Everything's gonna be fine. di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)Lo specchio distorto e il migliore amico del suo amore ***
Capitolo 2: *** 2)Il rischio biologico. ***
Capitolo 3: *** 3)Le lacrime del buffone. ***
Capitolo 4: *** 4)Ciao, è mattina, sono sobria e ti amo. ***
Capitolo 5: *** 5)Everything is gonna be fine. ***
Capitolo 1 *** 1)Lo specchio distorto e il migliore amico del suo amore ***
1)Lo specchio distorto e il
migliore amico del suo amore
Alla
verità del proverbio:
“La vita è fatta a scale, quando qualcuno scende
qualcun altro sale" ci ho
sempre creduto.
È praticamente la storia
della mia vita, solo che io le scale non le ho mai salite le ho sempre
e solo
scese guardando gli altri farcela e salire, allontanandosi da me.
Fa schifo quando senti la
vita sfuggirti dalle mani e non hai idea del perché. Ti
guardi allo specchio e
vedi un essere umano come tutti, ma per gli altri devi essere una
specie di
mostro, visto che la gente non si avvicina a te nemmeno a pagarla e
l’unico
ragazzo che l’abbia mai fatto – l’unico
che hai chiamato amico e poi amore
quando nessuno poteva sentirti – si sia fatto una ragazza
dimenticandosi di te.
Brutto.
Io sono lo specchio
distorto della felicità degli altri, regolarmente registrata
all’anagrafe come
Jennifer Jenkins.
Detto chi sono io, tanto
vale dire il nome del tizio che mi piace: Mark Hoppus, ripetente
dell’ultima
classe.
È un tizio abbastanza
riconoscibile: ha i capelli viola, un sorriso da scemo e un
abbigliamento da
skater.
Per essere chiari è uno
skater con il pallino del basso, con una sua band, il che lo rende
ancora più
figo, se possibile.
Il giorno in cui ha
parlato a una disadattata sociale come – tutta presa dai suoi
libri, dalle
foto, dal disegno e dalle cose inerenti alla morte – ho
pensato che fosse uno
dei miei sogno o uno scherzo ben congegnato. Mi ci è voluto
un po’ per capire
che la mia mente non mi stava proiettando un sogno più
vivido e lungo degli
altri, né che ci fosse una cospirazione dietro questo.
I fighetti della scuola –
i giocatori di football, di basket e i ricconi – non lo
amano, lo tollerano
solo perché fa ridere quelle oche delle loro ragazze.
È stato meraviglioso
averlo al mio fianco, peccato che ora non sia più
così, ora anche lui se ne è
andato lontano da me. Ora anche lui passeggia mano nella mano con
un’altra e
non si cura più della sua amica tetra e poco popolare.
L’altra si chiama Josie ed
è una cheerleader. Una di quelle ragazze iperattive dal
corpo perfetto e amate
da tutti. Un metro e settantacinque di magrezza su cui sono piantate
delle
tette, dei capelli castano dorati, sempre perfettamente acconciati e
degli
occhi castani con cui strega tutti.
Potrebbe fare la
gattamorta con quegli occhi – e lo fa ogni tanto –
ma la maggior parte delle
volte questa Josie risolve le questioni a modo suo e senza
l’aiuto di nessuno
perché è una tipa sveglia, sicura di
sé e indipendente.
È il sogno di ogni ragazzo
ed era anche il sogno di Mark – e io lo sapevo bene viste le
volte che mi ha detto
che avrebbe voluto essere al posto di quello scimmione del ragazzo di
Josie –
ma io non gli ho dato peso. Ho fatto un fottuto errore di valutazione:
ho
creduto che continuando a frequentare me potesse innamorarsi di me
mostrandogli
la Jen migliore.
Tutte palle.
Non si è mai innamorato di
me ed essendo un tipo persuasivo alla fine ha convinto Josie a mettersi
con
lui.
La mia solita fortuna.
Ci è persino riuscito nel
modo più assurdo che un essere umano possa concepire: ha
partecipato per lei a
una gara di corsa ad ostacoli. Supportato da Tom e da Scott –
i suoi compagni
di band – si è iscritto, ma data la sua naturale
goffaggine al secondo ostacolo
è volato per terra.
Josie l’ha salutato, gli
ha donato uno di quei sorrisi che le fanno avere mezza scuola ai suoi
piedi e
lui non ha visto l’ostacolo. Non ho mai visto nessuno cadere
in quel modo e
rialzarsi così distrutto.
Solo lui avrebbe potuto
farlo.
Solo lui ha convinto la
dea della scuola a mettersi con lui tramite una caduta spettacolare,
non so
cosa sia successo o si siano detti mentre lui veniva portato in
ospedale per le
medicazioni e lei gli teneva le mani in ambulanza.
Mark ci sa fare con le
parole, deve averle fatto una dichiarazione spettacolare –
che io invidio
tantissimo – perché il giorno dopo sono arrivati a
scuola mano nella mano.
E da lì è iniziato il mio
inferno personale.
Ho perso il mio amico – il
mio amore – per ritrovarmi a fare i conti con un ragazzo
preso solo dalla sua
ragazza e per cui sono diventata trasparente.
Non sto facendo la melodrammatica,
Mark non mi vede più, per lui sono diventata parte
dell’arredamento scolastico.
La prova? Eccolo che sta
arrivando con Josie. Stanno facendo i piccioncini senza ritegno come
loro
solito, lui la sbaciucchia allegramente, lei fa le fusa: uno spettacolo
rivoltante.
“Ciao, Mark.”
Lo saluto, alzando
timidamente la mano.
Lui mi lancia un’occhiata
brevissima e disinteressata e biascica un “ciao”
mentre guarda verso l’aula di
letteratura.
Io scuoto la testa,
ributto le lacrime dentro di me – nessuno deve vedermi
piangere in questa
giungla, le case sono fatte apposta per sfogarsi – e mi avvio
mesta verso
l’aula di chimica.
L’ho perso e a questo
punto mi chiedo se l’abbia mai davvero avuto.
Entro in classe con
l’umore sottoterra solo per scoprire che il posto vicino al
mio è occupato da
uno dei compagni di band di Mark.
Cosa diavolo ci fa qui?
Di solito fa comunella con
quel genietto di Scott Raynor e con Anne Hoppus, non perde tempo con me. Io non so cosa fare, agire
come se lui non
sia lì forse è la migliore.
Con la guardia ben alzata
mi siedo al mio posto e tiro fuori il blocco degli appunti,
l’astuccio e il
libro di testo. Lui sembra accorgersi di me e mi guarda.
“Ciao.”
“Ciao.”
Rispondo io.
“Tu sei l’amica di Mark,
vero?”
“Sì.”
Pausa di silenzio.
“Non sei di molte parole.”
“Già.”
“Io mi chiamo Thomas
DeLonge, ma mi chiamano tutti Tom.”
“Io sono Jennifer Jenkins,
Jen per farla breve.”
L’arrivo del professore mi
risparmia dal continuare questa conversazione che non so se valga la
pena
portare avanti. Seguo la lezione piuttosto svogliatamente –
il mio cervello è
con Mark e Josie e rimugina su cosa sia andato storto –
quando finisce fuggo
alla prossima senza curarmi di nessuno. Ho la vaga impressione che Tom
mi
chiami, ma non perdo tempo a controllare se sia vero o meno.
Seguo tutte le lezioni
prestando attenzione a corrente alternata a quello che i professori
dicono,
pensando che non vorrei essere lì, ma in un altrove non ben
definito come
Gauguin con la sua Polinesia.
Arrivo a pranzo stanca e
senza un filo di energia, prendo il rancio che ci danno e lo consumo
nel mio
solito tavolo solitario e ben nascosto. Non ho fame, ma non ho voglia
di
crollare come una pera cotta nel bel mezzo della lezione di ginnastica
e farmi
portare in infermeria.
Finito, butto gli avanzi e
metto e posto il vassoio, così posso finalmente uscire.
Il liceo di Poway – come
tutti i bravi licei d’America – è diviso
per zone e a seconda di dove stai sei
uno sfigato, un popolare, un cannaoiolo, un nerd o quello che
è. Io ho trovato
il mio posto che è fuori da tutte queste zone di guerra e
ogni giorno mi fumo
una sigaretta in pace.
Conto di farlo anche oggi,
ma non appena accendo sento inequivocabilmente qualcuno chiamarmi. Alzo
la
testa e vedo Tom avanzare verso di me.
“Dì’ un po’ sei sorda o
vieni da un qualche pianeta alieno?”
“Credo di essere una
terrestre dotata di un buon udito.”
“Devi rivedere questo
concetto. Dopo chimica ti ho chiamata, ti ho fatto cenni a pranzo e ti
ho
chiamata, ma tu niente.”
“Scusa.”
“Tutto qui?”
Mi guarda incredulo.
“Cosa ti aspettavi? Che ti
declamassi la Divina commedia? Non ti conosco, non siamo amici e sono
moderatamente certa che nemmeno Mark sia mio amico.”
Lui mi guarda senza
capire.
“Non capisco, giravate
sempre insieme.
“Lascia perdere, lasciami
fumare in pace.”
Sono davanti alle scale
che portano alla caldaia in piedi, lui si siede sulle scale con
nonchalance e
guarda alternativamente me e il cielo.
Boh.
Fumo la mia sigaretta in
pace, butto la cicca per terra e faccio per andarmene, ma la presa di
una mano
sul polso me lo impedisce.
Tom.
Mi ero quasi dimenticata
di lui.
“Dove vai?”
“A lezione, no?”
“Non devi dirmi qualcosa?”
“No.”
“Ah ah. Errore, Jenkins!”
Il suo tono è strafottente
e i miei nervi iniziano a saltare.
“Cosa cazzo ti devo dire,
DeLonge?”
“Mi devi spiegare perché
Mark non è tuo amico.”
Inizia a venirmi un tick
all’occhio destro, mi succede sempre quando qualcuno mi parla
di Mark e Josie.
Provo a controllarmi, ma niente, il dannato tick parte lo stesso
dandomi
un’aria da psicotica.
“Non è ovvio?
Prima mi cerca lui, poi è sempre
con me e ora che c’è quella vacca di Josie io ho
smesso di esistere. Non mi
cerca, lo devo fare io e a stento mi parla.
Sai cosa penso? Che il tuo
furbissimo amico mi avesse adocchiato come sfigata asociale, un fonte
assicurata di compiti se trattata con qualche carezza!”
“Mmh, a te piace Mark?”
“Va all’inferno!”
Sibilo irritata,
lasciandolo come un baccalà e dirigendomi verso il liceo.
Già ho lezione di
ginnastica – un qualcosa che odio dal profondo della mia
anima nera – non ci si
deve mettere anche lui con i suoi toni strafottenti.
Mi dirigo verso gli
armadietti come una furia, prelevo la mia roba e mi fiondo in palestra.
Gli
spogliatoi sono vuoti – gli stronzi devono essere
già tutti a lezione – e io mi
cambio alla velocità della luce vomitando insulti a destra e
a manca.
In palestra finisco per
prendermi un rimprovero del professore, rimprovero che è
costretto a
rimangiarsi quando
giochiamo a
pallavolo. Di solito faccio schifo, ma oggi immagino che tutte le palle
siano
le teste di Josie, Mark e Tom e le colpisco con violenza inaudita.
In breve tempo divento il
terrore dei miei compagni e il professore rimane a bocca aperta.
Tiè!
A fine lezione sono stanca
come non mai ed è un vero sollievo poter andare a casa:
finalmente è finita!
Arrivo alla mia macchina
per trovare una spiacevole sorpresa: Tom DeLonge è seduto
sul cofano della mia
macchina, lui e la sua faccia strafottente.
La tentazione di ignorare
la mia macchinetta e prendere il pullman per andare a casa è
fortissima – e sto
per girare i tacchi ed andarmene – quando l’ospite
indesiderato si accorge di
me e mi fa cenno di raggiungerlo.
Merda!
“Non scappare Jenkins, mi
devi un passaggio a casa.”
“Quando te l’avrei
promesso?”
“Quando ti sei rifiutata
di dirmi la verità sul perché tu sia
così incazzata con Mark.”
Io alzo agli occhi al
cielo, voglio strozzarlo.
“Sei una piaga!”
“E tu un’ipocrita.”
Lo fulmino con
un’occhiataccia da manuale.
“Non osare dire mai più
quella parola!”
“Perché? È la verità.
Fingi di essere incazzata con Mark e di odiare Josie quando ami lui e
odi te
stessa per non esserti fatta avanti!”
“Io non fingo!”
Sibilo a denti stretti.
“Sì.”
“Scendi dalla mia
macchina.”
“No.”
“SCENDI, CAZZO!”
“NO!”
“TI ODIO, TI ODIO E TI
ODIO! COSA CAMBIEREBBE SE TI DICESSI CHE AMO IL
TUO AMICO? NON LASCEREBBE CERTO JOSIE PER ME, NESSUNO SANO
DI MENTE LO
FAREBBE!
MA TANTO A TE CHE IMPORTA?
HAI AVUTO LA TUA RISPOSTA ORA VATTENE. VOI MASCHI SIETE TUTTI DEI
BASTARDI!”
Uno schiaffo sonoro
interrompe il mio soliloquio. Ha osato schiaffeggiarmi?
Con uno sguardo spiritato
gli restituisco la sberla e tento di spintonarlo via, ma lui mi prende
per un
braccio. Cosa vuole fare?
Penso al peggio, invece mi
abbraccia e basta, sono talmente sconvolta che mi metto a piangere
intanto lo
prendo a pugni.
Perché non mi lascia
andare?
Vorrei urlarglielo in
faccia di mollarmi, ma lui si mette ad accarezzarmi i capelli e mi
sussurra
all’orecchio che andrà tutto bene e il mio corpo
– bastardo traditore – si
rilassa.
“Forza, andiamo in macchina.”
“Lasciami andare, ti
prego.”
“Non ci penso nemmeno.”
Apre la portiera dalla
parte del passeggero e mi fa entrare, lui invece si mette alla guida:
sono
fregata.
“Perché sei qui?”
“Beh, volevo capire perché
non ritenessi più Mark un tuo amico e poi sei finita nel bel
mezzo di una crisi
isterica, non potevo mollarti qui.”
Io continuo a piangere
silenziosamente pensando che lo detesto e che sta rigirando il dito
nella
piaga.
Mark e Josie.
Josie e Mark.
E io, la stupida
rifiutata, che si era illusa di poter contare qualcosa per lui.
“Non è necessario che mi
accompagni a casa, so cavarmela da sola.
Mugugno vedendolo
accendere la macchina.
“Non ti voglio avere sulla
coscienza.”
Sulla mia faccia si
dipinge un sorriso amaro, sono sulla coscienza di qualcun altro se solo se ne fosse accorto.
Continua a guidare senza
chiedermi indicazioni, ma questa non è la strada per casa
mia, dove cavolo
stiamo andando?
“DeLonge, dove stiamo
andando?”
“Non ti preoccupare.”
“Mi preoccupo invece.”
Lui tace e continua a
guidare fino a quando arriviamo al parco della nostra cittadina:
lì si ferma e
parcheggia.
“Forza, scendi.”
Sbuffo e scendo, cosa
diavolo sta tentando di fare?
Entriamo, si ferma a un
chiosco e prende una crepes e due coche, poi mi fa cenno di sedere su
una
panchina.
Agli ordini, mein fuhrer!
Hail DeLonge!
Sulla panchina mangiamo in
silenzio, lui ogni tanto mi guarda – come a studiarmi
– irritandomi. Perché
diavolo mi ha portato qui se deve continuare a guardarmi come se fossi
un
alieno?
“Non sono un alieno!”
“Sto cercando di capirlo.”
Mi risponde lui serafico.
“Ah, che carino. Sono
talmente brutta che non mi ritieni nemmeno una terrestre?”
“No, sei solo strana.”
“No, sono
solo preoccupata perché un perfetto
estraneo mi ha presa e portata al parco contro la mia
volontà: si chiama
istinto di sopravvivenza.”
“Uno: non sono un perfetto
estraneo, ci siamo presentati. Se tu ti ostini a trattarmi come tale
è un
problema tuo.
Due: se fossi un maniaco a
quest’ora ti starei già stuprando.”
“Allora devi essere pazzo,
preferisci ascoltare le lagne di una ragazza che fare altro.”
“L’alternativa sono i
compiti di matematica, tu sembri più gestibile.”
Io sbuffo e scuoto la
testa, bevendo un’altra sorsata della mia coca.
“Allora, ti va di parlarmi
di Mark?”
“Non c’è niente da dire, è
la storia più antica del mondo.”
“Io sono nato ieri.”
Che tizio irritante!
“Sei irritante!”
“Preferisci che diventi un
maniaco? Posso farlo subito!”
Si alza con fare deciso
dalla panchina e mi prende per un polso, trascinandomi verso il capanno
incustodito dei guardiani.
“Ehi, che fai? Lasciami
andare!”
Lui mi ignora e per quanto
io mi divincoli la sua presa è salda, l’altezza e
il fatto che pesi più di me
sono dalla sua parte.
“Lasciami!”
Scoppio di nuovo a
piangere e questa volta quando si volta per abbracciarmi –
questo tizio è matto
come un cavallo! – gli tiro un pugno al petto che lo fa
piegare in due.
“Vattene.”
Farfuglio.
“Vattene!”
Lui alza le mani, ma tiene
lo sguardo incatenato a terra.
“Scusa, non facevo sul
serio, non pensavo che te la prendessi così tanto.
Scusa, era una cavolata.”
Io continuo a piagnucolare
anche se vorrei darmi un freno, lui alla fine mi abbraccia e non viene
respinto.
Mi riporta alla panchina e
mi guarda
“Vuoi raccontarmi di
Mark?”
“Non c’è molto da dire. Io
sono l’asociale della scuola, non sono abituata al fatto che
la gente mi parli
e mi tratti da essere umano e quando il tuo amico l’ha fatto
mi è sembrato un
sogno.
L’ho trovato subito carino
e conoscendolo ho scoperto che era anche una brava persona, ma forse mi
sbagliavo.
Mi piaceva avere qualcuno
con cui parlare, lui mi riempiva la testa di voi, della band e di
Josie, ma non
ho dato peso all’ultima cosa dato che mezza scuola
è ai piedi di quella vacca.
Credevo che continuando a
frequentarmi e ad avere sotto gli occhi la Jen migliore potesse
innamorarsi di
me. Mi sono sbagliata, non è mai successo.
Erano tutti film nella mia
testa.
Un bel giorno è arrivato
fidanzato con Josie e la cosa è semplicemente finita, non mi
saluta nemmeno
più. Fine.”
“Mark è una brava persona,
non lo sembra solo.”
Io alzo gli occhi al
cielo.
A casa mia le brave
persone non smettono di salutarti da un momento all’altro e
iniziano a
trattarti da invisibile senza un motivo.
“Come vuoi. Cosa ci
trovate tutti in Josie?”
“Beh, ha un corpo da
favola. Deve essere bravissima a letto, è molto
intelligente, dovresti sentirla
mentre discute delle mostre che va a vedere o dei libri che ha letto.
È appassionante.
Poi le piace lo sport, è
brava a basket e a baseball. Fa skate, le piace il punk ed è
autonoma.
Non è una di quelle
seccatrici che hanno bisogno di te ogni due per tre o ti trascinano per
negozi
per schiaffarti in mano tonnellate di borse piene di merda
inutile.”
A ogni elogio a lei il mio
cuore sprofonda sempre di più fino a raggiungere le
profondità infernali.
È la ragazza perfetta, che
chance potevo avere io?
Io con il mio metro e
cinquantacinque, il seno inesistente, i miei scialbi capelli castani e due occhi di un
ordinario blu?
Io che sono un’insicura
cronica?
Io che non sono mai stata
nemmeno baciata?
Nessuna.
“Grazie, ora ho capito
perché non sceglierà mai me.”
Mi sto alzando
quando vedo Mark avanzare con lei
attaccata al braccio, non ci hanno visti
e se la ridono felici.
Lui fa una battuta, lei
ride e poi si baciano appassionatamente.
Praticamente la coppia
perfetta, quella che io non sarò mai.
Ricado pesantemente sulla
panchina con le lacrime agli occhi, spero vivamente che non mi vedano,
ma
sembrano decisi a venire da questa parte.
Che faccio?
Ci pensa Tom a risolvere a
modo suo la situazione prendendomi in contropiede.
Con una mossa rapida fa in
modo che io vada dietro di lui e poi mi attira a sé e mi
bacia.
Non un bacio a stampo, un
bacio di quelli con la lingua.
Un bacio di quelli che non
ti scordi.
Un bacio a cui io
rispondo.
Che cazzo sto facendo?
Angolo di Layla.
Salve, spero che questa Tom/Jen vi piaccia. Non è
finita, sono indecisa se scrivere e pubblicare il quinto capitolo o
fermarmi al quattro, per questo la sto pubblicando prima di aver finito
di scriverla. Per avere un parere da voi.
Spero di ricevere qualche recensione e che vi piaccia.
Non so cosa altro dire .____. scusate
|
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Capitolo 2 *** 2)Il rischio biologico. ***
2) Il rischio biologico.
Ci
sono attimi che
sembrano infiniti anche se durano pochi secondi: quando si apre
l’ascensore e
non sai se dovrai condividere uno spazio esiguo con uno sconosciuto
imbarazzato
quanto te, quando la prof di matematica annuncia i voti e tu speri
sempre che
sia sopra la sufficienza, quando entri in una nuova classe e hai tutti
gli
occhi puntati addosso e quando baci qualcuno che non crederesti
possibile.
Fino a questa mattina il
tizio che sto baciando era un perfetto estraneo – un fantasma
che mi nominava
spesso Mark – poi è salito al grado di conoscenza
e alla fine a quello di
seccatore.
E ora mi sta baciando.
Perché? Perché gli faccio
pena?
Per zittirmi?
Per nascondermi da Mark?
Perché gli piaccio?
E io perché sto
rispondendo?
Vorrei trovare risposta
almeno a una di queste domande o almeno avere il tempo di farle al
diretto
interessato, ma Tom DeLonge – finito di baciarmi –
fugge come se avesse Satana
alle calcagna lasciandomi come una fessa sulla panchina.
Ho almeno quindici secondi
di vuoto mentale in cui guardo lo spazio attorno a me senza vederlo sul
serio,
poi mi risveglio e lancio un’imprecazione.
I bambini che giocano nel
vicino campetto di baseball mi guardano incuriositi, io non li calcolo,
nella
mia testa c’è un spirale di pensieri contorti che
fa un discreto casino.
Abbastanza casino da non
riuscire a trovare una fine e un nesso logico alle schegge di fatti che
mi
rimbalzano in testa.
Fanculo.
Guardo gli alberi vicino
al laghetto, sono aceri canadesi e sono uno spettacolo per gli occhi.
Una
macchia rossa in mezzo a tutti gli altri che sono arancioni o gialli,
una
macchia di sangue, la vittima insospettata
dell’oscurità della vita.
“Si sta come d’autunno
sugli alberi le foglie.”
Sono versi di un poeta
italiano sentiti chissà dove e chissà quando, ma
mi ritornano in mente
guardando quell’acero. Siamo tutti in bilico come quelle
foglie, non ci aspetta
la morte, ma la distruzione delle nostre convinzioni sì.
Pensavo di amare Mark, ma
ho baciato un altro. Che faccio?
La mia parte razionale
manda strali contro l’assurdità e la
stupidità di questo dilemma e mi incita ad
andare a casa a finire la caterva di compiti di matematica che ci hanno
assegnato.
Le do retta, chiudo questo
bacio nella zona “Bio Hazard Keep out” del mio
cervellino stanco e vado
a casa.
Lì trascorro due amabili
ore a litigare con i misteri della matematica, imprecando ad alta voce e maledicendo qualsiasi
cosa mi capiti sotto
mano con questa scusa.
Alla sera sono esausta e
decido che Tom DeLonge può tranquillamente stare nella zona
“Bio Hazard” e che
da domani fingerò di non conoscerlo, come se oggi non fosse
mai esistito.
Mi sembra un' ottima
decisione.
La mattina dopo mi alzo
rintronata come non mai, nemmeno due tazze di caffè forte mi
rimettono in sesto
del tutto.
Odio dover andare a scuola
in queste condizioni!
Il liceo di Poway poi non
riserva particolari sorprese: i corridoi sono affollati dai soliti
gruppetto e
la coppia Mark/Josie dà spettacolo.
Bella merda!
Vorrei staccarle la
lingua a quella zoccola!
Sto imprecando sottovoce –
tirando fuori i libri per le lezioni di oggi – quando
qualcuno si appoggia di
peso all’armadietto accanto al mio.
Senza troppo interesse
sbircio con la coda dell’occhio e tutti i miei allarmi si
mettono a suonare.
La regina Josie Perry si è
appena appoggiata al mio armadio, ci sono guai in vista.
Che palle!
“Buongiorno Jenkins”
“Buongiorno Perry, come
mai parli ai pezzenti oggi?”
“Poco sarcasmo, carina e
stammi a sentire.
Smettila di fare
quello sguardo da cucciolo
abbandonato ogni volta che passa Mark. Sei un imbarazzo per me e per la
società, Mark è il mio ragazzo non il tuo,
mettitelo in testa.
I ragazzi come Mark non
scelgono le sfigate come te.”
Detto questo se ne va,
lasciandomi addosso la voglia di spaccare il mondo e di farla secca.
Stupida
puttana, come si permette?
Butto i libri nella borsa
animata da una furia assassina, vorrei ucciderla in questo momento.
Vorrei
vedere la sua bella testa piena di riccioli castani e di indipendenza
rotolare
per terra e poi prenderla a calci.
Infuriata come non mai
entro nei bagni senza fare nemmeno fare caso se siano quelli dei
ragazzi o
delle ragazze.
“Brutta puttana di merda
spero ti venga un ictus! Spero che tu venga travolta da tredici tir,
come cazzo
ti permetti?
Io sono una sfigata?
Ma se fino all’altro
giorno nemmeno lo cagavi uno come Mark perché era sfigato
come me, come cazzo
ti permetti di venire da me?
Come cazzo?
Sei solo una merda! Una
fallita!
Spero che lui ti molli quando sei incinta di tredici gemelli troioni e
bastardi
come te!”
Il mio sfogo si accompagna
al prendere a pugni la porta di uno box facendola oscillare
pericolosamente,
fino a che due braccia si stringono saldamente intorno alla mia vita e
mi
costringono a voltarmi.
Bio Hazard! Ho davanti Tom
DeLonge!
“Che ci fai qui? È il
bagno delle ragazze questo!”
“No, veramente è il bagno
dei ragazzi e dentro il box che stavi distruggendo
c’è un tizio che è troppo
terrorizzato persino per parlare.”
“Ha ragione!”
Esclama una voce flebile
da dentro il box.
“Oh merda! E io che mi ero
detta di non parlarti più, merda!”
Lui alza un sopracciglio e
non commenta, grazie a dio.
Questo è uno dei momenti
in cui scomparirei volentieri dalla faccia della terra, non solo mi
hanno
sgamato durante una crisi isterica, ma
mi ha addirittura beccato chi dovevo ignorare totalmente .
Merda!
Un cigolio timido mi
distrae dai miei pensieri, dalla porta ammaccata del box esce un
ragazzino del
primo anno.
“Scusa.”
Lui bela qualcosa e
scappa.
Grandioso, ho
traumatizzato un innocente!
“Allora, che lezione hai?”
“Arte.”
“Bene ce l’ho anche io,
andiamo.”
“NO!”
Lui mi guarda esasperato.
“Perché vuoi fingere che
non esisto? Non ha senso!”
“Per quello che è successo
ieri.”
“Il bacio? Ma non è
niente. Non significa niente, non farla troppo seria.”
Continua a parlare mentre
esce dal bagno credendo che io lo segua, io invece guardo la sua
schiena
allontanarsi e mi sento come se fossi l’unica persona rimasta
sul pianeta.
Ho il vuoto cosmico che mi
è scoppiato nel petto, come se Tom avesse dato origine a un
buco nero in grado
di risucchiare tutto.
Ci sono baci che non
significano nulla per le persone che li danno, baci che si danno per
hobby e io
ho sprecato così il mio primo bacio.
Il fatto che io sia nel
bagno dei maschi mi dà la spinta per uscire, solo che non mi
dirigo nella
classe di arte, esco dalla scuola. La mia metà sono le
tribune del campo
sportivo, a quest’ora ci sono solo i fattoni, non
è il massimo per fumare in
santa pace, ma Tom ha scoperto il mio primo nascondiglio.
Cammino per il cortile
sentendomi una ladra e tiro un sospiro di sollievo solo quando
raggiungo le
tribune, con calma inizio a scavalcare le sbarre di metallo o a
strisciare.
Incappo in un paio di
messicani che stanno fumando erba.
“Ehi, gringa!”
Mi fa il primo che non
potrà avere più di dodici anni.
“Vuoi un tiro?”
Sto per rispondere con un
secco no, quando qualcosa mi fa cambiare idea.
Perché no?
Se la gente bacia alla
cazzo di cane io potrò concedermi un tiro, no?
“Sì, perché no?”
Mi siedo e accetto
la canna, tirando una boccata che
mi fa tossire come una dannata.
“Sei una novellina, eh?”
“Sì, è la prima volta. Tua
madre non ti avrà partorito con una canna in mano,
no?”
Ridono e cominciamo a
chiacchierare mentre lo spinello fa più volte il giro.
Alla fine mi sento la
testa leggera e il principio di un abbiocco. Il sole è
caldo, non ho voglia di
andare alla lezione di arte per beccarmi il mio rischio biologico e
quindi
assecondo la sonnolenza
La testa ciondola, io mi
sdraio e lascio che il sonno cada su di me, mentre gli altri due ridono.
Mi sembra di aver dormito
solo cinque minuti quando qualcuno mi scuote con poca gentilezza.
“Svegliati, bella
addormentata! È già arrivato
l’intervallo!”
Con un po’ di fatica apro
gli occhi e faccio un salto, Tom DeLonge mi sta fissando con aria poco
gentile.
“Tanfi di marijuana, mi
hai abbandonato facendomi fare la figura del cretino solo per fumarti
un po’ di
erba?”
“Che ti frega? È come il
nostro bacio, non ha significato!”
Faccio per alzarmi, ma
barcollo e se lui non fosse veloce ad afferrarmi sarei caduta per terra.
“Buona, bad girl. Ci vuole
un po’ per smaltire quella roba.
Cosa ne dici di
raccontarmi perché stavi prendendo a pugni una porta
innocente nel bagno
sbagliato e terrorizzando una matricola?”
“Tu non dovresti
esistere!”
“E che palle! Guarda che
ti lascio qui e poi sono cazzi tuoi se ti senti male!”
Si alza piuttosto
arrabbiato, sarebbe bellissimo vederlo andare via se solo in me non si
attuasse
una drammatica scissione: una parte vuole che se ne vada,
l’altra che resti.
“No, fermati! Scusa!”
Urlo alla fine.
Lui torna sui suoi passi e
si siede accanto a me, passandomi un braccio intorno alle spalle, la
parte
traditrice ne approfitta per appoggiarsi grata alla sua spalla e al suo
petto.
“Ti stai scusando sul
serio?”
“Beh, c’è una parte di me
che pensa sia necessario, a quanto pare.
Credo che la mia
personalità si sia scissa.”
“Perché mi odi così
tanto?”
“Mi hai baciato e te ne
sei andato e poi l’hai detto che l’hai fatto
così senza un motivo.
Poco carino.
Non si fanno prendere
questi colpi alla gente.”
“Scusa, frase infelice.
Facciamo finta che non sia
successo niente.
Rewind! Per quale cazzo di
motivo stavi prendendo a pugni una porta?
Ti faceva così schifo?”
“No, devi ringraziare la
tua adorata Josie.”
“Non è mia o il tuo
adorato Mark potrebbe evirarmi e io ci tengo al mio pisello.”
“Oh, già. Immagino:”Scusa,
ti ho scopata così. A caso. Perché mi si era
rotta la tv e non sapevo cosa
fare!”
“Che bestiolina che sei!
Che ti ha fatto Josie?”
Io sbuffo.
“Oggi la regina si è
appoggiata all’armadietto accanto al mio per comunicarmi un
paio di cose: di
smettere di guardare Mark con l’aria di un cane bastonato,
che sono un
imbarazzo per lei e per la società.
Ah! E che i ragazzi come
Mark non scelgono le sfigate come me.”
“Non me lo sarei mai aspettato
da lei.”
“Eh, già. Immagino che le
sue bocce ti abbiano distratto.”
“Ne ha un bel paio! Sono
un ragazzo!
Comunque ti ha detto delle
cose poco carine, capisco perché fossi così
arrabbiata.”
“Già è dura ingoiare
questo rospo in più arriva Miss Liceo-di-Poway a farti
pesare la sua
superiorità. Che merda!
Non posso far sparire in
tre secondi la mia cotta per Mark e non credo di dovermi vergognare del
fatto
che sto male.
Coglionazza!”
“Per essere una secchiona
ne dici di parolacce!”
“Sono un essere umano,
prima di tutto!”
“Posso provare a parlare
con Josie, se vuoi.”
Io abbozzo un sorriso amara,
conosco la melma in questione, non funzionerebbe.
“Apprezzo l’offerta, ma
sarebbe solo peggio. Mi tratterebbe da sfigata che è subito
corsa a piangere
dall’amichetto.”
Lui rimane in silenzio.
“Jen, posso abbracciarti?”
“Mi hai baciato senza
motivo e ora chiedi di abbracciarmi?”
“Che tizia complicata, io
volevo solo essere carino e tentare di redimermi!”
Io ridacchio – che cosa? –
e annuisco.
Lui mi porta sul suo petto
e mi stringe a sé, piano. Sento il suo cuore battere ed
emette calore, inoltre
profuma di cocco, come se si fosse messo la crema solare.
“Che buon profumo. Crema
solare?”
“Sono di pelle delicata,
sono mezzo francese.”
“Strano che tu non abbia
ancora preso fuoco al sole delle California!”
Lui ride e mi scompiglia i
capelli, per poi seppellirci la testa.
Ok, la mia personalità si
sarà drammaticamente scissa, ma è innegabile che
io stia bene tra le sue
braccia.
Oh, merda! E adesso? Cosa
faccio?
Come faccio a farlo
rimanere nella zona Bio hazard del mio cervello?
A
quanto pare – almeno per
oggi – tenerlo fuori dalla vita è impossibile. Mi
accompagna a ogni lezione, mi
fa compagnia a pranzo e poi si infila nella mia macchina una volta
finita la
scuola.
“Vuoi infilarti anche nel
mio letto già che ci sei?”
Lui ride.
“Potrei prendere sul serio
la tua offerta, sono un ragazzo mi piace infilarmi nei letti delle
ragazze.”
“Dormo in un letto da
fachiro circondato da un fossato di coccodrilli.”
“Me li farò amici. Beh,
stai tranquilla comunque, voglio solo portarti in un posto in cui spero
il tuo
spirito polemico si placherà un attimo.”
Lo guardo scettica mentre
ingrana la marcia a parte, pensando che devo essere pazza a permettere
a un
perfetto estraneo di prendere la mia macchina e di portarmi da qualche
parte.
Potrebbe portarmi nel
deserto, violentarmi, ammazzarmi e lasciare il mio corpo in pasto ai
condor per
quel che ne so.
Lui fischietta
tranquillamente e si dirige fuori dalla città. Ecco, lo
sapevo mi porterà nel
deserto, ma io non sarò una vittima facile da ammazzare!
Non andiamo nel deserto,
prendiamo l’autostrada per San Diego e lui non dice una cazzo
di parola che sia
una, questo silenzio finisce per innervosirmi
sempre di più.
Dove cazzo mi vuole
portare?
Alla fine usciamo a San
Diego e segue le indicazioni per la spiaggia, forse so dove mi vuole
portare.
Come pensavo parcheggia
vicino alla spiaggia, reperisce una coperta dal bagagliaio e mi
trascina verso
il lungomare.
Camminiamo a lungo alla
ricerca del punto in cui inizia la spiaggia libera e poi entriamo, lui
stende
la coperta vicino al mare e si siede. Senza dire una parola.
Io lo imito, mi tolgo le
all star rosse, mi godo il caldo della coperta sui piedi nudi e guardo
l’oceano.
È grigio scuro, triste, ma
bellissimo. I gabbiani volano bassi e lanciano i loro richiami striduli.
Ha ragione, mi sto
calmando.
Non penso a Mark e a Josie
e a quanti mi piacerebbe far fuori in modo sanguinolento quella vacca
da
quattro soldi.
Penso solo al cielo, al
mare, alla brezza fresca che mi accarezza e al silenzio che sta
mantenendo
questo ragazzo che ha tutta l’aria e la fama di uno quelli
logorroici da paura.
Mi sta rispettando e ha
fatto qualcosa per me.
Una cazzata, una cosa da
poco conto, ma che mi ha fatto stare bene.
Forse dovrei ringraziarlo
e riconsiderare i miei progetti di far finta che non esista.
Un gabbiano grida ancora e
io vorrei essere quel dannato gabbiano: libera, lontana da tutto e da
tutti,
senza pensieri se non il cibo.
Sarebbe bellissimo!
Sono solo Jen invece, una
diciassettenne rifiutata dal suo amore e insultata dalla ragazza che
lui ha
scelto.
Non sono un animale, sono
un essere umano .
“Grazie.”
Mormoro, so che mi
sentirà.
“Prego, a patto che tu
smetta di far finta che io non esista.”
“Potrei considerare
l’ipotesi.”
Lui sorride e i gabbiani
ricominciano a gridare.
Va bene così.
Angolo di Layla.
Ringrazio le due recensitrici,
penso di scrivere anche il quinto capitolo.
Eve182:: sono
contenta che ti piaccia, puntavo a un finale a sorpresa.
MatyOtaku:Beh,
sì è probabile che somigli a Ruby,
perché sia lei che Jen sono uhm me xD. Diciamo la base
fondamentale del carattere, ecco. en è più
romantica sì, comunque. No, Tom non è troppo
normale e diciamo che mark mi serviva stronzo pert esigenze di copione,
così come Josie. Per il quinto capitolo è una
specie di coda, ma penso possa servire.
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Capitolo 3 *** 3)Le lacrime del buffone. ***
3)Le lacrime del buffone.
Ci
sono verità con cui devi
scontrarti prima o poi nella vita: una di queste è che non
puoi sempre cacciare
una persona dalla tua vita perché, a volte, è
come se si sia destinati a stare
insieme.
Io avrei voluto tenere Tom
fuori dalla mia vita e Mark dentro, ma mi accorgo che son due cose
impossibili.
Per quanto riguarda Mark
ogni volta che lo vedo una voce mi ripete beffarda le parole di Josie,
quindi
cerco di evitarli. Sembro una ridicola profuga – pronta a scattare al
minimo rumore – quando
passano in corridoio, perché me la batto sempre.
Sono ridicola perché non
sempre mi riesce di nascondermi e diventa plateale che io stia fuggendo
per la
coppietta, Josie sembra felice, Mark non lo so.
Non mi ha più parlato,
come ho già detto per lui sono tornata a essere invisibile,
parte della
tappezzeria della scuola.
In quanto a Tom me lo
ritrovo ovunque e ho finito per accettare il fatto che non posso far
finta che
non esista, così ho cominciato a chiacchierare con lui.
Dalle chiacchiere passiamo
alle confidenze e finisce per conoscere troppe cose su di me.
Sa che mi piace
fotografare e che vorrei fare la designer d’interni per
rendere più
confortevole la vita delle persone, che amo alla follia la saga de
“Il signore
degli anelli” e le cose macabre.
Sa che Halloween e i dias
de los muertos sono le mie feste preferite e che ogni tanto me ne vado
a
Tijuana, che ho una sorella più grande di nome Amanda che
non sopporto, ma che
per fortuna va al college a San Diego.
Sa che mia madre
è un’infermiera e che mio padre è
medico e che non ho stima di lui perché so che tradisce mia
madre, sa che una
volta l’ho persino beccato con l’altra: una
dottoressa bella e ricca di
famiglia.
Intuisce che è per questo
che mi fido poco delle persone e sa che Mark è stato
l’unico a mostrarsi umano
con me e per questo ho finito per amarlo.
Lui non parla molto di sé
invece, o meglio parla di cose poco importanti.
Mi ha raccontato delle sue
evoluzioni sullo skate, del fatto che crede negli alieni e mi ha
illustrato un
sacco di teorie complottiste di cui ignoravo l’esistenza.
Mi parla per ore dei
blink, del suo sogno di essere musicista e di vivere facendo il lavoro
che ama,
mi mostra i suoi disegni e devo ammettere che è piuttosto
bravo.
Parla poco della sua
famiglia, mi ha solo detto di avere un fratello più grande
di nome Shon e una
sorella più piccola di nome Kari e che ha iniziato suonando
la tromba e
svegliando tutta la famiglia alle tre più di una volta.
Dice anche che se dovesse
andare male con la musica vorrebbe fare il pompiere, perché
gli piace l’idea di
salvare vite.
Per il resto non parla
molto, come se in lui ci fosse una zona oscura di cui non si sente
ancora
pronto a parlare.
Ok, rispetto i suoi tempi
anche se è leggermente imbarazzante parlare con uno di cui
sai poco delle cose
più personali.
In ogni caso circa tre
settimane dopo io e lui siamo allo stesso tavolo a Biologia in attesa
che il
prof decreti i trii che dovranno eseguire una ricerca: una delle cose
che odio
di più al mondo.
“Bene, i prossimi sono:
DeLonge, Jenkins e Perry.”
Perry? Ha detto davvero
Perry?
La mia mano scatta in
automatico verso l’alto.
“Scusi, professor Dalton è
possibile cambiare i gruppi?”
“No, Jenkins.
Altre domande?”
“No, grazie.”
Scuoto mestamente la testa
pensando che mi aspettano tempi cupi con quella oca tra i piedi.
Merda!
“Ti è andata male,
Jenkins. Sarà dura per una come te sopportare la perfezione
e capire sempre di
più perché Mark ha
scelto me.”
“Se non fosse illegale ti
lancerei dell’acido su quella faccia da culo che ti ritrovi,
Perry.”
“Non mi fai paura,
sfigata.”
Detto questo si alza e se
ritorna al suo posto ondeggiando su quei dannati sandali troppo alti
che si
ostina a portare anche a scuola. Tom mi trattiene all’ultimo
secondo, sto per
lanciarle addosso una
delle bottigliette
delle sostanze di chimica.
“Ma sei matta? Vuoi farle
del male?”
“No, voglio solo
scioglierla nell’acido!”
Lui scuote la testa.
“Oggi, Mark mi ha chiesto
di mangiare con lui.”
“Vai a mangiare con lui,
non è un obbligo quello di mangiare con me.”
“Non ti mancherò nemmeno
un po’?”
La sua faccia è fintamente
offesa, ma non sono sicura al cento per cento che sia solo una finzione.
“No, vai tranquillo.”
Lui se ne va, tranquillo
non lo so, ho l’impressione di avere detto qualcosa di
profondamente sbagliato.
Mangiare da sola è un
ritorno ai vecchi tempi e lui mi manca più di quello che
avrei potuto pensare,
è brutto sentirsi da soli in una mensa affollata.
Alla fine delle lezioni mi
aspetta accanto alla macchina, ha un’aria un po’
abbattuta.
“Ehi, tutto bene?”
“Uhm? Sì, mi ha solo
consegnato il compito di matematica, una F di merda.
Lavoriamo a casa mia,
Josie ci raggiungerà lì.”
Io storco la labbra al nome
della vacca.
“Mi dispiace, DeLonge. Se
solo fossi un po’ più brava in mate ti darei una
mano.”
“La chiederò a Scott. Quel
piccolo bastardo, nonostante abbia tre anni in meno di noi,
è un genio con
questa roba.”
“Perfetto.”
Entriamo in macchina e lui
alza a palla la radio in cui ha messo una cassetta dei Sex Pistols: la
radici
del punk.
Deve essere il suo modo
per dire che non vuole parlare, oggi è stranissimo e sono
sicura che non c’entri
la F che si è preso in matematica: uno come lui deve esserci
abituato e non mi
sembra nemmeno uno che ci tenga ad avere una media alta.
Arrivati a casa sua – una
villetta modesta alla periferia della cittadina – mettiamo
qualcosa sotto i
denti e ci mettiamo a lavorare.
Solo dopo un’ora mi
accorgo che la regina non si è presentata, dove cazzo
è finita quella stronza?
Bigia già la prima volta?
Non crederà che io e Tom
faremo anche la sua parte di lavoro?
“Tom, mi daresti il numero
di telefono della puttana, per favore?”
Lui annuisce e me lo detta
mentre lo compongo con furia crescente.
Il telefono squilla a
vuoto per un po’,poi una voce infantile risponde: deve essere
un maschietto
sugli otto anni.
“Casa Perry. Chi è?”
“Mi chiamo Jen, sono una
compagna di scuola di tua sorella Josie, posso parlare con
lei?”
“Veramente non c’è. Ha
telefonato dopo la scuola dicendo che andava a fare shopping con delle
amiche,
per me è uscita con il suo ragazzo.”
Brutta. Pallara. Del.
Cazzo.
Domani a scuola mi sente.
“Grazie… Come ti chiami?”
“Jhonny.”
“Grazie Jhonny, sei
sveglio e sincero a differenza di tua sorella, spero che tu non le
assomiglierai mai.”
Dopo avermi salutato
piuttosto imbarazzato mette giù il telefono e io posso
urlare la mia rabbia.
“CI HA BIDONATI, TOM. CI
HA BIDONATI, TI RENDI CONTO?
ED è SOLO LA PRIMA VOLTA
IN CUI DOBBIAMO TROVARCI.”
Lui non mi risponde, mi
guardo in giro e non lo vedo, dove è?
Alla fine lo individuo, è
sdraiato sul divano del salotto e non sembra troppo felice.
È un divano ad angolo e io
mi sdraio dal lato opposto, i nostri piedi si scontrano.
“Josie non viene, vero?
Beh, pazienza, non ho
voglia di fare biologia in realtà.”
“Capisco, cosa c’è?
È tutto il giorno che sei
strano.”
Lui scuote la testa.
“È per oggi?
Ok, lo ammetto è stato
poco carino dirti che non mi saresti mancato ed è stata una
bugia perché mi sei
mancato eccome a pranzo. Scusa.”
Sul suo volto appare un
flebile sorriso.
“Grazie per avermelo detto
e sono contento di esserti mancato, ma non è per quello che
sono di questo
umore di merda.”
“Se ne vuoi parlare io
sono.”
“Ieri mia madre e mio padre
hanno firmato il divorzio.”
Per un attimo rimango
senza fiato immaginandomi i miei divorziare. È vero, odio
mio padre, ma non
vederlo più in giro per casa o sapere che
potrebbe vivere dalla sua amante dimenticandosi di noi mi
causa una
fitta allo stomaco.
Immagino che per Tom sia
lo stesso e che ora stia male perché sente il suo mondo
scosso da qualcosa che
non può controllare.
“Vieni qui.”
“Cosa?”
“Vieni qui.”
Gli indico un po’
imbarazzata il petto, lui si alza dal suo posto.
Si ferma poco prima di sdraiarsi,
sovrastandomi con la sua altezza.
“Sono pesante, ti
schiaccerei.”
“Non-non importa!”
Lui esegue, si sdraia
cauto su di me e appoggia la testa sul mio seno. È
imbarazzante e anche lui è
rigido, sono io quella deve sbloccare la situazione. Con la mano che
trema
leggermente gli accarezzo i capelli, passando piano le dita.
Questo lo fa rilassare e
lo sento pesare di più su di me, ma non mi dà
fastidio.
Continuo ad accarezzarlo
piano, cercando di infondergli calma e affetto, è brutto
vederlo così.
Non so quanto rimaniamo
così, so solo che a un certo punto sento la maglietta
bagnarsi: sta piangendo e
non pensavo mi facesse così male sapere che lo sta facendo.
Continuo ad accarezzarlo e
seppellisco il mio naso tra i suoi capelli corti baciandoli
leggermente, senza
dire nulla.
Non c’è nulla da dire,
bastano i nostri corpi
a parlare.
Spero che questo sia in grado di farlo stare meglio, lo spero con tutto
il
cuore.
Non
so quanto tempo
rimaniamo solo così, so solo che la luce del salotto cala
piano piano e il suo
respiro si calma.
“Andrà tutto bene.”
Gli sussurro all’orecchio.
“Ci credi davvero?”
“Sì, in qualche modo andrà
bene. Non come vogliamo noi, ma andrà bene.”
Lui rimane un attimo in
silenzio, poi si siede sul divano senza guardarmi.
“Scusa per lo spettacolo
pietoso, grazie per avermi consolato.
Sono stato un poppante.”
Gli tiro una pedata non
troppo forte.
“Non fare il macho con me
che non attacca.
Hai pianto, succede a
tutti quando si sta male.
Prego.”
Lui scuote la testa.
“I buffoni non dovrebbero
piangere, fortuna che Josie non c’era.”
Io mi tiro a sedere di
scatto.
“Oh, certo! Fortuna che la
regina non c’era o avresti perso la tua futura
possibilità con lei, vero?”
Lui scuote la testa,
triste.
“No, non hai capito.
Sono stato fortunato a
trovare te invece che lei perché ormai ho capito che quella
che mostra a Mark è
solo una facciata, non è una tizia da poter considerare
amica.”
Io mi rilasso.
“Perché l’hai fatto?
Pensavo mi trovassi odioso
e che non ti importasse poi così tanto di me.”
Io mi irrigidisco di
nuovo. Questa è una domanda scomoda, è una di
quelle che implica lo svelare un
po’ di sé rischiando di rimanere feriti.
“Io… io, beh, ho
semplicemente provato a immaginare cosa avrei provato se fosse successo
ai miei
ed è stato una vera merda. Cioè, mio padre lo
odio, ma da qui a non vederlo più
girare per casa ce ne passa…
Peggio ancora se andasse a
vivere con la sua baldracca, li ucciderei!
E alla fine mi sono detta
che un abbraccio era la cosa migliore!”
Il tutto balbettato alla
velocità della luce, arrossendo sempre di più.
Mi aspetto che lui mi
prenda in giro, invece rimane serio e mi guarda comprensivo.
“Non sei abituata a
parlare dei tuoi sentimenti, vero?”
“Già, nessuno me
lo chiede e quando chiedono non lo faccio
mai, perché non capiscono.
Non capiscono la mia
rabbia, i miei ragionamenti, la mia passione per le cose macabre. Non
si
capacitano di come io non parli delle cose da ragazze.
Forse sono davvero
un’aliena.”
“Io odio le ragazze che ti
sviscerano le loro emozioni e si aspettano che tu le capisca, nemmeno
fossi uno
psicologo. Preferisco una tizia che mi parla di quello che le piace e
che non
sia make-up, vestiti o altre cazzate.”
“Quello anche io. Non so,
preferisco tenerle per me, farle
uscire
significa farle sparire.
Bah, lascia perdere.
In parole povere, solo se
c’è qualcosa di veramente importante ne parlo con
qualcuno e deve essere
qualcuno di cui mi fido.”
“Vedo che su alcune cose
la pensiamo allo stesso modo.”
“Già.”
“Grazie ancora per tutto.”
“Figurati e non lo dirò a
nessuno.”
“Grazie e… vieni qui!”
Lo guardo interrogativa –
senza sapere dove voglia andare a parare – e lui mi fa cenno
di sedermi accanto
a lui.
Eseguo un po’ titubante –
il che non ha senso, dato che siamo stati abbracciati tutto il
pomeriggio – e
lo guardo senza capire.
Lui si limita a sorridere
– un sorriso vero, da bambino, non uno dei suoi soliti ghigni
– e mi abbraccia.
Strano da dirsi, ma questo
gesto inaspettato mi fa piacere, più piacer di quello che
pensassi.
Mi abbandono senza difese
al suo abbraccio, godendomi il suo calore e la stretta e chiedendomi
come
diavolo abbia solo potuto pensare di far finta che non esista.
“Oh, Jen! Sono quasi lo
sei, continuiamo o ci mangiamo qualcosa?”
Io rido tra le sue braccia
e con gentilezza lo allontano e mi dirigo verso il tavolo dove
c’è sparso il
lavoro che abbiamo fatto in questo pomeriggio inconsueto.
Non è tantissimo, ma
nemmeno poco, diciamo che è un’accettabile via di
mezzo.
“Mangiamo, se quella vacca
di Josie si fosse fatta viva avremmo fatto di più.”
“Se quella vacca di Josie
si fosse fatta viva non ci sarebbe stato questo pomeriggio
fantastico.”
Io abbasso gli occhi e la
testa, lui me la rialza e mi guarda, anche questa volta è
serio. Non c’è
traccia del buffone mentre scandaglia i miei occhi blu con i suoi
– scuri, ma
con delle sfumature più chiare color cioccolato –
alla ricerca di qualcosa.
Respiro a malapena quando
lui appoggia delicatamente le sue labbra sulle mie, dandomi tutto il
tempo per
respingerlo e insultarlo.
La cosa strana è che non
lo faccio, ho i brividi e sono paralizzata, mi risveglio solo quando
lui cerca
dolcemente di forzare le mie labbra con la lingua.
Credo sia il suo modo di
chiedere il permesso e anche questa volta non lo allontano e non lo
insulto, le
socchiudo dandogli libero accesso.
Non è come il bacio del
parco, questa volta è dolce, le nostre lingue si accarezzano
e si scoprono a
vicenda, quasi impacciate – strano per uno come lui.
Mi stringo di più a lui,
cercando di arrivare ai suoi capelli dal basso del mio metro e
sessanta,
facendolo ridacchiare. Mi fa sedere sul tavolo e riprendiamo a
baciarci, io
finalmente posso giocare con i suoi capelli ossigenati, lui mi
accarezza piano
i fianchi.
In questo momento non c’è
nulla del ragazzo stupido, dello sbruffone e del buffone e nemmeno del
ragazzo
irruento.
Ci sono solo Jen e Tom:
due adolescenti un po’ strani in modi diversi che si stanno
baciando come se
non ci fosse domani.
Ci stacchiamo con un po’
di dispiacere, lui mi accarezza la guancia sempre con quel sorriso da
bambino,
che per me è ancora una novità da metabolizzare.
“Come devo considerare
questo bacio?”
“Come la ricompensa della
tua comprensione oggi oppure come una dimostrazione del fatto che le
ragazze
come te mi piacciono, scegli tu.”
“Non sparirai dopo questo,
vero?”
Lui mi guarda un po’
divertito e un po’incredulo e mi molla un pugnetto sulla
testa.
“No, zuccona, non sparirò!
Dovrai sopportarti
talmente tanto a lungo che alla fine sarai tu a sparire. Dalla
disperazione!”
“Ti piacerebbe, eh?
Invece no, rimarrò e sarai
tu a maledire il giorno in cui ti sei voluto intestardire con una
stramboide
come me!”
Ridiamo insieme e mi
sembra bellissimo – strano, ma bellissimo.
Dopo questo meraviglioso
pomeriggio me ne vado da casa DeLonge un po’ più
sollevata e felice, dicendomi
che forse oggi non mi accadrà nulla di brutto.
Mi sbaglio.
Seduto sul muretto fuori
casa mia c’è l’ultima persona che vorrei
vedere e che solo poco tempo fa avrei
desiderato essermi più vicina: Mark.
Tutti i miei campanelli di
allarme si mettono a suonare: cosa vuole?
Perché dopo avermi
ignorata torna a
farsi vivo?
Parcheggio la macchina e
scendo, lui scende dal muretto e si fa avanti con una faccia scura.
“Come mai così felice?”
Mi chiede.
“Non credo siano fatti
tuoi.”
“Sei stata da Tom, vero?”
“Come se la tua dolce metà
non ti avesse già avvisato che Dalton mi ha messo con Tom
nei gruppi di
biologia.
Ah, e ringraziala da parte
nostra per aver saltato oggi!”
“Lascia da parte Josie.
E non mi sto riferendo
solo a oggi, è un po’ che ti vedo girare con
lui.”
Io rido sarcasticamente.
“Cos’è? Hai paura che ti
freghi il tuo miglior amico?”
“No, ma so come è fatto.
A lui non interessano le
storie sere, solo le scopate senza complicazioni.
Se ti sta corteggiando o
sta facendo il carino con te è per quello.”
Inizia a salirmi inesorabilmente
il crimine, cosa diavolo vuole, a parte rompere le palle?
“Sei venuto qui solo per
questo?”
“Sono tuo amico.”
Mi risponde con una
serafica faccia da schiaffi.
“Sì?
Dove sei stato in queste
settimane?
Non è che sei solo geloso
di non avere più una ragazzina adorante ai tuoi
piedi?”
“Sei solo una stupida
ragazzina!”
“E allora vattene, Hoppus!
Vattene e non farti mai
rivedere! Io sarò una ragazzina, ma tu sei uno
stronzo!”
Lui si allontana a grandi
passi, io entro in casa sbattendo la porta e maledicendolo.
Ero felice, avevo avuto
l’impressione di interessare a un ragazzo, perché
è venuto a lui a distruggere
subito le mie illusioni?
Non poteva farsi un’altra
scopata con quella Josie?
Non so se credere o meno
alle sue parole, so solo che mi si sono infilate nella testa e stanno
mangiando
la mia felicità come un tarlo malefico.
Davvero Tom sta facendo
tutto questo solo per un po’ di sesso?
Davvero?
Il dubbio mi distrugge.
Mark ti detesto.
Angolo di Layla
Ringrazio eve182 e
MatyOtaku
per le recensioni.
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Capitolo 4 *** 4)Ciao, è mattina, sono sobria e ti amo. ***
4)Ciao, è
mattina, sono sobria e ti amo.
I
tarli non sono facili da
estirpare – soprattutto quelli mentali – sono
subdoli: si scavano una tana e
rimangono lì. E più tenti di eliminarli
più si ritraggono verso il fondo di te stessa,
lasciando solo buchi e dubbi.
Questa notte non ho
dormito molto, l’immagine di Tom che si prende gioco di me
per un po’ di sesso
e l’immagine del ragazzo che si sfoga perché i
suoi si sono separati non
combaciano: sono come due pezzi disuguali di un puzzle che da perfetto
è
diventato distorto.
Il pezzo di favola che
credevo di aver vissuto sta diventando distorta e la cosa peggiore
è che sono
io a renderla sempre di più così e solo per le
parole di un ragazzino.
Per quel che ne sono,
potrebbe essere stato solo l’orgoglio offeso di Mark a
parlare, ma lui è anche
il miglior amico di Tom e lo conosce sicuramente meglio di me.
E tutto si arrotola ancora
di più su sé stesso.
Circolo vizioso, spirale
malata, chiamatela come volete, so solo che mi sta stritolando
lentamente.
Il giorno dopo a scuola
sono su un altro pianeta e per la prima volta non sono poi
così felice che Tom
mi faccia compagnia a pranzo.
Parlo poco e lo studio,
cercando di analizzare ogni suo gesto e ogni sua parola per metterla a
favore
di una o dell’altra ipotesi.
Sto impazzendo.
Quando la scuola finisce
me ne vado a casa senza aspettarlo e faccio i compiti per il weekend
come un
automa.
Arrivata la sera, decido
di trascorrerla fuori complice il fatto che papà
è fuori per un convegno –
ossia una vacanza con l’amante – e
mamma fa
il turno di notte, ammazzandosi di lavoro per niente.
Mi vesto con poca cura:
una felpa troppo grande per me nera con un teschio davanti, dei jeans
troppo
lunghi e perciò risvoltati e i miei amati anfibi.
Esco e mi dirigo nella
piazza del paese: deserta.
La maggior parte dei miei
compagni – dotati di una macchina – sono a San
Diego, a Poway rimangono solo i
pischelli e gli sfigati come me.
Mi siedo su una panchina e
mi fumo una sigaretta guardando questo vuoto e sentendomi sola e
alienata, chi
sono io?
Solo una ragazzina senza
nulla di speciale.
Per quale ragione Tom
dovrebbe interessarsi a me?
Per nessuna ragione, forse
Mark ha detto la verità, forse almeno lui è stato
onesto a suo modo.
Il tarlo ha vinto e io
sento una crepa che mi parte nell’anima, come se io fossi
ghiaccio la
spaccatura si allarga sempre più dando origine ad altre
crepe grandi e piccole.
Ok.
Mi alzo e con un’andatura
da zombie e l’aria un po’ imbambolata mi dirigo al
seven eleven dietro la
piazza e mi compro un altro pacchetto di sigarette e approfittando
della
cassiera stordita anche una confezione da sei di birre.
La tizia si beve senza
problemi la bugia che io abbia ventun’anni e non mi chiede
nemmeno un
documento.
Esco dal supermercato e mi
siedo cinquecento metri più in là sul
marciapiede, in un tratto buio e apro la
prima birra. Il sapore è amaro e piuttosto forte per me che
sono astemia, ma
lentamente mi ci abituo. Con lunghe e frequenti pause finisco la prima
lattina
e poi apro la seconda, nel frattempo inizia a piovere. Non una
pioggerellina e
nemmeno un temporale, una tempesta tropicale di quelle con i contro
coglioni;
tutto quello che faccio è tirarmi su il cappuccio e
continuare a bere,
indifferente all’acqua.
Ben presto sono zuppa e i
miei piedi sono immersi nell’acqua che scorre veloce nel
canale di scolo vicino
al marciapiede.
Allegria.
Finisco la seconda birra e
inizio la terza, ormai ci ho preso gusto, anche se la mia testa gira
sempre di
più e alzarmi mi sembra
un’impresa ridicola, impossibile e disperata.
Un lampo squarcia il
cielo, illuminandolo a giorno.
Prosit, mi dico
mentalmente, alzando la bottiglia verso il cielo che si sta aprendo in
due.
Finisco anche la terza e
sto per iniziare la quarta quando sento dei passi lungo il marciapiede:
sta
arrivando qualcuno e questo mi manda in panico.
Inizio a tremare
violentemente e a
borbottare frasi
sconnesse, i passi si fermano: lo sconosciuto ora è accanto
a me.
“Jen?”
Chiede una voce che
conosco bene.
Tom?
“Tom?”
Si siede accanto a me,
incurante del diluvio universale e storce le labbra quando vede le
lattine
vuote.
“Cosa diavolo stai facendo
sotto la pioggia?
Vuoi vedere se vai prima
in coma etilico o con una bella polmonite?”
“Che ti importa?”
Biascico io, facendo per
aprire la lattina, ma lui mi ferma e me la toglie dalle mani. La apre
lui e la
beve lui.
“Certo che mi interessa!
Sei mia amica!”
“Lo fai solo per portarmi
a letto!”
Intanto mi alzo, ma un
capogiro rischierebbe di mandarmi a terra se non ci fosse lui, che mi
acchiappa
al volo.
Senza dire niente mi
prende in braccio e
mi porta via, io
protesto per un po’ poi un’improvvisa sonnolenza ha
la meglio su di me e le
luci si spengono su questo pietoso show.
Mi
risveglio al caldo,
avvolta in un asciugamano e in una coperta sdraiata sul mio letto, Tom
è seduto
sulla sedia della mia scrivania.
Ha gli occhi semichiusi e
le braccia rilassate, sembrerebbe stia dormendo, ma se lo conosco sono
certa
che lui sia sveglio in realtà.
“Tom.”
Chiamo piano.
Ho la testa che mi si
spacca e ho i brividi di freddo.
“Ben svegliata Jen. Perché
diavolo ti stavi ubriacando sotto la pioggia?
Sei un’incosciente!”
“Tu vuoi solo portarmi a
letto!”
“Se ti avessi voluto
portare solo a letto non avrei fatto la figura della mammoletta
piangendoti
addosso come un cretino!”
“L’hai fatto solo per
farmi credere che fossi un ragazzo sensibile in modo da facilitarti
l’opera!
Voi ragazzi fate così, prima fate tutti i carini, poi
sparite.”
“Io non l’ho fatto per
quello, ma tu non mi credi, vero?”
Pausa di silenzio.
“No, non mi credi. Io non
l’ho fatto per portarti a letto, con le ragazze come te solo
gli stronzi lo
fanno e non sapevo avessi questa opinione di me.
Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e … ti voglio
bene.”
Detto questo lascia la stanza.
Il rumore della porta
d’ingresso che sbatte mi riscuote e mi fa capire che
è reale, che se ne sta
andando, che lo sto perdendo.
Ogni fibra del mio essere
grida di fermarlo, ma il tarlo continua a mangiarmi.
Il mio cervello mi rimanda
le sue parole come un disco rotto, se avesse voluto portarmi solo a
letto non
avrebbe fatto la mammoletta: vero, ai ragazzi non piace sentirsi deboli.
Se avesse voluto portarmi
solo a letto avrebbe avuto migliaia di occasioni in queste settimane e
non l’ha
fatto, mi è rimasto pazientemente accanto come un amico.
Mi è rimasto così accanto
che ha buttato giù Mark dal piedistallo e mi ha fatto
innamorare sul serio di
lui: non solo una semplice infatuazione.
Il mio è amore e questo mi
paralizza di nuovo.
Ho paura di essere ferita
di nuovo.
- Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e
… ti voglio
bene.”-
Queste parole superano
qualsiasi paura del futuro che io possa avere, all’idea che
lui non sia più
nella mia vita la mia crepa si allarga fino a inghiottirmi.
Devo scusarmi, devo
provarci.
Febbrilmente mi rimetto
un’altra felpa, degli altri pantaloni e degli altri anfibi ed
esco a cercarlo
senza ombrello, incurante della pioggia.
Giro per un po’ per la
città deserta, attraverso le strade che conosco bene senza
guardare.
È un comportamento
suicida, me ne rendo conto quando vedo due fari troppo vicini a me e
deduco che
una macchina ben presto mi ridurrà a una poltiglia
sanguinolenta di carne e
sangue.
Non succede.
Un corpo maschile mi
spinge più in là e poi preme su di me con il suo
respiro affannato e il battito
del cuore accelerato. Guardo le mani e le riconosco, sono quelle di Tom.
Senza pensarci troppo
sovrappongo le mie.
“Grazie.”
Mormoro grata.
“Grazie e scusa per tutto
quello che ti ho detto prima. Io..”
“Non è questo il luogo per
parlarne, alziamoci e facciamolo sul marciapiede almeno.”
Si alza e mi guida verso
il marciapiede, senza prendermi per mano.
“Scusa, scusa per tutto
quello che ti ho detto.
Non penso che tu abbia fatto tutto quello che hai fatto solo per
portarmi a
letto, Mark me l’ha detto e io ho preferito credere a lui
come un’idiota.
Scusami per non avere
avuto fiducia in te, scusami, scusami scusami.
Se potessi tornare indietro non penserei un solo secondo a quello che
mi ha
detto.
Ti prego, non andartene
dalla mia vita.
Ti prego, rimani.
Ti, prego, ho bisogno di
te.”
Lui tace.
“Ok, ho bruciato la mia
occasione. Vai pure, Tom.
Buona vita e ti voglio
bene anche io.”
Non alzo la testa, ma
sento i suoi passi allontanarsi sempre
di più.
Se ne è andato.
L’ho perso.
Mi siedo per terra e
comincio a piangere, incurante del temporale tutt’ora in
corso, il dolore è
troppo forte per aspettare di arrivare a casa.
Non
so quanto tempo
rimango in quella posizione – incurante di tutto e di tutti –sotto la
pioggia battente, in una città
deserta. So solo che a un certo punto sento di nuovo dei passi
– i suoi passi –
avvicinarsi e il mio cuore salta un battito.
Mi appoggia una felpa
bagnata addosso e sussurra piano: “Vai a casa Jen, ti
prenderai una polmonite.”
“Non mi importa niente e
non vado da nessuna parte se tu non rimani nella mia vita.”
Lo sento sospirare.
“Ti credo, Jen. Accetto le
tue scuse.”
“Dimmi che non lo dici
solo per farmi alzare da qui…”
Non sento la tua risposta
perché svengo di nuovo.
Amen.
Quando mi risveglio sono
di nuovo avvolta da una salvietta e da una coperta e Tom siede di nuovo
sulla
sedia della mia scrivania, che deja-vu!
“Grazie.”
“Prego, non volevo averti
sulla coscienza. Ora me ne…”
“NO!”
Urlo, tentando di scendere
dal letto e facendolo accorrere.
“Ti prego rimani, sei
bagnato fradicio e fuori c’è ancora in corso il
diluvio universale.”
Lui tace.
“Ti prego, non lasciarmi
da sola, anche se lo merito.”
“D’accordo. Mi faccio una
doccia e arrivo.”
Esce dalla stanza e sento
il rumore dell’acqua della doccia che scorre in bagno e
questo mi fa rilassare
per un po’.
Quando torna ha un
asciugamano avvolto intorno alla vita – cosa che causa un
aumento del mio
battito cardiaco – e arrangia un letto di fortuna ai piedi
del mio.
Ci si sdraia senza dire
una parola.
“Vieni qui, starai
scomodo.”
“Va bene così.”
Non vuole nemmeno
avvicinarsi a me, che cazzo ho fatto?
Stupida Jen!
Non so cosa fare, mi alzo
a spegnere la luce e provo a mettermi a letto, ma mi sembra troppo
grande e
vuoto per me sebbene sia il solito da una vita.
Senza dire niente scivolo
lentamente giù e – titubante – alzo la
coperte del letto improvvisato e mi
rannicchio dietro di lui, stando attenta a non toccarlo.
Lo sento sospirare – fitta
al cuore, inulto a me stessa per la mia stupidità
– e cerco di far finta di
dormire. il silenzio della stanza è opprimente e pieno di
cose buie: la mia
voglia di abbracciarlo, il mio desiderio di non aver mai detto tutte
quelle
cazzate che solo poco fa mi sembravano sacrosante verità, la
sua voglia di
andarsene, il suo essere rimasto deluso da me.
All’improvviso lo sento
parlare da solo.
“Fortuna che dorme,
fortuna che non ha mai saputo che la amo.”
Trattengo il respiro, ma
nemmeno due secondi dopo mi sfugge un rumore indefinito.
“Sei scomoda qui, torna a
letto.”
La sua voce è piatta.
“No, sto bene qui.”
“Forse è meglio non stare
troppo vicini, non sono la persona adatta a te: hai ragione.”
“No, io avevo torto.
Sei tu la persona adatta a
me.
Sei tu che ti sei
avvicinato a me e sei rimasto nonostante avessi insultato il tuo
migliore
amico.
E te ne sono grata.
Sei tu che hai continuato
a rimanere, dando sempre più una piega migliore alla mia
vita.
Sei tu che mi hai salvata
e non parlo di stasera.
Ho letto da qualche parte
che le persone non fanno rumore quando si rompono, per questo nessuno
se ne
accorge.
Tu te ne sei accorto, non
so come e mi hai raccolto e aggiustato.
Senza di te non sarei qui.
Perciò, ti prego continua
a rimanermi accanto, anche se non me lo merito.”
Lui rimane in silenzio.
“Il problema è che per te
sono solo un amico, non mi ami, io invece ti amo, Jen.
E rimanerti accanto mi fa
male.”
“E se ti sbagliassi?”
Lo sento irrigidirsi.
Si volta piano e negli
occhi ha la stessa fragilità di quando mi ha detto che i
suoi avevano
divorziato.
“Cosa significa?”
“Che non è come credi, che
per me non sei solo un amico.
Significa che ti amo anche
io.”
Arrossisco, ma cerco di
tenere gli occhi fissi nei suoi, non voglio che pensi che stia mentendo.
“Sei ubriaca, non sai
quello che dici, Jen.
Domani, da sobria,
potrebbe farci male.”
“Non sono ubriaca, Thomas
Matthew DeLonge. Sono una stupida di prima categoria, ma sono sobria e
ti prego
– ti prego con tutto il cuore – dammi
un’altra possibilità.
Dammi la possibilità di
dimostrarti che non mento e che c’è un futuro per
noi.
Ti prego.”
Gli occhi mi si fanno
lucidi e qualche lacrima sfugge, nonostante tenti di trattenerle.
Lui allunga una mano e me
le asciuga e poi si alza in piedi e mi tende una mano.
“Vieni, non volevi andare
a letto?”
Sorrido e lo seguo in
silenzio.
Si sdraia e io mi accuccio
sul suo petto, sentendo il suo respiro e il suo cuore accelerare i
battiti.
“Sei davvero sobria?”
“Sì.”
“Mi ami davvero?”
“Sì?”
“E Mark?”
Prendo fiato.
“Ti è mai capitato di
confondere un’infatuazione con l’amore?
Io di Mark ero solo
infatuata, invece a te ti amo.
Non chiedermi perché, non
lo so.
Mi piaci.
Mi piacciono i tuoi
capelli ossigenati, mi piacciono i tuoi occhi castani, i tatuaggi, i
piercing.
Starei ore a sentirti
parlare di skate, cospirazioni e della band. Adoro come gesticoli, il
tuo strano
umorismo e la vocina in falsetto che fai ogni tanto.
Adoro i tuoi sorrisi, sia
quelli sghembi, sia quelli innocenti da bambino. Mi sciolgono.
E poi adoro la tua
vicinanza e come baci.”
A questo affondo la testa
nel suo petto. Lui ridacchia e mi scompiglia i capelli.
“Ehi, occhi blu. Grazie.
Nessuno mi aveva mai
guardato così a fondo come te.”
“Mi piace il soprannome
occhi blu.”
“Cosa c’è di strano in
questo soprannome? Hai davvero degli occhi bellissimi, starei delle ore
a
guardarli e a sentirti sclerare.”
Questa volta rido io e
alzo il volto, lui me lo accarezza lentamente e io mi abbandono al suo
tocco.
Mi era mancato.
Quasi inaspettatamente mi
bacia ed è come l’altra volta: insicuro e timido
come non lo è mai di solito.
Mi dà tutto il tempo per
cacciarlo, ma io appoggio delicatamente la mia mano sulla sua nuca e lo
attiro
a me per approfondire il bacio.
Non scherzo, lo deve
capire.
Lo sento sorridere sulle
mie labbra e il bacio diventa più violento, le nostre lingue
si cercano, si
attorcigliano, si combattono.
Alla fine sia lui che a me
scappa un gemito, gli accarezzo piano gli zigomi.
“Mi credi?”
“Sì.”
Strofina il suo naso
contro il mio.
“Jennifer Jenkins, vuoi
essere la mia ragazza?”
“Sì, sì, sì!”
Lui ride e mi bacia di
nuovo, mentre fuori romba l’ennesimo tuono.
“Sei gelida.”
Esclama accarezzandomi la
schiena.
“Anche tu, sei stato in
giro tutto il tempo, vero?”
“Sì.”
“Sei un pazzo!”
“Tu hai fatto lo stesso,
quindi sei una pazza anche tu!”
“Siamo perfetti per stare
insieme!”
Sbadiglio prima di cadere
in un sonno profondo, felice come non lo sono mai stata.
La mattina dopo mi sveglio
sul suo petto, fuori piove ancora e mi accorgo che lui mi sta guardando.
Apparentemente sembra calmo, ma c’è un qualcosa
che stona e che indica come
sotto sotto sia ansioso di sapere qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno Tom. Sono
sobria, è mattina e ti amo.”
Lui sorride.
“Buongiorno occhi blu. È
mattina, piove da far schifo e ti amo anche io.”
Ci baciamo e finalmente mi
sento in pace e felice.
Lui non se ne andrà.
Gli ho rivelato i miei
sentimenti e mi ha creduto, posso iniziare a dimostrargli quanto tenga
a lui.
“Mi fiderò sempre di te.”
“Grazie, non voglio
trascorrere un’altra notte sotto l’acqua.”
Ridiamo insieme.
Mi sembra il modo migliore
per iniziare la giornata e una nuova fase della mia vita.
E tutto grazie a lui.
In fondo devo ringraziare
Josie, ma non glielo andrò certo a dire.
Angolo di Layla.
Scusate se non ho risposto
all'unica recensione, volevo farlo prima, ma poi è
uscito Boxing day e nun c'è bisogno che dica altro v.v
Quella canzone è TANTO
TANTO TANTO TANTO amore <3
Ringrazio MatyOtaku per la
recensione.
Ps: questo è il
penultimo capitolo.
|
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Capitolo 5 *** 5)Everything is gonna be fine. ***
5)Everything is gonna be
fine.
Il
tempo passa veloce da
quando sto con lui.
Non siamo una coppia di
quelle smielate, siamo una di quelle che continuano a punzecchiarsi e
poi fanno
pace, a ogni modo riusciamo a fare più scandalo persino di
Josie e Mark.
Boh.
Non mi interessa molto, mi
interessano di più le passeggiate e i lunghi pomeriggi
trascorsi con lui a
tentare di imparare a fare skate e baciarsi.
Mi interessano di più le
serate trascorse a guardare film abbracciati e quelle al Soma a sentire
i
gruppi che piacciono a lui e a farmi una cultura sul punk e sullo skate
punk.
Ha anche tentato di
trascinarmi alle prove della band – trovando in me una
vittima consenziente –
ma la presenza di Mark e quella saltuaria di Josie le hanno rovinate.
Così io e Tom abbiamo
convenuto a malincuore che è meglio che io non mi presenti
alle prove dei
blink.
Stupido Mark! Da quando mi
sono messa con Tom mi odia e io non so perché e non si
accorge che Tom ci sta
male. Dal divorzio dei suoi Mark è diventato la figura di
riferimento di Tom –
quasi come un padre – e lo fa soffrire vederlo comportarsi
così, senza contare
che vedendo il mio malumore inizia a pensare cose che non dovrebbe.
Del tipo che io non lo
voglia, che stia con lui solo per fare un dispetto a Mark, che non lo
ami.
Mi maledico perché non
sono capace di fare la persona dolce e perché sono stata
cotta dell’Hoppus e
lui lo sa e maledico Mark.
In ogni caso Natale è
ormai alle porte, siamo all’otto di dicembre e io –
come da tradizione – inizio
a decorare la casa, poi farò l’albero.
Sono l’unica in famiglia a interessarsi di queste cose, i
miei sono troppo
impegnati con il lavoro e forse troppo disincantati per crederci.
Sto appendendo un festone
in salotto – in precario equilibrio su una delle sedie
– quando suona il
campanello e io cado a terra rovinosamente.
Porca puttana! Devo essermi
presa una storta alla caviglia perché fa un male boia!
Sento dei rumori: qualcuno
si è precipitato dentro casa mia.
Quel qualcuno è l’ultimo
che mi aspetto di vedere: è Mark Hoppus in persona.
Dal mio personale e basso
punto di vista vedo la sua faccia preoccupata scrutarmi.
“Tutto bene, Jen?”
“No, credo di essermi
slogata una caviglia. Non riesco ad alzarmi.”
Lui scuote la testa e mi
dà una mano ad arrivare sul divano, lì appoggio
il mio piede – libero dalla
ciabatta e dal calzino – su un cuscino e tasto la caviglia.
È gonfia – fa male
– ma non sembra rotta: con una madre infermiera e un padre
dottore i rudimenti
del pronto soccorso non mi sono estranei.
“Mark, visto che sei qui,
mi faresti un favore?
Vai in bagno,
nell’armadietto in basso a destra c’è la
borsa del ghiaccio, la prenderesti e
la riempiresti?”
“Agli ordini, signorina
Jenkins.”
“Fai poco lo spiritoso. Se
sono caduta da quella sedia sfasciandomi una caviglia è
perché tu hai suonato
il campanello, quindi è tuo dovere rimediare.
Lui sogghigna e se ne va a
fare quello che gli ho chiesto.
Perché è qui?
Non mi sopporta, diventa
di malumore ogni volta che mi vede, perché si è
infilato nella tana del nemico?
Lo osservo andare in
cucina poco dopo e lo sento riempire la borsa di ghiaccio, poi arriva
reggendola in mano e me la porge. Il piacere che provo per il contatto
freddo
sulla mia caviglia malandata è incredibile: mi sembra di
stare meglio.
Ora posso occuparmi di lui
senza altri pensieri che mi disturbino.
“Come mai sei qui, Hoppus?
Pensavo non mi sopportassi da quando sono la ragazza di
DeLonge.”
Lui sembra arrossire.
“Ok, dopo questo potrai
insultarmi: pensavo che per lui fossi solo una scopata.
Mi sono sbagliato, passano
i mesi e voi siete effettivamente una coppia e lui non mi ha mai detto
niente
che mi facesse pensare a quello che ho detto prima.”
“Praticamente tu mi hai
tenuto il broncio solo per non ammettere che ti sei
sbagliato?”
Lo guardo incredula, lui
annuisce.
“Tu devi ringraziare Gesù
che non posso muovermi o ti avrei menato, non solo insultato, Hoppus!
Tom ci è rimasto di merda
per questo tuo atteggiamento!”
“Lo so e per questo oggi
mi sono deciso a venire da te. Volevo, voglio, chiederti scusa per
tutte le
volte in cui ti ho trattato male senza un motivo.
Non te lo meritavi, sia io
che Josie siamo molto dispiaciuti.”
“E allora perché la tua
dolce metà non è qui?”
“Jen, se accetti le nostre
scuse ti giuro che anche lei cambierà atteggiamento,
finalmente conoscerai il
suo lato migliore.”
Woah, mi sento onorata, ma
purtroppo o accetto le scuse di tutti e due o sarò io la
responsabile del
continuare di questa brutta situazione e questa brutta situazione deve
finire.
“Ok, scuse accettate,
Mark.
Possiamo provare a tornare
ad essere amici.”
Lui sorride felice.
“Come va con Tom?”
“Bene, se si esclude il
fatto che lui ha paura che io sia ancora innamorata di te, cosa che non
sta né
in cielo né in terra.
Non so cosa fare per
fargli capire che amo solo lui e nessun altro.”
Lui si gratta il mento
pensoso e fissa con attenzione – ma senza vederlo davvero
– il vaso di fiori
secchi che c’è in salotto.
“Prova con qualcosa di
eclatante. Io per diventare suo amico l’ho impressionato
salendo su un palo
della luce davanti a casa e rompendomi le anche.
Per due settimane ho
girato con le stampelle.”
Io sospiro, non muoio
dalla voglia di rompermi qualche arto.
“Grazie del consiglio.”
Parliamo per un altro po’,
poi lui se ne va e io rimugino sulle parole che mi ha detto. Cosa
potrei fare
per impressionarlo?
L’idea arriva
all’improvviso e qualcosa mi fa credere che sia quella giusta.
Bene, bene, bene.
Dovrò aspettare qualche
giorno per via del piede, ma ne varrà la pena.
Alla
sera – l’ennesima da sola – arriva Tom a
farmi visita. Non appena vede il piede
chiede cosa diavolo ho fatto, io gli dico che sono caduta mentre
appendevo un
festone, lui scuote la testa.
“Natale
non è poi una gran festa, non vale il rischio di rompersi un
piede.”
“Parla
per te o baciami, a te la scelta.”
Lui
mi mostra il suo famoso ghigno e mi attira a sé, dandomi un
bacio violento ed
impetuoso.
“Devo
dirti una cosa!”
Esclamiamo
insieme mentre ci stacchiamo, scoppiamo entrambi a ridere e lui mi fa
cenno di
parlare.
“Oggi
è venuto Mark da me e mi ha chiesto scusa, abbiamo fatto
pace.”
“Io
volevo dirti che Mark ha detto che puoi venire alle prove quando
vuoi.”
Io
sorrido.
“Bello!
Sono tanto felice, mi piace vederti suonare!”
“Ma
se come chitarrista faccio schifo.”
Lui
scuote le spalle.
“Io
non capisco niente di musica, ma vedo come ti trasformi quando suoni.
Ci metti
tutto te stesso e sei felice e mi piace vederti felice.
E
poi mi piace la vostra musica. Punto, signor DeLonge.”
Lui
ride.
“Ottima
argomentazione, signorina Jenkins. Si merita una ricompensa.”
Ci
baciamo ancora e finiamo per guardare un film insieme,
l’argomento Mark è
archiviato.
Rimaniamo
a lungo abbracciati anche dopo che il film è finito e lui
non ci prova. Non lo
fa mai e io non oso chiedergli perché, per non passare per
una troia malata di
sesso.
Non
capisco se lo fa per rispettarmi, per dimostrarmi che non è
come tutti gli altri
oppure è perché non mi trova attraente o se ha
paura che io ami ancora Mark.
Rimaniamo
in silenzio, lui gioca con i miei capelli, io disegno cerchi sul suo
petto.
“Sei
bella, Jen.”
Io
sto per dire qualcosa, ma lui prosegue.
“E
si è fatto tardi. Devo andare a casa o mia madre mi
ammazza.”
Ci salutiamo con un altro
bacio, poi lui se ne va e io ancora una volta mi chiedo
perché sia così cauto
nei miei confronti.
Spero che l’idea che ho avuto sblocchi un po’ la
situazione.
Ci vogliono tre giorni per
far tornare la mia caviglia normale.
Il terzo giorno – un
venerdì freddo di dicembre – dopo scuola vado a
casa di Tom e ci trovo la band
al gran completo, Josie compresa.
Ci salutiamo in modo un
po’ freddo, poi mi siedo accanto a lei. I ragazzi sono
impegnati con i loro
strumenti e non badano a noi.
“Ciao, Jenkins. Allora con
DeLonge è davvero una cosa seria?”
“Cosa pensavi che fosse?
Noi due che ci incontriamo ogni tanto per giocare a canasta?”
Lei ride.
“Tom ha il soprannome di
HotPants, con le ragazze non ci sta più di tanto.”
Io scrollo le spalle, la
cosa mi giunge nuova, ma in un certo senso mi rassicura.
“E tu? Passata la grande
paura?”
“Oh, sì. Non sei una
minaccia per me.”
“Sono troppo
insignificante, vero?”
Lei ride di gusto.
“Jenkins, jenkins,
Jenkins. Non è per quello. Non sei affatto brutta come
credi, non sei una
minaccia perché a Mark non piacciono le ragazze deboluccie
come te.”
Deboluccia io? Non mi
conosce.
“Chissà cosa ci ha visto
in me Tom?”
“Non so. Credo che siano
stati gli occhioni blu a fregarlo, a volte fai delle facce da cucciolo
spaventato e non te ne accorgi nemmeno e Tom è sensibile su
queste cose.
Sono il suo tallone
d’Achille, in fondo a tutti i ragazzi piace essere il
principe di qualche
ragazza.”
Io non dico nulla, credo
che Josie non mi conosca per niente e che dietro la facciata di ragazza
indipendente non ci sia altro che una piccola sputasentenze che lavora
per
pregiudizi.
Io decido di lasciarla
perdere e di godermi le prove dei blink. Tom dà il meglio di
sé, si trasforma
nel cazzone comico che tutti amano, che fa sorridere persino me e che
nasconde
il fatto che non sia una cima con la chitarra.
Adoro vederlo così.
È una cosa che non riesco
a spiegare, vederlo felice mi rende felice per contagio.
Le canzoni non parlano di
chi sa quali argomenti, ma per un pubblico adolescente sono perfette: parlano il
nostro stesso linguaggio
e affrontano i nostri stessi problemi.
Quando finisce di suonare
non gli lascio nemmeno appoggiare a terra la chitarra che gli salto in
braccio,
facendolo sorridere.
“Ehi, baby, lo so che sono
irresistibile, ma…”
Io strofino il naso contro
il suo.
“Scusa, ma sono felice di
vederti finalmente felice.”
Ci baciamo tra i fischi e
gli ululati di Mark e Scott.
“Ehi, non sapevo ti
chiamassero HotPants!”
Lui fa una strana smorfia
imbarazzata, come se quel soprannome sulle mie labbra non gli piacesse
molto.
“Beh sì.”
“Vieni a casa con me
dopo?”
“No, devo lavorare. Mi dispiace.”
Io gli accarezzo i
capelli.
“Non fa niente, è ok. Vai
pure.”
Vai, tranquillo, tesoro.
Mentre tu lavori io attuo il mio piano.
Finite le prove, una volta
smontato tutto, ci salutiamo tutti e io me ne vado per la mia strada,
diretta
verso il centro di Poway.
Vado dal fiorista in
piazza e ordino dodici rose rosse, lui mi guarda perplesso.
“Ai miei tempi erano i
ragazzi a regalare le rose alle ragazze. O
non sarai una di quelle?”
“Sono per il mio ragazzo.
E immagino che ai suoi tempi i fioristi non fossero così
indiscreti.”
Lui arrossisce e finisce
di confezionarle borbottando.
“Arrivederci!”
Lo saluto flautata.
Rientro a casa mia – vuota
come al solito - e
metto le rose in un
vaso e qualcosa in forno per la cena. Che vita triste! Ogni tanto mi
piacerebbe
vederli i miei.
All’improvviso le
decorazioni che ho messo con tanto sforzo non mi sembrano
più tanto belle, mi
sembrano un orpello – una decorazione inutile –
alla mia solitudine.
Aspetto fino alle undici e
mezza, poi esco di casa per andare verso quella di Tom. Mi ci vuole un
po’ per
raggiungerla, ma so di essere in tempo per quando arriverà a
casa dal lavoro. A
dieci a mezzanotte lascio il mio mazzo sulla veranda dei DeLonge e poi
mi
nascondo in giardino, trepidante, chiedendomi che reazione
avrà Tom: gli
piaceranno o li troverà una grande cazzata?
Lo vedo arrivare dieci
minuti dopo con un’aria stanca e abbattuta, borbotta frasi a
mezza voce su
quanto il lavoro faccia schifo. Si fruga le tasche alla ricerca delle
chiavi
senza alzare il volto da terra, sale i due scalini del portico e le
vede.
Dalla mia postazione
riesco a vederlo in faccia, è perplesso e li raccoglie
rigirandoseli tra le
mani alla ricerca di un biglietto. Poi inizia a sorridere, trova il
biglietto e
lo legge, il suo sorriso si allarga ancora di più.
“Jen.”
Mormora con un tono neutro,
la voce leggermente incrinata.
Non riesco a trattenere un
verso indefinito e lui si gira verso di me, sgamando subito il mio
nascondiglio
in mezzo alle rose.
Io inizio ad agitarmi,
preparandomi mentalmente a scusarmi o a dire qualcosa che giustifichi
il mio
gesto da pazza, ma lui non mi lascia il tempo di parlare. Mi stritola
in un
abbraccio muto e appoggia la testa sulla mia spalla, lo sento sorridere
sul mio
collo.
Rimaniamo per un po’ così.
“Grazie, nessuno ha mai
fatto una cosa del genere per me.”
Io vorrei rispondere di
nuovo, ma al sua irruenza ha la meglio.
Alza il volto per poi
accarezzarmi dolcemente le guance – con la fronte appoggiata
alla mia – e
baciarmi con passione.
Le nostre lingue si
accarezzano, giocano. Le sue mani si infilano sotto la mia maglia e
accarezzano avidamente
la mia pelle.
Di solito a questo punto
qualcosa lo blocca, ma questa sera va avanti e io gli salto in braccio,
mentre
continuiamo a baciarci. Solo nelle rare pause noto che ha un sorriso
che va da
un orecchio all’altro e una luce diversa negli occhi.
Procediamo a gambero, lui
mi passa in qualche modo le chiavi ed entriamo. Ci pensa lui poi a
chiuderla
con un calcio che ci fa traballare e ridere allo stesso tempo.
Arriviamo al divano e lui
si avventa sul mio collo, riempiendolo di baci e succhiotti e facendomi
gemere
con le mani sepolte tra i suoi capelli. Glieli tiro persino un
po’, ma non
sembra importargli molto.
Io invece – dopo la mia
iniziale paralisi – gli tolgo la maglia, perdendomi un attimo
ad ammirare i
suoi addominali, cosa per la quale ride, e seguendo con le dita il
contorno del
tatuaggio.
“San Diego.”
“San Diego.”
“Bello.”
“Anche tu sei bella.”
Mi toglie la mano e mi
accarezza la pancia piano: ha una mano calda, grande e un po’
ruvida che mi fa
rabbrividire.
“Jen, mi vuoi?”
“No, l’hobby di denudarmi
davanti alle persone, così, a caso.”
“Sii seria, mi vuoi
davvero?”
Io lo faccio alzare
gentilmente, lo prendo per mano e lo porto in camera sua. Mi sento un
po’ in
imbarazzo mentre si stendo sul letto, invitandolo a raggiungermi, ma
credo sia
la cosa giusta.
Lui chiude la porta a
chiave e mi raggiunge, io gli accarezzo piano i capelli.
“Sì, ti voglio Thomas
DeLonge.”
Lui sorride e riprende a
baciarmi, questa volta è più deciso, ma riesce a
mantenere lo stesso una certa
dolcezza. Non mi stancherei mai di baciarlo.
In breve tempo il mio
reggiseno vola via e lui si dedica con passione alle mie tette: ci
gioca, le
bacia, le morde.
Io ormai ansimo e gemo
senza ritegno e non lo fermo nemmeno quando mi toglie i pantaloni e mi
accarezza piano le cosce.
“È la tua ultima occasione
per fermarmi.”
“Non voglio fermarti.
Voglio che la mia prima volta sia con te perché amo te. Te e
solo te.”
Lui sorride felice – quasi
timido, strano per uno come lui – e mi accarezza di nuovo la
pancia e poi
scende.
“Ora proverò a fare una
cosa, fermami se non vuoi.”
Io inizio ad avere un po’
paura – normale, essendo la prima volta – e
annuisco.
Piano introduce un dito
nella mia femminilità, mi irrigidisco d’istinto e
lui mi accarezza il volto e
strofina il suo naso contro il mio.
“Tranquillizzati, non farà
male.
Ti fidi di me?”
Io annuisco e cerco di
calmarmi e ci riesco anche perché lui inizia a riempirmi di
piccoli baci.
Poi lo sento muoversi lì
dentro, non credevo fosse così piacevole!
Lui sorride e aumenta le
dita: ora provo solo piacere.
Mossa dopo mossa arrivo al
primo orgasmo della mia vita: è
come se
mi scoppiasse una bomba nella testa perché vedo tante lucine
e mi sento
incredibilmente bene.
“Wow!”
Mormoro senza fiato.
Lui mi bacia piano e sento
che si sta togliendo i pantaloni.
“Jen, vuoi?”
“Sì.”
Lui si toglie anche i
boxer, è già bello eccitato e sembra ehm..grande.
“Non farmi male.”
Lui annuisce, trattenendo
una risata e si mette il preservativo.
Io sospiro, distogliendo
lo sguardo, mi sembra di spiare. Lui si stende su di me poco dopo, a
giudicare
da quello che preme sulla mia coscia non ho sbagliato la mia diagnosi.
Lui prende le mie mani e
le porta ai lati della testa e mi accarezza le guance dolcemente,
strofinando
di nuovo il suo naso contro il mio: inizio ad amare questo gesto,
sembra un gatto
quando lo fa.
“Adesso entro, se ti
faccio male stringimi le mani.”
Io annuisco, lui entra in
me con una prima spinta decisa, mi fa talmente male che non riesco a
fare
quello che mi ha detto e lui spinge ancora.
Questa volta gli stritolo
la mano, con le lacrime agli occhi. Lui se ne accorge e le asciuga
dispiaciuto
e mortificato.
“Scusa, io non volevo. Io
non sono abituato.
Non voglio farti del male,
vuoi che continui?”
“Sì, ma piano. Ti prego.”
Lui entra più piano e
intanto cerca di coccolarmi e farfugliare parole di scusa nello stesso
momento.
Questa volta sento un misto di piacere e dolore: ho smesso di essere
vergine.
Una volta trovato il
nostro ritmo – fatto di spinte lunghe e dolci –
penso che questa sia la strada
per il paradiso. Gemo ed ansimo senza ritegno e lui fa lo stesso.
Arriviamo insieme
all’orgasmo e questa volta non vedo solo le stelle, vedo
l’intera galassia.
Sono così imbambolata da
non accorgermi che lui si è alzato ed ha buttato via il
preservativo e poi mi
ha attirato sul suo petto.
Me ne accorgo solo quando
sento una mano timida accarezzarmi i capelli e una coperta sulle mie
spalle
nude.
“Te ne sei pentita?”
“Ma sei fuori?
Assolutamente no! Era così
che sognavo la mia prima volta, con un ragazzo che amavo!”
“Ma ti ho fatto male…”
“E poi mi hai dato un
orgasmo meraviglioso.”
Arrossisco.
“Forse avresti voluto
farlo con Mark, lui …”
Gli metto un dito sulla
bocca e appoggio i gomiti sul suo petto.
“Non me ne frega niente di
come potrebbe essere Mark a letto, sei tu il mio ragazzo, quello che
amo e… mi
piace come sei a letto.”
Arrossisco del tutto e mi
blocco, ma lui sorride lo stesso e io mi stendo di nuovo.
Lui gioca con i miei
capelli, io mi diverto a seguire le linee del suo tatuaggio.
“Perché non mi hai detto
che ti chiamano HotPants?”
Lui arrossisce
leggermente.
"Beh, ecco perché non
volevo che pensassi che ti volessi solo scopare e perché eri
l’unica a non
conoscerlo e mi piaceva. Le ragazze che lo conoscono hanno due
atteggiamenti: o
vogliono solo scopare oppure ne sono troppo spaventate e non mi credono
quando
faccio sul serio.
Adesso che lo sai credi
ancora che io faccia sul serio?”
Sotto questa luce e alle
parole di prima capisco perché non abbia voluto approfondire
più di tanto la
nostra conoscenza carnale e ne sono onorata.
“Certo che ti credo, in
questi mesi sei stato solo con me e mi hai rispettata.
Sarai sempre HotPants, ma
solo io ne usufruirò… Giusto?”
“Giusto.”
Mi dà un bacio in fronte.
“Rimani tutta la notte.”
“Vorrei, ma alle quattro
dovrai riportarmi a casa, altrimenti chi li sente i miei.”
“Va bene così.”
Punta la sveglia e torniamo
ad abbracciarci.
Questa è la notte più
bella della mia vita.
Sono
passati molti anni da
quella notte, che è stata solo la prima di tante altre.
Negli anni abbiamo
litigato spesso – quel “i need a girl that i can
train” non
l’ho digerito tanto bene – ma è stato
anche il ragazzo che ho sposato e che mi ha donato i due esseri umani a
cui
tengo di più oltre a lui: Ava e Jonas.
Sono stati anni pieni di
tour – quando la band doveva sfondare e quando ha sfondato
– e di canzoni.
Con Mark ho fatto pace,
forse perché ha mollato Josie e per anni ha cercato una
ragazza che facesse per
lui. Josie è la famosa ragazza che non voleva che Mark
dedicasse troppo tempo
ai blink e che gli ha posto un aut-aut da cui è uscita
perdente.
Succede.
Se decidi di metterti con
un musicista devi avere ben chiaro che è come stare con un
bigamo, la musica
sarà sempre la sua seconda moglie.
In ogni caso non ha
comunque niente di cui lamentarsi la ragazza: Mark le ha pagato un
tributo di
valore inestimabile con la canzone che porta il suo nome. Ora la Josie
che gli
porta cibo di Sombrero solo così, perché le va, o
che lo porta a casa quando è
troppo ubriaco per guidare è nell’immaginario dei
fans dei blink. Così come lo
è quella “All the small things” che mi
è stata dedicata da Tom.
Gli anni non sono sempre
stati facili, quando Tom ha iniziato a prendere le medicine per la
schiena e a
litigare pesantemente con Mark è stato come prendere parte a
una guerra.
Fortunatamente alcune
guerre finiscono in un armistizio che diventa pace armata e poi pace e
basta.
“Jen, ehi Jen!”
La voce di Tom mi riporta
alla realtà, siamo davanti alla casa londinese di Mark.
Visto che dopodomani
partiremo per il tour europeo Skye – la moglie di Mark, che
è una bravissima
persona – ha proposto questa cena per rinfrescare i rapporti.
“Arrivo Tom, stavo
pensando. Jonas, dammi la mano o vuoi stare un braccio al
papà?”
Lui tende la sua manina
verso di me, ha una predilezione per me e Ava invece per il padre,
infatti si
fa accompagnare da lui.
La vedo un po’ eccitata,
rivedrà dopo tanto tempo Jack – che adora
– e Landon – per cui ha una mezza
cotta. Tom non ne sa niente o sarebbe capace di mandarla in un
convento: è un
padre tenero, ma anche geloso.
Tom suona il campanello ed
è Skye a farci gli onori di casa, esauriti quelli tra Tom,
Travis e Mark è
tutto un giro di pacche sulle spalle e battute.
Mark mi fa un cenno,
Travis mi abbraccia.
Adoro Travis, è un tipo
taciturno, ma è anche un buon amico – il mio
migliore amico – ed è il collante
che tiene insieme quei due pazzi. È stato fondamentale per
il ritorno dei blink
e dell’amicizia tra Mark e Tom.
Jonas mi tirà una mano.
“Mamma, posso giocare con
Alabama?”
“Vai e divertiti.”
Io e Travis guardiamo loro
due e poi i più grandi, Ava ricopre di attenzioni Landon che
accetta con quella
nonchalance mezzo menefreghista tipica del padre e Jack li guarda
imbronciato.
Se il mio istinto non mi
tradisce, se questa situazione continuerà a protrarsi per
altri due o tre anni
scoppierà di nuovo la guerra. L’occhiata che ci
scambiamo io e Trav indica che
come lo so io, lo sa anche lui.
Per ora non fa niente, mi
godo questa pace sedendomi a tavola e chiacchierando con gli altri.
Se non avessi accettato di
declassificare Tom da rischio biologico a persona degna di stima non
avrei
tutto questo.
Grazie Tom e in fondo
fondo fondo grazie Josie.
Angolo di Layla.
E così siamo arrivati all'ultimo capitolo, mi
mancherà questa storia ç.ç! Fortuna
che tra poco arrivera qualcosa di "nuovo"
Grazie a MatyOtaku
e _redyragenadlove
per le recensioni.
Grazie a: MatyOtaku
e a A_Delonge182
per averla messa tra le seguite.
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