono partita scrivendo i primi due capitoli e non sapendo bene dove dovevo andare a finire, ma ora ho un' idea ben chiara e spero di riuscire a portarla avanti in modo doveroso. 
Come si può ben capire non si tratta più di una Bike, ma si incentra più sul personaggio e sulla vita di Billie. Credo di aver fatto questa scelta perché mi viene sempre molto facile scrivere di Billie e delle sue sensazioni, spero di trasmetterle anche a voi, spero di riuscire ad emozionarvi, spero che quelle poche persone che la stanno leggendo o leggeranno questa storia apprezzeranno ciò che scrivo, perché veramente ci metto il cuore.
Beh dopo queste piccole confessioni, vado.
Al prossimo capitolo ♥

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ero seduto sul bordo del letto con la testa tra le mani, da poco avevo messo nella culletta quel piccolo batuffolo di appena qualche giorno che era piombato nella mia vita, mentre la mia dolce metà dormiva col viso rilassato stesa dalla parte destra del letto.
Sembrerebbe la vita normale di una famiglia normale, ma nascondevo dentro me un baratro che non sapevo più come colmare, le avevo provate tutte, sigarette, alcool, e farmaci vari, ma niente sembrava bastare, l'insonnia e l'ansia erano le mie compagne di vita e come se non bastasse il lavoro al nuovo album sembrava stare fermo da anni, non riuscivo più a scrivere una sola parola, dopo le prime due canzoni qualcosa mi bloccò, forse fu l'arrivo di Joey a sconvolgermi, c'era qualcosa che non andava in me, ma sembrava che non se ne accorgesse nessuno.
Mi alzai dopo essermi passato una mano sulla guancia resa ruvida dalla barba trascurata da qualche giorno e andai verso il bago, accesi la luce e cominciai a curiosare, senza fare troppo rumore, nel mobiletto dei medicinali. Non fui soddisfatto finché non trovai un flacone di sonniferi, ma con mio grande sconforto era ormai vuoto, sospirai e mi sedetti per terra con le spalle contro la porta, guardando la luce proveniente dalla lampadina che di li a poco mi costrinse a chiudere gli occhi.

Sentivo le palpebre cominciare a farsi pesanti, sorrisi, e scivolai lentamente sul pavimento del bagno, forse sarei riuscito a farmi una dormita, si sul pavimento del bagno, ma ciò che mi importava era far riposare il mio corpo e la mia mente, ma proprio appena la mia nuca entrò a contatto con le fredde mattonelle blu il pianto di Joey giunse al mio orecchio facendo saltare anche il mio ultimo nervo, aprii gli occhi e digrignai i denti, Adrienne non si sarebbe mai alzata e come da routine ormai dovevo prendere il bambino, uscire in corridoio per evitare di svegliare Adie, addormentarlo camminando avanti e indietro in corridoio, poi rimetterlo a letto ed aspettare il seguente pianto, forse era proprio la routine che mi stava uccidendo, forse avevo solo bisogno di una svolta, infondo la mia vita era stata ricca di svolte, fin da quand'ero bambino.
Dopo qualche minuto i lineamenti del piccolo si rilassarono, le piccole labbra si piegarono quasi in un sorriso e i due piccoli pugnetti si sciolsero. Rientrai in camera e gli baciai una guancia asciugandogli una lacrima rimasta sulla sua gota tonda come gli zigomi della madre, lo misi nella culletta e gli rimboccai le coperte.
Mi girai a guardare Adrienne e sorrisi, i miei pensieri si bloccarono per un istante, si impuntarono sul desiderio di qualcosa di diverso dal tentativo di dormire, scossi la testa e presi le mie converse nere, ormai troppo consumate dal tempo e me le infilai, diedi un bacio sulla tempia ad Adie e uscii dalla camera, dirigendomi verso le scale, scesi e presi il giubotto, uscii di casa chiudendomi la porta alle spalle, tenevo ancora la mano poggiata sulla maniglia, come se ero combattuto dal rimanere all'andare via, come se qualcosa mi facesse capire che stavo per fare l'ennesima cosa sbagliata, ma nonostante i brutti presentimenti staccai la mano dalla maniglia e mi avviai a testa bassa verso la strada, non volevo prendere la macchina, credo che andare a piedi era un po' una garanzia, una garanzia per non allontanarmi troppo, non avevo una meta, ma continuavo a camminare indisturbato mentre il mio viso marcato dalle occhiaie veniva investito da un vento freddo.
Dopo pochi minuti arrivai davanti un pub, l'insegna lampeggiante rossa e blu illuminava le pozzanghere che si erano formate sulla superficie irregolare del marciapiede, senza pensarci due volte entrai, infondo il mio obiettivo era sempre stato quello.
Mi sedetti al bancone, senza spiccicare molte parole col barista cominciai ad ordinare da bere, una birra dietro l'altra, le mandavo giù velocemente, sentendo l'alcool scendere dalla gola e disperdersi nelle vene, fino al cuore, sentivo quel baratro riempirsi lentamente, cominciavo a sentirmi meglio per il semplice motivo che cominciavo a dimenticare la routine, cominciavo a dimenticare cosa stessi facendo in quel momento o quello che avrei dovuto fare dopo.
Alzai la mano per far capire al barista che volevo fare un altro giro, ma lui si avvicinò a me senza birra.
"Non credi sia meglio tornartene a casa?"
"Eh? Che vuoi bello? Dammi la mia birra!"
"Hai la macchina? Dammi le chiavi.."
"Ma che cazzo c'hai!?" mi alzai e cominciai ad alzare anche il tono della voce, ero rosso in viso, forse anche per il calore che porta l'aclool.
"Dai amico dammi le chiavi.."
"Non ne ho macchina!"
"Sei pure sposato dai torna a casa.."
"Ma che cazzo sei un barista o uno psicologo!? Vaffanculo! Dammi una cazzo di birra!"
"Dai per favore..vai via.."
"Vaffanculo pezzo di merda!"
Mi avviai verso l'uscita, mi girai a guardarlo e gli alzai il medio, mentre lui mi guardava con un espressione mista tra dispiacere e compassione.
Uscii comunque, sapevo che quella era la cosa giusta da fare e quello che diceva era giusto, ma non volevo ammetterlo, nemmeno a me stesso.
Continuai a camminare barcollando verso un'altra meta non conosciuta, le luci di Oakland mi infastidivano e i fari della macchina investivano il mio volto mentre le ultime gocce cadevano dalle foglie degli alberi fino alle mie guance, sembravano quasi lacrime.
Mi ritrovai dinanzi la casa di Mike e senza pensarci due volte bussai alla porta, dopo un po' di minuti mi aprì, con indosso un pantalone della tuta grigio, la sua solita canottiera bianca e i capelli scombinati dal sonno, alzò un sopracciglio.
"Che ci fai qui?"
"Mikey!" gli buttai le braccia al collo ridendo e lui mi strinse incerto dopo qualche secondo.
"Bill?"

Puzzava di alcool, non ci voleva molto per capire che non era in lui, lo strinsi qualche secondo e poi lo feci entrare in casa, aveva gli occhi velati di una strana malinconia, era ubriaco, ma non come tutte le volte che lo avevo visto ubriaco, questa volta c'era qualcosa di più.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


"Che ci fai qui? Che succede?"
"Mi andava di fare una passeggiata.." cominciò a gironzolare nel mio salotto, camminando lentamente per evitare di urtare i mobili illuminati solo dalla poca luce che filtrava dalle finestre.
"Mh? Hai litigato con Adie?"
"Eh? Nah! Con lei va tutto meravigliosamente!" rise e si buttò sul divano, mentre io mi avvicinai a lui e accesi una abat-jour su un comodino vicino.
Lo guardai dritto negli occhi rossi accerchiati da un profondo solco scuro nella pelle, ma non mi preoccupai particolarmente, avevano avuto un figlio da poco, infondo era anche normale che avesse le occhiaie, ma ciò che mi preoccupò fu quel velo di tristezza che riuscivo a notare in lui, c'era qualcosa che non andava, da un mese circa aspettavamo che ci portasse le canzoni per il nuovo album, ma dopo le prime due sembrò dimenticarsi di come si compone, sapevo che era dura la vita che stava mandando avanti in quel momento, ma sapevo comunque che era felice, almeno credevo che fosse così, ma forse, evidentemente, mi sbagliavo.
"Bill.."
Mi sedetti accanto a lui e gli poggiai una mano sulla spalla, lui si girò a guardarmi e sorrise, mi prese la mano e intrecciò le dita, carezzandomi il dorso con i polpastrelli incalliti, mentre il mio sopracciglio si incurvava.
"Mikey..io e te non passiamo più tanto tempo insieme.."
"Mh?" Il suo sguardo si riempiva lentamente di malizia e il suo sorriso si allargava mentre la sua mano mollava la mia e scivolava sulla mia coscia.
"Billie tutto ok? Vuoi parlare?"
"Perché dovremmo parlare?" ghignò e mi carezzò la coscia, avvicinando la mano al mio sesso che cercava di resistere all'eccitazione che voleva crescere, arrivò lì e strinse delicatamente nella mano il cavallo dei miei pantaloni costringendomi a boccheggiare per la sorpresa. Dovevo reagire e fermarlo, ma lui continuava a muovere la mano con maestria e sentivo di non farcela più, sentivo che volevo farlo mio in quel preciso momento, ma no, non potevo. Adrienne. No. Non dovevo anche per lui, perché quello non era lui, era un demone, una parte di lui che stavo conoscendo solo in quel momento. Finalmente si accese il lume della ragione in me e gli fermai la mano prendendolo dal polso.
"Billie fermo." dissi con voce controllata, per cercare di non andargli troppo contro.
Lui si bloccò, fu come riportato alla realtà, scosse la testa e mi guardò, poi guardò la sua mano e l'allontanò di fretta e furia, come se prima di quel momento non si accorgesse di ciò che stava facendo.
"I-io.." si morse il labbro, gli occhi si velarono di un sottile strato di lacrime che appena avvrebbe sbattuto le palpebre sarebbero scese rigandogli le guance rosse per l'imbarazzo, si alzò e corse verso il bagno, mentre io rimasi a guardarlo dal divano, mi passai una mano tra i capelli e mi sistemai la maglietta, mi alzai e lo raggiunsi in bagno.
Lo trovai piegato sulle ginocchia con la testa infilata nella tazza, mi inginocchiai accanto a lui e poggiai una mano sulla sua fronte tirandogli indietro i morbidi capelli corvini.
Si pulì la bocca con la manica della felpa e notai che stava piangendo, lo abbracciai facendogli poggiare la fronte contro il mio petto, lo strinsi forte carezzandogli i capelli e cominciai a cullarlo dolcemente, cercando di farlo calmare.
"Calma..è tutto ok..tutto ok Billie..sono qui..".
"A-aiutami.." singhiozzò.
"Cosa? Che succede? Che c'è Billie? Cos'hai?" gli presi il viso tra le mani e lo guardai negli occhi annegati nelle lacrime.
"V-voglio sme-smettere..non s-sono io questo.." mi guardò negli occhi, con sguardo avvilito e tirò su col naso.
"Ci sono io..tranquillo, passerà, te lo prometto ok? Tranquillo.."
"G-grazie..sarai sempre il mio dolce sedicenne.." si strinse di nuovo a me stringendo un lembo della mia maglietta, zuppa delle sue lacrime, in un pugno.
Mi alzai cercando di tirare su pure lui e lo presi in braccio, lo trovavo dimagrito, fin troppo, e sapevo che non era solo il pianto e l'alcool a renderlo debole, andai verso la mia camera da letto e gli baciai la fronte, lui mi guardò e sussurrò qualcosa che non riuscii a capire e non gli chiesi cosa, gli si chiudevano le palpebre, doveva riposare; così lo misi a letto, sotto le coperte e mi stesi accanto a lui, mentre si rigirava in cerca delle braccia di Morfeo, pochi minuti dopo si addormentò e io dopo averlo guardato per qualche minuto scesi in salotto.

Squillò il telefono, mi rigirai nel letto e diedi un colpo verso Billie.
"Vai tu.." mugugnai, ma non ricevetti risposta e il telefono continuava a squillare, cercai con la mano mio marito, ma non trovai nulla, mi girai, non c'era, mi alzai e corsi a rispondere prima che Joey si svegliasse.
"Pronto!?" avevo ancora la voce assonnata e il fiatone poiché stavo facendo avanti e indietro per tutta la casa per cercare Billie, ma di lui nemmeno l'ombra.
"Adie.."
"Mike? Mike che succede!? Non trovo Billie!"
"Hey hey..tranquilla, è qui da me.."

"Da te!?" mi lasciai cadere sul divano, mentre mi attraversava un moto di sollievo.
"Si..senti..ho bisogno di parlarti..di lui.."
"Di lui?"
"Si.."
"Che succede?"
"Puoi venire?"
"Mike ho Joey.."
"Domani mattina.."
"Okay.."
"A domani..".
Sentii il sospiro di Mike anche attraverso il "tututu" della cornetta, cosa stava succedendo? Billie non stava bene e io non me n'ero accorta? Avevo bisogno di vederlo in quel preciso istante, ma non potevo, mi aspettava una notte lunga e insonne prima di poter andare da Mike.
La mattina seguente ero già vestita da almeno tre ore, e stavo preparando Joey per uscire e andare a casa sua, non sapevo cosa mi aspettava, che parole mi sarei sentita dire, qual'era la verità, avevo paura, ma sopratutto mi sentivo in colpa, qualcosa non andava, e io avrei dovuto capirlo, avrei dovuto impedirlo, avrei dovuto fare in modo che tutto andasse nel verso giusto e invece avevo fallito.
Giudai fino a casa di Mike con Joey che frignava, odiava stare seduto nel sediolino, ma non avevo altre soluzioni, così posteggiai davanti al vialetto di ghiaia e scesi col piccolo batuffolo in braccio, mi affrettai a suonare al campanello e mi aprì un Mike con gli occhi solcati dalle occhiaie, il viso più pallido del solito e un angolo delle labbra piegato in un mezzo sorriso, mi fece entrare e mi accompagnò in sala dove mi sedetti sul divano in attesa che lui mi portasse un caffè che mi aveva offerto sicuramente per la mia pessima cera.
Trovavo che quella casa era veramente bella e..grande, proprio grande per una sola persona, certo che Mike ogni tanto si portava qualche bella donna a casa, ma non divideva quelle mura con nessuno e si vedeva; il disordine regnava sovrano, era peggio di Billie, maglie e pantaloni buttati ovunque e bottiglie di birra vuote lasciate in giro da qualche sbronza post concerto, pacchi di patatine ormai vuoti sparpagliati sul tappeto rosso sul quale era poggiato un tavolino in legno con solo un posacenere sopra pieno zeppo di cicche, non osavo immaginare cosa c'era in bagno e cosa c'era in camera sua, comunque mentre studiavo la sua casa lui spuntò dalla porta della cucina con due tazze di caffè caldo in mano e i miei pensieri tornarono su Billie. Si era forse perso in mezzo ai vestiti di Mike? Perché lì non lo vedevo.
Presi la mia tazza e lui si sedette sul tavolino di fronte me, avevo sempre paura quando la gente mi si sedeva di fronte, significava che doveva dirmi qualcosa di importante, e che doveva dirla guardandomi negli occhi, e in quella situazione che era venuta a crearsi sapevo anche che non era una cosa gradevole quella che stavo per sentire.
"Adie, Billie è di sopra.."
"Mike che succede?"
"Credo che non stia bene.."
"In che senso?"
"Ti va di lasciarmi Joey e salire da lui? Credo di averlo sentito sveglio, ma non è uscito da camera mia.."
"Prima mi dici com'è arrivato qui?"
"Adie è arrivato questa notte, era ubriaco marcio, ma non era il solito Billie, ci posso mettere la mano sul fuoco..sai che sono mesi che aspettiamo che ci porti qualche traccia per il nuovo album? A casa com'è? Mi ha chiesto di aiutarlo, Adie, Billie non chiede mai aiuto.."
Era vero, Billie non chiedeva mai aiuto, aveva sempre mandato avanti da solo la vita con tutte le sue disgrazie, fin da quand'aveva dieci anni, non voleva la mano di nessuno, ce la faceva da solo, e quando io cercavo di capire se c'era qualcosa lui mi sorrideva e mi diceva che andava tutto bene e che era solo un po' stanco, in cuor mio sapevo che non era così, e forse me ne raccontavo solamente tante per paura del vero motivo di quel sorriso, e ora mi sentivo in colpa, dovevo spezzare la barriera del suo orgoglio e aiutarlo, invece mi limitavo a conoscere la superficie di Billie, e non andava bene, non poteva andare bene se Mike mi aveva detto quelle cose, se Billie aveva chiesto aiuto.
Non riuscii a replicare, a rispondere alle domande di Mike, così gli porsi Joey e andai verso le scale, fino in camera da Mike, lo trovai steso a letto, in una pozza di sudore.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 

Entrai in bagno, lo specchio era appannato e le mattonelle blu umide e scivolose, dalla vasca emergeva una nebbiolina bianca a causa dell'acqua calda di cui era piena, qualche nuvoletta di schiuma affiorava dalla superficie liscia e marmorea dell'acqua, sembrava quasi una sauna, e sentivo caldo, i vestiti cominciavano a bagnarsi, non so bene se per il sudore o per il vapore, mi spogliai lentamente, con apatia, facendo scivolare i pantaloni fino alle caviglie e sfilandoli con un calcio, facendoli finire disordinatamente sul pavimento, poco dopo li raggiunse la felpa malandata verde bottiglia con la scritta a caratteri bianchi "Oakland" che mi aveva regalato Adrienne un paio di mesi fa.
Mi girai verso lo specchio appannato e con una mano ci disegnai sopra un cerchio che mi permise di riflettere la mia immagine trasandata, le occhiaie avevano ridotto i miei occhi ad una fessura e la mia pelle era più pallida del solito. Sospirai e infilai un piede dentro l'acqua, mi si drizzarono i peli dei polpacci a causa del contrasto tra il caldo dell'acqua e il freddo del mio corpo; non appena la temperatura del mio sangue si stabilizzò entrai anche con l'altro piede e scivolai lentamente steso sul fondo. I nervi si rilassarono e le palpebre si appesantirono, le mie mani affioravano dal pelo dell'acqua ancora leggermente agitata a causa del movimento che avevo causato entrando, ora si stava tranquillizzando e come l'acqua anche io, sentivo tutta la negatività sciogliersi, tutti i pensieri scivolare via come il sudore della notte precedente che veniva lavato con delicatezza da quelle poche gocce di sapone che avevo versato nell'acqua. Scivolai col corpo, facendo arrivare l'acqua proprio sotto il mio mento, ormai gli occhi erano chiusi e la mia mente viaggiava in tutte le direzioni possibili, mi venne in mente che avevo voglia di fare una lunga passeggiata al mare con Adie e il bambino, che avevo voglia di suonare con Mike e Frank, che volevo andare a trovare mia madre e i miei fratelli, che volevo trascorrere un po' di tempo col sorriso stampato sulle labbra, cosa che non succedeva da tempo visto tutto il malumore che mi aveva fatto incassare quella specie di riabilitazione fai da te al quale mi stavo sottoponendo.
Era un mese che non bevevo, era un mese che non avevo visto nemmeno una semplice pasticca per il mal di testa in casa mia, era un mese che avevo completamente cambiato vita, non mi ero visto con Mike e Frank con la stessa assiduità con cui ci vedevamo mentre lavoravamo all'album, avevo più tempo per lavorare alle canzoni tranquillamente, nelle notti che ancora passavo sveglio mi venne pure in mente il nome dell'album, Insomniac, sarebbe stato perfetto. Mi sentivo bene, sentivo che ero tornato in me, quel senso di tormento, paura e ansia mi stavano lentamente abbandonando.
Scivolai un altro po' finché la mia bocca non fu sott'acqua, feci qualche bollicina e sorrisi, ripensai a quando ero bambino, quando mio padre dopo che tornavo da una gita in bicicletta o da un allenamento di baseball mi infilava in vasca e si arrabbiava perché facevo sempre le bolle e soffiavo via la schiuma come fosse neve. Continuai a scivolare, l'acqua era a pelo col mio campo visivo, se mi concentravo avrei potuto notare ogni piccola particella di H2O su quella superficie lucida, ma ben presto anche i miei occhi furono coperti dall'acqua.
Non ero un gran nuotatore e non sapevo resistere a lungo sott'acqua, ma quella posizione, quel buio e quel calore mi davano conforto, ma ben presto dovetti cominciare a combattere con la voglia di salire a prendere una boccata d'aria, sentivo i polmoni restringersi e cominciare a bruciare, mi passai le mani tra i capelli rimasti ancora un po' fuori dall'acqua e li tirai indietro.
Sentii dei passi vicino la porta del bagno, i rumori sott'acqua erano amplificati, riuscivo a sentire l'acqua scorrere nei condotti e il mio gatto salire sul letto, riuscivo a sentire il mio cuore.
Riemersi dall'acqua e in quel momento entrò Adie in bagno.
Qualche minuto dopo uscii dalla vasca, mi avvolsi nell'accappatoio e mi strofinai i capelli in un asciugamani umida, cosa che servì a ben poco perché piccole goccioline continuavano a colare lungo i miei zigomi. Mi guardai allo specchio, sembravo quasi rinato, decisi di levarmi quel velo di barba che cresceva a vista d'occhio, con una velocita che non sopportavo. Quindi mi levai la barba, lavai i denti e mi asciugai i capelli, sorrisi, quel giorno sarei andato allo studio e mi sarei messo a suonare un po', era quello che mancava per rendere quella giornata perfetta.
Tornai in camera dove c'era Joey nella culletta che dormiva, presi una vecchia tuta blu e mi vestii velocemente, mentre mi stavo infilando le scarpe la vocetta di Joey mi giunse alle orecchie e mi sentii in colpa convinto che fossi stato io la causa del suo risveglio, lo presi in braccio sorridendo e lo poggiai sul mio petto, gli baciai la nuca e lo cullai dolcemente.
"Ci siamo svegliati mostriciattolo?" Joey probabilmente sentendo la mia voce strinse una manina in un pugnetto e mi diede qualche colpetto sulla spalla, facendo le smorfiette con la bocca "andiamo da mamma ometto.." scesi in salotto, lei era stesa sul divano che leggeva uno di quei suoi libri di 300 o più pagine che a me mettevano la nausea, mi piaceva leggere, ma non riuscivo a impegnarmi, abbandonavo i libri che mi passava lei dopo nemmeno 100 pagine, avevo altre priorità nella vita, come la musica, insomma lei passava ore su quei libri e io ore ad ascoltare cd.
Mi accolse sorridendo appena si accorse della mia presenza e mise da parte il libro infilando in mezzo alle pagine uno scontrino che utilizzava come segnalibro, pensai che le avrei comprato anche un segnalibro decente lungo la mia passeggiata.
Le diedi il pargoletto in braccio che piagnucolava e agitava i piedini in segno di protesta, sorrisi e gli baciai una guancia.
"Tesoro papà torna presto.." guardai Adie negli occhi e riuscii a notare un lume di incertezza nelle sue iridi castane, le carezzai una guancia "tranquilla piccola, vado in studio a suonare un po' e torno, okay?".
"Okay Bill..mi raccomando.." annuì appena guardandomi quasi implorante.
"Ti amo.." le diedi un leggero bacio sulle labbra e mi volatizzai fuori di casa.
Mi incamminai a piedi verso lo studio, volevo fermarmi a prendere un caffè e fare una passeggiata al parco e poi suonare qualche pezzo in solitudine, la giornata non era nemmeno troppo fredda e ogni tanto qualche raggio di sole affiorava da qualche nuvola bianca alta in cielo, amavo il clima californiano, mai troppo freddo, nemmeno nei mesi di pieno inverno.
Andai allo Starbucks più vicino e ordinai un caffè latte da portare via, così avrei avuto tempo anche per la passeggiata al parco senza destare sospetti ad Adrienne che ultimamente stava diventando un po' paranoica, ma infondo come darle torto? Si incolpava di quello che mi era successo, ma non era colpa di nessuno se non mia, anzi lei mi stava aiutando molto, e mi avrebbe aiutato più di quanto le permettevo, non beveva più nemmeno un goccio di vino a cena o una birra alle partite, aveva svuotato l'armadietto dei medicinali, e mi aveva fatto capire che c'erano cose più importanti nella vita e che non avevo motivo di farmi prendere dalla paranoia e dall'ansia.
Ma erano entrambe una cosa che mi avevano sempre caratterizzato, incolpavo gli altri di tutto mentre segretamente mi sentivo io in prima persona la colpa, credevo che dove passavo io tutto si rompeva. Giunsi al parco e cominciai a camminare sul sentiero di ghiaia sorseggiando il mio caffè latte caldo e fumante.
Davanti a me si materializzò una figura dall'aria familiare, non riuscivo bene a mettere a fuoco chi fosse, c'era ancora troppa distanza tra noi, ma lui affrettò il passo, e dalla camminata riconobbi di chi si trattava.
Trascinava i piedi facendo rimbalzare i ciottoli di ghiaia da tutte le parti, dondolando le braccia in quel modo infantile, sorrisi e ci abbracciammo, non ci vedevamo da una settimana e mi sembrava un'eternità.
"Frank!"
"Capo!" rise e io al suo seguito.
"Che combini? Come mai da queste parti?"
"Ero passato da casa tua..ma Adie mi ha detto che stavi facendo il bagno" ghignò.
"Mh..quella donna non deve mai stare zitta.." arrossii appena notando il velo di presa per il culo di Frank.
"Con tanto di paperelle e barba fatta con la schiuma?" scoppiò a ridere e io dietro di lui.
Ci andammo a sedere su una panchina, gli offrii un po' del mio caffè latte, ma lui se lo scolò tutto, tipico, mai offrire cibo o bere a Frank.
"Allora..quando si torna a lavoro? I calli mi si stanno afflosciando a forza di non mettere mani sulle bacchette!"
"Ma se stai con le mani sempre sulla tua bacchetta!"
"Hey hey, non mi chiamo mica Billie Joe!" ridemmo di gusto, prenderci per il culo a vicenda era ciò che ci aveva fatto avvicinare di più a differenza di me e Mike, trovavo che Frank era stata la stella fortunata nella mia vita, senza lui i Green Day non ci sarebbero, trovarlo è stato come trovare un fratello perduto nel tempo, un amico di vecchia data, ho ritrovato la speranza che potesse esserci ancora un futuro per quel nome che già scorreva nelle mie vene, senza quel nome, senza i Green Day non sarei qui, sarei a servire ai tavoli al fianco di mia madre, avrei dimenticato come si suonava la chitarra, invece è arrivato lui e ci ha dato, sia a me che a Mike, una grande carica, facendoci tornare sulla scena della Bay area ancora più carichi di prima dopo che Al aveva mollato tutto per gli studi.
Sapevo che quella chiaccherata aveva un fondo di serietà, che Frank aveva qualcosa da dirmi, riuscivo a leggerglielo negli occhi, riuscivo a comprendere la sua preoccupazione e non mi era difficile capire per cosa fosse preoccupato.
Ci fu un momento di silenzio, entrambi eravamo assorti con lo sguardo da parti opposte, stavo pensando che non avrei più avuto il tempo di andare a suonare, ma avevo preferito di gran lunga la compagnia di Frank alla compagnia delle quattro mura di cemento dello studio.
"Billie stai bene?"
"Eh?" mi girai a guardarlo, teneva lo sguardo sul terreno umido e aveva la voce titubante, quella era, credo, la prima volta che lo vidi in quello stato, avevo capito la domanda e a cosa si riferiva, così non lo costrinsi a ripetersi "sto bene Frank.." gli poggiai una mano sulla spalla, facendogli una carezza, lui si girò a guardarmi.
"Che mi combini eh vecchio? Mike inizialmente non voleva dire niente per non farmi preoccupare, mi conosce bene, ma avevo il diritto di sapere e sopratutto di preoccuparmi del mio migliore amico.."
"Hai perfettamente ragione..anzi, avrei dovuto dirti io che stava succedendo, ma non ne avevo le forze, ho chiesto a lui di farlo per me..ma non devi preoccuparti io sto bene..o almeno decisamente meglio, fidati Frank.."
Mi guardò negli occhi, con quello sguardo languido, sembrava un bambino al quale stavo spiegando le nozioni più complicate della vita, mentre stavo semplicemente rassicurando un mio coetaneo, lo abbracciai carezzandogli la schiena.
"Non avere paura..lunedì si torna a lavoro, va tutto bene ora..".
Sapevo che stava sorridendo e sapevo che le parole gli bastarono per tranquillizzarsi appena, ma era la verità, tutto stava tornado come prima, non potevo permettermi di far star male la mia famiglia, i miei migliori amici, anche se sono una contraddizione ambulante la vita sarebbe andata avanti comunque.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Eravamo in viaggio per Berkeley, l'asfalto sfrecciava sotto le ruote della mia macchina, mentre nell'abitacolo l'unico rumore che disturbava il silenzio era il rumore dei ciottoli del manto stradale che sbattevano contro il guardiarail.
Non andavo a trovare mia madre da un po' di tempo e quale giornata poteva essere migliore di quella?
Adrienne era intenta a studiare il paesaggio, che ormai avrebbe dovuto conoscere a memoria, ma lei è fatta così, cerca sempre qualche novità nel vecchio, un po' come quegli stilisti che riescono a trovare del 'fashion' in capi vintage facendoli tornare di moda; i bambini dormivano entrambi, Joey appallottolato sul sedile che ronfava ininterrottamente, storia completamente diversa da quand'era piccolo, Jakob seduto con la fronte poggiata contro il finestrino, ma pure nel suo caso gli occhi avevano abbassato le saracinesche.
Erano due anni che il lavoro scarseggiava, niente ispirazione, niente canzoni, una crisi dopo Warning, però in quell'ultimo periodo mi frullavano un po' di idee per la testa, mi sentivo carico, mi sentivo pronto a tornare in scena e non sapevo che quel giorno avrei preso la decisione giusta per la carriera dei Green Day.
Abbassai il finestrino e uscii il gomito sentendo l'aria mattutina pungente sbatterci contro, sorrisi e guardai per qualche secondo all'orizzonte dove il sole cominciava ad alzarsi in cielo riscaldando quella che sarebbe stata una bellissima giornata di primavera.
Ripensai a varie cose, ringraziai Dio per avermi dato quello che avevo, per non avermi levato la possibilità di godermi tutto questo qualche anno fa, quando ebbi paura di aver perso tutto, pure il controllo della mia vita, e invece erano un paio di anni che girava tutto dal verso giusto, mi piaceva la mia vita, riuscivo ad apprezzare tutto, dal caldo sole che ormai era alto in cielo al rumore fastidioso della radio che non beccava nemmeno una stazione buona, anche la più piccola cosa aveva un significato importante nella mia vita.
Arrivati a Berkeley notai subito quanto l'aria era cambiata, nonostante si trattasse di poca distanza Oakland era tutt'altra storia da questa cittadina che rispecchiava il classico modello da cittadina di film americani con protagonisti stupidi teenager abbandonati nell'oblio del sesso e dell'alcool, le case erano basse e davano alla città un atmosfera rustica, però anche qui si sentiva il peso della modernizzazione, ora c'era qualche nuovo quartiere che cominciava ad emergere, con un po' di malinconia vidi che era completamente diversa da come la ricordavo, come infondo era diverso il ragazzo che era cresciuto in questa cittadina, cambiato fino al midollo.
A casa da mia madre si respirava sempre un aria di festa, anche se era un giorno come gli altri, anche in quel giorno lì mia madre era capace di accoglierci col sorriso e di farti venire voglia di abbracciare gente solo per il gusto di abbracciarle. Quel John cominciava ad andarmi un po' a genio, infondo ora ero abbastanza grande per comprendere che non voleva prendere il posto di mio padre, ma semplicemente stare vicino a mia madre, volerle bene, ma da bambino ingenuo per com'ero mi riusciva difficile comprenderlo, veramente ancora ora mi riusciva difficile, ma il motivo era semplicemente che mia madre aveva sofferto abbastanza, non aveva bisogno di nessuno che le spezzasse nuovamente il cuore.
"Tesoro di mamma quanto tempo che non venivi qui!"
"Per fortuna che non hai detto 'quanto tempo che non ci vediamo' perché la settimana scorsa eravate a cena da noi" risi ricambiando l'abbraccio che mi stava quasi facendo mancare l'aria.
"Credo che non metti piede in questa casa da quando è nato Jake! Figlio ingrato!" rise a sua volta liberandomi dalle sue braccia per fiondarsi su Adrienne.
I mostriciattoli erano poggiati allo stipite della porta ancora assonnati e con gli occhietti gonfi dal sonno, Jake mi venne ad abbracciare, stringendo le braccine attorno le mie gambe e guardandomi con sguardo quasi implorante, lo presi in braccio e andai verso le scale.
"Mamma metto a letto Jake, sta ancora morendo dal sonno", salii di sopra e lì per lì mi avviai verso camera di mia madre, ma deviai verso la mia vecchia stanza, chissà se era cambiato qualcosa, chissà dov'erano finiti i miei poster, quei pochi che non mi ero portato dietro. Entrai con Jake che dormiva già sulla mia spalla e mi guardai attorno, mentre un angolo delle mie labbra si increspava in un sorriso, fui sorpreso di trovare tutto come l'avevo lasciato, però infondo era come se lo avessi sempre saputo che niente in quella stanza sarebbe cambiato, guardai il letto posizionato a poca distanza dal mio e ghignai al pensiero di quello che successe in quel letto tanti anni fa, misi Jake sotto le coperte e gli scostai la frangettina dalla fronte sorridendo, gli baciai una guancia e feci per uscire quando la mia attenzione fu attirata da uno scatolone che usciva da sotto il letto, la tirai fuori e mi sedetti con le gambe incrociate cominciando a cuoriosare.
Tirai fuori vecchia cianfrusaglie da quello scatolone, c'era di tutto: fogli, fotografie, vecchie lettere abbandonate, poster ripiegati, misicassette con i nastri sciolti o spezzati.
La svuotai per terra sparpagliando tutto, evitando di fare troppo rumore. Per ultimo dallo scatolo uscì un block notes nero, lo riconobbi subito, lì sopra ci scrivevo le varie stronzate che mi passavano per la testa da ragazzo. Cominciai a sfogliarlo, lasciandomi attraversare da tutti i ricordi, leggendo qualche pagina di tanto in tanto, sorridendo tra me e me per quelle parole che a 30 anni mi sembravano fin troppo infantili, eppure continuavo a riconoscermi in quell'adolescente spaventato dal futuro e dalla vita.
Arrivai all'ultima pagina, le righe erano invase da una scrittura tremolante e che rifletteva l'insicurezza che avevo dovuto avere quando scrissi quelle parole, cominciai a leggere e non mi ci volle molto per capire di cosa si trattava.

Era l'anniversario della morte di mio padre, era stata una giornata dura, avrei voluto stare solo, ma quella sera avevamo una serata al Gilman, non avrei potuto rinunciare, avevo delle responsabilità nei confronti della band, così mi feci forza e nell'attesa che comunicassero il nostro nome mi sedetti per terra, su quella moquette fradicia a scrivere quelle parole cercando di trattenere le lacrime.

Mi morsi il labbro e ripiegai il foglio in più parti, infilandolo nella tasca posteriore dei miei jeans, rimisi tutto nella scatola e la spinsi nuovamente sotto il letto.
Erano passati parecchi anni da quando scrissi quella "canzone" o almeno quello che per me doveva esserlo, ma non avrei mai avuto il coraggio di aprirmi ad un pubblico pur sempre troppo vasto, non avrei mai avuto il coraggio di scrivere quelle cose o meglio di renderle pubbliche, io ero così, non scrivevo mai di mio padre, non scrivevo mai della mia infanzia, realmente basta dire che non scrivevo mai di me, non tanto almeno, scrivevo dei miei amici e delle ragazze con cui ero stato, scrivevo e mi rispecchiavo in ciò che scrivevo, ma non parlavo mai in prima persona di me o di una mia esperienza personale, lasciavo intendere ciò che il pubblico voleva intendere, permettendogli di interpretare ciò che scrivevo come loro preferivano interpretarlo.
Raggiunsi gli altri di sotto in salotto, c'era Joey seduto sulla poltrona intento a guardare la televisione, ma da un momento all'altro sarebbe crollato pure lui, John era seduto su un'altra poltrona con la sua pipa in bocca. Mi guardai attorno, quelle mura così familiari ormai erano così lontane da me, appartenevo a loro, ma loro non appartenevano più a me, sorrisi malinconico, immaginando come potrebbe essere stata la vita qui con il mio vecchio ancora in giro, avevo un bellissimo ricordo di mio padre, ma proprio questo mi faceva stare ancora più male ogni volta che pensavo a lui, infatti un groppo in gola non tardò ad arrivare, costringendomi a deglutire a fatica, ora ero padre e marito, dovevo dimostrare la mia maturità e continuare a piangere per una cosa che non si può combattere, come la morte, non serviva a nulla, piangersi addosso non serviva nulla.
Andai in cucina dove c'erano mia madre e Adie che stavano preparando il pranzo, sorrisi poggiandomi allo stipite della porta e puntando gli occhi su Adie, poi su mia madre, notai quanto i suoi movimenti erano "invecchiati" insieme a lei, notai che infondo nonostante gli anni fossero passati, delle volte anche con estrema lentezza, lei era sempre bellissima, splendeva di luce propria, era solare, la classica donna di Rodeo, col grembiulino da cameriera di fast food e il sorriso stampato sul viso, mi sentii un po' un bambino che guardando la propria madre resta convinto che sia la donna più bella che possa esserci.
Wake me up when september ends.
Lo dicevo sempre da quel giorno, la prima volta che lo dissi ero chiuso in camera a piangere, avevo solo dieci anni ed ero solo un cespuglio di ricci capelli biondo cenere appallottolato all'angolo della mia piccola stanza, poi continuai ad usare quella frase altre volte, tipo ogni volta che pensavo che niente nella mia vita poteva andare nel verso giusto. La verità è che "september" non è semplicemente un mese, non parlo di settembre semplicemente perché è il mese in cui è morto mio padre, ha un valore simbolico, si riferisce al peso che ogni persona deve portarsi sulle spalle, si riferisce a quel periodo in cui tutto sembra andare storto, si riferisce a un qualcosa che non vedi l'ora che finisca, qualcosa che vorresti dimenticare o semplicemente vorresti che smettesse di far parte dei tuoi pensieri.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


American Idiot.
La musica non aveva più lo stesso potere.
Dal settembre 2001, dopo il crollo delle torri gemelle ormai si aveva paura ad esprimere le proprie opinioni. La politica di Bush ormai aveva preso il sopravvento su tutta l'America, sembrava quasi che non cerano più cittadini liberi, liberi di pensare ciò che volevano, liberi di ribellarsi contro le imposizioni di un governo che mirava alla guerra.
Anche se saltavano fuori canzoni di ribellione o contro Bush e la sua politica le emittenti radio non le trasmettevano.
Eppure la penna di Billie Joe continuava a scorrere sul foglio, liberando parole di sconforto per quella nazione ormai controllata dai media, per la prima volta non si sentì felice di essere americano, la sua patria non brillava più di quella luce liberale che la distingueva dalle altre.

Don't wanna be an american idiot,
one nation controlled by the media,
information in age of hysteria
it's calling out the idiot America.


Quella canzone che cominciava a nascere tra le righe dei fogli sparpagliati sulla scrivania sarebbe diventata l'inno di milioni di americani che avevano bisogno di ritrovare la forza per denunciare ciò che non gli andava bene, sarebbe diventata il grido di battaglia di tutte quelle persone che si ritrovarono piegate al volere di Bush.





Jesus of suburbia.
Alla periferia di Oakland non era difficile trovare numerosi ragazzi che raffiguravano la situazione americana del tempo.
Si stava tornando al "droga, sesso & rock and roll", perdendo tutti i principi a cui si era arrivati dopo anni e anni.
Jimmy camminava sotto il sole californiano, sentiva fin troppo caldo nei suoi vestiti scuri, piccole perle di sudore scivolavano dalla sua fronte, la matita cominciava a sciogliersi e la rabbia sormontava.

I'm the son of rage and love,
the Jesus of suburbia.


Così lo chiamavano, Jesus of suburbia, lo spacciatore più conosciuto a Jingletown, problemi in amore, problemi con la madre, problemi col mondo.
La tristezza e la solitudine cominciavano a prendere il posto della rabbia e Jimmy si ritrovò affiancato dal suo alter ego, St. Jimmy, un ribelle spacciatore, ormai impossessato da St. Jimmy il ragazzo si trovava in un universo parallelo, un posto in cui credere. I graffiti nel bagno di quello squallido supermercato rappresentavano gli sfoghi di tutti i dannati costretti a vivere nell'oblio della mala vita, dannati che vivevano in un mondo pieno di merda, figli della guerra e della pace, nati da ipocriti bugiardi, cuori riciclati, lasciati al loro destino.

I don't care if you don't
I don't care if you don't
I don't care if you don't care.


Quella vita, quel mondo avevano stancato Jimmy, sentiva il bisogno di cercare un qualcosa in cui credere veramente, qualcosa di concreto, non semplicemente l'idea astratta che un giorno le cose sarebbero cambiate, correre lontano dal dolore, lasciare casa, lasciare tutto per una vita migliore.

Questo era ciò che era apparso nella mente di Billie Joe, quella storia avrebbe rappresentato tantissimi ragazzi, figli del padre rabbia e della madre amore, e forse pure lui era un dannato in cerca di qualcosa in cui credere, anche lui era impossessato delle volte da un alter ego che avrebbe voluto distruggere.




Boulevard of broken dreams.
Un posto nel suo cuore dove rifugiarsi, ecco cos'era il viale dei sogni infranti.
Quando si sentiva solo o voleva stare solo si chiudeva in se stesso, trovando riparo da tutto, quella strada abbandonata diventava la sua casa quando si sentiva spaesato e fuori posto.

I walk a lonely road
the only one that I have ever know
I don't know where it goes,

but it's home to me
and I walk alone.

Solo nel cuore della notte, abbandonato al suo destino, mentre i pensieri passavano veloci e sfumati, senza una contorno ben delineato, sul bordo del confine della sua mente.
Si chiudeva in un mondo tutto suo, con la sua sola ombra e il battito del suo cuore a fargli compagnia, faceva il duro e diceva sempre di non aver bisogno di nessuno, ma in realtà tutto quello che voleva era che qualcuno lo aiutasse, era fatto così, diceva di potercela fare da solo, ma in realtà era solo un modo per farsi aiutare, aspettava che qualcuno venisse a cercarlo e a tirarlo fuori, ma fino a quel momento camminava da solo, non avrebbe mai chiesto aiuto, non avrebbe mai ammesso che si sentiva solo.
Quel posto era un posto reale nel suo cuore, erano le braccia di una madre che cominciava a cullarlo appena gli occhi gli diventavano rossi e lucidi, appena la paura si impadroniva di lui, era il suo rifugio, era la sua casa.





Whatsername.
Si svegliò in una pozza di sudore, col fiato corto e gli occhi sgranati puntati di fronte a se.
Si passò una mano sulla fronte asciugandosi le gocce di sudore che continuavano a colargli lungo il viso e si alzò, andò in bagno e si sciacquò il viso più e più volte.
Non era la prima volta che la sognava, non era la prima volta che quella donna disturbava il suo sonno.

Thought I ran into you down on the street

then I turned out to be only a dream
I made a point to burn all of the photographs
she went away and then I took a different path,
I remember the face
but I can't recall the name,
now I wonder how whatsername has been.

Era solo un sogno, ma quella figura lo ossessionava, era nella sua mente, nella sua testa, da molto tempo, non sapeva chi fosse, perché continuava ad entrare nella sua vita, perché si intrometteva nelle sue poche notti di sonno.
Tornò in camera, e si rimise a letto, guardò la moglie stesa al suo fianco e sorrise, pensò di svegliarla per raccontarle ciò che da qualche giorno lo tormentava, pensava ad un'altra donna, un'altra donna spuntava nei suoi sogni, una donna di cui ricordava solo i giovani lineamenti del viso e gli accesi occhi azzurri che sembravano grigi e i capelli di quel castano ramato che gli incorniciavano la faccia, avrebbe raccontato questo alla moglie? Di una donna che gli appariva in sogno al posto suo? Una donna apparentemente inesistente? Forse stava prendendo un po' troppo sul serio quella faccenda, infondo era solo un riflesso della sua memoria, dei vari pensieri che l'affollavano, era un fenomeno semplicemente naturale.
Cercò di ricordare altro, qualsiasi altra cosa, ma la sua mente non funzionava correttamente, chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi, dimenticandosi di quella donna, dimenticandosi di quei sogni.

Forgetting you, but not the time.





In qualche mese Billie Joe collezionò un bel po' di canzoni, le fece leggere agli altri, cominciarono a provare ad arrangiare alle sue parole qualche linea di chitarra e basso, ritrovandosi il pomeriggio nella sua cantina, come un gruppetto di ragazzini che stavano passando il tempo alla domenica. Ma infondo sapevano che quei pezzi erano più potenti di quello che credevano, sapevano che quel lavoro sarebbe stato più grande di quanto si aspettavano.
Cominciarono come se quello era un semplice disco, anche se nel cuore di tutti e tre cresceva la certezza che quello sarebbe stato un grande ritorno per i Green Day, sarebbe stata una granata pronta ad abbattere tutte le critiche che da un paio di anni li sormontavano, sarebbe stato un grido di libertà e battaglia per milioni di persone.
Inconsapevolmente stavano scrivendo una nuova era della musica, inconsapevolmente stavano ridando la speranza a milioni di americani di riprendersi la loro patria, a milioni di ragazzi stavano ridando la forza di combattere i propri demoni.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Le storie che la penna di Billie Joe ha raccontato accompagnate da una calda linea di basso, un' energica batteria e una chitarra travolgente hanno portato i Green Day su una barca diretta verso il successo interplanetario.
Milioni di persone hanno comprato il disco uscito da poche settimane, milioni di persone hanno sentito girare per la radio American Idiot e trovano solo tanta verità in quelle parole, ci si rispecchiano milioni di giovani e in loro cresce nuovamente un desiderio di ribbellione. Oltre al piano sociale il nuovo album dei Green Day ha occupato un posto spirituale in tantissima gente che si è riavvicinata alla musica trovando in essa una forza e una libertà unica.
Ci sono milioni di storie intrecciate tra loro, milioni di storie che la gente, delle volte pur non volendo, non riesce a non classificare come vere, storie della vita di ogni giorno, storie che, anche se in minima parte, rispecchiano ognuno di noi.
I Green Day stanno scalando le vette delle classifiche, vengono nominati in decine di concorsi, da quelli più popolari a quelli più prestigiosi, occupano la scena della musica del tempo e i cuori sia di fan di vecchia data che di nuovi fan.
Il tour è grandioso, stadi pieni, sold out, milioni di persone che cantano canzoni tipo Are we the waiting come se fossero cori da stadio, i loro vecchi successi che esaltano la maturità che è cresciuta in quei tre ragazzacci di Berkeley che ora tornano a dominare la scena della Bay area nonostante le numerose critiche che continuano a caratterizzare la loro carriera.


Lasciai scorrere le dita sul vecchio ritaglio di giornale ingiallito che tirai fuori dalla tasca dei miei logori pantaloni neri, facevo fatica a leggere quelle parole poiché mi bruciavano gli occhi a causa della forte sbronza. Sospirai, erano passati tre anni da quell'articolo, tre anni da quello che era sembrato il giusto passo per la nostra carriera. Poi un forte crollo psicologico mi bloccò nuovamente. Mi succedeva spesso e purtroppo per un cantautore questo non era una buona cosa, non riuscivo più a scrivere nemmeno una sola parola anche se le idee che mi frullavano in testa erano infinite, eppure non mi importava poi tanto, non eravamo mai stati una band che pubblicava un disco all'anno e andava anche bene, altrimenti saremmo finiti col parlare delle solite quattro stronzate no?
Mi lasciai cadere di peso con la schiena contro il pavimento e distesi le gambe, le sentivo doloranti, avevo ballato e saltato un po' troppo su quello che definivano palco quei gestori dei bar dove suonavamo con una band side project chiamata Foxboro hot tubs. Erano concerti all'insegna del divertimento e dell'alcool, con continue allusioni al sesso e alla droga; non mi dispiaceva di certo quella routine, ma il riprendere a bere e il gestire una vita all'insegna della libertà e del divertimento mi stavano facendo crollare nuovamente in un burrone che conoscevo bene, e ogni volta quando rimanevo solo dopo un concerto, io col mio post sbronza, avevo come paura che i miei demoni potessero tornare a torturarmi.
Sapevo bene cosa sarebbe successo se quel baratro si sarebbe riaperto, sapevo a cosa andavo incontro, eppure ogni volta che mi ritrovavo in mano una birra mi ripetevo "è solo per divertirsi un po'", per lo meno i miei soliti problemi d'ansia e d'insonnia non avevano ancora fatto il loro ingresso in campo, quindi poteva anche trattarsi di una mia eccessiva preoccupazione, non volevo che quel Billie Joe tornasse, era un alter ego che avevo, almeno così speravo, distrutto, non poteva tornare, non glielo avrei permesso, ora ero più adulto, avrei avuto la forza di combattere, avrei avuto il coraggio di affrontare la vita senza alcun aiuto chimico.
Mi rimisi seduto e mi passai una mano tra i capelli, allungai un braccio verso il piccolo frigo che c'era vicino al letto e tirai fuori una birra, la mandai giù velocemente, sentendo l'alcool correre velocemente al cervello, un'altra botta di vita pervase il mio corpo. Sorrisi e, facendo leva su un braccio, mi tirai su a fatica, la testa girava e gli occhi rimanevano a stento aperti, arrivai al bagno barcollando e mi poggiai con tutto il peso al lavandino, il peggior post sbronza che mi possa ricordare.
Mi specchiai e rimasi a fissare il mio riflesso per minuti infiniti, non distinguevo più il verde dei miei occhi, avevo le guance rosse e mi sentivo continue vampate di calore, sudavo come se fossi stato chiuso in una sauna, le gambe tremavano e avevo un fastidioso tic all'occhio, mi sciacquai il viso con l'acqua fredda e per qualche secondo mi sentii un po' meglio, bagnai anche i capelli rimanendo piegato in avanti, con la testa infilata sotto il getto del rubinetto, mi alzai di scatto e sentii la testa girare più di prima, mi misi una mano sulla fronte e sentii un conato di vomito salirmi su fino in gola, mi piegai nuovamente e vomitai tutte quelle sostanze nocive che avevano invaso il mio corpo.
Sciacquai la bocca sentendo un sapore dell'alcol che si era fatto un giretto nel mio stomaco mischiato al sapore acido dei succhi gastrici. Mi osservai nuovamente allo specchio e sorrisi, ora si che mi sentivo meglio, tornai in camera e mi buttai a letto puntando gli occhi sul soffitto, mi infilai sotto le coperte e in quel preciso istante squillò il cellulare, era sulla scrivania non molto lontana dal letto, infondo tutto quello che c'era in quella piccola stanza non era molto lontana dal letto, non ebbi le forze di alzarmi così mi allungai verso la scrivania, rischiando di cadere, ma riuscii a prendere il cellulare e rispondere.
Amore!...si, tutto bene..e tu?..ehm no..f-forse qualche birra..ma no...tranquilla Adie ho b-bevuto al concerto...n-no...tranquilla..okay ti lascio dormire...ti amo anch'io.
Si preoccupava troppo e forse aveva pure ragione, ma infondo sapevo bene che quel post sbronza non aveva niente a che vedere con quei post sbronza che mi passavo sulle panchine dei parchi, pensando a come sarebbe il mondo se nella mia vita molte cose sarebbero andate diversamente, se non avessi incontrato Adrienne, se i Green Day non avessero avuto successo, se non avessi mai conosciuto Mike e Frank, se non vivessi ad Oakland, se mia mamma non lavorasse in un fast food, se non fossi stato l'ultimo di sei fratelli, se non avessi avuto due figli, se non mi fossi mai lasciato con Amanda, se avessi continuato gli studi, se mio padre fosse qui. Quei post sbronza dove sprecavo le lacrime in quantità industriali, quei post sbronza dove tutte le tossine rimanevano in corpo anche dopo un copioso rigurgito di alcool.
Mi distesi in posizione fetale, spensi il lumetto color oro poggiato sul comodino e portai le gambe al petto cingendole con le braccia, chiusi gli occhi e avvicinai il viso alle ginocchia facendo quasi poggiarci contro la fronte, le labbra si piegarono in un sorriso amaro, la verità era che non capivo bene come mi sentivo, ero felice ma al contempo sentivo uno strano vuoto allo stomaco, uno strano sapore amaro in bocca, sentivo che mi mancava qualcosa, o forse sentivo che qualcosa doveva succedere, eppure ero tranquillo, mi sentivo bene, sentivo come un emicrania agrodolce nella mia testa. Ripensai alle parole di quell'articolo che portavo spesso con me e sorrisi, ero fiero del lavoro che avevamo fatto, ero fiero di quello che avevamo affrontato, però sentivo come se ora doveva arrivare l'alba di un nuovo giorno, le dita della mia mano destra si mossero istintivamente, sentivo come l'impulso di prendere una penna e scrivere, scrivere ovunque potessi, su una maglietta, su uno scontrino, sulla squallida carta da parati giallo uovo dell'albergo, era una sensazione bellissima, sentivi le idee scorrerti a cavallo ai tuoi neuroni, milioni e milioni di parole che viaggiano alla velocità della luce, l'ispirazione ti colpisce in tutto il corpo, ti fa irrigidire, ti fa sgranare gli occhi, ti coglie alla sprovvista. Vorrei evitare di alzarmi, ma la paura di dimenticare tutto era troppo forte, non potevo correre questo rischio, mi alzai di scatto buttando per terra il piumino bianco, cominciai a frugare nel mio zaino e tirai fuori un vecchio quadernetto, una specie di agenda che avevo trovato in un cassetto di casa, una di queste con la rubrica nelle ultime pagine, la copertina in finta pelle rossa era morbida e aveva gli angoli logori. Aprii il libricino cominciando a sfogliare le pagine per trovarne una pulita e, presa la penna, mi fiondai in quel mare con la mia piccola imbarcazione, la penna cominciò a scorrere, le parole cominciarono a prendere forma, la canzone cominciò a materializzarsi.

She puts her makeup on
like graffiti on the walls of the heartland
She's got her little book of conspiracies right in her hand
She's paranoid like endangered species headed into extiction
She's one of a kind
She's the last of the American girls
...

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


 

Sentivo le loro urla già da due ore circa.
Green Day! Green Day! Green Day!
Era un esercito di mille e più persone, mille e più voci che evocavano la loro band preferita, mille e più occhi fissi sul nero palco che si infrangeva sul verde prato dell'arena dove ci siamo esibiti, mille e più braccia levate al cielo, mille e più cuori pronti a battere all'unisono.
Girovagavo nel back stage con la mia solita birra in mano, era il primo concerto del tour, non ero più abituato a quell'ansia, a quella tensione, non riuscivo a rilassare i muscoli facciali, non riuscivo a increspare le labbra in un sorriso, non c'era la minima traccia di gioia in me, solo il panico crescente che andava sciogliendosi solo con l'aiuto dell'alcool.
Posai la birra ormai vuota e mi imbattei in Frank che cercò al suo solito di travolgermi con il suo spirito da clown, ma non ne avevo voglia, erano passati quattro anni dall'ultimo grande successo e molte cose erano cambiate, mi sentivo carico, con la voglia di prendere la chitarra in mano e improvvisare qualche stronzata sul palco, sapevo infondo che la mia ansia non era legata alla paura di fallire, eravamo arrivati a quel punto ed era già abbastanza, già troppo, non ci avremmo mai giurato da ragazzi che quello delle vette delle classifiche sarebbe stato il nostro posto, la mia ansia era legata a qualcosa che tenevo dentro, un insicurezza personale, una cosa sola poteva aiutarmi a sconfiggerla, ma i tempi degli ansiolitici erano finiti.
Spuntò Andrew, il tecnico del suono, a dirci che tra cinque minuti saremmo dovuti correre sul palco. Continuai a masticare la mia chewingum che avevo in bocca, ormai senza sapore per il troppo tempo che avevo passato a mangiucchiarla, in modo incontrollato fin quando non arrivò Mike che mi diede una pacca sulla spalla facendomi sbilanciare in avanti e facendomi cadere la chewingum dalla bocca.
"Ah la chewingum!"
"Scusa bello!" mi mise un braccio attorno le spalle e mi sorrise "allora, pronti!?"
"Prontissimi!" non riuscii a non sorridergli, quelle labbra che si assottigliavano ancora di più per mostrare tutti i denti e quegli occhi azzurro cielo erano già un motivo per sorridere, in più il suo abbraccio mi fece sentire meglio.
Tornò Andrew e ci fece un cenno nervoso di correre, come se fossimo in ritardo di un'ora.
Il primo a varcare la soglia del backstage fu Frank, sentii un boato elevarsi al cielo non appena fece ingresso sul palco inerpicandosi verso la sua batteria, poi fu la volta di Mike che corse alla sua postazione, un altro boato, i turnisti erano già ai loro posti, mancavo io, senza di me la festa non ci sarebbe stata, quello era ciò che mi piaceva di più fare, passare qualche ora in compagnia di mille e più persone, mille e più voci che evocavano la loro band preferita, mille e più occhi fissi sul nero palco che si infrangeva sul verde prato dell'arena dove ci siamo esibiti, mille e più braccia levate al cielo, mille e più cuori pronti a battere all'unisono.
Corsi sul palco, altro boato, sorrisi e alzai le braccia al cielo, tutta quella grandezza faceva paura.



Era solo il decimo concerto di molti altri e io ero entrato a pieno ritmo nella vita frenetica da tour.
Aerei, alberghi, facce nuove, accenti sconosciuti, la lontananza da casa, era tutto bellissimo e contemporaneamente spossante.
Tornammo in albergo dopo quella che era stata una grande serata e ci salutammo sul pianerottolo del quarto piano dove si trovavano le nostre camere, Frank si ritirò nella sua stanza con l'intento di buttarsi a letto e cominciare a russare immerso in un sonno profondo, Mike disse che anche lui stava crollando, ma mentre lo guardavo allontanare lungo il corridoio sapevo che avrebbe passato una buona ora al telefono con Brit. Io mi ritirai a mia volta in camera, ma sapevo già cosa mi aspettava, lo sguardo si posò immediatamente sul mini frigo, e poi su una bottiglia di Jack che mi avevano offerto i tipi dell'hotel.
Mi sedetti sul letto, sentendo il metallico scricchiolio della rete, levai le scarpe lanciandole al centro della camera e incrociai le gambe a mo di indiano, aprii il mini frigo e uscii le uniche due birre che ci trovai dentro, cominciai a bere, come ormai stava tornando ad essere di abitudine da un paio di giorni.
L'alcool era di nuovo dalla mia parte, avevo cominciato con una birra prima del concerto, poi la birra diventò prima e dopo del concerto, poi diventarono due prima e dopo del concerto, tre, quattro, cinque, e così via, e quando non c'era la birra c'era sempre qualche altra cosa che trovavi da bere. Sembravano le sbronze di tanti anni fa, ma più leggere, questo era solo il troppo lavoro, era dal 2004 che non ci prendevamo una pausa, e l'alcool aiutava ad andare avanti con la giusta grinta, ero convinto inoltre di potermi fermare quando lo desideravo, sembrava che la mia mente fosse tornata a ragionare come un tempo, sembrava che tutta la maturità acquisita in quegli anni si perse in chissà quale parte del mondo.
Le birre erano finite velocemente, per me era come bere acqua ormai, ma la bottiglia di Jack mi guardava, così invitante, con quel caldo colore marroncino e quell'elegante etichetta nera, non rifiutai il suo invito e la presi con una mossa repentina, come per paura che qualcuno potesse vedermi, poggiai le spalle alla testiera del letto e sorrisi.
"Oh mia cara, a quanto pare siamo soli io e te questa sera eh?" la aprii.
Cominciai a fare dei lunghi sorsi, sentendo l'aspro e bruciante sapore agrodolce scendermi in gola per poi salirmi nuovamente in testa, era una libidine, una sensazione che mi mancava, un gesto che mi era troppo amico, almeno così credevo.
In poco tempo sentii che ero già brillo, presi una sigaretta e, nonostante il divieto di fumo in camera, la accesi, facendo dei rilassanti tiri, osservando il tabacco che bruciava lentamente, il tabacco di quel rosso acceso mischiato al grigio della cenere. Inspiegabilmente scoppiai a ridere, e a canticchiare qualche canzone, un po' delle mie, un po' di altri gruppi.

My name is Jimmy I'm the son of a gun!

Mi resi conto di aver alzato un po' troppo la voce e scoppiai nuovamente a ridere, ci mancava attirare l'attenzione dei fan dietro la mia porta ed essere costretto a firmare autografi nelle mie condizioni.
Continuai a bere, tenendo gli occhi chiusi, guardai l'ora sul cellulare e capii che presto sarei crollato, avevo come un timer nel corpo, ad un certo orario crollavo, ed era anche piacevole per me che avevo sempre sofferto di insonnia.
Dopo una mezz'ora la bottiglia si svuotò nel mio corpo e il mio corpo si svuotò nella bottiglia, era come se mi sentivo vuoto nell'anima, ma con un mare di alcool in circolo nelle vene, era come se nell'ultima sorsata la mia anima fosse rimasta intrappolata nella bottiglia e la sua anima, l'alcool, fosse rimasto intrappolato nel mio corpo, come per tenermi prigioniero, come per legarci per la vita, una specie di ricatto, "io mi tengo la tua anima e ci faccio ciò che voglio".
Sentivo che lentamente stava tornando, e non ero del tutto sicuro di volerglielo impedire.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 

Concluso quest'ultimo concerto in Europa saremmo tornati tutti ad Oakland dalle nostre famiglie, Mike non lo reggevo più, stava tutto il tempo a rimenarla su quanto gli mancava Brit e il piccolo Brixton, Frank non dava mai problemi, lui infondo la sua fidanzata l'aveva sempre dietro, poi c'ero io con una moglie e due figli dall'altra parte del mondo e mancavano da morire anche a me, ma non sono un tipo che sta a lamentarsi, così contavo lentamente i giorni mentre le miglia di distanza aumentavano.
Però ero felice di ciò che stavamo facendo, quello che all'inizio era sembrato cominciare come un incubo poco dopo si trasformò in un piacevole viaggio in giro per il mondo. E quella sera ero deciso a dare il meglio di me, a stupire gli ultimi occhi di quel tour, volevo sentire i loro cuori galoppare al ritmo del basso di Mike e della batteria di Frank, mentre io li cullavo con la voce e ogni tanto li facevo entrare in palpitazione con la chitarra.
Stavo buttato sul divano nel nostro bus, avrei voluto schiacciare un pisolino, ma c'era troppa confusione in giro e troppa agitazione nella mia testa, come ogni volta la tensione non mancava e come ogni volta a scioglierla c'era comunque l'alcool che ci accompagnò fedelmente come in ogni tour, però, forse, ogni tanto si era rivelato un amico non troppo fidato e mi aveva fatto uscire di senno, come quella volta in Perù, quella sera ero messo male, quella sera superai il limite, non avrei dovuto, ma non ero riuscito a controllarmi e da quella sera controllarmi divenne sempre più difficile. Sentivo lentamente che tutte le preoccupazioni stavano riaffiorando, stavano riaprendo la cicatrice, ma tenevo duro, mancavano poche tappe e sarebbe tornato tutto alla normalità, non facevo altro che ripetermi questo ed ero sicuro, ingenuamente, che sarebbe stato così al cento per cento.
Così quella sera sul palco diedi il meglio di me, nonostante le quattro birre precedenti alla nostra apparizione sul palco, e la folla era in delirio come ogni volta, nessuno notò quel mio leggerissimo stato di ubriachezza, nessuno notò che dietro a quel corpo saltellante sul palco c'era una figura anoressica rannicchiata in un angolino del mio cuore che lentamente e senza troppa esibizione si stava sgretolando. Non so di preciso cosa successe quella sera, cosa mi prese sul palco, cominciai a sudare più del solito, sudare freddo, cominciai ad avere come paura che appena questo tour sarebbe finito ci sarebbe stato un altro periodo buio, cominciai a pensare a tutte le cose sbagliate della vita, ebbi come un momento di puro sconforto, come una depressione che ti prende al momento sbagliato. Ma non mollai, continuai a tirare fuori le parole con la stessa energia con cui avevo cominciato, chiusi il tutto col mio chitarrone nero, quello che per me è motivo di grande orgoglio, quello col mio nome inciso su una piccola targhetta, il mio bambino, quel chitarrone che mi accompagnò in tutto il tour mangiandosi le note non solo di 21 guns, ma anche di Good riddance o altre.
Finì tutto. Sprofondammo di nuovo. Un sipario di velluto rosso e pesante si chiuse davanti i miei, i nostri, occhi.
Tornammo in albergo, il giorno dopo saremmo tornati a casa. Chiamai Adie e poi andai a fare una doccia, rimasi sotto quel gradevole getto caldo per minuti interminabili, almeno una buona mezz'ora, sentivo le piccole perle di acqua scendere lungo il mio corpo, mescolandosi alle precedenti goccioline di sudore che si formarono durante il concerto, tirai i capelli indietro e sentii il getto arrivarmi in faccia, i residui di matita si sciolsero in due linee nere e deformi sotto i miei occhi e le labbra si inumidirono. Desiderai che l'acqua entrasse nel mio corpo e lo depurasse, desiderai che arrivasse lentamente come un ruscello di montagna in ogni angolo dei miei organi e li ripulisse, ma contemporaneamente desiderai che entrasse con una tale forza da spazzare via tutto, da distruggere tutto, da distruggere me, o forse qualcuno che cercava di prendere il mio posto, si, il mio alter ego, che credevo di aver sconfitto, ma che in realtà stava ben nascosto pronto a farmi un agguato appena gli si sarebbe presentata l'occasione.

Arrivammo ad Oakland, l'aeroporto era affollato sia per la gente che andava e veniva da ogni parte del mondo, sia perché molti fan erano venuti per rubarci qualche istante per una foto o un autografo. Adoravo far foto con i fan, non capivo perché certi cantanti erano ostili a queste cose, cosa c'era di male in una semplice foto? Io sapevo perché quelle persone volevano una foto con me, sapevo perché milioni di persone andavano ai nostri concerti, sapevo che molta gente aveva trovato la salvezza nella nostra musica e non potevo far altro che essere grato a tutti i miei fan, loro mi davano così tanto e io così poco, anche se loro spesso sottolineavano l'importanza dei Green Day nella loro vita, quindi una foto dopo tutto quello che facevano per me non mi costava nulla, anche solo un abbraccio, anche solo un cenno della mano.
Credo che non sono mai entrato nell'ottica della celebrità, non mi vedevo come tale e non volevo essere visto come tale, ma non potevo evitare che ciò accadesse, così mi comportavo come una celebrità molto cordiale.
Le porte scorrevoli si spalancarono, al nostro fianco c'erano due tipi alti e grossi almeno il doppio di me e Frank messi insieme, ci investirono le urla dei fan di cui parlavo prima, ma senza levare valore al discorso che ho riportato più su, in quel momento cercavo qualcun'altro, in quel momento volevo correre ad abbracciare Adie.
Una fila di fan era schierata davanti a noi e non potemmo far altro che firmare gli autografi tutti sorridenti, però ero talmente distratto dal pensiero di trovare Adrienne che rimasi almeno due minuti in silenzio davanti la domanda di una ragazza, domanda che non capii mai.
Pochi minuti dopo notai i suoi capelli castani spiccare in un angolino infondo, sorrisi a trentadue denti e mi avviai verso di lei, con mia piacevole sorpresa Joey e Jake erano con lei, per quanto possa essere normale rivedere la mia famiglia, correre verso di loro con la valigia al seguito mi faceva sempre diventare le guance rosse, non ho mai capito il motivo, ma sorridevo come un ebete e mi intimidivo tutto quando varcavo la soglia degli arrivi. Jake e Joey erano distratti, stavano discutendo di rugby, così travolsi Adie in un lungo abbraccio.
"Bentornato a casa Armstrong.." sussurrò lei al mio orecchio stringendomi forte a se.
"Cristo quanto mi siete mancati." poggiai il viso sulla sua spalla e le diedi un bacio sul collo, sorridendo, mentre le carezzavo dolcemente la schiena, alzai il viso e la guardai negli occhi, con quel tipico sorriso innamorato che mi spunta sulle labbra ogni volta che la vedo, la baciai a lungo, mentre le sue mani si incastravano tra i miei capelli e le mie la stringevano di più a me, ci continuammo a baciare come se tutto il mondo attorno a noi si fosse annullato, come se eravamo due sedicenni che se ne infischiavano di chiunque li guardasse, finché Joey o forse Jake tossì, riportandoci alla realtà, risi e li abbracciai entrambi, scompigliai i capelli a Jake e tirai due buffetti sulla guancia a Joey.
"Joey mi stai superando!" risi mentre mi metteva un braccio sulle spalle.
"Dai vecchio, andiamo a casa!"
"Calma, calma ragazzino, devo salutare Mike e Frank!"
"Tranquillo Bill, vengono a pranzo da noi" mi rassicurò Adie.
"Oh, fantastico, allora andiamo" sorrisi e misi a mia volta il braccio sulle spalle di Jake e ci avviammo verso il parcheggio mentre uno dei tipi della sicurezza trascinava la mia valigia alle spalle di Adrienne.
Arrivammo a casa nostra e mentre Joey e Jake correvano a rintanarsi nelle loro stanze io, Mike e Frank ci buttammo loro sul divano e io sulla poltrona, di li a poco ci avrebbe raggiunti anche Britt con Brixton.
"Non voglio sentir parlare di lavoro per almeno un mese!" risi mentre sorseggiavo una ghiacciata birra bionda che mi aveva appena portato Adie. Si sedette sul bracciolo della poltrona sulla quale mi ero seduto io e mi mise un braccio attorno le spalle ridendo, insieme a Mike e Frank. Le misi una mano sul fianco e la tirai verso me facendola cadere sulle mie gambe, mi mancava anche il contatto fisico con lei, le tenni il braccio attorno la vita e la guardai sorridendo, le feci cenno di avvicinarsi a me e la baciai a lungo, mentre gli altri due lentamente diventavano due figure di contorno, fortunatamente qualche minuto dopo suonò il campanello, doveva essere Britt.
Andò Mike e con nostra grande sorpresa quando tornò era in compagnia di Rob, non di Britt. "
"Hey Rob!" alzai un sopracciglio mentre Adrienne si mise in piedi "che combini da queste parti?" mi alzai anche io sorridendo.
"Ma nulla, sapevo che eravate tutti e tre qui, sono passato a trovarvi!" sorrise e mi abbracciò, sapevo che non era solo per il piacere di venirci a trovare che era venuto fino a casa mia dall'altra parte di Oakland.
"A che dobbiamo questa visita?"
"Ma nulla..ce..dovrei parlarvi di una roba.." sorrise.
Ecco. Lo sapevo. Tutto aveva un secondo fine. Eravamo appena tornati da una tourné europea e dovevamo già trovarcelo alle calcagna. No, non ce la facevo a sentir parlare di nessuna roba, volevo solo riposare, volevo solo pensare ai miei amici e alla mia famiglia, senza lavoro appresso al culo.
"Che roba?" lasciai trapelare tutta la mia apatia.
"Dai non fare il frignone al solito..ora vi spiego" si sedette sul divano vicino a Frank e cominciò a parlare mentre io sentivo qualcosa sormontare dentro di me.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


 

"Permesso?" la porta scricchiolò mentre Mike la apriva lentamente, alzai lo sguardo e annuii, si sedette accanto a me ai piedi del letto e mi mise un braccio attorno le spalle.
"Questa storia del musical non è tanto male no?" azzardai girandomi a guardarlo.
"Credo sia una gran cosa.." sorrise, ma sapevo che aveva altro da dirmi, così aspettai finché non si fece coraggio e riprese a parlare "però..non ne abbiamo bisogno..siamo appena tornati da un tour..è dal 2004 che non ci fermiamo..e..e io ho visto che questo tour non è andato eccezionalmente come gli altri..ho visto che ti eri calato una maschera..ti conosco Billie..so che sei stanco, so tutte le volte in cui hai trovato nuovamente rifugio nell'alcool..".
Chiusi gli occhi, da quella volta che chiesi aiuto a Mike tenergli le cose nascoste era diventato fin troppo difficile, si sentiva un po' come in diritto di aiutarmi tutte le volte che lui credeva che avevo bisogno di aiuto, ma ciò mi infastidiva o meglio mi faceva star male, non volevo che lui entrasse in quella parte della mia vita, non volevo che c'entrasse nessuno, era già successo e non volevo che ricapitasse, non volevo che il mondo si fermasse di nuovo per le mie cazzate e se cercavo di tenergli le cose nascoste era solo per paura di farlo star male, di far star male chiunque.
"Io.."
"Non parlare..tocca ancora a me..non voglio che ricaschi in quello che hai passato..quindi se è di una pausa che hai bisogno lascia perdere la roba del musical.."
Non potevo permettergli che dettasse leggi sulla mia vita, non poteva sapere cos'era meglio per me, non lo sapevo nemmeno io, non volevo che mi parlasse così, lui non sapeva cosa avevo passato, non lo sapeva nessuno, e nessuno sapeva quanta paura avevo di ricadere nel baratro, quel musical era la cosa giusta da fare, e poi non era tutto questo gran lavoro, avremmo dovuto fare le selezioni per il cast, poi avremmo dovuto adattare le musiche e avremmo dovuto sistemare per bene la storia che ruotava attoro American Idiot. Rob ci aveva spiegato bene cosa dovevamo fare, e l'idea era originale, portare la musica rock in teatro, sarebbe stata la giusta svolta per la nostra carriera, non che mi importasse tanto, ma perché non dovevamo rischiare? Perché dovevamo stare con le mani in mano? Solo perché Mike credeva che ero stanco? Solo perché credeva che non stavo bene? Al diavolo quel che credeva. Il musical si sarebbe fatto.

"Allora ora bisogna adattare gli arrangiamenti, cambiare qualche tonalità, la velocità, metà del lavoro l'abbiamo fatto."
La faceva facile lui, "l'abbiamo fatto". Perché lui cosa aveva fatto in queste settimane? Non dava nemmeno giudizi sui ragazzi che si presentavano al cast, fosse stato per me allora avrei potuto scegliere quattro ragazzetti con le corde vocali mal messe. L'unico motivo per cui non l'ho fatto è perché ero io che avevo deciso di fare quel lavoro, avrei potuto rifiutare, ma accettai, perché pensai che in quel modo la mia piccola opera avrebbe preso forma, ed effettivamente sarebbe stato così, solo che io, Mike e Frank dovevamo avere dei riconoscimenti, nessun'altro, noi tre e quei ragazzi che si stavano impegnando a lavorare al nostro fianco, insiseme a tutti i tecnici che ci assistevano in studio, Rob non faceva altro che stare dietro di noi e dire "buon lavoro, ottimo". Era il nostro lavoro per forza doveva essere buono.
Ammetto che avevo un po' svalutato l'intensità di questo lavoro, credevo sarebbe stato più facile, e lo sarebbe pure stato se avrei lasciato che qualcuno mi desse una mano, ma non avrei permesso a nessuno che non sia Mike o Frank di mettere mano sulle mie canzoni.
"Si Rob, ora cominciamo subito con l'adattare la musica, tu cosa vuoi suonare eh? Batteria? Chitarra? O il basso? Sentiamo, che ruolo hai in questo lavoro?"
Tutti si girarono a guardarmi, stupiti dalla mia isterica risposta. Rob non sapeva cosa rispondere, sapeva bene che in quel mio attacco c'era tutta la verità possibile, sapeva che avevo ragione sul fatto che non aveva fatto niente nonostrante lo definisse "il nostro lavoro", e sapeva pure che non sopportavo quando si sentiva parte dei Green Day, era il nostro produttore, si, gli dovevamo tanto, si, era ormai un amico dopo tutti gli anni che lavoravamo insieme, ma i Green Day erano una cosa al di fuori di lui, al di fuori di tutti, solo io, Mike e Frank potevamo comprendere cosa fossero i Green Day.
"Ah Rob? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Che succede?" mi avvicinai verso una panca alla quale era poggiata una chitarra acustica e gliela portai, tenendola dritta davanti a lui, sapevo che qualche accordo con la chitarra lo sapeva fare, lavorava pur sempre con la musica anche se non era un musicista. "Tieni bello, cominciamo ad arrangiare qualcosa in acustico eh? 21 guns per esempio, dai, lavoriamo!" stavo quasi urlando, non capivo bene cosa mi stesse prendendo, non era mio solito rispondere così, manifestare così puramente i miei sentimenti, non sapevo perché avessi cominciato ad attaccare Rob in quel modo, anche se mi aveva fatto girare le palle, non era la prima volta, ma io non avevo mai reagito così, mi guardavano tutti in silenzio, forse non avevano il coraggio di parlare, sembravo una donna isterica in preda agli ormoni pre mestruazioni, non mi riconoscevo, l'unica volta che ero stato così era per l'eccesso di alcool mischiato al ritalin, ma ero pulito, non prendevo quella roba da anni e non l'avevo presa.
Mike mi levò la chitarra di mano e mi mise un braccio attorno le spalle, trascinandomi fuori dallo studio.
"Che ti è preso?"
Mi liberai dal suo braccio e cominciai a camminare verso il vicolo sul retro senza rispondergli.
"Billie mi rispondi?"
"Che vuoi!?" mi girai di scatto verso di lui, un altro attacco incontrollato d'ira. Cosa mi stava succedendo?
"Datti una calmata per la miseria! Sei mestruato o che so io!?"
"Vaffanculo pure tu!"
"Mi dici che cazzo ti prende!? Non ti vedo così da.." si bloccò, e io scoppiai a ridere, sapevo cosa intendeva, no mio caro, strada sbagliata.
"Non ho preso un cazzo. Non rompermi i coglioni. Il fatto che ti abbia chiesto aiuto una volta non implica che tu devi aiutarmi anche quando non ho bisogno o non voglio aiuto."
Si avvicinò a me, bastarono poche lunghe falcate per raggiungermi, e anzi costringermi ad indietreggiare finché non sentii le spalle contro il muro, lo guardai negli occhi, erano un misto di rabbia e paura e forse, forse pure delusione. Credevo che mi sarebbe arrivato un pugno dritto in faccia, non era giusto come gli avevo parlato, non era giusto ciò che gli avevo detto e inoltre non era completamente vero.

"La vita è uno spasso, vero Billie? Ti diverti? Bere, fumare, prendere pasticche, ti diverte?"
"Ma che cazzo dici? No!"
"E allora perché lo fai?"
"Mike cazzo ho chiuso con quelle robe, cristo smettila di guardarmi così!"
Infilò repentinamente una mano nella mia giacca e ci tirò fuori un flacone giallo.
"E questo!?"
Non ricordavo l'esistenza di quel flacone, non sapevo come fosse finito nella mia tasca, deglutii a fatica, sapevo di non avere nessuna colpa, ma in questi casi è difficile mantenere un comportamento innocente.
"Me..me le ha prescritte il medico.." sussurrai la prima cosa che mi venne in mente, e poteva pure essere vero, il ritalin non te lo vendono senza ricetta medica, anche se non è difficile riuscirlo a trovare, avevo completamente un vuoto di ciò che successe la sera precedente, veramente avevo un vuoto fino alla mattina, fino a quando non entrai nel bagno dello studio e..
No. Non poteva essere vero. Non ricordavo un cazzo. Guardai il flacone, era mezzo vuoto, sentii la testa girare e la gola asciugarsi, sentivo tutti i muscoli indolenziti, non mi avrebbero retto in piedi ancora per molto, una perla di sudore scivolò a terra dalla punta del mio naso, persi i sensi, cadendo tra le braccia di Mike.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Quando mi svegliai sentii la testa pesante, non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma l'ambientazione era completamente diversa dall'ultima volta che avevo tenuto gli occhi aperti, cercai di mettere a fuoco ciò che mi circondava, uscì un flebile lamento dalla mia bocca, sentivo la saliva seccarsi sui denti, mentre la gola era già un deserto, eppure mi sentivo come in un profondo stato di rilassatezza. Pochi istanti dopo mi resi conto di dov'ero, era una macchina, questo ero riuscito a capirlo sopratutto dai rumori che sentivo, ma non sapevo di chi, ricordavo solo che stavo discutendo con Mike quando..
Girai lentamente il viso verso sinistra e fui sollevato dal vederlo al mio fianco, concentrato sulla strada come se dovesse vincere il mondiale di formula uno, aveva la fronte corrugata e la bocca era piegata in un espressione di preoccupazione, la stessa preoccupazione che riuscii a leggergli negli occhi appena si girò a guardarmi per pochi istanti. Frenò di colpo, accostando al marciapiede e tirando un sospiro di sollievo.
"Cristo..cristo..cristiddio!" poggiò la fronte sul volante, lo guardai alzando un sopracciglio, non capivo cosa avesse, gli poggiai una mano sulle spalle.
"M-Mike?"
La sua schiena tremava sotto la mia mano, come in preda a continue e leggere scosse di terremoto, piccole convulsioni, poi appresi che erano fori singhiozzi causati dal pianto. Stava inzuppando la gomma del volante con le lacrime che stava versando per non so quale motivo, sentii un vuoto allo stomaco e lo abbracciai, nascondendo il viso tra i suoi capelli, lo strinsi forte prendendondolo tra le mie braccia e cominciai a cullarlo.
"Non piangere..che..che succede? P-perché piangi?"
Mi spinse via, facendomi cadere sul sedile del passeggero senza alcuna delicatezza, indietreggiai poggiando la schiena al finestrino e rimasi a guardarlo in silenzio, mi bruciavano gli occhi e nemmeno io sappevo perché, avevo un groppo in gola e non c'era l'alcool a scioglierlo, mi morsi il labbro e continuai a ripetere "Mike" per implorarlo di guardarmi e di dirmi cosa stava succedendo, di farmi capire perché stava piangendo, ma lui non si decise a guardarmi per buoni minuti, finché non alzò il viso umido per le lacrime, i suoi occhi rossi e gonfi fissarono i miei, erano imploranti tanto quanto i miei.
"Perché piango Billie!? Perché mi avevi detto di aver chiuso! Mi avevi detto che i farmaci non facevano più parte della tua vita! Okay che ogni tanto ti scappa la bronza, okay, lo capisco, che sia o meno per divertimento, capita anche a me cristo, ma i farmaci no! Ti mandano il cervello in pappa cazzo! Piango perché ti ho visto svenire tra le mie braccia ed eri bianco cadaverico e hai perso conoscenza per almeno venti minuti! Cristo Billie Joe! Cristo!"
Mi urlò in faccia, e sentii i condotti lacrimari inondarsi, non sopportavo di aver causato tutto questo, non sopportavo di essere la causa del suo dolore, io potevo e dovevo essere solo la causa del mio dolore, ecco perché non mi meritavo nessuno attorno, perché combinavo stronzate, perché sono un debole del cazzo, perché non so resistere a un flacone di qualsiasi tranquillante o ansiolitico o sonnifero.
Eppure non ricordavo di aver preso nulla, avevo un vuoto, niente di niente.
Avevo cancellato completamente la notte precedente fino a quella mattina quando corsi a vomitare nel bagno dello studio, quando presi due pasticche, due pasticche di ritalin, prese da un flacone di ritalin nella tasca del mio giubbotto, però non ricordavo ne perché ne per come fossero finite nel mio giubbotto.
Continuavo a guardare gli occhi di Mike, erano spenti, erano impauriti, avevo il cuore a pezzi, ricordai una cosa, ricordai che dovevo correre a casa da Adrienne a fare non so cosa di preciso, però avevo bisogno di vederla.
Abbassai lo sguardo e notai una macchia scura sui miei jeans, mi resi conto che si trattava delle mie lacrime, mi passai una mano sugli occhi e tirai su col naso, poi guardai Mike che teneva lo sguardo fisso davanti a se, gonfiava e sgonfiava il petto lentamente per cercare di calmarsi, gli poggiai una mano sul braccio sentendo le vene gonfie e pulsanti sotto le mia pelle, mi avvicinai a lui e lui si girò lentamente a guardarmi.
"Ti porto in ospedale."
"No..M-Mike devo andare da Adrienne..ti p-prego..perdonami.." mi buttai su di lui, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo e feci dei profondi respiri per cercare di trattenere i singhiozzi, gli buttai le braccia al collo e lo strinsi a me.
Lui ricambiò l'abbraccio solo dopo qualche istante, cominciò a carezzarmi i capelli corvini e a stringermi, mi sentivo protetto tra le sue braccia, mi sentivo invincibile, sapevo che avrei potuto sconfiggere tutto col suo aiuto.

Lo strinsi, non sapevo nemmeno io cosa mi stava prendendo, forse avevo leggermente esagerato, ma la paura ormai era diventata padrona, giorno dopo giorno.
Sciolsi lentamente l'abbraccio e lo guardai accennando un sorriso, aveva sempre quest'aria da bambino che mi aveva incantato fin dal nostro primo incontro, quei suoi occhioni verdi che facevano sciogliere qualsiasi intreccio nel cuore di chiunque, quelle fossette appena visibili, sorrise anche lui.
"Però andiamo in ospedale.."
"No, Mike per favore..sto bene..credimi..andiamo a casa, mi faccio una doccia, riposo e starò bene okay?..per favore.."
"Io.." sospirai "okay..andiamo..".
Rimisi in moto e mi avviai verso casa sua, speravo almeno che Adrienne potesse darmi qualche delucidazione su come mai avesse quel ritalin in tasca, visto che lui mi aveva ribatido che non ricordava nulla della sera precedente.
Arrivammo dopo un venti minuti, andammo alla porta, non aveva le chiavi con se così suonammo sperando che Adie quella mattina non fosse andata al negozio e infatti per nostra fortuna dopo qualche secondo venne ad aprire. Billie la guardò di sottecchi, come un cucciolo bastonato, un lieve sorriso sulle labbra.
"Scusa.." sussurrò, ma non ne sembrava convinto, come se nemmeno lui sapesse per cosa.
"Che ha combinato?" mi guardò lei, dopo aver buttato un occhiata sul marito.
"E' svenuto allo studio.."
Ci fece entrare, Billie la abbracciò e gli chiese scusa almeno altre dieci volte nonostante lei gli avesse detto che era tutto ok, che non era stato nulla, che era tutto passato, io rimasi all'angolino, come il terzo incomodo ad un appuntamento di coppia, poi lui le diede un bacio sulle labbra e la guardò negli occhi.
"Vado a fare una doccia.."
"Okay amore.." gli carezzò una guancia accennando un sorriso e poi lo guardammo trascinare i piedi fin al piano di sopra.
"Allora?"
"Allora cosa?"
"Perché aveva questo?" le mostrai il flacone di ritalin e notai lo stupore nei suoi occhi "non dirmi che non ne hai idea ti prego."
"Io..no..non l'aveva fino a l'altro ieri, ne sono sicura.."
"Come fai ad esserne sicura?"
"Lo so Mike. Lo so e basta."
"Cos'è successo ieri? Non ricorda nulla di ieri sera, ricorda solo che doveva chiederti scusa, ha un vuoto.."
Sospirò e si sedette sul divano abbassando lo sguardo sulle punte delle proprie scarpe, io rimasi a guardarla in piedi di fronte a lei.
"Abbiamo discusso..un fottutissimo litigio e lo sai come fa quando litighiamo no? Ha preso ed è uscito..si è ritirato questa notte, saranno state le 2.30, io ancora non dormivo, ma ero già a letto, pensavo sarebbe salito in camera e mi avrebbe abbracciata chiedendomi di fare pace come ogni volta, ma invece è rimasto qui giù..o forse in cantina..io..non lo so..e poi quando questa mattina mi sono alzata lui era già uscito..io non so cosa sia successo, non lo vedevo da ieri, saranno state le 7.00 di sera.." deglutì a fatica quando sentii dei passi sulle scale.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


L'aereo prese velocità sull'asfalto caldo dell'aeroporto di Oakland e una volta decollato si lasciò la pista alle spalle allontanandosene sempre più velocemente, finché riuscii a distinguere solo gli edifici più imponenti di quella città che non avrei visto per un po' di tempo. Ero nuovamente in viaggio per una nuova esperienza, vivere a Broadway e fare l'attore, credevo molto in quel progetto, credevo molto in ciò che stavamo portando avanti, eppure avevo il presentimento che quei mesi non sarebbero stati i migliori della mia vita.
I giorni passavano lenti tra le mura di quel piccolo appartamento a Broadway, la routine er ancora più noiosa di quella che portavo avanti ad Oakland.
Mi alzavo dal letto solo all'ora di pranzo a causa del languorino allo stompaco, dopo un povero pasto congelato riascaldato al microonde mi infilavo in doccia per almeno un'ora rimanendo sotto l'acqua che scorreva con la stessa apatia con cui mi reggevo in piedi sul freddo piatto in ceramica, poi uscivo, mi avvolgevo un asgiugamano attorno alla vita e giravo per l'appartamento lasciando ogni tanto qualche gocciolina sulla moquette a trama gialla e rossa, tiravo fuori una delle mie tute e mi vestivo, lasciavo che i capelli mi si asciugassero addosso mentre aspettavo che si facesse l'ora di andare al teatro guardando programmi ben poco interessanti alla tv, poi mettevo le scarpe e uscivo in strada col giubbotto chiuso fin sopra la bocca per il freddo pungente che arrossava le mie guance in quel modo così fastidioso. C'era sempre una macchina ad aspettarmi sul lato opposto della strada che mi portava in teatro, arrivato lì mi mettevo i vestiti di scena, mi truccavano e sistemavano i capelli, facevo lo spettavolo prendendomi tutti gli applausi e l'entusiasmo del pubblico, mi rimettevo la mia tuta, tornavo al mio appartamento, mi invilavo a letto e la notte passava lenta e sileziosa.

Guardai la sveglia sul comodino e sospirai, era ormai una settimana che non riuscivo a dormire bene, era ormai una settimana che nella mia vita erano entrati quei demoni di mia spiacevole conoscenza.
Ero ancora forte, potevo resistere senza medicinali, senza l'aiuto di niente e di nessuno. Eppure quel flacone di sonniferi mi osservava con quel suo fare da diavolo tentatore, cominciai a sudare freddo e la voglia di dormire cominciava a crescere insieme al bisogno fisiologico del mio corpo di riposarsi, ma le palpebre sembravano non volermisi abbassare.
Presi il cellulare e la foto di Adie con i ragazzi mi illuminò il viso, sorrisi malinconico mentre la mia ombra si proiettava sulla parete alle mie spalle, come un enorme demone che cresceva a dismisura, come uno sconosciuto che ti si avvicina in un vicolo buio di un brutto quartiere, cresceva, cresceva, e continuava, nutrito dalla mia debolezza, dalla mia fragilità, una cosa era certa, non avrei permesso che quel demone sovrastasse le vite delle persone a me più care. Pensai di chiamare Frank, avevo bisogno di un amico con cui parlare, ma l'orario mi faceva essere un po' incerto, dovetti aspettare cinque buoni minuti prima di convincermi a farlo. Il telefono squillò per un po' di tempo, ma nessuna risposta, sicuramente i miei dubbi erano fondati e lui stava beatamente dormendo.
Mi alzai e mi trascinai in bagno, avevo delle profonde occhiaie che non riuscivo più a sopportare, che non riuscivo più a vedere sul mio viso, mi invecchiavano, mi imbruttivano, sembravo un sonnambulo che non dormiva da giorni, invece la mia insonnia era una cosa da niente, era una cosa da qualche ora in più svegli la notte, così dicevano i dottori, bastava una pasticca ogni tanto e avrei dormito tranquillamente, ma loro cosa ne sapevano? Cosa ne potevano sapere che poi io non avrei solo dormito grazie alle moltitudini di medicine che mi avevano prescritto, ma che avrei anche cominciato a viverci? Ero sempre stato un uomo tranquillo, solare, sorridente, da ragazzo ero un tipo dal carimsma trascinante, dall'umorismo travolgente, e ora ero qualcuno che nemmeno io riuscivo a riconoscere, non sapevo come gli altri non si accorgessero che quello che vedevano non era il vero Billie Joe, non lo potevo capire.
"Al diavolo!"
Tornai in stanza e mi accorsi a prendere il flacone sul comodino, lo aprii facendo leva sul tappo con i pollici e sentii un flop, poi il tappo cadde a terra adagiandosi sulla moquette, presi due sonniferi e li ingoiai sentendoli raschiare contro le pareti della gola, per aspettare che facessero effetto presi il mio fedele quadernetto nero insieme ad una penna, ma qualche minuto dopo ogni mio tentativo di scrittura risultò vano poiché le palpebre cominciavano a farsi pesanti e finalmente sentivo i nervi rilassarsi, sentivo il corpo abbandonarsi al sonno e così anche la mia mente.
Fu una notte tranquilla e al mattino mi svegliai col sorriso stampato sulle labbra, era proprio vero che il sonno è un rimedio per molti malesseri e malumori, però quel sonno era finto, era dettato dalle sostanze contenute nei sonniferi, però la mia mente assuefatta da quel meraviglioso riposo si convinse che potevo trovare benefici in tutte quelle pasticche di diversa forma e colore, mi convinsi che potevo imparare a farne buon uso, non ragionavo da ex tossico, ragionavo da normale persona che soffre di insonnia, avevo cancellato o meglio rifiutato il ricordo di quei giorni di parecchi anni fa, dimenticando cosa stavo per passare se avessi ripreso quella direzione.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


23 luglio 2011.
Una delle più calde giornate che c'erano state fino a quel giorno. Le mura di casa o il cemento della città non sembravano i posti più adatti per passarsi il tempo, così decisi di andare verso Newport beach per fare un po' di surf. Chiamai Joey per chiedergli se aveva voglia di venire con me, ma lui aveva ben altro a cui pensare, sapevo che Jake aveva concesso una giornata tutta a sua madre, quindi mi accontentai di andare solo, di sicuro non mi avrebbe fatto male.
Mi misi il costume, sopra un paio di vecchi bermuda neri che mi arrivavano poco più sotto al ginocchio e una maglia bianca con uno strano simbolo sulla schiena. Scesi in garage e tirai via un telo dalla mia tavola da surf, sorrisi e la presi sotto il braccio, pronto a caricarla in macchina, però la mia attenzione fu attirata da un altro telo steso sulla mia vecchia Ford verde acqua che mi aveva accompagnato per tutta la mia giovinezza, poggiai la tavola e tirai via anche quel telo, la macchina era in perfette condizioni, nemmeno un granello di polvere si era adagiato sulla sua carrozzeria, mi guardai attorno e trovai una corda non molto lontano da me, con questa ci legai la tavola al portapacchi della Ford, poi mi infilai nell'abitacolo e prima di far partire quel gioiellino dovetti fare vari tentativi.
Mi avviai per le strade californiane, col sole alto nel cielo, un braccio fuori dal finestrino e la radio sintonizzata su Virgin, canticchiavo ogni tanto qualche canzone, lasciandomi distrarre dal paesaggio.

The ice age is coming, the sun is zooming in
engines stop running and the wheat is growing thin
a nuclear error, but I have no fear
London is drowning and I live by the river


Ah i cari vecchi Clash, London calling mi faceva sempre pensare alla prima volta che vidi Mike, stavo ascoltando proprio quella canzone mentre stavo seduto come una sentinella sul muretto davanti quella stupida scuola. Erano passati un infinità di anni, eravamo solo dei pivellini, lui un ingenuo ragazzetto che fin da piccolo era stato sballottato a destra e a sinistra dalle sue famiglie adottive e io, io ero un ragazzo troppo incazzato con il mondo, ma credo che a quell'età sia anche normale, sopratutto quando si hanno validi motivi. Pensai a tutto quello che successe in questi anni, quando gli Sweet children stavano cominciando a fare i loro piccoli successi, quando poi Al ci lasciò, lasciò una band nelle mani di due ragazzetti che avevano pochissima esperienza, però poi arrivò lui, arrivò Frank, arrivò quel fratello che credendo in noi ci fece capire quanto potevamo valere e quanto era giusto continuare a fare quello che avevamo cominciato, perché evidentemente era una cosa che ci piaceva fare nella vita e non si poteva negare che fare musica non fosse ciò che più desideravamo fare, poi ci fu Adie, e lei fu un dardo scagliato dalla fortuna, lei fu come ho detto una volta, il regalo che mi aveva dato la vita, e il successo, e i figli, e tutto quello che mi aveva fatto arrivare dov'ero adesso.

..trovata morta nel suo appartamento di Londra, la cantante inglese ci ha lasciati all'età di soli 27 anni, per quello che sembra essere un eccesso nel suo vizio più pericoloso..

Venni riportato sulla terra da quelle parole, e cominciai a collegare i vari nomi che conoscevo di cantanti inglesi a quell'età, ma sarebbe stata una ricerca troppo vasta però la risposta arrivò dalla radio.
Amy Winehouse trovata morta nel suo appartamento per cause ancora da accertare, ma io, da alcolista, potevo solo immaginare cosa l'aveva distrutta.
Accostai al guardarail e guardai dritto di fronte a me. 27 anni. Non si può morire a 27 anni, non è giusto, a 39 anni mi rendevo conto che avevo ancora troppe cose da fare, figuriamoci a 27, non era giusto in un certo senso nemmeno nei confronti di quei 27enni che perdono la vita non per scelta loro, perché lei, doloroso da dire, ma aveva deciso di morire e io mi ero prefissato la stessa fine se continuavo in quel modo. Ebbi paura, ma non dell'alcool o della morte, per un momento ebbi paura di lasciare la mia famiglia sola, i miei amici nell'oblio della solitudine, ebbi paura che la mia vita finisse prima che io potessi portare al termine il mio compito, perché diciamocelo, tutti siamo qui per portare a termine un compito, per quanto questo possa o non possa essere importante.
Guardai il cielo azzurro e pensai a tutta quella gente che chi credeva diceva essere lì in cielo, io non sapevo dov'era mio padre, non sapevo dov'era Jason, non sapevo dov'era Amy, sapevo che forse ci sarei finito pure io insieme a loro, o meglio era sicuro, per questo non avevo paura della morte, perché prima o poi tocca a tutti, ma avevo paura di lasciare un vuoto nel mondo.
Contemporaneamente però ebbi paura che a nessuno sarebbe importato della mia morte, ebbi paura che nessuno avrebbe versato lacrime per me.
Non era giusto. Non era giusto distruggersi così. Non era giusto che una ragazza come lei era sola. Non era giusto che il suo unico amico era l'alcool.
Sapevo che infondo quella era anche la mia situazione, però c'era una profonda differenza tra me e lei, io non ero solo, anzi ero circondato di gente che mi voleva bene, però lei, lei era stata lasciata sola al suo destino, o forse aveva deciso di essere sola, io non lo potevo sapere, però in qualche modo mi sentii in colpa, perché magari le sarebbe bastato solo un amico, solo una persona di cui fidarsi, qualcuno con cui parlare che non fosse la sua immagine riflessa in uno specchio con un bicchiere di vino in mano.
Erano passati almeno cinque minuti da quando avevo spento la macchina, scossi la testa e rimisi in moto, si accese di conseguenza anche la radio e la sua voce riempì l'abitacolo.

They tried to make me go to rehab but I said no, no, no
yes, I've been black but when I come back you'll know, know, know
I ain't got the time and if my daddy thinks I'm fine
he's tried to make me go to rehab but I won't go, go, go


Ecco la profonda differenza tra me e lei, io finora non avevo mai superato il limite o meglio, era successo tanti anni fa, ai tempi di Insomniac, ma in quell'occasione decisi di chiedere aiuto, e l'avrei rifatto se avessi superato nuovamente il limite, ma lei non voleva, lei magari più che di gente che le dicesse 'vai in rehab' aveva bisogno di gente che le stesse vicina, che prendesse il posto della bottiglia verde scuro sul suo comodino.
Arrivai in spiaggia, ma ormai avevo abbandonato l'idea di surfare, così recuperai dal cruscotto qualche foglio e una vecchia matita e scesi dalla macchina. Mi avviai verso degli scogli vicino a riva, mi ci sedetti su e lasciai che la brezza marina mi consigliasse, che il mare mi sussurrasse le parole adatte, stavo scrivendo una canzone per una ragazza morta a 27 anni, morta per il mio stesso vizio, e sapevo quali sarebbero state le conseguenze, sapevo dove sarei finito dopo la gita in spiaggia, sapevo come sarei tornato a casa e ciò faceva crescere in me ancora più rabbia, perché a me non piaceva essere dipendente, da niente e da nessuno e odiavo la mia dipendenza, la vita era la mia e nessun farmaco o nessuna bevanda alcolica avrebbe dovuto avere voce in capitolo sulla mia vita, però ero pure debole e cedevo, e anche il mio essere debole mi portava ad odiarmi.
Se la gente avesse saputo ciò che stavo passando, ciò che stavo combinando sono sicura che sarebbe stato un continuo 'ma hai tutto dalla vita, perché lo fai?'. Beh è vero, ho tutto dalla vita, la vita mi ha dato tanto, ma mi ha anche tolto tanto, mi ha tolto un padre prima di tutto e ancora oggi non riuscivo a sopportarlo. Inoltre l'uomo è così, ha tanto, ma vuole sempre di più e magari se non riesce ad avere quel 'più' si sente vuoto e sente il bisogno di rifugiarsi in cose del genere, non c'è nulla di cui essere fieri, anzi, la razza umana è la peggiore che esista.

Amy don't you go,
I want you around,
singing woah
please don't go,
do you wanna be a friend of mine?

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Hey Adie, c'è Billie?”
“Certo, entra caro..” si spostò di lato per permettermi di entrare e sorrise.
“Come va?” sorrisi a mia volta baciandole una guancia.
“Oh bene..Billie è di sotto in cantina..”
“Oh, okay, allora vado..” sorrisi nuovamente e mi avviai lungo il corridoio fino alla porta della cantina, aprii la porta e scesi di qualche gradino, sentii gli accordi della sua Gibson nera arrivare alle mie orecchie, stava suonando, e sono sicuro che non era una canzone di mia conoscenza, si era messo a scrivere, il mio sorriso si aprì e mi sedetti a metà scala per non disturbarlo, riuscivo a scorgere solo la sua schiena nella penombra della cantina, la sua schiena curva su alcuni fogli sparsi per terra. Era bellissimo vederlo al lavoro, era bellissimo vedere come giocava con la musica, come ci lavorava, come lo rendeva un'altra persona.
Riprese a suonare e a canticchiare, quell'arpeggio sulle sei corde era qualcosa di meraviglioso come la sua voce, calda e soave, se fossi stato qualcun altro mi sarei ritrovato con gli occhi lucidi.
Appena finì di suonare mi alzai e cominciai a battere le mani mentre lui si girava di scatto verso di me, per capire chi lo stesse spiando, scesi qualche gradino, fino a giungere in cantina.
“Vaffanculo Mike!”
Risi. Sapevo che odiava quando si invadeva il suo spazio e amavo farlo incazzare.
“Che ci ridi!?” scoppiò a ridere anche lui e si alzò venendomi incontro, lo abbracciai dandogli qualche pacca sulla schiena.
Poi prese la chitarra e la mise apposto, raccolse i fogli da terra e li infilò in un raccoglitore e finalmente si girò a guardarmi.
“Che cos'era?”
“Cosa?”
“La canzone..”
“Oh..nulla..”
“Roba nuova?”
“Eh? Si..ecco..ho qualcosa..” si morse il labbro e si sedette per terra con le gambe incrociate, io al suo fianco, aspettando la sua prossima mossa. Aprì il raccoglitore e uscì un blocchetto di almeno venti fogli e me li porse, io li guardai alzando un sopracciglio e cominciai a sfogliarli, aveva almeno una trentina di canzoni scritte, lo guardai stupito, avevamo tanto, troppo materiale per mano, che intenzioni aveva?
“Quando ci avresti detto di tutta questa roba?”
“Io..Mike non ne sono sicuro..”
“Non ne sei sicuro? Billie..” presi un foglio a caso e lessi le prime due strofe “non sei sicuro di questo?” gli mostrai il foglio sorridendo a trentadue denti.
“Si, non ne sono sicuro perché sono troppe canzoni..non saprei quali dovremmo mettere in un disco e sono troppe tracce..”
“Per un disco solo!” lo interuppi.
“Che vuoi dire?”
“Che sono troppe per un disco solo, ma nulla ci vieta di registrarne di più!”
“Più album?”
“Si Bill! Cavolo non puoi non registrare roba come questa!” abbassai gli occhi sui fogli, nella mia voce c'era un entusiasmo incontrollabile, nei suoi occhi c'era tutta l'incertezza e la paura che un uomo può avere.
“La chitarra..le linee di basso..la batteria..è un botto di lavoro..”
“E' il nostro lavoro..dai Bill..sono due anni che i Green Day non si fanno vivi..”
“Lo so..però..okay, hai ragione..”
“Possiamo farcela..”
Mi guardò, io lo abbracciai, conoscevo quello sguardo, sapevo che quando aveva quello sguardo tutto quello che ci voleva era un abbraccio, perché doveva sentire che qualcuno credesse in lui, aveva bisogno di qualcuno che gli desse forza, che lo incoraggiasse, e c'ero io lì per lui, c'ero da sempre, e ci sarei sempre stato. Poggiò il viso sulla mia spalla e io gli accarezzai i capelli poggiando la guancia sulla sua nuca, socchiusi gli occhi e sorrisi, qualcosa ci legava da sempre, qualcosa che non sapevo descrivere, ma era una sensazione bellissima, com'era bello stare tra le sue braccia, com'era bello averlo sempre al mio fianco, com'era bello il mondo in quel momento, com'era bello il mare e il sole, com'era bello il suo respiro leggero, com'era bello il sorriso di Britt, com'era bella l'amicizia con Frank, com'era bella la nostra vita dettata dalla musica.
Sollevò il viso e mi guardò negli occhi sorridendo, si allungo verso la chitarra e la prese, la poggiò sulle ginocchia e abbassò gli occhi sulle sei corde, prese il plettro e cominciò ad improvvisare qualche accordo, poi prese un foglio dal mucchietto e lo mise davanti a se, io non fiatavo, sapevo che qualunque cosa l'avrebbe potuto distrarre e non volevo che ciò succedesse, si schiarì la voce e cominciò a cantare, senza staccare gli occhi dalle sue parole, senza perdere la concentrazione nemmeno un secondo.

..'cause you will always be my sweet sixteen..

Il pomeriggio del giorno stesso andammo a parlare con Frank, e gli facemmo leggere qualche testo, come era facile immaginare non vedeva l'ora di mettersi al lavoro, il giorno dopo avremmo parlato con Rob, e poi avremmo cominciato a lavorare sulle musiche e poi avremmo cominciato a registrare, avevamo un sacco di tracce e stavamo rischiando veramente tanto, ma noi eravamo nati per questo, per rischiare, l'abbiamo sempre fatto e sempre avremmo continuato a farlo, facevamo ciò che facevamo per noi, per dimostrare qualcosa a noi stessi, ci importava poco delle vendite.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


L'idea era questa: tre album venduti in tre date diverse, un dodici tracce per disco, tre copertine diverse, tre nomi diversi, tre stili diversi.
Stavamo rischiando troppo, me lo sentivo, però il brivido dell'adrenalina non mi lasciava nemmeno un secondo e questo mi convinceva che andare avanti era la cosa giusta da fare, amavo il rischio, e rincorrevo il pericolo.
Eravamo chiusi in studio dalla dieci del mattino ed erano già le sei del pomeriggio, non ce la facevamo più, ogni volta che sembravamo arrivati al punto d'arrivo scoprivamo che era quello di partenza. Stavamo cercando di fare una divisione logica delle canzoni, ma tutto sembrava un errore, una volta che trovavamo una sistemazione c'era sempre qualche canzone che sembrava stare nel cd sbagliato e ci scombinava tutto perché non bastava semplicemente spostarla, perché altrimenti spezzava l'equilibrio di tutte le altre.
Stavamo lavorando già da qualche mese, avevamo le musiche per le 37 tracce che avevamo scelto di quella sessantina che avevamo. Tutto si era fermato per lavorare a quei tre album, tutto si era fermato di nuovo per il lavoro.
Una volta andati via tutti dallo studio rimasi da solo con la Blue sulle gambe, poggiato con le spalle ad una parete vicino la porta, non avevo le forze di alzarmi, volevo rimanere lì ad accarezzare le corde della mia Fender fino allo sfinimento, era tutto ciò di cui avevo voglia. Cominciò a crescere in me la paura che quello che stavamo facendo non fosse più quello che volevo fare, cominciai ad aver paura di essere troppo vecchio per correre rischi da ragazzini, però nello stesso momento mi sentivo abbastanza maturo da portare avanti un lavoro del genere.
Confusione.
Ecco la parola adatta. Ecco cosa c'era nella mia testa. Solo pura confusione.
Massì, sarà la crisi di mezz'età, continuavo a ripetermi, o forse avevo solo perso il controllo?
Mi alzai e stiracchiai le braccia, misi a posto la Blue e spensi le luci, poi uscii dalla piccola sala registrazioni e mi chiusi la porta alle spalle, con la consapevolezza che tra qualche ora mi sarebbe toccato riaprirla, chiudermi nuovamente in quelle mura e lavorare, lavorare, lavorare.
Presi la macchina e mi avviai apparentemente verso casa, però sulla strada sapevo che avrei incontrato il mio pub di fiducia e sapevo che ci sarei entrato e sapevo come sarebbe finita, come tutte le volte.
Posteggiai in un vicolo accanto al pub e scesi dalla macchina, prima di entrare mi accesi una sigaretta e cominciai a fare lunghi tiri poggiato allo sportello della macchina, alzai gli occhi al cielo e osservai la luna spuntare tra i palazzi del quartiere, mentre qualche nuvola grigia di passaggio la copriva di tanto in tanto, poi chiusi le palpebre e buttai fuori il fumo dai miei polmoni. Sentii dei passi vicino a me, capii che si stavano proprio avvicinando a me così aprii gli occhi e buttai la sigaretta ormai completamente bruciata ai miei piedi e la calpestai contro l'asfalto con la punta del piede, poi alzai gli occhi e vidi Tom tutto sorridente che allargava le braccia.
“Guarda chi si vede!” appena mi raggiunse mi abbracciò calorosamente e io ricambiai sorridendo.
“Che ci fai da queste parti Tom!?”
“Un giretto ad Oakland ogni tanto non fa male a nessuno!” rise e mi posò le mani sulle spalle, guardandomi dalla testa ai piedi “Guardalo il nostro Billie Joe che da pivellino ribelle si è trasformato in un uomo con tanto di barba!”
“E tu non sei più lo stesso sfigato di una volta!” ridemmo entrambi.
Tom era un vecchio amico dei tempi del Gilman, era uno dei pochi con cui mi era dispiaciuto aver perso i contatti e mi rendeva veramente felice rivederlo.
“Beh te lo fai un giretto con me? Qualche birra al pub!”
“Emh..io..” non volevo ridurmi nel mio stato da sbronza in presenza di qualcun altro, non volevo che nessuno vedesse cosa diventavo quando l'alcool si impossessava di me e sapevo che quelle con Tom non sarebbero state qualche birrette, sapevo che saremmo andati oltre come le vecchie sbronze, per lui sarebbe stato ancora divertimento, per me no, per me la sbronza non era più divertimento.
“Dai avanti! Non puoi rifiutare!” mi mise un braccio attorno le spalle e mi trascinò verso il pub.
“Okay, okay, ma aspetta che mando un messaggio a mia moglie” risi e tirai fuori dalla tasca il cellulare, scrissi il messaggio ad Adrienne e mi fermai a fissare l'insegna, mentre Tom si avviava già dentro, feci un respiro profondo ed entrai anch'io.
Ci sedemmo ad un tavolino un po' nascosto, il solito tavolino dove mi sedevo per sfuggire agli sguardi indiscreti di chi mi conosceva e di chi non mi conosceva, ma che vedeva in me un povero alcolizzato solo e depresso.
Cominciammo ad ordinare le birre, raccontandoci tra un sorso e un tiro di sigaretta tutto quello che avevamo da dirci, più parlavamo più notavo il divario tra me e lui, era laureato e lavorava come amministratore in un ufficio, ma di sicuro non spiccava di intelligenza, non era sposato e non aveva figli, aveva perso tutti i suoi più cari amici poiché erano sparpagliati in giro per il mondo e da come parlava il suo lavoro non lo gratificava completamente, eppure era felice della sua vita, poi c'ero io con un lavoro che mi appagava in pieno e che era tutto quello che desideravo fare nella vita, una moglie fantastica, due figli eccezionali, i miei migliori amici sempre al mio fianco, eppure non riuscivo a scorgere nella mia vita la sua stessa felicità e non ne comprendevo il motivo.
Dalle birre passammo al Jack, al rum, alla tequila, e sentivo lentamente che i sensi della ragione e della comprensione mi stavano lentamente abbandonando, non ero più in me, non che Tom fosse più lo stesso che avevo incontrato un oretta fa, ridevamo in continuazione, mentre lui si divertiva a cantare le mie canzoni con quel suo accento da canadese di cui non si era mai liberato nonostante abitasse in California da quando aveva 4 anni.
“Andiamo a casa di mio cugino bello!”
“A fare!?” risi.
“Lì l'alcool è gratis!” si alzò barcollando e fece un giro su se stesso prima di cadere sulla sedia ridendo come un deficiente.
“Okay bello!” provai ad alzarmi e con mia sorpresa ci riuscii, forse cominciavo a reggere l'alcool come un grande esperto alcolista, forse per il mio corpo stava cominciando ad essere una sostanza non più estranea.
Uscimmo barcollando entrambi dal pub e andammo alla mia macchina, guidai io, tenendo il viso vicino al parabrezza e le mani incollate sul volante, cercando di non perdere il controllo a causa delle battute squallide di Tom che in quel momento avrebbero fatto ridere pure un morto.
Arrivammo a casa di suo cugino, non conoscevo la casa, non conoscevo suo cugino, realmente dopo tutto quel tempo non conoscevo nemmeno Tom, posteggiai e le ruote anteriori finirono sul prato all'inglese, scendemmo e Tom si attaccò al campanello, venne ad aprirci un tipo alto e snello, con un pigiama a righe e la faccia incazzata e assonnata.
“Tom! Che vuoi!?”
“We cugino!” Tom lo abbracciò buttandosi letteralmente tra le sue braccia e io entrai, come se fossi a casa mia, cominciando a curiosare in giro, mi diressi in cucina, e cominciai a ridere.
“Tuo cugino ha le presine con i coniglietti! Toooom! Alcoooool!” presi una bottiglia di Tequila messa sopra il frigorifero e la aprii, feci un lungo sorso e mi trascinai verso il salotto mentre Tom mi raggiunse dopo poco, mi buttai sul divano mentre suo cugino, Greg, credo si chiamasse, ci osservava incazzatissimo, sarà per l'alcool o per la mia forte fantasia ma riuscii a vedere il fumo uscirgli dalle orecchie.

La mattina seguente mi svegliai a causa dei raggi che filtravano dalla finestra che mi colpivano in pieno viso, strizzai gli occhi e mi passai una mano sul viso, non ricordavo nulla e apparentemente credetti di essere a casa mia, invece focalizzai pochi secondi dopo che quelle mura non mi erano familiari, mi misi seduto sul pavimento sul quale mi ero addormentato e mi stropicciai un occhio, sembrava non esserci traccia umana, mi alzai e trovai sul tavolino le chiavi della macchina, le presi e sgattaiolai fuori, salii in macchina e tornai verso casa, mentre l'effetto dell'alcool mi abbandonava, non sapevo nemmeno se avevo avvertito Adie, non sapevo nulla.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Avevamo cominciato un mini tour estivo, ancora nemmeno erano usciti i tre cd, ancora il lavoro non era finito e io ero esausto, sentivo di non farcela più, sentivo che sarei crollato del tutto da un momento all'altro.
Già in Italia ebbi un assaggio di quello che sarebbe successo tante altre volte se avessi continuato con i farmaci. Il mio zaino sembrava uno di quei sonagli per neonati ed ero arrivato ad un punto in cui non sapevo più quali pillole dovevo prendere la sera e quali dovevo prendere la mattina, così creavo un pericoloso mix di sostanze, aggiungendo al tutto una buona dose di alcool.
Sapevo che non potevo andare avanti così, sapevo che stavo facendo del male a me stesso e alla mia famiglia, ai miei amici, ai miei fan. Sapevo che un giorno, forse non molto lontano avrei superato il limite e a quel punto non so cosa avrei potuto fare, non so cosa sarebbe potuto succedere.
Mi svegliai dopo un pisolino pomeridiano nel bus, non avevo le forze quel giorno di salire sul palco, non ne avevo nemmeno la voglia. Era la vigilia della morte di mio padre, trent'anni erano passati e avevo messo in scaletta Wake me up when september ends, come in quasi tutte le scalette che portavamo ai concerti dal 2004. Però quel giorno era diverso, quel giorno non avevo le forze, di niente, ero come una persona che ha bisogno di qualcuno che gli dia la carica, o nel mio caso di qualcosa. Così non persi molto tempo e dopo aver ingoiato un tot di pasticche prese da diversi flaconi mi precipitai al frigo, presi qualche birra e la scolai velocemente, mancava un'ora al concerto, un'ora e sarei dovuto salire sul palco e fare il mio lavoro in qualsiasi stato mi sarei trovato dopo quelle birre.
Non sapevo cosa avevo immischiato, ma quel mix mi mandò in estasi, ero completamente eccitato, sembravo una molla, camminavo avanti e indietro, destando sospetti tra i membri della troupe, e i miei amici. Quello doveva essere un grande concerto, come gli altri del resto.

Le luci si abbassarono e le voci del pubblico diventarono più flebili. Mi asciugai il sudore dalla fronte passandoci la manica della camicia e impugnai la chitarra, presi un lungo respiro e cominciai a suonare gli accordi di quella canzone, già sentivo le ginocchia molli, già sentivo la malinconia crescere, già sentivo un groppo in gola, non sapevo se ce l'avrei fatta, ma dovevo provarci.
Cominciai a cantare, il pubblico tacque, chiusi gli occhi, non ero all'Irving Plaza, ero nel mio mondo, volevo sfuggire al dolore, volevo che tutto questo finisse, avevo solo paura di come potesse finire.

Thirty years as come and past..

Erano trent'anni che portavo dentro me un blocco, sapevo che poteva sembrare esagerato, ma realmente non mi ero mai ripreso dalla morte di mio padre, era successo tutto troppo presto, mio padre non aveva nemmeno le rughe quando mi lasciò, non aveva ancora vissuto, no cazzo non era giusto.
Quel flusso di pensieri non mi fece di certo bene, il groppo in gola si fece pesante e non riuscii a mandarlo giù, cercai di liberarlo urlando daddy al cielo, ma lui rimase lì tra le mie corde vocali, pronto a giocarmi un brutto scherzo sulla prossima strofa, infatti mi fece tremare la voce, tremare? Ma che dico, stavo piangendo, avevo la voce letteralmente spezzata in gola, ma mi sforzavo di tirarla fuori, mentre cercavo di non far cadere le lacrime, cercavo di ricacciarle, ma loro erano più forti di me e cominciarono a scendere, gli occhi di Mike si posarono su di me, sentivo che da un momento all'altro sarei caduto in ginocchio, non potevo andare avanti così, ero distrutto, da tutto quello che si era impossessato del mio corpo, non avevo più il controllo della mia vita. Finì la canzone e posai la chitarra su un amplificatore, andai dietro le quindi e finalmente potei scoppiare in forti singhiozzi e fiumi di lacrime che si mischiavano al sudore.


E il red carpet, e l'intervistatrice idiota, e artisti che non riuscivo a sopportare, gente ovunque, voci ovunque, e la birra in eccesso e la mia solita dose di pasticche, e la stanchezza, e la strafottenza che mi aveva preso in quel momento. Tutti elementi che avevano favorito il mio sclero isterico sul palco dell'iHeart radio.
Agli occhi di tutto potevo sembrare più carico che mai, potevo sembrare il Billie Joe di sempre, ma in realtà stavo indossando, per l'ennesima volta, una maschera, stavo nascondendo quello che realmente si presentava sul palco sotto il mio abituale aspetto, ma quello non ero io, quello era un qualcuno che odiavo, che volevo cancellare, distruggere, cristo non doveva più esistere.
Però si impossessava di me ogni volta e io non riuscivo a resistergli, non riuscivo a farmi valere, mi sembrava di aver fatto un patto col diavolo, di avergli venduto la mia anima. Indossavo una dannatissima maschera per nascondere ai miei fan in prima persona ciò che ero realmente, non avrei sopportato che loro avessero visto quella parte di me che tenevo ben nascosta.
Eppure quella sera la conobbero, conobbero un Billie Joe preso dall'alcool e dai farmaci, preso da un euforia che non gli apparteneva, da una rabbia rivoluzionaria esagerata, da una forma di superiorità che regolarmente lasciava da parte. Tra allusioni sessuali rivolte a Rihanna e toccate di culo, tra mezzi spogliarelli e balletti improponibili, quella che sembrava essere una pazza serata all'insegna dell'alcool, insomma come tante altre serate nella mia carriera, presto si trasformò in un incubo per tutti quelli che assistettero alla mia sfuriata.
Un fottutissimo minuto. Per un ritardo dell'esibizione precedente. Stavano levando a noi, Green Day, metà del tempo che avevamo inizialmente a disposizione. Avevo anche ragione, ma era sbagliato il modo in cui stavo esprimendo la mia rabbia. Cristo lui stava prendendo il sopravento, sentivo che non avevo più la forza di resistergli, sentivo di non riuscire più a opporre resistenza, non dovevano vederlo, non dovevano conoscerlo, ma in quel momento ero in completa confusione, non capivo proprio nulla, le mie azioni erano dettate da lui, non rispondevo più della mia vita, avevo perso, era tutto finito.
Spaccò la chitarra, la lanciò lungo la passerella, mandò a fanculo gli organizzatori, disse al pubblico che li amava.
Che cinico bastardo. Che pessimo bugiardo.
Era tutto uno sbaglio, tutto quello che portavo avanti dal 2009 era uno sbaglio, gliel'avevo permesso io e io solo dovevo pagarne le conseguenze e invece si stava ripercuotendo tutto sulla band, sulla mia famiglia.
Allontanai tutti quelli che tentarono di avvicinarmisi, avviandomi a passo svelto verso il mio camerino, sapevo quali sarebbero state le conseguenze, sapevo che la mia condizione ormai non la potevo nascondere a nessuno, sapevo di aver sbagliato, di essere la delusione di molti e questo mi distruggeva più di qualsiasi sostanza nociva. Mi buttai sulla poltrona di pelle e scoppiai a ridere, subito dopo però le lacrime inondarono il mio viso, stavo impazzendo, non distinguevo più nemmeno le emozioni. Ebbi paura, ebbi paura dell'overdose, ebbi paura del coma etilico, ebbi paura del mio corpo che sentivo si stava deteriorando.
Sapevo che l'abuso di alcool poteva portare al suicidio, e in quel momento stavo avendo una dannata voglia di farla finita, di liberare il mondo dalla feccia che ero sempre stato, di levare al mondo questo peso che gli avevo causato.
Quel pensiero non mi abbandonò finché non entrò Adrienne in camerino, aveva gli occhi rossi, inutile nascondere che aveva pianto, la conoscevo, lo capivo, e mi distruggeva, non volevo causare dolore a nessuno, non valevo così tanto, mi sentivo un verme, un inutile essere umano incapace di resistere, a tutto. Si inginocchiò di fronte a me e poggiò le mani sulle mie ginocchia sorridendo debolmente, è sempre stata una donna forte e lo sarebbe stata anche questa volta, sapevo che ce l'avremmo fatta, sapevo che ce l'avrebbe fatta, non trattenni le lacrime com'era mio solito fare in presenza di qualcun altro, continuai a piangere, singhiozzare, tirare su col naso, come un bambino al quale è caduto il gelato sul marciapiede, era tutto quello di cui avevo bisogno, dovevo piangere e cercare di espellere tutte le tossine, dovevo liberarmene.
“Q-quanto è sta-stato brutto?” dissi con le parole che mi morivano in gola.
“E' brutto..” rispose lei con uno strano tono, un brivido mi percorse la schiena, cosa stava succedendo? Cosa avevo combinato!?
“Billie ha chiamato Rob..dice che andrai in riabilitazione..domani mattina abbiamo il volo per Oakland..”
“E' giusto così..” presi un lungo respiro e mi passai le mani sul viso, asciugando le lacrime, mentre gli ultimi singhiozzi ripercuotevano il mio corpo, non avevo idea di quali ripercussioni potesse avere questo sulla nostra carriera, a soli quattro giorni dall'uscita del primo disco, in seguito ad una sfuriata, avevamo concordato che dovevo darci un taglio, che dovevo farmi aiutare.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Aprii gli occhi lentamente, infastidito da una forte luce che mi faceva vedere rosso attraverso le palpebre.
Sentii freddo sotto i palmi delle mie mani, talmente tanto freddo che credetti di essere morto, così sollevai le mani e le portai davanti gli occhi semichiusi, fino a coprire la luce e a far ombra sul mio viso. Erano vive, ma tremendamente pallide.
Cominciai a sentir freddo lungo tutto il corpo, non capivo cosa fosse.
Mi guardai attorno e riconobbi le sagome sfocate, ma familiari, degli oggetti che arredavano il mio bagno.
Il pavimento in cotto provocava dei brividi lungo la mia schiena.
Misi a fuoco meglio, avevo un forte mal di testa, non ricordavo nulla.
Cosa ci facevo a dormire sul pavimento del bagno di camera mia?
Che cazzo avevo combinato questa volta?
Mi sollevai lentamente e poggiai le spalle contro la porta, mi guardai i vestiti zuppi di sudore e mi passai una mano tra i capelli, anch'essi infradiciti e freddi.
Mi portai le ginocchia al petto e ci poggiai sopra le braccia incrociate, facendo affondare la testa nell'abbisso che c'era tra me e il pavimento, chiusi gli occhi cercando di ricordare anche solo qualcosa, ma niente.
Non so quanto tempo passò, ma dopo un po' bussarono alla porta e io sentii come delle martellate in testa, sollevai la testa e mi scansai dalla porta, strisciando sul pavimento, e vidi una chioma di capelli castani sbucare da uno spiraglio.
“Come ti senti?” mi chiese Adrienne, vistosamente preoccupata per come mi ero ridotto.

B-bene..” biascicai, mentendo vistosamente.
Lei spalancò la porta ed entro in bagno, dopo aver chiuso a chiave si inginocchiò davanti a me.
“Come ti senti?”
La guardai per minuti interminabili, nei suoi grandi occhi castani, quegli occhi che molti anni prima mi avevano stregato, lei aspettava una risposta, era stanca in viso, i capelli raccolti in un'alta coda le lasciavano allo scoperto tutti i lineamenti, era così bella, così splendete, un raggio di sole nella mia cupa vita.
“Billie..”
Il mio nome spezzò il flusso di pensieri che volteggiava nella mia vuota mente, così mi decisi a rispondere.
“Sei bellissima come la prima volta che ti ho vista.”
“Ti ho chiesto come ti senti..” mi poggiò una mano sul braccio, mordendosi il labbro di fronte quello spettacolo pietoso, quello scherzo che ero diventato.
“Ho mal di testa..”
“Ora passa..”
“Posso prend..”
“No.”
La sua voce così autoritaria come poche volte precedette la mia stupida richiesta. Ci guardammo per secondi interminabili, avrei voluto baciarla, ma non sapevo se era la cosa giusta da fare, le mie labbra avevano ancora lo stesso sapore di cui si era innamorata? Era delusa? Cosa avevo fatto? In cosa mi ero trasformato?
La verità è che non mi ero trasformato in niente, sono sempre stato io, ogni singolo momento, è solo che sono un diamante dalle mille sfaccettature, e questa volta avevo fatto uscire fuori la peggiore.
“Scusa..” chinai il capo sulle fughe del pavimento e lei mi prese il mento tra due dita, sollevandolo fino a farmi incrociare il suo sguardo.
“Ti amo Billie..”
“Anche io, Adrienne.”
Così, mi diede un bacio sulla fronte, come se fossi un bambino, si alzò e usci dal bagno, lasciandomi nella rovina di me stesso.
Ricordai perché ero lì, da due giorni era cominciata la mia riabilitazione, in casa, davanti gli occhi di mia moglie e dei miei figli, delle volte mi chiedo se non sarebbe stato meglio andare in un istituto.
Il bagno era un posto sicuro? Mi bastava alzarmi dal pavimento per trovarmi di fronte il mobiletto dei medicinali, e a quel punto avrei potuto mandare giù qualsiasi cosa, ma conoscendo Adie aveva svuotato tutto.
“Era tutto finito? Billie Joe Armstrong era finito? Quella roba lo aveva sconfitto?”
Risposi a tutto con calma, infondo non avevo altro da fare.
Non era tutto finito, non è finita fino a quando non sei sotto terra.
Quel mostro che si era impadronito di me non era Billie Joe Armstrong, lui stava nell'angolino, buono buono, ad aspettare di poter tornare in scena.
Quella roba non mi aveva sconfitto, e non aveva sconfitto il mostro che c'è in me. Lui ne è uscito fortificato, io indebolito, ma lui non lo ama nessuno quindi nessuno cerca di salvarlo, lo facevo io inconsciamente, ma ho chiuso, non posso tornare indietro, ma lo farei, vorrei cancellare tutte le delusioni che ho causato, ma non posso, e quel demone che c'è in me ha finito di vivere, non è stata la roba a sconfiggerlo, lo sto sconfiggendo io, lentamente, ci riuscirò.
Mi accasciai nuovamente sul pavimento del bagno, appallottolai il tappetino e ci poggiai la testa sopra, chiusi gli occhi e continuai a pensare a come rimediare, a cosa fare, cosa dire, a quanto tempo mi ci sarebbe voluto, a quanto tempo sarebbe passato dal mio ritorno ad una vita normale; poi le braccia di Morfeo mi avvolsero, fino a trascinarmi in un sonno quasi micidiale.

Mi svegliai accecato da una luce bianca, molto forte, sopratutto dopo il profondo buio in cui erano sprofondati i miei occhi.
Misi lentamente a fuoco l'ambiente che mi circondava.
Pochi elementi lo caratterizzavano; la stanza bianca sembrava essere molto grande, doveva essere anche per via di quella purezza delle pareti che la rendeva fin troppo luminosa, non notai oggetti attorno a me, così rivolsi il mio sguardo verso il pavimento, anch'esso lucente, come appena pulito.
Girai il collo a destra, poi a sinistra.
Lentamente e con la mia tipica pigrizia mi resi conto di dove mi trovavo.
Lenzuola bianche con un ricamo azzurro lungo i bordi.
Un odore forte e tipico del luogo in cui mi trovavo percorreva le mie narici fino ad arrivare al cervello al quale sembrava provocare una scossa.
Una forte fitta al centro delle tempie. Ci premetti contro due dita cercando di contrastare quel dolore.
Ero in ospedale. In quell'ospedale.
Fitta al petto.
Che mi succedeva? Stavo bene, almeno credevo.

Mi svegliai di colpo, non era un sogno, era come il flashback di un sogno, ero sicuro di aver già fatto questo sogno, non avevo idea di quando lo avessi fatto o di cosa succedeva dopo, ma sapevo che lo avevo fatto.
Feci un respiro profondo e chiusi nuovamente gli occhi, cercando di ricordare il resto del sogno.
Cos'era? Una premonizione? Sarei presto finito in ospedale? Magari ci sarei finito per overdose.
Vuoto totale, non riuscivo a ricordare niente.
La porta si aprì lentamente, io alzai lo sguardo e non vidi nessuno, ora avevo anche le allucinazioni.
Una lingua umidiccia e appiccicosa mi leccò la guancia, Cleo era entrata di soppiatto, io scoppiai a ridere.
"Hei cucciolotta!”
La guardai e le carezzai la testa, sorridendo, lei sapeva cosa mi stava succedendo e aveva paura per me, riuscivo a capirlo dai suoi occhi, mi scrutava, si chiedeva cosa facessi steso in bagno, tutto sudato, perché non la portavo a passeggiare, perché non ero più io.
Lei si accucciò accanto a me poggiando il musetto sul mio ventre, io cominciai ad accarezzarla sulla testa, dietro l'orecchio, sulla schiena, di li a poco si addormentò e io insieme a lei, di nuovo.

Alzai lo sguardo e cominciai a scrutare ogni minimo particolare, ogni piccolo indizio, e scoprii che la stanza non aveva finestre, solo una porta di faggio chiaro, quella tipica degli ospedali, con un rettangolo di vetro opaco.
La porta si spalancò dopo poco e tirai un sospiro di sollievo.
Forse finalmente qualcuno mi avrebbe spiegato che succedeva.
Tenni lo sguardo basso e notai delle scarpe maschili avanzare con una lentezza estenuante e io, con la medesima lentezza alzai il viso su quell'uomo.

Che ci faceva lui qui?
Si sedette ai piedi del letto.
Chiusi le labbra in una linea sottile e deglutii a fatica continuando a guardare l'uomo dritto negli occhi.
“Billie ritrova te stesso, hai superato tutto nella vita, la mia morte per prima cosa..”
“Non l'ho superato papà..”
“Sh..supera anche questo..”
“Ti ho deluso..”
“No, non mi hai deluso campione, sono fiero di ciò che sei diventato, gli errori li facciamo tutti, devi solo prendere in mano le redini, ce la puoi fare, credo in te.”

Mi svegliai nuovamente, con le lacrime agli occhi, il labbro inferiore che tremava e la mano poggiata sulla testolina di Cleo che ronfava tranquillamente, poggiata su di me come a proteggermi.
Non potevo perdere tutto questo, non volevo, Adie, i ragazzi, Mike e Frank, Cleo e gli altri cani che avevo.
Avevo una vita da invidia, e non potevo rovinarla, non era giusto, me la meritavo quella vita, ma ero stato irrispettoso nei suoi confronti.
Sorrisi inspiegabilmente, mi sentivo in pace con me stesso, ero ben felice di essere steso sul pavimento del mio bagno, con Adie che passava l'aspirapolvere ogni due minuti per mettere fine al silenzio che era piombato in casa dopo la mia riabilitazione, con Cleo che mi sbavava sulla maglietta e russava come una bambina col raffreddore, con Mike che mi scriveva e Frank che mi mandava messaggi. Ero felice perché stavo sconfiggendo i miei demoni, ed era la cosa giusta da fare, rimettere a posto la mia vita, ricominciare a vivere, trovare rifugio in altre cose, smettere di avere paura e vivere nell'ansia.
Sono più forte di tutto questo, lo sono già stato per cose molto più gravi, posso farcela, devo farcela.
Mi asciugai le lacrime e svegliai Cleo dolcemente, come se fosse veramente una bambina, e mi alzai, barcollai per un attimo a causa del sangue che mi affluì velocemente al cervello e aprii la porta, scesi di sotto, seguendo il rumore dell'aspirapolvere, trovai Adie in salotto, staccai la presa e rimasi a guardarla dall'angolino, lei si girò e sgranò leggermente gli occhi dallo spavento.
“Ti da fastidio? Scusa lo stacco..” si affrettò a dire, preoccupata di disturbare il mio sonno sul pavimento del bagno, mi avvicinai a lei senza proferire parola, la presi dai fianchi e le diedi un bacio a stampo, premendo le mie labbra contro le sue, facendole sentire tutto il mio amore e la mia gratitudine nei suoi confronti, poi mi staccai controvoglia, ma rimasi con la fronte poggiata contro la sua e gli occhi fissi nei suoi.
“Grazie.”
Poggiai nuovamente le labbra contro le sue e sentii le guance bagnate dalle sue lacrime, che piano piano si fusero con le mie, le nostre labbra si schiusero e ci travolse quello che sarebbe stato l'inizio di una nuova vita, di un nuovo me.

“Scusa Mike. Perdonami. Perdonami ti prego. Sono un idiota.” lo guardai con sguardo implorante, inginocchiato su quella panchina alla 'periferia' del parco, lo guardai dritto negli occhi, cercando di fargli capire che le mie scuse venivano dal profondo del mio cuore, che ero pentito, ma stavo lavorando per superare tutto, però avevo bisogno di lui, avevo bisogno di Frank, avevo bisogno della mia musica e dei miei migliori amici, altrimenti non ce l'avrei fatta, per come non ce l'avrei fatta a superare tutto quello che era successo negli anni precedenti.
“Cristo Billie ho avuto paura..ho avuto paura di perderti..” mi abbracciò e io ricambiai stringendolo forte, sentendo gli occhi umidi e le sue mani accarezzarmi la schiena.
Passò qualche minuto e dopo che entrambi ci fummo ripresi ci mettemmo a parlare del più e del meno, di tutte le cose che non c'eravamo potuti raccontare in quei giorni, non che avessi molto da dire, però lui si, e mi piaceva starlo ad ascoltare, mi piaceva immaginarci tra vent'anni su quella panchina, a ricordare i vecchi tempi e a tirare briciole di pane ai piccioni.



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Siamo arrivati alla fine dei giochi. Non mi sembra vero. E' finita. Ho il magone, mi viene da piangere, questa ff significa molto per me, veramente, è la mia piccola bambina e non avete idea di quanto mi faccia male che sia già finita, contemporaneamente però sono felice di essere giunta alla fine, è stato puro masochismo scrivere certe cose, beh spero vi sia piaciuta, non so se ci rivedremo presto, però sappiate che vi voglio bene.
Grazie infinite infine a chi ha sempre creduto in me, sempre, ha chi mi ha compresa e a chi mi è stata vicina. 
Grazie, grazie, grazie.
Rage & love, Joe.

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