Be Italian

di Ofelia20
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bravery ***
Capitolo 2: *** Welcome to Italy ***
Capitolo 3: *** Knowledge ***
Capitolo 4: *** Remorse ***
Capitolo 5: *** I need You! ***
Capitolo 6: *** I won't give up ***



Capitolo 1
*** Bravery ***


 

Lo aspettava da troppo tempo; non credeva più che sarebbe arrivato: il coraggio di prendere una decisione, il coraggio di andare da lei.

Una mite pioggerella primaverile picchiettava sui vetri delle finestre della centrale del F.B.I. di Quantico, il Dottor Reid seduto sulla sedia girevole davanti alla sua scrivania stava scrivendo il rapporto sulla loro ultima indagine conclusa con successo, ma qualcosa impediva alla sua mente brillante di concentrarsi. Arrendendosi ai suoi pensieri chiuse il fascicolo e lo trascinò al lato del tavolo, con un sospiro accese il computer che troneggiava sulla sua scrivania e le sue esili dita si misero a digitare ritmicamente sulla tastiera. Si guardò intorno di sottecchi, per assicurarsi che nessuno scrutasse le sue mosse e velocemente inserì la proprio password per entrare nella sua newsletter. Non aveva mai avuto in vita sua un indirizzo e-mail ma per restare accanto a lei si era convinto persino ad averne uno, tutto per sentirsi il più possibile vicino a lei, tutto pur di non perderla. Ed era proprio di lei che si trattava, quando un trillo fece quasi sobbalzare dalla sedia il giovane, suono che annunciava l’arrivo di un e-mail. Velocemente mosse il mouse sopra di essa per aprirla e leggerne il contenuto: 

 

                                                        “Bene. Allora ci vediamo tra due giorni. Vengo a prenderti all’aeroporto.”

 

Ehi tu! Non lo sai che non si usa il computer del F.B.I.  per controllare le proprie e-mail personali?”, Reid si irrigidì e con velocità inaudita chiuse le finestre che aveva aperto sul PC. Quando però poi sentì il tono intimidatorio della voce trasformarsi in una sonora risata, trasse un respiro di sollievo e si girò verso di lui.

“Morgan non sei divertente!” gli disse quelle parole cercando di usare il tono più aspro che potette.

“Ehi stavo solo scherzando!” rispose l’uomo di colore alzando le mani e continuando a ridacchiare, per poi continuare sedendosi sulla scrivania del giovane “Facciamo così, io non faccio la spia se tu mi dici con chi stavi parlando!” rivolgendogli uno sguardo carico di curiosità e malizia.

“I-Io non stavo parlando con nessuno.” Balbettò il ragazzo arrossendo vistosamente.

“Si si come no.” rispose Derek con condiscendenza, “Si tratta della rossa italiana, vero?” , il ragazzo non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo da quello del collega, gesto che per il profiler di colore sembrò molto eloquente.

“Ah lo sapevo! La bella profiler italiana ha fatto breccia nel cuore del nostro genietto!” desse ridendo e scompigliando i capelli del ragazzo con una mano.

“Smettila Morgan!” disse il ragazzo abbastanza irritato “Io e Clelia siamo amici, ed è per questo che vado a trovarla”

“Cosa, cosa, cosa? Vai a trovarla? Vorresti dire che tu parti per l’Italia per andare a trovare una tua “amica”?” la voce dell’uomo si alzo di qualche tono per lo stupore.

“Cosa ci trovi di tanto strano?” domandò il ragazzo facendo per alzarsi dalla sedia.

“Niente, solo che deve esserci più di una semplice amicizia per spingerti a fare tanta strada solo per vederla” a quella frase l’uomo si fece serio e guardò negli occhi il ragazzo.

“Ok lo ammetto, Clelia mi piace, lei mi piace molto”  sussurrò il ragazzo al suo collega con il viso ormai in fiamme.

“Quando parti?” gli domandò Morgan con un espressione trionfale stampata sul viso per aver fatto finalmente confessare il suo amico.

“Domani sera.” Rispose il ragazzo sorridendo.

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Capitolo 2
*** Welcome to Italy ***


Sentiva Lo scricchiolio dell’erba sotto i suoi piedi intervallato dal rumore sdrucciolo delle sue converse al contatto con l’asfalto riscaldato dal sole primaverile, Aveva dimenticato ciò che le stava intorno, e correva e correva, sempre di più, riusciva ad ascoltare solo il battito del suo cuore pulsare nelle orecchie e il ritmo veloce del suo respiro. Più volte il suo analista le aveva consigliato, soprattutto in quel periodo, di correre fino a quando quelle benedette endorfine si fossero liberate e l’avessero riempita di energia, ma più volte lei aveva rifiutato il suo invito. Ma quel giorno, c’era qualcosa di molto più importante delle endorfine in ballo, che avrebbe ridato felicità a Clelia, e per questo stava correndo per le strade di Milano.

Si maledisse più volte quel giorno, di non avere abbastanza coraggio per portare una maledettissima macchina, e adesso, in quella mattina che aveva atteso per sei mesi, lei stava per arrivare tardi.

Avendo perso qualsiasi mezzo in grado di portarla all’Aeroporto, decise che l’unico modo era andarci a piedi e correre.  La fronte madida di sudore, le guance arrossate e il respiro più che affannato, in quarantacinque minuti arrivò all’aeroporto.  Appena oltrepassata la porta a vetri della struttura si piegò in due, poggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprende fiato.  Quando finalmente, il respiro riprese il suo normale ritmo vitale si avviò a passo incerto per via del dolore alle gambe, stressate da quella corsa mattutina inaspettata, verso l’enorme tabellone appeso in alto. Sul tabellone nero le scritte bianche che continuavano a cambiare alternandosi e segnalando diversi ritardi, gli occhi blu cobalto di Clelia incontrarono finalmente la segnalazione del Suo volo. Sarebbe arrivato tra meno di un quarto d’ora, ce l’aveva fatta! In quel momento il cuore ricominciò a battere forte, a picchiare contro il suo petto come un matto, riuscì a sentire di nuove quelle strane sensazioni che ormai da mesi non provava più. Di nuovo quella sensazione allo stomaco, quel leggero solletico, quelle farfalle che svolazzavano. Sentendosi le gambe cedere si avviò verso una panchina e vi si sedette, in attesa di vederlo finalmente arrivare verso di lei.

Furono forse i quindici minuti più lunghi della sua vita, ogni secondo che batteva l’orologio sembra un anno. E ad ogni minuto il cuore aumentava i battiti e le farfalle diventavano sempre di più. Prese un piccolo volantino che qualcuno aveva lasciato sulla panchina accanto a lei e cercò di farsi aria sventolandolo ritmicamente, cercando di riacquistare quella calma apparente di cui lei era sempre dotata. Quando finalmente un voce femminile annunciò in varie lingue che il volo da Washington era appena atterrato e che i passeggeri stavano sbarcando, Clelia si alzò velocemente e estrasse dalla tasca della salopette di Jeans un foglietto A4 che aveva accuratamente ripiegato in quattro, su cui la mattina aveva scritto con un pennarello nero: DOTTOR REID, e con quello in bella visto andò a piazzarsi davanti al corridoio di sbarco, con il cuore che non si decideva a rallentare.

 

Il suo aereo era appena atterrato. Per tutte le lunghe ore di viaggio aveva pensato a cosa dirle, a come comportarsi  per cercare di non sembrare il solito ragazzino imbranato. Era felice di rivederla, ma più volte durante il viaggio si era chiesto se fosse veramente la cosa giusta da fare. In fondo c’era sempre l’oceano a dividerli, e malgrado tra loro fosse rimasta una forte amicizia a legarli erano comunque passati sei mesi, sei lunghi mesi, senza di lei.  Cosa poteva aspettarsi? Credeva davvero che Clelia lo stesse aspettando, o che provasse le stesse cose che provava lui? la sua mente pragmatica gli aveva detto diverse volte che sarebbe stato meglio chiudere la faccenda molto prima di arrivare a quel punto, così da evitare in qualsiasi modo di soffrire. Ma ormai non c’era più nulla da fare, ormai stava muovendo i suoi primi passi sul suolo italiano. Si diresse a prendere la sua valigia con le gambe intorpidite dal viaggio che si muovevano lente e incerte, e si diresse verso il corridoio di sbarco impaziente di incontrare di nuovo quei meravigliosi occhi blu.

Continuava a guardarsi intorno cercando di vedere quel cespuglio di ricci rossi spiccare tra la folla di italiani che come lei aspettavano qualcuno. Quando girò lo sguardo verso destra finalmente la vide.  Indossava una simpatica salopette di jeans con una maglietta rossa sotto, e un paio di converse; era così diversa da come l’aveva vista in America nei suoi vestiti classici ed eleganti, ma questa versione di lei gli piaceva, anzi gli piaceva molto di più. I capelli come al solito ribelli si muovevano seguendo il ritmo della sua testa che si muoveva cercandolo tra la folla. Quando finalmente anche lei lo vide la sua bocca di aprì in un immenso sorriso e la mano libera dal cartello cominciò a sventolare in aria. In quel momento Spencer capì che quella che aveva fatto era la scelta giusta, che era proprio lì che doveva trovarsi in quel momento.

Sorridendole di rimando, si diresse verso di lei a grandi falcate, quando la raggiunse lasciò cadere la valigia a terra e la strinse a sé. Un abbraccio, nulla di più, ma in quell’ istante entrambi ricominciarono a vivere.

Una volta sciolto l’abbraccio, Clelia alzò lo sguardo per incontrare i caldi occhi nocciola del ragazzo, gli stessi occhi che cercavano i brillanti lapislazzuli nei suoi. Cercando di rompere il silenzio,allontanandosi da lui disse:

“Benvenuto in Italia Dottor Reid!”

Grazie rispose lui in italiano ma con un marcato accento americano.

“Wow, hai preso lezioni di italiano vedo!” gli disse la ragazza senza smettere di sorridergli.

“Si ho letto qualcosa in aereo” rispose con naturalezza lui recuperando da dentro la sua tracolla un dizionario inglese - italiano.

“AH dimentico sempre che sto parlando con un genio” disse lei battendo con una mano sulla fronte e poi ridacchiando. “Comunque, dai sbrighiamoci o perderemo l’auto, di nuovo!”

“Di nuovo?” chiese il ragazzo recuperando la valigia e seguendo la ragazza verso l’uscita.

“si, diciamo che per venire qui a prenderti mi è toccata fare una bella corsetta!” tagliò corto Clelia, cercando di dimenticare la brutta avventura della mattina.

Una volta saliti sull’autobus, che li avrebbe portati fino a casa di Clelia. Seduti vicini, gli sguardi dei due ragazzi erano puntati in due punti diversi, e il silenzio era imbarazzante. La prima a romperlo come sempre fu Clelia:

“Vedo che hai tagliato i capelli” disse la prima cosa che le venne in mente.

“Oh si” rispose il ragazzo portandosi automaticamente una mano tra i capelli castani.

“Stavi meglio prima!” ammise Clelia ma con il sorriso stampato sul viso.

“Vedo che non sei cambiata molto! Sei sempre l’odiosa Clelia che ricordavo!” scherzò il ragazzo, per niente offeso dal commento della ragazza.

“Oh no credimi! Sono peggiorata!” rise la rossa.

“Senti, comunque, davvero posso stare in albergo, non voglio darti troppo fastidio” cominciò Spencer, cambiando dirscorso.

“No! Ne abbiamo già parlato! Te l’ho detto che ho traslocato. Nella mia nuova casa c’è una camera in più e puoi stare lì. Perché fai tante storie?! Cosa c’è hai paura che ti violenti nel sonno?” rispose la ragazza fingendosi seccata.

“Tranquilla, d’accordo, starò con te! Non spararmi però!” si arrese in ragazzo, per poi scoppiare entrambi a ridere.

“ L’importante è che tu non mi faccia arrabbiare. Ah, a proposito, hai qualche problema con i gatti?”

“No, o almeno no più di quanti ne abbia con tutti gli esseri viventi!” rispose il ragazzo.

“Benissimo, credo che andrai d’accordo con Mefistofele!” disse la ragazza battendo su la sua mano e sorridendogli.

“Chi è Mefistofele?” chiese lui strabuzzando gli occhi.

“Oh lui è il mio gatto! Me l’hanno regalato le mie due nuove vicine, vedrai ti piaceranno anche loro!” rispose con tranquillità la ragazza.

“Mefistofele? Non puoi chiamare un gatto così? Ma sai cosa rappresenta quel nome?” domandò il giovane genio, ancora scosso dal assurdo nome che la ragazza aveva dato al gatto.

“Ma certo che lo so! Ma credimi è perfetto per lui! ma non lasciarti spaventare dal nome, sa essere molto dolce quando vuole!” disse la ragazza ridendo per la reazione esagerata avuta da Spencer.

“Oh ecco siamo arrivati! Vedrai ti divertirai con me!” concluse la rossa prima di alzarsi dal sedile e scendere, dirigendosi verso casa seguita da Spencer.

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Capitolo 3
*** Knowledge ***


“Benvenuto nella mia umile dimora” disse Clelia teatralmente accennando anche un leggero inchino mentre Spencer oltrepassava la soglia della porta.

“Bella!” disse educatamente il ragazzo iniziando a muovere i primi passi nel appartamento continuando a guardarsi intorno tentando di carpire più informazioni possibili sulla vita della ragazza.

“Bè si, si trova leggermente in periferia ma è sicuramente migliore della mia vecchia casa” commentò la rossa poggiando la borsa e le chiavi sul mobile dell’ingresso e iniziando a sfilarsi le scarpe.

“Vivevi in un loft prima vero?” le domandò Reid poggiando la valigia a terra. “Oh si adesso lo chiamano così, Loft!” iniziò Clelia calcando sulla parola “loft” “Ma per me era solo un monolocale o meglio un garage nel quale avevo piazzato un letto e un fornello con un frigorifero. E che aveva un affitto troppo alto” aggiunse sprezzante ricordando gli anni vissuti nel suo angusto appartamento. “Ma non restare qua impalato, seguimi ti faccio vedere le altre stanze.” Disse iniziando a girare per casa seguita dal imbarazzato dottor Reid. “Allora questa è la cucina!” dice affacciandosi in una piccola stanzetta dai muri bianchi e i mobili verdi al cui centro troneggiava un piccolo tavolo da quattro posti coperto da una tovaglia a quadri sempre bianchi e verdi. “Poi questo è il salotto!” aggiunse attraversando la piccola cucina e entrando in un’altra stanza leggermente più grande dove capeggiava un divano di pelle rosso,un tappeto bianco e una libreria semivuota che il giovane genio non potè fare a meno di notare tra la cornice delle pareti dipinte degli stessi colori,. “Si lo so che non è piena come la tua ma non ho molto tempo per leggere!” disse Clelia notando il suo sguardo. Troppo impegnato a vedere la libreria, Spencer non aveva ancora fatto caso all’inquietante figura seduta su un bracciolo del divano, mentre percorreva con gli occhi la stanza il suo sguardo incontrò quello di una gatto grasso, dalla pelliccia nera macchiata da ciuffi di pelo rosso fuoco e temibili occhi verdi che lo fissavano con noncuranza.

“Oh vedo che hai già il piacere di conoscere Mifistofele!” disse ridacchiando la rossa notando Spencer leggermente intimorito dal gatto.

“Adesso capisco perché l’hai chiamato così!” aggiunse Reid indietreggiando lentamente continuando il giro della casa.

“Quello lì è il bagno” disse la rosse passando davanti ad una stanza con la porta semichiusa ma dalla quale nella penombra si riusciva a vedere il colore blu delle pareti. “Poi c’è la mia camera…” Disse mostrandogli la sua stanza dalle pareti rigorosamente viola. “E questa è la tua!”  disse aprendo la porta di una piccola stanza con un letto singolo e con le pareti di un giallo canarino. “Lascia pure qui la tua roba…” inizia la rossa aprendo il piccolo armadio nella stanza, “Ho cambiato le lenzuola questa mattina” aggiunse indicando il letto.

“Oh si grazie!” bofonchiò il giovane di nuovo velato dall’imbarazzo. “Davvero carina la casa è … molto colorata!” aggiunse ridacchiando riferendosi ai colori delle stanza. “Oh si, all’inizio non ne ero entusiasta ma poi ci ho fatto l’abitudine. Tutti questi colori mi mettono di buon umore!” rispose anche lei ridacchiando. “Bene adesso ti lascio da solo così puoi sistemarti, se hai bisogno di qualcosa io sono di là!” disse prima di uscire dalla stanza.

 

Mentre Spencer era indaffarato a disfare i suoi bagagli, Clelia si era appena seduta sul divano per riposarsi dopo la stancante mattinata quando sente suonare il campanello. Sbuffando aprì la porta e si ritrovò davanti le sue vicine, che erano diventate sue amiche, la prime vere amiche che avesse mai avuto.

“Allora è arrivato?” si precipitò a domandare Agnese, entrando quasi euforica in casa, seguita dall’altra,Noemi.

“Si è appena arrivato, e nella sua stanza a disfare la valigia” rispose Clelia mostrandosi sinceramente infastidita dalla loro visita.

“Su dai non tenerci sulle spine, vogliamo conoscerlo!” disse la bruna Noemi a bassa voce. Aveva raccontato della sua avventura Americana alle sue amiche, e da quando aveva annunciato loro l’arrivo di Spencer non avevano fatto altro che insistere per conoscerlo.

In quel momento videro  sbucare dal corridoio un imbarazzato Spencer, che avendo sentito il campanello suonare era andato a dare un’occhiata. Rimase fermo ad osservare le tre donne senza riuscire a capire molto dalle loro parole. “Oh ecco, ragazze lui è Spencer!” ancora una volta fuClelia a salvarlo dal imbarazzo. Senza capire, ma udendo pronunciare il suo nome il ragazzo si avvicinò sorridendo alle ragazze. Noemi e Agnese restarono a fissarlo, analizzando proprio come due attente profiler tutte le sue mosse, fu la bionda a parlare per prima:

“Spencer io sono Agnese. È un piacere conoscerti Clelia ci ha raccontato tutto di te, sei un eroe, hai salvato la nostra amica.” Iniziò a parlare velocemente la logorroica ragazza ignorando la scarsa conoscenza della lingua italiana del ragazzo, che resta a fissarla interdetto.

“Agnese è inutile che gli parli, non capisce molto della nostra lingua. Per fortuna!” si rivolse alla amica la rossa rivolgendole anche uno sguardo duro. “Spencer loro sono le mia amiche, nonché mie vicine,di cui ti parlavo prima. Ti presento Noemi e Agnese” disse poi rivolgendosi e Spencer che con un semplice gesto della mano saluta le due ragazze e restando per un attimo a guardarle: Agnese era una finta bionda alta, dal fisico giunonico e dai brillanti occhi verdi, mentre l’altra Agnese, era una mora dagli occhi neri minuta e timida, erano insomma, due ragazze situate agli estremi opposti della bellezza. “è un piacere conoscerti Spencer!” dice la mora in un inglese maccheronico imitando il gesto di Spencer con la mano.

“Bene ora che abbiamo fatto le presentazione che ne dite di andarvene?” si rivolse alle due donne in tono duro Clelia, un tono che ormai le sue amiche avevano imparato a conoscere e che non prendevano più come negativo. Salutando ancora le due escono dall’appartamento lasciando di nuovi soli all’ingresso i due ragazzi.

“Le mie amiche non vedevano l’ora di conoscerti!” cercò di giustificare il comportamento delle due.

“Ha fatto piacere anche a me conoscerle…” disse il ragazzo sorridendo dolcemente.

“Allora, a che punto sei con i bagagli?” domandò Clelia leggermente scossa dalla bellezza del suo sorriso.

“Ho quasi finito… “disse il ragazzo fermandosi per la prima volta da quando era arrivato ad osservare bene gli occhi della ragazza. Quegli occhi che per mesi aveva sognato, e desiderato. Il silenzio divenne assordante, continuarono a guardarsi per un tempo interminabile, lei persa nel calore dei suoi occhi, lui perso nel oceano dei suoi, e entrambi smarriti in quei colori sentirono il calore che avevano perso al momento del loro addio.

“Bene” disse schiarendosi la voce  la ragazza ridestandosi dai suoi pensieri. “Quando hai finito vieni pure in salotto, io e Mefistofele stiamo guardando la tv.” Aggiunse tenendo lo sguardo basso dirigendosi verso il salotto. Contro la sua natura Spencer le afferrò prontamente il braccio per fermarle e farla voltare, esitò un attimo di fronte ai suoi occhi ma poi disse: “Clelia è davvero bello rivederti!” disse solo questo, ma usò il tono caloroso di mille ti amo. “Anche per me è bello rivederti Reid!” disse dolcemente la ragazza rabbrividendo al contatto della sua pelle nivea con quella calda e morbida del ragazzo, e sentendosi morire quando la presa cominciò a cedere e rivide tornare lo Spencer di sempre che senza parlare si diresse nella sua camera.

 

 

Salve! Lo so come sempre sono in ritardo, ma questa volta la causa del mio ritardo è stata una dolorosa infiammazione al tendine del braccio, non ancora passata del tutto. Perciò scusatemi se questo capitolo è piuttosto corto ma più  di questo non sono riuscita fare. Ma vi prometto che mi rifarò al prossimo! E vi prometto anche che da adesso cercherò di aggiornare puntualmente ogni settimana! Ora ringrazio davvero con il cuore tutte quelle persone che mettono la mia storia tra le seguite-preferite-ricordate, e soprattutto quelle che continua ad incoraggiarmi con le loro recensioni, grazie mille! Senza il vostro supporto non sarei qui, ancora grazie! Se vi fa piacere lasciate anche qui una recensione, vi aspetto al prossimo capitolo! Baci!!

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Capitolo 4
*** Remorse ***


Ehy hai già finito di sistemare tutte le tue camicie, i gilet di lana e le assurde cravatte? “disse Clelia senza spostare lo sguardo dalla Tv notando il giovane appoggiato contro lo stipite della porta, e portandosi alla bocca un cucchiaio colmo di gelato.

“Si” rispose secco il giovane “Sai non dovresti mangiare il gelato a quest’ora” aggiunse cercando di fare notare alla ragazza che l’ora di pranzo non era decisamente l’ora più adatta per il gelato.

“Si certo mamma!” Rispose roteando platealmente gli occhi e portandosi alla bocca una quantità ancora più grossa di gelato guardando con aria di sfida il ragazzo, che rispose solo scuotendo la testa e sorridendo leggermente divertito,come sempre dal comportamento della rossa. Ma lei non era l’unica a non essere d’accordo con lui, in quel momento anche Mefistofele fece capolino dal bracciolo del divano dove stava placidamente sonnecchiando, e con un movimento fulmineo fece un balzo fino a terra e andò a sedersi proprio di fronte al giovane ostruendogli il passaggio e continuando a guardarlo con i suoi brillanti e impassibili occhi verdi.

“Clelia il tuo gatto mi dà i brividi!” disse il giovane con voce grave squadrando la spaventosa figura felina e indietreggiando lentamente.

“Non lasciarti spaventare dai suoi modi bruschi, gli sei simpatico lo sai?” ripose la ragazzo guardando la scena divertita.

“Lo credi davvero? Perché a me sembra il contrario!” replicò il giovane.

“Oh si credimi, gli sei simpatico! Dovresti vedere quello che ha fatto a Marco…” disse ridacchiando ripesando all’accaduto.

“Marco? Chi è Marco? E che ne è stato del suo corpo?” chiese il giovane quasi spaventato dalle parole della giovane.

“Oh nessuno, un amico di Noemi e Agnese. Un vero cretino… per fortuna ci ha pensato Mefistofele a togliermelo di torno…. Spero solo che non gli restino le cicatrici… “disse seriamente richiudendo la scatola del gelato e  alzandosi velocemente dalla poltrona.

“Ma ora basta parlare! È ora di pranzo, andiamo a mangiare!” disse la ragazza uscendo dalla cucina, dove era andata  a posare il gelato, e mettendosi le scarpe. Uscendo seguita dal giovane.

 

 “Non posso crederci! Hai portato un americano a pranzo da McDonald’s?” disse incredulo ridacchiando Spencer mentre mangiava delle patatine fritte.

“Hai ragione! Ma è tardi è questo è il posto più vicino.” Disse la ragazza bevendo un sorso di cola. “Ci vengo spesso qui.”

“Bè non dovresti venirci spesso. I cibi  da Fast-Food sono estremamente calorici, poverissimi di elementi nutritivi nobili, ricchi in modo assurdo di zuccheri raffinati, e di grassi saturi. Questo cocktail ha fatto si che il popolo americano dal dopoguerra ad oggi abbia incrementato vertiginosamente, l’obesità e le malattie connesse quali, infarto trombosi, ictus eccettera… In altre parole questo cibo è deleterio, e in più  trovo davvero esilarante che io che mi astengo dal mangiare questa roba in America, la patria di questo cibo spazzatura, lo venga a mangiare in Italia” disse il giovane genio senza però smettere di mangiare le sue patatine.

 “Reid rilassati, non  ti verrà un infarto se per una volta mangi dal McDonald’s. Ma questa sera preparati ad assaggiare la vera pizza italiana” annunciò la ragazza addentando l’ultimo pezzo del suo hamburger. “Agnese e Noemi mi hanno appena mandato un sms verranno anche loro” aggiunse.

“Oh, andremo a cena con le tue vicine, bello!” disse il ragazzo sforzandosi di sembrare più entusiasta possibile.

“Tranquillo Spencer, è solo una cena! E poi tu almeno non sei costretto a parlare con loro e a stare ad ascoltare i loro discorsi. Non fraintendermi voglio molto bene alle mie amiche, ma a volte preferirei che stessero zitte.” Disse con il suo solito tono cinico, voleva davvero molto bene ad Agnese e Noemi, loro erano state le sue prime vere amiche qui in Italia e le uniche che le erano stata vicina dopo il suo ritorno in patria. “Comunque come sta la squadra?” chiese poi sorridendo al giovane,

“Oh stanno tutti benissimo! Ti mandano i loro saluti, soprattutto Garcia. Quando ha saputo che sarei venuto a trovarti mi ha pregato di portare anche lei” disse ridacchiando.

“Oh la mia adorata Penny, ci siamo scambiate spesso delle e-mail. Amo quella donna.” Disse sorridendo ripensando all’eccentrica informatica che aveva avuto modo di conoscere in America.

“A proposito di lavoro, Clelia tu non devi lavorare?” chiese il giovane. Sapeva che la rossa lavorava come consulente profiler per la polizia italiana, e malgrado il suo lavoro in patria non fosse attivo come il suo in America, era certo comunque che sarebbe dovuta andare lo stesso a lavoro. Al sentire la parola lavoro la ragazza si irrigidì e subito abbassò lo sguardo per cercare di nascondersi agli occhi del giovane profiler americano.

“Oh il lavoro… si ehmm.. bè ecco… io… Sono in ferie. Mi sono presa dei giorni di ferie per essere a tua completa disposizione…” disse velocemente cercando di mostrarsi il più calma possibile, senza però riuscirci. Il giovane genio capì subito che c’era qualcosa che non andava nella ragazza, ma decise che forse quello non era il momento migliore per mettersi a fare profili, pertanto decise di sorvolare l’argomento. I due finirono di mangiare e tornarono a casa, Clelia rimase in silenzio per quasi tutto il viaggio, con lo sguardo basso ed un espressione preoccupata sul volto.  La giovane in America aveva finalmente ricominciato a vivere, cercando di lasciarsi alle spalle quello che era il suo tragico passato. Ma da quando era tornata in Italia, le cose erano tornate ad andare male. Abbandonare l’America che le aveva ridato la vita, ma soprattutto Lui, riaprì il vuoto nel cuore che per anni la rossa aveva cercato di chiudere. Passò sei mesi a flagellarsi nei rimpianti e nei rimorsi, a maledirsi per quella che era stata una scelta sbagliata, una scelta che già prima di essere decisa lei stessa aveva predetto essere sbagliata. Il dolore le aveva fatto perdere il lavoro, e con esso la casa che non poteva più permettersi di pagare. Era riuscita ad andare avanti solo grazie alle due ragazze, Noemi ed Agnese, conosciute per caso mentre cercava un nuovo appartamento il cui affitto costasse di meno. In pochissimo tempo tra le tre nacque una forte amicizia, tanto forte che Noemi decise di concederle il suo appartamento gratuitamente trasferendosi in quello di Agnese. L’unico spiraglio di luce nel buio in cui si trovava erano queste ragazze, e adesso anche Spencer. Aveva deciso di non raccontargli niente della sua storia, di nascondersi dietro al suo brillante sorriso e godersi quei pochi giorni in cui poteva tornare a stare con lui.

La giornata trascorse lenta e uggiosa come i pensieri di Clelia che continuavano a tormentarla, quando arrivò la sera Clelia si preparò distrattamente, indossò dei jeans ed una banale maglia nera. Cercò di dare forma al suo indomabile cespuglio di capelli ricci e si sedette ad aspettare l’arrivo delle sue amiche.

“C’è qualcosa che no va?” chiese il giovane preoccupato sedendosi vicino alla ragazza, sfidando persino la paura che il gatto addormentato sulle ginocchia della donna gli incuteva.

“Si certo! Sono solo stanca! Tranquillo…” disse la ragazza ridenstandosi dai suoi pensieri e sforzandosi di sorridere per tranquillizzare Spencer.

“Bene. ma sappi che se hai bisogno di parlare, io sono qui!” disse sfiorandole leggermente la mano sorridendo dolcemente. Clelia aprì la bocca per rispondere, forse finalmente decisa a confessare tutto al giovane, ma fu interrotta dal campanello. “Oh Ecco sono arrivate. Dai andiamo!” disse alzandosi cercando di chiudere il discorso. Uscirono dalla porta accolti dalle due sorridenti ragazza, dopo i saluti e i convenevole, tanto odiati da Clelia, la comitiva a bordo del bizzarro maggiolone giallo di Agnese si avviarono verso la pizzeria.

“Preparati a mangiare la miglior pizza della tua vita Dottor Reid!” disse solennemente la rossa una volta che tutti e quattro occuparono i loro posti intorno alla tavolo. “Niente a che vedere con la pizza Hut che mangiate voi in America” aggiunse citando la famosa catena franchising di pizzerie americana.

“Ne sono certo! La pizza per voi italiani è una colonna portante della vostra cultura, così come la pasta.” Le rispose il giovane sorridendo impaziente di assaggiare una della specialità italiane per eccellenza.

 

 

“Clelia ma il tuo amico, Spencer lavora con lo scrittore David Rossi, vero?” chiese nel bel mezzo della cena Agnese mentre addentava un pezzo di pizza.

“Si certo. Te l’ho già detto, fa parte della stessa squadra della BAU.” Rispose la rossa non riuscendo a capire dove volesse andare a parare la bionda.

“Oh mio Dio. Io lo adoro, ammetto di non aver finito nessuno dei suoi libri che Clelia mi ha prestato, ma lo trovo decisamente un bel uomo. Sono innamorata di lui!” disse la bionda rivolgendosi a Spencer che capendo ben poco della sua frase le rivolse uno sguardo confuso, per poi rivolgersi a Clelia: “Cosa ha detto la tua amica? Sbaglio o ho sentito pronunciare il nome di Rossi?”

“Lascia perdere. Credimi è meglio che tu non sappia cosa ha appena detto Agnese.” Gli rispose la rossa per poi rivolgersi all’amica: “ Ti rendi conto di quello che dici? A volte mi dai i brividi…” disse prima di scoppiare a ridere insieme alle ragazza e a Spencer che pur non avendo capito niente si asciò trasportare dal suono soave della risata di Clelia.

 

 

 

 

Salve!! Che ve ne pare?? Io sinceramente sono molto contenta di questo capitolo, secondo me poteva andare meglio, e secondo voi?? Fatemi sapere mi raccomando! Ringrazio come sempre tutti! Soprattutto quelli che si fermano a recensire ^^  bè che dire, vi aspetto al prossimo capitolo. Baci!!

 

P.S. Insieme ad una mia amica, GIUNIAPALMA, anche lei scrittrice su EFP abbiamo aperto una pagina su Facebook, in cui parliamo delle nostre storia, o comunque di tutto quello che ci passa per la testa. Mi farebbe veramente piacere se passaste. La pagina si chiama Ofelia & Giunia in Wonderland, ma comunque trovate li link sulla mia pagina qui su Efp. Grazie per l’attenzione. Baciii

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** I need You! ***


Spencer se ne stava accoccolato tra la soffice coperta con la testa dolcemente poggiata sul cuscino del suo letto, il sonno lo aveva temporaneamente abbandonato.  Guardò la piccola radiosveglia che troneggiava sul comodino al suo fianco, erano appena le sei di mattina. Decise che era troppo presto persino per lui per alzarsi, dopotutto era in vacanza, e dopo tutti i musei e altri monumenti italiani che Clelia gli aveva fatto visitare il giorno precedente si sentiva piuttosto stanco. Si girò dall’altra parte e provò a richiudere gli occhi, ma senza nessun risultato: il sonno non decideva a tornare. Dopo svariati tentativi si ritrovò a girarsi tra le mani il ciondolo del braccialetto che la ragazza gli aveva donato prima di partire, e a fare quello che al dottor Reid veniva meglio: pensare. Pensava a lei, a quanto erano stati piacevoli e intensi quei pochi giorni in sua compagnia; poi i ricordi lo portarono fino al primo giorno in cui la vide, nella sua mente era ancora chiara l’immagine di quella ragazza dagli eccentrici capelli che si avvicinava a lui con il viso imbronciato, pensò a quanto in una settimana la ragazza fosse cambiata e a quanto si fosse legato lei. Ma questo lo portò a pensare anche a lui, che non riusciva a dirle quanto le fosse mancata in quei mesi, e che non riusciva a dirle che forse dopotutto si era innamorato di lei. Scosse la testa come a voler allontanare quel pensiero, come se il fuoco dell’amore si potesse semplicemente spegnersi soffiandoci sopra. Cambiò di nuovo posizione, ma ancora una volta i pensieri ebbero la meglio su di lui, la mente lo portò di nuovo a Clelia, in quegli ultimi giorni aveva trovato qualcosa di strano in lei, come se lei gli nascondesse qualcosa o forse qualcosa che lui non era riuscito a capire, malgrado la sua brillante dote da profiler. Era diversa dalla donna che gli aveva dato il ciondolo, qualcosa nei suoi occhi così blu, quegli occhi che non si sarebbe mai stancato di guardare; era cambiato, quel bagliore che grazie a lui era riuscita a riaccendere si stava spegnendo. Ancora una volta Spencer si girò nel letto, con lo sguardo restò a fissare il soffitto fino a che non vide una figura minacciosa avvicinarsi a letto. Un ombra tozza che si avvicina a piccoli passi verso di lui, sempre di più; finché con un balzo non arrivò sul suo letto. Quasi spaventato il ragazzo si mise a sedere e lo vide, sul suo letto proprio affianco ai suoi piedi c’era Mefistofele. Se ne stava seduto sulle zampe e lo guardava fisso, era dal primo giorno in cui aveva messo piede in quella casa che il gatto continuava a fissarlo da lontano con quel aria minacciosa. Gli occhi che nella semioscurità della stanza brillavano e i ciuffi di pelo rosso cremisi davano alla sua figura un aspetto ancora più inquietante, guardandolo il genio capì perché Clelia avesse scelto quel nome per lui. Cercò di muovere i piedi per allontanarlo, ma ricevette dal gatto solo un grande sbadiglio, poi Mefistofele, con il suo solito passo felpato iniziò a camminare verso di lui. Sapeva che era solo un gatto, ma Reid ebbe lo stesso paura e dovette trattenersi per non chiamare Clelia. Quando il gatto arrivò all’altezza del suo petto capì finalmente le sue intenzioni: udì il forte rumore delle sue fusa, e come se avesse letto i suoi pensieri in segno di risposta il gatto prese a strusciare la sua testa contro il corpo del ragazzo. Intenerito dalla scena il ragazzo allungò la mano,se pur ancora incerta, e la poggiò sulla sua testa come per accarezzarlo, la risposta del gatto fu chiara: le fusa divennero ancora più forti e per rispondere alla carezza del ragazzo gli strofinò la testa sotto al collo e sulla guancia. A spencer scappò un sorriso, mentre il gatto si beava delle sue coccole.

“Allora è tutta scena la tua! Tu e Clelia fate tanto i duri ma poi infondo siete due romanticoni!” il genio della BAU si ritrovò a parlare con un gatto, che nel frattempo si era acciambellato intorno al suo braccio godendo ancora delle sue carezze. Il tepore che emanava la pelliccia di Mefistofele, e il dolce ritmo delle sue fusa favorirono la venuta del sonno anche al ragazzo che in pochi minuti si abbandonò a Morfeo.

 

Nell’altra stanza Clelia bevendo la sua quarto tazzina di caffè non riusciva più a trattenere le lacrime, che venivano giù come pioggia. Invani erano i tentativi di Noemi, che lei stessa aveva chiamato alle cinque del mattino, di cercare di tirarle su il morale.

“Ma gliel’hai detto?” sussurrò Noemi all’orecchio della ragazza che era scossa dai singhiozzi.

“No! Non voglio rovinare questi pochi giorni che ho da passare con lui, raccontandogli di quanto faccia schifo la mia vita!” la ragazza era caduta in una forte crisi di pianto, l’ennesima da quando aveva lasciato l’America.

“Ti prego Clelia, non dire così! È un momentaccio tutto qui, ma passerà tranquilla!” cercò di calmarla la piccola ragazza, accarezzandole i capelli.

“Non credo che passerà…” disse Clelia asciugandosi le ultime lacrime e cercando di riprendere il suo naturale controllo.

“Bè comunque io ti consiglio di parlargli, forse lui potrà aiutarti…” continuò la ragazza sinceramente dispiaciuta per quello che stava accadendo all’amica.

“Ma cosa gli dico? Che mi sono licenziata perché il mio lavoro mi ricordava di lui, che mi hanno sfrattato e che se non fosse stato per te che mi hai ospitato qui a casa tua sarei finita sulla strada? Che come una ragazzina mi sono innamorata di lui in solo una settimana? Dai non posso dirgli questo..” disse tutto d’un fiato la rossa mentre le sue guance diventavano paonazze prendendo quasi la stessa sfumatura dei suoi capelli. Dentro la sua mente regnava il caos, da una parte aveva voglia di dire a Spencer tutto quello che la tormentava e di reclamare a gran voce il suo aiuto, dall’altra non voleva farlo sentire responsabile o di dargli anche il peso dei suoi problemi. Noemi come se avesse letto i suoi pensieri la strinse forte tra le se braccia: Clelia doveva molto a lei, quando era rimasta senza casa l’amica, anche se la conosceva solo da pochi mesi, l’aveva ospitata nella sua casa ,dato che lei sarebbe andata a vivere con il suo fidanzato, senza chiederle niente. Ed era sicura che con la loro compagnia Noemi e Agnese le avevano salvato anche un po’ la vita. La ragazza cercò di consolare ancora Clelia, poi andò via lasciandola sola. La rossa Finì di bere il suo caffè e si alzò dal tavolo, camminando in punta di piedi si diresse verso la camera degli ospiti, la camera dove stava dormendo Spencer. Spinse piano la porta e affacciò la testa per guardarlo: il suo amico dormiva stretto con il suo gatto, le si strinse il cuore, e una lacrima ancora le solcò il viso, avrebbe dato la vita per trovarsi lì a fianco a lui.

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Capitolo 6
*** I won't give up ***


Era rimasta sola. Sola con il rumore dei suo pensieri che le rimbombava nella testa come un macigno che si sgretola da una montagna e ruzzola giù. Ma diversamente da come si sentiva qualche mese prima, la solitudine non la affliggeva affatto perché sapeva che nell’altra stanza c’era lui, ne sentiva la confortante presenza. Per quanto si forzasse di non pensare a come avrebbe fatto quando se ne sarebbe andato la sua mente le riportava sempre a galla quei pensieri, ed allora la solitudine non era più così sopportabile. Si vedeva stratta in un corridoio infinito e buio le cui pareti si stringevano sempre di più intorno a lei ad ogni secondo che passava, ad ogni battito del suo cuore, schiacciandola. Ed allora Il respiro cominciava a mancarle, la vista si offuscava, brividi freddi le pizzicavano la pelle contrastando le gocce di sudore ghiacciato che le imperlava la fronte. Quel giorno non ebbe però l’occasione di perdersi in quel dolore perché una mano calda e morbida le afferrò delicatamente la spalla scuotendola con dolcezza.

“A cosa stai pensando Clelia?” era impossibile ingannare un profiler per una intera settimana. Era impossibile non sciogliersi al suono di quella voce. Era impossibile mentire davanti a quegli occhi.

“A tutto e a niente.” Ripose la ragazza cercando di nascondere alla meglio il gesto della sua mano che raccoglieva le lacrime che gli occhi blu come il mare si erano lasciate sfuggire.  

“Mi dirai mai cosa ti affligge?” Spencer sapeva quanto il cuore della ragazza fosse nascosto in un nebbia fitta ma per quanto potesse supporre non avrebbe mai immaginato la vera regione del malessere della ragazza.

“Semmai dovessi dirtelo spero di farlo quando tu sarai già lontano…” Clelia cercò di abbassare lo sguardo per nascondersi agli occhi caldi del ragazzo che la fissava seduto di fronte a lei.

“Io ho capito cosa hai, non te ne devi vergognare. Te ne ho già parlato in una delle nostre e-mail. So come ci si sente, ci sono passato anche io” non esistevano parole adatte per affrontare un simile argomento, tutta l’intelligenza del Dottor Reid non sarebbe bastata per farle dimenticare quello che aveva passato e cancellarlo per sempre dalla sua memoria. “Hai vissuto un’esperienza che avrebbe sconvolto chiunque. Io stesso ho passato dei mesi infernali dopo che Raphael mi ha preso, te ne ho già parlato. Ma tu non devi permettere ad uno come Alessandro Gabella di annientarti e distruggere la tua vita. Siamo stati noi a vincere e non puoi lasciare che lui vinca su di te proprio adesso.” Le parole del ragazzo aprirono il via alle lacrime della ragazza, per quanto la conclusione che aveva tratto fosse stata sbagliata, non poteva non rimanerne colpita.

“Credimi non mi è successo neanche una volta di pensare a quel bastardo! Ma su una cosa hai ragione. Ho lasciato che vincesse, non Gabella, ma ho lasciato che vincesse il mio cuore. Solo che è talmente stupido che non sa che non potrà mai vincere.” Disse tra le lacrime, tanto sapeva che per quanto Reid fosse un bravo profiler non avrebbe mai capito che si stesse riferendo a lui. Ma forse si sbagliava. Spencer la guardò per un tempo indefinito, si perse ad osservare tutti i suoi dettagli: analizzò ogni suo riccio rosso, ogni ruga che si diramava intorno ai suoi occhi, tutte le sfumature di blu dei suoi meravigliosi occhi, tutte le dolci lentiggini che le tempestavano il viso. Gli fu chiaro in quel momento che amava ogni atomo del suo corpo, ogni cellula di quella ragazza così diversa da lui, gli apparteneva e maledisse se stesso più volte per non avere il coraggio di dirle quanto la amasse, quanto le mancasse ogni giorno che aveva passato senza di lei in America. Tutti dicevano che era un genio, che avesse il quoziente intellettivo fuori dalla media, ma quando la vedeva non poteva fare altro che sentirsi stupido perché in nessun modo sarebbe riuscito ad averla. Non riusciva a capire il motivo per cui lei lo facesse sentire in quel modo, lo faceva stare bene, e non capiva perché lui non riuscisse a dirglielo.

Dagli occhi di Clelia continuavano a scorrere lacrime bollenti pieni di dolore, rimpianti, delusione e amore. Cercò di tenere lo sguardo basso, come a volersi nascondere da Spencer che continuava a fissarla con i suoi dolci occhioni color nocciola, ma non ci riuscì. La tentazione di ricambiare il suo sguardo, di tuffare il blu dei suoi occhi in quelli caldi del ragazzo era troppo forte. Si era stupidamente innamorata di lui, e questo lo sapeva. lo aveva capito da quando era salita su quel maledetto aereo per lasciare l’America e tornare in Italia, per lasciare lui, per lasciare l’amore e tornare al dolore. Lo aveva capito da quel giorno, da quando non poteva fare a meno di pensare ogni minuto a lui, di immaginarlo acconto a se. Erano così diversi, eppure si erano incontrati e in qualche modo legati. L’amore così forte che provavano l’uno per l’altra era così strano, così irragionevole, ma  era arrivata alla conclusine che questo era il bello dell’amore: che era del tutto irrazionale.

Come fosse una automa, senza dare peso ai suoi pensieri Spencer si avvicinò a Clelia, e con le sue morbide e calde mani asciugò una lacrima che con estenuante lentezza le rigavano il volto. Le concesse uno dei suoi soliti, dolci e impacciati sorrisi, uno di quelli che Clelia adorava, di quelli che lei era certa non si sarebbe mai stancata di vedere. Sentendo la mano di Reid sfiorarle delicatamente la guancia la ragazza avvertì un brivido lungo la schiena, si abbandonò al suo tocco e chiuse gli occhi godendosi ogni istante di quel breve e semplice incontro.

“Clelia sappi che io per te ci sarò sempre” mormorò il ragazzo tanto vicino al suo viso che la ragazza avvertì il suo alito caldo, profumato e avvolgente travolgerla e allo stesso tempo avvolgerla.  La ragazza frugò nella sua mente che singhiozzava solo pensieri sconnessi in cerca di qualcosa da dire, qualcosa che esprimesse a fondo quello che lui significava per lei. Ma decise che non erano le parole che le servivano in quella situazione così, senza pensare, senza indugiare si spinse a fare quello che da tempo il suo cuore che chiedeva.

Le labbra carnose di Clelia si unirono a quelle di Reid che, contrariamente alle aspettative della ragazza, dopo un attimo di smarrimento si affrettò a ricambiare il bacio,  il bacio che da troppo tempo ormai i due bramavano di darsi, le loro labbra di muovevano al ritmo del loro amore in un bacio passionale.

Si staccarono dal bacio e restarono a fissarsi, ma questa volta i loro sguardi sapeva cosa volevano dirsi, dai loro occhi traspiravano amore. La rossa di strinse al petto scarno del giovane poi, guardandolo negli occhi gli disse:

“Spencer, io mi sono innamorata di te!” Questa volta mentre pronunciava quelle parole, dette per la prima volta ad alta voce, non pensò a quanto stupida fosse stata ad innamorarsi di lui in una sola settimana o nelle sole e-mail che si erano scambiati. Quella volta era sicura e fiera di quella frase. Spencer ascoltò quelle parole riecheggiare nelle sue orecchie, avrebbe volute risponderle, anzi urlarle che anche lui l’amava ma, non essendo mai stato molto bravo con le parole, decise di replicare tornando a poggiare le labbra sulle sue. Clelia si strinse tra le braccia del ragazzo mentre Spencer intrecciava le sue affusolate dita tra i suoi ricci color fragola, aveva desiderato farlo fin dal primo momento che l’aveva vista. La ragazza crcò di stamparsi nella mente quel istante, il leggero peso delle labbra di Reid sulle sue, i miliardi di piccoli brividi che si arrampicavano sulla sua schiena, la sua mano che scendeva timida sulla sua guancia, fino a quando non riacquistarono il coraggio per approfondire il bacio, dischiusero le labbra permettendo l’uno all’altra di coinvolgersi in un bacio denso di passione. Le loro inibizioni, solitamente troppo alte, si azzerarono per quella sera, come sparirono anche i pensieri. Per tutta la durata della notte la parola domani fu abolita, nessuno dei due ebbe il coraggio di pensare a cosa sarebbe successo. L’unica cosa che pensarono quella notte mentre si fondevano l’uno con l’altra, intraprendendo un sentiero da cui non si poteva più tornare indietro, era che si appartenevano, e non c’era più posto per le domande in quella notte.

 

 

CLELIA è TORNATA!

Vi prego non uccidetemi. Lo so questa storia è bloccata da quasi un anno, ma ho avuto un sacco di problemi che non sto qui ad elencarvi, che mi hanno impedito di scrivere questa FF, che se posso dire è quella a cui tengo di più tra tutte quelle che ho scritto. Ho deciso di tornare per restare, e credetemi ne avremo ancora per molto con Reid e Clelia. Perché ammettiamolo: il fandom di Criminal Minds qui su Efp (e non solo) è uno dei migliori! Sicuramente uno di quelli in cui mi sono trovata meglio. Bè mi aspetto molti insulti da parte vostra per il ritardo ma, ammettetelo sono tornata con questi due che Finalmente cavolo si sono decisi! Bè se siete arrivati a leggere fino a qui vi ringrazio moltissimo.

Ah se qualcuno non lo avesse letto e non lo ricordasse Alessandro Gabella è l’Artista, S.I a cui danno la caccia Reid e Clelia in Change.

 

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