TURNING AROUND

di thembra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Turning Around ***
Capitolo 2: *** Turning Around.2 ***
Capitolo 3: *** Turning Around.3 ***



Capitolo 1
*** Turning Around ***





L’assordante  continuo insopportabile e ininterrotto suono del clacson di quella vecchia mustang cominciava davvero a dargli sui nervi.
 
Si trovava lì, immobile a pochi passi dalla portiera aperta dell’autovettura, a fissare negli occhi quella giovane ragazza immobilizzata all’interno dell’abitacolo la cui guancia incastrata fra il ramo spezzato di un albero e il volante premeva proprio sul clacson.
Chissà che fastidio poveretta.
 
“La sai una cosa? Mi fai proprio schifo…”
 
Schiuse gli occhi in un espressione di puro rammarico scorgendo negli occhi di lei la rassegnazione di chi sa che deve morire.
Non erano lucidi gli scuri occhi di lei, né spaventati o rancorosi o agitati o…erano calmi e, rassegnati.
 
“Lui per voi lo avrebbe fatto! Non si sarebbe fermato di fronte ad un blocco degli affari interni non avrebbe chinato il capo come un burattino al quale hanno tranciato i fili non-”
“La sai una cosa? Vai a fare in culo haulin!”
 
Per tutti i quaranta minuti in cui aveva urlato e insultato l’intero dipartimento lei era stata zitta e immobile seduta alla sua scrivania quasi fosse stata un’estranea e non centrasse nulla in quel caso di sospetta corruzione, quasi come se si sentisse esentata dalla responsabilità di cercare di difendere il buon nome del suo ex collega e grande amico caduto in servizio.
Per tutta la durata della sua sfuriata, mentre gli altri agenti lo fulminavano con sguardi d’odio e rabbia dicendogli di tapparsi la fogna, lei era rimasta alla sua scrivania, dandogli le spalle, persa nel suo battere al computer qualche stronzata che sarebbe stata spacciata come rapporto e…
Dopo quaranta minuti non c’aveva più visto e le era andato vicino sputandole in faccia tutta la sua frustrazione, prendendo la tastiera sulla quale lei si ostinava a battere strappandola dal computer, sbattendogliela davanti e nemmeno i ripetuti richiami di Steve erano serviti a placare la sua ira.
Lei non aveva battuto ciglio, non aveva sussultato non aveva aperto bocca non…aveva fatto proprio niente.
 
“Avanti Danny calmati e andiamocene, non concluderemo mai niente qui…”
“NO che non mi calmo e NO che non ce ne andiamo, NON mi muovo di qui finchè qualcuno qui di VOI bravi e leali agenti mi darà un indizio su cui lavorare o la PROVA INCONFUTABILE che il mio ex-collega fosse corrotto, sono stato CHIARO?”
 
Il silenzio che ne era seguito era stato lo scoppio della già fin troppo corta miccia della pazienza di Danny.
 
“E tu diamine! Eri la sua partner per la miseria! Come puoi startene qui immobile come se niente fosse!? Non hai onore?!! Come fai a credere…come PUOI crede-”
“La sai una cosa? Vai a fare in culo haulin!”
 
Lo aveva spintonato colpendolo al petto, poi si era alzata e senza nemmeno guardarlo in faccia era uscita dal dipartimento.
 
Lui era rimasto pietrificato da quelle parole sibilate fra denti e labbra tremanti, era rimasto pietrificato dallo sguardo carico di mille emozioni che era racchiuso negli occhi di lei.
Era rimasto sconvolto nel vedere attorno al sopracciglio sinistro di lei un alone bluastro provocato da chissà che cosa che lei era sicura d’aver nascosto bene sotto il trucco.
 
Jake, il suo primo partner da che era arrivato ad Honolulu, gli aveva parlato della nuova partner una sera che per caso si erano incrociati all’Hilton Village Hotel mentre lui faceva serata col Five-O team e Jake partecipava ad una rimpatriata di famiglia. Le sue parole erano state d’elogio.
 
“È addirittura più matta di te Daniel! Beve come una spugna, mangia come un maiale senza mettere su nemmeno un grammo ed ha una senso dell’umorismo che farebbe ridere persino…persino uno zombie ecco… è unica e Lucas l’adora…”
 
Se era così fantastica, perché non faceva nulla per cercare di screditare quel porco che stava dando a Jake del corrotto? Come se l’era procurato quell’occhio blu?
 
Dieci minuti dopo, dopo svariati e inutili tentativi di avere qualche risposta, qualche pugno sbattuto contro i muri e qualche parolaccia cacciata qua e là s’era finalmente lasciato trascinare via da Steve.
 
Una volta in macchina, rimasero immobili alcuni secondi.
 
“L’hanno bevuta secondo te?”
“…si…siamo stati bravi.”
“Dov’è il posto?”
 
Sbuffando via tutta la sua frustrazione Danny si portò la mano alla tasca della camicia estraendo un pacchetto di  minerva. Quella ragazzina era giovane e inesperta ma aveva escogitato un ottimo sistema per dargli appuntamento senza farsi notare infilandogli in tasca quel pacchetto di cerini omaggio ed aveva recitato benissimo la sua parte spacciandosi per indifferente.
Chissà a cos’era dovuta tutta quella precauzione, possibile che non si fidasse dei suoi stessi colleghi? Cosa diavolo c’era sotto tutto quel casino?
Scuotendo la testa decise di lasciar perdere tutte quelle domande, tanto di li a poco lei gli avrebbe fornito tutte le risposte no?
 
“Olympus Village Resort è dalle parti…”
“So dov’è…”
 
Interrompendolo Steve mise in moto e prese la via più breve per il centro.
Peccato che a circa nove isolati dal loro punto d’incontro un incidente rallentò la loro corsa.
Allo svincolo per la tangenziale che portava al centro c’erano un paio di ambulanze e delle volanti della polizia parcheggiate vicino al guard-rail divelto e dalla scarpata spuntava il retro di una…
 
“Porca miseria Steve, è la sua macchina!”
 
In uno zero due furono sul posto a pochi passi dall’auto fracassata contro il tronco di un albero il cui ramo spezzato dopo aver spaccato il parabrezza teneva pressata la testa di lei contro il volante proprio sul pulsante di quell’odioso clacson che se non la smetteva di suonare l’avrebbe fatto impazzire e gli occhi di lei erano piantati nei suoi e Steve lo chiamava ma lui non lo sentiva perché quello sguardo era impossibile da abbandonare.
I paramedici non sapevano che fare, se la spostavano rischiavano che a causa di un gioco di leve il peso del ramo spaccato avrebbe potuto spezzarle il collo, d’altra parte era impossibile rimuovere prima il ramo perché questo s’era incastrato per bene dentro l’abitacolo e non c’erano motoseghe nelle volanti presenti o figurarsi nelle ambulanze quindi un paio di volontari erano andati alle abitazioni più vicine per chiederne mentre una specifica richiesta era stata fatta al dipartimento ma il problema alla fine era solo uno.
Non c’era tempo.
 
Le labbra di lei, lentamente si stavano muovendo ma la concitazione generale e quel fottuto clacson annullavano la sua flebile voce.
Esitando si avvicinò.
 
“talo…”
“Non parlare Tia, ti tireranno fuori, sta calma…”
 
Voltandosi di scattò sbraitò ai volontari di darsi una mossa a trovare la motosega ma poteva vedere lui che lei non riusciva a respirare bene, che il collo era comunque piegato in una brutta maniera e…
 
Cosa cazzo erano tutti quei lividi che s’intravedevano da sotto la maglietta? Ne aveva ovunque, dietro al collo, sulla schiena persino sul dorso della mano e dell’avambraccio sinistri che stavano distesi sul volante e dal momento che erano marcati e violacei non avevano nulla a che vedere con le botte dell’incidente perché dal colore si capiva benissimo che erano vecchi di giorni.
Intuendo la traiettoria del suo sguardo gli occhi di lei si riempirono di lacrime; la vide schiudere le labbra per respirare.
 
“Ho cer-cato di cahpireh…ho to…”
“Non parlare stai calma Tia…Steve!”
“Ci sono Danny, sono qui” Titubante il Navy seal mostrò un sorriso incoraggiante “…andrà tutto bene ragazzina”
 
Lei tossì una flebile risata macchiandosi il braccio bloccato al volante di chiazze di sangue.
 
“Qualcuno non vuo-le che J-Ja…Jake …l’altra notte fuo-ri casa mi-ah…tre uomini…uno polizia…sfregio go-lah…cough…”
“Tia basta…shhht ALLORA QUESTA FOTTUTISSIMA MOTOSEGA DOV’E’!!!?”
 
Abbassandosi Danny notò un graffio sotto al collo di lei, che fosse stato un poliziotto a farle questo? Ecco perché al dipartimento aveva mantenuto le distanze.
Lei fece per parlare ancora ma finalmente l’infernale arnese era stato trovato e sia lui che Steve furono fatti allontanare.
Pochi attimi dopo stavano accompagnando il lettino sul quale era adagiata verso l’ambulanza, un medico li aveva rassicurati dicendo loro che l’incidente sembrava peggiore di quanto non fosse in realtà e che le cose sarebbero potute precipitare solamente qualora il ramo avesse ceduto.
 
“Grazie a Dio! Grazie dottore.”
 
Si allontanarono quel poco che bastava per permettere ai medici di intubarla e issarla a bordo dell’ambulanza decidendo il da farsi.
 
“Non ci capisco niente Steve.”
“Va con lei, dirò a Kono di venire in ospedale e a Chin di raggiungermi…”
“Ma”
“Niente ma, se c’è invischiato qualche poliziotto la ragazza rischia la vita, ci faremo dire tutto quello che sa non appena starà meglio, perciò fino a che Kono non ti raggiungerà rimanile accanto…”
 
In quell’istante la solida presa di una mano strinse quella di Danny.
 
“Va tutto bene Tia, verrò con te nessuno ti farà del male…”
“...ia aacchi-nah…busta ross-ah…”
“Nella tua macchina c’è una busta rossa, capito…”
“La prendo io Danny…andate!”
 
Si separarono e Danny salì sull’autoambulanza senza mai lasciare la mano di lei che a circa metà tragitto verso l’ospedale vinta dalla stanchezza e dal dolore s’era lasciata andare al sonno.
L’avevano da poco portata in sala operatoria quando un leggero tocco sulla spalla lo distrasse.
 
“Come va Danny?”
“Kono eccoti…”
 
La ragazza gli sorrise attendendo informazioni.
 
“In questo momento è in sala operatoria, sembra abbia un’emorragia interna e pare che una delle tre costole rotte le abbia perforato un polmone che…Cristo santo Kono…neanche un’ora fa le ho detto che…”
“Va tutto bene Danny, è una tipa tosta…”
 
L’abbraccio della sua collega servì a consolarlo un po’ e sfinito si lasciò stringere dalle esili ma forti braccia della surfista.
 
“Steve mi ha chiamata dicendomi d’aver trovato la busta…”
“Cosa c’è dentro?”
 
Allontanandosi il biondo si sedette sui divanetti della sala d’attesa. Ma com’è che nessuno dei suoi famigliari era ancora venuto? Non era stata avvisata la sua famiglia che…
 
“Conti bancari su casse svizzere, un paio di transazioni sospette a sei zeri ma ancora nessun nome, Chin sta cercando di farsi dare il nome dell’intestatario del conto dalla banca ma questa gioca sul fatto della privacy e la tira per le lunghe…”
“Se non collaborano giuro che vado fina a lì e gli faccio saltare il culo a quei bastardi succhia soldi mangia formaggio…”
“Più o meno le parole che ha detto Steve, voi due vi frequentate troppo e a questo punto mi chiedo chi sia a influenzare chi…”
 
La voce allegra di Kono riuscì a farlo sorridere.
 
“È solo questione di minuti, vedra-”
“Scusate…?”
 
L’arrivo di un’infermiera interruppe nuovamente la loro conversazione.
 
“Si?”
“L’operazione è andata bene e siamo riusciti a tamponare l’emorragia, abbiamo salvato anche il polmone e la spina dorsale non ha ricevuto nessun danno irreversibile…”
“Scusi ma…la sua famiglia?”
“Oh, non abbiamo nessuno in lista da chiamare detective Williams… ”
“Come?”
“Significa che non ha nessuno a cui appoggiarsi, probabilmente sono fuori dallo stato o addirittura che sia sola al mondo…mi, dispiace molto.”
“Lei non ne ha colpa, grazie delle belle notizie piuttosto.”
“Dovere, ora sta dormendo ma se volete potete entrare…arrivederci.”
 
Rimasero a vegliarla per circa mezz’ora finchè vedendo che non riprendeva conoscenza Kono decise di mandarlo avanti dicendo che sarebbe rimasta lei com’era stato deciso in partenza da Steve.
 
“Sei sicura? Voglio dire…”
“Vai tranquillo, anche se non ci frequentavamo io e lei eravamo compagne di corso all’accademia, vedere un viso noto le farà bene, fammi sapere come procedono le cose però, ok?”
“Grazie Kono…mahalo!”
 
L’ennesimo sorriso della mora fu il loro saluto.
 
…………..
 
 
Non erano molte al mondo le cose capaci di stupirlo ma questa…questa era una di quelle.
I file contenuti nella busta rossa rinvenuta nell’auto della poverina finita in ospedale erano precisi e ordinati oltre che numerosi, persino il cd contenente le tracce dei vari spostamenti di denaro ed il bug usato per infiltrarsi nel database del sistema bancario nazionale erano stati studiati ad hoc.
Chin mentre scorreva le cartelle contenute nel cd, aprendo quella del bug inizialmente era andato in panico temendo che il virus avesse potuto intaccare l’intero database della Five-O, invece no, il programma si era arrestato da solo non appena aveva capito che il sistema non aveva nulla a che fare con quello per cui era stato creato.
 
“Notevole Capo, non so chi l’abbia concepito ma questo qualcuno ha pensato bene di bloccare le potenzialità del bug in modo da poterlo utilizzare solo per inserirsi nel sistema e copiare i dati, se questo dispositivo fosse finito nelle mani sbagliate e non avesse avuto questi limiti avremmo potuto passare bei guai…”
“Dici che quella Tia…”
“No, Kono mi ha passato il suo dossier prima di andare in ospedale e sullo schermo c’è una finestra aperta sui suoi progressi al dipartimento..”
 
Mentre parlava il tenente Kelly fece scivolare dal computer incorporato al tavolo fino allo schermo a parete le immagini relative all’agente Tia Lakua mentre distrattamente sfogliava la teca gialla contenente i file cartacei della donna.
 
“Qui dice che all’accademia benché fosse sopra la media in tutte le discipline non eccelleva in niente, al poligono era ottava assoluta, in criminologia tecniche di autodifesa, riflessi e capacità mentale rientrava comunque nei primi dieci… in informatica e strumenti tecnologici era nella media.”
“Missioni?”
“Qui non dice niente e la cosa mi pare strana. Solitamente almeno un paio di volte al mese tutti gli agenti hanno il turno di ronda, non è riportata nessuna segnalazione nessuna multa, nessun intervento…niente…”
“E non abbiamo nessuno a cui chiedere il motivo…”
“Il dipartimento?”
“Off limits Chin, c’è il rischio che qualcuno sia coinvolto e sono quasi certo che l’incidente capitato a Tia questa mattina sia la prova concreta che le sue preoccupazioni erano esatte…”
“…allora che si fa? Kono non sa nient’altro, mi ha detto che all’accademia se ne stava sempre sulle sue e non dava molta confidenza…”
“L’unica soluzione è parlare direttamente con lei, dovremmo aspettare che riprenda conoscenza però”
“Non l’ha ancora fatto?”
“No, ho chiesto a Kono di avvisarmi semmai…”
“Novità?”
 
Proprio in quell’istante si udì il tonfo delle porte di vetro che si aprivano e chiudevano alle spalle di Danny.
 
“Niente Danny, stiamo cercando di capire come mai Tia fosse sempre al dipartimento ma non vogliamo rischiare di far sapere agli altri che stiamo indagando, la metteremo ancora in pericolo…”
“…”
“Qui dice che alle Hawaii non ha nessun parente a cui potremmo eventualmente chiedere notizie”
“Questo perché probabilmente non ha più nessuno, all’ospedale mi hanno detto che non c’è nemmeno un nome nella lista da chiamare in caso di emergenza.”
“Abbiamo almeno l’indirizzo di casa sua?”
 
Steve stava incominciando ad esasperarsi, in quella storia non c’era neanche un appiglio.
Chin eseguì la richiesta inserendo la ricerca d’indirizzo, la risposta del computer fu sconcertante.
 
“Non è riportato è…stato cancellato?!”
“Come?”
“Sarà stata lei, se aveva il sospetto che ci fosse un infiltrato nel dipartimento praticamente chiunque al distretto di polizia poteva essere il nemico, ovvio che avesse cancellato l’indirizzo della sua abitazione no? Lo farei anch’io se mi trovassi alle strette e…ma certo! Questa era la prima tattica che Jake adottava quando andava sotto copertura.”
“Vuoi dire che…”
“Voglio dire che qualunque cosa quei due folli stessero facendo la stavano facendo insieme e quando le cose si sono messe male e Jake è stato fatto fuori a Tia non è rimasto che continuare da sola, quello che mi chiedo però è cosa centri l’indagine per corruzione che pende su Jake..tutto questo non ha senso!”
“Un momento Danny, …Jake non aveva famiglia?”
“Sicuro, Jenna! Jake parlava spesso dei suoi lavori con lei per non farla preoccupare, se c’è qualcuno che può darci qualche informazione quella è senza dubbio lei!”
“Ma c’è un problema Danny, e se anche il suo indirizzo fosse occultato?”
“Ero il suo partner Steve, Jenna sapeva che sono divorziato e mi invitava a cena da loro praticamente tutti i finesettimana.”
“Che aspettiamo allora?”
 
Con un pizzico di ottimismo in più i tre si diressero alle macchine, magari qualcosa incominciava a sbloccarsi.
Magari. 

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Capitolo 2
*** Turning Around.2 ***








Il tardo sole serale non era che una scia dorata che evidenziava i contorni dei vulcani dietro ai quali stava tramontando accentuando il contrasto fra il ricco verde degli alberi e quello più chiaro dei prati o il nero della roccia lavica e il cielo. Le nuvole in cielo sembravano bianco gregge di pecore in marcia verso l’ovile dell’orizzonte.
 
Questo era il panorama che si vedeva dall’ampia vetrata delle porte del terrazzo della semplice villetta a schiera della famiglia di Jake Park.
Seduta al tavolo del salotto il sorriso entusiasta della vedova Park dovuto alla gradita visita di Daniel Williams, si spense velocemente nell’udire la notizia che l’ex partner di suo marito le aveva portato.
 
“Come è in ospedale, ma sta bene?!?”
“Si non preoccuparti Jenna, siamo qui perché…”
“Oddio è tutta colpa mia!!! Santo cielo avrei dovuto dirle di smetterla invece di…”
 
Il pianto di disperato rammarico della donna si sfogò sulla spalla del figlio adolescente che la sorreggeva consolandola con mille baci sulle tempie e carezze sulla schiena.
 
“Di che parli Jen? Che vuoi dire?”
 
Vedendo che il pianto della madre non accennava a diminuire Lucas, l’uomo di casa ora, prese parola rispondendo in vece della madre.
 
“Dopo che papà fu ucciso Tia venne a casa chiedendo di poter entrare nello studio di papà. La vidi prendere una scatola di latta, tipo quelle dei biscotti, ed uscire. Dopo aver salutato la mamma se ne andò.”
“Che c’era dentro quella scatola?”
“Non lo so, tre giorni dopo ritornò e ci chiese se per caso era venuto qualcuno a fare delle domande o se avevamo notato visi nuovi nel quartiere, se avevamo l’impressione d’essere pedinati o robe così…mamma rispose di no ma si spaventò e si fece dire il motivo di quelle strane domande.”
“Si…Tia disse che non dovevamo preoccuparci ma…notai che quel giorno non camminava bene e…insomma sigh..Jake la prendeva sempre in giro perché si vestiva in maniera troppo provocante secondo lui…jeans corti e magliette niente si sconcio ma, Danny tu conoscevi Jake no?”
“Si, era uno piuttosto all’antica, ti mettevi le maniche corte e per lui eri nudo…”
 
Quel ricordo strappò ad entrambi un piccolo sorriso, il buon Jake non era vecchio, ma all’antica.
 
“Quel giorno invece, e quelli successivi indossava sempre abiti a maniche lunghe e pantaloni, e…un giorno lo vidi…”
“Che cosa?”
“Fu la quarta volta che venne a farci visita, Jake era morto da un paio di settimane, stavamo chiacchierando del tempo mi pare, lei si scusò per andare in bagno e pochi attimi dopo mi ricordai che avevo lasciato accesa la piastra per i capelli in camera da letto, corsi per andare a staccarla e passando davanti alla porta del bagno notai che era socchiusa, vidi l’interno per caso, lei era di schiena ma l’angolazione dello specchio mi mostrò il livido che le bollava l’avambraccio, lungo bluastro, verde al centro….feci finta di niente ma…”
“Io no…”
 
Lucas interruppe sua madre lasciando che si abbassasse a sedere sul divanetto in pelle accanto a loro.
 
“Glielo chiesi.”
“Cosa?”
“Come facesse ad avere tutte quelle ferite, chi era che la picchiava cosa diavolo le stava succedendo, lei se ne andò e da allora non è più venuta.”
“Da quanto tempo non la vedete?”
“Sei giorni circa.”
 
Danny si portò una mano alla tempia schiudendo gli occhi facendo mente locale.
 
 “Ha pestato la coda a qualcuno…”
“Questo qualcuno ha cercato di intimidirla ma lei non ha ceduto perciò sono passati alle maniere forti..”
 
Chin aveva centrato il nocciolo della questione.
 
“Il problema quindi ora è scoprire cosa abbia scoperto.”
“Ma se non sappiamo dove vive né cos’abbia preso dallo studio di Jake non abbiamo alcun elemento su cui lavorare…”
“Io lo so dove abita, forse…”
“Lo sai Lucas?”
“Si…l’anno scorso veniva a prendermi a lezione di judo se papà non poteva, mi ha portato nell’entroterra un paio di volte…un posto isolato ma carino…”
“Sapresti arrivarci?”
“No, abbiamo fatto quello stupido gioco dei sensi…”
 
Steve si fece attento.
 
“Gioco dei sensi?”
“Si, quando andavamo in gita con papà spesso veniva anche lei…e una volta saliti in macchina facevamo questo gioco, per capire la mia capacità di orientamento, insomma mi bendavano e chiacchieravano di tutto e di niente per tutto il percorso, poi quando arrivavamo mi chiedevano se sapevo dove ci trovavamo, se indovinavo mi guadagnavo il dolce altrimenti lezione extra di karate…”
“E come te la cavavi a questo gioco?”
“Ho ottenuto la cintura nera con due anni di anticipo rispetto ai miei compagni!”
 
Faceva schifo insomma, sbuffando Steve guardò Danny che aveva dipinta in volto un’espressione simile alla propria, quella visita anziché dare risposta ai loro quesiti aveva svelato nuovi misteri.
 
“Però mi ricordo che dal terrazzo della casetta si vedeva benissimo un faro …”
“Ce ne sono a decine sull’isola…”
“Si, ma aveva il tetto rosso.”
“Il punto di Makapuu! Sulla costa meridionale quindi, Chin vai al quartier generale e cerca di trovare tutto quello che puoi su questo posto, io e Daniel ci dirigiamo lì, appena puoi dacci le coordinate giuste.”
“Ok capo…”
“Bene, andiamo, signora Park, Lucas, grazie mille per il vostro aiuto…”
“Di niente, spero solo che le indicazioni di mio figlio siano giuste e…vi prego aiutate quella ragazzina, è tanto cara e Jake l’amava come una figlia…”
“Non preoccuparti Jenna, ciao Lucas, grazie mille, ci vediamo presto!”
“Ciao Danny.”
 

 
 
Che pace.
Sospirando Kono scandagliò attentamente per l’ennesima volta i monitor della stanza d’ospedale accertandosi del fatto che fosse tutto in ordine.
Il primario del reparto se n’era appena andato dopo averla rassicurata del fatto che era normale che dovesse ancora riprendere conoscenza dal momento che probabilmente erano giorni che la poverina non dormiva e che lo stress del post incidente doveva averla lasciata esausta.
Le aveva cambiato personalmente la flebo e cambiato la bocchetta nasale del respiratore visto che quella precedente sembrava darle noia.
 
“È una ragazza molto sana e forte in un paio di settimane starà benone…”
 
Le parole del dottore le avevano tolto un peso e immediatamente aveva scritto un messaggio a Danny che immediatamente le aveva risposto dicendole dei loro piccoli progressi scusandosi nuovamente per averla mollata all’ospedale.
 
Chin l’aveva chiamata poco dopo per avvertirla che sarebbe venuto a darle il cambio, lei aveva rifiutato la cortesia dicendogli di andare a casa a riposare visto che aveva attraversato praticamente tutta l’isola mentre lei in tutto il giorno era rimasta ferma e tranquilla e a parte un po’ di intorpidimento alle gambe dovuto al star sempre seduta  non era per niente stanca e poteva sopportare benissimo un turno “all day” come lo chiamavano loro.
Dieci minuti più tardi le fu recapitata nella stanza dell’ospedale una busta take away del suo sushi bar preferito.
 
Erano da poco passate le due di notte quando il suo telefono, vibrando, spezzò l’armonia della nottata.
Immediatamente lei, che stava contemplando il cielo notturno fu in piedi sull’uscio della porta per rispondere.
 
“Novità Kono?”
“Ciao Danny, no, dorme ancora ma il dottore ha detto che è stabile …voi avete scoperto qualcosa?”
“Qualcosa è dir poco…senti, per telefono non posso dire niente ci vediamo fra poco…”
 
La mora rimase a fissare il suo palmare confusa dalla  poca loquacità del collega, che avesse avuto così tante cose da dirle da non riuscire a  farlo per telefono?
Scuotendo la testa sbottò una risata riappoggiando il cellulare sul comodino ai piedi del letto.
Le scappò uno sbadiglio e fu presa da una voglia improvvisa di caffè. In fondo al corridoio aveva visto un distributore di bevande ma era troppo lontano e lei non voleva correre alcun rischio, se fosse passata un infermiera le avrebbe chiesto di portargliene uno altrimenti avrebbe resistito fino all’arrivo di Steve e Danny.
 
“Ah…nhn…”
 
Gl’improvvisi lamenti di Tia cancellarono ogni pensiero di caffè.
 
“Tia?”
 
Improvvisamente il corpo di lei incominciò a sussultare, gli occhi chiusi del viso mostravano agitazione, le labbra serrate paura o rabbia ed i pugni stretti convulsamente attorno alle lenzuola sembravano dovessero dilaniare la stoffa da un momento all’altro tanta era la forza con cui stringeva.
 
Probabilmente stava avendo un incubo, significava che stava per svegliarsi e tornare lucida.
Meglio così.
 
Senza perderla di vista Kono si sedette a vegliarla. Fra le sue mani quella pallida e graffiata di Tia.
 
 

 
 
 
“…no?”
“…Hey…come ti senti?”
 
Sorridendo Kono scosse leggermente la mano di Tia, gli occhi scuri velati ancora dal sonno brillavano dei primi raggi di luce che l’alba nascente rifletteva dalle finestre.
 
“…be-bene…”
“Sono felice, Danny sarà qui fra poco. Probabilmente vorrà farti alcune domande…”
“Immagino…ohi…il collo…”
“Vuoi un altro cuscino?”
“Non ne vo-glio proprio, potresti togliere anche quello che ho?”
“Volentieri…”
 
Sorridendo l’agente si sporse verso la paziente e con dolcezza sfilò il cuscino da sotto la nuca. Gli si strinsero occhi e cuore nel vedere gli sfregi, probabilmente provocati dalle unghie di qualche bastardo, che le rigavano la pelle sotto all’attaccatura dei capelli.
 
“Grazie…”
 
Kono scosse la testa lanciando il cuscino sull’altro letto della stanza prima di tornare a guardarla.
 
“Quant’ho dormito?”
“Praticamente tutto il giorno e la notte da che ti hanno portata qui ieri mattina…”
“…”
“Era da molto?”
“Nh?”
“Che non dormivi intendo…”
“Oh, un paio di giorni, credo…”
“I medici dicono che starai bene…”
“Grazie a Daniel…alla Five-O, non fosse stato per voi a quest’ora probabilmente sarei…”
 
Istintivamente Kono aumentò la presa sul palmo della mano di lei per farla tacere.
 
“Non pensarci ora, piuttosto dimmi, come mai non hai cercato di metterti in contatto con noi prima?”
“Era pericolo-so…lui sa, mi teneva d’occhio, ho dovuto…fingere che non me ne importasse niente, continuare la farsa finchè…”
“Finchè?”
“Ha capito e…” la voce della poliziotta ferita si incrinò d’improvviso, probabilmente per quello che stava per dire, per quello che aveva passato e l’odio e la rabbia che provava. Aveva una bella voce anche quando piangeva notò Kono, una voce forte e pacata che per nulla perdeva la sua melodia neanche quando i singhiozzi la spezzavano. “… li ha mandati da me…”
“Chi?”
 
Chiuse gli occhi lei come a voler cancellare da davanti agli occhi immagini troppo brutte e spaventose. Una singola lacrima le sfuggì dalle palpebre e Kono notò due cose fra tutto.
La forza con cui Tia si stava mordendo il labbro per non cedere e dar voce al pianto e la maniera convulsiva con cui inconsciamente aveva serrato le gambe.
 
Dentro di lei crebbe un nodo d’odio profondo.
 
Due colpi alla porta precedettero una voce.
 
“Heylà si può?!”
 
Scattando come una molla Kono si girò in tempo per vedere entrare Danny e Steve, dietro di lei Tia girò il viso verso la finestra asciugandosi le guance rigate di sale.
 
“È sveglia?” Danny per precauzione abbassò la voce, Kono tornò a guardare la presunta dormiente, esitando sulla risposta.
“…”
“…si, sono sveglia, di cosa volevate parlarmi?”
 
Lentamente si voltò e con non poca fatica si mise a sedere, prima di puntare lo sguardo su Danny però, rivolse una debole occhiata a Kono, supplicandola di…l’agente della Five-O sorridendo annuì.
 
“Vado a prendermi un caffè…”
“Ti accompagno…”
 
Steve la seguì fino infondo al corridoio chiudendo alle sue spalle la porta della stanzetta contenente i vari distributori di bevande e snack.
 
“Si è svegliata da molto?”
 
Mentre premeva il pulsante del caffè nero senza zucchero, Steve spezzò il silenzio, dopo aver estratto il bicchiere Kono glielo porse  rispondendo tranquilla.
 
“Poco prima dell’alba e a parte un paio di incubi ha dormito tranquilla tutto il tempo…”
“Siamo stati in un posto ieri sera, probabilmente casa sua o il suo rifugio.”
“Rifugio?”
“Io e Danny crediamo che l’agente Tia Lakua e Jake Park fossero sotto copertura da mesi oramai.”
 
Mentre stava per pigiare il pulsante della sua bevanda Kono si bloccò improvvisamente, realizzando una cosa importante.
 
“Mesi? È impossibile capo, siamo su di un isola, i poliziotti qui li conoscono tutti, lavorare in incognito per così tanto tempo è impensabile alle Hawaii…”
“Infatti…ma se ci pensi solo nei giri neri come la prostituzione il gioco d’azzardo o robe del genere…”
“Dove vuoi arrivare?”
“Metti caso che fossero giunte delle segnalazioni di transazioni sospette dalla Banca di Honolulu e che Jake e Tia fossero stati messi ad indagare sul caso…”
“Nell’alta finanza guardano il tuo conto in banca, non la faccia…”
 
Steve annuì finendo di bere il suo caffè. Dopo alcuni secondi il viso di Kono s’illuminò.
 
“Pensate che?”
“Esatto, quei due devono aver scoperto qualcosa di grosso e, a vedere come sono finite le cose, molto pericoloso. I dati che Tia portava con sé ne sono la prova.”
“Quindi è partito tutto da una semplice segnalazione?”
“Si, come ben sai nelle banche vige la legge della “coerenza” come la chiamiamo in gergo noi, ovvero, il conto in banca di una persona deve essere in linea col suo stile di vita…”
“La storia del poveretto che guadagnava poco più di 5000 dollari l’anno ma poteva permettersi Ferrari e Champagne ha dato scalpore eh?”
 
Sbuffando un sorriso Kono chiamò in causa l’esempio più eclatante del motivo per cui la legge della “coerenza” era stata promulgata, Steve nuovamente annuì facendosi poi serio di colpo.
 
“Siamo riusciti a risalire ad alcuni intestatari dei conti, una decina in tutto, tutti prestanome.”
“A chi si collegano?”
“…”
“Steve?”
“…Wo-Fat…”
 
Il sangue le si gelò nelle vene.
Come aveva fatto a sopravvivere da sola se il nemico era Wo-Fat?
Il suo sguardo sembrava gridare quella domanda e Steve abbassando gli occhi comprese la preoccupazione della sua sottoposta.
 
“Non so come si mostrasse all’accademia ma quella ragazzina è molto di più di quel che vuol far vedere, dobbiamo capire chi sia in verità, cosa realmente sappia e come abbia fatto ad avvicinarsi così tanto a Wo-Fat…”
“Farò delle ricerche allora.”
“Bene, tienimi informato Kono.”
 
Annuendo la poliziotta si avviò.
 
“Ciao.”
“Ciao.”
 
 
….
 
 
“Wo-Fat? E chi diavolo sarebbe?”
“Come chi diavolo sarebbe? Il cattivo di turno nel quale ti sei imbattuta, il mostro nero un criminale di fama internazionale un…”
“…niel…”
“…un…”
“Danny…”
“Eh?”
“Falla finita.”
“Ok ma tu spiegami come diavolo avete fatto tu e Jake a ”
“Io non lo so va bene?”
“Non lo sai, ottimo! L’hai incontrato per caso al caffè di fronte al dipartimento mentre eravate in fila per comperare le stesse ciambelle e per ingannare l’attesa vi siete messi a parlare del tempo? No perché sennò non esiste proprio che quel dannato bastardo si faccia avvicinare da qualcuno con un distintivo, diamine!”
 
Sbuffando esasperata roteò gli occhi commettendo l’errore di rilassare le spalle che, di rimando distesero il collo ferito scaricandole una fitta di dolore alla cervicale.
 
Il sibilo che le uscì dai denti fece smettere per un istante lo sproloquio di Danny.
 
“Tutto bene?”
“…si, è solo che…ehh ehh, Jake parlava spesso di te e ti ha descritto così bene che credevo d’esser preparata a sorbirmi una delle tue arringhe da poliziotto esaurito ma a quanto pare…ohi, non è così…”
“Ti ricordo che le mie parole non sono da esaurito, sono preoccupato Tia,”
“Non mi conosci nemmeno.”
“Voglio aiutarti”
“Non sai come fare.”
“Dimmelo tu.”
“…voglio dormire…”
“Tia…”
“…”
 
Scivolò dentro al letto coprendosi bene persino la testa, un paio di volte gemette per qualche movimento troppo azzardato e si rifiutò ostinatamente di dargli ulteriore attenzione.
In pochi secondi si addormentò per davvero.
 
Sbuffando Danny si alzò in piedi dirigendosi alla finestra. Ma chi glielo faceva fare?
Fu in quell’istante che Steve rientrò dalla sua pausa caffè e notò che Kono non c’era, probabilmente l’aveva mandata a casa o a investigare su qualche altro aspetto, chissà cosa frullava dentro quella testa sotto sale.
 
“L’hai stesa a forza di scemenze?”
“Ah-hah, simpatico…semplicemente la signorina qui non vuol collaborare.”
“Ha paura Danny, è normale.”
“Un poliziotto non può aver paura, non quando è al sicuro diamine!”
“Danny!”
“Che c’è?”
“Troveremo chi le ha fatto del male, troveremo chi ha ucciso il tuo ex collega e soprattutto…”
“Troveremo Wo-Fat lo so…il fatto è che quando centra lui  inevitabilmente poi qualcuno a cui tengo fa una brutta fine.”
 
Danny non se ne accorse perché a furia di parlare si era allontanato dalla finestra e gesticolando era arrivato di fronte a Steve, dando le spalle al letto, ma non appena ebbe pronunciato quelle parole, dietro di lui il corpo della malconcia Tia ebbe un sussulto.
Era sveglia.
Fingeva.
Era brava.
Ma non abbastanza, perché...
Quando la paura ti si annidava nel cuore potevi essere chiunque e diventare nessuno in un baleno.
 
“Non succederà ancora.”
“Come fai a dirlo?”
“…io non ho paura Danny, non averne.”
 
Quelle poche parole riuscirono a zittirlo. Scostando lo sguardo il biondo abbassò mani e viso sospirando.
 
“Va a casa, rimango io, ci vediamo dopo.”
 
Senza nemmeno salutare, Danny uscì dalla stanza.
 
Sedendosi sulla sedia che era stata di Kono prima e di Danny poi Steve attese dieci minuti guardandosi intorno e comportandosi come se lei stesse veramente dormendo.
 
“Puoi smettere di fingere…lo so che sei sveglia.”
“…”
 
Il corpo disteso di lei gli dava le spalle, la coperta le copriva ancora la testa.
 
“Perché non ti fidi di noi?”
“Non vi conosco.”
“Danny lo conosci però…”
“…Danny ha una figlia. E se…”
 
Respirò forte e Steve notò cinque candide dita sbucare da oltre il bordo della coperta, pochi attimi ed i loro occhi si incrociarono.
Per lui fu come finire in una dimensione di vuoto e silenzio.
 
“Lo sapevo che…dovevo andarmene, dovevo far finta di niente per davvero dove-”
 
In quel momento Steve ebbe la certezza del fatto che Daniel fosse stato chiamato da lei, anche se per vie traverse, ad indagare sul caso di Jake che inevitabilmente aveva ricondotto il tutto a lei.
 
“Saresti morta se non fossi venuta da noi.”
“Non si muore due volte agente…?”
 
Quella battuta lo lasciò senza parole ma le rispose comunque, presentandosi ufficialmente.
 
“Steve…”
“Steve come?”
“Mcgarret.”
 
Gli occhi di lei non tradirono la minima emozione ma lui seppe che questa volta era stato lui a stupirla. 

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Capitolo 3
*** Turning Around.3 ***





“Siete in molti?”
“Prego?”
“Di Mcgarret alle Hawaii quanti ce ne sono?”
“Sono rimasto solo io, e mia sorella ma vive a Los Angeles.”
“John Mcgarret?”
“Era mio padre.”
“L’ho conosciuto, sei anni fa mi ha aiutata.”
“Davvero?”
“Nhm…mi conosceva appena eppure…”
“Si è fidato.”
 
Accennò un sorriso annuendo; poi, come se si fosse resa conto d’aver parlato troppo il suo viso nuovamente si rabbuiò.
 
“Sei una haulin vero?”
“Non ci vuole un detective per capirlo…”
“Da quanto sei qui?”
“…sei anni.”
“Da dove vieni?”
“Ho fame.”
“…”
 
Quel deciso cambio di discorso era stato talmente palese che Steve non seppe spiegarsi se la tizia stava cercando di cambiare argomento o fosse realmente affama-
 
Growlow
 
Il rumore ovattato dalle coperte dello stomaco di lei rispose per tempo.
 
“Chiamo il primario…”
“Nhm”
 
Annuì guardandolo uscire dalla porta.
Ora.
 

 
 
“È strano…”
“Cosa è strano cugina?”
 
Alzandosi dal divano sul quale si era spaparanzata dopo la frugale cena in compagnia di Chin, Kono gli mostrò il palmare ingrandendo una finestra in particolare.
L’immagine dell’agente Tia Lakua in alto a sinistra indicava di chi fosse il dossier aperto.
 
“Steve mi ha detto di fare alcune ricerche su di lei e qui salta fuori che oltre i tre anni in cui ha frequentato l’accademia non c’è nulla…”
“Che vuoi dire?”
“Nessun indirizzo o data di nascita o che so una multa o qualche referto medico d’ospedale, voglio dire, si sarà fatta pur visitare dopo che…??”
 
Bloccandosi dal parlare Kono lasciò che il suo intuito collegasse automaticamente tutti i tasselli di quell’intricato puzzle che era il caso corrente.
Uno ad uno, come richiamati da una forza magnetica gli indizi e le parole, le informazioni e persino i gesti e le abitudini della donna assunsero un significato.
 
“Kono?” Chin le si avvicinò posando sul tavolino da tè due tazzine di caffè fumanti.
 
“È una vanished!!
 
Tutto si faceva più chiaro adesso.
Senza badare al caffè che invitante aspettava d’esser sorseggiato chiamò immediatamente Steve.
 
“Kono?”
“È una vanished Steve!”
“Lo vedo...”
“No no tu non capisci, è un fantasma, un agente che non esiste, una protetta una…”
“Ho capito Kono.”
 
Senza aggiungere altro Steve riattaccò sbuffando pesantemente dopo essersi passato una mano sugli occhi stanchi e adombrati.
 
Accanto a lui il primario, allibito.
Di fronte, un letto vuoto.
 
 
…….
 
 
“Ok ok mi spieghi come diavolo ha fatto a sfuggirti? È ferita si regge in piedi per miracolo ha due vertebre del collo scheggiate un polmone mezzo collassato e perla miseria Steve, probabilmente avrà indosso ancora la tunica dell’ospedale, quella che ti lascia chiappe al vento quindi ti prego, illuminami e dimmi Come. Diavolo. Ha  fatto. A scapparti. Da sotto. Al naso!!”
 
Già, se lo chiedeva pure lui. Scusandosi nuovamente con il collega riattaccò il telefono decidendo di mettersi subito all’opera per trovare la fuggiasca.
Quella stanza era ad settimo piano di un ospedale costruito in un grattacielo, non c’era modo di andarsene dalla finestra e la porta dava direttamente sul corridoio il cui unico sbocco era la tromba delle scale e degli ascensori che si trovavano nell’atrio esterno oltre la saletta ristoro e i presidio delle infermiere e del primario.
Per quei due minuti che aveva impiegato il primario a compilare la cartella clinica di quel poveretto deceduto alla 708 nessuno era entrato o uscito dal reparto di…
 
Sbottando una risata risalì le due rampe di scale che nel frattempo aveva percorso ritornando al punto di partenza, lo sguardo perplesso del primario lo fece annuire in direzione della 708 alla quale si fece accompagnare.
 
Non appena la porta si aprì, il silenzio sospeso nella morte avvolse i due come una lieve e gelida spira.
 
Sopra il lettino oltre il bianco velo del telo d’ospedale si intravedeva il contorno di un corpo eternamente sopito.
 
“Mi chiedo, come avresti fatto ad andartene una volta raggiunto l’obitorio eh?”
“…”
 
Il medico indeciso su come comportarsi optò per il silenzio, tutto quello comunque,  non era normale.
Un agente di polizia che parlava con il cadavere di un uomo che non era collegato al caso che seguiva neanche lontanamente non era…normale, che pensava di risolvere eh?
 
“Una volta parcheggiato il lettino ti attaccano una tessera al pollice e ti lasciano lì al freddo fino a che nelle celle frigo non si libera un posto. O peggio, se  ci fosse posto finiresti ibernata istantaneamente, ma ti pare il caso?”
“…”
 
Perché se il morto era un ragazzo lui vi si rivolgeva al femminile? Nervosamente il primario incominciò a tamburellare con le dita sul piatto del suo stetoscopio creando un ritmo rap che gli si ripercuoteva amplificato nei timpani.
 
“…ma la cosa divertente è che per un istante mi hai quasi fregato…”
“…”
 
Tu-tum-tutu-tu tu-tum preso dal ritmo il medico incominciò a muovere anche la testa,ormai la scena che gli succedeva davanti aveva perso il suo interesse.
 
“Se non ti senti tranquilla qui ti porterò io in un luogo sicuro, avanti…fidati di me…”
 
Tese la mano verso il corpo immobile del cadavere.
Al dottore cadde lo stetoscopio dallo spavento quando questo, il cadavere, sospirando sconfitto fece scivolare via il telo dal braccio che alzò per stringere la mano.
Vedere quel corpo issarsi fu come riguardare una scena del film su Gesù Cristo che aveva visto anni prima. I brividi furono gli stessi.
 
Poi vide di chi si trattava e rilasciando un sospiro che non s’era accorto di trattenere fece loro strada verso l’uscita e, ricollegandosi alle parole dette dal poliziotto si sbrigò a preparare le carte per le dimissioni della degente, dopotutto la poveretta aveva solamente bisogno di tanto riposo.
Ci rimase male nell’esser superato dai due, che senza aggiungere altro imboccarono le scale scendendo rapidamente i gradini.
 
“Hey ma come si fa per l’assicurazione e le carte di dimissioni?”
“La vede questa donna dottore?!”
“Si!?”
“Bene, la dimentichi, lei non è mai stata qui…”
 
Mordendo fra lingua e palato un’imprecazione il primario annuì rientrando al reparto cui apparteneva.
 
Il tragitto il auto fu tristemente silenzioso.
Steve aveva un mucchio di domande e una decina gliele aveva poste, lei, semplicemente non lo aveva degnato di risposta alcuna.
 
“Daniel ha detto che siete stati al ranch…”
“Si, non è stato facile trovarlo…”
“Siete stati seguiti?”
“No.”
“Ne sei sicuro?”
“Al cento per cento.”
“Allora portami li.”
“Sicura?”
“Yep! Ma prima…”
 
Ridendo un muto sorriso a 32 denti Steve tolse la mano destra dal volante posizionandola sul pomolo delle marce.
 
“Te ne sei accorta eh?”
“Seminali.”
 
Fu uno scherzo far mangiare la polvere all’auto che li stava pedinando da alcuni oramai isolati, più difficile fu fingere di non sentire i lamenti che lei esalava ogni qual volta eseguiva una brusca sterzata che si ripercuoteva sul debole collo di lei.
 
“Non ci badare, vai…”
 
La prima volta che aveva rallentato s’era guadagnato un pugno di nocche sul nervo del braccio ed un’imprecazione in una lingua che non aveva riconosciuto.
Spagnolo forse?
 
Raggiunsero il rifugio poco prima di pranzo.
La seguì curioso notando che anziché entrare in casa ella aveva deviato per il retro incamminandosi su per il prato che si estendeva verso la collina fino al limitar della foresta.
 
“Dove vai?”
“Aghòs e Seanna saranno furiosi…”
“Chi sono Aghòs e Sean-”
 
Senza ascoltarlo ulteriormente lei piegò il labbro inferiore verso l’arcata dentale ed espirò forte emettendo un acuto e ripetuto fischio.
Non passarono più di dieci secondi che dalla cima della collina si udirono due versi in risposta.
Il nitrito di due cavalli che emergendo dall’orizzonte della costa galopparono maestosamente verso la ragazza.
 
“Meno male che eravate al pascolo sennò chi si occupava di voi eh?”
 
Due sbuffi sommessi ed un colpo di muso furono la risposta che Tia si guadagnò da uno dei due animali, un possente cavallo nero dagli enormi zoccoli ricoperti di bianco pelo.
L’altro era molto più piccolo color del tronco degli alberi che sfumava sul nero sulle zampe.
 
“Stanotte non c’erano…se li avessi visti mi sarei occupato io di loro.”
“Allora vi ho istruito bene ragazzi, siete stati bravi a rimanere nascosti!”
 
Con un paio di colpi alla base del collo lasciò proseguire i due animali che trottando si avvicinarono alla seconda costruzione presente, probabilmente la loro stalla.
Dopo averla vista tentare di estrarre da una rotoballa un paio di forcate di fieno Steve le prese l’arnese di mano sostituendola, poi finalmente la vide dirigersi verso casa.
 
“Cosa avete preso?”
“Niente…cercavamo la scatola che ci ha descritto Lucas ma non l’abbiamo trovata da nessuna parte…”
“Scatola? Ah, quel ragazzino…”
 
Ridendo Tia si avvicinò a Steve superandolo.
 
“Lassù.”
“Uh?”
 
Levando lo sguardo al soffitto il Seal solo allora si rese conto di una cosa.
 
“È finto?” incredibile!
“Non sono nata proprio ieri…” bussandogli sulla spalla quando questi partì in “arrampicata-mode” tentando di arrivare con un salto alla prima trave disponibile (tre metri buoni d’altezza) gli fece cenno di prendere la scala che era appoggiata alla parete a pochi passi da loro.
 
“C’è una botola, spingila e una volta aperta troverai la scatola…”
“Ma cosa contiene?”
“Registrazioni audio e video per lo più…roba forte…”
“Ma su cos’è che stavate indagando di così pericoloso tu e l’ex socio di Danny?”
“Riciclaggio. O meglio, così ci pareva all’inizio.”
“Poi cos’è diventato?”
“Tangenti, compravendita di esseri umani e organi, cessioni di imperi industriali a prezzi esigui, racket sul gioco d’azzardo…un ciclone di depravazione e…e… ”
“Chi vi ha fatto la soffiata?”
“La filiale di Honolulu della xxx-bank, i contabili avevano notato delle operazioni sospette, i soldi arrivavano al mattino e alla sera già erano spariti su decine di conti che all’apparenza nulla avevano a che fare con quello di partenza; una volta lo accetti, la seconda ti insospettisci, la terza…”
“C’è qualcosa che non quadra.”
“Esatto. Io e Jack siamo stati assegnati al caso come supporto alla polizia postale, sono saltati fuori altarini macabri. Strani suicidi inspiegabili sparizioni ed il nostro ruolo è diventato attivo.
Dopo essere riusciti ad anticipare ed arrestare un paio di acquirenti, zio e nipote, io e Jake ne abbiamo assunto le identità e per un paio di mesi le cose sono andate bene. Quando hanno visto che non ci decidevamo né a fare offerte né a comperare devono essersi insospettiti perché da lì a pochi giorni Jake è stato fatto secco…sono rimasta sola… ”
“Dovevi chiamarti fuori, perché non lo hai fatto?”
“Perché c’ero dentro fino alle ginocchia Steve e perché…”
“Nh?”
“la sera che Jake è stato, ucciso, mi trovavo Waikiki, ad intrattenere il nipote dell’uomo che doveva fare l’affare con noi, inutile dire che il damerino altri non era che un killer e c’è mancato poco che mi facesse fuori lo stronzo; me la sono cavata per miracolo ma Jake non è stato così fortunato;
ero conciata piuttosto male e sono sparita qui per un paio di giorni e probabilmente i “cattivi” avranno pensato che fossi morta pure io, torno al dipartimento e vengo a sapere che qualche bastardo ha incriminato Jake per corruzione, sono saltati fuori i conti della sartoria e del noleggio auto, tutte spese relative alla nostra copertura ma i nostri cari colleghi anziché intuire o capire hanno preferito pensare al peggio e così…”
“Come hanno fatto quei conti a finire al dipartimento?”
“È quello che voglio cercare di capire! Quando sono entrata al distretto mi hanno guardata come se fossi stata un fantasma, mi credevano tutti morta nell’incidente che aveva ucciso Jake ma tecnicamente nessuno di loro avrebbe dovuto sapere che ero con lui.”
“Ma chi sapeva del tuo incarico?”
“È proprio questo il punto! Nessuno doveva saperlo a parte me Jake e il capitano della centrale, non c’era verso che le notizie potessero trapelare a meno che…”
“Una talpa?”
“Solo una? Mi chiedo chi sia pulito dentro quella schifosa fogna!”
“…”
“Mi chiedo in quanti facciano il doppio gioco, in quanti vendano i proprio compagni al miglior offerente…in sniff in quanti sono a…hic…Jake era l’unico in gamba li dentro e…l’hanno lasciato morire… ovunque mi girassi per chiedere informazioni trovavo muri, orecchi sordi…”
 “…mi dispiace…”
“Non sapevo, io…ho cercato di fare chiarezza e capire cosa sia andato storto, ma la talpa probabilmente temeva d’esser scoperta così è passata alle maniere pesanti…uno spintone giù dalla rampa delle scale a fine turno, i freni manomessi le ruote lacerate finché, vedendo che non cedevo hanno…”
 
Con una mano tremante e scostando lo sguardo da quello del Navy Seal la ragazza si asciugò gli occhi inondati d’amare lacrime.
 
“Poi mi sono ricordata di Daniel, Jake si fidava di lui così ho pensato di…”
“La busta con gli indizi smarriti l’hai mandata tu.”
 
Si riferiva alla teca delle prove sull’incidente che aveva coinvolto l’auto su cui viaggiava Jake che era misteriosamente svanita dagli archivi della polizia e che a un paio di giorni dalla sparizione si era materializzata dentro un pacco sulla scrivania dell’ufficio di Danny.
Il biondo, venuto a conoscenza della tragica morte del suo primo collega si era dato immediatamente da fare per cercare di capire cosa ci facessero le prove nel suo ufficio ed aveva incominciato ad indagare.
Dal luogo dell’incidente erano stati rilevati dei fatti anomali che avevano portato il team McDanno al dipartimento dove avevano trovato solo orecchie da mercante e agenti sordi, infine a lei che lo aveva snobbato battendo al computer e mandato al diavolo di fronte a tutti infilandogli nella tasca della camicia il pacchetto di minerva dell’Olympus Village Resort e da lì era incominciato tutto.
 
La guardò tirare su col naso riuscendo a scorgere in quella temporanea debolezza la fragile e minuta figura di una ragazzina impaurita e impotente, piena di rabbia e rimorso e di grinta e…
Sospirando un incoraggiamento tese la mano portando il viso di lei a riposare contro la propria spalla.
La lasciò piangere rimanendo immobile e in silenzio, poi quando si fu sfogata abbastanza le consigliò un bel bagno caldo e tanto riposo.
Avrebbe vegliato lui sul suo sonno.
 
 
Kono e Daniel arrivarono nel tardo pomeriggio con poche risposte e mille altre domande.
Mentre la ragazzina dormiva cercarono insieme di mettere in tavola tutto quello che sapevano, di delineare un filo logico in quell’intricata matassa con tutti i protagonisti e le comparse tutti i sottintesi e i punti chiave. Tutto.
Tutto.
 
Non conclusero nulla.

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