Nuovi Inizi

di Melora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Proposta ***
Capitolo 3: *** L'Incubo di Ellie ***
Capitolo 4: *** Tim e Lex ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


NOTA DELLA TRADUTTRICE: Nuovi Inizi è una bellissima fanfic scritta da Yvonne

NOTA DELLA TRADUTTRICE: Nuovi Inizi è una bellissima fanfic scritta da Yvonne. L’ho trovata per caso e me ne sono innamorata, d’altra parte io adoro i dinosauri!

Attenzione! Non stupitevi se alcune frasi o parole non sono tradotti alla lettera. Credo che sia importante dare alle traduzioni una melodia tutta loro, il che significa di tanto in tanto modificare la forma delle frasi, anche se non il significato.

Potete trovare la fanfiction originale qui: http://www.fanfiction.net/s/794276/1/

Sarebbe carino se recensiste direttamente a lei in inglese, se non potete comunque le tradurrò i commenti e glieli invierò.

Potete trovare il sito di Yvonne qui: http://www.angelfire.com/film/newbeg/

C’è diverso materiale interessante relativo alla fanfic, compresa una utilissima mappa dell’isola!

Grazie a tutti! Critiche costruttive alla mia traduzione e commenti sono più che graditi!



Prologo



Un uomo, con una latta di pittura in mano, si arrampicò sulla scala vicina. Versò la pittura nel vassoio e lasciò cadere la latta vuota. Il suono della latta che colpì il pavimento echeggiò attraverso la stanza sotterranea. L’uomo iniziò ad applicare la seconda mano di pittura all’alto soffitto della stanza. Si trovava nella porzione sotterranea di un edificio denominato “CENTRO VISITATORI”. Per circa un’ora aveva lavorato a un buon passo.

Mentre continuava a imbiancare, tenne lo sguardo puntato sulle enormi vetrate per la visione subacquea che si aprivano su una delle pareti. Era a questo che la stanza serviva, ad osservare qualsiasi cosa fosse nell’acqua. L’uomo continuò a cercare di vedere ciò che immaginava essere un qualche tipo di pesce tropicale ma si ritrovò deluso quando non vide nulla.

Girò la schiena alle vetrate, continuando ad imbiancare il soffitto. Fu allora che udì un tonfo, proprio dietro di lui. Si girò velocemente e guardò attraverso una delle vetrate. Niente. Scese qualche gradino della scala e guardò attraverso l’altra vetrata, più lontana. Niente.

Quando tornò a guardare attraverso la prima vetrata, quello che vide gli strappò un grido. Là, proprio di fronte a lui, c’era un enorme occhio, che sbirciava all’interno della stanza dall’altra parte del vetro rinforzato. L’occhio era gigantesco ma quando la creatura si spostò un po’ più in alto, riuscì vedere i suoi denti. Erano anche più grandi. La vista terrorizzò l’uomo. Cercò di scendere la scala ma la paura lo colse. Il piede scivolò su uno degli scalini e l’uomo piombò a terra. Il suono del suo corpo che colpiva il pavimento risuonò attraverso la stanza, proprio come quello della latta vuota.

Quando si mise a sedere, la creatura era svanita. Rimase seduto, tremando leggermente e cercando di riprendere fiato. Iniziò a sentire un dolore al petto, cosa che lo spaventò ancora di più. Finalmente riuscì a mettersi in piedi e camminò verso la porta. In quel momento udì di nuovo il tonfo. Non voleva di certo vedere ancora quella cosa orribile dietro il vetro ma si costrinse a guardare. Niente.

L’uomo sospirò di sollievo e mosse qualche passo verso la porta. Si guardò indietro un’ultima volta, solo per essere sicuro, e lo vide. C’era una creatura più piccola che nuotava dietro il vetro, ora. Molto più piccola della prima orrenda cosa che aveva visto. Il modo in cui nuotava avanti e indietro rese l’uomo curioso. Fece qualche passo verso le vetrate. Quindi si fermò ancora, nel vedere la piccola creatura venire proprio contro il vetro. Cozzò contro di esso con il muso, producendo lo stesso tonfo che aveva già udito due volte prima. L’uomo saltò all’indietro e inciampò nei suoi stessi piedi, cadendo sul pavimento. Fu allora che vide per un attimo la creatura più grande. Urlò ancora, nel sentire il petto stringersi dolorosamente.



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Pedro Gonzales stava camminando lungo il corridoio di un grande edificio a tre piani. Era stato mandato da qualcuno parecchio in alto nel Governo Messicano per controllare la sicurezza di una delle isole vicine alla Baja Peninsula. Aveva fatto il giro ormai di tutte le strutture eccetto quella chiamata CENTRO VISITATORI. Stava camminando con altri due uomini ai quali rivolgeva molte domande.

“Queste creature sono tutte vere? O c’è qualche animatronic tra di loro? Cioè, sembrano tutte abbastanza vere ma sono anche dannatamente tante.

“Sono vere. Sono vive e respirano, glielo assicuro. gli rispose il vecchio inglese.

“Questo è semplicemente magnifico” disse Pedro “Non avevo idea di quello che avrei visto quando fossi arrivato. Di sicuro non ero preparato a questo.”

“La tecnologia è una grande cosa, vero?” disse l’uomo più giovane e decisamente più grosso.

Pedro annuì. I tre si trovavano al primo piano. L’uomo più giovane andò verso una porta davanti a loro. Dopo aver fatto passare la sua tessera di riconoscimento nel lettore la porta si aprì. Fece segno a tutti di entrare.

Pedro si guardò attorno. La stanza era grande, completa di monitor e piani di lavoro. Era molto pulita. Ci volle qualche minuto prima che Pedro notasse un’altra persona che lavorava con lena dall’altra parte della stanza.

“Allora, a cosa serve questa stanza?” chiese Pedro all’uomo anziano.

Il vecchio signore guardò in direzione dell’uomo in fondo alla stanza.

“Norman, perché non vieni qui e spieghi a Mr. Gonzales che cosa fate qui?”

Norman era uno dei tecnici di laboratorio. Lavorava solo i weekend ma le sue conoscenze sull’isola e i dinosauri erano molto ampie. Si alzò dalla sua sedia e si avvicinò ai tre.

“Questa stanza è una delle stanze di ricerca. La usiamo principalmente per analizzare i tessuti di dinosauri malati.

Pedro annuì. Mentre Norman gli stava spiegando diverse cose, uno dei telefoni del laboratorio suonò. L’uomo più giovane rispose.

“Qui Jacob.”

Pedro era abbastanza vicino per sentire la voce al telefono. Suonava agitata ma non riuscì a capire cosa stesse dicendo. Jacob riattaccò e guardò l’uomo più anziano.

“Mr. Envoy, sembra che ci sia un problema vicino a una delle zone di contenimento.

“Oh?” disse Envoy.

“Che genere di problema?” Domandò Pedro.

Jacob lo guardò.

“Non è niente di cui preoccuparsi. Si tratta solo di un problema di cui Mr. Envoy deve occuparsi personalmente. Può scusarci solo per un minuto, per favore?” chiese a Pedro.

“Certamente”

Jacob annuì e portò Envoy in un angolo riservato.

“C’è un altro problema con l’area di contenimento del Megalodon. Qualcuno stava imbiancando laggiù e il piccolo Meg ha cozzato contro il vetro… ancora. Ha spaventato l’uomo e questo ha avuto un attacco di cuore, signore.

“Non va bene”

“No, signore.”

“D’accordo. Ora vado laggiù. Penso che Mr. Gonzales abbia finito il suo giro. Non voglio che vada dalle parti del Centro Visitatori proprio ora quindi potrebbe essere così gentile da scortarlo all’elicottero, Jacob?”

“Lo farò di certo, stia tranquillo.”

“Grazie.” Disse Envoy. Guardò Pedro. “Bene, Mr. Gonzales, sembra che io sia richiesto in un’altra parte dell’isola. Sperò che il viaggio di ritorno vada bene.”

“Grazie Mr. Envoy. E grazie anche per la sua ospitalità.

“Si figuri. Arrivederci.”

“L’accompagno fuori, signore.” Disse Jacob, poi guardò Norman. “Torno subito.”

“Sì signore.” Disse Norman.

Envoy e Jacob se ne andarono in fretta, lasciando Pedro con il tecnico di laboratorio. Pedro ricominciò a fare domande a Norman.

“Dunque, Norman, c’è una domanda che mi è venuta in mente da quando ho iniziato il giro”.

“Dica pure. Forse posso fare un po’ di luce sulla questione. Disse Norman.

“Bene, sono abbastanza informato su quell’isola del Jurassic Park, di qualche anno fa. Non ricordo ci fossero creature acquatiche su quell’isola. Come siete riusciti ad averle qui?”

“C’erano campioni di DNA di specie diverse che non furono mai usati nel Jurassic Park, ecco da dove vengono fuori. Anche se il Megalodon è tutta un’altra storia.

“In che senso?”

“Beh, tutta la teoria della zanzara funziona bene con tutte le creature terrestri. Il Meg, come ci piace chiamarlo, vive soltanto nell’acqua e ha un tipo diverso di pelle quindi sarebbe stato impossibile per una zanzara succhiare il suo sangue”.

Pedro fece la domanda più ovvia.

“Quindi, come avete creato il Meg?”

“E’ affascinante, in realtà. Abbiamo semplicemente catturato due grandi squali bianchi e li abbiamo modificati geneticamente. La femmina è diventata più di 13 metri ed è anche diventata molto intelligente. Il maschio invece non è stato un successo, temo.

“Che gli è successo?”

“E’ morto all’improvviso qualche mese fa.

“E’ terribile.” Disse Pedro.

“Comunque la femmina era già incinta, quindi il maschio non è stato una perdita totale. Aggiunse Norman.

Pedro stava per fare un’altra domanda quando Jacob ritornò nella stanza.

“Bene, Mr. Gonzales, se vuole seguirmi l’accompagno all’elicottero che la porterà a casa.

“E il Centro Visitatori?”

“Temo che dovrà tornare un altro giorno per quello. Abbiamo avuto qualche inaspettato problema meccanico nell’edificio del Centro Visitatori. E’ temporaneamente inagibile”.

“Ah, capisco. Molto bene allora.” Disse Pedro.

Jacob rivolse un cenno del capo a Norman e guidò Pedro fuori dal laboratorio, verso una jeep in attesa.



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Envoy arrivò al Centro Visitatori mentre l’operaio veniva aviotrasportato via. Studiò i visi delle altre persone finché non trovò chi stava cercando. Sorrise e si avvicinò ad un uomo molto grosso, con capelli marroni tagliati corti. L’uomo aveva un’espressione molto seria. Si chiamava Patrick Bodan.

“Patrick, che è successo?”

“Niente di grave, davvero. Soltanto un altro imbianchino giù per il tubo, signore. Spiegò. Aveva un accento inglese.

“Sta bene?”

“Oh sì, starà benissimo. Il piccolo Meg l’ha spaventato a morte, ecco tutto.

“Bene. Non mi servono avvocati in giro, a questo punto.

“Dobbiamo assumere un altro imbianchino, signore. Il lavoro è ancora incompleto.

Envoy diventò molto serio e silenzioso. Afferrò Bodan per un braccio e lo allontanò dagli altri.

“Il nostro piccolo problema con Henry Wu è stato sistemato?”

Bodan sorrise.

“Questa mattina, signore. Sembra che abbia avuto uno sfortunato incidente nel laboratorio. Non causerà più altri problemi.

“Bene.” Disse Envoy. C’era qualcos’altro però di cui non era sicuro. “Sei sicuro che stesse lavorando da solo, Patrick? Non voglio altre sorprese.”

“Sì signore. Era da solo. Io e Jacob l’abbiamo seguito per giorni. Non si è messo in contatto con nessuno.”

Envoy annuì.

“Apriremo questo parco tra pochi mesi, Patrick.

“Sì, signore.”

“Non voglio sentire più nulla riguardo a qualche altra strana idea di John Hammond per farci chiudere.

“John Hammond non sarà un problema, signore. Abbiamo abbastanza informazioni su di lui per poterlo dissuadere dal fare qualsiasi cosa.

“Lo so. Mi serviva soltanto una rassicurazione, ecco tutto.

“Abbiamo anche informazioni su tutte le persone a cui Hammond potrebbe chiedere aiuto. E’ tutto sotto controllo, Mr. Envoy.”

“Ti credo.”

Envoy guardò al suo magnifico parco. Bodan seguì il suo sguardo.

“Presto, l’intero mondo rimarrà strabiliato.

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Capitolo 2
*** La Proposta ***


Capitolo 1

Capitolo 1

La Proposta



Fort Peck, Montana



Alan Grant uscì dal suo camper nel Montana. Uno dei suoi assistenti aveva richiesto la sua presenza a circa 300 metri da lì, in una delle tante aree di scavo. Per quanto aveva capito dalle voci era stato trovato uno scheletro completo di un Velociraptor adulto. Entrò nel fuoristrada e guidò lungo la strada sterrata. Procedette lentamente e si fermò quando vide una piccola folla di circa 10 persone.

“Dottor Grant, venga qui! Deve assolutamente vederlo!” urlò uno dei suoi giovani studenti.

Alan corse fino al gruppetto e si fece strada attraverso. Guardò giù e rimase semplicemente sbalordito da quello che vide. Aveva capito bene. In effetti la verità superava decisamente le voci. Là, proprio di fronte a lui, giaceva uno scheletro completo di Velociraptor, perfettamente conservato. Era, senza dubbio, il migliore ritrovamento mai fatto dalla sua squadra.

“Chi l’ha trovato?” Domandò Alan.

Tutti indicarono la stessa persona. Era uno studente di circa vent’anni. Si chiamava Kevin Donavin. Era entrato in squadra soltanto pochi mesi prima.

“Bene, congratulazioni, Signor Donavin”.

Alan gli si avvicinò e gli strinse la mano.

“Grazie, Dottor Grant.”

“Questo è un record per la nostra squadra. Un Raptor perfettamente conservato.

“Sì signore. Così mi hanno detto.” Disse Kevin. Poi sorrise. “Significa che ho un posto nella squadra del prossimo anno?”

“Penso tu possa arrivarci da solo” Disse Alan. “Qui ci vuole un festeggiamento. Signori e signore, facciamo una pausa, d’accordo?”

Alan ritornò verso il fuoristrada. Quasi tutti lo seguirono, a parte due studenti che ricoprirono la scoperta. Li seguirono poco dopo. Alcuni dei ragazzi saltarono sul retro del fuoristrada mentre due delle studentesse, Beth e Jessica, presero posto sul sedile del passeggero. Il resto della gente andò verso le proprie auto e seguì Alan fuori dall’area di scavo.

“Dottor Grant, pensavo avesse già trovato uno scheletro completo prima. Commentò Jessica.

“Beh, sì, è vero. Ne abbiamo scoperto uno prima ma non siamo stati in grado di sollevare la gamba posteriore sinistra. Si è disintegrata durante lo scavo.”

“Ah, capisco.” Disse Jessica.

“Dottor Grant?” Chiese Beth.

“Si?” Rispose Alan mentre teneva gli occhi sulla strada.

“La conferenza è andata bene?”

“Sì, grazie per averlo chiesto. Penso di essere riuscito ad ottenere finanziamenti per il prossimo anno. Lo saprò domani.

“E’ fantastico. Mi stavo chiedendo… se non è un problema, posso rimanere anche l’anno prossimo?”

“Ma certo che puoi, Beth. Sei un ottimo elemento per la nostra squadra.

“Grazie.” Disse Beth, sorridendo.

Alan aveva veramente messo in piedi una meravigliosa squadra. C’erano circa 6 studenti a fare l’internato, 2 giovani paleontologi, 1 paleobotanico, 3 geologi e 2 esperti di demolizioni. C’erano anche più o meno una dozzina di uomini assunti come manovali.

Alan raggiunse la fine dell’area di scavo e fermò il camion nel notare la limousine che bloccava l’uscita della strada.

“Ma che…?” Iniziò a dire.

Stava per tirare fuori la testa dal finestrino e urlare qualcosa ma poi si fermò a guardare mentre un uomo anziano con i capelli bianchi usciva dalla limo. C’era anche un altro uomo, più giovane, ad aiutarlo. Riconobbe l’uomo immediatamente. Uscì dal camion e si avvicinò.

“Signor Hammond. Che cosa la porta qui in Montana, signore?”

John Hammond sorrise ad Alan. Aveva 77 anni ora e Alan notò che gli serviva più di un semplice bastone per camminare. L’autista incontrò Hammond dall’altro lato della macchina e gli porse il suo bastone.

“Beh, Dottor Grant, temo che questa sia una visita di affari, in un certo senso.

Alan fece una smorfia. Non voleva essere coinvolto in nessuna delle avventure d’affari di Hammond.

“Mi dispiace molto che abbia dovuto fare tutta questa strada, Signor Hammond.

“Su, su Dottor Grant, può perlomeno ascoltare quello che un vecchio ha da dire, no?”

“Beh, francamente signore… no, non posso.

La maggior parte della squadra di Alan li aveva raggiunti, a quel punto. Erano rimasti un po’ indietro rispetto ad Alan e stavano ascoltando attentamente la conversazione. Tutti loro sapevano chi fosse John Hammond, ovviamente. Nessuno di loro aveva mai avuto occasione di vederlo di persona.

“Per favore, Dottor Grant. Mi serve solo un suo consiglio. E’ tutto. Non deve fare niente, né andare da qualche parte. Mi occorre solo la sua conoscenza.

Alan lo guardò sospettosamente. Hammond raramente diceva tutta la verità. Ma forse, questa volta, era sincero. Alan era quasi sicuro che Hammond stesse solo cercando di prenderlo all’amo. Abboccò, con l’intenzione di stare molto attento.

“Va bene, Signor Hammond. Non ci vorrà molto, vero?” Chiese Alan, accennando ai ragazzi dietro di lui. “Stavo proprio per celebrare una scoperta che la mia squadra ha fatto oggi pomeriggio.

“No, non dovrebbe volerci molto. Per favore, possiamo entrare nel camper e parlare?”

“Certo, perché no.” Disse Alan, facendo strada.

L’assistente di Hammond aiutò lo aiutò ad entrare nel camper di Alan. Una volta che Hammond si fu sistemato, l’uomo li lasciò soli.

“Alan… posso chiamarti Alan?”

“Certo che può” Rispose Alan.

“Bene, bene. Allora tu puoi chiamarmi John. Hammond sorrise e Alan annuì. “Comunque, ho una proposta per te.

“Mi pareva avesse detto che non dovevo andare da nessuna parte né fare nulla.

“Beh, posso essere sincero?”

“Sì, ti prego.” Disse Alan, scuotendo la testa e roteando gli occhi.

“Vorrei che mi accompagnassi in un posto.

Alan si sentì ancora una volta giocato da John Hammond.

“Non suona come qualcosa di ufficiale.” Disse Alan.

“Beh non è ufficiale, questo è vero. Ma potrebbe essere abbastanza proficuo per quelli coinvolti.

Alan stava diventando sempre più scettico. L’ultima volta che Hammond era stato così elusivo, lui era finito a scappare dai dinosauri.

“Dove, John?”

“Su un’isola segreta.”

“Fammi indovinare… al largo del Costa Rica?”

Hammond rise. Era una risata forte, di cuore.

“No, no, no Alan. Non questa volta, per fortuna.

“Che cos’è questa storia, John? Basta con i segreti.

“D’accordo Alan. Sono venuto a sapere che un impiegato della InGen, un rinnegato, ha rubato le fiale con gli embrioni di ogni specie di dinosauro che sia mai stata creata.

“Quando è successo?”

“Circa tre anni fa.”

“Tre anni fa?” Alan sbottò. Si stava stancando del suo visitatore. “Perché tirare fuori la questione solo ora?”

“Beh, sapevamo che le fiale con gli embrioni erano state rubate tre anni fa, questo è vero. Ma non erano riusciti ad utilizzarle per niente… fino ad ora.

“Che è successo?” Chiese Alan, poi si trattenne. “Oh sai cosa… lascia stare. Non voglio essere per niente coinvolto in questa storia.

“Per favore, Alan. Ho bisogno del tuo aiuto in questo.

“No John. Non andrò su nessuna isola occupata da dinosauri. Te lo puoi scor-“

“Oh, no, no, no, Alan. Quest’isola non è infestata da dinosauri.

“Da cosa, allora?”

“Sull’isola ci sono soltanto gli uffici. Uffici che appartengono alla Biosyn Corporation.

“Biosyn? Sono ancora in giro?”

“Sì. Purtroppo per tutta l’umanità, sì.”

“D’accordo John. Devo ammetterlo, mi hai incuriosito… un po’.”

“Lasciami spiegare, Alan. Circa un anno e mezzo fa siamo venuti a sapere che il nostro agente rinnegato aveva venduto le fiale con gli embrioni alla Biosyn Corporation. Circa 5 mesi fa abbiamo scoperto che la Biosyn stava tentando di clonare dinosauri, utilizzando le nostre inestimabili informazioni. Informazioni che avevamo dolorosamente raccolto attraverso gli anni.

“E ce l’hanno fatta?”

“Sì, ce l’hanno fatta. La Biosyn ha comprato un isola e ha iniziato a costruire più o meno 9 mesi fa. Non posso ancora credere che non li abbiamo beccati subito.”

“Quindi, c’è una terza isola ora?”

Hammond fissò Alan. Stava cercando di capire quando Alan fosse interessato alla storia.

“Sì.”

“Beh, non è fantastico…?” Disse Alan, abbassando la voce mentre finiva la frase con qualche imprecazione.

“Alan, devi aiutarmi a fermare la Biosyn.

“Io non sono un agente segreto. Io sono uno scienziato. Come posso aiutarti a fermare la Biosyn?”

“Con la tua conoscenza dei dinosauri.

“John, nessuna offesa ma penso che tu abbia perso la testa.

Hammond rise di nuovo.

“Alan, ti posso assicurare che la mia testa sta benissimo. Se tu ed io potessimo volare su quest’isola ed identificare i diversi tipi di dinosauro che la Biosyn ha sulle sue liste criptate, possiamo provare che sta clonando dinosauri illegalmente. Possiamo farli chiudere e bloccargli le attività, magari anche farli arrestare.

“Quindi ci sarà da lavorare con i computer.

“Sì.”

Alan chiuse gli occhi per un secondo. Non odiava molte cose. Ma odiava i computer. Li odiava. Il progresso tecnologico stava scoppiando tutto intorno a lui. Sospettava che fosse solo questione di tempo prima che i computer iniziassero a fare il suo lavoro, rendendo la sua presenza inutile.

“Non contare su di me… di nuovo, John. Davvero, sei venuto nel posto sbagliato. Perché non provi con un altro paleontologo? Sono sicuro che puoi trovare un’altra persona giovane e ignorante che vada sul posto e trovi quello che ti serve.

“Mi serve qualcuno che abbia visto i dinosauri della InGen, Alan.”

“Che differenza fa?”

“E’ complicato.”

“Beh, mettimi alla prova.”

“Okay. Sarò completamente sincero ora.” Disse Hammond con voce molto seria.

“Pensavo che lo stessi già facendo.” Disse Alan.

“Alan, ti darò 2 milioni di dollari per accompagnarmi su quell’isola. Te ne darò una metà subito, se accetti di venire.

Alan rimase colpito dall’offerta. Si alzò dalla sedia, piegandosi sulla scrivania mentre cercava di afferrare il significato di quello che Hammond aveva appena detto.

“Depositerò un milione di dollari su un conto di tua scelta proprio oggi, se vuoi.

“John, perché è così maledettamente importante che io venga con te?”

“Perché mi fido di te, Alan. Io non… Non posso fidarmi di molte persone, a questo punto. Sono stato fregato diverse volte in passato, da quando ho costruito quel parco, da persone di cui pensavo di potermi fidare. Anche membri della mia stessa famiglia si sono arresi alla tentazione di essere ricchi, lasciando che fossi io a risolvere tutti i successivi problemi burocratici.

“John, sono molto felice di avere la tua fiducia, ma non posso accettare la tua offerta.

“Ti darò 3 milioni di dollari, Alan.”

Alan iniziò ad agitarsi. La quantità di denaro che Hammond gli stava offrendo era più di quanto lui avesse mai visto tutto insieme.

“Bene. E’ molto generoso da parte tua, ma-“

“Alan, pensavo che costruire un isola con dinosauri vivi e vegeti sarebbe stata una cosa meravigliosa da vedere. Mi sbagliavo.”

“Ovviamente.” Commentò Alan.

Alan tornò a sedersi. Stava ritornando alla realtà, uscendo dallo shock monetario, si potrebbe dire. L’uomo razionale, quello che era sempre stato, ricominciò ad apparire. Continuò ad ascoltare Hammond.

“Sì, lo so che è stata una cattiva idea. Ora un altro uomo sta tentando di creare lo stesso sogno, Alan. Un altro uomo, molto simile a me, con molte ambizioni e molto denaro per realizzarle.

“Che bello, John. Magari voi due potreste incontrarvi e confrontare il numero di morti che un parco del genere crea.

“Non voglio che Marcus Envoy abbia successo, non più di quanto lo voglia tu. Gli mancano soltanto pochi mesi prima di completare il suo progetto.

“Visto che è illegale clonare dinosauri, perché il Signor Envoy non è stato fermato?”

“Perché ha costruito un isola dal nulla, si può dire. La sua isola è totalmente fatta dall’uomo, costruita su un antico vulcano. Ha usato il vulcano come punto di partenza per costruire l’isola, vicino alla costa del Messico. La Baja Peninsula, per essere precisi. Appena fuori la costa della città di Cabo San Lucas. Le leggi e i regolamenti del nostro paese non possono arrivare laggiù. E il governo locale rifiuta di vedere il problema. Envoy li sta pagando profumatamente per la loro improbabile abilità di girare la testa e non vedere niente di sospetto.

“La politica coinvolta qui è al di là del mio raggio.

“Temo ci sia di più che solo politica coinvolta qui. Cabo San Lucas è diventata una meta molto trendy per le persone facoltose. C’è anche un Hardrock Cafè laggiù. Disse Hammond, ridendo.

“Fantastico, John.”

“Scusa, stavo andando fuori tema. Beh comunque, se fossimo veramente in grado di produrre prove certe di quello che la Biosyn sta facendo, possiamo superare i politici… e gli avidi ufficiali governativi.”

Alan si alzò di nuovo e iniziò a camminare per il camper, pensando. Non voleva andare. Questo era sicuro. Ma il denaro che Hammond gli stava offrendo era molto difficile da rifiutare. Era già stato in questa stessa situazione prima, con Hammond che gli offriva soldi per andare in un posto misterioso. Aveva già accettato una volta, magari due se si contavano i Kirby. Il denaro sembrava essere sempre un valido incentivo per Alan. Era sempre a corto di fondi per i suoi scavi. Ora era quasi del tutto convinto.

“John, quanto durerà questo piccolo viaggio?”

“Solo qualche giorno, Alan.”

“E dov’è quest’isola con i computer?”

“Si trova anche questa al largo della Baja Peninsula.

Alan annuì e rabbrividì al pensiero di quello che stava per fare.



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Capitolo 3
*** L'Incubo di Ellie ***


Capitolo 2

Capitolo 2

L’incubo di Ellie



Scottsdale, Arizona



Ellie Degler era seduta nella veranda sul retro della sua casa di periferia, in Arizona. Era rimasta seduta così da circa dieci minuti, cercando di trovare la forza e il coraggio necessari per tornare dentro casa. Lei e suo marito avevano litigato un’altra volta.

Mark urlava sempre per qualsiasi cosa. Questa volta sembrava fosse per via della bolletta del telefono. Era arrabbiato per il fatto che il numero di Alan Grant fosse comparso nei tabulati così tante volte quel mese. Lei stava cucinando quando lui era entrato in cucina, con la bolletta in mano. Aveva bevuto e le stava sventolando il foglio in faccia, chiedendole se ci fosse qualcosa di cui dovesse essere informato. Lei aveva risposto che non c’era niente da dire. Non era stata abbastanza convincente, comunque. Mark aveva accartocciato la bolletta tra le mani e gliel’aveva buttata addosso, continuando a gridare.

Ellie non voleva che la discussione degenerasse, così era scappata fuori. Se restava fuori sulla veranda, sapeva che Mark non l’avrebbe seguita per farle una scenata. Non faceva mai scenate in pubblico, neppure quando era ubriaco. Era l’unica cosa su cui Ellie potesse contare. Ora era pronta per rientrare e chiudere la discussione.

Silenziosamente, Ellie aprì la porta sul retro ed entrò in cucina. Mark non c’era. Tirò un sospiro di sollievo. Entrò nel salotto. Mentre andava verso la porta principale per vedere se il furgone di Mark c’era ancora, sentì un rumore in salotto. Si girò. Era Mark. Era ancora lì. Seduto su una sedia, che la fissava.

“Pensavo te ne fossi andato.” Disse Ellie.

“No.”

Ellie non voleva più discutere.

“Mark, possiamo lasciar stare questa cosa di Alan? Per favore. Ti ho detto centinaia di volte che non c’è niente tra me e lui. E’ solo un buon amico. Mi piace parlare con lui, tutto qui.

Mark continuò a fissarla.

“Possiamo smetterla di litigare solo per una sera Mark?”

“Litigare? Noi non stiamo litigando. Siamo semplicemente in disaccordo. Litigare implicherebbe il contatto fisico, non pensi?”

Mark si alzò. Ellie iniziò a spaventarsi.

“E dove sono i miei bambini?” Chiese Mark.

“Sono con mia madre. E’ venerdì. Abbiamo deciso che potevano stare con mia madre, ricordi?”

“Ricordo che ne abbiamo parlato. Non ho mai approvato la cosa, comunque. Perché lasci che i miei bambini vadano in posti che io non approvo?”

“Mark, è mia madre. Non qualche persona squilibrata.”

A Mark non piacque il suo atteggiamento. Scattò in piedi dalla sedia, afferrò Ellie e la scosse violentemente. Lei si liberò dalla sua presa e afferrò le chiavi della macchina. Fuggì verso la porta principale. Non voleva più stare in quella casa con lui, nemmeno un’altra notte.

Mark aveva altri piani. L’afferrò per un braccio, strappandole le chiavi e la sbattè contro il muro. Come Ellie colpì la parete, Mark la schiaffeggiò, facendola cadere a terra.

“Non voglio che tu usi più il telefono.” Ordinò.

Ellie iniziò a piangere. Lui sembrava così indifferente a lei. Era una persona totalmente diversa quando beveva. E beveva sempre più frequentemente, a quanto pareva. Le stava dando ordini ingiusti come questo ormai da un po’. Prima non poteva più andare a casa dei vicini, poi non le era più permesso usare il libretto degli assegni e ora il telefono. Stava piangendo in parte perché era spaventata ma più di tutto perché era stata debole e aveva lasciato che questo andasse avanti troppo a lungo. Si mise a sedere.

“Mark, io ti lascio. Non posso più sopportare tutto questo.

Tutto cosa?”

“I litigi. E gli ordini. Non starò più qui a sopportarli.

Mark tirò su Ellie dal pavimento. La scosse per un minuto e poi la sbattè di nuovo contro la parete. Torreggiò sopra di lei, aspettando che sollevasse gli occhi su di lui. Quando lo fece, Mark strinse il pugno e la colpì in faccia. Ellie ricadde a terra. Guardò Mark che tornava verso di lei. Questa volta riuscì ad alzarsi e a scappare da lui.

Corse dietro Mark, si voltò e lo spinse più forte che poteva. Riuscì a buttarlo a terra. Afferrò le chiavi del furgone di Mark che erano appese a un gancio vicino alla porta. Riuscì a raggiungere il vialetto d’entrata prima che Mark le afferrasse la caviglia, facendola cadere. Si voltò per guardarlo. Alzò la gamba destra e gli diede un calcio in testa. Alzandosi più veloce che poteva raggiunse il furgone di Mark ed entrò. Mentre cercava di trovare la chiave giusta, poteva vedere Mark. Si era già alzato e stava venendo verso di lei. Armeggiò con le chiavi ancora qualche secondo e trovò quella giusta. Accese il furgone e fece marcia indietro, proprio mentre Mark afferrava lo specchietto dalla parte del guidatore. Lo lasciò andare e iniziò a urlarle dietro.

“Ti ucciderò Ellie. Mi hai sentito? Nessuno può lasciarmi! Nessuno! Io ti ucciderò!”

Ellie si allontanò da casa sua. Stava piangendo. Era spaventata e non aveva nessuna idea su dove andare. Mentre guidava, iniziò a pensare a cosa era andato storto tra lei e Mark.

Da quando Alan era andato a visitarla, circa 2 anni prima, Mark si era messo in testa che ci fosse qualcosa tra lei ed Alan. Ne parlava molto spesso. Aveva davvero iniziato a diventare matto o qualcosa del genere. Charlie aveva 5 anni adesso. Questi litigi a proposito di Alan erano andati avanti più o meno per 2 anni. Circa un anno prima, erano iniziate anche le violenze. Ellie era sempre impegnata a coprire occhi neri e lividi.

Ellie chiamava Alan in lacrime almeno una volta al mese. Prima che lui rispondesse però riusciva sempre a smettere di piangere. Poi lui diceva ciao e lei si sentiva subito meglio. Voleva dirgli che c’era qualcosa che non andava, ma non era mai riuscita a pronunciare le parole ad alta voce. Semplicemente parlavano di niente, o magari degli scavi o di come stavano i bambini. Quando riattaccava, si sentiva sempre molto meglio.

Sapeva che i bambini sarebbero stati al sicuro con sua madre per il momento. Avrebbe chiamato più tardi e spiegato tutto. Le serviva un po’ di tempo da sola, per riflettere. Decise di andare all’aeroporto e lasciare l’Arizona per un po’.

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Capitolo 4
*** Tim e Lex ***


Jurassic Park - New Beginnings


Tim e Lex

Anaheim, California

Alexis Murphy sedeva in platea, applaudendo e fischiando rumorosamente mentre suo fratello riceveva il diploma di scuola superiore. Tim Murphy le scoccò uno sguardo severo, scendendo dl palcoscenico. Lei gli aveva promesso di non metterlo in imbarazzo ma, con suo orrore, aveva anche deciso di ignorare la promessa.

Lex, smettila… lo stai mettendo in imbarazzo!” Disse sua madre.

“Scusa mamma, non ho resistito. Guardalo, è talmente secchione.

Alexis.” Intervenne suo padre. “Smettila.”

Lex guardò suo padre e annuì freddamente. Erano 7 anni che non lo vedeva. Dopo il divorzio dei suoi genitori, suo padre era venuto a trovarli per un paio di anni ma in seguito non si era più fatto sentire. E poi, all’improvviso, aveva chiamato per sapere se poteva venire alla cerimonia per il diploma di Tim. Lei lo odiava. Lo odiava per averli lasciati senza niente. Ma più di qualsiasi altra cosa, lo odiava per non essere stato parte della sua vita. Era semplicemente sparito dalla faccia del pianeta.

Tim tornò a sedersi al suo posto, il diploma in mano. Ora poteva andare al college. Aveva seguito ogni corso di matematica e scienze disponibile durante la scuola superiore. Aveva già ottenuto una borsa di studio per la Berkeley University, California, e un internato al Museo Paleontologico dell’Università della California. Voleva seguire le orme del Dottor Alan Grant.

Lex invece aveva già conseguito una laurea breve in Programmazione e Sviluppo Software al Westwood College di Anaheim, California. Aveva completato il programma prima di compiere 19 anni, dato che seguiva le lezioni al college mentre andava ancora alle superiori.

Mentre pensava a quale specializzazione prendere, aveva deciso di tentare una strada tutta nuova. Attualmente era al suo primo anno al Centro Medico della Stanford University. Faceva volontariato al Stanford Hospital, dove aveva lavorato fin dal suo secondo anno di superiori. Aveva già sostenuto gli esami di ammissione alla Facoltà di Medicina, totalizzando un ottimo punteggio. In più aveva una delle medie più alte del suo anno.

Alla fine della cerimonia di diploma, Tim trovò il padre fuori.

“Grazie per essere venuto, Papà.”

“Sembravi così adulto lassù.”

“Questo perché lui è adulto.” Disse Lex.

Lex, smettila.” Le ingiunse Tim.

“Perché dovrei? Se ne è fregato di noi per tipo, un eternità. E ora, vuoi che lo perdoni per essere uscito dalle nostre vite? Beh, mi dispiace, Tim. Ma non penso proprio che lo farò.

Alexis, calmati per favore.” Disse suo padre.

“Non rivolgermi mai più la parola.” Disse Lex, puntandogli contro un dito.

Corse quindi verso la sua macchina, non voltandosi finchè non l’ebbe raggiunta.

“Mamma, ti chiamo dopo.”

Lex, aspetta, per favore. Torna qui.” Chiese sua madre.

Lex non rispose. Mise in modo la macchina e uscì il parcheggio, lasciando il resto della famiglia lì in piedi.

“Andrò a casa anche io.” Disse sua madre, poi guardò suo padre. “Arrivederci.”

“Ciao.”

Presto, Tim rimase da solo con suo padre. Ci fu un lungo e spiacevole silenzio tra di loro, mentre stavano lì uno di fronte all’altro, guardando le auto che passavano. Alla fine, suo padre ruppe il silenzio.

“Allora, ho sentito che studierai dinosauri.

“Sì, Papà.”

“Bene, è una buona cosa, figliolo. Quel tizio, quel dottore, ti ha aiutato ad entrare nella scuola?”

“Che dottore?” Chiese Tim, confuso.

“Lo sai, il tizio che era con voi su quell’isola con i dinosauri.

“Intendi il Dottor Grant. Oh no, non ha avuto bisogno di aiutarmi, Papà. Sono riuscito ad ottenere una borsa di studio.

“Wow, non lo sapevo.”

“Sarà meglio che vada ora, Papà. Ho parecchio da fare prima della festa che Mamma sta organizzando per me. Grazie di essere venuto.

“Prego, figliolo. Sono molto fiero di te.

Tim annuì e strinse la mano di suo padre. Non si sentiva abbastanza vicino a lui per abbracciarlo o fare qualcosa del genere. Entrò nella sua Jeep e si avviò verso casa, lasciando suo padre lì da solo.

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Lex stava guidando e piangendo allo stesso tempo. Era molto arrabbiata per il modo in cui aveva trattato suo padre. Gli voleva bene, ovviamente, ma era ancora furiosa con lui. Decise di andare verso la casa di suo nonno, in modo da poter parlare con lui di questa storia. John Hammond sembrava sempre dire e fare la cosa giusta, quando lei era arrabbiata.

Entrò nel viale della villa e inserì il codice di sicurezza all’entrata. Mentre guidava la macchina su per la lunga e ventosa salita, notò che era tutto molto buio. Non sembrava ci fosse nessuno in casa. Era sul punto di tornare indietro quando notò alcune luci accendersi e spegnersi al secondo piano della grande casa. Uscì velocemente dalla macchina e corse verso la porta principale. Era molto preoccupata per suo nonno. Qualche mese prima, quando era caduto, aveva acceso e spento le luci molte volte per catturare l’attenzione di uno degli addetti della sicurezza che pattugliavano la tenuta. Si guardò intorno mentre raggiungeva la porta. Non c’era nessun addetto in vista. Solo oscurità e tranquillità.

Lex usò la sua tessera per aprire la porta principale. Entrò e salì veloce le scale, dirigendosi verso l’ala ovest della casa.

“Nonno? Nonno? Ci sei?” Chiamò, mentre andava verso la stanza dalla quale le sembrava fossero venute le luci.

Con sua sorpresa, e orrore, suo nonno non era nella stanza. Invece, c’erano 5 uomini vestiti di scuro. Pensando che si trattasse di una rapina si girò e cercò di scappare ma non andò lontano. Due degli uomini la afferrarono, proprio mentre raggiungeva le scale. Quello più grosso le artigliò i capelli e la scagliò violentemente sul pavimento.

Lex rotolò su se stessa e guardò verso i suoi assalitori per un breve istante. I due uomini erano proprio sopra di lei, di nuovo. La tirarono su e fecero per riportarla verso la stanza dove aspettavano gli altri uomini. Lottò, cercando di liberarsi dalla loro presa. Dopo aver morso uno dei due su un braccio, ci riuscì. Mentre lei si liberava, l’uomo si lasciò sfuggire un grido. Lex corse verso le scale e cercò di scendere al piano di sotto ma era quasi a metà strada quando si udì un colpo di pistola. Si fermò immediatamente, alzando le mani.

“Okay, okay, hai vinto.” Disse, voltandosi.

L’uomo con la pistola superò gli altri due. Stava scrutando Lex, mentre camminava lentamente verso la scala. Teneva la pistola puntata verso di lei, il che la rendeva molto nervosa.

Alexis Murphy, dico bene?” Chiese l’uomo.

Aveva l’accento inglese.

“Uh, sì. Sì, signore.” Rispose.

“Bene, Alexis. Il mio nome è Patrick Bodan. E’ un piacere conoscerti.”

Lex non sapeva che cosa pensare. Questi uomini non erano amichevoli, poco ma sicuro. Ma questo Bodan le stava parlando in un modo inaspettato.

Alexis.” Disse Bodan, raggiungendo le scale. “Perché non torni qui sopra?”

Lex annuì e salì le scale. Quando arrivò in cima alle scale, Bodan diede la pistola all’uomo che aveva morso. Ora che era proprio di fianco a Bodan, calcolò che ad occhio doveva essere alto un metro e novanta e di sicuro pesava più di cento chili. Era un uomo imponente.

“Ora, questo è per il morso che hai dato al mio caro collega.

Bodan alzò la sua mano alla velocità del fulmine, colpendo Lex su un lato del viso. Il colpo improvviso costrinse la sua testa a scattare di lato. Lex lo guardò, alcune lacrime che scendevano lungo le guance.

“E questo è per essere scappata, Alexis.

La schiaffeggiò di nuovo, facendola quasi cadere dalle scale. Lex guardò in alto, verso di lui.

“Per favore, mi lasci in pace. Non so che cosa volete. Non so chi siete. Voglio soltanto andare a casa.

“Oh Alexis, tesoro.” Disse Bodan, continuando ad usare il suo nome completo. “Tu non andrai a casa. Non per molto, molto tempo mia cara. Ho paura che tu ti sia ficcata in qualcosa ben al di là della tua comprensione.

A questo punto Lex stava piangendo forte. Quest’uomo la stava davvero spaventando. Non aveva così tanta paura da molto tempo.

“Ora, Alexis, questo è semplicemente per esserti trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.

E con queste parole, Bodan spinse Lex giù dalle scale. Rotolò e rotolò, sbattendo la testa diverse volte contro la ringhiera mentre cadeva. Quando raggiunse la base delle scale, era svenuta.

“Che cosa stai facendo?” Chiese uno degli uomini.

Il nome dell’uomo era Jacob Darnby. Anche lui era uno degli agenti più fidati di Envoy. Jacob spesso era in disaccordo con il modo di lavorare prescelto da Bodan. Ma Envoy aveva messo bene in chiaro che era lui a comandare questa particolare missione.

“Sto prendendo il controllo della situazione. Chiama il Signor Envoy. Aggiornalo sulla situazione. Digli che abbiamo la nipote di Hammond. Vedi che cosa vuole che ne facciamo.

Jacob fisso Bodan per un minuto, pensando di rifiutare. Decise di non farlo.

“Okay.”

Jacob compose il numero sul suo cellulare e parlò con Envoy per alcuni minuti, quindi chiuse la chiamata.

“Il Signor Envoy ha detto che lei sarà molto utile per il piano. Ha detto di portarla con noi.

“Bene, è lui il capo. Prendetela. Andiamocene di qui. Ordinò Bodan.

Mentre lui e gli altri stavano uscendo dalla casa di Hammond, Bodan si scontrò con un giovane uomo che stava salendo lungo il viale. Bodan era molto più grosso del ragazzo e riuscì facilmente a ridurlo impotente, a terra. Fischiò a due dei suoi uomini. Questi corsero verso di lui e presero su il ragazzo. Bodan lo studiò per qualche secondo, sorridendo nel riconoscerlo.

Timothy Murphy. Beh, questo è decisamente un bel colpo. Tutti e due i nipoti di Hammond sono decisamente meglio che uno solo. Benvenuto alla festa.

Tim lo guardò. Non aveva idea di chi fosse l’uomo. Lo sguardò si portò dietro Bodan e vide due uomini portare Lex. Non si muoveva.

Lex? Lex!” Urlò Tim.

Lex non rispose. Bodan sorrise.

Timothy, abbiamo dovuto contenere tua sorella. E’ stata una bella sfida. Ora, se anche tu decidi di sfidarci, dovremo contenere anche te.

“Chi è lei?”

“Il mio nome è Patrick Bodan. E questo è tutto ciò che ti occorre sapere per ora, Timothy.

Tim si ribellò per qualche secondo, ma i due uomini che lo stavano trattenendo erano troppo forti per lui. Alla fine smise di lottare.

“Vogliamo andare, signori?” Chiese Bodan.

Camminarono per qualche centinaio di metri nell’area boscosa vicino alla costruzione. C’era un qualche tipo di veicolo militare nascosto tra gli alberi, insieme ad altri uomini vestiti di nero.

Tim guardò mentre gettavano sua sorella, ancora incosciente, nel retro del veicolo, forzandolo quindi ad entrare a sua volta. Non aveva idea di cosa stesse succedendo. Era venuto soltanto per vedere se Lex era lì. Era andato a casa per aiutare sua madre con la festa. Aveva provato di chiamare Lex diverse volte, al suo appartamento, ma non aveva risposto. Era un po’ preoccupato per lei perché sapeva quanto fosse arrabbiata, dopo aver visto il loro padre. Aveva tirato ad indovinare, o stava guidando a casaccio o era andata a casa del nonno. Mentre risaliva il viale non gli sarebbe mai venuto in mente che potesse accadere qualcosa del genere.

Bodan era nel retro, insieme a Tim, Lex e altri 6 uomini.

“Signor Bodan, da chi dobbiamo andare ora?” Domandò uno degli uomini, Smith.

“Beh, Signor Smith, visto che ci siamo buttati sui bambini, voglio che mi trovi la prossima della lista.” Disse Bodan, per poi sorridere a Tim. “I bambini si rapiscono così facilmente.

Smith iniziò a sfogliare pagine e pagine di dati. Finalmente si fermò su una.

“Ecco qui, Signor Bodan. Jodie Grant.”

“Grant? Vuol dire... Alan Grant?”

Tim si raddrizzò appena sentì nominare Alan Grant. Iniziò ad ascoltare più attentamente.

“Sì, signore. Qui dice che Jodie è sua nipote. Ha 12 anni.” Disse Smith, leggendo dal profilo.

“Oh, non è perfetto? Okay, che Jodie Grant sia allora. Qual è la sua locazione?”

“Chicago, Illinois, signore.”

Bodan accese l’interfono e parlò al conducente.

“Dobbiamo andare all’aeroporto immediatamente. E procuraci 4 biglietti per Chicago, più in fretta che puoi.

“Sì signore.” Rispose l’autista.

Bodan guardò agli uomini seduti intorno a lui.

“Mi servono 4 uomini che vadano a Chicago per fare visita alla Signorina Grant.”

Jacob fu il primo ad offrirsi volontario.

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