The last vogue.

di bowiess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici. ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici. ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette. ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto. ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove. ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti. ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno. ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue. ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitré. ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro. ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque. ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei. ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette. ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto. ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove. ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta. ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno. ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue. ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatré. ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro. ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque. ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei. ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette. ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto. ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentanove. ***
Capitolo 40: *** Capitolo quaranta. ***
Capitolo 41: *** Capitolo quarantuno. ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantadue. ***
Capitolo 43: *** Capitolo quarantatré. ***
Capitolo 44: *** Capitolo quarantaquattro. ***
Capitolo 45: *** Capitolo quarantacinque. ***
Capitolo 46: *** Capitolo quarantasei. ***
Capitolo 47: *** Capitolo quarantasette. ***
Capitolo 48: *** Capitolo quarantotto. ***
Capitolo 49: *** Capitolo quarantanove. ***
Capitolo 50: *** Capitolo cinquanta. ***
Capitolo 51: *** Capitolo cinquantuno. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


 The last vogue. 



«Miley!»
Sento qualcuno chiamarmi in lontananza. Guardo meglio verso il marciapiede e noto la lussuosa macchina nera di Demi parcheggiata accuratamente dietro una Volkswagen. È lei, è proprio lei. È da un po’ che le chiedo di venirmi a prendere a scuola, visto che la mia macchina è praticamente distrutta.
«Sono qui!» dice agitando le braccia a mo’ di richiamo. La raggiungo e le do un bacio, mi sistemo la borsa sulle ginocchia e mi allaccio la cintura di sicurezza.  Mette in moto la macchina e guida verso casa, facendo attenzione agli studenti che attraversano tranquilli la strada.
«Com’è andata?» chiede osservando l’insegna dell’università.
«Cosa?»
«A scuola.»
«Si, si, bene.» dico annoiata. In realtà non è andata affatto bene. Odio quell’università, mio padre mi ha costretto ad iscrivermi. Avrei potuto benissimo seguire il mio sogno e diventare qualcuno, qualcuno di veramente importante, ma niente, devo laurearmi qui, è deciso. Percorre qualche chilometro in silenzio osservando attentamente ogni angolo di strada per evitare incidenti, visto che lei ne è molto esperta. Demi è una tipa sempre attenta e precisa, ma a volte sa essere distratta e impacciata e lo posso dedurre dalla sua ultima operazione, avvenuta qualche settimana fa, grazie ad un gravissimo incidente a Manhattan, e tralasciando il fatto che l'auto che guidava era mia, è andato tutto bene. Per fortuna. Arriviamo a meta.
«Stasera non ci vieni da Nick?» domanda girando il volante.
«No, ho molto da studiare e…»
«Guarda che lui l’ha già dimenticato.»
«Dimenticato cosa?» chiedo slacciandomi la cintura di sicurezza.
«Vedo che l’hai dimenticato anche tu!» ride fermando la macchina davanti casa mia.  «Quando la smetterete di litigare inutilmente? Tanto fate sempre pace alla fine.»
«Se abbiamo litigato» dico scandendo bene le parole «è solo grazie alla sua irresponsabilità.»
Esco dalla macchina facendo attenzione ai lacci sciolti delle Converse.
«Ti aspetto dai Jonas!» mi urla dietro. Mi giro per salutarla ma noto che è già partita.
Entro in casa, preparandomi alle torture a cui sono sottoposta ogni santo giorno grazie ai miei. Diventano ogni giorno più insopportabili, non credo di poter resistere ancora.
«Miley.» una voce mi interrompe, è mio padre, con un’espressione seria e minacciosa. Ha in mano un foglio, che tiene stretto, talmente stretto che rischia di stropicciarsi nelle sue grosse mani. Il suo sguardo mi lascia immaginare che è successo qualcosa e che si tratta di me.
«Si, papà?» chiedo guardandolo negli occhi. Sposta lo sguardo sul foglio per poi portarlo subito sul mio.
«Da quanto tempo?» dice impassibile, quasi sussurrando. Adesso capisco. So benissimo di che parla.
«Non sono affari che ti riguardano.» rispondo seria. «E adesso ridammi il mio foglio.»
«Non hai risposto alla mia domanda, Destiny.» il suo tono di voce aumenta. «Da quanto tempo prendi queste medicine?»
«Non chiamarmi così.» dico quasi implorandolo. Non sa quanto male mi fa essere chiamata così.
«So io che nome darti, e adesso, cortesemente, dimmi da quanto tempo ti imbottisci di questa merda.»
«Da quando tu e la mamma avete mandato a puttane il mio sogno.»
«E quale sarebbe il tuo sogno?» si avvicina a me e riesco a vedere la rabbia nei suoi occhi, pronta a scatenarsi su di me. «Camminare davanti ad un gruppo di tossico-dipendenti con la speranza di finire su qualche rivista da quattro soldi? Oppure quello di morire di bulimia a vent’anni?»
Dopo una lunga pausa, si allontana da me, gettando il foglio nella spazzatura e lanciandomi un ultimo sguardo, il più doloroso. Ho bisogno di quella ricetta più che mai, è l’unico modo per realizzare il mio sogno ed essere quello che voglio essere da anni. 

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


 The last vogue. 



Corro in camera, cerco di trattenere le lacrime, ma mi risulta difficile. Mi avvicino allo specchio e osservo il mio riflesso, scrutando ogni angolo del mio viso, facendo attenzione ad ogni minimo particolare.
Le mie labbra, i miei occhi, il mio naso, i miei capelli. Distolgo lo sguardo dal mio volto portandolo sul seno. Lo specchio è abbastanza piccolo, non riesco a vedere oltre il bacino. Quanto vorrei di nuovo i miei capelli lunghi, perché li ho tagliati? È successo in estate, ero stanca delle mie onde scure, volevo qualcosa di nuovo, qualcosa di originale.
Ma solo ora mi accorgo di quanto siano importanti i capelli nel mondo della moda.
Se fossi uno stilista non mi sceglierei mai per sfilare, le modelle di Vogue hanno tutte i capelli lunghi.  Le modelle hanno tutte i capelli lunghi, che ci faccio io con questo taglio da maschio?
Sento squillare il telefono. Lo prendo e rispondo senza nemmeno controllare il numero.
«Pronto?»
«Miley, sono Nick.» risponde imperterrito, come se si fosse davvero dimenticato di tutto.
«Che vuoi?» chiedo irritata.
«Niente. E tu che vuoi?»
«Voglio che tu smetta all’istante di parlare perché, guarda, ogni singola parola che esce dalla tua bocca mi fa davvero incazzare.» dico tutto d’un fiato.
«Senti Miley, che ne dici di dimenticarci di tutto?» dice poi, «Ti conosco da tanto e ti voglio un mondo di bene, non voglio litigare.»
La tentazione di perdonarlo è forte, tanto quanto quella di mandarlo a fanculo.
«Sto per riattaccare.»
«Ok, va bene, ma almeno ci vieni stasera da me?»
Sorrido e riattacco.
Ci sono rimasta male, non è la prima volta che lo vedo con altre ragazze mentre dice di amare solo me. Beh, non è proprio amore il suo. Abbiamo deciso di provare a stare insieme da qualche mese e mi sembra un po’ presto per parlare di amore. Ma mi fa innervosire il fatto di essere una delle tante per lui.
 
Mi sfilo il maglione bianco sostituendolo con una canotta nera, cambio gli shorts, indosso gli anfibi ed esco.
«Dove vai?» chiede papà, attento a guardare una partita di football alla tv.
«Torno subito.»
In realtà speravo di tornare il più tardi possibile a casa. Raggiungo a piedi un’edicola, compro un’altra rivista e percorro la strada di ritorno. Osservo attentamente la modella della copertina. Un’altra rivista da aggiungere alla mia “collezione”.
Quanto vorrei essere io quella in copertina, quanto vorrei far parte di tutto questo, lo desidero più di ogni altra cosa al mondo.
Devo solo raggiungere un peso specifico ed essere bella al punto giusto. Solo così potrò vedere la mia faccia su Vogue.
Vogue è tutto quello che desidero.
Vogue è tutto quello che voglio essere.
Vogue è tutto quello che sarò.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


 The last vogue. 



«Attenta quando torni, chiaro?»
Sto per andare a casa dei Jonas, dove mi aspetta anche Demi, e mamma mi sta tempestando di raccomandazioni, come se fossi una tredicenne.  Annuisco mentre mi allaccio le mie scarpe preferite, che mi porto dietro da due anni.
«E… tieni sempre il cellulare acceso, va bene?»
«Si, se vedi che non ti rispondo chiama a casa di Nick.» dico uscendo da casa e dirigendomi verso la fermata del bus.
Mando un sms a Demi:  “Sono lì per le sette, aspettami”.
Vedo in lontananza il bus che sta per arrivare, è pieno di persone, e io odio gli spazi affollati. Si ferma e riesco ad entrare. 
Sarà difficile stavolta stare con Nick, non lo vedo da quando abbiamo litigato. Con quale faccia verrà a salutarmi?
 Immagino voglia parlare. Spero tanto di si, non vedo l’ora di chiudere questa faccenda, voglio concentrarmi sul mio obiettivo adesso. Devo assolutamente recuperare quella ricetta, stava procedendo tutto così bene, prendevo le pillole ogni giorno, perdevo peso ogni settimana, non posso mandare tutto all’aria.
Dopo qualche chilometro, il bus si ferma, scendo e percorro qualche passo a piedi, raggiungendo la casa dei Jonas.
Da quanto tempo.
Avanzo verso il cortile trovandomi di fronte alla porta d’ingresso, suono il campanello e attendo, sperando di non trovarmi di fronte proprio Nick.  Noto la porta aprirsi.
Come immaginavo, è proprio lui.
«Oh,» dice sorseggiando una birra «sei arrivata, alla fine.»
«Già... » lo osservo imperterrita. «Posso entrare?». Si, come se dovessi chiedere il permesso.
«Raggiungici in camera.» dice andando in camera sua. Entro in casa e osservo gli interni attentamente, come se fosse la prima volta. È passato tanto tempo. Amo la casa dei Jonas, è così ordinata e pulita.
Entro in camera, Joe è steso a terra accanto a Demi, e Nick è seduto sul suo letto.
«Finalmente, ci hai fatto aspettare un sacco.» dice Joe aprendo un cassetto della scrivania e prendendo una cartina. «Demi...» dice poi.
«È in borsa.» risponde secca.
Ecco, le nostre serate non sono altro che fumo e alcool. Usciamo poche volte, e quelle poche volte si va in discoteca o in giro per le strade di New York. Stasera è andata così.
Mentre Joe sistema l’erba nella cartina, Demi si gira verso di me. Vedo i suoi occhi marroni scendere e percorrere le mie gambe fino alle scarpe.
«Belle.» afferma indicandole con lo sguardo.
«Grazie.»
«Secondo te gli piaccio?» chiede sorridendo. Capisco subito che sta parlando di Joe.  Lo guardo per un attimo per poi spostare subito lo sguardo su quello di Demi.
«Si, tantissimo.» dico a voce bassissima. Demi è praticamente cotta di Joe da quando l’ho presentata ai Jonas, ma non l’ha mai detto a nessuno tranne che a me. Joe sembra più che interessato. Che bello, sono così felice per lei. La vedo sorridere e, di conseguenza, sorrido anche io.
«Hey, la smettete di pomiciare?» dice Joe lanciandoci un cuscino. «Siete così strane.» soffia via il fumo e passa la canna a Demi, che dopo aver  fatto un tiro la passa a me. Nick continua a osservarmi, poi passa lo sguardo su Demi e Joe, li guardo anch’io e li vedo stesi a terra, tra un abbraccio e l’altro. Premo la canna tra le labbra, aspirando il fumo e gettandolo fuori.
«Potrei parlarti?» chiede sottovoce Nick, strappandomi quella schifezza da mano. Non è la prima volta che fumo questa roba, ma stavolta mi fa più schifo. Si alza ed esce dalla camera, lo seguo. Mi sta portando nello stesso posto in cui abbiamo litigato, in terrazza. In questa casa ci si può perdere, mi chiedo come faccia Denise a tenerla sempre in ordine.
«Perché fai così?» chiede sdraiandosi sul dondolo una volta arrivato. Sapevo che l’avrebbe detto.
Dio, Nick, sei così prevedibile.
«Me lo chiedi anche?» borbotto a braccia conserte.
«Ti ho proposto di dimenticare tutto, ma tu non ci pensi nemmeno. Ho capito, ho sbagliato, non lo farò più.» dice quasi supplicando.
«Ho altre cose a cui pensare, sono stanca della tua superficialità.»
«Che altro hai da pensare, Miley? Voglio starti vicino, dimmi cosa vuoi, cosa desideri, e io te lo darò. Voglio essere importante per te.» oh, Nick, vorrei tanto dirti cosa desidero, ma sarebbe meglio tenerlo per me, almeno stavolta.
«Voglio solo essere amata.» dico girando lo sguardo verso la luna piena.  Lo vedo alzarsi, con la coda dell’occhio, si avvicina a me prendendomi il viso con le mani e spostandolo verso il suo, in modo da incrociare i suoi occhi con i miei.
«Sono io colui che ti ama. Capito?» dice accarezzandomi le guance con i pollici. È da tempo che non lo dice. Sento qualcosa bruciare nello stomaco, mi capita ogni volta che mi dice di amarmi.
«Devo crederti?»
«Direi che non hai scelta.»
Appoggio la testa sul suo petto, lasciandomi andare al suo profumo, al suo calore, al suo corpo, lasciando che le sue braccia mi circondino. Vorrei rimanere in questo istante per sempre, sapere che lui c’è, che sono qualcosa per lui. È la sensazione migliore del mondo. Darei via mille giorni per pochi istanti come questo. Non so precisamente che effetto mi fa amare una persona così tanto, non lo so. 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


 The last vogue. 



Che mal di testa. Mi succede sempre, ogni volta che torno a quest’ora da casa di Nick. Beh, è anche vero che con tutto quel fumo non devo di certo aspettarmi un’aria rilassante.
Infilo le chiavi nella serratura e apro la porta di casa, cercando di non far rumore. È tardi, mamma e papà stanno dormendo, se si svegliassero sarei morta. Entro e cerco di raggiungere il più in fretta possibile la mia camera da letto, che è nelle stesse condizioni in cui l’ho lasciata: in disordine.
Prendo il pigiama e lo infilo velocemente, togliendomi le scarpe e vari accessori. Mi siedo sul letto appoggiando il portatile sulle gambe prima di accenderlo.
Il fatto che mamma e papà stiano dormendo è di certo un bene, se mi vedessero al computer alle tre di notte comincerebbero con le loro lamentele: "Ma cosa fai?!; Che combini a quest’ora?!; Pensa a studiare piuttosto!”. Dio, che palle.
Aspetto qualche secondo, dopodichè si apre la schermata del desktop. Clicco un paio di volte sull’icona di Google, sperando che si connetta il più velocemente possibile. Batto velocemente le dita sulla tastiera, premo su “invio”, morente dalla voglia di leggere i risultati. Ma niente.
Chiudo il computer con un gesto secco.
È la terza ricerca che faccio in una settimana, la terza. Ho cercato nei migliori libri, nelle migliori enciclopedie, a scuola, tramite amici, internet. Ho provato ad andare da un dietologo, ma la dieta che mi ha consigliato non ha fatto nessun effetto.
Prendo una rivista, quella che ho comprato in edicola, sfoglio le pagine osservando per bene tutte le modelle, esaminando ogni parte delle loro curve, ogni lineamento del loro viso. Hanno delle espressioni morte. Non sono contente, non sono felici di essere lì, mentre io darei la vita pur di mettere piede su una passerella. Loro non desiderano quella vita, eppure ce l’hanno.
 Io la desidero più di tutte, e non riesco ad arrivarci. Mi sento una fallita. Sto morendo di fame e non se ne accorge nessuno. Cosa spero di ottenere?
Chiudo la rivista, osservando la copertina del retro. Ci sono una serie di fotografie della prossima edizione, ma noto con maggiore interesse un numero scritto in grassetto, nella parte inferiore. 028 459 204. Che sarà mai? Dovrei scoprirlo?
Ma si. Tanto sono già le tre e mezza, che si fanno le quattro, i miei lo noteranno lo stesso, mi sveglierò sicuramente con due occhiaie da paura.
Apro nuovamente il computer, che ho lasciato accesso per sbaglio. Cerco il numero su Google, aspetto qualche secondo. Odio le attese. Ecco, l’ho trovato.
Ci sono una serie di risultati, mi incuriosiscono tutti, ma ce n’è uno che mi attira particolarmente:  
Vogue Agency.” Clicco un paio di volte sulla scritta, c’è la foto della prima copertina di Vogue, con un testo accanto. Leggo le prime righe, scorrendo velocemente alle ultime due, le più importanti: “Per eventuali contatti, chiamare il numero: 028 459 204”.
Perfetto. Non so di che si tratta, ma dev’essere interessante se riguarda comunque della moda. Prendo il telefono e salvo il numero in rubrica.
Chiudo la luce, mi infilo sotto le coperte e, finalmente, affondo la testa nel cuscino, addormentandomi beatamente.
 
-
«Sei brutta!»
No. Io non sono brutta.
«Hai ragione Melanie, Miley è brutta!» dice. Ho sentito che sono diventate migliori amiche in classe. «E se ci fai caso è anche un po’ grassa!»
No. Io non sono grassa.
Le sento ridere, mi alzo dall’altalena su cui ero seduta e le sfido, mettendomi di fronte a loro, pentendomi subito dell’azione che ho appena compiuto.
«Nessuno ci giocherebbe con te.» sussurra Melanie. Sono brutta. E grassa. Lo sono?
In effetti nessuno mai mi ha detto il contrario. Sono davvero brutta? E grassa? Ridono di nuovo. Ridono di me, guardando le mie gambe e le mie braccia. Mi strofino la guancia con la mano, e noto che è bagnata. Guardo in basso, non voglio sembrare debole davanti a loro. Ma non fa nulla, stavolta è andata così. La quinta elementare è quasi finita, non le rivedrò più. Devo resistere qualche altro mese.
Quando sarò grande sarò più bella. E più magra. Sarò talmente magra che tutte mi verranno a dire di mangiare, ma io non lo farò. Sarò sempre più magra, diventerò un’attrice. Anzi no, una modella. Le modelle sono tutte magre. Se divento una modella vuol dire che sono magra. Si, è così che farò.  Proprio così.

-
«Non sono grassa!»
L’ho appena detto? L’ho detto davvero?
Ho il cuore a mille. Cos’è successo? Era un sogno? Stavo sognando?
«Se tu sei grassa io sono incinta.» è Demi, è seduta di fronte a me. «Magari di Joe, così saresti anoressica.»
«Cosa? Pensi davvero che io non sia grassa?» chiedo affannata. È evidente che era un incubo.
«Miley, stai scherzando? Sei magrissima, hai un fisico spettacolare, non sai nemmeno quanto t’invidio, e poi saresti bella anche con qualche chilo in più.» dice guardandomi la pancia. Per un attimo ho creduto di trovare maggiore conforto in quelle parole che in un abbraccio. La guardo incantata per un po’, come se avesse detto chissà cosa.
«E ora vestiti, che sennò fai tardi all’università.» dice alzandosi, «E mettiti qualcosa di largo, che ti si vedono le costole.»
Direi che la giornata è cominciata più che bene.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


 The last vogue. 



Tengo stretto il cellulare fra le mani, gli occhi fissati sul numero, quel numero. Demi mi ha accompagnata a casa poco fa, non le ho detto nulla, è strano perché di solito le dico sempre tutto, ma stavolta no. Ho uno strano impulso di tenerlo per me.
Muovo nervosamente il ginocchio su e giù, torturandomi morbosamente il labbro inferiore.
Ho deciso. Lo chiamo, in attesa di una risposta.
«Vogue Agency, cosa posso fare per lei?» risponde una voce femminile, dopo ben otto squilli.
«Salve, sono Miley, chiamo da New York.» dico velocemente, fermandomi per un secondo, «Ho letto il suo numero sul retro di una rivista e… sa, sono interessata a…» aspetto un suo intervento, non so cosa dire. La sento sospirare, devo fare qualcosa.
«Vorrei entrare a far parte dell’agenzia.» affermo con tono deciso.
«Oh. Una nuova dipendente?»
«No, vorrei… vorrei fare un provino, non so. Vede, ho vent’anni e desidero con tutta me stessa diventare una modella e chiamarla mi è sembrata la cosa più giusta da fare.» dico tutto d’un fiato. Il cuore comincia a battermi forte, sento le gambe tremare, e le mani sudate. La conversazione va avanti.
«Quindi una nuova modella…» riflette «Ho bisogno dei suoi dati personali, oppure può passare da noi.»
«Certo, certo. Assolutamente si!» manifesto la mia gioia attraverso quelle parole, rendendomi conto della figuraccia che ho appena fatto. Ma non fa nulla, sono disposta a tutto pur di avvicinarmi almeno di un passo a quello che definisco “sogno”.
«Può dirmi l’indirizzo?» chiedo prendendo un foglio e una penna dal cassetto.
«211 Montague St, New York.» segno l’indirizzo sul foglio e lo ripongo nel cassetto, facendo attenzione a non stropicciarlo.
«Perfetto, grazie mille.»
«Arrivederci.»
Stacco. Ci passerò al più presto.
 
«Aspettami qui, vado a prendere l’auto.» dico uscendo di casa, sperando che mamma mi abbia sentito. Raggiungo la macchina di Demi, che è a pochi passi dal giardino. Salgo in auto e la saluto con un bacio.
«Finalmente…» dice partendo a tutta velocità verso l’officina.
«Finalmente cosa? Lo so che ti mancherà la mia università.»
«Ogni mattina alle otto in punto? Certo che no!» ride. Continua a guidare in silenzio, canticchiando qualche canzone, mentre io ripenso a quella telefonata. Ricordo ogni singola battuta, ricordo l’indirizzo e penso a quanto sarebbe bello entrare in un’agenzia del genere.
«Miley…» dice, distraendomi dai miei pensieri «Tutto bene con Nick?»
«Che ne sai tu di Nick?» chiedo sorridendo.
«No… è che… l’altra volta ve ne siete scappati via, tutti soli, quindi…»
«Mi dispiace deluderti, ma tra noi non c’è stato niente. O almeno niente di quello che pensi, ci siamo solo chiariti.»
«Mi fa piacere, siete così carini insieme, e poi sei felice quando stai con lui.»
Niente di più vero. Quando sto con Nick mi sento bene, mi sento amata e protetta. Ed è questo l’effetto che dovrebbe farti un uomo che definisci “tuo”.
Arriviamo a meta, Demi ferma l’auto ed esce. La seguo. Entriamo in officina, raggiungendo il mio fuoristrada nero, simile a quello di Demi, solo un po’ più rotto.
«Hey, Cyrus.» mi saluta Adam, il meccanico. «La tua auto è lì.» dice poi, indicandomi il fuoristrada. Mi lancia le chiavi e si allontana, accendendosi una sigaretta. Salgo in macchina, mentre Demi si affaccia al finestrino.
«Bene, il mio lavoro qui è finito. Torno a casa.» dice.
«Grazie per avermi accompagnata a scuola.» metto in moto l’auto e parto, dirigendomi a casa.
Sento il telefono squillare. Rispondo, e, ancora una volta, senza guardare il numero.
«Si?»
«Miley.» è una donna, una voce molto familiare e al quanto preoccupata.
«Denise, dimmi.»
«Nick è in ospedale, ha avuto un incidente.»
Una frase, e il mondo mi cade addosso.
«Un… cosa? Cosa è successo? In che ospedale siete?» chiedo preoccupata. Premo il piede sull’acceleratore, fregandomene del limite di velocità, che mi è sempre stato sul cazzo.
«Il più vicino a casa nostra, sai qual è. Ti prego, ha bisogno di te.»
Non sento più niente, non mi interessa del telefono, che ho lanciato violentemente sul cruscotto, né dell’auto appena riparata. Solo di Nick. Solo di lui, di nient’altro. Sono le 14:46, il mondo sembra essersi fermato. Cerco di accelerare, ma sono già alla massima velocità. Questa proprio non ci voleva.
Vedo una macchina ferma davanti a me.
Oh, no.
In un attimo, mi travolgono decine di auto, intente a bussare e litigare tra di loro. Il traffico a New York è bestiale.
L’ansia aumenta, la paura mi divora. Appoggio la testa sul volante, chiudendo gli occhi, lasciando che i clacson delle altre macchine scivolino nelle mie orecchie penetrando nel cervello e procurandomi un fastidio morboso, che mi spinge a sfogarmi con l’auto e, senza volerlo, do un pugno allo stereo, rompendo il taso del volume.
Che vita di merda. 

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


 The last vogue. 



Sono rimasta bloccata nel traffico per un’ora, e adesso sto vagando disperatamente nell’ospedale alla ricerca di Denise. Il cellulare non prende e sono già in ritardo.
«Miley!» sento qualcuno chiamarmi alle mie spalle.
«Denise, dov’eri?»
«Ti cercavo.» dice respirando faticosamente. «Su, vieni, Nick è di sopra.» camminiamo verso l’ascensore. Entriamo, premendo il tasto del secondo piano.
«Cos’è successo?» chiedo.
«Non lo so, eravamo a casa, Nick è uscito con Joe e hanno fatto un incidente, ho ricevuto una telefonata dall’ospedale e…»
«Come sta Nick?» insisto interrompendola.
«Non bene.»
L’ascensore si apre e raggiungiamo a passo veloce la stanza di Nick. Eccolo, lo vedo, è sul letto. Gira il capo e si accorge di me. Mi rivolge un sorriso, uno dei migliori. Mi avvicino al letto appoggiando le mani sul lenzuolo.
«Ti voleva.» mi sussurra Denise all’orecchio.
Mi giro verso Nick, notando con la coda dell’occhio che Denise si sta allontanando da noi, uscendo dalla stanza.
«Allora, come ti senti?» gli domando accarezzandogli la fronte, avvertendo un forte senso di calore.
«Mi fa male tutto.» risponde lamentandosi. Odio vederlo così.
«Come è successo?»
«Mi ero distratto.»  Questa cosa non mi convince, per quanto possa essere irresponsabile, Nick non è il tipo che si distrae in macchina.
«Cosa?» non risponde, continua ad osservarmi le mani «Nick, parla. Come ti sei distratto?»
«Ero un po’… sbronzo.»
«Ah, bene.» mi allontano dal letto, appoggiando le mani sui fianchi e voltandogli le spalle.
«Miley, non cominciare, ti prego, succede a tutti in fondo…»
«Evitiamo il discorso, non voglio farti la morale, solo… sta più attento. Sai meglio di me che ti è andata bene ora, poteva andarci di mezzo la tua vita.» gli prendo la mano.
«Scusami.» mi sorride, per poi stamparmi un bacio sulle labbra.
 
«Dove sei stata?»
«In ospedale, da Nick.»
Non ho una conversazione con papà da quando ha scoperto delle pillole. Comincia a mettermi ansia ogni singola parola che mi rivolge.
«Che succede?» chiede.
«Io vado, sono molto stanca e dopo ho molti compiti da fare quindi...» rispondo evitandolo.
«Ma non hai mangiato niente!» dice mamma intenta a sistemare i piatti nel lavandino. Non ho voglia di mangiare, ho solo voglia di stare da sola. Entro in camera e mi butto sul letto, infilandomi sotto le coperte. Sento la porta aprirsi, è papà.
Cosa diamine vuole adesso?
«Hai sonno?»  dice sedendosi sul letto.
«Un po’.»
«Sei arrabbiata?»
«Papà, ti prego...» non voglio aprire quell’argomento, finirei per litigare con lui ancora una volta.
«Miley, dimmi solo perché prendevi quelle medicine. Hai qualche problema? Avanti, ti ascolto.»
«Papà, cosa vuoi che ti dica? Sai che ho un sogno. Quel sogno. So che non ti piace, ma non riesco a farne a meno.» dico, rendendomi conto che tra un po’ mi metterò a piangere. «Mi emoziono anche solo a parlarne. Tu non puoi capire quant’è importante per me.»
«Oh, piccola mia.» mi accoglie in un abbraccio, uno di quelli che mi fa ritornare bambina, quando lui mi apriva le sue grandi braccia e io mi ci fiondavo dentro. Dopo un’altra lunga giornata a scuola, trovavo conforto in un suo abbraccio, mi stringeva forte, proprio come sta facendo adesso.
«Tu non hai mai avuto un sogno?» chiedo curiosa, staccandomi da lui con dispiacere.
«Più che sogno, era una passione. Amavo la musica. Imparai da solo a suonare la chitarra e seguii un corso di canto in Texas,» spiega  «ma poi mi sono diplomato, ho trovato lavoro e, soprattutto, ho conosciuto tua madre.» conclude sorridendo.
 «E poi…»
«E poi sei arrivata tu!» afferma gioioso stampandomi un bacio sulla guancia. Gli rivolgo un sorriso e lo guardo andare via, mentre mi sistemo sotto le coperte. Che dire, amo quell’uomo.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


 The last vogue. 



Fermo l’auto di scatto, notando il semaforo appena scattato sul rosso e avvertendo il suono del clacson dell’auto dietro di me.
Riparto, percorrendo la Remsen Street con la massima lentezza, fantasticando sul mio futuro nel caso venissi accettata nella Vogue Agency. Sarebbe il massimo avere l’opportunità di mostrare al mondo chi sono e cosa posso fare. Prendo il cellulare, digitando il numero di Nick, sono così preoccupata per lui. Vorrei tanto dirgli che sto lottando per realizzare il mio sogno, che sto facendo di tutto per questo, sarebbe fiero di me, ma lui è come papà. Non vuole che io diventi una modella, ha paura, ma non posso rinunciare a tutto questo, almeno non una volta arrivata fin qui. Ormai ci sono dentro e devo raggiungere il mio obiettivo. Non risponde, proverò a chiamarlo più tardi.
Scendo dalla macchina, trovandomi di fronte un edificio altissimo, che al primo impatto sembra avere più di venti piani, contornato da vetrate lucide e brillanti. Riesco a intravvedere gente che lavora, gente occupata, un via vai di lavoratori.
Avanzo verso l’ingresso, facendo attenzione ai tacchi altissimi che ho deciso di indossare. Ci ho messo un sacco a scegliere il vestito, ho messo sottosopra l’intero guardaroba giungendo finalmente ad un tubino nero, per giunta strettissimo.
Apro la porta, osservando ogni minimo particolare del piano terra. La mia attenzione viene subito attirata da una donna, bloccata in un bancone e occupata a maneggiare nervosamente fogli e riviste. Ignoro la tensione accumulata dentro di me e procedo verso la donna, fermandomi e appoggiando gli avambracci sul bancone.
«Salve, mi chiamo Miley, ho chiamato qui un giorno fa, per un provino e…»
«Un minuto.» dice senza nemmeno rivolgermi uno sguardo. Aspetto irritata tamburellando le dita su un volantino.
«Può solo dirmi dove si trova la sezione provini? Sa, ho fretta e…» insisto.
«Cosa posso fare per lei?» alza il capo di scatto, sorridendomi. Questa è fuori.
«Sono qui per un provino.» dico ricambiando il sorriso controvoglia.
«Decimo piano.» dice, ampliando sempre di più il suo sorriso. Annuisco compiaciuta e vado verso l’ascensore, lascio entrare tre persone per poi infiltrarmi per ultima. C’è un uomo, una donna e un altro uomo. I due sembrano essere dipendenti. Non so chi dei due è più affascinante, il loro smoking di certo aiuta molto, mentre la donna sembra essere un’ex modella sulla trentina, non riesco a vedere bene la sua faccia, ma riesco a percepire benissimo il suo Chanel n°5. L’ascensore si ferma, aprendo le porte al decimo piano. I due signori rimangono in ascensore con la donna mentre io mi affretto ad uscire. Mi ritrovo davanti una porta. La apro piano e la richiudo dentro di me. Non dev’essere che la zona provini.
«Com’è che ti chiami?» chiede scettico l’uomo seduto di fronte la modella in bikini. Un semplice banco li separa. La pelle della ragazza (che sembra essere una ventenne come me) scintilla alla luce del riflettore.
«Margaret.» risponde tremante, forse ha freddo. In effetti qui non c’è alcun riscaldamento.
«Età? Città? Nazionalità? Su ragazza, parla.»
«Ho diciotto anni» è anche più giovane di me. Mi sento così vecchia. «Sono nata a Stoccolma.» continua, con aria impaurita.
«Peso e altezza.» insiste incidendo una sbarra sul foglio che ha in mano «E poi sfila.»
«Quarantasette. Un metro e settantasei.» obbedisce all’uomo, sfila con eleganza e ritorna alla sua posizione di partenza.
«Le faremo sapere.» annuncia. Si, come no, le farete sapere. La osservo andare via delusa, mentre l’uomo parla con il resto dei suoi colleghi. Mi avvicino scaltra al banco, distraendoli dalla loro conversazione. I loro sguardi sadici si posano sul mio.
«Che ci fai qui?» chiede l’uomo che ha snobbato la modella di prima.
«Sono qui per un provino.» affermo. Noto i colleghi sussurrare fra di loro e guardandomi, mentre l’uomo mi squadra dalla testa ai piedi, calandosi gli occhiali sul naso per osservare meglio.
«Sei in uno studio, qui facciamo provini, non cocktails.» si riferisce al mio vestito. «Gucci, è perfetto, ma non riesco a vederti così. Su, va a spogliarti in camerino.» accompagna la frase con un lieve sorriso. Mi tranquillizzo e vado in camerino, che in questo caso è una cabina con tanto di tende di seta e specchio. Mi sfilo l’abito e lo poggio sullo sgabello.
«Eccomi!» esco dal camerino e avanzo verso la passerella, posizionandomi sotto la luce del riflettore, mentre l’uomo e i suoi seguaci sono disposti ordinatamente ai loro posti.
«Avanti…» mi incita a presentarmi.
«Mi chiamo Miley Ray Cyrus…» mi fermo. Dopo una breve pausa, riprendo a parlare «Sono di New York, peso… ecco…» ed è qui che mi blocco. Comincio a palparmi la gambe, senza dare nell’occhio, giungendo all’osso della coscia.
«Tesoro, non voglio darti fretta ma…»
«Quarantaquattro.» la mia voce rimbomba, scatenando un silenzio straziante, che mi induce a continuare malgrado la forte nausea che mi sta salendo «Sono alta un metro e settantanove.» adesso, non mi rimane che sfilare. Mi libero di ogni pensiero, avanzando verso il banco, non ho mai sfilato in vita mia, lo sto facendo nel modo giusto? Mi volto e torno indietro.
«Scusa, Miley, hai esperienze come modella?» chiede sbalordito. Faccio cenno con la testa di no. «Preparati ad averne, allora.»

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


 The last vogue. 



Lo guardo perplessa, cercando di capire cosa ha intenzione di fare. Si alza, affrettandosi a venire verso di me.
«In te ho visto la moda.» afferma compiaciuto. Come sarebbe? Non ho nulla che riguarda la moda se non un umile sogno da ventenne. «Ed è giunto il momento che la moda veda te.» continua.
«Ma non è vero, io non so sfilare, non ho mai sfilato.» borbotto ansiosa.
«Credimi, tesoro, non ho mai visto così tanta eleganza in una donna.» donna? Io ho vent’anni, non sono una donna, e s’è per questo non ho nemmeno tutta questa eleganza.
«Mi scusi, ma io davvero credo che lei abbia bisogno di…»
«No.» esclama poggiandomi un dito sulle labbra per interrompermi. «Dammi del tu.»
«Senti, io non sono una modella. È il mio sogno da anni, e ci credo molto.» mi dirigo verso il camerino. «Ma, con tutto il rispetto, il tuo comportamento mi da a pensare che mi stai prendendo in giro.»
«Cosa… cosa te lo fa pensare? Pensi che per essere una modella bisogna andare a letto con persone famose? Beh si, hai un’ottima percezione della realtà, signorina.» lo guardo sbalordita, mentre lui continua a blaterare. «Ma tu sei diversa! Sono convinto che non ti serve alcuna esperienza, perché in questi pochi secondi che hai sfilato, ho davvero visto anni e anni di carriera in passerella. La Vogue Agency è piena di talenti, molte delle nostre modelle sono partite da questo studio e sono arrivate nelle migliori passerelle del mondo!» alza il tono della voce, sta delirando, ma per quanto le sue parole non possano avere alcun senso, devo dire che una parte della mia mente freme dalla voglia di dirgli che tutto quello che desidero è in questa agenzia, e che sono più che disposta ad accettare la sua proposta.
«Ascolta, ragazza. Lavoro qui da trent’anni. Ho visto crescere le donne che vedi nelle copertine delle riviste di moda più famose del pianeta. Il mondo è convinto che donne come loro non ce ne sono più, eppure io credo ancora che in ogni donna, ricca o povera che sia, si nasconde il potere dell’eleganza. Ma solo in poche, c’è la capacità di farla risplendere agli occhi di tutti.» vedo le sue pupille dilatarsi e il suo tono di voce diminuire sempre di più. Ci rifletto qualche secondo, giungendo alla decisione.
«Le tue parole sono vere. Non ci sembrano, ma lo sono.» dico mordendomi il labbro. Lucas continua a guardarmi, in attesa di una risposta. Dopo ancora qualche attimo, annuisco, suscitando in lui un forte senso di gioia.
«Si!» afferma esultando. «Ti farò arrivare al top, tesoro.»

Sono ancora convinta che Demi non possa capire ciò che sto provando, ed è per questo che gliel’ho nascosto, ma adesso sono costretta a dirglielo, prima che le cose diventino ufficiali. Fermo l’auto di scatto, scendendo e dirigendomi verso la porta di casa sua. Premo un paio di volte sul campanello e sento il rumore dei suoi passi avvicinarsi verso l’ingresso.
«Chi è?» domanda.
«Sono Miley!» apre la porta, accogliendomi in un abbraccio. Entro, lasciando che il profumo di casa Lovato mi avvolga.
«Allora, come mai non sei andata all’università?» chiede sedendosi sul divano.
«Ecco…»
«Non avrai marinato la scuola con Nick?» mi interrompe, fantasticando su me e Nicholas. «Sarebbe fighissimo fare sega a scuola per stare col tuo ragazzo…»
«Ok, Demi. Ascoltami adesso.» annuisce ricomponendosi, pronta ad ascoltare. «Sono andata alla Vogue Agency, un’agenzia di modelle che desideravo chiamare da molto tempo. Ho fatto un provino lì…» più vado avanti più assume un’espressione stupefatta. «E mi hanno accettata.»
«Oh mio Dio.» urla.
«Cazzo, Demi!» le porto una mano alla bocca per farla stare zitta. «Non devi dire niente, niente a Nick.»
«E ai tuoi?»
«Ci penso io. Oggi torno a casa e parlo con papà. Sai com’è fatto.»
«Si, so com’è fatto, ed è per questo che voglio venire con te.» dice alzandosi dal divano di scatto. «Finirai per litigare con lui, e non voglio vederti soffrire ancora una volta.»
«Demi, ho paura.» sussurro, sperando che abbia capito di che parlo. La vedo avvicinarsi a me sempre di più, fino ad avere il capo a pochi centimetri di distanza dal mio.
«Sarai la più bella di tutte.» sussurra anche lei. «Adesso andiamo, così parliamo con i tuoi.»
Andiamo in auto, lasciandoci alle spalle il profumo della sua casa, che mi è sempre piaciuto. Mette in moto l’auto e partiamo a tutta velocità verso casa mia. Demi è attenta alla strada, mentre io guardo fuori dal finestrino i palazzi, che sfuggono rapidamente dalla mia vista uno dietro l’altro. C’è silenzio. Sono così ansiosa, cosa dirà papà? cosa dirà mamma? Non voglio farli soffrire, né preoccupare. Voglio realizzare il mio sogno, ma non voglio infrangere il loro.
«Siamo arrivate.» dice Demi fermando bruscamente l’auto, facendomi oscillare sul sedile.
«Un giorno mi manderai in ospedale.» sbuffo, scendendo dall’auto. La sento ridere. Ci avviciniamo insieme al portone, che è socchiuso, cosa molto comune, papà ha sempre quell’orribile vizio di non chiudere mai bene la casa. Entriamo dentro. Mamma e papà sono in cucina, intenti a preparare il pranzo.
«Tish?» sento la voce di Demi interrompere il silenzio e attirare l’attenzione di mamma e papà.
«Oh, Demi!» la accoglie, invitandola a sedersi. «Pranzi con noi?»
«Si!» mi affretto a rispondere, prima che Demi rifiuti. «Pranza con noi.» ho bisogno di un supporto, Demi è perfetta per questo genere di cose. Mi siedo di fronte a Demi, e noto che mi sta guardando, sta aspettando qualcosa, e io so benissimo cosa.
«Papà… devo dirti una cosa.» ma lui annuisce disinteressato. È occupato a leggere il suo fottuto giornale. «Papà…» niente. «Billy!» sbraita Demi attirando la sua totale attenzione. La guardo spaventata, mentre lei sembra decisa a parlare. Sto per svenire, papà si arrabbierà di sicuro e non credo di poter sopportare le sue lamentele.
Oh, Vogue, aiutami tu.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***


 The last vogue. 



«Ti ascolto.» cede papà dopo un po’.
«Miley deve parlarti.» annuncia seria. La situazione comincia a terrorizzarmi. Gli occhi di papà si spostano sul mio sguardo incerto e spaesato. Non so che dire, da dove dovrei cominciare? Parto dall’inizio o vado dritta al dunque?
«Ecco…» balbetto. Demi mi incita a parlare lanciandomi sguardi e occhiate, ma io davvero non ce la faccio. «Ho fatto un provino come modella. Mi hanno accettato, dicono che sono perfetta per quello.»
«Cosa?» ringhia papà di scatto.
«Papà, sono andata a fare un provino per la Vogue Agency come modella e mi hanno presa. Tecnicamente potrei accettare già adesso perché ho vent’anni, ma ho voluto dirtelo…»
«Miley, sai benissimo cosa ne penso.» dice a denti stretti.
«Andiamo Billy, lei è bellissima, il suo sogno è questo e non puoi ostacolarla, non proprio adesso che ha l’occasione di realizzarlo!» interviene Demi, più agitata che mai, mentre mamma ascolta incredula la discussione.
«Ah beh,» dice papà, rilassandosi. «la vita è la tua. «Fa quello che ti pare, ormai non conto più su nulla.»
Quelle parole mi confondono. Demi si volta verso di me con uno dei suoi migliori sorrisi, in segno di vittoria. Guardo papà con aria interrogativa, ma lo sguardo non mi è ricambiato. È intento a mangiare e credo che la discussione sia finita. Non me l’aspettavo questo comportamento, com’è possibile? In ogni caso, non è negativo, perché posso finalmente dire a Lucas di inserirmi nella Vogue Agency.

Corro in bagno, mi tolgo le scarpe salendo sulla bilancia. Chiudo gli occhi e trattengo il respiro per un secondo, li riapro subito. Quarantacinque. Esco in fretta, entrando in camera. Demi è andata dai Jonas, che mi stanno aspettando per un altro festino alcolico di gruppo. Apro l’armadio, afferro i miei jeans e una felpa grigia, mi infilo rapidamente le solite Converse e raggiungo la mia macchina. Nick è uscito da poco dall’ospedale, non lo vedo da molto tempo. Spero stia bene, mi manca così tanto. Arrivo a meta, scendo e trovo la porta già aperta. Paul e Denise non sono in casa, come sempre. Entro in camera. Sono seduti in cerchio, intenti a condividere la solita erba e la solita Vodka.
«Sera a tutti.» annuncio aggiungendomi a loro. Joe e Demi mi fanno un cenno con il capo, mentre Nick viene verso di me, stampandomi un bacio sulle labbra. «Allora?» chiedo.
«Tutto a posto.» risponde a voce bassa.
«E tu fa attenzione la prossima volta.» ribadisco a Joe, che sembra fregarsene della salute del fratello. Annuisce indifferente. È strafatto. 
«Demi mi ha detto tutto.» sussurra Nick avvicinandosi a me. «Ma io non voglio decidere per te, anche se sono contro questa decisione. La domanda è: sei sicura?»
«Sicura di cosa?»
«Miley, la tua vita cambierà completamente. Soldi, fama, popolarità, non è una cosa semplice. Sei sicura di stravolgere la tua vita in questo modo?»
«Parli come se dovessi andare in guerra, Nick, certo che ne sono sicura, sogno questa vita da anni.»
Mi prende il viso tra le sue mani calde e rabbrividisco. Mi guarda negli occhi.
«Allora va bene così.» sussurra a un centimetro dalle mie labbra. Ci stacchiamo di scatto, dopo che Joe ci offre la sua preziosa canna. Rifiuto, stasera non mi va né di fumare né di bere, ho solo voglia di stare con la mia seconda famiglia. Magari Nick ha ragione, dopo questa decisione la mia vita cambierà immediatamente. Addio alcool con gli amici, addio università, addio mamma, addio papà, addio tutto, solo moda, lavoro, passerelle, paparazzi, vip, fama e nient’altro. Un po’ mi spaventa lasciare questa vita, mi spaventa dover conoscere un altro mondo, ma nonostante questo, so che per la mia famiglia sarebbe un vantaggio. Potrò dare dei soldi ai miei e lasciarli vivere la vita che meritano, potrò rendere Demi fiera di avere un’amica come me, potrò far vedere a tutti cosa posso fare, potrò far vedere a tutti che Miley è riuscita a realizzare il suo sogno, che ora finalmente non dovrà più contemplare le copertine di Vogue, ma potrà contemplare la sua faccia, su Vogue. Rabbrividisco al solo pensiero di essere arrivata fin qui da sola. È stato così difficile finora ignorare ciò che volevo essere, invece adesso non mi resta altro che dire un “si”, è davvero una bella sensazione, mi sento davvero me stessa adesso, mi sento davvero come volevo.
«Oh, ma a cosa stai pensando?»
«A niente, Nick.» sorrido. «A niente.»

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***


 The last vogue. 



Oggi è domenica, niente università. Mi alzo lentamente dal letto, ancora mezza stordita. Ieri sono rientrata tardi, come sempre, perché ogni volta che vado dai Jonas non riesco mai a tornare in tempo per la cena. Vado in cucina, verso il frigo, afferro del latte e lo verso nella mia tazza. Mamma e papà dormono ancora. Sono le dieci, la Vogue Agency oggi è aperta fino a mezzogiorno, ne approfitto per avvisare Lucas.
Prendo l’iPhone e compongo velocemente il numero dell’agenzia. Porto il telefono all’orecchio e attendo.
«Vogue Agency, prego.» mi dice una voce minuta.
«Salve, potrei parlare con il responsabile dell’ufficio provini?» chiedo sorseggiando del latte.
«Solo un minuto.»
E aspetto, sperando che questo minuto non diventi un quarto d’ora. Dopo un po’, sento una voce maschile e rauca.
«Pronto?» riconosco il suono, è senz’altro Lucas.
«Ciao, sono io, Miley, volevo dirti che i miei hanno detto di si e che sono disposta a…»
«Perfetto!» esulta. «Oh, Miley, non immagini quanto sono contento. Passa qui immediatamente, non vedo l’ora di presentarti al direttore.» direttore? Presentarmi? Cos’ha intenzione di fare? Puzzo ancora di Vodka per ieri sera!
«Oh… io veramente…»
«Mettiti qualcosa di carino e di blu.»
«Blu?»
«Vedrai.» riattacca. Osservo il telefono per qualche secondo per poi posarlo sulla cucina. Getto il latte che rimane nel lavandino, lasciandoci la tazza sporca. Corro in bagno e mi posiziono davanti allo specchio sistemandomi i capelli arruffati. Gli occhi sono contornati da uno strato spesso di mascara sciolto, non posso presentarmi all’agenzia così.
Mi tolgo il pigiama ed entro nella vasca, apro la doccia e sciacquo rapidamente ogni parte del mio corpo, lasciando che l’acqua gelida penetri nei miei pori. Esco, mi circondo il busto da un asciugamano e mi affretto a cercare un abito adatto all’occasione. Qualcosa di blu.
Decido di indossare una gonna bianca e un top sui toni dell’azzurro. Mi sembra perfetto, visto che, sebbene il mio guardaroba pulluli di vestiti, non ho nessun capo blu. È un colore che odio. Indosso poi dei tacchi bianchi e porto alla spalla una borsa, infilandoci il telefono e le mie riviste.
Scusate mamma e papà, sono dovuta correre in agenzia! A dopo.
Lascio un post-it sul frigo e corro in auto, la metto in moto e sfreccio verso la Montague Street. Spero che papà capisca, anche se sono più convinta che dopo aver letto il post-it si arrabbierà come una belva. Ma tanto gli passerà quando mi vedrà in passerella, un giorno. In fondo dovrà abituarsi, e anch’io dovrò abituarmi a queste “riunioni” improvvise. Oggi la Remsen Street è praticamente vuota, non c’è traffico, non ci sono incidenti e di solito è il contrario, specialmente agli sgoccioli di aprile.
Giro l’ultima curva e arrivo al parcheggio dell’agenzia. Prendo la borsa e avanzo verso il grande edificio, entro e scorgo la figura di Lucas appoggiata al bancone dell’ingresso.

«Hei, Lucas.» batto una mano sulla sua spalla. 
«Oh, tesoro.» mi stampa un bacio sulla fronte, come se fossi sua figlia e mi fa cenno di entrare nell’ascensore. «Scusami se ti ho messo tutta quest’ansia, ma appena mi hai detto che…»
«Oh no, non sono in ansia.» mento, dopo averlo interrotto. 
«Credimi, solo una donna in panico sceglie un completo per una riunione.» lo guardo sbalordita. Come ha fatto a capire ciò che ho passato dopo la sua telefonata solo guardando i miei vestiti? 
Arriviamo all’ultimo piano dopo qualche minuto di silenzio, qui ci sono delle porte chiuse con sopra dei nomi. Ogni passo che faccio verso l’ufficio del capo sento il cuore battere all’impazzata, mentre Lucas ha tutta l’aria di uno che se ne frega.
Bussa alla porta un paio di volte, prima di essere aperta da una donna in tailleur alta e snella, che alla vista di Lucas, sorride e cammina verso il presunto capo, che sembra essere l’uomo dietro la scrivania intento a lavorare. Lucas mi fa segno di seguire la donna. L’ufficio è un vero tempio della moda. Le pareti sono piene di quadri che raffigurano le copertine delle riviste in cui appaiono le modelle lanciate da loro, la maggior parte contiene copertine di Vogue, mentre il quadro più grande, raffigura un ritratto di Anna Wintour, la creatrice di Vogue, nonché il mio idolo assoluto.
«Ciao Lucas.» saluta l’uomo alzandosi.
«Salve! Vede, ho qui una nuova modella.» sorrido, in preda al panico. «E vorrei inserirla tra quelle che già abbiamo.» 
Il capo continua a guardarmi dalla testa ai piedi, osservando ogni curva, e questo mi mette ansia.
«Bel top!» dice dopo un po’, riferendosi al mio top azzurro.
«Che ti ho detto?» mi sussurra Lucas. È vero, è grazie a lui se ho messo questo top blu, aveva ragione riguardo ai gusti del capo. 
«Riguardo a questo… vorrei parlare in privato con te, Lucas.» afferma serio. Lucas mi fa cenno di uscire fuori con la donna in tailleur, che mi fa strada verso l’uscita. 
«Allora sei una nuova modella?» chiede chiudendo la porta.
«Non ancora, ma…si.» le sorrido, sistemandomi la borsa sulla spalla. Si avvicina a me, guardandosi attorno prima di aprire bocca.
«Stai attenta!» dice preoccupata. «Le nostre modelle sono bellissime, ma sono cadute tutte nella stessa trappola!» la guardo perplessa, ascoltandola delirare. «Sono stata anche io una modella, ma poi ho lasciato perdere.»
«P…perché?»
«Tu non immagini com’è entrare a far parte di questo mondo.» continua. Riesco a percepire la paura nei suoi occhi, ma non mi convince a cambiare idea, anche se sono curiosa di sapere cosa le sia accaduto di tanto brutto.
«Cosa ti è successo?»
«Io…»
La porta si spalanca, Lucas viene verso di noi con un sorriso stampato in volto. 
«Complimenti, Miley! Sei una di noi!» gioisce prendendomi per mano e tirandomi verso l’ascensore. Si chiude, poi, portandomi via dalla figura di quella donna, che mi lancia un ultimo sguardo terrorizzato, lasciandomi nella più totale incomprensione. 

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***


Allora, ciao a tutti!
Lo so che non vi scrivo mai qui, ma ci tenevo a farlo da tempo. Dunque, volevo ringraziarvi per tutte le recensioni, mi fa davvero piacere sapere quello che pensate di questa ff, anche perché ce la sto mettendo tutta per farla venire bene, anche se non ci sto riuscendo per niente. çç
Detto questo, vi chiedo scusa se qualche vecchio capitolo vi ha deluso, non era davvero mia intenzione, e scusatemi se la storia per adesso vi fa un po’ annoiare, anche perché fra pochissimo ci sarà un po’ più di movimento, in questo modo sarà più interessante e non avrete voglia di uccidermi, ahahah.
Bene, vi lascio, grazie ancora per tutto e buona lettura.

 The last vogue. 



Le parole della donna mi hanno lasciato un senso di inquietudine dentro, comincio a preoccuparmi.
Ma no, cosa sto dicendo?!, ho aspettato con ansia questo momento e di certo non mi tirerò indietro.
Non so dove mi stia portando Lucas, sto vagando per New York in macchina con lui da mezz’ora. È un uomo molto loquace a quanto pare, da quando siamo partiti non ha fatto altro che parlare della Vogue Agency e delle modelle che ha lanciato.
«Allora, parlami un po’ di te. Sei di New York?» chiede.
«No, no, io sono del Tennessee, mi sono trasferita a New York quando ero piccola.» rispondo.
«E com’è nata questa passione per la moda?» rifletto qualche secondo, pensando a delle parole giuste per descrivere quello che realmente provo, perché non voglio mentire alla persona che sta realizzando il mio sogno.
«In realtà, non è nata come una passione.» spiego. «Da piccola le mie amiche mi chiamavano grassa e… brutta. Così cominciai a fare diete già all’età di dieci anni, un’età in cui una ragazzina dovrebbe godersi la sua infanzia e mangiare quanto le pare. Poi ho scoperto la moda, e le passerelle, e vedevo che le modelle erano tutte acclamate e desiderate per via della loro magrezza, così decisi: da grande volevo fare la modella.» dico, guardando Lucas, che, sebbene attento alla strada, mi dedica gran parte della sua attenzione. «Ma…mio padre non approva molto questa mia scelta, così mi ha costretto a frequentare l’università.»
«Beh, sei una ragazza molto intelligente per avere sogni del genere.»
«Di che parli?»
«Di solito le modelle tendono ad odiare le loro vite, capita raramente che una donna scelga di intraprendere questa strada.» spiega accompagnando le parole con un’aria saggia ed esperta «Non è facile difendersi dalle inside della moda, ma sono sicuro che non ti lascerai trasportare dalle persone sbagliate.» non ho ben capito cosa voglia dire, di certo non saranno sciocchezze.
Dopo qualche chilometro, ferma la sua auto in un parcheggio e mi fa cenno di scendere. Obbedisco e lo seguo.
«Ma…dove stiamo andando?» chiedo spaesata. Mi ignora, camminando a passo veloce verso un negozio. Mi apre la porta facendomi passare, per poi seguirmi. È uno studio fotografico barra casa, ben curato e molto accogliente. Lucas si toglie la giacca, buttandola sul divano.
«Fa come se fossi a casa tua.» dice. Il proprietario della casa barra fotografo dev’essere uno ricco. Poggio la borsa sul divano, stendendomici comodamente sopra. Sento la voce di Lucas vagare all’interno della casa, chiamando un certo Tom. Mi rialzo, prendendo il telefono e controllandolo. Non c’è niente. Ne approfitto per vedere l’ora e noto che sono le dodici e trenta. Ricordo quando a quest’ora eravamo riuniti a casa della nonna per pranzo, mentre il pomeriggio papà ci costringeva a rimanere per guardare le partite di football. Ma, come ho già detto, devo abituarmici.
«Miley, ti presento Tom.» dice Lucas, appoggiandosi alla spalla del suo “amico”. Mi alzo di scatto, avanzando verso di lui e stringendogli la mano.
«Molto piacere.» gli sorrido.
«Tu devi essere Miley!» afferma contento. «Lucas mi ha parlato molto di te in questa settimana, e devo dire che sei davvero come ti aveva descritta. Occhi verdi con sfumature azzurre, fisico spettacolare, alta al punto giusto e, naturalmente, bellezza sovrannaturale.»
«Oh, la ringrazio moltissimo.» 
«Dammi del tu!» sorride. «Forza, c’è molto lavoro da fare.» lavoro? Continuo a non capire cosa frulla nella testa di Lucas, ma nonostante l’incomprensione, mi limito a seguirli salendo delle scale a chiocciola e raggiungendo un ulteriore studio fotografico.
«Oh mio Dio.» balbetto, incantata da quel –posso anche dire- panorama. C’è l’intera vista di Central Park, le mura sono vetri trasparenti, simili a quelle della Vogue Agency. Ad un lato della stanza, si concentra il vero e proprio studio, costituito da una piattaforma bianca, su cui si riflettono delle luci e degli effetti, dall’altro ci sono i macchinari necessari per lo sviluppo delle foto.
«Cosa avete intenzione di fare?» domando sospettosa.
«Lanciare una stella in cielo!» afferma Lucas convinto. Tom scoppia a ridere. Lucas sta delirando. Rido anch’io.
«Bene, ti faremo delle foto, in modo da portarle al direttore. Lui provvederà a farle girare attraverso il web e in questo modo gli stilisti interessati a te ti chiameranno per partecipare ad una sfilata.» spiega Tom gesticolando con le mani. «Ma ho bisogno che tu ti metta…»
«Questo.» termina Lucas, sventolando un reggiseno nero con le mani.
«No!» sbotto subito. «Voglio dire… non… non mi va di indossarlo…ecco…potrei imbarazzarvi…»
«Miley…»
«E potrebbe darvi fastidio, e io non voglio assolutamente crearvi alcun disagio.» borbotto torturandomi un lobo con le dita. «Non…non credo sia una buona idea…ecco…»
«Miley, siamo gay.» chiarisce Tom, zittendomi. Nessuno potrebbe mai immaginare l’imbarazzo che sto provando in questo momento. Lucas soffoca una risata, nascondendosi dietro la schiena del presunto fidanzato. Mi mordo il labbro per poi sorridere imbarazzata.
«Allora? Iniziamo?» ribadisce Tom. Faccio cenno con la testa di si e corro in bagno a cambiarmi.
Che figura di merda. Oh, Miley, come diamine hai fatto a non accorgertene prima? Lucas e Tom, Tom e Lucas. Oh mio Dio, vorrei sprofondare. Menomale che non mi hanno riso in faccia, sarei arrossita e io odio arrossire. Beh, almeno non saranno imbarazzati all’idea di osservare il corpo di una donna, e non sarò imbarazzata nemmeno io, dato che stanno insieme. Tra un pensiero e l’altro, mi infilo il completo e torno su. Lucas e Tom stanno sistemando la macchina fotografica, e sembra siano pronti per procedere. Mi posiziono davanti all’obiettivo senza vergogna. Figo, si comincia . Mentre Tom mi assegna le posizioni da assumere, penso a quanto sarebbe bello essere contattata da uno stilista. Oh si, sarebbe davvero il massimo. Mi scappa un sorriso.
«Brava, Miley, sorridi così.» mi dice Tom. Continuo a sorridere, incrociando gli sguardi compiaciuti di Lucas.
Tutto questo mi fa sentire così bene. 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***


 The last vogue. 



Torno a casa, parcheggiando l’auto nel garage di casa e dirigendomi verso la cucina. Sono quasi le cinque, Tom e Lucas hanno insistito per farmi rimanere a pranzo. Vado in camera, mi spoglio e mi infilo velocemente il pigiama, riponendo ordinatamente gli abiti nel guardaroba. È stato un vero shock sapere che Lucas è gay. Voglio dire, non che io sia contraria, ma non me l’aspettavo davvero. Ma  sono così felice, in fondo li vedevo così affiatati e ormai di coppie così ce ne sono ben poche al mondo.
Basta guardare i miei: non c’è più amore. Lo vedo io, coi miei occhi da ventenne, che mamma non prova più quell’amore che provava da giovane verso papà. Forse è normale che l’amore affievolisca col passare del tempo, ma una cosa è certa: a papà sta bene così. Non gli importa, nel senso che non ha bisogno di amore, a lui basta un giornale e una partita di football.
Il rumore secco della porta che si spalanca mi distrae dai miei pensieri fitti, riportandomi alla realtà, ovvero, un papà infuriato appoggiato all’entrata della camera.
«Mi spieghi cos’hai fatto tutta la giornata?» chiede nervoso, a braccia conserte.
«Niente, papà.»
«Niente…niente…niente….sempre niente. Non fai mai niente, non dici mai niente, non vedi, non senti, non hai mai niente.» alza il tono della voce. «Quand’è che potrò avere un vero dialogo con mia figlia?»
«Smettila di urlare, papà!»
«Senti.» dice calmandosi e rilassando i muscoli della faccia. «Io…è solo che non voglio che il nostro rapporto si perda.»
«Oh, papà.» mi avvicino a lui, stringendo delicatamente il suo bacino con le braccia. «Ma il nostro rapporto non si perderà mai, io ti voglio bene, sono sempre la tua piccola Miley. Niente è perso.» dunque, i suoi muscoli facciali si protendono, fino a formare un sorriso puro e semplice. Peccato che quelle cose siano false. Non mi ritengo più la bambina di papà, ormai sono una ventenne, ma non riesco a dirglielo, è più forte di me. Mi guarda felice, accarezzandomi il capo con la mano e schioccandomi un bacio sulla fronte, come faceva quando ero piccola. Ogni suo gesto mi riporta alla mia infanzia e non so se è una cosa positiva a vent’anni. Dopo un po’ ci stacchiamo e se ne va, dopo avermi rivolto uno sguardo pacifico e rilassato. Me la sono scampata.
Mi butto sul letto, accovacciandomi sulle coperte e addormentandomi dopo qualche minuto.
 
«Quindi ora sei una modella?»
«Si…e sarò una modella morta se non mi lasci studiare.»
Nick ha insistito per venirmi a trovare, proprio adesso che sto studiando. Tra un po’ devo dare un esame e se non lo passo, papà mi darà la morte. Leggo attentamente le righe del libro, cercando di capire qualcosa, ma ogni sforzo risulta totalmente inutile. Chiudo il libro di scatto, poggiandolo sulla scrivania, arrendendomi di fronte all’imponente ammasso di carta. Nick mi guarda con aria di chi sta aspettando qualcosa. Sta fermo lì, a braccia conserte, con le gambe accavallate.
«Che c’è?» sorrido.
«Niente, ora che sei una modella mi sembri più…carina.» sussurra toccandosi le mani ossessivamente.
«Davvero pensi che io sia carina?» lo guardo felice.
«Lo sei, bimba.» ribatte sbadigliando. «Perché credi di essere il contrario?»
«Non mi va di dirtelo, un giorno magari lo capirai.»
Non ho voglia di ripercorrere quegli anni della mia vita che mi hanno portato a prendere dei medicinali dimagranti, tantomeno con l’uomo che vorrei vedesse solo la parte migliore di me. «Okay.» sbotta dopo una lunga pausa.
Si alza, stendendosi sul letto. Faccio lo stesso, stringendomi a lui. Ora, sento il suo cuore battere contro il mio. Petto a petto, riesco anche a sentire il suo respiro sui miei capelli. Nick è davvero importante per me, non saprei come stare senza la sua schiettezza o il suo essere… “diverso”. Si, perché lui è diverso da tutti.
«Ora che sei famosa…» sussurra stringendomi a sé «sei anche più richiesta…voglio dire…ti corteggeranno in molti…» lo zittisco in un secondo, dopo aver capito il senso della sua frase.
«Non voglio nessun altro.»
«Quindi non mi mollerai per un altro, vero? Magari uno più maturo, uno più dolce, più bello, più…famoso?»
«Nick! Smettila di dire queste cose.» dico alzando il tono della voce, sperando di non aver svegliato mamma e papà. «Senza di te sarei praticamente persa, ormai ho solo te, non potrei mai rimpiazzarti con il primo che capita. Io ti amo, lo sai.»
«Quindi me lo garantisci?»
«Non credo ce ne sia il bisogno.»
«Sei così sicura di te stessa? Guarda che è una parola importante.»
«Non farmi lezioni d’amore, Nick, io so distinguere una cotta dalle altre cose.» mi avvicino al suo viso.
«E la mia cos’è?» sussurra ad un centimetro dalle mie labbra.
«Non è più come quando avevo quindici anni.»
«Ti piacevo così tanto all’epoca?» sdrammatizza con aria presuntuosa. Trova un lato divertente in tutto. Ad un certo punto, ha vergogna di mostrare i suoi sentimenti. Se la sua ironia non mi avesse bloccata l’avrei baciato all’istante.
«Mi ero presa una bella cotta e tu eri timido come me, a scuola nessun ragazzo mi parlava nel modo in cui mi parlavi tu.» sorrido, scorgendo un vago ricordo sepolto nella mia mente.
 -
«Piacere, Miley.»
«Io sono Nick.» dice porgendomi la mano. Dopo un po’, gliela stringo calorosamente.
«Sei di qui?» chiedo, perdendomi nei suoi occhi scuri e penetranti.
«No, mi sono trasferito qualche anno fa.»
«Oh, anch’io.»
«Bello.» conclude, abbassando lo sguardo e sfiorandosi il lobo con le dita. «Allora io vado…» è così carino.
«Ci vediamo in giro allora…» dico timida, quasi quanto lui. Non ho mai parlato con un ragazzo così gentile e semplice. Ma forse ha già un’altra. Non potrei mai piacere ad uno come lui. Lui è così…ed io sono…così.
«Va… va bene.» annuisce e se va, scomparendo in un attimo dalla mia vista. Che ragazzo dolce. Spero che un giorno riesca a trovare una donna che lo ami per quello che è. Anche se non lo conosco, mi sembra un tipo dolcissimo.
Quanto vorrei essere amata da un ragazzo così.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici. ***


 The last vogue. 



Sono passati tre giorni dal primo “set fotografico” a casa di Lucas, e mi ha detto che ci sono già alcuni stilisti interessati a me. Mi ha detto che tra pochi giorni farò la mia prima sfilata, non mi sembra neppure vero. Papà mi appoggia, come la mamma, Nick, Demi e Joe. Dicono che sono perfetta per questo lavoro, che era il mio sogno da tempo e che in fondo è giusto che lo realizzi.
Scaccio via questi pensieri dalla mente e mi alzo dal letto sbadigliando. Fuori c’è il sole, il tipico sole di New York alle sette e trenta del mattino. La vita è frenetica in questa città: gente che lavora, gente che studia, gente che già è in autostrada, e il sole risplende subito, mentre a Nashville, mi ricordo che fino alle dieci del mattino era tutto tranquillo e pacifico, il sole accennava i suoi primi raggi e c’era una pace impressionante. Vado in cucina, prendo dell’acqua e la bevo, ignorando il gelo che scorre giù per lo stomaco. Torno in camera, indosso i miei soliti vestiti e le mie solite scarpe, poi, vado in bagno, mi lavo velocemente e prendo il pettine, lo riposo, dopo aver capito che quest’oggetto non mi serve più a nulla. Entro in auto e mi dirigo all’università. Tra un po’ dirò addio a questo posto, non mi serve più. Addio libri, addio insegnanti, addio compagni, non mi provoca nessun dolore, ho sempre odiato questa scuola.
E la giornata passa in fretta, come al solito, tra una lezione e l’altra, ascoltando le paranoie che offrono le facoltà di medicina.
 
Busso più volte alla porta della casa di Lucas, che mi ha detto di correre da lui all’improvviso. La porta si apre e scorgo la figura di Tom con addosso un accappatoio. Mi copro subito il viso con le mani, voltandomi in fretta, colma d’imbarazzo.
«Oh mio Dio, Tom, scusami, io...»
«No, tranquilla!» borbotta ridendo. «Vieni, entra. Lucas è di sopra, ti sta aspettando. Corri, c’è una sorpresa per te.»
Salgo in fretta le scale, arrivo di sopra e vedo Lucas, intento a scrivere al computer.
«Miley! Vieni qui, presto!» corro verso di lui, avvicinando la testa al PC. Sta parlando con un certo Steefy. Non capisco nulla, stanno parlando in francese, ma c’è una cosa che riesco a capire molto bene: il mio nome. Stanno parlando di me.
«Chi è?» chiedo.
«Steefy, uno stilista francese. È interessato a te e ti vorrebbe alla sua sfilata a Parigi.» sobbalzo all’ascolto di quella parola. Ho sempre sognato di andare a Parigi, ho cercato migliaia di lavori in città per prenotare un viaggio nella città dell’amore, ma non ne ho mai trovato uno.
«Parigi?» balbetto. «Stai scherzando, vero? È…è impossibile, io non posso...»
«Il problema non è se puoi o non puoi. Tu devi. È il tuo lavoro!» afferma chiudendo la chat e spegnendo il PC. «Voglio che tu venga con me a Parigi per sfilare. Puoi portare un tuo amico o una tua amica, o tuo padre. Io e Tom provvederemo per la prenotazione, entro domani, voglio la conferma. Ok?» annuisco contenta e lo abbraccio, riempendolo di baci. «Oh e…scusa per Tom. Ha questo maledetto vizio di girare per la casa in accappatoio.» sorrido e corro di sotto, saluto Tom in fretta. Sono felicissima, davvero, non ho mai pensato di andare a Parigi. Entro rapidamente in auto, la metto in modo e vado verso la strada di casa. Sento l’aria mancarmi ogni metro che percorro, aumento di velocità, sentendo la tensione aumentare. Ma no. Devo calmarmi. Respiro lentamente, cercando di recuperare il controllo.
 
Infilo le chiavi nella serratura e apro la porta di casa. Mamma e papà sono seduti sul divano a guardare la TV, che trasmette un documentario. Ignoro la loro tranquillità e piombo davanti i loro occhi.
«Mi vogliono ad una sfilata! Papà, a Parigi!» comunico entusiasta. Entrambi assumono un’espressione stupita prima di accogliermi in un abbraccio. «Allora è si?» chiedo priva di quiete. Annuiscono compiaciuti, mentre io riprendo ad abbracciarli con tutte le forze che ho. Sto prendendo il volo, sto iniziando a volare, non ci posso credere. Va tutto così bene nella mia vita, sono così felice di quello che sono, di chi sono, di quello che ho. È la prima volta in vita mia che mi sento così, non ho mai desiderato così ardentemente andare avanti, scoprire cosa c’è là fuori e far vedere alla gente chi sono.
-
«Bambini, cosa volete fare da grandi?» chiede la maestra sorridente. Sento le voci dei miei compagni di classe accavallarsi. Un misto di parole che non riesco a capire. Chi vuole fare la principessa, chi vuole fare l’astronauta. La maestra continua a sorridere all’ascolto di tutti questi sogni messi insieme. Sposta lo sguardo su di me, che subito si trasforma in uno triste e serio.
«E tu, Miley, cosa vorresti diventare?» mi chiede accennando un lieve sorriso.
Silenzio.
Nessuno parla. Tutti aspettano me. In un attimo, vedo il mio corpo ondeggiare su una passerella, vedo me sotto i riflettori, con un vestito rosa, me con il mio più grande sogno. Mi alzo in piedi, creando una spirale di sguardi tra me e la maestra.
«Voglio essere una modella.» affermo decisa. Mi guarda stranita, come se avessi detto che Babbo Natale non esiste a soli dieci anni. E tutti mi guardano, increduli. La maestra si appoggia alla cattedra, facendo scivolare i suoi occhiali lungo il naso, mentre io la fisso seria.
«Che sogno stupido!» mi provoca Melanie. L’altra volta mi ha detto che sono brutta. «Tu non sarai mai una modella!» conclude, prima di scoppiare in una risata insieme al resto della classe. Mi siedo dispiaciuta. Forse è vero. Non sarò mai una modella, vorrei tanto prendere a calci Melanie se solo non avesse ragione. Continuano a ridere, mentre io vedo il mio sogno andare a fuoco. I riflettori che vedevo un attimo fa sono spenti e il mio vestito rosa è diventato nero. Non sarò mai nessuno, forse.
È tutto così reale. Non sono bella, non sono magra, non sono nessuno.
Non sarò mai una modella.
-

Mi stacco dai miei genitori, correndo in camera. Mi guardo allo specchio e noto che ho del nero attorno agli occhi. Ho pianto e mi si è sciolto il trucco.
E che mi guardino adesso, tutti coloro che mi hanno derisa a scuola, che hanno mandato in fuoco il mio sogno con una semplice frase. Non riesco a capire, sto piangendo per cosa? Quel ricordo mi ha toccata. Come hanno potuto dirmi delle cose così brutte? Eppure sono qui, pronta a confermare la mia prima sfilata. Mi strofino gli occhi con il polso e prendo il telefono, digito il numero di Lucas e lo porto all’orecchio. Attendo una risposta.
«Miley, dimmi.»
«Hanno detto di si.» dico, cercando di trattenere le lacrime, ma non ci riesco e in un attimo avverto nuovamente quel liquido caldo e salato bagnarmi le gote. «Farò la mia prima sfilata.»
«Oh, Miley, è grandioso!» afferma felice, mentre io continuo ad inondarmi il viso.
È davvero grandioso, sono al culmine della felicità e tutto quello che posso fare è piangere. Sento il cuore stringersi nel petto, e, lo ammetto, non ho mai avvertito niente di più piacevole.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici. ***


 The last vogue. 



«Mi raccomando, attenta quando arrivi.» dice mamma, colma di preoccupazione a causa della partenza. «Anzi, chiamami.» aggiunge poi. Oggi parto per la Francia, per la mia prima sfilata. Lucas mi ha permesso di portare Demi, che mi ha quasi implorata di portarla con me. In ogni caso, non mi fa altro che piacere avere un’amica con me nella città più bella del mondo. Saluto mamma con un bacio ed entro in auto, dopo aver messo le valigie dentro il cofano.
«Dio, che ansia.» balbetta Demi entusiasta. «Non sono mai stata in aereo.» mi limito a rivolgerle un sorriso, incapace di parlare per via dell’eccitazione. Metto in moto l’auto, accelerando verso l’aeroporto di New York. In pochi minuti, sono già al parcheggio. Raggiungiamo l’entrata con le valigie, sperando di trovare Lucas e Tom il più presto possibile. Ho sempre amato gli aerei. La sensazione di volare, di cambiare aria, di staccare per un po’, è una cosa che mi fa sentire bene.
Trascino Demi verso il bar, il posto in cui Lucas mi aveva dato appuntamento. Dopo qualche minuto di lamentele da parte di Demi (che non ha mai sopportato le attese), vedo Lucas e Tom in lontananza. Due uomini, eleganti e dai lineamenti perfetti, vengono verso di noi con aria sicura e audace. Questo mi rende fiera di loro.
«Ciao ragazze!» afferma Lucas, presentandosi a Demi, prima di mostrarle Tom. Demi li guarda stranita, per poi lanciarmi un’occhiata interrogativa.
«Lei è Demi.» dico indicandola mentre lei improvvisa un’espressione rilassata.
«Siamo in ritardo di diciassette minuti.» afferma Lucas guardandosi l’orologio costoso che porta al polso. «Seguitemi!»
Si mette a capo del gruppo. Demi mi guarda perplessa.
«Miley…» sussurra. Ho afferrato il concetto.
«Non sarai omofoba, vero?»
«Andiamo Miley, faccio come fanno tutti. Dico di essere contro l’omofobia e poi quando li vedo…»
«In ogni caso, fatti passare questo istinto omicida verso Lucas e Tom, non sai quanto sono importanti per me.» ribadisco. «E poi sono simpatici.»
«Io non sono omofoba, e nemmeno razzista, okay? Ho votato per Obama quest’anno.» dice con l’aria di una che sa. La guardo divertita, prima di scoppiare a ridere. Ride anche lei e, parola dopo parola, entriamo in aereo.
Vedo le hostess salutarci con educazione e cortesia, per poi condurci ai posti. Ci allacciamo le cinture e attendiamo la partenza. L’arrivo è previsto per domani, e so già che farò le ore piccole a causa di tutto questo. Mando un sms alla mamma prima che cada la linea: “Sono in aereo, viva, vegeta e felice. Ti voglio bene, xoxo.
E l’aereo decolla, alzandosi sempre più su, mentre io appoggio il capo all’oblò, osservando il mezzo distaccarsi sempre di più dal suolo. Respiro piano, ascoltando le urla dei bambini che provano per la prima volta il brivido del volo.
-
«Dove andiamo, papà?» chiedo ingenuamente, allacciandomi le cinture, osservando fuori dall’oblò.
«Andiamo a New York.» risponde serio. A New York? E perché?
«Per sempre?»
«Si.»
«E perché non rimaniamo in Tennessee?» insisto, sperando in una risposta più convincente.
«Perché…è così che deve andare.» mi rivolge un sorriso, per poi appoggiare il capo sullo schienale del sediolino. Sento l’aereo sollevarsi, e in un attimo, fuori dall’oblò non vedo altro che una distesa azzurra, limpida e pura, che non riesco a fare a meno di guardarla. Chissà perché papà mi ha portato via da Nashville. Forse non gli piaceva più. Ma sarà bello trasferirsi a New York, dopo tutto. Mi hanno detto che è luminosa, ci sono molte persone, molte scuole, più possibilità. Sarà bello.
-
«Oh!» avverto la voce acuta e squillante di Demi perforarmi i timpani. «Miley!»
«Demi…» apro gli occhi, strofinandomeli con le mani e sbadigliando.
«Siamo arrivati.» annuncia, alzandosi dal sediolino. Mi alzo velocemente, prendendo le valigie e avvicinandomi all’uscita. 
Scendo in fretta dall'aereo, osservando la grande distesa di asfalto su cui è poggiato l'aereo. Sussurro un "wow", incantata. Lucas mi spinge, facendomi camminare verso l'aeroporto, che visto da qui, sembra il più grande del mondo. Non ho mai visto nulla di più maestoso. Mi volto in dietro, verso l'aereo e noto che anche lui è di grandissime dimensioni. Avverto un brivido percorrermi la schiena. 
Ieri ero in un insignificante quartiere di New York, e adesso sono nell'aeroporto di Parigi. Questa è esattamente la vita che volevo a dieci anni.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici. ***


 The last vogue. 



In silenzio, giungiamo all’aeroporto. Demi osserva Lucas e Tom scambiarsi baci e abbracci. Le faccio cenno di smetterla, ma niente, non riesce a staccare gli occhi dai due piccioncini. Non pensavo fosse così omofoba. E non pensavo che Lucas fosse così terribilmente gay.
«Taxi!» urla Lucas, cercando di fermare un taxi. Dopo un po’, vediamo una delle macchine gialle accostare. Entriamo.
«A l’hotel Roux, s’il vous plait.» dice, assumendo un ottimo accento francese. Lo guardo stupita. Quest’uomo è pieno di sorprese.
E il taxi parte, attraversando vicoli nascosti di Parigi, giungendo ad un punto sconosciuto e privo di vita. Scendiamo, portandoci dietro le valigie. Demi e Tom conversano, mentre Lucas ci guida verso l’hotel.
 
L’hotel è stupendo. Ci sono molte persone dentro. Gli interni sono lussuosi e raffinati, il pavimento è rosso e le pareti hanno un colore caldo e accogliente. I responsabili della reception ci ricevono con dei sorrisi, e ciò mi fa sentire a mio agio. Dopo un po’, Lucas ci porge le chiavi delle stanze.
«Ok, questa è per voi. Noi siamo nella 210 e voi nella 209, se avete bisogno di qualcosa, c’è una porta che ci collega.» afferma allontanandosi. «Miley, ti voglio pronta entro le otto.» annuisco e corro verso il secondo piano.
«Che figo!» urla Demi. Le do un colpo alla spalla per farla stare zitta. Entro in camera e mi butto sul letto, osservando ogni minimo particolare della stanza. Demi ha ragione, è davvero figo. Mi alzo, vado verso la finestra, coperta dalle tende. Le sposto.
Meraviglia.
«Demi!» la chiamo entusiasta. «Corri a vedere!» mi raggiunge, saltando dal letto.
La Tour Eiffel proprio davanti a noi, che si estende e si mostra in tutta la sua meraviglia. Parigi è bella anche alle dieci del mattino.
Sistemiamo la roba negli armadi, per poi buttarci sul letto. Siamo in due a provare le stesse cose. Nessuna è mai stata a Parigi.
«Miley…» dice Demi, disegnando col dito sagome immaginarie sulla coperta. «Perché hai scelto me per questo viaggio?»
«Perché questa domanda?»
«Potevi portarci Nick…sarebbe stata una buona occasione per stare con lui.» afferma facendo spallucce.
«Lo so.» rispondo indifferente. «Andare a Parigi col proprio ragazzo è il sogno di ogni donna. Ma…io sono ancora una ragazza. E ho bisogno della mia migliore amica.» sul volto di Demi si dipinge un meraviglioso sorriso, uno di quelli che sa fare lei.
«Ah…Miley…»
«Che c’è?» chiedo curiosa.
«Ultimamente…sto mangiando parecchio, non credi?» queste parole sono strane se uscite dalla sua bocca. Demi si è sempre piaciuta così com’è, perché dovrebbe preoccuparsi di quello che mangia?
«Non ci ho fatto molto caso…e anche se fosse?»
«Beh, è solo che…io non potrei permettermelo.» abbassa lo sguardo, e anche il tono della voce.
«Mi hai appena detto che sei grassa?» tace. Oh no, questa non ci voleva. Proprio ora che andava tutto a meraviglia.
«No…» riprende, dopo una lunga pausa. «Tranquilla.» accenna nuovamente un sorriso, stavolta più debole e lieve. Se è come dice, non c’è nulla di cui preoccuparmi, anche se ciò mi da a pensare che in fondo non si piace poi così tanto. Dopo tutto i chili le stanno bene, ha un volto stupendo e non dovrebbe preoccuparsi del fisico.
«Okay.» dico alzandomi dal letto. «Vado a farmi una doccia, stasera si sfila.»
Entro in bagno, anche questo troppo lussuoso per i miei gusti. Mi infilo nella doccia, sollevo la maniglia, lasciando che l’acqua tiepida penetri nella mia pelle gelida.
 
Sono quasi le sette, esco dalla stanza lanciando un urlo a Demi.
«Ti aspetto a cena!»
Scendo velocemente le scale del secondo piano e in seguito, del primo. Raggiungo il ristorante, prendendo posto al tavolo numero 35. Le tovaglie sono bianche e il centrotavola è pieno zeppo di rose blu e bianche. Osservo meglio la gente. Qui ci sono tutti ricchi, cavolo. Parlano francese, inglese, tedesco, italiano, mi sembra di sentire qualche parola in spagnolo. Questo posto è così…wow. Chi l’avrebbe mai detto che sarei arrivata fin qui in così poco tempo. Solo ieri ero a casa mia, a studiare per l’università, a litigare con mio padre e adesso, sono nella città più figa del mondo con due esperti di moda, e stasera sfilerò per la prima volta. La mia prima sfilata. A Parigi.
A distrarmi, è la deliziosa coppietta. Lucas e Tom vengono verso di me, seguiti da Demi, che continua a guardarli imbarazzata. Si siedono attorno al tavolo.
«Allora? Sei pronta per stasera?» chiede Lucas, più emozionato di me. Annuisco felice.
«Sarebbe meglio prendere da mangiare.» propone Tom, alzandosi. Io e Lucas accettiamo, mentre noto con perplessità il rifiuto di Demi.
«Demi?» la chiamo.
«Non ho tanta fame stasera, grazie.» dice guardandosi le unghie.
«Come sarebbe?»
«Non…non stasera.» insiste, accennando un sorriso. «Dai, che stasera sfili.» mi riprendo all’ascolto delle sue parole e seguo Lucas e Tom al buffet, pieno di cibi strani provenienti da tutti i paesi. È strano che Demi non voglia mangiare, lei non si fa mai problemi su questo e ci tiene a non saltare i pasti. Prendo un piatto, per poi posizionarci sopra vari prodotti. Faccio delle smorfie di disgusto. Non riesco a mangiare cose che non siano del mio paese.
«Abituati, viaggerai molto.» sussurra Lucas, prendendo varie cose dal buffet. Sorrido e lo seguo al tavolo.
Demi è immobile, mi chiedo cos’abbia. Ci sediamo e iniziamo a mangiare, mentre lei continua a fissare il vuoto. La guardo, incontrando il suo sguardo perso e indifeso. Gli faccio un cenno con la testa per sapere cos’ha, lei risponde con un sorriso. Può succedermi di tutto, ma non questo, Demi deve essere felice, almeno lei nella mia vita.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici. ***


Ciao bellezze!
Allora, prima di tutto, volevo ringraziarvi per le recensioni, sono stupende anche se poche, non sapete quanto mi fa piacere sapere quello che pensate di 'sto schifo di storia, lol. 
In ogni caso, volevo avvisarvi che questo capitolo è un po’ lunghetto, dato che non riuscivo a smettere di scrivere, mi sto appassionando troppo anch’io, ahahahah.
Volevo anche dirvi che da questo capitolo la storia assumerà un aspetto più inquietante e le scene toccheranno tematiche più delicate che non voglio anticiparvi anche se muoio dalla voglia. Detto questo, evaporo.
Buona lettura a tutte e recensite, okay? sdljksdfhfjkahjk. 

 The last vogue. 



«Steefy, lei è Miley.» mi presenta Lucas allo stilista. Egli si volta, colmo di stupore.
E mi squadra, dalla testa ai piedi e viceversa, tenendo un’unghia fra i denti. Lo guardo con un’espressione interrogativa. Siamo nello spogliatoio della passerella, aspettando l’arrivo delle altre modelle.
«Sei perfetta.» esclama scandendo bene l’ultima parola. Mimo lusingata un grazie e corro davanti la toletta, tempestata di luci, mentre dei truccatori e dei parrucchieri si precipitano su di me. Mi volto velocemente, scorgo per un attimo la figura di Demi e mi giro verso lo specchio.
Io fisso costantemente il mio riflesso, in quel pezzo di vetro che mi ha procurato una visita medica e quasi due settimane di digiuno più una dieta dimagrante. Un paio di voci si accavallano e avverto subito il calore del phon scompigliarmi il ciuffo, che cade dolcemente sulla fronte. Riesco dopo qualche istante, a notare delle forbici nelle mani di un parrucchiere. Sobbalzo. Nessun capello deve essere tagliato, ma il mio pensiero svanisce appena il mio sguardo si posa sulla mia immagine proiettata nello specchio. Sulle spalle scivolano delle extension biondo platino e in un attimo vedo sulle mie ginocchia il ciuffo che mi hanno appena tagliato.
Cavolo, sono bellissima. Non ho mai pensato di esserlo, adesso lo sono. Lo sono e ne sono consapevole.
Continuo ad osservare meravigliata quell’acconciatura, intanto, gli addetti procedono.
Dopo qualche ora, sento i phon spegnersi e i truccatori avvicinarsi a me con delle trousse di varie dimensioni. Senza dire parola, procedono, con aria esperta e seria.
«Presto, presto!» sbraita Steefy, preparando le modelle. Tutte quante indossano abiti spettacolari. Sono lunghi e di vari colori, non ho mai visto abiti più belli di questi, mentre io indosso un vestito bianco che inizia al petto e termina ai piedi. Il taglio è a sirena, proprio come piace a me. Lucas mi porge delle decolleté perlate e mi dirige all’entrata della passerella.
«Tu partirai alla fine, aspetta qui.» dice Lucas tenendomi da parte, mentre le modelle cominciano a sfilare. Io sono rimasta allo specchio: non ho mai visto niente di più straordinario di quello. Ero davvero io? E, soprattutto, è così che ci si sente ad essere bellissime? Non ho parole per descrivere ciò che sto provando adesso.
 
La sfilata è quasi finita e Steefy mi ha conservato la scena per il “gran finale”, dice che sono adatta per quello. Le modelle corrono verso i loro vestiti, infilandoseli in fretta. Sembrano felici, io non vorrei mai più togliermelo di dosso questo vestito.
 «Miley, vero?» mi giro di scatto. Una modella dai lineamenti angelici mi rivolge uno sguardo pacifico ed amichevole.
«Si, mi conosci?»
«No, ho sentito parlare di te in queste ultime due ore.» aggiunge ironicamente porgendomi la mano, gliela stringo dopo una lunga pausa. «Io sono Eva, sono svedese. Tu sei nuova?» annuisco, nervosa alla vista delle ultime modelle rientrare dalla passerella.
«Sto per sfilare.» sorrido, indicando la passerella. Lei mi lancia un’occhiata calda, sgrana gli occhi e alza un angolo della bocca, trasformando quelle labbra angeliche in un sorriso conturbante e sinistro.
«La tua prima sfilata?» chiede. Intravedo un po’ di malizia nei suoi occhi azzurri.
«Perché?»
«Niente.» risponde secca. «Sta attenta, Miley.» aggiunge dopo un attimo, scandendo bene il mio nome.
Che strano.
Dopo averla osservata ancora un po’, in tutta la sua inquietudine, avverto il corpo di Lucas quasi schiantarsi sul mio, fragile e ingessato dal vestito un po’ troppo stretto. Rimango, a fatica, in piedi.
«Presto, presto, tocca a te! Miley!» urla, spingendomi verso la passerella. Non l’ho mai visto così nervoso. Continua a sbrigare altre faccende ed io sono qui. Impalata. Di fronte a circa cento persone, anzi, anche di più. Improvviso una posizione dominante, appoggiando le mani ai fianchi e scaldando lo sguardo, fisso su un punto vuoto della sala.
E cammino. Do il meglio di me, creando uno spazio sotto quel vestito, cercando di non inciampare, sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accadermi adesso. Continuo, la passerella sembra essere lunga un chilometro, sembra un’eternità, eppure, arrivo. Alla fine della passerella, sono al culmine. I flash si scagliano contro di me, gli esperti seduti in prima fila parlano all’orecchio, osservandomi. Tra un flash e l’altro, mi volto, ritornando allo spogliatoio. Lucas e Tom mi vengono in contro, abbracciandomi, mentre Steefy corre a salutare il pubblico per poi rientrare dopo qualche secondo.
«Sei stata bravissima!» sorride Lucas, entusiasta. «Brava!»
Continuano a riempirmi di complimenti, dopodiché aprono una bottiglia di champagne. Non ho mai amato i brindisi, ma per questa volta farò un’eccezione. Steefy mi porge il bicchiere e posa la bottiglia.
«A Miley!» annunciano tutti, portando su la bevanda. Butto giù tutto d’un fiato e corro a cambiarmi, sfilandomi subito le scarpe. Corro verso il camerino e incontro Demi, intenta a specchiarsi e a toccarsi ossessivamente quei suoi splendidi fianchi.
«Miley!» sbotta appena mi vede. «Ehm, ti ho preparato i vestiti…il telefono…e tutto.» finge un sorriso.
La guardo seria e nello stesso tempo perplessa. Mi pare di aver capito ciò che le sta succedendo, e poi, riesco benissimo ad individuare un sorriso vero da quello falso.
«Oh mio Dio, sei bellissima.» spalanca gli occhi, dopo essersi accorta del mio vestito, ma la scena di prima sembra non volersene andare dalla mia visuale. Non ci posso credere, Demi è complessata da qualcosa. Non può accadere questo a lei, non se lo merita, devo fermarla prima che vada oltre.
«Senti Miley, io torno in albergo, non sto molto bene…chiama un taxi, poi ne parliamo a letto e mi racconti tutto, va bene?» mi sussurra, stampandomi un bacio sulle labbra, da amiche. Sorrido e inizio a cambiarmi, sfilandomi faticosamente il vestito da dosso. Afferro l’iPhone, lo accendo e noto due messaggi più una chiamata persa. Inizio dalla chiamata, che è da parte di mamma. La ignoro e passo ai messaggi, entrambi di Nick. Quanto mi manca.
“Mi manchi, piccola. –Nick.”;
“LOL, dove sei? –Nick.”;

Sorrido e decido di chiamarlo. Avvio la chiamata e aspetto di sentire la sua bellissima voce.
«Pronto?» risponde, dopo pochi squilli.
«Hey, Nick.» mi infilo i jeans.
«Piccola, come stai?» amo quando mi chiama così.
«Bene, ho sfilato per la prima volta.»
«Cosa?» sobbalza. «Non avrai mica sfilato in intimo, vero?»
«No, coglione. Ho indossato un…»
«Demi mi ha detto tutto riguardo a Parigi, ma non ho potuto chiamarti, sono impegnato con l’università.» mi interrompe giustificandosi. «Ti va se quando torni usciamo insieme?» abbassa il tono della voce.
«Certo che si.» rispondo felice. «Senti, devo andare in albergo, scusami.»
«Si, certo.» borbotta deluso. Ho tantissima voglia di abbracciarlo, mi sento in colpa, in fondo è da molto che non lo vedo.
Lo saluto e riattacco, continuando a sistemarmi.
Fare la modella è fighissimo. E in più, ho anche un nuovo taglio di capelli, per giunta strafigo. Starei ore ed ore a guardarmi, ma non posso. Devo tornare subito in hotel e parlare con Demi, non sarò una di quelle che se ne fregano delle proprie amiche.
L'orologio dell'iPhone segna le 23.49, chiamo un taxi e gli dico l'indirizzo dell'hotel. 
«La prego, vado di fretta.» dico implorandolo. Accelera.
Dopo qualche minuto, arrivo a meta. Pago il tassista e corro in hotel, raggiungendo la camera in pochi secondi. Apro la porta, ma Demi non c'è. Do un'ultima occhiata nel corridoio, non c'è un'anima viva.
Vado in bagno, impallidendo alla vista di Demi in quelle condizioni. Un brivido mi sale lungo la schiena. Sento le mani tremarmi e in un attimo, mi passano davanti i migliori ricordi di me e lei, svandendo nell'arco di un istante, lasciandomi alla vista della realtà più crudele e spietata.

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette. ***


 The last vogue. 



«Demi!» urlo, pietrificata. La mia migliore amica è a terra, sul pavimento, in lacrime. La sua schiena è appiccicata al muro, le ginocchia sono cinte dalle braccia e la testa è poggiata sulla spalla destra. Vedo le lacrime scendere dai suoi bellissimi occhi scuri e le sue gote infiammate. Mi abbasso, prendendola in braccio e portandola sul letto, mentre lei cerca di liberarsi, lanciando urla indemoniate.
«Lasciami in pace, Miley!» urla agitandosi. «Devo…devo vedermi…»
«Demi, Demi.» cerco di tranquillizzarla, sfiorandole la fronte sudata. Prendo uno straccio e lo bagno con acqua fredda, per poi posizionarlo sul capo. «Adesso calmati, respira.»
«Miley, mi sento...così...sono così grassa...aiutami, ti prego.» mi supplica una volta ripresa la coscienza. Sapevo che sarebbe andata a finire così. Non è una situazione facile quella che si è appena creata. Ha appena detto le parole che non volevo mai ascoltare in vita mia. Le stesse che ho detto al dottore quando decisi di prendere quelle medicine. Avverto le lacrime inondarmi gli occhi, ma devo essere forte per lei.
«Demi.» mi fermo, cercando di parlare piano, per non lasciare che le lacrime mi inondino il viso. «Vuoi capire che sei perfetta?»
«No, Miley, non lo sono.» ribatte alzandosi e sedendosi. «Non lo sono! Sono così stanca di essere quello che sono!»
«Demi…io…»
«E tu non mi aiuti, sai?» si volta verso di me, asciugandosi le guance ancora umide.
«Non…non capisco…» borbotto, davvero non ci sto capendo più nulla.
«Non capisci, certo, ora sei una modella. Bionda, occhi azzurri, ma questo non vuol dire che non hai un cervello, tesoro.» il suo tono di voce si trasforma, facendosi sempre più cattivo e provocatorio. «Quante volte ti sei lamentata dicendomi che eri grassa, eri brutta, eri…eri…ed eri fottutamente perfetta, con le tue gambe sottili, i tuoi fianchi stretti e il tuo viso così ben disegnato.»
Le sue parole non fanno che ferirmi e non riesco a trattenere le lacrime più di questo, credo che scoppierò.
«Tu non hai idea di quanto ti invidiavo, eri così bella con le tue curve sottili e delicate, mentre io ero una grassona che ti aiutava. Una stupida grassona che ti dava i consigli giusti e ti osservava mentre ti complessavi allo specchio!» ringhia avvicinandosi sempre di più al mio viso. Era gelosa. Di me. E io non me ne ero accorta.
«Demi, non è colpa mia se mi vedevo in quel modo, come non è colpa tua che adesso ti vedi in questo modo, non te ne faccio una colpa, perché ti comporti così?» le chiedo, piangendo. Vedo in un attimo il suo viso nuovamente rosso e bagnato. Piange ancora.
Si copre il suo splendido viso con le mani singhiozzando. Dopo una lunghissima pausa, mi avvicino a lei, abbracciandola.
«Scusami.» sussurra. «Scusami, scusami, scusami, scusami.»
«Shhh.» la zittisco. «Non è niente.» mi sentivo anche io così. 
Ci addormentiamo, tra una lacrima e l’altra, senza parole, senza urla, senza sguardi, senza niente. Solo io, lei e Parigi a mezzanotte.
 
«Buongiorno!»
«Giorno…» rispondo stiracchiandomi. «Come ti senti?»
«Benissimo, sai? Sto molto meglio rispetto a ieri sera e credo che oggi farò colazione.» risponde Demi, pettinandosi i suoi lunghi capelli color rame. «Secondo te sto meglio bionda?»
«Uhm…no…stai benissimo anche così.» sbotto stranita. Come può una persona cambiare d’umore da un giorno all’altro in questo modo? Mi alzo dal letto, controllando il mio cellulare. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Sono quasi le otto.
«Lucas ci aspetta a colazione.» dico prendendo dei vestiti dall’armadio. «Quand’è che torniamo a casa?»
«Lucas mi ha detto che rimaniamo qui per altri due giorni, intanto potremmo visitare Parigi, ti va?»
«Certo.» rispondo fredda, ancora scioccata per la scenata di ieri sera. Ed è per questo che pretendo spiegazioni. «Demi, le cose che hai detto ieri sera, sono vere?» mi appoggio al lavandino del bagno, dove lei si sta lavando accuratamente i denti.
«Cosa?»
«Che mi invidiavi e tutto.»
«Chi non ti invidia, Miley.» mi guarda cinica, sciacquandosi la bocca e posando lo spazzolino. «Ti aspetto al ristorante.»
Se ne va, come se non fosse successo niente, non rendendosi conto di quanto quelle parole possano avermi ferito. Mi sono sentita una merda per quei pochi minuti, ma lasciamo stare. Spero solo non si ripeta mai più, nessuno è così brutto da poter provare invidia verso i miei confronti. Mi lavo i denti, pettino i miei nuovi capelli lunghi e mi infilo i primi capi che mi ritrovo fra le mani, in questo caso un maglione grigio e un jeans nero. Indosso le mie immancabili Converse nere e corro dagli altri, legando i capelli in uno chignon. Raggiungo la sala, sedendomi accanto a Demi, intenta a mangiare del pane.
«Buongiorno ragazzi.» saluto Lucas e Tom con un sorriso.
«Buongiorno Vogue!» afferma Lucas sorridente, con i suoi soliti modi di fare fini e delicati.
«Vogue? Non sapevo di essere diventata una rivista.» ironizzo. «Che vuol dire?»
«No…per Vogue non intendeva la rivista, intendeva la parola Voga, cioè, moda. La voga è quella cosa che va di moda, hai presente? Tu vai di moda e di conseguenza sei una voga.» spiega Tom con quel suo immancabile sorriso stampato sul volto.
Non pensavo che la parola Vogue avesse questo bel significato. Mi alzo, afferro una tazza e la riempio di latte, ci verso poi dei cerali e torno a tavola, mangiandoli in silenzio. Demi guarda i piccioncini scambiarsi varie effusioni d’amore. Le do una gomitata, in segno di smetterla di fissarli. Li trovo così carini, che coppia stupenda.
«Ah, Miley.» dice Lucas, voltandosi verso di me. «I passaparola fanno miracoli! Tra un mese si parte per Milano.»
«Che cosa?» sbotto stupita, sbattendo la tazza sulla tavola, producendo un rumore secco.
«Dopo Steefy, Armani, tesoro, e tu accetterai.» comunica deciso, riprendendo a coccolarsi con Tom.
«Portaci Nick!» propone Demi. «Così starete un po’ insieme, no? Ti vedrà sfilare, sarà bello.»
Beh, non è male come idea. È da un po’ che non sto con lui in fondo. E poi potrò finalmente sfilare davanti a lui e sentirmi bella ai suoi occhi. 

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto. ***


Macciao bellissime!
Si, sono ancora qua a rompervi con i miei interventi inutili, ma ci tenevo ancora una volta a ringraziarvi per le recensioni e ad informarvi che stavolta il capitolo sarà un po’ più penoso degli altri, scusatemi. çç
In ogni caso, se vi ha fatto schifo potete liberamente scriverlo in una recensione, offese a parte. Vaaaa bene, mi levo dalle palle e scappo.
Buona lettura e, soprattutto, Buon Natale.♥

 The last vogue. 



Usciamo da quell’hotel, lasciandocelo alle spalle, correndo verso la Tour Eiffel a tutta velocità. Lucas e Tom sembrano due adolescenti, corrono per tutta l’area e sembra si stiano divertendo. Mi fa davvero piacere, Lucas ha fatto il possibile per realizzare il mio sogno e vedere quel sorriso sul suo volto non può farmi altro che piacere.
«A che pensi?» chiede Demi, fissando la torre su una panchina.
«A quanto si amano.» alludo alla deliziosa coppietta.
«Pensi che Joe sia capace di amare allo stesso modo in cui lo amo io?» domanda speranzosa. Cerca la risposta in me, mentre l'unica in cui dovrebbe cercarla è lei.
«Penso che lui ti ami già nello stesso modo in cui lo ami tu. Voi siete perfetti assieme, gli piaci così come sei.»
«E allora perché non me lo dice?» insiste, come se fossi una guru dell’amore, mentre io sono la prima a non capirci un cazzo.
«Vedi, Demi, a volte i ragazzi vogliono mantenere la loro reputazione da stronzi. Se ti dicesse di amarti non sarebbe uno stronzo, ma uno dolce. E visto che i tipi dolci e romantici non vanno più bene, preferisce tenerselo per se, lasciando che tu faccia il primo passo.» spiego improvvisando, cercando le parole giuste da attribuire ai miei pensieri. «Starai pensando che Nick non è così, magari lui è diverso, ma Joe no. Ciò non toglie che è un ragazzo fantastico ed è come un fratello per me.»
«Mh.» annuisce soddisfatta del mio “discorso” da esperta. «Posso chiederti una cosa…intima?»
«Certo, sai già tutto, ma…certo.»
«L’hai mai fatto con Nick?» spara. Schietta. Come se mi stesse chiedendo di prestargli un paio di scarpe. A Demi non è mai piaciuto parlare di sesso. Rimango immobile per un attimo, improvvisando qualche smorfia, mentre lei mi osserva seria.
«Beh…» borbotto. «Si.»
«Okay.» conclude, puntando nuovamente il suo sguardo su quel meraviglioso monumento. Faccio lo stesso, perdendomi in quella megastruttura così ben progettata che sogno da anni di ammirare da vicino.
Tom e Lucas si avvicinano a noi, a passo svelto, respirando a fatica.
«Ragazze, dobbiamo tornare a New York.» annuncia Lucas affannato.
«Perché?» chiede Demi delusa.
«La caccia ai nuovi volti è stata anticipata e dobbiamo accompagnarvi a casa per poi cercare altre modelle, ci dispiace ragazze.» sul viso di Demi si dipinge un’espressione delusa e frustrata. Per me va bene così, amo Parigi, ma è da un sacco che non vedo i miei e Nick, lui mi manca tantissimo. Annuisco e mi alzo, camminando verso l’hotel. Sento la mano di Lucas stringermi il polso.
«Miley…» mi sussurra, assicurandosi che Demi sia abbastanza lontana da non sentire. «Dopo la sfilata con Armani, esploderai e ti diffonderai come un’onda anomala nel campo della moda. Sei sicura di intraprendere questa strada?»
«Oh, Lucas, me lo chiedi anche?» ribatto annoiata. Certo che voglio intraprendere questa strada! Ci ho riflettuto per tutta la vita, cos’altro devo aspettare? Si strofina gli occhi per poi puntarli sui miei.
«Che voga sia, allora!» annuncia soddisfatto. «Apriti un conto in banca, dolcezza, ormai hai un lavoro.»
Rabbrividisco ed entro in hotel, con un ampio sorriso stampato in faccia.
 
«Miley!» l’inconfondibile voce di mia madre entra nelle orecchie, penetrando nel cervello. Mi fiondo tra le sue braccia, godendomi tutto il calore che una madre è capace di offrire. Siamo appena tornati da Parigi, ho accompagnato Demi poco fa e ho pranzato con lei.
«Ciao, mamma.» la saluto e corro in casa, dove mi aspetta papà, intento, come al solito, a guardare la tv. «Papà?»
«Piccola mia!» si alza e si gira verso di me, aprendomi le sue possenti braccia. Corro verso di lui stringendo il suo busto. «Com’è andata la tua prima sfilata?» è strano. Non è d’accordo su ciò che faccio, perché è così interessato?
«Bene…fra un mese andrò a Milano per Armani.» comunico velocemente, suscitando in loro un senso di soddisfazione. È un’emozione indescrivibile, vedere i propri genitori felici di ciò che sei.
E mi osservano i capelli, il fisico, gli occhi. Per loro è tutto nuovo, e devo ammettere che lo è anche per me. Chi l’avrebbe mai detto. Mi comporto come se fosse tutto normale, ma a volte ci penso e mi rendo conto che tutto questo non lo è per niente. È impossibile sfilare per Armani dopo nemmeno dieci giorni di carriera. Non credevo davvero di essere così speciale e bella. Finalmente mi sento abbastanza per qualcosa, non mi sento più in dovere di cambiare per essere accettata, perché adesso lo sono, semplicemente essendo me stessa. Io amo Vogue, io amo la moda, io amo il mondo, io amo la vita, io amo me stessa.
 
Si ritorna alla normalità.
Apro gli occhi assonnata, scorgendo alle sette del mattino la figura di mio padre seduto sul letto, vestito e preparato per andare a lavoro.
«L’università.» mi ricorda serio. Mi lamento infastidita. Credevo di aver lasciato la scuola, ormai ho un lavoro e non ho la minima intenzione di tornare in quelle quattro odiose mura.
«No!» sbotto sotterrandomi tra le coperte.
«Miley.» il suo tono di voce si abbassa, facendosi sempre più autoritario. «Alzati e vai.»
«Non mi alzerò.» affermo decisa.
«Non vuoi più andare a scuola?»
«Indovinato.»
«Perfetto, quando crescerai e non sarai più modella…»
«Avremo abbastanza soldi da vivere felici in una villa alle Bahamas!» concludo interrompendolo. «Buon lavoro, papà.»
Lo guardo uscire dalla stanza, per poi andare a lavoro. In fondo è vero: chi se ne frega della scuola? Ho già un diploma e questo mi basta. Prendo l’iPhone dal mobile, apro la cartella dei messaggi e digito il numero di Nick.
Sono tornata da Parigi, e mi manchi. –Miley”, invio. Appoggio la testa sul cuscino, attendendo una sua risposta. Sento il rumore della vibrazione: è lui.
E io sono all’università! Ci vediamo? –Nick
Certo, quando vuoi. –Miley
Vieni a prendermi all’università. –Nick
Okay, a dopo! LOL. –Miley
Poggio il telefono sul mobile, affondando nuovamente la testa nel cuscino. Cerco di riaddormentarmi ma, dopo vari tentativi falliti, mi alzo, correndo verso il bagno. Mi fermo davanti allo specchio. Oh, giusto, ora ho i capelli lunghi, sebbene siano extension. Le tolgo, e devo ammettere che i miei veri capelli sono cresciuti ugualmente. Mi sciacquo la faccia con dell’acqua fredda, in modo da svegliarmi meglio, per poi correre da mamma, intenta a pulire.
«Giorno.» la saluto fredda.
«Buongiorno, piccola.» risponde stanca. Ha l’aria di una che lavora da ore. «C’è una cosa per te.» mi porge una busta di carta ben sigillata. La prendo stranita. La rigiro tra le mani per qualche istante, senza capirci niente. È bianca, sopra c’è una firma illeggibile e disordinata.
«Sai cos’è?» chiedo curiosa.
«No, non vedi che è chiusa?» ribatte acida. La ignoro e apro la busta, contenente una lettera, scritta a computer. Leggo lentamente, facendo attenzione ad ogni parola, ma i miei occhi si soffermano su una riga. La frase che ho desiderato leggere da quando ero piccola, da quando mi hanno chiamata “grassa” in quinta elementare.
Miley Ray Cyrus è stata selezionata per apparire nella copertina della rivista Vogue.
Nulla ha più importanza.
Ripasso più volte quelle parole, cercando di capire la realtà. È vero o sto sognando? Ho capito bene? Apparirò sulla copertina della rivista di moda più importante del mondo?
«Oh mio Dio!» urlo. «Mamma! Apparirò sulla copertina di Vogue!» annuncio eccitata.
E così, il mio sogno, da un giorno all’altro, è diventato completamente realtà.

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove. ***


 The last vogue. 



Agito le braccia, in modo che mi possa vedere da lontano. Nick è appena uscito, lo sto aspettando da un’ora. Il sole batte forte sulla mia testa e la fronte è praticamente bagnata a causa del sudore. Si avvicina verso di me, aprendomi le sue braccia, mi ci fiondo dentro e lo bacio. Mi è mancato il suo profumo. Mi è mancato tutto di lui.
«Che bei capelli.» dice osservando le mie nuove punte d’oro.
«Grazie.» gli sorrido.
«Com’è andata a Parigi?»
«Nick, non sai che mi è successo.» cambio rapidamente argomento.
«Racconta.»
«Sarò sulla copertina di Vogue.» senza giri di parole, gli racconto tutto ciò che è successo, e dopo una lunga pausa, mi avvicina a se, poggiando la sua bocca sulla mia, succhiando il mio labbro inferiore. Poi si ferma.
«Piccola.» sussurra. «Sono così felice per te. Non hai idea di quanto ho desiderato vedere quel sorriso sul tuo volto. Io ho capito tutto, i giorni passavano e tu eri sempre più triste e sciupata, e io sapevo tutto, ma non sapevo che fare, mi sono sentito in colpa per un periodo, perché avevo paura che la causa di tutto ero io. Non ti facevo sentire bella, non ti facevo sentire come volevi sentirti.» spiega, mentre io continuo a perdermi nei suoi occhi lucidi e profondi. «So che hai cercato di dimagrire con l’intervento medico, sai? Io so tutto. Ma ho lasciato correre, è ciò che mi hanno detto di fare quando una ragazza è…come dire…anoressica.»
Rabbrividisco all’ascolto di quella parola. Anoressica? L’ha detto davvero?
«Cosa?» lo interrompo bruscamente. «Nick, cosa…cosa hai appena detto?»
«Anoressica…» dice schietto, senza farsi dei problemi.
«Io non sono anoressica.» scandisco bene le parole. Insisto, prima che lui continui. «Non lo sono, Nick.»
«Io credevo…»
«Ti sbagliavi.» lo freddo. «Su, andiamo.»
Non posso crederci. Mi ha detto che sono anoressica? L’ha detto davvero? Io non lo sono e non merito di essere chiamata così. È una parola che non mi appartiene, appunto perché io non sono così. Io sono Miley, la mia vita è perfetta, sto benissimo, amo ciò che mi circonda e non sono anoressica.
Entro in casa sua e, come sempre, non c’è nessuno. Ignoro la scenata di prima e cerco di dimenticare quella parola.
«Vuoi qualcosa da bere?» domanda aprendo il frigo e chiudendolo subito dopo.
«No…» rispondo. «Io vado in camera, ti aspetto lì.»
Giunta in stanza, mi tuffo tra le lenzuola bianche e mi sfilo le scarpe. Dopo un po’, lo vedo entrare spensierato in camera. Salta sul letto e si gira verso di me.
«Te la sei presa?» chiede. Che faccia tosta, mi ha chiamata anoressica e mi chiede anche se ci sono rimasta male.
«No.» mento.
«Scusami…non volevo dirtelo in questo modo ma…»
«Lo so. Ero così e non posso negarlo, ma adesso è finito tutto. Sto bene con me stessa e non voglio più ricordarmi dei giorni passati.» concludo, fingendo un sorriso, ma Nick mi conosce bene e immagino sappia quanto odio sentirmi dire che sono malata.
«Miley, devo parlarti.» annuncia giocherellando con la mia collana.
«Mi tradisci?»
«Ma smettila!» sorride, suscitando in me un senso di sollievo. «Volevo solo dirti che Joe sta con una ragazza adesso e non voglio che Demi soffra, quindi potresti parlarle tu.»
Porca troia, no! È impossibile, Joe deve stare con Demi, è il suo destino. Guardo Nick sbalordita.
«Cosa? No.» sbotto quasi arrabbiata. So che Joe ha la sua vita e tutto, ma non riesco ad esserne felice. «Non può essere…»
«Lo so, ho cercato di parlare con lui, ma niente. Lui la ama.»
«E come faccio con Demi?» non sono capace di dirle una cosa del genere, non potrei mai.
«Tu sei la sua migliore amica, devi dirglielo a tutti i costi, so che lei è pazza di Joe.»
«No, non ce la faccio. Non me la sento.» non dirò mai a Demi che Joe è fidanzato. Il suo cuore si spezzerebbe e comincerebbe a fare sciocchezze, la conosco. Smette di parlare, continuando a deformare la mia collana ormai arrugginita.
«Vieni con me a Milano.» gli sussurro, guardandolo ossessivamente negli occhi. Alza lo sguardo, stupito e, senza parlare, sorride. Quel sorriso perfetto è vita per me, senza alcun dubbio, la mia vita potrebbe non avere motivo di essere vissuta senza la sua felicità, sento che il mio compito è proprio quello di renderlo felice, ed è assolutamente quello che cercherò di fare. 

Dopo qualche minuto trascorso in silenzio, a contemplare la solitudine che contiene questa casa, sento il mio telefono vibrare nella tasca. Lo prendo e rispondo, facendo attenzione al nome scrittoci sopra.
«Pronto?»
«Miley!»
È una telefonata da parte di Demi e la sua voce squillante. Che devo fare? Dovrei dirglielo?
«Demi…»
«Miley, in televisione, in televisione!» urla agitata. «La sfilata, ci sei tu, quella sei tu!»
«Calmati Demi, dimmi dove…»
«Canale 137, presto!» sobbalzo, prendo il telecomando della televisione di Nick e digito rapidamente quei tre numeri, mentre il riccio mi guarda stranito.
Ed eccomi lì, su quella passerella, che cammino esperta si quelle scarpe perlate dal tacco importante, con addosso quel capolavoro di seta bianco. Osservo lo schermo meravigliata, senza rendermi conto che quella meraviglia sono proprio io. Nick fa altrettanto, sorridendo di tanto in tanto.
«Wow.» esclama incantato.
Già, tutto questo è così…wow.

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Capitolo 20
*** Capitolo venti. ***


 The last vogue. 



Riesco a trovare più conforto nel silenzio che in certe parole. “Sciacquetta”, “Modella da quattro soldi”, “Manichino”, “Pelle ed ossa”. Ne parlano su tutti i giornali ormai. La sfilata è bastata per sputtanare un’intera esistenza in sole ventiquattro ore ed è impressionante di come la stampa possa rovinare la tua reputazione prima ancora che essa si formi. Nessuno mi conosce e già mi insultano. Che vogliono da me? Ho solo realizzato il mio sogno, ho il diritto di viverlo, no?
Continuo a passarmi il giornale tra le mani, cercando di ignorare il contenuto, ma mi riesce difficile dato che riguarda solo ed esclusivamente me. Ho riempito la stanza di tristezza e non avrei dovuto, oggi è il compleanno di nonno, che è venuto a mancare molto tempo fa. Per la mia famiglia è un giorno di riflessione, e devo dire che non ho mai rifiutato l’idea di fare onore a questa ricorrenza, ho amato ed amo ancora mio nonno, ma stavolta è diverso: non riesco a pensare ad altro. La mia foto sul giornale è impressa nella mia mente da ore, non riesco a distogliere lo sguardo da quel pezzo di carta.
«Piccola, vieni di là.» sussurra papà entrando in camera, mentre io affondo la testa nel cuscino, in preda alla disperazione.
«Non ho fame.» sbotto quasi in lacrime.
Richiude la porta senza ribattere. Forse ha già capito tutto, oppure è convinto che stia così per nonno, non è così, ma sarebbe meglio soffrire per lui a questo punto. Non pensavo fosse così difficile avere a che fare con la moda, non pensavo di essere attaccata da queste critiche.
Adesso, il mondo della moda è caduto davvero in basso con la scoperta di Miley Cyrus, modella della Vogue Agency e, nel giro di qualche settimana, diventata già una professionista per alcuni stilisti. Tutto ciò non è per niente paragonabile alla vera moda, quella che gli esperti definiscono ‘nuova modella’ non è altro che un inutile prototipo di indossatrice alla quale spettano pochi mesi di ascesa, destinati a terminare nel giro di pochi giorni dall’avanzamento di una nuova nullità che ci offe oggi il mondo della moda. Niente a che vedere con le top model di un tempo, finite in copertina dopo anni e anni di carriera, non dopo quasi pochi giorni di lavoro. Per quanto la moda possa appassionare la nostra nuova ma scadente Miley, non può ospitare il suo dolce viso, sebbene necessiti di donne vere, con senso dello stile ed eleganza. In parole povere, la moda non vuole teenager ossessionate, ma ragazze degne di apparire nella prestigiosa copertina di Vogue.
Mi hanno detto che sono un inutile prototipo, che tra pochi mesi potrei non valere più nulla, che non sono altro che una teenager scadente…ma come cazzo fanno a dire tutto questo dopo nemmeno un mese di carriera?
Chiamo Lucas, infastidita da quelle righe, che ormai non riesco a fare a meno di leggere.
«Miley, ascolta…»
«No, Lucas, non posso ascoltare, non voglio più ascoltare, perché mi dicono tutte queste cose? Che hanno contro di me?» dico con voce tremolante, in attesa di una risposta che non sia “sii forte”, perché davvero, non ci riesco.
«Ascolta, piccola, non devi farti buttare giù da queste sciocchezze» come previsto, «e non devi piangere, è normale che ti dicano queste cose.»
«No, Lucas, non è per niente normale, non possono dire queste cose di me, non mi conoscono!» ribatto innervosita.
«Senti, fa quello che ti dico, brucia quel giornale, stenditi sul letto e riposati, va bene? Tra un mese devi partire e non puoi stare così, hai un lavoro ormai, non puoi più tirarti indietro.» afferma con tono forte e deciso. «E poi non puoi permetterti di fare una brutta figura con Vogue e Armani, se ti hanno richiesta un motivo ci sarà!»
In fondo ha ragione. Perché devo star male per uno stupido giornale mentre tra pochissimo tempo sarò sulla copertina di Vogue e sfilerò per Armani?
«Okay.» mi rilasso, asciugandomi le lacrime con l’indice. «Si, hai ragione.»
«Perfetto, piccola. A dopo.» riattacca. Sembrava impegnato. Mi sento così in colpa, non volevo disturbarlo, sta facendo così tanto per me, non ho mai incontrato una persona più efficiente di lui. Mi appoggio allo schienale del letto, sotterrando le gambe sotto le coperte. Fuori fa caldo e io ho freddo, colpa dei quattro climatizzatori che ci sono in casa, forse. Mi sistemo il cuscino e appoggio il capo sopra, chiudendo piano gli occhi, sperando di riaddormentarmi al più presto.
 
Sono passate settimane da quel giorno, quello in cui per la prima volta, vidi la mia immagine su un quotidiano, che mi prendeva per il culo in tutti i modi possibili. Tra qualche minuto dovrei partire per Milano, eppure sono qui, a fissare la lapide di mio nonno, morto a New York dopo qualche mese dal trasferimento. Piove. L’ombrello mi protegge appena, ma non importa, sono solo quattro gocce d’acqua.
Scusami, nonno. Scusami se non ti ho minimamente dato importanza quel giorno. Scusami se non ho fatto niente per ricordarti, scusami, davvero. Ma ce la sto mettendo tutta per fare qualcosa nella mia vita, non hai idea di quanto ci stia provando. Sarai felice per me lassù, lo sei, vero? Sei felice di quello che sto per diventare? Perché io lo sono moltissimo e se lo sono io lo sei anche tu, giusto? Scusami nonno, sappi che ti amiamo tantissimo e che manchi da morire, soprattutto a me. Sono cresciuta, ho vent’anni, mi hai lasciata quando avevo ancora quell’energia che vorrei avere adesso per andare avanti. Se sei con me, io sono felice.
«Ciao, nonno.» sussurro, poggiando una rosa rossa davanti alla lapide. Mi allontano, lasciando in pace i corpi di quelle persone, giungendo all’auto di Nick, che mi aspetta impaziente.
«Ci hai messo un sacco, piccola!» afferma sfinito.
«Scusami.» ribatto sorridente.
Mette in moto la sua nuova auto, correndo a tutta velocità verso l’aeroporto e, dopo qualche minuto, arriviamo. Scendo dall’auto e corro, maledicendo il momento in cui mi è venuta l’idea di indossare dei tacchi neri per l’occasione.
Fortunatamente, riusciamo ad entrare in aereo in tempo: il volo era stato spostato alle 10:30, quindi avevamo ancora mezz’ora di tempo. Dopo aver sistemato le valigie ai loro posti, sprofondiamo sul sediolino, salutando l’aeroporto di New York con uno sguardo malinconico.

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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno. ***


 The last vogue. 



«Miley, siamo arrivati, svegliati.» sento la voce bassa di Nick vicino all’orecchio, com’è possibile che mi addormenti sempre in aereo? Mi stampa un bacio sulla fronte e si slaccia la cintura di sicurezza. Faccio altrettanto, mi alzo, barcollando un po’. Prendiamo le valigie e, lentamente, arriviamo all’entrata dell’aeroporto. Lucas e Tom ci aspettano nel parcheggio, faccio cenno a Nick di seguirmi e raggiungo la loro Ferrari.
«Auto italiana in aeroporto italiano?» ironizzo entrando in macchina.
«Oh si, amo le auto italiane.» ribatte Lucas stringendo un sigaro tra le labbra. Sento il gomito di Nick sfiorarmi il braccio, mi giro verso di lui e il mio sguardo incontra il suo, preoccupato e imbarazzato.
"Chi sono questi due?" mima, facendo attenzione a non farsi sentire.
«Oh…» che stupida, ho dimenticato di presentarli. «Lucas, Tom, lui è Nick, il mio ragazzo.» attiro l’attenzione di entrambi, che osservano il riccio attraverso lo specchietto centrale. Lucas alza il capo e gli sorride.
«Ciao, Nick!» dice poi.
«Sei fortunato ad averla come ragazza!» sussurra Tom indicandomi. Non mi sono mai sentita così fiera di me stessa. Guardo Nick imbarazzata, mentre lui mi rivolge un sorriso compiaciuto. «Proprio come io sono fortunato ad avere Lucas!» aggiunge accarezzando la guancia del suo amato.
«Oh mio Dio.» sbotta Nick, fuori di sé. Lo fulmino con lo sguardo, pestandogli un piede col mio. «Cioè…non sono contro l’omosessualità, anzi…»
Che figura di merda.
«Cioè, anzi, preferisco una coppia affiatata di gay a una coppia etero che litiga ogni volta…siete…d’accordo?» balbetta imbarazzato, consapevole di aver fatto una pessima figura. Lo guardo arrabbiata, mentre Lucas e Tom se la ridono. Nick fa altrettanto, scoppiando in una fragorosa risata, io, intanto, mantengo il broncio, infastidita da quell’umiliante scena.
Dopo una mezz’ora di silenzio straziante in auto, arriviamo all’hotel, che si presenta in tutto il suo lusso estendendosi davanti a noi formando la bellezza di venti piani. Contemplo l’edificio per un po’ e comincio a camminare, seguendo Lucas e Tom, che affrontano la situazione con indifferenza. Ovvio, sono abituati a viaggiare per le città più belle del mondo.
Magari anche io mi abituerò come hanno fatto loro.
 
«Questa stanza è fighissima!» urla Nick saltando sul letto perfettamente ordinato.
«Farai meglio a non rompere niente se non vuoi essere cacciato dall’hotel entro le prossime ventiquattro ore.» dico togliendomi la sciarpa.
«Oh, figurati.» risponde sfilandosi le Converse. «Hai parlato con Demi?»
«No.» rispondo secca. «E non ho intenzione di farlo.»
«Ok, lo scoprirà da sola, e sarà la fine della tua vita.» si alza dal letto, avvicinandosi a me. Si siede sul mobile che, magicamente, regge alla perfezione il suo peso. «Io non aprirò bocca.»
«Senti, vorrei dirglielo, solo non adesso. Quando sarà il momento, lo saprà.»
Annuisce giocando con le punte dei miei capelli, osservandoli, quasi fiero. Gli passo una mano tra i morbidi ricci e lo faccio scendere con una spinta. Mi prende la mano, portandomi verso il letto. Si stende, tirandomi verso di lui. Poi mi bacia, infilando la sua lingua nella mia bocca. Era da tempo che non mi dava un vero bacio. Mi afferra per le gambe, stringendomi sempre di più a lui, e all’improvviso riesco a sentire il suo battito cardiaco, il suo cuore sembra impazzito. Non riesco a credere di fargli quest’effetto.
Qualcuno bussa alla porta.
«Ragazzi, è ora di cena!»
Lucas.
«Oh.» sbuffa Nick infastidito, staccandosi completamente da me. «Su, andiamo, possiamo continuare dopo visto che muori dalla voglia di fare sesso con me.»
«Smettila, maniaco! Non è vero!» arrossisco prima di scoppiare a ridere.
Ci alziamo dal letto controvoglia, e dopo un po’ usciamo dalla stanza, raggiungiamo in silenzio il ristorante, percorrendo velocemente i corridoio tempestati di luci e decorazioni. Ci sediamo al tavolo di Lucas e Tom, ordiniamo le portate e attendiamo.
«Allora, Nick, che lavoro fai?» chiede Lucas. «Attore? Modello? Cantante? Ballerino?»
«Ehm…» su di lui si dipinge un’espressione imbarazzata e, prima di rispondere, fa qualche colpo di tosse. «Veramente…studio alla facoltà di giurisprudenza e per pagarmi l’università svolgo lavoro in un…ecco…in un ristorante.»
«Oh, che ristorante?» azzarda Tom, costringendo Nick a tacere per svariati secondi.
«Si chiama…McDonald…» dice imbarazzato. Dopo un po’, continua a parlare di quello che fa e del perché lo fa.
I due sembrano interessarsi, annuiscono e commentano di tanto in tanto senza discriminare il suo umile lavoro. Spero che Nick diventi amico dei due, in fondo dovrà averci a che fare se vuole starmi vicino durante la mia carriera. Lucas e Tom ormai sono i miei mentori, i miei nuovi genitori, li avrò sempre accanto, per fortuna, come avrò accanto la mia famiglia e i miei amici. Sorrido alla vista dei tre uomini più importanti della mia vita: in fondo, cosa sarei senza di loro?
 
Eccoci. È il momento. Tocca a me. Tocca proprio a me.
Percorro il labbro inferiore con il pennello del gloss, lasciando che il liquido rosa si stenda su tutta la superficie. Mi sistemo l’abito e indosso le scarpe. Un’ultima occhiata allo specchio e corro da Lucas.
«Sono pronta.» annuncio dolorante per via dei tacchi.
«Lo stilista sta per arrivare.»
«Cosa?»
«Si, ma tu non potrai vederlo perché devi andare, ecco che devi andare, muoviti!»
Corro verso la passerella, avvertendo la luce dei riflettori piombarsi su di me. E cammino, a passo svelto, mi fermo assumendo una posa e mi volto, lasciandomi alle spalle i rumori e le luci dei flash.
È stato fantastico, di nuovo.

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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue. ***


Salve dolcezze!
Allora, prima di tutto, volevo augurarvi un Buon anno nuovo, spero vi siate divertite durante le feste, io sono stata malissimo, ma fa niente. çç
Comunque, volevo dirvi che in questo capitolo ci saranno, purtroppo, delle novità per Miley, che influenzeranno parecchio la sua vita, quindi, preparatevi, muahahahaha.(?)
Come sempre, vi ringrazio per le recensioni, e vi ricordo che potete scrivere ciò che volete, che siano critiche negative o positive, accetto di tutto.
Ora vi lascio, buona lettura e ancora, Buone feste.♥

 The last vogue. 



È passato un mese dalla sfilata di Armani, alla quale sono seguite molte altre, tra cui Disquared2, Gucci, Chanel e tante altre.
Tra qualche settimana, dice Lucas, ci sarà il set fotografico per Vogue, finalmente. Sono così eccitata all’idea di posare per quella rivista, la stesso che leggevo e contemplavo in camera mia ogni santo giorno.
«Miley, allora? Muoviti, è tardi.» sbraita Lucas porgendomi il cappotto. Devo sfilare, di nuovo. Niente di importante, è una sfilata locale a Manhattan che però, presenta i suoi vantaggi: niente viaggi in aereo. In soli due mesi ne ho fatti più di cinque tra sfilate e interviste. Tutto questo stanca molto, ma non mi lamento per niente.
«Si, si.» prendo la borsa e avanzo velocemente verso l’auto, ignorando il dolore che mi provocano le mie nuove Louboutin bianche. Sono troppo belle per essere anche comode.
Entro in macchina, accomodandomi sui sedili posteriori. Lucas entra e parte a tutta velocità verso la passerella prestabilita e, in un baleno, arriviamo. Parcheggia l’auto e mi trascina in un vortice di porte e scale mobili di un posto per me del tutto sconosciuto.
«Perfetto, entra lì dentro» mi indica una porta «e raggiungi Maly, lei ti dirà che fare, ok?» annuisco e corro, cercando di arrivare in tempo. Maly è una sorta di manager, una tipa bionda e attenta che, non si sa come, si trova sempre nello stesso posto in cui si trova Lucas. È senz’altro un vantaggio.
Apro la porta, scorgendo Maly intenta a parlare a telefono. Mi avvicino a lei cauta, in modo da farle accorgere della mia presenza.
«Un momento, ti richiamo io.» dice, snobbando la chiamata. «Miley, mio Dio, lo stilista sta impazzendo.» comincia a camminare a passo svelto, incitandomi a seguirla. «Se fossi arrivata più tardi…»
«Si, Maly, ho capito, dov’è la sfilata?» la interrompo, evitando di accumulare altro stress.
«Eccoci.» ribatte nervosa, aprendomi le porte al camerino, pieno zeppo di modelle occupate a prepararsi. Lo stilista è lì, dietro la toletta, a controllare che le sue modelle siano in perfette condizioni. Vedo i suoi occhi spalancarsi alla mia vista.
«Miley, ma dove sei finita?» chiede togliendomi rapidamente il cappotto. «Tocca a te, muoviti.» non devo cambiarmi, per fortuna, l'abito ce l'ho addosso da casa. Sbuffo e, annoiata, mi dirigo in passerella.

La sfilata più brutta della mia vita. È tardissimo, voglio andare a casa, ma no. La serata è ancora lunga. Ahimè, c’è una festa di Chanel nei paraggi e Lucas mi ha inserito nella lista, dice che se non ci vado posso dire addio a tutto questo.
Appoggio i gomiti sulla toletta del mio camerino e chiudo gli occhi, appoggiando il mento sulle mani e premendo gli indici contro le tempie, cercando di alleviare il terribile mal di testa ho da più di mezz'ora. Sento ad un tratto la porta spalancarsi. Mi giro di scatto, interrompendo l’unico momento di tranquillità che lo stilista mi ha concesso.
«E tu chi saresti?» sbotta una voce bassa e rauca.
«Questo è il mio camerino.» rispondo assonnata. Silenzio. Lei guarda me e io guardo lei. È una modella, si vede dal fisico e dagli abiti lussuosi che indossa. I suoi capelli ramati sono raccolti in una lunga coda di cavallo, il busto alto è coperto da un cappotto marrone che arriva alle sottilissime ginocchia e gli occhi sono nascosti da occhiali scuri di marca, costosissima peraltro. Torturandosi il labbro inferiore, che spicca per il suo rosso fuoco, avanza verso la toletta, oscillando la borsa e provocando un piacevole rumore con i tacchi. Si toglie gli occhiali, scoprendo i suoi occhi azzurri. Poi si sfila e guanti e avvicina il suo volto allo specchio, sfiorandosi delicatamente le sopracciglia e aggiustandosi il rossetto. Che strafiga.
«Hai l’aria stanca.» mormora, guardandomi attraverso lo specchio.
«Lo so, ma ho ancora molto da fare.»
«Party Chanel, giusto?» chiede poi, alzando un angolo delle labbra.
«E tu come lo sai?»
«Sono anch’io della Vogue Agency, Lucas è il mio ex manager.» spiega superficialmente. «Ma questo non t’interessa.»
«No, infatti.» sbadiglio, afferrando una spugna e passandomela sugli occhi, rimuovendo i residui di ombretto.
«Povera piccola.» sussurra voltandosi verso di me. La guardo perplessa. Povera? Piccola? «Ti costringono a fare le ore piccole, non è così? Ma adesso è ora di smetterla, sei pur sempre una modella, no?» dice, frugando nella sua Prada nera. Poi mi guarda, maliziosa, sfilando una bustina trasparente, da cui si intravede la sua perversa intenzione.
«Questo ti aiuterà senz’altro.» aggiunge sventolando la bustina. Guardo quel contenuto bianco preoccupata, sperando non sia ciò che penso, sperando che magari sia la stanchezza, sperando che magari questa donna sia frutto della mia immaginazione.
«Tranquilla, non dovrai bucarti, ne basta un po’ e…»
«No, grazie.» la interrompo, invitandola ad uscire con lo sguardo. Non voglio più avere davanti ne lei ne quella robaccia.
«Guarda che è normale essere nervose.» insiste, porgendomi la bustina. «Dai, lo fanno tutte le altre!»
«Ma io non sono “tutte le altre”. Io non sono come voi psicopatiche, io so come ci si comporta realmente nella vita e non m’importa di crollare ai party, non mi drogherò mai, a costo di essere la prima e l’ultima modella, non lo farò.»
«Credi davvero di resistere? Sei così presuntuosa da dire che riuscirai a sopportare tre party di fila in una notte?» i suoi occhi oceanici sono fermi, puntati su di me e i miei lo sono su quella dannata bustina. «Sai, “Miley”,» dice poi, scandendo bene il mio nome, quasi per prendermi in giro «nessuna modella ha mai desiderato sniffare, nemmeno io, io non c’avrei mai giurato, eppure sono qui, viva e vegeta, il bianco in corpo non mi manca da anni. Reggo bene l’alcool, le feste, le sfilate, non sono mai inciampata. Cerca di fare meno la perbenista e ammettilo: per quanto puoi essere bella, non sei imbattibile.»
Parole maledette. Chi crede di fregare? Mi sta dicendo che sono costretta a drogarmi? So controllarmi benissimo e la stanchezza di certo non la batterò con della cocaina. Questi pensieri sono assurdi, è una cosa impossibile, non può esistere nella mia vita.
«Okay. Adesso vattene.» la snobbo, cercando di togliermela subito dalle palle, lei e la sua fottuta droga.
«Mi sei simpatica. Te la lascio.» conclude, lanciando la bustina sulla toletta, infilandosi gli occhiali e sfilando poi verso la porta, facendo oscillare la perfetta coda che le ricade sul cappotto. Ma quelle parole rimangono nella mia mente come i suoi occhi. È davvero così utile questa cosa? È una legge che le modelle si droghino per rimanere intatte alle sfilate? Osservo per un po’ la famigerata bustina, lottando tra la voglia di chiudere gli occhi e quella di alzarmi per andare al party. Sposto lo sguardo sull’orologio. Sono le undici e quarantacinque, il party è a mezzanotte. Prendo la bustina e, controvoglia, la infilo nella tasca della borsa, nascondendola tra la custodia degli occhiali e il pacco di fazzoletti, sigillo il tutto ed esco dal camerino, recuperando il cappotto. Raggiungo Lucas barcollando.
«Miley, non dirmi che sei stanca, devi passare a cambiarti e dobbiamo andare al party. Tesoro, ti prego, è importante.» implora Lucas. Annuisco, pensando a ciò che nascondo in borsa. No, non farò mai una cosa di quel genere.

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitré. ***


 The last vogue. 



«Quanti vestiti.» mormoro osservando incantata il guardaroba di Lucas. «Ma perché sono da donna?»
«Questo non è proprio il mio guardaroba, sai? In realtà gli abiti sono delle mie modelle. Molti abiti sono passati di moda e non hanno il coraggio di buttarli via perché sono dei veri capolavori.» risponde, sfiorando qualche vestito con le dita, mentre io fremo dalla voglia di indossarne uno.
«Avanti, Miley.» dice poi, incitandomi a prenderne uno, quello che mi piace di più, alzando delicatamente gli angoli della bocca, rassicurandomi. «Hai il permesso di prendere quello che ti piace di più. Avanti, non preoccuparti.»
«Okay…» sussurro, contemplando un vestito nero di Missoni, proprio accanto ad una giacca di Gucci. Dunque, mi avvicino cautamente all’abito, sfiorando con i polpastrelli i ricami al petto.
«Uh, hai davvero buon gusto…» interviene Lucas soddisfatto. «Questo l’ha indossato Kate Moss, al suo primo party. A quel tempo era una voga, come te. Questo vestito le piacque così tanto che decise di indossarlo all’istante. Oh si, era decisamente una voga.»
«Adesso ho una cosa in comune con Kate Moss, l’abito del primo party.» sorrido, puntando lo sguardo su Lucas, che mi osserva come un padre che vede la figlia compiere i suoi primi passi. Credo che la metafora sia perfetta, sto ancora facendo i primi passi e Lucas potrebbe essere mio padre dato che mi sta guidando in questa sorta di pianeta. Mi sta insegnando a muovermi, proprio come fanno i padri. «Voglio indossare questo.» la stanchezza mi colpisce nuovamente, riportandomi alla realtà con uno sbadiglio.
«Perfetto, prendilo e indossalo, io vado a prepararti una tazza di caffè.» dice poi Lucas, allontanandosi da me e lasciandomi in totale possesso dell’abito. Afferro la stampella da cui è appeso e vado in bagno, riflettendo al completo la mia immagine allo specchio: che aspetto orribile! Gli occhi sono contornati da due occhiaie profondissime e la pelle è pallida e cadaverica. Non posso di certo presentarmi così al party. Mi infilo in fretta il vestito e mi do una rinfrescata, sfilando dalla borsa il mascara e il phard. Mi sistemo rapidamente per poi infilarmi i tacchi. Questa borsa non ha più niente di innocuo e mi sale la nausea al solo pensiero che possa contenere una sostanza stupefacente. Vorrei tanto buttarla via adesso, ma ogni minuto è fatale e sarebbe meglio non sprecarne nemmeno uno. Corro di sotto, portandomi dietro borsa e cappotto.
«Okay, qui c’è il caffè.» afferma Lucas porgendomi una tazza fumante. L’afferro e butto giù il liquido tutto d’un fiato, senza lasciare nemmeno una goccia. Poggio la tazza sul bancone e corro in macchina con Lucas.
Dopo una manciata di minuti in silenzio, arriviamo al party, che sembra svolgersi in una sorta di villa con tanto di piscina e giardino. Scendiamo, entriamo e salutiamo persone di cui non ho mai visto neppure la faccia. Lucas sembra conoscere tutti, è per questo che mi costringe a stare appiccicata a lui, così posso fare conoscenze, cosa molto importante per una modella, dice lui.
«Tu devi essere Miley, la nuova modella.» sussurra un uomo sulla quarantina, dagli atteggiamenti decisamente poco etero. Annuisco in silenzio. La testa comincia a pulsarmi, così decido di uscire fuori a prendere una boccata d’aria dopo nemmeno dieci minuti di presenza.
«Lucas, io esco fuori, mi manca un po’ l’aria.» lo informo, allontanandomi da lui. Fa cenno di si con la testa e mi lascia uscire. Fuori ci sono altre persone, sicuramente meno di quante ce ne sono dentro. Sebbene la musica sia un po’ troppo alta, i sensi cominciano a farsi di nuovo presenti, l’aria penetra regolarmente nelle mie narici e i dolori di testa si alleviano. Mi siedo su un lettino, godendomi l’aria fresca di Manhattan a mezzanotte.
«Hey!» una voce squillante, dopo un po’, mi distrae. Apro gli occhi di scatto, trovandomi di fronte una ragazza dai capelli spettinati e il trucco sciolto, con alcolico a portata di mano. «Come…come va?» chiede sorseggiando la bibita, mezza sbronza.
«Ti conosco?» domando irritata.
«No!» sbotta barcollando. «Ma io conosco te! Sei la modella nuova…quella anoressica…»
Anoressica? Avevo chiuso con quella parola, perché mi tormentano ancora?
«Ti sbagli, io non sono anoressica.» inveisco in preda alla rabbia. «Non sono niente di quello che dicono.»
«Hey…calmati con la mia amica, okay?» sento un’altra voce accavallarsi alla mia, quella di un’altra ragazza, probabilmente di una modella. Si piazza accanto all’amica sbronza.
«La tua amica mi ha chiamata anoressica.» sbotto nuovamente, in cerca di scuse.
«Non li leggi i giornali? Non è l’unica a chiamarti così. Sei solo una fottuta adolescente, non sai niente del mondo della moda, non sai un cazzo di ciò che accade ogni giorno ad ognuna di noi, non sai il culo che si fa una modella per raggiungere un obbiettivo, poi te ne vieni tu e ti piazzi alla sfilata di Armani dopo nemmeno un mese di carriera, ti prego.»
Non so cosa possa farmi più male, il suo sguardo, il suo tono, o le sue parole. Si allontana con la sua amica, intenta a sgolarsi il superalcolico, mentre io rimango qui, lasciando che gli occhi sprigionino quel liquido struggente che scivola giù per le guance. Non posso crederci, come possono certe parole ferire una persona in questo modo? Non voglio starmene qui a piangere, non voglio essere debole, ma non riesco a rialzarmi, mi sento infranta, mi sento distrutta, come se niente potesse risollevarmi. Mi asciugo le lacrime e mi alzo, avanzando velocemente verso il bagno. No, non davanti a tutti. Appoggio la borsa sul lavandino, apro la tasca e frugando, sfilo la famigerata bustina. La apro, con l’intenzione di gettarla nel lavandino e chiudere la storia qui, per sempre.
Osservo la polverina scivolare giù per il lavandino, fino a svuotare completamente la busta. Apro il rubinetto, butto la bustina e lo richiudo. Ma noto con amarezza che mi è rimasta della merda sull’indice. Alla vista di quel bianco sulla mia falange, rifletto, per qualche secondo, osservando di tanto in tanto la mia immagine nello specchio.
Infrangendo ogni mio giuramento, infilo il dito in bocca, controvoglia, quasi come se fossi costretta a compiere quest’atto. Succhio il polpastrello, asciugandolo poi sull’abito. Non è niente di che, fino a quando non sento il mio cervello vibrare. Una leggera scossa che mi ricorda che fuori di qui, mi hanno appena insultata.
Fuori di me, corro verso il giardino, arrabbiata, cercando di tenere a bada i nervi, ancora scossi per le parole della ragazza di prima che, magicamente, mi ritornano in mente, rimbombandomi in testa. Raggiungo le due ochette, la sbronza e l’arrogante, intente a parlare con dei ragazzi. C’è molta più confusione adesso, la musica è più alta, la gente è uscita fuori a ballare, sono tutti contenti, tranne me, che sto quasi per sudare dalla rabbia e non dal caldo estenuante del giardino.
Ad un centimetro di distanza dalla ragazza, sputo sui suoi capelli, senza curarmi delle conseguenze. Ed essa si gira, innervosita.
«Tu! Stupida puttana anoressica!» mi aggredisce, spiaccicandomi in faccia tutto il suo odio. «Come cazzo ti permetti, stronza? Ti rendi conto di quello che hai fatto? Vai a vomitare sangue, porca puttana!»
Calma e nello stesso tempo arrabbiata, fiondo il mio ginocchio nel suo stomaco, facendola accovacciare per terra. Mi abbasso, e, in preda all’ecstasy, le tiro i capelli, facendola urlare. «Come ti sei permessa di parlarmi in quel modo?» sussurro scandendo bene le parole, suscitando puro panico in lei. «Prova a rivolgermi ancora la parola e ti faccio a pezzi.» concludo poi, mollandole uno schiaffo in pieno viso.
E mi allontano, priva di sensi di colpa, colma di soddisfazione, giungendo, finalmente, ad una nuova, folle, incredibile conclusione.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro. ***


 The last vogue. 



«Miley, cos’hai?» chiede mamma incerta. «Hai delle occhiaie terribili.»
Oggi mi hanno dato una pausa, domani partirò per un set fotografico, il famoso set per Vogue. Diamine, non vedo l’ora, ma non volevo arrivare a questo punto con del bianco in corpo, in fondo l’effetto è svanito, ma il trauma è rimasto eccome. Affondo la forchetta nel piatto, allontanandolo da me.
«Sono solo un po’ stanca.» quanto vorrei che fosse la verità.
«Non hai più fame?» domanda poi papà, indicandomi il piatto ancora pieno.
«Magari dopo mangerò qualcos’altro, adesso vado a dormire.» mi alzo, avanzo velocemente verso la mia stanza, lasciandoli lì, confusi e dubbiosi. Quanto vorrei abbracciarli adesso, quanto vorrei fargli sapere che va tutto bene e che anche se non fosse così, me la saprei cavare da sola, perché sono stati due genitori meravigliosi, si meritano tutta la felicità di questo mondo.
Mi posiziono davanti allo specchio, avvicinando i miei occhi ad esso. Le pupille. Le pupille, sono dilatate. Sono nere. Nere, con un sottile strato di azzurro attorno. No, no, no. Perché? Non se ne sono accorti, ma se uscissi mi guarderebbero meglio e si vedrebbe.
Apro il cassetto, scavando tra vari oggetti, cercando delle fottutissime lenti a contatto. Mi capita una foto della mia famiglia tra le mani, la guardo per qualche secondo e la metto da parte, continuando la mia ricerca. Quando ero piccola mi soffermavo ad osservarle, a contemplarle, ad ammirarle per ore, cercando di capire chi fossero quelle persone, quale fosse quel posto, quale fosse il giorno, la data, il clima. Mi incuriosiva sapere del passato della mia famiglia. Adesso no, adesso il passato è il passato e non mi va più di soffermarmici su.
Niente lenti, cazzo. Porto lo sguardo sullo specchio, l’azzurro è tornato a dominare la pupilla. Che fortuna, già è difficile realizzare quello che ho fatto, ancora più difficile sarebbe stato farlo sapere ai miei.
Richiudo il cassetto con un gesto secco e mi precipito nel letto, sperando di far scomparire queste dannate occhiaie e di ritornare alla normalità.
 
Apro gli occhi, leggermente. Muovo il braccio, ormai addormentato, prendo il telefono e guardo l’ora. Le cinque e trenta. Sbadiglio e mi alzo, barcollando un po’. Ho dormito per un bel po’ di tempo, le occhiaie dovrebbero essere sparite. Verifico allo specchio, non sono tanto profonde. Afferro i primi stracci che mi trovo fra le mani e li infilo rapidamente.
Vedo il telefono illuminarsi e di seguito squillare. Mi affretto a prenderlo, per poi rispondere.
«Pronto?» la mia voce è ancora tremolante per via della lunga dormita.
«Miley?» è senz’altro una ragazza, dal tono di voce familiare, lo stesso ma irriconoscibile .
«Si…chi parla?»
«Miley, sono io, quella del camerino, quella che ti ha dato la roba.» afferma schietta. Mi ritorna in mente la sua lunga coda di cavallo sventolare a ritmo delle sue mani gesticolanti e i suoi occhi azzurri.
«Che vuoi?» sbotto nervosa, ricordandomi  quella dannata polverina bianca.
«Come siamo aggressivi…» mormora, abbassando il suo tono di voce, rendendolo sinistro e perverso. Sospiro. «Io ho fatto una buona azione.»
«No, non hai fatto niente di buono dandomi quella…» abbasso il tono, ricordandomi di mamma e papà, che hanno un udito impeccabile. «…quella cosa…»
«La prima volta. Lo si sente dal tuo tono di voce.» ha capito, ha già capito tutto. «Non serve mentire, puoi dirmi tutto, a me interessa che tu stia bene, lo sai.»
«Ma che dici, non so nemmeno come ti chiami.»
«Ti va di saperlo stasera a cena?» chiede maliziosa. È così strana e inquietante, mi incute terrore il pensiero di parlare con una persona così, ma allo stesso tempo, sono tentata dall’accettare.
«Non sono con Lucas.»
«Ti vengo a prendere io, alle otto.» propone impassibile. «Alle otto.» scandisce bene le due parole, decisa.
Deglutisco. Non so che fare, magari potrei provare a stringere con lei, a capirla meglio, non mi è mai piaciuto passare sopra alle situazioni, amo andare fino in fondo, amo scoprire le persone e lei sembra così enigmatica e misteriosa, per quanto possa terrorizzarmi, non nego che sono incuriosita e affascinata dal suo modo di essere.
«Io abito a pochi chilometri dalla Montague.»
«So benissimo dove abiti.» sobbalzo, prima di avvertire il rumore dello stacco del telefono. Oddio, come fa a conoscere ogni cosa di me? Ho paura di lei, decisamente, paura.
Il tempo passa nell’ansia più totale. Non so come comportarmi, come vestirmi, cosa dire, che fare. Non è possibile che questa ragazza mi porti via ogni pensiero, è una cosa strana ma allo stesso tempo intrigante, è come una droga. Devo sapere cos’ha questa donna di tanto misterioso.
Rimango qualche secondo in più ad osservare il guardaroba, aspettando che l’occhio cada sull’abito perfetto. Non c’è decisamente nulla di altolocato che io possa indossare, quindi vada per lo stile “stracci di Miley”, ovvero l’unico su cui posso sperare. Prendo un jeans e una maglia bianca, li infilo velocemente. Afferro le Converse e le allaccio piano, senza rischiare di spezzare i lacci, ormai rovinati e sottili. Sono quasi le otto, aspetto nel giardino controllando ossessivamente l’ora. Stasera non fa freddo, eppure non riesco a smettere di tremare.
Vedo in lontananza due fari di un’auto avvicinarsi sempre di più a me. Senza sapere chi c’è dentro, salgo. È lei. Coi suoi occhiali scuri, sebbene il buio cieco, e la perfetta coda di cavallo.
«Ti ho spaventato?» chiede voltandosi cautamente verso di me.
«Cosa? No.» sobbalzo.
«Bene. Perché voglio fare di tutto, tranne che spaventarti.» afferma sospettosa mentre maledico il momento in cui ho aperto lo sportello dell’auto. Lei comincia a guidare e io ne approfitto per guardarla. Ha dei lineamenti assolutamente perfetti. Di profilo, si riesce benissimo a intravedere delle labbra grandi e sporgenti e il naso è perfettamente disegnato verso il basso, con una minuscola gobba al centro. Non riesco a vedere i suoi vestiti perché indossa un cappotto nero che le arriva alle ginocchia, ma metto in dubbia che sia vestita peggio di me. Sa di essere osservata, ma non se ne importa. Si lascia guardare, in tutto il suo splendore. Si, perché è davvero una bellissima ragazza. Non mi meraviglio che l’abbiano scelta come modella.
«Eccoci qui.» dice fermando l’auto e slacciandosi la cintura di sicurezza. Faccio lo stesso e scendo dall’auto, avvicinandomi all’ingresso del ristorante, che già dal giardino sembra promettere bene. Entriamo in sala, raggiungendo un tavolo e accomodandoci.
«Allora, Miley, com’è andata la prima volta?» chiede sorridendo lievemente. Non riesco a capire se fa per davvero o mi sta prendendo in giro.
«Non parlare così, non doveva mai esistere quella “prima volta”.» sussurro. Continua a guardarmi con i suoi occhi azzurri mentre chiude gli occhiali nell’apposita custodia.
«C’è sempre una prima volta.» ribatte saggia.
«E anche l’ultima.»
«Ricorda, Miley, se c’è stata una prima volta, ce ne saranno di sicuro altre cento, ma solo poche volte c’è l’ultima.» accompagna la frase con uno sguardo serio e deciso, il più spaventoso, il più affascinante. È incredibile. Prende il menù e lo osserva, ignorandomi definitivamente.
La guardo per un po’, riflettendo sulle sue parole, che sembrano minacce. Cerco di riprendere il controllo della situazione.
«Senti un po’, non dovevi dirmi il tuo nome?» le chiedo, spavalda.
Sposta rapidamente il suo sguardo sul mio, fulminandomi con lo sguardo. Chiude piano il menù e poggia i gomiti sul tavolo, porgendo il busto in avanti e guardandomi con la solita espressione, ma adesso non sono più spaventata. Fisso le sue labbra, in attesa di una risposta.
«Il mio nome, è Amanda.»
Amanda, Amanda, Amanda. Appena sentito e già rimbomba nella mia mente. Amanda. Che nome infernale.

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque. ***


 The last vogue. 



La guardo incantata, forse per le sue pupille dilatate, forse per le sue labbra color fuoco o semplicemente per la sua espressione rassicurante e docile, aspettando un mio intervento.
«Bel nome.» mormoro dopo qualche secondo.
Il tempo passa in fretta e, devo dire, Amanda non è una pessima compagna per il tempo libero. È una ragazza sicura di sé, saggia, esperta e incredibilmente sinistra. Il cameriere poggia sul tavolo le ordinazioni e, in silenzio, mangiamo, guardandoci di tanto in tanto negli occhi.
 
E la osservo, in ogni suo gesto, anche il più banale, che eppure risulta essere elegante e raffinato. Si allaccia la cintura di sicurezza e parte, nella direzione opposta a quella di casa mia. Ha sbagliato, forse, ma una come lei, a quanto ho capito, è capace di non sbagliare mai.
«La mia casa è lì.» le ricordo puntando il dito verso la Wooster Street.
«Stasera andrai dappertutto, tranne che a casa.» risponde indifferente.
«Che cosa?»
«Ti porto in una discoteca, qui vicino, ti divertirai.» si volta per un secondo, per poi girare nuovamente lo sguardo verso la strada.
«No, senti, domani devo partire e vorrei riposare per un po’.»
«Te lo faccio recuperare io il sonno.» alza maliziosamente un angolo della bocca, alludendo alla sua amica bianca. Ma non voglio cascarci di nuovo, non stavolta.
Rimango pietrificata, promettendomi una centinaia di volte di non cedere e pregando Dio di farmi arrivare pulita a casa. Dopo parecchi chilometri, arriviamo in questa discoteca. Scendo dall’auto, vergognandomi del mio modesto jeans alla vista di paillettes e abiti succinti. Amanda chiude l’auto con un pulsante e si piazza davanti a me, fungendo da guida. O da bodyguard, data la sua imponente figura. Camminiamo verso l’entrata, fa un cenno con la testa al buttafuori, che mi lascia entrare senza problemi. Evidentemente Amanda conosce questo posto come le sue tasche.
Mi dirige al bancone delle bibite e ordina due cocktail che solo lei pare conoscere. In un attimo, l’addetto ci porge i due bicchieri colmi di liquido blu.
«Bevi, ti piacerà.» mi ordina portando il bicchiere alla bocca. Obbedisco e ne assaggio un po’, trattenendo lo sforzo di vomito che mi sale all’improvviso. La musica è fortissima, sarà dura sopravvivere anche per qualche ora.
«Amanda!» una voce maschile urla il suo nome ad un centimetro di distanza dal suo viso. «Che sorpresa, non ti vedevo da un po’!»
«Ciao Noah.» ribatte fredda, ingoiando l’ultimo sorso di bibita. «Lei è Miley.»
«Miley, quella nuova.» mi porge allegramente la mano. «Sei ancora più bella da vicino che sulle passerelle!»
Sorrido lusingata e gli stringo la mano. Lo guardo, poi, andare via.
«Seguiamolo.» Amanda afferra la mia mano e mi tira verso di lei, intenta a seguire il suo amico. Dopo un po’, ci troviamo in una stanza, una stanza bianca, fin troppo bianca.
«Ce ne hai un po’ per noi?» chiede Amanda, lanciando la sua borsa sul divano, su cui ci sono sedute tre modelle col naso incipriato. Comincio sul serio ad avere paura e penso che se non me ne vado di qui vomiterò il cocktail.
«Lo sai, per te c’è sempre tutto.» risponde Noah, che porge, poi, una bustina di roba alle modelle. Osservo le loro espressioni eccitate e poi sposto lo sguardo sul fisico. Anoressia. Totale, anoressia. Ormai vivono di quello, quello e nient’altro.
«Bene, Miley, siediti. Stasera si fa sul serio.» sussurra Amanda in preda all’ecstasy ancora prima di aver sniffato. E ci sediamo, sull’altro divano. Aspetto, inquietata. Non lo farò. Non lo farò. Non lo farò, per niente, ma la promessa non può valere. Noah ci porge un vassoio, con sopra quella schifosa robaccia divisa in strisce e delle banconote.
«Guarda e impara.» afferma prepotentemente Amanda, arrotolando una delle banconote e avvicinandola al naso. La osservo, mentre si “nutre” di quella polverina color latte. È come la prima volta che ho fumato. Ero con Nick, Demi e Joe, e loro erano così bravi, stringevano l’erba tra le labbra e poi sputavano il fumo. Con loro mi sentivo al sicuro però, era una cosa per ragazzi, per innocenti, ma non è da paragonare alla droga. Questa cosa invece uccide, uccide sul serio.
«No. Non la voglio.» dico, una volta attirata l’attenzione di tutti. Le modelle sono addormentate, aspettano che la coca abbia effetto, mentre Amanda è quasi stordita dalla sniffata.
«Miley, se prendi questa, domani sarai bellissima.» borbotta barcollando. «Prendila.» poi si riprende, più sana di prima, eccitata ed energica. Che merda, cosa devo fare?
Il mio cervello è confuso, più del loro, sento i brividi salirmi lungo la schiena solo a guardare quella stupida striscia.
«Vuoi bucarti?» interviene stupidamente Noah, inconsapevole che sia la mia prima volta, o dovrei dire seconda, data la mezza volta al party.
Fulmino il ragazzo con lo sguardo, costringendolo ad indietreggiare. «Guarda che io non sono un cocainomane. Procuro solo la droga,» dice senza sapere che quel che sta dicendo potrebbe realmente mandarlo in carcere, «una volta c’ho provato, ma io so controllarmi bene, è un’esperienza, proprio come ha fatto Lil Wayne a undici anni.» nonostante non abbia sniffato, il più fatto qui è lui. Ma le sue parole in fondo un senso ce l’hanno. Anch’io so controllarmi bene, voglio dire, ho resistito a parecchie cose nella mia vita, non cose di questo genere, ma molto simili. In fondo è solo per stasera, poi chiuderò con questa Amanda, chiuderò con questo Noah, chiuderò con tutti, guarderò avanti, alla mia vita, alle passerelle, alla mia carriera. Che male potrà farmi?
«Tieni.» ansima Amanda mezza addormentata, porgendomi una banconota. La prendo lentamente, tra un pensiero e l’altro, tra un si e un no. Ripasso il pezzo di carta tra le mani, osservando la polverina, poi guardando le tre modelle, ormai stonate e poi guardando Amanda, che giace sullo schienale del divano con un’espressione beata ed  un sorrisetto malinconico.
Arrotolo la banconota e la porto al naso, lasciando che la mia coscienza mi interroghi un’ultima volta.

Fermati, Miley, fermati. Fermati, cazzo, basta!

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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei. ***


 The last vogue. 



Mi fermo dopo aver consumato la striscia, cercando di sopportare il fastidio che la polverina provoca salendo su per il setto nasale. Scuoto la testa, poggio la banconota sul vassoio e fiondo il collo sullo schienale del divano. Socchiudo le palpebre. Colori. Colori di tutti i tipi, poi sfumature, confusione, niente. Chiudo gli occhi, lasciandomi alle spalle il resto. Io e il mio corpo. Soli.
Ecstasy pura. Non vedo più niente, ma in compenso, è come se la mia mente fosse in viaggio, in un viaggio lungo e intenso, senza alcun tipo di distrazione.
Apro gli occhi di scatto, trovandomi di fronte un paio di facce eccitate e sveglie.
«Andiamo a ballare!» urla Noah uscendo dalla stanza. Realizzo per un po’ ciò che ho appena fatto.
No, non va per niente bene. Ma che cazzo ho fatto?
Vedo le modelle seguire il ragazzo, mentre Amanda è completamente stesa, priva di sensi, sul divano bianco. Questo fottuto divano bianco, in questa fottuta stanza bianca, quella fottuta roba bianca. Odio il bianco, ho sempre odiato il bianco, e adesso mi ritrovo a sniffare del bianco, bloccata in quattro mura bianche, tutto così bianco, tutto così vuoto.
«Amanda!» le sfioro delicatamente il braccio. «Amanda! Svegliati!» ma niente, non si sveglia.
«Vattene.» sussurra, all’improvviso, rimanendo ad occhi chiusi.
«Che… che cosa?»
«Vattene…scappa…da qui…dalla passerella…» continuo a non capire. Amanda ha sempre suscitato un certo terrore in me, ma stavolta più che mai. «Scappa finché sei in tempo, scappa.»
Mi alzo di scatto, cercando una via di uscita. Voglio andarmene da questo schifo di posto.
Scansandomi la folla di "zombie" della discoteca, riesco a raggiungere l’aria, quella vera. Faccio un respiro profondo e mi avvicino alla strada. Ho l’affanno, nemmeno avessi corso. Spaventata, porto una mano alla fronte, asciugando le poche gocce di sudore che la inumidiscono. Porca troia, adesso che faccio? Ho sniffato. Ho preso della droga. Ma magari riesco a controllarmi, proprio come ha fatto Noah. Magari riesco a fermarmi qui, senza continuare. Adesso devo solo calmare i nervi, anche perché fra poche ore dovrò posare per Vogue e non ho intenzione di crollare sotto l’obiettivo.
 
Da quanto tempo.
Da quanto tempo non vedevo i miei capelli scuri cadermi sulle spalle. Oh, quanto mi sono mancati. A che pensavo quando li ho tagliati? Perché l’ho fatto? In fondo questa è Miley, questa è la ragazza di Nashville, ma, oh, già, non sono più la ragazza di Nashville e questi non sono i miei capelli, questa è solo una stupida acconciatura.
«Bene, signorina Cyrus, il set è da quella parte.» mormora un truccatore indicandomi il set. Lucas sta organizzando le ultime cose insieme a Tom. Siamo nel Nevada, in un deserto, un po’ troppo caotico per essere definito tale. Non so perché abbiano scelto questo posto, però è carino, e per Vogue va benissimo. Va tutto benissimo, tranne me. Mi sento così in colpa adesso.
Cammino verso il set, facendo attenzione, come sempre, ai tacchi alti che mi piazzano sotto e al vestito velato che mi ricopre appena. I fotografi si allontanano, lasciando a me la scena, mi posiziono davanti all’obiettivo e aspetto un ordine.
«Okay, Miley, sei pronta?» mi chiede Lucas nervoso. Annuisco, cercando di non sembrare troppo giù di morale. «Perfetto.»
E cominciano a dettarmi pose da assumere: mano dietro la spalla, sorriso, occhi chiusi, viso rivolto al sole, stesa, seduta. Io obbedisco, senza oppormi. Di solito ho vergogna di queste cose, ma adesso la mia mente è altrove. È rimasta su quel dannato divano bianco e questo mi dispiace così tanto, avrei voluto godermi il set, mentre adesso sono prigioniera della mia irresponsabilità.
E il tempo vola, tra una posa e l’altra, uno scatto, due scatti, tre scatti, e il set termina.
«Sei stata bravissima, Miley.» afferma fiero Lucas, poggiando una mano sulla spalla. «Ti vedo stanca.»
«Si, è che non sono abituata al clima.» mento.
«Hai ragione, qui fa caldissimo. Torna dai truccatori, così ti strucchi e puoi tornare in hotel.» annuisco e faccio come ha detto lui, torno dai truccatori. Mi sfilo i tacchi prima di camminare, non vorrei cadere, cosa che accadrà presto, e non di certo per il sole, che batte violentemente sulla pelle. Arrivo nel camerino, mi spoglio e  mi infilo rapidamente lo short e la canotta. Mi siedo davanti la toletta e rimuovo il trucco dal viso. Quanto vorrei poter rimuovere tutti gli errori, tutti gli sbagli che ho commesso con dell’acqua. Vedo il mascara scivolarmi sulle gote, pregando Dio di fare la stessa cosa col bianco. Voglio vedermelo scivolare su di me, non dentro di me.
Una volta pulita, raggiungo il fuoristrada che mi ha prestato Lucas per adesso. Lo accendo e vado verso la strada, a pochi chilometri dal deserto. Non so come, riesco a raggiungere l’hotel in cui alloggio, spengo l’auto e avanzo barcollando verso l’ingresso. Per essere un hotel a tipo un passo dal deserto è abbastanza lussuoso, c’è l’aria condizionata, ci sono gli interni raffinati, le camere ben ordinate, proprio come quello di Parigi. Entro nella stanza, sfilo la borsa dal braccio e la butto a terra, tuffandomi nelle morbide coperte blu dell’hotel. È una sensazione strana, mi sento come se fossi felice che il set è già finito, sono sicura che se fossi stata pulita non sarei scappata dal set come ho appena fatto. Devo riprendermi, non posso continuare così, non posso permettermelo. Non voglio deludere i miei amici, i miei genitori, e soprattutto Nick.
Perché è così difficile?
E per la prima volta, mi pento di quello che sono adesso, mi pento della scelta che ho fatto, mi pento di tutto quello che ho subito per arrivare a questo schifo. È davvero così merdoso il mondo della moda?
Per fortuna, sento il telefono squillare. Solo una telefonata mi potrebbe salvare da questi pensieri stupidi.
«Pronto?» rispondo sbadigliando.
«Che hai fatto ieri sera?» chiede allarmata una voce maschile. Sobbalzo, sbiancando di colpo. Che ne sa questo di quello che ho fatto ieri sera?
«Dimmi subito chi sei o ti denuncio.» sbotto in preda al panico.
«Amore, calmati, sono Nick.» Non riconosco nemmeno più la sua dolce voce. «Ieri sera dovevi chiamarmi ma non l’hai più fatto.»
«Oh mio Dio, Nick, scusami, ti prego, perdonami.» lo supplico, sfogandomi, come se lo stessi supplicando di perdonarmi per la stronzata che ho fatto. Ma lui non sa niente. E niente deve sapere.
«No, certo, tranquilla. Quand’è che torni a casa? Manchi a tutti noi.»
«La prossima sfilata è a settembre, abbiamo del tempo libero.» affermo contenta. È da un po’ che non passiamo del tempo insieme, e mi sento in colpa anche per questo.
«Per chi sfilerai?»
«Versace.»
«Ti sento stanca…» cambia subito argomento, riportandomi alla realtà che avevo messo da parte per un decimo di secondo, pensando all’autunno e alle bellissime sfilate che mi aspettano.
«Si, sono un po’ stanca.» ammetto, affondando la testa fra i due cuscini.
«Allora ti lascio, riposati.» dice a voce bassa. «Ah, Miley, hai parlato con Demi di...quella cosa?»
«Nick, ti prego…»
«Va bene, a dopo.» riattacca. Si, sto fuggendo dai miei problemi, ma è l’unica cosa che posso fare dato che non sono in grado di affrontarli. Non sono capace di vedere Demi e il suo bellissimo sorriso svanire per una cavolata, ma anche se volessi parlare con lei, non potrei mai, ho cose molto più importanti a cui pensare. 

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisette. ***


 The last vogue. 



Porto lo sguardo sull’orologio della stanza: 19:47. Dovrei scendere al ristorante per la cena, ma stranamente non ho fame. Voglio tornarmene a casa, odio questo posto, odio quest’hotel, odio tutto. Non mi sento al sicuro qui, ma sono sicura che nemmeno la mia casa potrebbe farmi sentire meglio. Sono ancora scossa per quello che ho fatto. Non voglio intraprendere questa strada e, sebbene non senta ancora il bisogno di sniffare, ho una sensazione di sporco dentro di me, come se fossi impura, come se dovessi rinascere per eliminare questa sensazione. Mi tocco i capelli con una mano. Sono morbidi, piacevoli al tatto, peccato che non li sento più miei. Prendo una ciocca e la porto agli occhi, osservando la punta ramata e, dopo un po’, la lascio cadere sul viso.
Afferro il telecomando, ricordandomi che in camera c’è una televisione. Premo un tasto a caso e lo schermo si accende. Premo costantemente un pulsante, cambiando rapidamente canale. Musica. Programma di cucina. Musica. Tg. Musica. Sobbalzo. Torno indietro, fermandomi sul tg. Ahimè, la lingua è francese, non ci capisco un tubo, cerco di tradurre la frase secondo quel poco che ho studiato al liceo e riesco a dedurne che c’è stata una strage di modelle, a New York. Non è possibile. Alzo la voce, cercando l’impostazione che mi permette di cambiare lingua, ma non ci riesco.
Osservo meglio le immagini, avvicinandomi alla televisione. Questo non dovevo farlo. No, perché le modelle sono bellissime, e ce n’è una ancora più bella, che risplende fra tutte. I loro capelli biondi non possono competere con la sua coda di cavallo, una coda di cavallo che mi risulta abbastanza familiare. Non può essere. Quella non può essere Amanda. Spengo la tv ed esco dalla stanza, corro verso l’edicola più vicina all’hotel, sperando che mi sia sbagliata, ma ho riconosciuto fin troppe volte la sua perfetta acconciatura per non averla riconosciuta anche adesso. Giungo all’edicola, accorgendomi di avere i lacci sciolti e l’affanno.
«Mi dia quello di oggi.» gli ordino velocemente sfilando il portafoglio dal jeans.
«Cosa?»
«Il giornale! Il quotidiano! Ma siete stupidi voi del Nevada?» aggredisco il signore dell’edicola, in preda al panico. Prende il giornale e me lo porge. Lo afferro violentemente e me ne vado, pagandolo con una banconota da cento dollari, lasciandomi alle spalle la sua espressione stupefatta. Apro il giornale e cerco la notizia che mi interessa, avvistando una fotografia stampata per bene sopra. È lei, è proprio lei, stesa su un letto d’ospedale, con il suo solito sorriso e la sua bellissima pettinatura. In un attimo, i miei occhi si riempiono di lacrime, che lascio scorrere giù, senza preoccuparmi della gente che mi fissa stranita. Porto subito lo sguardo sulla didascalia: “Amanda Ferguson, modella, morta questa notte a New York per overdose, sorpresa in una discoteca di Manhattan alle cinque del mattino con altre tre indossatrici, due norvegesi ed una tedesca. Il loro pusher è condannato all’ergastolo.
Noah. Quello è Noah, il loro pusher, l’hanno arrestato, e loro sono morte. Oh mio Dio, questo non è vero, questo non può essere accaduto. Forse è per questo che Amanda mi ha sussurrato quelle cose prima di…di morire. Che ragazza strana.
 
Casa dolce casa.
In realtà, di dolce non c’è proprio nulla, la pioggia rende tutto così cupo.
«Miley, piccola, ci sei mancata un sacco!» strepita mamma accogliendomi in un abbraccio. «Com’è andato il set?»
«Mi sei mancata anche tu, mamma. È andato bene.» rispondo liberandomi dalla sua presa. Saluto papà, che mi rivolge un sorriso e mi abbraccio e, poi, corro in camera a disfare la valigia. Abito dopo abito, riesco a svuotare la valigia. La chiudo e la ripongo accanto all’armadio. Mi sento un’estranea a casa mia.
«Che bei capelli.» dice mamma, entrando in camera.
«Li hanno fatti per il set.» sorrido. «Sono cresciuti in fretta…ci hanno messo delle cose speciali…»
«Demi è passata qui ieri…» cambia argomento, ricordandomi della faccenda che dovevo assolutamente risolvere riguardo Demi.
«Che voleva?» chiedo allarmata.
«Niente, è passata a salutarci. Perché non vai a trovarla?»
«Si…dopo passo un po’ da lei, vorrei prima andare da Nick.» già, avevo promesso a Nick di passare del tempo con lui, ed è quello che farò. Saluto mamma con un bacio ed entro nuovamente in auto, la accendo e percorro qualche chilometro, giungendo dai Jonas. È da troppo tempo che manco qui. Scendo dall’auto e vado verso la porta, busso, e attendo. La porta si apre dopo qualche secondo. Il sorriso di Nick è così luminoso che non può essere minimamente paragonato al sole. Mi fiondo tra le sue braccia, stringendolo. Poi lo bacio, colmando il vuoto che mi ha provocato la sua assenza.
«Di là ci sono Joe e Demi.» dice staccandosi dalle mie labbra. «Non credi sia arrivato il momento di…strappare il cerotto?»
«Joe è davvero un stronzo!» dico ironicamente.
«Lascia stare il mio fratellone...» ribatte, fingendo di offendersi. «Seriamente, la cosa sta diventando piuttosto seria. Joe e Demi hanno fatto sesso.»
«Cosa?» sobbalzo, alzando la voce, spalancando le palpebre in preda alla rabbia. «Ma Joe ha la ragazza!»
«Sai com’è fatto, è un donnaiolo, Demi è cotta e c’è cascata.» mormora, facendomi cenno di seguirlo. Oh, Demi è davvero una stupida! Come si può essere così idioti da fare sesso con una persona di quel genere? Joe è un poco di buono, innamorarsi di lui è praticamente un suicidio, e figuriamoci farci sesso. Metto da parte i pensieri ed entro in camera dopo Nick. Joe e Demi sono stesi sul letto, parlano come due adolescenti innamorati. Riduco gli occhi in due fessure, osservando i movimenti di Demi. Nick, incurante, prende il suo iPhone e inizia a smanettare, fregandosene del comportamento del fratello. Non posso resistere. Non posso starmene a guardare mentre Joe illude la mia migliore amica.
«Joe!» sbotto innervosita. «Posso parlarti in privato?» noto lo sguardo deluso di Demi fiondarsi sul mio.
«Okay, sorella.» risponde Joe scendendo dal letto e avvicinandosi a me. «Che bei capelli.» dice poi. Che idiota. Andiamo verso il terrazzo, assicurandoci di essere abbastanza lontani dagli altri.
«Ma si può sapere che cazzo stai facendo?» sussurro infuriata guardandolo negli occhi.
«Non sto facendo niente, di che parli?»
«Non fare il finto tonto, Joe, pomici con Demi mentre hai già una ragazza.» inveisco contro di lui, spingendolo di tanto in tanto con la mano. «Lei è la mia migliore amica e se non risolvi al più presto la questione lo farò io.»
«Io voglio molto bene a Demi, non intendo farle del male, ecco perché avevo intenzione di lasciare Willow.» Willow. Un altro nome infernale. «Col tempo…ho capito che Willow è una ragazza splendida, ma non fa per me.»
«Bene.» sussurro con aria sinistra. «Allora, chiama immediatamente questa troietta e dille subito di lasciarti in pace.»
«Posso farlo con un messaggio, guarda.» dice spavaldo. Prende il telefono e comincia a tastare i vari pulsanti. Che razza di bastardo!
«No, Joe, è pur sempre una ragazza. Parla con lei.» ma ogni mio sforzo non sembra rilasciare alcun risultato positivo.
«Fatto.» afferma infilando il telefono in tasca. Sorride e se ne va. Forse è il suo carattere immaturo che lo rende così adorabile. Lo seguo, giungendo in camera. Demi è ancora sul letto, vogliosa di abbracciare il suo amato. Le rivolgo un sorriso, e di seguito, sorride anche lei.
Tranquilla, amica mia, adesso sei al sicuro.

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Capitolo 28
*** Capitolo ventotto. ***


Ciao ragazze mie.♥
Scusatemi se ci ho messo tanto per questo capitolo, non siete arrabbiate con me, vero?. çç
Bene, volevo, come sempre, ringraziarvi per le recensioni che mi lasciate, siete dolcissime ndgjklsdfghsfnfnaklfsdgdsajdn.
In questo capitolo c’è una cosa che vorrei spiegarvi: nella seconda parte cito il nome di un film che qualcuno di voi potrebbe non conoscere, quindi posso semplicemente dirvi che è il tema principale è la tossicodipendenza, se invece siete curiosi e volete saperne di più potete copiare il link e trovarlo su Wikipedia. (http://it.wikipedia.org/wiki/Christiane_F._-_Noi,_i_ragazzi_dello_zoo_di_Berlino)
Okay, credo di aver detto tutto. Buona lettura dolcezze, recensite. ♥

 The last vogue. 



Urla. Sudore. Nausea. Paura. Bisogno. Ho bisogno di quella cosa. Ne sento il bisogno, adesso.
Mi alzo, respirando a malapena, cercando di non fare rumore. Stanotte sono rimasta a casa di Nick, che sta ancora dormendo. Non avrei dovuto farlo per niente al mondo, perché mi sento male, ma talmente male che l’unica cosa che il mio corpo sembra avere bisogno, è proprio quella.
Resistenza. Devo resistere, non posso caderci, non di nuovo. La testa pulsa violentemente provocandomi un dolore atroce alle tempie, tento di alleviare il dolore massaggiandole con le dita, ma gli arti sono bloccati, non mi sento più le gambe e le braccia. Che succede?
Stupidamente, penso alla fine: forse sto per morire. Ma no, è solo un disperato bisogno di droga.  Si, lo ammetto, ne ho bisogno, cazzo, ne ho bisogno, non ce la faccio più. L’aria continua a mancare, il corpo perde acqua, tocco il lenzuolo ed è zuppo.
Magari posso provare con dell’acqua, ma appena provo a risollevarmi, cado a terra, e in un attimo mi ritrovo sul pavimento congelato della stanza. La fronte urta con una mattonella, ma non ne avverto il dolore. Le gambe non mi funzionano più, non credo di resistere ancora per molto. E poi, qualcosa nello stomaco si muove, causando la nausea più forte che io abbia mai avuto in vita mia. Dopo qualche secondo, vomito.
E vomito per due, tre, quattro volte, spaventandomi alla vista di quella macchia rossa spiaccicata sul pavimento, mentre maledico il giorno in cui sono nata.
Non so come, non so quando, riesco ad alzarmi e, barcollando, raggiungo la borsa, aprendo bruscamente tutte le tasche, pregando Dio di avere ancora un po’ di quella roba. Scavo per bene in tutti gli angoli della borsa. Apro nuovamente la tasca, ce n’è pochissimo, in un’altra bustina. Mi chiedo cosa ci faccia qui, mi pare di averla eliminata, ma a quanto pare, non sembra volersene andare. Me l’ha messa Amanda in discoteca, forse. Afferro la bustina, la apro rapidamente, e la respiro, infilando il naso nell’apertura. Sento il mio corpo rilassarsi, gli arti riprendono vita e la stanchezza non persiste più. Calma, la più totale calma.
Richiudo la bustina e la infilo in tasca, consapevole del guaio in cui mi sono cacciata. Sarà l’ultima volta? No.
Vorrei tanto che fosse una bugia.
In silenzio, ripulisco il pavimento, cercando di non far svegliare Nick. Mi odio.
Sono un’idiota, un’irresponsabile, una stupida, una miserabile, una stronza, una bugiarda, una cretina.
Sono una tossicodipendente.
 
Non so come ci sto riuscendo, mi sto tenendo tutto dentro, in silenzio, impassibile, come se non fosse successo nulla. Nick, Joe e Demi parlano, alla ricerca di un film da vedere che sia scandaloso e violento. Si, perché i Jonas tendono a sfogarsi sui film. Cercano un film capace di raccontare la loro storia, le loro emozioni, vogliono un film che li rispecchi, altrimenti non li capiscono. Io penso, non so a cosa. Penso e basta, forse a niente, ma mi limito ad osservare il televisore spento.
«Che ne dite di Paranormal Activity?» propone Nick aprendo la custodia del film.
«Lo sai che mi fa paura.» risponde Joe lamentandosi. È vero, forse è per questo che dorme con una luce accesa la notte.
«Hey, e se guardassimo l’esorcista?» chiede Demi cercando il dvd nel cassetto.
«Ho trovato!» afferma Nick vittorioso sventolando un dischetto. «Christian F.!»
«Come?» sobbalzo, opponendomi a quel film. Troppe cose in comune con me, non potrei resistere e questo semplice pomeriggio potrebbe diventare un brutto, bruttissimo pomeriggio. «A me non va di vederlo.»
«Perché? È interessante come film.» aggiunge Demi sdraiandosi sul tappeto.
«Sta zitta!» le urlo contro, strappando il dvd dalle mani di Nick. Il sorriso di Demi si curva verso il basso, provocando in me un forte senso di colpa. «Odio questo film.»
«Noi vogliamo vederlo.» insiste Nick porgendomi la mano, in modo da restituirgli il film.
«Ma la smetti di insistere? Non voglio vederlo! Non voglio!» inveisco.
«Dai, Miley, non avrai mica paura di due ragazzi che si fanno a quattordici anni.» dice poi, Joe, accendendosi una sigaretta e tamburellando poi un dito sul naso, ironizzando sul senso crudo e violento del film. 
«Smettila di fare il bambino. Sono problemi questi, molto più gravi di quanto pensi.» ormai ho perso il controllo, non so più quello che dico.
«Dammi quel film.» mi ordina, scandendo bene le parole. Lo guardo per un po’ di tempo, fulminandolo con lo sguardo. Gli lancio il cd e mi allontano dal salotto, correndo verso la stanza, in lacrime. Il letto è ancora disfatto, asciutto. Piango, lacrima dopo lacrima, mi rendo conto di quanto scema sono stata ad aggredirli per colpa di un mio problema. Ho fatto rimanere male tutti e tre, non era una mia intenzione, volevo solo evitare di trascorrere delle brutte ore. Penso all’idea di dire a voce alta la verità, ma ogni volta che rifletto sulle conseguenze, mi viene da piangere e, davvero, non capisco perché persone come loro debbano soffrire a causa della mia stupidità. Mi odio in questo momento, mi faccio schifo, non vorrei nemmeno più vivere in questo corpo.
«Mi dici cosa ti sta succedendo?» mi volto di scatto. Nick. Appoggiato alla stipite della porta, mi osserva con sguardo interrogativo.
«Niente.» mento, ancora.
«Miley.» si avvicina a me, imponente. «Andiamo a guardare quel film, ti prego.» mimo un “okay”, per poi ritornare in salotto.
«Scusatemi, è che…» penso alla scusa perfetta. «Sono nervosa per la sfilata e me la sono presa con voi e il film.»
I loro sguardi si rilassano, improvvisano un sorriso e inseriscono il dvd nel lettore. Mi siedo accanto a loro, stringendo un cuscino tra le braccia. Appoggio il capo sulla spalla di Nick, sperando che questi minuti passino in fretta. 

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Capitolo 29
*** Capitolo ventinove. ***


 The last vogue. 



Sono stati in assoluto i centoventiquattro minuti più brutti della mia vita.
Ho davvero visto questo film senza aprire bocca? Avrei dovuto, visto che per tutto il tempo mi sono sentita la protagonista. Gli altri parlavano e commentavano ogni singola scena, io me ne stavo zitta, a riflettere, a ragionarci sopra, su come uscire da questa situazione di merda. Benedetto David Bowie, che mi ha tirato su di morale nelle poche scene in cui è comparso. Mio padre lo ascoltava sempre, lo ascolta ancora, ed io assieme a lui.
«Però…è stato un bel film.» afferma Nick togliendo il dischetto dal lettore dvd. «Non mi stancherò mai di vederlo.»
«Già, roba da alternativi.» ironizza, come sempre, Joe, spegnendo la sua sigaretta. Se ne sarà fumate circa dieci. Demi ride, per finta ovviamente, rendendo Joe ancora più fiero delle sciocchezze che dice.
«Perfetto, abbiamo visto il film, avete realizzato il vostro sogno, adesso che facciamo?» chiedo bruscamente.
«Facile!» risponde Joe compiaciuto. «Nick, tu vai a comprare il fumo. Demi si occupa dell’alcool e tu della musica.»
Nick e Demi sorridono. Mi unisco a loro, anche se non trovo nulla di divertente in tutto questo.
«Comunque io passo.» mormoro alzandomi e raccogliendo le mie cose sparse per tutta la casa. Vedo con la coda dell’occhio Nick che si affretta a raggiungermi.
«Non vorrai mica lasciarmi qui con questi due?» chiede a bassa voce. «Ti prego, posso venire con te?»
«Sarà divertente assistere ad un porno dal vivo, no?»
«Appunto, andiamo da te?»
«Smettila, maniaco!» gli do una leggera pacca sulla guancia, sorridendo. «A parte gli scherzi, se passiamo prima a casa magari usciamo.»
«Agli ordini!» ribatte felice. «Miley, stanotte hai sentito anche tu dei rumori?»
Sbianco.
«Non so di che stai parlando.» so benissimo di che sta parlando.
«Non lo so, ho sentito…va beh, lasciamo perdere.»
«Già, lasciamo stare.» piego nervosamente il pigiama e lo ripongo nella busta. Come può una semplice domanda provocarmi tale ansia?
Porto la busta sulla spalla e mi avvicino alla porta d’ingresso, salutando Joe e Demi con un bacio. Entro in macchina con Nick, l’accendo e parto, accelerando, raggiungendo casa mia in pochi minuti. Il vento è più forte rispetto a ieri, ma la terribile afa che riempie New York è la stessa.
«C’è tuo padre?» chiede Nick entrando in casa.
«Non lo so.» rispondo secca. «Andiamo in camera.» obbedisce, entrando nella stanza e stendendosi sul letto. Poso la borsa sulla scrivania e la apro, sfilando da dentro la borsa e il pigiama.
Questa maledetta borsa.

«Sai, credo che Joe stavolta sia davvero innamorato di Demi.» dice Nick mordendosi il labbro. «Spero solo che non illuda anche lei, non se lo merita.» continua a parlare, mentre io, controvoglia, penso alla nottataccia che ho avuto. La borsa, il sangue, il sudore, quella stupida polverina bianca. Mi limito ad annuire e ad alzare l’angolo della bocca. L’ultima cosa che voglio fare è ignorare Nick, ma non ci riesco, davvero non ci riesco e mi sento così male per questo.
«Miley, si può sapere che hai?» l’unica cosa che riesco a sentire. La sua domanda rimbomba nella mia mente per qualche secondo, lasciandomi priva di una risposta decente da dare.
«Niente.» sbotto semplicemente.
«Senti, io vado.» dice, alzandosi.
«Ma dove vai? A casa ci sono Demi e Joe, ti prego, non puoi…» lo supplico, supplicando nello stesso tempo me stessa di non commettere più un errore del genere. «Scusami, davvero, è che sono così nervosa…ho paura…» si, esatto, ho paura.
«Paura di cosa, si può sapere? Cazzo, sono il tuo fidanzato, devo saperlo!»
«Io non voglio farti soffrire come sto soffrendo io.» confesso, imbarazzata. Sento le guance andare a fuoco, mentre noto le mie mani ancora appiccicate alla borsa. Sono appiccicate a questo tessuto nello stesso modo in cui lo sono io con quella roba.
«Perché stai soffrendo?» chiede. Stacco subito le mani dalla borsa, posandole poi sulle spalle di Nick.
«Ehm...io, io credo di…» panico. Ed è qui che mi blocco, nel preciso istante in cui sto per dire una bugia alla persona migliore del mondo. Fortunatamente, qualcuno, forse un angelo, mi impedisce di farlo.
«Oh, Nick! Da quanto tempo!» è mia madre. Entra in camera e si precipita da Nick per salutarlo.
«Salve signora Cyrus.» la saluta compiaciuto. Tiro un sospiro di sollievo, ringraziando Dio di non avermi fatto aprire bocca.
 
Non lo farò più. E con questa frase stampata nel cervello, tiro su l’ultima striscia di roba.
«Piano, Miley, così ti arriva ai capelli…» suggerisce Noah, che, non si sa cosa, è riuscito a sfuggire l’ergastolo.
«Aiutami…» sussurro stordita. Si, come se lui potesse aiutarmi. «Non devo farlo più. Non devo, non devo, ti prego.»
«Calmati, non pensarci.» mi porge un bicchiere di Vodka. «Bevi questo, ti sentirai meglio.» obbedisco, butto giù il liquido, lasciando che l’alcool mi pizzichi la gola. Mi appoggio allo schienale del divano bianco, sulla qualche dieci, cento, mille modelle hanno, tutte quante, preso la stessa strada e, a quanto pare, sono destinata a far parte di loro.
«Ti prego, Noah, ti prego…» insisto, mentre la mia voce sbiadisce e i miei pensieri con essa. I miei occhi di chiudono, lasciando sempre meno spazio alla vista di quel ragazzo intento a raccogliere le varie bustine di droga da vendere.
E nella mente, mi appare l’immagine di Nick sorridente, che, a mano a mano, svanisce insieme ai mille granelli bianchi che ormai, sono entrati a far parte della mia vita. Ma devo smetterla. Non devo farlo più, non devo farlo mai più, è una cosa cattiva.  

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Capitolo 30
*** Capitolo trenta. ***


 The last vogue. 



Afferro la borsa e la porto sulla spalla. Mi alzo velocemente e raggiungo l’uscita della discoteca. Con fatica, entro in macchina e la metto in moto, effettuando una manovra quasi mortale.
Idiota”, penso, pulsando il piede sull’acceleratore. “Cretina”, sussurro tra me e me, senza fermarmi al semaforo, scattato da poco sul rosso. “Tossicodipendente” è la parola che rimbomba nella mia mente da quando la droga è entrata a far parte della mia vita. Che stupida che sono stata a credere alle parole di Noah. “Fai come me, io l’ho provata, eppure non sono dipendente”, ma vaffanculo! C’è un motivo se si chiama “droga”, no? Stupida Miley, stupida Miley, stupida, stupida, stupida.
Accosto, parcheggiando l’auto nel garage. Papà non sarà affatto contento di trovarmi a casa solo adesso. Entro, senza preoccuparmi di fare rumore. Non me ne frega più nulla, ormai, una ramanzina non mi fa più nessun effetto. Vado in bagno, spogliandomi e salendo sulla bilancia. Non mi peso da un bel po’, e devo dire che la bilancia mi manca moltissimo. Si, mi manca, mi mancano i pomeriggi passati allo specchio a controllare che la mia pancia non avesse pieghe, che le mie gambe non fossero troppo grandi, che i capelli fossero abbastanza lisci, mi manca tutto, perché quella ero io, non questa. Io non mi drogo, Miley Cyrus non fa uso di cocaina, Miley Cyrus non ha bisogno di drogarsi per essere modella, Miley Cyrus ha realizzato il suo sogno, che non è di certo imbottirsi di bianco.
Quarantasette chili e cinque. Perfetto. Sono anche aumentata. Sarebbe un trauma se fossi Miley, la vecchia e cara studentessa ossessionata dal peso, ma ahimè, adesso sono Miley Ray Cyrus, la modella della Vogue Agency e, come non dirlo, la neo-tossicodipendente che si è fatta fregare da un incontro con una modella incazzata col mondo morta dopo qualche settimana, i miei chili in più sono di certo l'ultima cosa di cui devo preoccuparmi. Mi sciacquo la faccia, rimuovendo in mascara e il rossetto. Mi infilo il pigiama e corro i camera da letto, sotterrandomi sotto le coperte, chiudendo gli occhi. Mi capita spesso di pensare e pensare e addormentarmi alle quattro, ma stavolta spero vivamente di addormentarmi il più presto possibile. Non mi va di pensare a niente e, inoltre, sarebbe meglio non farlo.
 
A svegliarmi, è il cellulare, che squilla istericamente sul comodino. Apro gli occhi e li riduco in due fessure dopo averli strofinati.
Afferro il telefono e accetto la chiamata senza vedere il numero, non ha importanza.
«Pronto?» sbadiglio.
«Miley, sono io, Joe.» è strano ricevere una sua chiamata alle nove del mattino, Joe dorme spesso fino a mezzogiorno.
«Si, dimmi.»
«Niente.» dice, freddo. Che gli succede adesso?
«Joe…che hai?» chiedo annoiata, giocherellando con il braccialetto che ho dimenticato di togliere per la notte.
«Niente.» ripete, scandendo bene la parola. «Ho perso il calendario, mi dici che giorno è oggi?»
Che strano. Devo ricordarmi di avere come cognato il ragazzo più lunatico del mondo.
«Dunque…ieri era il quattordici ed oggi è…» ed ecco la mia prima figura di merda del quindici di agosto. «Oh cazzo, Joe, auguri!»
«Oh, non dovevi!» spero stia scherzando. Ma a parte questo, che idiota che sono stata! Come ho potuto dimenticarmi del compleanno di Joe? «Comunque, festeggio stasera, a casa. Ti va?» chiede speranzoso. «Poi magari si va in discoteca.»
Sbianco di colpo, avvertendo un dolore allo stomaco capace di farmi venire da vomitare.
«No! In discoteca no!» sbotto, come una bambina alle prese con un capriccio. Per almeno un secolo, non voglio sentir parlare di discoteche.
«Hey, hey, calmati Chanel!» mi tranquillizza, o meglio, cerca di farlo. «Vorrà dire che ci limitiamo alla piscina, va bene?»
«Già.»  tiro un sospiro di sollievo e, dopo aver confermato la presenza, riattacco. Non è che non voglio rovinare il compleanno di Joe costringendolo a rimanere a casa, ma non mi va di ripercorrere la stessa strada di ieri sera, e visto che ieri sera ho percorso la strada più brutta della mia vita, meglio evitare.
Mi alzo barcollante, sistemo il letto e mi infilo un vestito nero, corto e scollato, abbinandolo con le mie fedeli Converse nere.
Dopo essermi lavata, esco di casa, salutando mamma e papà con un bacio. Il mio rapporto con loro affievolisce giorno dopo giorno, odio pensarlo, ma è così. Devo recuperare tutto, non voglio allontanarli da me per niente al mondo, anche se per ora sarebbe la cosa migliore da fare. Sto commettendo troppe sciocchezze per adesso, non voglio coinvolgerli, loro non c’entrano niente con la mia stupidità. Loro hanno fatto solo il meglio per me, e meritano di vedere solo il meglio di me. A distrarmi, per fortuna, è il mio cellulare, che segna un messaggio non letto. Lo sfilo dalla borsa, sblocco lo schermo e clicco sull’icona dell’SMS.
Lucas.
“Chi non muore si rivede”, la prima frase che mi viene in mente dopo aver letto il suo nome sul display.
La copertina è pronta, tra un po’ sarà in vendita. Stai andando forte, ti voglio bene, Vogue! –Lucas
Felicità, stupore, meraviglia e tutto ciò che una ragazza possa desiderare. Finalmente, quella maledetta copertina, quella maledetta rivista, quel maledetto sogno. Già m’immagino il mio volto su quel pezzo di carta e le mie mani che sfogliano la rivista, i lettori incuriositi, i manager fieri di me, la mia famiglia felice, Nick soddisfatto, ed io? Io no. Io soffro.
Soffro dietro la mia nuova amica bianca, che ha deciso di rovinarmi la vita.
 
Sto male, di nuovo. Sempre la stessa storia. Urla, di nuovo. Sudore, di nuovo. Sangue, di nuovo. Mamma e papà sono da Denise e Paul, con tutta la famiglia Jonas per il compleanno di Joe. Mi stanno aspettando da un po’, e sono in ritardo di ventitré minuti.
Sento nuovamente una pressione allo stomaco, che mi spinge a rimettere per la terza volta nel water, che è pieno di sangue. Non riesco nemmeno a tirare lo sciacquone, sono costretta ad annegare, immersa nella mia strafottenza. “Perché?”, continuo a ripetermi in mente, alla vista di tutta quella merda spiaccicata nel cesso. Ci ho fatto l’abitudine ormai, una volta è bastata a farmi capire che ormai, sono fottuta. Non dovevo accettare quella sera, con Amanda, dovevo rimanere a casa e, perché no, non dovevo chiamare quell’agenzia. No, no, no, è stato tutto uno sbaglio, cazzo, tutto uno sbaglio! Io sono una studentessa, come ho potuto pensare di poter essere qualcuno?
In un baleno, mi ritornano in mente le parole di papà: “Quale sarebbe il tuo sogno? Camminare davanti un gruppo di tossicodipendenti? O morire di bulimia a vent’anni?”. La frase comincia a rimbombare nel cervello, spingendo una lacrima a scivolare giù per il viso. Non voglio dipendere dalla droga, non voglio dipendere da niente e da nessuno.
Come se non bastasse, il telefono squilla, vibrando sul pavimento e spostandosi da mattonella in mattonella. Lo afferro lentamente. È papà.
«Pronto?» rispondo, fingendo un’aria tranquilla e serena.
«Miley, ti stiamo aspettando da un sacco, che fine hai fatto?» chiede con un filo di rabbia.
«Sono caduta e mi sto medicando, nulla di grave.» mento. Ormai anche le bugie sono entrate a far parte della mia vita.
«Cerca di venire in tempo, Demi è impaziente.»
«Okay.» riattacco, sputando nuovamente del sangue. Non ne posso più. Butto lo sguardo sulla busta nera contenente il regalo di Joe. Ho deciso di regalargli un videogioco ed una T-shirt, dato che non bado a spese, mi sono sbizzarrita. Lui ne sarà felice.
Appoggio le mani sul wc, mi faccio forza e mi tiro su, barcollando per qualche secondo. Dopo essere ritornata stabile, tiro lo sciacquone, eliminando quella schifezza dalla tazza. Mi guardo allo specchio, tremo. Apro il lavandino, sciacquandomi la faccia e i denti, rapidamente. Non può accadere adesso, non posso rovinare la festa di Joe, è sempre stato gentile con me, gli voglio un mare di bene e non posso fargli questo: ha sempre desiderato un ventiquattresimo compleanno da favola.
Controvoglia, e, soprattutto, stanca morta, afferro il regalo e la borsa, precipitandomi fuori casa. Corro verso l’auto, entro e la metto in moto. Devo muovermi, niente può fermarmi, non adesso.
 
«Me ne serve solo un po’, solo per stasera, giuro che la smetto.» imploro Noah di darmi un’altra bustina, ne ho bisogno più che mai, giuro che la smetterò, solo non adesso.
«Okay.» risponde freddo. «Ma io me ne vado.»
«Cosa?» sbotto innervosita. Per quanto mi possa causare danni, Noah è un bravo ragazzo. Si vede che non è questa la vita ha desiderato. Beh, in effetti, neanche io desideravo questa vita.
«Si, Miley, voglio andare in galera. Ho ucciso decine e decine di modelle, ragazze bellissime, solari, sensibili, intelligenti. Tu sei una di quelle, Miley, sei bella, simpatica, allegra, non sei stupida. Perché continui?»
«Non è colpa mia, Noah!» gli urlo contro, sputandogli in faccia il mio disprezzo verso quello che sto facendo. «Io…io so quello che faccio. Non voglio continuare a drogarmi, smetterò al più presto, ma adesso ne ho bisogno.»
«Miley, promettimi che questa è l’ultima volta che lo fai.» riesco a leggere il dispiacere nei suoi occhi, cosa rara, visto che Noah è solito a fregarsene della vita delle persone a cui spaccia. Stavolta vedo i suoi occhi azzurri lucidi, pronti a sganciare una lacrima, la cosa sembra seria.
«Te lo prometto.» dico, decisa. Si, lo prometto a lui e lo prometto a me: mi curerò al più presto.
«Tieni.» mi porge la bustina, a malincuore. «Che sia l’ultima volta.» annuisco e me ne vado.
Che sia l'ultima volta.
Apro lo sportello dell’auto e mi posiziono sul sedile, accovacciandomi sotto lo sterzo, per evitare che qualcuno mi possa vedere. Dopo essermi assicurata di essere al sicuro da paparazzi e roba varia, apro la bustina, svuotandola in un respiro. Aspetto che faccia effetto, stendendomi sul sedile completamente abbassato. Chiudo gli occhi, avvertendo un senso di piacere. Sento le cellule riprendere vita e il cervello svegliarsi, permettendomi di spalancare gli occhi. Perfetto, questa è l’ultima volta, giuro.
Con questo pensiero inchiodato nella mente, raggiungo la casa di Joe, piena di gente.
Indosso il mio ultimo sorriso finto e mi immergo in quella che sarebbe dovuta essere un'occasione per divertirmi.

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Capitolo 31
*** Capitolo trentuno. ***


 The last vogue. 



Credo di non aver mai avuto un mal di testa più forte di questo. Beh, in realtà l’ho avuto, e il motivo preferirei non ricordarlo.
Comunque ne è valsa la pena, nessuno si è accorto di niente, festeggiavano e cantavano spensierati. Credono che vada tutto bene e questo è l’importante, devono rimanere all’oscuro di tutto, non devono sapere che ho fatto uso di “quella cosa”, anche perché
non mi drogherò mai più in vita mia e sarebbe un peccato farli soffrire per una cosa a cui ho messo fine.
All’università un professore mi ha detto che se uno fa uso di droghe per pochi giorni, come ho fatto io, per disintossicarsi non serve altro che una personalità forse e decisa. Io non ce l’ho, ma farò di tutto per evitare che capiti nuovamente.
È proprio vero che con un sorriso finto si può nascondere di tutto, chi l’avrebbe mai detto che sarei stata costretta a conservare nella mia mente un segreto del genere.
Dopo aver lottato con la cerniera del vestito, riesco a sfilarmelo, lasciando la schiena e le gambe nude. Raggiungo il bagno, mi lavo rapidamente il viso e i denti e corro verso il letto, sperando di cadere in un lungo sonno, che possa portarmi via, almeno per un po’, dalla cruda realtà che sto vivendo ormai da giorni.
 
Solitamente dormo fino a tardi, mi chiedo come mai mi ritrovo con gli occhi spalancati alle sei e trenta del mattino. Prendo il cellulare e sblocco lo schermo. Zero messaggi. Zero chiamate. Mi sento così terribilmente sola.
Dopo svariati ed inutili tentativi, mi rassegno all’idea di non poter più prendere sonno. Mi alzo energicamente dal letto, avanzando verso il salotto e accendendo la tv, digitando un tasto a caso. Ho sempre odiato i TG, ma visto che in televisione non c’è nulla di buono, l’unica cosa che potrebbe interessarmi sono proprio i telegiornali.
E per la seconda volta, maledico il momento in cui mi sono sintonizzata su quel canale.
Noah.
Proprio lì, c’è Noah, ammanettato da due sbirri dallo sguardo meschino. Oh mio Dio, l’ha fatto davvero, si è costituito.
Mi mordo un’unghia, in preda al nervosismo, intenta a guardare il volto spaventato del ragazzo attraverso lo schermo. Merda. Mi era passato in mente di aiutarlo ad uscire da questo circolo vizioso, dopo aver aiutato me stessa, naturalmente.
Tra un programma televisivo e l’altro, le ore passano e le sei diventano le sette, le sette diventano le otto e le otto diventano le nove. Papà è uscito a prendere la posta e mamma non fa altro che guardarmi con aria interrogativa.
«Ti sei svegliata prima di noi, che strano.» insinua mamma, apparecchiando la tavola per la colazione.
«Non riuscivo a dormire.» ribatto indifferente. «Non apparecchiare per me, non ho fame.» quella cosa schifosa mi ha tolto la fame, non mi va nemmeno più di mangiare e sento che l’effetto durerà ancora per parecchio.
«Miley, c’è una cosa per te.» annuncia papà, entrando in casa e porgendomi un pacchetto ben sigillato. Mi affretto a strapparglielo di mano e scarto violentemente il contenuto, quasi come se fosse un regalo di natale. Noto la presenza di un biglietto: “Premetto che senza Photoshop sei centomila volte meglio, ma...cavolo, sei uno splendore! –Lucas
È la rivista. Non una qualunque, è Vogue, e non Vogue qualunque, è  Vogue con il mio volto sopra. Sono io quella in copertina, sono io.
«Mamma! Papà!» li chiamo al culmine della felicità. «Venite a vedere!»
«Oh mio Dio, Billy! Nostra figlia è su Vogue!» strepita alla vista di quella meraviglia che ho tra le mani.
«Oh, Miley, sono così fiero di te.»
È in assoluto la giornata migliore della mia vita, sono così felice, non riesco a non piangere, davvero. Finalmente qualcosa di buono, finalmente qualcosa di cui essere felice, finalmente il mio sogno. Devo ammettere che un pò anch’io sono fiera di me.
«Miley…non so come dirtelo ma…» esita papà, affondando il dorso nello schienale del divano. «scusami se ti ho ferita prima di tutto questo, voglio dire, ti ho sottovalutata molto, pensavo fossi come le altre, io avevo solo paura che avresti iniziato a commettere sciocchezze, non so se mi segui.» lo guardo. Oh, papà, so benissimo dove vuoi andare a parare. «La fama porta le persone su cattive strade, lo sai, io mi preoccupavo solo e devo ammettere che mi preoccupo ancora, ma tu, Miley, tu sei la ragazza più intelligente che io abbia mai visto e so che sai controllarti bene.» continuo a guardarlo commossa, o forse dispiaciuta. «Ma va beh, non voglio rovinarti questo momento.» conclude, lasciandomi qui col volto completamente bagnato. Oltre al calore delle lacrime sulle gote, sento il cuore lacerarsi, provocandomi un fortissimo senso di bruciore nel petto. Lui si fidava di me, credeva che fossi abbastanza forte da distinguermi dalle altre, mi credeva capace, invece non è stato così, mi sono lasciata andare, l’ho tradito. Soffoco il mio dispiacere in un abbraccio, cogliendolo di sorpresa. E lo stringo, fino a sentirmi al sicuro tra le sue possenti braccia, fino a ritornare bambina e dimenticarmi per un attimo di essere una ventenne irresponsabile e ancora immatura per un lavoro del genere.
Ci stacchiamo dopo svariati secondi, mi asciugo le lacrime con un mano e decido di chiamare Lucas, visto che si merita un gigantesco “grazie”. Digito il suo numero, che ormai so a memoria, sul cellulare e avvio la chiamata.
«Miley?»
«Lucas!»
«Oh, dolcezza, come va?» chiede, come se non sapesse niente.
«E me lo chiedi anche? Va benissimo, ho ricevuto da poco la rivista ed è spettacolare, hanno fatto un ottimo lavoro.»
«Lo so, i fotografi sono stati davvero in gamba, ma anche tu sei stata bravissima.»
«E il  merito è tutto tuo, Lucas, grazie di tutto.» mi libero dell’enorme peso accumulato durante tutta la mia carriera, Lucas se lo merita un ringraziamento, sta facendo tutto questo per me, è proprio una bella persona.
«Figurati, ti meriti tutto questo.»
Continuo ad osservare la copertina, percorrendo con le dita i miei lineamenti, che sembrano essere perfetti. Ricordo quando facevo la stessa cosa con le altre edizioni e invidiavo da morire le altre modelle, fino a sperare di essere come loro ed oggi, come se niente fosse, ritrovo il mio volto qui sopra.
Adesso sono qualcuno, e non c’è niente di più confortante di questo. 

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Capitolo 32
*** Capitolo trentadue. ***


cciao a tutti!
Innanzitutto, vi ringrazio, come sempre, per le recensioni che mi lasciate, siete stupende.
Dunque, mi sono immedesimata per un minuto in un lettore e ho letto la trama della mia storia, senza farlo di proposito, ho subito pensato “OMG, questa storia fa schifo!”, ebbene si, ho cambiato la trama! Spero non vi dispiaccia. cc
Ultima cosa, poi giuro che evaporo, ho in mente già  da un po’ di inserire un’immagine nei capitoli, NIENTE DI STRAVAGANTE, anzi, devo ammettere che è piuttosto semplice, non sono nemmeno tanto sicura che possa piacervi, per questo vorrei sapere cosa ne pensate voi.
Aspetto vostre risposte :3
Buona lettura bellissime! 

 The last vogue. 



Lascio che il vento d’autunno penetri nelle mie labbra, seccandole. Cerco ci alleviare il bruciore leccandole, ma esse si screpolano nuovamente. Da quando sono apparsa su Vogue, o meglio, da quando sono rinata, è passato un mese. Quella copertina mi ha dato tanta felicità, non riesco ancora a realizzare tutto questo, sono partita da zero e sono arrivata fin qui, è difficile da immaginare e impossibile da credere. Oggi sfilo per Valentino, a Vienna, sono sola, non ho portato nessuno con me.
Mi sarebbe piaciuto sfilare davanti ai miei, ma in cinque mesi di carriera, non mi hanno mai chiesto di venire con me, sembra che non se ne siano accorti che sia diventata famosa: mamma, papà, svegliatevi! Sono una modella! Ma a loro che interessa, hanno i miei soldi, si vantano di avere una figlia che ha combinato qualcosa, e se sbaglio chi se ne frega. In effetti, non è uno svantaggio, se fossero stati attenti ad ogni mio passo falso, si sarebbero accorti del mio uso di droga.
Droga.
Da quanto tempo che non penso a questa parola. Non sniffo da un mese, ce la sto facendo. Le prime settimane di “disintossicazione autonoma” sono state terribili: vomitavo l’anima, sputavo sangue, la testa mi scoppiava, non mi sentivo più gli arti, poi è passato, è bastato resistere. Questo mi rende davvero fiera di me, e avrebbe reso fiero anche papà se avesse saputo qualcosa.
Sento i passeggeri vociferare a voce più alta, ciò mi fa capire che l’aereo sta per fermarsi. Il pilota annuncia l’atterraggio e procede. Mi stringo sul sediolino, per quanto possa amare viaggiare in aereo, odio gli atterraggi.
 
È la mia prima sfilata senza Lucas, oggi imparo a muovermi da sola. Sfrego il pennello ricoperto di cipria un paio di volte sulle gote e mi aggiusto il rossetto. “Perfetta”, sussurro tra me e me. Avanzo velocemente verso la passerella, mostrando ancora una volta il lato migliore di me, sperando che la gente veda quello che poco fa ho visto nello specchio e pensi la stessa cosa che ho pensato io: Perfetta. Rientro nei camerini, spogliandomi ed infilandomi i miei vestiti.
«Sei molto brava!» una voce femminile mi distrae, facendomi girare di scatto. Un angelo biondo mi sorride, spalancando i suoi occhi azzurri.
«Oh, grazie.» rispondo lusingata. «Ci conosciamo?»
«Sono nuova, mi chiamo Sophie. Tu sei Miley, vero?» sorrido. Ripete più volte il mio nome con grazia. «Si pronuncia così?»
«Si, tranquilla, hai detto bene.» le rivolgo un sorriso amichevole, che mi ricambia subito. Dio, ha un sorriso perfetto e degli occhi bellissimi.
«Sophie!»
«Si?» scatta la ragazza, voltandosi verso l’uomo che si piazza imponentemente fra di noi. Sembrano conoscersi. «Vai in taxi.»
«Subito.» e senza nemmeno salutarmi, senza mantenere quel suo bellissimo sorriso, scappa via, afferrando al volo il suo cappotto. Osservo l’uomo confusa, che mi rivolge uno sguardo interrogativo prima di squadrarmi dalla testa ai piedi. E poi se ne va. Faccio lo stesso, rifugiandomi nel primo taxi che passa. Osservo la strada scivolare velocemente sotto la mia vista, mentre ripenso a quella ragazza e i suoi lineamenti perfetti, poche parole e già mi è sembrata la persona più semplice di questo mondo.
Il taxi si ferma davanti all’hotel. Pago il tassista con due banconote e gli consento di tenere il resto.
Varco la soglia dell’hotel, raggiungendo in fretta la mia camera. Mi spoglio di ogni indumento e corro in bagno a lavarmi, per poi infilarmi nel letto. Ho ancora alcune difficoltà a dormire, mi addormento molto tardi perché…forse perché ho paura di soffrire e di passare quelle brutte nottatacce e c’ho preso l’abitudine.
Non devo pensarci. Non devo pensarci. Non devo pensarci.
E ci penso ancora, osservando costantemente il cellulare, aspettando un miracolo che possa far passare più velocemente il tempo. Ma questi miracoli non esistono. L’orologio è fermo sulle due e ventiquattro del mattino e io non faccio altro che osservare quei due numeri, non ne posso più, l’unica cosa che mi tira su di morale è il fatto che tra un po’ finirà tutto e che fra pochissimo tempo riprenderò a vivere e, soprattutto, a dormire.
 
Ce l’ho fatta, mi sono addormentata, tardi, ma mi sono addormentata.
Il fatto è che mi sono svegliata presto anche oggi, sono solo le sette e un quarto. Scendo dal letto e stendo le braccia, sbadigliando. Mi strofino gli occhi e mi infilo una maglia presa ad occhi chiusi dalla valigia. Ho dormito nuda, perfetto, una febbre non me la toglie nessuno, visto che in questo hotel non funzionano nemmeno i riscaldamenti, come ho fatto a non sentire freddo? Tra un pensiero e l’altro, corro verso il bagno, mi pettino i capelli e mi lavo alla svelta viso e denti.
Poi, uno squillo, due squilli, tre squilli. Maledico il giorno in cui ho comprato quel maledetto cellulare e, per forza, corro a rispondere.
«Pronto?»
«Miley, prendi il primo aereo e corri immediatamente a New York.» è papà, più incazzato che mai. Oddio, che ho fatto adesso?
«Papà, è successo qualcosa?»
«Ti ho detto di tornare qui, immediatamente!» urla, facendomi rabbrividire. «Hai capito?» stacca.
Non ho idea di cosa gli sia preso, non so cosa vuole, so solo che questa breve telefonata ha avuto il potere di torcermi lo stomaco fino a nausearmi.
Prendo i vestiti dalla valigia e li indosso velocemente, ripescando gli altri capi, seminati in tutta la stanza, e li infilo in valigia, chiudendola nervosamente. Papà, che diamine vuoi adesso? Mi allaccio le scarpe e lascio la stanza. Per fortuna la data di partenza era oggi, in questo modo ho evitato una lunga discussione con i responsabili della reception.
Corro preoccupata all’aeroporto, aspettando con ansia l’orario prestabilito. Oh, papà, possibile che la causa del mio dolore sei sempre e solo tu?
Per fortuna, qualcosa mi distrae. È il cellulare, che vibra prepotentemente nella tasca. Sblocco lo schermo e apro la cartella del messaggio.
Stavolta l’hai fatta grossa, tesoro. –Mamma
Qualcuno può spiegarmi che diavolo sta succedendo? Lo sanno tutti tranne io? Hanno intenzione di tenermelo nascosto fino alle quattro del pomeriggio?
E le ore passano, lentissime, quasi come se il tempo ce l’avesse con me. Tra un po’ l’aereo dovrebbe decollare e il percorso da Vienna a New York è lunghissimo, l’ansia mi sta uccidendo, non resisto.
Affondo il capo nello schienale del sediolino, cercando di riposare un po’, anche se so che sarà difficile. Ci provo, chiudendo gli occhi, lentamente, sperando che papà non mi appaia anche in sogno.  

«Signorina, è arrivata a destinazione.» la voce rassicurante dell’hostess mi riporta nella realtà, svegliandomi. Annuisco e mi dirigo all’uscita con la valigia. Sono contenta di essere tornata a New York, ma non devo dimenticare che a casa mi aspetta un toro imbufalito.
Ho paura, ho paura di tornare a casa. A casa mia, in quelle quattro mura in cui dovrei sentirmi al sicuro. Si, ho paura.
 
«Ecco cosa sei!» inveisce ancora una volta, strappandomi dagli occhi quelle poche lacrime che mi sono rimaste. «Una stupida!»
Non ho nemmeno il coraggio di aprire gli occhi. Non ci riesco.
«Papà…» sussurro singhiozzante.
«Miley, perché?» chiede mamma, priva di speranze. Mamma, me lo sono chiesta per una settimana il perché, ed è un mese che non trovo risposta.
«Dimenticati della moda. Tu te ne torni all’università, signorina, e se non passi gli esami ti interno in casa!» un altro pugno nello stomaco. Papà continua a minacciarmi, uccidendomi l’anima. Il fatto è che non ho mai subito un’umiliazione del genere davanti i miei amici. Si, i miei amici, perché Demi, Nick e Joe stanno assistendo alla scena, dispiaciuti e amareggiati. Non posso sopportare una cosa del genere, non ce la posso fare.
Sono solo un’umana, commetto errori, sbaglio, sono un’adolescente. Si, sono immatura, sono una ragazzina e scusami, papà, se ho creduto per un istante di farcela senza te, ma la tua assenza mi ha resa capace di pensarlo, almeno, la tua assenza era così pressante. Ero convinta di potercela fare senza di voi, ma a quanto pare ho fallito, perché è quello che faccio, fallire. Ed è quello che sono: una fallita.

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Capitolo 33
*** Capitolo trentatré. ***


 The last vogue. 



Gli sguardi delusi di Nick, Joe e Demi mi spiazzano, mi fanno sentire come se fossi niente, mi lacerano il cuore e riesco a sentirlo bruciare nel petto. Continuo a piangere, affondando sempre di più la faccia nelle mani, forse cercando di nascondermi dalla vergogna, forse cercando di nascondermi e basta. Vederli con in mano quella rivista mi strugge. È vero, volevo apparire in copertina, ma non quella, e, soprattutto, non sorpresa a drogarmi. Devo farmi forza, devo rialzarmi, non posso finirla qui, non ora che è appena cominciato tutto. Spinta da quel poco di coraggio che mi è rimasto, riesco ad alzarmi, avanzando verso la mia stanza, trascinando con me la valigia. E sfascio la camera, afferrando tutto ciò che mi ritrovo fra le mani, dalle piccole fotografie ai miei cd preferiti, prendo tutto e lo butto disordinatamente in un’altra valigia.
Me ne vado.
Me ne vado a casa mia, la mia casa vera, quella che mi fa sentire davvero al sicuro, davvero bene. Per quanto possa aver sbagliato, papà sta esagerando. Ho bisogno di essere aiutata, non buttata giù. Sono già stata abbastanza forte a smettere da sola di farlo e i miei dovrebbero essere felici. In un baleno, mi accorgo di aver svuotato mezza stanza, compreso il contenuto del guardaroba.
«Cosa credi di fare?» mi chiede papà a braccia conserte, parcheggiandosi sull’orlo della porta.
«Me ne vado da qui. Da te.» sbotto fredda.
«Miley, fermati immediatamente.»
Un altro ordine. Mi sta dettando un altro ordine, non ne posso più.
«No.» rispondo decisa, fissandolo e inarcando le sopracciglia. Sigillo la valigia in fretta e furia, senza preoccuparmi della presenza di papà.
Ho capito perché mi considerano ancora un’adolescente: sono io che mi comporto da tale. È ovvio che papà mi guarderà sempre come una schiavetta se continuo ad esserlo. Devo decidermi, a vent’anni non posso dipendere dai miei genitori.
«Ci vediamo.» mi infilo il cappotto e corro in salotto con le valigie, salutando i tre con un bacio e sussurrando un misero “scusami” ad ognuno di loro. Mi allontano da loro, sfrecciando con l’auto verso l’aeroporto. Nemmeno sono tornata e già sto per ripartire. La cosa più brutta è stata la faccia di Nick. Osservava il pavimento, triste, depresso, come se non avesse anima.
Scusami, amore mio, sono stata una stronza, non dovevo farlo, ma quando ti trovi in una certa situazione, e credi di essere più forte di qualcosa, niente può fermarti e riesci a fare cose che non avresti mai voluto fare. E poi, quand’è troppo tardi, ti accorgi di aver fatto una stupidaggine ed è lì che capisci. Scusami.
 
Ho preso il primo aereo e sono scappata.
Mi sento una fuggitiva, solo che sono fuggita da casa mia, e questo è molto strano. In aereo ho sognato Demi, e solo ora mi accorgo di quanto mi manca.
Sono finita in Inghilterra, comunque, qui parlano la mia lingua ed è tutto più semplice. Non so per quanto tempo ci rimarrò, adesso non so nemmeno se sarò viva nelle prossime due ore.
Piego gli ultimi vestiti nel guardaroba dell’hotel e poso il cellulare sul comodino, che dopo qualche secondo, squilla, terrorizzandomi.
«Pronto?» rispondo nervosa, sperando che sia Demi o Nick, o anche Joe.
«Miley, ci sei?» oh, Lucas.
«Si, dimmi.»
«Senti…ti andrebbe di vederci? Devo parlarti.» ormai questa frase non mi provoca più nessuna preoccupazione.
«Si, io non sono a casa però.» confesso, distrutta, ripensando alla scena che ho vissuto l’ultima volta che sono stata a casa. «E dovrei parlarti anch’io.» Lucas capirà.
«Mi spaventi, Vogue.»
«Ti prego non chiamarmi così, non c’entra la moda.» no, devo essere sincera, almeno con lui. «Anzi, un po’ c’entra.»
«Okay, dove sei?»
«A Londra.»
Conclude la chiamata, confermando la sua partenza per l’Inghilterra. Non sono curiosa di quello che deve dirmi, l’entusiasmo non c’è più. Fatto sta che sono triste e sto malissimo, stare in hotel ad osservare le gocce del temporale schiantarsi sulla finestra non fa altro che procurarmi depressione. Dovrei uscire, così mi distraggo un po’ e non penso alle cose cattive che mi sono successe. Prendo le scarpe e me le infilo velocemente, afferro il cellulare e l’ombrello, che mi ricordo di aver pensato che sarebbe stato inutile, e mi allontano dalla camera, e raggiungo con una velocità impressionante l’ingresso dell’hotel. Ho sempre pensato che Londra sia l’unica città capace di essere bella anche con la pioggia, non riesco ad immaginarmi l’Inghilterra con un buon tempo, credo sia più affascinante sotto mille gocce d’acqua.
Dopo aver percorso qualche metro a piedi, mi rifugio in un bar, il primo che vedo. Chiudo l’ombrello e mi sistemo su un tavolo. Sblocco lo scherzo dell’iPhone e sfoglio tra i vari messaggi, ce n’è uno appena ricevuto, da parte di Nick.
Credo che abbiamo bisogno di pausa, tu per prima. Un giorno ne riparleremo. Ricorda che ti amo. –Nick
Si, come no, sputtaniamo quella parola come se fosse un “Ciao” ogni giorno e non ci rendiamo conto di quanto possa essere importante per una persona. Ci mancava solo Nick che mi scaricava. Spengo il cellulare sbattendolo sul tavolo, portando una mano sul volto, ordinando alle lacrime di non scorrere giù per il viso ancora una volta.
«Le porto della cioccolata? È per il buon umore!» mi giro di scatto. Il cameriere mi rivolge un largo sorriso, pronto a segnare le ordinazioni sull’agenda. Non poteva capitare in un momento peggiore.
«Non posso ingrassare.» rispondo bruscamente, quasi aggredendolo. «Va benissimo un thè.» annuisce e se ne va deluso.
Perfetto, ora me la prendo anche con gli altri. Che carattere di merda che ho, come hanno fatto Demi e Nick a sopportare una tale schifezza?
Ho paura. Ho tanta paura e non basta cambiare città per alleviare il dolore che mi provoca. Ho troppa paura e non ce la faccio, sul serio, sono sola e credo che rimarrò tale ancora per molto, il fatto è che non posso, davvero, non posso sopportare una cosa del genere. Appoggio i gomiti sul tavolo, affondando la faccia tra i palmi delle mani e chiudo gli occhi.
-
«Tanti auguri, Miley!» urlano tutti in coro, sorridendomi. Chiudo delicatamente gli occhi, cercando un desiderio da esprimere. Non saprei, ci sono così tante cose che vorrei fare, ma ce n’è una che desidero più della mia stessa vita.
Come non pensarlo: me, in passerella, investita dai mille flash che si schiantano su di me. Si, è questo che voglio. Inspiro e butto fuori l’aria, cercando di spegnere tutte le sedici candeline in una volta sola. Riapro gli occhi, gli sguardi felici dei miei sono puntati sulla torta.
«Miley, che hai espresso?» chiede Demi, tagliando una fetta di torta.
«Se te lo dico non si avvera!» sbotto intimorita.
«Questa regola non vale se lo dici alla tua migliore amica.»
Mi avvicino a lei, cercando di non far sentire niente a nessuno, nascondendo le parole abbassando il più possibile la voce.
«Vorrei sfilare ed essere famosa, per sempre.»

-
Che stupida che sono stata. Che stupida che sono. Sto anche per piangere. Cavolo.
«Hai bisogno di una mano?» chiede amichevolmente una voce giovane e maschile.
«No.» singhiozzo, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. E si siede, fregandosi la mia visuale, prepotentemente.
«Si che ne hai bisogno!» insiste, sfilando un fazzoletto dalla tasca e porgendomelo. Lo afferro e mi asciugo le lacrime, che continuano a scivolare giù.
«Scusami…ho dei problemi a casa e…»
«Non c’è bisogno di mentire, so chi sei e cos’hai fatto, ma tranquilla, non mi interessa e non starò qui a dirti cosa devi o non devi fare.» dice velocemente, sollevandomi. «Comunque mi chiamo William, piacere.»
«Come il principe?» Come il principe? Oh, Miley, stai scherzando? Hai davvero detto una cosa del genere ad un ragazzo di nome William? Sei un disastro, un vero disastro.
«Già…» ribatte, guardandomi come se fossi una pazza e lo capisco. «Se ti va posso andarmene.»
Si. Te ne devi andare.
«No, non andare!»
Beh, se devo cambiare aria, devo cambiarla in tutti i sensi. Un nuovo amico mi farà bene. Ma si, meglio voltare pagina, se non lo faccio adesso quando lo potrò fare? Nick vuole una pausa, Demi non si fa sentire, per i miei sono una delusione e mi trovo in un continente completamente diverso da quello in cui ho vissuto per venti lunghi e strazianti anni. 

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Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattro. ***


ccciao!
Ok, lo so, sono in ritardo e non sapete quanto mi sento in colpa per questo. Mi dispiace un sacco, ho avuto problemi con il computer e ho dovuto aspettare.
In ogni caso, spero di farmi perdonare con questo capitolo, visto che è abbastanza lungo.
Vi ringrazio, come sempre, per le recensioni che mi lasciate, siete fantastiche!
Detto questo, evaporo, buona lettura!

 The last vogue. 



William è davvero un ragazzo fantastico, stiamo parlando da ore delle nostre vite e lui sembra ascoltare attentamente ogni singola parola che esce dalla mia bocca. Avevo bisogno di un sostegno psicologico, di una spalla su cui piangere, di un amico.
«Okay, io devo andare.» annuncia fermandosi sotto un palazzo. «Sono arrivato a casa.»
«Certo, ci si vede allora.» ribatto dispiaciuta. Vorrei rimanere con lui per altre tre ore di fila, ma la coscienza mi chiama, non posso scaricare i miei guai su un ragazzo così dolce.
Faccio per andarmene, ma la sua presa sul mio polso mi blocca, facendomi girare di scatto.
«Hey, è bello stare con te.» sussurra sorridente. È difficile da credere quanto da ammettere: non me l’ha mai detto nessuno, nemmeno Nick. Annuisco felice e gli stampo un bacio casto sulle gote, per poi allontanarmi.
Cos’è? Un angelo caduto dal paradiso apposta per aiutarmi? Fatto sta che non posso lasciarmi scappare una persona così premurosa, tre ore sono bastate per farmi capire quant’è importante stare in buona compagnia.
 
Nick non mi chiama da più di una settimana. Otto giorni senza di lui. Otto giorni senza la sua voce limpida. Otto giorni senza il suo viso angelico. Solo Dio sa quanto ci sto male. Prima era tutto così semplice, io avevo lui e lui aveva me, avevamo bisogno di respirare la stessa aria, di guardare le stesse cose, di ascoltare le stesse voci, era tutto così reale, adesso invece tutto questo non sembra essere altro che uno schifosissimo incubo.
Osservo ossessivamente il cellulare, sperando in una chiamata, uno squillo, un messaggio, qualcosa. Ma niente. Quello stupido iPhone è muto, immobile, posizionato orizzontalmente sul comodino.
Sento la porta bussare all’improvviso, distraendomi da quei maledetti pensieri. Corro verso l’entrata, sperando sia William. Non so perché, ma quando sento il bisogno di stare con una persona mi viene in mente lui. Apro la porta, rimanendo un po’ scontenta.
«Miley, tesoro!» sempre meglio di niente.
«Ciao, Lucas.» soffoco la mia delusione in un abbraccio.
«L’aereo ha fatto tardi, non pensavo di arrivare a quest’ora, e poi gli inglesi sono così lenti!» si lamenta, lanciando il cappotto sul letto ancora disfatto. Sorrido divertita. «Mi hai fatto preoccupare, piccola.»
È bello rivedere Lucas dopo tanto tempo, ma la sua presenza mi ricorda che devo parlare con lui, di una cosa che non gli piacerà affatto.
«Cosa mi devi dire di tanto importante?»
«È strano, ne parla gran parte delle riviste, ma credo che non ti sia giunta alcuna voce…» introduco, lentamente, mentre lui annuisce attento. «C’è una cosa che devi sapere. Anzi, non la dovresti sapere per niente, ma voglio dirtela.»
«Okay, Vogue, mi stai spaventando.» afferma in preda all’ansia. Si siede, affondando tra le coperte. Faccio altrettanto.
«Lucas, ho fatto uso di sostanze stupefacenti.» sputo ad occhi chiusi, lasciandomi alle spalle la sua reazione, sicuramente cattiva. Cos’ho fatto? Non lo so neanch’io, so solo che mi trovo ad occhi chiusi, colma di vergogna, accanto alla persona da cui volevo acquistare la più totale fiducia. Apro lentamente gli occhi.
«Ti sei drogata?» chiede a voce bassa, suscitando in me un frustrante senso di colpa. Rimango impassibile, lasciando che lui indovini la risposta. La sua espressione è delusa, uguale a quella dei miei genitori il giorno in cui l’hanno saputo.
«Scusami.» sussurro in lacrime. Abbassa lo sguardo, poi si alza, coprendosi il volto con le mani. Non può nemmeno immaginare come mi sento.
«Perché, Miley, perché?»
«Io…non sapevo che…» balbetto qualche stupidaggine.
«Va bene. L’hai fatto anche oggi?» chiede preoccupato, torturandosi la fronte con le mani.
«Veramente non lo faccio da agosto.»
«Non lo capisci? È complicato, io pensavo che tu fossi la prima a non fare queste cose!» sbotta alzando la voce. «Pensavo fossi diversa dalle altre modelle che ho scoperto in passato!»
«Beh, scusa se non sono perfetta, mi sono trovata in guaio grosso e non ho avuto nemmeno il tempo di realizzare che ho dovuto subito smettere, e sai meglio di me che le persone sono deboli quando si drogano.» ebbene si, sto litigando col mio manager.
«Ed è questo il motivo per cui sei a Londra? O c’è qualcos’altro sotto?»
«La mia famiglia l’ha saputo e ci ho litigato, proprio come sto facendo con te, solo che stavolta sarò più forte e ti farò capire che non è stata una cosa voluta. È accaduto all’improvviso, non ero in me quando l’ho fatto.» cerco di convincerlo, ma certe cose se non le provi non si possono capire. «Adesso sono una persona forte, credo.»
«No, Miley, tu non sei forte, tu sei stupida!» inveisce mollando un calcio alla parete. «Sei stupida!»
Rabbia, nervi, voglia di mandare tutti a fanculo, nessuno può capire e io sono già stata abbastanza forte da smetterla da sola.
«Allora sai che ti dico? Se è questo che sei, non avresti nemmeno dovuto chiedermi il perché, perché so che non ti interessa il motivo che mi ha spinto a farlo, e sai cosa?» sono nuovamente fuori di me, ma stavolta non c’è l’effetto di nessuno stupefacente, è semplicemente la rabbia. «A te non interessa di come sto, non interessa ciò che faccio, non ti interessa di nulla, tu vuoi solo essere promosso come miglior manager del mese dalla Vogue Agency, vuoi solo essere conosciuto dai migliori stilisti del mondo, a te non interessa della mia carriera, ti interessa della tua di carriera!» urlo, gesticolando e sbattendogli in faccia tutto quello che già provavo all’inizio della discussione, altro che dispiacere. «Tanto io sono solo l’ennesima oca bionda, bastano dieci mila dollari a sfilata e chi mi rivede più, eh? A te interessa solo che io non svenga in passerella, ti interessa solo che sia arzilla ai party e poi chi se ne fotte se dopo nemmeno qualche mese di carriera mi ritrovo col naso impolverato.»
Senza dire alcuna parola, lasciandomi nel più malinconico silenzio, se ne va, sbattendosi alle spalle la porta della stanza che ha riempito con tutto il suo dolore.
Giuro, non mi sono mai sentita peggio. Inutile, sono inutile.
Nick non mi ama più, Demi e Joe se ne fregano, i miei non sanno nemmeno dove sono e Lucas mi ha lasciato qui, o meglio, l’ho cacciato io, con la mia boccaccia. Sono un essere spregevole, so di esserlo, e questo mi rende migliore.
Mi sento esattamente come mi sentivo qualche mese fa, prima di diventare famosa: una merda. 

Non ci riesco, devo chiamarlo, ho bisogno di lui.
Prendo il telefono, digito nervosamente quei dieci maledetti numeri e avvio la chiamata.
Ti prego, squilla.
Uno squillo.
Ti prego, rispondi.
Due squilli.
Niente ancora. Sto impazzendo.
Tre squilli.
«Pronto?»
«Denise?» rispondo ansiosa. «Sono Miley, c’è Nick?» che figura, sto parlando con mia suocera dopo tutto questo tempo, chissà se è a conoscenza dello scandalo, ma non mi interessa, l’importante è sapere che Nick sta bene.
«Non chiamarci più, Miley.» sbotta fredda, congelandomi il cuore. Non ce la faccio, sto per piangere, ma prima devo riuscire a chiedere di lui.
«Okay, va benissimo, va bene così.» mi affretto, prima che riattacchi. «Almeno mi dici come sta? Sta bene?»
«E tu?» chiede, spiazzandomi. «Tu come stai?»
Aspetto qualche secondo, cercando le parole giuste. Che cosa devo fare? Mentire o spiattellarle in faccia la verità e dirle che non vivo più da nove giorni?
«Io sto malissimo, Denise.»
«Allora pensa a stare bene tu e poi ti preoccupi di Nick. Ci sentiamo.»
«Ma io sto bene solo se so che sta bene lui!» affermo rapidamente, incitandola a passarmelo. Ma Denise è sempre stata una donna forte e determinata, non si lascia trasportare da due parole dolci, il fatto è che in quelle parole c’è tutto il mio dolore.
«Mi dispiace, Miley. Ci sentiamo.»
E un rumore secco mi blocca, facendomi impazzire. Odio tutto ciò che sono, credevo che questo stupido lavoro avesse colmato tutto il vuoto che c’era in me, ma a quanto pare la mia autostima non è aumentata nemmeno un po’ e sono una stupida a non aver capito che una copertina da quattro soldi non mi avrebbe resa né più bella, né più amata. 

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Capitolo 35
*** Capitolo trentacinque. ***


 The last vogue. 



Mi sento così inutile. Non ho concluso niente. Cioè, si che ho concluso, ho realizzato il mio sogno, sono apparsa in copertina, sono famosa, ma allora perché non sono felice? A quest’ora dovrei sprizzare gioia da tutti i pori, invece me ne sto qui, sul monotono letto d’hotel, immersa nella mia solitudine, a resistere alla tentazione di prendere il primo aereo per New York, per rivedere Nick. Vorrei tanto abbracciarlo, mi manca troppo, non sono mai stata tutto questo tempo senza lui. Il fatto che lui non voglia né vedermi né sentirmi spazza via ogni mio pensiero e mi fa capire che devo andare avanti. Sono una tipa orgogliosa, ma poi cedo, non sono così forte, ma giuro, giuro su me stessa, stavolta sarò io a ricevere delle scuse.
Sbuffo, per poi spostare i capelli dalla mia visuale. Afferro il cellulare e controllo per l’ennesima volta la presenza di un sms, o di una semplice telefonata. Ma niente. Lo sfondo sarebbe vuoto se non fosse per la foto che lo colora, un’immagine che ritrae me e Demi intente a bere una lattina di Coca. Dio, quanto mi mancano tutti quanti.
Appoggio nuovamente il cellulare sul comodino, prima che mi venga da piangere, ma subito dopo, egli inizia a squillare all’impazzata.
«Pronto?» rispondo, soffocando la noia in un sospiro.
«Cos’è questo mortorio?» riconosco la voce giovane e fresca di William. Ah, se non ci fosse lui. «Dai, fuori c’è il sole, esci.»
Beh, in effetti fuori c’è un buon tempo, ed è raro, visto che sono nella città, a mio parere, più piovosa del mondo.
«Magari, non mi va nemmeno di respirare.»
«Però lo stai facendo! Quindi uscirai con me, anche se non ti va.» sorrido all’ascolto di quella frase, capace di farmi sorridere. Desideravo di essere invitata da qualcuno, non mi va di fare niente, è vero, ma l’importante è non starsene rinchiusi in hotel per sempre.
«Oh, Will, sei un angelo.» si, il mio angelo. Lo sento ridere.
«Ti vengo a prendere fra dieci minuti.»
Riattacco, balzando in piedi dal letto. Mi farà bene uscire con lui. Mi farà bene uscire.
 
Controllo le strade, sperando di trovare la macchina di William nelle vicinanze. Magari per “dieci minuti” intendeva mezz’ora.
Finalmente, lo vedo accostare davanti al marciapiede. È lui. Apro la macchina e mi ci infilo rapidamente dentro.
«Giorno!» mi saluta allegramente. Faccio altrettanto, stampandogli un bacio sulla guancia. Riprende a guidare, imboccando una strada mai vista prima d’ora.
«Dove si va?» azzardo a chiedere, mentre lui manovra esperto il volante.
«Piuttosto una domanda te la faccio io.» dice serio. Ecco, lo sapevo. Che altro ho combinato? Gli faccio cenno con la mano di continuare. Lui sospira. «Che ti succede?»
«Cosa dovrebbe succedermi, Will?» ovviamente so benissimo cosa sta succedendo alla mia vita, ma non mi va di deprimere nessuno.
«Lo leggo nei tuoi occhi che c’è qualcosa che non va. So quello che è successo e tutto, ma non ne vale la pena di soffrire ancora, Nick ti richiamerà e ritornerai a casa tua. Solo non adesso, le ferite sono ancora aperte.» facile a dirsi.
«Si, va bene.» lo assecondo, cercando di eliminare questo discorso da mezzo. «Allora, dove pensi di andare?»
«Hai paura che ti stupri?»
«Ho paura che tu possa perderti, anche perché non conosco le strade di Londra e ho già dimenticato la via dell’hotel.»
«Vorrà dire che verrai a stare da me.» azzarda. Vacci piano, principe. Lo guardo stranito, mentre lui non sembra accennare alcun sintomo di imbarazzo.
«Dai, scherzavo. Voglio portarti in un bar all’angolo, così puoi svagarti un po’.» Dio, ti ringrazio.
Accosta l’auto accanto un locale e scende, avanzando verso l’entrata. Faccio lo stesso. Occupiamo il primo tavolo che ci troviamo accanto.
«Allora, come va con…»
«Male.» lo interrompo bruscamente. Si, perché so già dove vuole andare a parare. «Va male con tutti. Lucas, Nick, Demi, mamma, papà, non li sento da dieci giorni e non capisco come facciano a non preoccuparsi di me per tutto questo tempo.»
«Beh, nemmeno tu ti stai preoccupando di loro.»
«Io mi preoccupo di loro ogni santo giorno.» ed è stravero.
«E…cosa ti dice che non lo facciano anche loro?» anche questo è vero. Magari si staranno chiedendo dove sono, con chi sono, perché me ne sono andata e forse sono orgogliosi quanto me ed è per questo che non si degnano di telefonarmi.
«Non c’ero mai arrivata.» ammetto imbarazzata, torturandomi i capelli. Il fatto di essere meno intelligente di lui mi provoca un incolmabile senso di vergogna. «Ma dicono che l’amore dei genitori verso i figli è più forte di qualsiasi cosa.»
«Sai, credo che la voglia di farti capire dov’è che hai sbagliato sia ancora più forte.» è incredibile, è un genio.
«Io non ho sbagliato, Will!» batto un pugno sul tavolo.
«Per i genitori siamo sempre noi quelli che sbagliano, tu dovresti saperlo.»
E, finalmente, ad interrompere la nostra lotta verbale è il cameriere, che ci chiede cortesemente di ordinare.
«Io prendo un caffè.» comunica Will.
«Anch’io.» Non mi va per niente del caffè, ma sinceramente non so perché ho voluto ordinarlo. Forse per sembrare grande quanto lui. Perché lui sembra un adulto, tra noi due la bambina sono io e non sono abituata a questo ruolo, Nick era molto immaturo, tralasciando il fatto che lo amo da impazzire, quella che portava avanti la “baracca”, non ero che io.
Osserviamo l’uomo allontanarsi dal tavolo. Riprendiamo a guardarci negli occhi.
E mentre io mi perdo in quei due oceani, sento qualcosa muovere le gambe. No, non è l’iPhone che annuncia un sms, è ben altro. E no, non è la sciarpa a scaldarmi il petto e no, non è il termosifone alla quale sono appiccicata a farmi sudare.
Piano, lui mi sorride, distogliendo lo sguardo dal mio e posandolo sulle mie mani, chiudendole tra le sue.
«Che carina che sei.» sussurra, sfoggiando un sorriso amichevole. Non riesco più a vederlo come un angelo custode che mi ha salvato dalla solitudine, adesso riesco a vederlo solo come un protettore, un anima che vaga senza obiettivo, se non quello di rendermi felice. Perché è quello che sta facendo già da più di una settimana ed io mi sento così bene con lui.
«Tu invece sei bellissimo
Cosa? Cos’ho detto? Che diamine ho fatto? Ho davvero detto che è bellissimo?
Rifletto un attimo su quello che ha appena sputato la mia maledetta boccaccia, sudando sempre di più alla vista della sua espressione divenuta subito seria. No, no, no! Non intendevo quello! Devo assolutamente fare qualcosa.
«No, davvero, perché hai dei begli occhi.» recupero il cinismo di pochi secondi fa.
Mi guarda perplesso, per poi sussurrarmi un “grazie”.
Beh, prego.
Ecco i caffè. L’odore mi fa venire un po’ di nausea, non ho mai preso caffè se non per la stanchezza. Faccio scivolare lo zucchero dalla bustina nella bevanda e giro, trattenendo un conato di vomito. Non riesco ad alzare lo sguardo, William mi starà guardando e si, lo ammetto, non sono capace di affrontare la situazione. Mi chiederà di sicuro perché ho detto quella cosa e io non posso
risponderlo, perché il motivo non lo so nemmeno io. Porto la tazzina alla bocca e butto giù il liquido tutto d’un fiato.
Priva di speranza, poso lo sguardo sul suo. Si, mi osserva costantemente. Mi asciugo le labbra con la mano e gli sorrido, mentre lui rimane serio, con gli occhi fissi nei miei. Questa sua ossessione mi lusinga, ma mi rende anche un po’ nervosa.
«Bene, andiamo?» propone, dopo aver bevuto il suo caffè. Annuisco e mi avvio in macchina, mentre lui provvede al pagamento. Dopo un po’, entra anche lui, mette in moto l’auto e prende la strada di ritorno. Lo osservo maneggiare velocemente i vari attrezzi dell’auto, ogni cosa che fa, non so come, non so perché, mi entra in mente, fissandosi nel cervello. Il suo viso, il suo modo di fare, mi fa stare bene, non so cosa pensare di questo, ma so che è una cosa buona.
In silenzio, arriva all’hotel in cui alloggio (ancora per poco).
«Eccoci qui.» affermo, allungando la durata dell’incontro. «Se non ti va di andartene puoi stare un po’ in hotel, c’è il Wi-Fi.» no, non c’è nessun Wi-Fi, c’è solo una fottuta voglia di stare con lui ancora per molto.
«Ascolta, Miley, sappiamo entrambi quello che sta succedendo e sappi che noi siamo amici.» perfetto, Miley, hai anche fatto la figura della troia. Si, la troia neo single che cerca di affogare la sua disperazione nel primo ragazzo che trova. Sapevo che sarebbe andata a finire così, posso anche dire addio a lui e a tutta la sua galanteria.
«Lascia perdere, Will. Io amo Nick, tu ami la tua libertà, non me. Sarebbe figo essere solo amici, come hai detto tu.» devo riprendere assolutamente il controllo della situazione, a costo di sembrare arrogante.
«Va bene, a domani.» mi saluta, freddo. Esco dall’auto ed entro in hotel, rifugiandomi in camera. Maledico con tutta me stessa il giorno in cui sono nata. Sono uno schifo, respingo sempre le persone, me le lascio sfuggire. Che dire, sono sola. Sono completamente sola. No, seriamente, ho perso tutti. Non c’è nessuno con me se non le mie lacrime. Mi affaccio alla finestra, avvistando ancora una volta l’auto di William, sotto la pioggia. Anche il tempo è strano, prima c’è il sole, poi queste dannate gocce d’acqua. Ma la mia attenzione è rivolta ad un’altra cosa.
No, non posso lasciarlo andare così.
Esco dalla stanza, correndo il più veloce possibile verso il piano terra. Non mi interessa nemmeno di cadere, voglio raggiungerlo. Faccio per uscire dall’hotel, mi chiudo la porta alle spalle, trovandomi di fronte l’auto del principe. Avverto mille piccole goccioline trafiggermi la pelle, mentre i miei occhi sono posati sul suo viso, dietro il finestrino. Vedo la sua testa girarsi verso di me. Se n’è accorto.
Esce stupito dall’auto, con aria interrogativa. Si starà chiedendo cosa stia facendo, ma non avrà alcuna risposta. Corro verso di lui, fiondandomi tra le sue braccia esili e incastrando le mie labbra tra le sue. Senza ombra di provocazione, continuo, portando le mani tra i suoi capelli, per poi cingere il suo collo con le mie braccia. Sebbene la pioggia si stia sfogando su di me, riesco benissimo ad avvertire il calore trafiggere la mia pelle ormai congelata. Grazie a lui. Ogni cosa buona è grazie a lui.
È poco più di una settimana. Sono solo dieci giorni. Dieci giorni con lui. Dieci giorni di felicità.

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Capitolo 36
*** Capitolo trentasei. ***


 The last vogue. 



«No.»
«Ti prego.»
«Ti ho detto di no.»
«E dai.»
«Non se ne parla!» sbotto una volta per tutte. «Ti ho detto che con Lucas non ci parlo!»
«Te lo passo.» oh, Tom, ti odio.
«No, Tom, non…» la voce rauca di Lucas si intromette tra i miei capricci.
«Miley?» devo stare calma.
«Ciao, Lucas. Come va?» azzardo a chiedere. In realtà non mi interessa il suo stato d’animo: lo rivoglio con me, ecco la verità.
«Bene, grazie.» risponde freddo. Sussurro un “okay”, e poi si scatena un imbarazzante silenzio. Chi deve parlare per primo? E che cosa deve dire? Chi deve fare la prima mossa? Chi dei noi due ha sbagliato?
«Okay, Miley. So che hai bisogno di un manager quanto io ho bisogno di una modella di cui prendermi cura.» rivela, facendomi sentire un’orgogliosa del cavolo. Quant’è vero. Io ho bisogno di lui, lui ha bisogno di me, è questo l’importante, no?
«Quindi…non sei più arrabbiato con me?» chiedo ansiosa.
«No, Vogue.» ammette, infine. Dio, che bella sensazione, non sono più così sola adesso. Devo ammettere che con Lucas mi sento davvero, davvero al sicuro. Lui sa cosa è bene fare e cosa no e senza di lui sarei sicuramente caduta in qualche altra trappola, e magari sarebbe stato ancora più difficile dell’ultima volta uscirne.
«Oh, Lucas, quanto vorrei abbracciarti adesso.»
«Fallo allora.» cosa? «Torna a New York, così riprendi anche a sfilare.»
«E come faccio con i miei?»
«Ti prego, pensa a tornare, poi si vedrà.»
Amo la sua superficialità, mi mette di buon umore e mi incita sempre di più a rischiare: andando a New York, rischierò sicuramente di incontrare mamma e papà, Nick, Joe e Demi. È vero, avrei una bella faccia tosta a tornare a New York, ma infondo è la mia città, il mio lavoro, la mia vita, non posso fermarmi a causa loro.
«Va bene, ci vengo.» confermo la partenza e riattacco.
 
«Signorina, ha bisogno di qualcosa?» chiede cortesemente l’hostess. Faccio cenno di no e appoggio la testa sul cuscinetto. «Mi scusi, non vorrei sembrare invadente ma…» continua. «lei è quella modella che…»
Quella modella apparsa su Vogue dopo cinque mesi di fama, apparsa il giorno dopo su una rivista intenta a drogarsi e scappata da New York a causa di un litigio in famiglia?
«Si, sono io.»
 
Vedo Lucas venirmi in contro subito dopo aver aperto la porta di casa sua. Quanto mi è mancata questa casa, la famosa casa-set fotografico. Ma che dico, mi è mancato lui, la sua precisione, il suo ragazzo, Tom, il suo affetto, la sua cultura, è lui il mio manager, nessun altro.
«Dio, piccola, ci sei mancata da morire.» dice Lucas stampandomi un bacio sulla guancia.
«Non farci stare più in pensiero!» interviene Tom, abbracciandomi. «Sei sempre bellissima.»
«Scusatemi, sono stata una stupida, io non volevo…»
«Ahh, adesso basta, passiamo alle cose serie.» mormora Lucas, andando verso il piano di sopra. «Vieni!» faccio come ha detto, appoggiando la borsa sul primo mobile che mi capita davanti. Mi avvicino allo schermo del computer sulla quale Lucas è intento a scrivere. Clicca deciso su un pulsante e mi fa cenno di avvicinarmi ancora di più.
«Questa è la passerella sulla quale sfilerai tra pochi giorni. È uno degli eventi legati alla moda più importanti dell’anno, è raro e partecipano persone con un livello elevato di fama, ma tu ci sarai, sfilerai e i migliori stilisti del mondo verranno a conoscenza delle tue capacità!» dice, eccitato. «Non è bellissimo?»
«Oh, certo che lo è, Lucas, è una cosa bellissima.» fingo l’allegria. Non è che non mi faccia piacere, è che ho tante cose a cui pensare e senz’altro parteciperò all’evento, ma non so perché, non riesco a mostrare alcun sintomo di felicità o altro.
«Okay, che ti succede?» lui si che mi capisce al volo.
«Niente…» sussurro, mordendomi il labbro. «È solo che sono un po’ triste per quello che è successo con…va beh, lasciamo stare.»
«Senti, ti consiglio vivamente di andare da loro e di fregartene dell’orgoglio, perché, per quanto possano aver sbagliato, tu stai soffrendo, e se soffri tu soffriamo tutti, va bene?» cerca di consolarmi, ma la mia mente è ancora intenta a disperarsi sull’immagine della mia famiglia, bloccata nel cervello, come se fosse una malattia.
«Certo, adesso vedo.» sospendo la discussione. Ora devo pensare alla mia carriera, l’unica cosa di importante nella mia vita adesso è solo e solamente lei.
 
Sono stata milioni di volte a Times Square, eppure mi sento come se fosse la prima. Cammino, passando davanti i negozi indifferente. Non c’è niente che mi attira stamattina, ed è strano, adoro i vestiti, specialmente quelli di marca.
La mia attenzione, si sposta su un vestito blu coperto da una vetrina. Quello si che è carino. Mi avvicino al negozio, osservando per bene l’abito in pizzo dalla scollatura importante.
Ma c’è qualcosa di più importante del vestito. Come può un’immagine spezzare il cuore in due grandi, grosse parti?
Quello non può essere Nick, sono passati solo quindici maledetti giorni, non può già stare con un’altra. Li osservo baciarsi ed immergersi nelle loro squallide effusioni d’amore. Vorrei entrare e spaccare la faccia ad entrambi e ricordare a Nick che non si possono buttare via ben più ci cinque mesi per poco più di due settimane. E invece me ne sto qui, a guardarli e a soffrire dietro una vetrina.
È come ricevere cento coltellate al petto, sento la nausea aumentare, quasi come se dovessi vomitare tutto lo schifo che mi sta succedendo. È troppo forte, molto più di me, non credo di poterlo sopportare. Io non riesco a vedermi senza di lui, invece lui si vede benissimo senza me.
Cazzo, stanno per uscire. Corro verso destra, alla ricerca di un nascondiglio. Mi piazzo in un negozio e, affacciandomi alla vetrina, li osservo andare via con un taxi. E Denise? E mamma e papà? E Joe? Demi? Non me l’hanno detto? È più importante il fatto che io non ci sono più che una nuova storia di Nick?
Dopo aver realizzato di essere rimasta davvero sola, lascio scorrere giù per le guance le poche lacrime che mi sono rimaste, dopo tutte quelle che ho versato nell’ultimo periodo.
E tutto questo perché?
Perché quella fottuta notte con Amanda, quella fottuta rivista che mi ha ripresa, quella fottuta polverina bianca. Quella fottuta me, indecisa e confusa, in un mondo a parte, un mondo troppo importante per lei. Ma ormai ci sono dentro e devo abituarmi.
 
Non resisto. Sento ancora il fuoco bruciarmi nello stomaco e la testa pulsarmi dalla rabbia. Non ce la faccio, devo fare qualcosa.
Prendo il cellulare, nervosamente, digito il numero di Nick e avvio la chiamata. Dopo un paio di squilli, la sua voce irrompe nella mia testa.
«Pronto?»
«Nick.» lo freddo alla prima parola.
«Miley…» dice nervoso. «Io devo…»
«Risparmia il fiato, so già tutto.» lo interrompo, il riassunto mi farebbe soffrire ancora di più. «Solo…perché non ti sei degnato di una chiamata, di un sms, di una visita, per dirmi che andava tutto bene, che avevi trovato un’altra.»
«Non sapevo dov’eri, nessuno sapeva dov’eri, Miley, ci preoccupavamo tutti per te.» mente. La cosa che fa più male, è ascoltare altre bugie. Ne sono piena, non so più dove metterle.
«Quindi se tu perdessi la tua nuova ragazza invece di cercarla te ne troveresti un’altra?» chiedo, alludendo al fatto.
«Miley, Helen è solo un’amica e anche lei è stata scaricata, ha bisogno di affetto e anche io ne ho bisogno, ma tra noi non c’è nulla.»
Non lo credo. Non credo a niente, credo solo ai miei occhi, che hanno visto fin troppe cose. Vorrei tanto dirgli che mi sono chiesta di lui ogni giorno e anche se l’unica cosa che illuminava le mie giornate era William, dentro di me c’era ugualmente del dolore, ed esso non è sparito del tutto, ma non riesco ad aprire bocca. L’unica cosa di cui sono capace di fare, adesso, in questo momento, è premere il tasto rosso, eliminando il suo dolce viso dalla mia mente, per tutta la vita.
Ho ancora tante domande da porgli: perché Demi non mi ha detto niente, perché mamma e papà non si fanno sentire, ma adesso ho solo voglia di morire. Già, proprio così, voglio morire, sparire, non essere mai nata, non aver mai chiamato il numero della Vogue Agency, non vorrei mai aver desiderato questa vita, non vorrei mai aver vissuto questa vita, questa vita che doveva essere la mia, controllata da me, gestita da me, invece la gestiscono persone che non si degnano di una stupida telefonata, persone che dimenticano i propri figli dopo dieci giorni, persone che se ne fottono della fine che hai fatto.
E a questo punto io mi chiedo: se fossi morta? Avrebbero fatto la stessa cosa? Mi avrebbero dimenticato lo stesso dopo pochi giorni? Nick si sarebbe messo con un’altra ugualmente? Non ho più senso. Niente ha più senso.
Che ci faccio io nella mia vita?
 
Dopo aver riflettuto ed occupato il tavolo di un bar per ben quattro ore, vado via, cercando di scacciare dalla mente l’accaduto, ma mi risulta difficile. Ancora una volta, il telefono mi salva dalla malinconia.
«Pronto?» rispondo seccata.
«Miley, sono io, Will.»
«Will, scusami, non sono in vena di parlare.» lo avverto, affondando la schiena nel sediolino dell’auto.
«Volevo solo dirti che sono a New York, se vuoi compagnia…ci sono.» buono a sapersi.
«Che ci fai qui?»
«Mio zio è americano, te ne ho parlato una volta, mi ospita per qualche settimana.» lo sento tirare su col naso. So che lo fa sempre quando è imbarazzato. «Comunque…non voglio disturbarti, quindi stacco…»
«No, William, anzi. Ti va bene se ci vediamo? Devo parlarti di una cosa importante.»
Alla fine, è la mia storia, e devo scriverla io. Non mi va di buttarmi giù di nuovo, devo fare qualcosa per rialzarmi, e credo di sapere già come fare. Basta sfighe.

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Capitolo 37
*** Capitolo trentasette. ***


 The last vogue. 



Siedo al tavolo più remoto della sala, aspettando che il principino si faccia vedere. Conosco questo bar come le mie tasche, non è cambiato per nulla, è solo cambiato il modo in cui ci sto. Ricordo quei pomeriggi passati con Demi e i Jonas, proprio qui, a parlare per ore intere, attirando l’attenzione dei dipendenti, arrabbiatissimi a causa della nostra soffocante presenza. E ci limitavamo ad organizzare le nostre serate al mare, in estate, oppure dai Jonas, appiccicati al camino, nei mesi invernali.
Erano semplici pensieri da adolescenti, desideri irrealizzabili, parole spazzate via dal tempo, personalmente, passato troppo velocemente.
E intravedo Will varcare la soglia del bar, scrutando tutti i tavoli, giungendo al mio. Lo vedo venire verso di me con aria spavalda.
«Ti ascolto.» afferma sedendosi, senza nemmeno rivolgermi un semplice “ciao”. Mi lascio andare allo schienale della sedia e faccio un respiro profondo.
«Ho pensato a quello che c’è stato, l’altra volta.» inizio, riferendomi a quel bacio. Ho bisogno di attirare l’attenzione di Nick, in un modo, e questo è l’unico. «Credo che mi piaci.» mento.  Si, cavolo, ho mentito di nuovo ad una delle persone che ha dimostrato di volermi bene.  William è la persona più dolce, rispettosa, sensibile, divertente, premurosa, e fantastica di questo mondo, so di conoscerlo da poco tempo e so che andare di fretta, qualora decidessi ugualmente di stare con lui, non fa altro che peggiorare la situazione, ma quel maledetto fuoco che si acceso in quel negozio, a Times Square, sento che continua a bruciare, provocandomi un dolore atroce che non riesco a sopportare. Devo muovermi, devo fare qualcosa, non dovrei usare un ragazzo come lui, non se lo merita, ma nemmeno io in fondo merito di essere trattata così.
«Che vuoi dire che ti piaccio?» chiede, senza mostrare alcun sintomo di stupore. Mi chiedo cosa stia passando per essere così apatico.
«Vuol dire che ti trovo una persona veramente bella, sei dolce, affidabile, divertente, disponibile e trovo che tu sia in assoluto il ragazzo più bello di Londra.» niente di più vero. «E di ragazzi così ce ne sono ben pochi.» confesso, vergognandomi di me stessa e pizzicandomi i polsi, resistendo al dolore. Me lo merito, mi merito tutto il male di questo mondo.
«No, Miley, scusa.» dice, alzandosi di scatto e avanzando rapidamente verso l’uscita. Sobbalzo, riuscendo a raggiungerlo.
«Ma che diavolo fai, scappi?» chiedo con aria interrogativa, prendendolo per un braccio. «Almeno dimmelo a parole, non andandotene, io lo accetto.»
«Il problema è che io so tutto.» sussurra, pregandomi con lo sguardo di lasciare la presa. «Non si può dimenticare una persona in così poco tempo, tu ami ancora quella persona, sebbene ti abbia sostituito dopo nemmeno due settimane.» lo guardo stupita, sbalordendomi dell’intelligenza di questo ragazzo. «Io non mi lascerò prendere in giro.» non posso che dargli ragione.
Apro la mano, mollando il suo avambraccio, lasciandolo uscire dal bar. È troppo sveglio, non merita di essere preso in giro di me. Forse, solo pensando di poterlo usare, quella che ho veramente preso in giro, sono proprio io.
 
«Mancano pochi giorni, devi trovare al più presto un vestito, Vogue!» mi urla Lucas nell’orecchio, facendomi salire a mille la voglia di staccargli il telefono in faccia.
«Si, Lucas, ne troverò uno, tranquillo.» lo tranquillizzo, senza preoccuparmi minimamente dell’evento. I vestiti sono l’ultima cosa a cui mi va di pensare adesso. Si tratta di una sfilata in cui ogni modella indossa un vestito di un certo valore, pubblicizzando uno stilista. Il fatto è che ce ne sono troppi, uno più bravo dell’altro, per giunta, non saprei chi scegliere.
«Senti, fammi stare tranquillo, entro oggi, chiamami e fammi sapere se hai trovato un abito!» inveisce ansioso. «E che sia di uno stilista, non della sartoria sotto casa!»
Riattacco, mettendo da parte Nick e William e aprendo la mente per un nuovo problema: Lucas. Mi ha trasmesso ansia, non so davvero come fare adesso.
Percorro gli stessi passi di stamattina, sorpassando il negozio in cui è accaduto il fatto, notando con dispiacere che il vestito non è più nella vetrina. Beh, era troppo bello per non essere comprato da qualcuno.
Ormai disperata, cerco un supermercato, intenzionata a comprare dell’acqua. È da stamattina che sono in giro e non ho toccato né cibo né acqua. Entro nel primo market che vedo, cerco una bottiglia d’acqua e la porto alla cassa.
«Due dollari, grazie.» annuncia la cassiera. Gli porgo una banconota da cinque e recupero il resto. Faccio per uscire, ma qualcosa mi dice di rimanere, forse qualcosa di familiare, qualcosa che potrebbe, dovrebbe interessarmi. Rientro dentro, alzando lo sguardo al televisore, sintonizzato sul telegiornale di New York. Riconosco l’outfit impeccabile e l’eleganza di Armani, quell’uomo, o meglio, quel genio. “La sfilata si avvicina, ormai è l’evento più atteso dal mondo della moda, si svolgerà tra pochi giorni, spera di essere rappresentato da una delle sue modelle?” chiede la giornalista, avvicinando il microfono alle labbra dello stilista. “Molte giovani donne hanno sfilato per me, indossando le mie creazioni e regalandomi gioie immense, ma credo che la modella più capace di potermi rappresentare sia senz’altro Miley Cyrus.” Afferma soddisfatto, quasi come quello onorato fosse lui. Rabbrividisco alla vista di alcune immagini che riprendono me, intenta a sfilare con addosso uno dei suoi bellissimi vestiti. “La modella è ancora abbastanza inesperta per accollarsi un ruolo così importante, crede davvero che sia capace di rappresentarla?” continua la giornalista. “Assolutamente. Vede, le top model di oggi, hanno senz’altro fatto un percorso abbastanza lungo per diventare tali, hanno sfilato nelle sfilate più importanti, hanno fatto, perché no, scandali, hanno vinto concorsi e fatto milioni di provini. Ma questo non è altro che business. La vera moda è difficile da trovare, non sarà di certo la parola “top” a determinare la presenza di essa in una donna. È per questo che credo che la Cyrus sia più che adatta per rappresentare il mio essere, lei è in campo da soli cinque o più mesi, ma in lei vedo cose che non ho visto neanche nelle migliori indossatrici del pianeta.” Conclude poi con un sorriso, mentre io lotto con la voglia di cadere sul pavimento per l’emozione. “Ed è sicuro di non aver esagerato?” domanda, infine, la giornalista, forse esausta di tutti quei complimenti. “Mi creda, per quanto possa essere esagerato, non è altro che la verità.
E la magia finisce. In un baleno, ritorno alla realtà, che mi porta a notare gli occhi della cassiera spalancati su di me.
«Non mi dica che…» accenna, in preda all’agitazione.
«Parlava di me, si.» confermo, sentendomi mancare sempre di più il respiro.
 
«Ho deciso, scelgo Armani.»
«Così ti voglio, piccola!» afferma Lucas eccitato. «Vuoi una mano per il vestito?» mi chiede.
«No, tranquillo, so benissimo che fare.»
Certo che lo so, ma stavolta me la vedo io, da sola, come farò per sempre del resto
.  

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Capitolo 38
*** Capitolo trentotto. ***


 The last vogue. 



Sarebbe di certo un venerdì come tanti, se non fosse per quella dannata sfilata. Ho bisogno di un vestito di Armani, adesso. Ho tredicimila dollari in tasca e sono pronta a spenderli tutti a costo di un abito con su la sua firma.
Mentre osservo le vetrine ad un passo di distanza, penso alle parole dell’uomo, in quel negozio di Times Square. Non riesco ancora a credere che una persona di tale importanza abbia speso parte del suo tempo per parlare di me, della ragazza insicura, piena di problemi, bloccata in una stupida lite di famiglia, con problemi di tossicodipendenza alle spalle, ha parlato di me. Stimavo Armani, ma adesso credo proprio di amarlo.
Mi perdo nell’azzurro dell’abito che mi trovo di fronte, lottando contro la voglia di lasciar perdere e controllare le altre vetrine. Voglio quello. No. Ce ne sono altri. No. Voglio quello. No. Non è Armani, non va bene. Continuo, tornando alla ricerca dell’abito perfetto.
Dopo qualche minuto, sento la borsa agitarsi. Infilo la mano e sento il telefono vibrare, come al solito. Lo afferro e rispondo.
«Si?»
«Miley? L’hai trovato?» Dio, Lucas, che ansia.
«No.» sospiro.
«Cavolo, è fra un giorno, Miley!»
«Si, si, lo so.» lo assecondo, è la cosa migliore da fare. E mentre lui comincia ad inveire e fare le sue solite scenate per telefono, continuo a camminare, giungendo ad un abito. Non uno qualunque, l’Abito. Si, la marca è quella, l’ha creato proprio lui. Come può della semplice stoffa diventare una meraviglia del genere? È proprio questo il bello della moda: un oggetto insignificante, diventa un pezzo di alta qualità che solo pochi possono possedere. Osservo il vestito per altri cinque secondi e mi fiondo nel negozio, senza preoccuparmi minimamente della chiamata con Lucas, terminata, a sua insaputa, già da tempo.
«Mi scusi,» attiro l’attenzione della commessa, intenta a sistemare le banconote nel registratore di cassa. «ho visto quel vestito di Armani in vetrina, è possibile comprarlo?» chiedo, immaginandomelo già addosso.
«Mi dispiace signorina, ma è solo per esposizione, un pezzo di tale importanza non può essere comprato.»
«Davvero?» insisto. «E se le dicessi che ho il doppio del prezzo dell’abito nella tasca?» si, sto cercando di corrompere una commessa.
«Le direi che col mio stipendio ne ho il triplo.» risponde, sorridente.
«E…se le dicessi che ho intenzione di indossare il suo vestito ad una sfilata in cui sarà presente proprio quello stilista?»
«Continui…» missione compiuta.
«Potrei pubblicizzare il suo negozio allo stilista, lo vedrò tra un giorno.» non è da me vantarmi, ma a volte la presunzione può farti ottenere davvero tante cose.
«Oh Cielo, lo prenda!» urla eccitata, correndo a svestire il manichino. La guardo compiaciuta, soddisfatta del mio gioco di parole.
Una volta pronto, il vestito, la donna lo infila nella busta, mostrando i suoi denti in un ampio sorriso.
«Bene, sono duemilacinquecento dollari.» comunica fiera. Le porgo tremila dollari, spavalda.
«Tenga il resto.» mi volto, lasciandola a bocca aperta, ed esco dal negozio, morente dalla voglia di dire tutto a Lucas, in modo da calmarlo, ma questo è un momento troppo bello per essere condiviso con qualcuno.
 
Stanotte alloggio da Lucas e Tom, almeno aspetteremo la sfilata insieme, solo che muoio dalla vergogna, non è facile dormire con due gay. Insomma, potrei anche girare nuda per casa ma non posso non sentirmi di troppo a casa loro. Vorrei tanto dormire a casa mia, nel mio letto, nella mia stanza e svegliarmi e trovare mia madre, mio padre, e si, anche Nick.
Mi manca da morire.
Attraverso la strada, trovandomi di fronte alla Vogue Agency. Un brivido mi percorre la spina dorsale. È cominciato tutto da qui, dalla Montague Street, da questo enorme edificio. C’è sempre lo stesso via vai di gente che c’era la prima volta. Incantata, porto lo sguardo sulle vetrate, più lucide che mai, che mi lasciano intravedere i cento dipendenti che lavorano come matti.
«Miley?» mi giro di scatto.
«Nick?» non può essere. Indietreggio, quasi come se avessi paura di lui. In effetti, un po’ ce ne ho.
«Cosa…ci fai…» balbetta. «Che ci fai qui?»
«Stavo andando da delle persone. Tu?» come fa a parlarmi così? Come se niente fosse?
«Sto aspettando Helen.» ribatte a braccia conserte. Helen?
«Ah si, la tua tipa.»
«Smettila.» dice freddo, avanzando verso di me. Mi allontano, ma il suo passo è più veloce del mio e mi ritrovo, ad un tratto, faccia a faccia con lui, ad un centimetro dalle sue labbra. L’ultima volta che si avvicinò in questo modo a me fu solo per baciarmi.
«Io ti amo, lo capisci?» sussurra, chiudendo i miei fianchi con le braccia. Cosa vuoi che capisca, scusa?
«Helen ci vedrebbe.» mormoro, staccando le sue mani dalla mia schiena.
«Non è la mia ragazza, siamo solo amici, d’accordo? Ed è qui perché fa la modella.» dice schietto. Modella? Lei? Sta scherzando, vero?  «Ma tranquilla,» continua, sorridendo maliziosamente «sei tu la mia preferita.»
«Smettila!» divorata dalla rabbia, gli mollo uno schiaffo sul suo bel viso, facendolo allontanare da me. E si allontana, portandosi una mano sulla guancia e massaggiandola, dopo che essa è divenuta rossa. Ma non è bastato. Lui si avvicina a me, appiccicando le sue labbra alle mie e portando le mani sul mio fondo schiena, stringendolo. Rabbrividisco. Devo allontanarlo da me, staccare le sue mani dal mio culo, spingerlo, mandarlo a fanculo, per sempre, ma non è quello che voglio. Voglio stare qui, sotto la Vogue Agency, a baciarlo per ore ed ore, consapevole dello sbaglio che sto commettendo, consapevole di mandare il mio orgoglio all’inferno, lasciando che le mie guance vadano a fuoco ad ogni minimo contatto col suo corpo.
Dopo, solo dopo aver cessato ogni sua stupida voglia, si stacca da me, leccandosi il labbro inferiore.
«Non nasconderlo, mi ami?» afferma, convinto di non essere respinto.
«Si!» rispondo, quasi urlando, decisa a sbattergli in faccia la pura e sana verità. «Ti amo. Non ho mai smesso farlo, non ho mai detto di aver smesso di farlo, amo tutto di te, amo il fatto che sei infantile, che sei immaturo, che non riesci a dire niente che non faccia parte della tua immaturità, amo i tuoi sorrisi, amo il fatto che mi baci quando in realtà vorrei prenderti a schiaffi, amo il fatto che riesci sempre a fare in modo che io ti perdoni, amo il fatto che sei uno stronzo, che sei un’idiota, che mi fai sorridere quando vorrei piangere e che riesci a farmi dire tutte queste cose senza vergogna, anche se in realtà sto morendo di vergogna ma non si vede, ma è così. Ma non si vede.» credo che abbia capito adesso, e ha capito anche che l’unica cosa da fare per farmi stare zitta, è proprio quella. Nuovamente, le nostre labbra si incontrano ed io rabbrividisco di nuovo.
 
«Che hai nella busta?» chiede curioso.
«Un vestito.» rispondo facendo dondolare la busta.
«Esci?» domanda ancora.
«Domani c’è la sfilata.» annuncio a bassa voce.
«Ok.» che antipatico, Dio. Ma è proprio questo che mi piace di Nicholas Jerry Jonas, nient’altro che questo.
 
«Mi siete mancati un sacco.» corro nelle braccia di papà, mandando a puttane il mio orgoglio: lo ammetto, è più forte di me. Le sue braccia possenti mi stringono le spalle ed io faccio altrettanto col suo busto.
«Anche tu piccola.»
Continuo con mamma, Demi, mettendo da parte l’odio accumulato. «Non fare mai più una stronzata del genere, okay?» mi raccomanda Demi, baciandomi la guancia un paio di volte e, dopo aver salutato Joe, mi butto sul divano, il mio divano.
«Allora, stronzetta, perché non ti sei degnata di una telefonata?» chiede Joe, omaggiando la sua finezza.
«Orgoglio.» ribatto decisa. «Rovina sempre tutto.» quant’è vero.
«Comunque ci dispiace un sacco, Miley, noi siamo stati malissimo per questa storia.» interviene papà. «Morivamo dalla voglia di chiamarti ma non volevamo…ecco…magari non ti interessava più di noi.»
«No, ho sofferto anche io parecchio per questo e adesso voglio voltare pagina, anche perché domani farò una sfilata importante qui, a New York e non voglio pensare a niente, tranne che a vivere il mio sogno.» dico felice, scatenando la gioia di tutti i presenti.
«Ho pulito, tutti i giorni, la tua stanza, ho pulito i tuoi vestiti e le tue scarpe, e spero che non si ripeta più una cosa del genere!» mi accoglie poi in un abbraccio, mamma.
«Allora, festeggiamo?» consiglia Joe, afferrando una bottiglia di champagne dal frigo, nemmeno fosse Capodanno.
«Un attimo, vado a fare una telefonata, arrivo subito.» oh, già, dimenticavo: adesso ho una casa.
Avanzo verso la mia stanza, pulita e ordinata alla perfezione. Quanto mi sono mancate queste quattro mura, mi hanno vista piangere, ridere, soffrire, stare bene, come ho fatto a stare lontana dal mio mondo reale per tutto questo tempo?
Digito il numero di Lucas sull’iPhone e avvio la chiamata, la più importante della mia vita, forse.
«Pronto?» risponde Tom, assonnato.
«Tom, c’è Lucas?»
«Si, te lo passo.» aspetto qualche secondo, dopodiché, Lucas risponde.
«Hey, Miley, ti stiamo aspettando.»
«Lucas, non vengo stasera.» comunico felice, trattenendo l’eccitazione in un sorriso.
«Hai trovato un hotel?»
«No, meglio.»  


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Capitolo 39
*** Capitolo trentanove. ***


ccccciao a tutte!
dunque, vi avviso, questo capitolo farà un po' schifo, e comincio a scusarmi già da adesso. 
come faccio sempre, vi ringrazio per le recensioni che lasciate ai capitoli, non sapete quanto mi rendete felice, ma questo lo sapete già!
In ogni caso, ho cercato un vestito di Armani che andasse bene per Miley, ma non ne ho trovati, così ho trovato un abito, che non è di quello stilista, ma è il tipo di vestito che ho immaginato per lei e, come aveva richiesto una di voi, ho qui la foto e, chiedo scusa se è abbastanza piccola, ma efp non mi faceva mettere immagini più grandi.
Adesso sparisco, buona lettura a tutte.♥ 
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 The last vogue. 



Ripercorro, con le dita, la scollatura dell’abito, ricoperta da lustrini e diamanti. Sono così belli. Osservo, poi, il mio riflesso nello specchio, compiaciuta. Mi piace quello che vedo, lo amo, e la cosa più bella è che anche gli altri lo amano. Mi dicono che sono bella e comincio a crederci, a differenza di anni fa, in cui non avrei mai giurato di sentirmi così. Posso dire che ho realizzato il mio sogno, che sono arrivata a destinazione, ma, come dice Lucas, è ancora l’inizio.
Mi sistemo i capelli, lasciando cadere le punte ondulate sulla schiena. Mi alzo, poi, consapevole che adesso tocca a me. Esco dal camerino, chiudendomi alle spalle la porta e avanzando verso la passerella, cercando di nascondere l’ansia che mi assale ad ogni passo. Non oso immaginare di come mi sentirò tra pochissimi secondi.
Non c’è Lucas, è seduto, aspettando la mia comparsa. Questo di certo non è un punto a favore, ma devo cavarmela.
Aspetto che la modella mi lasci la scena, e mi infiltro su quella piattaforma.
Mille occhi, tutti puntati su di me. Sarei imbarazzatissima se prima non avessi detto che sono una favola in questo abito.
Arrivo alla fine, fermandomi in una posa, lasciando che tutti, tutti i presenti, si concentrino su di me. Tengo fisso lo sguardo nel vuoto, sorridendo, poi torno indietro, lasciando spazio ad un’altra. In fondo è così, in un certo senso, la vita è sempre una sfilata. Sei lì, cammini, cammini fino ad una destinazione, dai il meglio di te e poi sei costretta ad andartene, perché il tuo lavoro è finito e a prendere il tuo posto c’è un’altra, che farà il tuo stesso percorso. Sei in voga, fino a quando non arriva una nuova, una migliore, una che rispecchi i prototipi di bellezza prefissati, che poi, cambiano in continuazione. Ricordo quando gli stilisti cominciarono a richiedere donne dai tratti meridionali, occhi neri, capelli scuri, e così per Natale chiesi come regalo un paio di occhi marroni, mio padre mi guardò e si mise a ridere, e con lui tutta la famiglia, ma per me era importante rispecchiare ciò che volevano gli stilisti.
 
Sono felice. Lo sono. Sono bella. Si, lo sono, è esattamente così che mi sento: bella, ed è tutto grazie a questo vestito, a questi capelli, a questo specchio, alla passerella, è tutto grazie a questo, è tutto grazie a ciò che ho appena fatto. E il mio scopo non era che questo, poter essere in grado di sentirmi dire e, soprattutto, dire a me stessa quelle due parole. Il mio scopo era guardarmi allo specchio e sapere di essere qualcosa di bello. Il mio lavoro mi permette di pensarlo, mi permette di essere felice. Sorrido, intenzionata ad uscire dalla passerella per la festa.
 
«Oh mio Dio, Vogue, sei stata perfetta.» mi comunica Lucas e, stranamente, gli do ragione. «Tu eri lì, con questo vestito, con questo capelli, eri bellissima.» conclude porgendomi un bicchiere di champagne. 
«Grazie, Lucas.» gli sorrido, afferrandolo.
«Armani ti guardava, sembrava felicissimo.» aggiunge poi, affiancandosi a Tom. «Credo che tu debba parlare con lui!»
«Cosa?» sobbalzo. «Oh, non ci penso nemmeno.»  chiarisco dall’inizio.
«Ti dico di si!» afferra la mia mano e mi tira con sé, trascinandomi verso gli stilisti, che discutono tranquillamente fra loro.
«No! Lucas!» inveisco, tirandolo verso la parte opposta, ma le sue braccia sono forti, sebbene esili, così accetto la sconfitta e indosso uno dei miei migliori sorrisi. Lucas mi molla e torna dal suo Tom, lasciandomi lì, immobilizzata dagli sguardi interrogativi degli stilisti. Non li ho mai visti così da vicino. Sono bellissimi in tutta la loro importanza. Deglutisco, in preda al panico.
«Miley Ray!» afferma Lo Stilista. Si, proprio lui. «C’avrei giurato sulla tua bellezza!» dice, lusingandomi.
Un “grazie” mi muore in gola, mentre la mia espressione impaurita è fissa sulla sua, sicura.
«Oh, grazie mille, questo vestito è bellissimo, è stato davvero fatto bene e per me è un onore indossarlo.» riesco a dire, sebbene con voce tremolante. So di essere una modella e dovrei essere abituata, ma andiamo: anche Naomi Campbell sarebbe lusingata di ricevere un complimento da uno degli stilisti più bravi del mondo. Uno stilista italiano, per giunta.
«Ti sta benissimo.» sorride. Respiro profondamente, realizzando che Armani mi ha appena detto che sto benissimo in questo abito, nel suo abito.
«Grazie.» sospiro, tranquillizzandomi. Egli conclude, voltandosi verso i colleghi, riprendendo a dialogare. Da vicino è ancora più bello sentirlo parlare di me, molto meglio di quella volta a Times Square.
Torno da Lucas, morente dalla voglia di raccontargli tutto, ma lui non c’è. Scruto la folla, cercando il suo capo calvo, e lo intravedo assieme al suo uomo, intento a parlare con un'altra coppia gay. Credo siano anche loro degli stilisti, hanno entrambi una faccia conosciuta, ma in questo momento non ci capisco nulla, sono ancora scossa dalle parole dell’uomo che mi ha cambiato la vita in una giornata.
Perfetto. Sono sola adesso. Sola, bloccata in un angolo della festa, con un bicchiere chi champagne in mano, che, spinta dalla noia, porto alla bocca, svuotandolo. Continuo a guardarmi intorno, portando lo sguardo dappertutto.
E lì c’è Kate Moss. E lì c’è Heidi Klum. Sto per svenire. Sono meravigliose. Continuo a perdermi nei loro abiti, uno rosso ed uno nero. Mi chiedo di chi siano, anche se non hanno bisogno di interpretare uno stile dato che entrambe ne hanno uno.
Il tempo passa, le telecamere girano, gli stilisti continuano a discutere fra loro e le modelle girano per tutta l’area, lasciandosi ammirare dagli invitati esterni, convinti che questo mondo sia tutto rose e fiori e che all’interno delle modelle ci sia felicità e benessere. No. Perché? Perché si vede da un miglio che queste ragazze vogliono urlare, piangere, scoppiare. La biondina piazzata accanto a me, che tiene la sua mano intrecciata a quello dello stilista, è bellissima, ma lo vedo dalle sue occhiaie che in lei non c’è nulla di bellissimo. Occhiaie troppo familiari per me. Occhiaie che non spariscono con del semplice fondotinta. E lui abusa di lei. Si vede dal modo in cui la custodisce gelosamente fra le sue braccia, mentre lei non è felice, per niente. Vuole scappare da quella vita, vuole scappare da questo mondo che sognano milioni di ragazze. Ragazze come me. Ma mi è già successo, sono già stata vittima del lato cattivo di questa storia e non voglio più caderci. Giro lo sguardo, pregando Dio di non far soffrire quella ragazza, così giovane per odiare la vita.
 
«Allora, ti sei divertita?» chiede Lucas aprendomi lo sportello del taxi.
«Certamente.» faccio attenzione al vestito ed entro, facendo spazio per i due, che entrano rapidamente, chiudendo l’auto.
«Fra qualche giorno annunceranno i vincitori, sei emozionata?» domanda, poi.
«In realtà non lo so, ricever un complimento da Armani è già una sorta di vittoria, no?» rispondo, e non è nient’altro che la verità.
Lui annuisce, mordendosi un labbro. «Ma, sai, tu hai bisogno di premi materiali, che te ne fai di un complimento?» dice schietto. «Ragiona: se dici ad una persona che Armani ti ha fatto un complimento, lui non ci crederà, almeno che lui non l’abbia detto in pubblico, come realmente è stato, ma se gli mostri una medaglia, o una foto, o un qualcosa, egli rimarrà stupefatto, ed è questo il bello dell’essere famosi.» in effetti ha ragione, è vero che un oggetto se non ha valore non è niente, ma in fondo, un premio d’oro sarebbe perfetto per mostrare a tutti ciò che ho fatto.
In silenzio, percorriamo la Montague, come sempre, e il taxi si ferma, facendo scendere la coppietta, che mi saluta cortesemente prima di sparire nel suo appartamento. Guardo fuori dal finestrino, mentre il tassista riprende a guidare verso casa mia.
«Scusi per l’indiscrezione,» mormora il tassista, un uomo sulla quarantina dal volto simpatico «non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione e...lei è davvero la signorina Cyrus?»
«Si, ma mi chiamo Miley.» rispondo, scatenando in lui un forte senso di soddisfazione, forse perché una modella in voga è seduta sul sediolino della sua auto o semplicemente perché Miley Ray Cyrus gli ha rivolto la parola.

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Capitolo 40
*** Capitolo quaranta. ***


 The last vogue. 



Un sms, un semplice sms, e mi rendo conto di quanto tempo ho perso, di quanto tempo ho bisogno di recuperare.
Mi manchi. –Demi
E lei non è stata orgogliosa come me, non è stata stupida, ha preferito la mia amicizia, a differenza mia. Avrei potuto benissimo farlo io, invece no, ho aspettato lei e lei s’è mossa, mostrandosi superiore. Sbaglio sempre.
 
Busso alla porta, nervosamente, ed essa si apre. Scorgo la figura di Demi, che indossa una maglia che la copre fino alle ginocchia, troppo larga per essere indossata da lei. La sua espressione fredda è fissa sulla mia. Si strofina gli occhi e si sposta, lasciandomi libero il passaggio.
«Entra pure.» mormora. Questa non è Demi. «Vuoi qualcosa?» chiede aprendo il frigo, per poi richiuderlo dopo il mio rifiuto. Ed è qui che capisco che è il momento di cominciare.
«Demi, scusami se non ti ho chiamata.» inizio, mentre lei tiene lo sguardo fisso avanti a lei, nel vuoto, morendosi un’unghia. «So che adesso sei arrabbiata, ma sai, è successo tutto così in fretta, ho fatto pace con i miei, con Nick, la sfilata, sono una stronza, non avrei dovuto dimenticarmi di stare con te.» non sono soddisfatta di ciò che ho detto, ma non riesco ad aggiungere altro. Aspetto. Cosa sta facendo?
«Demi…» cerco di attirare la sua attenzione. Lei continua ad ignorarmi, per poi voltarsi verso di me di scatto.
«Cosa?» chiede passandosi una mano tra i suoi capelli neri. «Oh si, non fa nulla, pace fatta.» conclude superficialmente. È ovvio che non se ne frega niente di quello che ho appena detto.
«Demi, è successo qualcosa?» chiedo, prevedendo la risposta.
«No, nulla.» sorride, e giuro, non ho mai visto niente di più falso del suo sorriso quando cerca di nascondermi qualcosa. Potrei chiederle fino allo sfinimento cosa stia passando per il suo cervello, ma la sua risposta sarà sempre e solo no. Per sapere, l’unica cosa da fare è scoprire. Quanto vorrei entrare nella sua testa per capirla, cercare di aiutarla qualunque cosa stia accadendo.
«Demi, te lo chiedo per l’ultima volta.» scandisco bene le parole, cercando di convincerla a parlare. «Cos’è successo?» due secondi, e scoppia.
«Smettila! Non ho niente!» ribatte innervosita, alzandosi. «Quando una persona sta male l’unica cosa da fare è tacere, stare zitti! Ci riesci tu? Riesci a stare zitta? Tu hai una vita adesso, sei una modella, hai tutto, goditi questa cazzo di vita e lascia stare la gente!» inveisce. La guardo stupita. Da dove salta fuori questo cambiamento d’umore? Prima gli manco e poi mi tratta così?
«Calmati.» mormoro, avvicinandomi a lei. «Se non è la mia compagnia che vuoi, me ne vado.» e, in silenzio, esco da quella casa, sempre più stravolta. Demi non si è mai comportata così con me, anzi, con nessuno. Raggiungo l’auto e rivolgo un ultimo sguardo alla casa, ancora aperta. Rimango ferma, sperando nel suo pentimento. Quale secondo. Ma lei non esce. La porta è aperta, e così rimarrà.
 
Devo resistere. Devo stare zitta. Non devo parlare. Ma come si fa a fare finta di niente quando la tua migliore amica sta male? Non posso passarci sopra, è troppo strano. Prendo il telefono e sblocco lo schermo, sperando in una telefonata o un sms. Ma niente. Vuoto. Lo appoggio sul sediolino e riprendo a guidare, continuando a vagare senza meta, per passare il tempo o forse per soffocare le mie incertezze nei centoventi all’ora. Centoquaranta. Centosettanta.
Non ci riesco.
Freno di scatto, in piena autostrada, fortunatamente, vuota. Dio mi ha conservato questa strada, tenendola priva di anime, evidentemente sa che il miglior modo che Miley usa per sfogarsi, è il suo bel fuoristrada. Afferro il telefono e compongo il numero di Demi, portandolo all’orecchio. Dopo diversi squilli, la voce matura della madre si fa sentire, forte e chiara.
«Pronto?»
«Hey, sono Miley.» dico, affrettandomi ad arrivare al dunque. «C’è Demi?» chiedo, trattenendo il respiro per un secondo.
«Demi è in clinica adesso, ti dispiace richiamare più tardi?» clinica? Quale clinica?
«In clinica? Che cosa è successo?» insisto, sperando di ottenere una risposta valida adesso.
«Non lo sapevi? Demi ha disturbi alimentari da cinque mesi.»
E il mio stomaco, in un secondo, si restringe, provocandomi nausea. Disturbi alimentari, s’è messa a vomitare. Per quanto tempo? Cinque mesi. E io non me sono accorta, ho vissuto la mia vita, senza preoccuparmi della sua. Mi sento uno schifo. Sono orribile. Ed è ovvio il suo comportamento, l’ho ignorata per tutto quel tempo, essere arrabbiati è poco. Riattacco, lanciando il telefono sul sedile. Stringo il volante tra le mani, trattengo la voglia di fare pressione sull’acceleratore e di schiantarmi contro un muro, o qualcosa che mi faccia capire quanto male faccia tutto quello. Oppure vorrei morire, adesso, sfuggire dai sensi di colpa, li sento già divorarmi. E i ricordi. Essi sono i più terribili.
-
«Secondo te ho i fianchi grossi?» chiedo, palpando il mio punto vita, quello che odio di più. Nello specchio sembra più ampio.
«No, non ce li hai.» risponde Demi, guardandosi le unghie. Si distende sul letto. Funziona così: io faccio la caccia alle imperfezioni davanti allo specchio e Demi mi guarda, rassicurandomi di tanto in tanto e vietandomi ogni tipo di dieta, dieta che farò lo stesso.
«Secondo me quello che davvero non va bene è questo.» comunico, toccando entrambe le cosce e stringendole tra le dita. C’è da toccare, c’è, e questo non mi piace. «Cavolo, Demi, sono grassa!» e inizia l’ossessione, mentre lei mi osserva disgustata, rendendomi ridicola.
«Tu non sei grassa. »mormora. «Io lo sono.» cosa? Ha detto che è grassa? Si, l’ha detto. Ma la ignoro, accecata dai chili che sto toccando con i pollici. Questo è da eliminare, è tutto da eliminare.

-
Lascio scorrere le lacrime sulle guance, rendendomi conto di quanto stupida sono stata a confrontarmi con lei. Le dicevo in continuazione del mio peso, la aggiornavo sempre, mentre lei moriva. Lei era gelosa. Lei voleva essere come me, e mentre io annegavo nei miei complessi, lei pregava di poter essere ciò che io disprezzavo. Le mostravo la mia spina dorsale, che fuoriusciva sempre di più dalla mia schiena, solo un sottile strato di pelle la ricopriva. “Hey, Demi, guarda qui!” e lei moriva. Lei annuiva, pensando a come raggiungere anche lei tutto quello. Le mostravo come i bracciali mi andavano larghi, perché i polsi erano troppo sottili e lei moriva dentro, guardandosi i suoi, troppo doppi per indossare quei bracciali. Le mostravo le mie clavicole, che sotto al collo, si vedevano benissimo e riuscivo anche a toccarle. Lei non le aveva. Le ossa c’erano, ma non si vedevano.
E lei moriva.

Mi chiedo perché le ragazze debbano vergognarsi di essere vive, di essere ciò che sono, di essere ciò che amano. Mi chiedo perché le ragazze debbano sentirsi dire di essere belle da altri e non da loro stesse, mi chiedo cosa ci sia di così importante in questo. È così importante sentire quelle ossa sotto i pollici? È così importante essere comandata dalla società? È così importante essere la reincarnazione dell’impossibile? Perché ciò che vuole la società, è impossibile, nemmeno Dio ci è arrivato e nessuna modella potrà mai raggiungerlo. 

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Capitolo 41
*** Capitolo quarantuno. ***


 The last vogue. 



Sette giorni. Sette giorni senza di lei. Sette giorni senza la persona più importante della mia vita. Sette giorni senza la ragazza più bella del mondo. Sette giorni senza un suo sms, senza un suo sorriso, senza una sua notizia. Sette giorni senza Demi. Sette giorni che muoio dentro appena apro gli occhi al mattino. Sette giorni, e fra venti minuti saranno otto, perché non riesco più nemmeno a dormire e la mezzanotte la passo così, stesa  sul letto, ad osservare il vuoto che mi circonda, lo stesso che ho dentro.
Chiudo gli occhi, sperando di prendere sonno e di abbandonare la realtà per dieci lunghe ore.
 
«Smettila di fare così, Demi capirà.» tenta mamma, inutilmente, di calmarmi. Visto che ho perso la mia migliore amica, nonché il mio diario segreto, l’unica persona su cui posso affidarmi, è mia madre.
«No, non capirà, lei mi odia e anche io mi odio.» inveisco, strofinandomi gli occhi umidi, stanchi di contenere tutte quelle lacrime.
«Demi è una ragazza matura e ti perdonerà.» ci riprova, ma niente, le speranze le ho perse da tempo. «Adesso è normale che sia arrabbiata, sa che le vuoi bene, fidati di me.» aggiunge accarezzandomi i capelli. Mi asciugo le lacrime con il polso e affondo la faccia nel cuscino, stringendomi il più possibile al divano, soffocando il dispiacere in un pugno. “Non ci riesco”, penso. Non riesco a sopportare una cosa del genere, non riesco a sopportare la sua assenza. C’era lei quando ho maledetto il mio corpo sulla bilancia, c’era lei quando ho iniziato ad imbottirmi di medicine, e ricordo la sua faccia e la sua espressione quando mi implorava di smetterla, che quelle non mi avrebbero resa più bella, e io non le davo ascolto. Vorrei tanto dirle che anche lei è bellissima così, non ha bisogno di niente, e invece sono qui, come una codarda, a piangere. Ma che cazzo ci piango? La colpa è solo mia e adesso pretendo che tutto si risolvi come se niente fosse? No. È colpa mia.
Alto di scatto il viso, subito dopo che il campanello comincia a suonare all’impazzata.
«Si! Sto arrivando!» urla mamma, mentre fuori continuano a suonare. Mamma si precipita alla porta, la apre ed intravedo la figura di Nick. Se stessi bene sarei felice. «Buongiorno signora Cyrus.» saluta, entrando.
«Ciao Nick.» ribatte mamma. Piego le gambe, lasciando un posto libero a Nick, che non poteva capitare in un momento peggiore.
«Hai saputo di Demi, vero?» chiede, fingendo di non saperlo. Annuisco, tenendo lo sguardo fisso davanti a me. «Mi dispiace che tu stia così. Dianna mi ha detto che comunque sta bene, se vuoi andare da lei…»
«Mi dici con quale faccia vado da Demi, adesso?» sbotto. «L'ultima cosa che vuole sarà sicuramente vedermi.»
«Lei ti vuole, ti aspetta, tocca a te andare da lei.» in effetti è vero, non posso pretendere che faccia lei il primo passo, devo muovermi io. «Lo farò.» mormoro annoiata.
«Per il resto? Va tutto bene a lavoro?» chiede, portando i piedi sul divano. Lavoro. Da quanto tempo non uso questa parola.
«Si, farò una sfilata a breve, quindi…» si, una sfilata, niente di importante. Lui si butta sullo schienale del divano, prende un respiro profondo e si volta verso di me, fissandomi. «Cosa c’è?» chiedo esausta a causa di quel comportamento.
«Odio vederti così.» sussurra, abbassando poi lo sguardo. Oh, anch’io odio stare così, Nick. «Odio il fatto che sei triste, non voglio che tu lo sia. Perché non ti godi la vita che hai?» già. Perché?
«Perché la mia migliore amica ha disturbi alimentari. Per colpa mia. Va bene?»
«Miley, non è colpa tua. Demi non ha mai manifestato sintomi di instabilità mentale, e semmai l’avesse fatto, è riuscita a farlo nascondendolo benissimo. Nemmeno la madre se n’è accorta.» le sue parole mi convincono, ma non riesco a cambiare opinione.
«Mi spieghi perché io non me ne sono accorta?» gli domando, come se la risposta ce l’avesse lui.
«Perché avevi già i tuoi di problemi, Miley, eri…ossessionata…vivevi per dimagrire!» alza la voce, irritandomi. Mi copro il viso con le mani e mi racchiudo in me stessa, arrivando ad occupare uno spazio piccolissimo del divano.
«Lo so!» urlo. «Adesso mi dici cosa dovrei fare?»
 
«Ti ucciderò.»
Non posso credere che Nick sia riuscito a convincermi ad andare da Demi. Avrei giurato di vederla tra qualche settimana, non avrei mai avuto il coraggio di presentarmi da lei.
«E io ti tormenterò per sempre.» ribatte Nick soddisfatto, fermando l’auto sotto la casa di Demi. Usciamo dall’auto, avanzando verso la porta d’ingresso. È come se la gioia di rivederla si stia scontrando contro la voglia di tornarmene a casa, è incredibile.
Nick suona il campanello, e in un attimo, il mio cuore cessa di battere, per poi ricominciare, più forte. Dopo qualche secondo, Dianna ci apre la porta, accogliendoci con un sorriso.
«Demi desiderava una vostra visita.» poi si avvicina a me, toccandomi una spalla. «Soprattutto la tua.» sussurra. Le sorrido, facendo finta di essere calma. Raggiungo Nick, ad un passo dalla stanza di Demi. Ed eccola lì, più bella che mai, nel suo mondo.
«Ciao!» ci saluta, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi, lasciando che i suoi denti perfetti brillino dentro quelle labbra rosee. «Finalmente vi siete decisi, non vedevo l’ora di ricevere qualcuno.» non riesco a capire: mi odia o no?
«Manteniamo sempre le nostre promesse.» scherza Nick, stampandole un bacio sulla fronte.
«Ciao, Demi.» bisbiglio agitando una mano a mo’ di saluto, e subito mi pento di averlo fatto a bassa voce. Perché ho sussurrato? Fingo un colpo di tosse, simulando un mal di gola. E lei mi sorride, forse consapevole e divertita della mia goffaggine.
«Mi sei mancata tantissimo.» dice divaricando le braccia, invitandomi ad un abbraccio. «Non volevo prendermela con te, ero solo nervosa, mi sei mancata. Abbracciami.» mi fiondo tra le sue braccia, stringendola, affondando il naso tra i suoi capelli e colmando quel vuoto che ha avuto modo di crearsi tranquillamente in otto giorni. Dio solo sa quanto mi è mancato il suo profumo, la sua risposta sempre pronta, la sua schiettezza.
«Siete così gay…» mormora Nick, interrompendoci.
«Tu va a combinare guai con tuo fratello!» dice Demi lanciandogli un cuscino. Nick sorride e glielo restituisce, uscendo dalla stanza, lasciandoci sole.
«Allora, va tutto bene?» mi chiede, come se fossi io la malata.
«Come sempre. A te?»
«Come sempre
«Per un attimo ho creduto di averti persa, sai?» le rivelo, mentre lei, sorridendo lievemente, tiene la mia mano stretta nella sua.
«Non mi perderai mai, siamo destinate a stare insieme per sempre, dalla nascita, alla morte. E tu crescerai con me, ed io con te. Te l’ho detto a otto anni, te lo dico a venti e te lo dirò a ottant’anni.»
E mentre lei pronuncia queste parole, sento il cuore lacerarsi al pensiero di ciò che mi stava accadendo e a ciò che stavo perdendo: una persona meravigliosa, la gioia più grande, la cosa migliore, la parte più bella di me. Le schiocco un bacio sulle labbra, come facevamo da bambine e tutti ci guardavano straniti. Adesso che l’ho riavuta con me di nuovo, niente potrà più dividerci. Siamo noi, di nuovo. Siamo l’indistruttibile. Siamo una sola anima.
 
«Okay, ci vediamo alla sfilata.» dice Lucas, distruggendomi il timpano con la sua voce pungente. Riattacco e infilo il telefono in tasca. Continuo a camminare verso la 247 West Street, mentre l’iPhone non trova pace e continua a squillare. Sarà sicuramente Lucas che ha dimenticato di dirmi qualcosa.
«Pronto?»
«Allora è così, eh? Ti dimentichi delle persone?» è una voce. Una voce maschile di cui il vago ricordo mi fa venire in mente lui.
«William?»
«Sei come le altre, avrei dovuto immaginarlo. Come le altre, siete delle puttanelle.» sbotta serio.
«Ma che cazzo ti viene in mente di dire? Lasciami in pace.» inveisco innervosita.
«Ma non ti libererai così facilmente di me.» borbotta, per poi riattaccare. Guardo impaurita il cellulare per un istante, poi lo ripongo in borsa.
Adesso ho una strana sensazione, una cosa strana, un peso appena caduto sulle mie spalle, un nuovo pensiero a cui dare importanza, un nuovo ostacolo ed una nuova causa a notti insonni, e a confermarlo, c’è il nuovo sms, che da quello stupido iPhone, arriva dritto nel cervello, fissandosi nella mia testa, e per niente intenzionato ad uscire.

Rimango su quelle due righe per due minuti, fissandole, facendo finta di cancellarle parola per parola, lettera per lettera.
Rimango a fissarle pensando che, veramente, niente sarà più come prima.

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Capitolo 42
*** Capitolo quarantadue. ***


 The last vogue. 

Mi infilo le scarpe, velocemente e avverto Lucas. «Io vado.» gli sussurro all’orecchio, prima di uscire. È la prima volta in passerella che penso ad altro, non è più un mondo parallelo in cui i problemi spariscono, no. Penso a come William mi ha parlato al telefono, al suo messaggio e alle sue cattive intenzioni. Ho paura.
 
«E adesso che altro vuoi?»
«Ti prego, William, parliamone.» lo imploro, disposta a tutto pur di non perdere la sua amicizia. «Io ho bisogno di te.»
«Si vede, sai? Si vede benissimo nella rivista in cui ti hanno sorpresa mentre stavi con lui.» dice impassibile. È geloso o cosa?
«Will, non sei il mio ragazzo! Non hai il diritto di dire queste cose!» sbotto.
«Ah no? Tu non avevi il diritto di abbandonarmi.»
«Scusami.» cedo. «Scusami se non ti ho chiamato, non mi sono più fatta viva. Scusami.»
«Io…» borbotta lui. «Io non volevo parlarti in quel modo e non volevo allarmarti con quel messaggio. Io penso solo che Nick sia stato uno stronzo e voglio proteggerti.»
«Grazie, William, ma so difendermi da sola.» mento. Non mi so difendere per niente, ma ho bisogno ugualmente di imparare a farlo. «Adesso, ti prego, smettila di fare così e cerchiamo di vederci.» mi ricordo di aver pensato, qualche minuto fa, che Will sia diventato pazzo. Nel momento in cui ho letto quel “Di addio alla tua vita”, ho davvero creduto che William si fosse impegnato per rendermi la vita un inferno. Ma non sarà così.
«Ok, a Times Square?»
E che Times Square sia.
 
«Ti chiedo perdono, ancora.» dice abbracciandomi, stringendo i miei fianchi tra le sue braccia e appoggiando il suo mento sul mio capo. Devo ammettere che mi è mancato, anche se ho praticamente dimenticato la sua esistenza, ma ciò non toglie che la sua reazione mi ha spaventata.
«Scusami tu, non avrei dovuto “abbandonarti”.» afferro la sua mano e cerco un bar appartato, per evitare alcun contatto coi paparazzi, non vorrei creare scompiglio, di nuovo. Ci fiondiamo in un minuscolo bar.
«C’è qualcosa che non va?» chiedo. Certo che c’è qualcosa che non va.
«No.» sbotta spalancando i suoi occhi a me. «È solo che è ridicolo tutto questo. Tu che torni con una persona che non si fa sentire per un mese.»
«Era meno di un mese e poi mettiti nei miei panni, io lo amo.»
«Si, ma almeno potevi dirlo al ragazzo che…» si blocca, forse consapevole di dire una stupidaggine, ma adesso non vale, adesso deve parlare.
«…che?»
«Tu mi piaci e lo sai.» no, non lo so.
«Cosa?»
«E ci siamo anche baciati. Voglio dire, mi hai illuso.» io non illudo le persone, è impossibile.
«Si, e poi ti ho detto che mi piacevi, ma non mi piaci più, potevi dirmelo prima, no?» okay, sto speculando sulle mie bugie, gli sto dando la colpa mentre la colpa è mia, cosa c’è di buono in questo? Sono un fottuto genio.
«Andiamo, Miley. Io non volevo assolutamente creare problemi tra te e Nick, ma adesso mi rendo conto di quanto tu sia stata stronza a dimenticarti di me solo mettendoti col tuo ex.» spara cazzate su cazzate e questo non mi va a genio.
«William!» sbotto esausta. «La smetti di offendermi?»
«Scusa.» mormora abbassando lo sguardo. Sospiro: io e la mia boccaccia, è tutta colpa sua se è andata a finire così. Io e le mie bugie.
«Allora…io ti piaccio, tu non mi piaci, cosa vogliamo fare?» chiedo, come se la risposta ce l’avesse lui. Silenzio. E nessuno parla. In segno di scoraggiamento, appoggia i gomiti sul tavolo e affonda la testa nelle mani, mentre io mi lascio andare a quella sedia, sdraiandomi e sperando di scomparire. Non avrei mai maledetto il giorno in cui l’ho conosciuto, eppure sta succedendo, niente era previsto, ogni errore è improvviso, sono stata stupida e lui ha tutte le ragioni del mondo: ma adesso che cazzo faccio?
«Ascolta, io adesso sto con Nick, credo che dovresti metterti l’anima in pace e ciao.» era l’unica cosa da fare. Mi affretto a prendere il cappotto. Lui si alza di scatto, impressionandomi.
«E adesso?» dice in lacrime. «E adesso che faccio io?» no, non guardarmi così. «Per te non è un problema, te ne andrai col tuo ragazzo dimenticandomi, e io rimarrò qui a contemplare i tuoi pianti su di lui!»   
«Abbassa la voce.» sussurro, tenendo lo sguardo fisso sul suo, disperato. Non posso fargli questo, non dopo tutto quello che ha fatto per me. Mi avvicino a lui, lentamente, intenzionata ad abbracciarlo. Avvolgo, quindi, le mie braccia attorno al suo collo. Non ricambia. «Non costringermi a farlo.» dico a bassa voce, quasi impercettibile, ma lui mi sente, e mi sente forte e chiaro. Mi rivolge uno sguardo e una lacrima gli scivola giù da una gota.
«Sparirò.» ribadisce triste. Lo faccio, ma non per farlo sparire, per fargli sapere che non esiste persona migliore di lui anche se appartengo ad un altro. Mi aggrappo alle sue spalle in modo da arrivare al suo viso e appoggio le mie labbra sulle sue. Non c’è niente, non c’è amore, non ci sono pensieri cattivi, ci sono due persone che hanno sbagliato e che stanno cercando di rimediare senza farsi male, ma a farsi male c’è sempre qualcuno.
 
Tutti commettono sbagli, tutti ne pagano le conseguenze, adesso la cosa migliore da fare è guardare avanti.
 
«Tanti auguri a Miley, tanti auguri a te!» cantano in coro. Prendo un respiro profondo e soffio su quelle ventuno candeline, che simboleggiano il mio primo anno di voga. Il fuoco si spegne, mentre gli altri scatenano un forte applauso. Osservo la torta, che più bella non potrebbe esistere: chi l’avrebbe mai detto che la copertina su cui è comparso il mio volto sarebbe finita su una torta? Sorrido, pensando a quanto bizzarra sia la mia famiglia.
«Ora hai ventun anni, sei felice?» chiede Nick ironico, fiondando l’indice nella torta, nel mio occhio, per essere precisi. «Ma sei sempre più bassa di me.» aggiunge mangiando la panna sparsa sul dito.
«Smettila! Stai parlando con una modella, non con un nano da giardino.» rispondo divertita.
«Quel titolo lo occupa già Demi.» interviene Joe, scatenando l’ira della Lovato, che a sua volta, ride allegramente.
«Si, ok, sono bassa, lo so.» ammette. Ci sono anche Tom e Lucas, qualche modella e degli stilisti, i più stretti. Non è un compleanno speciale, è un compleanno come tutti gli altri, il primo compleanno che festeggio senza dover esprimere il solito desiderio.
«Okay, bambini, girate a largo.» ci ordina mamma. «Devo tagliare la torta.»
«Mamma, ne voglio solo un po’.» le sussurro, mentre Nick e gli altri avanzano verso il divano.
«Ma è la tua torta!»
«Lo so, ma è già tanto che la mangio, non devo pesare più di quarantotto chili alla sfilata.» dico tutto d’un fiato, ricordando i giorni appartenenti al passato, in cui un granello di zucchero era un reato per la mia bilancia. Dopo aver ottenuto il consenso di mamma, faccio per unirmi agli altri, ma qualcuno bussa alla porta.
«Forse è la vicina, apri.» dice papà indicandomi la porta. Come ha detto lui, corro ad aprirla, sobbalzando a colui che si impone davanti a me.
«Buon compleanno.» chiudo di scatto la porta.
«Cazzo!» sbotto. «Will, che ci fai qui? C’è Nick, ci sono tutti!» che codarda che sono.
«Volevo solo farti gli auguri e darti questo.» dice sfilando una bustina rossa dalla tasca. I suoi movimenti sono sempre più lenti e io sono sempre più nella merda. Cavolo, William, muoviti. Ad un tratto, avverto il bagliore della luce di casa liberarsi dietro di me. Trattengo il respiro per un secondo, per poi voltarmi. La fine del mondo. I folti ricci di Nick contro i capelli perfettamente piastrati di William, i suoi occhi azzurri contro le due pozze nere del Jonas.
«Ciao, vuoi un po’ di torta?» chiede Nick, spiazzandomi. Torta? Gli chiede se vuole della torta?
«Lui è William, un mio vecchio amico.» improvviso, mollando una pacca sulla spalla al principino.
«Già, vecchio.» sussurra William sorridendo. Si. Vecchio, per me è già molto vecchio. «Piacere, tu devi essere Nick, il suo ragazzo.»
«In carne ed ossa, su entra.»
«No, sono di fretta, magari un’altra volta.» ah, grazie al Cielo. «Tieni.» mi porge la bustina e se ne va. Sinceramente, me lo immaginavo peggio il famigerato incontro. Rientro in casa, dove la festa è tranquillamente in corso.
Per adesso va tutto bene, giusto? Quindi posso rilassarmi il giorno del mio compleanno, giusto?
 
Ormai è una tradizione che ad ogni fine compleanno, dobbiamo andare in discoteca. A prescindere dal fatto che non ho mai sopportato la musica a palla e l’alcool (anche se ne bevo litri), in discoteca c’ho passato le esperienze peggiori. Continuo a ripetermi di smetterla di farmi paranoie, tanto sarà solo per stasera, ma il ricordo persiste, quella mezza estate gettata nella coca è ancora impressa nella mia memoria.
«Hai finito?» chiedo a Demi, impegnatissima a scegliere tra due paia di scarpe, a mio parere, identici.
«Si.» risponde afferrandone un paio. «Devo solo pisciare.» entra in bagno e, gettandomi sul letto, l’attendo. Dopo qualche minuto, si rifà viva, uscendo velocemente dalla stanza. «Posso lasciare qui l’iPhone?» chiede appoggiandolo sul comodino. Annuisco e mi affretto ad uscire. Nick e Joe ci aspettando in macchina, saranno furiosi. Raggiungiamo l’auto e, mentre i ragazzi accelerano verso una delle numerose discoteche di New York, io frugo nella mia mente, alla ricerca di un metodo che trasformi cinque ore in trenta minuti. Anche la musica in auto è assordante, la serata inizia male.
«Che palle! Abbassa la voce!» inveisco contro Joe, che, ignorandomi, continua a muovere il capo a ritmo di Beez in the Trap. Dopo dieci minuti di tortura, arriviamo.
«No!» esclamo alla vista di quella discoteca. Questa non è una discoteca, questo è l’inferno.

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Capitolo 43
*** Capitolo quarantatré. ***


lo so, mi odiate, sono una buona a nulla, sono da buttare, vi ho fatto aspettare un sacco e mi dispiace!
Questo capitolo è abbastanza lungo, quindi spero di farmi perdonare. çç
scusatemi ancora, buona lettura dolcezze. 

 The last vogue. 

«Non dirmi che non vuoi entrarci.» bisbiglia Joe, quasi minacciandomi. Ingoio la saliva formatasi dal nervoso e scendo dall’auto. Ricordo benissimo questa discoteca, Amanda, le sue intenzioni e le intenzioni di Noah. Ricordo l’inferno passato quella notte a casa di Nick, ricordo le notti insonni a pensare al contenuto del mio corpo, ricordo le parole di Amanda prima della sua morte.
«Questa è una vera discoteca! Qui non si ballano canzoni pop remixate, qui si balla la musica vera!» comunica Joe fiero, contemplando l’insegna illuminata della discoteca.
«E smettila, parli come un cretino.» dice ironica Demi, fiondandosi tra le braccia del suo amato. Nick si avvicina a me.
«Tutto a posto?» mi chiede, circondandomi i fianchi con un braccio. Annuisco ed entro, controvoglia, avvertendo subito la musica assordante penetrare nelle mie orecchie, trafiggendomi il cervello. Cinque ore così impazzisco. Nick si allontana da me, invitandomi a seguirlo, ma io rimango qui, al punto più vicino alla strada. Sono devastata. Voglio andare a casa e chi se ne frega del compleanno rovinato, voglio un letto, un cuscino e almeno otto ore a disposizione per chiudere gli occhi e respirare.
«Ma chi si rivede.» sento una voce dietro di me. Mi giro, ma non c’è nessuno. Forse non era per me. «Hey!»
«Noah!» urlo spaventata. «Che ci fai qui?» Noah. Noah era in carcere. Noah è in discoteca. Com’è possibile? Mi sono persa qualcosa?
«E così hai deciso di venirmi a trovare?» chiede nuovamente, alludendo a quella settimana passata nell’inferno totale.
«Non per ciò che stai pensando.» chiarisco, non voglio fraintendere. Sono col mio ragazzo ora ed è il mio compleanno. «E poi tu non eri in carcere?»
«Non ti hanno ancora insegnato che con i soldi si fa di tutto oggi?» chiede retoricamente accendendosi una sigaretta. Che trasgressore. «E comunque, tutto bene?»
«È il mio compleanno.» lo informo a braccia conserte.
«Oh,» esclama, fingendosi stupito «allora mi tocca darti un regalo.» si infila una mano in tasca, chiudo gli occhi per un secondo e prego Dio che non sia quello che sto pensando. «Tieni!» sorride, porgendomi una nuova bustina. Come immaginavo.
«No.» sbotto innervosita.
«Tieni!» insiste, avvicinando quella merda al mio naso.
«No!» urlo mollandogli uno schiaffo sulla mano, facendo cadere la bustina. Lui la raccoglie innervosito e spegne la sigaretta a terra, andandosene. Meglio così. Dopo così tanto tempo, l’ho rivisto, dopo tutto quello che è successo, mi fa stranissimo. L’importante è non ricordare come l’ho conosciuto. Ho chiuso con quello, e con tutto ciò che riguarda la droga, non voglio più soffrire e non voglio far soffrire. Ho chiuso con questi ambienti e sinceramente non so nemmeno il perché sia qui, in questo schifo di posto. Ma in fondo sono cose che ognuno nella vita deve fare, entrare in una discoteca pensando di essere il più forte, lasciarsi andare per una sera, sballarsi. L’unica cosa che rimpiango, è di non averlo fatto con loro.
 
«Sono ubriachi.» mormora Nick indicandomi Demi e Joe, barcollanti. «Andiamo a casa.» dice poi, infilandosi rapidamente in macchina. Che gli è successo? Sembra triste. Inizia a guidare nervoso, forse a causa dei due che pronunciano versi incomprensibili. Gira vero la Wooster Street, fermandosi a qualche metro da casa mia.
«Mi spetta una ricompensa per aver fatto da baby-sitter a due ventenni.» dice annoiato. «Scendi, non voglio sfogarmi su di te, piccola.»
«Si. Però…» ma lui mi interrompe.
«No, non insistere…»
«Nick questa è la mia macchina.» adesso, non vorrei essere nei suoi panni: ridere e fare la figura dell’idiota, o continuare a fare il finto incazzato e fare lo stesso la figura dell’idiota. Lui annuisce serio, sorrido. “Sei un cazzone” penso, certo che lo è, non sa nemmeno di chi è la macchina che sta guidando. Guardo l’orologio: le tre e un quarto del mattino.
«Forza, ti do un passaggio per casa.» riprende a guidare, tornando indietro e fermandosi a casa sua. Mi lascia un bacio sulle labbra e scende in silenzio, mettendosi il fratello alle spalle. Faccio lo stesso con Demi, per poi portarla dentro.
«Ci vediamo.»
«Ti amo.» mormora entrando in casa. E solo per questa frase, questo compleanno sarà ricordato.
Entro in auto e vado verso casa, sperando che mamma e papà stiano dormendo, dopo una serata così non riuscirei a sopportarli.
Arrivo a casa, entrando in silenzio e rifugiandomi in camera. Mi guardo allo specchio: che orrore. Gli occhi sono neri, i capelli spettinati, l’unica cosa da fare è dormire, così prendo il pigiama e me lo infilo velocemente addosso, buttandomi sul letto e sperando di prendere sonno il più presto possibile.
 
«Miley!»
E adesso chi cazzo è?
«Credo che Nick voglia parlarti.» apro gli occhi, mamma.
«Cosa? Che c’è?» ripeto assonnata.
«Nick è qui, vuole parlarti.» dice seria. Non sembra una cosa buona. Mi alzo, stendendo le gambe e appoggiandomi allo schienale del letto.
«Fallo entrare.»
Vedo il riccio entrare nervoso nella stanza con una rivista in mano. La sua espressione non promette niente di buono. Prende un respiro profondo, poi abbassa lo sguardo, poi mi lancia la rivista, scatenando tutta la rabbia accumulata nei cinque secondi precedenti.
«Fanculo!» sbotta andandosene. Ma che cazzo? Afferro la rivista e osservo per bene la copertina.
No.
E che ci faccio io qui con William? Perché sono qui? Chi cazzo ci ha fotografati?
Sobbalzo, buttando la rivista sul letto e correndo da Nick, già fuori casa.
«Nick!» urlo. «Aspetta!» riesco a raggiungerlo, lo prendo per le spalle, facendolo voltare verso di me. È in lacrime. «Ti prego, fammi spiegare.»
«Ok. Spiega. Ma qualsiasi cosa mi dirai non cambierà nulla.» mormora a voce bassa, talmente bassa da non riuscire a sentire i singhiozzi che gli provoca il pianto.
«Io ho chiuso con lui, quella è l’ultima volta che ci siamo visti, non amo lui.» ho l’impressione che non mi crederà.
«Bene, credo che hai chiuso anche con me.» sbotta andandosene. Non può lasciarmi. Non posso lasciarlo. Mentre penso se correre di nuovo da lui o perdere le speranze, lui si allontana sempre di più verso la sua macchina, parcheggiata davanti alla mia. E, nel momento peggiore, dei paparazzi si avvicinano alla mia casa, scagliandosi contro di me mentre lui, il mio ragazzo, il ragazzo che ho appena deluso, scompare. Loro cominciano a scattare delle fotografie e dovrei preoccuparmi visto che ciò che mi copre non è altro che una misera camicia, potrei fare scandalo, ma non mi interessa. E tutte le loro domande, mi scivolano addosso. Ma non può finire così, non può essere vero. Questo è troppo brutto per essere vero. Non so se maledire il giorno in cui ho baciato William al bar o il giorno in cui l’ho conosciuto, sarei falsa in entrambi i casi dato che tutto questo, è solo per colpa mia. Come sempre.
 

Mi ritrovo sempre a soffrire, cazzo. È l’ennesima volta che sto male per qualcuno o qualcosa da quando ho sfondato in passerella. Questa è la seconda volta che mi ritrovo senza di lui e credo non ce ne saranno altre, perché stavolta è per sempre, me lo sento.
Appoggio i gomiti sulla toletta e affondo la testa nella mani. Mi guardo allo specchio. Orrore, di nuovo. Prendo un fazzoletto e ripulisco la zona occhiaie, praticamente sporca di mascara a causa delle lacrime. Ma non devo piangere, non serve a niente.
«Miley, tocca a te.»
«Arrivo.» rispondo annoiata. Mi alzo, trasportandomi la coda del vestito, tinta di blu. Un’altra sfilata. Un’altra voga, e poi nessuno mi ricorderà più. Poi ci sarà un altro scandalo, magari un mio parente morirà e subito, tutti gli stilisti mi vorranno, le riviste chiederanno di me e i fotografi mi daranno la morte, e poi? Poi buio totale, in attesa che un’altra nuova disgrazia si accorga di me.
Esco dal camerino e avanzo verso la passerella, salendoci sopra.
«Attenta ai tacchi.» mi avvisa lo stilista. Una caduta farebbe meno male di ogni cosa, adesso, ma comunque, faccio attenzione a dove mettere i piedi e subito, mi ritrovo alla fine della passerella.
«Miley, tu vieni con me.» sbotta lo stilista, Ed. Non è una marca famosa, ma devo ammettere che i suoi vestiti sono tra i più belli e sono finiti su molte modelle famose.
«Devo andare a casa.» rispondo cortese, anche se la mia voglia di schiaffeggiarlo è pari a cento per la sua arroganza.
«No.» ripete. «Vieni con me.» la sua espressione è impassibile e questo mi mette ansia. Corro a cambiarmi, mentre lui sistema sorridente le modelle per il resto della sfilata. Mi infilo gli abiti normali e faccio per scappare dalle intenzioni del tipo.
«Ti ho detto che devi venire con me.» dice una voce bassa e rauca. Mi volto lentamente. Sono confusa, e non poco. Controvoglia, lo osservo mettersi il cappotto per poi seguirlo in limousine. È alto, sui trentacinque anni, ha i capelli scuri e due occhi azzurri, simili a quelli di William. In silenzio, percorriamo una strada buia, giungendo poi, non so come, al centro di Manhattan. La limousine si ferma davanti un hotel, scendiamo dall’auto ed entriamo dentro, rifugiandoci dalla pioggia. Per quanto l’albergo possa essere bello, non ho ancora capito cosa voglia questo stilista da me. Senza rivolgermi uno sguardo, sale verso il quarto piano, e io non posso fare altro che seguirlo. Stringo il cappotto tra le mani e sento l’ansia salire ad ogni passo. Entriamo nella camera, una delle più lussuose.
«Io devo andare.» azzardo.
«Fa come se fossi a casa tua.» è anche sordo, perfetto.
«Davvero, devo andare…» fingo un sorriso, tanto per sembrare tranquilla. «Per favore.» lo imploro. Lui non risponde. Viene verso di me, fermandosi ad un centimetro dal mio corpo. Mi sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi mi sfiora la punta del naso con l’indice. Avvicina il viso al mio e, all’improvviso, mi ritrovo le labbra spiaccicate alle sue. Cazzo, no! Lo spingo, ma lui insiste e mi stringe a se con un braccio. Mi dimeno e riesco a liberarmi sferrandogli un pugno. Non volevo. No.
«Oddio!» esclamo dispiaciuta.
«Cazzo! Guarda che hai fatto!» inveisce, provvedendo a fermare la fuoriuscita di sangue dalle narici. Ma con tutte le modelle che lavorano per lui, perché dovrebbe violentare proprio me? «Vaffanculo, cazzo!» continua. Continuando a stringere il cappotto, mi avvio verso l’uscita della camera per poi correre verso l’ingresso dell’hotel e scappare. Ma che cazzo voleva? Che schifo, qui sono malati. Chiamo un taxi e mi affretto ad entrare.
«Wooster Street.» comunico, scioccata da ciò che stava per accadere. Il tassista parte, portandomi lontano da quell’hotel.
Controllo il cellulare: niente. Vado nei messaggi, l’ultimo è di Nick.
Buonanotte e buon compleanno, credo di essere stato il primo quest’anno. –Nick
Me lo mando a mezzanotte, io ero a letto e mi dimenticai di rispondere e anche per questa sciocchezza, sto per sentirmi male. Sento che stavolta è per sempre. Stavolta non ritornerà. Stavolta è finita.  

«Joe? Posso parlarti?»
«No.» sbotta, mentre le mie lacrime continuano a scivolare.
«Ho bisogno di lui, faglielo capire.» lo supplico. Oggi è una giornata pessima, la tipica giornata di novembre, la tipica giornata di merda. «Joe…»
«Miley, mio fratello sta di merda per colpa tua e di…quello lì.» dice, disprezzando le sue due ultime parole.
«Lo so, ma quello non era niente, lui non…» e le parole mi muoiono in gola, mentre le lacrime no, loro scendono giù per le guance, senza fermarsi mai. Lasciamo perdere. Riattacco, dando inizio ad un pianto isterico e disperandomi.
 
Appoggio i piedi sul piatto, pensando a tutt’altra cosa. Guardo avanti a me, per poi riportare lo sguardo sulla bilancia. Non rivolgo alcuno sguardo allo stilista e ai suoi collaboratori. Questo non è uno stilista. Questo non è un bravo stilista.
«Sai quello che sto per dirti, vero?» chiede con tono minaccioso. Osservo il numero che cambia a seconda della mia posizione. Sposto il peso su una gamba e la lancetta inizia ad agitarsi, fermandosi poi su un altro numero. «Cioè, sei una modella, fai parte della moda, non del circo. Mi fai ridere.» sta esagerando, decisamente, nessuno stilista mi aveva mai trattata così prima d’ora.
«Cos’è?» gli chiedo, scatenando la sua rabbia su di me.
«Cos’è? È un fottutissimo numero che supera i quarantacinque, hai presente? È lì, davanti a te, e devi farlo scomparire!» inveisce, mentre io rimango impassibile, stranamente. «Hai scelto di fare la modella, bene, le modelle non aprono bocca.» ci metto qualche secondo, ma poi capisco a cosa si riferisce. In effetti, non mangio da un bel po’, ma per un altro motivo. Ha ragione. Le modelle non mangiano. Le modelle soffrono. Punto.
 
«Mamma, mangio fuori.» mento.
«Oh…va bene…» risponde delusa. Mi dispiace, mamma, ho una carriera. In realtà non mangio fuori. In realtà non mangio, me l'ha detto lo stilista. Metto giù il telefono e riprendo a guidare. Non so dove sto andando. Non so che sto facendo. Voglio scappare. 

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Capitolo 44
*** Capitolo quarantaquattro. ***


 The last vogue. 



ciao a tutte!
Scusatemi. Scusatemi. Scusatemi. Scusatemi. Scusatemi. Scusatemi se sto postando in ritardo, non ho potuto scrivere prima e questo capitolo fa schifo, ok. Grazie come sempre per le recensioni, siete jkldfjgfdjògdfjkònhjòsdfk.
Buona lettura;

Non avrei dovuto. L’ho fatto di nuovo e mi sto facendo male. È questo il modo in cui deve andare. Adesso la parola chiave non è più sogno, è sofferenza. Appoggio le mani sui bordi del water, aspettando. Aspetto ancora qualche secondo, prima di avvertire quella schifosa sensazione allo stomaco. La sento salire per tutto il corpo fino a giungere alla bocca, che si spalanca immediatamente. Chiudo gli occhi, evitando di guardare. Da quanto va avanti così? Vomitare dopo aver mangiato, dopo aver pensato di stare bene guardando negli occhi di mamma o di qualsiasi altra persona ignara di ciò che accade in me. Sto male, questo lo so, ma forse non voglio ammetterlo per paura di sembrare ridicola. Lo sono di più nascondendolo, allora lascio che vada così, l’ho voluto io tutto questo, me lo ricordo. Mi ricordo del giorno in cui ho telefonato la Vogue Agency. È colpa mia. Non loro.
«Miley, hai finito?» urla mamma fuori dal bagno.
«Si!» rispondo. Mi piazzo davanti allo specchio, scrutando per bene la zona occhiaie. Prendo del correttore dal cassetto e cerco di nascondere quelle due enormi fosse viola fisse sotto il verde dei miei occhi. Giro la chiave e apro la porta.
«Quando la smetterai di passare ore intere in bagno?» chiede mamma esausta dell’attesa.
Semplice, quando starò bene.
 
Per l’ennesima volta, premo il tasto verde, avviando la chiamata di Nick.
Per l’ennesima volta, premo il tasto rosso, dopo aver atteso sei inutili secondi. È da quando mi ha “lasciata” che provo a chiamarlo, ma lui non mi risponde e questo mi fa stare male. Una lacrima, due, tre, ormai è automatico piangere dopo averci provato. Sono stanca.
Controllo la cartella dei messaggi, uguale all’ultima volta che la vidi. È come se tutto il mondo si voltasse contro di te, come se fossi l’unica al mondo a soffrire ma non è così, perché gente come te soffre più di quanto soffri tu e questo dovrebbe essere un motivo per cui tu possa andare avanti, ma è così difficile sapere che non ci puoi fare niente, che la tua vita è questa e deve starti bene. È così difficile vivere la tua vita mentre sai di poterne vivere una migliore, una in cui comandi tu, in cui scegli tu quanto essere grassa, in cui scegli tu che scuola frequentare, in cui scegli tu la persona da amare, sarebbe troppo facile così. Non ci riesco senza Nick, senza Joe, e naturalmente anche senza Demi, che non si fa sentire da giorni. Mi sento sola, cosa che succedeva raramente quando non ero questa Miley. Ho una sfilata. Adesso. Un’altra. Non smetto di pensare alle parole dello stilista, mi voleva più magra, due chili in meno ha detto e io non faccio che vomitare. È un inferno. Ma non posso lamentarmi, in fondo me l’avevano detto tutti il rischio che correvo, la moda non è facile, la moda è sacrificio, la moda è questo: vomito e passerella.
Mi sistemo i capelli e avanzo verso la passerella, cercando di non svenire. Faccio un respiro profondo e mi affretto a farmi vedere.
 
«Mi faresti compagnia?» chiede Cindy, infiltrandosi nel mio camerino. «Scusami, non volevo disturbarti.» l’ho conosciuta un po’ di tempo fa ad una sfilata, una delle poche modelle con taglia quaranta.
«Non fa niente.» mormoro togliendomi il rossetto e le varie schifezze dagli occhi.   
«Ho parlato con lo stilista.» afferma sedendosi accanto a me.
«Davvero?» rifletto per qualche secondo, pensando a cosa avrebbe potuto dirle, ma nel momento in cui giro lo sguardo verso di lei, incontro il suo sguardo, freddo, triste. Dai suoi occhi scendono lacrime su lacrime e il suo volto pallido è divenuto rosso.
«Credevo di essere perfetta per questo lavoro.» sussurra, singhiozzando. «Ma evidentemente non lo sono.»
«Perché? Sei bellissima.» è davvero bella.
«Sono aumentata, Miley, è ovvio che non mi vuole più.» si asciuga le lacrime con il dorso della mano.
«Non ti vuole più?» chiedo.
«Ha detto che se non ritorno al peso di prima mi licenzia, ma io non posso abbandonare questo lavoro, ne ho bisogno.» che merda.
«Capisco.» e mi limito ad abbracciarla, non so che fare, mi trovo nelle sue condizioni e anche io avrei bisogno di un abbraccio. È bruttissimo lottare con la salute per uno stupido lavoro. Nel mondo reale sei magra, nel mondo della moda devi diventarlo. Queste ragazze, ce ne sono di tutti i tipi, bionde, more, occhi azzurri, occhi marroni, e sono tutte bellissime, e vengono trattate tutte uno schifo. Chi l’avrebbe mai detto che tra queste ci sarei stata anche io?
«Ti prego, rimani con me stasera.» mi implora, spalancando i suoi occhi azzurri davanti ai miei. Gli stessi occhi di Amanda. Belli e penetranti.
«Certo…» mormoro. Ci alziamo, mi prende per mano e mi trascina fuori, mentre continua a singhiozzare. Passiamo davanti allo stilista, che ci guarda impassibile. Non avrà sicuramente notato lo stato d’animo di Cindy e anche se fosse stato, non gliene sarebbe fregato un cazzo.
Chiama un taxi, e appena uno di loro accosta a noi, ci affrettiamo ad entrare.
«Si fermi tra dieci isolati, grazie.» dice Cindy. «Miley, come sta William?»
«Che ne sai tu di William?» chiedo. Che domanda stupida, ormai lo sanno tutti.
«Non è il tuo ragazzo?»
«No, Cindy, non è il mio ragazzo.» chiarisco, immaginando di avere davanti a me Nick, in modo da farglielo capire una volta per tutte.
«Ma sulle riviste c’è scritto che…»
«So cosa c’è scritto sulle riviste.» sbotto. Se fossi in lei, sarei turbata dal mio tono di voce. «Ma non è vero.» appoggio la testa sullo schienale, voltandomi verso il finestrino. Le insegne dei locali scorrono velocemente sotto i miei occhi e questo mi ricorda quello che vedevo con Amanda, nella sua auto, mentre mi portava in giro per New York. In un altro lato di me, sento la sua mancanza in una maniera assurda. Era una ragazza da scoprire, una ragazza complessa, enigmatica e mi faceva davvero strano essere sua amica, forse era per questo che mi faceva così piacere. E Amanda, oltretutto, è riuscita a tirare fuori il lato cattivo di me. Quando ho iniziato a prendere della droga, è stato grazie a lei. Non lo dimenticherò mai. 

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Capitolo 45
*** Capitolo quarantacinque. ***


 The last vogue. 



Abbraccio Cindy, intenta ad inondarmi la spalla con le sue lacrime bollenti. Poggio una mano sui suoi capelli scuri e l’altra sulla schiena, o meglio, spina dorsale.
«Sono grassa, ti rendi conto?» ripete. Avrò sentito questa frase almeno dieci volte stasera.
«Vuoi andare a casa?» azzardo a chiedere. In effetti non sarebbe una cattiva idea. Fa cenno con la testa di no. Ma a quanto pare lei preferisce rimanere a piangere nel bagno di un fast food. «Ti prego. Ho sonno.» la imploro. Non mi reggo più in piedi.
«Okay.» sospira strofinando via il nero del mascara dalle gote. «Grazie Miley, sei davvero una ragazza dolce, se non fosse stato per te non so che fine avrei fatto stanotte.» afferma compiaciuta. Le sorrido, mentre la stanchezza prevale e i miei occhi si socchiudono. «E tocca a me portarti a casa a quanto pare…» aggiunge. Come minimo, Cindy.
Usciamo dal bagno, raggiungendo in fretta l’uscita.
«Aspetta.» la fermo, avvertendo la solita sensazione allo stomaco. «Sto per vomitare le patatine.» ammetto, senza vergogna.
«Che schifo!»
«Dammi un cestino.»
«Vieni qui.» afferra la mia mano e mi trascina a qualche metro dal fast food. Mi precipito al cestino e abbasso il capo, buttando tutto fuori, senza preoccuparmi della gente che probabilmente –anzi, sicuramente- mi sta guardando.
Già, la modella che vedere sulle passerelle sta vomitando, sta vomitando per essere quello che guardate sulle riviste, coglioni. Una volta finito, mi rialzo, sputando un’ultima volta per poi pulirmi con il polso. Merda.
«Cazzo, non avrei dovuto portarti qui, perché non mi hai detto che non potevi mangiarle?» chiede, ignara di tutto. Allora non ha capito un cazzo. La osservo minacciosa, sopportando il dolore atroce allo stomaco. «Oh…» c’è arrivata. «Miley, non dirmi che…»
«Cosa?»
«Cazzo, Miley, non starai mica…»
«Che cazzo stai cercando di dire, Cindy?»
«Tu sei anoressica!» voi e questa fottuta parola.
«No cazzo, smettila con quella parola io non sono grassa, io sono meravigliosa.» sbraito, cercando di trasformare quella brutta bugia in una verità, ma non ci sono mai riuscita e mai ci riuscirò. «Sono splendida!» concludo, sapendo che nei prossimi due minuti sarò nelle stesse condizioni in cui era Cindy nel cesso. Prima che possa vedermi in lacrime, mi fiondo tra le sue braccia. Mi stringe. Da quanto tempo non avvertivo le braccia di qualcuno attorno alle mie spalle.
«Su, è ora di andare.» già. È ora di andare.
Rapidamente, ci precipitiamo sul marciapiede alla ricerca di un taxi. Appena ne vediamo uno accostare, ci fiondiamo dentro. Dettiamo l’indirizzo e aspettiamo.
È così che ci si sente, allora, quando dopo la tempesta arriva un’amica –una vera- che ti ascolta anche se di te non sa nulla?
 
Sono stanca, sto per cadere, me lo sento. Infilo le chiavi nella serratura e spingo la porta, aprendola. L’aria tiepida della casa mi assale, facendomi sentire molto meglio. Poso le chiavi sul comodino e appoggio il cappotto sul divano. Faccio per andare in bagno, ma qualcosa mi ferma: la voce di mia madre, più acuta che mai anche dopo la mezzanotte.
«Miley.» a braccia conserte, mi chiama. Mi volto verso di lei. «Dobbiamo parlarti.»
«Mamma, che ci fai ancora sveglia?»
«Potrei farti la stessa domanda, sai?» la classica risposta-domanda che ogni adolescente dovrebbe aspettarsi dopo aver fatto le ore piccole con gli amichetti. Ma io non sono un’adolescente e non sono andata in giro con gli amichetti.
«Mamma, non fare così, ho ventun anni.»
«Sei bella come una ventenne e stupida come una tredicenne.» aggiunge impassibile. Non l’ho mai vista così seria.
«Che vuoi dire?» chiedo confusa.
«Che te ne puoi anche andare di casa, perché non sopportiamo più le tue uscite notturne e il tuo lavoro. Siamo preoccupati per te.»
«Non sopportate? Di chi parli?»
«Tuo padre ed io siamo stanchi di vederti digiunare. Siamo stanchi di vederti stanca perché passi le notti fuori per le sfilate, siamo stanchi. O lasci il tuo lavoro o…» la interrompo, sull’orlo di una crisi isterica. Non sopporto che le persone mi minaccino. Nessuno deve dirmi cosa fare.
«O cosa? Eh?» perdo letteralmente il controllo. «Adesso è per il mio lavoro, quello che odi tanto, che state navigando nell’oro ed è tutto merito mio! È tutto grazie a me, papà mi ha sempre buttato giù con la sua cazzo di università e a te non importava niente né di me né del mio futuro. A te importa solo quando sbaglio mentre poi sei bravissima a vantarti con le tue amiche,» rifletto, consapevole di aver rovinato tutto prima ancora di diventare famosa «perché è comodo dire che tua figlia è una modella mentre non sai niente di lei. T’importa solo della tua reputazione. Credono che è merito vostro che non sono una fallita mentre invece è stato merito mio.» mi sento benissimo, ma poi, appena vedo i suoi occhi azzurri colmarsi di liquido, di dolore, sento il mondo cadermi addosso. Non c’era niente di falso in quello che avevo detto ma di struggente, c’era tutto.
«Destiny Hope Cyrus!» urla battendo un piede a terra. Quel nome. Cazzo. Nessuno deve pronunciarlo. «Esci fuori di qui!» dice, putando la porta con la sua fottuta mano.
«Va bene!» urlo, senza preoccuparmi di svegliare papà. Lei mi guarda innervosita, non se l’aspettava. Corro verso la stanza, afferro la valigia e ci fiondo dentro più cose possibili. Maglie, Pantaloni, Abiti, tutto, senza lasciare nulla nel guardaroba. Ne prendo un’altra e riempio anch’essa. Sento il volto bruciarmi e la vista mi si offusca a causa delle troppe lacrime. La rabbia è più forte della stanchezza e, all’improvviso, il sonno svanisce e stavolta prevale l’orgoglio. Non metterò mai più piede in questa cazzo di casa.
«Miley, che stai facendo? Perché urlavate?» chiede papà alla porta della stanza, tenendo la mano di mia madre nella sua. Niente di più disgustoso.
«Me ne vado.» sbotto, realizzando che stavolta le cose erano vere. Non erano le sceneggiate da quindicenne, stavolta me ne vado davvero da casa.
«Ma sei impazzita? Tish!» la interpella confuso. «Tu non dici niente?»
«E che deve dire? Ha detto abbastanza.» intervengo, fulminandola con lo sguardo. Non ho preso proprio tutto, ci sono delle cose da aggiungere alle valigie, ma non posso, devo andarmene. Adesso. Sono due. Due valigie enormi che pesano il doppio di me, ma farò uno sforzo. Non oso pensare al modo in cui ho sistemato la mia roba lì dentro.
Mi avvicino a papà, alzando le punte e lasciandogli un bacio sulla guancia. «A presto, papà.» quando ritorno ai suoi occhi, non faccio che notare le sue lacrime.
«Poi ne parliamo e tu torni qui.» dice, sapendo che non tornerò mai più a casa. Senza rivolgere alcuno sguardo a mamma, avanzo verso l’ingresso trascinandomi dietro le due valigie, indosso il cappotto –ancora sul divano- ed esco.
A pochi passi da casa mia, realizzo che sono sola.
 
Coi Jonas, ho chiuso. Con Demi, anche. I miei genitori, via, per sempre. E adesso?
 
«Non dovresti camminare da sola a quest’ora.»
Lo ignoro, fingendo di essere tranquilla. Non lo sono. La sua bottiglia mezza vuota di birra mi spaventa. La sua puzza di alcool mi spaventa. La sua presenza mi spaventa. Cammino, ignorando i suoi simili a due metri di distanza l’uno dall’altro.
«Signorina, dove crede di andare con queste valigie?» chiede il buttafuori, posizionando un braccio per bloccarmi.
«Devo solo incontrare una persona.» affermo assonnata. «Per favore, ci metto un attimo.»
«Le tengo io queste.» dice l’uomo, più rigido che mai. «Ma faccia in fretta.» dopo aver sistemato il buttafuori, mi precipito dentro la discoteca. La discoteca. Quella discoteca.
Cammino, scansandomi i ragazzi alle prese con le prime sbronze e le prime dipendenze e, sentendomi una di loro, entro nella stanza. Quella stanza bianca, bianca come la mia fine.
«Miley…» si volta di scatto. Come immaginavo, è qui. «Chi non muore si rivede!» accenna, col suo sorrisetto da strafottente e la sua voglia di rovinarmi la vita. «Scommetto che sei venuta qui per quel motivo.» non so bene come l’ha capito, forse dal mio sguardo disperato o forse dalla mia aria da perdente e da fallita. Mi avvicino a lui, mentre lui infila la sua mano in tasca, in segno che me l’avrebbe data senza problemi.
«Consideralo come un regalo.» 

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Capitolo 46
*** Capitolo quarantasei. ***


 The last vogue. 



Tiro su col naso, aspirando subito la roba attraverso una banconota. Lascio che la spina dorsale si scontri con lo schienale del divano, buttando la testa all’indietro. Odio quello che sto facendo, odio quello che sono adesso. Non dovevo farlo e questo è ovvio, ma quando tutto ti va contro, tutti ti voltano le spalle e ti sembra di essere al top mentre invece si è solo giù a tutto, il minimo che puoi fare e disperarti e piangere. Ma io non voglio piangere, non dopo tutto quello che ho fatto per arrivare fino a qui. È colpa mia in fondo, l’ho creato io questo casino e devo occuparmene io.
«Devo ringraziarti?» chiedo a bassa voce. Sono stanca, non riesco a muovermi. Da quant’è che non provavo quest’orribile sensazione?
«Dipende da come stai.» risponde Noah compiaciuto, accennando un sorriso, però, malinconico. È contento perché una modella ha appena usufruito della sua droga e questo gli fa bene, ma la cosa che, sicuramente, gli fa più male, è sapere di aver appena rovinato la vita di una persona.
«Tu come mi vedi?» gli chiedo, prolungando la conversazione. Penso ad un modo per smettere di farlo parlare, ma sarebbe inutile perché so già che i sensi di colpa lo spingeranno a parlare, parlare e parlare.
«Ti vedo in pessime condizioni
«Quindi dovrei odiarti.»
«Però stai bene.» aggiunge. Sorrido, dandogli a pensare che l’effetto è appena cominciato.
«Sto benissimo.» sbotto, spalancando gli occhi.
«No.»
«Per favore.» alzo drasticamente il tono della voce, spaventandolo. «Sto benissimo.» afferro la mia borsa ed esco dalla stanza, raggiungendo immediatamente l’ingresso. Il bodyguard si volta verso di me, porgendomi le valigie. Le afferro per il manico ed esco dalla discoteca, ringraziandolo con un sorriso.
Adesso, l’unica cosa su cui posso sperare, è la follia. Non so che fare, non so dove andare. Non so nulla. Una cosa però è certa: sono sola. Ho milioni di soldi sul conto corrente e nemmeno una casa in cui vivere. Guardo l’orologio del cellulare e noto con dispiacere che sono le due di notte. Se non fosse una zona piena di discoteche non ci sarebbe un’anima viva. Devo ammettere che neanche adesso ce n’è una, sono tutti imbottiti di droga e alcool e sembrano dei morti viventi. Corro verso una fermata del bus, per stare al coperto e sedermi. Porto le valigie davanti a me e mi siedo. Socchiudo gli occhi, mentre la vista continua ad essere mezza sfocata. Che palle. Forse è l’effetto. Forse è il fatto di essere un fallimento anche da famosa.
«Prima volta?»
«Dopo mesi di astinenza.»
Apro di scatto gli occhi. Con chi ho parlato? E soprattutto di cosa ho parlato?
«Ah, quindi l’hai già fatto una volta?» dice, accendendosi una sigaretta. Un’altra. Che cazzo vuole adesso?
«Si.»
«E scommetto che adesso è stato migliore.» insiste, facendomi innervosire.
«È stato come le altre volte.» rispondo arrabbiata, allontanandomi da lei.
«Wow, devono essere state importanti visto che te le ricordi ancora.» la guardo infastidita, sentendo i muscoli diventare sempre più deboli. Mi squadra, porta la sigaretta tra le labbra e sposta lo sguardo sulle valigie. Mi preparo ad un’altra sua domanda, che non mancherà sicuramente. «Parti?»
«E dove dovrei andare?» chiedo ironicamente.
«Dovresti viaggiare molto per il lavoro che fai.»
«Che ne sai del lavoro che faccio?» se fossi in lei potrei pensare di parlare con la persona più antipatica del mondo. Ma sono sicura che lo pensa già.
«Sei appena diventata una tossicodipendente, a occhio sei trenta chili per un metro e ottanta, hai l’aria di un ciclista senza doping, cosa potrai mai essere? Un avvocato?» sbotta con aria di chi sa tutto quanto. Fa un ultimo tiro e butta l’aria fuori, per poi gettare la sigaretta. «Almeno vuoi che ti accompagni a casa? Non mi fa piacere che una come te sta in un posto così.»
«Quale casa?» chiedo nella più totale malinconia. Farei piangere chiunque con questa faccia. La ragazza mi osserva comprensiva, forse ha già capito tutto. Passa una mano tra i suoi capelli e prende una valigia per il manico. D’istinto, mi alzo e prendo l’altra.
«Vieni a stare da me per un po’, ti dispiace?» chiede senza imbarazzo, come se mi stesse chiedendo di portargli da bere. Faccio cenno con la testa di no, anche se il solo pensiero di abitare con una tipa così strana mi fa già girare lo stomaco.
Cominciamo a camminare. E, mentre lei prende posto davanti a me, io ne approfitto per guardarla meglio.
È troppo magra. So che non dovrei parlare a proposito di questo, ma non ho mai visto tutta questa magrezza in vita mia. La gonna è stretta e le arriva al culo, quindi si vedono benissimo le due gambe cadaveriche. Lo smalto nero accentua il pallore delle mani, anch’esse scheletriche e i capelli biondo cenere, così cupi e così belli. È una figa. Questo è ovvio.
 
Dopo qualche isolato percorso in silenzio, ci viene in contro un uomo. Un ragazzo. Disperato quanto noi.
«Allora?» chiede nervoso alla ragazza –di cui non conosco ancora il nome. Lei infila la mano nella tasca della giacca, poi la tira subito fuori mantenendo qualcosa, qualcosa che, subito dopo, va nelle mani del ragazzo. «Grazie Jessie.» esclama il ragazzo, contento. Jessie. Senza dire una parola, riprendiamo a camminare.
Jessie.
Jessie spaccia droga.
 
La casa è grande, abbastanza pulita e in ordine. È a due piani, presenta una scala all’entrata e un salotto immenso.
«Di sopra ci sono le camere, tu stai accanto alla mia.» dice togliendosi le scarpe. È impossibile che una ragazza così giovane abiti in questa casa così grande, da sola.
«C’è qualcun altro?» chiedo impaziente di salire di sopra.
«Io, papà, mamma e una tipa. Quella delle pulizie.» risponde salendo di sopra e raccogliendo i capelli in una coda di cavallo. La seguo, ansiosa di vedere le camere. Salite le scale –infinite- arriviamo ad un lungo corridoio. Solo tre camere. Devono essere enormi.
«Qui potresti stare tu.» dice aprendo la prima. Abbastanza grande, letto ben fatto, pareti bianche, armadio vuoto e un profumo di fiori. «La mia è più grande ed è anche piena di roba, non puoi capire.»
«Questa va bene…» dico poggiando le valigie sul letto ed aprendole. «Vorrei salutare i tuoi genitori, insomma, voglio prima sapere se c’è qualche problema o posso stare liberamente.»
«Ma certo che puoi. E comunque staranno dormendo, cosa che dovremmo fare anche noi, quindi le presentazioni sono rimandate a domani. Buonanotte.» prende un’altra sigaretta e l’accende, poi se ne va, lasciandomi da sola nella stanza. Mi prendo il mio tempo e provvedo a disfare le valigie, ordinando i vestiti nell’armadio senza creare troppo disordine, basandomi sul fatto che rimarrò qui il meno tempo possibile.
 
Ripongo l’ultimo capo nel cassetto e mi avvicino alla toletta, specchiandomi. Osservo la foto posizionata davanti allo specchio. È una foto dei suoi genitori con una bambina, immagino sia lei. Sospiro. Tutto questo mi ricorda mia mamma e mio padre. Quando una volta eravamo noi ad ospitare Demi a causa delle sue frequenti liti con il padre. Adesso tocca a me. Stacco il dito dalla cornice e mi infilo il pigiama, sdraiandomi sul letto. Chiudo lentamente gli occhi, cercando di terminare al più presto la giornata.
 
«Sveglia!»
Ma chi è?
«Oh, sveglia!»
«Sono sveglia!»
«Cazzo, ma quanto dormi? È quasi l’una! Vestiti, forza.» inizia a saltare sul letto, facendomi alzare da esso.
«Perché vai così di fretta?» chiedo sbadigliando.
«Perché la cameriera ha preparato il pranzo e i miei genitori ti aspettano di sotto.» dice scendendo dal letto. «Ti aspetto.» esce dalla stanza, fermandosi accanto alla porta. «Ah, ti chiami Miley, giusto?»
Sorrido.
«Si. Mi chiamo Miley.» annuisce compiaciuta e se ne va. Mi alzo dal letto, aprendo l’armadio e afferrando il primo jeans e la prima maglietta che vedo. Porto lo sguardo sulle solite converse e le indosso insieme al resto. Mi sistemo un po’ i capelli con le dita e corro di sotto. Una coppia, sulla cinquantina, è intenta ad apparecchiare il tavolo, mentre la donna in divisa è occupata a cucinare.
Fingo due colpi di tosse per avvertirli della mia presenza. La donna, suppongo sia la madre, si volta verso di me.
«Oh!» emana un urlo stridulo. «Tu sei Miley!»
«Si, piacere.» sorrido. Tutto questo comincia a piacermi.
«Sono la mamma di Jessie e lui è il papà.» dice indicandomi l’uomo lo saluto agitando la mano, come una bambina e lui ricambia con un sorriso. «Pranzi con noi?»
«Credo di si.» un altro sorriso. «Avete visto Jessie?»
«Oh, è in giardino. Chiamala e dille di venire, è quasi pronto.» annuisco ed esco dalla cucina, cervellandomi a capire quale strada prendere per andare in questo giardino. Esco fuori, ma tutto quello che vedo è un’auto nera fiammante parcheggiata appena sul marciapiede. Di Jessie non c’è nemmeno l’ombra. Rientro dentro, avanzando verso la fine del salotto.
Trovato.
«Che ci fai qui?» chiede Jessie, varcando l’ingresso d’emergenza.
«Ti stavo cercando.»
«Ti hanno mandato i miei.»
«No.» mento.
«Si invece.» la guardo in silenzio. «Hanno paura che riprenda a drogarmi.»
«Ti capisco.»
«No che non mi capisci, è brutto non avere la fiducia dei tuoi genitori.»
«No.» sbotto, nessuno può negare le mie esperienze. «Invece ti capisco eccome.»
«Che ti è successo?» chiede avvicinandosi a me abbastanza da far entrare la sua puzza di fumo dritta nelle mie narici.
«Un giorno ti spiego, te?»
«Sono semplicemente un’ex tossicodipendente. Tutto qui. Ho smesso con quella merda.»
«Ma stanotte con…quel ragazzo…» vedo il suo sguardo diventare sempre più divertito. Io la osservo stranita, visto che in ciò non ci vedo niente di così divertente.
«Ma chi quello?» scoppia. Scoppia in una fragorosa risata. «Quello non ha nemmeno le palle di farsi una canna!» continua a ridere e, per una volta, trovo del divertimento in fatti così drammatici. «Forza, andiamo.» mi prende per mano e mi trascina in cucina. Quasi faccio fatica a stare al passo con lei talmente che è rapida. Arriviamo e ci disponiamo attorno alla tavola, aspettando che il pranzo sia pronto. La famiglia è così unita, nonostante tutti i problemi causati dalla figlia. Sembrano persone così per bene, così semplici. Sarebbe bello stare qui per sempre, ma dubito di poterlo fare, dopotutto, questi tipi hanno una tossicodipendente in casa e non credo sia piacevole.
«Sanno che sei una modella, fanno solo finta.» mi sussurra Jessie facendomi un occhiolino.
Sorrido e riprendo a comportarmi come una persona normale.

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Capitolo 47
*** Capitolo quarantasette. ***


 The last vogue. 



Piegandomi in due, butto la testa nel water e, in un attimo, butto fuori il pranzo. Per quanto ancora dovrà andare avanti così?
Ovviamente, Jessie è fuori, ad aspettarmi impazientemente senza sapere che quello che sto facendo richiede diversi minuti. Mi ripulisco la bocca prima di precipitarmi al rubinetto e a riempirla d’acqua, mentre un brivido mi percorre la schiena al pensiero dello schifo che ho appena creato. Porto lo sguardo sullo specchio, osservando i miei capelli spettinati e scendendo verso gli occhi, lucidi e rossi. La voglia di alzare la maglietta e vedere cosa sta succedendo là sotto mentre vomito l’anima è abbastanza deprimente.
L’unica cosa da fare, è scappare. Scappare dai miei problemi e metterli da parte, almeno per adesso. Perché non posso mollare proprio quando sono all’apice del successo, o come diceva Lucas, in voga.
«Miley!» la voce di Jessie mi interrompe. «Ti muovi?»
«Si!» mi sistemo i capelli e apro la porta, uscendo dal bagno.
«Ci metti sempre così tanto tempo?» si lamenta legando fra di loro i lacci delle Converse. Fingo un sorriso –cosa che mi riesce molto bene- e annuisco. «Beh, che domanda stupida, sei una modella, è ovvio che passi così tanto tempo al cesso.»
«Perché le modelle dovrebbero passare più tempo in bagno secondo te?» chiedo, fingendomi interessata alla risposta.
«Sono tutte così attente ad apparire sempre belle e scheletriche, a farti sembrare una nullità.» risponde con aria di chi non se ne frega un cazzo. Teoricamente, la ragazza ha appena detto che sono scheletrica e dovrei sembrare offesa, ma come ho già detto, a lei non gliene frega un cazzo.
«A farti sembrare una nullità? Perché?»
«Perché le modelle si credono fighe solo perché vengono pagate per essere cadaveri.»
«Ti sembra così scandaloso? Sono anni che funziona così.» ribatto. Lentamente, si avvicina alle scale, sedendosi su un gradino. Faccio lo stesso.
«Così come? Ti sembra una cosa normale avere un lavoro solo perché si è magri e belli?» alza il tono della voce, sfilando una sigaretta dal pacchetto e accendendola. Me ne offre una ed io l’accetto. «No!» aggiunge soffiando via il fumo. Mi porge l’accendino, lo afferro innervosita dalle sue parole e lo accendo, portando la fiamma alla sigaretta, stretta tra le labbra.
«E tu? Qual è il tuo lavoro? Sentiamo!» cerco di provocarla, come ha fatto lei con me.
«Dovresti calmarti. La passerella ti ha dato al cervello.» mentre stringe la sigaretta tra le sue grandi labbra, appoggia il gomito su un gradino più alto, buttando la testa all’indietro. In silenzio, terminiamo le nostre sigarette.
 
«Dove vai?»
«Via.»
In silenzio, attraverso l’ingresso, raggiungendo la mia macchina, tenendo in mente una sola destinazione.
 
«Non ti sembra di esagerare?»
«Non sono cazzi tuoi.» sbotto sniffando l’ultima striscia bianca.
«Miley!» urla.
«Ma insomma, che cazzo vuoi?» inveisco voltandomi verso di lui. «Ti ho pagato e adesso devi tacere, se non ti sta bene tornatene in carcere, idiota!» infuriata, cerco di calmarmi, aspettando che la roba faccia effetto. Lui si stende sul divano, rassegnandosi.
«Quand’è la tua prossima sfilata?» chiede, quasi offeso.
«Stasera. Cavalli.»
«Dev’essere eccitante.»
«Non è più come sei mesi fa.»
 
I quindici minuti pre-sfilata sono sempre i peggiori, le modelle sono in ansia per i tacchi vertiginosi, infastidite dai push-up e dal make up pesante e cercano tutte un passatempo, anche il più stupido, in modo da far passare il più in fretta possibile quel maledetto quarto d’ora. Io sono una di quelle. Imbalsamata in un abito zeppo di glitter e bloccata su due scarpe praticamente impossibili. Il mio passatempo? Rimpiangere il passato lasciando scivolare lacrime sullo schermo del telefono. Troppi sms non inviati, troppi non ricevuti. Troppi mai scritti. Ed ecco cosa succede. Ci si ritrova immerse in un mare di lacrime osservando degli stupidi sms, le cose che rimangono di una vita precedente, una vita che sembrava essere imperfetta, infernale, mentre quella era vita, vita vera.
«Posso entrare?» qualcuno, fuori la porta, interrompe le mie drammatiche riflessioni. Mi asciugo in fretta le lacrime e controllo che il trucco sia a posto. Senza aver ricevuto il permesso, la porta si apre, lasciando intravedere lo stilista, il primo, che mi ha ordinato di dimagrire. Abbasso lo sguardo alla vista del suo sguardo severo e menefreghista. «È da un po’ che non ti vedo.»
Mi alzo, mettendomi al pari della sua altezza.
«E sembra che mi hai ascoltato.» dice compiaciuto scrutando ogni angolo del mio corpo. Poggia le mani ai fianchi salendo sul punto vita.
Cos’è, sono dimagrita? Ho perso più chili di quanto avrei dovuto? Ti dispiace adesso?  
Sbuffa.
No? Non va bene? Di più?
«Ce la fai a sfilare mercoledì?» chiede freddo, mentre le mie gambe cominciano a tremare e le mani a sudare. Annuisco spaventata. Le sue reazione sono improvvise e questo mi mette ansia.
«Bene, allora non c’è bisogno di rimpiazzarti. Per ora.» Rimpiazzarmi. Quanti l’hanno già fatto. «Ti porto io a casa stasera.»
«No!» sbotto. «Ti prego. No.» lo imploro, mentre le lacrime cominciano a riempire i miei occhi, pronte a scivolare giù.
«Oh, Miley, sei molto bella.» afferma sorridente. «E sei anche molto intelligente, giusto?» infila una mano tra i miei capelli, facendoli scivolare tra le sue dita congelate. Annuisco impaurita. «Abbastanza da capire che stasera dovrai venire con me.»
Attendo, cercando di capire per bene le sue intenzioni.
«Perché tu non vuoi avere dei problemi con me, vero?» le sue dita iniziano a piegarsi, aumentando la presa sui miei capelli piastrati. Sembra sia pronto per tirarli. Faccio cenno di no con la testa, chiudendo gli occhi, desiderando di scomparire per sempre. Silenzio.
Come previsto, sento un dolore colpirmi il capo, mentre lui continua a tirare. Lancio un urlo, spingendolo a tirare sempre di più. Le lacrime attraversano la zona occhiaie e riescono rapidamente a raggiungere la bocca. Molla la presa. Porto le mani in testa e cerco di calmare il dolore, anche se più importante, è non avere i capelli scombinati per la sfilata.
«A stasera, Miley.» e così, lo stilista se ne va, sicuro di sé, lasciandomi in un mare di lacrime. Coprendomi il volto con le mani, lascio cadere le mie ginocchia a terra. Voglio andarmene da qui. Niente è come sembra, la moda rappresenta tutto ciò che c’è di orribile nel mondo. Perché me ne accorgo solo adesso?
 
E adesso c’è il desiderio che questa sfilata non finisca mai, che duri per sempre, che mi faccia vivere per sempre quel sogno che ho sperato di poter realizzare dall’età di cinque anni. Perché quei pochi secondi, quel momento insignificante, in cui il mondo sembra tuo, i riflettori sono puntati su di te e puoi leggere lo stupore negli occhi della gente che vuole essere esattamente come te. Momenti così belli destinati a durare così poco. E per quel momento le ragazze fanno di tutto. Vale la pena perdere chili, passare ore allo specchio, demoralizzarsi, trattarsi male solo per quell’attimo? Pur sapendo che dopo è peggio? Pur sapendo che la tua vita è rovinata per sempre per colpa della bellezza? No. Perché dopo di te, ce n’è un’altra, forse più bella e più magra di te. Il mondo che un attimo fa era tuo, ora diventa suo. Gli occhi che un momento fa erano puntati su di te, ora sono puntati su di lei. La tua voga è finita. Un attimo splendi, l’attimo dopo ritorni nel buio della tua vita a collezionare disperazioni.
Ed è sempre così. Fino alla fine. Per sempre.   
 
«Allora sei davvero una ragazza intelligente!»
Paura. Ansia. Panico. Ho paura di lui. Mi affiderei a chiunque adesso.
«Eri davvero bella lì sopra.» sussurra lo stilista, appoggiando una mano sulla mia gamba. Nessun attore sarebbe capace di fingere un sorriso adesso, non c’è nulla per cui sorridere. È incredibile la quantità di tensione impressa in un taxi. Stavolta ci sono dentro e non sarà per niente facile uscirne.
Il taxi si ferma, lasciandoci di fronte un hotel. Troppo lussuoso per non essere il suo.
«Eric…» lo chiamo a voce bassa.
«Che vuoi?»
«Ti prego, ripensaci.»
«Ne abbiamo già parlato.» risponde nervoso. Ho peggiorato le cose. Perfetto. Adesso farei bene a stare zitta e subire una volta per tutte. Provo a tranquillizzarmi da sola, pensando che non sono l’unica a cui capita. Ma la paura è troppa e il solo pensiero che quest’uomo possa toccarmi con le sue mani –o che possano toccarmi mani che non sono di Nick- mi fa venire da vomitare.
Non sono l’unica. Non sono l’unica. Non sono l’unica.
Ma sono l’unica che se la cerca. Solo adesso mi rendo conto di quante persone pregano Dio di non avere mai una vita come la mia, sono davvero stata così stupida da desiderarla? Come si può desiderare l’inferno? Come si può volere il male per se stessi?
Entrando nell’ascensore, faccio un respiro profondo, trattenendo i conati di vomito che mi assalgono. 

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Capitolo 48
*** Capitolo quarantotto. ***


 The last vogue. 



L’ho fatto davvero? Non posso crederci. Mi sento così lontana dal mio mondo, il mio vero mondo, mi sento lontana da tutti, da mamma, da papà, da Nick, Demi, anche se mi trovo nella loro stessa città. Mi sento lontana, mi sento in colpa. Dovrei essere nel mio letto, a lottare contro la voglia di buttare la testa sul cuscino anziché affrontare un altro giorno di università. Già, è quello che adesso desidero. Non avrei mai voluto ritrovarmi a letto con un maniaco, ricattatore, o peggio, uno stilista, solo per essere lasciata in pace. Punto lo sguardo su Eric, che dorme tranquillo a pochi centimetri di distanza da me. Mi allontano, lasciando cadere la cenere della sigaretta sul pavimento, come se bastasse per farlo innervosire. Perché è quello che voglio: farlo incazzare, come lui ha fatto incazzare me, toccandomi dappertutto.
Stringendo i denti dalla rabbia, butto fuori il fumo dalla bocca, accorgendomi che i suoi occhi sono già fissi sui miei.
«Che vuoi?» sbotto infuriata stringendo nuovamente la sigaretta tra le labbra.
«Sei minorenne?» chiede.
No. Tranquillo. Non andrai in galera, stronzo.
«No. Sono arrabbiata.»
«Miley, non fare la stronza.» sospira annoiato, facendomi innervosire sempre di più.
«No!» urlo. «Ho ventun anni!»
Nemmeno il tempo di chiudere bocca, e la sua mano si schianta sulla mia guancia destra. Va in fiamme, brucia, porto una mano su di essa e mi alzo dal letto di scatto.
«Non permetterti mai più di urlare con me, hai capito?» sussurra minacciosamente. Tengo la bocca chiusa, implorandolo con lo sguardo di non toccarmi più. Ho paura. Spengo la sigaretta nel posa cenere e, in silenzio, inizio a vestirmi, senza pensare troppo a quello che è appena successo, non vorrei ritrovarmi in lacrime davanti a lui.
Mi infilo le scarpe ed esco dalla stanza, senza rivolgergli parola. Mi sento uno schifo. Cosa sono diventata? Che mi sta succedendo? Non c’è più nulla di buono nella mia vita. Ricatti, droga, anoressia. È davvero questo tutto quello che ho desiderato per vent’anni? Ho davvero rischiato di finire in ospedale per questo? Ho davvero perso le persone migliori del mondo per queste cose?
Negozio dopo negozio, entro in un bar. Non che abbia voglia di cibo, anzi, non ne voglio nemmeno sentir parlare, solo che un po’ di “normalità” potrebbe farmi bene. Cerco un tavolo appartato e mi affretto a raggiungerlo. Spogliandomi, vedo un gruppo entrare rumorosamente. Voci troppo riconoscibili, facce troppo famigliari. Mamma, papà, Nick, Demi, Joe. Famiglia. Li vedo attraversare il bar fermandosi poi ad un tavolo centrale, sono felici e sorridono. Mi avvicino alla parete e mi copro bene col cappotto, se mi vedessero morirei, così mi limito a guardarli sorridere, come avrei potuto fare io, ma il mio sogno ha praticamente ucciso ogni tipo di felicità. Vedo Demi giocare divertita con Joe e Nick parlare con mamma. Non li ho mai visti così felici in vita mia. Quella è la mia famiglia, quello è il mio mondo, perché non sono con loro? Perché non mi trovo nel loro stesso tavolo? Perché sono stata così stupida? Ho preferito il lavoro a quella meraviglia. Demi è più bella che mai e Nick non è cambiato per niente, il solito bambino che ruba il cibo al fratello. Joe, si vede che sta con Demi, continuano a lanciarsi sguardi dolci e non l’ho mai visto così innamorato. Sono contenta per loro, anche tra mamma e papà sembra andare tutto bene, di solito non si scambiano segni d’affetto ma stavolta è diverso. Sento come se la mia assenza avesse messo tutto a posto, come se fosse destino. Ma fa male sapere che senza di te è tutto okay, che ormai non servi più a nulla, che adesso devi cavartela da sola in un pianeta sconosciuto pieno di inside e cattiverie, in cui l’unica cosa che conta è ciò che hai e se non hai niente, non sei niente. Se non ti lasci ricattare, verrai schiacciato come un insetto, perché gente bella come te c’è sempre, tu passi di moda, tu sei solo qualcuno che adesso va bene, domani no. Invece, quando le persone con cui vivi hanno un cuore, hanno un’anima e non sono venuti al mondo per essere ciò che vogliono gli altri, tu vai bene sempre. Andrai bene oggi, domani, per sempre. Perché l’ho capito solo ora? Ora che loro sono felici e di me non ne ricordano l’esistenza?
«Signorina, è tutto okay?» mi volto di scatto verso il cameriere, l’uomo che ha avuto il coraggio di chiedermi come sto.
«Si, mi scusi…» cerco una scusa valida asciugandomi le lacrime.
«Troppi ricordi?» chiede sorridente.
«Già, capita.» gli sorrido.
«Non si preoccupi, se ha bisogno di me io sono al bancone.» gli rivolgo un sorriso e lo guardo andarsene. Preferisco di gran lunga uno sconosciuto come lui a certe persone.
Avvicinandomi sempre di più all’angolo, mi copro la faccia con il menù, alzando di tanto in tanto gli occhi per ammirare ciò che un tempo era la mia famiglia.
 
Premo il campanello con l’indice, producendo il tipico suono acuto. Dopo qualche secondo, la porta si spalanca e ad accogliermi sono due sguardi spaventati: uno di Jessie, l’altro della madre.
«Merda, merda, merda!» urla Jessie venendomi in contro e stringendomi a sé. Almeno qualcuno che ci tiene. «Brutta stronza! Dov’eri finita?»
«Ho dormito da una mia amica, un’altra modella, non è stata molto bene.» non posso dirle che ho scopato con uno stilista, no.
«Miley, ci hai fatto spaventare, abbiamo provato a chiamarti ma il cellulare era sempre spento.» aggiunge la mamma.
«Si è scaricato.» tiro fuori l’iPhone dalla tasca e lo poggio sul mobile. «Comunque mi dispiace, è tutto okay adesso.»
Lei si avvicina a me e mi stampa un bacio sulla fronte, come solo una madre sa fare, mi sorride e mi indica le scale. «Andate a dormire, non pensiamoci più.»
«Certo…» sussurro salendo le scale.
 
«A me puoi dirmi dove sei stata, sai?» chiede Jessie, per l’ennesima volta. Per quanto Jessie possa essere interessante e tutta da scoprire, devo ammettere che è abbastanza fastidiosa da poterti mandare al manicomio. Adoro Jessie perché è una bambina, una diciottenne ribelle, rimasta intrappolata nell’eterna adolescenza, un’innocenza da dodicenne. Nessuno potrebbe mai immaginare che una ragazza tanto graziosa possa spacciare droga.
«Ho sfilato. E basta. Adesso smettila, ho sonno.» sbotto coprendomi il volto con le coperte, sperando di aver concluso la discussione.
«Vuoi la droga?»
Sobbalzo.
«Cosa?»
«Hai capito. Ne vuoi un po’?» chiede come se mi stesse offrendo del cioccolato.
«Sta zitta Jessie, non accetto droga da una ragazzina.» con i miei modi di fare, mi rendo conto di essere la prima ragazzina.
«Se spaccio droga non sono di certo una ragazzina, puttanella.» azzarda, spiazzandomi con la sua parola.
«Ripeti.»
«Cosa c’è? Le ragazzine non parlano così?» cerca di provocarmi, l’ho capito.
«Non permetterti mai più di chiamarmi in quel modo.» la minaccio, mentre lei mi guarda con aria dispettosa.
«E tu non permetterti di chiamarmi ragazzina.» risponde seria, fingendosi adulta. Si infila una mano in tasca e ne trae un sacchetto trasparente, abbastanza da lasciarne intravedere il contenuto. «Tieni.» me lo lancia. Lo afferro al volo. «Non abusarne, sennò diventi dipendente.» dice ironicamente, prendendo per il culo una situazione tecnicamente grave. Ha una tossicodipendente in casa e tutto quello che fa è offrirle altra droga? È così strano. Nascondo la bustina nella tasca del cappotto, in modo che nessuno possa vederla. Ne sento davvero il bisogno, ma stasera devo resistere. Devo resistere.
 
Apro gli occhi, lentamente. Non riesco a fare più veloce, sento le palpebre cadermi, come le braccia e le gambe.
Che succede?
Prendo il telefono, sblocco lo schermo, lasciando che la luce accecante del display penetri nelle mie pupille. Quattro e trentasei. Perché sono sveglia?
La testa inizia a girarmi e adesso, davvero, non so cosa stia succedendo. Lascio cadere il telefono a terra, buttandomi all’indietro e finendo dritta sul cuscino. Non sento più niente. Il corpo continua a non dare alcun segno di vita, come se mille coltelli mi stessero traforando lo stomaco e qualcosa mi stia martellando il cervello. Non so come, riesco a riprendere la forza e nel giro di pochi secondi, mi ritrovo in piedi, barcollante. Mi avvicino allo specchio, che, a differenza di quello di casa mia, lascia intravedere l’intera me. Chiudo gli occhi, per poi riaprirli velocemente e rendermi conto che davanti a me, c’è la morte. Non mi sono mai vista così.
Il panico mi assale, non riesco a vede nient’altro che orrore. L’aria inizia a mancarmi, gli occhi bruciano. Affannata, infilo la mano sotto la maglia. Ossa. La stessa mano, la porto dietro la schiena, sfiorando ogni vertebra. Punto lo sguardo sulla mia faccia. Sono terribile. Due profonde fosse viola circondano i miei occhi e altre due sono fisse sotto gli zigomi.
Urlo.
È raccapricciante. È un incubo. Ho paura, ho seriamente paura. Porto le mani nei capelli, stringendoli, desiderando di strapparli uno ad uno e senza rendermi conto che questo non è più un semplice desiderio, apro la mano, il mio palmo ne è pieno. Tocco di nuovo la testa per verificare. I miei capelli stanno sul serio cadendo. Guardo a terra, dove una cascata di fili ramati circonda i miei piedi.
Lancio un altro urlo. Nessuno mi sente. Sto sparendo. Lo sento. Sento il mio respiro farsi sempre più pesante e infine, il pavimento gelido a contatto con la mia pelle. E poi, niente.  

«Miley…»
Dove sono?
«Miley!» qualcuno continua a chiamarmi. Apro gli occhi, intravedendo un uomo e una donna. Non riconosco nessuno dei due per adesso. Chiudo gli occhi per poi riaprirli di nuovo. Mamma di Jessie. Dottore.
«Dove siamo?» chiedo a bassa voce.
«Ti abbiamo sentita urlare stanotte, siamo corsi su ed eri a terra.» cerco di mantenere la calma, ma mi risulta difficile, lo sguardo della madre di Jessie non è per niente rassicurante. «Ti abbiamo portata in ospedale, come vedi.» quindi è lì che sono, in ospedale. Perfetto, ci mancava solo questa. Ma in fondo era ovvio, dove credevo di andare? Non mangio da una settimana, è ovvio che finisco in ospedale.
«Miley, dobbiamo parlarti.» aggiunge il dottore dispiaciuto. «Ma credo che certe cose le sai meglio di me.» prende un respiro profondo e ricomincia a parlare, «Hai digiunato per più di cinque giorni, questo ha fatto molto male al tuo organismo ma la cosa peggiore è stata l’incredibile quantità di cocaina che abbiamo trovato nel sangue.» ogni parola, un pugno al petto. Credo di non essere mai stata peggio di ora. La mamma di Jessie abbassa lo sguardo, immaginando sua figlia al mio posto. Non è bello. «Devi rimanere per qualche settimana qui, dobbiamo risolvere alcune cose e poi andrai in un centro di riabilitazione mentale per tossicodipendenza.»
«Cosa?» sussurro, facendo attenzione agli aghi conficcati nei gomiti. «Io…sto benissimo, davvero, smetterò.»
«E questa?» interviene la mamma, tenendo tra le mani la bustina, quella che avevo nel cappotto. Si alza, avvicinandosi al cesto della spazzatura. Conosco le sue intenzioni. Non deve farlo.
«No!» sbotto, dimenandomi, ma dimenticavo, non ho forza nemmeno per muovermi. «No! Non farlo!»
Lo fa, ed io affondo la testa sul cuscino, sconfitta.
Ho perso.
È finita.
 

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Capitolo 49
*** Capitolo quarantanove. ***


va bene, mi odiate, è ovvio, mi odio anche io. scusatemi se ho aggiornato dopo tutto questo tempo, ho avuto dei problemi a scuola e bla bla bla.
questo capito è un po’ corto e mi dispiace, il prossimo sarà sicuramente migliore, promesso.
grazie come sempre per le recensioni, siete bellissime.
buona lettura!  

 The last vogue. 



«Jessie!» urlo. «Ti prego!»
«No, Miley, hai bisogno di aiuto.» sussurra accarezzandomi i capelli, più crespi che mai.
«Ti prego, convinci i medici, voglio uscire da qui.» la imploro. Non ce la faccio qui dentro, preferirei morire.
«Miley, ascolta.» mi prende il viso con le sue mani fredde, bloccando il mio sguardo sul suo. «Tu sei la ragazza più bella e intelligente che io abbia mai conosciuto. Sei diversa dalle altre puttanelle in passerella. Mi dispiace, non avrei mai dovuto darti quella droga, non avrei mai dovuto incitarti a continuare, mi dispiace.» aspetta qualche secondo, poi riprende a parlare, e intanto, le lacrime scorrono sempre più velocemente sul mio viso. «Non so quanto tempo rimarrai qui, ma sarà poco. Non devi preoccuparti, okay? Starai bene, sarai ancora più bella, tutti sapranno chi è veramente Miley Ray Cyrus. Tutto sapranno che non è solo un manichino, uno scheletro. Tu sei molto di più. Sei molto più di un bel faccino, tu sei veramente qualcosa di bello.» i suoi occhi sono fissi sui miei, guardo le sue sottili labbra muoversi lentamente e pronunciare quelle parole a bassa voce, mentre i miei occhi continuano ad infiammarsi. Il sudore mi percorre la schiena, bagnando l’orrendo pigiama che questa gente mi ha messo addosso. «Adesso devo andare, ma ti prego, non fare cazzate. D’accordo?» mi stampa un bacio sulla fronte, poi si strofina la bocca con il polso. Molla la mia mano e si allontana da me, uscendo dalla stanza. Adesso sono sola.
 
Non ho mai pensato di arrivare a questo, non ho mai pensato di finire in un ospedale a causa della ragione per cui vivevo ogni giorno. Non ho mai creduto che il mio sogno mi avrebbe mandato dritta in un letto. Dovevo sapere fin dall’inizio che era qualcosa di irrealizzabile, qualcosa che solo certe persone possono permettersi di raggiungere. È una cosa per donne, non per semplici studentesse. È una cosa fatta apposta per gente che crede di essere venuta al mondo per cambiare le cose, ma alla fine cede e si ritrova anche lui a sniffare in una discoteca. È un sogno che prima ti fa Vivere, poi ti fa morire, piano. Ti fa capire che in fondo, non sei nessuno in questo mondo se non un viso e un corpo, e sappiamo bene che un viso e un corpo, ce l’hanno tutti.
 
 
Giorni. Settimane. Mesi. Mi hanno detto bugie su bugie, cose che non erano per niente vere: “stai per guarire”, “tra qualche giorno uscirai di qui”, ma la cosa più falsa che mi hanno detto è stata: “stai bene”. Non stavo bene, per niente. Quattro mesi in uno stupido centro di riabilitazione mi hanno trasformata in un cadavere. No, non ho più le ossa sporgenti, non peso più quarantadue chili. Sono ingrassata. Molto. Troppo. Sono un cadavere dentro, tutto questo ha solo peggiorato le cose e mi avevano detto che sarebbe passato, che è solo un periodo da attraversare con la massima calma. Ma non ci riesco, perché tutto, tutto, è perduto. Non sono più una modella, adesso non sono più nessuno, mi dimenticheranno e l’ho sempre saputo, ma ho fatto finta di niente. Sapevo che sarebbe andata così, ma credevo davvero di poter fare la differenza? Credevo davvero di poter essere diversa? Di vivere una vita del genere senza pagarne il prezzo? Tutta la bellezza di questo mondo non ti autorizzerà mai ad essere diversa. Se fai parte di questo, devi soffrire, devi crescere. Venti anni sono come quaranta e alla prima imperfezione, ne trovano una meglio di te e tu rimani lì, con cinque chili in meno e i capelli che ti cadono dalle troppe acconciature provate su di essi.
«Miley, sei pronta?» chiede l’infermiera, spalancando rumorosamente la porta. Annuisco afferrando il manico della mia pesante valigia, la stessa che mi accompagnò alla mia prima sfilata. Sorrido a quel pensiero ed esco dalla stanza, correndo verso l’ingresso. In lontananza, la mia vita, la mia vera vita.
«Mamma!» lascio la valigia non so dove, abbracciando forte mia madre, la donna più bella del mondo. Mi è mancata così tanto.
«Piccola, stai bene?» chiede in lacrime.
«Si, grazie.» sussurro felice, affrettandomi a salutare papà. Non l’ho mai visto così contento in vita mia.
«Non dirci che ti sei dimenticata anche di noi!» voce familiare, ironia pure. Mi volto e vedo quei tre ragazzi che hanno fatto finta di dimenticarmi per circa un mese.
«Demi!» corro verso di lei, stringendola più forte che mai. Non è cambiata per niente, stesso profumo, stessi capelli, stessa bellezza. Gli altri due si uniscono a noi, e poco dopo, i loro genitori, che sono qui per me. Credo di non essermi mai sentita più bella di adesso, per quando la copertina può farti sentire importante, adesso mi sento davvero bella e amata. Eppure credo di essere un mostro adesso, voglio dire, sono struccata, ho dei vestiti presi a caso e sono appena uscita da un ospedale, il mio aspetto dev’essere orribile, eppure, credo di non essermi mai sentita meglio.
«Ci sei mancata troppo.» dice Nick prendendomi per i fianchi. «Sei bellissima.» nessuna copertina può competere con i suoi complimenti, i suoi saranno sempre più importanti. Lo bacio, stringendolo come solo una persona può fare dopo quattro mesi di internamento.
Continuo, salutando i genitori dei Jonas, ovvero la mia seconda famiglia.
«Andiamo a casa?» chiede papà, indicando la macchina. Annuisco e faccio cenno agli altri di raggiungere l’auto.
 
Entro in casa, la mia casa. Sempre la stessa, forse cambia il colore delle tende e il profumo, che adesso è più fresco. Sorrido.
«Sei contenta?» chiede mamma aprendo le finestre.
«Moltissimo.» mi butto sul divano e accendo la televisione, proprio come facevo ogni giorno dopo scuola. Il canale trasmette un telegiornale. Ho sempre odiato i tg, eppure non riesco a non guardarli. Fisso lo sguardo sulle immagini che trasmette, rendendomi conto che parlano proprio di droga, o meglio, di Jessie.
Leggo le parole “diciottenne morta per overdose” lentamente, sperando siano solo frutto della mia immaginazione. Il suo corpo sottile è brutalmente gettato sull’asfalto, vedo. Le braccia e le gambe scoperte –indossava sempre abiti succinti abbinati alle sue solite Converse- sono piene di lividi e buchi da puntura. Anche uno stupido ci arriverebbe, è overdose.
«Povera ragazza.» commenta mamma, anche lei attenta al telegiornale.
E in un attimo, mi ritrovo in lacrime. In fondo, era solo una bambina. Diciotto anni, praticamente la mia età. Ho tre anni in più a lei, ma la sua intelligenza ne dimostrava trenta. Invece il suo corpo quattordici. Era una ragazza perfetta nelle sue imperfezioni, una tipa da capire, fatta solo per alcuni. E io mi sentivo una di loro, una di quei pochi che avrebbero potuto capirla. Ma, come dovrei sapere bene, tutto ha una fine.
 
Per la prima volta dopo la riabilitazione, il telefono squilla. Per la prima volta dopo il riabilitazione, prendo in mano il cellulare. Zero messaggi. Otto chiamate, tutte dello stesso numero. Tipico: quando sparisci dal mondo della moda, nessuno ti caga, tranne qualcuno a cui sei servito. Rispondo.
«Pronto?»
«Ciao Miley.»
«Lucas?» il mio angelo. La mia base. «Oddio, sei tu?»
«Si, Vogue, sono io.» dice a voce bassa. «Ho saputo cos’è successo, mi dispiace tantissimo.»
«Anche a me.»
«In fondo, sappiamo tutti che non è fatto per te tutto questo.» ammette, conoscendo il  mio amore per “tutto quello”. «La moda…è una bella storia, ma non è la tua storia.»
«Credo di averlo capito adesso.» solo adesso.
«Comunque, io e Tom dobbiamo parlarti di una cosa, ti andrebbe di incontrarci in centro?»
«Vorrei stare un po’ con la mia famiglia adesso, possiamo farlo domani?»
«Quando vuoi, Vogue.» lo sento sorridere.
«A domani allora.» riattacco. La sua voce, non la sento da più di quattro mesi. E pensare che lui è l’unico che si salva in quel posto di merda. Mi è stato così vicino per tutto il tempo, non avrei mai dovuto allontanarlo da me. Non avrei dovuto allontanare nessuno da me, anzi, avrei dovuto allontanarmi io da quello schifo. 

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Capitolo 50
*** Capitolo cinquanta. ***


 The last vogue. 



È la prima volta che percorro le strade più famose di Times Square con le vesti da Miley e non da Miley Ray Cyrus detta Vogue. Da cosa riesco a notarlo? Dalle facce –schifate- della gente che mi squadra dalla testa ai piedi, come per dire “Che brutta fine che ha fatto!”. Io mi limito a sorridere, provando a parlare con lo sguardo, come fanno loro: “Almeno la mia faccia è su una copertina, coglione!”.
Mi precipito nel bar prestabilito da Lucas, che dovrebbe essere qui a momenti. Osservo le cosce, più grandi dell’ultima volta. Passo una mano su una di esse, non avverto più quell’osso sotto sotto il mio palmo. Adesso è tutto più normale ma, sinceramente, non so ancora se esserne felice oppure no.
A distrarmi, finalmente, l’uomo che mi ha cambiato la vita entra, tranquillo, scrutando i tavoli fino a me. Mi sorride e, mantenendo alti gli angoli della sua bocca, raggiunge il mio tavolo. Mi alzo, nervosa, come se lo stessi incontrando per la prima volta. Mi sentivo esattamente così quando arrivai la prima volta alla Vogue Agency.
«Piccola!» sussurra, guardando stupito i miei fianchi. Sicuramente, ha notato la differenza. «Sei bellissima.» afferma compiaciuto.
In lacrime, mi precipito tra le sue braccia, stringendolo. Lo adoro, come ho sempre fatto. Eppure, dopo tutto questo, non ho alcun rimpianto. Rifarei tutto daccapo, senza saltare niente. Le sfilate, la copertina, la premiazione, tutto. Con lui, tutto.
«Se ti chiedo come stai…» dice sedendosi.
«Non credo sia capace di risponderti.» rispondo sincera, tirando su col naso e asciugandomi le poche lacrime scivolate nella zona occhiaie. «Ma comunque, se vuoi saperlo davvero, sto molto meglio.»
«Sono contentissimo.» sorride di nuovo.
«Solo che…io ho puntato in alto tutta la mia vita, speravo di poter essere diversa, di poter essere conosciuta come “la modella pulita”, quella che non avrebbe mai toccato niente. Io volevo essere ricordata, non volevo passare inosservata come le altre e seguire la massa. Volevo davvero cambiare il modo di guardare la moda.» in questo momento, ci siamo solo io, lui e la sincerità. Volevo davvero essere ricordata per quello, per non aver mai fatto quello che la moda ti imponeva. Volevo che le ragazze che avevano il mio stesso sogno dicessero “Voglio essere una modella, voglio pesare quando devo e la mia unica droga deve essere la passerella. Proprio come Miley Ray Cyrus”. Ecco ciò che volevo.
«Tu verrai ricordata per quello che sei e quello che hai fatto. Tu hai avuto la forza di smettere. Tu hai dimostrato quanto è duro essere ciò che si sogna di essere. Nonostante tutto, non importa: sono comunque fiero di te.» provo dispiacere. Come ho fatto a deluderlo? E perché l'ho fatto?
«Grazie, Lucas.» e in una parola, riesco a fargli capire quanto gli voglio bene. Credo abbia capito. «Comunque, perché hai chiesto di vedermi?»
«Oh, beh, non so se dirtelo o no, adesso non fai più parte…di tutto questo ma…» balbettando, inizia a toccarsi nervosamente le mani.
«Lucas…» incontro il suo sguardo. «Sono ancora una modella. Non del tutto. Ma lo sono.»
In un attimo, i suoi occhi si illuminano e il sorriso compare nuovamente sul suo volto, e poi, inaspettatamente, pronuncia delle parole, parole semplici, parole inquietanti, parole che mi fanno capire di essere arrivata al colmo, come se fosse arrivata la mia fine, una fine scritta dall’inizio: «La tua ultima voga.»
Brividi.
«Ultima…voga?»
«Si, il tuo ultimo momento, l’ultima sfilata.» ancora. Altri brividi. La prima sfilata dopo la riabilitazione, la prima sfilata in salute, la prima sfilata senza ossa barcollanti, la prima sfilata in cui sono io, non un corpo. La prima sfilata dopo tutto questo, eppure, la mia ultima sfilata.
«E…quando?» chiedo nervosa.
«Giovedì, qui a New York.»
«Va bene, è ok.» accetto, senza pensarci due volte. Ultima sfilata.
Questo vuol dire che è davvero finito tutto.
 
«Mamma, papà, sono a casa.» urlo entrando.
«Miley, dove sei stata?» chiede mamma nervosa. «Ti ho chiamata un sacco di volte ma non rispondeva nessuno.»
«Ero con Lucas…» cerco di tranquillizzarla, so che anche lei si fida molto di lui.
«Ah, capisco, perché?»
«Mi ha detto che ci sarà una sfilata.» prevedendo la sua risposta, mi affretto a correggermi. «L’ultima.»
«La tua ultima sfilata, e poi cosa vorresti fare?» si riferisce al mio futuro, non mi rendo conto che ho ancora una vita davanti. Dopotutto, mi sento come se avessi vissuto cent’anni.
«Non lo so.»
«Non vorresti riprendere gli studi? Faresti felice tuo padre.» è vero, papà pagherebbe per vedermi di nuovo sui libri. Si può dire che questo è il suo sogno, già, il suo sogno è quello di vedermi studiare, studiare sempre, studiare per tutta la vita. E come ogni persona, anche papà ha il diritto di realizzare il suo sogno.
«Già, sarebbe…bello.» penso: e se ci provassi?
«Pensaci.» mamma mi sorride e poi se ne va. Pensare. Ecco quello che devo fare adesso, pensare al mio futuro.
 
Prendo il telefono, digitando rapidamente il numero di Demi, avvio la chiamata.
«Ciao!» la sua voce irrompe.
«Demi, devo dirti una cosa.» chiudo la porta della stanza e mi butto sul letto.
«Parla.»
«Giovedì c’è la sfilata.» sbotto.
«Sfilata? Cosa?» chiede Demi, agitandosi. «Miley, giuro che se ricominci…»
«Demi, è l’ultima.» urlo, “calmandola”. «L’ultima sfilata. L’ultima voga.»
«Sta attenta. È comunque una sfilata.»
«Si, tranquilla.» odio il fatto che tutti sono così estremamente preoccupati per me. «Magari tu e Joe potete partecipare.»
«Sicuramente, saremo tutti lì.»
Allora sarà fantastico, avere tutta la mia famiglia attorno, mentre sfilo per l’ultima volta. È così strano, però. Questa sfilata, sembra qualcosa di realmente importante per me, come se fosse un evento, un vero e proprio evento, uno di quelli importanti, quelli che segnano qualcosa nella vita. E sappiamo tutti bene cosa segna nella mia vita.

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Capitolo 51
*** Capitolo cinquantuno. ***


Salve ragazze♥♥
Volevo dirvi che siamo arrivati al cinquantunesimo capitolo (giura??) ovvero, l'ultimo
Quindi si, con questo capitolo, la storia finisce e volevo dirvi alcune cose;

Innanzitutto, scusatemi;
Scusatemi se a volte ho aggiornato in ritardo.
Scusatemi se ho scritto male dei capitoli.
Scusatemi se questo capitolo vi deluderà, sappiate solo che ho fatto del mio meglio.
In ogni caso, scusatemi.

Poi volevo ringraziarvi;
Grazie per le recensioni che avete lasciato e che lascerete.
Grazie per avermi incitato a continuare.
Grazie per aver seguito la storia fino alla fine.
Senza voi non sarei mai riuscita a continuare.
Quindi, grazie.

Adesso mi levo dalle scatole, così potete leggere in santa pace. 
Grazie ancora e buona lettura!
-

 The last vogue. 



Apro il mascara, strofinando il pennellino con le ciglia, allungandole e vestendole di nero. Nero. Come gli anni che ho trascorso davanti ad uno specchio, nero come tutto ciò che vedevo dentro di esso al posto di una graziosa bambina dagli occhi azzurri.
Poi, mi affretto tracciare una riga bianca sulla palpebra. Bianca. Non era un semplice colore. Era una voglia, un circolo vizioso, un passaggio segreto. Una droga.
E poi, lentamente, percorro con un rossetto le mie labbra, trasformandole in una fiamma. Rossa. Rossa come il sangue, quello che fuoriusciva dalla mia bocca e quello che, successivamente, usciva dalle mie vene il giorno in cui arrivai all’ospedale. Un ago nel braccio non era affatto ciò che desideravo, ma comunque, questo era sicuramente ciò che desideravo.
Sciolgo i capelli, dividendoli con le mani e portando alcune ciocche sul petto. Ho scelto io l’abito, ho scelto io le scarpe, ho scelto io, insomma, perché, diciamocelo, tutto ciò che conta è ciò che sono diventata io, non ciò che è diventato un po’ di cotone.
Sono lì per me. Per guardare l’esempio di quello che può accadere quando fai della tua vita una vera e propria sfilata, quando firmi un patto col diavolo, quando vendi te stessa per qualcosa che non sei. Io non ero questo. Io non ero la bellezza. Questa non era la mia storia, per quanto io volessi che lo fosse. È così brutto desiderare qualcosa che non puoi avere. Eppure mi sentivo bene, mi sentivo me stessa in un mondo che non era il mio, ero felice. Avevo raggiunto il mio obiettivo e non volevo smettere. Ma, le regole sono regole, e se non fai come tutti quante, non hai futuro.
Cosa ci ho guadagnato in tutto questo? Forse il fatto di pensarci, prima di criticare un tossicodipendente o di prendere in giro una ragazza in sottopeso. Forse il fatto di vedere oltre una semplice rivista di moda e sfogliare la vita di quel faccino sbattuto in copertina. Il fatto di sapere cosa c’è dietro la passerella, cosa c’è dietro quei vestiti ben fatti, cosa si nasconde insomma. Ma io sapevo tutto, è questo il problema. Lo sapevo. E mi piaceva.
Quindi, che dire, è colpa mia.
 
«Miley! Un minuto!» urla Lucas dietro la porta. Prendo un respiro profondo e mi alzo dalla sedia, rimanendo in contatto con il mio riflesso.
È finita.
Tocca a me.
Adesso è davvero finito tutto. Addio alle copertine, addio alla bellezza, addio alla perfezione, addio sfilate, viaggi, fotografi, flash, occhi addosso. È una cosa brutta. Ma gli addii sono anche delle cose belle. Perché non c’è niente di più bello che dire addio alla droga, all’alcool, alla solitudine, ai ricatti, agli abusi. Un giorno, fra venti, trenta, quarant’anni, o magari domani, tutta questa bellezza, questa che vedo allo specchio, sparirà. Per sempre. E avrei detto comunque addio a tutto ciò.
È tutta una fregatura e, si, sembra tutto così perfetto ed elegante eppure così falso, assassino, stupido.  
La moda mi ha fatto male, mi ha resa insicura, mi ha fatto soffrire, mi ha fatto perdere chili su chili, mi ha spiattellato in faccia la verità, mi ha cambiata, mi ha fatto capire che non sono mai abbastanza, bisogna essere sempre di più. Ma l’ho amata. L’ho amata da morire, ho amato ogni singolo passo che ho fatto sulle passerelle, ogni singola foto che mi hanno scattato, ogni vestito che ho indossato, ogni complimento ricevuto, ho amato tutto questo e, adesso, non rimpiango niente.
Mi avvicino di più allo specchio, verificando che ogni singolo centimetro della mia pelle sia a posto. Noto con piacere che la mia pelle è a dir poco perfetta, sebbene piena di ogni tipo di cosmetico. Ma comunque, per quanto finta possa essere la moda, chi se ne frega della mia faccia. Stendo le braccia lungo i fianchi e spengo la luce del camerino, precipitandomi fuori.
«Ah, eccoti.» Lucas mi viene in contro, prendendomi per mano e tirandomi verso la passerella. Mi posiziona davanti a lui, in modo da guardarmi dritto negli occhi. «Ultima voga, queste sono le parole a cui devi pensare. Ok?»
«Si.» sussurro, un po’ nervosa. L’ultima modella rientra, annoiata. Naturalmente. Per lei è una sfilata come le altre.
Lentamente, mi avvicino alla passerella, consapevole di essere ad un passo dalle luci. Chiudo gli occhi.
 
Ricordo ogni offesa.
«Sei grassa, Miley.»
Davo troppo peso a queste parole e, quando vedevo quello stupido numero sulla bilancia, mi accorgevo che il peso che davo a quelle parole, era mio.
 
Ricordo tutto.
«E quale sarebbe il tuo sogno? Camminare davanti un gruppo di tossico-dipendenti con la speranza di finire su qualche rivista da quattro soldi? Oppure quello di morire di bulimia a vent’anni?»
Ricordo quando ho creduto di non farcela. Ogni parola, ogni inutile tentativo di mandare giù parole troppo pesanti, più di me forse.
 
Ricordo quando sentivo le mie mani tremare, mentre reggevo a malapena il telefono.
«Vogue Agency, cosa posso fare per lei?»
«Vorrei entrare a far parte dell’agenzia.»

 
Ricordo la prima sfilata, la prima volta, la prima voga. La prima volta che ho sentito le mie gambe tremare per qualcosa di bello, non per il digiuno –cosa molto frequente. La prima volta che mi sono sentita perfetta. Buona a qualcosa. Bella. Importante. La gioia che provavo guardando le luci dei flash accavallarsi non era niente a confronto con quello che poteva farmi provare un uomo.
Stavo mettendo in secondo piano anche Nick.
 
Ricordo la prima volta che ho visto la mia malattia negli occhi di Demi.
«Tu non hai idea di quanto ti invidiavo, eri così bella con le tue curve sottili e delicate, mentre io ero una grassona che ti aiutava. Una stupida grassona che ti dava i consigli giusti e ti osservava mentre ti complessavi allo specchio!»
Lì mi sono resa conto di averla trasformata. Lei soffriva. Ed era per colpa mia.
 

Ricordo la prima volta che ho assunto quello schifo e la prima volta che ho sniffato, tutte impresse nella mia mente.
Succhio il polpastrello, asciugandolo poi sull’abito. Non è niente di che, fino a quando non sento il mio cervello vibrare. Una leggera scossa che mi ricorda che fuori di qui, mi hanno appena insultata.
 
Ricordo la prima volta in copertina, su Vogue. Tecnicamente quello era il mio obiettivo, il colmo. Appunto, la Voga.
È in assoluto la giornata migliore della mia vita, sono così felice, non riesco a non piangere, davvero. Finalmente qualcosa di buono, finalmente qualcosa di cui essere felice, finalmente il mio sogno. Devo ammettere che un pò anch’io sono fiera di me.
Ero talmente contenta che non ho pensato a quello che sarebbe potuto accadere dopo, quando la magia finisce, quando devi pagarne il prezzo. Se tutto questo fosse stato una sfilata, quello sarebbe stato il momento in cui una modella da le spalle al pubblico, rientrando nel suo spiacevole mondo, che si presume sia quello più viscido.
 
Ricordo quando ho sniffato. Sniffato davvero. Droga, droga vera, non roba da adolescenti. Quella era roba seria. Roba da modelle e insieme a quell’orrendo vizio, c’era la mia inseparabile ombra, la mia tipica ossessione, a quello c’ero abituata. Ma giuro, mi sentivo male al solo pensiero che mi avevano imposto di perdere peso e non ero io quella che aveva deciso.
«Cos’è? È un fottutissimo numero che supera i quarantacinque, hai presente? È lì, davanti a te, e devi farlo scomparire!» inveisce, mentre io rimango impassibile, stranamente. «Hai scelto di fare la modella, bene, le modelle non aprono bocca.»
 
E poi ricordo quando sono arrivata al limite. Al limite di tutto. Limite di bugie, limite di peso, limite della pazienza. Era come se mi rimanessero pochi giorni di vita. Poche ore, anzi. Come se stessi cercando di prolungare la sofferenza, consapevole che la morte sarebbe arrivata a momenti.
«Miley, dobbiamo parlarti.» aggiunge il dottore dispiaciuto. «Ma credo che certe cose le sai meglio di me.» prende un respiro profondo e ricomincia a parlare, «Hai digiunato per più di cinque giorni, questo ha fatto molto male al tuo organismo ma la cosa peggiore è stata l’incredibile quantità di cocaina che abbiamo trovato nel sangue.» ogni parola, un pugno al petto. Credo di non essere mai stata peggio di ora. La mamma di Jessie abbassa lo sguardo, immaginando sua figlia al mio posto. Non è bello. «Devi rimanere per qualche settimana qui, dobbiamo risolvere alcune cose e poi andrai in un centro di riabilitazione mentale per tossicodipendenza.»
 
Fine.
 
Ad un certo punto, luci.
Senza accorgermene, mi ritrovo a fine passerella. Osservo il pubblico alzarsi, battere velocemente le mani. Cerco i miei familiari tra la folla, e dopo aver scrutato tutta l’area, li vedo davanti a me, che applaudono fieri.
Realizzazione.
Tutta questa strada per un momento così breve. Rimarrei qui per sempre, a sentire le mani battere e i flash illuminarmi il volto.
Batto le mani un paio di volte. Sento un liquido caldo sfiorarmi gli occhi.
Lo sapevo.
Piangerò a momenti, ma stavolta non mi nasconderò, lascerò vedere a tutti quello che significa aver lottato per qualcosa, e per “lottato”, non intendo un’adolescenza passata allo specchio o una cinquantina di dollari di pillole dimagranti. Io ho lottato sul serio, ho sofferto sul serio, ho sperato per tutta la vita di essere questo. Non ho mai pensato ai soldi, alla droga, ho solo pensato a me ed è quello che molti non capiranno. E poi chi è che non sbaglia? Ci sono caduta anche io, sono rimasta fottuta, ho capito cosa può succedere quando si crede di essere imbattibili. Ci sono stata male. Ma allora perché non me ne pento?
Semplice.
Io volevo quello. Solo quello. A costo di finire in un centro di riabilitazione per tossicodipendenza, il mio sogno doveva diventare realtà.
 
E lo è diventato.




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"L'abito ha bisogno di un'anima, chi sfila fa vivere il vestito, che da solo non potrebbe portare il messaggio giusto."
Donatella Versace
 
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kisses,
Becool.

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