Rear Window

di CowgirlSara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Rear Window 1
Allora, premetto che non sono una grande esperta del fandom di FMA, ma ho visto alcuni episodi dell’anime ed ho letto delle fanfiction, appassionandomi al pairing Royai. Quei due, per me, sono una coppia perfetta, proprio del tipo che piace a me, piena di non detto, di sottintesi, ma affiatatissima. Poi m’è venuta quest’idea e, spruzzandoci un pochino di romanticismo, ho pensato di realizzarla. Spero che anche coloro che ne sanno più di me possano apprezzarla. E, vi prego, se trovate i personaggi un po’ OOC, segnalatemelo, che provvederò a mettere l’avvertimento.

Questa storia è liberamente ispirata alla trama del capolavoro cinematografico “La finestra sul cortile” del Maestro Sir Alfred Hitchcock, ho usato il titolo originale perché nella mia lista c’era già una ff con questo titolo, che trattava tutt’altro argomento.

I personaggi di FMA appartengono ai loro legittimi autori. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.

Enjoy
Sara

- Rear Window -

- 1 -

Riza salì a passo svelto le scale rivestite di legno della palazzina. Dopo il lavoro era passata a farsi una doccia veloce ed a cambiarsi; ora indossava jeans e una maglietta color lavanda.
Era anche passata a fare una spesa leggera, adatta alle richieste di un malato molto “esigente”. Aveva troppo rispetto per il suo superiore per usare aggettivi più adatti, ma assai meno politicamente corretti. Diciamo che il colonnello, quando era malato o costretto all’inabilità, diventava simile a quell’oggetto sferico e rimbalzante con cui sono soliti giocare i bambini. Sì, una palla.
Non che le dispiacesse occuparsi di lui, solo che a volte riusciva ad essere veramente pesante. Faceva le richieste più impensabili e provare a farlo ragionare diventava un’impresa. La donna scrollò il capo, rassegnata, pronta al nuovo fuoco di fila delle sue pretese.
Aprì la porta con le sue chiavi. Sì, aveva le sue chiavi della casa di Mustang. Le aveva ormai da tanto tempo che non riusciva nemmeno a ricordarsi da quanto. Lui gliele aveva date una volta, perché andasse a prendergli un cambio di divisa, poi non gliele aveva mai richieste. Figurarsi, sicuramente se n’era dimenticato. Così era stata lei ad andare a restituirgliele e lui aveva insistito perché le tenesse, poteva sempre essere utile. Sì, specialmente quando ti rompi una gamba.
Entrò nell’appartamento. C’era silenzio, odore di caffè. La porta della camera era socchiusa e lei si diresse verso la cucina, superando il tavolo rotondo tra le due ampie finestre dalle tende chiare. Lasciò le buste della spesa sul pensile e decise di andare a vedere cosa faceva l’infermo.
Il tenente scostò dolcemente la porta della stanza da letto, cercando di non fare rumore, poiché pensava che lui stesse dormendo. Fatto un passo dentro la camera, spalancò gli occhi.
“Colonnello, ma che diavolo sta facendo?!” Esclamò Riza, non appena vide Roy che, seduto sulla grande poltrona di pelle verde scuro e con la gamba ingessata appoggiata su uno sgabello, si dava da fare per occultare goffamente un grosso binocolo.
“Hem… ecco…” Balbettò lui, colto in fallo. “Ammazzo il tempo.” Spiegò poi, ripresa sicurezza.
“Lei sta spiando i suoi vicini!” Lo rimproverò la donna con le mani sui fianchi.
“Ma no! Cosa va a pensare, Tenente!” Replicò Mustang, con la sua tipica faccia di bronzo, accentuando il tono con un gesto noncurante della mano.
“E allora, per cosa usa quell’enorme binocolo?” Domandò retorica Riza, con sguardo minaccioso.
“Beh…” Fece vago il colonnello. “…ci sono molte cose interessanti, qui intorno, le vecchiette che danno da mangiare ai gatti, i barboni che frugano nei cassonetti e i giochi dei bambini… oh, i giochi dei bambini!” Terminò enfatico.
“Vogliamo parlare, invece, della sua procace vicina che si cambia la biancheria?” Soggiunse lei, assottigliando gli occhi a livello serpente.
“Ma di quale vicina sta parlando?” Sbottò Roy, con l’apparenza di cadere dalle nuvole.
“Palazzo di fronte, secondo piano, interno B, gerani rossi sul terrazzo, che non abbassa mai le tapparelle…” Scandì professionale il suo braccio destro.
Mustang spalancò stupito gli occhi. “Lei conosce i miei vicini?!” Chiese.
“Ovvio.” Rispose lei annuendo. “Rientra nei miei compiti.”
“Humpf…” Sbuffò il colonnello, chinando il capo.
“Forza, adesso mi dia quell’affare, che le preparo la cena.” Ordinò la donna, allungando la mano per prendere il binocolo; lui glielo porse riluttante e la seguì con gli occhi, mentre usciva dalla stanza e posava l’attrezzo sul cassettone.

Dieci minuti dopo, Roy si decise ad alzarsi, lasciando la sua postazione privilegiata sulla vista del cortile. Aiutandosi con le stampelle raggiunse il soggiorno.
La tavola era già preparata, apparecchiata per due. Da quando si era rotto la gamba, avevano già cenato insieme due volte. Gli piaceva averla lì, dividere con lei i piccoli gesti quotidiani. Si faceva sempre raccontare quello che succedeva in ufficio, anche se questo voleva dire sentirsi ancora più frustrato e annoiato, ma amava sentirla parlare di lavoro.
Arrivato alla cucina, si appoggiò allo stipite dell’arco che vi conduceva e osservò la donna preparare la cena. Quei jeans aderenti e quella magliettina le donavano decisamente più della sformante divisa blu dell’esercito, constatò Roy con piacere, osservando le armoniose forme di Riza.
“Sta usando tutte e due le stampelle, vero?”
La domanda lo colse di sorpresa, mentre osservava rapito un lembo di candida pelle che faceva capolino sotto la stoffa leggera, appena sollevata, della t-shirt di lei. Mustang si sbilanciò e una delle grucce cadde a terra con un tonfo.
“Finora sì…” Rispose poi, già angosciato dall’idea di doversi piegare a recuperarla.
“Bene.” Fece il tenente, girandosi e raccogliendo velocemente la stampella; gliela porse sorridendo. “Il dottore si è raccomandato che le usi entrambe.” Gli ricordò, mentre lui prendeva la gruccia. “Adesso si sieda, è quasi pronto.”
Mustang, dopo cena, ebbe una “gradita” sorpresa. Hawkeye aveva portato dall’ufficio una borsa stipata di carte che doveva assolutamente firmare lui. Le proteste non valsero a nulla, né le scene tragiche di dolori alla gamba e stanchezza fulminante. Dovette perderci un’ora, con Riza che lo controllava da sopra la spalla, stile avvoltoio.
Quando, finalmente, la donna se ne andò, convinta di averlo messo a letto, stanco dal lavoro imprevisto, lui si rialzò e tornò sulla sua poltrona vicino alla finestra, accompagnato dal fedele binocolo. La notte era il momento più interessante delle sue osservazioni!

***

La mattinata in ufficio scorreva più tranquilla del solito. Gli uomini lavoravano regolarmente e senza troppe lamentele. La mancanza del colonnello evitava molte distrazioni, non dovevano alzare gli occhi ogni volta che scoppiava un battibecco silenzioso con il tenente Hawkeye. Silenzioso, sì. Che necessitava seguire con lo sguardo, sì. Ma quanta soddisfazione nel commentarlo poi! Chissà se quei due si rendevano conto di essere argomento di conversazione…
Il telefono sulla scrivania del colonnello squillò. Havoc era incaricato di rispondere. Tutti, in quei giorni, seguivano scrupolosamente le direttive di Riza; il rischio era ritrovarsi sforacchiati come un colabrodo. Così il giovane prese la cornetta.
“Ufficio del Colonnello Mustang, buongiorno.” Esordì, con tono professionale; ascoltò con sguardo sempre più allibito, scostando progressivamente la cornetta dall’orecchio, mentre il volume di voce dell’interlocutore si faceva sempre più alto.
“MI PASSI IL TENENE HAWKEYE!” Quell’ordine lo sentì tutto l’ufficio.
“Te… Tenente, al telefono, è… è il Colonnello…” Mormorò il ragazzo, allungando timoroso l’apparecchio al suo superiore.
Lei lo prese, perplessa. “Sì?” Fece, dopo essersi portata la cornetta all’orecchio.
“Perché fa rispondere quell’invertebrato di Havoc?! Eh?! Io ho bisogno di persone scattanti, attive!” Sbraitò Roy dall’altra parte del filo. “Si brighi, venga subito qui! Ha ucciso la moglie, capisce?! Poi l’ha occultata in un tappeto o una tenda, roba così, si disfarà del cadavere, presto! Bruci i semafori, taglie le rotatorie, ma la voglio qui tra un quarto d’ora!” E attaccò senza darle il tempo di replicare.
Tutti i presenti fissavano perplessi il tenente con ancora l’apparecchio in mano. La donna non perse la flemma. Attaccò il telefono, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi si aggiustò la giacca dell’uniforme, mentre i suoi sottoposti si arrovellavano nella curiosità.
“Havoc, dobbiamo andare dal Colonnello, ma prima ci fermiamo dal suo medico.” Affermò Riza, prendendo dal cassetto le chiavi della macchina.
“Perché ci fermiamo dal dottore?” Fece lui.
“Scusi, non le è sembrato che il Colonnello desse chiari segni di disagio?” Rispose lei, precedendolo fuori dell’ufficio.
“E non è la prima volta che lo penso…” Si rispose Jean sconsolato, seguendola.

Mezz’ora dopo erano sotto casa di Mustang. Hawkeye aveva guidato come un campione di rally e Havoc aveva i capelli più dritti del solito, quando scesero dall’auto.
“Aveva detto un quarto d’ora…” Mormorò timoroso il giovane.
“Male che vada ci riduce in cenere.” Commentò noncurante il tenente entrando nel palazzo. Lui aggrottò la fronte preoccupato.
“Secondo lei…” Fece Jean, mentre salivano le scale. “…quello che ha detto il dottore è vero?”
“Mah, non me ne intendo molto.” Rispose Riza, precedendolo alla porta del colonnello. “Però, quando ci ho parlato al telefono, non mi sembrava che stesse bene.” Aggiunse aprendo la porta. “Colonnello Mustang, siamo qui.” Annunciò tranquilla.
Rumori di cose cadute, imprecazioni e una camminata saltellante annunciarono l’arrivo di Roy, che comparse sulla porta della camera sostenendosi con una sola stampella. Era arruffato e con gli occhi rossi. Aveva addosso solo i calzoni del pigiama. E, se la visione in se non era poi malaccio, Riza si preoccupò subito di quello stato.
“Finalmente, ci avete messo una vita!” Sbottò impaziente.
“Dove ha messo l’altra stampella, Colonnello?” Gli domandò il tenente avvicinandosi.
“Ma non lo so e non m’importa!” Rispose sgarbatamente lui. “Qui è successa una cosa grossa e lei si preoccupa di una cavolo di stampella!” Continuò, saltellando verso il divano. “Perché c’avete messo così tanto, eh?”
Preso dal discorso non si accorse del bordo del tappeto e inciampò. Riza fu pronta ad afferrarlo, prima che si rompesse anche l’altra gamba. Lo prese alla vita con una stretta solida e sentì i suoi muscoli contrarsi subito, sotto il suo tocco. Si raddrizzarono in contemporanea, ritrovandosi a fissarsi negl’occhi. Havoc avrebbe voluto fargli una foto da mostrare agl’altri.
“Deve usare tutte e due le stampelle.” Gli ricordò gelida lei.
Roy sollevò le sopracciglia con aria improvvisamente maliziosa, poi spostò lo sguardo sulla mano di Riza, ben salda sul suo addome nudo, poco sopra l’ombelico. E lei se ne accorse. Si scostò quasi brutalmente, arrossendo appena. Il colonnello vacillò un attimo, ma riprese l’equilibrio grazie alla gruccia. Jean trattenne la risatina che gli era salita alle labbra.
“Allora.” Esordì il tenente, con tono comprensivo, quando Roy si fu finalmente seduto. “Si può sapere che cosa è successo?”
“Il tizio che abita davanti a me stanotte ha ucciso la moglie.” Rispose serio l’uomo.
“E perché non ha chiamato la polizia?” Soggiunse Riza.
“Ho chiamato lei!” Replicò stizzito il colonnello. “E poi…” Aggiunse titubante, abbassando gli occhi. “…non è che sono tanto sicuro…”
“Ah, ecco.” Annuì il tenente.
“Beh, ma stavano litigando e poi, all’improvviso, più niente e hanno spento le luci, quindi ci sono stati dei movimenti strani e…”
“Mi dica, si è rimesso di nuovo a spiare i suoi vicini?” Domandò comprensiva la donna. Havoc stentava a seguire il discorso: il colonnello Mustang che spiava i vicini?!
“Insomma, non mi faccia la predica!” Reagì offeso Roy. “Sono già abbastanza nervoso e muoio per il prurito a questa maledettissima gamba!” Continuò alterato, poi si girò verso l’altro subalterno. “Havoc, vada giù, al 2b vive una vecchietta, si faccia dare un ferro da calza, devo grattarmi!” Il soldato si apprestò ad ubbidire, ma fu fermato dalla voce di Hawkeye.
“Il dottore ha detto che sarebbe meglio non lo facesse, per…”
“Non m’importa un accidente di quello che dice quel rincoglionito del dottore, io DEVO grattarmi la gamba o finirò per incenerire qualcuno!” Urlò di rimando il colonnello. “Havoc, che diavolo aspetta, si sbrighi!” Il ragazzo filò fuori della porta, temendo che, tra i due presenti, l’unico che rischiava seriamente la combustione era lui.
Riza si sedette vicino al suo superiore, che intanto cercava di grattarsi la gamba alla meno peggio.
“Ascolti, Colonnello, mentre venivamo qui, mi sono permessa di fermarmi dal suo medico…”
“Ah, ecco perché avete fatto tardi! Si può sapere perché lo ha fatto?” L’interruppe lui.
“Perché lei mi era sembrato un po’ strano al telefono.” Rispose pronta la donna. “Il dottore dice che, quando c’è una frattura, può capitare che delle particelle di midollo osseo entrino in circolo e causino una forma di… di leggera paranoia, che…” Aveva cercato le parole più delicate per dirglielo, ma non poteva tirarla tanto per le lunghe; questo non le risparmiò uno sguardo più inceneritore delle dita dell’alchimista.
“Guardi che non sono affatto paranoico, quell’uomo ha ucciso la moglie.” Ribadì Roy sicuro.
“Mi ha dato dei calmanti da farle prendere.” Affermò Riza, ignorando il commento del colonnello.
“Io non ho bisogno di nessun calmante!”
In quel momento rientrò Havoc con una faccia tra il rammaricato e il preoccupato. “La signora mi ha lanciato contro una padella…” Biascicò imbarazzato.
“Quella maledetta vecchiaccia impicciona!” Esclamò Mustang agitando in aria la stampella. “Se lo scorda che le porterò più le borse della spesa!”
“Mi creda.” Intervenne Hawkeye. “Lei ha decisamente bisogno del calmante.”
Roy sbuffò, lasciandosi andare contro la spalliera del divano. “E vabbene, prenderò quella cavolo di pillola…” Si arrese quindi, ma si girò appena verso di lei. “Però deve promettermi che farà un’indagine più approfondita, io sono sicuro che sia successo qualcosa e lei ha il preciso dovere, nel caso, di assicurare un assassino alla giustizia.”
“Va bene, stia tranquillo.” Acconsentì lei, più che altro per cercare di calmarlo. “Indagherò.”

***

Quello stesso pomeriggio, Riza Hawkeye, armata di cartellina e dopo aver inforcato un paio di falsissimi occhiali da vista, si presentò davanti alla porta del sospettato. La lucida targa d’ottone dell’appartamento 3c recitava Ross Schwarten. La donna suonò.
Un uomo robusto, squadrato sia di spalle che di volto, aprì il portoncino lucidato. Aveva i capelli brizzolati, pesanti occhiaie e un’aria diffidente.
“Salve, Signor Schwarten!” Esordì la donna senza farlo reagire. “Sono un’incaricata della Mustang ltd...” Sparò a caso. “…e stiamo effettuando una ricerca statistica sulle casalinghe e l’uso degli elettrodomestici, posso parlare con sua moglie?”
“No, mi spiace.” Rispose subito lui. “Mia moglie non è in casa.” Precisò.
“Beh, ma io posso ripassare, se mi dice quando posso trovarla…”
Riza, nel frattempo, osservava l’uomo. Non sembrava titubante o incerto, ma i suoi occhi erano troppo freddi. Anche lui la stava studiando.
“Purtroppo è impossibile.” Riprese lui. “È fuori città per assistere la madre malata e non ho idea di quando potrà tornare.” Mai, dato che l’hai tagliata a pezzi e messa in freezer… pensò il tenente, in un improvviso moto di accordo con Mustang.
“In questo caso, credo che passerò oltre…” Mormorò Riza, con un sorrisetto di circostanza.
“Sì, penso sia meglio.” La liquidò l’uomo, appena prima di rientrare in casa e sbatterle la porta in faccia.
Bene, bene. Qui qualcuno aveva chiaramente qualcosa da nascondere. Gli indizi erano terribilmente lievi e nulla di concreto poteva far pensare che Schwarten si fosse davvero liberato della moglie, ma c’era una vocina nelle testa di Riza che le diceva: Roy ha ragione!
Il tenente si tolse gli occhiali e girò l’angolo; a pochi passi c’era il portone del palazzo di Mustang. Era ora di fare rapporto al suo superiore.

Roy si teneva in piedi con le stampelle, appoggiato alla finestra. La luce calda del pomeriggio investiva il suo profilo e faceva risaltare la lucidità dei suoi capelli neri. Era bello e aveva un’aria malinconica. Riza aveva appena finito di riferirgli la sua conversazione con il sospettato.
“Secondo lei mente?” Le domandò distratto.
“Sì.” Rispose la donna senza tentennamenti, dalla sua postazione vicino al grande armadio. “Ma è solo una sensazione mia, non ci sono prove oggettive.”
“Io mi fido più del suo intuito.” Soggiunse Mustang; anche se quell’affermazione la riempiva d’orgoglio non serviva certo ad arrestare il vicino.
“Quando rientro in ufficio farò un’indagine bancaria, per cercare un movente, altrimenti non saprei che fare.” Affermò Riza, leggermente arresa; Roy annuì, bastava quel gesto per confermarle che approvava la sua scelta. “Ora devo andare, stasera c’è la festa dell’esercito.”
Il colonnello si voltò verso di lei, aggrottando le sopracciglia. “E’ stasera?” Lei annuì. “Deve ritirare il suo premio come miglior tiratore, vero? Mi spiace non poterci essere…”
“Le dispiace solo di non poter fare la sua solita passerella in alta uniforme.” Commentò retorica la donna, dirigendosi in soggiorno; lui ridacchiò. “Ad ogni modo passerò qui, prima di andare, per assicurarmi che prenda le medicine.”
“Ma per chi mi ha preso?!” Protestò l’uomo seguendola.
“Per il Colonnello Roy-distratto-Mustang.” Scherzò impassibile Riza, recuperando la giacca sul divano. “A dopo.” Lo salutò, prima di uscire di casa. Lui sorrise, in fondo gli facevano piacere le attenzioni della sua bionda sottoposta.

***

Roy Mustang osservava attento la porta che conduceva dalle scale della palazzina di fronte al cortile interno. Il piazzale di selciato, comune ai due edifici, era immobile e silenzioso nella luce ormai fioca del crepuscolo. Il colonnello scrutava ogni angolo del cortile col suo fidato binocolo: le luci che andavano e venivano negli androni, i movimenti dei vicini, i rumori delle case. Si sentiva nelle ossa che stava per succedere qualcosa.
“Roy.” Lo interruppe una voce familiare, il tono era accusatorio; lui si voltò. “Basta, per favore.” Aggiunse supplichevole Riza, entrando nella camera.
Ma lui non sentì quella richiesta. E, comunque, non avrebbe potuto fare nulla, dato che era paralizzato. Sì, perché lei era entrata nella stanza, illuminandola, come fosse sorta la luna. Indossava un abito di chiffon bianco, le cui maniche svolazzanti formavano anche una specie di coprispalle. I capelli erano acconciati con cura e ricadevano morbidi sulla schiena. Il trucco era leggero e chiaro e le donava moltissimo, facendo risaltare i suoi begl’occhi nocciola.
Si avvicinò a Roy con la grazia di una nuvola, pensando che stesse lì fermo imbambolato e con quell’espressione ebete perché lei lo aveva di nuovo colto in fallo.
“Questo lo mettiamo via, adesso, eh?” Gli disse con tono materno, sfilandogli il binocolo, che ormai Roy non reggeva più; poi gli passò a fianco, sfiorandolo con un lembo del vestito.
Profumava di frutti di bosco, rifletté Mustang e questo lo faceva pensare ad una dolce meringata di lamponi e more che avrebbe tanto voluto mangiare…
Riza, col cannocchiale sotto braccio, chiuse delicatamente le tapparelle e tornò indietro. “Le ho portato la cena, insalata di tonno e gelato alla vaniglia…” Riprese tranquilla, dimostrando la solita efficienza. “E poi, naturalmente, ci sono le medicine da prendere e… Colonnello?”
“Eh?!” Il colonnello trasecolò e alzò gli occhi, trovandosela di fronte.
“Mi sta ascoltando?” Gli domandò la donna.
“Come no!” Rispose subito lui.
“Infatti, no.” Ribatté Riza ruotando gli occhi. “Si ricorda, vero, che le pillole vanno prese a un paio d’ore l’una dall’altra?” Riprese implacabile; si sentiva una maestrina alle prese con un allievo distratto, quando era costretta a comportarsi così.
“Certo!” Sbottò il colonnello, girandosi offeso dall’altra parte.
In realtà si era voltato per cercare di recuperare una parvenza di autocontrollo. Erano anni che una donna non lo turbava tanto. O meglio. Riza, innegabilmente, lo turbava, anche se non aveva mai associato i suoi pensieri su di lei con un’attrazione fisica. Forse si era sempre mentito, perché altrimenti come si giustificava il fatto che il solo tocco della sua mano gli provocasse scariche di brividi lungo la schiena? E adesso… ora quel vestito, quel trucco… oh, i suoi capelli!
“Le ho preparato la tavola.” Gli annunciò la ragazza, riaffacciandosi in camera.
“Eh?” Fece lui, torcendosi sulla poltrona. “Ah, sì, grazie…” Mormorò poi, rimanendo a contemplarla per qualche istante. Era così bella, appoggiata con leggerezza allo stipite. “Credevo avrebbe messo l’alta uniforme.” Le disse, quasi senza volere.
“Ah…” Rispose Riza un po’ imbarazzata, osservandosi il vestito. “È un ricevimento, pensavo questo fosse più adatto…” Spiegò quindi, lisciandosi la gonna.
“Le sta benissimo.” Affermò Roy, facendola arrossire.
“Grazie…” Replicò la donna, aggiustandosi i capelli con un gesto nervoso. “Allora, si ricorda tutto quello che le ho detto sulle medicine?” Domandò poi, tanto per cambiare discorso.
“Sì…” Rispose atono Mustang.
“Bene.” Annuì il tenente. “Se ce la faccio, ripasso dopo la festa.” Aggiunse quindi, prima andare via.
“Non è necessario.” Replicò lui, che non voleva darle troppo disturbo, già erano giorni che praticamente viveva lì.
“Non è necessario, ma mi fa piacere.” Precisò Riza con un sorriso, poi lo salutò con la mano e si diresse all’uscita. Roy sospirò, appoggiandosi allo schienale e cercando nell’aria ancora un po’ del suo profumo.

CONTINUA

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Capitolo 2
*** 2 ***


Rear window - 2
Eccomi. Beh, devo dire che non credevo di riscuotere tanto successo! Grazie davvero! Dai vostri commenti mi pare di aver capito che vi aspettavate una ff più articolata e mi spiace deludervi. Purtroppo questa storia era nata addirittura come una One Shot, che ho diviso in due solo per comodità, quindi... Spero che il finale non vi deluda, anche se è un po' veloce!
Però non temete, ho ancora qualche compo in canna, come direbbe la nostra Riza ^__- Le RoyAi mi piacciono troppo, quindi penso che presto avrete mie notizie!

Ringrazio le commentatrici e spero di avere il vostro giudizio anche sul finale!
Grazie a eleanor89, Brucy, Shatzy, MistralRhapsody, Anty, mintgirl e Onda. Sono soddisfatta di sapere che per gli esperti del fandom sono IC ed ho scritto una storia che si adatta ai personaggi, i vostri complimenti mi fanno davvero piacere!

Adesso vi lascio alla lettura, a presto!
Sara

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- 2 -


Mustang era seduto a tavola. Aveva mangiato la gustosa insalata portata dal tenente, accompagnata da del buon pane morbido e un bel bicchiere di vino; adesso spiluccava svogliatamente il gelato, osservando perplesso i due tubetti di plastica arancione che contenevano le sue medicine.
Che aveva detto Riza? Era sicuro che, tra un affascinante movimento e l’altro, il suo bellissimo attendente avesse accennato qualcosa a riguardo delle pillole… Ma cosa?! Hm, probabilmente solo il fatto che, certi tipi di medicine, vanno presi a stomaco pieno. Sì, di sicuro era quello. Cos’altro poteva esserci? Si disse l’uomo, stringendosi nelle spalle.
Roy, quindi, prese il primo tubetto e tirò fuori una pastiglia, poi fece lo stesso con l’altra e le mandò giù insieme, usando il vino restante. Tanto aveva mangiato.

Un paio d’ore dopo Roy era sulla solita poltrona vicino alla finestra sul cortile, quando iniziò a sentirsi strano. Cominciò a girargli un po’ la testa e i suoi movimenti rallentarono pericolosamente. Provò ad alzarsi, ma il suo corpo era esageratamente pesante e quindi crollò di nuovo a sedere. L’uomo non capiva cosa gli stesse succedendo. Nemmeno per un momento pensò che quel malessere fosse dovuto alla sua avventatezza nel prendere le medicine.
Fu, però, quando gli occhi cominciarono a farsi tanto pesanti da non riuscire a tenerli aperti, che successe qualcosa, come aveva pensato precedentemente nella serata.
Il suo sguardo era annebbiato e non riuscì a prendere il binocolo o fare qualsiasi altra cosa, ma distinse abbastanza bene la figura del suo vicino, che, aperta la porta che conduceva alle cantine, trasportava un grosso fagotto. Furtivo nella notte.
Roy stava per chiamare Riza, ma, nell’ultimo istante di lucidità, si ricordò che lei non c’era. Poi gli occhi si chiusero inesorabili e il colonnello crollò col capo sul davanzale.

Erano quasi le due, quando il tenente Hawkeye aprì delicatamente la porta dell’appartamento di Mustang. La ragazza non amava gli eventi mondani, ma era stata costretta a subire quel ricevimento quasi fino alla fine, a causa del premio che aveva ricevuto. Sospirò stancamente, entrando. Le facevano un po’ male i piedi e avrebbe voluto andarsene a letto, ma il suo senso del dovere verso il colonnello l’aveva spinta a quella fermata notturna. Le dispiaceva, poi, non assicurarsi che lui stesse bene. Non avrebbe potuto dormire senza sapere che era tranquillo.
Attraversò silenziosamente il soggiorno, posando la targa del premio sul tavolino vicino al divano, poi scostò la porta della camera e si affacciò. Quando vide Roy addormentato sulla poltrona, in una posa scomposta e con la testa contro la finestra, sbuffò. Quell’uomo era impossibile! Come diavolo aveva fatto a addormentarsi in quel modo? Si avvicinò scoraggiata.
“Colonnello.” Lo chiamò, posandogli una mano sulla spalla. “Colonnello, deve andare a letto…” Continuò, cercando di svegliarlo, ma le rispose solo un gemito.
Allarmata, Riza lo guardò meglio. Era pallido e leggermente sudato. Provò a scuoterlo ed a chiamarlo ancora, ma l’unica cosa che ottenne fu un biascicare non intelligibile.
“Oddio, ma che ha combinato?” Si domandò preoccupata la ragazza, poi le venne un sospetto. “Colonnello, ha preso le pillole insieme?” Gli domandò minacciosa.
“Ehm… sh… forshe…” Mugugnò Roy con bocca impastata, Riza sollevò gli occhi al soffitto.
“Andiamo, si alzi…” Lo implorò poi, cercando di aiutarlo.
Lo prese sotto le ascelle, cercando di tirarlo su, con scarsa collaborazione. Fu solo grazie alla sua preparazione fisica da soldato che Riza riuscì a sostenerlo. Ma cavolo quanto pesava!
Lui, però, all’improvviso, si alzò da solo e strinse con forza le mani sulle spalle della donna. Il tenente lo guardò negl’occhi. Erano vitrei e confusi, brillavano in maniera preoccupante.
“Colonnello?” Fece lei, allarmata.
“Raz… raish… Riza…” Esordì balbettante l’uomo, il tenente aggrottò la fronte. “Lui… quel… quel… ha portat… tato… l’ha portato!”
“Shhh, tranquillo.” Replicò dolcemente la ragazza, carezzandogli il viso. “Va tutto bene…”
“No, no…” Protestò debolmente lui. “L’ha fatto, io l’ho visto…” Poi sospirò con stanchezza e l’abbracciò delicatamente.
Riza sbuffò arresa e gli carezzò i capelli. “Certo, certo… ora andiamo.” Gli disse, mentre lo trascinava verso il letto, ma lui rialzò il capo.
“Tu mi credi, vero piccola?” Le domandò, in un apparente attimo di lucidità.
“Sì, certo.” Rispose comprensiva la donna. “Basta che non mi chiami piccola…”
“Posso chiamarti tesoro?” Soggiunse Roy, con una vocina da bimbo, mentre si accomodava contro il suo collo come un cucciolo.
Quel gesto e quelle parole paralizzarono Riza. Le sue mani si strinsero piano sul torace dell’uomo e avvertì il calore della sua pelle attraverso la stoffa del pigiama. Sentiva il suo fiato caldo sul collo, un contatto intimo e un po’ scioccante. Ma lui la strinse di più, quasi appoggiandosi contro di lei. La confidenza e la fiducia intenerirono la ragazza, che si rilassò e gli circondò dolcemente la schiena con un braccio.
“Sì, che puoi…” Mormorò calma, continuando a passargli la mano libera tra i capelli. “Ma ora vieni con me, su…” Aggiunse, spostandosi all’indietro, verso il letto.
“Sì, perché tu sei il mio tesoro…” Borbottava, nel frattempo, Roy, con voce strascicata. “Sei… sei la più bella… la… la più dolce…”
“Lo dici a tutte.”
“No, no, no!” Protestò Mustang, senza alzare il capo dalla spalla di lei. “Tu sei l’unica… l’unica che vuol dire qual… quas… ergh…”
Riza scosse la testa. Chissà a quale delle sue innumerevoli conquiste pensava di parlare il colonnello. Un po’ le faceva male pensare che quelle parole non fossero per lei, ma era consapevole del suo ruolo nella vita di Roy. Lei, per il suo superiore non era una donna. Non doveva essere una donna. Ma come negare che averlo così vicino, sentirlo pronunciare certe frasi nel suo orecchio, le dava un’emozione profonda e inquieta? Ma era un sentimento che doveva reprimere.
Riuscì a trasportarlo faticosamente fino alla sponda del letto. “Eccoci qua, ora si sposti…” Disse Riza, quando sbatté contro il materasso; ma, quando fece per muovere l’uomo verso la sua destra, lui si lamentò, chiaramente per il dolore alla gamba ingessata, torta in modo improprio.
Il tenente sbuffò, allontanandosi la frangia dalla fronte e cercando un modo per mettere Roy sul letto senza fargli troppo male. Lui, nel frattempo, continuava a balbettare frasi romantiche senza senso.
“Facciamo così…” Rifletté Riza, prima di scalciare via le sue eleganti scarpe, per muoversi con più comodità. “Se solo tu mi aiutassi un attimino, Roy…” Si lamentò poi.
“Io… io sono qui per te… tesoro…” Biascicò il colonnello, senza fare però nulla di utile, tranne pesarle.
“Eccome no…” Replicò arresa lei.
Mustang, infine, una cosa la fece, ma non fu molto produttiva. Emise un gemito stanco e poi si spinse contro Riza, che, incastrata tra lui e il letto, non riuscì a fare nient’altro che cadere sul materasso. Fu così che la ragazza si trovò stesa sotto di lui. E avvampò.
“Ro… Roy, ti prego, spostati…” Lo supplicò imbarazzatissima. “Io devo… andare a casa…”
“Nooo, ti prego… resta con me…” Rispose lui, piagnucoloso, stringendola a se e strusciando il naso contro il suo collo. “Adoro il tuo profumo… Riza…”
Gli occhi della ragazza si spalancarono stupiti. Aveva pronunciato proprio il suo nome. Girò piano il capo, per guardarlo. Sembrava che si fosse addormentato. Tipico suo. Stava lì, occhi chiusi ed espressione serena, proprio come quando si addormentava sulle montagne di carte da firmare in ufficio. Adesso, però, il suo cuscino non erano plichi di rapporti, ma la spalla del suo biondo tenente. E sembrava gradirla molto, dal modo in cui si accomodava.
Riza non sapeva come comportarsi, il cuore le batteva ancora in gola. I capelli di Roy scivolarono morbidamente sulla sua pelle, provocandole un brivido, quando lui si mosse appena. Provò a spostarlo, ma era pesante e non ne voleva sapere. Guardò la sveglia sul comodino, erano le due e mezza e facendo un rapido esame tattico della situazione, Riza comprese che non c’era molto da fare. Sospirò arresa, poi allungò una mano e spense la lampada dal paralume verde. L’ultima cosa che fece, prima di decidersi a dormire, fu accarezzare piano il viso di Roy, che ronfava beato.

Quando il colonnello Mustang si svegliò, a causa della leggera luce rosata che attraversava le tende chiare della camera, ebbe la netta sensazione di non aver dormito da solo. Tipo quelle cose che succedevano dopo una sbronza… A pensarci bene, si sentiva proprio come dopo una sbronza, ma non ricordava di aver bevuto più di un bicchiere di vino… E allora perché il mal di testa, la vaga nausea, le vertigini?
Si guardò intorno, smarrito. Le stampelle erano appoggiate al comodino, alla sua sinistra, in un punto ideale per essere prese ed usate. Strano, lui le lasciava sempre in giro ed era costretto a saltellare per la camera cercandole. Le afferrò e si alzò, ma rimase bloccato dopo due passi.
Sulla grande poltrona verde, che era diventata quasi la sua casa nei giorni di convalescenza, era posato un abito di chiffon bianco, con le pieghe accomodate e lisciate. Un paio di scarpine eleganti, anch’esse bianche, erano sul tappeto. Oddio, il vestito di Riza… Cosa cazzo aveva combinato?! Cominciò a pregare di non essersi spinto troppo oltre con lei. Ma, allo stesso tempo, odiava aver fatto qualcosa e non ricordarsene!
Roy si spinse, allora, fino in soggiorno e si sporse per spiare in cucina. Riza era lì, preparava la colazione di sicuro. Indossava una sua camicia ed i pantaloni di una tuta; il tutto le stava decisamente largo, ma era così intimo ed emozionante vederla indossare la sua roba!
“Buongiorno…” Mormorò incerto.
Il tenente si girò di soprassalto. I suoi capelli sciolti brillarono nel sole che entrava dalla finestra. Dopo un attimo di sorpresa ridivenne impassibile e si voltò nuovamente verso i fornelli.
“Non sta poi così male, vedo.” Fu l’unico, acido, commento.
“Sì… no, beh… mi sento un po’ confuso…” Balbettò Roy, massaggiandosi la nuca.
“Ci credo.” Replicò glaciale Riza. “Ha mischiato le medicine, nonostante l’avessi debitamente avvertita e non mi stupirei se ci avesse bevuto sopra qualcosa di alcolico…”
“Ehm…” Biascicò il colonnello con aria colpevole. “Mi perdoni, me n’ero dimenticato…”
Lei gli scoccò un’occhiata inquisitoria. “Figuriamoci.” Sentenziò poi, tornando ad occuparsi della colazione che, poco dopo, servì sbrigativa.
“È arrabbiata con me?” Le domandò preoccupato Roy, mentre erano a tavola. L’uomo temeva quel che poteva essere successo la notte precendente.
“Dovrei?” Ribatté serafica la ragazza.
“Dovrebbe?” Fece Mustang di rimando, aggrottando timoroso la fronte.
“Vuole dire che non si ricorda nulla?” Gli domandò allora Riza, sorpresa.
“Ecco…” Esordì titubante lui. “…in questo momento, il mio cervello sta attraversando una fase leggermente nebbiosa…”
“Non posso essere arrabbiata con lei.” Affermò quindi la donna, tranquilla. “Mi ha detto che sono la più bella, la più dolce, l’unica…” Si gustò, con un certo sadico piacere, l’espressione sempre più sconvolta di Mustang, sorseggiando un po’ di caffè. “…e che adora il mio profumo.” Lo stupore di Roy lo aveva ormai schiacciato contro la spalliera della sedia. “Ma stia tranquillo, le mani le ha tenute a posto…”
“Ri… Riza, i… io…” Boccheggiò l’uomo.
“Colonnello!” Esclamò, però, lei, interrompendolo. “Sto scherzando!” Aggiunse con un lieve sorriso. Lui rimase paralizzato per un secondo, poi…
Il sospiro di sollievo di Roy Mustang gli restituì a dir poco cinque anni di vita. In futuro, però, i dubbi su quella notte sarebbero venuti spesso a tormentarlo, perché non riusciva a togliersi dalla testa, e dal naso, il profumo di Riza così vicino.
“Ora devo andare.” La voce del tenente lo risvegliò. “Si è fatto tardi e Hayate avrà fatto la pipì in soggiorno…” Aggiunse arresa.
“Ho come l’impressione di avere qualcosa da dirle…” Intervenne, però, Mustang, col mento mollemente appoggiato sulla mano sollevata, mentre lei era in camera a recuperare il vestito. “Tenente!” Esclamò quindi, facendola sussultare.
“Signore?” Fece Riza, tornando in soggiorno con l’abito tra le braccia.
“Ha portato il corpo in cantina, l’ho visto stanotte.” Le riferì, ricordando finalmente la cosa più importante della sera prima.
“Colonnello, ne è sicuro? Ricordi che con quelle medicine in circolo…” Si permise di replicare la donna con delicatezza.
“Ne sono sicuro, Tenente.” Rispose senza tentennamenti Roy. Le bastò guardarlo un attimo negl’occhi, per sapere che era davvero certo di averlo visto e per decidere di credergli.
“Che facciamo?” Gli chiese, risedendosi davanti a lui.
“Dobbiamo agire, o se ne libererà.” Affermò l’uomo con sicurezza.
“Meglio farlo di notte, altrimenti rischiamo d’insospettire o spaventare i vicini.” Suggerì lei, pratica ed efficiente come al solito; Roy concordò annuendo.
“Stanotte, però.” Soggiunse quindi. “Non possiamo aspettare oltre.”
In pochi minuti si accordarono per un piano, veloci e implacabili come loro solito. Quando si passava all’azione, loro due, funzionavano come ingranaggi ben oliati che s’incastravano alla perfezione. Quella notte stessa si sarebbe giocata l’ultima partita contro l’assassino della finestra di fronte.

*****

Verso mezzanotte, quando ormai i due palazzi gemelli erano immersi nell’oscurità e nel silenzio, Riza tornò a casa di Roy. Arrivò con dolocevita e pantaloni neri, pistola carica e pronta e due walky talky prelevati dall’ufficio. Presero gli ultimi accordi, poi la donna scese nel cortile; il colonnello, invece, rimase in osservazione col binocolo.
Il tenente Hawkeye, una volta arrivata nello spiazzo, si appiattì contro il muro dell’edificio, impugnando la sua nove millimetri e strisciò fino alla porta delle cantine. Appoggiata dietro alle scale antincendio, prese la radio.
“Colonnello, mi sente?” Domandò.
“Sì.” Rispose Roy, oltre il frusciare della statica.
“Propongo, da ora in avanti, il silenzio radio, sarò io a contattarla, appena avrò notizie.” Suggerì la donna; la risposta stentò ad arrivare.
“D’accordo.” Accettò infine il suo superiore, un po’ riluttante. “Resterò in ascolto… e non si preoccupi, terrò d’occhio la situazione.”
“Bene.” Replicò la donna. “Passo e chiudo.” E con questo concluse la conversazione.
Sempre reggendo la pistola, la ragazza si avvicinò all’entrata delle cantine. Era una porta con vetri satinati verdi. Provò ad aprirla, usando la mano libera e la maniglia cedette senza problemi; quella porta era aperta. Perplessa, Riza la superò.
Davanti a lei, dopo una piccola anticamera, c’era un corridoio abbastanza lungo, illuminato solo da una scarna lampadina posta a circa metà della distanza, che penzolava solitaria dal soffitto. Riza si mosse circospetta, tenendo la pistola alta, vicina al viso, con entrambe le mani, pronta a qualsiasi evenienza, anche se sembrava proprio non ci fosse anima viva. Ma i morti, si sa, non fanno molto rumore.
Le porte delle cantine, disposte sui due lati del corridoio, erano di metallo con una finestrella a griglia in alto. Su ogni porta c’era il numero corrispondente all’appartamento cui era assegnata. Il locale era asciutto e vagamente polveroso. In sottofondo si sentiva un rumore ronzante, attutito.
Riza, sempre attenta, percorse la distanza che la separava dalla cantina del 3c, quella del sospettato; ogni tanto provava ad aprire qualche porta, ma erano chiuse. Arrivata a destinazione, provò anche con quella, ma l’apertura era serrata da un grosso lucchetto. Cercò di guardare dentro, attraverso la finestrella, ma era buio e riuscì a scorgere solo qualche vecchio mobile abbandonato e polveroso. Niente fagotti o tappeti arrotolati che potessero insospettire.
Voltandosi, la ragazza, che rimaneva sempre appoggiata al muro, vide che in fondo al corridoio c’era un’altra luce. Si diresse lì, accorgendosi che il rumore aumentava. Sulla sinistra dell’ultima porta partiva una breve rampa di scale di legno grigio che sfumavano nell’oscurità.

Il tenente Hawkeye decise di scendere, quello sembrava un buon posto dove occultare un cadavere, anche se, registrò la sua mente pratica, metteva dietro di sé l’unica via di fuga, che poteva facilmente esserle preclusa da un eventuale nemico arrivato alle sue spalle. Ma, ormai, la soluzione del mistero era quello che le interessava.
Scese uno scalino alla volta, mentre il ronzio si faceva sempre più forte. Il legno scricchiolava leggermente, sotto i suoi passi leggeri, era vecchio e probabilmente anche un po’ ammuffito. Alla fine della rampa, Riza si ritrovò in una stanza più ampia e quadrata. In fondo troneggiava la grande caldaia che serviva tutto il palazzo, quella che procurava il rumore. La ragazza vide anche diversi scaffali polverosi pieni di cianfrusaglie che, probabilmente, nessuno usava da anni.
Abbassò gli occhi e vide che, sul pavimento ricoperto di polvere, c’erano i segni di un trascinamento recente. Questo la insospettì e, dopo essersi guardata alle spalle, decise di seguire la traccia. Il percorso la portò ad aggirare uno scaffale molto vicino alla caldaia. C’era uno strano odore. Un odore che non puoi confondere con qualcos’altro. Sapeva di essere sulla pista giusta.
Quando poi, alla scarsa luce della lampadina che aveva acceso in fondo alle scale, vide un grosso tappeto arrotolato, buttato malamente nell’angolo più nascosto della stanza, capì di aver raggiunto il suo obiettivo. Si abbassò presso il fagotto e, con prudenza, scostò un lembo del tappeto.
Riza si alzò di scatto, inorridita, mettendosi una mano sulla bocca. Dentro il macabro involucro c’era davvero il cadavere di una donna…
Dopo un attimo di comprensibile costernazione, il tenente riconquistò la sua calma e prese il walky talky per comunicare la scoperta al suo superiore.
“Colonnello…” Chiamò, incerta se la ricezione funzionasse.
“Sì?” Si sentì rispondere poco dopo.
“Ho trovat…” Ma non fece in tempo ad aggiungere altro, qualcosa la colpì violentemente alla nuca, la vista si annebbiò e perse i sensi.

“Tenente Hawkeye?” Fece il colonnello, quando la voce di lei scomparve nella statica. “Tenente, mi riceve?” Chiamò ancora, cominciando ad allarmarsi. “Riza, è in ascolto?!” Continuò, sempre più agitato. “Riza?!” Ma nessun segno di vita dall’altra parte. “Oh, merda!” Esclamò infine, alzandosi dalla poltrona più in fretta possibile, date le sue condizioni.
La prima cosa che fece fu prendere il telefono e svegliare Havoc, perché riunisse la squadra e andasse lì al più presto possibile. Fu abbastanza dura, data la resistenza del sonno del tenente, ma questa mossa serviva per coprirsi le spalle.
L’uomo, quindi, caricò la sua pistola e l’infilò sulla schiena, nell’elastico dei pantaloni; poi si mise i guanti e, armato di stampelle, corse (si fa per dire) in aiuto della sua bella.
Arrivato alla porta delle cantine, si rese conto di non poter impugnare la pistola continuando ad usare le stampelle, quindi ne gettò via una ed entrò.
Roy sentì quasi subito dei rumori, ma, costretto forzatamente a muoversi con lentezza, non poté correre subito in direzione delle scale, che scoprì dopo un faticoso percorso. Davanti a quegli stretti e angusti scalini di legno marcio, ringhiò un altro, rabbioso “Merda.”
Scese nel locale caldaia facendo più rumore del consigliato in una situazione simile, ma il maledetto gesso e la gruccia non erano proprio gli accessori più adatti ad un intervento d’emergenza. Era troppo preoccupato per Riza, poi, per essere prudente. E la gamba gli faceva già un gran male.

Arrivato in fondo alla rampa, ad ogni modo, non ebbe bisogno di cercare ulteriormente. Davanti a lui, proprio vicino alla caldaia, c’era un uomo piuttosto robusto che stava trascinando Riza svenuta per un braccio. Roy impugnò saldamente la pistola.
“Lasciala subito!” Ordinò duro; non vide il sorrisetto sarcastico e maligno dell’uomo, prima che si girasse. “Lasciala o di te ritroveranno solo un mucchietto di cenere!” Lo minacciò quindi.
Schwarten si girò sogghignando. “La stavo aspettando, Colonnello.” Disse.
Mustang si stupì. “Sai chi sono?”
“Non sei l’unico che osserva i vicini Flame Alchemist.” Rispose l’assassino. “A proposito, vuoi davvero usare i tuoi poteri in un locale caldaia, rischiando di far saltare un’intera palazzina piena di bambini che dormono e di ammazzare definitivamente questa bella biondina?”
Roy prese un lungo respiro. Quello era proprio un furbo, in pochi secondi aveva individuato i suoi punti deboli. Il colonnello guardò Riza, il suo viso esamine e sporco e sentì una fitta allo stomaco. Poi osservò brevemente la caldaia. Era vero, non poteva usare le sue prerogative da alchimista lì dentro, c’era il serio pericolo che esplodesse tutto.
“Ho sempre la pistola.” Dichiarò troppo sicuro, con il solito sorrisetto.
“Sì.” Replicò Schwarten. “Ma hai anche quello.” Aggiunse, spostando gli occhi in basso.
Roy seguì il suo sguardo, distraendosi un momento di troppo. L’avversario prese una spranga e lo colpì con forza alla gamba ingessata. Con un grido disumano, il colonnello si accasciò a terra, ma non fece in tempo a ritrovare la lucidità che l’altro gli saltò addosso, cominciando a colpirlo.
Il colonnello cercò di difendersi, ma il suo corpo era ancora scosso dal dolore e l’aggressore era più grosso di lui. Fu, però, in quel momento che Riza riprese conoscenza.
Quando vide Mustang a terra, con l’altro sopra che cercava di sbattergli la testa sul pavimento, non ci pensò due volte. “Roy! Lascialo, bastardo!” Gridò e saltò sulla schiena di Schwarten.
L’uomo urlò, cercando di scrollarsela di dosso, mentre il colonnello si dibatteva sotto di lui. L’unica cosa che l’assassino riuscì a fare fu rialzarsi e, lasciando per un attimo la presa su Roy, andare all’indietro con forza, sbattendo la ragazza contro uno degli scaffali. Si sollevò una nuvola di polvere, ma Schwarten aveva evidentemente sottovalutato la tenacia di Riza quando si trattava di proteggere Mustang, perché lei non mollò la presa. Riprovò due, tre volte, finché la ragazza, con un gridolino di dolore, cadde a terra. Lui si girò la prese di peso e la fece volare contro un altro scaffale. La paccottiglia polverosa cadde con un assordante rumore metallico, poi i piani vibrarono e la struttura cadde addosso alla donna.
“Riza!” Gridò Roy, cercando di sollevarsi, nonostante il dolore lancinante alla gamba. “Io ti ammazzo!” Aggiunse, ritrovando improvvisamente la forza.
Afferrò la prima cosa a portata di mano. Era la sua stampella. Si avventò su Schwarten e lo colpì con violenza finché quello non crollò lungo disteso, poi cadde in ginocchio; quindi, si trascinò fino a lui e salì a sedere sulla schiena, legandogli strettamente le mani con un pezzo di fil di ferro trovato sul ripiano accanto. Infine sospirò, asciugandosi la fronte.

Ma la sua impresa non era finita. Con una certa fatica strisciò fino allo scaffale caduto. Il cuore gli batteva in gola per la paura. Lo sforzo per spostare i resti crollati, per fortuna, fu meno del previsto, poiché la struttura era di metallo leggero.
La ragazza era chiaramente svenuta, con un braccio un po’ scomposto. Lui le pulì piano il viso, graffiato e ricoperto di polvere, come tutto il resto, quindi le sentì il polso, che per fortuna batteva quasi regolare.
“Tenente, mi risponda.” La chiamò, dandole un leggero colpetto sulla guancia. “Tenente Hawkeye!” Insisté, già più preoccupato. “Oddio, Riza, ti prego, non farmi scherzi!” Gemette, infatti, poco dopo. “Riza, rispondimi!” Implorò quindi, carezzandole e baciandole il viso. “Rispondi!” La pregò, prima di avvicinare il capo al suo e stringerla.
Poco dopo, la ragazza sussultò e si mosse convulsamente, per poi tossire. Roy si sollevò da lei, sempre, però, tenendole il viso tra le mani. La sua espressione s’illuminò.
“Oh, Riza, grazie!” Esclamò e, senza pensare, le baciò le labbra una volta e un’altra ancora, e ancora, troppo felice per riflettere su ciò che faceva.
“Ro… Roy…” Mormorò lei, con voce roca e stentata, cercando di fermarlo.
“Sì?” Fece subito lui, pronto a fare qualsiasi cosa, anche a scalare un monte con la gamba rotta, se glielo chiedeva lei.
“Credo di essermi rotta qualcosa…”
Lui, a quelle parole, non riuscì ad impedirsi di ridere. L’abbracciò piano, cercando di non farle male e affondò il viso nei suoi capelli, sciolti e un po’ sconvolti dalla lotta, ridendo sommessamente. Sentì solo dopo la mano di lei che gli carezzava la nuca.
Passarono pochi minuti e sentirono le voci di Havoc e compagni che, ormai troppo tardi, giungevano a soccorrere i due superiori.

*****

Qualche giorno dopo, nell’appartamento del colonnello Mustang, la sua squadra era riunita. Quasi tutti seduti, sulle sedie o il divano, sorseggiavano il caffè.
“Allora, com’è andata a finire la storia?” Domandò Breda, posando la sua tazza sul tavolo.
“Beh…” Esordì Riza. “…quando sono arrivati i risultati dell’indagine bancaria, abbiamo scoperto che la moglie di Schwarten aveva un consistente patrimonio e pare che lui se ne volesse liberare da tempo, così da prendere i soldi e pagare alcuni grossi debiti.” Spiegò.
“Era così, dunque.” Commentò Fuery, il tenente Hawkeye annuì.
“E per il resto?” Intervenne Havoc. “Lei come sta, Tenente?”
Riza guardò il suo braccio, costretto dentro il sostegno di stoffa blu. “Sto bene, la mia è soltanto una slogatura della spalla, dieci giorni di tutore e tornerò a posto.”
“E il Colonnello?” Azzardò Falman.
La donna sospirò, lanciando un’occhiata alla porta della camera. “Hanno dovuto rifargli il gesso, altri trenta giorni…” Tutti i presenti levarono rasseganti gli occhi al cielo.
Il colonnello, nel frattempo, spuntò dalla porta della stanza da letto, annunciandosi con i soliti rumori dovuti alle stampelle. Si rivolse subito a Riza.
“Tenente Hawkeye, ha per caso visto il mio binocolo?” Le domandò con la fronte aggrottata.
“No, mi dispiace, Signore, non ho proprio idea di dove sia finito…”
Sì, bene, aveva un enorme rispetto per lui, gli era grata di averle salvato la vita e, certo… lo amava, ma c’erano cose che proprio non poteva più permettergli. Quando Roy, perplesso, tornò a cercare in camera, lei sorrise con aria furba, congratulandosi per l’esistenza di quegli scantinati polverosi dove nessuno andava mai…  

FINE

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