Diario di uno Spitfire

di LiquidScience
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: La polvere del tempo ***
Capitolo 2: *** Morte e caos, 1942 ***
Capitolo 3: *** Sabbia, mare, vita 1953-1972 ***
Capitolo 4: *** Come pelle di serpente 1972-1985 ***
Capitolo 5: *** Epilogo: Veritas ***



Capitolo 1
*** Prologo: La polvere del tempo ***


Il vecchio meccanico entrò nel suo deposito. Era un capannone enorme, ma riempito di vecchi aggeggi arrugginiti fino all’ultimo spazio, ad eccezione di piccoli spazi per camminare. Il meccanico si asciugò la fronte con il dorso del suo guanto grigio. L’uomo era di corporatura piuttosto robusta, di altezza media e l’espressione sempre imbronciata, con la fronte corrugata e una rada barba brizzolata. Indossava una tuta da meccanico blu con macchie d’olio qua e là e un berretto del medesimo colore.
Aveva ricevuto l’ordine –o meglio, la minaccia- di smontare qualche vecchio rottame e darlo a quelli della discarica, in modo da fare un po’ di posto.
Si avvicinò a un vecchio aereo da guerra. Quello era perfetto per cominciare: lo aveva sempre disprezzato, fin da quando lo avevano portato, per il suo ingombro. Il meccanico prese una leva e la ruotò nella mano, con un sorriso sul volto. Finalmente aveva l’occasione di sbarazzarsi di quel coso una volta per tutte.
Cominciò con un’ala, quella più vicina a lui. Passò la mano sopra al metallo, in modo da pulirlo dalla polvere. Con grande stupore constatò che non aveva un filo di ruggine e il grigio della vernice scintillava come nuovo. Scacciò immediatamente l’espressione stupita e riprese a lavorare.
Quando staccò il terzo pezzo scorse un piccolo oggetto nascosto tra lo scheletro dell’ala. Lo prese in mano, incuriosito. Sembrava una specie di libro, la copertina in pesante cuoio era consumata e non recava nessuna scritta. Non c’era niente che potesse indicare chi fosse il proprietario.
Forse, se l’avrebbe letto…
Scacciò subito quel pensiero: non aveva tempo da perdere.
Però…
La curiosità lo corrodeva troppo forte perché lasciasse in parte il libro, cosò si mise comodo su un vecchio sedile e lo aprì.
Il libro era scritto con dei caratteri stampati, dalle sbavature sembrava una macchina da scrivere. Il nero, che non contrastava molto con il colore ingiallito delle pagine rendendo un po’ complicata la lettura, aveva una tonalità un po’ diversa. Sembrava… olio per motori.
Lesse una scritta in piccolo sulla prima facciata, l’unica di quella pagina prima del testo vero e proprio.
“Spitfire Mk.V”
Tutto l’entusiasmo del meccanico sparì in quell’istante. Non poteva crederci, un vecchio manuale di istruzioni.
Fece per chiuderlo e andarsene, ma qualcosa o trattenne.
Se fosse stato veramente un manuale, perché era nell’ala e non nella cabina?
Quella piccola scintilla di curiosità che gli era rimasta bastò per impedirgli di chiudere il manuale, e continuò a leggere.
Incredibilmente, quel libro era un diario. Un diario speciale, che nessuno ebbe mai l’occasione di leggere prima d’ora…

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Capitolo 2
*** Morte e caos, 1942 ***


---24 marzo 1942
Dall’alto vedo il caos della terra, centinaia e centinaia di esserini, della stessa razza del mio pilota, continuano ad uccidersi. Si scontrano, si sparano, si odiano: cadono a terra, in una pozza rosso scuro che filtra fino nelle viscere del pianeta, impregnando tutto nella sua morsa di morte.
Stessa razza, stessa anima, stesso cuore… ma due divise diverse.
Vederli lì, sterminarsi a vicenda, mi addolora. Perché lo fanno?
Quassù nel cielo non è poi tanto diverso, anzi forse è peggio: il mio pilota mi costringe ad abbattere altri della mia specie, cadono a terra e diventano ammassi di rottami senza vita. Molti di loro sono appena usciti dalla fabbrica, nemmeno si rendono conto di cosa sta succedendo. Danno sfogo alla loro mitragliatrice senza pensarci, quasi fosse un gioco. Un gioco mortale.
È il mio primo volo e già vorrei che fosse l’ultimo.
 
---27 marzo 1942
Quest’inferno continua, il rumore degli spari e delle esplosioni permane nell’aria come una melodia di distruzione, assieme all’odore di bruciato. A volte cerco di isolarmi da tutto il resto, lasciando che sia il mio pilota che culli nell’aria, evitando pallottole e non solo.
È l’unica cosa che posso fare per non fondere il motore in questo caos mortale.
 
---28 marzo 1942
Un unico rumore, un colpo secco, e un pezzetto della mia ala se ne va. Comincio a perdere stabilità, ma il terreno si fa sempre più vicino… per fortuna, il mio pilota è riuscito a fare un atterraggio di emergenza.
“Un danno da poco” dicono i tecnici, ma per me è atroce. Lieve o no, è sempre una parte di me.
Presto sarò di nuovo in volo, completamente operativo.
Se potessi piangere, lo farei.
 
---1 aprile 1942
Fool’s Day, la Festa degli Scemi. Un giorno in cui tutti si divertono a fare scherzi agli amici.
Mi piacerebbe avere degli amici a cui fare degli scherzi, dovrebbe essere divertente.
Divertimento. Cos’è? Forse un giorno lo saprò. Forse.
Chissà cosa si prova a fare uno scherzetto a un proprio simile, invece di scaricargli il caricatore addosso.
Oggi, ad ogni aereo abbattuto, il mio pilota gridava “Weh, happy Fool’s Day!”: è questo uno scherzo?
Non lo so. So solo che ad ogni giorno che passa io faccio sempre meno caso ai proiettili che mi fischiano attorno o agli aerei che cercano di abbattermi.
Forse sto diventando come loro…
 
---3 aprile 1942
È… la fine. Lo sento. Un aereo verniciato con un altro colore mi ha colpito, metà della mia ala mi è stata strappata via. Il mondo ha cominciato a girare e girare, mentre il mare era sempre più vicino…
Il mio pilota ha colto la prima occasione per andarsene, si è catapultato nel vuoto.
Lui, la persona a cui tenevo più al mondo, mi ha abbandonato.
Sono solo, in questo mondo crudele, mentre l’acqua del mare avvolge il mio metallo nella sua fresca coperta…
 

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Capitolo 3
*** Sabbia, mare, vita 1953-1972 ***


---5 marzo 1953
Bianche scogliere da un lato e un blu oltremare dall’altro fanno da cornice a una striscia di soffice sabbia, di fini granelli. Il mio relitto giace lì, confondendosi con gli scogli marroni punzecchiati da verdi licheni, quasi fossi parte integrante del paesaggio. Non molto è rimasto del mio splendore passato: Mi manca l’ala che mi fu strappata e l’intera coda giace poco lontano dal resto del corpo. Mi sento così inutile, quaggiù.
 
---1 maggio 1953
Una testuggine questa mattina ha lasciato il mare, la sua casa, per fare un buco vicino a me. Ci è rimasta lì per un gruzzolo di minuti, poi l’ha coperta e ha ripreso il suo cammino verso il Grande Blu, goffa, quasi avesse tutto il peso del mondo sulle spalle, poi le onde la investirono e scomparve.
Non so di preciso cosa sia successo, ma qualcosa mi dice che non era poco importante.
 
---3 giugno 1953
Oggi pomeriggio è accaduto qualcosa di indescrivibile: Dalla stessa buca scavata circa un mese fa dalla testuggine sono sbucate decine di piccoli esserini, che hanno subito cominciato a impiegate tutta la loro giovane forza per raggiungere il mare.
Non tutti ce l’hanno fatta, alcuni sono stati presi dai granchi o da alcuni uccelli costieri.
Un po’ come è successo a me. La guerra deve essere finita da molti anni, alcuni sono tornati alle basi sani e salvi, altri invece, come me, sono caduti sotto i colpi degli uccelli o abbattuti dai granchi terrestri.
Il miracolo della vita.
 
 
--- 4 ottobre 1962
Le ore, i giorni, gli anni, i decenni sono tutti uguali e passano come il lento scorrere dell’acqua nel fiume: sembra lento, ma quando arriva a valle ci si stupisce di quanto veloce sia stato.
E così le giornate, riempite solo dal vuoto della noia, scorrono l’una dopo l’altra.
 
--- 15 settembre 1968
Un piccolo aereo è passato sopra di me. Era bianco e azzurro, le ali poste sulla parte superiore e il tutto sagomato come tutto d’un pezzo. La vernice lucida rifletteva i raggi del sole mandando a tratti bagliori bianchi.
Sembrava venire da un altro mondo.
 
---18 agosto 1972
Un vecchio biplano rosso vivo è passato sopra il mio relitto, scuotendo la sabbia attorno a me. Mi è passato molto vicino, poi è tornato su nel cielo con una giravolta. Leggiadro e leggero come l’aria, si muoveva con grazia nel cielo come un ballerino sul palco. Non avevo mai visto quelle mosse nel cielo eseguite così, per svago, e non per evitare pallottole o colpire il nemico.
Vorrei avere l’occasione di volare ancora, anche se fosse l’ultimo volo…
Ma ad ogni giorno in più che passo su questa spiaggia le mie speranze diventano irraggiungibili.
 
---19 agosto 1972
E’ successa una cosa strana, come se qualcuno avesse ascoltato le mie preghiere. Uno strano mezzo è spuntato dal punto dove le due scogliere si abbassavano fino a raggiungere il suolo. Sembrava la jeep che usavano i militari, ma era color argento vivo.
Si è avvicinata a me e poi si è fermata, dopodiché un esserino a due gambe e due braccia è sceso e mi si è avvicinato. Ha cominciato a ispezionare il mio relitto minuziosamente, con occhio da esperto. Si avvicinò al muso e scoperchiò il motore con un po’ di fatica, dato che le cerniere erano otturate dalla sabbia.
Dalla sabbia, non dalla ruggine.
Era un particolare che colpì molto l’umano: non avevo un filo di ruggine.
Sembrava estasiato. Corse subito dal suo mezzo e se ne andò.
Fui un po’ deluso. Speravo ce facesse qualcosa, invece…
 
---20 agosto 1972
L’esserino è tornato! È tornato con un mezzo gigantesco con un lungo braccio, una gru, e un altro per il trasporto. C’erano anche altre persone, che comunicavano tra loro con degli strani borbottii incomprensibili.
Mi tolsero via tutta la sabbia del tempo che incrostava il metallo della mia carrozzeria e, pezzo dopo pezzo, mi hanno caricato sul camion.
Durante il viaggio ero felicissimo: tutto quel verde, quell’esplosione di vita che si celava dietro la scoglierea era impressionante. Portarono ogni mio singolo pezzo in uno degli hangar dell’aeroporto più vicino.
Una vita finisce, un’altra comincia.

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Capitolo 4
*** Come pelle di serpente 1972-1985 ***


 
---21 agosto 1972
Oggi sono rimasto dentro l’hangar, il mio padrone passava in rassegna tutti i miei pezzi, scrivendo qualcosa su un pezzo di carta ogni tanto. Osservavo il lento ondeggiare della mano in attesa, come se con uno schiocco delle dita potesse decidere le mie sorti. Forse, era proprio così.
Quando cominciò a imbrunire, il nuovo padrone si alzò dallo sgabello e si avviò verso l’uscita, accarezzando il mio metallo mentre camminava come il mare accarezza la costa.
 
---27 agosto 1972
Il mio nuovo padrone è tornato trascinando tanti pacchetti. A cosa servissero l’ho capito solo dopo, quando ha preso degli attrezzi e ha cominciato a sostituire i pezzi rotti e quelli mancanti con alcuni nuovi di zecca.
 
---15 maggio 1974
Dopo tantissimo tempo in riparazione, ora sono pronto per volare di nuovo. E questa volta sarà diverso dalle precedenti: non ci saranno battaglie, né pallottole né aerei nemici. Dopotutto, mi hanno tolto le mitragliatrici.
A lavoro finito, il mio nuovo padrone ha cominciato a scrostare tutta la vecchia vernice verde scuro, per poi ridipingermi con uno scintillante grigio argenteo e un luccicante blu cobalto.
Sono così felice! Come un serpente che fa la muta, ho lasciato la mia vecchia pelle e tutte le sofferenze del passato per averne una nuova, fresca, pronta per affrontare il futuro.
Ora ero completamente argentato, con una striscia blu che percorreva tutta la fiancata fino alla coda, dove c’erano una serie di numeretti e una grande “V”.
Mi ha portato fuori dall’hangar e lì ho visto un grande aereo bianco, simile a un bombardiere ma molto più raffinato ed elegante, che atterrava dolcemente sull’asfalto, come un leggiadro cigno atterra sul lago.
Il mio pilota mi ha portato poi al centro di una pista libera e mi ha fatto volare. Mi sono alzato da terra, con quell’ebbrezza che si prova a essere staccati dalla terra dopo tanto tempo.
Poco dopo, un altro aereo mi si avvicina a voliamo fianco a fianco. È un biplano colore rosso vivo, identico a quello che vidi dalla spiaggia. Che fosse lo stesso? Che io fossi ancora in volo grazie a lui, che ha visto la mia carcassa adagiata sulla costa?
Sulla fiancata c’era scritto, in un sottile ma deciso carattere bianco, “Le Rouge”. Le Rouge. Questo, era il suo nome.
Delle piccole macchioline bianche, come delle scrostature, erano un residuo della verniciatura originaria del velivolo e, insieme a varie stuccature sulle ali e sul corpo, tradivano il vero passato di Le Rouge.
Anche lui, come me, era una vittima di guerra. Eravamo marionette cadute dalle mani del burattinaio.
Insieme compiamo molte acrobazie nell’aria, come due ballerini nel loro palcoscenico blu.
Non ci sono paure né angosce per un colpo in arrivo, non ci sono fratelli-nemici da abbattere.
Prima e Seconda Guerra Mondiale. Insieme, perché l’unico modo per combattere i traumi della Guerra è farlo insieme.
Sono una macchina fatta per volare.
E l’ho capito solo adesso.
 
---19 settembre 1980
Ogni volta che le luci dell’alba illuminano i vetri dell’hangar, l’attesa dell’arrivo del mio padrone diventa sempre più carica di gioia. Bastava solo sentire il rumore dei suoi passi e la gioia triplicava.
Ma quel momento oggi non venne.
Dalla porta lasciata distrattamente aperta da un inserviente vidi Le Rouge uscire dal suo posto, dirigersi verso la pista e decollare.
Da solo.
 
---22 settembre 1980
Dopo tre giorni il mio padrone è tornato! Era insolitamente pallido, ma era tornato.
E quello mi bastava.
Non ci furono né capovolte né acrobazie in volo. Solo un piccolo giro attorno ai campi e sopra la città. Le Rouge ogni tanto andava e poi ritornava, compiendo raffinate coreografie in cielo.
Perché questa calma? Cosa era successo, in quei tre giorni? Forse non lo saprò mai. Quello che so adesso, è che al termine del volo non sono tornato all’hangar, ma il mio padrone mi ha “parcheggiato” a fianco casa sua, c’era spazio a sufficienza per decollare o atterrare. Dopodiché è entrato nell’edificio con un’andatura lenta e forzata.
 
---23 settembre 1983
Oggi insieme a Le Rouge abbiamo sorvolato la costa, volando per un attimo a qualche piede dalle onde. Era una cosa assolutamente fantastica, un’overdose di felicità ed emozione, sebbene non ci siano state chissà quante acrobazie. Abbiamo sorvolato quel pezzo di mare che separa una terra dall’altra e poi siamo tornati verso sera. Eravamo tutti felici. Stanchi, ma felici.
 
---9 dicembre 1985
Oggi sono rimasto fermo. Non volavamo tutti i giorni, a volte rimanevo fermo, ma vedevo almeno la sua macchina uscire. Questa volta invece no, non è mai uscito di casa. Mi preoccupa un po’.
Spero non sia successo nulla.
 
---10 dicembre 1985
Nevica, una neve fitta che ricopre tutto quello che incontra. È particolarmente freddo, mi si sta congelando il carburatore. Ad un certo punto, quando cominciava ad imbrunire sotto i nuvoloni, una figura nera si è avvicinata. Cercavo di vedere chi fosse, per capire se era un amico o un nemico.
Era il mio pilota. Stava tremando come un terremoto, nonostante fosse molto coperto. Si è avvicinato ed è entrato nella mia cabina, sedendosi sul sedile e richiudendo il vetro subito dopo. La sua presenza mi ha subito rassicurato, perché non c’è niente di meglio che la compagnia di qualcuno a cui tieni.
Dopo un po’, si è appoggiato a un lato, ha chiuso gli occhi e si è addormentato, con un lieve sorriso sulle labbra.
 
--- 15 dicembre 1985
Il debole sole d’inverno scaldava lievemente il suolo questa mattina. Da quando, la mattina dopo aver dormito nella mia cabina, era tornato dentro casa, non ho più visto il mio padrone.
Le Rouge è atterrato sul campo dietro alla case e il suo padrone è sceso, dirigendosi verso la casa del mio.
Era un ragazzo piuttosto giovane, piuttosto alto e indossava il tipico caschetto in pelle da pilota, con occhialoni sollevati sulla fronte, sciarpa e giubbotto. Sembrava un po’ preoccupato.
Entrò nella casa e tutto rimase in silenzio. Anche se qualcosa fece il benché minimo rumore, non ci feci caso.
Non molto dopo arrivò un veicolo strano, sembrava un furgone, ma era tutto colorato e aveva delle luci rosse e blu. Che cos’era?
Degli uomini con degli strani vestiti sgargianti scesero dal veicolo e presero una specie di lungo tavolo da giardino pieghevole.
Con questo, entrarono in casa.
Ne uscirono poco dopo, spingendo quello strano tavolo pieghevole con le ruote e facendosi strada attraverso la folla di curiosi che si era radunata nel frattempo. A differenza di quando erano entrati, ora sul tavolino c’era qualcosa completamente coperto da un telo.
Sembrava un essere umano disteso.
Anche Le Rouge era preoccupato, ma nessuno dei due sapeva spiegare cosa stesse succedendo.
 
---24 dicembre 1985
Non ho più visto il mio pilota. Cos’era successo?
Ho paura. Paura che tutto possa finire. Paura di perdere tutto.
All good things must come to an end, avevo letto una volta, da qualche parte.
Era così perfetto, prima! Perché è cambiato? Perché?
Stavo sfociando nella più buia disperazione, quando tra la foschia e i fiocchi di neve comparve una sagoma nera. Un barlume di speranza si accese.
Ma non era il mio pilota e nemmeno quello di Le Rouge. Era un’altra persona.
Entrò nella mia cabina come se fossi di sua proprietà. Chi era quell’uomo?
Cercò di mettermi in moto, ma ero fermo da tanto tempo e il motore  non partiva.
Non partiva perché non volevo partire. Volevo rimanere lì, aspettando il ritorno del mio padrone.
“À l'enfer avec mon cousin et sa jonque!” esclamò l’uomo, sbattendo nervosamente un pugno sul metallo.
Non sapevo cosa avesse detto, ma alla fine decisi che forse avrei dovuto partire, anche se a malincuore.
In volo la neve accarezzava ogni pezzo che mi componeva, con un soffice e gradevole tocco, seppur ghiacciato.
Certo sembra fin strano morire proprio quel giorno, con quella soffice neve che imperlava il vetro.
Non pensavo a nulla, non immaginavo quale sorte mi sarebbe toccata. C’erano solo quella soffice neve e il suo dolce tocco. C’era solo quella grigia giornata di quel freddo inverno.
E così ci si rende conto che la vita è misera e fragile come quei fiocchetti che cadono lentamente: può avere i cristalli disposti nel modo più bello o stravagante, ma una volta sciolto diventa una comunissima goccia d’acqua, uguale ad altre miliardi. E se mancherà o no, nessuno ci farà mai caso.
Mi lasciai trasportare da quella meraviglia del gelo, l’ultimo inverno che vidi prima di essere rinchiuso per sempre in un cupo deposito.

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Capitolo 5
*** Epilogo: Veritas ***


Il vecchio meccanico si soffermò un po’ sull’ultima frase scritta su quella specie di diario. Abbassò lo sguardo, alla ricerca di altre date, scritte, avvenimenti, ma non trovò più nulla. Solo un a massa di vuote pagine ingiallite. Vuoto. Avrebbe potuto scrivere ancora un sacco di cose in quelle pagine, ma l’autore del diario non lo fece. Tutto si era fermato il 24 dicembre 1985.
Il meccanico chiuse quello strano libro, anche se desiderava leggere ancora, sapere come quella inusuale storia andava avanti.
Si alzò dal sedile e si avviò verso il suo armadietto, lo aprì e ripose il diario. Qualcosa lo tratteneva dal gettarlo via, forse la curiosità o forse qualcos’altro che non seppe definire. Chiuse la porta in metallo con un tonfo, tornò indietro e prese in mano i suoi attrezzi, deciso a smantellare quell’affare una volta per tutte.
Posò la mano sul metallo, scostando la polvere.
E notò un particolare che prima aveva a malapena visto.
La vernice era grigio metallico, come argento.
“per poi ridipingermi con uno scintillante grigio argenteo”
Quel passo del diario gli ritornò in mente di colpo. Ma forse era solo una coincidenza, o solo un brutto scherzo.
Bloccò la mano con la leva a due centimetri dal metallo. Non sapeva perché, ma qualcosa lo induceva ad esitare. Alzò lo sguardo e guardò meglio quell’aereo da guerra che tanti problemi gli aveva causato.
Era completamente grigio, con una striscia blu cobalto che percorreva tutta la fiancata e un ‘V’ sulla coda.
Il meccanico realizzò quello che avrebbe dovuto capre molto prima. Quello non era uno Spitfire, ma lo Spitfire. Si odiò terribilmente per aver anche un solo momento disprezzato e cercato di smontare quell’aereo.
Quello che c’era scritto sul diario era veramente la storia dello Spitfire? Forse sì, anche se era troppo incredibile per essere vero. Un aereo che scrive un diario… mah.
Guardò di nuovo lo Spitfire. Doveva ammetterlo, ormai era finito per crederci. Quel diario gli aveva lasciato qualcosa nel cuore.
Doveva farsi ‘perdonare’ per avergli smontato mezz’ala.
Non avrebbe mai più volato, nemmeno se avesse avuto l’ala intera. Ma forse il Royal Air Force Museum aveva ancora qualche posto libero.
 
***
 
Tempo dopo, venne pubblicato su un giornale un articolo sul curioso diario ritrovato all’interno di un aereo e anche un libro, contenente tutte le annotazioni. Man mano sempre più persone vennero a conoscenza di questa storia, in molti si recavano al Museo per vedere quello Spitfire di cui avevano tanto sentito parlare.
Rimanevano affascinati da quell’aereo, appeso con dei cavi d’acciaio al soffitto dell’hangar, sospeso come se fosse ancora in volo.
Quella storia, bocca dopo bocca, giunse perfino alle orecchie di Cédric, che attraversò la Manica a bordo del suo biplano rosso per vedere se tutto quello che si diceva era vero.
Aspettò un orario vicino alla chiusura del Museo per entrare, affinché non ci fosse troppa gente. Avanzò nell’hangar a passo lento, scrutando ogni modello esposto cercandone uno specifico.
Lo trovò, poco lontano, vicino a una parete. Era indubbiamente quello di Leon, amato dal suo padrone fino all’ultimo. Incredibile che avesse persino un specie di anima e un diario. Se Leon lo avesse saputo…
Cédric non seppe stabilire cosa sarebbe successo in quel caso e continuò ad osservarlo con nostalgia.
Si ricordava benissimo di tutti i voli che aveva fatto assieme, più di trent’anni prima, di tutte le acrobazie, e persino quando lo vide semisepolto nella sabbia.
Ma c’era qualcosa di diverso da come lo ricordava, la vernice in passato era scintillante e piena di vita, mentre ora era quasi opaca, spenta, come se di quell’aereo rimanesse solo un guscio vuoto.
Abbassò lo sguardo verso la targhetta, posta su un piedistallo. Non fu difficile immaginarla come una lapide, Cédric non si sarebbe stupito ci fosse scritto ‘Qui giace…’
Lesse attentamente quello che c’era scritto, tentando di capire più parole inglesi possibili.
“Supermarine Spitfire Mk.V – ‘Veritas’”
Al di sotto c’erano scritti alcuni dati storici, sull’utilizzo in guerra, il periodo e qualcosa di totalmente diverso.
"Se avessi le mani, scriverei un diario.
Ma le mie braccia sono ali, fatte per solcare i cieli,
Lassù dove nessun uomo è mai arrivato prima...
Veritas, L’aeroplano che insegnò all’uomo ad avere un cuore"
 
FINE
 
(E così si conclude questa storia. Un sentito grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito, letto senza recensire o leggeranno in futuro. Spero che questa storia vi sia piaciuta o abbia ‘lasciato qualcosa nel cuore’ anche a voi n.d.a)

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