You Were Just To Meet

di JadeDaniels
(/viewuser.php?uid=262191)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodbye Italy. Welcome Canada. ***
Capitolo 2: *** CHANGE. ***
Capitolo 3: *** Hi, we're the Taylor. ***
Capitolo 4: *** Party All Night! ***
Capitolo 5: *** NEW YORK BABE! ***
Capitolo 6: *** Hi, I'm Justin Bieber! ***



Capitolo 1
*** Goodbye Italy. Welcome Canada. ***


Il mio nome e Jade, Jade Daniels. Occhi azzurri, capelli biondi e carattere incerto, 1° marzo 1995. Vivo, o meglio direi, vivevo in una piccola cittadina dell'Italia settentrionale chiamata Druento. Un posto molto accogliente con pochissima popolazione. 
La mia vita è cambiata dal giorno alla notte in un tempo molto ristretto. Quel paesino che credevo potesse possedere tutto quello che mi sarebbe servito per il mio futuro si rivelò solamente un piccolo frammento del mio passato.
Mi sembra strano trovarmi a scrivere quello che mi è successo, io che da piccola sognavo di fare la dottoressa o l'avocato, non mi sarei mai potuta immaginare che il destino aveva prescritto per me un futuro sotto riflettori e su copertine di giornali. 
Cosa affascinante il destino, non trovate? Oltre ad avermi prescritto tutto quello, aggiunse un dettaglio che non poteva mancare in mezzo a quello che sembrava tutto così stupendo e meraviglioso. Il destino ha scelto di darmi un'occasione. Ha deciso di fare scegliere a me la direzione della vita che avrei voluto vivere. 
Per farvi capire meglio, racconterò tutto da capo.
 
 
Era un mercoledì pomeriggio di inizio inverno. 
L'aria iniziava a raffreddarci e il paesaggio iniziava a prendere un colorito biancastro. In cielo si iniziarono a vedere i primi stormi di uccelli emigrare verso una destinazione più calda e accogliente.
Ero seduta in classe a fissare l'orologio della mia compagna di banco, nella speranza che quell'infernale giornata finisse. Mancavano pochi secondi, e finalmente.. La campanella suonò. Feci la cartella in cinque secondi e mi catapultai fuori dalla scuola per aspettare l'arrivo di mia sorella. 
"Giornata pesante?" mi domandò uscendo dalla classe e vedendomi appoggiata alla parete difronte alla porta dalla quale lei uscì.
"Un mattone, non vedo l'ora di arrivare a casa e di mettermi a dormire".
Il viaggio di ritorno fù, come al solito, molto tranquillo e rilassante. Fortunatamente, casa nostra non era molto lontana dalla scuola.
Entrammo in casa spalancando la porta, corremmo nelle nostre camere a posare le cartelle. Stavamo per crollare entrambi sui letti quando una voce, dalla cucina, chiamò i nostri nomi.
"Jessica, Jade, scendete un attimo?" mamma non amava molto l'attesa così, affrettammo il passo e scesimo le scale per dirigerci in salotto dove vidimo lei e papà seduti sul divano.
Mia madre stringeva tra le sue mani quelle di mio padre.
"Che succede?" chiese mia sorella avvicinandosi a loro.
Io guardavo la scene con sguardo sospetto. Papà di solito tornava a casa verso sera, per essere già arrivato alle 3 e mezzo del pomeriggio, doveva per forza essere qualcosa di importante.
"Jessica, Jade, sedetevi" disse mia madre stampandosi un sorriso sulle labbra.
Papà sorrise con lei e lasciò andare il suo braccio sinistro dietro il collo di mia madre.
"Ho avuto un nuovo lavoro, ma purtroppo dobbiamo trasferirci".
Papà disse quella frase senza neanche mettere spazi tra una parola è l'altra, senza nemmeno prendere fiato. 
Il mio sguardo si perse nel vuoto, e il mio cuore, per qualche istante, si bloccò.
Ricordo ancora le parole di mia madre.
"Sarà un nuovo inizio, per tutti quanti, avrete nuovi amici, una nuova casa, una nuova scuola, e poi è molto importante per vostro padre."
Non ci potevo credere. Mia madre sembrava così eccitata e mio padre così euforico per questo trasferimento.
M girai verso mia sorella, lei mi guardò negli occhi, poi si girò verso mia madre.
"Possiamo andare?" 
"Ragazze, lo facciamo per il vostro bene" disse mia mamma posando le sue mani sulle nostre.
Io e Jessica ci alzammo, salimmo le scale e ci dirigemmo in camera nostra.
Non ebbi il tempo di entrare in camera che sentii un vomito di parole uscirmi senza un freno.
"Spero che sia solo uno scherzo, non ci posso credere. Non ci possono fare questo, non adesso, non possono proprio. Io non me ne vado, e fuori discussione." 
Così dicendo, mi passai una mano trai capelli e mi avvicinai alla finestra della camera di mia sorella. 
Da quella finestra riuscivo sempre ad intravedere i raggi del sole che passavano tra le foglie degli alberi, Era una cosa stupenda.
Mia sorella si avvicinò a me.
"Se non proviamo non possiamo sapere come andrà a finire, magari potrà rivelarsi una bella esperienza"
"E lasceresti qui tutto quello che abbiamo? Gli amici, la scuola, la famiglia? Mi dispiace, forse sono ancora troppo piccola per capire o troppo grande per accettarlo, ma no, non sono così sicura che possa essere niente di positivo" 
Mia sorella mi guardò, tolse l'elastico che raccoglieva i suoi lunghi capelli rossi, 
"Devo fare la grande, e tu devi aiutarmi ad esserlo" mi disse porgendomi una mano.
Rimasi ancora qualche secondo a fissare i raggi del sole che formavano una figura strana e stupenda sul giardino di casa. Dentro di me sentivo qualcosa che mi diceva "andrà tutto bene" ma un'altra parte invece "non promette bene". Tirai un sospiro e porsi la mia mano a quella di mia sorella.
Scesi le scale tenendomi aggrappata al corrimano e pensando a quante cose avevo passato in quella casa, i miei primi passi, le feste di compleanno, i natali.. Non sarebbe stato facile dirle addio.
I nostri genitori si trovavano ancora su quel divano, come se dalla paura di un nostro rifiuto fossero rimasti pietrificati su di esso.
"Va bene" disse Jessica fermandosi davanti a loro.
Mia mamma le sorrise e poi mi guardò.
"Jade.. te cosa ne pensi?"
"Lo faccio solo perchè amo voi, e perchè me lo ha chiesto mia sorella, quindi, mi sa che mi serviranno parecchi scatoloni" 
Non potevo crederci di avere detto quelle parole, eppure, mia mamma era li ad abbracciarmi forte e felice come non mai. Aveva un sorriso stampato in faccia che raramente appariva sul suo volto. Ero contenta di essere stata partecipe nella creazione di esso. 
Mia sorella si girò verso di me e mi abbracciò.
"Stiamo facendo la cosa giusta" mi disse nell'orecchio.
Ascoltai quelle parole come se fosse la mia voce interiore a dirmelo, come una rassicurazione.
"Oh a proposito, volete sapere qual'è la destinazione?" disse mia madre 
Dentro di me pensai "beh dai, dove avrebbero potuto mai prendere un Architetto, Roma, Milano, Puglia?"
"CANADA" esclamarono mamma e papà esterefatti di rivelarci la nostra destinazione.
"CANADA??" domandammo in coro io e mia sorella.
Non ero preparata ad una destinazione così lontana dalla mia amata Italia.
"Si, lo so il clima è molto diverso da questo di Torino, e anche la lingua ma vedrete che vi troverete bene, dopotutto andate così bene in inglese"
Alzai gli occhi al cielo, ci sarebbe stato un mare in mezzo a me e a tutto quello che avevo avuto con me per tutti questi anni. 
Io e mia sorella, Jessica, salimmo nuovamente nelle nostre camera dove nostra madre, non perse tempo nel portare scatoloni e impacchettare le cose.
Non avevo molti amici a Torino ma i pochi che avevo erano veramente importanti e lasciarli li, mi faceva sentire sempre peggio. 
Pensai tutta la notte a come dire il giorno seguente a scuola che mi sarei dovuta trasferire in Canada, a milioni e milioni di chilometri lontana da loro.
La mattina dopo andai a scuola, nonostante avessi pensato cosa dire a Lucrezia, Claudia e Amanda riguardo al mio trasferimento in Canda, le parole non sembravano mai all'altezza della situazione.
"Vedrai, la nostra amicizia non finirà qui" disse Amanda abbracciandomi.
"Ti vogliamo bene" continuò Lucrezia
"Quando vorrai, a qualsiasi ora, di qualsiasi giorni e in qualsiasi momento, non esitare a chiamare, faremo il possibile per te anche se distanza oltre mare" disse Claudia asciugandomi quelle poche lacrime che riuscii a non far cadere sul pavimento di quel corridoio che percorsi per l'ultima volta.
Mia sorella, invece, aveva problemi maggiori. 
Io che credevo che lasciare quelle poche amiche che avevo fosse stata una delle imprese più dure di tutta la mia vita, si rivelarono solo sciocchezze.
Erano le 20 e 18 quando, Davide, il ragazzo di mia sorella, arrivò a casa.
Andarono a parlare nel giardino. Io ero nella mia cameretta, seduta alla finestra che guardavo e cercavo di capire cosa stesse succedendo.
Penso che non riuscirò mai a dimenticare l'espressione assente e terrorizzate che assunse Davide non appena mia sorella nominò il nome Canada.
Riuscivo a sentire il battito cardiaco di Davide rallentare a dismisura e sentire le lacrime di mia sorella cadere sul pavimento. Di colpo lasciai cadere anche io qualche lacrime, scesi in giardino e andai ad abbracciare Davide che, pietrificato, riuscì solamente ad aprire le sue braccia e avvolgerle attorno a me.
Mi staccai da lui e andai da mia sorella.
"Non è la fine" le dissi
Mi guardò e sorrise.
"Lo spero" rispose
Davide si avvicinò a noi.
"No, non è la fine, verrò da te il prima possibile, nemmeno un oceano ci potrà dividere" baciò mia sorella.
Di colpo un sorriso apparve sulle nostre facce.
Quella fù la nostra ultima giornata a Druento, l'ultima volta che camminammo su quel pavimento, toccammo quei muri, annusammo l'odore della nostra casa. 
La notte arrivò, Fissai per l'ultima volta il soffitto della mia camera come ogni sera prima di addormentarmi.
 
Erano le 5 e mezza quando mia madre venne disperatamente a svegliarci più e più volte. Le coperte sembravano volerci tenere legate al letto. 
Strizzai gli occhi, mi trovavo ancora nella mia camera a Druento. Ero felice, tutto quello che avevo era ancora mio, ancora per poco almeno. 
Nel giro di mezzora mi trovavo seduta su un divanetto dell'aereoporto di Caselle ad aspettare che il nostro volo venisse chiamato.
Guardavo i tebelloni nella speranza che il volo 25F venisse annullato da un momento all'altro, ma niente.
Mia sorella continuava a darmi qualche gufetto ogni tanto, cercando di farmi capire che sarebbe andato tutto bene. I minuti passarono, poi, l'autoparlante diede un annuncio:
*Chiamata per il volo 25F diretto in Canada con scalo a Stratford*
Cuore in gola. Avevano chiamato il nostro volo. Era ufficiale, avrei dovuto dire addio alla mia amata Torino.
Mia sorella mi prese la mano, e insieme, salimmo le scale che ci portarono alla fine di una storia e all'inizio di un'altra.
l'aereo decollò. Vidi per l'ultima volta la forma di quello stivale che geograficamente veniva chiamato Italia.
Durante tutto il volo non smisi di pensare a come potesse essere riniziare una nuova vita, in un nuovo posto. 
"Ehi piccola, va tutto bene?" papà, che si trovava qualche posto dietro a quelli miei e di mia sorella si era avvicinato al mio sedile.
"Ciao papà". 
Cercai di dare una risposta ne fredda ne euforica.
Papà si sedette al posto di mia sorella che lei stessa aveva lasciato libero per andare in bagno.
Il mio sguardo era fisso sul panorama completamente bianco al di fuori del finestrino. Papà fece un sospiro e iniziò a parlare.
"Sto cercando di fare la cosa giusta, non voglio che nè te nè tua sorella c'è l'abbiate con me. Per me questa è una buona opportunità di lavoro. Se ho accettato questo incarico e perchè è ben retribuito e potrei dare a te a tua sorella il meglio. 
Vostra madre all'inizio era contraria al trasferimento, ma abbiamo valutato le diverse opzioni, e siamo arrivati alla conclusione che sarebbe stato meglio così. Forse non te ne ho mai parlato ma.."
Il mio sguardo di colpo passò dallo sguardo assente fuori dal finestrino a quello interessato che volsi agli occhi di mio padre.
"..l'azienda per cui lavoravo a Torino stava fallendo. Avrei potuto perdere il lavoro da un momento all'altro. Non ne ho mai parlato ne con te nè con tua sorella perchè non voglio darvi ulteriori preoccupazioni, avete già da pensare hai vostri problemi adolescenziali, ma ora penso che sia il momento giusto per dire le cose come stanno. Spero che voi riuscirete a capire che tutto quello che papà e mamma fanno, e per darvi un futuro migliore".
Vidi gli occhi di mio padre luccicare, mai successo prima d'ora. 
Mostrai un sorriso e mi avvicinai a lui avvolgendolo in un grosso abbraccio.
"Ti voglio bene, papà"
Papà si dovette staccare da quell'abbraccio che sono sicura avrebbe voluto che durasse per tutto il volo, ma mia sorella era arrivata.
"Ha fatto anche a te il discorso?" mi chiese occupando nuovamente il suo sedile.
"Si, non posso odiarli ne disprezzarli, lo fanno per noi."
Così facendo, passai le ultime ore di volo ad ascoltare musica e a fissare nuovamente le immagini fuori dal finestrino che se prima erano completamenti vuote, ora erano riempite da qualcosa: l'emozione.
 
Dodici ore dopo l'imbarcazione, l'aereo arrivò a destinazione. 
Stanca e felice di poter finalmente mettere i piedi a terra, presi la borsa, riposi all'interno l'iphod e le cuffie e, seguendo mia sorella, scendemmo dall'ereo. Aspettammo l'arrivo dei nostri genitori e subito dopo, in un perenne silenzio da parte di tutti quanti (dodici ore di aereo vi assicuro che sono molto stancanti e stressanti) andammo a recuperare i nostri bagagli. 
"Lo vedi?" chiese mia mamma a mio padre interrompendo il silenzio.
"Umm, no.. Aspetta, sisi lo vedo, è la in fondo!" rispose papà afferrando il suo bagaglio e avvicinandosi ad un uomo a bordo di un'auto nera come la pece.
"Su ragazze, prendete i vostri bagagli, si va a casa" mamma afferò a sua volta il suo bagaglio e si avviò anche lei per la macchina.
"Secondo te, chi è quell'uomo?" chiesi a mia sorella con aria ambigua.
"Potrebbe essere semplicemente uno di quelli che va a prendere la gente in aereoporto e la porta a casa loro."
La spiegazione di mia sorella non era molto chiara ma ero troppo stanca per correggerla così, afferrammo i nostri bagagli e raggiungemmo i nostri genitori.
Sentire parlare una lingua diversa da quella che prima si era abituati ad udire si rivelò una cosa molto emozionante e abbastanza facile. 
Scoprimmo che il "guido" si chiamava Clariss e che aveva una famiglia in Francia, ma che lui lavorava in Canada per via che dove abitava lui non c'era molto lavoro.
Il viaggio dall'aereoporto alla nosta nuova abitazione di rivelò abbastanza immediato, o meglio, così mi parve.
"Non abbiamo badato a spese" disse mamma tutta emozionata di mostrarci la nostra nuova "dimora".
Se devo essere sincera amavo molto i paesi stranieri, le loro usanze e i loro costumi.
La macchina percorse un lungo viale composto da tante villette separate le une dalle altre da delle siepi. 
A mia grande meraviglia, mi accorsi che ogni casa aveva un pezzo di giardino proprio davanti. Amavo osservare dalla mia finestra il giardino.
Ad un certo punto la macchina si fermò davanti a una casa grande due volte tutte le case che avevo visto in quel viale. 
Da fuori aveva un aspetto molto "signorile". Era completamente bianca con il vialetto e i davanzali fatti di mattoni chiari. La porta era di un color mogano e le finestre di un castano scuro, tendente al nero. Nel giardino davanti alla porta principale c'era un pezzo di giardino con un piccolo alberello che riparava l'intera casa dal sole.
"Wow" dissi a bassa voce tanto che mia sorella, che si trovava qualche metro più in la mi sentì.
"Promette bene, non è così?"
Dovetti darle ragione. La casa sembrava stupenda, ma ero ansiosa di vederla all'interno.
"Siete pronte?" mamma, tutta euforica, tirò fuori dalla tasca una chiave che posò all'interno della serratura e la fece scattare. Davanti a noi si spalancò il paradiso. 
All'interno, proprio davanti alla porta principale, si apriva una scala, che in cima si divideva in due parti: una che portava a destra e una che portava a sinistra, tutta in marmo bianco con sopra un tappeto nero che riprendeva il colore del lampadario che si trovava al centro della sala.
Sulla destra si apriva un enorme salotto con un enorme tavolo di cristallo che sosteneva delle candele nere, che si posavano sopra ad un centrino bianco come la neve. Davanti al tavolo, sulla destra, c'era una finestrata enorme che dava sul vialetto.
Dall'altra parte, invece, un divano enorme e delle poltrone di pelle nera, accerchiavano un caminetto, anche esso di marmo. 
"Vieni a vedere di qui".
La voce estasiata di mia sorella arrivava dalla parte sinistra della casa. Subito corsi da lei.
Davanti a me mi trovavi una cucina tutta di interno marmo con al centro una penisola di marmo nero sbrilluccicante.  Il frigo sembrava grosso quanto il mio precedente armadio. Il tavolo da pranzo era bianco con sopra una composizione floreale di rose blu e bianche.
"Non può essere vero". 
Ero rimasta a bocca aperta dell'immensità di quella casa.
"E non è ancora finito, andate a vedere le vostre stanze" mamma e papà si erano fermati ad osservare la nostra reazione davanti a quella cucina così meravigliosa.
Guardai di scatto mia sorella e poi, di corsa, percorremmo quelle scale alla ricerca della nostra camera.
"Mi ci vorrà una mappa" disse Jessica trovandosi davanti a se una decina di porte.
"WOW! Ma dove dobbiamo andare?" ero rimasta a bocca aperta.
Mamma e papà nel frattempo ci raggiunsero.
"Hahaha, si beh, è grossa come casa. Ora vi spieghiamo bene. Jade la tua camera e quella li al fondo a sinistra, mentre la tua, Jessica, al fondo a destra." Papà finì.
"E tutte queste altri 8 porte?" chiese Jessica ancora incredula che ci fosse ancora così tanto da vedere di quella cassa.
"Beh, una cosa alla volta, prima andate a vedere le vostre stanze, come tutta la casa, sono già state arredate."
Io e mia sorella corremmo immediatamente al fondo del corridoio. Prendemmo fiato ed entrammo all'interno delle nostre stanze.
Ero pietrificata. 
La mia camera era più grossa di tutta la sala da pranzo e il salotto messo insieme. 
Sulla parete al fondo c'era posizionato il mio letto a 2 piazze, i muri erano dipinti di un rosa acceso, e il copriletto era nero. 
Davanti al letto si trovava una piccola "zona relax" con qualche divanetto e una tv enorme. 
Sulla sinistra c'era una scrivania con sopra il mio computer e tutti i miei dischi. Era perfetta, ma c'erano solo due piccola porta che sarebbero dovuti essere il mio armadio. Mi avvicinai ad una di esse e non potei immaginare quello che mi stavo trovando davanti agli occhi. Era una cabina armadio grossa almeno quanto la mia stanza, piena di vestiti, scarpe, cinture, borse, cappelli ecc.. Uscii e aprii la seconda porta e davanti a me si spalancò il paradiso. Avevo il bagno in camera. Era veramente troppo bello per essere vero.
La cosa che in assoluto preferivo di quella camera era la finestra che dava sul giardino e sul vialetto di casa.
Curiosa, andai a vedere la camera di mia sorella.
Io che credevo che non mi sarei più potuta sbalordire mi dovetti ricredere. 
La camera di mia sorella era forse più bella della mia.
Aveva le pareti di un viola chiaro chiaro quasi lilla, il letto più grosso del mio con le lenzuola viola. Un televisore e due scrivanie, una su cui si trovava il computer e una su cui si trovava il suo sterio.
L'armadio era strabigliante.  Anche lei aveva una "zona relax" un po' più grande della mia con qualche poltrona e un divanetto che rendevano quella stanza ancora più bella. Anche lei aveva il suo bagno.
Eravamo entrambe estasiate.
"Vi piace?" chiese papà appoggiandosi alla porta della stanza di Jessica, con la seguito mamma.
"State scherzando? E' stupenda" dicemmo ad unisolo io e mia sorella che andammo ad abbracciare immediatamente i nostri genitori.
"Ora volte vedere le altre stanze?"
Non diedimo nemmeno il tempo a nostra madre di finire che già eravamo davanti alla prima porta dove si trovavano apparecchiature musicali di ultima generazione. C'erano 3 o 4 chitarre, due o tre microfoni. Computer multimediali come quelli che usano nelle case discografiche, una cabina per registrare.
"Questo è un regalo di vostra nonna Rosa. Sa quanto vi piaccia cantare."
"Dobbiamo ricordarci di farle un bel regalo per Natale quest'anno" disse mia sorella estasiata.
Le porte successive nascondevano la palestra e l'area cinema/videogiochi.
Dietro un'altra porta si trovava la stanza per gli ospiti, dietro un'altra la camera dei nostri genitori.
Le altri 3 camere erano ancora vuote nella speranza che venisse fatto un progetto anche su di loro.
La casa era qualcosa di stupendo. Le ore passarono in un battibaleno. Erano già le 20 quando il fattorino consegnò a casa le pizze.
Molto velocemente mangiammo quella prelibata pizza nella nostra nuova casa e, senza pensarci troppo, ci recammo tutti nella sala giochi dove la nostra nuova XBOX ci attendeva. 
Con le ultime forze che ci rimasero in corpo giocammo a non so quanti giochi fino a quando, esausti, decidemmo di mettere da parte i videogiochi e di inaugurare i nostri nuovi letti.
Erano le undici e mezza quando, esausta, mi sdraiai tra le coperte di quel letto, che, dopotutto, non mi fece sentire poi così tanto la nostalgia di casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CHANGE. ***


La settimana successiva mi alzai diversamente in confronto a tutte le altre. Mamma iniziò a svegliarmi alle sette per abituarmi con l'orario scolastico, ma non era per quello che mi sentivo giù di morale.
Ero arrivata in Canada da una settimana, e il giorno successivo avrei iniziato la scuola, e non avevo ancora fatto amicizia con nessuno, se non si conta la panettiera che era fissata con i miei occhi. ("Mai visti occhi del genere da queste parti. Sei veramente bella, i tuoi occhi farebbero invidia a miss mondo").
Mi svegliai e mi andai a sedere sul davanzale della finestra della mia stanza. Proprio in quel momento sentii un brivido di freddo che mi fece tornare in mente la mia amata Druento, e di quanto mi mancassero i miei amici, e i miei nonni.
Era un lunedì mattina più che deprimente. Sulla scrivania notai che tutti i miei libri di testo erano già arrivati.
Scuola, niente di più deprimente.
Un rumore, però, di solito il mio sguardo dai libri. Una porta si era chiusa, e una ragazza dai capelli castani camminava sul viale di casa mia.
Aveva una cartella e in mano un libro che sembrava molto uno di quelli che si trovava sulla mia scrivania.
Sicuramente quella sarebbe stata una mia nuova compagna di scuola.
Non ci detti molto conto, scesi dal davanzale e mi avvicinai alla camera da letto di mia sorella. 
Era al telefono. 
"Si qui tutto bene, ma mi manchi" probabilmente Jessica era al telefono con Davide. 
Per via del fuso orario tra Canada e Italia (6 ore), i due non si potevano sentire quanto volessero, ma mia sorella cercava comunque di dare il meglio di se per poter mantenere quella relazione stabile.
"Origli?"
Una voce proveniente dalle mie spalle mi fece sobbalzare.
"Mammaaa" 
"Cosa c'è, sei tu che ti "aggiri furtivamente" vicino alla porta della stanza di tua sorella" continuò.
"Non mi "aggiro furtivamente", volevo solo parlare un po' con lei." Risposi con la minima cortesia.
"Beh, visto che lei è impegnata parla con me"
Mamma continuava a sperare che io e mia sorella le dicessimo quello che ci passasse per la testa, i nostri problemi e le nostre preoccupazioni, che ogni volta che vedeva che una delle due era giù di morale si offriva volontaria.
Non era niente di così importante, se ci pensate bene, così decisi di "confidarmi" con mia madre, e, a mia grande sorpresa, si rivelò molto utile.
"E normale che tu non ti sia fatta ancora nessun'amicizia, stai tutto il giorno chiusa in camera tua ad ascoltare musica, oh a proposito, dovresti svuotare le ultime valigie"
"Non sei d'aiuto"
"Quello che sto cercando di dirti e che non ti devi spaventare. E una cosa normale, sei arrivata in una nuova città, e tutto nuovo per te, come è tutto nuovo per me e per tuo padre e per tua sorella. Non buttarti giù di morale. Vedrai che con l'inizio della scuola andrà tutto migliorando."
Ringraziai mamma e decisi di risalire in stanza.
Come precedentemente aveva accennato, passavo gran parte delle mie giornata ad ascoltare musica, musica di qualsiasi tipo. Amavo sentire nuovi suoni, nuove voci, nuovi ritmi. Non sdegnavo nessun tipo di genere.
Devo ammettere che però, anche io avevo i miei deboli. 
Da quando ero arrivata in Canada cercai di scoprire stelle nascenti canadesi, e me ne imbattei in uno, che già precedentemente avevo ascoltato; Justin Bieber.
Non sapevo molto su di lui, solo che era del Canada e che stava spopolando negli ultimi tempi. Bellissima voce, e bellissimo viso (gusto personale ovviamente).
Nei momenti di pausa tra una canzone e l'altra fissavo le ultime valige che dovevo ancora disfare, ma solo il pensiero di risentire l'odore di casa, dei quali erano impregnati i vestiti, mi faceva salire il magone, così ogni volta trovavo una scuola per lasciarle li, in un angolo della camera. 
Avrei anche dovuto cambiare il numero telefonico, (in Canada non esiste Vodafone, Tim, Wind, ma altri operatori). Anche quella un'idea sempre sdegnata.
Ma quel giorno non sapevo cosa fare, così decisi di infilarmi un paio di pantaloni, una maglia, scarpe, giubbotto e fuori di casa.
Ovviamente mi portai dietro mia sorella; anche lei si sarebbe dovuta prendere un numero da utilizzare per comunicare con eventuali amici che si sarebbe fatta andando a scuola.
"Se ci perdiamo non dare la colpa a me" dissi a mia sorella prima di girare il primo angolo della via.
"Ah si, la colpa è mia ovvio" rispose spaccatamente
"Sei tu la sorella maggiore".
Entrambe scoppiammo in una risata da ebeti che solamente noi potevamo capire l'origine di essa.
Finalmente, dopo un lungo tragitto, riuscimmo a trovare un piccolo negozio che vendeva carte telefoniche per gente che venisse dall'estero. 
"Sono 20$"
Pagammo il commesso che si dimostrò molto gentile e ci dirigemmo nuovamente a casa.
Il clima Canadese era molto freddo e ventilato, un vero suicidio per chi è abituato all'aridità e al caldo temperato.
"Io non è che abbia molta voglia di tornare a casa" disse mia sorella fissando l'orologio e rendendosi conto che erano solamente le nove e mezza.
"Beh, e cosa vorresti fare?" chiesi portando le mie mani in tasca nella speranza di trovare un po' di calore.
"Siamo in una novità città, andiamo al centro e vediamo un po' che gente c'è qui, i negozi."
Quando eravamo a Torino passavamo molte giornate tra negozi e bar a bere cioccolata calda e a mangiucchiare brioche alla marmellata. Era un momento dedicato solamente a me e a lei.
Feci un cenno di approvazione con la testa ed entrambe ci avviammo per il centro della città.
Era una cosa mai vista prima. 
La città non era poi così silenziosa e tranquilla, anzi, era molto movimentata e popolata. C'erano molte macchine che giravano per i parecchi corsi e per le milioni di strade. 
La popolazione sembrava che si conoscesse tutta, e vedere nuove facce girovagare per la città era una novità anche per loro.
"Mi piace" disse mia sorella affacciandosi alla prima vetrina di un negozio di abbigliamento.
Nella vetrina, un manichino, indossava un vestito rosso fiammante stupendo, con una lunga scollatura a vi e con la gonna fatta in pizzo che arrivava poco più su del ginocchio.
"Wow, stupendo" anche io rimasi sbalordita dalla meraviglia di quell'abito.
Sfortunatamente, non avevamo abbastanza soldi per fare "serie" compere, così ci limitammo a scattare una foto mentale al posto in cui si trovava il negozio per poterci poi tornare con "il denaro".
Ormai era l'una e mezza. Dopo aver avvisato mamma che avremmo pranzato fuori, ci avvicinammo ad una pizzeria popolata da una mandria di ragazzi in età compresa dai 15 ai 19 anni. 
"Dunque, dobbiamo per forza entrare li dentro?" chiese mia sorella mostrandomi con un po' di imbarazzo quanti ragazzi e ragazze si trovavano all'interno.
"Se hai voglia di farti una bella sfilata davanti a loro si, se invece preferisci evitarti qualsiasi figuraccia la prima settimana che viviamo in una nuova città, direi di cambiare assolutamente pizzeria."
Mia sorella accettò volentieri la mia seconda opzione. 
"Però c'erano dei bei ragazzi la dentro" disse pochi istanti dopo.
"Hahaha, gli e lo dico a davide eh, così le facciamo prendere un bel coccolone e ti raggiungerà qui nel giro di 2 ore" 
Scoppiammo nuovamente in una risata.
Entrambe sapevamo come Davide fosse irascibile sul fatto "altri ragazzi", e delle espressioni che assumeva quando mia sorella provava a pronunciare quelle parole.
Ma mia sorella aveva ragione, i ragazzi canadesi erano veramente carini. Più e più volte, durante il tragitto che avevamo percorso notai dei ragazzi veramente belli.
Finalmente, dopo un buon quarto d'ora di camminata arrivammo a una nuova destinazione. Il locale si chiamava Mill St. Sembrava molto caldo e accogliente, decidemmo quindi di entrare e di ordinare.
"Per me una margherita" dissi alla cameriera.
"Io invece una quattro formaggi" aggiunse mia sorella.
La cameriera si allontanò dal nostro tavolo.
Mia sorella tirò un sospiro poi iniziò a parlare.
"Se devo essere sincera tutta questa situazione sta iniziando a piacermi, nel senso che comunque credevo sarebbe stata una cosa troppo drastica da accettare ma invece e molto piacevole. Mi trovo bene qui, anche se non conosco ancora nessuno. La nostra casa è stupenda e poi mamma e papà non sembrano essere mai stati così felici."
Ero pienamente d'accordo con tutto quello che mia sorella aveva appena detto, ma aggiunsi: "Secondo me ci siamo fasciate la testa ancora prima di rompercela. Alla fine un trasferimento è una cosa che piano piano si può superare. E una buona occasione per ricominciare tutto da capo, con nuovi amici, nuove usanze, tutto nuovo. E poi, sinceramente.."
Venni interrotta con l'arrivo delle pizze.
"..quante volte abbiamo parlato di viaggiare, di andare via da Torino? Questa è una buona occasione per conoscere nuove culture."
Mia sorella mi sorrise, poi iniziammo a tagliare la pizza e, nel giro di qualche istante, i nostri piatti erano già stati ripuliti.
"Direi che ora possiamo tornare a casa" 
Piene come un uovo pagammo il conto e ci rimettemmo sulla strada di casa.
Il viaggio di ritorno sembrò molto più lungo di quello dell'andata. Forse perché percorremmo lo stesso isolato per circa tre volte, o forse perché la pancia piena rallentava la nostra andatura, ma dopo un ora e mezza finalmente vidimo il nostro viale e la nostra casa.
Ancora non mi sembrava vero che quella fosse casa mia.
Fuori dal recinto c'era una macchina, nuova di zecca. Se non sbaglio era una Range Rover nera nera nera. Era enorme e stupenda.
"Il presidente Obama è venuto a farci visita?" chiese mia sorella alla vista di quello splendore.
Percorremmo il vialetto di casa ed entrammo.
"Siamo tornate" urlai nella speranza che mia madre mi sentisse.
Davanti a noi si piombò nostro padre.
"L'avete vista?" chiese tutto emozionato.
"La macchina? Beh sai è un po' difficile da non vedere" disse mia sorella volgendo gli occhi fuori dalla finestra per darle un'altra occhiata.
"E nostra" aggiunse papà "E' la macchina aziendale. Non è stupenda?"
Stava succedendo veramente? Quella macchina era seriamente di nostra proprietà?
Papà dopo qualche istante si rivolse a me.
"Oh, Jade, qui in Canada la patente si prende a 16 anni, quindi, oggi io e mamma andremo ad iscriverti".
Patente? Okey panico. L'unica cosa che avevo mai guidato in 16 anni erano gli autoscontri alla festa in paese, e quell'unica volta, ero riuscita a mandarlo fuori pista con una manovra che solo io posso sapere come abbia fatto. Da allora, nessuno mi fece avvicinare a nessun tipo di veicolo.
Le ore passarono velocemente quando io e mia sorella decidemmo di andare a inaugurare la "sala della musica", che ci era stata regalata da nostra nonna.
Le nostre voci non si erano mai sentite così bene come quel giorno, con quei microfoni, con quelle apparecchiature, con nostro padre, che amava incidere le nostre voci.
"Stupende ragazze, veramente stupende. Questa è da oscar".
Papà mise ad alto volume la canzone che io e mia sorella avevamo appena registrato. Era una cover di Shontelle, Impossible.
Amavamo la voce di quella donna, ci dava ad entrambe una sensazione di pura euforia.
Mentre ascoltavamo, mamma entrò all'interno della stanza per darci una notizia.
"La scuola ha chiamato, a detto che domani vi dovete presentare entrambe alle 8 e mezza nell'ufficio del preside per l'iscrizione e per l'assegnazione dei corsi"
"Come come come scusa? Tu non verrai con noi?" chiesi scioccata guardando mia madre.
"Ragazze, qui non siamo in Italia, anche la scuola è diversa. Lasciano più responsabilità a voi giovani. Vedrete che andrà tutto bene. Oh la cena è pronta, se volte venire a mangiare.."
Guardai mia sorella che a sua volta guardò me. 
Fortunatamente ci sarebbe stata anche lei domani con me.
Scendemmo sotto in cucina dove mamma aveva preparato il solito "cenone di Natale". 
Mangiammo e dopo, come da routine, andammo tutti quanti nella sala cinema/giochi per guardarci un bel film tutti assieme, con popcorn e coca cola. 
Alle dieci e mezza mamma mise tutti a letto, compreso mio padre.
Preparai la cartella e mi sdrai nel letto a fissare il soffitto.
"Domani sarà il primo giorno di scuola, tutto nuovo, tutto diverso. Non devi essere la sfigata che eri prima. Devi cercare di mostrare il meglio di te, devi battere il tuo muro. Non farti mettere i piedi in testa" continuavo a ripetermi frasi del genere nella mia mente cercando di convincermi. 
Guardai di sfuggita l'orologio sopra al comodino, si era già fatta l'una e mezza. La voglia di dormire era inesistente, così, mi alzai e mi diressi nel bagno dove iniziai la mia trasformazione.
Mamma aveva comprato per lei una tinta più chiara del classico biondo, la "rubai" e, leggendo attentamente le istruzioni, mi misi l'impacco di quella sostanza sopra ai capelli. 
Nel frattempo spalancai le porte del mio armadio alla ricerca del "vestito giusto" per il primo giorno di scuola.
Non ero proprio il tipo di ragazza che prima di uscire passava ore e ore a scegliere che mettere, ma ero in fase di cambiamenti. 
Provai diverse combinazioni di vestiti, dalle gonne ai jeans, dai top alle dolce vite e poi, ecco che trovai la perfezione.
Mia sorella mi aveva ripetuto più e più volte come i jeans e i tacchi fossero la combinazione migliore. Avevo 16 anni, avrei anche potuto iniziare ad osare. Nel frattempo la tinta aveva fatto il suo lavoro. Riscacquai miei capelli, li asciugai ed ecco che una lunga chioma di capelli biondo pallido si liberò sulle mie spalle. 
Io che ero abituata a non piastrare i capelli, osai passare sopra ad essi la loro prima passata di piastra.
Erano le tre e mezza quando decisi di potermi mettere a riposare per qualche ora. Misi la sveglia alle sei e mezza per preparare gli ultimi preparativi del trucco e per chiedere a mia sorella consiglio sull'abbigliamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Hi, we're the Taylor. ***


Avevo un groppone nello stomaco, le mie mani tremavano. 
"Una nuova scuola." continuavo a ripetermi nella mente. Solo il pensiero mi faceva venire un giramento di testa. 
Compagni nuovi, nuovi professori, nuove materie, nuove classi.. Tutto nuovo.
La macchina di papà lasciò me e mia sorella, la mattina seguente, davanti all'entrata dell'istituto.
Davanti a noi c'era solamente un insegna: "High School Wester Canada".
Mia sorella era al mio fianco, nessun presunto futuro compagno di scuola si era ancora visto. "Strano" pensai. Da una parte ero sollevata ("nessuna figuraccia prevista nei prossimi 20 secondi, bene") ma dall'altra agitata ancora più del solito. 
Per la prima volta in tutta la mia vita mi trovavo a camminare su dei tacchi e a portare jeans così stretti che si potevano vedere le vene da essi, giubbotto di pelle nero e i miei capelli, tinti e stirati per la prima volta, liberarsi su di esso.
"Andrà tutto bene, piccola" disse mia sorella prima di afferrarmi la mano.
"Se lo dici tu" feci un respiro profondo ed, assieme a lei, ci avviammo all'interno della scuola.
Tenevo gli occhi fissi sul pavimento e le orecchi quasi serrate con la forza del pensiero, nella speranza di non vedere ne di udire gente che mi guardava o che mi commentava.
Mia sorella era come sempre uno splendore coi suoi tacchi e i suo leggins. Forse, ammagliati dalla sua bellezza non si sarebbero poi tanto accorti di "quell'essere" che si trovava vicino a lei. Ero sollevata.
Non appena il nostri piede mise piede all'interno dell'istituto la campanella suonò e gli interi corridoi si riempì di studenti. L'entrata, che un minuto prima era completamente deserta, ad un tratto aveva macchine che sfrecciavano verso i parcheggi. 
Panico, e mo che si fa?. Non riuscivo a pensare a niente di positivo solo alla mia faccia che da un momento sarebbe arrivata sul pavimento di quel corridoio, alle risate dei nuovi compagni di scuola, alla rottura di uno dei miei tacchi, allo strappo dei miei pantaloni. 
Per una frazione di secondo mi ricordai tutto quello che mi ero detta la sera precedente in quel letto, a quello che mi ero promessa. Non potevo deludere me stessa, non di nuovo. Ero in una nuova città, dovevo darmi da fare per non essere nell'anonimato. 
Ingoiai tutta la mia paura, soffocai la mia vergogna, e finalmente, alzai gli occhi e stappai le orecchie.
Strana sensazione di pura felicità. Quel corridoio sembrava essere diventato la nostra personale passerella. Non cera niente di cui preoccuparsi. Le uniche voci che udii dai compagni di scuola furono "Sono nuove?", "Ma sono gemelle?", "Non sono di qui vero?".
La situazione non era poi così critica. Sorrisi e volsi lo sguardo a mia sorella che, con tutta tranquillità mi volse una voce.
"Ma secondo te dov'è l'ufficio del preside? Qui ci saranno circa 4 piani"
"Non ci sono dei cartelli o delle bidelle che possono aiutarci?"
L'intero istituto sembrava privo di indicazioni umane o disumane. L'unica opzione che avevamo per raggiungere l'ufficio del preside era chiedere a uno studente. 
"Però chiedi tu eh" disse mia sorella
"Perché io?" 
"Non volevi farti il carattere? Bene, questa è una buona occasione."
Guardai mia sorella con occhi pieni di disapprovazione, ma aveva ragione. 
Vidi una ragazza che, a mio stupore, aveva un viso molto famigliare. Non so ben dire dove avessi potuto vederla, o chi mi ricordasse, so solo che mi avvicinai a lei e, le parole uscirono senza che io me ne accorgessi.
"Ehi scusa, siamo nuove, sai per caso dirci dov'è l'ufficio del preside?"
La ragazza si girò, ci guardò, mostrò un sorriso e.. "Oh primo giorno, tranquille, la scuola è grossa ma alla fine è facile ricordarsi dove si trovano le proprie classi. Oh mi sto dilungando, scusate, comunque l'ufficio del preside lo troverete alla fine del corridoio del secondo piano."
"Oh beh, grazie mille" risposi estasiata dal fatto che i ragazzi di quella scuola sembravano così ben educati e gentili.
Riprendemmo la nostra strada dritte al secondo piano. Trovare l'ufficio del preside non fù in impresa poi così complessa come avevamo immaginato io e Jessica. 
Alla fine del corridoio del secondo piano trovammo una porta con sopra scritto: "PRESIDENZA".
"Eccola"
Mia sorella afferrò la maniglia ed entrambe entrammo all'interno di quella stanza. 
Era tutta bianca con delle pareti verdi. Ad una grossa scrivania c'era seduta una signora che ci accolse.
"Voi dovete essere le due nuove arrivate, Daniels Jessica e Daniels Jade, dico bene?"
Mostrammo un grande sorriso e fecimo un cenno di approvazione.
"Oh molto bene, vi stavamo aspettando, benvenute alla Hig School Wester Canada. Il preside ora vi riceverà, solo due minuti, nel frattempo potete accomodarvi" disse indicandoci delle poltroncine che si trovavano di fornte alla sua scrivania.
Ringraziammo e ci andammo a sedere su di esse.
Passarono alcuni minuti prima che dall'ufficio del preside uscissero 4 ragazzi. Uno assomigliava sempre di più all'altro. Avevano capelli castani chiari, occhi azzurri e alcuni sul verde, alti e ben piazzati in fatto di "muscoli".
"L'avete combinata bene questa volta" disse la signora che si trovava al bancone. 
I ragazzi non sembravano che si fossero accorsi della nostra presenza fino a quando il preside non ci chiamò all'interno del suo ufficio.
Passammo davanti a loro a mo' di sfilata per l'ennesima volta. 
Il preside era un uomo grassottello ma giovane, capelli castani e un po' tendenti al bianco. Viso paffutello e caratterialmente, sembrava molto simpatico e disponibile.
"Bene bene bene, due nuove arrivare alla High School West Canada, spero che vi abbiano accolto come si deve".
"Veramente preside emm.. come ha detto di chiamarsi?" chiese mia sorella.
"Oh si scusate, che sbadato, io sono il preside Jefferson."
"Ah okey, veramente preside Jefferson non abbiamo ancora avuto modo di conoscere i nostri nuovo compagni. Siamo arrivate un ora fa e beh, abbiamo girovagato per la scuola nella speranza di trovare il suo ufficio" concluse mostrando un sorriso rivolto prima a me poi al preside Jefferson.
"Chiedo scusa, sarei venuto personalmente a prendervi all'entrata ma purtroppo, quei 4 bestioni la fuori mi hanno tenuto occupato per tutto questo tempo. Pensano che prendersela con quelli meno "spessi" di loro, sia una cosa da duri."
Il preside Jefferson parlava senza un fermo. Mia sorella, successivamente mi rivelò che avrebbe voluto provare a chiederle il codice del suo conto bancario, ed era sicura che lui gli e l'avrebbe dato.
"Allora, ora vi dirò i vostri corsi e quelli aggiuntivi.. Molto bene.. Jessica, matematica, inglese, storia, educazione fisica sono quelle obbligatorie, puoi scegliere se accedere poi a chimica, geografia, tedesco, spagnolo, francese, letteratura antica e ovviamente scienze.
"Jade, te invece obbligatorie hai matematica, inglese, storia, francese, geografia ed educazione fisica.. Quelle tue obbligatorie sono un po' di più perchè te hai un anno in meno di tua sorella.. In qualsiasi caso puoi scegliere se iscriverti a chimica, spagnolo, scienze, letteratura antica.. Avrete degli orari differenti, e non sempre vi ritroverete nelle stesse aule ma alcune cose combaciano quindi, spero vi troverete bene.
"Si entra ogni mattina alle 8 e mezza e si esce alle 15 e 30 ogni giorno, ad eccezione del venerdì che si esce alle 13 e il sabato non si viene. 
Ci sono i balli studenteschi ovviamente, quello di primavera, d'autunno, d'inverno, per i diplomandi, e quello d'estate. Sono stati aggiunti anche quelli di Natale e di Halloween. Potete inoltre iscrivervi al comitato degli studenti o all'organizzazione per l'anuario scolastico. 
Potete inoltre iscrivervi a sport scolastici come pallanuoto, cherleeder, footbool, bascket ecc..
"Oh, la pausa pranzo e alle 13, c'è una mensa che spero soddisfi pienamente le vostre esigenze. Le lezioni riprenderanno poi alle 13 e 50.
Ora vi lascio andare nelle vostre rispettive classi"
Il preside Jefferson si alzò in piedi dopo una brillante esposizione, ci strinse la mano e ci accompagnò alla porta dove i 4 ragazzi che precedentemente erano stati nell'ufficio del preside, si trovavano ancora al bancone della segretaria.
"Dimenticavo, chiedete a Sandra per i vostri armadietti" concluse il preside prima di permetterci di uscire dalla porta.
Ci avvicinammo al bancone dove, Sandra, la segretaria, sfogliò un grosso quaderno cercando degli armadietti nuovi. 
Uno dei ragazzi continuava a fissarmi. Mai sentivo così tanto a disagio.
"Perfetto, Jade tu il numero 497 e Jessica il 129."
Sandra ci porse dei fogli con sopra la combinazione.
"Oh signorini, sarete così gentili da accompagnare queste due ragazze ai loro armadietti?" Sandra si rivolse ai quattro che non persero tempo.
"Ne bastano due" concluse prima che una baraonda si scatenasse all'interno dell'ufficio. "Aaron te accompagni Jade, Loris te Jessica".
Il ragazzo che non smetteva di guardarmi si avvicinò a me, mentre un altro ragazzo, che assomigliava molto al primo si avvicinò a mia sorella.
Ringraziammo Sandra e ci avviammo ognuna per la propria strada.
"E così tu sei nuova" disse Aaron non appena uscimmo dall'ufficio del preside.
"Gia, vengo dall'Italia. Mi sono trasferita qui da una settimana" 
"Italia? Wow. Comunque piacere, io sono Aaron, Aaron Miller" porse una mano verso la mia.
Io allungai la mia verso la sua "piacere, Jade Daniels".
Aaron era un ragazzo dai capelli castani, taglio abbastanza corto, occhi verdi e corporatura molto spessa.
"Il tuo nome però non sembra italiano" 
"I miei genitori amano molto l'America e i nomi stranieri e mio nonno era inglese, quindi.."
"Oh si beh, comprensibile."
Per tutti i corridoi, per tutte le aule, per tutti bagni, ogni singola persona che passava vicino o lontano da noi salutava o veniva salutata da Aaron.
"Hai fama eh." dissi spaccatamente.
"Beh, questo è quello che succede quando si fa parte della squadra di football." spostò lo sguardo dal corridoio e lo portò a me "Quarterback" disse con aria tutta soddisfatta. 
"Ed essere il quarterback della scuola ti da il diritto di alzare le mani su quelli, come dire.. meno "spessi" di te?"
Lo sguardo di Aaron sembrava confuso.
"Il preside Jefferson.. Beh, le piace parlare a quell'uomo"
Aaron si mise a ridere.
"Io non picchio nessuno, sono gli altri a farlo. Pensano di dover dimostrare in questo modo la loro "potenza". Io non centro niente".
Feci un mezzo sorriso.
"Ma il mio armadietto esiste in questa scuola o dobbiamo camminare ancora per molto?"
Eravamo alla ricerca del numero 497 da quasi mezzora. 
"Nono siamo arrivati. Eccolo li."
Aaron indicò un armadietto tutto blu con sopra un numero "497".
"Oh beh grazie" 
Aaron mi sorrise, prima che potessi dire quello che le sue labbra stavano per dire, arrivò un suo amico.
"Aaaaaaron, bello"
Il ragazzo aveva capelli neri, occhi castani e la corporatura era come quella di Aaron. Molto probabilmente un'altro membro della squadra di FootBall.
"Ehi, Piter. Com'è?"
Feci finta di non centrare niente con quello che stava accadendo. Mi girai verso il mio armadietto ed inserii la combinazione.
"Ecco mo non riesco ad aprire l'armadietto come in tutti i film" pensavo tra me e me.
Fortunatamente l'armadietto, non appena inserita l'ultima cifra, si aprì senza nessuno sforzo.
"ehi ehi ehi ehi, e tu chi sei?" chiese il ragazzo dai capelli neri avvicinandosi al "497".
"Lei è Jade, si è appena trasferita dall'Italia. Oggi è il suo primo giorno" disse Aaron prima che io potessi aprire bocca.
"Oh lieto di conoscerti, sono Peter Wood"
Il ragazzo allungò la sua mano.
"Jade Daniels" risposi stringendogliela.
"Bene, Jade, spero che Aaron ti abbia inviato alla festa"
"E quello che stavo per fare prima che tu mi saltassi addosso" rispose Aaron prima che io potessi pensare alla frase che Piter aveva appena finito di dire.
"Beh, in qualsiasi caso, una nostra amica fa una festa a casa sua per l'inizio della stagione di FootBall, e te ci devi essere. Sei appena arrivata, devi conoscere un po' di gente."
Mi stavano seriamente invitando a una festa il primo giorno di scuola? Wow, stavo facendo progressi, molto rapidamente.
"D'accordo, vedrò di esserci" 
"No, te ci devi essere."
"Okey ci sarò" risposi sorridendo
"Oh così ti voglio, ora vado in classe a cercare di imparare qualcosa, ci vediamo agli allenamenti Aaron, ed è stato un piacere Jade".
Mentre Peter scompariva dal corridoio, io deposi i miei libri nell'armadietto ed iniziai a cercare l'orario che il preside Jefferson aveva sfilato per me.
Aaron era ancora li vicino al mio armadietto a fissarmi per l'ennesima volta. 
Guardai il cellulare, erano le 10. In corrispondendza delle 10 e 30 avrei avuto Inglese.
"Ah, sei ancora qui?" chiesi a Aaron vedendolo ancora appoggiato all'armadietto di fianco al mio.
"Si beh, forse avresti bisogno di una mano per trovare l'aula di inglese non credi?"Aaron strappò dalle mie mani l'orario e iniziò a leggerlo. "Aula 24, secondo piano. Ti ci accompagno dai."
Chiusi l'armadietto e assieme a lui, ci incamminammo per l'aula 24.
"Come mai ti sei dovuta trasferire?" chiese curiosamente il ragazzo.
"Beh, a papà è stato offerto un nuovo lavoro quindi.."
"Sarà stata difficile per te. lasciare insomma.. Amici, famigliari.. Ragazzo.."
"Beh,  amici non ne avevo molti nella vecchia scuola.. per.. storie lunghe. Si beh, la famiglia è stata la cosa più difficile da abbandonare, sopratutto dal momento che sono molto legata ai miei nonni.."
"Eh il ragazzo?" insistette Aaron.
"Non avevo un ragazzo." conclusi freddamente.
Passò qualche minuto di silenzio, fino a quando non apparve davanti a noi l'aula 24.
"Ma te non hai lezione?" chiesi vedendolo rimanere fuori dalla mia stessa aula.
"Si, inglese, nell'aula 24 al secondo piano" disse mettendosi a ridere.
L'ora di inglese passò molto velocemente. Il professor Shain si dimostrò molto bravo e disponibile nell'aiutarmi con il programma che, purtroppo, non avevo ancora avuto l'occasione di ripassare.
Aaron dopo quell'ora si volatilizzò nel nulla. Fortunatamente riuscii a trovare le mie successive aule.
La professoressa di matematica, a mia grande sorpresa, mi aiutò molto.
L'ora di pranzo la passai assieme a mia sorella, a raccontarci quello che ci era capitato fino ad ora e alle impressioni che avevamo avuto sui nostri professori.
Alla fine della giornata, come capitava sempre anche quando mi trovavo a Druento, aspettai mia sorella. Mamma si trovava all'uscita a bordo della nostra bellissima Range Rover.
"Com'è andato il primo giorno di scuola?" chiese mamma appena salimmo in macchina.
"Jade ha fatto conquiste, io ho preso otto di storia, e sono stata invitata ad una festa"
"Oh aspetta, se è quella dell'inizio stagione di FootBall sono stata invitata anche io"
"Momento momento momento" disse mamma confusa da quante cose stessimo dicendo io e mia sorella contemporaneamente.
"Jade ha conquistato chi? A che festa siete state invitate? E brava amore, 8 il primo giorno"
Mia sorella era sempre andata meglio di me a scuola, e questa era una delle qualità che la rendeva straordinaria.
"Jade ha conquistato un certo Aaron Miller, e la festa non so bene ne dove sia ne chi la organizza, so solo che la fanno per l'inizio della stagione del FootBall."
"Finiscila non ho conquistato nessuno, mi ha solo portato all'armadietto. E nemmeno perché l'ho voluto io, ma perché lo ha detto Sandra?"
"Chi è Sandra?"
"La segretaria del preside"
L'intero viaggio andò avanti con discorsi molto confusi. Arrivai a casa con ancora più mal di testa di quando me n'ero uscita.
"Io vado a fare i compiti" dissi a mia madre, salendo in camera.
Salii le scale, entrai in camera mia e iniziai a fare i compiti. Le ore passavano.
Erano le cinque quando qualcuno bussò alla porta.
"Jade, puoi andare ad aprire tu?" urlò mia madre da camera sua.
Velocemente scesi le scale e mi diressi alla porta, l'aprii e dietro trovai 3 ragazze, o meglio, 1 ragazza, 1 bambina e una signora. 
La ragazza più a sinistra era la stessa che la mattina, a scuola, aveva dato a me e a mia sorella indicazioni per l'ufficio del preside.
"Salve" dissi aprendo a loro la porta.
"Ciao, io sono la signora Tayler, abitiamo nella casa qui affianco alla vostra, queste sono le mie due figlie, Ashley e Virginia. Sappiamo che vi siete trasferiti qui da poco così volevamo darvi questa torta che ho fatto per voi, e darvi il benvenuto nel quartiere di "GoldDistrict".
Non appena la signora finì di parlare mia madre e mia sorella mi raggiunsero.
Mamma si presentò ed invitò la signora Groppi e le sue due figli a prendere una tazza di tè.
"Ashley, Jessica e Jade vanno a scuola insieme" disse la signore Groppi una volta accomodata al tavolo del nostro salotto.
"Vi chiedo scusa se non mi sono presentata stamattina, ma io ero di fretta e voi anche." 
Ashley aveva dei capelli neri come la pece, occhi nocciola e corporatura snella. Avrà avuto o la mia o l'età di mia sorella.
La sorella, Virginia, aveva capelli neri, come la madre e la sorella, occhi, anche lei castani, tendenti al color nocciola. Virginia avrà avuto si e no 8 anni.
"Mi sembrava di averti già visto, ero capisco dove. Qualche giorno fa ti ho vista uscire di casa" risposi dalle scuse da parte di Ashley.
La conversazione andò avanti. Scoprimmo che la famiglia Groppi si era trasferita anche lei da poso in Canada, prima vivevano a Milano, anche loro Italia. 
Mamma e la signore Groppi si dimenticarono della nostra esistenza quando vennero a conoscenza del fatto che entrambe fossero Italiane, così decidemmo di fare fare un giro panoramico alle due sorelle.
"Bene, questa è la mia camera" dissi mostrano loro il mio castello.
"Davvero bella, la vostra casa è enorme, forse più grossa della mia" disse Ashley sedendosi nella zona relax della mia stanza con la sorellina.
"Allora, come vi trovate alla High School West Canada?" chiese interessata.
"Beh, il primo giorno non è andato male. Oh a proposito, chiedo a te perché per il momento sei l'unica con cui ho un po' di "confidenza".. Sai per caso dove faranno la festa per l'inizio della stagione di FootBall?" chiese mia sorella rivolgendosi a Ashley.
"Oh sisi certo, stavo per dirvelo appunto. Si svolgerà a casa mia. Papà è un finanziatore della squadra di FootBall della nostra scuola, quindi ha deciso di lasciarci casa libera e di festeggiare l'inizio di stagione".
"Beh, meglio, almeno è anche vicina, e se mi devo mettere i tacchi posso camminare scalza per attraversare la strada e poi entrare in casa tua come se niente fosse successo". Scoppiammo tutte a ridere.
"Se per voi non è un problema, potreste venirmi ad aiutare ad "addobbare" casa. Papà ha molta roba in stile feste sportive." chiese Ashley molto timidamente.
"Certo" rispondemmo io e mia sorella in coro.
La serata terminò con la famiglia Groppi e la famiglia Daniels al completo attorno ad una cena stupefacente da parte di mia madre.
Il padre di  scoprimmo essere un allenatore di una squadra di Hokey e che era un finanziatore di macchine da corsa. Mio padre amava le macchine da corsa e fù più che contento di conoscere una persona che condividesse la sua stessa passione. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Party All Night! ***


I due giorni successivi passarono molto velocemente e nella più profonda noia.
A scuola si studiava, a casa si studiava, e con le nuove regole stipulate da mia madre, non saremmo potute uscire per tutta la settimana, ad eccezione del giovedì il venerdì e il sabato.
Dopo una settimana di reclusione, finalmente era arrivato il venerdì, l'ultimo giorno della settimana scolastica. 
La sera stessa si sarebbe svolta la festa a casa di Ashley per festeggiare l'inizio della stagione di FootBall. 
Non appena uscite da scuola, io e mia sorella saremmo andate a comprare il vestito, e non appena fatti i nostri acquisti saremmo poi andate ad aiutare Ashley ad addobbare casa.
La giornata non si sospettava molto leggera, ma pur sempre emozionante.
La sveglia suonò come da routine alle 7 e mezza, e mamma, alle otto in punto aveva già sfornato i suoi pancakes accompagnati dal succo d'acero o dai milioni e milioni di tipi di marmellate che solamente lei poteva avere in dispensa.
Alle otto e venti salivamo in macchina e papà, prima di recarsi a lavoro, lasciava me,mia sorella e Ashley fuori da scuola.
"Beh, facciamo buon viso al cattivo gioco, cinque ore e potremmo finalmente uscire da qui" disse Jessica, fissando ancora una volta l'insegna  del nome della scuola.
Stare con Ashley si rivelò, oltre che un buon rapporto di amicizia, anche una buona occasione per conoscere 3 quarti dell'intero corpo studentesco. Il suo carattere solare e socievole la rendeva una persona di cui tutti si fidavano e della quale tutti avevano piacere di averla accanto.
A tre giorni dal nostro arrivo, sembrava che tutti conoscessero i nostri cognomi. 
Ogni giorno, facce che non avevo mai visto mi salutavano e si mettevano a conversare con me.
Aaron si limitava a fissarmi per i corridoi e a scambiare qualche, ma era il suo amico Peter ad avere la parlantina e a mostrare un certo "interesse" per mia sorella.
"E così stasera ci sarete anche voi, non è così?" chiese per l'ennesima volta vedendoci nel cambio della terza ora.
"Quante volte te lo devo dire che si, ci saremo?" rispose mia sorella senza alcuna voglia.
"Beh, voglio solo accertarmene.. Se ti va potremmo stare un po' assieme poi. Potrei farti far fare il giro della casa".
Scoppiai in una risata trattenuta assieme ad Aaron che si trovava accanto a me.
Mia sorella fulminò prima noi due con lo sguardo poi si rivolse a Peter.
"Sono fidanzata. E in qualsiasi caso il giro panoramico me lo farò fare Ashley, visto e considerato che abitiamo di fronte a casa sua".
Non lo avesse mai detto.
"Oh quindi siete voi ad abitare nella casa più bella di GoldDistrict? E vero quello che dicono? C'è che ha tipo 10 camera da letto?" Peter rimase estasiato.
Mia sorella lo guardò con aria svogliata, si girò ed entrò all'interno della sua classe, ma niente da fare Peter la rincorse.
"Ora sono guai" disse Aaron guardando Peter che entrava nell'aula di mia sorella.
"Perchè?" chiesi stranita.
"Quello è lo spogliatoio delle ragazze".
Non appena Aaron finì la frase, Peter venne sbalzato fuori dallo spogliatoio accompagnato dalle urla delle ragazze e dalla professoressa di ginnastica che lo teneva da un orecchio e che lo stava portando nell'ufficio del preside.
Niente da fare, scoppiai in una risata, stavolta molto meno trattenuta.
Non appena riuscita a riprendere fiato, presi l'orario.
"Abbiamo inglese adesso, giusto?" disse Aaron sapendo che i nostri orari di inglese erano gli stessi.
"Si, però oggi la professoressa non c'è."
Aaron mi guardò dubbioso.
"Si, lo ha detto l'altra volta" conclusi con sicurezza. "Forse eri troppo occupato a fissarmi.. si esatto proprio come stai facendo ora.. Metti in soggezione".
Aaron per l'ennesima volta era davanti a me a fissarmi dritto dritto negli occhi con aria assente.
"Ti chiedo scusa, non pensare che sia strano eh?! Eh solo che, hai degli.. ecco degli occhi così.. così belli".
Rimasi lusingata dalle parole che Aaron mi rivolse.
Rimasi a fissare qualche istante Aaron, poi la campanella suonò. 
"Beh, di solito che si fa in questa scuola quando si hanno ore buche?" chiesi ad Aaron spostando il mio sguardo sui libri che reggevo in mano.
"Se si è all'ultima ora si può uscire prima, ma essendo che l'ora dopo sia tu che io abbiamo lezione si possono frequentare le aree non scolastiche della scuola. Per esempio io potrei andare ad allenamento, e tu potresti andare in biblioteca"
"Perchè dovrei andare in biblioteca io?" chiesi dubbiosa.
"Beh, hai l'aria di una studiosa" Aaron si mise a ridere. 
Presi uno dei libri che stringevo in mano e gli e lo tirai contro.
"Ha ha ha molto divertente signorino Mason."
"Oh la ringrazio signorina Daniels"
Le risate cessarono.
"Allora, che facciamo adesso?"
La voglia di starmene in quel corridoio vuoto mi faceva salire il magone e la noia più assoluta.
"Mi è venuta un idea".
Aaron mi presa per il braccio e iniziò a tirarmi verso una porta, sopra la quale c'era scritto "VIETATO L'ACCESSO".
"Sai leggere? C'è scritto vietato l'accesso, pure in grassetto e in stampatello maiuscolo". 
"Suvvia, non ci va mai nessuno, e i professori sono tutti impegnati se no ci avrebbero messo la supplenza."
Aaron sembrava così convinto che le sue parole convinsero anche me ad oltrepassare quella porta. Davanti a noi c'erano molte rampe di scale, Aaron iniziò a percorrerne una, e io al suo seguito.
"Dove stiamo andando?" chiesi una volta percorsa la quarta rampa.
Avevo i polmoni che stavano per uscire dal petto, il cuore che batteva 20000 battiti al secondo, e il fiato che era praticamente scomparso, eppure Aaron continuava a salire e a salire le scale. 
"Ne varrà la pena, signorina Daniels."
Finalmente ci trovammo davanti ad una porta.
Sapevo che non si dovevano "infrangere le regole" ma, avanti, la vita va vissuta con un po' di rischio.
Aaron aprì la porto, una volta di vento gelido sfiorò le mie gambe.
"Siamo sopra al tetto della scuola, qui c'è una visuale stupenda, solo che qualche tempo fa uno studente si è buttato di sotto perchè aveva avuto un brutto voto di letteratura antica e da quel momento qui non si può più salire".
La mia faccia si impallidì di colpo e i miei occhi si spalancarono.
"Di.. dici davvero?"
Aaron si mise a ridere "sto scherzando" concluse singhiozzando dalle risate.
"Non fa ridere Mason".
La vista da la era veramente stupenda, c'era un sole che spaccava le pietre, nonostante l'aria era congelata e l'inverno era ormai alle porte.
"Tra poco è Natale" dissi sentendo l'ennesimo brivido scorrere sulla mia pelle.
Aaron fece solamente un sorrisetto ed un cenno di approvazione.
"E ci sarà anche il ballo di Natale".
"Veramente non è a Natale, nel senso che cercano di fare una festa che coinvolga anche Capodanno e il Ringraziamento, quindi si fa poi quando si ritorna dalle vacanze natalizie, però si, ci sarà anche il ballo".
Senza che c'è ne rendessimo conto l'ora era già passata tra chiacchiere e apprezzamenti del panorama.
Scendemmo furtivamente le scale, salutai Aaron e mi diressi nella mia classe. La lezione passò a rilento ma era l'ultima ora, poi sarei stata libera.
 
"Tu ti ricordi più o meno dove si trovava sto negozio?" chiese mia sorella trovandoci per le strade del centro della città.
"All'incirca, non ricordo proprio bene".
Eravamo alla ricerca del vestito che, mia sorella, aveva visto nella vetrina di un negozio qualche tempo fà.
Il tempo passava a dismisura e noi ci saremmo dovute recare da Ashley per aiutarla ad addobbare casa. Erano le 14 e 30 quando finalmente il negozio si presentò davanti a noi, quasi per magia. In vetrina si trovava ancora quel modello. 
"Spero solo di trovare qualcosa anche per me" dissi a mia sorella, avendo paura che mi sarei dovuta arrangiare con qualche vestito di mia sorella che si trovava a casa, rinchiuso nel suo armadio.
Entrammo all'interno del negozio, subito mia sorella corse dal suo amato vestito per misurarlo, nel frattempo io cercavo qualcosa che potesse soddisfare le mie esigenze.
Tutti i vestiti sembravano non essere per niente fatti per me. Guardavo tra appendi diversi, tra scaffali diversi. 
"Stai cercando qualcosa in particolare?" chiese una commessa avvicinandosi a me.
"Veramente, non so nemmeno io cosa sto cercando" risposi timidamente.
La commessa mi guardò per qualche istante. Mi girava a destra e a sinistra, davanti e dietro, di lato di sotto di sopra, in tutte le direzioni possibili, poi si allontanò da me dicendo solamente "so io cosa.." non capii la fine.
Rimasi ferma dove mi aveva lasciato, ancora sconbussolata da tutti quei giramenti e spostamenti.
Dopo qualche istante la commessa tornò stringendo tra le mani un vestito nero, completamente di pizzo, con dei ricami sopra. Era leggermente trasparente. Aveva le maniche lunghe e la lunghezza toccava i cinque centimetri sopra al ginocchio. 
I miei occhi si illuminarono.
"Vedrai che ti starà benissimo, assieme ci sono anche le scarpe coordinate".
La commessa, come se non bastasse, tirò fuori un paio di scarpe color carne con sopra uno strato di pizzo nero con lo stesso ricamo del vestito. Il tacco era vertiginosi ma pur sempre stupendo.
Non chiesi nemmeno quanto costasse, feci un cenno di approvazione, e nel giro di 10 minuti io e mia sorella eravamo fuori dal negozio accompagnate dal nostro acquisto.
"Mi piace veramente tanto il tuo vestito" disse mia sorella dopo averglielo fatto vedere.
Ero tutta emozionata, non vedevo l'ora di indossarlo.
Ci dirigemmo verso casa di Ashley.
Bussammo alla porta, ci venne ad aprire la sorellina minore, Veronica.
Davanti a noi si aprì l'ennesima sbalordiva casa.
Sulla destra si trovava una scala a chiocciola color cedro. Un piccolo corridoio davanti a noi portava all'enorme cucina e sulla nostra sinistra si trovava un salotto più che enorme.
"Oh ciao Jessica, ciao Jade" disse la signora Groppi vedendoci ferme sulla porta.
"Salite pure, Ashley è in camera sua che sta pensando a come addobbare la casa".
Ringraziammo la signora e salimmo le scale diretta alla camera di Ashley.
Il corridoio aveva circa 5 porte. Una di quelle sarebbe stata la sua stanza, ma quale? Andammo a tento, ma fortunatamente azzeccammo la camera.
Anche la sua camera era molto spaziosa ed accogliente, le pareti erano di un rosa molto chiaro, il letto si trovava al centro della stanza, circondato da poltroncine e tappeti pelosi.
"Ehi belle, entrate pure" disse Ashley, facendoci segno di entrare. "Sto guardando tra le miliardi di cose che mi ha lasciato mio padre quello che potremmo utilizzare. Ci sono molte date importanti del mondo del FootBall, coppe di campionati, facce mai viste del mondo del FootBall e ovviamente, striscioni e decorazioni con i colori della squadra della nostra scuola".
Nel momento in cui Ashley finì di dire la frase squillò il mio cellulare.
*Aaron*
Daniels, stasera ci sei?
 
"Chi è?" chiese mia sorella sporgendo il suo sguardo verso lo schermo del mio cellulare.
"Oh è Aaron, vuole sapere se stasera ci sono"
"Mason?" chiese Ashley
"Sisi"
"Oh ma allora non sono scema, sbaglio o la fissa sempre?" disse guardando mia sorella
"Io l'ho detto dal principio" rispose Jessica.
Mi sentivo nell'imbarazzo più totale.
"Aaron è un bel ragazzo si, ma non penso sia il mio tipo. C'è, poi figuriamoci sè.. dai insomma.."
"Aspetta che ti veda con quei tacchi e con quel vestito e vedremo se "figuriamoci se" pff" concluse mia sorella.
Il fatto che Ashley e Jessica fossero dalla sua parte non mi aiutava affatto. Risposi al messaggio con un semplice "Si, ci si vede la".
Posai il cellulare in tasca ed iniziammo ad addobbare la casa. A nostra grande sorpresa la casa venne veramente bella ed in puro stile FootBall.
Erano le sei e mezza quando decidemmo di andarci a preparare per la "grande serata".
Io ero in bagno, mia sorella nella cabina armadio di Ashley e Ashley in camera sua. Tutte comunicavamo da una camera all'altra.
"Mi serve qualcuno che mi chiude la lampo" gridò mia sorella.
"Vengo io" rispose Ashley.
"Le scarpe sono altissime" conclusi io.
Mia sorella e Ashley erano pronte da circa mezzora, ma io non uscivo ancora dal bagno.
"Su forza, fatti vedere" disse Jessica.
"Non puoi mica chiuderti tutta la sera la dentro" continuò Ashley.
Niente da fare. Non c'era verso di farmi uscire da quel bagno.
Il campanello suonò.
"Sono arrivati, noi iniziamo a scendere, quando hai voglia poi scendi eh" disse Ashley avvicinandosi alla porta della camera assieme a mia sorella ed uscendo da essa.
Mi chiusi in quel bagno. Il campanello suonò più e più volte. La musica iniziò a farsi sempre più alta. Le voci sempre più forti.
Guardai per l'ennesima volta il mio viso allo specchio, come se da un momento all'altro potesse cambiare, ma no. Era sempre identico a prima.
Ad un tratto il cellulare mi avvisò di aver ricevuto un messaggio.
*Aaron*
Dove sei?
 
Guardai quel messaggio di sfuggita, per riportarlo nuovamente allo specchio. Erano le otto meno venti. Non sarei potuta rimanere rinchiusa in quel bagno per tutta la mia vita. Fissai l'ultima volta la mia immagina allo specchio, misi un piede dietro l'altro e finalmente uscii da quella camera. 
Il corridoio al piano di sopra era già popolato.
"Ehi Jade", "Wow sei stupenda", "Jadeee", "Ciaoo Bella".
Sorrisi ad ognuno di loro. Un sorriso innocente, quasi di vergogna.  Arrivai davanti alle scale. Di nuovo un impedimento percorse le mie mani e si piombò come piombo sopra ai miei piedi.
"Non essere stupida" dissi nella mia mente.
Tacco dietro tacco, scesi quegli scalini.
"Sisterrr" gridò mia sorella spostando l'attenzione degli invitati su di me.
Oh mamma mia, doveva per forza averlo urlato?
Vidi, davanti a me, Aaron che per l'ennesima volta mi sta fissando. 
"Fa finta di niente, scendi, vai verso tua sorella e Ashley, saluta Aaron e basta."
Ero così convinta di quello che mi stavo dicendo che tutto dun tratto non sentivo poi nemmeno così tanta vergogna o paura nei miei passi. La mia andatura era diventata più sicura, più dritta, più serena. 
"Oh c'è l'hai fatta ad uscire da quel bagno?" disse Jessica fissando il vestito. "Capisco se eri una cessa ma caspita, stai da dio dentro quel vestito, e quelle scarpe, sono spettacolari, anche sa hanno l'aria di fare molto male" .
"Se devo essere sincera sono molto comode, alte ma comode, e comunque ero chiusa in bagno per miei motivi." 
Ashley nel frattempo ci raggiunse.
"Ehi splendore, c'è ne hai messo di tempo eh, però dai, finalmente sei scesa. C'è Aaron che ti sta cercando, è la in fondo". Mi fece un occhiolino e si avviò per la cucina.
Seguii con lo sguardo il dito di Ashley e vidi Aaron in un angolo con Peter. Mi avvicinai a loro.
"Buona sera" disse una volta raggiunti.
"Buona sera a te Jadee, bel vestito" disse Peter dopo avermi guardato una decina di volte dalla testa ai piedi.
"La ringrazio" risposi sghignazzando. 
"Ora se permettete, vado a cercare di conquistare tua sorella".
Peter si diresse verso mia sorella.
"Buon fortuna" le gridai. "Allora, Aaron, che si dice?"
"Niente di che, sei diventata di colpo più alta" rispose fissando le mie scarpe.
"Si beh, il bello di essere ragazze e che si possono mettere scarpe con circa mezzo metro di tacco facendo perdere a voi ragazzi tutta la vostra potenza dell'altezza."
"Ma giustamente" rispose Aaron "ma in qualsiasi caso sono più alto di te" concluse.
"Divertente, comunque ora vado a salutare James e Sharon, ci si vede dopo" diedi un bacio sulla guancia ad Aaron e mi avviai verso altri due miei compagni di classe.
Passai gran parte della serata a salutare compagni di scuola e a ricevere complimenti sul mio vestito, aspetto ecc..
Erano le due e mezza quando la casa si era completamente svuotata. Rimase solamente l'intera squadra di FootBall
"Mio padre ha detto che se volte potete lasciarli il numero e lui vi chiamerà per darvi migliori informazioni." Disse Ashley rivolgendosi verso i giocatori. "Se volete andare a casa andate pure, metto a posto io qui" continuò rivolgendosi a me e a Jessica.
"Ma va tranquilla, ti diamo una mano" risposi alzandomi dal divano.
La casa era un vero porcaio. C'erano patatine sparse per tutte la casa, bicchieri per terra e bottiglie accartocciate o rotte ovunque.
Prendemmo ognuno un sacchetto ed iniziammo a mettere a posto. 
La squadra di FootBall se n'era andata.
"Numeri riguardo cosa?" chiese Jessica curiosa.
"La squadra di Hokey che mio padre allena a Natale ha una partita a New York, e voleva portare qualcuno della squadra della nostra scuola. Avrebbe voluto parlarne bene stasera, solo che sono rimasti a dormire da mia nonna perchè la festa è andata avanti per le lunghe."
Alla parola New York io e mia sorella ci accendemmo di colpo.
"N.. n.. New York??" chiedemmo in coro.
"Si esatto, volete venire? Io ci sarei dovuta andare solo che da sola non saprei che fare, almeno se venite voi ci divertiremo ad andare in giro a fare compere".
Wow non potevamo crederci. New York a Natale. No no no non era proprio possibile.
"Chiederemo ai nostri, ma per noi è assolutamente un si." conclusi mettendo nel sacchetto l'ennesimo bicchiere.
"Sarebbe fantastico" aggiunse Ashley.
Erano le quattro e mezza quando tutte e tre crollammo sul divano di casa di Ashley.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** NEW YORK BABE! ***


Eravamo tutte così eccitate dal fatto che i nostri genitori ci avessero dato il permesso di trascorrere Natale e Capodanno a New York, che non appena rivelammo a Ashley la nostra disponibilità per la partenza, iniziò il conto alla rovescia per quanto mancava alla partenza.
"Il volo sarà venerdì 23 dicembre, alle nove e mezza in punto. Si tornerà poi l'8 gennaio. Non ti devi preoccupare per Jessica e Jade, sono due ragazze con la testa sulle spalle, e nel caso ci fossero problemi, le rimanderò in dietro con il primo volo, ma sono sicuro che non accadrà assolutamente nulla, dopotutto saranno seguite 24 ore su 24 dal mio occhio vigile. New York è una città grande ma ho spie ovunque". Il padre di Ashley, Carl, era stato più che convincente nella lunga raccomandazione che aveva fatto ai miei genitori nella speranza che loro acconsentissero. E così fù.
Non potete nemmeno immaginarvi le facce che assumemmo io e mia sorella quando i nostri dissero "Va bene dai, consideratelo il nostro regalo di Natale".
Era il 13 dicembre quando iniziammo il conto alla rovescia. I giorni passavano lentamente, e senza alcuna enfasi. 
16, 17, 18, mancavano cinque giorni prima della partenza, e io e mia sorella stavamo già iniziando a preparare le decine e decine di valige, piene delle cose più assurde ma che al momento ci sembravano vitali. Dopotutto saremmo dovute stare 17 giorni in una delle città più emozionanti di tutto il mondo, e sopratutto in periodo Natalizio. La cosa si faceva sempre più emozionante e strana allo stesso tempo.
Io e mia sorella passavamo gran parte delle nostre serate al telefono con Ashley, nonostante si trovasse nella casa accanto, a parlare di cose portare, dei posti da visitare, dei negozi in cui andare, alla roba da comprare.
"A Natale fanno il solito concerto Natalizio a New York, nel centro. Ci saranno molti cantanti famosi." disse un giorno Ashley al telefono.
"Potremmo andare a fare un salto" risposi.
"Ci sarà anche Aaron, 17 giorni insieme, chissà" aggiunse mia sorella dall'altro apparecchio.
"Non fa per niente ridere, Aaron è un mio amico. Se vuoi però possiamo parlare di Peter".
"Peter è un cretino, non ci do nemmeno contro. Ma Aaron è un bel ragazzo, simpatico, pensaci bene".
"Ci ho già pensato, ed è solo un amico".
"Ragazze, mi dispiace interrompervi, ma ci sarei anche io al telefono" disse Ashley fermando la nostra "piccola" discussione.
I giorni passavano, anche quando sembrava impossibile, ma passavano.
Era il 22 sera quando mamma iniziò a farci il discorsetto che io e mia sorella speravamo di esserci scampate.
"Allora, non andate in giro da sole, e se andate fate molta attenzione, a New York non c'è proprio bellissima gente. Non prendete niente dagli sconosciuti, chiamatemi quando volte, in qualsiasi momento, non preoccupatevi. Qui ci sono i soldi, cercate di non comprare cavolate. State sempre in gruppo in qualsiasi caso. Quando arrivare mandatemi un messaggio o qualcosa"
"E se nel caso l'aereo precipitasse mandate un gufo a comunicarcelo" dissi interrompendola "stai tranquilla Mamma, New York non è poi così lontano da qui. Staremo bene".
Quella sera fummo invitate a dormire a casa di Ashley. Erano le dieci e mezza quando andammo a letto, cercando di dormire il minimo indispensabile per poter trascinare le nostre valige sull'aereo il giorno seguente. 
MI sdraiai nel letto, stavo per chiudere gli occhi quando mi arrivò un messaggio.
*Aaron*
17 giorni assieme a te? Come farò.
Notte Daniels, a domani.
Lui si chiedeva come avrebbe fatto a passare 17 giorni con me? Mia sorella e Ashley avrebbero dato oro incenso e mirra per venire a conoscenza di quel messaggio. Fortunatamente erano troppo prese a parlare di come vestirsi la mattina seguente per calcolare me e il mio cellulare. Lo posai nuovamente sul comodino, e mi misi nell'argomento con loro.
 
 
"Forza ragazze, ma.. quanta roba vi siete portate dietro? Non dobbiamo mica andare a vivere a New York, dobbiamo passarci solamente il Natale e il Capodanno.." Il padre di Ashley era più su di giri di tutte e tre messe assieme. In quel momento non avrebbe potuto proprio capire come noi ragazze ci portiamo il mondo dietro anche se dobbiamo solamente attraversare la strada.
Prendemmo le nostre tre valige a testa e iniziammo a viaggiare per l'immensità dell'aereoporto Canadese.
"Il nostro volo e il 35B, fate attenzione a quando lo chiama" disse Peter.
"Oh eccovi arrivati" lo interruppe il padre di Ashley, avvicinandosi ad un gruppo di ragazzi.
"E quelli chi sono?" chiesi interessata avvicinandomi all'orecchio di Ashley.
"Sono la nuova squadra che papà allena, nemmeno io l'avevo ancora vista, e sinceramente ora sono più che felice di sapere che hanno mischiato le camere dell'albergo tra maschi e femmine".
I ragazzi erano tutti molto belli e muscolosi. A chi e che non piacciono i ragazzi muscolosi dopotutto?
Uno alla volta i ragazzi si presentarono. Ricordo vagamente alcuni dei loro nomi c'era Kevin, Dylan, Denis, Sean e altri.
"Volo 35B, imbarcazione"
"Oh è il nostro" dissi al signor Taylor.
"Perfetto, prendete le vostre cose e andiamo" rispose prendendo il suo bagaglio.
Dylan, uno dei giocatori di Hockey  si offrì di portare alcuni bagagli di noi ragazze, velocizzando così la nostra andatura.
Finalmente ci trovavamo sopra all'aereo diretto a New York. Una parte era tutta riservata a noi ragazzi, che insieme occupavamo più di 20 posti.
"Perfetto ragazze, dobbiamo farci una promessa" disse Jessica venendo a prendere posto vicino a me e ad Ashley.
"Deve essere un'esperienza che non dimenticheremo mai e poi mai, dobbiamo vivercela con il cuore in gola e il respiro a mille. Stiamo per passare addirittura il Capodanno a New York, deve essere qualcosa di incredibile".
"Ci puoi scommettere, sarà la cosa migliore che faremo" aggiunse Ashley.
"Sono con voi belle" conclusi.
L'aereo decollò lasciando a noi solo il bisogno di sognare ad occhi aperti.
Avevo le cuffie alle orecchi quando il Sig. Taylor si alzò in piedi davanti a tutti noi. 
"Molto bene ragazzi, visto e considerato che le camere se le avessi fatte io avrei causato solo problemi per preferenze con cui stare in camera, ho deciso di farle fare direttamente all'Hotel e ora mi hanno mandato un e-mail per dirmi che cosa hanno fatto. Dunque Sean tu sarai in camera con Loris e Pool, Dylan con Kevin Peter e Michael, Aaron con Denis e Drew, Christopher con David e Daniel e in fine le tre ragazze Jade, Jessica e Ashley insieme, ecco fatto, teoricamente dovrebbero essere queste, spero non ci siano grandi problemi anche perché in qualsiasi caso non cambieremmo le stanze, cercate di fare amicizia."
Non potevano affidarci situazione migliore, sapevo che nonostante avevano intenzione di mischiare i due sessi, alla fine avrebbero messo noi ragazze tutte assieme e i ragazzi divisi tra loro. Ma andava benissimo così, avrei passato 17 giorni assieme a mia sorella e a Ashley, non potevo chiedere di meglio.
Mentre stavo riportando le cuffie alle mie orecchi sentii una voce.
"Daniels" 
Mi girai per guardare chi fosse
"Miller" Aaron si stava avvicinando al mio sedile.
"Hanno messo voi femminucce sempre assieme da come ho costatato, mi dispiace Taylor, la tua voglia di finire in camera con qualche giocatore di  Hockey o di FootBall è andato in mille pezzi, ora come farai?"
"Farò la stessa identica cosa che farai te deluso dal fatto che non hai Jade in camera tua".
Aaron rimase spiazzato dalla risposta di Ashley. Lei scherzava sempre, ma quando le cose le davano fastidio, rispondeva in modo "aggressivo".
Aaron non ci rimase poi così male, saltò addosso a Ashley ed iniziò a farle il solletico. Lo sapevano tutti che lei non riusciva a smettere di ridere quando si iniziava a stuzzicarla con il solletico.
Il viaggio stava andando per il meglio, le ore passavano a vista d'occhio. Erano le dieci quando l'aereo atterrò.
"Oddio siamo arrivate a New York" dissi prima di scendere dall'aereo.
L'aereo era talmente grande che copriva tutta la visuale, ma meglio così, volevo godermi bene tutto il paesaggio di prima persona.
"Forza ragazzi, afferrate i vostri bagagli e dritti nelle macchine".
Fuori dall'ereoporto si trovavano due limousine, una nera e una rosa.
"Quella rosa è per voi ragazze, un piccolo regalino di Natale per voi" il sig. Taylor stava veramente indicando una stupenda limousine rosa confetto. Era per noi? Veramente?
Ci mancò poco che saltammo addosso al padre di Ashley, ma eravamo troppo folgorate da quell'incantevole macchina che si trovava parcheggiata a pochi passi da noi. Prendemmo velocemente le valige e ci avviammo.
Ad aprirci la porta si trovava un gentilissimo uomo di mezza età. Portava un cappotto nero ricamato d'oro, un cappello in testa e dei guanti bianchi. La limousine, all'interno, era provvista di champagne e di calici da vino. 
Non appena la porta venne chiusa la limousine iniziò a sfrecciare verso il centro di New York. 
"Alla nostra belle" la bottiglia era già stata versata e i calici già riempiti prima che il guido potesse fare la prima frenata.
Guardavamo tutte schiacciate contro i finestrini quel poco panorama che riuscivamo a guardare da uno spazio così piccolo.
"Se mi posso permettere, signorine, il tettuccio vi potrebbe dare una visuale molto più approfondita è bella del panorama newyorchese" Il guido schiacciò un pulsante e l'intero tettuccio della macchina si spalancò e davanti a noi trovammo enormi grattaceli somiglianti a enormi regali di natali, impacchettati e forniti di un fiocco. Il vischio verde era riconoscibile davanti ad ogni porta di un americano, le strade erano bianche, bianche come le nuvole. Le fontane si erano trasformate in uno sfondo stupendo per appoggiare enormi palle rosse di natale, qualsiasi tipo di albero era decorato con luci e decorazioni sensazionali. 
Ogni passante, quando vedeva passare la limousine rosa si girava per vedere se al suo interno si trovasse l'ennesima star famosa, ma si limitavano a fissarci e a sorriderci, se non addirittura a salutarci. La limousine davanti a noi contenente i ragazzi era molto tranquilla e silenziosa, fino a quando io Jessica e Ashley non decidemmo di fare un urlo liberatorio ed euforico per il nostro arrivo a New York, a quel punto anche i ragazzi tirarono fuori le loro teste ed iniziarono ad urlare come matti cercando di superare il nostro urlo precedente, ma niente da fare, sembrava che la nostra voce stridula fosse difficilissima da raggiungere.
La macchina era arrivata proprio in centro alla città e proprio quando sembrava di essere entrati nel mondo dei balocchi, la macchina fermò. Il Sig. Taylor scese dalla prima macchina.
"Siamo arrivati, prendete la vostra roba e andiamo".
Davanti a noi si trovava una delle costruzioni più grandi che io abbia mai potuto immaginare, sarà stata alta mille metri e larga altrettanti.
Una scritta enorme illuminava quel nome che, perfino un Druentino sarebbe riuscito a riconoscere. In ora attorno a due leoni d'oro c'era scritto The Waldorf-Astoria. Uno degli hotel più costosi è famosi di tutto il mondo, e io mi ci trovavo davanti. Non poteva essere quello l'hotel in cui avremmo trascorso 17 giorni. Quanto avrebbero dovuto spendre i miei genitori per poter far si che io e mia sorella soggiornassimo li? Non potevo crederci.
"Okey, è uno scherzo vero papà" disse Ashley rivolgendosi al Sig. Taylor.
"No piccola, il proprietario è un tifoso dei Blues, li ho fatto avere due biglietti e l'accesso gratuito ai figli per conoscere la squadra, in cambio lui mi ha abbassato un po' il costo delle stanze, anzi veramente, lo ha proprio annullato, ci ha fatto un buon 80% di sconto al giorno."
In quel momento avrei baciato il Sig. Taylor, se non fosse stato che aveva tipo 40 anni in più di me, sposato, e che era l'unico che aveva la sorte di farmi o non farmi restare a New York.
"Forza prendete le vostre valige" il Sig. Teylor afferrò la sua ed entrò a fare l'accettazione mentre io e tutti gli altri ci perdevamo nell'immensità della hall. Enormi lampadari in cristallo, lunghi corridoio arredati con pezzi di antiquariato che solo Dio potrebbe sapere quanto valevano, erano solo una delle poche cose che mi fece sentire in paradiso.
"Perfetto allora, camera di Sean e company la numero 345 al secondo piano, Dylan e squadra la numero 456 sempre secondo piano, Christopher David e Daniel 970 al 6 piano, Aaron 3408 al 18 piano e le ragazze, alla camera 4176 sempre 18 piano. Io sono al terzo piano, nella camera 576. Il pranzo è alle 13.00, il tè, per chi volesse, alle 17 in punto, e la cena alle 19 e 30. Ci si vede a pranzo ragazzi. Se decidete di uscire dall'Hotel ricordatevi di avvisare prima o me o il receptioners."
Il padre di Ashley fù il primo a prendere l'ascensore, e forse anche il primo a mettere piede nella sua camera e lasciarci cadere in un lungo sonno.
C'erano circa 5 ascensori, ci dividemmo ognuno per le persone di una stanza e prendemmo gli ascensori diretti nelle nostre camere.
"Ragazze, siamo a New York, nell'hotel più bello del mondo, al 18° piano, senza genitori troppi appiccicati, vi rendete conto??" disse Jessica non appena entrate in ascensore. "Oh a proposito mando un messaggio a mamma così sta tranquilla". Tirò fuori il cellulare e scrisse a nostra madre del nostro arrivo.
Nel frattempo l'ascensore toccò il 18° piano, scendemmo e ci mettemmo alla ricerca della camera numero 4176.
"Le due Daniels e Taylor su questo piano assieme a noi?" disse Aaron scendendo dall'ascensore con a seguito Denis e Drew.
"No, non assieme a voi, assieme a tutti quelli che si trovano al 18° piano" rispose Ashley.
La porta 4176 spuntò davanti a noi quasi come d'incanto. infilammo il passepartout all'interno e.. Non era possibile.
Era come essere caduti nel mondo delle favole, quello che sta succedendo non era assolutamente possibile. 
La camera era in realtà più grande di un classico appartamento. Aveva un salotto, una camera da letto con un letto matrimoniale talmente grosso da poter ospitare una squadra da FootBall al completo, c'era un frigo contenente tanti dolciumi e vari alimenti di cui tutte quante andavamo ghiotte. Il bagno era grosso quanto il nostro salotto, la vista dava sul centro della città, gli enormi grattaceli si affacciavano davanti a noi, le persone che camminavano sulla strada sembravano quasi come delle formiche alla nostra vista.
"Ehy, venite a vedere qui". La voce di Ashley proveniva dalla camera da letto.
Sul di esso c'era una busta con un foglietto. L'afferrai e mi misi a leggere.
 
"Care signorine, il Waldorf-Astoria vi da il suo benvenuto.
All'interno della busta troverete il nostro regalo di Natale, in anticipo.
Spero vi piaccia. Fatene buon uso.
ps. Quando vi sarete riposate scendete nella hol che ho un 
ulteriore regalo per voi.
                                      Marcus Astoria."
 
All'interno della busta c'erano 3 carte di credito, ognuno con sopra intestato il nostro nome. 
"Marcus Astoria, è il proprietario dell'Hotel. Oh mamma". Ashley stava osservando sbalordita la carta di credito che stringeva nelle sue mani, come, d'altronde, stavamo facendo io e mia sorella.
"Secondo voi quanto contiene?" chiese Jessica sbalordita
"Non ne ho idea. Dopo dobbiamo scendere nella Hall per avere "l'ulteriore regalo", potremo chiederglielo direttamente a lui" risposi infilando la carta all'interno del portafoglio.
Entusiaste disfammo le nostre valige. Depositammo i nostri viveri all'interno degli enormi armadi e cassettiere che circondavano l'intera camera da letto.
"Sono le 11 in punto. Tra un ora ci sarà il pranzo. Che dite, dormiamo ora, o preferite dormire dopo, e uscire poi quando ci alziamo?" chiese Ashley esausta come me e Jessica.
"Direi di dormire queste due orette e di andare in giro dopo pranzo" rispose Ashley.
Ci mettemmo tutte quante a dormire nel nostro mega lettone, nel quale sprofondammo e che ci coccolava con molta sofficità.
Non appena toccato il dolce cuscino di piume, gli occhi crollarono.
Qualche tempo dopo, un rumore distolse l'attenzione dei nostri dolci sogni ad un brusco risveglio. 
Fui la prima a sobbalzare, a seguito mia sorella e per ultima Ashley. Fuori dalla finestra il dolce calore solare se n'era andato, e una grossa luna faceva passare i suoi raggi di luce scura all'intero della stanza.
Al di fuori della nostra porta arrivavano delle urla e dei battiti.
"Jade, Ashley. Jessica, venite immediatamente".
Corsi immediatamente alla porta, nelle condizioni più immaginabili possibili.
Era di mia normale consuetudine, come tutte le ragazze di questo mondo, credo, dormire con biancheria intima. Eravamo state prese alla sprovvista da quei rumori, che io, come le altre, non ci accorremmo delle condizioni nelle quale ci trovavamo.
Spalancai la porta e davanti a me trovai l'intera squadra di FootBall e quella di Hockey. Una quarantina di occhi erano fissi sul mio completino intimo che io Ashley e mia sorella avevamo preso per l'arrivo a New York.
"Wow" disse il primo della fila, che non poteva che essere Aaron, con a seguito Peter.
"Ti prego, dimmi che anche tua sorella ha un completino del genere" disse Peter spingendo Aaron lontano dalla porta e mettendo piede all'interno della camera da letto dove trovò Ashley e Jessica nelle mie stesse identiche condizioni.
"SONO FINITO IN PARADISO" gridò Peter non appena oltrepassata quella porta.
Mia sorella buttò immediatamente fuori Peter dalla camera, urlando solamente un "Jade, entra in camera".
Corsi immediatamente lasciando la porta aperta, permettendo così agli altri di entrare in stanza.
"Che diavolo ci fa Peter qui, in camera nostra, mentre noi siamo svestite?" chiese mia sorella traumatizzata dal fatto che Peter l'avesse vista in quello stato.
"Non chiederlo a me, mi sono svegliata di soppiatto perchè sentivo un rumore fuori dalla porta di gente che batteva contro la porta, e di voci che ci chiamavano" spiegai.
"Ma che ore sono?" chiese Ashley afferrando il cellulare. "Oh mamma" continuò "sono le otto e mezza" concluse.
"Abbiamo dormito per nove ore?" chiese sbalordita mia sorella.
"Ragazze dai fatemi entrare" continuava ad urlare Peter al di fuori della nostra stanza.
Velocemente ci vestimmo ed uscimmo dalla stanza, io più imbarazzata delle altre nella consapevolezza che tutti avessero visto il mio "abbigliamento" notturno.
"Che siete venuti a fare qui?" chiese Ashley svogliata.
"Tuo padre ci ha detto che stasera non saremmo potuti uscire perché dovevamo riposarci, allora abbiamo deciso di passare una serata tutti assieme, e beh, visto che non vi abbiamo visto nè a pranzo nè a cena abbiamo deciso di venire nella vostra stanza a vedere se eravate ancora vive" disse Dylan.
"Oh a proposito, Jade, bel completino" continuò Kevin.
Più imbarazzata che mai feci solamente un cenno con la testa.
"Aaron stasera potrà andare a dormire felice, e io con lui" disse Peter volgendo il suo sguardo da pesce lesso verso mia sorella che non ci pensò due volte a spingerlo via.
"Beh, cosa vogliamo fare?" chiese Christopher sedendosi su una delle poltrone.
"Noi dobbiamo scendere un attimo a chiedere una cosa alla hol, torniamo subito, voi fate quello che volete, solo non entrate nella nostra camera, grazie" Ashley chiuse a chiave la porta e la portò con sè.
Prendemmo la busta con le nostra carte di credito e e scendemmo nella hall per parlare con il Sig. Astoria.
Il viaggio in ascensore fù un momento di puro silenzio cercando di riprenderci da quella "sveglia" così brusca. L'ascensore toccò il piano terra, uscimmo da esso e ci avvicinammo alla reception.
"Ehmm.. Salve, noi stiamo cercando il Sig. Astoria" 
Una voce da dietro di noi pronunciò "Eccomi sono io".
Ci girammo. Un signore di età compresa trai 30 e i 40 anni si avvicinò a noi, allungandoci la mano e presentandosi.
L'argomento poi passò alle carte di credito.
"E' un regalo che volevo farvi, essendo le uniche ragazze ad essere assieme a una baraonda di ragazzi, e poi in periodo natalizio siamo tutti più buoni giusto? Comunque è una carta con 50.000 $ ciascuna, una somma più che gradevole non ne dubito, è ovviamente sono tutti vostri. In oltre, se mi posso permettere, mi hanno consegnato questi pass per le quinte del concerto natalizio che svolgeranno qui a New York il 24 sera, aspettando la mezzanotte per festeggiare insieme alle star più famose del momento il Natale."
"Sta scherzando?" chiedemmo in coro
"Perché dovrei? Tuo padre è un mio vecchio amico signorina Taylor, e mi ha detto come non vedevate l'ora di arrivare qui a New York per una bellissima esperienza, e io voglio contribuire a tutto ciò. Buon Natale ragazze."
Il Sig. Astoria ci salutò e sparì in mezzo ad altri clienti.
"Ragazze, 50.000$ vi rendete conto? Pass per le quinte del concerto natalizio, qui a NY" dissi tutta emozionata.
Tutte eccitate al pensiero di quei regali, risalimmo in camera dove passammo la nostra prima serata newyorkese a mangiare schifezze di qualsiasi genere in compagnia dei ragazzi.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Hi, I'm Justin Bieber! ***


"Dunque, voglio assolutamente andare alla Luis Vuitton, ho sempre voluto una sua borsa, senza contare che dobbiamo prenderci qualcosa da mettere per il concerto natalizio che faranno questa sera. Dobbiamo anche andare dal parrucchiere e magari perchè no anche dal truccatore? Dopotutto abbiamo 50.000$ nelle nostre mani, senza contare tutti i soldi che hanno dato mamma e papà".
Mia sorella era su di giri più di me e Ashley messe insieme, ma aveva ragione. La sera stessa saremmo andare alla festa di Natale Newyorkese in presenza di molti personaggi famosi, per lo più avevamo i pass per le quinte, e molto probabilmente saremmo riuscite ad incontrare anche qualcuno. Non ci saremmo mica potute presentare vestite e truccate da scolarette.
Trovare un parrucchiere e un truccatore a New York non si rivelò un impresa poi così complessa, avevamo l'imbarazzo della scelta. 
"Questo mi ispira, non riesco nemmeno a leggere il nome ma mi ispira" disse Ashley aprendo la porta di un parrucchiere che nemmeno io e mia sorella riuscivamo a pronunciare il nome.
"Salve, noi vorremmo fare capelli e trucco" disse mia sorella sicura di quello che stava dicendo.
La signorina che si trovava dietro al bancone ci guardò sorridendo.
"Certamente signorine, abbiamo un posto alle cinque e mezza, per voi va bene?"
Erano le tre e mezza, avremmo avuto il tempo di trovare il vestito nell'arco di tempo, prendemmo l'appuntamento e iniziammo a girovagare per i milioni di negozi che ci si presentavano davanti uno dopo l'altro.
Avevano tutti degli abiti stupendi, ma nessuno sembrava appartenere a una di noi.
"Ragazze il tempo sta passando, sono le quattro e mezza, tra mezzora abbiamo l'appuntamento, ci dobbiamo dare una così detta, MOSSA" disse Ashley terrorizzata dal fatto che non riuscissimo a trovare gli abiti giusti.
"A che ora inizia il concerto stasera?" chiese Jessica guardandoci perplesse.
Tirai fuori dalla borsa il pass sul quale c'era scritto l'orario.
"Beh, qui sul passo c'è scritto 20" risposi riponendolo nuovamente in borsa.
"Nel caso non trovassimo niente, potremmo comunque venire a cercarlo dopo, c'è ne di tempo" continuò mia sorella.
"Non sappiamo quanto tempo ci mettiamo dal parrucchiere, e poi per il trucco bisogna coordinare i vest.."
Ashley non ebbe il tempo di finire la frase che trovò davanti a lei un negozio, contente 3 manichini. Uno con indosso un vestito diverso.
"Quello a destra è mio" disse Jessica indicando un bellissimo vestito verde pteroglio
"Quello in centro è mio, niente discussioni eh" dissi prima che Ashley potesse prenderlo. Era un vestito rosa confetto.
"Prendeteveli pure, io penso di essermi innamorata di quello a sinistra." Il vestito scelto da Ashley era di un viola perlato.
Ogni vestito aveva un particolare differente. Quello di mia sorella aveva una scollatura molto profonda sul davanti, quello di sonia era fatto a balze, mentre il mio aveva una scollatura più che profonda sulla schiena, che partiva dal collo fino a fine della schiena. Le scarpe che il manichini portavano sotto di loro erano coordinati con il vestito, e con loro c'erano anche le porchette.
Entrammo dentro al negozio, la commessa non appena le indicammo gli abiti sui manichini fù felice di dirci che erano gli ultimi modelli.
Impacchettò il tutto, pagammo e ci incamminammo dal parrucchiere/truccatore.
Non appena arrivammo, la signorina che ci aveva accolto precedentemente ci fece un sorriso, e ci fece accomodare nella saletta di attesa, ci offrì qualcosa da bere e poi tornò alla sua postazione.
"Secondo voi quanto chiederanno per questo "trattamento" che dobbiamo fare?" chiesi preoccupata che i soldi che avessimo non bastassero.
"Sul cartellone c'è scritto che capelli è trucco costano 1.500$, noi ne abbiamo spesi 1.500 per l'abito, 200 per le scarpe e 300 per le scarpe, questo vuol dire che in tutto oggi spenderemo 3.500$, c'è ne rimangono ancora 46.000$, tranquilla." Ashley fece velocemente un calcolo rapito. Non avevo mai speso così tanti soldi in un solo giorno, e per così poche cose che qualche tempo fa, mi sarebbero sembrate pure stupidaggini.
Dopo qualche minuto di attesa, la signorina ci venne a chiamare, prese i nostri soprabiti e ci fece accomodare su delle comode sedie bianche, davanti a dei grossi specchi tutti circondati da delle luci. Ad ognuna di noi venne affidato un parrucchiere. Successivamente, poi, saremmo andate nella zona make-up per il trucco.
"Io sono Jeremy" disse un signore avvicinandosi a me.
Il parrucchiere di mia sorella si chiamava Jason e quello di Ashley, Malcom.
"Dimmi, dove devi andare di bello? Festa importante? Festa tra amici? A lavarti i piedi? Dimmi tutto". 
Jeremy sembrava una persona molta simpatica e gentile. Sorrisi alla sua richiesta e le dissi per che occasione mi sarei dovuta "fare bella".
"Stasera devo partecipare al concerto natalizio che ci sarà qui a New York, ho i pass per le quinte, quindi vorrei qualcosa di.."
"So esattamente che cosa fare, sei una biona stupenda, occhi azzurri e carnagione chiara, non potrei chiedere di meglio. Faremo qualcosa di molto semplice. Ecco cosa avevo pensato.."
Jeremy non mi fece nemmeno finire la frase che un vulcano di idee lo inondarono.
"..hai una bella lunghezza ma voglio allungartela ancora, quindi applicheremo delle extations, poi ti schiarirò i capelli, li farò diventare di un bellissimo biondo pallido pallido, tranquilla non ti faccio bianca come le vecchi. Poi faremo la piega, e li porteremo tutti avanti per valorizzare il fatto che hai i capelli molto più lunghi. Che ne dici?" 
Non avevo capito molto di quello che Jeremy aveva detto, mi affidai a lui e lasciai che il suo "genio" si mettesse all'opera.
Solo l'applizacione dell extations fece passare un ora di tempo, la tinta un'altra ora e la stiratura un'altra mezzora.
"Sono le sette e mezza" disse Ashley dirigendosi verso il make-up.
"Va be anche se arriviamo più tardi non succederà nulla, tanto dobbiamo stare la fino a mezzanotte" commentò mia sorella.
"Oh si ragazze, state tranquille, tanto inizia sempre alle nove e mezza lo spettacolo la" disse Malcom ripulendo la sua postazione.
Mia sorella era già andata nella zona make-up.
Salutai Jeremy e mi avviai anche io al trucco.
La sala del make up era divisa in tanti stanzini, io entrai in uno dove ad attendermi c'era una ragazza di nome Jenny.
Feci la sua conoscenza e subito si mise all'opera.
"So che hai un impegno quindi cercherò di fare abbastanza in fretta senza perdermi troppo nelle parole. Devi solo dirmi come ti vestirai."
"Avrò un vestito rosa confetto, e delle scarpe nere, con una porchette anche essa nera con dei ricami rosa."
Jenny mi guardò poi iniziò a prendere fondotinta, ombretti ecc..
Nel giro di mezzora il trucco era terminato ed era stupendo. Avevo gli occhi non troppo truccati ma stupendi. Un ombretto rosa pallido sfumava le mie palpebre. Una buona dose di mascara riempiva le mie ciglia e un rosa confetto brillava sulle mie labbra. La matita che passava attorno agli occhi, rendeva tutto ancora più stupendo.
Ringraziai Jenny e uscii dallo stanzino dove mia sorella e Ashley mi stavano attendendo, belle come non mai.
Ashley aveva i capelli raccolti da una coda semplice ma bellissima, gli occhi truccati di un viola smeraldo. Mia sorella aveva capelli bocclosi e lucenti, con un trucco blu e azzurro. Erano stupende.
"Dobbiamo ancora cambiarci, diamine" dissi guardando l'orologio che segnalava le otto e venti.
"Con il vostro permesso" disse la signorina che si trovava all'entrata "ogni partecipante a quella serata che ha i pass per le quinte ha diritto a una macchina, ha chiamato prima un signore, Astoria se non sbaglio, e vi ha mandato una macchina a prendervi, è già qua fuori".
Pagammo il conto più in fretta che potessimo, e ringraziando il signor Astoria, salimmo in macchina. Una macchina abbastanza grande per permetterci di cambiarci.
"Quella è la mia scarpa" 
"Quella non è la mia borsa?"
"Guarda che quella è la mia!"
"I capelli, se metto il vestito si stropicciano"
"Eccola dov'era la scarpa, no aspetta, Ashley questa è tua"
"Oh si è questa è tua"
"La borsa, si questa è mia".
Fù il tragitto più movimentato nella storia dei tragitti movimentati. Nessuno riusciva a trovare le sue cose, sbattemmo la testa sul tettuccio della macchina una decina di vole ciascuna. 
"Siamo arrivati" disse la macchina fermandosi.
Un gentil'uomo venne ad aprirci lo sportello della macchina ed eccoci, messe nelle migliori delle condizioni, capelli a posto, trucco fatto, vestito nuovo, niente sarebbe andato storto quella sera, sarebbe stato tutto incredibilmente stupendo.
Davanti a noi c'era un lungo tappeto rosso con al fondo due grossi omoni spessi quanto un armadio, alti 3 metri vestiti tutti di nero, con occhiali da sole, nonostante fossero le otto e mezza di sera, e con auricolari alle orecchie. 
"Guardie del corpo?" chiese Ashley.
"Penso che siano quelli che guardano se hai i pass o cose varie".
Ci stavamo avvicinando sempre di più a quegli omoni, Ormai eravamo arrivati davanti a loro.
"Avete i pass?" chiesero con il massimo della serietà.
Tirammo fuori ognuna il proprio pass e lo mostrammo. 
I due fecero un cenno con la testa e ci lasciarono passare dietro un telo dove si trovava un'altro tappeto rosso, sta vola conducibile a una specie di porta.
"Dove porta secondo voi quella porta?" chiese Jessica.
Scoprimmo presto dove portasse. Non appena oltrepassata si spalancò un intera baraonda di persone, tutte fornite di un calice di champagne, che venne offerto successivamente anche a noi da una gentilissima cameriera.
"Siamo in una specie di stanza?" chiesi a mia sorella e a Ashley.
Sulla nostra sinistra si estendeva un lungo corridoio tutto bianco con diversi stanzini, che successivamente si rivelarono camerini. Dal momento che non avevamo diea di chi si esibisse quella sera, sbirciammo i nomi che si trovavano sulle porte di essi.
"Mariah Carey, Uscher, Taylor Swift, Justin Bieber, Taylor Lautner, Kristen Stewart"
"Momento, ma Taylor Lautner e Kristen Stewart non sono dei cantanti" disse Jessica rileggendo i nomi sulle porte.
"Beh, saranno i presentatori, o gli ospiti non lo so" rispose Ashley.
Io però ero rimasta su quel nome, Justin Bieber. Lo aveva ascoltato parecchie volte da quando ero arrivata in Canada, sapevo a memoria la maggior parte dei suoi pezzi e beh, incominciavo a pensare che era veramente un bel ragazzo.
"Justin Bieber, perché fissi tanto sto nome?" chiese mia sorella avvicinandosi al camerino di Justin davanti al quale io ero immobilizzata.
"No niente, è che lo ascolto già da un periodo. E' veramente un bravo ragazzo e anche molto carino".
Spostati finalmente il mio sguardo dal nome Justin Bieber.
"Abita nel nostro stesso quartiere sai?" disse Ashley "C'è un po' più in giù della nostra casa c'è quella dei nonni. Passa li tutte le feste ma da quando mi sono trasferita io, non ho visto la sua ombra".
Rimasi spiazzata. Justin abitava veramente così vicino a casa mia.
Mentre ero assorta dai miei pensieri un fotografo si avvicinò a noi.
"Ehi ragazze, posso farvi una foto?" chiese mostrandoci la macchina fotografica.
"Si certo" rispose Ashely.
Ci mettemmo in posa e *clic* la foto fù scattata.
"Posso sapere i vostri nomi? E per segnarvi alla partecipazione della serata".
"Si certo non c'è problema, io sono Jade Daniels,lei è mia sorella Jessica Daniels e lei è Ashley Taylor" parlai a nome di tutti.
Il fotografo appuntava i nomi su un blocchetto.
"Perfetto, ci rivedremo durante la serata tanto, a dopo ragazze".
"Oh scusa" qualcuno aveva sbattuto contro Ashley.
Non ebbe il tempo di girarsi per rispondere che incontrò lui, Taylor Lautner era proprio dietro di lei a chiederle se le aveva fatto male, a scusarsi.
"Tutto bene? Scusa ero di fretta perché devo uscire a presentare il primo artista, ci vediamo dopo". 
Si scusò un'ultima volta con Ashley e subito scomparve.
"Oh W O W" disse annusando la scia di profumo che Taylor aveva lasciato dietro di lui.
"Quello che si dice amore a prima vista" disse scherzosamente mia sorella.
Ashley era ancora un po' scossa dall'accaduto.
"Che dici se noi andiamo a prendere una boccata d'aria Ashley mentre tu Jade aspetti qui?" disse mia sorella prendendo Ashley da un braccio e portandola, con molta cautela, fuori a prendere una boccata d'aria.
Non appena anche loro sparirono, qualcosa dentro alla mia porchette vibrò, era il cellulare. Qualcuno mi stava chiamando.
*Aaron*
Presi la chiamata.
"Ehi"
"Ma dove siete?" chiese tutto arrabbiato
"Siamo andate a una festa, ma cos'hai?"
"Credevo che avremmo passato la serata come ieri sera, ad aspettare la mezzanotte per festeggiare tutti insieme".
"Veramente non avevamo programmato proprio niente, anche perché sapevamo già che oggi saremmo dovute andare fuori, e ai poco da arrabbiarti e metterti ad urlare al telefono".
"Con chi sei?" chiese alzando ancora di più la voce.
"Scusa? Ora devi perfino controllare con chi esco? E comunque sono con mia sorella e con Ashley, qualcosa in contrario?"
Senza che io me ne accorsi, la porta di un camerino si aprì.
"Ti ho solo chiesto con chi eri, vedi di non alzare troppo la voce".
Le parole che mi stava rivolgendo Aaron erano un po' troppo per me. Non vedevo il motivo di tutta quella rabbia.
"Tu così non mi parli. Mi chiami per chiedermi che cosa sto facendo, con chi sono, dici che avevamo organizzato di passare una serata insieme quando in realtà ti sei inventato tutto tu, sto cercando di passare una bella serata, se volevi rovinarmela c'è l'hai fatta".
Chiusi la cornetta senza lasciare ad Aaron il tempo di rispondere. Non avevo proprio voglia di sentirmi ulteriormente gridare addosso.
"Ragazzo geloso e protettivo il tuo".
Una voce, proveniente da uno dei camerini si rivolse a me. 
Un ragazzo dai capelli biondo scuro, dagli occhi color miele uscì dallo stanzino e si avvicinò a me. 
Mi trovavo davanti a lui, a quel ragazzo che avevo ascoltato per così tanto tempo nella mia nuova camera, che avevo guardato così tante volte tramite un pc. Ero spiazzata, terrorizzata, euforica, stranita.
"Lui.. ehm, non è il mio ragazzo."
*Oh wow Jade, la risposta più azzeccata da dare mi dicono* pensai tra me e me.
"Chiedo scusa, non volevo origliare la telefonata ma ho sentito delle "urlare" e volevo capire da chi provenissero" disse chiudendo la porta dietro di lui.
"Chiedo scusa, non volevo urlare.. E che mi ha..mi ha presa.." non riuscivo a trovare le parole, avevo la salivazione che rallentava a dismisura il cuore che batteva più forte del previsto, il sangue che non pompava più il sangue. 
*Cosa mi prende?* pensai. Non avevo mai provato una sensazione del genere, mai.
"Tranquilla, oh comunque io sono Justin". Il ragazzo dagli occhi color miele si avvicinò a me porgendomi la mano. Io gli e l'afferrai.
"Piacere Jade".
"Sei un ospite?" chiese incuriosito
"Umm no, sono qui con delle amiche, perché ci hanno fatto una specie di "regalo" di Natale" risposi tranquillizzandomi.
"Un bel regalo"
"Justin devi essere in scena tra pochi minuti" un addetto ai suoni si avvicinò a lui trascinandolo quasi via.
"Oh si arrivo" mentre si stava per allontanare si girò verso di me "Ci vediamo quando ho finito l'esibizione". Le sorrisi. Si girò per un'ultima volta. "E per la cronaca, penso che che chiunque sarebbe geloso e protettivo nei tuoi confronti... Me compreso"
Justin voltò l'angolo.
Mai provata una sensazione del genere. Sembrava che tutto fosse scomparso dalla mia mente. Avevo uno sguardo assente ed energico. Fissavo il pavimento quasi come se stessi cercando di capire se era successo tutto per d'avvero o me lo ero semplicemente immaginato. Niente da fare, era tutto vero, tutto reale, era successo veramente.
"Ehi sorellina, Justin si sta per esibire, vieni un po' a sentire".
Mia sorella era rientrata con Ashley al suo seguito. Percorsi quel piccolo pezzo di corridoio e andai fuori, nelle prime file per poter assistere al concerto.
La voce di quel ragazzo era stupenda, ancora più bella di quanto me la potessi ricordare. Per un secondo chiusi gli occhi. Mi sembrava di essere all'interno della mia camera Canadese ad ascoltarlo ad alto volume. Potevo sentire le urla di mia madre che dice di abbassare un po' il volume. Posso percepire la voce bisbigliante di mia sorella che canta i ritornelli delle sue canzoni nella camera accanto.
L'aria era fresca, riaprii gli occhi. La sua voce continuava a risuonare, mi pervadeva completamente.
La musica terminò. Scoppiai in un grosso applauso come del resto fece l'intera platea che si trovava davanti al palco sul quale Justin si esibì. Era tutto meraviglioso. L'aria del Natale si faceva sempre più forte. Mi sentivo felice, ero felice. 
Fuori si gelava, decidemmo così di rientrare dentro.
"Devo assolutamente trovare Taylor, assolutamente!". Ashley sembrava decisa ad avere una conversazione più che seria con Taylor. Era stupendo vedere come guardava furtivamente in torno per cercare di trovarlo. 
Io, d'altro canto, non mi illusi troppo del fatto che Justin potesse venire a cercarmi nuovamente per "parlare".
"Sono le undici e mezza, tra mezzora è Natale." Mia sorella continuava a tenere d'occhio loro. Forse non si era ancora accorta che fuori, a grande schermo, c'era l'immagine di un orologio che segnava quanto tempo mancasse a Natale.
"Ora canta Taylor Swift, venite a sentirla?" chiesi a mia sorella e a Ashley.
"No fa troppo freddo fuori" rispose mia sorella.
"Devo guardare se Taylor rientra sorry". 
Accettai di buon grado le motivazioni di mia sorella e Ashley, ma decisi ugualmente di andare a sentire Taylor cantare. Amavo la sua voce.
Ero li, poco prima dell'uscita. Riuscivo a vedere a malapena Taylor cantare, ma sentivo ugualmente la sua voce. Era come una dolce melodia, una colonna sonora, una d'amore. Mi stavo lasciando trasportare da quella ninna nanna.
"Oh eccoti qui, come mai tutta sola? Le tue amiche ti hanno abbandonata?" 
Justin spuntò dalle mie spalle con mio grande stupore.
"Eh?.. Um, veramente, una aveva freddo e l'altra sta cercando di beccare Taylor Loutner, quindi.."
"Oh, capisco, beh effettivamente, non hai freddo?" mi chiese guardando il colorito della mia pelle.
"Si un po' ma tanto tra poco entro".
Justin si tolse la felpa che aveva addosso e me la porse.
"Ho ballato e cantato fino ad adesso, sto morendo di caldo, veramente, tieni pure".
Non volevo accettare, non mi sembrava il caso. Ma ammetto che il freddo mi sta per mandare in ipotermia. Presi la sua felpa e me la misi.
"Voi ragazze con i vostri vestitini e con le vostre scollature" disse Justin sghignazzando.
Mi misi a ridere.
"Beh, ogni tanto anche noi dobbiamo farci belle."
Girai il mio sguardo verso Justin. Lui ricambiò.
"Credo che tu sia bella anche senza vestiti corti o trucco in viso" rispose di tutto tono.
Sorrisi, e abbassai nuovamente lo sguardo cercando Taylor. La sua voce si fermò. Aveva finito l'esibizione. Justin si appoggiò dalla parte opposta del muro su cui io ero appoggiata.
"Allora, Jade, sei di qui?"
"No, sono in vacanza qui, vengo da Stretford, Canada"
Justin rimase spiazzato.
"Anche io sono di Stretford, beh veramente ora la mia casa e l'intero mondo.. Viaggio molto per lavoro" si spiegò.
"Si lo so, abiti, o meglio, i tuoi nonni non abitano non molto lontano da me." 
"E come mai io non ti ho mai vista prima dora?" chiese sbalordito.
"Mi sono appena trasferita da Torino, Italia." risposi sorridente.
"Italia? Ci sono stato in Aprile. Veramente un bel posto.. Si mangia bene".
Mi misi a ridere. Sapevo perfettamente che chiunque fosse stato almeno una volta in Italia l'avrebbe ricorda sempre per l'ottima cucina. 
Mentre stavamo parlando la borsa vibrò di nuovo. 
Presi il cellulare in mano.
*Aaron*
Aveva scritto un messaggio lungo quanto una quaresima. Spensi lo schermo e lo rimisi nella borsa.
"Non si rassegna il ragazzo?" chiese Justin fissando il suo sguardo sulla mia borsa.
Non sapevo nemmeno io che cosa risponderle.
"C'è gente che non si rassega nemmeno davanti all'evidenza" le risposi stanca di sentirmi dire in continuazione di come Aaron e io potessimo stare bene assieme.
"Bene, manca un minuto a Natale" disse Taylor.
Il pubblico iniziò il conto alla rovescia.
"Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno.. BUON NATALE".
Milioni e milioni di fuochi d'artificio sprizzarono in cielo formando alberi di natale e stelle cadenti. Il viso di Justin era illuminato dalle luci dei fuochi. I miei occhi si specchiavano in quei colori. 
Justin distolse lo sguardo dal cielo si avvicinò a me e mi disse, all'orecchio, in modo che io potessi sentirlo, Buon Natale.
Sorrisi, mi avvicinai al suo orecchio e le dissi, Buon Natale.
La serata si concluse con una bottiglia di champagne e con il numero di telefono di Justin salvato nella mia rubrica.
Anche a Ashley andò più che bene. Taylor, alla fine, tornò a parlarle. Passarono tutta la sera a parlare e a scherzare, mentre mia sorella, passò la serata al cellulare con Davide.
Erano le due e mezza quando risalimmo in camera.
"Sono morta" disse Ashley buttando a terra il soprabito e la borsa.
"Penso di non sentire più i piedi" disse Jessica buttando le scarpe all'aria.
"Io sto bene" dissi mostrando un sorriso.
"Il caro vecchio Justin, ha scagliato la freccia?" chiese Ashley sbottonandosi il vestito.
"Oh no, Ashley, ha fatto qualcosa di meglio, ha scagliato il suo numero" concluse mia sorella.
"E dai, non iniziate" risposi saltando sul letto. "Lui è famoso. Io beh. Dai insomma. Non fatemi illudere più di quanto non mi stia già illudendo io".
"Mica è illudersi sperare che qualcosa vada per il verso giusto. Anzi, è un buon modo per prepararsi a quello che potrebbe succedere". 
Mia sorella era saggia come al solito. Mi disse quella frase che, mi tranquillizzò cuore e anima.
Nel giro di pochi minuti ci mettemmo tutti sotto le coperte, pronte a recuperare il sonno arretrato. Estrassi il cellulare dalla borsa. C'era ancora il messaggio di Aaron. Decisi di leggerlo.
 
Si lo so, prima al telefono ho urlato e ti ho dato contro
senza una vera motivazione. Forse perchè sono stupido
o forse perchè, non lo so nemmeno io che cosa mi è preso
e solo che speravo che potessi posare assieme la vigilia di Natale.
Non sapevo che avevi già organizzato altro con tua sorella e Groppi.
In qualsiasi caso spero che tu non ti sia rovinata la serata
e che ti sei divertita il più possibile. Io l'ho passata con
Peter e con due ragazze che abbiamo conosciuto oggi in centro
sono veramente simpatiche, magari domani te le potrò fare conoscere, sempre che tu non abbia
niente di meglio da fare. Ti chiedo scusa se sono sembrato troppo appiccicoso
e solo che ci tengo a te, come amica. 
Non dare retta a quello che dice Groppi, la maggior parte delle volte
aumenta troppo la situazione. Sei un'amica importante per me
non vorrei rovinare tutto questo perché
sei una bella ragazza è io un ragazzo
con delle intenzioni un po' troppo affrettate.
In qualsiasi caso dolce Notte e Buon Natale. Ci vediamo domani.
Ancora scusa, e buona serata.
 
Ero così sollevata che Aaron avesse detto quelle due fatidiche parole "come amica". Finalmente una cosa si era risolta e io, per la prima volta, avevo capito, meglio di mia sorella, le intenzioni di Aaron. 
Posai il cellulare sul comodino, fissai per qualche istante la luna al di fuori della finestra e mi misi a dormire.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1385851