Stockholm Syndrome

di mairileni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I was calling your name ***
Capitolo 2: *** Broken inside ***
Capitolo 3: *** You led me on ***
Capitolo 4: *** Fury ***
Capitolo 5: *** Pushing us into self-distruction ***



Capitolo 1
*** I was calling your name ***


Buongiorno!!! *lancia coriandoli*
*v* Come stàtteh? (Cit.)
Allora, allora, intanto:

Matt Bellamy, Dominic Howard e qualsiasi altra persona presente in questa fic non mi appartengono, né mi pagano per scrivere queste boiate, (e posso capire il perché). Ciò che accade in questa storia non è mai accaduto realmente, ma proviene tutto dalla mia mente contorta *sguardo da pazza*.

Bene, spero tanto che abbiate pazienza e pietà per la povera autrice sfigata (io) che ha scritto questa storia >.> e spero tanto che vi piaccia *v*, io sono un po' nervosa ^^'!
Ed è con questo spirito che vi pwesento il capitolo 1! *v*

Buona lettura! ^^

pwo_

 

*** *** ***


I was calling your name


Lo guardo meglio.
Ok. Quanto sarà alto? Uno e settanta? Di sicuro è molto più basso di me.
Bene. Forse si può fare.
Ora devo solo capire se è pazzo.

... Che poi se scopro che è pazzo cosa faccio? Lo curo? Gli faccio la psicanalisi? Chi sono? Freud?

Gli guardo la faccia. L'unica luce al neon funzionante della stanza è esattamente sopra la sua testa.
Lo illumina di una luce brutta, che gli accarezza i capelli e la fronte, inciampa nelle sopracciglia e ricade sugli zigomi e poi sul mento, lasciando un'ombra definita sugli occhi e sulle guance scavate.

Sembra un fottutissimo film.
Un fottutissimo film con una bella fotografia.

Quando parla sobbalzo, come quando la prof ti chiama perché vede che ti sei incantato a fissare qualcosa fuori dalla finestra.

"Allora?"

Allora cosa?

Sto zitto, senza smettere di fissarlo. Parla ancora lui.

"Mangi?"

Lo guardo ancora un attimo, poi faccio no con la testa, piano.

Lui sospira, si volta un attimo dall'altra parte e poi si gira di nuovo verso di me.

Poi fa una cosa strana. Gira la testa di lato, come per guardarmi meglio. Sembra quasi un bambino.

"Che c'è?"

Mi sorprendo della curiosità genuina con cui lo chiedo. Spero che non se ne accorga.
Se n'è accorto. Ovvio.
Sorride, e raddrizza la testa.

"Niente."È serissimo, ora. Probabilmente non aveva sorriso neanche prima. Guarda il piatto a terra.

"Fa' come vuoi."
"Eh?"
"Col cibo. Fa' come vuoi. Però ti conviene mangiare." Pausa. "A meno che tu non voglia morire di fame."

Ah, ok! Grazie della dritta, amico.

Poso lo sguardo prima sui fagioli davanti a me, riluttante, poi su di lui, e alzo la mano, ammanettata ad un calorifero che cazzo, sembra l'unica cosa resistente in questo posto dove tutto cade a pezzi.

E la porta dietro di lui, quella da cui è entrato, è socchiusa. Rabbrividisco. Basterebbe così poco...

Non faccio neanche il tempo a chiedergli di slegarmi che è già su di me -quando si è mosso?-, per liberarmi, armeggiando con una chiave che non mi ricordo di avergli visto tirare fuori.

I suoi capelli mi solleticano il naso.
Che buon profumo.
... Eh? Profumo? Ma a che cazzo sto pensando? Ok, sono molto stanco.
La porta. Forza, Dom.

Lui indietreggia, rimettendosi dov'era prima.

Mi avvicino al piatto, prendo la forchetta, piano, e poi scatto, ed è tutto un attimo.

Mi butto in avanti, lo urto con una spalla, spingo contro il ferro, sono fuori, e c'è un corridoio, ed è pieno di altre porte, e quale devo prendere, merda merda merda! Aspetta, non ci sono svolte, è un corridoio unico. In fondo c'è un'altra porta di ferro, come quella da dove sono uscito, e dev'essere per forza quella, corri Dom, ed è chiusa, certo, cosa pensavi, che fosse aperta? E ci batto contro con la mano e grido, e impreco, come se qualcuno potesse sentirmi. Fine dei giochi.
Non ci credo.
Non ci credo.

Non so con esattezza quanto rimango ad ansimare di frustrazione contro quella porta, forse un minuto, ma non importa.

Quando mi giro lui è ancora lì, il ritratto della tranquillità, che mi guarda. Mi guarda con un'espressione a metà tra lo stupore e l'umana comprensione, di quelle del tipo 'scusa, amico, non pensavo fossi messo così male'.

"Cosa stai facendo?" chiede.

Ma come, non vedi? Sto facendo un balletto classico.

"Cosa pensi che stia facendo?"
Mi sta ancora guardando in quel modo e ora alza le spalle.
"Hai finito?"
Che stronzo.
"Sì. Sì, ho finito, grazie!" rispondo, sarcastico.
"Bene. Allora, mangi o cosa?"
mi viene quasi da ridere, tanto la situazione è surreale.
"Non ci sono altre uscite."
"Cosa?"
"È inutile che stai lì a cercare di pensare in fretta. Non riuscirai ad uscire."

Torno dov'ero prima, quasi mi stupisco di farlo, ma lo faccio. Torno dentro.
Mi siedo e inizio a mangiare il mio squallido pranzo, senza fiatare. Mangio di gusto, in realtà, perché non ricordo quando ho mangiato l'ultima volta, non so da quanto sono qui. Bevo anche l'acqua, senza soffermarmi troppo a indagare sulla pulizia di quel bicchiere.
Quando finisco mi allontano dal piatto e aspetto che mi ammanetti di nuovo, senza opporre resistenza.

"Dove siamo?"
"Qua." Ma che simpatico.
"... E dov'è 'qua'?"
"Cosa cambia?" Effettivamente.
"Cosa avete intenzione di fare? Di me, intendo."
"Non lo so."
"Sei un bugiardo del cazzo."
"Ti sbagli. Io non mento mai." Mentre lo dice fa un sorriso furbetto.
"Non hai risposto."
"L'ho fatto! Non lo so. Davvero. Questo..." mi solleva la mano ammanettata:"Questo non era... nei piani." dice, e guarda un punto indefinito del pavimento, mentre lo fa:"In realtà è stata una sorpresa anche per me... quindi non lo so."

Certo. Ricapitoliamo. Torno da scuola, mi ferma questa specie di strano ragazzino che mi sembra pure di aver già visto in giro, qualche volta, mi chiede una sigaretta, e ok. Poi mi chiede dei soldi, ed è già meno ok. Poi, guarda un po', qualcun altro da dietro mi sbatte uno straccio imbevuto di non so cosa in faccia, poi più nulla. E mi ritrovo qui. Quindi o è una candid, o questo è sequestro di persona bello e buono.

"Se volete chiedere un riscatto, sappiate che..."
"Non penso." La sua voce è un sussurro.
"Eh?"
"Non penso che lui voglia muoversi in quella direzione."
"Lui chi?"
"Ehm...Mr. Cloroformio?" Di nuovo l'espressione compiaciuta.
Non so da quanto sono qua, forse due giorni, ma è abbastanza da non stupirmi neanche più.
"E allora perché?"
"Non lo so, te l'ho detto."

Va bene, questo ragazzo è una causa persa in partenza. E tuttora non ho idea di che faccia abbia Mr. Cloroformio.
Aspetta. Davvero l'ho chiamato 'Mr. Cloroformio'?

Fa per andarsene, ma non so quando potrò avere di nuovo un'occasione tanto succosa, quindi riparto all'attacco.

"Come ti chiami?"

Ti prego dimmi che non gliel'ho chiesto sul serio.
Ma devo fare in modo che non se ne vada. È comunque un diversivo.

"Mh?"
Si è girato distrattamente, forse non ha sentito.

Vai, Dom, puoi ancora cambiare questa domanda con una più intelligente.

"Ti ho chiesto come ti chiami."
... Ecco appunto.
Lui mi guarda sinceramente sorpreso e aggrotta un po' la fronte.
"Matthew."

Va bene, è pazzo. Mi dice pure come si chiama!
Lo dice con gli occhi bassi, sembra quasi... timido?

"Te lo stai inventando."
La testa scatta veloce e i suoi occhi si aggrappano nuovamente ai miei, fermi.
"No. Ti ho detto che non mento mai." Pausa. "E poi che senso avrebbe? Tanto in faccia mi hai visto." Altra pausa. "Ora vado. Ciao."

Non faccio in tempo ad aprire bocca che si è già precipitato fuori, con il piatto vuoto del mio pranzo, chiudendo la porta a chiave.
Resto ad ascoltare il rumore dei suoi passi sempre più lontani.

E mi ronza in testa.

Matthew.

***

Quando mi sveglio il buongiorno mi arriva dal gorgoglìo umido dello scorrere dell'acqua dentro all'enorme tubo che striscia sul soffitto.

Buongiorno, mondo.
"Buongiorno", anche se, visti la totale assenza di finestre e il neon che incombe, potrebbero benissimo essere le tre del mattino.

Mi siedo sul materasso vecchio (che uso per dormire probabilmente rischiando la vita) gentilmente offertomi dalla Mr. Cloroformio & Co e mi guardo intorno, come aspettandomi che possa essere cambiato qualcosa, nella mia bellissima stanza.

Mi stringo nell'angolo dove è stato sistemato il mio accogliente giaciglio. Muovo la sinistra, è sempre ammanettata al calorifero, che tra l'altro neanche funziona, accanto al materasso.

La porta è davanti a me, mentre il resto della camera si sviluppa alla mia destra, dove, sorpresa sorpresa, ci sono addirittura una sedia e un mobile (rotto).

Prima ancora che io possa formulare un pensiero di senso compiuto, sento dei passi, e, devo ammetterlo, non avrei potuto sentire suono più bello, ora.

Quasi fremo di impazienza quando sento il rumore metallico della chiave che gira nella serratura, e non so perché.

La figurina magra di Matthew compare sulla soglia, e sono stranamente felice.
Chissà se ha anche vestiti non neri.

... O chissà se recupererò la mia sanità mentale, prima o poi.
No, perché al momento sono messo male.

Biascica un frettoloso "ciao" e fruga nella tasca della giacca. Ne tira fuori una piccola chiave, viene verso il letto. E porta aria fresca nell'aria stantia di quella specie di buco in cui sto da non so quanto.

Appoggia un ginocchio sul letto e inizia a trafficare con la serratura delle manette. Ad un certo punto, alza la testa e mi guarda dal basso, negli occhi. Uno scatto metallico, ma non sono libero. Le ha aperte dalla parte del calorifero.

"Cosa fai?" chiedo.
"Ti tolgo da qua."
"Perché?"
"Perché ce ne andiamo."

Sì. Sì sì sì!

"Dove?"
Di nuovo lo sguardo di umana comprensione. Beh, certo, questa volta posso capirlo.
Matthew prende il bracciale metallico appena tolto dal calorifero e se lo chiude attorno al polso.
"Ma... cosa fai?"
"Ci lego insieme." Alza le sopracciglia, come a ricordare l'episodio del giorno precedente "Da oggi... sostituisco il calorifero."
"Ah."

I nostri polsi sinistri sono già uniti tra loro dalle manette, eppure infila di nuovo la chiave nel bracciale che cinge il mio.
Lo guardo con aria interrogativa, e quasi a rispondere alla domanda che non avevo ancora deciso se formulare ad alta voce o meno, inchioda gli occhi nei miei: "Per il sangue." dice, con aria indifferente.
"Eh?"
Non risponde, ma toglie con cura meticolosa il cerchio metallico, attento a non farmi male.
Cazzo.
E quel sangue da dove esce?
Non mi ero accorto di come, tentando di forzare la catena che mi univa al calorifero, ero riuscito a tagliarmi praticamente tutta la circonferenza del polso.
Ho una vaga sensazione di nausea.
"Non dirmi che non te n'eri accorto."
"Eh? Ah, no... cioè, boh, non so, io..."
Mi lega velocemente la destra e si alza.
"Andiamo."

***

Mentre svoltiamo nel labirinto di corridoi identici di questo posto del diavolo, non cerco neanche di memorizzare la strada. Matthew è davanti a me, e io lo seguo passivamente, lasciandomi trascinare dalla mano che mi lega a lui.
Sono due minuti buoni che camminiamo in silenzio, finché lui non apre una porta e vengo inondato da una luce che non vedevo da troppo, e che traumatizza per un attimo i miei occhi.

Quando riesco a mettere bene a fuoco davanti a me, la prima cosa che vedo è la faccia di Matthew, che mi guarda impassibile.

Non ha ancora sfoggiato il suo sorriso furbetto, stamattina, e ora che lo guardo meglio, fuori dalla luce stralunante del neon, ha la faccia molto stanca. Sembra quasi che abbia passato la nottata in bianco.

Certo.
Perché io sono Dominic Howard e mi preoccupo dello sconosciuto che mi tiene in ostaggio.
Molto bene.

Siamo in uno stanzone che sembra una specie di ex-laboratorio, con tanto di tavoli, panche, sedie, scaffalature vuote, armadi e pezzi di scotch dimenticati al muro.
Credo che tutto questo, tutto questo posto, intendo, debba essere stato un college, tempo fa.

Matthew mi porta fino a uno dei tavoli di ferro, dove sono sistemate una boccetta, delle forbici e una scatoletta di metallo.

Mi indica la panca con la testa e mi siedo compostamente.
Lui invece vi si mette a cavalcioni, rivolto verso di me.
Mi giro verso di lui, che con la mano ammanettata tiene fermo il piccolo contenitore, mentre con l'altra toglie il coperchio.

Bende? Ma cos'ha in mente di fare?

Prende la boccetta e svita il tappo.

"Cosa fai?"

Non risponde, ma tira fuori dalla scatoletta del cotone, con cui forma un batuffolo che imbeve del liquido della boccetta.

Si sporge verso di me, e cerco di ignorare il profumo di buono che mi arriva con lo spostamento d'aria. Mi prende la mano più lontana da lui, la sinistra, quella che mi ha liberato dalle manette, e preme forte il cotone sulla parte ferita. Ma cosa...?
Il dolore arriva come una scossa, dal polso fino a tutto il corpo, e gemo.

Matthew separa immediatamente il batuffolo dalla ferita e mi guarda, spaventato.
Spaventato?

Aspetta. Ok. Calma, Dom.
Perché il cuore mi batte così forte?
... È perché mi sta facendo male.
Sì.
Sì, sì. È per quello.

"Ti faccio male?"
"Sì."
E... abbassa lo sguardo?
Parlo ancora io: "Perché?"
"Perché cosa?"
"Tutto questo."
"Perché sanguini."
Ah, beh, certo.
"Ma perché ti prendi la briga di farlo? Cosa ci guadagni?"
Mi guarda con un'espressione sbigottita, che però sostituisce subito con la solita maschera impassibile.
"È... per il furgone. Ce ne andiamo con un furgone."
"E allora?"
È... preoccupato per me?
"Lo macchieresti tutto. Quindi non rompere i coglioni e sta' fermo."
Ah, ecco.

Fermi tutti.
Sono... deluso?
Cos'è, Dom, sei diventato frocio, forse?

"E allora perché non mi copri la ferita e basta?" dico, senza pensarci.
"Perché se no ti viene un'infezione e muori. E sarebbe molto seccante."

Ah. Beh, ok.

"Ce ne sono stati altri? Prima di me, intendo."
Matthew sembra esitare: "No. Te l'ho detto che non eri nei piani."

'Non eri nei piani'.

Cerco di pensare oggettivamente, perché è troppo tempo che non mi fermo a farlo.

Sono stato rapito.
Non volevano, 'non era nei piani', doveva andare in un altro modo, sono dispiaciutissimi, ma mi hanno rapito.
Va bene.
No aspetta.
Va bene un cazzo.
Non sono ricco, e credo che loro lo sappiano, quindi niente riscatto.
Si fa strada nella mia testa un'opzione che so essere la più probabile, ma a cui non voglio neanche pensare.

"Mi venderete, giusto?"
Lui mi guarda, e stavolta ha la faccia angosciata, come se avessi detto qualcosa che lui non aveva il coraggio di dire.
"Cos'è? Traffico di organi? Prostituzione? O magari..."
"Non lo so." mi blocca lui.
"Però lo pensi."
"Non vedo troppe soluzioni alternative."

Inizio a sentire gli occhi inumidirsi, e per un attimo vedo annebbiato, ma mi costringo a trattenermi.

Ha finito di disinfettarmi, e ora sta tagliando la garza con cura.
Non posso pensarci, quindi cerco di deviare il discorso:"Mr. Cloroformio?"
"Arriva."

Non so se chiederglielo.
Fanculo, glielo chiedo.

"Quanti anni hai?"
"Perché?"
"Così."
"Diciassette."
"Ah."
"... Tu?"
Stiamo... chiacchierando?
"Diciotto. Diciotto tra poco."
"Quanto poco?"
"Il 7."
"È molto poco."
Improvvisamente mi rendo conto di non sapere né data, né ora.
"Che giorno è oggi?"
"Il 25."
Penso alla mia famiglia, alla mia casa, al mio compleanno.
Quando torno da scuola il posto dove meno vorrei andare è casa mia. Ma in questo momento non c'è luogo che mi manchi di più.

Matthew infila l'estremo della striscia di garza sotto ad un lembo che avevo già piegato prima e, non so come, la fasciatura regge.

"Dove hai imparato?"
"Da solo."
"Matthew..."
Sussulta, e si gira verso di me talmente velocemente che quasi mi spaventa. Mi fissa un attimo per poi chiedere:"Cosa?"
"Perché fai questo... 'lavoro'?"
Sorride sarcastico:"Non mi pagano, sai?"
"No, ok ma... dico... cioè, perché hai iniziato..."
"... Diciamo che Stan aveva un buon motivo per convincermi."
"Stan."
"Sì, Stan... ah, già... 'Mr. Cloroformio'."
"Oh. Ti ha... ti ha ricattato?"
Occhiata di umana comprensione.
Ok.

Sento un rumore metallico, una porta che si chiude, passi veloci e tintinnio di chiavi. Matthew si alza di scatto, i passi sempre più vicini, e mi sistema la manica della felpa sulla fasciatura, in modo che non si veda.
Lo guardo con aria interrogativa, ma ha già distolto gli occhi da me.

Mi volto, nello stesso momento in cui un tizio che non avrà più di trent'anni compare sulla soglia. Immagino sia Stan. Sarà alto come me, o almeno credo. Capelli castani, un po' mossi, né magro né grasso, sciatto. Ha una sigaretta nella destra.

Non alza neanche gli occhi ed entra nella stanza a passo di carica, mentre estrae dalla tasca dei jeans un mazzo di chiavi. Solo dopo averle prese si volta verso Matthew per lanciargliele, senza degnarmi di uno sguardo.

"Matt, va' a prendere il furgone e aspettami qua fuori, mentre preparo il foglio. Sali già dietro, poi."

Di tutta risposta lui gira sui tacchi e mi strattona con le manette per farmi cenno di muovermi.
Prima che raggiungiamo la porta, Stan borbotta un 'ehi' che fa girare Matthew, a cui lancia un pacchetto di Marlboro.

"Ah, già. Grazie." dice lui, e usciamo.

Sono passati due minuti al massimo, e siamo fuori.
Fuori.
Quasi non mi sembra vero, quindi cerco di godermi la gelida aria mattutina, finché posso farlo.

Camminiamo fino al retro dell'edificio, sul prato rado che lo circonda, finché dietro l'angolo non compare un furgoncino, bianco, di quelli che si vedono tutti i giorni per strada.

Matthew sale per primo, dallo sportello sinistro, e striscia fino al volante, mentre io mi sistemo accanto a lui, chiudendo la portiera dietro di me.

Mi ritrovo ad osservarlo mentre mette in moto, abbassa il finestrino, prende una sigaretta, la accende, tira una boccata e soffia il fumo fuori dall'auto.

Quando con la sinistra fa per prendere il cambio, trova l'impaccio della mia mano a bloccarlo.
La avvicino in modo che abbia abbastanza libertà di movimento e partiamo, fino ad arrivare in corrispondenza dell'ingresso principale, da cui penso ci separino una trentina di metri. Dal mio finestrino vedo l'enorme costruzione che mi ha ospitato in questi quattro giorni, e la odio, ma l'idea di lasciarla per... qualsiasi cosa mi aspetti mi angoscia.

Dopo aver concluso il suo compito, mentre ha la sigaretta in bocca, mi fa cenno di scendere dal furgoncino, e con qualche difficoltà riesce a seguirmi e saltiamo giù.

Appena scesi Matthew mi spinge dall'altro lato dell'auto, verso la fiancata opposta, quella che dà sulla strada.
Guarda un'ultima volta verso l'edificio, come per assicurarsi che non ci sia nessun altro oltre noi.

Dunque mormora:"Vuoi una sigaretta?"
"Cosa?"
"Fumi, no?"
"Sì."
Mi passa una sigaretta e quando me la sono messa tra le labbra me la accende con la sinistra.

Ne prende un'altra anche lui e rimaniamo in silenzio per qualche attimo.

Faccio tre lunghi tiri, poi gli chiedo:"Perché stiamo qui dietro?"
"Perché qui dietro Stan non ci vede."
"E perché non vuoi che ci veda?"
"Non penso che sarebbe troppo contento di constatare che ti ho fasciato una ferita e ti ho offerto una sigaretta."
In effetti non avrebbe neanche tutti i torti.
"Ah, già... a proposito... grazie."
Mi guarda stupito, e in questo momento mi viene da ridere, perché sembra un bambino che guarda la maestra chiedendole di ripetere, perché non ha capito la domanda.
"Per... la fasciatura. È fatta bene."
"Io... ah, ok... prego." E smettiamo di parlare.

***

"Matthew..."

E non so perché ma mi ghiaccio.
E mi si ferma il cuore.
Matthew.
Matthew.
No, lui l'ha detto in un modo diverso, più dolce.
Matthew.
Ti prego, fallo ancora. Chiamami ancora Matthew. Ripeti il mio nome.
Matthew.
Dillo.
Cazzo, dillo.

Rispondo:"Cosa?"
"Perché fai questo... 'lavoro'?"

Forse perché non ho altra scelta.
Anzi, è solo per quello.
Matthew.
No, lui lo dice meglio.

Non mi ricordo bene cosa è successo da quando hai detto il mio nome e mi hai fatto quella domanda, ma so che ora siamo dietro al furgoncino e stiamo fumando come vecchi amici.

Se non fosse che io ti ho rapito ed è ovvio che ti comporti bene solo perché sai che è quello che ti conviene fare al momento.
Lo so che sei intelligente.

"Ah, già... a proposito... grazie."

Ti guardo, perché non so il motivo per cui mi ringrazi.
Io ti ho rapito, o meglio, ho partecipato al tuo rapimento, ti tengo sottochiave, ti tratto di merda, ti lego e tu mi ringrazi.

"Per... la fasciatura. È fatta bene."

La fasciatura. Mi sta ringraziando per la fasciatura. Cosa gli dico?

Che begli occhi. Di che colore sono? Ho provato anche a guardarlo meglio, ieri, ma non riesco a capire. Anzi, mi sono solo fatto beccare.
'Che c'è?', mi ha chiesto.
'Nulla. No, beh, sai, sono gay, e penso che tu sia bellissimo.'
Ti immagini?

Cazzo cazzo cazzo, aspetta.
Concentrazione.
Grazie. Mi ha detto 'grazie'. Dovrei rispondere 'prego'.
Quindi prego.
No, aspetta, Matt, ad alta voce.

Biascico qualcosa, ma lui sorride e sembra capire.

Non mi ha più chiamato per nome.


*** *** ***


Ehm... eccomi qui! ^^' *schiva un pesce partito dal pubblico ma è goffa e ne prende un altro in faccia*
Allora... piaciuto? *no*
Dunque, se vi va e avete tempo recensite (ma se non avete voglia non importa ^^), io cercherò di aggiornare presto!
Vorrei dedicare questa fic alla mia amica e n d, che ha avuto tanta tanta tanta (no, davvero tanta) pazienza con me che sono una seccatrice *v*! Mi ha dato molti consigli, ed è merito suo il titolo di questo capitolo! Grazie di tutto, davvero!

Bene, non vi secco più e me ne vado! ^^ grazie a chiunque passerà di qui!

Ps. Ci vediamo a Torino! *fugge felice*

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Capitolo 2
*** Broken inside ***


Ehm... ciao! ^^
Ok, sono noiosa e ho già aggiornato, ma ecco avevo finito questo capitolo, così... 
 
Un grazie grande grande a chi ha recensito già al primo capitolo, so che è stupido, ma mi ha davvero fatto molto piacere, ^^ quindi:
 
Samskeyti ~ Ciao Samskeyti! Dunque, intanto grazie mille per aver scritto! ^^ ecco, si, mi rendo conto che la storia sia un po' *coff* tanto *coff* AU (scusate, non l'ho messo tra le note, sono nuova!), in realtà è nata più che altro da un pensiero che mi ronzava in testa già da un po'! *v* Spero che tu continui a seguirla, mi impegnerò!!! >w< 
 
Linnea ~ Buonaseeewa! (?) Ommamma, non so che dire! Davvero, grazie, grazie, grazie! Spero che gli altri capitoli ti piacciano come il primo! Ho aggiunto descrizioni dove non le avevo messe, sai, perché inizialmente non ero troppo convinta. Però a quanto pare funziona! ^^ quindi descrizioni, descrizioni ovunque! (?) Un bacio!
 
Irene ~ Eccomi qui! Dunque, certo che conta che tu segua questa storia! (Almeno, per me molto! ^^) sei gentilissima, ti ringrazio per tutto quello che hai detto! Cercherò di non deludere nessuno, promesso! *v*
 
A li ~ Ciao! *v* Ecco. Allora. 1)Wjfiwnslaojwnbx. La mia prima recensione. 
2)Ti ringrazio tanto per aver scritto, mi ha dato coraggio, spero di riuscire a mantenere un po' di equilibrio in questa AU (dove l'equilibrio non c'è) e che tu continui a seguirla! Un bacio!
3)Puoi dimenticare il punto 1, se ti fa sentire a disagio. *sguardo da pazza*
 
 
*** *** ***
 
 
Broken inside
 
 
A Teignmouth due anni fa scomparve un ragazzino. 
Nessuno seppe mai con esattezza i dettagli della questione, ma allora la cosa fece il suo scalpore.
Anche perché che cazzo d'altro può succedere a Teignmouth?
La polizia del posto fece qualche domanda a madre e padre, ai compagni di scuola e ai vicini. 
Nessuno sapeva, nessuno aveva visto.
 
 
Carico l'ultimo scatolone sul furgone, Dominic che mi segue per non impacciarmi con le manette.
 
"Matt, forse è meglio se... resti dietro anche tu." dice Stan.
 
Mi guardi con aria interrogativa. 
Fingo di ignorarti, ma ti ho visto, so che ti stai chiedendo dove sia l'utilità di rimanere legato a me nel vano merci chiuso a chiave di un furgoncino in corsa. 
'Dove cazzo potrei scappare?', starai pensando.
 
La verità è che non posso farmi vedere. 
In giro c'è la mia foto.
 
Saliamo, sportello, buio.
Sportello, chiavi, messa in moto.
Partiti.
 
Siamo seduti vicini, al buio, nascosti tra decine di scatole del cazzo, ma non abbiamo nulla da dirci, quindi mi ritrovo ad osservare la sottile linea di luce distesa lungo la linea dello sportello.
Sono quasi ipnotizzato e non riesco a smettere di fissarla.
In realtà mi rilassa.
L'ondeggiare lento della macchina, il buio, il silenzio, l'odore del cartone, la luce.
 
Chiudo gli occhi e butto la testa all'indietro, appoggiandomi con la schiena contro la parete.
 
Cosa cazzo diceva quel tizio?
 
La forza -ah, come cazzo era?- la forza di emissione degli elettroni non dipende dalla intensità della luce ma dalla frequenza... Dal potenziale d'arresto la corrente inizia ad aumentare per poi diventare costante al suo massimo valore, che è direttamente proporzionale all'intensità della luce incidente... Lenard, credo. 
 
Ad interrompermi mentre tento di sciogliere il mio frustrante dubbio arriva Dominic, chiedendo:"Quanto ci vorrà?"
 
Mi accorgo di avere ancora gli occhi chiusi, e di essermi portato le ginocchia al petto, e di avere pollice e indice destri a tenermi la base del naso, nello sforzo di ricordare la la teoria del fottuto effetto fotoelettrico. 
 
Fanculo, non mi viene in mente.
 
Mi giro verso Dom:"Un p..."
"Un po' quanto?" mi interrompe lui senza neanche aspettare che finisca.
Non lo vedo, ma lo sento, ed è incazzato. 
"Sei ore, credo."
"SEI ORE?"
"Sì."
 
Ma se l'energia è dovuta alla frequenza e non all'intensità, allora perché...
 
"Cristo!" è l'esclamazione stridula di Dom.
"Perché?" Credo che si sia girato, come se non si aspettasse questa domanda.
"Beh... Sei ore!"
"Non è per quello. Perché?"
"È per quello!"
"Possiamo andare avanti all'infinito."
Sorrido ma non mi vede.
 
Per qualche secondo non sento nulla.
Poi sento un rumore sommesso ma non so cosa sia. 
Cerco di vedere qualcosa, ma l'unica luce proviene da quella sottile linea.
Vedo il profilo di Dom.
Una goccia.
No. Una lacrima.
 
Stai piangendo. 
No. No, no, no.
Mi viene automatico aggrottare la fronte, e mi sento un groppo in gola, merda, cosa ho detto di male, e vorrei metterti un braccio intorno alle spalle e dirti che andrà bene, e vorrei che tu mi uccidessi e che fossi felice di farlo, perché lo saresti.
 
"Dominic." 
Esce un tono molto più freddo di quello che avrei voluto. Come sempre.
"Vaffanculo."
Ha la voce bassa, ma non rotta, e bellissima.
"Che c'è?"
"Fottiti."
"Ehi, si può sapere che ti prende?"
 
Che domanda del cazzo, Matt.
 
Ormai i miei occhi si sono abituati all'oscurità, e ti vedo, quando ti volti verso di me. 
Vedo i tuoi occhi bagnati, la faccia stanca, lo sguardo perso e rassegnato di chi sa di non avere scampo.
 
E mi dimentico come si faccia a respirare.
E resto lì come un coglione, mentre mi parli, a bassa voce perché anche in questa situazione di merda sai che se Stan ti sentisse sarebbe molto peggio.
 
"A quanti chilometri staremo viaggiando, eh, Matthew? A quanti? Novanta? Cento? Sai quanta cazzo di strada fai a questa velocità in sei ore? Lo sai?"
 
Non ti so rispondere.
Ansimi, mentre parli, e sorridi di sorrisi vuoti, che sono tutto, meno che sorrisi. Sono quei sorrisi che le persone fanno quando l'isteria diventa l'unico modo per sfogare la rabbia, perché le lacrime non bastano.
 
"Non lo sai, vero? Esatto! Neanch'io lo so! Ma so che sono abbastanza da non avere idea di dove mi trovi, una volta arrivati!" Ti lecchi le labbra, tremi:"Non so dove siamo, non so dove andiamo, non so se morirò, non so chi cazzo siete voi, e non so perché! Perché a me?" 
Ora stai singhiozzando piano, e vorrei tirarmi fuori il cuore dal petto perché fa male, ma il mio cuore si era già distrutto appena hai iniziato a piangere.
 
Ti senti impotente, e in questo momento credimi, io lo sono.
Non oso muovermi, o far rumore.
Non oso toccarti, perché potresti anche romperti. 
Sei di vetro.
 
Resto lì a fissarti, come uno spettatore, come uno stronzo, come un pazzo. 
 
Sono rotto dentro, ma sono sicuro che fuori la mia espressione sia gelida.
Ancora una volta.
 
Come un pazzo.
 
 
I compagni di scuola risposero in modo sfuggente a qualsiasi domanda, pare che il ragazzo avesse dei disturbi comportamentali. Molti ne avevano paura, altrettanti preferivano evitarlo, pochi azzardavano qualche battuta, nessuno era mai stato a casa sua o ne conosceva le abitudini. 
Alcuni vicini confermarono di averlo visto spesso uscire nel tardo pomeriggio, quando già era buio. 
La testimonianza fu considerata veritiera dalla polizia, perché l'ora della scomparsa corrispondeva perfettamente.
Il padre del ragazzo non prese mai parte alle ricerche, né parve mai interessarsene. 
La madre, al contrario, diede inizio a una corsa disperata per il ritrovo del figlio, della cui foto appese volantini ovunque, promettendo come ricompensa a chiunque l'avesse trovato somme di denaro, gioielli, qualsiasi cosa potesse avere valore in casa sua.
 
L'avete visto, sì, mio figlio, è alto più o meno così, ha quindici anni, è moro, ha gli occhi azzurri, è magro e indossava una giacca nera, sì, esatto, mio figlio, vi prego, aiutatemi a cercare mio figlio, non lo so, credo verso le sette e mezza, no, ha i capelli neri, indossa sempre un bracciale fatto così, sì, mio figlio, vi prego, aiutatemi a trovarlo.
 
Tuttavia lui non fu più trovato, la notizia perse il sapore della novità e Teignmouth tornò la pacifica cittadina di sempre.
 
La madre continuò sempre a cercarlo, e anche ora che tutti sono ormai convinti che il ragazzo sia morto, lei continua a fare appelli, ad appendere volantini.
 
A cercarlo.
A cercarmi.
 
Mia madre mi cerca. 
Mia madre mi cerca, e ora tua madre sta cercando te. 
E tutto quello che riesco a fare è vedere la mia storia nella tua storia, le mie lacrime nelle tue lacrime, il mio sangue nel tuo sangue.
 
Già.
La verità è che non posso farmi vedere. 
In giro c'è la mia foto.
E non sono così cambiato rispetto a quando mi hanno scattato quella foto.
 
Smetti di piangere, sei stravolto, e ti accasci sulle mie gambe. Già dormi, perché non hai più forze.
 
Ti accarezzo i capelli e ti asciugo le lacrime. 
Non so che altro fare.
 
So cosa provi. Lo so esattamente. 
Perché a Teignmouth due anni fa scomparve un ragazzino.
E quel quel ragazzino ero io.
 
***
 
La sensazione di qualcosa di soffice e profumato sulla faccia lenisce il bruciore delle guance, secche per il pianto.
 
Sono rannicchiato sul fianco sinistro, sotto la testa un tessuto riscaldato dal mio calore.
 
È terribile ciò che provi quando ti svegli il mattino e realizzi che va tutto di merda, perché non lo realizzi subito, ma dopo qualche secondo.
E allora senti un'ondata di ansia e preoccupazione che esplode nello sterno e da lì si diffonde in tutto il corpo, mozzandoti il fiato.
Inspiri e non sai più come espirare.
 
È quello che sta succedendo ora a me, che quando apro gli occhi mi ricordo di essere su un furgone che mi sta portando lontano da tutto ciò che è mio, non so neanche dove.
È quello che sta succedendo ora a me, che quando apro gli occhi sono già sveglio.
 
Sono su un furgoncino che mi sta portando lontano da casa, non so dove, non so perché.
Ho finito le lacrime.
 
Penso alla mia casa, a mia madre, mio padre, mia sorella...
 
Torno alla realtà.
Quel qualcosa di soffice è la tua felpa, quel qualcosa di profumato sei tu sotto alla tua felpa.
Sotto alla mia testa la giacca che indossavi prima.
 
Mi viene una gran voglia di guardarti, guardarti mentre non sai che ti guardo.
Premo la faccia contro la tua pancia, e volto un po' il viso verso l'alto, mentre lo faccio.
 
Vedo il tuo collo pallido, la sagoma della tua testa, distinguo i capelli che si attaccano alla pelle e si confondono nel buio. 
Bianco, poi subito nero.
 
Ora ti sei girato anche tu, o prima, non lo so quando, e mi fissi senza dire nulla, in sottofondo solo la pioggia sul tettuccio dell'auto.
 
Rallentiamo, ci fermiamo, e quando Stan apre il portellone la luce mi acceca.
 
"Scendete."
"Oh, sì, spesso la gente porta i ragazzini nel vano merci dei furgoni." risponde un sarcastico Matthew con le sopracciglia alzate e lo sguardo indifferente.
"Piove come il cazzo di diluvio universale, Matt, non c'è nessuno, ma grazie." risponde lui, visibilmente irritato.
 
Stan ci toglie le manette, dopo avermi ammonito con un rassicurante:"Tu prova solo a fare cazzate e..." mi immagino il resto.
 
Siamo seduti al tavolo di plastica dello squallido autogrill a lato della strada. 
Ce ne sono una decina, di questi tavoli rossi della Coca-Cola, c'è il bancone pacchiano con la base d'oro e il finto marmo, ci sono i cartelli appesi al soffitto con dei fili bianchi, ci sono gli scaffali pieni di prodotti di così tanti colori che fanno male gli occhi a guardarli.
Sì, ci sono tutte le caratteristiche tipiche del tipico autogrill mediocre inglese.
 
Stiamo ordinando.
O meglio, Matthew sta ordinando e la cameriera lo sta spogliando con gli occhi, il tutto sotto lo sguardo un segretamente divertito Stan.
 
"Allora, cosa vi porto di buono?"
Lui non le leva gli occhi di dosso:"Tre pizze e tre birre, grazie. Magari dopo anche un dolce. Ma dopo." risponde, con un vago sorrisino sulle labbra.
"Quello, però, dovresti venirlo ad ordinare al bancone..."
Oh, ti prego. Non dirmi che...
"Sarà fatto."
In questo momento gli mancherebbe solo la scritta in fronte 'Born to fuck', come in quella campagna pubblicitaria, e saremmo a posto.
Un dialogo fatto di messaggi subliminali.
No, bello. Davvero.
 
... Ancora?
Ma che cazzo sto dicendo?
Ma cosa mi succede?
Dio, Dom.
Io non sono gay.
Ma da quando hai iniziato a parlare con quella ti odio, e vorrei interrompervi, e vorrei che non la guardassi in quel modo, e ti odio, e odio la stupida faccia con cui l'hai già conquistata, e ti odio.
Sei proprio uno stronzo.
 
Non dovrei pensarlo, non sono gay, non dovrebbe interessarmi, ma questa è la mia testa, e vaffanculo, lo penso.
 
Il pasto è più che apprezzato, credo sia la prima volta da giorni che finisco il cibo senza più avere fame.
 
Stan e Matthew parlano ad alta voce di musica.
Secondo la versione ufficiale saremmo lo zio con gli allegri nipoti. Che cazzata.
 
Mi guardo intorno, cerco di pensare ad un modo possibile di andarmene, ma, anche se riuscissi a scappare della finestra del bagno, poi dove andrei, senza una macchina e, soprattutto, senza sapere assolutamente dove sono?
Cerco di ragionare per qualche altro minuto, ho smesso di ascoltare 'zio' e 'cugino' da diversi minuti, ma in qualunque modo io la veda, posso fare ben poco se non neanche idea di dove siamo o non ho una macchina.
Fatto sta che Stan, di fronte a me, tra un risolino e l'altro, mi tiene continuamente d'occhio.
 
Matthew si alza dal tavolo.
"Arrivo."
Sono seduto proprio di fronte al bancone, quindi lo vedo camminare, sedersi sullo sgabello di legno, parlare con la bionda di prima. 
Lei ride.
Cazzo ride?
Lui è di spalle, ma posso immaginarmi la sua faccia, anche perché il fottuto dolce per cui doveva essere lì ancora non l'ha preso.
 
Ora stai tornando al tavolo, neanche mi guardi, mormori qualcosa a Stan che non afferro, perché sei stato attento a darmi le spalle, mentre parlavi.
 
Lui ride di gusto, tu non lo so.
 
E mentre noi usciamo tu resti dentro, con lei.
 
Stan mi tiene saldamente per il braccio, inutilmente, perché non saprei neanche come iniziare, a scappare.
 
Non mi dice nulla. Non mi ha mai parlato, direttamente.
Arrivati al furgoncino sale, raggiunge il volante sulla destra, e io dietro, perché non mi ha mai lasciato il braccio.
 
Abbassa il finestrino e si accende una sigaretta:"Quanti anni hai?"
Sta parlando con me?
"Erm... Diciotto."
"Ah." sembra quasi deluso:"Li hai già compiuti?"
"Li faccio il 7."
"Ah." sembra quasi contento:"Bene."
 
Perché 'bene'? Cosa, esattamente, dovrebbe essere 'bene'?
 
"Bene?" Ci provo.
"Sì."
"Perché?" Ho paura della risposta, ma devo saperlo.
Lui si gira verso di me, e sorride. Sorride in quel modo in cui sorridono le madri quando assecondano le fantasie dei figli con tono accondiscendente.
Bastardo.
"Diciamo che a seconda della fascia di età puoi fare tante cose diverse."
"A chi mi venderai?"
Non smette di sorridere, ma aggrotta le sopracciglia:"Venderti? Oh, no, affatto. Beh, in realtà l'idea da cui ero partito era quella." Pausa:"Complimenti. Ma penso che potresti servirmi anche in un altro modo."
Lo guardo e apro più volte la bocca, ma le parole non escono, quindi parla ancora lui:"Non ti preoccupare, non ho intenzione di usarti come geisha." Ora ride di gusto. 
 
Ecco, Dom, vedi, lui ad esempio è pazzo.
 
"Parla chiaro."
"Oh, ma allora sei un duro! Dunque, diciamo che..." Alza le sopracciglia:"... Sto intraprendendo... un business. Sì, chiamiamolo così. Un business."
"Che tipo di business?"
"Ecco... -oh, ma sei esigente, eh?- non so come dire... Diciamo che i miei... no, non 'dipendenti', non è la parola giusta... 'soci' -usiamo questa parola, ok?- sì, i miei 'soci' avranno più prerogative."
"Tipo?" Ormai lo incalzo, ormai devo sapere.
"Mah, sai... in particolare parliamo di piccoli furti e rapine... siamo già un bel gruppetto, sai? Ci sono tanti ragazzi della tua età, sai?" Sorride ancora.
 
No, Dom, questo non è pazzo. È completamente folle.
 
"Sono tutti ottimi lavoratori, ma io, come avrai capito, ho un prediletto..."
Matthew.
 
Un altro pezzo si aggiunge allo schema mentale che ho creato di questa situazione. 
Matthew.
Ecco il suo ruolo.
 
 
*** *** ***
 
 
Eccomi!
Ecco, non so che dire!
Spero vi sia piaciuta e che continuiate a seguirla! ^^
 
Un grazie speciale a e a chi legge questo delirio della mia mente! *v*
 
Cheers!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** You led me on ***


Rieccomi!
Buonasewa EFP!
 
Dunque, questo capitolo è stato un po' sofferto, però non voglio anticiparvi nulla!
Quindi grazie a chi continua a scrivere e  seguire la mia storia, eccovi:
 
A li ~ Bentrovata! Ti è piaciuta la scena dell'autogrill, che bello! E dire che non ero troppo convinta, ma bene, bene! Per quanto riguarda la mamma di Matt sono ancora più contenta, perché volevo rendere bene quella parte a cui (non so perché) voglio bene.
Spero che continuerai a seguire! ^^
 
aleale00 ~ Buonasewa Roby! Una nuova lettrice, che piacere! Ti ringrazio molto per aver scritto, vediamo se riuscirò ad incuriosirti ancora di più con questo capitolo! *no* :) un bacio!
 
Irene ~ Ciao cawa! >.> Certo, YOU DESERVE RESPECT TOO! Davvero ti è piaciuto? Bene, sono molto contenta! ^^ Sì, esatto molto oliver twist is in the air! Sì, sapevo della possibilità di rispondere a una per volta, ma dato che alla fine sto aggiornando abbastanza spesso mi fa piacere fare una cosa così all together (?)! Se preferisci, però, la prossima volta rispondo subito! :) baccci!
 
Sono davvero felicissima che stiate continuando a recensire, davvero, grazie a tutte! 
 
Ed è con questo spirito che vi presento il capitolo 3!
 
Buona lettura!
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
You led me on
 
 
Non sento un tuffo al cuore, né mi spavento. 
Credo che sia solo perché non ho realizzato, o probabilmente perché credo ancora di poter scappare, in qualche modo.
 
Non c'è molto altro da dire, quindi resto in silenzio per un po', con Stan in sottofondo che spara qualche battuta di cattivo gusto ogni tanto, ma non lo sento neanche.
Saranno venti minuti che siamo qui fermi, quindi me ne esco con un:"Perché non partiamo?" seccato.
So perché non partiamo.
Stan ride con quella sua risata acuta e soffocata che mi fa venir voglia di picchiarlo pesantemente:"Ognuno ha le proprie necessità, ragazzo, ognuno!".
Cerco di nascondere la mia irritazione e guardo fuori dal mio finestrino, senza fiatare.
 
Dal nulla qualcuno bussa al vetro non troppo gentilmente, facendomi sobbalzare.
"Ma guarda chi abbiamo qui!" è il commento di Stan a Matt, che ha quasi finito di fumare una sigaretta.
 
Pure la sigaretta.
 
"Apri."
Apro.
Tiri fuori le manette e siamo di nuovo legati insieme, tu neanche mi guardi.
 
Mentre saliamo dietro, attenti che non ci veda nessuno, noto il leggero velo di sudore che ti copre la faccia, e ti odio.
 
***
 
Nel buio del furgoncino, alla tua destra, sto cercando di capire se mi viene da vomitare per l'auto, per l'insonnia, o perché sono appena stato con una femmina.
 
Non è per l'auto.
 
Ti guardo cercando di non farmi vedere. È cambiato qualcosa? No. 
Note to self: farsi una femmina non aiuta a dimenticare un maschio.
 
Tu nel frattempo non hai detto neanche una parola, e hai ragione. 
Però io non lo sopporto.
 
"Quindi Stan ti ha detto."
"Come lo sai?"
 
Bravo, Matt, ottima mossa, sei proprio un coglione.
Pensa in fretta.
 
"Vi ho visti parlare. Non credo abbiate troppi altri argomenti in comune."
"Mi ha detto che sei il suo preferito."
 
Che figlio di puttana.
 
La voce mi trema leggermente dall'irritazione:"Ah sì?" 
Ma tu pensa.
"Sì."
 
Cala il silenzio.
 
"Sei di Teignmouth?" chiede.
Mi sembra ridicolo non rispondergli, anche perché se volesse identificarmi, potrebbe farlo anche solo descrivendomi. Ci sono, nel database della polizia.
"Sì. Perché?"
"Io di Stockport." Pausa:"Sto cercando di capire dove ti ho già visto."
"Teignmouth non è proprio New York."
"È come se mi ricordassi di te per un motivo particolare..."
No, no, no, ti prego.
"Matthew."
 
Ancora. 
Matthew. 
Oggi è una bella giornata.
 
"Er...Sì?"
"Da quanto tempo fai... questa cosa?"
Cazzo. Eccolo.
"Due anni."
"E dove stai, quando non..."
"Non ho una sistemazione fissa."
"Ah." Pausa:"Stan ha parlato di ruoli."
 
Ruoli. Lui li chiama 'ruoli'.
 
"Ah, sì?" cerco di non far sentire il tremore furioso della mia voce.
"Sì. Ha detto che a seconda della fascia d'età si possono fare... tante cose diverse. Quindi mi chiedevo due anni fa cosa potessi fare tu."
 
Bingo.
 
Non te lo dico. Non te lo voglio dire.
 
***
 
Se non rispondi è perché non vuoi dirmelo, quindi non insisto, anche se un'idea ce l'ho.
 
Vorrei chiederti anche un'altra cosa.
 
"Ti sei fatto la ragazza del bar?" 
Avrei voluto una cosa più discreta, ma mi è uscito questo.
 
La risposta tarda ad arrivare:"E una volta che lo sai che fai?"
Stronzo. Odio il modo in cui rispondi alle domande con altre domande.
"Era per sapere."
"Sì."
"Ah."
Ti odio, ti odio, ti odio.
 
Il resto del viaggio passa in fretta, anche perché per la maggior parte del tempo dormo scomodamente seduto di fianco a te o rimugino su possibili metodi per scappare.
 
Per quattro ore e mezza che restano non dici più nulla, a tratti mi dimentico anche di averti accanto.
 
La destinazione, che raggiungiamo intorno alle sei e mezza, è un anonimo paesino, abbastanza triste, con l'insegna della gelateria che si illumina ad intermittenza, il benzinaio, la chiesa, il supermercato e decine di case di quelle che hanno le facciate che sembrano di gesso.
 
La specie di pensione dove ci fermiamo sembra quasi carina comparata a questo posto.
"Una tripla, per favore." chiede Stan.
La vecchietta dall'altro lato del bancone è magrissima, con i capelli bianchi, corti e ricci, e parla piano, con la voce arrochita dagli anni:"Mi dispiace, figliolo, ma non abbiamo triple."
"Non avete triple?"
"Beh, sai, non passa molta gente qui, e, se passa, non si ferma." 
In effetti. Il pensiero di dormire per terra stanotte non voglio neanche considerarlo, quindi confido nella prudenza di Stan. Ti prego, ti prego, ti prego, nessuno zio farebbe dormire un nipote per terra, quindi ti...
"Quant'è per una doppia e una singola?"
Sì! Grazie!
Grazie! Grazie signora che gestisce una pensione dai prezzi bassi! Grazie!
 
In un angolo remoto della mia testa, pregusto la convivenza forzata che questa notte dovrò affrontare con Matthew.
 
***
 
Questa pensione alla fine non è malaccio, abbiamo un piccolo angolo cottura, due letti, e sono con Dom. 
Per quanto mi riguarda non sarebbe stato un grosso problema averne anche solo uno, di letto.
 
"Ma come cazzo sopravvive, la gente, in questo posto di merda, se il supermercato chiude alle cinque, eh?" grida uno Stan furioso, rientrando in casa dopo un'uscita che sarà durata sì e no dieci minuti.
Cerco di rispondergli:"È chiuso?"
"Sì! È chiuso, cazzo! Quindi ora devo sbattermi fino al centro commerciale di Exmouth."
"Non c'è neanche un negozio aperto?" Faccio lo scandalizzato, ma in realtà se si togliesse dai piedi sarebbe solo un piacere.
"Neanche uno! Tutti a cena, i signori! Una cazzo di città fantasma! Vaffanculo!"
propongo debolmente:"Se vuoi vado io." 
Dimmi di no.
"No. Ieri al notiziario si parlava di te."
"Non... Non me l'avevi detto."
"Non mi sembrava rilevante."
"In che termini si parlava di me?"
"Dicono che sei morto."
"... E chi lo dice?" La mia voce è sempre più bassa.
"Ci metterò un'ora, se va bene."
E si chiude la porta alle spalle.
 
Rimango lì fermo per un po', non so quanto.
Dicono che sono morto.
Mia madre sa che sono vivo, ed è quello che conta.
 
*** 
 
Il bagno della nostra stanza ha una piccola finestra quadrata da cui non passerebbe neanche un pollo, e comunque ci sono delle sbarre di ferro.
Senza contare che siamo al terzo piano.
Figuriamoci.
 
Esco dalla doccia respirando a fatica, perché c'è solo vapore intorno a me.
Mi avvolgo un asciugamano intorno alla vita, mentre con un altro mi asciugo il resto del corpo.
 
Passo la mano sul vetro appannato dello specchio, quel poco che basta da vedermi.
 
Ciao, Dom. 
Stai proprio uno schifo, sai?
 
"Hey, Britney, per quanto ancora dovrò aspettare?"
Mi metti di buon umore, e ti rispondo come a un fratello:"Vaffanculo!" cantileno.
 
Credo di sentire una risatina.
Sembriamo una di quelle coppiette di ragazzini rincoglioniti.
 
"Sul serio, Dom, sei lì dentro da quaranta minuti buoni!"
"Io ci tengo."
Mi ha chiamato Dom.
"Dai, davvero..." Apre la porta, e mi fa prendere un colpo.
Lui avvampa e abbassa gli occhi:"Ah, ma sei proprio... Sei... appena uscito."
"Sì. Mi sono lavato anche i capelli."
Sorride, soffiando col naso.
"Posso usarla io, quindi?"
"Ora dovrei farmi la barba."
"Eh. E allora?"
"Beh... ah, no, ok, vai pure. Cioè, vieni pure."
 
Torni dopo pochi secondi, e l'unica cosa che hai addosso è un asciugamano.
 
Oh, cazzo.
Ti prego Dom stai calmo. Respira.
 
Sto ammettendo che mi piace un maschio, ma ora non ho tempo di pensare a questo, sono troppo impegnato a cercare di non saltargli addosso.
 
Lui entra nella doccia, butta l'asciugamano sulla sbarra metallica a cui la tenda è attaccata, e apre l'acqua. 
 
Un ragazzo è nudo dietro una tenda ad un metri da me e io sudo freddo. 
Oh cazzo. 
Non sono gay, quindi dev'essere una di quelle cose che ti capitano una volta su mille, sì, dev'esserci qualche tratto del viso in cui mi ricorda una ragazza, dev'essere quello.
 
Non riesco a prendere in giro neanche me stesso.
 
Quando esci vorrei non essere lì, ma ovviamente ci sono, perché in bagno sono peggio di una donna.
 
Ci muoviamo imbarazzati in quello spazio troppo stretto, ma in qualche modo alla fine riusciamo a vestirci -tu sei pronto prima di me, pur essendo entrato in bagno quaranta minuti dopo-, giusto in tempo per l'arrivo di Stan.
 
La cena passa in fretta, tu hai cucinato la pasta al sugo, a quanto pare sei un bravo cuoco.
 
Durante la serata Stan si è chiuso in camera sua, né nessuno ha insistito perché rimanesse.
 
Nella nostra stanza c'è una piccola TV, la accendo. BBCnews, la voce atona della telegiornalista.
 
"...Per Dominic Howard, scomparso il giorno 22 novembre nella piccola cittadina di Teignmouth. La famiglia, distrutta per l'accaduto, continua a diffondere la foto del ragazzo, nella speranza di ottenere nuove informazioni sul suo presunto rapimento.
Il capo della polizia, Mike Collins, in una conferenza stampa, ha dichiarato che il caso potrebbe essere collegato a quello  di Matthew Bellamy, il quindicenne che due anni fa scomparve senza lasciare traccia sempre nello stesso luogo..."
 
Sullo schermo compare un'immagine. C'è un ragazzino, tutto vestito di nero, occhi azzurri, capelli scuri, appoggiato al muretto, quello che dà sulla spiaggia. Riconosco il muretto.
Riconosco lui.
 
"... Matthew, nei giorni precedenti alla scomparsa, è stato visto più volte allontanarsi insieme ad un uomo sui trent'anni, su una Aston Martin nera. Collins ha parlato di un possibile traffico di minori destinati alla prostituzione, ma a quanto pare Howard non è mai stato visto in atteggiamenti simili. La..."
 
Prostituzione. 
Matthew. Non ci posso credere.
 
"... L'ennesimo appello."
 
Una ragazza bionda.
Mia sorella. Cazzo, quella è mia sorella! Che cosa... Perché piange? No, Emma, ti prego.
Cosa dice, cosa...?
 
Dom, ti prego, ci manchi, ti prego, Dom, torna a casa, mamma e papà non sono arrabbiati, ti prego, sei la mia vita, torna, Dom, torna qui.
 
Non so in che ordine abbia detto queste cose, che ora mi trafiggono la testa, e il petto. Fatto sta che mentre parlava si è interrotta, ed è crollata, in lacrime. Allora l'inquadratura passa su mio padre, che ha gli occhi lucidi, ma si regge in piedi. 
 
Dominic torna. Noi ti aspettiamo, 
sempre.
 
Non mi ricordo come si faccia a muovere i muscoli.
 
"...anche la madre di Matthew, che sostiene di sapere con certezza che il figlio è ancora vivo."
 
Ora c'è un'altra donna, sullo schermo, e ha gli occhi lucidi, e azzurri, e la voce che trema ed è ferma nello stesso tempo. È uguale a suo figlio. 
 
Matthew, lo so che sei vivo, e tu lo sai che lo so, ti prego, torna, Matthew, non ce la faccio senza di te, Matt, finirà tutto, se solo torni, torna, ti prego.
 
La televisione si spegne, ed è come se qualcuno mi tirasse fuori da un sogno, di forza.
 
Mi giro di scatto, e ci sei tu con il telecomando in mano, impassibile.
Sei vuoto.
 
Mi giro di nuovo, e mi prendo la faccia nelle mani, e piango, piango, piango, e vedo mia sorella che piange, mio padre, mia madre, e non esiste nient'altro.
 
***
 
Ti sei addormentato, non so se esiste una specie di meccanismo per cui quando piangi poi dormi, ma tu lo fai.
 
Ti ho lasciato lì a piangere, perché in quel momento io non c'entravo nulla, e ora ti ho portato fino al letto, in braccio, storto, in qualche modo, ma ti ci ho portato.
 
Ho visto mia madre, mia madre con dieci chili in meno e molte rughe in più.
Sono vivo, lo so che lo sai, mamma.
Tu sai tutto.
Sembri così lontana che l'idea di tornare pare quasi ridicola.
 
Mi distendo sul mio letto, o almeno il mio corpo lo fa, mentre la mia testa viaggia, ricordando il tempo in cui ti chiedevo di restare con me, la notte, così magari riuscivo a dormire. 
Sorrido. 
Quando c'eri ci riuscivo sempre.
 
Ora invece sono sveglio da trentadue ore, mamma, eppure le pillole che prendo sono sempre quelle.
 
Mi ricordo il primo episodio di... quello. Ti eri spaventata tanto. Ti sentivi quasi in colpa, 'Mi dispiace', dicevi.
Ero spaventato anch'io, ma ora è l'unica cosa che ci tiene in contatto e vivo nel terrore di perderla.
 
Mi ricordo di papà, delle litigate, degli urli, e dei soldi, che non c'erano. La casa della nonna, l'odore di sapone del bagno, il pezzo di piastrella che mancava sul muro della cucina.
 
Mi ricordo che piangevi segretamente.
Anche se io lo sapevo, com'era ovvio che fosse.
 
Ero uscito, perché volevo trovare un modo di aiutarti con i soldi, mamma.
Ma ero troppo piccolo per lavorare da Harvey, o da John, o dalla signora Stewart.
 
Allora ho trovato qualcosa che si potesse fare a tutte le età, perché niente sarebbe stato terribile se fosse servito ad aiutarti, mamma.
 
Non mi importava che mi vedessero, che mi puntassero il dito contro, non sono mai stato troppo popolare comunque.
 
Poi una sera mi era andata male, e sulla via del ritorno avevo incontrato Stan. E lui mi aveva guardato le ferite, e aveva detto che se fossi tornato a casa in quelle condizioni avrei dovuto raccontare come era successo, e se l'avessi fatto ti avrei spezzato il cuore, perché ti saresti sentita incapace di prenderti cura di me. 
Ma io lo so che se non uscivi dalla tua stanza era perché stavi male, e che non potevi sapere che la sera non ero da Becky, perché ti fidavi.
 
Fatto sta che come tu ti sei fidata di me io mi sono fidato di Stan, solo per proteggere te, mamma.
E guarda com'è andata a finire.
 
***
 
Mi sveglio alle quattro.
Cerco di ricordarmi l'ultima cosa che ho fatto prima di dormire, e quando mi torna in mente è come un pugno.
 
Improvvisamente odio tutto, vorrei uccidermi, vorrei uccidere Matthew, e bruciare quei momenti in cui ho pensato a lui in modo diverso che a un rapitore.
Se davvero fosse stato preso anche lui con la forza, sarebbe già scappato, è troppo intelligente per non riuscire a farlo.
Non mi ha neanche ammanettato, stanotte, non ha avuto il coraggio.
 
E non rifletto neanche. 
Sono già vestito.
 
Ascolto. Niente.
 
Mi alzo, attento a non fare rumore, e ad ogni movimento mi fermo, per ascoltare di nuovo.
 
Mi avvicino al tuo letto, la luce rossastra dell'insegna di fronte alla pensione entra dalla finestra, illuminando poco la stanza. Vedo che hai gli occhi chiusi e che respiri piano.
 
Ce la posso fare.
 
C'è la tua giacca, accanto a te.
Forza Dom.
 
Apro la zip, ed è silenziosa, ma mi sembra una tromba da stadio in questo momento.
 
Ti prego non svegliarti.
 
Infilo la mano dentro. Lo sapevo. Tiro fuori una chiave di metallo. Ho visto, che la mettevi lì.
 
C'è un'altra zip già aperta.
Ti guardo, hai ancora gli occhi chiusi.
Dentro alla tasca dei soldi, non so quanti siano, ma basteranno, prendo tutto quello che trovo.
 
Ok. Vai, Dom.
 
Mi avvicino alla porta, piano, senza smettere di guardarti.
 
Infilo la chiave nella toppa. Non fare rumore, non fare rumore.
 
Giro la chiave.
Un leggero scatto metallico, che a me ora sembra un colpo di pistola.
Ti prego, ti prego.
 
Non ti svegli. I cardini della porta non cigolano -Dio benedica la signora che gestisce questo posto-, ho aperto la porta.
 
Non può essere, dev'esserci un inghippo, eppure eccomi qua, con la porta aperta davanti a me.
La chiave del portone, come ci ha detto la proprietaria, è nel vaso a destra, perché l'apertura automatica costava troppo.
Sulla stessa strada c'è un auto noleggio 24 ore su 24, ho visto l'insegna quando siamo arrivati. Non so quanto costi una macchina, ma i soldi che ti ho preso ingrossano parecchio la mia tasca, e devono essere tanti.
Non so dove dovrei andare, ma se c'è un auto noleggio ci sarà anche un tizio che mi dirà che direzione prendere.
 
Tu dormi. Scusa, Matthew.
 
Si può fare Dom, ci sei.
 
Ti guardo un'ultima volta, ed esco.
 
***
 
Quando metti la mano nella tasca della mia giacca sono fiero di te.
A volte sapere le cose prima che succedano può tornare utile, perché così ho avuto il tempo di riempire quella tasca di soldi.
Grazie, mamma.
 
Dovrebbero essercene abbastanza per un'auto, qualcosa da mangiare, una cartina, e altro.
 
Ora sei sulla porta fermo. Dai, Dom.
Puoi farlo.
 
Mi guardi con quell'aria un po' indecisa, e sei pericolosamente bello mentre lo fai.
Poi esci.
 
Dalla stanza, da questa situazione di merda, dalla mia vita.
 
Sorrido, perché sono felice per te.
Ho gli occhi bagnati, perché vorrei poterti seguire.
 
 
*** *** ***
 
 
Bene... ecco qui! *v*
Che ne pensate? *nulla*
Se avete voglia ditemelo!
 
Grazie a e grazie per aver letto, ci vediamo al capitolo 4!! c:
 

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Capitolo 4
*** Fury ***


E rieccomi qui! ^^ Ciao!
 
Allora, allora, innanzitutto voi:
 
N e N a ~ Grazie mille! ^^ Sì, non ti preoccupare, per ora sto aggiornando abbastanza velocemente, spero di mantenere il ritmo! Forse questo capitolo ti chiarirà un po' le idee! 
 
Irene ~ Ciao! >w< allora, come al solito grazie, sei gentilissima! Questa parte dovrebbe chiarirvi qualcosa, quindi spero di dissolvere tutti i vostri dubbi! *aria mistica*
 
Ruvidina ~ Eh, che vuoi farci, non posso troppo scostarmi dalla storia, mannaggia! Tranquilla per il ritardo! ;)
 
Linnea ~ Ma figurati! Che piacere che continui a seguire! Sul fatto del verosimile mi sto impegnando molto, (anche se non si direbbe, lo so, che vuoi, è AU! ;D)! Grazie della fedeltà!
 
A li ~ Ciao!!! Sì, hai ragione, la scena della doccia voleva un attimo alleggerire la tensione *quale tensione?* della storia *nosebleed*, quindi speravo di togliere un po' di angoscia a voi che leggete! ^^ Sono felice che ti sia piaciuto anche questa volta! Cheers!
 
Ecco fatto! 
 
Dunque io penso che con questo capitolo il rating giallo possa pure andare il vacanza, perché mi sa che qui l'ambiente è arancione. >.> Ditemi voi!
 
Buona lettura!
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
 
Fury
 
 
Ho guidato tutta la notte senza soste, ma non ho sonno. Ho fretta.
Fretta di tornare a casa, fretta di rivedere mia sorella, mia madre e mio padre, fretta di riprendere la mia vita.
 
Mentre la macchina corre veloce sulla strada penso a Matthew, che ora sembra così lontano. So che si saranno già accorti della mia fuga, probabilmente li ho svegliati appena ho richiuso la porta.
 
La sensazione di libertà lascia posto all'ansia e al senso di colpa, perché so che mi possono raggiungere e perché non so cosa potrebbe succedere a Matthew.
Accelero inconsapevolmente.
Chissà, magari in altre circostanze saremmo addirittura diventati amici. O più.
 
Ecco. Ancora.
Tranquillo Dom, ora torni a casa, con la scuola, i tuoi e tante belle ragazze. Femmine.
... Sì, esatto.
 
Mi passo la mano sulla faccia e mi accendo una sigaretta. Ho rubato il pacchetto da Matthew. Mi sembrava il minimo.
Mi guardo la mano sinistra, poggiata sulla leva del cambio, e la fasciatura.
Mi sento in colpa.
 
Faccio due lunghi tiri, finché non mi cade lo sguardo sullo specchietto retrovisore.
 
No.
No, no, no!
Non è possibile, cazzo!
 
C'è un furgoncino bianco.
 
Accelero.
Ok, Dom, calma, l'Inghilterra è piena di quei furgoncini bianchi.
 
Non è il nostro.
Cioè, non è il loro.
 
Accelero ancora.
 
Le lacrime lottano per uscire ora, perché ha accelerato anche lui.
 
Impreco, cerco di stringere le curve, di tagliare la strada, ma è sempre più vicino.
 
Cazzo, come minimo mi ammazzerà.
 
Sterzo bruscamente, c'è del ghiaccio sulla strada, l'auto slitta, gira, è finita, e sono sull'erba a lato della strada. Vivo.
 
Sento un rumore di freni e poi uno sportello, e allora mi precipito fuori, corro, non so bene dove, tra gli alberi, ci spero ancora, e sono sempre stato una frana in ginnastica, ma ora corro come non ho mai corso prima.
 
Passi sempre più vicini, cerco di essere più veloce, corri Dom, corri.
 
No, ti prego no.
 
Un peso si aggrappa alla mia schiena da dietro, mi placca, e cado, con la faccia con il mento, con le ossa, con tutto.
Atterrato. 
 
Posso ancora farcela, non ci penso due volte, mi giro e gli tiro un pugno.
 
Lo prendo in piena faccia, ma non si smuove di lì. 
 
Sgrano gli occhi.
Stan è a cavalcioni su di me e mi sta puntando una pistola in faccia.
 
***
 
Quando apro gli occhi la stanza gira vorticosamente, e mi trapassa le tempie, quindi li richiudo e aspetto un po'.
 
Del resto l'avevo previsto, no?
 
Dopo qualche minuto raccolgo tutte le mie forze e mi sollevo, seduto, ma in realtà mi ripiego subito in due, sputando, perché ho la bocca piena di sangue.
 
Mi passo una mano sulla faccia e il dolore mi fa gemere.
E anche il naso è andato. Perfetto.
 
Non so come, ma riesco a sistemarmi con la schiena contro al muro e le gambe distese, per un veloce controllo danni.
Credo di aver perso conoscenza al terzo pugno.
Gambe. Ok.
Braccia. Ok.
Pancia. Mi sollevo la maglia. Un po' meno ok.
 
Mi tocco di nuovo il naso, non credo sia rotto, me l'ero già rotto a tredici anni e mi aveva fatto molto più male di così.
 
Muovo un po' il collo e le spalle. Bene, dai, poteva andarmi peggio.
 
Quindi. 
Stan ha visto che Dom era scappato e mi ha massacrato di botte.
E si sapeva.
 
Prossima domanda: dove cazzo sono?
 
Sembra la stanza dove tenevamo Dom, ma è un po' diversa. È più piccola, e il letto non c'è, con le pareti dello stesso anonimo cemento grigio e il tubo sul soffitto.
 
Sospiro.
Sento dei passi. Oh cazzo.
Avrà deciso di farmi fuori.
Sono troppo debole per qualsiasi tipo di reazione, quindi rimango inerme a fissare la porta blindata davanti a me, seduto.
 
Si apre e non ci credo.
 
C'è Stan, ma cos'ha sulla spalla, è come un sacco, e...
 
Dominic.
No.
Dominic.
 
Il terrore mi si dipinge in faccia e non so fare altro che fare scattare gli occhi tra te e lui.
 
Dominic.
 
Stan mi sorride senza gioia:"Sei contento, ora stronzetto?"
 
Poi ti prende a due mani e ti poggia a terra, senza delicatezza, con la testa sulle mie gambe.
 
Controllo subito che tu sia vivo.
Respiri piano, debolmente, come quando ti abbiamo preso la prima volta.
 
"Hey, Matt" chiama ancora Stan con quel sorriso che mette i brividi:"Sai..."
Si ferma a ridere in modo soffocato. Che schifo.
"Ah, scusa, ragazzo, ma è troppo comico, tutto questo, dico, capisci? Così mi sono detto..." gli si illuminano gli occhi:"Mi sono detto, 'hey', sì così, 'hey, Stan, qui non siamo molto lontani da Teignmouth, giusto?' e..." 
Altra risata soffocata. 
È completamente pazzo.
"Sì, allora ho pensato che domani potrei andare, sì, e... fare visita alla mamma, eh? Che dici?"
 
Figlio di puttana.
 
"Tu non..."
"Io non... cosa, Matt?"
 
Lo ammazzo, lo ammazzo, questo stronzo.
Mi tiene fermo solo la consapevolezza di essere in netto svantaggio fisico.
 
Devo solo farlo ragionare:"Non era... avevi detto che..."
"Cosa? Non era cosa, Matt? Non era nei piani? E avevo detto cosa? Te lo dico io cosa avevo detto, Matt: io avevo detto che se tu fossi scappato sarei venuto lì e avrei ucciso tua madre, vero?" sorride:"Ma non trovi che aiutare lui a scappare sia lo stesso? Ne è valsa la pena, Matt? Eh?" sta alzando la voce, ora:"Ne è valsa la pena di sacrificare tua madre per questo stronzo?"
 
"Tu sei completamente pazzo." sibilo.
"Va bene, Matthew. Vediamo quanto sarò pazzo quando tua madre sarà morta."
 
È troppo. Mi lancio letteralmente su di lui, lo butto a terra e inizio a picchiarlo, forte, con cattiveria, ma ovviamente arrivano a destinazione solo due pugni, perché poi riesce a bloccarmi subito.
 
Ora mi sta tenendo per il colletto della camicia, quasi mi solleva da terra, mentre con la sinistra mi tiene i polsi.
Mi sussurra all'orecchio:"Ora ascoltami bene... stasera passerò di qui per portare la cena a voi due cani, quindi ti conviene farti trovare tranquillo, così magari mi dirai qual è l'ultimo messaggio che vuoi portare alla signora Bellamy, ok?"
 
Mi lascia di scatto, sono per terra, lui ha già richiuso la porta.
Inizio a picchiare contro il ferro con la mano aperta, a gridare:"Sei un figlio di puttana! Mi hai sentito? Mi hai sentito?", ma a vuoto.
 
Vorrei spaccare tutto, ma non c'è nulla, in questa fottuta stanza.
Allora mi prendo i capelli, stringo i denti, cerco di ricompormi.
 
'A mente fredda, Matt. A mente fredda.'
Me l'avevi detto tu, mamma, quando avevo picchiato quel ragazzino, a scuola. 
Diceva che ero gay.
'Se ragioni per bene, puoi sempre trovare le parole per risolvere la situazione. Andrà tutto bene'
Andrà tutto bene.
Non ti eri neanche arrabbiata.
 
Ora ti guardo, Dom, sdraiato in modo innaturale su un fianco, perché per buttarmi addosso a Stan ti ho spinto via dalle mie gambe, ma non riesco ad incolparti per tutto questo.
 
Non riesco neanche a realizzare.
 
Mi rimetto dove ero prima, ti sistemo un po' le braccia, il corpo, ti alzo la maglia per vedere se sei ferito. Niente.
Grazie al cielo.
 
Sono come in trance, mentre ti accarezzo i capelli, e mi ripeto come una nenia che andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrà tutto bene.
 
***
 
Stavolta riconosco subito il tuo profumo, quando mi riprendo.
 
Apro gli occhi, provo a muovermi, ma la fitta arriva dalla schiena. 
 
Giro la faccia, e ti guardo, da sotto, a fatica perché ho il cazzo di neon puntato degli occhi.
 
Non è possibile.
Non è possibile, ero a un passo dalla libertà.
Non è possibile.
 
Finalmente ti giri anche tu, mi guardi, ma non dici nulla.
Aspetta. Perché sei ferito? Dove...
Ok, Dom, ora ti svegli e sei nel tuo letto.
Non so neanche da che domanda cominciare. 
Perché sei con me, in una stanza che non ho mai visto prima, perché sei  ferito, perché non siamo sul furgoncino o alla pensione, perché, perché, perché?
Verso qualche lacrima, poche, in realta, più di rabbia che d'altro.
 
Respiro a fatica:"Matthew, perché sei... ferito?"
Si gira, con aria assente:"Mh?"
"Perché sei ferito?"
"Stan."
"C-Come mai avrebbe dovut..."
"Perché ti ho lasciato scappare."
"Eh? 'Lasciato'?" cerco di formulare, cercando di combattere un fiatone che non dovrei avere.
"Sì, ho lasciato la chiave e i soldi nella giacca perché li trovassi."
 
Fermi tutti. Non ci posso credere.
 
"Perché?"
"Non lo so."
"Cosa succederà, ora?"
"Niente." hai ancora lo sguardo perso davanti a te:"Proprio niente."
 
Rimango in silenzio per un po', finché non chiudo gli occhi, e l'ultima cosa che mi ricordo sei tu che mi accarezzi la testa.
 
***
 
 
Sensitivo: Persona in grado di provocare fenomeni metapsichici e/o paranormali (vedi medium).
 
 
Mi ricordo che c'era stato un periodo, avrò avuto cinque o sei anni, in cui ti invidiavo, perché tu sapevi farlo e io no.
Mi ero anche imparato la definizione a memoria, sai mamma?
Vedevo solo il lato magico della cosa.
 
Tu venivi tormentata, dalle voci, dalle visioni, e io mi sedevo sulle tue gambe e ti chiedevo come avessi fatto, e se potessi insegnarmelo.
 
Un giorno ti avevo chiesto se, prima o poi, sarebbe successo anche a me, ma l'avevo fatto senza malizia, per chiedere. Tu non mi avevi risposto, e da quel giorno le cose sono cambiate, tra noi.
 
Poi una notte ho sognato la zia Jane, che mi diceva che l'indomani sarebbe morta in un incidente.
Mi ero svegliato piangendo ed ero corso da te.
 
Il mattino dopo hai ricevuto una telefonata, hai sbarrato gli occhi e hai lasciato cadere la tazza.
Stavi bevendo il caffé.
 
Ti sei messa piangere, mi hai abbracciato, 'Mi dispiace', 'Mi dispiace', dicevi.
 
E invece questa... connessione, mamma, quella che ti fa sapere che sono vivo, è anche la stessa che ti regge in piedi.
 
Dopo sono diventato insonne, poi sono diventato un teppista, poi un disadattato, poi il complice di un rapimento.
E ora cosa sono? Un omicida?
 
Guardo Dominic, sulle mie gambe. Dorme.
 
C'è ancora qualcosa che posso fare.
 
*** *** ***
 
Ecco qui.
 
SUPER DISCLAIMER AGGIUNTIVO:
matt e dom non sono miei, né mi pagano, e matt non è sensitivo.
(La madre si. Ma questo lo sapete!)
 
Grazie a  e n d l e s s l y (ce l'ho fatta a capire come non far sparire il tuo nome ^^) e a tutte voi!
Ciao, alla prossima! *v*

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Capitolo 5
*** Pushing us into self-distruction ***


Buonasewaaa!!! ^^
 
Eccoci alla fine di questa fic, come sono triste! T.T 
La verità è che non mi sarebbe spiaciuto allungarla, ma la storia era questa, quindi non potevo tergiversare! T.T Voi mi capite, vero? *no*
 
Questo ultimo capitolo è stato molto difficile da scrivere per me, quindi non so proprio come potreste reagire! ^^ Spero vi piaccia.
 
Alloooora, rispondiamo alle fedelissime! <3
 
aleale00 ~ Eh, sì, molto angst, ma I love drama, che vuoi farci? :) Grazie di aver continuato sempre a seguire!
 
A li ~ Sì, lo so, era breve, mi spiace!!! *si dà una padellata in testa* E riguardo quello che ha detto Matt in realtà un motivo c'è... *aura di mistero* spero che questo capitolo chiarisca le idee! :) Grazie per aver scritto!
 
Lilla ~ Ciao! Una nuova lettrice, che bello! Ti ringrazio moltissimo per le cose che hai scritto, sono contenta che la mia storia ti abbia appassionato, mi fa molto piacere! ^^
 
Nota > In questo capitolo sono protagonisti argomenti delicati, come la morte, quindi, anche se ho cercato di trattarli nel modo meno pesante possibile, potrebbero urtare la sensibilità di alcuni: nel caso mi scuso da subito.
 
Bene, bene, abbiamo detto proprio tutto!
Buona lettura! *v*
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
 
Pushing us into self-distruction
 
 
Ho sempre odiato il natale.
 
Quando avevo tredici anni abbiamo passato il nostro primo natale senza papà, e l'avevo odiato.
Avevo odiato papà, avevo odiato passare il natale senza papà, avevo odiato il natale stesso, e l'albero, con i suoi colori isterici e sgargianti che non c'entravano un cazzo con la situazione.
 
Avevo odiato aprire i regali, e avevo odiato la gioia di trovarci dentro quello che volevo, perché ti avevo detto di non spendere, cazzo.
 
E invece tu mi avevi preso quel libro, quello sullo spazio di cui mi sono imparato ogni singola parte a memoria, e quell'orologio, e quella chitarra, la mia prima chitarra.
 
Avevo odiato la messa, perché chi devo pregare, se non credo più a nulla?
 
Avevo odiato il fatto che per la prima volta non ci fossero regali anche per te.
 
 
Guardo l'orologio, quello che mi hai regalato tu per quel natale.
 
'Christmas'.
Mi dà fastidio anche la parola.
'Christmas'. 
Why would I have to pronounce it 'Christ-mas', like 'Chris'? It's supposed to be 'Christ', the name, isn't it?
 
Questo natale non lo festeggerò, è poco ma sicuro. E mi va già di lusso.
 
È l'una del pomeriggio, siamo senza pranzo e Dom sta recuperando il sonno perso da questa nottata in bianco.
 
Sulle mie gambe.
 
Giro un po' la testa e ti guardo dormire.
Ciao, Dom.
 
Tocco la tasca dei jeans, le mie pastiglie sono ancora lì. Sono quelle forti, quelle per casi gravi.
 
Non funzionano, sai mamma? Non dormo comunque.
 
E quello stronzo vuole ucciderti. 
Domani. 
Non lo farà, mamma, te lo giuro.
Sono tranquillo. Non morirai.
 
Di nuovo, mano sulla tasca, le pastiglie sempre lì. 
 
Tiro fuori la scatoletta cilindrica, arancione, anonima, l'etichetta vuota, e ne guardo il contenuto.
 
Stai tranquilla mamma, nessuno ti farà male.
 
Tolgo il tappo, fa quel rumore, 'pop' tipo, che quando ero piccolo mi faceva tanto ridere.
 
Faccio cadere una compressa sul palmo della mano. Tanto non funzionano.
Me la metto in bocca e ingoio.
 
Aspetto.
 
Ne tiro fuori un'altra.
Me la metto in bocca, ingoio.
Ne tiro fuori un'altra.
Bocca, giù.
E ancora un'altra.
In bocca, giù.
In bocca, giù.
Sei, sette pastiglie.
In bocca, giù.
In bocca, giù, lo sguardo fisso davanti a me.
 
Finite.
Fatto.
 
Stan vuole ucciderti.
Stan vuole ucciderti perché sei la mia unica garanzia, l'unico motivo che può usare per tenermi con lui.
 
La scatoletta è vuota, ora.
 
Voglio proprio vedere se Stan si prenderà la briga di ucciderti, mamma, dopo che verrà a darci la cena e mi troverà morto.
 
Dominic.
 
Faccio scorrere gli occhi lungo il tuo corpo, disteso alla mia sinistra. Le converse nere, i jeans, la mia maglia -hai ancora la mia maglia?- che ti ho dato alla pensione, nera. E ancora, la giacca nera. E poi biondo.
 
Prendo due ciocche dei tuoi capelli e le confronto, una biondissima, l'altra quasi castana, senza nessuna sfumatura intermedia. Che stranezza.
Prendo la parte chiara tra indice e medio e ne tasto la morbidezza, da radice a punta, da radice a punta, piano.
 
Ti accarezzo ancora un po', e come vorrei che il tempo si fermasse, e ti passo le mani sul viso, sulle guance, fino a sentire sotto i polpastrelli i capelli sottili, nuovi, dell'attaccatura, dietro alle orecchie.
 
E non mi accorgo di essermi mosso finché non sono lì, accanto a te, piegato scomodamente per non svegliarti, la mia mano sinistra a sostituire le mie gambe, la mia mano destra sul tuo viso, la mia bocca a un centimetro dalla tua.
Sento il tuo respiro debole.
 
Tanto non ho nulla da perdere.
 
Non ci penso più, ed elimino la distanza rimasta tra noi, e fanculo se ti svegli, e fanculo se mi griderai che faccio schifo, e fanculo tutto, perché ora le mie labbra sono contro le tue, ti vedo attraverso le ciglia dei miei occhi socchiusi, e tutto il resto non c'è.
 
E quando apri gli occhi mi attacco a te ancora di più, perché tra poco come minimo mi darai un pugno, quindi tanto vale godermelo finché non capisci che cosa sto facendo.
 
E invece no, apri gli occhi, e per un attimo li apri ancora più del normale, poi li richiudi, e mi prendi la testa, ma non so perché, e non mi stai spingendo via, ma le dita si intrecciano nei miei capelli sulla nuca, e cominci a baciarmi anche tu, e siamo una cosa sola.
 
***
 
Non so perché, non so se è giusto, ma fa stare bene, e nulla è sbagliato se ti fa stare bene.
 
Nessuno smette per primo, lo facciamo nello stesso momento, e allora ho la conferma che no, non c'è niente di sbagliato, in tutto questo.
 
Abbasso gli occhi, mi brucia la faccia, ma non me ne vergogno, né me ne pento, è solo emozione.
 
E ora ti sei sollevato, hai tolto delicatamente la mano da sotto la mia testa e ti sei messo seduto, alla mia sinistra, a guardarmi con quell'aria un po' imbarazzata di chi sa di averla fatta grossa, come quella dei bambini.
 
Sei vestito di nero, come al solito, ma non riesco a vedere il nero se non come contrasto con i tuoi occhi chiari.
 
Ora mi sono alzato anch'io e mi sono messo la mano sulla fronte, lo faccio quando sento caldo, uso le mani fredde come se fossero ghiaccio.
 
E siamo uno accanto all'altro, zitti, ma non pesa, non c'è bisogno di dire qualcosa per riempire questo silenzio.
 
Quanti minuti sono passati? Non lo so.
"Matthew."
Sorridi, tu, con aria assente, come se ti fossi ricordato di qualcosa di bello:"Mh?"
"... No, nulla."
"Che c'è?"
"... No, niente. È che non mi era mai successo."
Ed è vero.
Non specifico cosa non mi è mai successo, se il bacio, il bacio con un maschio, o quello che sento ora. Ti lascio con il dubbio.
"Neanche a me."
Ecco. Chi la fa l'aspetti.
 
Ti prendi la faccia tra le mani.
"Sei stanco?"
"Eh?" ti giri con un sorrisino.
"Sei stanco?"
"... Sì, abbastanza, ma non è nulla d..."
"Perché non riposi?"
"No, no, c'è... tempo, per riposarsi." sorridi ancora, cos'avrai in testa, poi, lo sai solo tu.
Ti abbraccio, non me ne frega niente se è strano o imbarazzante, e mi abbracci anche tu.
"Come vuoi."
 
***
 
"Perché non riposi?"
"No, no, c'è... tempo, per riposarsi." 
 
Una stilettata nel cuore.
Eh, no, Dom, così non vale.
Dopo mi riposo, Dom.
 
Scusa.
 
"Matthew."
Cazzo. Non mi abituerò mai:"Cosa?"
"Mi ucciderà?"
"No, Dom. L'avrebbe già fatto."
"E allora cosa?"
"Dom."
"Sì?"
"Il tuo compleanno lo passerai a casa."
Ora il tuo sorriso è amaro:"E tu come lo sai?"
"Lo so e basta."
Sono serio, e ti accarezzo la testa, mentre tu ti accoccoli con la faccia nell'incavo del mio collo:"E tu?"
"E io?"
Soffi con il naso, lo sento sulla pelle:"E tu dove sarai?"
"Non qui." ed è vero.
 
Hai smesso di farmi domande, e sono quasi le quattro, ormai.
 
Ho un peso sullo sterno, che mi fa respirare male, e penso che sia tu, ma non sei tu, tu sei più in alto.
 
Ma cosa... Ah, beh, certo. Quasi dimenticavo.
 
Guardo ancora l'orologio. Le quattro e cinque. Sì. Sta per iniziare.
 
Ti do un piccolo bacio sui capelli.
 
***
 
Credo sia fuori luogo, ma ora siamo io e te, fuori dal mondo, quindi te lo chiedo:"Senti... già che siamo... in vena di rivelazioni... quand-cioè, quando..."
"... Ho capito di essere gay? O quando ho capito di essermi innamorato di te?"
 
'Innamorato'.
Allora non sono io che esagero.
 
"In realtà volevo sapere la prima ma... anche la seconda è interessante."
"Alle medie e subito."
Avvampo:"Subito."
"Sì." sei serissimo, tu.
"E... me lo dici così?"
E sfoderi una delle tue facce sarcastiche meglio riuscite di sempre:"Vuoi che te lo dica mentre ti faccio uno spogliarello?"
Ma che...?
"No... Er... As-ascolta, i-io non sono abituato a-cioè..."
Ora ridi di gusto, leggero.
"Tranquillo."
"No, io... non pensavo che me l'avresti detto immediatamente, io..."
"Te l'ho detto perché oggi sono in vena di confessioni."
Annuisco energicamente:"Dovrei sfruttare questo momento?"
Ridi ancora:"Vedi un po' tu."
"Mi dirai tutta la verità?"
"Non ho motivo di non farlo." 
Perché mi guardi in quel modo, Matthew?
"Però sappi che è solo oggi!" Pausa:"Anche perché se mi avessi chiesto queste cose in altri frangenti ti saresti potuto scordare una risposta diversa da 'vaffanculo'!"
Rido.
 
Bene:"Ti ho in pugno, allora."
"Ora non ti gasare."
 
***
 
 
C'è una foto che porto sempre con me. Ormai è distrutta, piegata in quattro parti, ma c'è.
 
C'è il mare, e davanti ci sei tu, con me in braccio, ed era il giorno dopo il mio sesto compleanno, perché avevo in mano la macchinina nuova. 
Ce l'aveva scattata papà, me lo ricordo. Io ti stavo mostrando qualcosa in mare, e tu mi avevi detto di girarmi, che ci facevamo una bella foto.
 
E ora questa foto è qui, nei miei jeans, tasca sinistra. Ma c'è.
 
 
Mi hai fatto domande innocenti, fino a ora, Dom, eppure ti ho detto che puoi chiedermi quello che vuoi.
Mi hai chiesto se sono allergico a qualcosa, ad esempio. Io ti ho detto di no, e tu di rimando mi hai detto di essere allergico alle mele, così ho riso e ti ho detto che è un'allergia carina. In altri frangenti avrei alzato le sopracciglia e ti avrei detto che sei uno sfigato. 
 
Ma questo è il mio ultimo pomeriggio, e non voglio filtri, non più.
 
Poi mi girava un po' la testa e ti sei preoccupato, ma ti ho detto che era per la stanchezza.
 
Sei andato avanti con domande di questo genere, finché non mi hai chiesto se suonassi qualche strumento, io ti ho detto di sì, il piano e la chitarra, e allora ho scoperto che suoni la batteria. Magari in un'altra vita formeremo una band e diventeremo ricchi, ti immagini?
 
A quel punto mi sdraio, perché ho le vertigini, e tu ti spaventi, e metti le gambe sotto la mia testa, accarezzandomi.
"È per il cibo, secondo me, sai? Ma tanto tra poco ceniamo, non preoccuparti." e mi accechi con uno dei tuoi sorrisi.
"Sì, io..."
 
E ora sono quasi le sei.
Ci siamo.
 
***
 
"Sei diabetico?"
Mugoli qualcosa, ma non rispondi.
"Matthew, sei diabetico?" ripeto più ad alta voce. Mi sto spaventando sul serio.
"Mh... no..."
"Hai qualche malattia, o cose simili?"
"... No..."
"E allora che cazzo hai?"
"Nulla, io... solo... stanco..."
"Cosa?"
"Insonnia..."
"Soffri... soffri di insonnia? Hai bisogno di qualche pillola?"
"... Prese..."
 
Ormai stai delirando e ti faccio altre domande, ma non rispondi più.
Ribalti gli occhi per un attimo e inizi a passarti la mano sulla fronte, come a togliere a forza una macchia inesistente.
 
Allora mi alzo, mi butto contro la porta, e grido, chiamo Stan, prendo a calci il ferro e grido ancora, cazzo, ho le lacrime agli occhi, e grido, e cerco aiuto, ma non mi sente nessuno.
 
Un verso timido mi fa girare di nuovo verso di te. Non mi sente nessuno. Non mi sente nessuno, da questa cazzo di stanza, nessuno.
Allora ti prendo la testa e me la appoggio sulla pancia, ti abbraccio, ti ripeto che andrà tutto bene, e non oso chiederti se ti è già successo altre volte, perché se mi dicessi di no potrei impazzire.
 
Sto lì, cullandoti, con un dondolio ipnotico, tu ti sei addormentato, o probabilmente sei svenuto, ma voglio pensare che tu stia dormendo.
 
Non so quanto passa, potrebbero essere ore, o minuti, che sento dei passi affrettati provenire dall'esterno.
 
Sento una voce che non conosco, più voci che non conosco, e un'altra voce, che le sovrasta tutte, e che grida:"Ragazzi! Ragazzi, siete lì?"
 
Non so cosa grido di risposta, ma ti prego, fa' che questo rumore di ferro sia la chiave nella porta, fa' che ci portino fuori di qui, ti prego.
 
Divise blu, pistole, torce, fuori.
 
Non sento i rumori, non sento nulla, vedo due poliziotti chini su di te e cerco di avvicinarmi anch'io, ma mi trattengono, qualcuno cerca di rassicurarmi, e grido, e uno dei due sta chiamando l'ambulanza, e uno dei due scuote la testa.
 
Mi tengono, mi dicono che mi riporteranno a casa, chiedo dov'è Stan, e mi ripetono che è tutto finito.
 
Il viaggio in macchina dura pochissimo, o tantissimo, è tutto fuori dal tempo.
 
Sono a casa.
 
Rivedo mia madre, mio padre, mia sorella, e sono a casa, e li abbraccio forte come se potessero togliermeli. 
Piangono tutti, ma piangono di gioia, e grazie agente, dovere, signora, ed è tutto finito.
 
Quella sera ceniamo insieme, e vi rassicuro, vi parlo di come ero quasi riuscito a scappare, e piangiamo ancora, ma è un pianto leggero, liberatorio. Vi parlo di tutto, ma non di Matthew. Vi parlo poco, di lui, e sono sfuggente.
 
Appena il mio pensiero sfiora lui, sto già male.
 
Vi chiedo come abbiate fatto a trovarmi, mi parlate di una signora, in una pensione, che si era ritrovata con una stanza distrutta, la nostra, e c'era del sangue per terra, il suo.
 
Perché mi aveva lasciato scappare.
 
Mi avete detto che avevano mostrato la mia foto alla signora, e lei mi aveva riconosciuto.
 
Mi avete detto che cercavano Stan già da un po', e che da lì non è stato difficile trovarlo.
 
Mi avete chiesto ancora se mi avessero costretto a fare qualcosa che non volevo, vi ho ripetuto di no.
 
Ho paura che tutto sia un sogno, quindi inizio a toccare tutto, in casa, a ritrovare le cose che avevo lasciato.
 
Ripenso a Matthew, e una sensazione di vuoto mi mozza il fiato.
Ho paura di chiedere cosa ne è di lui.
 
E non riesco a dormire.
 
Mi sveglio prestissimo, già senza sonno.
È tutto vero. Sono a casa, e non mi sono mai sentito più libero di così. Libero di scendere le scale in mutande, libero di fare colazione con due brioche piene di nutella da far schifo, libero di uscire in giardino a fumarmi una sigaretta.
 
Sono libero di fare quello che voglio, ma stamattina non faccio nulla di tutto questo. 
Vi abbraccio, vi bacio, 'buongiorno', 'ti voglio bene', 'mi sei mancato'.
 
Sono già vestito:"Esco, casa Howard!" annuncio.
"Oddio, tesoro, stai..."
"Oh, mamma, dai!"
Lei mi sorride imbarazzata:"Ok"
Mi sistema il colletto della giacca:"Ma non ritardare troppo, va bene?"
"Ok" sorrido di rimando.
 
Ho carpito il posto dove ti hanno portato, Matthew, sei al Dawlish, ora.
Prendo l'auto, guido veloce, sto arrivando.
 
Padiglione D, piano due, corridoio sei, stanza uno.
 
La stanza non la riconosco dal numero, ma dalla donna che ne esce.
 
"Buon... Buongiorno, signora Bellamy."
Lei si gira, la faccia stravolta:"Oh... Tu... tu devi essere Dominic."
"Er... sì."
"Matthew mi ha parlato di te."
"C-Come sarebbe a dire... Com'è possib..."
"Io stavo... andando a prendere qualcosa da mangiare, se vuoi credo che..."
"Sì, io vorrei vederlo."
Sorride, uno di quei sorrisi pieni di dolore:"Certo."
Fa per andarsene ma la chiamo indietro:"Signora Bellamy!"
"Sì?"
"Suo figlio... lui non è un criminale."
Soffia con il naso e sorride ancora:"Lo so. Lo so."
 
Sei attaccato a delle macchine, sei l'unica cosa viva in questa stanza asettica. Ho sentito parlare dei dottori, fuori da qui. Bisbigliavano, ma ho sentito la parola 'sibilo'. 
'Sibilo'.
'Sibile'.
'Irreversibile'.
 
Come vorrei non averci fatto caso, ma ora lo so. Sei in coma. Sei in coma da overdose di barbiturici. Di pillole. 
Ti sei ammazzato. 
Ti sei ammazzato per salvare tua madre.
 
Sarebbe bastato che aspettassi un cazzo di pomeriggio.
 
Ti guardo, così indifeso nel tuo letto. Vorrei pensare che ti sveglierai e mi dirai che è tutto finito, e che potremmo uscire qualche volta, ma la verità è che non ti sveglierai più.
 
Guardo il tuo viso, finalmente riposato, finalmente in pace, i tuoi capelli, l'unico punto nero, che macchiano il cuscino, in questa stanza fatta di latte.
 
Ed è la prima volta che ti vedo vestito di bianco.
E sei bellissimo.
 
*** *** ***
 
...
 
Er... eccomi! 
 
Dunque, avevo deciso questo finale già dalla notte dei tempi, quindi non odiatemi, vi prego! >.> È stato difficile anche per me!
 
Ah, è importante che sappiate che con il titolo "Pushing us into self-distruction" sto pensando all'ULTIMO "Pushing us into self-distruction" che canta Matt in Showbiz, non il primo! Cioè, se volete canticchiare (?) il titolo, sappiate che si tratta di quello a metà canzone! Quindi cambia l'intonazione! *è pazza*
So che è inquietante precisarlo, però io ve lo dico. >.>
Inoltre showbiz è una delle mie canzoni preferite in assoluto dei mius *ma chissenefrega?*.
 
Ok, abbiamo detto tutto! Ormai siamo giunti al termine! :(
Grazie a  e n d l e s s l y, a chi ha seguito in silenzio e soprattutto a chi ha continuato a recensire! 
 
Questa era la mia prima fic, spero che ne seguiranno altre! Ho già qualcosa che mi frulla in testa, in realtà... :)
 
Quindi, un bacio e a pwesto! ^^
*agita la mano in lontananza (?)*

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