Everything's gonna be fine.

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)Lo specchio distorto e il migliore amico del suo amore ***
Capitolo 2: *** 2)Il rischio biologico. ***
Capitolo 3: *** 3)Le lacrime del buffone. ***
Capitolo 4: *** 4)Ciao, è mattina, sono sobria e ti amo. ***
Capitolo 5: *** 5)Everything is gonna be fine. ***



Capitolo 1
*** 1)Lo specchio distorto e il migliore amico del suo amore ***


1)Lo specchio distorto e il migliore amico del suo amore

Alla verità del proverbio: “La vita è fatta a scale, quando qualcuno scende qualcun altro sale" ci ho sempre creduto.
È praticamente la storia della mia vita, solo che io le scale non le ho mai salite le ho sempre e solo scese guardando gli altri farcela e salire, allontanandosi da me.
Fa schifo quando senti la vita sfuggirti dalle mani e non hai idea del perché. Ti guardi allo specchio e vedi un essere umano come tutti, ma per gli altri devi essere una specie di mostro, visto che la gente non si avvicina a te nemmeno a pagarla e l’unico ragazzo che l’abbia mai fatto – l’unico che hai chiamato amico e poi amore quando nessuno poteva sentirti – si sia fatto una ragazza dimenticandosi di te.
Brutto.
Io sono lo specchio distorto della felicità degli altri, regolarmente registrata all’anagrafe come Jennifer Jenkins.
Detto chi sono io, tanto vale dire il nome del tizio che mi piace: Mark Hoppus, ripetente dell’ultima classe.
È un tizio abbastanza riconoscibile: ha i capelli viola, un sorriso da scemo e un abbigliamento da skater.
Per essere chiari è uno skater con il pallino del basso, con una sua band, il che lo rende ancora più figo, se possibile.
Il giorno in cui ha parlato a una disadattata sociale come – tutta presa dai suoi libri, dalle foto, dal disegno e dalle cose inerenti alla morte – ho pensato che fosse uno dei miei sogno o uno scherzo ben congegnato. Mi ci è voluto un po’ per capire che la mia mente non mi stava proiettando un sogno più vivido e lungo degli altri, né che ci fosse una cospirazione dietro questo.
I fighetti della scuola – i giocatori di football, di basket e i ricconi – non lo amano, lo tollerano solo perché fa ridere quelle oche delle loro ragazze.
È stato meraviglioso averlo al mio fianco, peccato che ora non sia più così, ora anche lui se ne è andato lontano da me. Ora anche lui passeggia mano nella mano con un’altra e non si cura più della sua amica tetra e poco popolare.
L’altra si chiama Josie ed è una cheerleader. Una di quelle ragazze iperattive dal corpo perfetto e amate da tutti. Un metro e settantacinque di magrezza su cui sono piantate delle tette, dei capelli castano dorati, sempre perfettamente acconciati e degli occhi castani con cui strega tutti.
Potrebbe fare la gattamorta con quegli occhi – e lo fa ogni tanto – ma la maggior parte delle volte questa Josie risolve le questioni a modo suo e senza l’aiuto di nessuno perché è una tipa sveglia, sicura di sé e indipendente.
È il sogno di ogni ragazzo ed era anche il sogno di Mark – e io lo sapevo bene viste le volte che mi ha detto che avrebbe voluto essere al posto di quello scimmione del ragazzo di Josie – ma io non gli ho dato peso. Ho fatto un fottuto errore di valutazione: ho creduto che continuando a frequentare me potesse innamorarsi di me mostrandogli la Jen migliore.
Tutte palle.
Non si è mai innamorato di me ed essendo un tipo persuasivo alla fine ha convinto Josie a mettersi con lui.
La mia solita fortuna.
Ci è persino riuscito nel modo più assurdo che un essere umano possa concepire: ha partecipato per lei a una gara di corsa ad ostacoli. Supportato da Tom e da Scott – i suoi compagni di band – si è iscritto, ma data la sua naturale goffaggine al secondo ostacolo è volato per terra.
Josie l’ha salutato, gli ha donato uno di quei sorrisi che le fanno avere mezza scuola ai suoi piedi e lui non ha visto l’ostacolo. Non ho mai visto nessuno cadere in quel modo e rialzarsi così distrutto.
Solo lui avrebbe potuto farlo.
Solo lui ha convinto la dea della scuola a mettersi con lui tramite una caduta spettacolare, non so cosa sia successo o si siano detti mentre lui veniva portato in ospedale per le medicazioni e lei gli teneva le mani in ambulanza.
Mark ci sa fare con le parole, deve averle fatto una dichiarazione spettacolare – che io invidio tantissimo – perché il giorno dopo sono arrivati a scuola mano nella mano.
E da lì è iniziato il mio inferno personale.
Ho perso il mio amico – il mio amore – per ritrovarmi a fare i conti con un ragazzo preso solo dalla sua ragazza e per cui sono diventata trasparente.
Non sto facendo la melodrammatica, Mark non mi vede più, per lui sono diventata parte dell’arredamento scolastico.
La prova? Eccolo che sta arrivando con Josie. Stanno facendo i piccioncini senza ritegno come loro solito, lui la sbaciucchia allegramente, lei fa le fusa: uno spettacolo rivoltante.
“Ciao, Mark.”
Lo saluto, alzando timidamente la mano.
Lui mi lancia un’occhiata brevissima e disinteressata e biascica un “ciao” mentre guarda verso l’aula di letteratura.
Io scuoto la testa, ributto le lacrime dentro di me – nessuno deve vedermi piangere in questa giungla, le case sono fatte apposta per sfogarsi – e mi avvio mesta verso l’aula di chimica.
L’ho perso e a questo punto mi chiedo se l’abbia mai davvero avuto.
Entro in classe con l’umore sottoterra solo per scoprire che il posto vicino al mio è occupato da uno dei compagni di band di Mark.
Cosa diavolo ci fa qui?
Di solito fa comunella con quel genietto di Scott Raynor e con Anne Hoppus, non perde tempo con me.  Io non so cosa fare, agire come se lui non sia lì forse è la migliore.
Con la guardia ben alzata mi siedo al mio posto e tiro fuori il blocco degli appunti, l’astuccio e il libro di testo. Lui sembra accorgersi di me e mi guarda.
“Ciao.”
“Ciao.”
Rispondo io.
“Tu sei l’amica di Mark, vero?”
“Sì.”
Pausa di silenzio.
“Non sei di molte parole.”
“Già.”
“Io mi chiamo Thomas DeLonge, ma mi chiamano tutti Tom.”
“Io sono Jennifer Jenkins, Jen per farla breve.”
L’arrivo del professore mi risparmia dal continuare questa conversazione che non so se valga la pena portare avanti. Seguo la lezione piuttosto svogliatamente – il mio cervello è con Mark e Josie e rimugina su cosa sia andato storto – quando finisce fuggo alla prossima senza curarmi di nessuno. Ho la vaga impressione che Tom mi chiami, ma non perdo tempo a controllare se sia vero o meno.
Seguo tutte le lezioni prestando attenzione a corrente alternata a quello che i professori dicono, pensando che non vorrei essere lì, ma in un altrove non ben definito come Gauguin con la sua Polinesia.
Arrivo a pranzo stanca e senza un filo di energia, prendo il rancio che ci danno e lo consumo nel mio solito tavolo solitario e ben nascosto. Non ho fame, ma non ho voglia di crollare come una pera cotta nel bel mezzo della lezione di ginnastica e farmi portare in infermeria.
Finito, butto gli avanzi e metto e posto il vassoio, così posso finalmente uscire.
Il liceo di Poway – come tutti i bravi licei d’America – è diviso per zone e a seconda di dove stai sei uno sfigato, un popolare, un cannaoiolo, un nerd o quello che è. Io ho trovato il mio posto che è fuori da tutte queste zone di guerra e ogni giorno mi fumo una sigaretta in pace.
Conto di farlo anche oggi, ma non appena accendo sento inequivocabilmente qualcuno chiamarmi. Alzo la testa e vedo Tom avanzare verso di me.
“Dì’ un po’ sei sorda o vieni da un qualche pianeta alieno?”
“Credo di essere una terrestre dotata di un buon udito.”
“Devi rivedere questo concetto. Dopo chimica ti ho chiamata, ti ho fatto cenni a pranzo e ti ho chiamata, ma tu niente.”
“Scusa.”
“Tutto qui?”
Mi guarda incredulo.
“Cosa ti aspettavi? Che ti declamassi la Divina commedia? Non ti conosco, non siamo amici e sono moderatamente certa che nemmeno Mark sia mio amico.”
Lui mi guarda senza capire.
“Non capisco, giravate sempre insieme.
“Lascia perdere, lasciami fumare in pace.”
Sono davanti alle scale che portano alla caldaia in piedi, lui si siede sulle scale con nonchalance e guarda alternativamente me e il cielo.
Boh.
Fumo la mia sigaretta in pace, butto la cicca per terra e faccio per andarmene, ma la presa di una mano sul polso me lo impedisce.
Tom.
Mi ero quasi dimenticata di lui.
“Dove vai?”
“A lezione, no?”
“Non devi dirmi qualcosa?”
“No.”
“Ah ah. Errore, Jenkins!”
Il suo tono è strafottente e i miei nervi iniziano a saltare.
“Cosa cazzo ti devo dire, DeLonge?”
“Mi devi spiegare perché Mark non è tuo amico.”
Inizia a venirmi un tick all’occhio destro, mi succede sempre quando qualcuno mi parla di Mark e Josie. Provo a controllarmi, ma niente, il dannato tick parte lo stesso dandomi un’aria da psicotica.
“Non è ovvio? Prima mi cerca lui, poi è sempre con me e ora che c’è quella vacca di Josie io ho smesso di esistere. Non mi cerca, lo devo fare io e a stento mi parla.
Sai cosa penso? Che il tuo furbissimo amico mi avesse adocchiato come sfigata asociale, un fonte assicurata di compiti se trattata con qualche carezza!”
“Mmh, a te piace Mark?”
“Va all’inferno!”
Sibilo irritata, lasciandolo come un baccalà e dirigendomi verso il liceo.
Già ho lezione di ginnastica – un qualcosa che odio dal profondo della mia anima nera – non ci si deve mettere anche lui con i suoi toni strafottenti.
Mi dirigo verso gli armadietti come una furia, prelevo la mia roba e mi fiondo in palestra. Gli spogliatoi sono vuoti – gli stronzi devono essere già tutti a lezione – e io mi cambio alla velocità della luce vomitando insulti a destra e a manca.
In palestra finisco per prendermi un rimprovero del professore, rimprovero che è costretto a rimangiarsi  quando giochiamo a pallavolo. Di solito faccio schifo, ma oggi immagino che tutte le palle siano le teste di Josie, Mark e Tom e le colpisco con violenza inaudita.
In breve tempo divento il terrore dei miei compagni e il professore rimane a bocca aperta.
Tiè!
A fine lezione sono stanca come non mai ed è un vero sollievo poter andare a casa: finalmente è finita!
Arrivo alla mia macchina per trovare una spiacevole sorpresa: Tom DeLonge è seduto sul cofano della mia macchina, lui e la sua faccia strafottente.
La tentazione di ignorare la mia macchinetta e prendere il pullman per andare a casa è fortissima – e sto per girare i tacchi ed andarmene – quando l’ospite indesiderato si accorge di me e mi fa cenno di raggiungerlo.
Merda!
“Non scappare Jenkins, mi devi un passaggio a casa.”
“Quando te l’avrei promesso?”
“Quando ti sei rifiutata di dirmi la verità sul perché tu sia così incazzata con Mark.”
Io alzo agli occhi al cielo, voglio strozzarlo.
“Sei una piaga!”
“E tu un’ipocrita.”
Lo fulmino con un’occhiataccia da manuale.
“Non osare dire mai più quella parola!”
“Perché? È la verità. Fingi di essere incazzata con Mark e di odiare Josie quando ami lui e odi te stessa per non esserti fatta avanti!”
“Io non fingo!”
Sibilo a denti stretti.
“Sì.”
“Scendi dalla mia macchina.”
“No.”
“SCENDI, CAZZO!”
“NO!”
“TI ODIO, TI ODIO E TI ODIO! COSA CAMBIEREBBE SE TI DICESSI CHE AMO IL  TUO AMICO? NON LASCEREBBE CERTO JOSIE PER ME, NESSUNO SANO DI MENTE LO FAREBBE!
MA TANTO A TE CHE IMPORTA? HAI AVUTO LA TUA RISPOSTA ORA VATTENE. VOI MASCHI SIETE TUTTI DEI BASTARDI!”
Uno schiaffo sonoro interrompe il mio soliloquio. Ha osato schiaffeggiarmi?
Con uno sguardo spiritato gli restituisco la sberla e tento di spintonarlo via, ma lui mi prende per un braccio. Cosa vuole fare?
Penso al peggio, invece mi abbraccia e basta, sono talmente sconvolta che mi metto a piangere intanto lo prendo a pugni.
Perché non mi lascia andare?
Vorrei urlarglielo in faccia di mollarmi, ma lui si mette ad accarezzarmi i capelli e mi sussurra all’orecchio che andrà tutto bene e il mio corpo – bastardo traditore – si rilassa.
“Forza, andiamo in macchina.”
“Lasciami andare, ti prego.”
“Non ci penso nemmeno.”
Apre la portiera dalla parte del passeggero e mi fa entrare, lui invece si mette alla guida: sono fregata.
“Perché sei qui?”
“Beh, volevo capire perché non ritenessi più Mark un tuo amico e poi sei finita nel bel mezzo di una crisi isterica, non potevo mollarti qui.”
Io continuo a piangere silenziosamente pensando che lo detesto e che sta rigirando il dito nella piaga.
Mark e Josie.
Josie e Mark.
E io, la stupida rifiutata, che si era illusa di poter contare qualcosa per lui.
“Non è necessario che mi accompagni a casa, so cavarmela da sola.
Mugugno vedendolo accendere la macchina.
“Non ti voglio avere sulla coscienza.”
Sulla mia faccia si dipinge un sorriso amaro, sono sulla coscienza di qualcun altro  se solo se ne fosse accorto.
Continua a guidare senza chiedermi indicazioni, ma questa non è la strada per casa mia, dove cavolo stiamo andando?
“DeLonge, dove stiamo andando?”
“Non ti preoccupare.”
“Mi preoccupo invece.”
Lui tace e continua a guidare fino a quando arriviamo al parco della nostra cittadina: lì si ferma e parcheggia.
“Forza, scendi.”
Sbuffo e scendo, cosa diavolo sta tentando di fare?
Entriamo, si ferma a un chiosco e prende una crepes e due coche, poi mi fa cenno di sedere su una panchina.
Agli ordini, mein fuhrer! Hail DeLonge!
Sulla panchina mangiamo in silenzio, lui ogni tanto mi guarda – come a studiarmi – irritandomi. Perché diavolo mi ha portato qui se deve continuare a guardarmi come se fossi un alieno?
“Non sono un alieno!”
“Sto cercando di capirlo.”
Mi risponde lui serafico.
“Ah, che carino. Sono talmente brutta che non mi ritieni nemmeno una terrestre?”
“No, sei solo strana.”
 “No, sono solo preoccupata perché un perfetto estraneo mi ha presa e portata al parco contro la mia volontà: si chiama istinto di sopravvivenza.”
“Uno: non sono un perfetto estraneo, ci siamo presentati. Se tu ti ostini a trattarmi come tale è un problema tuo.
Due: se fossi un maniaco a quest’ora ti starei già stuprando.”
“Allora devi essere pazzo, preferisci ascoltare le lagne di una ragazza che fare altro.”
“L’alternativa sono i compiti di matematica, tu sembri più gestibile.”
Io sbuffo e scuoto la testa, bevendo un’altra sorsata della mia coca.
“Allora, ti va di parlarmi di Mark?”
“Non c’è niente da dire, è la storia più antica del mondo.”
“Io sono nato ieri.”
Che tizio irritante!
“Sei irritante!”
“Preferisci che diventi un maniaco? Posso farlo subito!”
Si alza con fare deciso dalla panchina e mi prende per un polso, trascinandomi verso il capanno incustodito dei guardiani.
“Ehi, che fai? Lasciami andare!”
Lui mi ignora e per quanto io mi divincoli la sua presa è salda, l’altezza e il fatto che pesi più di me sono dalla sua parte.
“Lasciami!”
Scoppio di nuovo a piangere e questa volta quando si volta per abbracciarmi – questo tizio è matto come un cavallo! – gli tiro un pugno al petto che lo fa piegare in due.
“Vattene.”
Farfuglio.
“Vattene!”
Lui alza le mani, ma tiene lo sguardo incatenato a terra.
“Scusa, non facevo sul serio, non pensavo che te la prendessi così tanto.
Scusa, era una cavolata.”
Io continuo a piagnucolare anche se vorrei darmi un freno, lui alla fine mi abbraccia e non viene respinto.
Mi riporta alla panchina e mi guarda
“Vuoi raccontarmi di Mark?”
“Non c’è molto da dire. Io sono l’asociale della scuola, non sono abituata al fatto che la gente mi parli e mi tratti da essere umano e quando il tuo amico l’ha fatto mi è sembrato un sogno.
L’ho trovato subito carino e conoscendolo ho scoperto che era anche una brava persona, ma forse mi sbagliavo.
Mi piaceva avere qualcuno con cui parlare, lui mi riempiva la testa di voi, della band e di Josie, ma non ho dato peso all’ultima cosa dato che mezza scuola è ai piedi di quella vacca.
Credevo che continuando a frequentarmi e ad avere sotto gli occhi la Jen migliore potesse innamorarsi di me. Mi sono sbagliata, non è mai successo.
Erano tutti film nella mia testa.
Un bel giorno è arrivato fidanzato con Josie e la cosa è semplicemente finita, non mi saluta nemmeno più. Fine.”
“Mark è una brava persona, non lo sembra solo.”
Io alzo gli occhi al cielo.
A casa mia le brave persone non smettono di salutarti da un momento all’altro e iniziano a trattarti da invisibile senza un motivo.
“Come vuoi. Cosa ci trovate tutti in Josie?”
“Beh, ha un corpo da favola. Deve essere bravissima a letto, è molto intelligente, dovresti sentirla mentre discute delle mostre che va a vedere o dei libri che ha letto.
È appassionante.
Poi le piace lo sport, è brava a basket e a baseball. Fa skate, le piace il punk ed è autonoma.
Non è una di quelle seccatrici che hanno bisogno di te ogni due per tre o ti trascinano per negozi per schiaffarti in mano tonnellate di borse piene di merda inutile.”
A ogni elogio a lei il mio cuore sprofonda sempre di più fino a raggiungere le profondità infernali.
È la ragazza perfetta, che chance potevo avere io?
Io con il mio metro e cinquantacinque, il seno inesistente, i miei scialbi capelli castani  e due occhi di un ordinario blu?
Io che sono un’insicura cronica?
Io che non sono mai stata nemmeno baciata?
Nessuna.
“Grazie, ora ho capito perché non sceglierà mai me.”
Mi  sto alzando quando vedo Mark avanzare con lei attaccata al braccio, non ci hanno visti  e se la ridono felici.
Lui fa una battuta, lei ride e poi si baciano appassionatamente.
Praticamente la coppia perfetta, quella che io non sarò mai.
Ricado pesantemente sulla panchina con le lacrime agli occhi, spero vivamente che non mi vedano, ma sembrano decisi a venire da questa parte.
Che faccio?
Ci pensa Tom a risolvere a modo suo la situazione prendendomi in contropiede.
Con una mossa rapida fa in modo che io vada dietro di lui e poi mi attira a sé e mi bacia.
Non un bacio a stampo, un bacio di quelli con la lingua.
Un bacio di quelli che non ti scordi.
Un bacio a cui io rispondo.
Che cazzo sto facendo?

Angolo di Layla.

Salve, spero che questa  Tom/Jen vi piaccia. Non è finita, sono indecisa se scrivere e pubblicare il quinto capitolo o fermarmi al quattro, per questo la sto pubblicando prima di aver finito di scriverla. Per avere un parere da voi.
Spero di ricevere qualche recensione e che vi piaccia.
Non so cosa altro dire .____. scusate

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Capitolo 2
*** 2)Il rischio biologico. ***


2) Il rischio biologico.

 

Ci sono attimi che sembrano infiniti anche se durano pochi secondi: quando si apre l’ascensore e non sai se dovrai condividere uno spazio esiguo con uno sconosciuto imbarazzato quanto te, quando la prof di matematica annuncia i voti e tu speri sempre che sia sopra la sufficienza, quando entri in una nuova classe e hai tutti gli occhi puntati addosso e quando baci qualcuno che non crederesti possibile.
Fino a questa mattina il tizio che sto baciando era un perfetto estraneo – un fantasma che mi nominava spesso Mark – poi è salito al grado di conoscenza e alla fine a quello di seccatore.
E ora mi sta baciando.
Perché? Perché gli faccio pena?
Per zittirmi?
Per nascondermi da Mark?
Perché gli piaccio?
E io perché sto rispondendo?
Vorrei trovare risposta almeno a una di queste domande o almeno avere il tempo di farle al diretto interessato, ma Tom DeLonge – finito di baciarmi – fugge come se avesse Satana alle calcagna lasciandomi come una fessa sulla panchina.
Ho almeno quindici secondi di vuoto mentale in cui guardo lo spazio attorno a me senza vederlo sul serio, poi mi risveglio e lancio un’imprecazione.
I bambini che giocano nel vicino campetto di baseball mi guardano incuriositi, io non li calcolo, nella mia testa c’è un spirale di pensieri contorti che fa un discreto casino.
Abbastanza casino da non riuscire a trovare una fine e un nesso logico alle schegge di fatti che mi rimbalzano in testa.
Fanculo.
Guardo gli alberi vicino al laghetto, sono aceri canadesi e sono uno spettacolo per gli occhi. Una macchia rossa in mezzo a tutti gli altri che sono arancioni o gialli, una macchia di sangue, la vittima insospettata dell’oscurità della vita.
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.”
Sono versi di un poeta italiano sentiti chissà dove e chissà quando, ma mi ritornano in mente guardando quell’acero. Siamo tutti in bilico come quelle foglie, non ci aspetta la morte, ma la distruzione delle nostre convinzioni sì.
Pensavo di amare Mark, ma ho baciato un altro. Che faccio?
La mia parte razionale manda strali contro l’assurdità e la stupidità di questo dilemma e mi incita ad andare a casa a finire la caterva di compiti di matematica che ci hanno assegnato.
Le do retta, chiudo questo bacio nella zona “Bio Hazard Keep out” del mio cervellino stanco e  vado a casa.
Lì trascorro due amabili ore a litigare con i misteri della matematica, imprecando ad alta voce  e maledicendo qualsiasi cosa mi capiti sotto mano con questa scusa.
Alla sera sono esausta e decido che Tom DeLonge può tranquillamente stare nella zona “Bio Hazard” e che da domani fingerò di non conoscerlo, come se oggi non fosse mai esistito.
Mi sembra un' ottima decisione.
La mattina dopo mi alzo rintronata come non mai, nemmeno due tazze di caffè forte mi rimettono in sesto del tutto.
Odio dover andare a scuola in queste condizioni!
Il liceo di Poway poi non riserva particolari sorprese: i corridoi sono affollati dai soliti gruppetto e la coppia Mark/Josie dà spettacolo.
Bella merda!
Vorrei staccarle  la lingua a quella zoccola!
Sto imprecando sottovoce – tirando fuori i libri per le lezioni di oggi – quando qualcuno si appoggia di peso all’armadietto accanto al mio.
Senza troppo interesse sbircio con la coda dell’occhio e tutti i miei allarmi si mettono a suonare.
La regina Josie Perry si è appena appoggiata al mio armadio, ci sono guai in vista.
Che palle!
“Buongiorno Jenkins”
“Buongiorno Perry, come mai parli ai pezzenti oggi?”
“Poco sarcasmo, carina e stammi a sentire.
Smettila  di fare quello sguardo da cucciolo abbandonato ogni volta che passa Mark. Sei un imbarazzo per me e per la società, Mark è il mio ragazzo non il tuo, mettitelo in testa.
I ragazzi come Mark non scelgono le sfigate come te.”
Detto questo se ne va, lasciandomi addosso la voglia di spaccare il mondo e di farla secca. Stupida puttana, come si permette?
Butto i libri nella borsa animata da una furia assassina, vorrei ucciderla in questo momento. Vorrei vedere la sua bella testa piena di riccioli castani e di indipendenza rotolare per terra e poi prenderla a calci.
Infuriata come non mai entro nei bagni senza fare nemmeno fare caso se siano quelli dei ragazzi o delle ragazze.
“Brutta puttana di merda spero ti venga un ictus! Spero che tu venga travolta da tredici tir, come cazzo ti permetti?
Io sono una sfigata?
Ma se fino all’altro giorno nemmeno lo cagavi uno come Mark perché era sfigato come me, come cazzo ti permetti di venire da me?
Come cazzo?
Sei solo una merda! Una fallita!
Spero che lui ti molli quando sei incinta di tredici gemelli troioni e bastardi come te!”
Il mio sfogo si accompagna al prendere a pugni la porta di uno box facendola oscillare pericolosamente, fino a che due braccia si stringono saldamente intorno alla mia vita e mi costringono a voltarmi.
Bio Hazard! Ho davanti Tom DeLonge!
“Che ci fai qui? È il bagno delle ragazze questo!”
“No, veramente è il bagno dei ragazzi e dentro il box che stavi distruggendo c’è un tizio che è troppo terrorizzato persino per parlare.”
“Ha ragione!”
Esclama una voce flebile da dentro il box.
“Oh merda! E io che mi ero detta di non parlarti più, merda!”
Lui alza un sopracciglio e non commenta, grazie a dio.
Questo è uno dei momenti in cui scomparirei volentieri dalla faccia della terra, non solo mi hanno sgamato durante una crisi isterica, ma  mi ha addirittura beccato chi dovevo ignorare totalmente .
Merda!
Un cigolio timido mi distrae dai miei pensieri, dalla porta ammaccata del box esce un ragazzino del primo anno.
“Scusa.”
Lui bela qualcosa e scappa.
Grandioso, ho traumatizzato un innocente!
“Allora, che lezione hai?”
“Arte.”
“Bene ce l’ho anche io, andiamo.”
“NO!”
Lui mi guarda esasperato.
“Perché vuoi fingere che non esisto? Non ha senso!”
“Per quello che è successo ieri.”
“Il bacio? Ma non è niente. Non significa niente, non farla troppo seria.”
Continua a parlare mentre esce dal bagno credendo che io lo segua, io invece guardo la sua schiena allontanarsi e mi sento come se fossi l’unica persona rimasta sul pianeta.
Ho il vuoto cosmico che mi è scoppiato nel petto, come se Tom avesse dato origine a un buco nero in grado di risucchiare tutto.
Ci sono baci che non significano nulla per le persone che li danno, baci che si danno per hobby e io ho sprecato così il mio primo bacio.
Il fatto che io sia nel bagno dei maschi mi dà la spinta per uscire, solo che non mi dirigo nella classe di arte, esco dalla scuola. La mia metà sono le tribune del campo sportivo, a quest’ora ci sono solo i fattoni, non è il massimo per fumare in santa pace, ma Tom ha scoperto il mio primo nascondiglio.
Cammino per il cortile sentendomi una ladra e tiro un sospiro di sollievo solo quando raggiungo le tribune, con calma inizio a scavalcare le sbarre di metallo o a strisciare.
Incappo in un paio di messicani che stanno fumando erba.
“Ehi, gringa!”
Mi fa il primo che non potrà avere più di dodici anni.
“Vuoi un tiro?”
Sto per rispondere con un secco no, quando qualcosa mi fa cambiare idea.
Perché no?
Se la gente bacia alla cazzo di cane io potrò concedermi un tiro, no?
“Sì, perché no?”
Mi siedo  e accetto la canna, tirando una boccata che mi fa tossire come una dannata.
“Sei una novellina, eh?”
“Sì, è la prima volta. Tua madre non ti avrà partorito con una canna in mano, no?”
Ridono e cominciamo a chiacchierare mentre lo spinello fa più volte il giro.
Alla fine mi sento la testa leggera e il principio di un abbiocco. Il sole è caldo, non ho voglia di andare alla lezione di arte per beccarmi il mio rischio biologico e quindi assecondo la sonnolenza
La testa ciondola, io mi sdraio e lascio che il sonno cada su di me, mentre gli altri due ridono.
Mi sembra di aver dormito solo cinque minuti quando qualcuno mi scuote con poca gentilezza.
“Svegliati, bella addormentata! È già arrivato l’intervallo!”
Con un po’ di fatica apro gli occhi e faccio un salto, Tom DeLonge mi sta fissando con aria poco gentile.
“Tanfi di marijuana, mi hai abbandonato facendomi fare la figura del cretino solo per fumarti un po’ di erba?”
“Che ti frega? È come il nostro bacio, non ha significato!”
Faccio per alzarmi, ma barcollo e se lui non fosse veloce ad afferrarmi sarei caduta per terra.
“Buona, bad girl. Ci vuole un po’ per smaltire quella roba.
Cosa ne dici di raccontarmi perché stavi prendendo a pugni una porta innocente nel bagno sbagliato e terrorizzando una matricola?”
“Tu non dovresti esistere!”
“E che palle! Guarda che ti lascio qui e poi sono cazzi tuoi se ti senti male!”
Si alza piuttosto arrabbiato, sarebbe bellissimo vederlo andare via se solo in me non si attuasse una drammatica scissione: una parte vuole che se ne vada, l’altra che resti.
“No, fermati! Scusa!”
Urlo alla fine.
Lui torna sui suoi passi e si siede accanto a me, passandomi un braccio intorno alle spalle, la parte traditrice ne approfitta per appoggiarsi grata alla sua spalla e al suo petto.
“Ti stai scusando sul serio?”
“Beh, c’è una parte di me che pensa sia necessario, a quanto pare.
Credo che la mia personalità si sia scissa.”
“Perché mi odi così tanto?”
“Mi hai baciato e te ne sei andato e poi l’hai detto che l’hai fatto così senza un motivo.
Poco carino.
Non si fanno prendere questi colpi alla gente.”
“Scusa, frase infelice.
Facciamo finta che non sia successo niente.
Rewind! Per quale cazzo di motivo stavi prendendo a pugni una porta?
Ti faceva così schifo?”
“No, devi ringraziare la tua adorata Josie.”
“Non è mia o il tuo adorato Mark potrebbe evirarmi e io ci tengo al mio pisello.”
“Oh, già. Immagino:”Scusa, ti ho scopata così. A caso. Perché mi si era rotta la tv e non sapevo cosa fare!”
“Che bestiolina che sei! Che ti ha fatto Josie?”
Io sbuffo.
“Oggi la regina si è appoggiata all’armadietto accanto al mio per comunicarmi un paio di cose: di smettere di guardare Mark con l’aria di un cane bastonato, che sono un imbarazzo per lei e per la società.
Ah! E che i ragazzi come Mark non scelgono le sfigate come me.”
“Non me lo sarei mai aspettato da lei.”
“Eh, già. Immagino che le sue bocce ti abbiano distratto.”
“Ne ha un bel paio! Sono un ragazzo!
Comunque ti ha detto delle cose poco carine, capisco perché fossi così arrabbiata.”
“Già è dura ingoiare questo rospo in più arriva Miss Liceo-di-Poway a farti pesare la sua superiorità. Che merda!
Non posso far sparire in tre secondi la mia cotta per Mark e non credo di dovermi vergognare del fatto che sto male.
Coglionazza!”
“Per essere una secchiona ne dici di parolacce!”
“Sono un essere umano, prima di tutto!”
“Posso provare a parlare con Josie, se vuoi.”
Io abbozzo un sorriso amara, conosco la melma in questione, non funzionerebbe.
“Apprezzo l’offerta, ma sarebbe solo peggio. Mi tratterebbe da sfigata che è subito corsa a piangere dall’amichetto.”
Lui rimane in silenzio.
“Jen, posso abbracciarti?”
“Mi hai baciato senza motivo e ora chiedi di abbracciarmi?”
“Che tizia complicata, io volevo solo essere carino e tentare di redimermi!”
Io ridacchio – che cosa? – e annuisco.
Lui mi porta sul suo petto e mi stringe a sé, piano. Sento il suo cuore battere ed emette calore, inoltre profuma di cocco, come se si fosse messo la crema solare.
“Che buon profumo. Crema solare?”
“Sono di pelle delicata, sono mezzo francese.”
“Strano che tu non abbia ancora preso fuoco al sole delle California!”
Lui ride e mi scompiglia i capelli, per poi seppellirci la testa.
Ok, la mia personalità si sarà drammaticamente scissa, ma è innegabile che io stia bene tra le sue braccia.
Oh, merda! E adesso? Cosa faccio?
Come faccio a farlo rimanere nella zona Bio hazard del mio cervello?

 

A quanto pare – almeno per oggi – tenerlo fuori dalla vita è impossibile. Mi accompagna a ogni lezione, mi fa compagnia a pranzo e poi si infila nella mia macchina una volta finita la scuola.
“Vuoi infilarti anche nel mio letto già che ci sei?”
Lui ride.
“Potrei prendere sul serio la tua offerta, sono un ragazzo mi piace infilarmi nei letti delle ragazze.”
“Dormo in un letto da fachiro circondato da un fossato di coccodrilli.”
“Me li farò amici. Beh, stai tranquilla comunque, voglio solo portarti in un posto in cui spero il tuo spirito polemico si placherà un attimo.”
Lo guardo scettica mentre ingrana la marcia a parte, pensando che devo essere pazza a permettere a un perfetto estraneo di prendere la mia macchina e di portarmi da qualche parte.
Potrebbe portarmi nel deserto, violentarmi, ammazzarmi e lasciare il mio corpo in pasto ai condor per quel che ne so.
Lui fischietta tranquillamente e si dirige fuori dalla città. Ecco, lo sapevo mi porterà nel deserto, ma io non sarò una vittima facile da ammazzare!
Non andiamo nel deserto, prendiamo l’autostrada per San Diego e lui non dice una cazzo di parola che sia una, questo silenzio finisce per  innervosirmi sempre di più.
Dove cazzo mi vuole portare?
Alla fine usciamo a San Diego e segue le indicazioni per la spiaggia, forse so dove mi vuole portare.
Come pensavo parcheggia vicino alla spiaggia, reperisce una coperta dal bagagliaio e mi trascina verso il lungomare.
Camminiamo a lungo alla ricerca del punto in cui inizia la spiaggia libera e poi entriamo, lui stende la coperta vicino al mare e si siede. Senza dire una parola.
Io lo imito, mi tolgo le all star rosse, mi godo il caldo della coperta sui piedi nudi e guardo l’oceano.
È grigio scuro, triste, ma bellissimo. I gabbiani volano bassi e lanciano i loro richiami striduli.
Ha ragione, mi sto calmando.
Non penso a Mark e a Josie e a quanti mi piacerebbe far fuori in modo sanguinolento quella vacca da quattro soldi.
Penso solo al cielo, al mare, alla brezza fresca che mi accarezza e al silenzio che sta mantenendo questo ragazzo che ha tutta l’aria e la fama di uno quelli logorroici da paura.
Mi sta rispettando e ha fatto qualcosa per me.
Una cazzata, una cosa da poco conto, ma che mi ha fatto stare bene.
Forse dovrei ringraziarlo e riconsiderare i miei progetti di far finta che non esista.
Un gabbiano grida ancora e io vorrei essere quel dannato gabbiano: libera, lontana da tutto e da tutti, senza pensieri se non il cibo.
Sarebbe bellissimo!
Sono solo Jen invece, una diciassettenne rifiutata dal suo amore e insultata dalla ragazza che lui ha scelto.
Non sono un animale, sono un essere umano .
“Grazie.”
Mormoro, so che mi sentirà.
“Prego, a patto che tu smetta di far finta che io non esista.”
“Potrei considerare l’ipotesi.”
Lui sorride e i gabbiani ricominciano a gridare.
Va bene così.

Angolo di Layla.

Ringrazio le due recensitrici, penso di scrivere anche il quinto capitolo.

Eve182:: sono contenta che ti piaccia, puntavo a un finale a sorpresa.

MatyOtaku:Beh, sì è probabile che somigli a Ruby, perché sia lei che Jen sono uhm me xD. Diciamo la base fondamentale del carattere, ecco. en è più romantica sì, comunque. No, Tom non è troppo normale e diciamo che mark mi serviva stronzo pert esigenze di copione, così come Josie. Per il quinto capitolo è una specie di coda, ma penso possa servire.

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Capitolo 3
*** 3)Le lacrime del buffone. ***


3)Le lacrime del buffone.

 

Ci sono verità con cui devi scontrarti prima o poi nella vita: una di queste è che non puoi sempre cacciare una persona dalla tua vita perché, a volte, è come se si sia destinati a stare insieme.
Io avrei voluto tenere Tom fuori dalla mia vita e Mark dentro, ma mi accorgo che son due cose impossibili.
Per quanto riguarda Mark ogni volta che lo vedo una voce mi ripete beffarda le parole di Josie, quindi cerco di evitarli. Sembro una ridicola profuga –  pronta a scattare al minimo rumore – quando passano in corridoio, perché me la batto sempre.
Sono ridicola perché non sempre mi riesce di nascondermi e diventa plateale che io stia fuggendo per la coppietta, Josie sembra felice, Mark non lo so.
Non mi ha più parlato, come ho già detto per lui sono tornata a essere invisibile, parte della tappezzeria della scuola.
In quanto a Tom me lo ritrovo ovunque e ho finito per accettare il fatto che non posso far finta che non esista, così ho cominciato a chiacchierare con lui.
Dalle chiacchiere passiamo alle confidenze e finisce per conoscere troppe cose su di me.
Sa che mi piace fotografare e che vorrei fare la designer d’interni per rendere più confortevole la vita delle persone, che amo alla follia la saga de “Il signore degli anelli” e le cose macabre.
Sa che Halloween e i dias de los muertos sono le mie feste preferite e che ogni tanto me ne vado a Tijuana, che ho una sorella più grande di nome Amanda che non sopporto, ma che per fortuna va al college a San Diego.
Sa che  mia madre è un’infermiera e che mio padre è medico e che non ho stima di lui perché so che tradisce mia madre, sa che una volta l’ho persino beccato con l’altra: una dottoressa bella e ricca di famiglia.
Intuisce che è per questo che mi fido poco delle persone e sa che Mark è stato l’unico a mostrarsi umano con me e per questo ho finito per amarlo.
Lui non parla molto di sé invece, o meglio parla di cose poco importanti.
Mi ha raccontato delle sue evoluzioni sullo skate, del fatto che crede negli alieni e mi ha illustrato un sacco di teorie complottiste di cui ignoravo l’esistenza.
Mi parla per ore dei blink, del suo sogno di essere musicista e di vivere facendo il lavoro che ama, mi mostra i suoi disegni e devo ammettere che è piuttosto bravo.
Parla poco della sua famiglia, mi ha solo detto di avere un fratello più grande di nome Shon e una sorella più piccola di nome Kari e che ha iniziato suonando la tromba e svegliando tutta la famiglia alle tre più di una volta.
Dice anche che se dovesse andare male con la musica vorrebbe fare il pompiere, perché gli piace l’idea di salvare vite.
Per il resto non parla molto, come se in lui ci fosse una zona oscura di cui non si sente ancora pronto a parlare.
Ok, rispetto i suoi tempi anche se è leggermente imbarazzante parlare con uno di cui sai poco delle cose più personali.
In ogni caso circa tre settimane dopo io e lui siamo allo stesso tavolo a Biologia in attesa che il prof decreti i trii che dovranno eseguire una ricerca: una delle cose che odio di più al mondo.
“Bene, i prossimi sono: DeLonge, Jenkins e Perry.”
Perry? Ha detto davvero Perry?
La mia mano scatta in automatico verso l’alto.
“Scusi, professor Dalton è possibile cambiare i gruppi?”
“No, Jenkins.
Altre domande?”
“No, grazie.”
Scuoto mestamente la testa pensando che mi aspettano tempi cupi con quella oca tra i piedi.
Merda!
“Ti è andata male, Jenkins. Sarà dura per una come te sopportare la perfezione e capire sempre di più perché Mark ha
scelto me.”
“Se non fosse illegale ti lancerei dell’acido su quella faccia da culo che ti ritrovi, Perry.”
“Non mi fai paura, sfigata.”
Detto questo si alza e se ritorna al suo posto ondeggiando su quei dannati sandali troppo alti che si ostina a portare anche a scuola. Tom mi trattiene all’ultimo secondo, sto per lanciarle addosso  una delle bottigliette delle sostanze di chimica.
“Ma sei matta? Vuoi farle del male?”
“No, voglio solo scioglierla nell’acido!”
Lui scuote la testa.
“Oggi, Mark mi ha chiesto di mangiare con lui.”
“Vai a mangiare con lui, non è un obbligo quello di mangiare con me.”
“Non ti mancherò nemmeno un po’?”
La sua faccia è fintamente offesa, ma non sono sicura al cento per cento che sia solo una finzione.
“No, vai tranquillo.”
Lui se ne va, tranquillo non lo so, ho l’impressione di avere detto qualcosa di profondamente sbagliato.
Mangiare da sola è un ritorno ai vecchi tempi e lui mi manca più di quello che avrei potuto pensare, è brutto sentirsi da soli in una mensa affollata.
Alla fine delle lezioni mi aspetta accanto alla macchina, ha un’aria un po’ abbattuta.
“Ehi, tutto bene?”
“Uhm? Sì, mi ha solo consegnato il compito di matematica, una F di merda.
Lavoriamo a casa mia, Josie ci raggiungerà lì.”
Io storco la labbra al nome della vacca.
“Mi dispiace, DeLonge. Se solo fossi un po’ più brava in mate ti darei una mano.”
“La chiederò a Scott. Quel piccolo bastardo, nonostante abbia tre anni in meno di noi, è un genio con questa roba.”
“Perfetto.”
Entriamo in macchina e lui alza a palla la radio in cui ha messo una cassetta dei Sex Pistols: la radici del punk.
Deve essere il suo modo per dire che non vuole parlare, oggi è stranissimo e sono sicura che non c’entri la F che si è preso in matematica: uno come lui deve esserci abituato e non mi sembra nemmeno uno che ci tenga ad avere una media alta.
Arrivati a casa sua – una villetta modesta alla periferia della cittadina – mettiamo qualcosa sotto i denti e ci mettiamo a lavorare.
Solo dopo un’ora mi accorgo che la regina non si è presentata, dove cazzo è finita quella stronza?
Bigia già la prima volta?
Non crederà che io e Tom faremo anche la sua parte di lavoro?
“Tom, mi daresti il numero di telefono della puttana, per favore?”
Lui annuisce e me lo detta mentre lo compongo con furia crescente.
Il telefono squilla a vuoto per un po’,poi una voce infantile risponde: deve essere un maschietto sugli otto anni.
“Casa Perry. Chi è?”
“Mi chiamo Jen, sono una compagna di scuola di tua sorella Josie, posso parlare con lei?”
“Veramente non c’è. Ha telefonato dopo la scuola dicendo che andava a fare shopping con delle amiche, per me è uscita con il suo ragazzo.”
Brutta. Pallara. Del. Cazzo.
Domani a scuola mi sente.
“Grazie… Come ti chiami?”
“Jhonny.”
“Grazie Jhonny, sei sveglio e sincero a differenza di tua sorella, spero che tu non le assomiglierai mai.”
Dopo avermi salutato piuttosto imbarazzato mette giù il telefono e io posso urlare la mia rabbia.
“CI HA BIDONATI, TOM. CI HA BIDONATI, TI RENDI CONTO?
ED è SOLO LA PRIMA VOLTA IN CUI DOBBIAMO TROVARCI.”
Lui non mi risponde, mi guardo in giro e non lo vedo, dove è?
Alla fine lo individuo, è sdraiato sul divano del salotto e non sembra troppo felice.
È un divano ad angolo e io mi sdraio dal lato opposto, i nostri piedi si scontrano.
“Josie non viene, vero?
Beh, pazienza, non ho voglia di fare biologia in realtà.”
“Capisco, cosa c’è?
È tutto il giorno che sei strano.”
Lui scuote la testa.
“È per oggi?
Ok, lo ammetto è stato poco carino dirti che non mi saresti mancato ed è stata una bugia perché mi sei mancato eccome a pranzo. Scusa.”
Sul suo volto appare un flebile sorriso.
“Grazie per avermelo detto e sono contento di esserti mancato, ma non è per quello che sono di questo umore di merda.”
“Se ne vuoi parlare io sono.”
“Ieri mia madre e mio padre hanno firmato il divorzio.”
Per un attimo rimango senza fiato immaginandomi i miei divorziare. È vero, odio mio padre, ma non vederlo più in giro per casa o sapere che  potrebbe vivere dalla sua amante dimenticandosi di noi mi causa una fitta allo stomaco.
Immagino che per Tom sia lo stesso e che ora stia male perché sente il suo mondo scosso da qualcosa che non può controllare.
“Vieni qui.”
“Cosa?”
“Vieni qui.”
Gli indico un po’ imbarazzata il petto, lui si alza dal suo posto.
Si ferma poco prima di sdraiarsi, sovrastandomi con la sua altezza.
“Sono pesante, ti schiaccerei.”
“Non-non importa!”
Lui esegue, si sdraia cauto su di me e appoggia la testa sul mio seno. È imbarazzante e anche lui è rigido, sono io quella deve sbloccare la situazione. Con la mano che trema leggermente gli accarezzo i capelli, passando piano le dita.
Questo lo fa rilassare e lo sento pesare di più su di me, ma non mi dà fastidio.
Continuo ad accarezzarlo piano, cercando di infondergli calma e affetto, è brutto vederlo così.
Non so quanto rimaniamo così, so solo che a un certo punto sento la maglietta bagnarsi: sta piangendo e non pensavo mi facesse così male sapere che lo sta facendo.
Continuo ad accarezzarlo e seppellisco il mio naso tra i suoi capelli corti baciandoli leggermente, senza dire nulla.
Non c’è nulla da dire, bastano i nostri  corpi a parlare.
Spero che questo sia in grado di farlo stare meglio, lo spero con tutto il cuore.

 

Non so quanto tempo rimaniamo solo così, so solo che la luce del salotto cala piano piano e il suo respiro si calma.
“Andrà tutto bene.”
Gli sussurro all’orecchio.
“Ci credi davvero?”
“Sì, in qualche modo andrà bene. Non come vogliamo noi, ma andrà bene.”
Lui rimane un attimo in silenzio, poi si siede sul divano senza guardarmi.
“Scusa per lo spettacolo pietoso, grazie per avermi consolato.
Sono stato un poppante.”
Gli tiro una pedata non troppo forte.
“Non fare il macho con me che non attacca.
Hai pianto, succede a tutti quando si sta male.
Prego.”
Lui scuote la testa.
“I buffoni non dovrebbero piangere, fortuna che Josie non c’era.”
Io mi tiro a sedere di scatto.
“Oh, certo! Fortuna che la regina non c’era o avresti perso la tua futura possibilità con lei, vero?”
Lui scuote la testa, triste.
“No, non hai capito.
Sono stato fortunato a trovare te invece che lei perché ormai ho capito che quella che mostra a Mark è solo una facciata, non è una tizia da poter considerare amica.”
Io mi rilasso.
“Perché l’hai fatto?
Pensavo mi trovassi odioso e che non ti importasse poi così tanto di me.”
Io mi irrigidisco di nuovo. Questa è una domanda scomoda, è una di quelle che implica lo svelare un po’ di sé rischiando di rimanere feriti.
“Io… io, beh, ho semplicemente provato a immaginare cosa avrei provato se fosse successo ai miei ed è stato una vera merda. Cioè, mio padre lo odio, ma da qui a non vederlo più girare per casa ce ne passa…
Peggio ancora se andasse a vivere con la sua baldracca, li ucciderei!
E alla fine mi sono detta che un abbraccio era la cosa migliore!”
Il tutto balbettato alla velocità della luce, arrossendo sempre di più.
Mi aspetto che lui mi prenda in giro, invece rimane serio e mi guarda comprensivo.
“Non sei abituata a parlare dei tuoi sentimenti, vero?”
“Già, nessuno me  lo chiede e quando chiedono non lo faccio mai, perché non capiscono.
Non capiscono la mia rabbia, i miei ragionamenti, la mia passione per le cose macabre. Non si capacitano di come io non parli delle cose da ragazze.
Forse sono davvero un’aliena.”
“Io odio le ragazze che ti sviscerano le loro emozioni e si aspettano che tu le capisca, nemmeno fossi uno psicologo. Preferisco una tizia che mi parla di quello che le piace e che non sia make-up, vestiti o altre cazzate.”
“Quello anche io. Non so, preferisco tenerle per me,  farle uscire significa farle sparire.
Bah, lascia perdere.
In parole povere, solo se c’è qualcosa di veramente importante ne parlo con qualcuno e deve essere qualcuno di cui mi fido.”
“Vedo che su alcune cose la pensiamo allo stesso modo.”
“Già.”
“Grazie ancora per tutto.”
“Figurati e non lo dirò a nessuno.”
“Grazie e… vieni qui!”
Lo guardo interrogativa – senza sapere dove voglia andare a parare – e lui mi fa cenno di sedermi accanto a lui.
Eseguo un po’ titubante – il che non ha senso, dato che siamo stati abbracciati tutto il pomeriggio – e lo guardo senza capire.
Lui si limita a sorridere – un sorriso vero, da bambino, non uno dei suoi soliti ghigni – e mi abbraccia.
Strano da dirsi, ma questo gesto inaspettato mi fa piacere, più piacer di quello che pensassi.
Mi abbandono senza difese al suo abbraccio, godendomi il suo calore e la stretta e chiedendomi come diavolo abbia solo potuto pensare di far finta che non esista.
“Oh, Jen! Sono quasi lo sei, continuiamo o ci mangiamo qualcosa?”
Io rido tra le sue braccia e con gentilezza lo allontano e mi dirigo verso il tavolo dove c’è sparso il lavoro che abbiamo fatto in questo pomeriggio inconsueto.
Non è tantissimo, ma nemmeno poco, diciamo che è un’accettabile via di mezzo.
“Mangiamo, se quella vacca di Josie si fosse fatta viva avremmo fatto di più.”
“Se quella vacca di Josie si fosse fatta viva non ci sarebbe stato questo pomeriggio fantastico.”
Io abbasso gli occhi e la testa, lui me la rialza e mi guarda, anche questa volta è serio. Non c’è traccia del buffone mentre scandaglia i miei occhi blu con i suoi – scuri, ma con delle sfumature più chiare color cioccolato – alla ricerca di qualcosa.
Respiro a malapena quando lui appoggia delicatamente le sue labbra sulle mie, dandomi tutto il tempo per respingerlo e insultarlo.
La cosa strana è che non lo faccio, ho i brividi e sono paralizzata, mi risveglio solo quando lui cerca dolcemente di forzare le mie labbra con la lingua.
Credo sia il suo modo di chiedere il permesso e anche questa volta non lo allontano e non lo insulto, le socchiudo dandogli libero accesso.
Non è come il bacio del parco, questa volta è dolce, le nostre lingue si accarezzano e si scoprono a vicenda, quasi impacciate – strano per uno come lui.
Mi stringo di più a lui, cercando di arrivare ai suoi capelli dal basso del mio metro e sessanta, facendolo ridacchiare. Mi fa sedere sul tavolo e riprendiamo a baciarci, io finalmente posso giocare con i suoi capelli ossigenati, lui mi accarezza piano i fianchi.
In questo momento non c’è nulla del ragazzo stupido, dello sbruffone e del buffone e nemmeno del ragazzo irruento.
Ci sono solo Jen e Tom: due adolescenti un po’ strani in modi diversi che si stanno baciando come se non ci fosse domani.
Ci stacchiamo con un po’ di dispiacere, lui mi accarezza la guancia sempre con quel sorriso da bambino, che per me è ancora una novità da metabolizzare.
“Come devo considerare questo bacio?”
“Come la ricompensa della tua comprensione oggi oppure come una dimostrazione del fatto che le ragazze come te mi piacciono, scegli tu.”
“Non sparirai dopo questo, vero?”
Lui mi guarda un po’ divertito e un po’incredulo e mi molla un pugnetto sulla testa.
“No, zuccona, non sparirò!
Dovrai sopportarti talmente tanto a lungo che alla fine sarai tu a sparire. Dalla disperazione!”
“Ti piacerebbe, eh?
Invece no, rimarrò e sarai tu a maledire il giorno in cui ti sei voluto intestardire con una stramboide come me!”
Ridiamo insieme e mi sembra bellissimo – strano, ma bellissimo.
Dopo questo meraviglioso pomeriggio me ne vado da casa DeLonge un po’ più sollevata e felice, dicendomi che forse oggi non mi accadrà nulla di brutto.
Mi sbaglio.
Seduto sul muretto fuori casa mia c’è l’ultima persona che vorrei vedere e che solo poco tempo fa avrei desiderato essermi più vicina: Mark.
Tutti i miei campanelli di allarme si mettono a suonare: cosa vuole?
Perché dopo avermi ignorata torna  a farsi vivo?
Parcheggio la macchina e scendo, lui scende dal muretto e si fa avanti con una faccia scura.
“Come mai così felice?”
Mi chiede.
“Non credo siano fatti tuoi.”
“Sei stata da Tom, vero?”
“Come se la tua dolce metà non ti avesse già avvisato che Dalton mi ha messo con Tom nei gruppi di biologia.
Ah, e ringraziala da parte nostra per aver saltato oggi!”
“Lascia da parte Josie.
E non mi sto riferendo solo a oggi, è un po’ che ti vedo girare con lui.”
Io rido sarcasticamente.
“Cos’è? Hai paura che ti freghi il tuo miglior amico?”
“No, ma so come è fatto.
A lui non interessano le storie sere, solo le scopate senza complicazioni.
Se ti sta corteggiando o sta facendo il carino con te è per quello.”
Inizia a salirmi inesorabilmente il crimine, cosa diavolo vuole, a parte rompere le palle?
“Sei venuto qui solo per questo?”
“Sono tuo amico.”
Mi risponde con una serafica faccia da schiaffi.
“Sì?
Dove sei stato in queste settimane?
Non è che sei solo geloso di non avere più una ragazzina adorante ai tuoi piedi?”
“Sei solo una stupida ragazzina!”
“E allora vattene, Hoppus!
Vattene e non farti mai rivedere! Io sarò una ragazzina, ma tu sei uno stronzo!”
Lui si allontana a grandi passi, io entro in casa sbattendo la porta e maledicendolo.
Ero felice, avevo avuto l’impressione di interessare a un ragazzo, perché è venuto a lui a distruggere subito le mie illusioni?
Non poteva farsi un’altra scopata con quella Josie?
Non so se credere o meno alle sue parole, so solo che mi si sono infilate nella testa e stanno mangiando la mia felicità come un tarlo malefico.
Davvero Tom sta facendo tutto questo solo per un po’ di sesso?
Davvero?
Il dubbio mi distrugge.
Mark ti detesto.

Angolo di Layla

Ringrazio eve182 e MatyOtaku per le recensioni.

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Capitolo 4
*** 4)Ciao, è mattina, sono sobria e ti amo. ***


4)Ciao, è mattina, sono sobria e ti amo.

 

I tarli non sono facili da estirpare – soprattutto quelli mentali – sono subdoli: si scavano una tana e rimangono lì. E più tenti di eliminarli più si ritraggono verso il fondo di te stessa, lasciando solo buchi e dubbi.
Questa notte non ho dormito molto, l’immagine di Tom che si prende gioco di me per un po’ di sesso e l’immagine del ragazzo che si sfoga perché i suoi si sono separati non combaciano: sono come due pezzi disuguali di un puzzle che da perfetto è diventato distorto.
Il pezzo di favola che credevo di aver vissuto sta diventando distorta e la cosa peggiore è che sono io a renderla sempre di più così e solo per le parole di un ragazzino.
Per quel che ne sono, potrebbe essere stato solo l’orgoglio offeso di Mark a parlare, ma lui è anche il miglior amico di Tom e lo conosce sicuramente meglio di me.
E tutto si arrotola ancora di più su sé stesso.
Circolo vizioso, spirale malata, chiamatela come volete, so solo che mi sta stritolando lentamente.
Il giorno dopo a scuola sono su un altro pianeta e per la prima volta non sono poi così felice che Tom mi faccia compagnia a pranzo.
Parlo poco e lo studio, cercando di analizzare ogni suo gesto e ogni sua parola per metterla a favore di una o dell’altra ipotesi.
Sto impazzendo.
Quando la scuola finisce me ne vado a casa senza aspettarlo e faccio i compiti per il weekend come un automa.
Arrivata la sera, decido di trascorrerla fuori complice il fatto che papà è fuori per un convegno –  ossia una vacanza con l’amante – e mamma fa il turno di notte, ammazzandosi di lavoro per niente.
Mi vesto con poca cura: una felpa troppo grande per me nera con un teschio davanti, dei jeans troppo lunghi e perciò risvoltati e i miei amati anfibi.
Esco e mi dirigo nella piazza del paese: deserta.
La maggior parte dei miei compagni – dotati di una macchina – sono a San Diego, a Poway rimangono solo i pischelli e gli sfigati come me.
Mi siedo su una panchina e mi fumo una sigaretta guardando questo vuoto e sentendomi sola e alienata, chi sono io?
Solo una ragazzina senza nulla di speciale.
Per quale ragione Tom dovrebbe interessarsi a me?
Per nessuna ragione, forse Mark ha detto la verità, forse almeno lui è stato onesto a suo modo.
Il tarlo ha vinto e io sento una crepa che mi parte nell’anima, come se io fossi ghiaccio la spaccatura si allarga sempre più dando origine ad altre crepe grandi e piccole.
Ok.
Mi alzo e con un’andatura da zombie e l’aria un po’ imbambolata mi dirigo al seven eleven dietro la piazza e mi compro un altro pacchetto di sigarette e approfittando della cassiera stordita anche una confezione da sei di birre.
La tizia si beve senza problemi la bugia che io abbia ventun’anni e non mi chiede nemmeno un documento.
Esco dal supermercato e mi siedo cinquecento metri più in là sul marciapiede, in un tratto buio e apro la prima birra. Il sapore è amaro e piuttosto forte per me che sono astemia, ma lentamente mi ci abituo. Con lunghe e frequenti pause finisco la prima lattina e poi apro la seconda, nel frattempo inizia a piovere. Non una pioggerellina e nemmeno un temporale, una tempesta tropicale di quelle con i contro coglioni; tutto quello che faccio è tirarmi su il cappuccio e continuare a  bere, indifferente all’acqua.
Ben presto sono zuppa e i miei piedi sono immersi nell’acqua che scorre veloce nel canale di scolo vicino al marciapiede.
Allegria.
Finisco la seconda birra e inizio la terza, ormai ci ho preso gusto, anche se la mia testa gira sempre  di più e alzarmi mi sembra un’impresa ridicola, impossibile e disperata.
Un lampo squarcia il cielo, illuminandolo a giorno.
Prosit, mi dico mentalmente, alzando la bottiglia verso il cielo che si sta aprendo in due.
Finisco anche la terza e sto per iniziare la quarta quando sento dei passi lungo il marciapiede: sta arrivando qualcuno e questo mi manda in panico.
Inizio a tremare violentemente e  a borbottare frasi sconnesse, i passi si fermano: lo sconosciuto ora è accanto a me.
“Jen?”
Chiede una voce che conosco bene.
Tom?
“Tom?”
Si siede accanto a me, incurante del diluvio universale e storce le labbra quando vede le lattine vuote.
“Cosa diavolo stai facendo sotto la pioggia?
Vuoi vedere se vai prima in coma etilico o con una bella polmonite?”
“Che ti importa?”
Biascico io, facendo per aprire la lattina, ma lui mi ferma e me la toglie dalle mani. La apre lui e la beve lui.
“Certo che mi interessa! Sei mia amica!”
“Lo fai solo per portarmi a  letto!”
Intanto mi alzo, ma un capogiro rischierebbe di mandarmi a terra se non ci fosse lui, che mi acchiappa al volo.
Senza dire niente mi prende in braccio  e mi porta via, io protesto per un po’ poi un’improvvisa sonnolenza ha la meglio su di me e le luci si spengono su questo pietoso show.

 

Mi risveglio al caldo, avvolta in un asciugamano e in una coperta sdraiata sul mio letto, Tom è seduto sulla sedia della mia scrivania.
Ha gli occhi semichiusi e le braccia rilassate, sembrerebbe stia dormendo, ma se lo conosco sono certa che lui sia sveglio in realtà.
“Tom.”
Chiamo piano.
Ho la testa che mi si spacca e ho i brividi di freddo.
“Ben svegliata Jen. Perché diavolo ti stavi ubriacando sotto la pioggia?
Sei un’incosciente!”
“Tu vuoi solo portarmi a letto!”
“Se ti avessi voluto portare solo a letto non avrei fatto la figura della mammoletta piangendoti addosso come un cretino!”
“L’hai fatto solo per farmi credere che fossi un ragazzo sensibile in modo da facilitarti l’opera! Voi ragazzi fate così, prima fate tutti i carini, poi sparite.”
“Io non l’ho fatto per quello, ma tu non mi credi, vero?”
Pausa di silenzio.
“No, non mi credi. Io non l’ho fatto per portarti a letto, con le ragazze come te solo gli stronzi lo fanno e non sapevo avessi questa opinione di me.
Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e … ti voglio bene.”
Detto questo lascia la stanza.
Il rumore della porta d’ingresso che sbatte mi riscuote e mi fa capire che è reale, che se ne sta andando, che lo sto perdendo.
Ogni fibra del mio essere grida di fermarlo, ma il tarlo continua a mangiarmi.
Il mio cervello mi rimanda le sue parole come un disco rotto, se avesse voluto portarmi solo a letto non avrebbe fatto la mammoletta: vero, ai ragazzi non piace sentirsi deboli.
Se avesse voluto portarmi solo a letto avrebbe avuto migliaia di occasioni in queste settimane e non l’ha fatto, mi è rimasto pazientemente accanto come un amico.
Mi è rimasto così accanto che ha buttato giù Mark dal piedistallo e mi ha fatto innamorare sul serio di lui: non solo una semplice infatuazione.
Il mio è amore e questo mi paralizza di nuovo.
Ho paura di essere ferita di nuovo.
- Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e … ti voglio bene.”-
Queste parole superano qualsiasi paura del futuro che io possa avere, all’idea che lui non sia più nella mia vita la mia crepa si allarga fino a inghiottirmi.
Devo scusarmi, devo provarci.
Febbrilmente mi rimetto un’altra felpa, degli altri pantaloni e degli altri anfibi ed esco a cercarlo senza ombrello, incurante della pioggia.
Giro per un po’ per la città deserta, attraverso le strade che conosco bene senza guardare.
È un comportamento suicida, me ne rendo conto quando vedo due fari troppo vicini a me e deduco che una macchina ben presto mi ridurrà a una poltiglia sanguinolenta di carne e sangue.
Non succede.
Un corpo maschile mi spinge più in là e poi preme su di me con il suo respiro affannato e il battito del cuore accelerato. Guardo le mani e le riconosco, sono quelle di Tom.
Senza pensarci troppo sovrappongo le mie.
“Grazie.”
Mormoro grata.
“Grazie e scusa per tutto quello che ti ho detto prima. Io..”
“Non è questo il luogo per parlarne, alziamoci e facciamolo sul marciapiede almeno.”
Si alza e mi guida verso il marciapiede, senza prendermi per mano.
“Scusa, scusa per tutto quello che ti ho detto.
Non penso che tu abbia fatto tutto quello che hai fatto solo per portarmi a letto, Mark me l’ha detto e io ho preferito credere a lui come un’idiota.
Scusami per non avere avuto fiducia in te, scusami, scusami scusami.
Se potessi tornare indietro non penserei un solo secondo a quello che mi ha detto.
Ti prego, non andartene dalla mia vita.
Ti prego, rimani.
Ti, prego, ho bisogno di te.”
Lui tace.
“Ok, ho bruciato la mia occasione. Vai pure, Tom.
Buona vita e ti voglio bene anche io.”
Non alzo la testa, ma sento i suoi passi allontanarsi  sempre di più.
Se ne è andato.
L’ho perso.
Mi siedo per terra e comincio a piangere, incurante del temporale tutt’ora in corso, il dolore è troppo forte per aspettare di arrivare a casa.

 

Non so quanto tempo rimango in quella posizione – incurante di tutto e di tutti  –sotto la pioggia battente, in una città deserta. So solo che a un certo punto sento di nuovo dei passi – i suoi passi – avvicinarsi e il mio cuore salta un battito.
Mi appoggia una felpa bagnata addosso e sussurra piano: “Vai a casa Jen, ti prenderai una polmonite.”
“Non mi importa niente e non vado da nessuna parte se tu non rimani nella mia vita.”
Lo sento sospirare.
“Ti credo, Jen. Accetto le tue scuse.”
“Dimmi che non lo dici solo per farmi alzare da qui…”
Non sento la tua risposta perché svengo di nuovo.
Amen.
Quando mi risveglio sono di nuovo avvolta da una salvietta e da una coperta e Tom siede di nuovo sulla sedia della mia scrivania, che deja-vu!
 “Grazie.”
“Prego, non volevo averti sulla coscienza. Ora me ne…”
“NO!”
Urlo, tentando di scendere dal letto e facendolo accorrere.
“Ti prego rimani, sei bagnato fradicio e fuori c’è ancora in corso il diluvio universale.”
Lui tace.
“Ti prego, non lasciarmi da sola, anche se lo merito.”
“D’accordo. Mi faccio una doccia e arrivo.”
Esce dalla stanza e sento il rumore dell’acqua della doccia che scorre in bagno e questo mi fa rilassare per un po’.
Quando torna ha un asciugamano avvolto intorno alla vita – cosa che causa un aumento del mio battito cardiaco – e arrangia un letto di fortuna ai piedi del mio.
Ci si sdraia senza dire una parola.
“Vieni qui, starai scomodo.”
“Va bene così.”
Non vuole nemmeno avvicinarsi a me, che cazzo ho fatto?
Stupida Jen!
Non so cosa fare, mi alzo a spegnere la luce e provo a mettermi a letto, ma mi sembra troppo grande e vuoto per me sebbene sia il solito da una vita.
Senza dire niente scivolo lentamente giù e – titubante – alzo la coperte del letto improvvisato e mi rannicchio dietro di lui, stando attenta a non toccarlo.
Lo sento sospirare – fitta al cuore, inulto a me stessa per la mia stupidità – e cerco di far finta di dormire. il silenzio della stanza è opprimente e pieno di cose buie: la mia voglia di abbracciarlo, il mio desiderio di non aver mai detto tutte quelle cazzate che solo poco fa mi sembravano sacrosante verità, la sua voglia di andarsene, il suo essere rimasto deluso da me.
All’improvviso lo sento parlare da solo.
“Fortuna che dorme, fortuna che non ha mai saputo che la amo.”
Trattengo il respiro, ma nemmeno due secondi dopo mi sfugge un rumore indefinito.
“Sei scomoda qui, torna a letto.”
La sua voce è piatta.
“No, sto bene qui.”
“Forse è meglio non stare troppo vicini, non sono la persona adatta a te: hai ragione.”
“No, io avevo torto.
Sei tu la persona adatta a me.
Sei tu che ti sei avvicinato a me e sei rimasto nonostante avessi insultato il tuo migliore amico.
E te ne sono grata.
Sei tu che hai continuato a rimanere, dando sempre più una piega migliore alla mia vita.
Sei tu che mi hai salvata e non parlo di stasera.
Ho letto da qualche parte che le persone non fanno rumore quando si rompono, per questo nessuno se ne accorge.
Tu te ne sei accorto, non so come e mi hai raccolto e aggiustato.
Senza di te non sarei qui.
Perciò, ti prego continua a rimanermi accanto, anche se non me lo merito.”
Lui rimane in silenzio.
“Il problema è che per te sono solo un amico, non mi ami, io invece ti amo, Jen.
E rimanerti accanto mi fa male.”
“E se ti sbagliassi?”
Lo sento irrigidirsi.
Si volta piano e negli occhi ha la stessa fragilità di quando mi ha detto che i suoi avevano divorziato.
“Cosa significa?”
“Che non è come credi, che per me non sei solo un amico.
Significa che ti amo anche io.”
Arrossisco, ma cerco di tenere gli occhi fissi nei suoi, non voglio che pensi che stia mentendo.
“Sei ubriaca, non sai quello che dici, Jen.
Domani, da sobria, potrebbe farci male.”
“Non sono ubriaca, Thomas Matthew DeLonge. Sono una stupida di prima categoria, ma sono sobria e ti prego – ti prego con tutto il cuore – dammi un’altra possibilità.
Dammi la possibilità di dimostrarti che non mento e che c’è un futuro per noi.
Ti prego.”
Gli occhi mi si fanno lucidi e qualche lacrima sfugge, nonostante tenti di trattenerle.
Lui allunga una mano e me le asciuga e poi si alza in piedi e mi tende una mano.
“Vieni, non volevi andare a letto?”
Sorrido e lo seguo in silenzio.
Si sdraia e io mi accuccio sul suo petto, sentendo il suo respiro e il suo cuore accelerare i battiti.
“Sei davvero sobria?”
“Sì.”
“Mi ami davvero?”
“Sì?”
“E Mark?”
Prendo fiato.
“Ti è mai capitato di confondere un’infatuazione con l’amore?
Io di Mark ero solo infatuata, invece a te ti amo.
Non chiedermi perché, non lo so.
Mi piaci.
Mi piacciono i tuoi capelli ossigenati, mi piacciono i tuoi occhi castani, i tatuaggi, i piercing.
Starei ore a sentirti parlare di skate, cospirazioni e della band. Adoro come gesticoli, il tuo strano umorismo e la vocina in falsetto che fai ogni tanto.
Adoro i tuoi sorrisi, sia quelli sghembi, sia quelli innocenti da bambino. Mi sciolgono.
E poi adoro la tua vicinanza e come baci.”
A questo affondo la testa nel suo petto. Lui ridacchia e mi scompiglia i capelli.
“Ehi, occhi blu. Grazie.
Nessuno mi aveva mai guardato così a fondo come te.”
“Mi piace il soprannome occhi blu.”
“Cosa c’è di strano in questo soprannome? Hai davvero degli occhi bellissimi, starei delle ore a guardarli e a sentirti sclerare.”
Questa volta rido io e alzo il volto, lui me lo accarezza lentamente e io mi abbandono al suo tocco.
Mi era mancato.
Quasi inaspettatamente mi bacia ed è come l’altra volta: insicuro e timido come non lo è mai di solito.
Mi dà tutto il tempo per cacciarlo, ma io appoggio delicatamente la mia mano sulla sua nuca e lo attiro a me per approfondire il bacio.
Non scherzo, lo deve capire.
Lo sento sorridere sulle mie labbra e il bacio diventa più violento, le nostre lingue si cercano, si attorcigliano, si combattono.
Alla fine sia lui che a me scappa un gemito, gli accarezzo piano gli zigomi.
“Mi credi?”
“Sì.”
Strofina il suo naso contro il mio.
“Jennifer Jenkins, vuoi essere la mia ragazza?”
“Sì, sì, sì!”
Lui ride e mi bacia di nuovo, mentre fuori romba l’ennesimo tuono.
“Sei gelida.”
Esclama accarezzandomi la schiena.
“Anche tu, sei stato in giro tutto il tempo, vero?”
“Sì.”
“Sei un pazzo!”
“Tu hai fatto lo stesso, quindi sei una pazza anche tu!”
“Siamo perfetti per stare insieme!”
Sbadiglio prima di cadere in un sonno profondo, felice come non lo sono mai stata.

 
La mattina dopo mi sveglio sul suo petto, fuori piove ancora e mi accorgo che lui mi sta guardando.
Apparentemente sembra calmo, ma c’è un qualcosa che stona e che indica come sotto sotto sia ansioso di sapere qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno Tom. Sono sobria, è mattina e ti amo.”
Lui sorride.
“Buongiorno occhi blu. È mattina, piove da far schifo e ti amo anche io.”
Ci baciamo e finalmente mi sento in pace e felice.
Lui non se ne andrà.
Gli ho rivelato i miei sentimenti e mi ha creduto, posso iniziare a dimostrargli quanto tenga a lui.
“Mi fiderò sempre di te.”
“Grazie, non voglio trascorrere un’altra notte sotto l’acqua.”
Ridiamo insieme.
Mi sembra il modo migliore per iniziare la giornata e una nuova fase della mia vita.
E tutto grazie a lui.
In fondo devo ringraziare Josie, ma non glielo andrò certo a dire.

Angolo di Layla.

Scusate se non ho risposto all'unica recensione,  volevo farlo prima, ma poi è uscito Boxing day e nun c'è bisogno che dica altro v.v

Quella canzone è TANTO TANTO TANTO TANTO amore <3

Ringrazio MatyOtaku per la recensione.

Ps: questo è il penultimo capitolo.

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Capitolo 5
*** 5)Everything is gonna be fine. ***


5)Everything is gonna be fine.

 

Il tempo passa veloce da quando sto con lui.
Non siamo una coppia di quelle smielate, siamo una di quelle che continuano a punzecchiarsi e poi fanno pace, a ogni modo riusciamo a fare più scandalo persino di Josie e Mark.
Boh.
Non mi interessa molto, mi interessano di più le passeggiate e i lunghi pomeriggi trascorsi con lui a tentare di imparare a fare skate e baciarsi.
Mi interessano di più le serate trascorse a guardare film abbracciati e quelle al Soma a sentire i gruppi che piacciono a lui e a farmi una cultura sul punk e sullo skate punk.
Ha anche tentato di trascinarmi alle prove della band – trovando in me una vittima consenziente – ma la presenza di Mark e quella saltuaria di Josie le hanno rovinate.
Così io e Tom abbiamo convenuto a malincuore che è meglio che io non mi presenti alle prove dei blink.
Stupido Mark! Da quando mi sono messa con Tom mi odia e io non so perché e non si accorge che Tom ci sta male. Dal divorzio dei suoi Mark è diventato la figura di riferimento di Tom – quasi come un padre – e lo fa soffrire vederlo comportarsi così, senza contare che vedendo il mio malumore inizia a pensare cose che non dovrebbe.
Del tipo che io non lo voglia, che stia con lui solo per fare un dispetto a Mark, che non lo ami.
Mi maledico perché non sono capace di fare la persona dolce e perché sono stata cotta dell’Hoppus e lui lo sa e maledico Mark.
In ogni caso Natale è ormai alle porte, siamo all’otto di dicembre e io – come da tradizione – inizio a decorare la casa, poi farò l’albero.
Sono l’unica in famiglia a interessarsi di queste cose, i miei sono troppo impegnati con il lavoro e forse troppo disincantati per crederci.
Sto appendendo un festone in salotto – in precario equilibrio su una delle sedie – quando suona il campanello e io cado a terra rovinosamente.
Porca puttana! Devo essermi presa una storta alla caviglia perché fa un male boia!
Sento dei rumori: qualcuno si è precipitato dentro casa mia.
Quel qualcuno è l’ultimo che mi aspetto di vedere: è Mark Hoppus in persona.
Dal mio personale e basso punto di vista vedo la sua faccia preoccupata scrutarmi.
“Tutto bene, Jen?”
“No, credo di essermi slogata una caviglia. Non riesco ad alzarmi.”
Lui scuote la testa e mi dà una mano ad arrivare sul divano, lì appoggio il mio piede – libero dalla ciabatta e dal calzino – su un cuscino e tasto la caviglia. È gonfia – fa male – ma non sembra rotta: con una madre infermiera e un padre dottore i rudimenti del pronto soccorso non mi sono estranei.
“Mark, visto che sei qui, mi faresti un favore?
Vai in bagno, nell’armadietto in basso a destra c’è la borsa del ghiaccio, la prenderesti e la riempiresti?”
“Agli ordini, signorina Jenkins.”
“Fai poco lo spiritoso. Se sono caduta da quella sedia sfasciandomi una caviglia è perché tu hai suonato il campanello, quindi è tuo dovere rimediare.
Lui sogghigna e se ne va a fare quello che gli ho chiesto.
Perché è qui?
Non mi sopporta, diventa di malumore ogni volta che mi vede, perché si è infilato nella tana del nemico?
Lo osservo andare in cucina poco dopo e lo sento riempire la borsa di ghiaccio, poi arriva reggendola in mano e me la porge. Il piacere che provo per il contatto freddo sulla mia caviglia malandata è incredibile: mi sembra di stare meglio.
Ora posso occuparmi di lui senza altri pensieri che mi disturbino.
“Come mai sei qui, Hoppus? Pensavo non mi sopportassi da quando sono la ragazza di DeLonge.”
Lui sembra arrossire.
“Ok, dopo questo potrai insultarmi: pensavo che per lui fossi solo una scopata.
Mi sono sbagliato, passano i mesi e voi siete effettivamente una coppia e lui non mi ha mai detto niente che mi facesse pensare a quello che ho detto prima.”
“Praticamente tu mi hai tenuto il broncio solo per non ammettere che ti sei sbagliato?”
Lo guardo incredula, lui annuisce.
“Tu devi ringraziare Gesù che non posso muovermi o ti avrei menato, non solo insultato, Hoppus!
Tom ci è rimasto di merda per questo tuo atteggiamento!”
“Lo so e per questo oggi mi sono deciso a venire da te. Volevo, voglio, chiederti scusa per tutte le volte in cui ti ho trattato male senza un motivo.
Non te lo meritavi, sia io che Josie siamo molto dispiaciuti.”
“E allora perché la tua dolce metà non è qui?”
“Jen, se accetti le nostre scuse ti giuro che anche lei cambierà atteggiamento, finalmente conoscerai il suo lato migliore.”
Woah, mi sento onorata, ma purtroppo o accetto le scuse di tutti e due o sarò io la responsabile del continuare di questa brutta situazione e questa brutta situazione deve finire.
“Ok, scuse accettate, Mark.
Possiamo provare a tornare ad essere amici.”
Lui sorride felice.
“Come va con Tom?”
“Bene, se si esclude il fatto che lui ha paura che io sia ancora innamorata di te, cosa che non sta né in cielo né in terra.
Non so cosa fare per fargli capire che amo solo lui e nessun altro.”
Lui si gratta il mento pensoso e fissa con attenzione – ma senza vederlo davvero – il vaso di fiori secchi che c’è in salotto.
“Prova con qualcosa di eclatante. Io per diventare suo amico l’ho impressionato salendo su un palo della luce davanti a casa e rompendomi le anche.
Per due settimane ho girato con le stampelle.”
Io sospiro, non muoio dalla voglia di rompermi qualche arto.
“Grazie del consiglio.”
Parliamo per un altro po’, poi lui se ne va e io rimugino sulle parole che mi ha detto. Cosa potrei fare per impressionarlo?
L’idea arriva all’improvviso e qualcosa mi fa credere che sia quella giusta.
Bene, bene, bene.
Dovrò aspettare qualche giorno per via del piede, ma ne varrà la pena.

 

Alla sera – l’ennesima da sola – arriva Tom a farmi visita. Non appena vede il piede chiede cosa diavolo ho fatto, io gli dico che sono caduta mentre appendevo un festone, lui scuote la testa.
“Natale non è poi una gran festa, non vale il rischio di rompersi un piede.”
“Parla per te o baciami, a te la scelta.”
Lui mi mostra il suo famoso ghigno e mi attira a sé, dandomi un bacio violento ed impetuoso.
“Devo dirti una cosa!”
Esclamiamo insieme mentre ci stacchiamo, scoppiamo entrambi a ridere e lui mi fa cenno di parlare.
“Oggi è venuto Mark da me e mi ha chiesto scusa, abbiamo fatto pace.”
“Io volevo dirti che Mark ha detto che puoi venire alle prove quando vuoi.”
Io sorrido.
“Bello! Sono tanto felice, mi piace vederti suonare!”
“Ma se come chitarrista faccio schifo.”
Lui scuote le spalle.
“Io non capisco niente di musica, ma vedo come ti trasformi quando suoni. Ci metti tutto te stesso e sei felice e mi piace vederti felice.
E poi mi piace la vostra musica. Punto, signor DeLonge.”
Lui ride.
“Ottima argomentazione, signorina Jenkins. Si merita una ricompensa.”
Ci baciamo ancora e finiamo per guardare un film insieme, l’argomento Mark è archiviato.
Rimaniamo a lungo abbracciati anche dopo che il film è finito e lui non ci prova. Non lo fa mai e io non oso chiedergli perché, per non passare per una troia malata di sesso.
Non capisco se lo fa per rispettarmi, per dimostrarmi che non è come tutti gli altri oppure è perché non mi trova attraente o se ha paura che io ami ancora Mark.
Rimaniamo in silenzio, lui gioca con i miei capelli, io disegno cerchi sul suo petto.
“Sei bella, Jen.”
Io sto per dire qualcosa, ma lui prosegue.
“E si è fatto tardi. Devo andare a casa o mia madre mi ammazza.”
Ci salutiamo con un altro bacio, poi lui se ne va e io ancora una volta mi chiedo perché sia così cauto nei miei confronti.
Spero che l’idea che ho avuto sblocchi un po’ la situazione.
Ci vogliono tre giorni per far tornare la mia caviglia normale.
Il terzo giorno – un venerdì freddo di dicembre – dopo scuola vado a casa di Tom e ci trovo la band al gran completo, Josie compresa.
Ci salutiamo in modo un po’ freddo, poi mi siedo accanto a lei. I ragazzi sono impegnati con i loro strumenti e non badano a noi.
“Ciao, Jenkins. Allora con DeLonge è davvero una cosa seria?”
“Cosa pensavi che fosse? Noi due che ci incontriamo ogni tanto per giocare a canasta?”
Lei ride.
“Tom ha il soprannome di HotPants, con le ragazze non ci sta più di tanto.”
Io scrollo le spalle, la cosa mi giunge nuova, ma in un certo senso mi rassicura.
“E tu? Passata la grande paura?”
“Oh, sì. Non sei una minaccia per me.”
“Sono troppo insignificante, vero?”
Lei ride di gusto.
“Jenkins, jenkins, Jenkins. Non è per quello. Non sei affatto brutta come credi, non sei una minaccia perché a Mark non piacciono le ragazze deboluccie come te.”
Deboluccia io? Non mi conosce.
“Chissà cosa ci ha visto in me Tom?”
“Non so. Credo che siano stati gli occhioni blu a fregarlo, a volte fai delle facce da cucciolo spaventato e non te ne accorgi nemmeno e Tom è sensibile su queste cose.
Sono il suo tallone d’Achille, in fondo a tutti i ragazzi piace essere il principe di qualche ragazza.”
Io non dico nulla, credo che Josie non mi conosca per niente e che dietro la facciata di ragazza indipendente non ci sia altro che una piccola sputasentenze che lavora per pregiudizi.
Io decido di lasciarla perdere e di godermi le prove dei blink. Tom dà il meglio di sé, si trasforma nel cazzone comico che tutti amano, che fa sorridere persino me e che nasconde il fatto che non sia una cima con la chitarra.
Adoro vederlo così.
È una cosa che non riesco a spiegare, vederlo felice mi rende felice per contagio.
Le canzoni non parlano di chi sa quali argomenti, ma per un pubblico adolescente sono  perfette: parlano il nostro stesso linguaggio e affrontano i nostri stessi problemi.
Quando finisce di suonare non gli lascio nemmeno appoggiare a terra la chitarra che gli salto in braccio, facendolo sorridere.
“Ehi, baby, lo so che sono irresistibile, ma…”
Io strofino il naso contro il suo.
“Scusa, ma sono felice di vederti finalmente felice.”
Ci baciamo tra i fischi e gli ululati di Mark e Scott.
“Ehi, non sapevo ti chiamassero HotPants!”
Lui fa una strana smorfia imbarazzata, come se quel soprannome sulle mie labbra non gli piacesse molto.
“Beh sì.”
“Vieni a casa con me dopo?”
“No, devo lavorare. Mi dispiace.”
Io gli accarezzo i capelli.
“Non fa niente, è ok. Vai pure.”
Vai, tranquillo, tesoro. Mentre tu lavori io attuo il mio piano.
Finite le prove, una volta smontato tutto, ci salutiamo tutti e io me ne vado per la mia strada, diretta verso il centro di Poway.
Vado dal fiorista in piazza e ordino dodici rose rosse, lui mi guarda perplesso.
“Ai miei tempi erano i ragazzi a regalare le rose alle ragazze. O  non sarai una di quelle?”
“Sono per il mio ragazzo. E immagino che ai suoi tempi i fioristi non fossero così indiscreti.”
Lui arrossisce e finisce di confezionarle borbottando.
“Arrivederci!”
Lo saluto flautata.
Rientro a casa mia – vuota come al solito  - e metto le rose in un vaso e qualcosa in forno per la cena. Che vita triste! Ogni tanto mi piacerebbe vederli i miei.
All’improvviso le decorazioni che ho messo con tanto sforzo non mi sembrano più tanto belle, mi sembrano un orpello – una decorazione inutile – alla mia solitudine.
Aspetto fino alle undici e mezza, poi esco di casa per andare verso quella di Tom. Mi ci vuole un po’ per raggiungerla, ma so di essere in tempo per quando arriverà a casa dal lavoro. A dieci a mezzanotte lascio il mio mazzo sulla veranda dei DeLonge e poi mi nascondo in giardino, trepidante, chiedendomi che reazione avrà Tom: gli piaceranno o li troverà una grande cazzata?
Lo vedo arrivare dieci minuti dopo con un’aria stanca e abbattuta, borbotta frasi a mezza voce su quanto il lavoro faccia schifo. Si fruga le tasche alla ricerca delle chiavi senza alzare il volto da terra, sale i due scalini del portico e le vede.
Dalla mia postazione riesco a vederlo in faccia, è perplesso e li raccoglie rigirandoseli tra le mani alla ricerca di un biglietto. Poi inizia a sorridere, trova il biglietto e lo legge, il suo sorriso si allarga ancora di più.
“Jen.”
Mormora con un tono neutro, la voce leggermente incrinata.
Non riesco a trattenere un verso indefinito e lui si gira verso di me, sgamando subito il mio nascondiglio in mezzo alle rose.
Io inizio ad agitarmi, preparandomi mentalmente a scusarmi o a dire qualcosa che giustifichi il mio gesto da pazza, ma lui non mi lascia il tempo di parlare. Mi stritola in un abbraccio muto e appoggia la testa sulla mia spalla, lo sento sorridere sul mio collo.
Rimaniamo per un po’ così.
“Grazie, nessuno ha mai fatto una cosa del genere per me.”
Io vorrei rispondere di nuovo, ma al sua irruenza ha la meglio.
Alza il volto per poi accarezzarmi dolcemente le guance – con la fronte appoggiata alla mia – e baciarmi con passione.
Le nostre lingue si accarezzano, giocano. Le sue mani si infilano sotto la mia maglia e accarezzano  avidamente la mia pelle.
Di solito a questo punto qualcosa lo blocca, ma questa sera va avanti e io gli salto in braccio, mentre continuiamo a baciarci. Solo nelle rare pause noto che ha un sorriso che va da un orecchio all’altro e una luce diversa negli occhi.
Procediamo a gambero, lui mi passa in qualche modo le chiavi ed entriamo. Ci pensa lui poi a chiuderla con un calcio che ci fa traballare e ridere allo stesso tempo.
Arriviamo al divano e lui si avventa sul mio collo, riempiendolo di baci e succhiotti e facendomi gemere con le mani sepolte tra i suoi capelli. Glieli tiro persino un po’, ma non sembra importargli molto.
Io invece – dopo la mia iniziale paralisi – gli tolgo la maglia, perdendomi un attimo ad ammirare i suoi addominali, cosa per la quale ride, e seguendo con le dita il contorno del tatuaggio.
“San Diego.”
“San Diego.”
“Bello.”
“Anche tu sei bella.”
Mi toglie la mano e mi accarezza la pancia piano: ha una mano calda, grande e un po’ ruvida che mi fa rabbrividire.
“Jen, mi vuoi?”
“No, l’hobby di denudarmi davanti alle persone, così, a caso.”
“Sii seria, mi vuoi davvero?”
Io lo faccio alzare gentilmente, lo prendo per mano e lo porto in camera sua. Mi sento un po’ in imbarazzo mentre si stendo sul letto, invitandolo a raggiungermi, ma credo sia la cosa giusta.
Lui chiude la porta a chiave e mi raggiunge, io gli accarezzo piano i capelli.
“Sì, ti voglio Thomas DeLonge.”
Lui sorride e riprende a baciarmi, questa volta è più deciso, ma riesce a mantenere lo stesso una certa dolcezza. Non mi stancherei mai di baciarlo.
In breve tempo il mio reggiseno vola via e lui si dedica con passione alle mie tette: ci gioca, le bacia, le morde.
Io ormai ansimo e gemo senza ritegno e non lo fermo nemmeno quando mi toglie i pantaloni e mi accarezza piano le cosce.
“È la tua ultima occasione per fermarmi.”
“Non voglio fermarti. Voglio che la mia prima volta sia con te perché amo te. Te e solo te.”
Lui sorride felice – quasi timido, strano per uno come lui – e mi accarezza di nuovo la pancia e poi scende.
“Ora proverò a fare una cosa, fermami se non vuoi.”
Io inizio ad avere un po’ paura – normale, essendo la prima volta – e annuisco.
Piano introduce un dito nella mia femminilità, mi irrigidisco d’istinto e lui mi accarezza il volto e strofina il suo naso contro il mio.
“Tranquillizzati, non farà male.
Ti fidi di me?”
Io annuisco e cerco di calmarmi e ci riesco anche perché lui inizia a riempirmi di piccoli baci.
Poi lo sento muoversi lì dentro, non credevo fosse così piacevole!
Lui sorride e aumenta le dita: ora provo solo piacere.
Mossa dopo mossa arrivo al primo orgasmo della mia vita:  è come se mi scoppiasse una bomba nella testa perché vedo tante lucine e mi sento incredibilmente bene.
“Wow!”
Mormoro senza fiato.
Lui mi bacia piano e sento che si sta togliendo i pantaloni.
“Jen, vuoi?”
“Sì.”
Lui si toglie anche i boxer, è già bello eccitato e sembra ehm..grande.
“Non farmi male.”
Lui annuisce, trattenendo una risata e si mette il preservativo.
Io sospiro, distogliendo lo sguardo, mi sembra di spiare. Lui si stende su di me poco dopo, a giudicare da quello che preme sulla mia coscia non ho sbagliato la mia diagnosi.
Lui prende le mie mani e le porta ai lati della testa e mi accarezza le guance dolcemente, strofinando di nuovo il suo naso contro il mio: inizio ad amare questo gesto, sembra un gatto quando lo fa.
“Adesso entro, se ti faccio male stringimi le mani.”
Io annuisco, lui entra in me con una prima spinta decisa, mi fa talmente male che non riesco a fare quello che mi ha detto e lui spinge ancora.
Questa volta gli stritolo la mano, con le lacrime agli occhi. Lui se ne accorge e le asciuga dispiaciuto e mortificato.
“Scusa, io non volevo. Io non sono abituato.
Non voglio farti del male, vuoi che continui?”
“Sì, ma piano. Ti prego.”
Lui entra più piano e intanto cerca di coccolarmi e farfugliare parole di scusa nello stesso momento. Questa volta sento un misto di piacere e dolore: ho smesso di essere vergine.
Una volta trovato il nostro ritmo – fatto di spinte lunghe e dolci – penso che questa sia la strada per il paradiso. Gemo ed ansimo senza ritegno e lui fa lo stesso.
Arriviamo insieme all’orgasmo e questa volta non vedo solo le stelle, vedo l’intera galassia.
Sono così imbambolata da non accorgermi che lui si è alzato ed ha buttato via il preservativo e poi mi ha attirato sul suo petto.
Me ne accorgo solo quando sento una mano timida accarezzarmi i capelli e una coperta sulle mie spalle nude.
“Te ne sei pentita?”
“Ma sei fuori?
Assolutamente no! Era così che sognavo la mia prima volta, con un ragazzo che amavo!”
“Ma ti ho fatto male…”
“E poi mi hai dato un orgasmo meraviglioso.”
Arrossisco.
“Forse avresti voluto farlo con Mark, lui …”
Gli metto un dito sulla bocca e appoggio i gomiti sul suo petto.
“Non me ne frega niente di come potrebbe essere Mark a letto, sei tu il mio ragazzo, quello che amo e… mi piace come sei a letto.”
Arrossisco del tutto e mi blocco, ma lui sorride lo stesso e io mi stendo di nuovo.
Lui gioca con i miei capelli, io mi diverto a seguire le linee del suo tatuaggio.
“Perché non mi hai detto che ti chiamano HotPants?”
Lui arrossisce leggermente.
"Beh, ecco perché non volevo che pensassi che ti volessi solo scopare e perché eri l’unica a non conoscerlo e mi piaceva. Le ragazze che lo conoscono hanno due atteggiamenti: o vogliono solo scopare oppure ne sono troppo spaventate e non mi credono quando faccio sul serio.
Adesso che lo sai credi ancora che io faccia sul serio?”
Sotto questa luce e alle parole di prima capisco perché non abbia voluto approfondire più di tanto la nostra conoscenza carnale e ne sono onorata.
“Certo che ti credo, in questi mesi sei stato solo con me e mi hai rispettata.
Sarai sempre HotPants, ma solo io ne usufruirò… Giusto?”
“Giusto.”
Mi dà un bacio in fronte.
“Rimani tutta la notte.”
“Vorrei, ma alle quattro dovrai riportarmi a casa, altrimenti chi li sente i miei.”
“Va bene così.”
Punta la sveglia e torniamo ad abbracciarci.
Questa è la notte più bella della mia vita.

 

Sono passati molti anni da quella notte, che è stata solo la prima di tante altre.
Negli anni abbiamo litigato spesso – quel “i need a girl that i can train”  non l’ho digerito tanto bene – ma è stato anche il ragazzo che ho sposato e che mi ha donato i due esseri umani a cui tengo di più oltre a lui: Ava e Jonas.
Sono stati anni pieni di tour – quando la band doveva sfondare e quando ha sfondato – e di canzoni.
Con Mark ho fatto pace, forse perché ha mollato Josie e per anni ha cercato una ragazza che facesse per lui. Josie è la famosa ragazza che non voleva che Mark dedicasse troppo tempo ai blink e che gli ha posto un aut-aut da cui è uscita perdente.
Succede.
Se decidi di metterti con un musicista devi avere ben chiaro che è come stare con un bigamo, la musica sarà sempre la sua seconda moglie.
In ogni caso non ha comunque niente di cui lamentarsi la ragazza: Mark le ha pagato un tributo di valore inestimabile con la canzone che porta il suo nome. Ora la Josie che gli porta cibo di Sombrero solo così, perché le va, o che lo porta a casa quando è troppo ubriaco per guidare è nell’immaginario dei fans dei blink. Così come lo è quella “All the small things” che mi è stata dedicata da Tom.
Gli anni non sono sempre stati facili, quando Tom ha iniziato a prendere le medicine per la schiena e a litigare pesantemente con Mark è stato come prendere parte a una guerra.
Fortunatamente alcune guerre finiscono in un armistizio che diventa pace armata e poi pace e basta.
“Jen, ehi Jen!”
La voce di Tom mi riporta alla realtà, siamo davanti alla casa londinese di Mark.
Visto che dopodomani partiremo per il tour europeo Skye – la moglie di Mark, che è una bravissima persona – ha proposto questa cena per rinfrescare i rapporti.
“Arrivo Tom, stavo pensando. Jonas, dammi la mano o vuoi stare un braccio al papà?”
Lui tende la sua manina verso di me, ha una predilezione per me e Ava invece per il padre, infatti si fa accompagnare da lui.
La vedo un po’ eccitata, rivedrà dopo tanto tempo Jack – che adora – e Landon – per cui ha una mezza cotta. Tom non ne sa niente o sarebbe capace di mandarla in un convento: è un padre tenero, ma anche geloso.
Tom suona il campanello ed è Skye a farci gli onori di casa, esauriti quelli tra Tom, Travis e Mark è tutto un giro di pacche sulle spalle e battute.
Mark mi fa un cenno, Travis  mi abbraccia.
Adoro Travis, è un tipo taciturno, ma è anche un buon amico – il mio migliore amico – ed è il collante che tiene insieme quei due pazzi. È stato fondamentale per il ritorno dei blink e dell’amicizia tra Mark e Tom.
Jonas mi tirà una mano.
“Mamma, posso giocare con Alabama?”
“Vai e divertiti.”
Io e Travis guardiamo loro due e poi i più grandi, Ava ricopre di attenzioni Landon che accetta con quella nonchalance mezzo menefreghista tipica del padre e Jack li guarda imbronciato.
Se il mio istinto non mi tradisce, se questa situazione continuerà a protrarsi per altri due o tre anni scoppierà di nuovo la guerra. L’occhiata che ci scambiamo io e Trav indica che come lo so io, lo sa anche lui.
Per ora non fa niente, mi godo questa pace sedendomi a tavola e chiacchierando con gli altri.
Se non avessi accettato di declassificare Tom da rischio biologico a persona degna di stima non avrei tutto questo.
Grazie Tom e in fondo fondo fondo grazie Josie.


Angolo di Layla.

E  così siamo arrivati all'ultimo capitolo, mi mancherà questa storia ç.ç! Fortuna che tra poco arrivera qualcosa di "nuovo"
Grazie a MatyOtaku e _redyragenadlove per le recensioni.
Grazie a: MatyOtaku e a A_Delonge182 per averla messa tra le seguite.

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