Consequences

di Avah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Com'è difficile il mondo senza te ***
Capitolo 2: *** Due mondi diversi ***



Capitolo 1
*** Com'è difficile il mondo senza te ***


Consequences


Capitolo I - Com'è difficile il mondo senza te


Flack era sulla metro, in un vagone deserto, a parte una giovane ragazza con le cuffiette bianche dell’i-Pod e una signora con la borsa della spesa; quella che aveva lui, invece, era un’altra compagnia. Prese il sacchetto che era accanto a lui e svitò il tappo della bottiglia che vi era dentro, per poi berne il liquore deciso. Era ormai completamente ubriaco: la vista era confusa e i suoni delle ruote della metro sulle rotaie di ferro erano attutiti. Aveva quasi dimenticato quando era stata l’ultima volta che era stato completamente lucido; probabilmente era stato prima della morte di Jess, quando sembrava andare tutto per il meglio e la loro relazione era al massimo.
In quel momento si aprì la porta del vagone e fecero il loro ingresso due giovani ragazzi di colore, dall’aspetto non molto rassicurante. Si piazzarono in piedi proprio di fronte a lui, lanciandosi occhiate piuttosto eloquenti. La ragazza seduta sull’altro sedile si alzò e lasciò il vagone, mentre l’altra donna rimase lì, tenendo ben stretta la sua borsa.
Uno dei due diede un cenno d’inizio, gettando via lo stecchino che stava mordendo; Flack si alzò in piedi, cercando di difendersi, ma uno dei due lo colpì e lo fece cadere a terra. L’uomo cercò di prendere la pistola che teneva legata al polpaccio, ma un calcio gliela fece scappare dalle mani. I piedi di uno dei due ragazzi si abbattevano sul suo corpo, mentre l’altro cercava il suo portafogli e lo svuotava delle banconote.
Erano calci sempre più forti, sempre più violenti, sempre più dolorosi. Flack riuscì a reagire e a colpire uno dei due uomini in mezzo alle gambe, mentre l’altro lo colpiva ancora una volta, stavolta alla testa, provocandogli una ferita sulla fronte. L’uomo che era caduto a terra per il dolore si rialzò, estraendo dalla tasca un coltello. Si apprestò a colpirlo, quando all’improvviso si aprì la porta del vagone.
-Metti giù quel coltello!- disse la donna appena entrata, recuperando la pistola che era scivolata a terra -Non farmelo ripetere, metti giù quel coltello!-
L’altro però uomo non sembrava affatto intenzionato a obbedire.
-So usare bene le armi, ora dammi retta e metti giù il coltello-.
I due si guardarono per un momento negli occhi, poi l’uomo lasciò cadere l’arma, con un suono metallico. In quel momento le porte della metro si aprirono e i due fuggirono, scomparendo nel nulla.
La donna si mise la pistola alla cintura, poi si avvicinò a Flack, ancora a terra con la fronte sanguinante; lo aiutò a mettersi a sedere, controllando la ferita alla testa.
-Dio mio, perché non ti sei difeso?- disse, cercando qualcosa per fermare almeno un po’ il sangue.
Lui non rispose; lasciò ciondolare un po’ la testa, prima che gli ricadesse sul petto.
-Andiamo, ti porto via di qui- si portò un braccio intorno alle spalle e lo alzò, poi uscì dalla metro, quasi strascicando i piedi.
 
-Che significa che non posso farlo?!- la sua voce divenne quasi esasperata.
-Ascoltami bene. Io sono quella che ha più esperienza, e se c’è qualcosa che ti dico di non fare non devi farla, per nessuna ragione al mondo- disse lei, cercando di mantenere la calma.
-Almeno potresti dirmi se c’è qualche motivo, no?-.
-Senti, adesso si trova in un periodaccio, lo sai quanto me. Deve riuscire a capire che certe cose succedono e non può scappare dai problemi delle sue azioni-.
-E cosa c’entra riordinare l’appartamento con questa lezione di morale?-.
-Quando tornerà qui capirà cos’ha fatto e quanti problemi si è procurato. Se tu ora metti tutto in ordine, non potrà mai capirlo da solo. Vuoi che esca da questa situazione, no?-.
L’altra donna non rispose; si limitò soltanto ad abbassare lo sguardo, meditando su quelle parole.
-Jess, so che ti preoccupi per lui- le appoggiò una mano sulla spalla -Anche io lo sono, ma non possiamo intervenire continuamente. Sa della nostra esistenza, ma deve capire che non potrà contare sempre su di noi. Facciamo questo solo per lui-.
-Lo so, Marjeka, ma a volte è così difficile… Mi sento così impotente…-.
-Ti capisco perfettamente. Ma se tieni duro, sarà una vittoria sia per lui che per te-.
In quel momento le due donne provarono una strana sensazione, come una serie di calci allo stomaco, sempre più forti e decisi. Jessica si piegò a metà, come se stessero colpendo proprio lei.
-Che sta succedendo?- disse con un gemito, cercando di rialzarsi.
-Gli sta succedendo qualcosa di grave- disse l’altra donna, cercando di aiutarla a rimettersi in piedi -Stavolta dobbiamo aiutarlo-.
-Ma…- iniziò l’altra, ma la donna con viso da ragazzina non le fece finire la frase.
-Non c’è tempo per le spiegazioni. Andiamo- la prese per un braccio e, spiegate le ali, volò fuori dal palazzo.
I colpi d’ala erano vigorosi, talmente potenti da farle volare velocissime, senza aver la paura che qualcuno potesse vederle.
-Come lo troviamo?- chiese Jessica, volando di fianco all’altra.
-I legami sono indissolubili. Le nostre intuizioni ci porteranno dritte dritte da lui- spiegò lei, iniziando a planare dolcemente tra i palazzi di Brooklyn.
L’altro angelo la seguì, scendendo con lei verso il cemento grigio, per poi sparire sotto terra, nel tunnel della metropolitana. Quando appoggiarono di nuovo i piedi per terra, il treno era sparito e la banchina era deserta.
Marjeka si guardò intorno, spaesata e, per la prima volta da mezzo secolo, confusa. Qualcosa non quadrava.
 
-Flack non dormire!- fece lei, strattonandolo. Si trovavano in una stradina di Brooklyn, non molto lontano dalla fermata da cui erano scesi.
Lui cercò di mormorare qualcosa, ma lo stordimento dell’alcool gli permise soltanto di emettere un rantolo rauco.
-Forza, ti porto in un posto tranquillo- rispose, continuando a controllare che non ci fosse nessuno per strada -Su, andiamo- lo prese di nuovo sottobraccio e lo trascinò per la strada, tenendosi rasente al muro, fino a un portone poco lontano.
Quando aprì la porta dell’appartamento, ormai non si sentiva più le braccia, a furia di trascinarsi dietro un peso non indifferente come il suo; nonostante tutto, lo avrebbe fatto altre migliaia di volte. Lo lasciò sul divano e si allontanò di un passo, guardandolo mentre si rannicchiava come un bambino, ormai profondamente addormentato.
Era stata una sfacchinata portarlo fin lì, ma mai e poi mai lo avrebbe lasciato in quelle condizioni da solo, per di più sulla metro in un quartiere come quello. Tolse dalla cintura la pistola che aveva recuperato, guardandola come se fosse stato un oggetto misterioso: da quanto non ne impugnava più una? Quanto tempo era passato da quella scelta così difficile e radicale?
No, non era quello il momento di pensarci. Adesso c’era solo lui, aveva bisogno del suo aiuto, più che in qualsiasi altro momento. Ma cosa poteva fare? Aveva perso così tanto tempo da non sapere più cosa fosse successo nel frattempo, cosa avrebbe ancora potuto tenerli legati come una volta. Cercò in tasca il telefono, componendo un numero che non avrebbe mai pensato di chiamare ancora.
Quando stava per far partire la chiamata, si rese conto di non essere sicura di quello che stava facendo. A quali conseguenze avrebbe portato il suo gesto? Di certo a qualcuno non sarebbe andata molto bene… Rinunciò all’idea, rimettendosi il cellulare in tasca, e si sedette sul tavolino di fronte al divano, guardandolo con quell’aria vagamente distrutta e inconsapevole del mondo che riusciva a cogliere in quello sguardo chiuso.
 
-Che ci facciamo qui? È tutto deserto!- Jessica prese la donna per un braccio e la strattonò.
-Non è possibile… Non posso essermi sbagliata…- mormorò l’altra, continuando a voltare lo sguardo in qualsiasi direzione -Il mio istinto non mi ha mai tradito!-.
-Eppure è così!- disse la donna, tenendosi le mani tra i capelli e facendo su e giù per la banchina.
-E’ successo qualcos’altro, e non ce ne siamo accorte- s’illuminò Marjeka, guardando l’altra donna -E sono sicura che non sia qualcosa di grave-.
Rimase per un momento in silenzio, ascoltando il suo corpo aeriforme, cercando un segnale che confermasse le sua parole; cercò anche di collegarsi ai suoi pensieri, ma non riusciva a trovarli.
-Credo che stia dormendo- disse a un certo punto, come risvegliandosi da quella specie di trance -E non dovrebbe essere molto lontano da qui-.
Quelle parole agirono come un calmante su Jessica, che stava per scagliarsi di nuovo contro l’angelo che, da circa 6 mesi, si prendeva cura di lei.
-Sta bene?- disse, cercando di inghiottire un nodo che le si stava formando in gola.
-Credo proprio di sì… A parte un fastidioso mal di testa- rispose, sorridendo -Penso che qualcuno l’abbia aiutato. Non può essere uscito da qui da solo-.
Le due donne si alzarono di nuovo in volo, sbattendo lentamente le ali, per tornare alla luce del sole dopo quella piccola gita nella metro.
Marjeka volava lentamente, tenendosi piuttosto bassa, ascoltando con il corpo ogni singola percezione che potesse portarle nella giusta direzione; Jessica, dietro di lei, la seguiva, cercando di capire come fosse possibile che lei poteva avvertire certe sensazioni e lei solo altre.
-Ci siamo- disse la più anziana delle due, iniziando la discesa verso un palazzo -E’ qui-.
 
Flack si era risvegliato e, con l’aiuto della donna, era riuscito a raggiungere il bagno, dove non poté trattenere un conato di vomito; l’altra, invece, rimase appoggiata al muro, vicino alla porta socchiusa.
Poco dopo, Flack uscì dalla stanza, con un viso estremamente pallido e segnato dalla sbronza.
-Quanto avevi bevuto?- chiese la donna, guardandolo mentre si passava le mani sul volto -Puzzi tremendamente di alcool-.
-Non me lo ricordo più- disse lui con un gemito, ancora intontito.
-Avresti bisogno di una bella doccia e di vestiti puliti- disse lei, sparendo in un’altra stanza.
Poco dopo tornò con una camicia e un paio di pantaloni di una tuta, che gli lanciò.
-La doccia sai dov’è- disse, tornando verso l’ingresso.
-Jo- chiamò lui, tenendo in mano i vestiti che gli aveva appena lanciato.
La donna si fermò di colpo, e tutto il suo corpo si irrigidì -Che c’è?- chiese, girandosi a malapena.
-Perché lo stai facendo?-.
Lei si voltò di nuovo, per non far vedere quel mezzo sorriso che spuntava sulle sue labbra -Perché non dimentico-.
Detto questo, sparì di nuovo, mentre l’uomo alle sue spalle la guardava con espressione confusa; appena scomparve dalla sua vista, Flack si rinchiuse in bagno, con i vestiti che lei gli aveva dato.
La donna invece si rinchiuse in cucina, con la mani appoggiate al bancone e la fronte a contatto con lo scaffale davanti a lei. Sentire pronunciare il suo diminutivo da quell’uomo che non vedeva da anni le aveva provocato una sorta di shock. Credeva di aver dimenticato certe esperienze, invece eccole lì, pronte a saltare fuori quando meno se lo aspettava.
In quel momento provò una strana sensazione, come un formicolio sulla schiena: sembrava che ci fosse qualcun altro in quella casa, qualcuno che la stava scrutando.

 

 

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Capitolo 2
*** Due mondi diversi ***


Capitolo II - Due mondi diversi


-Posso chiederti una cosa?- chiese Jessica, salendo le scale del palazzo; senza attendere una risposta, continuò
-Perché tu riesci a percepire i suoi pensieri e io solo il dolore fisico?-.
-E’ una questione di esperienza- rispose l’altra, senza voltarsi.
-Cosa intendi dire?-.
-Vedi, anche io riesco a sentire il dolore fisico, ma con il passare dei secoli ho imparato ad assorbirlo e ho iniziato a leggere nel pensiero. Lo stesso vale per la percezione del luogo in cui si trova-.
-Quindi anche io diventerò così? Riuscirò a trattenere il dolore fisico e leggere nel pensiero?-.
Marjeka sospirò -Questi “poteri”, diciamo, cambiano da spirito a spirito. So solo che tu non potrai mai ad appiattire completamente il dolore, lo percepirai sempre. I vostri corpi si sono fusi più di una volta in una cosa sola, e ogni volta ognuno ha portato via un po’ dell’altro-.
-Quindi… Lui ha sentito il dolore della mia morte, giusto?-.
-No. Il dolore fisico lo possono provare solo gli spiriti legati a persone vive-.
Jessica rimase in silenzio, ingoiando quelle parole. Dunque lei poteva percepire solo il suo dolore fisico, non quello emotivo, mentre lui non poteva sentire niente di lei, se non una vaga presenza.
-E’ qui dentro- disse la più anziana delle due, fermandosi sul pianerottolo davanti a una porta; inspirò profondamente e attraversò il muro, subito seguita dall’altra donna; ora entrambe erano dentro l’appartamento.
Marjeka si fermò di colpo, vedendo attraverso la porta aperta sulla destra una donna con i capelli scuri, legati in una folta treccia, che le dava la schiena; il suo respiro accelerò, mentre guardava quel corpo che conosceva perfettamente.
-Marjeka, che ti prende?- la donna si riprese quando l’altra la prese per un braccio.
-Non è niente- disse, senza togliere lo sguardo dall’altra, che rimaneva immobile, in ascolto.
In quel momento un telefono suonò. La donna nella cucina si riprese e rispose; seguì una breve conversazione, poi riattaccò e lasciò un biglietto. Mentre stava uscendo, non si rese conto di attraversare il corpo aeriforme dell’angelo, lasciando in entrambe un senso di appartenenza e lontananza.
-Jess, seguila- disse Marjeka con un cenno del capo.
-Ma…- iniziò l’altra donna, ma lei la interruppe.
-Cosa ti ho detto prima?-.
-Devo fare quello che mi dici tu- disse lei, scuotendo la testa.
-Esatto. Quindi seguila e poi dimmi cosa scopri su di lei-.
-D’accordo- sbottò l’altra, sparendo attraverso il muro.
In quel momento sentì l’acqua della doccia scorrere. Non si era sbagliata, era veramente lì. Si trattenne dal raggiungerlo e aspettò lì nell’ingresso, senza far nulla, ascoltando il rumore dell’acqua.
Poco dopo lo vide uscire dal bagno, con indosso i vestiti che gli aveva dato l’altra donna; la ferita alla testa era ancora fresca e qualche goccia di sangue scivolava ancora giù. Si sedette sul divano, provando un improvviso spasmo doloroso su tutto il corpo; si prese il volto fra le mani, massaggiandosi le tempie. L’angelo si rese conto che avrebbe  avvertito la sua presenza, ma che non poteva vederla finché avesse mantenuto la sua forma invisibile, perciò decise di mostrarsi.
Poco dopo Flack alzò lo sguardo e lo puntò sulla donna che gli stava davanti, con i capelli raccolti in una treccia; notò anche quello che pareva essere un velo trasparente che partiva dalle spalle.
-Io ti conosco- mormorò, ancora piuttosto confuso -Io… Io ti ho già incontrato-.
 
Jessica seguiva la donna a breve distanza, volando quasi sopra il tettuccio dell’auto che si dirigeva verso il centro. Sbatteva le ali pigramente, scollegando il corpo dalla mente. Perché Marjeka le faceva sempre fare di tutto che fosse lontano da Flack? Non si rendeva conto che aveva bisogno di vederlo, di stargli accanto anche solo per un singolo, breve istante?
Sapeva che lo stava facendo per il suo bene, era solo per lei che agiva in quel modo. D’altro canto, non avrebbe mai potuto agire in un modo che non fosse nell’interesse di qualcun altro. Era la sua natura che le impediva di fare gesti avventati o che avessero delle ripercussioni negative.
Si riprese appena in tempo dai suoi pensieri, il giusto per vedere che la donna si era fermata davanti a un palazzo in pessime condizioni; pensava si stesse dirigendo verso il centro, invece si erano fermate in quartiere malfamato del Jersey.
Si affrettò a raggiungerla, continuando a rimanere invisibile dietro di lei, mentre saliva le scale di quel palazzo e si fermava davanti a una porta.
-Chris! Chris apri, maledizione!- urlò la donna, bussando con forza sulla porta.
Poco dopo si sentì il catenaccio scorrere e la porta si aprì, facendone uscire un uomo piuttosto attraente, con i capelli chiari e gli occhi scuri; fingeva di essere ubriaco.
Jessica guardò i due, non sapendo cosa pensare. Chi era quello? Cosa aveva a che fare con quella donna che si era presa l’incarico di salvare Flack?
-Johanna! Finalmente sei qui!- disse l’uomo, con un sorriso falso e fingendo vistosamente di barcollare.
-Che diavolo vuoi ancora da me? Perché mi hai chiamato?-
-Ho bisogno del tuo aiuto! Sto cadendo sempre più in basso!-
-Smettila di fingere, Chris. Si vede lontano un chilometro che sei perfettamente lucido e non hai nemmeno toccato una bottiglia.-
-No! Non puoi immaginare quanto ho bevuto negli ultimi giorni!- ribatté lui, cercando di mostrarsi convincente, ma la donna non cadeva in quel tranello.
-Fattene una ragione, è finita. Hai sprecato le possibilità che ti avevo dato, te le sei giocate tutte, una dopo l’altra. L’unica cosa che mi fa impazzire è che ho lasciato la mia vita per te.-
-Ma io ti amo, Jo!- l’uomo la prese per un braccio, ma lei immediatamente si ritirò.
-Non mi chiamare mai più così! Non ne hai più diritto!- detto questo, si voltò e corse giù per le scale, raggiungendo la sua auto.
Jessica era rimasta a guardare quel battibecco fra quei due in silenzio, cercando di dare un senso a quelle parole rabbiose. Si lanciò di sotto, seguendo quella donna che aveva scoperto chiamarsi Johanna.
 
-Sì… Ti ho già incontrato- disse Flack, fissando la donna davanti a sé.
-Almeno ti ricordi di me- fece lei con un sorriso bellissimo -L’alcool non ti ha ancora reso completamente pazzo.-
-Io non sono pazzo!- controbatté lui, contrariato.
-Continua di questo passo e ti ritroverai a vivere sotto al ponte di Brooklyn in compagnia di una bottiglia di whisky.-
-Non ho bisogno di una madre!- sbottò, passandosi le mani sul viso.
-Vieni qui- la donna gli si avvicinò e gli prese il volto fra le mani, tamponando con cura la ferita alla testa che aveva riniziato a sanguinare leggermente -E comunque, io ti stavo solo mettendo in guardia. Non vorrei venire a ripescarti da qualche posto malfamato.-
-Nessuno ti sta chiedendo di farlo.-
-Mi sono fatta una promessa, e intendo mantenerla. Non voglio commettere un errore da umano.-
-Aspetta aspetta… Un errore da umano?!- fece lui, confuso e stupito.
-Esatto, da umano. Dì la verità, tu non ricordi chi sono- la voce dell’angelo divenne più seria.
All’improvviso qualcosa tornò a galla in quella miscela di ricordi dolorosi e terribili degli ultimi tempi -Sì che mi ricordo! Tu sei quella che si è messa in mezzo quando mi hanno sparato! Quella mezza vivente…-
-Ehi, sono un angelo ora, ficcatelo bene in testa- protestò lei, mentre cercava di mantenere la calma e di non spiegare le ali davanti a lui.
-Grandioso, ho le allucinazioni!- sbottò, sempre più intontito -Sto parlando con qualcuno che non esiste! Con una morta 350 anni fa!-
-Non mi sembravi così scettico quando ti ho salvato!- disse Marjeka con tono duro.
-E io non ti ricordavo così vanitosa e saccente!- replicò lui sul suo stesso tono.
-Sono cambiate parecchie cose, sai? Ma tu on te ne sei accorto, eri troppo preso dal collo della bottiglia- la sua voce divenne dura e severa -Ti sei mai chiesto a cosa hanno portato le tue azioni?-
-A dire il vero no…- disse lui, abbassando la testa, sconsolato e in preda allo sconforto.
L’angelo riuscì a percepire le sue emozioni, quel senso di abbandono da tutto il mondo che lo pervadeva, una profonda disperazione che non aveva ancora abbattuto, quel muro di malinconia che non mostrava nessuna crepa o incrinatura, che sembrava voler rimanere in piedi per sempre. Si sedette di fianco a lui e gli alzò il volto, in modo da poterlo guardare negli occhi.
-Ehi- disse, con voce dolce e un gran sorriso -Non ti abbattere. Lo sai che io lo faccio solo per il tuo bene, no?-
Flack non rispose; si liberò dalla mano della donna e tornò a fissare il pavimento con sguardo vuoto.
Marjeka sospirò, pensando che a volte doveva andarci piano in certe situazioni, mostrando più tatto del solito, anche se non sempre era così facile -Don, sai che se sono così dura è per un motivo preciso. È la mia stessa natura che mi impedisce di agire in modo scorretto verso gli altri. Riesci a capire?-
Lui non la degnò di uno sguardo, men che meno di una risposta; l’angelo sospirò di nuovo, prima di posargli amichevolmente un braccio sulle spalle.
-So che in questo periodo ti sembra tutto difficile, che il mondo ti stia crollando addosso, ma devi farti forza, rialzarti sulle tue gambe e andare avanti a testa alta. Jessica non vorrebbe mai vederti ridotto così per causa sua.-
Pronunciare quel nome innescò una strana reazione in Flack: alzò la testa di scatto e si voltò a guardarla, con gli occhi fuori dalle orbite.
-Jess?- mormorò, stupito e sconvolto -Lei…-
-Lei è con me, sempre. Non è mai da sola.-
-Anche lei è…- lasciò la frase in sospeso, ancora intontito da quelle parole.
-Sì, anche lei è un angelo. Ti siamo sempre state vicine, ti abbiamo sempre protetto. Non sei mai stato solo.-
In quel momento la porta si aprì di scatto, con un movimento improvviso; in quel preciso istante, la stanza fu piena di strane sensazioni misteriose.
 
Johanna era tornata a casa, guidando come una pazza lungo le strade; come era potuta caderci un’altra volta? Come aveva fatto a ingannarla di nuovo? Doveva immaginarlo che sarebbe stata solo un’ennesima scusa per farla andare da lui… E lei, stupida, ci aveva creduto, a quelle stupide bugie che le aveva e continuava a raccontare.
Fermò l’auto sotto casa e corse su, spalancando la porta, incurante del fatto che Flack si trovasse ancora lì; quando mise piede nell’appartamento, vide la donna che era con lui, una perfetta estranea che non aveva mai visto, ma che in fondo le pareva di conoscere.
Dietro di lei apparve Jessica, per una volta finalmente visibile al mondo, che aveva cercato invano di fermarla e farla ragionare. Flack si alzò in piedi di botto, vedendo la donna che amava a meno di due metri da lui. Jessica gli si avvicinò, sperando di riuscire a sfiorarlo e provare una sensazione di calore sulla pelle; quasi si spaventò, sentendo sotto i polpastrelli il calore bruciante dell’uomo, che la strinse tra le sue braccia, in un cerchio di fuoco.
Marjeka si avvicinò a Johanna, fermandosi proprio di fronte a lei, guardandosi entrambe nel profondo degli occhi dell’altra: tutte e due avevano colto quel senso di appartenenza all’altra, a due mondi diversi, a due tempi diversi, ma allo stesso corpo terreno.

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