Illusione

di Florence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro - Su una tomba deserta ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - I vecchi tempi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Nuovi incontri ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Conoscenza ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Anomalie ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Attrazione ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - L'intervista ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Dubbi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Paura ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Chiarimenti ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Clark e Lily ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Identità ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Notti di Luna ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - L'ultimo bacio ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Trame ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Una canzone per te ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Cassandra e la Chimera ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Lacrime ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Vicini alla verità ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Domande ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Risposta ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Lacrime ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Quello che brucia dentro ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Bitter ***



Capitolo 1
*** Intro - Su una tomba deserta ***


-Vedrai un giorno riuscirai a trovare la persona giusta per te

-Vedrai un giorno riuscirai a trovare la persona giusta per te-

-Ho creduto che quella persona fosse Lana, ma non potevo essere sincero con lei, e poi ho creduto che fosse Alicia, perché era come me-

-Ma tesoro, non c’è… non c’è nessuno come te-

-Vuol dire che sarò sempre solo-

(Obsession, Smallville #314)

Illusione

Intro: Su una tomba deserta

Son of the Illusion Blog

Martedì 17/06/2003

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“Che rumore fa un cuore quando si spezza?

Quando anche l’aria, gonfiando il petto, provoca dolore.

Quando guardi le tue mani e vedi le mani di un vecchio che muore, levandole al cielo;

le mani di una madre che sa che il figlio non tornerà più;

le mani di un chirurgo che non ha saputo salvare una vita.

Che rumore fa un cuore che si ferma,

e dopo resta solo un ronzio assordante nella testa.

Che rumore fanno gli incubi la notte,

quando ti svegli e capisci che ha senso solo il buio tutto intorno.

E ti accorgi che l’incubo eri solo tu.

Che rumore fa il silenzio,

quando non c’è più la sua voce a riempire le stanze vicino a te,

quando ti guardi allo specchio e il tuo riflesso

urla

quel che sei.

Urla

la sofferenza

che deve contaminare la tua anima,

spegnere ogni colore,

finché rimarrà solo il vuoto.

E non ci sarà più rumore.

Solo allora riuscirò a sentire ancora il suono della tua voce.

Addio, mio primo amore.”

L’ultima neve cadeva silenziosa e lenta sulle lapidi del piccolo cimitero di Smallville disegnando sulla pietra grigia e sui marmi gelidi arabeschi di ghiaccio.
Una leggera brezza soffiava da nord e sollevava rade volute di fiocchi bianchi dalle tombe più esposte.
I raggi rossi del sole, filtrando da uno squarcio tra le dense nubi che iniziavano a cedere il passo ad un clima più mite, allungavano le ombre verso oriente, colorando di un pallido rosa la neve fresca.

Alicia non c’era più e Clark, seduto per terra davanti alla sua tomba spoglia e senza fiori, solo, con una rosa rossa in mano, aspettava in silenzio. Sperava che il freddo della notte penetrasse nelle sue ossa e gli facesse sentire, almeno per una volta, di essere come lei, come i suoi genitori, un po’ più umano.
Ma non sentiva freddo, se non nel suo cuore.

Negli ultimi giorni aveva a lungo ripensato, con dolore, al suo legame con Alicia.

In fondo era consapevole che quello che aveva provato per lei era un sentimento diverso dall’amore incondizionato che sapeva di provare ancora per Lana.

Mentre Lana era come il nord della sua bussola, il suo punto di riferimento e la donna che sapeva di amare, Alicia gli aveva donato un affetto a doppio senso: gli si era mostrata sincera in cambio della sua sincerità e gli aveva permesso, per la prima volta, di essere se stesso fino in fondo, senza la paura di non essere accettato.

“Normale e speciale”, aveva detto una volta a sua madre cercando di spiegarle come si sentiva quando era insieme a lei, orgoglioso della sua imperfezione umana e del suo essere diverso.

Normale e speciale.

Era quasi buio quando Clark si rese conto che accanto a lui, un po’ in disparte, c’era qualcuno.

Si voltò lentamente, pensando di vedere, ancora una volta, sua madre o suo padre che lo pregavano di rientrare a casa. Gli chiedevano rassegnazione. Ma forse era un sentimento troppo umano per lui, che non riusciva a smettere di soffrire. Pensava che accettando che Alicia non c’era più, avrebbe cancellato per sempre il suo ricordo.

Per un attimo rimase interdetto, non aspettandosi di trovare accanto a sé, dopo tanto tempo, il suo migliore amico: Pete Ross gli sorrideva, in piedi accanto a lui.

Gli si avvicinò salutandolo con una leggera pacca sulla sua spalla.

Non disse una parola.

Clark lasciò la rosa davanti alla lapide e sfiorò un’ultima volta la pietra fredda. Poi si sforzò di sorridere a Pete e lo seguì verso la sua automobile.

-E’ stata Chloe a chiamarti?-, chiese Clark solo dopo qualche minuto, con voce stanca.

Pete ammiccò abbozzando una risatina, come un bambino trovato con le mani nella marmellata.

-In realtà avevo già deciso di tornare, Chloe mi ha solo dato un buon motivo per farlo adesso. Sai… mi sono reso conto di aver fatto una sciocchezza ad andarmene: non hai idea di cosa significhi ricominciare da zero in una scuola nuova, con professori nuovi, ma soprattutto senza neanche un amico-

Clark annuì. Ricordava bene il motivo per cui Pete se n’era andato, e non era perché sua madre era stata trasferita a Wichita. Il suo repentino ritorno era una sorpresa.

-Pete, mi dispiace…-, non sapeva cos’altro dire. Ma cosa avrebbe potuto fare, in passato, perché le sue scelte non avessero comportato inevitabili problemi all’amico?

-Cosa ti dispiace, Clark? Non sentirti così importante da essere la sola causa del mio abbandono di Smallville!-, sdrammatizzò Pete, -Se è successo è solo per colpa mia, lo sai. Ma comunque… Ovviamente Chloe mi ha detto… Tu come stai?-

Clark lo guardò con espressione sconsolata, alzando appena le spalle.

-La… amavi?-

-Io…-, Clark fece una pausa, espirò e si fissò le mani. – Io credo di sì, anche se forse non sono mai riuscito ad ametterlo davvero. In fondo lei mi conosceva molto più di quanto non sapessi e riusciva a capire come mi sentivo. Mi faceva star bene -

Alzò lo sguardo sulla strada avanti a loro. – Non mi perdonerò mai di non aver avuto fiducia in lei…-

Pete non seppe cosa rispondere. Sterzò per entrare nella fattoria dei Kent, percorse gli ultimi metri e fermò l’auto.

-Entra in casa, i miei saranno felici di rivederti-, disse Clark scendendo dall’auto.

-Sono stato qui prima: mi hanno detto loro che ti avrei trovato al… insomma, lì… Ora è meglio che vada a salutare anche mio padre: ancora non sa che sono tornato!-

-Grazie Pete-, disse Clark salutandolo.

-Passo a prenderti domani per andare a scuola… e non provarti a rimanere a letto che vengo a tirarti fuori da sotto le coperte!-

Clark sorrise, mentre l’auto di Pete faceva manovra per uscire dal piazzale davanti alla sua casa, e si rese conto che era la prima volta, dopo tanti giorni, che riusciva a farlo.

Entrò in casa, scrollandosi di dosso la neve che aveva sulla giacca e sui capelli e andò in salotto per salutare i suoi, seduti davanti al camino ad aspettarlo.

-Ho visto Pete… è stato bello ritrovarlo-, salutò con un gesto della mano e si voltò.

-Ah… Pete ha detto che domani passa a prendermi per andare a scuola e quindi… niente… vado a letto. Buonanotte-, si girò sorridendo ai suoi e li vide rilassarsi, finalmente, dopo le ultime preoccupazioni.

Salì in camera, si spogliò velocemente e si infilò sotto le coperte.

Quella notte sarebbe riuscito finalmente a dormire.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - I vecchi tempi ***


1-

Illusione-1

1- I vecchi tempi

Son of the Illusion Blog

Venerdì 10/02/2004

1 commento

“Non voglio lasciare la mia casa.

Non voglio ancora una volta dover ricominciare da zero.

Quello da cui scappiamo ci seguirà sempre e si chiama paura.

E’ inutile illudersi di essere al sicuro in un’altra casa: lei mi scoverà,

perché vive in me e di me. Perché sono io la mia paura.

Sono le cose che non posso controllare e che mi fanno sentire un mostro in fuga.

Ancora una volta la mia vita è in frantumi.

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1 COMMENTS:

Mickey says:

Tutta la vita è un viaggio… traslocare non deve essere un grosso problema, il problema è trovare un altro posto dove ti possa sentire davvero a casa

Posted at: 00:15 13/02/2004

-Spiegami un po’, Pete: hai detto che sei tornato per finire il liceo a Smallville?-, quella mattina Clark era abbastanza di buonumore.

Si era svegliato prima che la sveglia squillasse ed era rimasto al caldo, sotto le coperte, osservando sul soffitto della sua camera le piccole stelle fosforescenti che andavano sparendo via via che la luce iniziava a filtrare dalle tende.

Il dolore per la perdita di Alicia non si era placato, ma quello che i suoi gli avevano detto era vero: il tempo stava iniziando a rimarginare le sue ferite, lentamente, senza che potesse realmente rendersene conto.

Si sentiva meglio, in fondo, anche se una qualche sensazione di disagio, come una flebile paura latente o forse un pensiero troppo brutto, non riusciva ad abbandonarlo del tutto: quello che sarebbe rimasto come un tarlo a rodere la sua vita era l’aver preso coscienza del fatto che, mentre lui era invulnerabile praticamente a tutto, le persone che amava, prima o poi, erano destinate a lasciarlo solo.

Una volta Jordan, il ragazzo che poteva vedere di che morte le persone sarebbero perite, aveva predetto per lui una vita immortale.

Ma Clark non poteva sopportare di poter rimanere da solo, aveva cercato volutamente di rimuovere quel pensiero, ma i vari incidenti da cui Lana, Chloe o sua madre si erano salvate, grazie al suo aiuto, e l’infarto del padre gli avevano riportato alla mente quella predizione dolorosa.

E lui non riusciva a farsene una ragione: la morte di Alicia lo aveva toccato così tanto anche per quello, perché sapeva che se ci fosse stato lui, al suo posto, ora sarebbero stati ancora insieme, come se nulla gli fosse accaduto.

Aveva provato un brivido realizzando quel concetto: “ancora insieme”.

Non aveva avuto il tempo neanche per prefigurarsi una vita accanto a lei. Il loro rapporto era stato fatto solo di attimi e di momenti vissuti di getto, istintivamente. Non si era mai fermato ad immaginare Alicia come la sua ragazza, non aveva mai pensato a quanto desiderasse starle vicino, carezzarle i capelli, perdersi nei suoi occhi.

In fondo non aveva mai neanche riflettuto se avesse davvero voluto stare con lei.

Era successo e basta, senza troppi sogni, troppe aspettative, troppe delusioni o occasioni perse.

Era successo e, drogato o no, -doveva essere sincero-, era stato stupefacente.

Sì, se Alicia non fosse morta, ora lui avrebbe dovuto rispondere alla domanda più importante: sarebbe rimasto con lei, o avrebbe continuato a sognare una vita accanto a Lana?

Era come aprire il vaso di Pandora e non riuscire a districarsi tra i mille dubbi che ne sarebbero scaturiti.

Ma la realtà, purtroppo, era diversa, e tutti i suoi poteri non erano stati in grado di salvarla. Tutti i suoi maledettissimi poteri che lo avevano sempre fatto sentire diverso, utile nel risolvere i problemi, ma tristemente diverso e lontano. Solo Alicia lo aveva capito alla perfezione.

Si era alzato piano e aveva aperto il cassetto della sua scrivania, estraendo una busta di carta gialla, che conservava sigillata ormai da giorni.

“Per Clark”, c’era scritto a stampatello con una grafia squisitamente femminile: gliela aveva consegnata due giorni dopo il funerale di Alicia la signora Baker, sua madre, dicendo che l’aveva trovata tra le cose della figlia, e che aveva voluto darla a lui senza aprirla.

Clark aveva preso un grosso respiro, rigirando tra le mani la carta ruvida che sapeva aveva toccato anche Alicia, si era fermato un istante a pensare e poi l’aveva aperta, seduto sul suo letto.

Dentro c’erano una lettera, chiusa in un’altra busta più piccola, di carta rosa, sempre indirizzata a lui, un floppy disk e alcuni fogli stampati e piegati a metà.

Il foglio sottile e liscio della lettera, se faceva attenzione, conservava ancora il suo odore: una nota sottilmente fiorita mista all’odore della carta e dell’inchiostro del pennarellino nero, con cui aveva scritto.

“Mio caro Clark,

è quasi un anno, ormai, che sono chiusa in questa clinica nella quale mi sento, ora più che mai, davvero in trappola. Non credo che potrò uscire da qui molto presto, anzi, è probabile che io rimanga qua finché tutti gli studi su di me, sul mio corpo e la mia psiche, non saranno completati; ma i risultati che questi “cervelloni” credevano di ottenere in breve tempo, purtroppo, sono ancora lontani.

E’ quasi un anno, quindi, che non ti vedo, nonostante ogni giorno che passi io non possa fare a meno di pensare a te. So di aver sbagliato a comportarmi come mi sono comportata, e so di aver perso forse l’unica cosa bella che questa mia vita disastrata mi aveva concesso: tu, la tua solare presenza, la tua amicizia.

Avrei dovuto capire che dovevo accontentarmi di quella, e invece ho preteso che tu fossi per me amico, salvatore e amante, perché, te lo giuro, non ho mai trovato una persona che fosse anche solo lontanamente come te.

Ora qua in clinica mi hanno privato della mia capacità di teletrasportarmi… credo che sia stato in buona parte perché temevano che potessi tornare da te, ad importunarti, a fare altre pazzie: non possono sapere, loro, che la vergogna che provo nei tuoi confronti, verso Lana… verso tutti è così forte che non credo che potrei tornare da te, con la mia faccia, e guardarti ancora negli occhi, sapendo il dolore che ti ho causato.

Io pensavo che fosse stato il destino a farci incontrare, noi, due persone così simili, con i nostri poteri così diversi, ma con lo stesso peso sul cuore, la stessa paura di non essere accettati per quello che siamo dalle persone che ci circondano, che amiamo.

Avevi ragione, Clark: è davvero difficile accettare che gli altri ti guardino come un mostro, che non possano fidarsi di te, perché ai loro occhi sei diverso. Che questa diversità sia usata per fare del bene, come fai tu nell’ombra, o per uccidere, come ho tentato di fare io con la ragazza che ami, è indifferente agli occhi degli altri: siamo diversi e tali rimarremo.

In questo mesi ho cercato su riviste e da internet (quello almeno me lo lasciano usare, anche se mi hanno bloccato le mail e ogni modo di comunicare con l’esterno) testimonianze di altre persone “diverse”, come noi: ce ne sono tante, Clark, alcune che soffrono, altre che hanno saputo fare della loro diversità una forza.

Credo che dovremmo prendere esempio da loro e cercare di accettarci noi per primi per quello che siamo, perché non abbiamo scelto di essere diversi, e non è giusto che gli altri ci discrimino per questo.

Ci sono tante persone che soffrono nel loro intimo e non si accettano, altre che, come facevo io, si isolano dal resto del mondo. Altre ancora che sfruttano i loro poteri per fare soldi, e questi sono i più deprecabili. Poi ci sono quelli che hanno capito che per essere accettati dovevano mostrarsi al mondo e far capire che sono loro, per primi, le vittime, ma che vogliono mettere le loro capacità al servizio degli altri, oppure vogliono che tutti le conoscano per essere aiutati.

Io ora vorrei essere aiutata: quello che mi fanno i medici, qua, è solo terrorismo psicologico e fisico. Non ne posso più di rimanere qua dentro, loro non si fidano di me: io sono davvero guarita, ormai, e non potrei più rifare quelle cose orrende che ho fatto a te, o a mio padre, o a Lana, perché ho capito che a far soffrire chi si ama, si soffre ancora di più noi stessi…

Chissà se questa mia lettera ti arriverà mai, Clark… se riuscirai a leggerla, ti prego, leggi le testimonianze che ti ho preparato e guarda con i tuoi occhi quanto può essere diversa la nostra vita solo prendendo la scelta giusta.

Probabilmente invecchierò, qua dentro, e non rivedrò mai più i tuoi occhi limpidi... ma ti prego, promettimi che rimarrai sempre così, leale e onesto come sei ora e che non lascerai che i tuoi poteri ottenebrino quello che di lucente c’è dentro al tuo cuore.

Ti voglio bene.

Alicia”

Clark aveva stretto la lettera in una mano, trattenendo in silenzio le lacrime che prepotenti volevano uscire dai suoi occhi, insieme al rimpianto per averla persa senza dirle quello che provava davvero per lei: se solo avesse saputo come aveva passato quei mesi lontana da casa, se solo avesse chiesto di lei, avesse provato ad impedire che il suo nome fosse sporcato irrimediabilmente da quel terribile errore che aveva commesso. Se solo avesse capito subito quanto disperato fosse il grido d’aiuto di Alicia Baker, la ragazza che tutti evitavano, la snob che preferiva starsene da sola, la dolcissima Alicia che aveva lasciato alla porta della sua casa, la sera che erano andati al cinema insieme e che voleva solo essere compresa e aiutata.

Aveva messo via la lettera con cura asciugandosi col dorso della mano una lacrima che era scivolata lungo la sua guancia e aveva dato un’occhiata alle stampe che erano nella busta.

C’erano foto e articoli di giornale su “freaks” non di Smallville, vite devastate dall’azione dei media e degli “specialisti”, testimonianze di anonimi “diversi”.

Clark era rimasto colpito da un pezzo, forse tratto da un blog, scritto in prima persona, amaramente decadente e disilluso, la summa del suo stato d’animo in quel periodo in solo cinque parole: “Sono io la mia paura”.

Era proprio così: la paura di non sapere quali fossero i suoi limiti, questo era quello che terrorizzava Clark.

Ma Pete era tornato e questo piccolo gesto l’aveva tranquillizzato un po’, distogliendolo da questi tristi pensieri. Con lui poteva essere se stesso e non preoccuparsi di mostrare la sua forza, né le sue debolezze o le sue paure.

Aveva ripiegato con cura i fogli e messo il floppy nella borsa della scuola, per consultare il suo contenuto dai pc del Torch.

Si era preparato in fretta facendo una doccia veloce, poi lo aveva raggiunto fuori di casa.

-Certo che sono tornato per finire il Liceo! E per cos’altro? Per farmi un giretto sulla tua astronave?-

Da quando Pete conosceva il suo segreto, non aveva avuto problemi a parlargli schietto, e questo faceva bene ad entrambi, nutrendo la loro complicità di vecchi amici.

-Sono sicuro che è più veloce di questa vecchia carretta!-, rispose Clark, salendo sulla vecchissima Ford blu cobalto che Pete aveva ripreso a Smallville. Dopo il fallimento della “Ross Creamed Corn Factory”, e il divorzio, suo padre non poteva più permettersi la vita lussuosa e alla moda nella quale Pete era cresciuto.

-Sarà lenta, ma almeno è più comoda del bus della scuola, e poi possiamo parlare un po’ in santa pace, no?-

Clark apprezzò le parole di Pete e dopo qualche minuto si decise a porgli la domanda che gli frullava in testa dalla sera prima.

-Come mai hai deciso di tornare, Pete? Non lo fai per me, spero, perché io sono capace di…-

-Lo faccio per me, Clark. Sono praticamente scappato da Smallville perché avevo paura di non essere in grado di proteggere il tuo segreto e avevo una fifa matta di quello che avrebbero potuto farmi per conoscerlo. Poi, in questi mesi accanto a mia madre, ho finalmente capito quale sia il vero coraggio-, sorrise pensando alla madre e riprese.

-Sai… il mese scorso qualcuno ha iniziato a farle telefonate anonime e a minacciarla se non avesse favorito l’imputato ad un processo. Parlo di roba grossa, Clark -, Clark annuì, aggrottando le sopracciglia preoccupato da ciò che Pete stava raccontandogli.

-Le avevano assegnato una pattuglia di scorta che l’avrebbe seguita e protetta ventiquattro ore su ventiquattro, ma la mamma ha preferito rinunciare perché sapeva che io avrei vissuto come un animale in gabbia. Capisci Clark? Ha deciso di rischiare la sua vita per non interferire nella mia e allo stesso tempo è stata imparziale e inflessibile al processo, senza cedere ai ricattatori. Lei è una donna normale, Clark, non ha i tuoi poteri, eppure è stata coraggiosa… -, gli occhi di Pete luccicavano d’orgoglio e affetto.

-Se me ne vado, ho pensato, magari lei accetterà la scorta. Per questo sono tornato a Smallville. Non potevo mettere in pericolo la vita di mia madre. Lei è stata così grande…-

-E tu sei stato grande con il mio segreto. Sai Pete, ti trovo davvero cresciuto. La tua permanenza a Wichita ti ha fatto maturare-, disse Clark sorridendogli.

Pete fermò l’auto nel parcheggio della scuola e i due si avviarono verso l’ingresso. Un gruppo di studentesse dei primo anni li sorpassò in un turbine di capelli al vento e profumi.

-Ragazze di Smallville, tremate! Pete il Conquistatore è tornato!!!-, esclamò Pete, entrando glorioso dopo mesi nel suo Liceo.

“Come non detto!”, pensò Clark sorridendo e ripensando ai vecchi tempi.

Il preside aspettava Pete per un breve colloquio e per sbrigare alcune formalità per la sua riammissione (accelerata dalla richiesta del Giudice Sarah Ross) e così Clark, rimasto solo, si diresse al suo armadietto per riporre giacca e zaino.

In fondo al corridoio c’era Lana: non si erano più sentiti da prima dell’aggressione a Jason, nel vicolo dietro al Talon. Entrambi si erano schierati contro Alicia, ritenendo Clark uno stupido a credere che lei fosse davvero cambiata e ancor più stupido ad essere fuggito con lei a Las Vegas, per le loro nozze lampo, dopo aver tentato di ammazzarla solo un anno prima e averci riprovato cercando di soffocarla nella vasca.

Lana lo scorse da lontano, rimase per un po’ indecisa, poi si voltò e entrò in classe.

Clark sospirò abbassando il capo e prese i libri.

-Ehi, campione! Hai visto chi è tornato tra noi?-, Chloe sapeva apparire sempre quando Clark meno se lo aspettava e puntualmente nei momenti in cui avrebbe voluto stare da solo.

Le sorrise tristemente annuendo e chiuse a chiave l’armadietto.

-Clark, mi trovi al Torch… per ogni cosa, sono lì. Se ti va di parlare un po’… insomma, sappi che io ci sono-, gli sorrise e sparì, così come era arrivata, stracarica di libri, borse e riviste, con un bicchiere di caffè bollente in mano.

Nelle ultime settimane Clark si era rassegnato al nuovo amore di Lana per Jason, aveva ritrovato in Alicia un’amica, era stato drogato, era scappato con lei a Las Vegas, si era sposato, aveva piantato “sua moglie” dopo meno di un’ora, l’aveva vista sacrificarsi per mantenere il suo segreto e solo allora aveva capito quanto lo amava, aveva letto nei suoi occhi la sofferenza per l’emarginazione e sapeva di non esserle stato vicino. L’aveva trovata morta appesa ad una corda e l’aveva pianta con tutte le lacrime che aveva. Aveva provato un odio incontenibile per il suo assassino e solo grazie ad un’amica si era trattenuto dall’ucciderlo.

Si era fatto schifo.

Aveva rifiutato l’affetto dei suoi genitori, degli amici e si era punito per non avere saputo salvare Alicia.

Ma nessuno dei suoi cari lo aveva abbandonato.

Ora era tempo di andare avanti.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Nuovi incontri ***


Capitolo 2 - Nuovi Incontri

Era passato quasi un mese dal ritorno di Pete e Clark si sentiva molto, molto meglio.

Era tornato due volte sulla tomba di Alicia, sempre con una rosa rossa per lei.

Le aveva confidato tutto quello che teneva dentro: le aveva parlato dell’amore che forse sarebbe davvero potuto crescere potente nel suo cuore, ma che era stato bloccato dagli eventi, dell’affetto che aveva provato per lei, del calore che il suo abbraccio sapeva infondergli, dell’allegria che scorgeva nei suoi occhi tristi.

Le aveva confidato della passione che aveva acceso in lui anche senza la kryptonite rossa.

Sapeva che Alicia lo avrebbe sentito.

Di ritorno dal cimitero si era sentito meglio e ormai poteva ammettere che le cose erano tornate alla normalità e che non era più il dolore a sopraffarlo, ma la voglia di vivere che sempre lo aveva contraddistinto.

I files che Alicia gli aveva lasciato erano serviti a comprendere quanto forte potesse essere nelle persone come loro la paura di mostrarsi agli altri, ma come fosse ancora più potente il rischio di rimanere soli, chiusi nei propri segreti, vivendo guardinghi e timorosi di essere scoperti e di non riuscire a controllarli, portando a conseguenze tragiche.

Aveva effettuato diverse ricerche sul web fino a trovare alcune delle fonti da cui erano tratti i pezzi raccolti sul floppy di Alicia: tra tutti, quello che più lo aveva toccato, era un blog, scritto da una persona che voleva restare anonima, chiaramente una ragazza, che riusciva a descrivere con un realismo a tratti crudele, a tratti con metafore e sensazioni più intime, tutta la tempesta che le si agitava dentro per il suo essere diversa.

C’erano post, sul suo blog, che rispecchiavano in pieno la sensazione di equilibrio precario in cui Clark sentiva limitata la sua vita, confuso tra quello che avrebbe dovuto fare seguendo la sua coscienza, i consigli dei suoi genitori, le imposizioni del suo padre biologico. La verità su se stesso lo metteva in una condizione privilegiata, rispetto a quella ragazza senza volto che non sapeva dove andare, ma lo vincolava a dover percorrere, prima o poi, una strada che non aveva scelto lui.

I loro pensieri, a volte, parevano confondersi.

Son of the Illusion Blog

Sabato 04/06/2002

2 commenti

“Non ho scelto io di essere così,

di aver paura di uscire dalla mia stanza per non fare del male agli altri.

Non ho voluto che il mio corpo agisse senza il mio controllo,

mostrando lati di me che mi terrorizzano.

Ho deciso che cercherò di dimenticare quello che è successo,

che tenterò di fermare questa forza sconosciuta che mi rende diversa.

Non voglio che i miei amici mi guardino con sguardi di terrore,

che la mia mamma abbia paura ad abbracciarmi.

Vorrei essere normale.

Cercherò di nascondermi, di dimenticare e fingere.

Per sempre.

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2 COMMENTS:

TeddyBear says:

… e cosa sei?? Un Balrog sputa fiamme?? LOL :-D

Posted at 1:28AM 04/07/2002

The Daffodil says:

Gli altri non ci capirebbero, hai ragione. Penserebbero che siamo solo dei mostri, quando invece sono solo gelosi di qualcosa che loro non potranno mai essere. Non aver paura di quello che sei. Non considerare gli altri superiori a te. Non farlo mai…

Posted at 2:26PM 02/01/2003

Leggeva le sue pagine cariche di malinconia di nascosto, dal computer in camera sua, la notte, o dai computer del Torch, quando Chloe non c’era. Era come condividere i propri segreti con qualcuno che lo poteva capire totalmente, senza giudicarlo; era rassicurante e deprimente, allo stesso tempo, come parlare con uno psicologo affetto dagli stessi problemi. Era come parlare ad Alicia.

Per il resto, la sua vita iniziava a scorrere come era sempre stata, circondato come mai prima di allora dall’affetto dei suoi genitori e dall’amicizia complice di Pete.

Aveva avuto anche modo di riallacciare i rapporti con Lana, ed era stato felice nel capire che i suoi silenzi erano dovuti alla vergogna che lei provava per non aver saputo capire la nuova ragazza di Clark, forse colpita da una punta di invidia e non al rancore verso di lui.

Si era scusata con lui per le ultime parole che aveva detto a proposito di Alicia e aveva cercato di essergli vicina nel dolore per il lutto.

-Io credo di essere stata gelosa di lei, da sempre… perché…-, aveva abbassato lo sguardo arrossendo e sorridendo, scuotendo la testa, senza terminare.

-Va tutto bene-, le aveva semplicemente detto lui, e il suo sorriso era stato il premio più gradito dopo la loro incomprensione.

Lana stava con Jason, Clark lo aveva ormai accettato, e il loro rapporto, ormai, faceva parte della quotidianità.

Anche Jason stesso aveva porto le sue condoglianze a Clark e aveva acceso un immaginario kalumet della pace, tra loro due. Clark era il passato di Lana, Jason in suo presente, e questo era stato messo in chiaro tacitamente.

In definitiva, tutto era lentamente tornato alla normalità.

Tutto tranne Chloe.

Il suo atteggiamento era vagamente cambiato, le frasi che prima spesso avevano un sapore sarcastico ora sembravano ponderate, i suoi sguardi allegri o perplessi ora parevano complici. Si guardava spesso intorno, quando stava con Clark, e aveva iniziato - cosa più rilevante di tutte - a staccare i ritagli di giornale dalla sua parete delle stramberie.

-Forse sono più stramba io a collezionare tutta questa spazzatura, che non loro-, seppe dire in sua unica giustificazione quando Clark la sorprese a chiudere il tutto in una scatola.

-Penso che tappezzerò la parete con foto di Keanu Reeves, o metterò delle mensole per i miei libri… sì, forse è più utile-, rispose a Pete quando allagò di cappuccino il pavimento del Torch trasalendo per il muro spoglio.

-Chloe è così, Clark… o la odi o la ami. Non puoi pretendere di stare dietro a tutto quello che le passa per la testa, perché diventeresti pazzo prima di riuscire a comprendere qualcosa!-, con queste parole Pete e Clark archiviarono il nuovo comportamento di Chloe: gli esami di fine trimestre erano alle porte e dovevano concentrarsi solo sullo studio.

Clark, Pete e Chloe trascorsero una serie, che a loro parve infinita, di serate rintanati nel fienile dei Kent armati di libri, fogli, penne, coperte e tazze di caffè bollenti gentilmente servite da Martha Kent. Avevano organizzato i loro studi in modo che ciascuno preparasse una parte nel pomeriggio e la sera la ripetesse agli altri. Così facendo avrebbero potuto accelerare la preparazione di alcune materie tra le più ostiche. Clark preparava Matematica, Fisica e Storia, Chloe Inglese, Diritto e Chimica, Pete il più delle volte si dimenticava di preparare la sua parte e così le serate scivolavano nella notte e la stanchezza colpiva i ragazzi nonostante la caffeina assunta in gran quantità.

-Forse dovresti parlare a Chloe, Clark. Lei ti è sempre stata vicina e ti vuole bene. Sono sicuro che saprebbe capire e non si sentirebbe più isolata dai tuoi segreti-, le parole di Pete, sussurrate rientrando nel fienile dopo essere stati in casa a fare rifornimento di caffè e torta fatta in casa, mentre Chloe si era addormentata con la penna in mano, colpirono molto Clark.

Aveva sempre pensato che mai più nessuno al mondo oltre i suoi e Pete avrebbe saputo quale fosse la sua vera identità, tantomeno qualcuno così vicino a Lana. Ma in fondo Pete non aveva tutti i torti e, sebbene non avrebbe mai parlato apertamente a Chloe, si sentiva in colpa nell’escluderla da una parte così importante della sua vita. Specie ora che Lana ne stava lentamente uscendo e, con lei, una buona parte dei suoi complessi.

-Non adesso, Pete, per favore… non voglio ancora che Chloe lo sappia-

Dall’alto la testa bionda e arruffata di Chloe fece capolino da sotto la coperta in cui gli amici l’avevano avvolta – il trucco leggero ormai sparito dal suo volto, gli occhi semichiusi per il sonno, la penna sempre lì, stretta nella sua mano.

Si era appena svegliata, ma nonostante la stanchezza, era come suo solito pronta a captare qualsiasi frase strana.

-Cosa non devo sapere, Clark?-, si alzò in piedi lasciando scivolare la coperta per terra e si passò una mano sulla faccia e tra i capelli.

Clark e Pete la guardarono in silenzio non sapendo cosa dire.

-D’accordo, lo so: “Niente, Chloe, cosa stai dicendo! Dai, prendi un altro po’ di caffè”-, li guardò rassegnata e complice allo stesso tempo, -Forza, venite su e datemi questo caffè, che non ne posso più!-

Non era normale una risposta del genere da Chloe, senza che insistesse per sapere quello che stavano dicendo tra loro, ma i due ragazzi lo considerarono come un regalo da parte sua e si rimisero a bere caffè e studiare, mentre le stelle si rincorrevano nel cielo.

I risultati del trimestre lasciarono, come di solito accadeva, Chloe e Lana soddisfatte, mentre a Clark e Pete era andata un po’ peggio, specie al secondo che, nonostante l’innegabile impegno, aveva collezionato ben quattro insufficienze su sette, contro le tre di Clark.

La convocazione del Preside non si fece attendere molto e già il giorno dopo la consegna dei pagellini, Pete e Clark furono richiamati all’ordine: era l’ultimo anno e se non si fossero impegnati al massimo non avrebbero ottenuto i crediti necessari per poter sperare di accedere al college.

-Vi la possibilità di guadagnare 5 crediti ciascuno facendo da tutor per questi nuovi ragazzi che sono arrivati a Smallville per l’ultimo trimestre. Dovrete aiutarli ad ambientarsi nella scuola e cercare di far sì che si mettano in pari con i nostri programmi. Tra venti giorni avranno anche loro, con voi, la prima serie di test e voglio che sappiano esattamente cosa devono studiare e che siano preparati. Al termine di questi test saranno loro stessi a darvi una valutazione che vi permetterà di guadagnare i crediti che avete perso stando tutto il tempo a bighellonare invece di studiare! I loro nomi sono Robert Greedy, di Metropolis e Lilyanne Leibniz, di Gotham City. Greedy frequenta il quarto anno ed era il quarterback della squadra di Football della sua scuola. Visto che sei rientrato nella squadra, Ross, ho pensato di assegnarlo a te: dovrai fare in modo che si senta subito ben integrato.

-Come vuole, Signor Reynolds… anche se preferirei la ragazza…-

-La ragazza sarà compito di Kent: era la direttrice del giornale scolastico e, dagli articoli che ho letto, devo dire che è una che sa il fatto suo. La Leibniz è del terzo anno, Kent, e visto che tra poco tu e Chloe Sullivan prenderete il diploma, ho pensato che fosse interessante procedere con l’ingresso di una nuova giornalista che potrà poi proseguire nel vostro lavoro-

Clark lo guardò perplesso: se l’argomento di discussione era il Torch, Chloe poteva diventare più territoriale di una leonessa…

-Kent, voglio che tu legga queste cose della Leibniz, così puoi farti un’idea di come lavora. Ci sono articoli, considerazioni, un po’ di tutto. Ah… poi vorrei un tuo parere sull’affidarle o meno una rubrica tutta sua. Sul Gothigh News ne aveva una, dovrebbe esserci qualcosa tra quei fogli che ti ho dato-

Sempre più scettico e preoccupato, Clark rigirò tra le mani il fascicolo, non sapendo cosa rispondere alle parole del preside.

-Spero che almeno con lei tu possa essere un po’ più loquace, Kent… Ad ogni modo, voglio che conosciate i vostri nuovi compagni domattina qua nel mio studio: Ross, tu verrai alle dieci per accompagnare Greedy in un giro delle strutture della scuola e tu, Kent, passa alle dieci e mezzo. Ah, Kent… non dire nulla a Chloe Sullivan, ci penso io ad informarla delle novità, anche perché voglio che il Torch cambi radicalmente impostazione, visti gli ultimi fatti legati alla fobia da “mostri da meteorite”-

I due ragazzi, confermarono la loro presenza e uscirono, salutando, dall’ufficio del preside.

-Chloe sarà furibonda!-, disse Clark non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle.

-Puoi scommetterci! E intanto il nostro marpione si è guadagnato un appuntamento con una nuova pollastrella! Tutte a te le fortune, Clark!-

Clark guardò Pete alzando un sopracciglio e piegando la testa su una spalla: non aveva alcuna intenzione di trasformare quella punizione in un’occasione di abbordaggio.

-Guarda un po’ se c’è una sua foto, su quegli articoli?-, disse Pete sfilandogli di mano il fascicolo di foglio che gli aveva dato Reynolds.

-Guarda qui: articolo del 24 marzo 2002 del giornalino scolastico del… Beacon High News… New York? Che c’entra New York? Comunque, c’è una piccola foto…wow, sembra carina!-

-Pete, non fare lo stupido, dai!-, disse Clark, prendendo il foglio dalle mani di Pete, -Non importa com’è fatta, quello che importa è che presto diventerà la peggiore nemica di Chloe!-

-Aspetta, aspetta… foto dal Gothigh News dello scorso anno… Ehm… Clark, lascia perdere, è meglio… Sembra la versione arruffata di Andrea Zuckerman[1], altro che la micetta[2] che mi aspettavo da Gotham!-, arricciò il naso e restituì a Clark tutti i fogli, in ordine sparso, sommergendolo.

Suonò la campana della fine delle lezioni pomeridiane e Pete scappò via, salutando Clark e facendogli gli auguri per il suo increscioso compito del giorno seguente.

Prima di andare a casa, Clark passò da Chloe.

La trovò intenta ad impaginare l’ultima edizione del Torch. Chloe non si mostrò sorpresa dalla punizione affidata ai suoi amici e lo caricò di lavoro arretrato. Clark non se la sentì di dire nulla a Chloe della nuova giornalista incaricata da Reynolds e la salutò sistemando le bozze degli articoli con il fascicolo sulla nuova ragazza, nello zaino.

Alle dieci del giorno dopo Pete bussò alla porta del preside per prendere in consegna Robert Greedy. Era un ragazzo della Metropolis “bene”, alto, biondo e, da una prima analisi, poco propenso ad avere un mentore che lo guidasse per i successivi venti giorni.

Quando lasciarono lo studio di Reynolds, Robert fu piuttosto chiaro: non gli sarebbe costato nulla dare a Pete un giudizio positivo, ma voleva essere libero fin da subito, cosa che fu molto gradita dal suo mentore svogliato. -Questo ragazzo è proprio il massimo!-, disse Pete presentando a Clark Robert Greedy, davanti alla porta del preside.

-Il vecchio ti sta aspettando…-, disse il nuovo studente, storcendo la bocca in un sorriso sarcastico, poi proseguì lungo il corridoio e scomparve alla vista di Clark.

-Ah… Clark… temo che il ciclone sia già passato…-, disse Pete, scuotendo la testa e seguendo il nuovo compagno giù per le scale.

Clark scosse il capo e bussò sulla pesante porta di quercia. Il preside era seduto alla scrivania e rileggeva attentamente alcune circolari, prima di firmarle. Non alzò la testa quando Clark entrò e continuò a sottolineare alcune righe con la penna stilografica.

-Kent, Lilyanne Leibniz ti aspetta alla redazione del Torch. Immagino che Chloe Sullivan si stia preoccupando di lei, in questo momento. Raggiungila e falle fare un giro della scuola. Portala ai laboratori di scienza, mi raccomando-, Clark annuì e si voltò verso la porta.

Fu fermato dalla voce di Reynolds: - Hai letto quegli articoli che ti ho lasciato ieri, Kent?-, chiese sollevando le testa e sfilandosi gli occhiali.

-Li ho letti-, rispose Clark.

-E cosa ne pensi?-

-Sono… notevoli-, disse abbassando gli occhi velocemente, prima di incontrare lo sguardo del preside.

-Bene, Kent. Fai il tuo lavoro, adesso-, lo congedò riprendendo a correggere le sue bozze.

“Notevoli…”, rifletté Clark percorrendo i metri che lo separavano dalla furia di Chloe.

Si fermò alle macchinette a prendere una cioccolata calda: qualcosa di corroborante era indispensabile perfino a lui in quell’occasione.

La porta del Torch era socchiusa, da dentro la voce di Chloe risuonava velatamente stridula mentre illustrava gli schedari cartacei vicino alla porta.

Clark si avvicinò bussando. Chloe tacque aprendo la porta.

Lilyanne Leibniz era in piedi accanto alla scrivania. Era una ragazza poco più alta di Chloe, la si sarebbe potuta definire, senza troppi giri di parole “bruttina”: portava i capelli scuri raccolti in una specie di palla sulla nuca, una fascia di stoffa giallina a tenere ferma la lunga frangia schiacciata sulla fronte e spessi occhiali quadrati dalle lenti fumé. Indossava un lungo maglione sformato rosso che la copriva fin quasi alle ginocchia e portava dei vecchi jeans scoloriti dentro un paio di anfibi slacciati.

Non era ancora entrato del tutto nella stanza, quando a Clark scivolò di mano il bicchiere della cioccolata, rovesciandosi sul pavimento e schizzando le scarpe di Chloe.

-Sei entrato, Clark… Grazie-, sibilò Chloe chinandosi per pulire con una salvietta la pelle delle scarpe.

Clark non la sentì e, sorridendo, rimase fermo pesticciando il liquido che si spandeva verso la scrivania. Chloe lo spinse dentro facendolo spostare per pulire, mentre la ragazza lo guardava divertita da dietro le spesse lenti. Clark si scosse subito e si avvicinò a lei.

-Salve, sono Lilyanne Leibniz-, disse con voce non troppo ferma.

-Pia… piacere, io sono Clark Kent-, disse lui, porgendole la mano per salutarla.

Un tremito che ferma il battito e annebbia la vista, per un istante, lasciando l’alito di un guizzo più violento di vita. Adrenalina e sangue. Il respiro sospeso, un brivido lungo la pelle, giù, giù verso il ventre e poi di nuovo agli occhi che restano incantati in un attimo senza tempo. Il contatto della pelle, materia ardente e fragile, come lo spirito che sfugge al corpo e fluttua per un istante.

Un ronzio sospetto e il Torch rimase al buio dopo che il trasformatore del pc accanto a loro emise un botto secco e iniziò a fumare.

Clark lasciò la mano della nuova arrivata nello stesso istante in cui Chloe lanciò una frenata imprecazione per il lavoro non salvato.

Come era saltata, la corrente ritornò nella stanza.

Poi il respiro si fa normale, e gli occhi tornano a vedere il mondo come erano abituati a fare, e le perle di sudore sulla schiena si asciugano, lasciando solo il sapore salato. E il ricordo dell’attimo svanisce.

-Accidenti! Non si accende!-, Chloe in un attimo era entrata in paranoia per il danno causato dallo sbalzo di tensione.

Clark stava fissando con occhi stupefatti la nuova ragazza che a sua volta lo guardava a bocca aperta.

-Clark, lei è… te ne avrà parlato Reynolds, immagino…-, la voce di Chloe era tagliente, riemergendo da sotto la scrivania con dei cavi in mano.

Lilyanne Leibniz abbassò lo sguardo, imbarazzata.

-Forse questo non è un buon momento… Possiamo vederci domani alle dieci all’ingresso, Kent? … Scusatemi-, disse sparendo oltre la porta nell’attimo di caos che si era creato.

Clark la seguì per risponderle, ma il corridoio era deserto. Rientrò pensieroso con lo sguardo fisso su un punto avanti a sé e la bocca socchiusa.

-Clark! Ti svegli? Vieni a darmi una mano, accidenti!-, Chloe lo stava richiamando all’ordine e Clark, scuotendo la testa per riprendersi, si voltò verso di lei.

-Se fosse entrata Angelina Jolie sono convinta che ora avresti una faccia più intelligente, Clark! E’ solo saltata la luce, non è iniziata l’attacco alieno! Svegliati!-

Si voltò verso di lei e prese uno straccio per finire di pulire per terra.

Si sentiva confuso come se fosse stato un chicco di mais entrato per sbaglio nella macchina per fare i pop-corn. Sbatté gli occhi più volte, per riordinare le idee.

-Perché non mi hai detto niente di lei? Il preside mi ha detto che lo sapevi!-, Chloe non era arrabbiata, ma la sua voce tradiva il dispiacere per la rassegnazione forzata cui doveva sottostare.

-L’ho saputo solo ieri pomeriggio, Chloe… Reynolds mi ha detto di non dirti nulla-

-E da quando ascolti quello che la gente ti dice, Clark?-, scosse la testa stringendo le mandibole e guardando affilata verso di lui.

-Troveremo il modo di convivere, Chloe…-

-Certo, come no? Reynolds ha trovato uno splendido modo: le ha appena riservato le rubriche di scienze e quella sociale. Le “mie” rubriche! E ha detto che vuole che l’articolo di fondo del lunedì sia il suo. E in più ha cancellato la mia rubrica delle stramberie, ma tanto quella avevo già deciso di chiuderla… Lo sai cosa mi è rimasto, Clark? La sezione delle verifiche e i servizi sulla preparazione del Prom Ball!-

Clark non rispose. Non sapeva cosa rispondere: Reynolds non aveva tutti i torti a cercare di garantire al giornale una continuità anche dopo il loro diploma. E il suo giudizio sulle capacità della nuova ragazza era assolutamente condivisibile.

Ma soprattutto, volendo essere davvero sincero, in quel momento si sentiva totalmente estraneo ai problemi del Torch.

Aiutò Chloe a smontare l’unità andata in corto circuito e, appena poté, si liberò da lei e corse verso casa alla supervelocità, senza essere visto da nessuno.

Quando arrivò, il suo cuore batteva all’impazzata, cosa che non era mai accaduta prima per una semplice corsetta. Salì in bagno, si spogliò velocemente e si infilò sotto una doccia fredda, non riuscendo a smettere di sorridere.

Era successo qualcosa di più di un semplice sovraccarico, al Torch, e lui era il responsabile dell’accaduto, ma non aveva idea di cosa potesse aver combinato quella volta.

Era stato come la volta che aveva mandato in fiamme la sala proiezioni al piano terra: qualunque cosa gli fosse capitata non era riuscito a controllarla, perché era stata inaspettata e rapidissima e gli era salita alla testa come una grossa bolla che era esplosa, lasciando uno strano ronzio nelle orecchie, il respiro affannato e le mani sudate.

Martha lo chiamò a lungo per la cena, ma Clark non scese. Rimase chiuso nella sua stanza, disteso sul letto in mutande, pervaso da quella nuova energia frizzante che sembrava aver rubato all’impianto elettrico del Torch e che lo faceva sentire come su una nuvola.

Continuava a sentirsi come un pop-corn appena cotto, pensò ridacchiando da solo per il paragone trovato. Era piacevole essere un pop-corn, osservò mentre il torpore lo rapiva ai suoi pensieri.

Il suo sonno fu costellato da sogni agitati, ma quando si svegliò non ne ricordava neanche uno.

Si vestì e si dette una lavata, scese veloce in cucina, stampò un bacio sulla guancia della mamma, sfilò dalle mani di Jonathan una fetta di pane e marmellata e corse via, afferrando al volo zaino e giacca, mai così volenteroso di iniziare una nuova giornata a scuola.



[1] La “secchiona” poco attrente del primo anno di scuola nel telefilm “Beverly Hilss 90210”

[2] Da Gotham City Pete non poteva aspettarsi di veder arrivare altre se non “micette” stile Cat Woman, la nemica di Batman

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Conoscenza ***


1- Capitolo 3: Conoscenza

Son of the Illusion Blog

Lunedì 17 giugno 2003

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“Qualcuno mi ha domandato perché, se ho così tanto timore di espormi al giudizio degli altri, tenga questo blog, in cui parlo liberamente dei miei problemi e metto a nudo le mie emozioni e i miei dolori più nascosti. E’ vero: ho paura di quello che gli altri possono pensare di me e non voglio che nessuno sappia chi sono. Ma quello che mi porto dentro è troppo doloroso e grande per sopportarlo da sola. Forse qualcuno, leggendo quello che scrivo, potrà fermarsi a riflettere su come può essere ingiusta, a volte, la vita, forse potrebbe capire che, prima di sparare sugli altri, tutti dovrebbero esaminare quello che hanno dentro.

La mia vita, il mio dolore, le disgrazie che ho causato e che rimarranno su di me come macchie indelebili non mi abbandoneranno mai, ma se qualcuno al mondo potrà comprendermi, capire quello che provo e perdonarmi, forse le mie ferite faranno un po’ meno male.

O forse le sue ferite gli appariranno meno profonde, perché c’è qualcun altro che le condivide, che soffre per motivi analoghi o diversi: ma comunque soffre, perché è al mondo e non ne capisce il motivo.

Io almeno, non so più qual è il motivo per il quale continuo a vivere.

Non è certo prendere un diploma, o pensare a quale college potrò frequentare. Non è neanche pensare alla famiglia che avrò, perché so che per non nuocere agli altri dovrò stare sola.

Quindi, in sostanza, è per questo che parlo agli altri attraverso questo blog: perché ho paura di farlo apertamente e senza qualcosa che vi protegga da me.”

-Non riesco a capire cosa sia potuto accadere ieri pomeriggio: ho parlato con il custode e mi ha detto che non ha avuto altre segnalazioni di sbalzi di tensione nell’edificio, a parte il mio, che peraltro non era neanche registrato. In pratica è come se fosse saltata la corrente solo al Torch!-, Chloe era determinata a capire cosa avesse mandato in tilt i computer e le avesse fatto perdere parte del suo lavoro.

Clark la ascoltava fingendo di essere interessato alle sue teorie elettrotecniche senza osare aprire bocca per non essere travolto da altre mille domande. Erano quasi due ore che Chloe li aveva presi in ostaggio per aiutarla a rimettere a posto i computer del Torch e subissarli di teorie e domande sullo strano fenomeno.

Pete, dal canto suo, era in un mondo tutto suo dopo l’allegra serata passata con la sua nuova amica Samantha, prima al Talon e dopo alla pista di pattinaggio.

-Forse ti sei avvicinato troppo al mio pc ieri, Clark, e lo hai fatto impazzire con i tuoi “poteri speciali!”-, ironizzò Chloe con il volto tirato, mentre Clark e Pete furono assaliti da un fugace attimo di panico.

-Certo, come il potere di fracassare tazze di caffè!-, cercò di rimediare Pete, -me l’ha raccontato la tua nuova “amica”, Chloe-

-Era cioccolata…-, puntualizzò Chloe, -E non è amica mia. Se era qua è solo perché ce l’ha mandata Reynolds ed è bene che non inizi ad espandersi troppo. Lo faccia l’anno prossimo, se vuole!-

-La ragazza! Me ne sono dimenticato! Dovevo incontrarla all’ingresso alle dieci! Chloe, perché mi hai fatto impelagare in questo lavoro?-, Clark cercò l’ora sul suo polso, ma non aveva l’orologio.

-Che ore sono?-

-Sono le dieci e mezza, e io ti ho aspettato per quasi un’ora!-, la voce della nuova ragazza di Gotham City rimbalzò sulle pareti spoglie del Torch ruvida come un gomitolo di lana shetland. Clark si voltò colpevole, mentre Pete se la rideva in un angolo. Chloe la squadrò dall’alto in basso, seccata dalla sua presenza nel suo territorio.

-Scusami Lillian, me n’ero completamente dimenticato… C’è stato quel guasto, ieri, ricordi… e stamani abbiamo cercato di… Dovevo portarti a fare il giro della scuola, scusami-

-Mi chiamo Lilyanne. Non Lillian, Kent-, si avvicinò a lui stringendo gli occhi coperti dalle lenti marroncine: Clark non sapeva che altro dire in sua discolpa.

Chloe si intromise, offrendo a tutti una valida, sebbene non disinteressata, via di uscita.

-Perché non la accompagni a fare il giro dei laboratori… ora!-, disse accompagnando le parole con un eloquente gesto della mano.

-Certo: la mia lezione inizia tra quasi un’ora e penso che possa essere sufficiente per avere un’idea delle strumentazioni e di come lavorano i professori e poi… Sempre che ti vada ancora… cioè, che tu sia libera per…-, disse Clark, grattandosi la testa nervoso per la brutta figura e sorridendo imbarazzato.

-Certo che mi va!-, tagliò corto Lilyanne, ricambiando il suo sorriso, come un raggio di luce che filtra da uno squarcio tra le nuvole.

Rimasero a fissarsi negli occhi per un istante in più del normale, e Chloe dovette tossire appena per rompere l’empasse.

-Bene Clark, quando hai finito di fare da Cicerone, ricordati che devi finire questi lavori-, disse passandogli diversi fascicoli multicolori che lui guardò sconsolato.

-Io che devo fare?-, chiese Lilyanne prendendo la sua pila di libri, che aveva poggiato su un tavolino libero, tra le braccia.

-Divertirti in giro per la scuola e a fare i compiti che ti daranno oggi a lezione-, sorrise sarcastica Chloe e si voltò.

-Ho preparato un articolo per Scienza e Società, come mi aveva detto il preside. Ce l’ho qua, se vuoi dargli un’occhiata…-

-Clark, pensaci tu, eh!-, disse Chloe senza voltarsi. Clark strinse le labbra, deluso da quell’atteggiamento di superiorità e sarcasmo che aveva usato Chloe.

-Ti dico io poi cosa fare…-, disse piano a Lilyanne, uscendo dalla stanza.

Pete salutò e se la diede a gambe, mentre Chloe annunciò che avrebbe chiuso la stanza per andare a lezione.

-Bene, seguimi!-

Clark guidò la nuova ragazza per i corridoi del Liceo fino ai laboratori e illustrò macchinari, presentò i tecnici e le raccontò alcuni aneddoti divertenti. Lei lo seguiva sorridendo interessata ad ogni sua parola, con la borsa di stoffa marrone che le pendeva su un fianco e stonava con la ampia camicia sul viola che indossava tenendola fuori dai pantaloni.

Nel laboratorio deserto di chimica si avvicinò agli strumenti e li maneggiò con estrema naturalezza, studiandone le caratteristiche e, di volta in volta, spiegando che li aveva visti usare nella sua vecchia scuola.

Accese un oscilloscopio nel laboratorio di elettronica, studiando con una sonda compensata una qualche strana forma d’onda da un circuito abbandonato su un tavolo. Poi spense tutto, mentre Clark la guardava curioso.

-Vedo che ci sai fare con queste cose-, le disse mentre spegneva la luce uscendo dal laboratorio, -Andiamo a visitare quello di biologia-

La tremula luce dei neon appena accesi si rifletteva sulle lenti degli occhiali di Lilyanne mentre si avvicinava agli armadi con le ante trasparenti entro cui stavano alcune cavie sotto formalina. Spostò lo sguardo sull’attrezzatura fino a “Arthy”, lo scheletro di resina che serviva per le lezioni di anatomia. Lo esaminò con attenzione alzando la testa con le labbra socchiuse, come se stesse ammirando un capolavoro del cinquecento in una pinacoteca straniera, poi sfiorò la mano ossuta con la sua, come se stesse toccando un neonato.

Clark la osservava in silenzio compiere un gesto che anche lui aveva fatto qualche anno prima. Ricordava l’emozione che aveva provato, sebbene sapesse che lo scheletro non era vero, chiedendosi se anche lui era fatto a quella maniera. Era stato poco dopo aver saputo della navicella, di come lui era arrivato a Smallville, poco prima di sapere che non era umano.

Lilyanne si voltò sorridendo.

-Non potevo non presentarmi allo scheletro-, disse scherzando e avvicinandosi ai tavoli dove c’erano i microscopi.

Vide dei vetrini pronti, risalenti probabilmente all’ora prima, e ne prese uno, mettendolo sotto la lente del microscopio più vicino. Sfilò gli occhiali pesanti e, nella penombra, avvicinò il volto allo strumento.

-Wow! Abbiamo uno splendido esemplare di vetrino sporco!-, disse, sollevando la testa sorridendo.

Clark la osservò per un attimo, notando quanto quegli occhiali spessi la imbruttissero. Lilyanne li inforcò nuovamente e, spegnendo le attrezzature, lo raggiunse.

L’ora volò via troppo velocemente e quando la campanella suonò, Clark trattenne per un attimo il fiato, poi si rilassò e si rassegnò a salutarla per correre alla sua lezione di scienze.

Era stato davvero bene.

-Vengo con te, seguo anch’io questo corso-, disse lei, e presero posto in un banco in fondo all’aula, nei posti rimasti ancora vuoti, mentre le luci si spegnevano per la proiezione dei lucidi.

-Come mai segui un corso del quarto anno?-, chiese lui piano.

-Devo finire una ricerca… e poi sono libera, ora-

Nelle prime file Clark poté scorgere Lana, concentrata sui suoi appunti, mentre il professor Byers parlava di qualcosa che lui, quella mattina, non riusciva a seguire.

Quando le luci si riaccesero, Clark si rese conto di essersi incantato fissando un qualche punto davanti a sé. Forse stava pensando ancora a quella strana euforia che lo aveva colto il giorno prima, forse una parte del suo subconscio era tornata al ricordo di Alicia, o cercava di capire come mai Lana negli ultimi tempi fosse così distaccata.

Si voltò verso Lilyanne, ma al suo posto trovò solo una cartellina con l’articolo che aveva preparato per il torch e un biglietto scritto con una penna viola: “Grazie ancora per il tour, sono stata molto bene. Ci vediamo presto. Lily”. Si guardò intorno per vedere se fosse ancora nei paraggi, poi prese il biglietto, lo mise tra le pagine di un quaderno e uscì dall’aula.

Pete e Chloe lo aspettavano agli armadietti per andare insieme a mensa, entrambi con espressione interrogativa, ma senza aprire bocca.

Clark si liberò dei suoi oggetti e li precedette, a sua volta perplesso dal loro atteggiamento.

Scelse il pasticcio di carne con purè, le verdure al forno e una doppia fetta di dolce, prese il suo cartone del latte e si sedette al loro solito tavolo.

-Qualcuno ha fame, oggi-, osservò Pete rompendo il ghiaccio, mentre Clark iniziava l’assalto delle sue portate sollevando le spalle.

-Ti ringrazio per avermi tolto dai piedi quella lì, Clark. Dovevo far sparire alcuni files e schede che non volevo lei vedesse. Non posso ancora credere che dovrò lasciare metà scrivania a quella ragazzina…-

-E se invece ti sforzassi di conoscerla? Magari la potresti trovare interessante-

-Non credo proprio che una straniera dall’aspetto sveglio come un bradipo possa essere interessante!-

-E da quando ti fermi all’aspetto delle persone?-, la fulminò con lo sguardo.

-Com’è andato il vostro tour dei laboratori?-, chiese Pete, cercando di fermare il loro bisticcio.

Clark fu piuttosto sbrigativo nel descrivere quello che aveva mostrato a Lilyanne, mentre finiva con un solo boccone l’ultimo pezzo di torta, che non si gustò.

Chloe disse che aveva fissato un appuntamento con Robert Greedy per la classica intervista ai nuovi arrivati -Ovviamente, giornalista o no, anche la tua amichetta dovrà avere la sua intervista… Avvertila, Clark-, disse e salutò rapidamente i due amici che lentamente uscirono dalla mensa, sazi e assonnati.

-Dobbiamo trovare un sistema per convincere la Leibniz a fare da sé, come ha fatto Greedy, in modo da non trovarcela più tra i piedi: così se la vedranno tra loro: lei e Chloe-

-Perché dici così, Pete? A me sembra simpatica…-, Pete guardò Clark aggrottando la fronte.

-Simpatica? E’ noiosa come la lezione di diritto e poi… sinceramente farsi vedere in giro con quella fa calare di molti punti il tuo indice di gradimento! E’ così… brutta!-

-Io non la trovo brutta, tutt’altro. Penso che dietro quegli occhialoni e i vestiti larghi sia una bella ragazza. E poi non è l’aspetto che conta, Pete: è una ragazza molto intelligente, nonostante Chloe non sia d’accordo con me-, rispose Clark e abbassò il volto perché sentiva che stava arrossendo e non voleva che l’amico lo vedesse.

Pete sollevò le sopracciglia allargando gli occhi.

-A te serve proprio una vera donna, amico…-, sentenziò da uomo vissuto, con una pacca sulla sua spalla.

Era anomalo che Clark potesse difendere su quel campo una ragazza che non rispondesse al nome di Lana Lang, che Pete quasi pensò che il suo amico avesse le traveggole. La campanella troncò quel discorso che avrebbe potuto sfociare nell’imbarazzante borsino delle studentesse del Liceo, che Clark avrebbe evitato a qualunque costo.

Tornando a casa, più tardi, Clark ripensò a quello che aveva detto a Pete circa Lilyanne Leibniz e considerò che, in fondo, avrebbe davvero voluto conoscerla meglio, nonostante il suo modo schivo e l’aspetto trasandato.

“Ne va dei miei 5 crediti!”, pensò giustificandosi.

Poi accelerò e in pochi attimi fu fuori Smallville.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Anomalie ***


Capitolo 4: Anomalie

Che cos’è l’amore?[1]

Gli antichi lo chiamavano Freccia di Cupido, ormai lo conosciamo come Colpo di Fulmine. Qualunque sia il modo di riferirci ad esso, l’amore a prima vista è stato e sarà uno dei momenti più indimenticabili nella vita di ciascuno che abbia avuto la fortuna – o la sfortuna – di provarlo almeno una volta.

Qualcosa di irrazionale e sconvolgente, che modifica la percezione della realtà e acuisce i sensi.

Associato all’alchimia, alla chimica sessuale tra due individui, il colpo di fulmine può essere il risultato di una rapida analisi statistica o la somma di fattori ambientali e psicologici che predispongono ad essere soggetti alla fatidica cotta.

Tre le caratteristiche fondamentali del colpo di fulmine:

non è razionalmente spiegabile o indagabile,

trascende le facoltà logiche e di discernimento di chi ne è colpito, lasciando spazio solo all’istinto,

provoca fondamentali mutamenti nella chimica dell’organismo e nella fisiologia stessa, modificando il comportamento, la postura, l’odore.

I feromoni sono i primi responsabili di questi radicali cambiamenti psicosomatici, alterando la chimica dei recettori e predisponendo all’interesse amoroso.

Essi sono la principale forma di comunicazione e seduzione usata dagli animali per la riproduzione, ma anche per stabilire gerarchie sociali e per comunicare situazioni di pericolo.

E nell’uomo? Possibile che anche per noi valga una semplice formula di azione e reazione basata sulla chimica?

Possibile che realmente l’attrazione sconvolgente, immediata e indescrivibile che si accende al primo incontro, sia frutto esclusivamente di ghiandole e ormoni a bassa concentrazione scambiati tra i due innamorati?

O più probabilmente contribuiscono, assieme ad altri fattori, a piacersi subito, a pelle?

Fermatevi a pensare a chi avete accanto: potreste essere separati da una pesante gabbia di vetro,

potreste essere nascosti da cortine spesse e buie che lascino fuori solo gli occhi,

ma non sareste ancora al sicuro da un solo, semplice sguardo, che potrebbe fare scoccare la scintilla che infiamma il vostro cuore.

Cosa c’entrano i feromoni, allora?

Cosa c’entra la semplice attrazione fisica?

Eppure, cosa spinge al primo sguardo, ad annichilire il resto del mondo intorno e a concentrare ogni pensiero e ogni azione verso quello sguardo ardente?

Cos’è che fa tremare le gambe e compiere gesti impacciati, restando come ipnotizzati da quello sguardo magnetico?

Personalmente credo che l’amore, quello con la A maiuscola che divampa una sola volta nella vita e che può rischiare di bruciare ogni raziocinio e speranza, quell’amore non possa essere frutto solamente della chimica, della necessità riproduttiva, della contingenza socio-culturale, ma nasca da un’essenza più profonda e ignota, nascosta nel profondo del nostro animo e sconosciuta perfino a noi stessi.

La chiave per liberarla è solo una, e il rischio è di non trovarla mai.

Ma se quello sguardo arriverà, statene certi, sarà la chiave capace di aprire davvero quel minuscolo forziere nascosto e di liberare il più grande sogno e la più grande debolezza della nostra vita.

di Lilyanne Leibniz, “Science Teenager”, Torch”

Quel venerdì sera Clark decise che sarebbe andato al cinema Talon per il Silent Film Festival: Lana gli aveva detto che avrebbero proiettato un vecchissimo film di Charlie Chaplin per nostalgici e, visto che Chloe era a Metropolis da Lois, Pete sembrava andare a gonfie vele con Samantha, i suoi avevano invitato a cena alcuni vecchi amici che Clark conosceva appena, optò per popcorn e coca cola nella sala buia e quasi deserta.

Il film era iniziato da qualche minuto, quando, poche file avanti a lui si sedette una ragazza. La vide di profilo solo per i pochi istanti che impiegò per sedersi, poi si voltò verso lo schermo ticchiolato di puntini bianchi e neri che disturbavano la pellicola.

Aveva lunghi capelli mossi ed indossava un cappotto che le arrivava fino alle ginocchia, stringendosi in vita. Clark la vide levarsi gli occhiali per guardare il film, ma era troppo buio per poterla osservare con attenzione. Eppure il suo aspetto era decisamente familiare e ne era incuriosito.

La riconobbe solo al termine della proiezione, quando le luci si riaccesero e tutti iniziarono ad alzarsi in piedi stiracchiandosi: sembrava proprio Lilyanne Leibniz, ma, vestita diversamente: con la fronte scoperta e senza quel fagotto che portava al posto dei capelli, aveva un aspetto decisamente differente.

Non aveva nulla da fare e così decise di seguirla, forse per salutarla, una volta fuori dal Talon.

Scese dietro di lei fino al bar gremito di giovani fino al vestibolo, ma quando uscì dalla porta del locale, lei era sparita.

La cercò un po’ intorno, poi, deluso, tornò a casa.

Se la ragazza che aveva visto era davvero Lilyanne, pensò, aveva ragione a dire che era carina. Nel complesso, l’idea che si era fatto di lei, in fondo non era tanto sbagliata.

Ma poteva essere davvero lei?

La mattina del sabato era stato svegliato di buon’ora dalla telefonata –immancabile- di Chloe: Clark ancora si chiedeva il perché, mentre tutti, persino lui, avevano la necessità di dormire, la sua amica sembrava tranquillamente poter andare avanti scolando litri di caffè, trascurando l’inutile passatempo del dormi e sogna.

Quella volta la vittima delle indagini di Chloe era Robert Greedy, appena conosciuto eppure già sotto il suo riflettore personale. Nel dormiveglia Clark capì solo che quel ragazzo era a Smallville sotto copertura dell’FBI, come i documenti che Chloe aveva trovato su internet parevano confermare.

Mentre aspettava che il pranzo fosse pronto, rilesse per l’ennesima volta l’articolo che Lilyanne gli aveva lasciato dopo la lezione e che Chloe non aveva voluto leggere. Ogni volta rimaneva stupito di come le parole che aveva usato Lilyanne riuscivano a colpire punti differenti della sua fantasia e lo interessavano in maniera diversa, facendo propendere la sua attenzione verso una, o un’altra riflessione. Doveva ammettere che l’argomento era banale, ma in poche righe aveva perfettamente risposto, con domande puntuali e insinuando tarli nel lettore, alle due tematiche della sua rubrica, cercando di coniugare l’ambito delle scienze a quello della sociologia.

Chloe diceva che era assurdo affidare ad una studentessa nuova e inesperta delle dinamiche della scuola proprio la rubrica di sociologia, specie ad una chiusa nel suo mondo come le appariva la Leibniz, schiva con loro, come con altre persone con le quali aveva parlato di lei.

Eppure Clark era convinto che, con quell’articolo breve e incisivo, avrebbe saputo andare incontro all’aria di primavera che a breve sarebbe stata alle porte a Smallville e sarebbe stata in grado di sostenere eventuali domande sia in ambito scientifico, che sociologico.

Assieme a quello, Lilyanne gli aveva lasciato anche una bozza di articolo di presentazione, richiesta ogni volta che un nuovo giornalista collaborava al Torch: rispetto a come era stata timida, con lui, Pete, Chloe, le parole che aveva usato denotavano invece una facilità nel proporsi alla gente fuori dal comune.

Clark lo rilesse, cercando di comprendere quello che poteva passare per la testa della nuova ragazza.

“Mi presento a voi tutti studenti del Liceo di Smallville, sperando che i miei articoli possano interessarvi e divertirvi allo stesso tempo.

Come ero solita fare nel giornale della mia vecchia scuola, tratterò di argomenti di scienza e di sociologia. Forse la chimica, la fisica e la biologia potranno apparire argomenti poco interessanti per un giornale scolastico, ma potrà essere interessante scoprire insieme quanto una reazione, o un fenomeno molecolare possano essere strettamente correlati ad elementi istintivi e irrazionali come i sentimenti, o gli impulsi più basilari che costituiscono il collante dei tasselli della nostra vita sociale.

Laddove la magia non esiste, cosa sono i nostri sentimenti per avere la forza di modificare lo scorrere degli eventi?

Cos’è la volontà che anima ogni ambizione, confrontata con le grandi forze della fisica?

E cosa rappresenta l’attrazione fisica, letta in un’ottica di reazioni chimiche?

Come può il nostro corpo influenzare quello che diventeremo e come i nostri desideri possono modificare la nostra visione del mondo e di noi stessi?

Seguitemi sulla rubrica “Science Teenager”, e potremo scoprirlo insieme!

di Lilyanne Leibniz

“Notevole”: la prima impressione che aveva avuto leggendo il materiale che il preside gli aveva fornito su di lei era confermata dalla sua presentazione alla scuola e dal piccolo saggio sul “colpo di fumine

Clark ripensò alla ragazza che aveva creduto fosse proprio Lilyanne, al cinema, la sera prima e, scuotendo la testa, si disse che quella ragazza era un mistero da sciogliere.

Richiuse gli articoli nella cartellina sorridendo soddisfatto e accese il pc in camera sua.

Dal basso iniziavano a diffondersi i profumi della tavola di Martha Kent.

Poco dopo che ebbero terminato il pranzo, l’auto di Chloe fece scricchiolare la ghiaia davanti alla casa dei Kent.

Clark si alzò controvoglia dal divano in cui era sprofondato assieme a suo padre, guardando una gara motociclistica in tivù e, presa la giacca, la raggiunse fuori.

-Allora Clark: ho notizie succosissime sul protetto di Pete! Pare che nella sua vecchia scuola abbia combinato dei casini, giocando a Football e abbia scatenato le ire di un riccone locale. E poi non trovi strano che sia già riuscito a prendersi il tuo posto nella squadra della scuola? Voglio dire… anche tu sei diventato subito quarterback, ma ovviamente è una cosa diversa…!-, Clark, già stufo delle teorie che Chloe, subito dopo l’intervista con Greedy, aveva avanzato sul nuovo ragazzo, non si accorse della sottile insinuazione, forse involontaria, forse no, dell’amica.

Passarono tutto il pomeriggio appostati sotto la casa dei Greedy nel vano tentativo di rubare qualche foto o testimonianza che fosse spendibile in un articolo di prima pagina per il Torch, ma fu tempo sprecato.

Verso le quattro, Robert Greedy uscì di casa con un sacchetto di carta in mano e si diresse dritto verso la Wolkswagen di Chloe.

-Visto che non vi decidete ad andarvene, mia madre ha pensato di mandarvi un po’ di torta che ha appena sfornato-, disse dopo aver bussato al finestrino dell’auto. Poi cambiò espressione, arricciando il viso in un ghigno beffardo.

-Ben fatto, detective Sullivan, hai pefettamente abboccato alle false informazioni che avevo fatto trapelare durante la nostra intervista di ieri. Peccato che la tua fama ti abbia preceduta! Non sai com’è stato divertente metterti su una falsa pista solo per il gusto di osservarti tutto il pomeriggio dalla mia finestra!-

Fece per andarsene, poi si voltò ancora, -In fondo non sei poi una così brillante giornalista, Sullivan… ti consiglio di fare domanda alle Cheerleader… magari se prima smaltisci un paio di chiletti… Buona serata!-

Chloe era diventata viola di rabbia, mentre Clark tratteneva a stento le lacrime dalle risate che si stava facendo. Chloe non disse una parola, partì velocemente con la sua auto e scaricò Clark direttamente davanti al Talon, promettendo di riscattarsi, con un articolo che dicesse la verità su quel bellimbusto.

Entrando nel locale con ancora il sacchetto con la torta della signora Greedy in mano, Clark vide Lilyanne, seduta ad un tavolo defilato, che sorseggiava cappuccino tenendo un pc portatile sulle gambe. Aveva i capelli legati in una treccia e spettinati, la lunga frangia le copriva metà volto. La colse di sorpresa e vide che subito si affrettò ad inforcare gli enormi occhiali, che in quel momento non stava usando.

Lo salutò sorridendo, contenta di vederlo anche fuori dall’orario scolastico. Clark sbirciò sul suo computer e fece appena in tempo a notare alcune pagine di Blog.Com aperte grazie alla wireless LAN proposta a suo tempo da Lex.

Subito lei chiuse il laptop, leggermente imbarazzata.

-Cosa ti porta in questo locale, Clark?-, chiese per cambiare discorso, non sapendo che Clark, praticamente, aveva eletto da anni il Talon come sua seconda casa.

Rimasero a parlare per un po’. Clark le raccontò della sua famiglia e della fattoria, dell’usanza della sua scuola di offrire ad ogni nuovo arrivato il cosiddetto “pacchetto di benvenuto”, comprendente la famosa intervista di Chloe, e cercò di giustificarla per non essere stata troppo accogliente e le spiegò i motivi del suo scetticismo e il suo amore per il giornalismo.

Lei fu piuttosto evasiva circa la sua vita personale e negò fermamente di essere stata al cinema, la sera prima. Rise quando lui le descrisse la ragazza con i lunghi capelli, affermando che i suoi, ormai, erano così annodati che non sarebbe stato possibile scioglierli.

Anche Clark fu contagiato da quell’apparente allegria e quando vennero a prendere la sua ordinazione, non si accorse che era Lana, la cameriera al suo tavolo.

-Non si saluta più, Clark?-, chiese lei. Negli ultimi tempi il suo carattere solare si era adombrato, come se dal suo ritorno da Parigi le cose non fossero più state le stesse. Era spesso preoccupata e sulla difensiva.

Clark si giustificò e le presentò Lilyanne, definendola “la ragazza venuta da lontano”. Lana vide gli spessi occhiali di Lily e, sollevando le sopracciglia, tagliò corto con un -Ah, sì, Pete mi ha parlato di te-

Poi si scusò, dicendo che doveva tornare a servire ai tavoli, lasciando Clark perplesso e un po’ dispiaciuto.

-Mi sa che la tua amica è un po’ gelosa, Clark…-, suppose Lily quando lana si fu allontanata, poi ci rise su e accettò la proposta di Clark di accompagnarla a fare un giro dei posti più interessanti di Smallville.

-Immagino che, confrontata con Gotham City, Smallville debba apparirti minuscola e noiosa-, osservò Clark dopo averle fatto fare un breve giro nel corso principale. Lily alzò appena le spalle, e scosse la testa.

-Mi piacerebbe vedere la tua fattoria-, chiese, così come tanto tempo prima gli aveva chiesto Chloe.

-E’ un po’ distante, e si sta facendo buio…-, notò Clark, sentendo crescere l’imbarazzo, senza motivo.

-Se a te va, a me non importa. Non c’è nessuno che mi aspetti a casa e poi una bella passeggiata è quello che mi ci vuole…-

Camminarono per più di mezzora tagliando attraverso i campi, mentre il sole affondava dietro l’orizzonte tingendo di rosso le nuvole basse. La primavera era quasi alle porte: lo dicevano i prati verdi smeraldo e i tramonti che iniziavano a diventare lunghissimi e magici.

Lilyanne non sembrava appesantita dalla borsa con il portatile e si divertiva a camminare tra le spighe di granturco ancora non troppo alte.

Clark non poteva fare a meno di guardare in tralice i suoi occhi deformati dal vetro spesso e sorriderle. C’era qualcosa di strano, in lei, che lo spingeva a seguirla.

Quando furono lontani dalle strade di Smallville, gli tornarono alla mente le parole che Lily aveva detto prima.

-Perché hai detto che non ti aspetta nessuno a casa?-, chiese, mordendosi la lingua per la sua uscita così brusca.

Lei, che camminava avanti a lui tenendo le mani sollevate sulle spighe, come volesse carezzarle, si fermò e si voltò indietro. Non sorrideva più e lo guardava dal basso verso l’alto, con volto serio.

-Promettimi che non vai a sbandierare ai quattro venti quello che sto per dirti, Clark-, chiese senza distogliere gli occhi da lui, dopo un attimo di silenzio. Poi si sedette in mezzo al campo e quasi scomparve sotto il granturco. Prese un respiro profondo e iniziò a parlare.

-Non sono solita raccontare i miei segreti al primo che capita, ma sento che di te mi posso fidare. Sono venuta da sola, qui a Smallville. Anzi, a dire il vero io non volevo neanche venire qua, ma sono stata costretta…-

Raccontò che circa un anno e mezzo prima i suoi genitori erano morti in un tragico incendio nella loro villetta alla periferia di Gotham City dal quale lei era uscita incolume, ma profondamente distrutta psicologicamente. Si era preso cura di lei il suo tutore, che non sapeva di avere, che aveva fatto curare la sua depressione per mesi in una clinica specializzata, dall’altra parte del Paese, finché lei non aveva superato l’accaduto.

Dopo alcuni mesi trascorsi in una specie di convitto, a Gotham, pochi giorni prima del suo arrivo in città, il suo tutore aveva stabilito che si sarebbe dovuta trasferire in una piccola cittadina del Kansas, dove l’attendeva una casa di sua proprietà. Non disse perché proprio a Smallville e a nulla valsero le sue domande.

Rivelò di aver incontrato l’uomo che si stava prendendo cura di lei solo una volta, quando era molto piccola: un ricordo sbiadito, uno dei pochi della sua infanzia, e di sapere da dove provenissero i soldi con i quali poteva vivere senza problemi, né tantomeno chi le avesse intestato la casa dove era andata a vivere.

-Devo solo ringraziare che non mi hanno lasciata in mezzo ad una strada a Gotham-, disse concludendo, -Spero che la tua amica Chloe non venga mai a sapere queste cose, altrimenti temo che potrei vedere la mia foto in copertina sul Torch, invece dei miei articoli!-

Vide che Clark era rimasto silenzioso al suo racconto, come stesse rimuginando sulle sue parole: si riaccese in un bel sorriso e, alzandosi, lo rassicurò.

-Lo so che la storia che ti ho raccontato può apparire strana, ma non pensare a me come ad Oliver Twist, per favore! In fondo, cosa potrei desiderare di più dalla vita, adesso? Vivo da sola in una bella casa, senza nessuno che mi dica cosa fare, ho a mia disposizione una discreta somma mensile e… beh, credo di aver già incontrato un amico, qui a Smallville, no?-

Gli porse una mano per aiutarlo a tirarsi su.

Di nuovo la luce. La luce che acceca dall’interno e che non riesci a contenere. Perché sei luce, ora, luce e vento, e ancora il cuore si ferma e il sangue scorre veloce e il respiro si accorcia e sulla pelle scorre il brivido che sai convergerà nel profondo e poi fuori, perché è troppo stupefacente per riuscire a trattenerlo.

Si staccarono immediatamente, Clark si alzò da solo, con un balzo.

Rimasero a fissarsi un istante a bocca aperta, trattenendo il respiro. Fu Lily a parlare, affrettandosi a voltarsi per non guardare negli occhi Clark.

-Wow…! Devo averti dato la scossa… qua a Smallville l’aria è piuttosto secca, non trovi?-, accelerò il passo, quasi correndo lontana da lui. Terrorizzata. Emozionata. Confusa.

-Aspetta, Lily!-, disse Clark afferrandola per un polso, sconvolto e sorpreso da quella energia misteriosa che saliva dal suo braccio e di nuovo lo permeava tutto.

Lei si voltò, sentendo il suo cuore correre all’impazzata.

Gli occhiali, i legami, i vestiti. I vincoli. Avrebbe voluto strapparli via. Urlare.

Per un attimo provò l’impulso di abbracciarlo stretto e rimanere vicina a lui pervasa da quella violenta energia, poi si liberò con uno strattone dalla presa.

-Mi dispiace, devo andare ora-

Corse verso il campo con le spighe più alte e sparì alla vista di Clark, che non riuscì a vederla più

La cercò intorno anche con la sua vista ai raggi X, ma Lilyanne era sparita.

Di lei trovò solo gli occhiali, caduti a centinaia di metri di distanza, in direzione della città.

Erano ancora tiepidi per il contatto con la sua pelle. Li avvicinò per un istante alle labbra, pensieroso, poi li mise nella tasca della giacca e tornò verso casa.

Il giorno seguente, dopo aver passato tutta la mattina a faticare nei campi assieme a suo padre, cercando di liberare la mente dal pensiero di quello che gli era capitato la sera prima e dopo aver cercato di distrarsi in ogni modo, chiamò Chloe, chiedendole uno di quei favori misteriosi che a volte Clark Kent le strappava con un sorriso: voleva entrare nell’archivio informatico della segreteria della scuola per cercare un’informazione riservata. Lo raggiunse al suo fienile poco tempo dopo.

Chloe, piuttosto perplessa dalla sua domanda, lo lasciò fare, facendolo lavorare sul suo pc portatile, ben più veloce del suo, senza disturbarlo: era nella fortezza di Clark Kent e, ora che sapeva, non poteva perdere l’occasione di curiosare intorno alla ricerca di qualsiasi indizio che lui non le avrebbe comunque fornito.

Con la scusa di spostare la sua giacca per sedersi, sbirciò dentro alle tasche: riconobbe subito gli occhiali di Lilyanne “Quattrocchi” Leibniz e li osservò, non vista. Non resistette alla tentazione di inforcarli, rendendosi immediatamente conto che le lenti non erano graduate, poi rimise tutto al suo posto.

“Strano”, pensò, “Molto strano… Cosa nasconde quella ragazzina? ...dovrò indagare!”

Quando Clark ebbe fatto, le disse senza troppi preamboli che doveva uscire.

-Mia madre avrà sfornato i muffin della domenica, se ne vuoi uno, li trovi in casa. Io devo scappare ora. Ti ringrazio per l’aiuto!-, prese al volo la giacca e sparì.

Chloe rimase un altro po’ nel fienile, poi, cedendo alla curiosità, tramite la cronologia del browser ripercorse le ricerche di Clark scoprendo che, ancora una volta, c’era di mezzo la nuova alunna di Gotham: Clark aveva cercato sull’archivio della scuola dove abitasse. Senza dubbio stava andando da lei. Dimenticò presto i muffin di Martha Kent e lo seguì verso il centro di Smallville, incredula per l’interesse che Clark sembrava nascondere nei confronti della persona che stava per rubarle il giornale, l’unica cosa che la tenesse davvero legata a lui.

Kerry Lane era una breve strada alberata nella zona più occidentale di Smallville, non troppo distante dal Liceo, dove ogni singola villetta aveva il suo piccolo giardino recintato, una cassetta delle lettere di ferro battuto e un albero di acero a fare ombra sulle finestre.

I primi boccioli iniziavano a fiorire sugli alberi da frutta ornamentali che si alternavano lungo la strada nonostante l’aria non fosse ancora calda, spargendo un lievissimo odore di fiori.

Clark la percorse fino al numero civico 28. Sul campanello non era riportato alcun nome, ma d’altronde erano solo pochi giorni che Lily si era trasferita a Smallville.

Usò la vista a raggi X per vedere se fosse in casa, ma l’abitazione sembrava deserta, salvo un piccolo gatto che dormiva acciambellato al piano di sopra.

-Cosa ci fai qua?-, le parole di Lilyanne lo raggiunsero all’improvviso, secche. Quando si voltò la vide alle sue spalle, in tenuta da jogging, con i capelli tirati all’indietro e legati in una lunghissima coda nera e con occhiali da sole ultimo modello a coprirle, ancora una volta, gli occhi. La tuta, azzurra e blu, le stava aderente al corpo, mostrando forme che fino ad allora erano state nascoste dai pullover stazzonati o da vecchi bomber troppo larghi.

-Io…-, Clark, colto alla sprovvista, non sapeva cosa rispondere, quando le sue mani tastarono nella tasca gli occhiali da vista che aveva trovato la sera prima.

-Sono passato a riportarti questi, li avevi persi nel campo ieri-, salvato in corner!

Quando vide gli occhiali la ragazza parve rilassarsi e spontaneo le nacque un piccolo sorriso sulle labbra.

-Grazie, non so come avrei fatto, senza!-, aprì la porta, ma rimase immobile senza entrare.

Evidentemente avevano esaurito gli argomenti di conversazione, perché rimasero in silenzio davanti alla casa per qualche istante. Anche Chloe lo notò, nascosta in auto lontana lungo la strada, soddisfatta che il suo fiuto da reporter, quella volta, avesse annusato la pista giusta, ma delusa dal comportamento di Clark.

Il gatto fece capolino da dietro la porta.

-Stavo andando via-

-Se ti va, puoi entrare a prendere un tè-

Clark e Lily parlarono contemporaneamente e, passata la stasi, risero insieme. L’aria era tesa.

Clark accettò l’invito ed entrò nella villetta.

Chloe attese per un po’, poi, stanca di aspettare, scese dall’auto e iniziò a cercare informazioni in altro modo, passeggiando nelle vicinanze.

Quando se ne andò, Clark era ancora dentro la casa di Lilyanne Leibniz.

La casa di Lily non era come Clark se la sarebbe aspettata. C’erano penne, al posto dei fiori, nei bassi vasi sinuosi stile Alvar Aalto, fogli zeppi di calcoli e formule fisiche sparsi un po’ ovunque, un piccolo laboratorio di chimica accanto al lavello, in cucina e un gatto che, miracolosamente, era affettuoso e molto amichevole, di nome E.T.

Clark attese qualche minuto che Lily si cambiasse, al piano di sopra. Sprofondò sul divano e, alzando gli occhi, si accorse che c’era una strana macchia come di bruciato, sul soffitto sopra a sé. Sembrava recente.

-Eccomi qua-, disse Lily scendendo: era di nuovo avvolta nei suoi abiti larghi e sformati, aveva schiacciato i suoi capelli con una fascia elastica e pinze varie e, di nuovo, gli occhiali fumè coprivano i suoi occhi.

Preparò un ottimo tè alla vaniglia destreggiandosi tra matracci e bollitori senza spostare nulla di quello che stava facendo. Spiegò che si trattava di un progetto di chimica che aveva iniziato alla vecchia scuola e che ancora non era riuscita a terminare.

Poi si sedette accanto a lui, sul divano, sorseggiando il liquido ambrato e fumante.

C’erano così tante domande che Clark voleva porle, ma aveva paura di essere frainteso, per il suo interessamento: in fondo neanche lui sapeva come mai era così incuriosito da quella ragazza che si presentava più o meno con l’aspetto di un troll.

Ancora una volta fu lei a spezzare il silenzio, parlandogli del suo gatto, ma a Clark non interessavano le banalità.

La guardò a lungo cercando di scavare oltre le lenti, oltre i suoi occhi, cosa avesse di speciale, poi rischiò.

-Lily, hai sentito anche tu quella… quella strana cosa, ieri nel campo, quando… ti ho stretto la mano?-

Rimase come sospesa a metà di una frase, con le labbra semiaperte e gli occhi che subito andarono in basso a sinistra. Fece per parlare, ma non sapeva cosa rispondere a Clark. Per un istante i suoi occhi tornarono su di lui, poi di nuovo cercarono rifugio altrove. Deglutì.

Clark non aveva altre parole da dire. Non in quel momento. Si sentiva troppo strano per parlare.

Lily lo vide avvicinarsi e, lentamente, lui le sfilò gli occhiali.

Non capiva perché lo stava facendo, ma non stava seguendo il suo cervello. Seguiva quel brivido che scorreva sulla sua schiena e che parlava solo di sangue, gonfiando le vene delle tempie.

Lilyanne aveva occhi viola, belli come non ne aveva mai visti prima, ma li copriva con quegli occhiali che ne mutavano il colore.

Non fece nulla per fermarlo, sentendo il battito del suo cuore accelerare mentre il respiro si faceva più profondo, le palpebre diventavano pesanti e la sua pelle pareva bruciare sotto gli abiti.

-Chi sei, Lily?-, la voce morbida di Clark la percorse come un’onda del mare scivolandole dentro.

Lilyanne sentì ancora una volta il breve capogiro che precedeva la catastrofe, crescere e ronzare sotto le sue tempie, come un sovraccarico di elettricità, prima di colpire alla base degli occhi con una vampata di caldo sulle gote, : stava fissando il suo sguardo troppo a lungo su Clark, sui suoi occhi verdi, sui capelli spettinati e sul suo corpo muscoloso e sensuale.

Troppo pericolosamente a lungo.

Serrò gli occhi.

Con un rapido gesto gli strappò di mano gli occhiali, li rimise e corse via, in cucina, lasciandolo impreparato, svuotato di quell’energia che aveva animato quel gesto impulsivo.

Udì uno strano rumore sordo, poi vetri infranti.

Quando accorse in cucina vide che il vetro della credenza era esploso e ovunque c’erano schizzi di acqua.

Lily piangeva, seduta per terra in un angolo. Aveva in mano gli occhiali spezzati in due e accartocciati.

Clark le si avvicinò e la strinse in un abbraccio caldo, cercando di calmarla.

Riuscì a farla alzare e la riportò nel salotto, facendola sedere sul divano. Vide che evitata il suo sguardo e non la forzò a spiegare quello che era successo.

In fondo, in qualche modo, dentro di sé intuiva e temeva cosa le fosse accaduto. Qualcosa che conosceva bene.

Fu lei a parlargli, quando si fu calmata. Stava sul divano tenendo le ginocchia strette al petto e ancora le lacrime le scendevano lungo le guance, scivolando sul collo e bagnando il maglione già zuppo d’acqua.

Lo implorò di non fare domande, di accettarla solo come una persona strana e un po’ pazza. Gli disse che, prima di arrivare a Smallville, si era documentata sulla nuova scuola e aveva letto dalla pagina del Torch delle stranezze che avvenivano in quella zona. Pregò Clark di considerarla a tutti gli effetti figlia adottiva di Smallville e di non indagare oltre.

-E’ meglio che io non ti veda più, Clark. Per il tuo bene…-, gli disse alzando lo sguardo su di lui e ferendolo con i suoi occhi brillanti e disperati, solo per un istante.

Gli stessi occhi disperati che aveva visto sul volto di Alicia, quando era andata a dirgli addio, una volta uscita dall’ospedale per il proiettile alla spalla.

Non voleva voltare ancora una volta le spalle ad una persona in difficoltà.

Scosse lentamente la testa facendole capire che non se ne sarebbe andato né l’avrebbe lasciata andare e le fece una carezza sul viso bagnato.

Lasciarono che i loro sensi si riempissero della luce e del brivido, ancora una volta, per un tempo imprecisato, fino a quando la sensazione non svanì e loro rimasero, affannati, a guardarsi negli occhi con sguardi diversi da prima..

Senza parlare.

Quando Clark tornò a casa sua era molto tardi: doveva aveva perso la cognizione del tempo rimanendo tutta la sera con Lily. Si sentiva diverso, quello che era successo, quell’energia strana... era come se fosse entrata i lui e avesse cambiato qualcosa, dentro, nel profondo, come se avessero condiviso l’anima, i ricordi, le emozioni e li avessero trovati uguali.

Johnatan e Martha Kent lo aspettavano in piedi, preoccupati ed arrabbiati per averli fatti stare in pensiero.

-Cos’hai da dire, Clark?-, chiese asciutto Jonathan.

Clark lo scrutò aprendo la bocca per parlare, poi scosse la testa e salì in camera sua, senza proferire parola.

-Non l’ho mai visto, così…-, Johnatan era preoccupato per l’espressione che aveva scorto sul volto del figlio.

-Io sì, una volta sola, e speravo di non dovere vederla più…-, disse Martha con voce flebile, sbiancando.

-Quello non era Clark, Johnatan. Era Kal-El…-



[1] “Che coss’è l’amor?” di Vinicio Capossela: ebbene sì, quella canzone mi piace tanto e ogni tanto mi piace mettere nelle mie ff il richiamo al suo titolo! Però le citazioni sono limitate al titolo, il resto è un’altra cosa!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Attrazione ***


1-

Capitolo 5 - Attrazione

Son of the Illusion Blog

Domenica 7 settembre 2003

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“Capire il male che ti ho fatto e sopravvivere:

questo è il dolore più grande che devo imparare a sopportare.

Non posso versare lacrime pensando al tuo sorriso che non rivedrò mai più,

non posso indugiare sulla tua tomba ricca di fiori,

non posso piangerti nel silenzio della notte,

perché so che farei rumore.

Sapere che la nostra felicità era così vicina e vederla sparire in attimo,

per causa mia:

questo è il peccato più grande che mi porterò nella tomba.

Sapere che un giorno lontano potrai perdonarmi:

questa è l’unica speranza che mi resta.

Tutto il resto scivola su di me come l’acqua sui sassi del fiume dove giocavamo da bambini.

Non voglio che altri mi guardino come mi guardavi tu,

non voglio che il tuo ricordo sbiadisca negli occhi di un altro,

non voglio che il tuo profumo venga cancellato dalla mia memoria.

Doveva essere solo nostro, il futuro.

Per questo non sarò di nessun altro,

così nessun altro correrà lo stesso rischio che hai corso tu.

Pagherò per il mio errore e il tuo ricordo sarà l’unica cosa che mi manterrà in vita.

Smetterò di essere la persona che sono, e tornerò ad esserlo solo quando mi ricongiungerò a te.

Perdonami.”

Una leggera brezza tiepida faceva ondeggiare le chiome degli alberi più alti che si aprivano mostrando brevi sprazzi di cielo azzurro intenso, che pareva sorridere alla primavera appena iniziata. Le prime rondini volavano sfiorando le cime più alte e riempiendo l’aria dei loro garruli saluti.

Era così tutti gli anni a Smallville: la bella stagione arrivava di botto, senza preavviso, come un vecchio amico di cui non ricordi neanche più la voce, che si presenta alla tua porta con due birre per continuare quella bella conversazione lasciata a metà.

Fin da quando era bambino, ogni anno, Clark scommetteva con sua madre sulla data dell’inizio della primavera e ogni mattina, a partire dalla metà di marzo, saltava giù dal letto e apriva la finestra della sua camera, tenendo gli occhi serrati, per rubare il primo soffio di vento caldo.

Era la prima volta, quell’anno, che vinceva la sua scommessa, ne era così sicuro che non aveva neanche tirato le tende della sua stanza ed era corso giù, cercando di nascondere un sorriso soddisfatto che traspariva dal suo sguardo dolce e sveglio, totalmente dimentico dell’espressione più selvaggia che aveva la sera prima.

Erano le sette e mezzo di lunedì mattina e tutto era perfetto.

Martha complice lo aveva guardato di sbieco e aveva risposto al suo sorriso sfornando la sua classica prima creazione gastronomica della stagione. Aveva voluto dimenticare quello che aveva letto la sera prima negli occhi del figlio, si era convinta che fosse stato solo un abbaglio dovuto forse alla stanchezza.

-Attento che scotta!-

-Mamma, ho una fame che potrei mangiare carboni ardenti!-, rispose Clark alle parole della madre mentre addentava una fetta di torta. Poi si versò del succo d’arancia, bevve il caffellatte bollente e schizzò fuori di casa dando al volo un bacio sui capelli della donna.

-Lo zaino!-, lo rincorse lei urlando e agitando la sua borsa rossa e nera davanti a sé: in un attimo se la vide sparire dalle mani e sentì un altro brevissimo schiocco sulla sua guancia.

-Finirà col farti male, un giorno o l’altro, se ti corre vicino così veloce-, Johnatan Kent apparve sulla veranda con alcuni attrezzi in mano, guardò la moglie e si gettò all’arrembaggio della sua fetta di torta.

-Va tutto bene, Martha?-, chiese sottintendendo ben più di quello che le sue semplici parole parevano dire.

Martha guardò nella direzione in cui era sparito Clark e alzò un sopracciglio.

-Direi che va tutto alla perfezione, Johnatan…-, scosse la testa e riprese a sparecchiare, convincendosi sempre di più che, prima che “alieno”, suo figlio era adolescente, e quello era il fatto più preoccupante.

Clark amava sentire il vento accarezzargli i capelli quando correva velocissimo nei campi che separavano la fattoria dei Kent dal centro di Smallville.

Ricordava ancora l’unica volta che aveva volato: sebbene quello che era successo fosse sparito dalla sua memoria, la sensazione che aveva provato era rimasta impressa in ogni molecola del suo corpo. Si era sentito libero come non mai, parte integrante del cielo e della terra sotto di lui, nelle sue vene era come se scorresse elettricità[1].

Era così che si era sentito il giorno prima a casa di Lily, come se avessero volato insieme per distanze incommensurabili, pur rimanendo fermi sul divano. E dopo avevano parlato, parlato fino a che la sete non li aveva colti e, asciugate le lacrime, il volto della ragazza aveva ripreso a sorridere.

Non era stato propriamente sincero con lei, così come sapeva che anche lei aveva nascosto il corpo dell’iceberg che nascondeva gelosamente, pur essendosi aperta come mai nessun altro aveva fatto con lui.

Gli aveva detto che fin da bambina era sempre stata diversa: suo padre, che era un medico, aveva fatto studi avanzati di fisica quantistica, chimica e biologia per cercare di capire cosa avesse, ma aveva tenuto le sue indagini nascoste, lasciando che lei indagasse da sola sulla sua diversità. E questo l’aveva fatta sentire ancora più isolata e strana.

Frequentava le elementari, quando tutto era iniziato: era in visita con la classe ad un museo didattico, di quelli dove gli assistenti fanno giocare i bambini con le attrezzature e i campioni, quando, inspiegabilmente, si era accasciata a terra come in preda ad un dolore atroce che aveva pervaso tutto il suo corpo. Gli altri bambini attorno a lei si erano spaventati iniziando a piangere.

Le loro grida erano l’unica cosa che ricordava.

Le dissero, quando fu più grande, che una maestra e una guardia del museo avevano tentato su di lei una respirazione artificiale e il massaggio cardiaco, mentre pareva che fosse in atto un’emorragia interna partita dalla mano destra, ancora stretta a pugno.

Non respirava più quando era arrivata l’ambulanza.

Avevano tentato di praticarle una tracheotomia, ma, le dissero, non erano riusciti a farla perché gli strumenti a loro disposizione si erano guastati.

Avevano messo il suo corpicino apparentemente senza vita sulla barella, l’avevano spogliata del giubbottino e a forza avevano aperto le sue mani ancora strette sui giochi didattici.

Poi era avvenuto il miracolo.

Non appena si erano allontanati a sirene spiegate, lei aveva iniziato a riprendere conoscenza e addirittura, arrivati all’ospedale, non aveva mostrato più alcun sintomo: i lividi erano spariti e piangeva perché non capiva cosa le fosse successo, cercando la mamma.

Per fortuna sua e della sua famiglia, era stato suo padre a visitarla per primo, perché quella mattina era di turno al Pronto Soccorso dell’Ospedale di New York.

Sua figlia stava bene, stando ai risultati dell’elettrocardiogramma e dai parametri evinti dal pulsossimetro, ma non era stato possibile fare un prelievo di sangue per valutare cosa avesse causato quel tremendo shock che gli avevano descritto. Era come se la sua morbida pelle di bambina fosse diventata resistente agli aghi. Lily non specificò se era stato un fenomeno temporaneo.

Nel mesi che seguirono, disse, lei aveva manifestato alcune prime stranezze, di cui però non volle parlare con Clark.

All’inizio Lily ricordava che suo padre la portava spesso nei laboratori dell’azienda dove lavorava quando non era all’ospedale. Era stato un brutto periodo, quello, che l’aveva privata della spensieratezza che le sarebbe spettata di diritto. La sottoponeva a tanti test, alcuni divertenti, altri dolorosi, altri inutili.

Poi, tempo dopo, era venuto via dal posto dove lavorava, aveva tenuto per sé i risultati conseguiti e aveva continuato a studiare la figlia a casa loro, ritirandosi anche dal posto all’ospedale.

-Lo faccio per proteggerti, tesoro-, le aveva detto una volta, guardando sconfortato i suoi occhini pieni di lacrime.

Clark non aveva voluto fare domande oltre quello che gli era stato raccontato, e le aveva confidato, da parte sua, quasi a giustificazione di quello strano fenomeno che li aveva coinvolti – e che era stato la causa della folgorazione del pc di Chloe il giorno prima, constatarono – che da piccolo era stato vittima di una tempesta elettromagnetica che aveva in qualche modo alterato alcune cose in lui: ma a Smallville rientrava nella normalità, così Lilyanne non indagò, a sua volta, oltre le parole che gli erano state dette.

Ma la descrizione così dettagliata di quello che era successo alla ragazza da piccola aveva lasciato Clark allo stesso tempo incuriosito e spaventato: se avesse dovuto descrivere quello che gli era capitato la prima volta che, nel loro campo di avena, sulla collina, aveva preso in mano un frammento di meteorite verde, non avrebbe saputo trovare parole più adatte.

Doveva rivedere ancora quella ragazza, e non solo per capire cosa gli fosse successo quando le loro mani si erano toccate.

Quando il giorno prima l’aveva vista in tuta da jogging, e quando aveva guardato nei suoi occhi viola, aveva sentito crescere in lui una forte attrazione che andava ben oltre la semplice curiosità.

I vestiti larghi e gli occhiali antiquati avrebbero potuto ingannare Pete Ross, ma lui sapeva guardare oltre.

Pensò che avrebbe potuto essere carino passare da casa sua e prendere insieme il pullman della scuola.

Attese fuori della sua porta per quasi mezzora, vedendo passare sul viale principale le due corse disponibili per arrivare puntuali a lezione.

Decise che evidentemente era già uscita di casa e si affrettò lungo la strada per correre a scuola, quando la vide uscire dalla porta affannata, con il sacco della nettezza in una mano, la giacca nell’altra e la cartella che spingeva con un piede, fuori di casa. Lily chiuse bene a chiave, si guardò intorno circospetta avvicinandosi per gettare il sacco al cassonetto davanti a casa, senza accorgersi che lui era poco distante e… sparì alla sua vista.

Vedere le foglie della siepe accanto alla sua casa muoversi come se ci fosse stata una ventata e partire a corsa alla supervelocità nella stessa direzione, fu un tutt’uno.

Stava correndo dietro alla ragazza con cui aveva passato la serata precedente ad una velocità che aveva osato mostrare solo al suo amico Bart. Cercò di rimanerle dietro, per non farsi vedere, ma quando lei si fermò di botto a circa un isolato dalla scuola, fu colto alla sprovvista e quasi non la travolse, prima di sparire dentro il portone del Liceo.

Era incredibile quello che era appena successo!

Clark non riusciva a capacitarsi dell’accaduto e stava con gli occhi sgranati in piedi davanti al suo armadietto chiuso, cercando di fare ordine nella sua testa e di schiacciare quell’insano pensiero che iniziava a solleticare come una piuma la sua fantasia.

-Buon giorno, Clark-, la voce di Lana, dolce come miele, lo fece tornare alla realtà. Si voltò verso di lei e vide che lo guardava perplessa, con le sopracciglia sollevate, in attesa che lui facesse qualcosa.

Era tanto tempo che non si ritrovavano da soli così vicini.

Si passò una mano tra i capelli con una risatina imbarazzata, cercò di coordinare i movimenti della sua mano con la chiave e la serratura dell’armadietto, ma i suoi libri franarono per terra con un sordo tonfo.

Lana si chinò per aiutarlo a raccoglierli.

-Ti ho visto uscire insieme a quella ragazza nuova, sabato sera-, disse Lana mentre gli porgeva alcuni fogli sparsi, -Cosa avete fatto di bello?- c’era qualcosa di strano nella sua voce.

Non era da lei fare domande a bruciapelo su quel genere di argomenti, e Clark preferì glissare.

-Niente, siamo andati subito a casa-, tagliò corto, poi vide Lana aggrottare le sopracciglia, leggendo qualcosa che era scivolato via dai suoi libri.

-“Grazie ancora per il tour, sono stata molto bene. Ci vediamo presto. Lily”. Deve abitare anche lei molto lontana dal Talon a quanto pare…-, la sua voce era diventata ruvida come la salsedine.

Restituì a Clark il bigliettino che Lily gli aveva lasciato alla fine della lezione del venerdì precedente e che lei aveva appena raccolto, gli fece un sorriso sforzato, e si diresse verso l’aula dove stava iniziando la sua lezione di Francese.

Clark rimase immobile, chinato per terra per raccogliere i libri, e la guardò allontanarsi senza riuscire a dire una sola parola per fermarla, mentre la campanella segnava l’inizio delle lezioni.

Riuscì ad entrare nella sua aula appena prima del professore e passò l’ora successiva a rimuginare su quanto aveva scoperto di Lilyanne.

Ancora una volta quell’idea assurda che aveva scacciato dalla sua mente la sera prima tornò imperiosa a farsi strada nel suo subconscio, nonostante i suoi sforzi per non pensarci.

Perché era così importante capire chi fosse quella misteriosa ragazza, per lui? Doveva essere abituato a fatti strani di persone fuori dal normale, ormai, come tutti a Smallville. Doveva aver imparato che c’erano persone capaci di polverizzarne altre con il solo tocco delle mani, o di risucchiarne tutta l’energia vitale, o che solo stringendoti a sé potevano teletrasportare entrambi a miglia e miglia di distanza, come Alicia.

Cosa avrebbe avuto di così diverso Lilyanne? Rientrava nella normale diversità di Smallville.

Rigirò tra le mani il foglietto con la scritta viola perdendo la cognizione del tempo, finché, quando la campana suonò, si rese conto di non aver preso neanche una riga di appunti della lezione.

Quando uscì dall’aula, Lilyanne era ad aspettarlo davanti al suo armadietto. Aveva pettinato i suoi capelli in una treccia raccolta sulla nuca e al posto del solito del suo solito stile extra-large indossava un twin set di maglia color pesca dal taglio decisamente antiquato e jeans scuri.

Clark notò che sul naso aveva una diversa montatura di occhiali, un po’ più piccola e tondeggiante. Le lenti erano sempre le stesse e mutavano il viola dei suoi occhi in un colore sgradevole.

Decise di fare finta di nulla per quello che aveva visto solo un’ora prima, e cercò di comportarsi naturalmente con lei, per quanto fosse una cosa un po’ complicata, visti tutti gli interrogativi che si poneva ormai da giorni.

-Dormito bene stanotte?-, gli chiese sorridendo, apparentemente tranquilla.

Clark annuì con non molta convinzione e pose la stessa domanda a lei.

-Ho dormito poco, perché… avevo da rimettere un po’ in ordine in cucina e poi dovevo sistemare questi-, disse indicando gli occhiali. Clark sollevò le sopracciglia, ma non fece domande.

-Volevo solo dirti che… sono stata davvero bene con te, Clark-, fece una breve pausa, - …ma è meglio se cerchiamo di non vederci più-, lo disse tutto d’un fiato cercando di mantenere un’espressione il più convinta possibile, ma dal suo sguardo triste era chiaro che avrebbe voluto l’esatto opposto di quello che chiedeva.

Non attese la risposta di Clark, lo salutò con un gesto della mano e corse a cercare l’aula di disegno, al piano di sopra, lasciandolo ammutolito con i libri in mano, per la seconda volta in quella giornata.

-Stai proprio perdendo punti, Kent, se ti fai liquidare così anche dalle racchie!-, disse una voce alle sue spalle.

Era Robert Greedy, perfettamente a suo agio nella nuova giacca dei Crows conquistata in una sola settimana e senza alcuna conoscenza nella squadra, a parte Pete.

Clark non cedette alla provocazione e, salutandolo con un sorriso sarcastico, se lo lasciò alle spalle, dirigendosi verso il Torch.

Chloe non c’era. Al suo posto, da dietro il monitor di un Apple, Clark vide spuntare la testa di Lois.

-Ciao Smallville! Sorpresa!-

Clark alzò gli occhi al cielo, -Ciao Lois, cosa ci fai qui? Quando riparti?-

-Che accoglienza affettuosa! Comunque, per la tua gioia, non riparto prima di quindici giorni. Sai, al College hanno stabilito una sospensione delle lezioni e quindi…-

-Perché, di solito tu segui le lezioni, Lois? Pensavo fosse un optional, per te!-

-Spiritoso. Ad ogni modo sono già passata da casa tua e tua madre è stata felicissima di vedermi. Ha detto che mi aiuta a trasferire le mie cose in camera tua più tardi! Ah… ti ho portato un regalo: è un abat-jour dei Transformers… ti ci vuole qualcosa di più aggressivo di quello di Winnie the Pooh, Smallville!-

Clark emise una specie di grugnito di disapprovazione, lasciò lo zaino per terra e si buttò, sconsolato, sul divanetto del Torch.

Lois rimase a guardarlo per qualche istante stringendo appena gli occhi: si era aspettata una reazione meno rassegnata. Non era da Clark fuggire alle sue provocazioni.

Si diede la spinta su una cassettiera di legno e scivolò sulla sedia con le ruote fino al divano, puntando i suoi occhi verdi dritti in quelli di Clark.

-Che hai, Smallville?-

Secondo Clark, uno dei peggiori difetti di Lois era quello -sempre e comunque- di riuscire a fargli dire quello che non le avrebbe mai voluto rivelare. Era odiosa, presuntuosa, sarcastica e indisponente oltre ogni limite, eppure, con lei, Clark sapeva di poter essere sincero, perché lei non lo avrebbe giudicato, semmai compreso, sebbene su questo avessero un tacito accordo.

La guardò dubbioso, lei alzò le sopracciglia nella sua classica espressione “sto aspettando”, poi le parlò.

-Sono stato appena scaricato da una ragazza…-

-Vai avanti-, disse lei arricciando le labbra, non senza lasciarsi scappare un sorriso vagamente irriverente.

-Solo che non c’è mai stato nulla tra noi, né io le ho dato modo di credere che potessi essere interessato!-

-Sì, va bene. Raccontala ad un altro questa balla. Deve per forza esserci stato qualcosa, Clark!-

-Diciamo che… abbiamo parlato molto, negli ultimi giorni-, Clark fu il più evasivo possibile.

-Ad ogni modo, non voglio indagare, se non vuoi raccontarmi. Ti dico solo questo: se in qualche modo sei interessato a lei, vai e cercala. Se se n’è accorta lei, devi per forza aver fatto qualcosa di cui ti sei accorto anche te, ma non lo vuoi accettare. Se invece non ti interessa affatto, allora ringrazia che non sia stata con te appiccicosa come spesso accade-

Gli sorrise tenendo le labbra serrate, si voltò e scivolò di nuovo verso il pc. Subito dalle casse uscirono i suoni di qualcosa che doveva essere un videogame di battaglie stellari.

Clark si concesse solo pochi secondi per pensare, si alzò e riprese lo zaino.

-Grazie Lois, sei stata illuminante, come al solito-, disse uscendo.

Lois lo prese come un caloroso ringraziamento, nel loro singolare modo di comunicare, e lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì alla sua vista.

Quel giorno non riuscì ad incontrare di nuovo Lilyanne. La cercò a scuola, pensando di trovarla impegnata in uno dei laboratori, poi passò da casa sua, ma era deserta, a parte E.T. che dormiva acciambellato sul divano in salotto.

La sera provò a chiamarla, ma non rispose nessuno.

Cenò con poco appetito e salutò subito i suoi, rintanandosi nel fienile.

Era tanto che non guardava le stelle con il suo telescopio. Il cielo limpido e la luna ancora giovane permettevano di vedere perfettamente il firmamento.

Clark cercò la costellazione dalla forma di una testa di lupo, di cui le aveva parlato una volta Kyla, ma non la trovò. Non era stato più capace di distinguerla, dopo quella volta, e le carte celesti che aveva non la riportavano.

-Chissà se Krypton era davvero l’occhio del lupo…-, si chiese, e il suo pensiero tornò senza volerlo a Lily.

La vide correre velocissima davanti a sé, la mattina, e pensò che la reazione che lui aveva avuto non era stata così sorpresa come sarebbe stato lecito aspettarsi.

Si meravigliò di se stesso e sorrise.

Il giorno dopo l’avrebbe trovata, era una promessa.

Durante tutta la mattina, il proposito di Clark non fu messo in pratica e Lilyanne non si fece vedere.

Quando fu ora di pranzo, Clark salutò sulla porta della mensa Pete e Chloe, che li aveva raggiunti, e si mise nuovamente alla ricerca di Lily.

Aveva deciso che era interessato a conoscere cosa nascondesse e cosa gli fosse capitato quella sera a casa sua.

La trovò seduta sugli spalti vuoti del campo di football della scuola, che sgranocchiava una mela[2] . Si avvicinò senza fare rumore, perché aveva paura che potesse scappare via, vedendolo arrivare.

-Sai, quella mela che stai mangiando, non è poi così genuina. Dovresti provare una delle nostre…-, disse sedendosi accanto a lei.

La prima reazione della ragazza fu un sorriso, felice di vederlo, poi si ricordò di quello che gli aveva domandato e si adombrò.

-Cosa ci fai qua, Clark? Sbaglio o ti avevo chiesto di non vederci più?-, lo disse senza alcun astio, forse con una punta di rassegnazione.

-E’ vero, me lo avevi chiesto, ma non mi hai dato alcuna spiegazione e poi… chi ti dice che io dia retta a tutto quello che mi dicono gli altri?-, sorrise sfrontato e divertito, sicuro che lei non se ne sarebbe andata.

Rimasero qualche minuto in silenzio, ascoltando il suono del vento che lambiva la loro pelle e scompigliava i loro capelli.

La squadra di football iniziò a rumoreggiare da dentro gli spogliatoi, segno che a breve sarebbero iniziati gli allenamenti e, con essi, anche le lezioni pomeridiane nelle aule del liceo.

-Clark, tra un po’ devo essere in classe-, disse Lily cercando di chiudere là la loro conversazione.

Il senso del dovere di Clark gli impedì di istigarla a saltare la lezione.

Mentre, in lontananza, la prima campanella squillava, si arrese e la salutò.

-Sarò davanti alla porta della tua aula quando finirà l’ora-, poi si fece più serio,-Lily, ho bisogno di parlarti, per favore…-

-Se sarai così veloce da trovarmi ancora lì, allora parleremo, ma, Clark, ti prego, non insistere…-, lo salutò voltandosi e sparendo sotto la gradinata.

Contaci”, pensò Clark e tornò verso l’edificio, mentre i primi giocatori dei Crows entravano in campo, lasciando fluire un soffio di malinconia tra i ricordi di Clark.

-Sono stato abbastanza veloce?-, la voce di Clark sorprese Lily mentre usciva dall’aula al termine della lezione, pochi secondi dopo che la campana era suonata.

Gli sorrise imbarazzata vedendo la sua via di fuga svanire. Clark stava fermo davanti a lei aspettando la sua prossima mossa.

Lo guardò scuotendo il capo, lo prese per un braccio e lo guidò fino al giardino dietro l’edificio, deserto a quell’ora, quando gli alunni tornavano a casa svuotando il liceo e il sole calava dietro l’orizzonte, colorando ogni cosa di rosso.

Gli si mise davanti guardandolo dal basso verso l’alto. Voleva chiarire quella situazione non voluta e chiudere con quella storia una volta per tutte.

-Senti, Clark, se sapessi quanto ti sono grata per l’appoggio che mi hai dato in questi giorni, capiresti che lo faccio solo per te. Io sono … pericolosa, e non voglio che ti accada niente di male. E poi… non sentirti in dovere di stare con me per via dell’imposizione del preside: so che sono una persona poco interessante e preferisco stare da sola, davvero. Per favore, salutiamoci qua-

Si tolse gli occhiali e lo fisso intensamente, sperando che lui accettasse le sue parole.

-Ti prego…-

Senza staccare gli occhi dai suoi, Clark le prese una mano e la strinse delicatamente tra le sue, sentendo una leggera scossa dentro di sé, come una scintilla che infiamma la paglia secca. Guardava la sua bocca che si muoveva, ma non ascoltava le sue parole: gli occhi viola lo chiamavano come il canto di una sirena.

Provò la familiare sensazione di essere comandato dai sui sensi, sentì dentro la testa il ronzio che precedeva l’esplosione, ma seppe controllarla. Solo un vago riflesso della sua energia trapelò nei suoi occhi che per un istante si accesero mostrando quello che ardeva dentro di lui.

Si chinò su di lei e la baciò, rispondendo a quello che la sua anima comandava al suo corpo, totalmente prigioniero dei suoi sensi.

Sentì un brivido attraversargli tutta la schiena e il sangue convergere in basso, nel suo ventre, mentre defluiva dalla testa con una vertigine. Sentì le sue labbra stendersi in un sorriso, mentre il suo bacio si faceva più audace.

Provò a resistergli, da principio, puntando le mani tremanti sul suo petto, per allontanarlo da sé.

Lui sciolse il bacio, guardandola ansimante per un istante. Gli scostò i capelli dalla fronte con una carezza.

Sentì le sue braccia scivolare dietro al suo collo e tirarlo a sé, cercando la sua bocca con labbra ardenti.

Le sue dita tremanti si insinuavano tra i suoi capelli, mentre la stringeva tenendola per la vita, mentre il fuoco diventava liquido e scorreva nelle loro vene, dimentichi di poter essere osservati, dimentichi della terra sotto di loro, dimentichi di quali fossero i loro nomi e i loro destini.

Fu come volare ancora, staccati appena dal suolo, mentre il flusso delle emozioni scambiate metteva a nudo le loro essenze, condividendo le sensazioni come in un unico essere.

Clark sentì le sue gambe vacillare per un istante, quando capì di non aver desiderato mai nessun’altra come in quel momento. Non Lana, non Alicia.

Si sentì folle e potente, e gli piacque.

Mosse una mano verso il suo volto, verso il collo lungo e sottile, scivolando tra i capelli e sorreggendo la sua testa mentre continuava in quel bacio appassionato che pareva non finire più, diventando a tratti dolcissimo, a tratti quasi violento, come se entrambi volessero impossessarsi fisicamente l’uno dell’altra. Sentì in bocca il sapore del sangue, ma non si fermò e continuò a baciarla, con ardore.

Non avrebbe saputo dire, in quel momento, a chi appartenesse.

D’un tratto la sentì irrigidirsi e staccare la bocca bollente dalla sua. Si sentì di nuovo con i piedi per terra.

Vide nei suoi occhi sgranati lo stesso fuoco che sentiva di avere dentro di sé, vide il suo volto terrorizzato mentre cercava di allontanarsi spostando lo sguardo lontano da lui.

Poco distante un ciuffo d’erba si incendiò come acceso da un’energia invisibile; poi un altro ancora, e uno un po’ più distante, mentre il volto di Lily era contratto in una smorfia di terrore.

Da i suoi occhi uscivano fasci di energia e lacrime, che le rigavano il volto brillando alla debole luce delle fiammelle isolate.

Durò poco più di pochi secondi, un lampo veloce, e tutto era passato, poi lei si lasciò scivolare verso il basso, come priva di energie.

Clark fu subito pronto a sostenerla, prima che toccasse terra, e la strinse a sé, senza dire una parola, mentre la sentiva singhiozzare in silenzio, disperata, aggrappata con le mani alla sua maglia.

Clark si portò una mano alla bocca e sentì che aveva una piccola ferita sul labbro: quindi il sangue era il suo… com’era possibile?

Poi guardò meglio Lilyanne e vide che anche lei aveva un piccolo graffio sulle labbra rosso carminio.

Scosse la testa non riuscendo a capire cosa stesse succedendo e la strinse più forte, spostandole ancora con la mano la lunga frangia e scoprendo la sua fronte imperlata di sudore.

Era bella, Lily, come aveva immaginato, con il volto stanco e preoccupato, le labbra rosse che risaltavano sulla pelle chiara e i suoi occhi che rilucevano per le lacrime intrappolate tra le lunghe ciglia nere , le mani sottili dai polsi esili strette alle sue, il petto che si alzava e abbassava mentre il respiro tornava normale.

In lontananza il suono di una campanella avvertiva gli studenti del liceo che la scuola stava chiudendo, Clark sentì gli ultimo studenti abbandonare l’edificio e vide le luci della palestra spegnersi dietro a loro.

Si sentiva come sospeso in una bolla senza tempo, aspettando che la ragazza fosse pronta a guardarlo nuovamente negli occhi.

-Hai visto quello che ho fatto?-, gli domandò senza staccare il volto dal suo petto, tenendo gli occhi ancora chiusi, con voce appena udibile.

Clark sospirò e portando una mano al suo viso asciugò le lacrime dalle sue guance, carezzandola perché aprisse gli occhi.

-Lily… è successo anche a me, ma posso aiutarti a controllarlo-, le disse piano, scoprendosi, con voce morbida, tenendola abbracciata.

Lei lo guardò stupefatta allontanandosi e mettendosi in ginocchio, davanti a lui. Gli prese la mano.

-Aiutami-, chiese semplicemente. Tutto quello che poteva non conoscere di lui, le era apparso chiaro quando si erano uniti in quell’indimenticabile bacio.

-E’ meglio andare via di qui, ora, se stai bene-, le chiese preoccupato, lasciando la sua mano tra quelle di Lily.

Uscirono dall’area della scuola da un buco nel recinto posteriore, via di fuga storica di generazioni di allievi della scuola, ignorata volontariamente dai vari capi d’istituto nel corso degli anni.

Poco dopo di loro, dallo stesso accesso, uscì una persona con il capo coperto dal cappuccio di una felpa arancione. In mano aveva gli occhiali di Lilyanne dimenticati nell’erba e tremava di rabbia e delusione.

Clark portò Lily alla sua fattoria, mentre il sole spariva dietro le colline ad ovest di Smallville.

Si sentiva più vivo che mai, avrebbe voluto correre e urlare, per liberare l’energia che aveva dentro e che lo spingeva a stringere ancora la mano di Lily.

Scambiarono appena poche parole lungo la strada e quando giunsero alla sua casa, Clark la fece entrare nel fienile e la fece accomodare sul divanetto davanti al tavolo.

-Aspettami qua-, le disse, e corse in casa a prendere qualcosa da mangiare.

Lily rimase ferma, decidendo che non avrebbe curiosato tra le cose di Clark. Era ancora confusa per quanto era avvenuto solo pochi minuti prima. Non si era mai sentita così, prima, in vita sua.

Era stato come se ogni particella del suo corpo fosse stata attratta da Clark, come se non fosse il suo cervello a decidere le sue azioni, ma fossero state dettate dal sangue che aveva sentito ribollire nelle vene, fino a trovare la strada per arrivare a lui, mischiandosi al suo in quel bacio sorprendentemente intenso.

Aveva tradito la promessa che si era fatta tanto tempo prima. E di nuovo aveva rischiato di perdere tutto.

Clark fu rapidissimo a tornare. Aveva in mano un vassoio con dei dolci ancora caldi e una brocca di latte. Era chiaramente confuso, non meno di lei, ma sorrideva sincero e felice.

Nell’attesa, Lily aveva sciolto i suoi capelli che ora ricadevano lunghissimi fino al divano in morbide onde scurissime, con riflessi ambrati e aveva fermato le ciocche più corte con delle pinzette di osso, che aveva nella borsa. Aveva lasciato, per la prima volta, che la sua natura non fosse nascosta da tutti quegli espedienti che, negli anni, aveva elaborato per “non apparire”.

-Stai bene così-, disse Clark, imbarazzato, sfiorando appena i suoi lunghi capelli, -Perché non ti mostri sempre per quello che sei?-

Lily nascondeva un corpo invidiabilmente morbido e perfetto sotto larghi maglioni, copriva il suo volto con la frangia e quei grandi occhiali spessi e fuori moda, camminava leggermente curva con la testa un po’ incassata tra le spalle e arricciava le labbra in modo strano, quando sorrideva agli altri, per apparire più brutta.

Abbassò lo sguardo, sollevando le spalle, in un gesto di rassegnazione.

-Perché è questo che sono, Clark, una persona orribile…-

-Non è vero, e lo sai benissimo, Lily. Tu sei… bellissima-

La vide arrossire e abbassare lo sguardo, non riuscendo a trattenere un sorriso vergognoso, poi iniziò a raccontare.

-Non è così, Clark. Io sono responsabile della morte dei miei genitori e… del ragazzo che amavo-, confessò, alzandosi in piedi e guardando fuori, verso i campi coltivati.

-Io e lui praticamente siamo cresciuti insieme. Eravamo compagni alle scuole inferiori. All’inizio non potevamo sopportarci, poi accadde una cosa, quando avevamo dodici anni. Ero sola con lui nel laboratorio di mio padre, perché ci avevano costretto a preparare insieme una ricerca per la scuola, quando lui iniziò a curiosare ovunque aprendo cassetti e tirando fuori dalle scatole ogni oggetto che trovava. Io mi arrabbiai moltissimo e… beh, diciamo che mi avventai contro di lui perché la smettesse di fare tutto quel casino, quando lui aprì un’ultima scatola. Fu questione di attimi e io mi ritrovai a terra rantolando dal dolore, come se mi fosse tornato un altro attacco come mi era accaduto da bambina. Credetti di morire. Fu lui che mi aiutò e mi strinse forte a sé, terrorizzato, urlando che non voleva perdermi, perché mi voleva bene. Mi trascinò fuori dalla stanza, chiamando aiuto, ma eravamo soli, in casa. Mi fece stendere per terra, nell’altra stanza e andò verso il telefono, per chiamare il 911. Fui io a fermarlo: così come era venuto, quel misterioso attacco era passato, lasciandomi solo un po’ di fiatone. Da allora divenimmo inseparabili. Non so cosa avesse fatto, ma mi aveva salvato la vita-, Lily si fermò, riflettendo sulle sue ultime parole e sospirò.

-Poco dopo ci trasferimmo a Gotham City, lui non poteva permettere che ci dividessero e mi promise che mi avrebbe raggiunto, quando ci saremmo iscritti al liceo. Fu allora che venne a vivere con noi e, per me, era come avere un fratello. Stavamo sempre insieme e ci divertivamo a fare scherzi agli altri, alle feste, come due ragazzi normali. Ma il tempo ci fece dimenticare i due bambini che bisticciavano sempre e, crescendo, crebbe anche l’attrazione tra noi. Circa due anni fa, per sbaglio, entrai in camera sua per portargli dei panni stirati mentre lui stava vestendosi. Fu la prima volta che mi sentii… beh, insomma, fatto sta che riuscii appena a chiudermi la porta alle spalle che quagli strani raggi uscirono dai miei occhi friggendo il muro, davanti a me. Mio padre si accorse dell’accaduto e riprese a studiarmi, in segreto, la notte, quando gli altri dormivano. Non gli dissi mai cosa aveva scatenato quella reazione in me, ma lui giunse alla conclusione che, qualunque cosa fosse stata, avrebbe potuto accadere di nuovo e così fabbricò per me degli occhiali di vetro con alta percentuale di piombo polarizzati in laboratorio e temprati a temperature elevatissime. Mi disse che avrei dovuto portarli sempre, per sicurezza. Ma io non ubbidii-, si voltò verso Clark trafiggendolo con i suoi occhi viola pieni di lacrime.

-Qualche tempo dopo, una sera dopo cena, accadde che io e Greg eravamo insieme a studiare, sul tavolo di cucina, mentre i miei stavano in salotto. C’era un’atmosfera strana, ci scambiavamo occhiate di continuo. Io lo sapevo che anche lui provava qualcosa per me… era come se galleggiassi su una nuvola… Fu lui a prendermi la mano per primo e mi fece una carezza. “Non dire nulla”, mi disse, e si avvicinò. Io sentivo il cuore battere all’impazzata, lo ricordo ancora, sentivo la testa iniziare a girare. Mi tolse gli occhiali e io lo lasciai fare, perché sapevo che mi facevano apparire brutta, e io non volevo essere brutta ai suoi occhi. Poi di nuovo si avvicinò, stringendomi alla vita, e poi… successe di nuovo quella cosa, ma io non riuscii a capire i segni del mio corpo e mentre stava per baciarmi aprii gli occhi…-, aveva la voce spezzata dai singhiozzi e non riuscì ad andare avanti.

Clark si avvicinò a lei e le asciugò con i pollici le lacrime che bagnavano il suo volto. Lily prese un respiro e proseguì.

-Non credo che si sia accorto di morire. Accadde tutto velocemente. Un attimo prima mi stava per baciare e un attimo dopo era per terra, davanti a me e... e… non aveva più la faccia. Non riuscivo a fermarmi. Mi voltai intorno disperata colpendo con questi maledetti raggi i mobili della cucina, il tavolo, i fogli su cui stavamo studiando… mio padre e mia madre accorsero subito, ma ormai Greg non respirava più, ed io ero in preda ad un attacco violento di panico: urlavo e non la smettevo di piangere, non volevo che mi allontanassero da lui. Colpii violentemente con un calcio mia madre, che battè la testa contro un mobile e perse i sensi. Mio padre fece qualcosa e… poi ricordo solo di essermi svegliata qualche ora dopo nel mio letto. Mi sentivo spossata e stanca come mai prima d’ora. Il funerale di Marc fu fatto due giorni dopo. Vennero i suoi e se lo riportarono a New York. Non seppero quello che era successo. Io non volli vederli e rimasi chiusa nella mia stanza per tutto il tempo. Da allora decisi che sarei stata lontana da ogni persona e mi chiusi in un’asocialità insana, nascondendomi alla vista degli altri. Volevo diventare invisibile. Comunicavo con il mondo solo tramite i miei articoli e quello che scrivevo qua e là, dove capitava. Avevo paura del mostro che ero diventata, e non volevo più che nessuno si avvicinasse a me. E avevo ragione.-

-Nonostante tutti i miei sforzi e l’affetto che i miei avevano comunque continuato a nutrire nei miei confronti, le precauzioni prese da mio padre non furono sufficienti. Qualunque fossero i miei poteri distruttivi, le lenti che mio padre aveva pensato per me non bastarono a fermare quello che accadde pochi mesi dopo. Avvenne qualcosa, in quei giorni, qualcosa fuori dalla mia portata e che non era legato a niente che mi fosse avvenuto prima. Sviluppai altre strane stranezze che avrebbero dovuto mettermi in guardia, perché inattese e violente. Non volli ascoltare il mio corpo, ancora una volta. Poi mi sentii male, come se tutte le energie mi avessero abbandonate senza motivo, e svenni. Era come se fossi alimentata con la corrente, che andava e veniva. Ma quando aprii gli occhi e vidi i miei attorno al mio letto, allora, accadde qualcosa che non potei fermare in alcun modo. Di nuovo quei dannati raggi incontrollabili: la mia stanza prese fuoco in un attimo e prima che i miei potessero scappare, prima che io potessi fare qualcosa per loro, di nuovo le forze mi abbandonarono e svenni una seconda volta, come una pila che si scarica. Intanto le fiamme erano scese lungo il tappeto per le scale e poi lungo la boiserie dell’ingresso, verso la cucina, fino ai tubi del gas. Saltò tutto in aria. La mia casa, la mia mamma, mio padre: bruciò tutto in un istante. L’esplosione fu sentita a chilometri di distanza. Tutto sparito, finito-, fece una pausa.

-Mi trovarono con gli abiti strappati e bruciati incollati alla pelle solo la mattina dopo, quando fu spento l’incendio. I miei non c’erano più, mentre io ero semplicemente svenuta ed ero sporca di fuliggine. Credo che sia stato il mio tutore a mettere a tacere ogni voce a riguardo e a chiudermi in quella clinica, per un po’ di tempo, finché le chiacchiere non si furono calmate. Poi mi disse che dovevo trasferirmi qui-

Clark pensò al rischio enorme che aveva passato Lana, quando anche a lui era successa una cosa simile, al Talon, e sospirò. Quel momento sembrava perdersi così lontano nel tempo, ormai.

Guardò Lily e, stavolta consciamente, si interrogò su chi fosse davvero. Correva come una saetta, lanciava fuoco dagli occhi… possedeva anche una forza sovrumana e poteva vedere attraverso gli oggetti?

La guardò cercando una risposta dentro di lei.

O dentro se stesso.

Non lo sapeva.

-Mi stai guardando come se fossi un mostro, Clark. Te l’avevo detto di stare alla larga da me!-, si voltò per andarsene, ma Clark la trattenne per un braccio.

-Aspetta! Te l’ho già detto: è successo anche a me e ora posso controllarlo-, era deciso a non lasciarla scappare via, anche a costo di rivelarle il suo segreto.

Lily indugiò un istante, poi si lasciò condurre lontano dalla casa, in un campo isolato e, ormai, illuminato solo da uno spicchio di luna.

Clark raccolse una piccola balla di fieno e la mise a distanza da loro.

-Prova a centrarla con quel raggio-, le disse.

Lily lo guardò alzando le sopracciglia, -Non posso farlo a comando!-, protestò.

-Sì che puoi: guarda-

La balla di fieno prese fuoco e Lily potè vedere perfettamente gli occhi di Clark mutare dal verde al fuoco e poi tornare di nuovo verdi e profondi, rassicuranti. Era rimasta con la bocca socchiusa e si accorse che stava trattenendo il fiato.

-Fallo tu, ora, prova a concentrarti-

-Clark… io non so come tu lo fai, ma nel mio caso è una reazione che io non comando ad un particolare impulso che… beh, a te!-, confessò arrossendo.

-E allora mira a me-, disse Clark, mettendosi davanti a lei.

-Ma cosa dici? Lasciami in pace, Clark!-, urlò voltandosi e iniziando a camminare veloce, allontanandosi.

Clark corse alla supervelocità e si mise davanti a lei, lasciandola di stucco.

-So fare anche questo… Fidati di me, non mi farai male-

Lily lo guardò dubbiosa e confusa,ma lui la incitò con lo sguardo. La vide stringere i pugni e le labbra in un evidente sforzo di concentrazione, ma non accadde nulla.

Riprovò ancora, poi si arrese.

-Non siamo uguali, Clark, io non sono in grado di fare quello che fai tu!-, gridò disperata.

La tenne ferma stringendola alla vita, avvicinando il volto al suo fin quasi a sfiorarla, fissandola con smeraldi infuocati. Un gioco pericoloso, perché poteva non tornare indietro, come nel pomeriggio e cedere ancora alla passione che di nuovo spingeva prepotente dentro di lui, levandogli il respiro.

Lily sentì il cuore battere all’impazzata, provò una vertigine. Sentì come una piccola scossa dentro la testa, dietro gli occhi, avvertì i muscoli dietro le orecchie contrarsi, le palpebre aprirsi e subito dopo stringere, la messa a fuoco mutare.

I suoi occhi cambiarono colore brillando per un istante, poi non riuscì a trattenere il raggio.

Clark sparì appena in tempo dalla traiettoria e si fermò accanto a lei.

-Wow…!-, disse.

Lei lo guardò a metà tra lo spaventato e l’esaltato.

-Se hai sentito quello che è successo dentro di te ora, prova a ricrearlo, concentrati su quella balla di fieno. Puoi farcela-

Lily contrasse le palpebre e i muscoli sulla testa, trattenne il respiro, ricercò dentro di sé quella scintilla, strinse gli occhi e sentì che divenivano infuocati. Si concentrò sul bersaglio e li riaprì velocemente.

Il fieno prese fuoco e Lily si voltò verso Clark, incredula per avercela fatta.

Altri raggi le sfuggirono e colpirono Clark di striscio, prima che potesse correre via.

-Ehi! Calma, occhi viola!-, dalla manica della giacca usciva un sottile sbuffo di fumo.

Lily corse da lui preoccupata e lo aiutò a sfilarsi la giacca e la maglia, che stavano bruciando. Afferrò il suo braccio, controllando che stesse bene e vide solo un piccolissimo graffio, che non sanguinava.

Gli si buttò al collo, con cuore che batteva velocissimo, terrorizzata per quello che sarebbe potuto accadere, chiedendogli scusa infinite volte.

Clark sorrise e attese che fosse lei ad allontanarsi. Poi sentì che lei abbassava la testa appoggiandosi sulla sua pelle.

Lily teneva il volto appoggiato al petto nudo di Clark, poteva sentire il suo odore che le riempiva le narici, fino alla testa, il suo cuore non rallentava. Sentì ancora la scintilla nella sua testa, ma, quella volta, seppe controllarla.

Inspirò profondamente e si staccò da Clark, sorridendogli, più calma.

-Proverò ancora, Clark, ma voglio che tu stia lontano da me, per favore-, si chinò e raccolse la maglia e la giacca di Clark, un po’ bruciacchiate sulla manica destra e gliele porse.

Clark, seminudo davanti a lei, arrossì. Sperò che la luce della luna non fosse sufficientemente forte perché lei se ne accorgesse.

Si allontanò a distanza di sicurezza, comprendendo la paura della ragazza, specie dopo quello che gli aveva confidato e la osservò esercitare questo strano potere sul fieno che bruciava in un attimo, lasciando solo una piccola area di prato sciupata.

Rimase a guardarla a lungo, finché fu lei a fermarsi e si avvicinò si nuovo a lui.

-Ti chiedo scusa per prima-, disse, poi socchiuse gli occhi e fu più diretta.

-Ti chiedo scusa anche per quello che è successo dietro la scuola oggi. Ho visto come… guardavi quella tua amica al bar e poi a scuola, e credo di non sbagliare a dire che è stata lei che per poco non hai colpito con i tuoi occhi, non è vero?-

Clark non aspettava un discorso del genere, aggrottò le sopracciglia e, sebbene un po’ controvoglia, annuì in silenzio.

Lily gli sorrise e deglutì.

-Devo andare, ora, è troppo tardi. Grazie per tutto, Clark. Il tuo segreto è al sicuro con me… tu, per favore, non dire a nessuno quello che sai di me-

Clark non fece in tempo a risponderle, perché era già corsa via, attraverso i campi, a grande velocità. Credette di leggere un’ombra di delusione nei suoi occhi.

Tornò lentamente verso casa, riflettendo su tutto quello che era accaduto in quella lunghissima giornata, interrogandosi sul suo comportamento nei confronti di Lilyanne.

Poteva ancora sentire sulla sua bocca il sapore del bacio che si erano scambiati, ricordare la passione che si era impossessata di lui quel pomeriggio. Una sensazione che non aveva mai provato prima e che coinvolgeva ogni molecola del suo corpo. Era come una calamita di segno opposto che lo attraeva senza che nulla potesse impedirlo.

Quando arrivò alla sua camera, aprì la porta e, nel buio, raggiunse il letto e ci si buttò sopra.

C’era qualcosa di strano. Qualcuno era sul suo letto e si rigirò verso di lui, mettendo un braccio sul suo petto.

-Stai con me…-, farfugliò la voce addormentata di Lois.

Si era completamente dimenticato di lei! Inorridì scivolando via dal suo abbraccio involontario e uscì silenziosamente dalla stanza.

Corse in bagno, accendendo la luce levando un sospiro di sollievo per non aver svegliato “la bestia”.

Si avvicinò al mobiletto sopra il lavandino e si osservò nello specchio: la piccola ferita che aveva sul labbro inferiore era ancora lì, e bruciava come fosse stata incisa con il fuoco.

Il fuoco…

Uscì di casa e andò a dormire sul divano nel fienile, coprendosi con una coperta piccola e vecchia.

Aveva intuito una cosa, quel pomeriggio, qualcosa che sembrava essere arrivata a lui non con il ragionamento, ma filtrando direttamente nelle sue vene.

Se quello che ogni sua cellula gli stava urlando era vero, forse, non era solo sul pianeta Terra…



[1] Tratto dal film “Billy Elliot

[2] Tributo al più grande passatempo del sempre verde André Grandier, creatura di Riyoko Ikeda, “Versailles no Bara”

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - L'intervista ***


Capitolo 6: L’intervista

Capitolo 6: L’intervista

Son of the Illusion Blog

Domenica 28/12/2004

1 comments:

“C’è qualcosa dentro di me, qualcosa che, se la rivelassi al mondo,

mi costerebbe l’emarginazione.

Rimarrei sola, forse oggetto di curiosità morbose, ma sola.

I miei amici mi guarderebbero con disprezzo, mi eviterebbero come se fossi

un’Intoccabile della casta più infima.

C’è un’energia che mi brucia dentro e che cerca di liberarsi,

per vivere la mia natura diversa.

Chi ha conosciuto il mio segreto, in un modo o nell’altro,

ha pagato per colpe non sue e ora

non c’è più.

Vorrei urlarlo al mondo,

alle volte,

a chi mi chiede perché non riesco ad essere me stessa e a dare la mia fiducia agli altri,

ma ho paura che dopo essi siano risucchiati nel vortice

della mia menzogna e non mi accettino,

non perdonino il mio silenzio.

Non so cosa sono,

ma quello che sono,

nessuno lo saprà mai.

-----------

1 COMMENTS:

The Daffodil says:

… è terribile… è andata così a me e ora sono rimasta sola e emarginata, come una cosa disgustosa, una creatura mostruosa. Chissà se lui, ogni tanto, pensa ancora a me…

In fondo lo so: l’ho perso per sempre…

Posted at 2:26PM 14/02/2004

Clark arrivò a scuola in ritardo, la mattina successiva. Era riuscito a prendere sonno solo alle prime luci dell’alba e non aveva con sé la sveglia, che era rimasta sul suo comodino, vicino a Lois, né aveva sentito i primi richiami di sua madre, dall’aia davanti casa.

Quando era sceso, sua madre non gli aveva rivolto la parola. Suo padre, quando lui era rientrato in cucina con la faccia sconvolta e i capelli spettinati, aveva la faccia nera.

Clark aveva intuito che il temporale si sarebbe sfogato su di lui, così, rassegnato, si era seduto al tavolo incrociando le mani davanti a sé.

-Avanti, non tiratela per le lunghe. Ditemi quello che mi volete dire e facciamola finita-

-Facciamola finita, Clark? E’ quasi una settimana che hai preso questa casa per un albergo! Torni solo per dormire, la sera sei sempre fuori casa e non ci dici dove vai, ti sei dimenticato delle tue faccende, e stamattina non sapevamo dove fossi finito, perché in salotto c’erano solo la coperta che ti avevamo lasciato e il tuo pigiama ancora piegato. E ieri sera tua madre ti ha visto portare una ragazza nei campi, al buio! Spero che tu non abbia passato il limite un’altra volta Clark perché sarebbe davvero…-

-Jonathan, calmati adesso!-, Martha si era avvicinata a Clark e aveva posato una mano sulle sue, -Se c’è qualcosa che ti turba, Clark, se qualcosa non va bene, devi parlarcene, perché solo rimanendo uniti possiamo affrontare i problemi. Tuo padre ed io vorremmo che…-

-Vorreste controllare ogni mia mossa, lo so bene! Ho diciotto anni, mamma! Sono grande a sufficienza per poter vivere da solo la mia vita. Non ho più bisogno di voi che mi dite cosa fare o cosa non fare!-, Clark era balzato in piedi, staccandosi dal contatto con sua madre.

-Attento a come parli, ragazzo!-, Jonathan era furente.

-Perché sennò che fai? Mi minacci con la kryptonite?-

Entrambi erano rimasti in silenzio alle parole del figlio. Johnatan era uscito di casa, sbattendo la porta alle sue spalle, Clark, aveva sospirato profondamente, serrando le mascelle e deglutendo.

-Tuo padre ti ama profondamente, Clark, e se entrambi parliamo così è perché siamo preoccupati per te. Ieri sera ha chiamato Chloe, preoccupata perché non ti aveva visto alla lezione di Matematica del pomeriggio. Sei tornato a casa e ti sei subito chiuso nel fienile e poi… chi era quella ragazza, Clark? Tu sei un ragazzo così bello e onesto e noi siamo preoccupati per quello che le altre persone potrebbero indurti a fare. E’ già successo che tu scappassi con una ragazza e quello che ti è successo non è stato bello, Clark-

Alicia

Sua madre stava dicendo che Alicia lo aveva raggirato per farne il suo giocattolo.

-Vedi mamma… è vero, Alicia mi aveva drogato con la kryptonite rossa, ma aveva ragione: quello che è successo è solo quello che io volevo che succedesse. Ma l’ho capito troppo tardi, quando ormai lei non c’era più…-, fece una pausa, tenendo la testa bassa. Poi la fissò negli occhi.

- Ti prego, mamma, ho bisogno di poter essere padrone delle mie scelte, ho bisogno di sbagliare da solo…-

-Ben detto, Smallville. A proposito, ne sai nulla di questa? Era sul mio letto, stamattina. Ah, pardon, sul “tuo” letto!-, aveva detto Lois scendendo dalle scale ancora in pigiama, con la giacca bruciacchiata di Clark in mano.

Martha aveva abbassato lo sguardo, colpita dalle parole del figlio.

Quando Lois era sparita dietro la porta del frigo, Clark aveva rivolto alla madre un’occhiata più forte di cento parole e sfiorandole la mano con la sua, era uscito.

La nottata passata in bianco non aveva portato le risposte che Clark sperava di trovare, semmai aveva ancora di più confuso quello che si agitava dentro di lui.

Il breve sonno che aveva fatto era stato scosso da un sogno che ricordava appena, al suo risveglio.

C’erano Lana e Alicia, opposte tra loro come bellissime guerriere, lui era nel mezzo e più avanzava verso una, più l’altra lo tirava a sé e viceversa, come Gano legato ai cavalli che correvano in direzioni opposte.

Intorno a loro divampava un incendio che bruciava le case e le urla d’aiuto delle persone care laceravano la sua volontà. Ma arrivava una terza guerriera, portando sull’armatura un simbolo kryptoniano marcato a fuoco, che riusciva a liberarlo da Alicia, facendola sprofondare negli abissi, mentre chiamava ancora il suo nome e da Lana, che si allontanava con occhi fiammeggianti, sparendo tra le fiamme. Non aveva visto in volto la terza donna, ma, quando si era voltata per spegnere l’incendio intorno a sé, aveva notato sulla sua schiena nuda, in alto, un altro simbolo simile ad un rombo con un cerchio in basso.

Prima che potesse avvicinarsi a lei per farla voltare, si era svegliato, madido di sudore, per la voce della madre che lo chiamava da dietro la porta.

Quando arrivò a scuola, incontrò Chloe che usciva dal Torch chiudendo a chiave. La salutò, ma lei rispose freddamente.

-Sono di fretta. Magari ci vediamo dopo-, fece qualche passo, poi si voltò con espressione tesa.

-Clark, per favore… stai attento. Lo so che tu sei sempre pronto a dare la tua fiducia totale alle persone, ma… ecco, stavolta stai attento…-

Clark la guardò aggrottando le sopracciglia, non capendo quello che volesse intendere. Chloe si voltò per andarsene, ma lui la fermò mettendole una mano sulla spalla.

-Che vuoi dire?-

Chloe prese aria: era preoccupata e al contempo nel suo sguardo si poteva leggere un velo di rabbia. Lo guardò sperando che non ci fosse bisogno di spiegare quello che intendeva, ma Clark scosse la testa.

-Clark, quella ragazza, Lilyanne… non sono sicura che sia a posto. Ho paura che sia d’accordo con Lionel Lu-

-Basta così, Chloe! Finora ho sempre cercato di difenderti e di capire quanto il tuo comportamento fosse legato all’interesse che hai per il Torch, ma ora basta! Non puoi inventarti illazioni contro di lei solo perché il preside ha pensato che, giustamente, servirà un sostituto alla guida del giornale per l’anno prossimo. Basta!-, disse e, senza salutarla, le voltò le spalle e cercò di entrare al Torch, ma la porta era chiusa.

-Aprimi, Chloe-

-E’ questo che pensi, Clark? Che io sono solo gelosa di lei?-

Clark cercò di contenere l’arrabbiatura.

-Per favore, apri la porta, ho bisogno di guardare una cosa sul computer…-

-Mi dispiace, Clark, ma non puoi entrare ora, io devo andare-, disse e, tremando, si allontanò. Poi tornò sui suoi passi, scura in volto.

-Quando vedi la tua nuova amichetta, ricordale che alle tre abbiamo fissato l’intervista per il Torch-

Clark non le rispose.

-Ah… E dille anche che ieri ha perso i suoi “bellissimi occhiali” nel giardino dietro la scuola…-, se ne andò senza aggiungere altro, indossando al volo la sua felpa arancione.

Chloe li aveva visti! Clark pregò che non avesse assistito anche a quello che aveva fatto Lily, ma, pensò, in fondo si era trattato solo di pochi ciuffi d’erba bruciati; forse da lontano non se ne sarebbe potuto accorgere nessuno.

Era per questo, allora, che era così astiosa nei suoi confronti. Eppure non era da lei inventare balle per soddisfare il suo spirito di protezione nei suoi confronti. Aveva passato il segno, ma allo stesso tempo era dispiaciuto per una tale reazione: chissà che idea si era fatta di lui, che solo poche settimane prima stava seduto davanti alla tomba di Alicia in uno stato dal quale, se non fosse stato per i suoi amici, non sarebbe uscito tanto velocemente.

Ripensò al suo gesto del giorno prima: era stato troppo avventato. Aveva dato ascolto solo a quello che gli diceva il suo corpo, senza pensare, prima di agire. Era stato scorretto e troppo impulsivo. Lily non se lo meritava.

Chloe uscì come un treno dall’edificio, evitando lo sguardo delle persone che incontrava.

-Lasciami stare, Pete-, disse al suo amico che, vistola così strana, aveva provato a parlarle.

Si fermò dietro la scuola, sedendosi ad un tavolo isolato: poco importava saltare la lezione di inglese, doveva accertarsi di alcune cose molto più urgenti.

Dalla borsa che portava stretta al fianco estrasse un fascicolo di fogli e stampe di fotografie, prese fiato e, cercando di mantenersi il più possibile imparziale, iniziò a ricostruire il puzzle che era la vita di Lilyanne Leibniz.

Aveva passato la notte e metà della mattinata a cercare ovunque tra gli schedari della scuola e su internet qualsiasi informazione su di lei, aveva contattato alcune conoscenze agli uffici dell’anagrafe di Metropolis e aveva raccolto una sfilza di fatti strani degni della parete delle stramberie. Ora si trattava di dare a tutto una consecutio logica e soprattutto un senso.

Si fermo un attimo a pensare: non avrebbe agito a quella maniera, si disse più che altro per convincersene, se la sera prima, seguendo la Leibniz, non avesse visto che, al suo ritorno a casa, a notte inoltrata, c’era ad attenderla davanti alla sua porta la limousine di Lionel Luthor.

Cosa avesse fatto fuori, con Clark, fino a quell’ora, non voleva neanche pensarlo, visto quello a cui aveva assistito dietro la scuola e che ora giaceva immortalato in una foto tra i vari fogli sparsi sul tavolo.

Quando era arrivata davanti alla sua casa, per prima cosa, la Leibniz portava i capelli sciolti e aveva legato in vita il cardigan, rivelando, dai vestiti resi più stretti, che non si trattava affatto di una “racchia”, come aveva già sentito definirla in giro.

Seconda cosa, e di importanza molto maggiore ad ogni altra, Lionel Luthor era sceso dalla limousine – era la prima volta che Chloe lo vedeva da quando era uscito misteriosamente di prigione – e aveva fermato la ragazza sulla porta, invitandola ad entrare nella sua auto, per parlarle.

Erano rimasti fermi davanti alla casa per quasi un quarto d’ora, dopodiché Lilyanne era uscita aprendo lo sportello e entrando dritta in casa sua. Chloe non era riuscita a capire assolutamente nulla di quell’incontro, ma le era parso così strano che proprio quella ragazza, entrata in maniera quasi miracolosa nella vita di Clark, fosse legata in qualche modo ai Luthor, che le era subito balzata alla testa la somiglianza del suo caso con quello di Adam, inviato perché spiasse Lana, solo pochi mesi prima.

Doveva assolutamente aiutare Clark ad uscire da quella storia in cui si stava invischiando mettendo a rischio il suo segreto.

Da quando Alicia le aveva mostrato di cosa fosse capace il ragazzo che aveva accanto a sé da così tanto tempo, senza che lei si fosse mai accorta di niente, le tessere del mosaico Clark-Luthor prendevano il giusto posto nella sua mente, presentandole un quadro poco rassicurante per lui. Forse la Leibniz era una delle tante pedine nelle mani di Lionel e cercava solo di smascherare Clark, per darlo in pasto a quell’essere immorale.

Doveva proteggerlo, anche a costo di rendersi odiosa.

Rilesse per l’ennesima volta le informazioni su di lei, una più nebulosa dell’altra: si sarebbe potuto fare un film, della sua vita, pensò scartabellando i fogli, finché non si fermò ad osservare le foto che aveva scattato di nascosto il giorno prima, dietro la scuola.

Sentì lo stomaco stringersi nel vedere di nuovo con quanta passione il suo Clark la stava baciando: ma come aveva fatto, quella lì, a sedurlo così rapidamente e senza un minimo di sex appeal! Le faceva male guardare le mani grandi di Clark strette sulla sua schiena e, dopo, tenerla abbracciata, accoccolati per terra, come fossero due fidanzatini.

-Santo cielo che orrore! Allora avevo ragione io, che qualcosa aveva pur dovuto fare, il vecchio marpione!-, la voce di Lois, alle sue spalle, la fece sobbalzare: non l’aveva sentita arrivare.

Subito Chloe si affrettò a riunire fogli e foto, imbarazzatissima, salutandola.

-Ehi ehi ehi, ferma lì! Voglio anch’io il mio gossip quotidiano!-, disse la cugina sfilandole di mano il gruppo di foto, senza che lei riuscisse a fermarla, - Da quando ti sei messa a fare il Paparazzi della situazione?-

Osservo una ad una le stampe, mutando espressione di volta in volta, interessata.

-E chi sarebbe, questa moretta?-, chiese alla fine, sedendosi a cavalcioni della panca, accanto a Chloe, complice e curiosa.

-Lasciamo perdere…-, le rispose la cugina scrollando le spalle. Riprese le foto e fece cenno a Lois di seguirla nella scuola.

Ne avrebbero parlato più tardi.

Clark non vide Lily, quella mattina, né a pranzo, a mensa. La cercò al campo, come il giorno prima, ma non era neanche lì, allora decise di aspettarla fuori dal Torch se si fosse fatta viva con Chloe. Voleva avvertirla prima di mandarla in pasto alla cinica giornalista che, a volte, Chloe sapeva essere. E quella volta, Chloe, sarebbe stata spietata, visti i presupposti.

Lily arrivò puntuale, svoltando da dietro l’angolo trafelata. Aveva il volto preoccupato, di nuovo era vestita con una larga felpa e aveva i capelli acconciati male. Non aveva gli occhiali, però.

-Clark, grazie al cielo, Clark… devo parlarti-

-Anche io, Lily…-

Lo guardò sconsolata, scuotendo appena la testa, -Senti… per quello che è successo ieri: mi dispiace, è stato un errore…-, Clark rimase interdetto, deluso dalle sue parole.

-Clark, ascoltami… è successa una cosa ieri, quando sono arrivata a casa… tu conosci un uomo che si chiama…-

-Ciao a tutti! Wow, Clark, non sai che ti sei perso ieri! Ti ricordi di Samantha, vero? E’ fantastica! Ha un’auto eccezionale, dovresti vederla!-

Pete arrivò a troncare il discorso tra loro, stordendoli con il racconto di una spettacolare corsa fatta sull’auto della sua nuova amichetta, la sera prima, fuori della città e li trascinò dentro la stanza

Quando li videro, Chloe e Lois si affrettarono a mettere via le cose che stavano guardando insieme.

Chloe lanciò a Clark un’occhiata seria e pensierosa, lui ricambiò con preoccupazione, pregando che non volesse davvero accusare Lily di chissà cosa.

-Bentornata al Torch, Lilyanne, accomodati pure-, disse Chloe dopo un attimo di pausa, melliflua.

Pete disse che doveva andare e Clark fece per seguirlo. Lois si sedette in disparte, in un angolo.

-Resta qui, Kent. Avrò bisogno che tu mi aiuti a prendere appunti durante l’intervista-, disse asciutta Chloe.

Kent??” si domandò sconvolto Clark, e lo stesso fecero Lois e Pete, che, uscendo, sentì come Chloe si era rivolta a Clark.

Lilyanne era evidentemente in tensione per l’atmosfera tesa che si era creata tra Clark e Chloe.

-Bene, Lilyanne Leibniz, ora ti mostro come lavora un giornalista. Ho qui la tua scheda. Vedo che sei nata a Metropolis dove sei rimasta fino a tre anni. Poi, fino ai dodici sei vissuta a New York e da allora sei stata a Gotham, per cinque anni. Una vita movimentata, a quanto pare-

Lilyanne provò ad interromperla, ma Chloe procedeva come un treno, stringendo un pugno, sotto al tavolo, sapendo che stava sparando troppo in alto. Ma doveva rischiare di rimetterci la faccia. Per Clark.

-Cosa ti abbia portata proprio a Smallville, adesso, lo vedremo in seguito. Ora vorrei farti alcune domande sul tuo passato. Mi risulta che la tua vita sia costellata di fatti alquanto bizzarri, chiamiamoli pure incidenti, se preferisci, dai quali sei sempre uscita, miracolosamente, salva-, prese un altro foglio stampato, mentre Lily sgranava gli occhi per quello che stava dicendole la giornalista d’assalto.

Lois si sistemò sulla sedia, nell’angolo, evidentemente a disagio. Clark, ammutolito, ascoltava la condanna emessa da Chloe.

-1992: l’auto su cui viaggi con i tuoi veri genitori durante una vacanza a New York, si disintegra contro una grossa Jaguar sulla statale 87. I tuoi muoiono sul colpo, l’uomo alla guida della Jaguar riporta ferite gravissime, tu ne esci illesa. 1994: vieni portata in fin di vita all’ospedale di Metropolis. Vieni salvata da tuo nuovo padre adottivo che, apparentemente senza uso di farmaci, ti riporta in vita. Long Island, 1998: l’auto di amici, su cui viaggi, si schianta contro un TIR lungo la statale per New York. Tre morti, tra cui la donna che guidava e sua figlia: tu ne esci illesa. 1999: al centralino dell’911 arriva la chiamata di un ragazzino che dice che una sua amica sta morendo. Quella chiamata parte dalla tua casa, ma il giorno seguente sei presente a scuola e vinci pure le gare sportive: specialità 100 metri e salto in alto. Gotham City, due anni fa viene trovato morto un ragazzo nella tua casa, i vicini riferiscono di avere sentito una donna urlare e rumori di colluttazione nella casa. Sei mesi dopo: un misterioso incendio scoppia nella tua casa, provocando una terribile esplosione: tua madre e tuo padre muoiono per la deflagrazione, tu rimani venti ore sotto le macerie e ti trovano il giorno dopo, in condizioni fisiche perfette, a parte lo shock psicologico. E ancora: cosa si nasconde sotto il tuo aspetto da Ugly Betty? Sappiamo che sei molto più bella di quello che vuoi apparire: dagli archivi del liceo di Gotham, classe prima, infatti sei descritta come una ragazza brillante, estroversa e molto attraente. Poi arrivi qua con un look decisamente fuori moda e ancora una volta la tua natura misteriosa viene fuori riuscendo in meno di una settimana a sedurre nientepopodimeno che il qui presente Clark Kent, ex quarterback[1] della squadra di football della scuola, mai capitolato così in fretta senza uso di droghe. Sai, ho alcune foto vietate ai minori scattate ieri pomeriggio qua dietro alla scuo-

-Chloe, smettila!-, la voce di Clark era dura come mai l’aveva sentita prima.

Nella penombra, Lois, fece cadere il lapis con cui stava nervosamente giocherellando, imbarazzata per il comportamento della cugina.

Chloe non si arrese e continuò il suo affondo: -E come mai ieri sera sei stata a colloquio con Lionel Luthor nella sua limousine, davanti a casa tua? Saprai bene che Luthor è da poco uscito misteriosamente dal carcere, che è stato più volte implicato in scandali politici, che lavora in segreto su cavie umane e che guarda caso spesso si è servito di gente anonima, come te, per pedinare le persone usandole come spie per…-

-Basta!-, urlò Lily alzandosi in piedi e puntando le mani sul tavolo. Era furibonda. Anche Clark non poteva credere alle sue orecchie. Avevano entrambi ascoltato troppo. Chloe non si era mai spinta così in basso.

-Vuoi sapere perché mi sono sempre salvata, Chloe Sullivan? Perché io sono diversa da tutti voi e posso distruggerti quando voglio! Posso arrostire un pollo solo guardandolo, corro più veloce di un treno e sono a prova di proiettile; riesco a vedere attraverso gli oggetti e posso sentire quello che dici da decine di metri di distanza, anche sei al sicuro, in casa tua. E so anche volare! E ora scrivilo su quel tuo stupido muro delle stramberie che hai fatto sparire, scrivi che è stata Lilyanne Leibniz, il “mostro”, a dire a tutto il mondo quanto patetica tu sia quando la sera te ne stai sotto le coperte con la foto di Clark Kent tra le mani sperando che arrivi il giorno che ci sia lui, nel tuo letto, a scoparti! Ma io non sono la spia di nessuno! Capito? Lasciami in pace, Sullivan, per il tuo bene!-

Chloe divenne paonazza mentre sentiva le vene del collo gonfiarsi per l’ira che stava per esplodere. Dovette prendere fiato stringendo la bocca e riducendo a fessure i suoi occhi.

-Mi ero fidata di te-, disse Lilyanne guardando Clark tristemente. Prese la sua borsa da terra e si avvicinò alla porta, per andarsene.

Chloe si mosse per continuare la loro discussione fuori dalla stanza, ma la mano di Lois la fermò; il suo sguardo la inchiodò sulla sedia davanti alla sua scrivania. Scosse la testa, sconsolata, guardò la cugina sperando nella sua comprensione, che non arrivò. Chloe era come animata da una motivazione più forte della volontà di mantenere un certo contegno.

Clark corse dietro a Lily urtando la sedia sulla quale era seduta fino ad un attimo prima e facendola cadere.

Quella volta non era scomparsa, ma camminava a testa bassa, lenta, lungo il corridoio, sfiorando con la mano la parete ruvida.

-Lily…-, Clark posò la mano sulla sua spalla e sentì che tremava.

Le si mise davanti e delicatamente le fece sollevare il mento: piangeva.

-Lasciami sola, Clark. Hai già fatto abbastanza-, disse sarcastica distogliendo lo sguardo dal suo.

-Non ho detto nulla su di te a Chloe, né sapevo che ci stava guardando, ieri pomeriggio-, prese il suo volto tra le mani e abbassò lo sguardo alla sua altezza.

-Devi credermi-

Una lacrima scivolò sulla sua mano, bruciante come metallo fuso. Gli credette.

-Lily… tu non mi avevi detto che i tuoi genitori… che sei stata adottata…-

“Come me…”

-Clark, io… perdonami. Mi ero illusa che il passato fosse ben nascosto dietro le porte che mi sono chiusa alle spalle… invece è sempre lì, a ricordarmi chi sono… Dio, Clark… io ho seppellito per due volte i miei genitori io sono… sono…-

La abbracciò tenendola stretta al suo petto, solo per un attimo.

-Perdonami… sono stata una sciocca. Io avevo parlato con Chloe, ieri mattina, e avevo capito quanto lei tenesse a te, eppure… ho detto quelle porcherie solo per farle male. Sono… sono una persona cattiva… però, devi credermi, io non sono una spia, Clark!-, fece per scartarlo sfuggendo al suo sguardo, ma Clark la prese per i polsi guardandola negli occhi.

Sentiva il suo cuore battere veloce.

-Lily… è vero che sai volare?-, vide per un istante il suo viso sorpreso, poi si riabbuiò di botto, lo strattonò perché mollasse le sue mani, lo allontanò da sé e se ne andò, svoltando oltre l’angolo del corridoio.

Quando Clark la raggiunse, non c’era già più.

-E’ vero che sai volare?!-, la voce di Chloe tuonò alle sue spalle, furiosa, dalla porta del Torch. Passi veloci annunciarono che la sua minaccia si stava avvicinando. Clark non poté fare altro che attendere la sua ira.

-E’ vero che sai volare?! Clark! La tua migliore amica viene volgarmente vilipesa con stupide illazioni da una ragazzina saccente e questo è tutto quello che sai dire? E’ vero che sai volare?! Sei… sei…-

-Te la sei cercata, Chloe! Perché l’hai aggredita così? Che ti aveva fatto per meritarsi un’indagine sul suo passato come quella che hai messo su in una sola notte? Devi smetterla di aggredire così tutte le persone che ti capitano a tiro! L’hai fatta star male e lei si è difesa usando la tua stessa arma. Chi ti dà il permesso di indagare sulla vita di chiunque ti stia vicino? Eh, Chloe? Chi sei tu, per fare questo genere di interrogatori?-

-E tu chi sei, Clark, per pretendere che gli altri facciano come te e mentano sempre sulla loro vita? Io ho detto solo la verità e ho portato le prove di quello che dicevo. Lei ha detto solo un mucchio di stupidaggini su se stessa, ha inventato storie ridicole e fuori dalla ragione! Lei che può correre come un treno, sparare fiamme dagli occhi e… e…-, si azzittì tutto d’un tratto, rimanendo a bocca aperta, mentre il suo cervello lavorava frenetico cercando di dare un senso a quello che stava dicendo, alle parole che aveva appena sentito. Abbassò lo sguardo sui suoi piedi. Non erano del tutto invenzioni, quelle di Lily, erano cose che potevano davvero esistere! E la prova era davanti a lei.

Sentì il vento muoverle i capelli e alzò gli occhi su Clark. Non c’era più.

Rientrò lentamente verso il giornale, chiuse la porta e si sedette affondando la testa tra le mani. Lois le avvicinò una tazza di caffè e si sedette vicino a lei, aspettando che dicesse qualcosa.

Clark aveva ragione: quella volta aveva davvero esagerato…

Lilyanne era sparita: Clark la cercò a casa sua e in ogni posto che le aveva visto frequentare da quando era arrivata a Smallville.

Poi gli tornò in mente quello che lei stava cercando di dirgli quel pomeriggio, prima che Pete li interrompesse e dopo Chloe procedesse con la sua “intervista”: voleva parlargli, gli stava chiedendo se conoscesse qualcuno.

Si soffermò a riflettere: forse quello che aveva detto Chloe non era una pura e semplice illazione, forse davvero la sera prima Lily aveva incontrato Lionel Luthor, ma doveva esserne stata spaventata, visto come appariva accorata la sua richiesta di parlargliene, solo poche ore prima. Si maledisse per non aver capito subito come stavano le cose e corse subito alla residenza dei Luthor.

Si fece annunciare dal maggiordomo vestito di nero e attese impaziente di vedere Lionel.

Al posto suo, però, fu Lex a riceverlo, accogliendolo con un sorriso e una stretta di mano.

-Lex, sto cercando tuo padre-

-Allora hai sbagliato luogo, Clark: mio padre è a Metropolis-, Clark strinse le mandibole, contrariato.

-Come mai il mio vecchio ti interessa così tanto? Cos’ha combinato stavolta?-

Clark si avvicinò a lui, - E’ quello che vorrei appunto chiedergli, visto che sembra abbia importunato una mia amica, ieri sera-

-Cosa odono le mie orecchie? Il mio vecchio che se la fa con le ragazzine?-, poi vide Clark aggrottare le sopracciglia, offeso dalle sue parole.

-Non ho idea di cosa abbia fatto mio padre, né con chi. Non si tratta di Lana, vero?-, chiese, non riuscendo a celare più che un amichevole interessamento.

-No, non si tratta di lei-, Clark era sempre più infastidito da quello che stava dicendo Lex e da come lo diceva. Era tardi, si voltò per uscire.

-Se vedi tuo padre, per favore, digli che ho urgenza di parlargli-, chiese secco, poi salutò Lex con un sorriso a labbra strette e uscì.

Doveva trovare Lilyanne, per parlarle, per sapere cosa le fosse successo la sera prima e per chiedere scusa per il comportamento di Chloe e la sua domanda cretina, di poco prima, nel corridoio del liceo.

Chiese di lei, al Talon, ma Lana le disse che non si era più vista da quando si erano incontrati là, lei e Clark. Aveva il volto contratto e sembrava stanca.

-Cos’hai Lana? Va tutto bene?-, chiese preoccupato, pur sapendo che doveva sbrigarsi per cercare Lily.

Lana scosse il capo voltandosi verso la macchina per i cappuccini, ma non rispose.

Clark aspettò che si voltasse di nuovo: non era da lei sfuggire alle domande.

Evitava di guardarlo negli occhi, non voleva parlare con lui.

-Cosa c’è, Lana?-, insistette, sporgendosi oltre il bancone per prenderle una mano affinché si decidesse a parlare.

Lana deglutì e alzò il volto su di lui.

-Oggi, a scuola, Chloe mi ha detto di averti visto ieri, dopo la scuola, con la ragazza che ora stai cercando. Mi ha detto le cose che sa di lei…-

La guardò aspettando che continuasse, mentre il suo cuore mancò un colpo.

-Cosa sai, tu, di lei, Clark? Come… come puoi fidarti ancora di una persona così oscura… tu devi… stare attento… pensavo che tu avessi imparato dagli errori del passato, Clark-

Sembrava ferita, eppure le sue parole erano affilate come fogli di carta strisciati sulla pelle delle mani.

Non aveva alcun diritto di trattarlo a quella maniera, ma la delusione che leggeva nei suoi occhi rendeva le sue parole dolci, cariche solo della preoccupazione e dell’affetto che da sempre, lei sola sapeva trasmettergli.

-Sono preoccupata per te…-, lo sfiorò sulla guancia con una fragile carezza.

-Vedi Lana, io…-, strinse le mascelle, prendendo molta aria.

“No! Non devo giustificarmi con lei. Non devo giustificarmi con nessuno!”

Un ruggito. Un attimo soltanto. Sentì ribollire dentro di sé. I suoi occhi cambiarono repentinamente espressione.

-Mi dispiace che la cosa ti abbia turbato così tanto. Pensavo che avessimo deciso di lasciarci alle spalle quello che c’era stato tra noi-, lasciò la sua mano.

Sentì freddo sulla pelle appena sudata.

-…tu almeno lo hai fatto. Con Jason-, andò via come un animale ferito, senza aggiungere altro. Non vide la piccola lacrima che scivolò lungo la guancia di Lana.

E lei non vide le sue.

Corse più veloce che potè passando per i campi, i giardini, con lo sguardo appannato dalle lacrime che non riusciva a trattenere. Era da tanto, tanto tempo che non riusciva a piangere, da quando si era rassegnato ad una vita senza un vero amore.

Per proteggere lei.

Quello che aveva fatto pochi minuti prima era dire addio a Lana, ancora una volta. Per l’ultima volta.

Addio ai dolci ricordi che avevano condiviso insieme, addio alle risate, addio alla speranza di stare con lei.

Addio al suo abbraccio dolce e ai suoi baci fruttati. Non sarebbero tornati mai più.

Era stato lui a volerlo, e non per seguire la sua decisione di proteggerla, ma perché voleva che fosse proprio così, senza alcun altro motivo.

Sentiva che doveva essere così.

Era sull’orlo di un precipizio, dopo aver fatto l’ultimo passo e senza più possibilità di tornare indietro.

Aveva osato mettere in pratica quell’esorcismo atroce che aveva temuto nei suoi incubi da sempre.

Aveva volontariamente deciso di voltare le spalle al suo amore per Lana.

Aveva consapevolmente perso il porto sicuro entro cui rifugiarsi la notte, quando il sonno non arrivava e i pensieri trovavano riposo nel suo volto, nella sua voce.

Aveva voluto abbandonare la riva, ma non sapeva in quale mare oscuro stava iniziando a navigare, si era lasciato cadere in un baratro scuro in cui non poteva vedere la fine.

Ma in fondo al suo cuore sapeva che una fine doveva esserci e tutta la sofferenza provata nel cercare di rinunciare a Lana sarebbe stata presto ripagata.

Si concesse una sosta, in un angolo isolato di un parco e pianse; e l’amarezza della sua decisione scivolò via, lasciandolo attonito, con il cuore ristorato.

Doveva trovare Lily…

Chiamò Pete con il cellulare, spiegandogli cos’era successo e chiedendogli di avvertirlo subito, nel caso avesse visto Lilyanne da qualche parte in giro per Smallville.

Quandò fu quasi ora di cena ripassò dalla scuola, pensando che potesse essere tornata lì.

C’era ancora qualcuno dentro, sicuramente Chloe, pensò.

Bussò alla porta del Torch.

Seduta alla sua scrivania Chloe era intenta a scrivere qualcosa al pc, mentre Lois, passata a trovare la cugina, insisteva nell’ammazzare alieni digitali con un joypad verde fosforescente, intonato all’Apple.

Clark chiese subito scusa per il disturbo e uscì. Non aveva voglia di parlare con Chloe dopo il loro litigio di sole poche ore prima.

Sentì la porta aprirsi e richiudersi dietro di lui. Era Lois, che, con un sorriso complice, lo fissava.

-Che vuoi, Lois?-, chiese spiccio.

-Sai, Smallville, lo so anch’io che mia cugina ha davvero passato il limite, prima, ma non ti avevo mai visto così motivato in qualcosa come ti ho visto prima, neanche quando si trattava di Lana… A quanto pare ci hai preso gusto ad importunare le povere studentesse sprovvedute…-

La guardò nero in volto, -Non è il caso, Lois-

-D’accordo. Ma almeno spiegami come mai stamattina ho trovato le tue cose sul mio letto…-

-Chiedi a tua cugina che sa tutto, magari saprà darti una risposta migliore della mia-

Lois lo guardò accigliata e lo trattenne per una manica.

-Che hai, Smallville? Dormito male o sei davvero così furibondo per prima?-

Clark non rispose, inspirando a labbra strette.

-Vuoi farmi un favore, Lois? Impedisci a tua cugina di pubblicare quelle stronzate che ha detto alla mia amica, per piacere!-

Lois alzò le sopracciglia e rientrò al Torch, meravigliata di come, quella volta, Chloe fosse riuscita a fare arrabbiare così tanto quell’agnello di Clark.

Lui, senza salutarla, voltò l’angolo e uscì dalla scuola.

In quel momento si sentiva come nel sogno della notte precedente, solo che le donne che ruotavano attorno a lui, e non tutte propriamente per averlo, erano diventate troppe: Lily, Chloe, Lana, Lois… e il ricordo di Alicia non era ancora affatto sbiadito.

Tornò verso casa, sperando, almeno quella sera, di riuscire a cenare con i suoi, evitando ulteriori polemiche in famiglia.

Passò dal suo rifugio, nel fienile, per ultimo veloce pensiero a quello che aveva coscientemente fatto, l’ultimo sguardo all’immagine di Lana ancora incorniciata sulla sua scrivania. Prese la cornice in mano, sospirò, la chiuse dentro al cassetto, capovolta, seppellendola con mille cianfrusaglie.

Poi scese.

Entrando in casa portò una mano alla bocca, toccò la piccola ferita sul labbro.

Un brivido.

Era ancora vivo.

Quando i suoi genitori andarono a letto e la casa fu silenziosa, Clark si spogliò e si distese sul divano in salotto. Per lo meno quella sera si era ricordato che doveva dormire là.

Spense le luci e cercò di dormire, ma il suo pensiero correva ai fatti eccezionali che aveva vissuto negli ultimi giorni e all’idea sempre meno assurda di capire chi fosse realmente quella ragazza dagli occhi viola.

Non riusciva a credere di essere stato lui per primo ad avvicinarsi a lei, a sentire l’impulso profondo di baciarla. Non era mai stato così passionale, prima. Aveva aspettato per anni prima di riuscire a dire quello che provava a Lana, era stata Alicia, a sedurlo, ogni volta, aveva ceduto alla magica atmosfera delle grotte, con Kyla, ma mai aveva sentito così forte quella spinta che coinvolgeva ogni muscolo del suo corpo, ogni nervo, ogni goccia di sangue nelle sue vene aliene. Mai aveva agito spinto dalla sua propria volontà, dalle proprie pulsioni, da quel fuoco che si era acceso nelle sue mani, sulle sue labbra, nei suoi occhi. Mai era stato così sicuro di quello che stava facendo.

Non aveva mai pensato che avrebbe potuto realmente desiderare di sciogliere il suo cuore dall’amore per Lana. Eppure era successo.

Si rigirò sui cuscini troppo morbidi per un tempo che a lui parve lunghissimo, senza poter prendere sonno, quando udì il rumore della chiave inserita nella toppa della porta delicatamente.

Sentì Lois che sfilava i suoi stivali texani prima di entrare, per non fare rumore con il ticchettio dei tacchi sul pavimento di legno, apriva e richiudeva la porta dietro a sé, camminando in punta di piedi verso le scale.

-Lois, sono sveglio-, disse e la sentì trasalire per lo spavento, lasciando cadere gli stivali e le chiavi per terra.

-Mi hai fatto prendere un colpo, Clark! Accendi!-

Clark accese la piccola lampada sopra il mobile, in salotto, e la vide che cercava, nel buio, la credenza dei bicchieri.

Si avvicinò e prese anche lui un bicchier d’acqua. Lois lo squadrò da capo a piedi.

-Bel pigiamino, Smallville-, disse, alludendo ai pantaloni della tuta celesti e alla fruit bianca e stropicciata che indossava.

-Bello il tuo…-, rispose lui, alludendo alla tutona rosa con gli orsetti e alle pantofole a coniglietti.

Lois le fece una smorfia, poi lo guardò più attentamente e vide che qualcosa non andava.

-Mi cambio e torno giù. Aspettami con la luce accesa, che altrimenti cado dalle scale. Noi due dobbiamo parlare-

La vide salire scalza al piano di sopra, mentre con una mano scioglieva i capelli dalla coda in cui erano legati.

Tornò dopo pochi minuti, con le sue pantofoline bianche e il pigiama rosa. Aveva portato una coperta da sopra.

-Hai cattive intenzioni...-, notò Clark alzando le sopracciglia.

Lois si sedette sul divano, noncurante del fatto che fosse il letto di Clark, quella notte, e per di più per causa sua. Incrociò le gambe sui cuscini e, arricciando il mento, disse: -Eccomi qua, Smallville. Raccontami tutto quello che pesa sul tuo cuoricino di rompiscatole!-

Rimasero a parlare tutta la notte, prima del più e del meno, poi delle foto che Lois aveva visto di Clark e Lilyanne, poi di Chloe e di quello che Clark provava per la nuova arrivata. Clark non disse nulla dei poteri di Lily, né, ovviamente, dei suoi, ma le parlò della sensazione che aveva provato quando l’aveva incontrata e che Lois aveva definito “il classico colpo di fulmine”.

Verso le tre di notte Clark preparò una tisana che bevvero in veranda, imbacuccati nelle coperte di lana scozzese, seduti sul dondolo.

Lois gli confidò di aver litigato con Chloe, quella sera, per come si era comportata nei confronti di Clark e di Lily, e ammise di aver trovato imbarazzanti le foto scattate da Chloe, senza pietà. Non era riuscita a farla ragionare, pensava, perché quando c’era di mezzo lui, era noto, sua cugina smetteva di ragionare e iniziava ad agire in maniera agitata.

-Eppure, Smallville, tu sei così… così…-, le sue risate soffocate terminarono la frase, mentre gesticolava cercando con le mani le parole che non riusciva ad esprimere, prima che Clark le sfilasse una pantofola e la facesse volare nel prato davanti alla casa, in segno di protesta.

Quando iniziò ad albeggiare Lois annunciò che sarebbe tornata in camera, prima che uno dei genitori di Clark scoprisse che il loro pargoletto era stato importunato, nottetempo, da una nota sciupa uomini di città e “li mettesse entrambi in castigo”.

-Mi ha fatto piacere parlare con te. Grazie-, le disse sorridendole.

-Non c’è di ché, ma non prenderci gusto, eh! Io e te, di giorno, siamo come cane e gatto, ricordi? Ne va del mio buon nome!-, ricambiò il suo sorriso, recuperò la pantofola e salì di sopra, facendo più piano che poté.

Clark rientro e si distese sul divano, in attesa di un riposo che, quella notte, non arrivò.



[1] La storia si immagina essere inserita dopo l’episodio “Pariah”, mentre Clark rinuncia alla sua carriera di quarterback solo nell’episodio successivo. Ho deciso di prendermi questa licenza e di anticipare l’abbandono del football a prima che Alicia morisse.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Dubbi ***


1- Capitolo 7: Paura

“Come ogni lunedì, anche stavolta apriamo la rubrica “What’s New?” con la presentazione dei nuovi arrivati nella nostra scuola.

Lilyanne Leibniz del terzo anno, classe 1986, è uno dei due nuovi acquisti del Liceo di Smallville. Studentessa esemplare con risultati ottimi in tutte le materie, arriva dalla Gotham West High School. Di lei sappiamo che ha viaggiato molto, spostandosi tra alcune delle più belle città degli Stati Uniti, prima di arrivare al nostro Liceo. Alle atmosfere cupe e gli inverni rigidi di Gotham City, Lilyanne ha preferito il clima più solare e genuino di Smallville, dove è arrivata portando con sé la sua esperienza di giovane giornalista del settimanale della scuola. Quattro volte campionessa di corsa e salto in alto durante i primi due anni delle scuole superiori, Lilyanne ha ottenuto in passato riconoscimenti scolastici per le sue ricerche nel campo della chimica molecolare e della matematica. Lo scorso anno ha vinto le Olimpiadi della Matematica di Gotham, sbaragliando persino concorrenti del College. Caratterialmente riservata, Lilyanne ha sempre preferito l’essenza, all’apparenza, scegliendo di non piegarsi alle mode e ai dettami dell’ultima ora e dimostrando di saper scegliere i suoi amici preferendo compagnie genuine. Parleranno di lei la rubriche di Scienza e Società che dal prossimo mese vedrà la sua firma e gli articoli di fondo del lunedì mattina, secondo le più recenti disposizioni della Presidenza: Lilyanne Leibniz sarò colei che raccoglierà il testimone della redazione del Torch, quando i gloriosi vecchi membri dello staff voleranno verso college o impieghi al termine di questo anno scolastico. Come ad ogni nuovo studente del Liceo di Smallville, la redazione del Torch è lieta di darle il benvenuto nella scuola.

Robert Greedy, del quarto anno, invece, arriva da Metropolis, dove ha frequentato alcune delle più prestigiose scuole private. A quanto pare Robert è un ragazzo riservato e per questo non ci è stato possibile ricavare tutte le indiscrezioni che volevamo dalla sua intervista! Sappiamo però che nel corso della sua carriera sportiva ha sempre primeggiato nelle varie squadre in cui ha giocato riuscendo da subito a guadagnarsi il ruolo più ambito. Anche alla Smallville High School è andata così: “Greedy ha un modo di correre verso meta che lascia stordito e immobile chiunque si trovi sul suo cammino”, “Credo sia il suo gioco di gambe che ti confonde e subito dopo sei a terra, chiedendoti come hai fatto ad andare giù”, “O lui è un genio, o è come se ti ipnotizzasse, quando ti viene incontro, e poi passa sempre oltre e va a meta!”, queste sono solo alcune delle testimonianze dei compagni di squadra sulla strana tecnica di gioco del nuovo arrivato a Smallville. Dei suoi profitti scolastici sappiamo poco, se non che sono sempre stati eclissati dal successo in campo. All’apparenza molto estroverso, Greedy ha una certa propensione al mistero, cercando di mettere fuori strada chiunque voglia conoscere qualcosa del suo passato. Cosa nascondi dietro la tua maglia da quarterback, Robert Greedy? Tutto il liceo è ansioso di scoprirlo.

Chloe Sullivan

-E’ impazzita!-, Pete rilesse tre volte l’articolo della rubrica “What’s New?” del Torch e la conclusione cui arrivò fu sempre la stessa.

Non appena vide Clark, quella mattina, più spettinato e assonnato del solito, lo travolse infilandogli sotto al naso il giornale e dicendogli che dovevano trovare Chloe e poi chiamare il Belle Reve.

Anche Clark non riuscì a credere ai suoi occhi, dopo quello che era successo solo pochi giorni prima, ma concluse che senza dubbio non era da Chloe rinunciare ai suoi scoop senza una valida giustificazione, sebbene Lois fosse stata senza dubbio spietata, con lei, da quel poco che gli aveva raccontato quella notte che avevano passato a chiacchierare in veranda.

Certo, era vero… si era presa la sua vendetta con le parole al vetriolo contro Robert Greedy: non le era proprio andato giù il modo in cui, pochi giorni prima, lui l’aveva offesa.

Quando la videro arrivare a scuola, era come al solito di fretta, ma le si leggeva sul volto un’espressione tesa, a metà tra il sereno e il disperato. Sembrava un martire che va al patibolo, pensò Clark, seguendola dentro la redazione e chiudendo la porta alle loro spalle. Era dal mercoledì prima che non le parlava a quattrocchi.

-Grazie tante!-, disse Pete, rimasto fuori, e se ne andò.

Clark le lanciò il giornale aperto a pagina cinque.

-Cosa significa?-

Chloe abbozzò un sorriso sforzato. Prese fiato.

Sapeva di aver fatto un altro errore di cui non aveva parlato a Clark, in quel giorno maledetto: si era sfogata con Lana per la delusione di aver visto il ragazzo che ancora amava avvinghiato in un bacio passionale con la prima secchiona arrivata. Era successo per caso, la mattina. Lana era entrata al Torch mentre lei stava riversando le foto scattate la sera prima sul computer e non aveva potuto fare a meno di notarle. All’inizio si era mostrata delusa dal fatto che l’amica si fosse messa a spiare Clark, poi, nonostante tentasse di dissimularlo, era diventata partecipe dello sdegno di Chloe, che insisteva nell’affermare, sull’ondata di gelosia e preoccupazione, che Clark era stato raggirato. Chloe aveva letto negli occhi di Lana la delusione cocente per quello che aveva saputo. Forse anche lei provava ancora qualcosa per Clark…

-Significa che mi sono resa conto di aver un po’ esagerato mercoledì… E non conosco altro modo per chiedere scusa se non quello di dire la verità… anche se noi sappiamo che questa è solo una parte, della verità, perché io non ho la memoria corta, Clark. Ma poi ho pensato: cosa ne può interessare agli altri se la nuova compagna è scampata alla morte una o dieci volte? Forse era più interessante parlare di conquiste sportive e scolastiche…-

Clark piegò la testa da una parte sbuffando e stringendo le mascelle.

Erano parole che scottavano, dette da lei. Aveva gettato la spugna?

Chloe lo guardò senza espressione, mentre i suoi occhi fiammeggiavano come quelli di una leonessa dietro le sbarre.

-Non aspettarti che abbassi la guardia con lei, Clark, né che le stenda un tappeto rosso per arrivare alla scrivania del Torch. Dovrà conquistarsi il suo spazio presentando dei buoni articoli, anche se ha il preside dalla sua. … e anche te, a quanto ho potuto vedere-

-Chloe, perché hai parlato a Lana di questa storia? Te lo chiedo ancora una volta: che diritto hai di intrometterti nella mia vita e nella vita di quella povera ragazza?-

Chloe ammutolì, non aspettandosi che Clark fosse già al corrente del suo ulteriore sbaglio. Aveva fatto tutto per proteggerlo, si ripeteva, ma onestamente coinvolgere Lana non era di certo la strada migliore di tenersi stretta la sua amicizia. Forse era per questo che non li aveva visti più parlare insieme, nell’ultima settimana, per causa sua.

-Mi dispiace-, disse soltanto.

-Anche a me-, rispose Clark, e uscì, lasciando cadere il giornale nel cestino della carta.

-Sei riuscito oggi a trovarla?-, chiese Pete a Clark quando uscirono dall’aula, dopo la lezione di economia.

Clark scosse il capo.

-Non pensavo che potesse essere diventata così… complicata la storia con lei, in così pochi giorni!-, gli dette una pacca sulla spalla. Clark scosse la testa.

Forse Pete non avrebbe potuto capire, neanche se gli avesse spiegato le cose che sapeva di Lily.

Si incamminarono verso il Torch, per riprendere gli zaini che avevano lasciato lì.

-Ho chiesto in segreteria, stamani, ma mi hanno detto che anche oggi Lily non è venuta a scuola. E ora ci si mette anche Chloe a fare casino con questi articoli… Pete, senti, io devo andare a vedere se Lily è a casa sua… correrò veloce… se ritardo cerca una scusa per giustificarmi con il prof…-

-Prima devi dirmi una cosa, Clark… senza offesa: come è possibile che tu sia così interessato a quella ragazza? Cioè, voglio dire… non la conosci...-

-Sento di conoscerla, invece…-

Entrarono al giornale, in quel momento deserto. Sul tavolo luminoso erano posati i ritagli per l’impaginazione dell’edizione del giorno dopo; sulla scrivania, accanto alla lampada Mathmos, la tazza fatta ad alieno verde di Chloe odorava del caffè rimasto sul fondo.

“Posso rinunciare al muro delle stramberie, ma non abbandonerei mai il piccolo omino verde!”, aveva detto Chloe una volta, sorridendo complice verso Clark.

Clark la rigirò tra le mani, ripensando con ironia al fatto che era stato proprio lui, il primo anno, ad avergliela regalata, prima di conoscere le sue vere origini.

Chloe rientrò in quel momento.

Erano in troppi, in quella stanza…

-Vado-, disse Clark e aprì la porta per uscire.

-Vengo con te-, disse Pete.

Lilyanne stava per bussare.

Aveva i capelli legati, senza la fascia sulla fronte e indossava dei pantaloni neri. Portava una felpa leggera color del cielo. Tra le mani aveva il giornale scolastico.

Si trovò faccia a faccia con Clark sulla porta del Torch, entrambi evidentemente imbarazzati. Nessuno dei due osava parlare né muoversi, evitando di guardarsi negli occhi.

La campanella suonò giusto in tempo per liberarli dall’imbarazzante situazione. Clark uscì e lei entrò, scambiandosi solo uno sguardo.

Gli bastava aver visto che stava bene e che era a scuola. Gli batteva troppo forte il cuore per parlarle, in quel momento.

Non avrebbe mai pensato di provare quella sensazione per qualcuna che non fosse Lana.

All’intervallo successivo le avrebbe parlato, fosse cascato il mondo!

Arrivò davanti al laboratorio di Chimica e si salutò con Pete, che non aveva quel corso.

Entrando in aula vide Robert Greedy che lo salutava con una mano, avvicinandosi a Pete. Senza dubbio anche lui era rimasto male per le parole di Chloe.

Lilyanne era entrata al Torch per parlare proprio con lei. Non sapeva se doveva ringraziarla per l’articolo, o arrabbiarsi ancora per il terzo grado della settimana prima, o scusarsi, per come lei aveva reagito alle sue parole.

Chloe, da parte sua, sapeva di aver trovato uno dei modi meno spontanei di chiedere scusa, e quasi si pentiva di aver scritto una qualunque cosa su di lei.

Anche tra loro due ci fu un momento di stasi, nel quale nessuna delle due sapeva cosa dire.

-Clark è fortunato ad avere un’amica come te-, disse Lilyanne, vincendo l’imbarazzo e rompendo il ghiaccio.

Chloe le sorrise, -Mi dispiace per ieri. Credo che abbiamo tutti detto cose che non pensavamo-

Abbassò lo sguardo, perché, in fondo, non era convinta di quello che stava dicendo. La gelosia bruciava ancora.

Cercò nei suoi occhi la conferma alla sua affermazione. Lily annuì e mostrò il giornale.

-In tutta onestà, quando l’ho letto sarei sprofondata dalla vergogna… non sono abituata ai complimenti!-

-Né io a farli, in realtà… Ma ho pensato che fosse giusto così-, Chloe sollevò le spalle arricciando il mento.

Ora avevano davvero finito gli argomenti a loro disposizione, pensò Chloe sperando che la ragazza se ne andasse al più presto sollevandola da quella atmosfera pesante e imbarazzata.

Lilyanne fece un passo verso la porta, salutò e uscì.

Un attimo dopo bussò ancora alla porta del Torch.

-Chloe… se sei libera, dopo le lezioni, mi chiedevo se ti potrebbe andare di prendere qualcosa da bere insieme…-, era totalmente a disagio e stringeva il giornale tra le mani stropicciandone le pagine grigie.

Chloe, meravigliata dalla domanda, ebbe un attimo di esitazione. Poi le sorrise, rassegnata.

-Certamente. Qua chiudo alle sei, se vuoi possiamo andare insieme da qualche parte-, le rispose.

Lily si sciolse appena, posando il giornale sulla sedia davanti a lei.

-Troviamoci alle sei qua davanti, ok?-

-Se per te non è un problema, preferirei trovarci da qualche altra parte… più lontano-, sembrava preoccupata. Forse non voleva incontrare ancora Clark.

-Allora troviamoci al Talon, alle sei e un quarto-

Si salutarono, entrambe sorprese dalla direzione che aveva preso il colloquio e un po’ preoccupate per quello che avrebbero potuto condividere nel pomeriggio.

Clark attese Lily quasi un’ora, agli armadietti nel corridoio, aspettando che la lezione terminasse.

Voleva parlare assolutamente, perché, da quando l’aveva vista sparire, dopo l’intervista, aveva temuto che se ne fosse andata per sempre. C’era qualcosa che lo spingeva a cercarla, da quando si erano visti la prima volta, che andava oltre la sua razionale comprensione, qualcosa che trascendeva i segreti che avevano condiviso, le lacrime e le carezze e che faceva pesare la sua assenza come un blocco di granito sull’anima.

Non la conosceva a sufficienza per poter dare di lei giudizi ponderati, ma la “sentiva” incredibilmente vicina.

Tutte le cose che aveva vomitato in faccia a Chloe, durante l’intervista, erano materia quotidiana per lui. I poteri che aveva citato, così, apparentemente a caso, erano i suoi poteri.

Non riusciva a capire se avesse scherzato, o se avesse parlato di lui, perché conosceva tutta la verità, e non solo la parte che gli era stata raccontata.

Oppure se fosse tutto vero.

Doveva sapere, ma voleva essere il più cauto possibile con lei, per non vederla sparire come era successo a Las Vegas con Alicia.

La vide avvicinarsi tenendo tra le braccia una pila di libri e quaderni. Non aveva i suoi occhiali scuri.

Non ne aveva più bisogno.

Si fermò davanti a lui e lo guardò. I suoi occhi erano come spine che trafiggevano la sua cortina e squarciavano le sue barriere invisibili. Sembrava che qualcosa di grosso la preoccupasse, qualcosa che la settimana prima non era lì a velare il suo sguardo limpido.

-Devo parlarti-, le disse.

Lily inspirò, -Non c’è niente da dire, Clark. Va tutto bene. Ho chiarito con Chloe e…-

-Chloe non c’entra! Devo parlare con te-

Lo guardò pensierosa, -Clark, è meglio se facciamo una pausa, per favore-

-Lily, ma io…-

-Ti prego, non cercarmi più, fai finta che io non esista, che tu non mi abbia mai incontrata-

La sua espressione non dava adito a proteste.

Gli rivolse un breve sorriso e posò una mano sul suo braccio, salutandolo, come se in realtà non volesse staccarsi da lui. Poi sparì tra la massa degli altri studenti, verso l’uscita.

-Ti prego non cercarmi più, fai finta che io non esista?? Ti ha detto proprio così?-

-Già… non mi ha dato modo di parlarle, di chiederle scusa…-

-Clark, non è colpa tua se Chloe le ha fatto quella sfuriata! Non devi sempre scusarti per le colpe degli altri!-

Clark guardò Pete, sapendo che aveva ragione, ma non riuscendo a perdonarsi di non aver fatto nulla per evitare che le cose, tra lui e Lilyanne, finissero a quella maniera.

-Ad ogni modo è quasi una settimana che Lily mi evita… non so più che fare per cercare di parlarle-, era davvero mortificato e dispiaciuto.

Pete lo guardò senza sapere quali parole dirgli per tirargli su il morale: era davvero a terra. Era un miracolo, in fondo, che si fosse ripreso abbastanza velocemente dalla morte di Alicia, ma le cose non dovevano andare a quella maniera. Cosa aveva detto di preciso Chloe a Lily e cosa aveva fatto Clark perché lei, ora, lo evitasse con tanta convinzione? Né Clark, né tantomeno Chloe avevano voluto essere più dettagliati circa quanto era successo al Torch, ma c’era qualcosa che non lo convinceva affatto, qualcosa che riguardava Clark, prima che quella ragazza.

In pochissimi giorni il suo amico sembrava aver totalmente dimenticato l’amore della sua vita, Lana, scordandosi quasi di farle gli auguri per il compleanno, che era passato da un paio di giorni.

C’era stata una festa, al Talon, e Clark era apparso solo per un saluto, sul tardi, scusandosi per non averle fatto gli auguri prima. Aveva stretto la mano a Jason e porto a Lana il suo regalo. Poi era andato via, senza aspettare che lo aprisse. Sembrava stanco. Pete aveva visto Lana aprire il piccolo pacchetto, da sola, in un angolo e leggere la lettera che lo accompagnava. Poi era corsa al bagno, e quando era ritornata nella sala, alcuni minuti dopo, aveva gli occhi lucidi e il naso arrossato.

Per pochissimi giorni, Pete se n’era accorto, Clark era stato vitale come non mai, felice e determinato; dopo, in seguito alla lite tra Chloe e Lily, era ricaduto in uno stato di depressione più doloroso di quanto non lo avesse visto in passato per questioni simili. Più volte lo aveva visto, al termine delle lezioni, attendere Lilyanne fuori dalla sua aula e fermarsi a cercare di parlare con lei. Ogni volta lei scuoteva la testa, lasciando ondeggiare la lunga frangia nera e, con sguardo triste, gli diceva solo qualche parola e poi si allontanava.

Pete si guardò intorno, accertandosi che non ci fosse nessuno in giro, e scivolò giù dal tavolo su cui era seduto, in attesa che riprendessero le lezioni.

-Clark, per favore, rispondi alla mia domanda: cos’ha questa Lily di diverso dalle altre, per averti coinvolto così tanto?-, il suo sguardo pungente lasciava intendere che, quello che voleva chiedergli, andava oltre le parole che era disposto a dirgli, in quel momento e che già aveva cercato di estorcergli quella mattina.

La risposta che ebbe lo lasciò di stucco.

-Io credo che Lily… che lei sia come me…-, fu lo sguardo, più che le parole dette, a far prendere seriamente a Pete quello che Clark aveva detto.

-Che intendi…?-, chiese corrugando le sopracciglia, guardandosi ancora intorno, senza rendersene conto.

-Pete… questa cosa deve rimanere assolutamente tra me e te come… come il mio segreto, ti prego-, attese che l’amico annuisse in silenzio e proseguì, -Se quello che credo è vero, se Lily davvero non è una ragazza come tutte le altre, io non posso permettermi di perderla- , fece una pausa, guardandolo fisso.

-Non sarei più solo! Capisci che significa, Pete?-

Gli brillavano gli occhi. Pete non sapeva che dire.

-Io lo so che quello che dico può sembrare folle… ma da quando l’ho vista, io ho sentito che c’era qualcosa di diverso, in lei, in me…-

Pete era scettico.

-Ma lei ha… i tuoi poteri? Cioè, come fai a dire che è come te?-, domanda più che legittima, la stessa domanda che da giorni, ogni sera, nel suo letto (o meglio, nel suo divano…), Clark si riproponeva.

La risposta era solo una e sempre la stessa. Sorrise a Pete, immaginando che non gli avrebbe dato ragione.

-Perché l’ho sentito dentro di me… l’ho sentito nel sangue, si è messo in moto qualcosa che non sono in grado di controllare che mi urla di far qualsiasi cosa per non perderla-

Pete abbassò gli occhi.

-Sai, ho visto quelle foto…-

Clark sbuffò spazientito: non ne poteva più di quelle stupide foto, di Chloe, di quella assurda situazione.

-Lei non è così brutta come pensavo… forse avevi ragione, amico-, gli sorrise lasciandolo interdetto per la sua reazione, con una pacca sulla spalla, poi tornò serio.

-Lo puoi sapere solo te quello che ti passa per la testa, e se quello che senti è così importante, allora ti prometto che cercherò di aiutarti a scoprire la verità e a mettere chiarezza nei tuoi sentimenti… però sono tuo amico e non voglio che tu faccia qualcosa di cui poi ti potresti pentire, quindi devo dirti questa cosa: sei consapevole che il tuo atteggiamento nei confronti di Lana è totalmente cambiato?-, Clark lo guardò, senza rispondere. Pete decise di essere diretto.

-Ti sei accorto che lei è… rimasta male per il tuo comportamento?-

Prese aria nei polmoni: quello che stava per dire pesava come un macigno.

-Pete, dopo più di dieci anni sono finalmente riuscito ad accettare Lana come un’amica, forse la più cara amica che potessi mai desiderare… a lei sento ancora di poter confidare le mie sofferenze e soffro anche io se vedo che lei sta male. Le ho parlato, qualche giorno fa, forse sono stato un po’ troppo brutale, ma ho cercato di fare chiarezza, in modo che non ci siano più incomprensioni tra noi. Ma Lana è il mio passato, Pete. Le voglio molto bene e non voglio farla soffrire, ma ora devo fare chiarezza su quello che voglio per me. Voglio avere modo di fare la mia scelta, come ha fatto lei-

-E la nuova ragazza sarebbe il tuo futuro?-, chiese Pete a bruciapelo.

Clark strinse le labbra e per un istante rimase zitto.

-Non lo so. Ma, senza dubbio, è il mio presente, quello che voglio ora-, rispose voltandosi.[1]

Da lontano gli studenti iniziavano a rientrare nella scuola per le lezioni.

-D’accordo, mi hai convinto, Clark. Se la cosa può farti piacere, cercherò di parlare con Chloe…-

Si incamminarono verso gli armadietti, quando, voltando in un corridoio, Pete sgranò gli occhi e, tirando Clark per la manica della giacca, lo fece tornare indietro.

-Passiamo da un’altra parte, per favore-

-Cosa c’è?-, chiese Clark stupito.

Pete camminava veloce.

-Niente! E’ che… mi sono ricordato che ho lasciato una cosa…-

-Ross! Finalmente ti ho trovato!-, dal fondo del corridoio la voce di Rober Greedy risuonò come una campana a morto.

Pete si voltò lentamente alzando gli occhi, mentre Clark lo guardava senza capire che stesse accadendo.

-Aspettami un secondo, Clark…-, disse Pete, e si avvicinò a Greedy.

I due parlarono per qualche minuto sottovoce, ma animatamente. Clark non potè fare a meno di ascoltare la loro conversazione.

Greedy stava minacciando Pete se lui non gli avesse consegnato, entro mezzora, i fogli con le soluzioni dei test di fisica e storia, prendendoli dalla sala dei professori!

Quando Pete tornò da lui era visibilmente sconvolto, una piccola goccia di sudore scivolò dalla sua tempia.

-Clark ora devo… devo salutarti, ho da fare…-, disse allontanandosi.

Clark gli si mise davanti fermandolo.

-Ho sentito tutto quello che ti ha detto Greedy! Da quanto va avanti questa storia? Perché ti sei lasciato coinvolgere nei suoi loschi affari? Non devi fare quello che ti ha chiesto!-

Pete sospirò distrutto, facendo oscillare la testa.

-Tu non lo conosci, Clark, non sai di cosa è capace quel ragazzo! Ho dovuto fare quello che vuole lui, perché è… -

-Ti ha minacciato, Pete…?-, Clark non poteva credere alle sue orecchie. Forse quello su cui stava indagando Chloe era vero.

Pete non rispondeva.

-Ti ha minacciato?? Rispondi!-

-Non me… ma ha detto che avrebbe fatto del male a Chloe e Lana, se non avessi fatto quello che voleva. Mi ha visto passare del tempo con loro e ha capito subito come fare per ottenere quello che voleva. E ora quella sciocca di Chloe ha anche scritto quell’articolo contro di lui… non so come fare per farlo stare buono, se non fare quello che mi chiede… Clark, tu non sai di chi stiamo parlando…-

-E tu non ricordi chi sono io, forse! Ci parlerò io, con lui. Intanto dimmi… cosa ti ha costretto a fare?-

-Samantha… ha fatto in modo che non mi parlasse più dopo che mi ero rifiutato la prima volta di rubare per lui i test di fisica. E se non faccio questa cosa che mi ha chiesto, ha detto che se la prenderà molto seriamente con Chloe, per via dell’articolo. E poi… io non so che potere abbia, ma quando è in campo, tutti quelli che tocca cadono a terra come foglie morte e lui va dritto alla meta! E’ per questo che è arrivato a conquistarsi in pochissimi giorni il tuo posto di quarterback, Clark! E poi ha una forza…-

-Pensi che sia anche lui un freak da meteorite?-

-Chloe mi ha detto che la sua famiglia si era trasferita a Metropolis quando lui era ancora piccolo e che ha sempre frequentato scuole private, fino ad ora. E’ nato qua… potrebbe essere stato esposto anche lui alla pioggia di metoriti e… Clark, prima ti dicevo di Lana, perché Greedy si è preso una fissa per lei! Non c’eri alla sua festa, l’altro giorno: lui era lì e finché non è arrivato Jason è sempre stato a ronzarle intorno come un moscone. Io volevo risolvere la cosa da solo specie ora che tu sei così preso da Lily…-

-Non lascerei mai i miei amici nei guai, lo sai bene, Pete!-

Si spostarono fino al campo da football, dove Pete aveva fissato con Greedy e aspettarono che si presentasse.

Quando si sentirono i suoi passi in lontananza, Clark disse a Pete di nascondersi e si preparò a parlargli chiaro.

-Kent! Che piacere rivederti! Come mai non sei alla ricerca della tua amichetta racchia?-, gli rise in faccia,

-Sto cercando Ross, l’hai visto in giro?-

Clark si mise davanti a lui e lo guardò con odio.

-So tutto, Greedy. Pete mi ha detto che lo stai ricattando-

-Il piccolo nano ha chiamato la sua guardia del corpo personale! Uhh, che paura!-

Clark sentì il sangue ribollirgli nelle vene.

-Ti consiglio di non dare più noia ai miei amici, altrimenti sarò costretto a dire al preside del tuo piccolo segreto in campo e che sei un imbroglione! E allora dirai addio alla squadra e alla possibilità di andare al college…-

Robert Greedy contorse le labbra in una smorfia che forse doveva essere un sorriso strafottente e si avvicinò con passo cadenzato e molleggiato verso Clark, sfidandolo con lo sguardo.

-Che paura che mi fai, Kent!-, quando fu vicino a lui accelerò di colpo e afferrò Clark per il colletto della giacca correndo velocemente fino agli spalti più vicini.

Lo teneva quasi sollevato da terra.

-Prova ad aprire bocca e te ne pentirai…-, lo colpì violentemente con un pugno sul viso.

Clark non attese oltre: si liberò dalla sua presa e lo spinse lontano, facendolo cadere per terra.

Greedy era forte, ma non poteva immaginare che Clark fosse più forte di lui.

-Vattene adesso! E non farti più vedere da me o dai miei amici!-, gli urlò Clark, puntando il dito verso l’uscita del campo.

Greedy si alzò e finse di allontanarsi, poi si scagliò a tutta velocità verso Clark, buttandolo per terra e colpendolo di nuovo sul volto, mentre con l’altra mano stringeva la sua gola.

Quando si accorse che Clark si muoveva e opponeva una strenua resistenza, senza rimanere immobile sotto i suoi colpi, come avrebbe dovuto accadere, sgranò gli occhi e scoprì il lato sinistro.

Il pugno di Clark non si fece attendere e Greedy finì nuovamente per terra, con un labbro spaccato.

Si allontanò barcollando, tamponandosi la ferita con il dorso della mano, lanciando fiammeggianti occhiate di odio verso Clark.

-Me la pagherete-, disse piano uscendo dal campo, e sparì alla vista di Clark.

Pochi secondi dopo, l’applauso entusiasta di Pete risuonò sugli spalti vuoti, mentre si avvicinava di gran lena all’amico in piedi nel mezzo al campo da gioco.

-No, Pete, non c’è niente da festeggiare-, gli disse Clark, e se ne andò lasciandolo solo con i suoi errori. Per una volta ancora.

Chloe arrivò al Talon in anticipo, ordinò un caffè forte e sedette ad un tavolino più isolato. Quando Lana montò al lavoro, pochi minuti dopo, la trovò col portatile aperto sulle gambe, mentre osservava attenta lo schermo che le illuminava il volto di una luce azzurrina.

La salutò dandole un bacio sulla guancia, evidentemente Lana aveva davvero bisogno di affetto, se lo cercava pure in lei, pensò Chloe chiudendo il laptop. Doveva parlarle, l’aveva sentita strana la sera prima, al telefono, preoccupata forse e quella mattina non si era presentata a scuola.

-Mi dispiace non essere venuta da te, ieri, lo so che mi hai aspettata al Torch…-

-Volevo solo il tuo parere su un articolo che dovevo far uscire oggi…-

-Credo di sapere quale…-

Lana si sedette vicino a lei, stringendo il vassoio vuoto al petto.

A quell’ora il locale era deserto.

-Senti, Lana, forse mi sono sbagliata nel giudicare quella ragazza così affrettatamente-, la guardò stanca, aspettando che dicesse qualcosa.

Lana si sistemò sulla poltroncina a disagio.

-E’ che… l’idea di vedere una ragazza accanto a Clark, forse… come dire… ancora non riesco ad accettarlo…-

Lo sguardo di Lana parlava per lei.

-…credo di aver montato una storia assurda su di lei perché volevo convincermi che avesse cattive intenzioni contro di lui, ho voluto pensare che c’entrasse qualcosa con Lionel Luthor e che…-

-Chloe, forse lei sarà anche una ragazza a posto, ma ha davvero a che fare con Lionel Luthor…-

Chloe guardò Lana deglutendo, sollevandosi appena.

-Il comportamento di Clark ha deluso anche me, per questo ho temuto di essere prevenuta nei suoi confronti, però non voglio dovermi pentire…-

-Che vuoi dire?-, Chloe era confusa.

Lana la fissò seria, posando il vassoio sul tavolino.

-Posso accettare che le nostre strade si siano ormai separate, ma non mi potrei perdonare se gli accadesse qualcosa. L’altro giorno Lilyanne ha incontrato Lionel qua fuori. Stava uscendo quando lui l’ha affiancata con l’auto proprio davanti all’ingresso, facendola salire a bordo. E poi…-

Chloe non poteva pensare che quello che si era convinta fosse solo una sua illazione potesse trovare altre conferme da Lana.

-Poi?-

-Ho fatto una cosa meschina… mi sono messa a seguirla… E’ per questo che ieri non sono venuta al nostro appuntamento…-

-Che hai scoperto, ancora?-

Lana si avvicinò di più a Chloe, lanciando una sbirciata intorno per assicurarsi che nessuno la sentisse. Sembrava dovesse confidarle qualcosa di estremamente importante.

-Poi è successo di nuovo, proprio ieri, vicino alla scuola, nel viale che costeggia il parco. Credo che lei stesse tornando a casa. La limousine si è di nuovo avvicinata e si è abbassato il finestrino, ma lei si è voltata per tornare indietro, accelerando il passo. Veniva verso di me, così mi sono nascosta dietro un cespuglio. Allora lo sportello si è aperto ed è uscito proprio Lionel Luthor, che si è avvicinato a lei, per parlarle. Io ero proprio là… ma parlavano piano, non ho sentito molto di quello che si sono detti…-

Fece una pausa, dubbiosa se proseguire o meno il suo racconto.

-Lana… dimmi!-

-Lui le ha mostrato alcuni fogli, le ha chiesto se lei ne sapesse qualcosa. Poi… le ha chiesto di Clark. Ha detto qualcosa come “stai attenta… tenere d’occhio Clark Kent…”, non so di preciso, Chloe. So per certo che le ha detto che avrebbe reso pubblico quello che era successo “a quel ragazzo”, se non avesse fatto quello che chiedeva. Poi le ha dato una fiala…-

Chloe sgranò gli occhi, mentre le immagini e le conversazioni che aveva avuto modo di sentire l’anno prima le ritornavano alla memoria, ricomponendo il puzzle che sapeva esistere, ma non riusciva a ricostruire.

Tutto prendeva corpo nella sua mente, mentre Lana la osservava ragionare con occhi spaventati.

Ma certo! L’anno prima aveva scoperto che Adam era stato esperimento e spia di Lionel Luthor: era stato riportato in vita grazie ad un qualche cocktail piastrinico dalla composizione ignota perfino a chi lo aveva prodotto: un nuovo farmaco dalle enormi potenzialità che era stato analizzato dagli analisti dell’ospedale di Smallville, dopo che Clark (guarda caso) era riuscito a portarne una dose a Garrett Davies, il fratello del giovane morto e miracolosamente risorto. E la composizione presentava tracce di sostanza organica non nota in natura, sebbene inattiva: il dottore che l’aveva iniettata aveva notato che, vicino alla bomba armata con il meteorite verde indossata da Garret, questa aveva reagito diventando prima rossa, poi verde scuro, poi di nuovo limpida. Era morta una donna, una scienziata koreana che curava tutto il progetto, e di nuovo il nome dei Luthor era venuto fuori. E lo stesso Adam era stato mandato da Lana per spiare lei e Clark…

Allora, forse, di nuovo anche Lilyanne era davvero una spia, ricattata da Lionel con la stessa merce di scambio: forse anche lei “non era più in vita”, come Adam, anche lei aveva bisogno di quella sostanza per…

-… forse anche lei è morta nell’espolosione…-, disse ad alta voce, portando avanti il suo ragionamento.

Lana spalancò la bocca, incredula.

-Cosa… cosa stai dicendo, Chloe?-

Chloe non riuscì a mettere a freno la sua lingua fantasiosa e in breve descrisse a Lana un panorama più che plausibile di quella che poteva essere davvero la storia, la vita, la morte e lo scopo di Lilyanne, la ragazza che aveva conquistato Clark e rischiava di mettere in pericolo la sua vita, che aveva bisogno di quelle fiale…

Forse Lionel sa di Clark… Chloe doveva impedire a tutti i costi che la vita del suo amico potesse essere messa in pericolo da quell’uomo spregevole che aveva tentato di ammazzare anche lei, solo pochi mesi prima.

-Chloe, non dobbiamo permetterle di fare del male a Clark… io non, non me lo perdonerei mai!-, la guardò con occhi lucidi, accorata.

-Neanche io, Lana-, avrebbero smascherato i nuovi piani contro di lui. Ora sapeva qual era il segreto di Clark Kent e poteva capire quale fosse la posta in gioco. Lo avrebbero aiutato: era una promessa.

Alle sei in punto la porta del Talon si aprì e Lilyanne fece il suo ingresso, sorridendo verso Chloe e Lana, ancora sedute al tavolino. Si era cambiata e indossava una camicia azzurra a righine sottili e dei jeans. Si avvicinandosi a loro.

-Dobbiamo parlarti…-, disse Chloe.

-Seguici-, aggiunse Lana, ed entrambe scortarono Lilyanne, che le guardava attonita, nel vicolo dietro al locale.



[1] … corsi e ricorsi… ho fatto un viaggio nel tempo fino a 6x13 e sono tornata indietro!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Paura ***


Capitolo 8 – Paura

“Mia cara Lana,

non credere che mi sia dimenticato di questo giorno così importante: è dall’età di dieci anni che ogni tanto immaginavo come avrebbe potuto essere la tua festa di compleanno dei diciotto anni. Ho sempre pensato che tu saresti stata vestita come una principessa e che io sarei stato al tuo fianco come tuo principe… ma il tempo passa e sbiadisce questi sogni da ragazzino.

Tu sei stata per me il sogno più grande, il tesoro che ho sempre conservato gelosamente nel mio cuore, impedendomi di pensare ad altre se non a te, perché solo di te mi sentivo innamorato.

Quei pochi giorni che siamo stati insieme, credimi, sono stati forse il periodo più bello della mia vita: sapere che potevo dimostrarti quello che avevo dentro senza nascondermi dietro la presenza di un altro ragazzo, senza temere un rifiuto ai miei baci, avendo la certezza che anche i tuoi erano sinceri.

Ma quel tempo non c’è più e la colpa è solo mia.

Non credere che sia stato per mancanza di amore o di fiducia in te che ho voluto che le cose seguissero il corso che ci ha separato: io ho voluto soltanto proteggerti.

E’ vero, Lana: io ho un segreto, un segreto così grande che se te lo avessi rivelato la tua vita sarebbe stata in pericolo e io non avrei più potuto vivere, sapendoti a rischio.

Non chiedermi ancora di parlartene, perché se ho rinunciato a te è stato solo per questo motivo e non metterei ora nuovamente a repentaglio la tua vita.

Ho sofferto tanto, sai, vedendo che questa tua vita comunque riusciva ad andare avanti, anche senza di me, senza le mie bugie e i miei misteri. Sono stato da cani quando ho scoperto che c’era Jason, accanto a te.

Ma non posso che ringraziarlo per averti reso felice, per essere riuscito a spazzare via dal tuo sguardo quel velo di tristezza che credo fosse accompagnato al mio pensiero.

Hai fatto bene a cercare di dimenticarmi: noi due non siamo fatti per stare insieme, Lana, per quanto quello che c’era un tempo tra noi fosse splendente e puro.

Non c’è un futuro per noi due insieme, e tu per prima lo hai capito.

E’ stata più dura, per me, esserne la causa e accettarlo, ma sono successe cose che mi hanno fatto capire quanto l’amore che provavo per te sia maturato in un affetto sconfinato e fraterno.

Non perdiamoci ora, Lana, ma accettiamo che il tempo e il destino hanno giocato le loro carte e che, finalmente, le persone che potrebbero essere al nostro fianco potrebbero renderci ugualmente felici.

Io spero davvero che quello che c’è tra te e Jason sia l’amore della tua vita, quello che capita una volta e che rimane vivo per sempre.

E spero di essere in grado di riconoscere il mio, se mai busserà al mio cuore.

Erano mani di bambina quelle che tanti anni fa fecero una breccia in questo cuore indurito, le mani della bambina che rimarrà sempre viva dentro di te e che nulla e nessuno riuscirà mai a sporcare.

Cerca di serbare il ricordo di quella bambina e di portarlo con te anche quando sarai una donna con il tuo destino.

Ti voglio un bene dell’anima, Lana, e non potrà mai essere diversamente.

Ti auguro di essere felice, per sempre.

Clark”

Tre erano i problemi che Clark avrebbe dovuto affrettarsi a risolvere: capire chi fosse Lily e cosa significasse nella sua vita, cercare di recuperare il rapporto di fiducia e l’intimità che aveva avuto con lei e allo stesso tempo impedire di rovinare per sempre la sua amicizia con Lana, ora che sapeva di poter essere sincero nei sentimenti che provava per lei, senza sperare ancora in quel qualcosa in più che ormai aveva accettato come passato.

Non immaginava che presto il loro numero sarebbe aumentato, ma gli fu presto chiaro che qualcosa sarebbe successo, di lì a breve. Qualcosa di brutto.

Mentre stava tornando verso casa, rassegnato a non parlare a Lily neanche quel giorno, sentì il rumore di un’auto che si fermava accanto a lui. Si voltò indietro e vide Lex che, da dentro, gli faceva segno di salire a bordo.

Era stato via per due settimane, in giro per il mondo per lavoro, così almeno aveva detto, e al suo ritorno era stato accolto da lui con quelle domande su suo padre, senza una parola di bentornato a casa.

Clark, in fondo, fu felice di vederlo dopo tanto tempo, ma notò subito che il suo amico appariva cambiato, almeno nel suo approcciarsi a lui. Pareva più distaccato e al tempo stesso mellifluo, senza però eccedere in qualsiasi manifestazione di quello che lo turbava. Come al solito Lex era abilissimo nel nascondere quello che ribolliva dentro la sua testa, alimentato dalle fiamme dell’ambizione.

Per un istante Clark penso che potesse essere coinvolto nei fatti di cui era andato a domandare la settimana prima.

Lex disse a Clark che suo padre non si era fatto vivo a Smallville negli ultimi giorni e che non aveva avuto modo di chiedergli del suo comportamento nei confronti della fantomatica ragazza di cui l’amico gli aveva parlato.

Disse che Clark gli era mancato mentre era in viaggio lungo la cordigliera delle Ande e poi più ad est, in Bolivia. E che aveva immaginato una diversa accoglienza da lui, pur capendo il suo punto di vista. Clark si sentì in imbarazzo: effettivamente quando avevano parlato, giorni prima, non era stato affatto carino e si era dimenticato che non si vedevano da diverso tempo.

Lex raccontò di essere stato in quei paesi per stipulare importanti contratti di vendita dei suoi prodotti chimici, ma non aveva perso l’occasione di visitare i resti della civiltà Tiwanaku, “così simile ai Kiwatchee”, disse, per molti aspetti, e agli Anasazi[i] (1), gli ‘Antichi Alieni’ del New Mexico.

-Sei tornato per tenere una lezione sulle civiltà precolombiane?-, chiese Clark, a disagio per la piega vagamente inquisitoria che le parole di Lex stavano prendendo.

Lex gli sorrise, piegando la bocca a sinistra, -Sono tornato per continuare la mia ricerca del successo-, rispose sfrontato, ma evasivo.

Clark lo guardò sollevando le sopracciglia, mentre l’auto di Lex entrava nella sua fattoria.

-Devo passare prima dalla fabbrica e poi al Talon per riguardare i conti con Lana. Immagino che tuo padre vivrà tranquillo anche se non mi fermo a salutarlo-, disse, e fece manovra per tornare sulla strada principale.

Non era ancora tardi e Clark, dopo tanto tempo, decise di fare un salto alle grotte Kiwatchee ormai abbandonate, visto che Lex aveva ancora una volta risvegliato la sua curiosità per quel luogo che aveva cercato di dimenticare.

Posò lo zaino nel fienile e prese la torcia. Cercò di non farsi notare dai suoi, che non vedevano di buon occhio il suo interesse alle grotte, perché sapevano che, prima o poi, glielo avrebbero portato via.

Le pareti fredde e umide riflettevano la luce della torcia. Clark cercò i disegni sulla pietra e ne seguì per l’ennesima volta la storia ormai così familiare. L’interrogativo di sempre tornò imperioso alla sua memoria: era davvero lui Naman?

Ironicamente erano state proprio le parole di Lex che lo avevano fatti riflettere, l’anno prima, sul mito dell’uomo venuto dallo spazio. Naman era colui che avrebbe salvato la terra dal male, o che ne avrebbe causato la distruzione, forte dei suoi poteri sovrumani?

E supponendo che lui fosse davvero Naman, chi era Segith, al cui tocco il pugnale mistico si era polverizzato? Era forse Lex quello destinato a diventare il suo più grande nemico?

Nonostante le sorprese poco piacevoli e le delusioni che, negli anni, aveva spesso ricevuto da Lex, la sua naturale tendenza ad avere fiducia negli altri lo aveva sempre portato a giustificare il suo amico e a confidare in un suo cambiamento.

Scorrendo lungo le iscrizioni, Clark si arrampicò per sfiorare con la punta delle dita quella raffigurante la donna del destino di Naman.

Se lui era Naman, chi era quella donna misteriosamente bella?

Era stata Kyla? Lana, forse? Era Lilyanne, piovuta nella sua vita come lui sulla terra? O forse quella donna doveva ancora arrivare, cambiando per sempre la sua vita e indicandogli il cammino giusto da seguire? Forse l’aveva già incontrata, ma non era stato in grado di riconoscerla?

Rimase nelle grotte ancora un po’, riflettendo sul significato profondo che quei graffiti rivestivano per lui, finché la luce della torcia si affievolì e il buio inghiottì la storia di Naman.

Era curioso di sentire ancora delle altre civiltà che aveva citato Lex, così decise di raggiungerlo al Talon per scambiare altre quattro chiacchiere e, magari, cercare di chiarire meglio la sua situazione con Lana dopo la lettera che le aveva lasciato, assieme al suo vecchio ciondolo di kryptonite, ormai diventato trasparente come un diamante senza valore. [ii] (2)

-Chloe, avevamo detto di passare un pomeriggio insieme, pacificamente che sta succedendo?-

Lily era spaventata dal comportamento aggressivo di Chloe e Lana; nel vicolo dietro al Talon il vento creava piccoli mulinelli alzando la polvere e le foglie secche da terra.

Non c’era nessun altro, solo l’auto di Lana, in sosta sotto le finestre del suo appartamento.

Non ne poteva più: era la quarta o la quinta volta da quando era arrivata a Smallville, che qualcuno la metteva spalle al muro per parlare in gran segreto.

-Che volete da me?-, la voce le uscì debole, quasi un lamento.

-Chi sei, Lilyanne?-, chiese Lana, facendosi avanti.

-Io…-

-Ho cercato di credere alle giustificazioni di Clark sul tuo atteggiamento al Torch, l’altro giorno, ma sono troppe le cose di te che non tornano, signorina! Dimmi: tutta quella lista di superpoteri che hai elencato… di cosa diavolo stavi parlando?-

Lily spalancò gli occhi incredula alle parole di Chloe, si sentiva come una volpe in trappola circondata dai cani che abbaiavano sbavando verso di lei.

-Ma… Chloe! Mi avevi.. mi avevi trattata come una bestia… io non ricordo cosa ti ho detto…-, senza accorgesene stava andando indietro, verso il muro.

-Te lo ricordo io: hai detto che sai volare, che puoi spiaccicarmi come un verme, che sei superveloce, che puoi vedere attraverso i muri e che ascolti la gente a chilometri di distanza. E’ vero, Lilyanne?-

Lilyanne sentì il sangue fluire alle sue guance e sperò che nessuna delle due si accorgesse che stava arrossendo violentemente.

-Chloe, ma che domande…?-, Lana non capiva più niente di quello che Chloe stava farfugliando.

-Te lo ripeto: è vero, Lilyanne?-

Lily deglutì, tenendo gli occhi sgranati. Quando parlò, la sua voce era sottile sottile.

-Io ho… letto molti fumetti di Warrior Angel, da bambina… volevo solo… farti paura…-

Chloe espirò, sgonfiandosi come un palloncino, scuotendo la testa. Poi la sollevò di nuovo, facendo scattare gli occhi da lei a Lana.

-Allora passiamo alla domanda di riserva…-, fece un segno con la testa a Lana, che fu più diretta di una locomotiva sparata a quattrocento chilometri all’ora su un rettilineo.

-Che cosa cerchi da Clark? Chi sei, Lilyanne e che cosa ci facevi insieme a Lionel Luthor nel parco, ieri pomeriggio?-

Ancora una volta, la vampa prese Lilyanne alle guance, mentre le sue gambe iniziarono a tremare. Si sarebbe messa a piangere come una bambina, se avesse saputo di non essere sola, se fosse stata certa di avere qualcuno, dopo, che l’avrebbe consolata.

O attaccava ancora, o soccombeva a quell’interrogatorio.

Prese molta aria nei polmoni, stringendo i pugni e staccandosi dal muro, con un passo avanti. Le fissò intensamente trafiggendole con gli occhi socchiusi.

-Primo: io non voglio niente da Clark! E’ stato lui il primo a starmi vicino, l’unico che mi abbia accettata senza pregiudizi. Io non ho fatto niente per portarvelo via: siete state voi due, forse a farvelo scappare, troppo prese a tramare alle sue spalle-

-… ma senti questa…-, Lana difficilmente era stata così arrabbiata. Portò una mano al ciondolo che aveva al collo, l’ultimo regalo di Clark, quello che somigliava così tanto a quello che aveva perso…

-Secondo: chi sono io, non sono affari vostri, né di nessun altro. E terzo: che vuole da me Lionel Luthor?? Chiedetelo a lui, che a quanto ne so è in stretti contatti con entrambe. E’ già venuto ad importunarmi quattro volte e per tutte e quattro le volte mi ha chiesto le stesse cose che mi chiedete voi! Io non lo so che volete tutti da me, non lo so in che posto del cavolo sono capitata, io non lo so perché tu, Sullivan, continui ad indagare su di me e perché tu, Lana Lang, non ti rassegni a lasciar perdere Clark!-

Lana stava davvero per perdere la pazienza.

-Tu sei solo una pedina nelle mani di Luthor… te l’ha detto lui di risponderci così, non è vero? Che c’era in quella fiala che ti ha dato ieri? Vi ho visti, sai? Che cosa sai tu di Clark che interessa così tanto a Lionel Luthor? E soprattutto: sei viva, sei morta… cosa sei?-, si era avvicinata a Lily e senza staccare gli occhi dai suoi, le stava sibilando tutte quelle cose in faccia. Era visibilmente sconvolta, non meno di lei.

Lily non capiva che stavano dicendo, non capiva più niente!

-Giusto, cosa c’era in quella fiala, Lily? Che ci devi fare con quello che c’è dentro?-, incalzò Chloe.

-Io… io devo… mi ha detto di analizzarlo, e di confrontarlo con.. un’altra cosa e poi… Cavolo, ma mi volete lasciare in pace? Non c’entra niente Clark con Lionel Luthor e non voglio che lui sappia che l’ho visto ancora!-

-E perché non vuoi? Hai paura che dopo lui scappi da te e che ti consideri un mostro?-, ancora bugie, su bugie, su bugie. Dove c’era Clark, le bugie e il mistero facevano da sovrani. Lana era davvero stanca.

Chloe non pensava che la situazione sarebbe loro scappata di mano così presto.

-Lana! Calmati ora! Ragioniamo-, si mise tra le due, cercando di abbassare i toni del loro litigio.

-Lily, forse c’è una cosa su cui noi tre siamo d’accordo e quella cosa è Clark: credo che tu non voglia che lui sia messo in pericolo, giusto?-

Lilyanne annuì, guardandola, la fronte corrugata e i pugni ancora stretti.

-Ora, abbiamo motivo di credere che Lionel Luthor possa volere di nuovo indagare su Clark, cercare da lui qualcosa che nessuno sa cosa sia. L’anno scorso aveva pagato alcune spie, addirittura, e tutte loro non hanno fatto una buona fine…-

-Cos’è, una minaccia?-, chiese Lily strizzando gli occhi e facendo un passo indietro.

-No, è solo un avvertimento: stai attenta a quell’uomo, se come dici non sei già coinvolta troppo oltre con lui. E stai attenta a come ti comporti con Clark, perché quel ragazzo al momento sta passando un brutto periodo…-

Lana lanciò a Chloe un’occhiata interrogativa: che stava diecendo? A che gioco voleva giocare?

-Che vuoi dire… cos’ha Clark?-, Lily sembrava davvero preoccupata.

Chloe gustò una ad una le parole che disse, sapendo che ciascuna di esser avrebbe raggiunto il segno e svelato loro quello che davvero provava quella ragazza. Se era sincera, lo avrebbero capito una volta per tutte.

-Clark non ti ha raccontato del suo recente lutto?-

Lily scosse ancora la testa. Lana iniziò a capire, ma l’argomento era doloroso anche per lei. E anche per Chloe, lo sapeva bene. Stava affilando la sua spada più tagliente che avrebbe ferito tutte e tre.

-La moglie di Clark è morta solo pochi mesi fa: è stata uccisa da un pazzo che la credeva “diversa”. Clark è stato spezzato dal dolore per la sua perdita e da allora non è più stato il ragazzo che noi conoscevamo”

Lily sentì che le gambe le stavano cedendo.

-La… moglie?-, un sussurro appena. Lana e Chloe deglutirono, senza aggiungere altro.

Lily sentì di non riuscire a trattenere ancora a lungo il pianto per tutta quella situazione, per quelle ultime, graffianti parole.

Una lacrima scivolò lungo la sua guancia, si appoggiò ancora con la schiena al muro, sentendo che vacillava.

-La moglie…-, un bisbiglio.

La sua reazione spontanea e disperata convinse Chloe che forse era davvero sincera in quello che provava per Clark, e che altrettanto probabilmente era davvero stata una vittima delle circostanze e dell’interesse morboso di Lionel Luthor.

Ormai Lily aveva perso ogni controllo e stava iniziando a singhiozzare, scivolando in basso.

Chloe si chinò su di lei, posandole una mano sulla spalla.

-Ehi… dai, la situazione non è così tragica… lascia che ti spieghi…-, le disse piano, cercando di calmarla.

Fece un cenno a Lana, perché si avvicinasse a loro, ma Lana non si mosse: le loro stesse parole avevano ferito anche lei. Rimase in piedi, a qualche metro da loro, mentre Chloe porgeva un fazzoletto a Lily e le scostava i capelli dalla fronte, spiegandole la vera storia di Alicia. Guardò Lilyanne e pensò che Clark forse poteva realmente essere attratto da lei. Provò una fitta al cuore e abbassò lo sguardo.

Sì, in fin dei conti, anche se Lilyanne non fosse stata una spia, o una mutante da meteorite, o una come Adam, non riusciva proprio a sopportare l’idea di vederla accanto a Clark.

-Dai, Chloe, basta, andiamo via-, chiese all’amica consapevole che avevano davvero passato il segno scadendo nel bullismo più disprezzabile.

Sentirono la porta sul retro del Talon aprirsi e richiudersi.

-No, Lana, voi non andate proprio da nessuna parte…-, Robert Greedy le guardava col suo ghigno storto, massaggiandosi con una mano il pugno stretto nell’altra, stava davanti alla porta, impedendo loro di rientrare.

Lilyanne si tirò su, inghiottendo e scostandosi i capelli dal viso. Qualcosa pizzicò dietro la sua nuca, forse il suo “quinto senso e mezzo”[iii](3), come le diceva sempre la sua mamma da piccola. Tirò per la manica della giacca Chloe e le bisbigliò in un orecchio: -Dobbiamo andarcene velocemente…-

Lana si avvicinò verso di lui, era arrabbiata nera e le ci mancava solo quel ragazzo appiccicoso per completare il quadro.

-Robert, non è il caso, lasciami entrare-

Greedy le ostruì il passaggio allungando un braccio, Lana cercò di abbassarlo scartandolo, allora lui la afferrò per le spalle e la bloccò a sé, tenendola ferma attaccata al suo petto.

-Lasciami!-, urlò Lana terrorizzata.

Chloe e Lily scattarono verso di lui immediatamente, per aiutarla, ma furono respinte con uno colpo che le fece barcollare.

-Greedy, lo sapevo che eri pazzo…-, Chloe era terrorizzata dalla forza di quel ragazzo, ma non doveva apparire debole.

Lana cercava con tutte le sue forze di sfuggire alla sua presa, graffiava e tirava calci. Lily e Chloe, dimenticate tutte le brutte cose che si erano dette, si scambiavano occhiate per cercare di coordinarsi per aiutarla.

-Buona… stai buona, micetta!-, Greedy, viscido come una sanguisuga, si allungò sul volto di Lana e le biascicò un bacio umido sul collo.

-Lasciala stare!-, Chloe e Lily di nuovo scattarono verso di lui, sferrando calci e pugni, che non sortivano alcun effetto.

-Non la lascio… sono venuto apposta perché sapevo di trovarvi entrambe qua, Sullivan… i vostri amici mi hanno fatto arrabbiare, e voi due siete la mia vendetta…-, afferrò anche Chloe, che non riuscì a sfuggirli in fretta.

-Cosa posso desiderare di più: ho tra le mie braccia le due donne della vita di Clark Kent… ha osato sfidarmi e ora voi due, mie care, pagherete per lui…-, incurante dei loro colpi, di nuovo allungò le sue labbra sulla bocca di Lana, baciandola e facendole male.

-Povero Clark… se solo sapesse cosa sto facendo alla sua ragazza! Ha proprio ragione ad essere perso di te-, continuando a tenere a bada Chloe che graffiava e cercava di urlare, baciò ancora Lana, che, immobile, accettava in silenzio le sue mani viscide, senza neanche più cercare di difendersi.

Lily tremava, in piedi davanti a lui, ignorata e incapace di fermarlo.

Gli urlò di nuovo contro, tornando a graffiarlo.

-Lasciale, mostro!-

-Ha parlato la donna più bella del mondo! Vattene finché sei in tempo, scarto della natura! Non mi interessa niente di te! Voglio solo loro due, solo quelle a cui Clark tiene! Tu sei solo una racchia, non ci penso nemmeno di avvicinarmi a te!”, rideva diabolico mentre affondava la lama delle sue parole nel petto di Lily.

Lily sentiva la rabbia montare dentro di lei,mentre vedeva anche Chloe smettere di divincolarsi: pendevano entrambe dalle sue braccia come bambole rotte.

Greedy le fece cadere per terra, spingendo Chloe che rotolò nella sua direzione.

Lily la vide immobile, come se fosse morta, con gli occhi aperti rivolti verso di lei. Sentì il suo cuore che si fermava per la paura. Corse verso di lei, cercando di scuoterla, controllando se respirava ancora. Era viva e dal suo sguardo terrorizzato poteva capire che era cosciente.

Greedy intanto stava raggiungendo Lana, distesa con la faccia a terra, le braccia scomposte sotto di lei.

-Che cosa hai fatto?-, la disperazione ribolliva dentro Lily: si sentiva spettatrice inutile di una tragedia, senza che il carnefice la degnasse almeno di uno sguardo d’odio. Aveva spezzato le due ragazze con le quali aveva appena discusso come fossero fuscelli, eppure sentiva una rabbia così forte dentro, un fuoco che si alimentava delle lacrime non versate, delle parole cattive che le aveva detto, che non poteva lasciare quel gesto impunito.

Non seppe da dove prese la forza, ma corse di nuovo verso Robert Greedy e, afferrandolo per una spalla prima che potesse scendere su Lana, lo strattonò così forte da farlo volare dietro di sé, lasciandolo senza fiato per l’urto contro il suolo.

Lily alzò le mani, incredula, guardandosi e chiedendosi cosa avesse fatto, distraendosi per il tempo che fu sufficiente a Greedy per rimettersi in piedi e attaccarla: si sentì presa per il collo e buttata a terra, mentre l’aria non riusciva più a passare nei suoi polmoni.

Vide l’espressione del suo aggressore mutare, mentre cercava di sfuggire alla sua presa scalciando e stringendo i suoi polsi, per allontanarlo da sé.

-Come fai a muoverti ancora?-, sentì che si chiedeva Greedy, stringendo ancora di più, digrignando i denti per il disappunto.

Chloe, immobile come paralizzata, stava osservando tutta la scena non potendo fare nulla per aiutare Lily. Le lacrime scivolavano dai suoi occhi andando a bagnarle i capelli, per terra.

Almeno lei non era caduta vittima della sua stretta paralizzante… avrebbe voluto alzarsi e prenderlo a calci proprio lì, violentemente, finché non si fosse ridotto ad una larva mugolante per il dolore. Ma riusciva a malapena a respirare…

Poi la vide, così vicina a lei, fermare per un attimo la sua lotta, stringere gli occhi e riaprirli: vide chiaramente come un fascio di energia staccarsi dai suoi occhi divenuti rossi per un istante e colpire le braccia di Greedy, tese sul suo collo, sentì le sue urla di dolore, vide la pelle delle braccia gonfiarsi di vesciche per le ustioni, e un attimo dopo vide ancora Lily in piedi, davanti a lui, con la rabbia che bruciava nel suo petto, avvicinarsi e colpirlo ancora, scaraventandolo contro la fiancata dell’auto, i vetri che si sbriciolarono in mille pezzi.

Come Greedy svenne, la forza che la teneva immobilizzata cessò e sentì le sue mani riuscire a muoversi di nuovo.

Si sollevò di scatto, camminando verso Lily, con gli occhi sgranati e la bocca aperta.

Vide che piangeva.

-Non dire niente a nessuno, ti prego…-, le disse, e corse via, accelerando come aveva visto fare solo a Clark.

Richiamati dalle grida e dal frastuono dei vetri spaccati, dall’interno del Talon accorsero i presenti.

Lex era arrivato da pochi minuti, aveva ordinato un cappuccino bollente senza schiuma, come suo solito e si era seduto al bancone, aspettando che Lana rientrasse.

Una cameriera gli aveva detto che era sul retro a parlare con delle amiche e lui non voleva impicciarsi.

Quando sentì il gran rumore da fuori, temette subito il peggio e si precipitò a vedere quello che stava accadendo, proprio nel momento in cui Clark entrava al Talon, per chiacchierare ancora un po’ con lui.

Quello che videro li lasciò di stucco: Chloe immobile in piedi davanti al corpo di Lana, che sembrava morta, per terra; accanto a loro l’auto fracassata e, incastrato tra le lamiere, Robert Greedy che stava cercando di liberarsi, una volta ripresi i sensi.

Lex accorse subito da Lana, urlando di chiamare un’ambulanza, Clark raggiunse Chloe, che, sconvolta continuava a ripetere: -Sto bene, sto bene… pensate a lei…-

Altre persone accorsero e si presero cura di Chloe. Lex si allontanò da Lana per chiamare la polizia e controllare chi fosse il ragazzo, lasciando che Clark si occupasse di lei.

Tra le sue braccia, Lana sembrava un uccellino caduto dal nido. Sentiva che respirava tranquilla: doveva essere solo svenuta per un grosso spavento, non aveva lividi sul volto.

Si sentì in colpa per non essere arrivato prima per evitare che le succedesse questo nuovo incidente: la strinse a sé sentendo per la prima volta che riusciva ad abbracciarla senza che dentro al suo petto si accendesse la solita scintilla di sempre.

Scostò i capelli dalla sua fronte, facendole una carezza, vide che stava aprendo gli occhi. Le sorrise.

Quando si rese conto di essere tra le braccia di Clark, Lana si strinse forte al suo collo, abbracciandolo e lasciando che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi bagnando la sua giacca. Si sentiva finalmente protetta.

Non seppe dirgli cosa fosse accaduto dopo che, quello lo ricordava, Greedy l’aveva stretta immobilizzandola, lasciandola come paralizzata, ma sveglia, in suo potere.

-Lui mi ha… toccata, mi ha baciata…-, confidò nascondendo la faccia sotto la sua spalla.

Clark strinse le mascelle giurando che Greedy gliel’avrebbe pagata e rimase vicino a Lana, finché non arrivò l’ambulanza che portò lei e Chloe all’ospedale, mentre la polizia scortava l’aggressore al commissariato.

Lex si avvicinò a Clark, sembrava perplesso.

-Conoscevi quel ragazzo, Clark?-, chiese portandolo un po’ in disparte.

-Era nuovo della scuola, veniva da Metropolis. Oggi… abbiamo avuto una discussione, temo che se la sia presa con Chloe e Lana per causa mia-

-Non erano sole: c’era una terza ragazza con loro. Greedy vaneggiava a proposito di una ragazza che lo aveva ridotto in quello stato-, alzò le sopracciglia dando poco credito alle parole dell’aggressore.

-Dov’eri, Clark, quando è successo tutto?-, ancora il tono inquisitorio di poche ore prima.

-Stavo raggiungendoti al Talon, Lex!-

-Cosa sai di quel ragazzo? Cos’ha fatto a Lana e Chloe?-

Clark lo guardò esitando un attimo: non sapeva che rispondergli. Per una volta volle essere sincero.

-Credo che Greedy abbia avuto dei… poteri derivanti dall’esposizione alla pioggia di meteoriti: è davvero forte e riesce a paralizzare le persone solo con il tocco delle mani… per questo va così forte nel football[iv](4)-, lo guardò cercando di interpretare la sua reazione. Lex non battè ciglio, lo salutò e si allontanò, attaccandosi al suo telefonino in una conversazione animata e riservata.

La sera stessa Greedy fu trasferito al Belle Reve e Clark non potè parlargli per sapere cosa intendesse con “la terza ragazza che lo aveva ridotto a quello stato”.

Avrebbe chiesto a Chloe.

Ma prima doveva trovare Lily, era sicuro che fosse stata lei a fermare Greedy…



[i] (1) Tributo a X-Files. Chi lo conosce, sa di cosa sto parlando e, in fondo, non è che si debba andare tanto lontano dai temi di Smallville…

[ii] (2) In effetti la storia del ciondolo non è esattamente questa, ma ho voluto che fosse quello il dono che Clark fa a Lana: gli restituisce solo la purezza e la trasparenza, togliendo via il veleno e le bugie che hanno distrutto la loro storia. Non ha più bisogno, Clark, di mentire a Lana, perché la sa al sicuro vicino a Jason. Il fatto che si sbagli di grosso, povero Clark, è solo perché non riesce mai a vedere il nero che c’è nelle persone, ma cerca sempre la luce.

[iii] (3) Dylan Dog e i suoi autori non me ne vogliano… apprezzino la citazione come tributo verso la loro creatura più affascinante e meglio riuscita! ♥♥♥

[iv](4) Ho odiato gli sceneggiatori per aver inserito la puntata “I valori di Clark” subito dopo la morte di Alicia, senza che nessuno nominasse neanche il suo nome, senza un ricordo. Così ho cancellato quella puntata e ho pensato di riprenderne i temi inserendoli in questa fanfic. Capirete perfettamente che ho sfruttato i poteri del giocatore di football di Metropolis e li ho passati a Robert Greedy. Così almeno sono rimasta fedele alla storia, sebbene tagliando via quello che non mi piaceva.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Chiarimenti ***


Capitolo 9: Chiarimenti

“Son of the Illusion Blog

Giovedì 08/07/2004

2 comments

Conservo solo pochi ricordi della mia infanzia,

flash dolorosi e monocromatici di quelle che sono state le mie vite passate.

Il più nitido di tutti,

amore mio, sei tu,

quando ti vidi chino su di me con gli occhi gonfi di pianto, credendo che stessi per morire.

Tornando indietro nel tempo mi rendo conto di aver cancellato i bei momenti con la mia famiglia, le vacanze insieme, i pranzi di Natale: so che ci sono stati, ma non ricordo alcuna immagine di essi.

Poi le urla di orrore dei bambini al Museo di Mineralogia,

quelle ancora riecheggiano nelle mie orecchie.

I loro volti invece sono sbiaditi nel ricordo del dolore atroce che provai.

Altre due immagini soltanto, indistinte, ma reali:

un uomo sulla carrozzina che mi teneva in braccio davanti a quelli che sarebbero diventati

mamma e papà.

Poi solo tanta, tantissima luce riflessa dal vetro, come in una grotta di diamanti

E un abbraccio, l’ultimo, di un’altra mamma. Forse quella vera.

Tu amore mio, eri riuscito a donarmi altri ricordi

vocianti di risate, di corse sui prati,

di dolcezza, luce e calore.

Ti avevo sognato per tanto tempo, e tu eri il frutto dei miei sogni.

Ora non ci sei più,

e capisco che i miei non erano sogni, ma solo illusione

e tu, amore mio,

eri il Figlio della mia Illusione.

E sono di nuovo sola.

--------------------

2 COMMENTS:

The Daffodil says:

Ho perso anch’io il ragazzo che amavo, per causa mia. L’ho ingannato, l’ho tradito e ho commesso errori così grandi che non vorrà più accettarmi, quando tornerò da lui. E’ come se io fossi morta… magari fosse accaduto davvero…

Posted at 4:32PM 20/07/2004

UglyOgre says:

… ma sparati e smettila di rompere con questa lagna!!!

Daffodil, sparati anche te!

Posted at: 11:47PM 24/08/2004”

Clark, approfittando del caos del momento, corse via dal Talon alla supervelocità. Decise di deviare verso casa per avvertire di quello che era successo a Lana e Chloe e poi ripartire verso Smallville, i suoi avrebbero capito.

Era già buio e la ricerca di Lily rimaneva la sua priorità.

Giunse a casa pochi attimi dopo e, entrando, percepì subito l’atmosfera tesa e preoccupata che accompagna la comunicazione di una triste notizia: i suoi, immobili in cucina, guardavano Lois che parlava al telefono, il volto stretto in un’espressione di angoscia.

Jonathan gli fece cenno con la mano di non fare rumore e Clark, ubbidendo, rimase fermo accanto a loro, mentre Lois, a telefono, ringraziava e metteva giù la cornetta.

L’aria profumava dell’arrosto di Martha, in attesa sul tavolo in cucina, accanto al purè di patate e bacon.

-L’hanno portata all’ospedale in paese… non sanno cosa le abbia fatto di preciso… iniziavano ora a farle tutti i controlli-, la solita voce squillante di Lois aveva lasciato il posto alla stessa voce che Clark aveva già udito, alcuni mesi prima, quando l’aveva vista piangere sulla tomba di Chloe, prima che insieme riuscissero a scoprire che era ancora viva e liberarla. Martha si avvicinò a lei, confortandola con una carezza su di un braccio.

Clark si fece avanti: sapeva cosa le avevano appena comunicato, voleva rassicurarla sulle condizioni di sua cugina, ma fu interrotto da lei.

-Scusatemi, io devo… devo correre da Chloe… mio zio è a Metropolis per lavoro e non posso lasciarla sola. Devo…-, si voltò per prendere la giacca appesa vicino alla porta, ma le scivolò di mano. Si chinò per raccoglierla, ma Clark fu più veloce di lei.

Quando rialzò la testa, allungando la mano per riprendere la giacca che lui le porgeva, i suoi occhi erano gonfi di lacrime.

-Lois…-, non l’aveva mai vista così. Le posò le mani sulle spalle, per confortarla, mentre i suoi genitori si avvicinavano per starle vicini; Lois si lasciò andare per un istante, poggiando la testa al petto di Clark e lasciando che le lacrime che non le aveva mai visto versare fino ad allora bagnassero la sua maglia.

-Perché non ci sono mai quando lei ha bisogno di me...?-, Clark la abbracciò per un attimo, poi staccò le mani.

-Lois, vengo dal Talon e ho visto Chloe… stai tranquilla, non ha niente di grave-

Lois si allontanò tirando su col naso e fissandolo con occhi grandi come quelli di un bambino dopo che ha pianto.

-E’ la verità?-

Clark le sorrise annuendo e vide che Lois prendeva aria e si calmava un po’.

-Clark, accompagnala all’ospedale… non è il caso che guidi da sola, adesso-

-Non si preoccupi signora Kent io…-

Martha e Jonathan scossero la testa e praticamente spinsero fuori di casa Lois e Clark.

Lily doveva aspettare…

-Ti vedo nervoso, Smallville…-, durante il tragitto in auto verso l’ospedale, Lois si era notevolmente calmata in seguito all’assicurazione fatta da Clark circa le condizioni di Chloe.

Non avrebbe mai pensato di vedere Lois così fragile, nonostante la sua capacità di recupero fosse eccezionale, e, mentre guidava il più velocemente possibile, nei limiti concessi dalla legge, pensava a quale potesse essere invece la stessa capacità in Lily: l’aveva vista davvero giù nei giorni successivi alla lite con Chloe e tutti i contrattempi che lo tenevano lontano da lei acuivano la sua preoccupazione.

Quando arrivarono all’ospedale, Lois scese velocemente di macchina chiedendo all’ingresso dove fosse la cugina. Le risposero che era stata portata a fare alcuni esami di accertamento e che avrebbero dovuto aspettare un po’.

Si sedettero nella sala d’aspetto, dove il silenzio e l’aria grave facevano da sovrani, uno di fronte all’altra, senza guardarsi.

Un movimento nel corridoio richiamò la loro attenzione: era Jason che, uscito dalla stanza dove era Lana, cercava un medico per sincerarsi delle sue condizioni.

Lois e Clark si fecero avanti, per chiedere notizie. Jason li salutò, ma dalla sua espressione trapelava preoccupazione.

-Quel pazzo le ha come… paralizzate, non so come abbia fatto, ma i medici vogliono controllare che vada tutto bene-, Lois abbassò gli occhi.

-Possiamo vederla?-, chiese Clark.

-Sì, credo sia sveglia… Clark, Lana è molto arrabbiata con una ragazza che credo tu conosca: continua a dire che era lì ed è scappata quando la situazione è degenerata…-

Clark prese aria e, salutando Jason, entrò nella stanza di Lana con Lois.

Sembrava stesse dormendo, nella penombra, con la testa rivolta verso la parete opposta alla porta.

Si voltò quando sentì che qualcuno entrava e sorrise, vedendo Clark. Un attimo dopo si rabbui, voltandosi.

-Come ti senti?- , le chiese Lois, sedendosi sulla sedia vicino a lei.

Lana attese un attimo, come se stesse raccogliendo le sue idee, poi rispose.

-Ora bene… ma ho temuto di rimanere paralizzata… era come un incubo… non riuscivo a muovere niente, sentivo solo le sue mani e le lacrime che continuavano a uscire dai miei occhi chiusi: non riuscivo neanche ad aprirli, a parlare, gridare…-

-E’ tutto finito…-, disse Clark, e le prese una mano.

Lana la ritirò: -C’era anche la tua amica, Clark, quella nuova… quella che parla sempre con Lionel Luthor… lei se l’è data a gambe, sai? Non ha neanche chiamato la polizia… è una vigliacca!-, le sue dita stringevano convulsamente la stoffa bianca dei lenzuoli.

Lois lanciò un’occhiata in tralice a Clark. Di nuovo Luthor… che cosa c’entrava ancora?

Lui strinse di nuovo la mano a Lana e uscì dalla stanza, senza dire una parola.

Poco dopo l’infermiera entrò chiedendo a Lois di uscire.

Chloe era stata riportata nella sua stanza e le due cugine poterono abbracciarsi.

-Ho bisogno di chiederti una cosa…-, disse piano Clark a Chloe, mentre Lois, più in disparte, parlava con il medico delle condizioni di salute della cugina.

Chloe lo guardò, sveglia, -Mi ero sbagliata sul conto di Lily… perdonami-, sorrise appena mortificata e aspettò che lui parlasse.

-Lana dice… che c’era anche lei con voi e che è scappata via, senza aiutarvi… io non posso credere ad una cosa del genere…-

Chloe posò la sua mano su quella di Clark e lo fissò dritto negli occhi.

-E’ vero, c’era anche Lily ed è andata via prima che arrivassero i soccorsi, ma, Clark, credimi… se non ci fosse stata lei non so se io e Lana saremmo qui, adesso… Non chiedermi altro, per favore…-, sembrava convinta nelle sue parole. Clark la guardò pensieroso.

-Va da lei, ora…-, Chloe gli sorrise, facendogli cenno con la testa di andare.

Lui rispose al suo sorriso posandole un dolce bacio sulla fronte, salutò Lois, gettandole le chiavi dell’auto, per tornare a casa, e scomparve.

Come pensava, Lilyanne non era a casa: la sua ricerca era diventata la costante degli ultimi giorni.

In realtà, forse, era tutta la vita che stava cercando una come lei, pensò tirando un pugno leggero sulla sua porta di casa.

Dall’interno udì un flebile miagolio: doveva aver svegliato il gatto. Pensò all’ironia racchiusa nel nome scelto per lui: E.T…

Forse anche Lily voleva solo tornare a casa, come E.T., ma non sapeva più quale essa fosse: troppe volte la sua vita era stata interrotta dalle beffe del destino, troppe case l’avevano ospitata, chissà se in qualcuna di esse si era mai davvero sentita protetta.

Vagò ancora un po’ per la città, senza una meta, consapevole che Lily avrebbe potuto essere ovunque, anche molto, molto lontano da lì, poi si rassegnò, e tornò a casa.

La luce in cucina era ancora accesa e lui non aveva voglia di parlare con i suoi, si sentiva troppo arrabbiato e depresso. Salì nella sua piccola fortezza della solitudine, facendo le scale con passo lento e stanco, reggendosi al passamano.

Quando arrivò su, credette che i suoi occhi lo stessero ingannando. Si fermò in cima alle scale, trattenendo il respiro, sentendo il cuore che accelerava nel petto: davanti a lui, china sull’oculare del suo vecchio telescopio, c’era Lily.

Si voltò verso di lui con un pizzico di sorpresa, rimase immobile, con la bocca semi aperta, gli occhi lucidi, poi corse verso di lui, buttandosi al suo collo.

Clark l’abbracciò stretta tenendola sollevata da terra, affondando il volto nel suoi capelli sciolti che profumavano di primavera.

Provò di nuovo quella sensazione di calore e brividi nel suo corpo, per un attimo, poi sentì che le sue tensioni e le paure si scioglievano, e dopo sentì solo lei, stretta tra le sue braccia, che riempiva il suo sguardo, la sua testa, ogni cellula del suo corpo.

Sentì il suo cuore battere velocemente, in sintonia con il suo, e volle poterla stringere ancora di più, se possibile, perché non scappasse di nuovo, lasciando quel vuoto doloroso in lui.

-Lily…-, mormorò piano, e la sua voce fu come una carezza sulla pelle del suo volto.

Sentiva il sangue alla testa, pulsare nelle tempie, e capì che anche lei era emozionata e rinfrancata dalla sua presenza.

Rimasero stretti a lungo, finché i loro battiti non tornarono normali e fu possibile scostarsi appena, per guardala negli occhi.

Le sorrise, le fece una carezza sulla guancia, scostandole i capelli dal viso: voleva controllare che stesse davvero bene.

-Clark, è successa una cosa…-

-Tu stai bene…?-

-Io sì, ma…-

-Anche loro stanno bene-, le sorrise e, di nuovo, le fece un’altra carezza.

Vide che si rilassò un poco e la invitò a sedersi sul divano. Notò che aveva uno strappo sulla manica della camicetta che indossava. Con le dita riavvicinò i lembi della stoffa.

-Ti ha fatto male?-, le domandò triste.

-Appena…-, rispose scuotendo la testa, rassegnata e lasciò che lui la circondasse con un braccio, poi sprofondò nel suo abbraccio.

-Cosa sono, Clark? Io non riesco a capirlo…-, sollevò una mano davanti al suo viso e la esaminò.

-Io non pensavo di avere tutta quella… forza…-, Clark prese la sua mano e l’avvicinò alla sua bocca, dandole un bacio sulla punta delle dita. Non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, ma Lily non lo vide.

-… hai delle mani così belle…-, Lily arrossì e ritirò la mano al suo petto. Sorrise per il complimento, sperando che Clark non la vedesse, e si accucciò sulla sua spalla. Clark fissava le travi del tetto sopra di sé.

Non aveva bisogno di niente.

-Hai freddo-, le domandò piano dopo qualche minuto, e vide che si era addormentata.

Ringraziò il Signore per quell’attimo e chiuse gli occhi, scivolando nel sonno cullato dal suo respiro caldo.

Si svegliò per la luce del sole che entrava dalla finestra spalancata del granaio: era disteso sul divano e aveva una coperta a coprirlo: era solo.

Deluso, si alzò e fece qualche passo, massaggiandosi il collo. Non l’aveva sognata… no, ne era convinto.

Sulla scrivania, accanto alle vecchie foto di quando era bambino, c’era un foglio con la grafia di Lily, scritto ancora con una penna viola: era una lettera per lui.

La lesse attentamente e quando arrivò in fondo, la lesse di nuovo, perché non riusciva a capire le sue parole:

“Ti giuro che venire da te, ieri sera, è stato l’ultimo errore che ho fatto e l’ultima intromissione nella tua vita. Avevo bisogno solo di un abbraccio da te.

Ieri sono venuta a sapere alcune cose, che ti riguardano, e ho toccato con mano quanto Chloe e Lana siano affezionate a te, in modi che forse tu non comprendi, ma che solo loro, se lo vorranno, hanno il diritto di spiegarti.

Quel folle di Greedy è riuscito a farmi capire per tempo quanto loro due siano i tuoi tesori… le ho protette anche per te. Ti vogliono davvero bene, Clark.

Mi hanno parlato di quello che è successo pochi mesi fa… mi hanno detto che sei stato molto male, che avevi una ragazza che hai sposato e che amavi e che ora non c’è più. Immagino che loro ti siano state vicino senza accollarti ulteriori problemi e storie dolorose, come la mia.

Avrei voluto parlarti ancora di me, chiederti tante cose… ma so che condivideremmo troppo e non voglio spingerti verso direzioni che io per prima ho cancellato dalla carta delle rotte della mia vita.

Non preoccuparti: non scapperò ancora, rimarrò a Smallville e sarò felice, se lo vorrai, di rimanerti amica, perché ho compreso quanto possa essere prezioso un amico come te.

Stai tranquillo, il tuo segreto è al sicuro. Tu, per favore, custodisci il mio.

Con affetto,

L.L.

Sospirò sgonfiando le spalle e lasciandosi cadere sul divano: Chloe e Lana le avevano parlato di Alicia! Chissà che idea si era fatta, quali castelli si era costruita nella sua testa, quante storie non vere…

Non se ne sarebbe andata, d’accordo, ma lui sarebbe riuscito a farle capire cosa realmente provasse per lei?

Sì, perché ora ne era davvero sicuro: sentirla tra le sue braccia la sera prima, perdersi nel suo sguardo che lo aveva illuminato dal dentro, provare ancora la sensazione che scorreva sulla pelle come un brivido e andava a riscaldare il suo cuore, a diradare le nubi grigie delle sue sofferenze passate… sì ne era sicuro... era lei la donna che voleva accanto a sé.

Strinse il foglio di carta in una mano, avvicinandolo alle sue labbra, prese aria e si rimise in piedi, con uno scopo.

Pensò a lei ancora un istante: … ti stavo aspettando…

Fece un balzo e corse fuori dal fienile, per farsi una doccia e prepararsi prima che gli altri si fossero alzati e la vita avesse ripreso a scorrere nella fattoria.

Lois fu la prima a scendere – fatto stranissimo – , fece colazione in fretta con del caffè soltanto e disse che sarebbe corsa all’ospedale per prendere Chloe, che veniva dimessa quella mattina: non aveva assolutamente nulla e non vedeva l’ora di tornare subito a scuola.

Clark la osservò inciampare infilando gli stivali con una mano sola, mentre con l’altra reggeva la tazza del caffè che le aveva scottato la lingua, rovesciare il contenuto della borsa sul tavolo per cercare le chiavi dell’auto e uscire trafelata.

-Dimentichi queste…-, le disse Clark lanciandole al volo il pacchetto di sigarette che era caduto per terra, -Lois, dovresti davvero smettere, dammi retta…-, gli sorrise seccata e sparì.

Clark attese che i suoi si alzassero per fare colazione con loro e poi andò a scuola.

Verso metà mattinata andò a controllare se davvero Chloe era tornata e la trovò seduta dietro la sua scrivania, che scriveva l’articolo sull’aggressione del giorno prima. Lois, vicino a lei, la osservava sollevata.

Quando vide entrare Clark, si alzò e disse che doveva proprio andare via.

-Come ti senti?-, chiese Clark a Chloe.

-Benissimo… tranquillo-, rispose alzando appena le spalle, -… l’hai trovata?-

Clark annuì guardandola: Chloe capì che le cose non erano andate proprio come lui sperava.

-Devo andare, ora-, le disse, e si diresse verso l’aula dove aveva lezione.

Chloe prese le sue cose e uscì dal Torch.

-Mi fa piacere vederti già in piedi-, le disse Lily, apparsa alle sue spalle senza che se ne accorgesse.

-Lilyanne…-, si sentiva discretamente in imbarazzo, non sapeva che dirle. Le aveva visto fare cose che solo Clark era stato in grado di fare davanti ai suoi occhi, prima di allora, anche se lui non lo sapeva.

Anche Lily era in imbarazzo.

-Io… niente, volevo solo vedere come stavi… ci vediamo-, disse allontanandosi.

-Aspetta Lilyanne… ti va ancora di fare due chiacchiere con me?-, Lily guardò Chloe sorpresa, senza rispondere.

-Ti prometto che stavolta lascio l’ascia di guerra ben sotterrata…-

Lily le sorrise, -D’accordo: ci troviamo qua davanti alle cinque?-

-Perfetto-, si salutarono.

Si erano concesse entrambe una terza chance: era l’ultimo tentativo e doveva per forza andare bene.

Lilyanne prese posto sulla New Beetle di Chloe, leggermente imbarazzata per il clima teso e silenzioso che galleggiava tra loro. Da quando si erano incontrate al Torch, pochi minuti prima, si erano scambiate solo frasi di circostanza, brevi e spezzate.

Chloe mise in moto l’auto e sintonizzò l’autoradio su una stazione di musica rock, poi uscì dal parcheggio della scuola, percorse alcuni chilometri verso est e si fermò, guardando Lily.

-Che ne dici di andare a fare due passi verso il lago, piuttosto che chiuderci in un bar?-, la sua era più un’affermazione, che una domanda e Lily apprezzò la sua proposta.

Camminarono per alcuni minuti attraverso una faggeta. Sui rami esili le prime foglie splendevano di un verde brillante, mentre i primi frulli di ali riecheggiavano in lontananza.

Crater Lake era un lago ampio e profondo, dalle acque scure su cui si riflettevano le bianche nuvole di vapore provenienti dal sud. Chloe camminò fino al piccolo molo di legno e si sedette, lasciando dondolare le gambe e invitando Lily a fare altrettanto.

Lasciarono che il vento sollevasse i loro capelli e facesse svolazzare le frange della gonna di Chloe.

-Chloe… vorrei poterti spiegare quello che è successo ieri... Ma non so come iniziare…-

Chloe espirò in una specie di risatina imbarazzata.

-Beh, e io vorrei poterti chiedere ancora scusa: non ci sono andata giù delicatamente, per la seconda volta, Lily. Quindi… scusa!-, tacque un attimo, poi riprese

-Se c’è qualcosa che io possa fare per rimediare a quello che ho fatto, sarei felice di aiutarti-

Lily fu sorpresa dalla sua frase, -Non hai fatto nulla, Chloe! Siamo solo due… galline che starnazzavano intorno allo stesso gallo. Tutto qui-

-Ma se il gallo in questione si chiama Clark Kent… beh, le cose si complicano-

Lily non comprese quello che Chloe intendeva e la guardò confusa.

-Non volevo metterti in imbarazzo prima con la storia delle foto e poi… o meglio, volevo, ma ora mi dispiace averlo fatto-

Lily non parlò.

-E’ che è così strano vedere Clark che si interessa a qualcuna che non sia Lana… e poi, dopo quello che è successo con Alicia…-

-Lana, Alicia… forse ci sono molte cose che ancora non conosco…-, constatò Lilyanne, -Alicia era “la moglie”?-, chiese, sentendo qualcosa che le moriva dentro.

Mentre il sole iniziava a tramontare e a tingere le acque del lago prima di rosa, poi di un rosso sempre più intenso, Chloe raccontò, non senza nascondere a tratti la sua sottile gelosia, delle storie di amore di Clark.

Le disse di Lana e di come lui l’avesse sempre desiderata, le parlò della sua delusione d’amore con lui.

Quando ebbe terminato il suo racconto, vide il volto di Lily tirato, gli occhi lucidi.

-Perché mi hai raccontato tutte queste cose di Clark?-

-Vedi… Alicia era una ragazza… speciale-

-In che senso?-

Era preoccupata.

-Alicia aveva dei… poteri e dopo che lei e Clark si conobbero, lei fu talmente ossessionata da lui, da cercare di uccidere Lana, per averlo solo per sé-

-Poteri…?-, anche lei aveva dei poteri… dove voleva parare Chloe?

-Alicia era in grado di teletrasportarsi, Lily-, lei sgranò gli occhi, stupefatta: non pensava potesse essere possibile una cosa simile.

-E’stata per quasi un anno nell’ospedale psichiatrico di Belle Reve, ma quando è uscita è tornata da Clark. Stava meglio e lui fu felice di vederla e poi…-

-E poi?-

-Beh, diciamo che lei conosceva il punto debole di Clark e finirono per scappare insieme a Las Vegas! Non che il matrimonio fosse valido, intendiamoci, ma tutti si…-

Lily scosse la testa, come per non sentire ancora quella parola, tirò su col naso, forse stava per piangere.

-Fammi finire, Lily… insomma, volevo dire che in realtà lei era davvero affezionata a Clark, ma il fatto che lei avesse quei poteri, beh, contribuì a farla sentire emarginata da tutti gli altri, che non vedevano di buon occhio che stesse con lui. Io per prima, ma soprattutto Lana…-

-Già… Lana…-, disse Lily piano, stringendo velocemente le mascelle, poi rilassandosi e sospirando.

-Per farla breve lei fu accusata di alcune aggressioni contro Lana e Jason e finì che neanche Clark le credette, almeno così lui mi ha detto. Finché il vero colpevole la uccise…-

Un soffio più forte di vento spostò la frangia dalla fronte di Lilyanne.

-Clark ha sofferto così tanto… si è accusato di non esserle stato vicino e di non aver avuto fiducia in lei-

La guardò.

-Il problema è che lei era ossessionata da Clark, e lui si era lasciato andare con lei, dimenticandosi di qualunque altra cosa-

-E’ di questo che hai paura?-, le piantò gli occhi dritti nei suoi.

Solo allora Chloe si accorse di quanto fossero profondi e belli.

-Hai paura che anche io possa fare del male a Clark, dopo quello che hai visto? Che voglia scoprire il suo punto debole e usarlo per approfittarmi di lui? Chloe, solo perché non ho una famiglia e vengo da lontano e… beh, ho fatto quella cosa, non significa che io…-

Chloe le mise una mano sulla spalla, sorridendole.

-Voglio solo che lui sia felice, e poiché vi conoscete solo da pochissimo tempo, sono preoccupata…-

Lily deglutì, continuando a fissarla.

-Io non volevo che succedesse qualcosa tra me e Clark. Non volevo che succedesse niente con nessuno!-, le tremava la voce, -Perché pensi che mi vesta come una scema, che mi copra con questa… questa stupida frangia o con gli occhiali? Perché non volevo che nessuno si accorgesse che esisto! E Greedy ci era pure cascato…-

Aveva iniziato a piangere, Chloe non sapeva come comportarsi.

-Lo sai cos’è buffo? Che hai ragione… senza neanche conoscermi ha saputo fare un’analisi di me perfetta… E’ vero io… io sono pericolosa quanto quella Alicia, io devo stare lontana da Clark… io posso fargli altrettanto male…-

Chloe le prese una mano, cercando di calmarla, aspettando che le lacrime smettessero di scivolarle dagli occhi.

-Ho detto a Clark che non voglio che ci sia niente tra noi… Chloe, che dobbiamo rimanere tutt’al più solo amici. E’ vero: ci conosciamo da pochissimo, ma ti posso giurare che mi sono davvero affezionata a lui, in un modo che non pensavo potesse essere possibile. Dirgli addio in quel senso… è stata la cosa più… più difficile…-

-Vedi Lily… ci sono delle cose, di Clark, che non credo che tu conosca, e sebbene lui sia un ragazzo apparentemente così… forte, io credo che sia molto fragile, che abbia davvero bisogno di trovare qualcuno che voglia stare con lui senza pregiudizi su quello che lui è o quello che non è… qualcuno che possa capire come si sente…-

-Che vuoi dire, Chloe?-, Lily era confusa: anche Chloe sapeva qualcosa su Clark?

Chloe le sorrise e non disse altro. Nel profondo dei suoi occhi Lily vide tanta tristezza e capì che se le stava dicendo quelle cose, davvero, l’aveva accettata nella sua vita.

Il sole scivolò giù, dietro il lago, e i colori intorno iniziarono a perdere di consistenza, mentre in cielo Venere sorgeva vicina alla luna.

Dopo un po’, Chloe riprese a parlare e cercò di trovare le parole più adatte per esprimere quello che voleva farle capire, sebbene la cosa la facesse star male.

-Lily, sto cercando di dirti che se Clark si è fidato di te, può significare solo che tu hai dimostrato di meritare la sua fiducia, perché non avrebbe mai pensato di rimpiazzare quello che hanno contato Lana e Alicia per lui con la prima ragazza che gli fosse capitata davanti-, fece una pausa, -E neanche con qualcuno che fosse accanto a lui da sempre…-, disse poi più piano, quasi a se stessa.

Lily la guardò, poi sollevò una mano su di lei e le carezzò i capelli biondi, con un sorriso.

-Io non avrei voluto che succedessero quelle cose con Clark… sono solo successe-, mentì a se stessa e a Chloe.

Chloe si alzò in piedi e fece qualche passo verso l’acqua.

-Posso farti una domanda, Lily?-, chiese all’altra, senza guardarla.

-Se posso risponderti…-

-Perché continui a nascondere il tuo aspetto… dopo che hai visto come Clark non si sia curato dei tuoi sforzi per renderti meno bella. E quegli occhiali, poi… perché li portavi?-

Lily rifletté su quello che sarebbe stato giusto rispondere. Sospirò, iniziando a parlare.

-Ricordi di aver detto che sapevi cosa mi era successo a Gotham, nella casa che prese fuoco? Vedi… il ragazzo che fu trovato morto era… beh, era il mio più caro amico, ma era anche qualcosa di più, per me. Non avevo mai avuto un ragazzo e speravo che lui potesse essere quello giusto. Ma poi lui se n’è andato… Da allora ho deciso che avrei sempre evitato che altri entrassero nel mio cuore, perché quello che ho sofferto quando lui è morto io…-, sospirò, ricacciando indietro una lacrima, -Avevo scelto di essere la ragazza meno desiderabile della scuola perché nessuno si avvicinasse a me… almeno lo speravo…-

-… ma Clark ha saputo guardare oltre il tuo aspetto...-, concluse Chloe, dispiaciuta per aver riaperto una ferita così dolorosa.

-Ora non hai più bisogno di nasconderti, Lily-

Lily le sorrise tristemente, poi si alzò e si avvicinò a lei.

-Voglio confidarti un segreto… Quello dell’altro giorno con Clark… ecco… è stato il mio primo bacio…-

-Wow… beh, devo dire che te la sei cavata bene, per essere una alle prime armi, allora!-

Risero insieme di gusto per la prima volta da quando si erano conosciute.

Chloe doveva accettare che qualunque fossero state le scelte di Clark, lei non ne avrebbe mai fatto parte, e Lily che era inutile mentire al suo cuore e quindi, a quel punto, non aveva senso mentire neanche a Chloe su quello che provava per Clark.

Rientrarono verso la città quando era già buio.

-Ti va di fermarti a mangiare un boccone da me?-, le chiese Lily quando Chloe fermò la macchina davanti alla sua villetta.

Chloe pensò per pochi secondi, -Avverto mia cugina e arrivo-, disse estraendo il cellulare dalla borsa.

Scese di macchina ed entrò nella casa. Non immaginava che Lily avesse potuto essere anche un’ottima cuoca.

Mangiarono con gusto e dopo rimasero a chiacchierare ancora, carezzando E.T. che, dapprima diffidente, si era affezionato anche a Chloe.

Lily le disse che gli occhiali servivano a far sì che i suoi occhi apparissero di un altro colore, perché non le piaceva che le persone la chiamassero ‘Liz Taylor’ e che legava i capelli anche perché non le piacevano così lunghi e selvaggi.

Poi vide lo sguardo scettico di Chloe, pensò che lei le aveva visto fare quelle cose assurde, il giorno prima, e fu sincera, come era riuscita ad esserlo solo con Clark.

Le raccontò di come Greg fosse morto, la storia vera, e anche dei suoi genitori. Chloe si sentì onorata di ricevere una tale confessione e si chiese in cuor suo se quella ragazza potesse essere davvero come Clark, o se era solo uno dei tanti casi speciali che, lei lo sapeva bene, popolavano la Terra.

Esauriti gli argomenti tristi, parlarono del più e del meno, di Gotham, di Clark e dei misteri di Smallville finché non fu l’ora di andare a dormire.

In un modo o nell’altro, era per via di Clark che aveva potuto conoscere e apprezzare Chloe. Lui l’aveva aiutata a gestire il suo potere distruttivo, l’aveva fatta sentire donna accendendo il lei il fuoco della passione che dormiva sotto le ceneri del suo dolore, l’aveva accolta e si era fidato di lei.

Lily prese sonno col sorriso sulle labbra, pensando a quale dono il destino le avesse fatto, mettendola sulla strada di Clark Kent e si chiese se, in fondo, non poteva dare alla loro storia un’altra possibilità…

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Clark e Lily ***


1- Capitolo 8: Clark e Lily

Son of the Illusion Blog

Mercoledì 23/03/2005

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“… non pensavo fosse possibile, ma ho sentito il mio cuore ricominciare a battere di nuovo,

come se il ghiaccio che lo avvolgeva da troppo tempo

si fosse incrinato e un sottile soffio di calore

lo riscaldasse appena,

nell’attesa di una nuova primavera

I giorni che seguirono furono come sospesi in un limbo emozionale: erano successe tante cose troppo velocemente che avevano turbato gli equilibri nella vita di Clark e dei suoi amici. Tutti avevano una tale confusione in testa per quello che era accaduto e per come si erano comportati che, per qualche giorno, senza quasi rendersene conto, evitarono di incontrarsi, di parlare, finché la maschera che ciascuno portava da sempre si fosse ristabilita e avesse permesso di ripresentarsi agli altri con la vecchia faccia di sempre.

Lois, per prima, si era resa conto di essersi mostrata fragile come non mai e, di punto in bianco, accertato che sua cugina stesse davvero bene, era tornata al suo atteggiamento sarcastico e strafottente nei confronti di Clark e dell’intero mondo che le ruotava intorno.

Pete, che aveva assistito dall’esterno alla cattura di Robert Greedy e non aveva ricevuto alcuna spiegazione da Chloe e Clark, si era offeso per questa esclusione da un fatto che lo riguardava in prima persona, e aveva ripreso a frequentare Samantha, dopo averle spiegato tutto quello che era successo.

Lana era stata convinta da Clark e Jason a non sporgere alcuna denuncia contro Lily e si era chiusa in una muta protesta contro tutti, riuscendo a fare allontanare da lei anche il suo fidanzato e i suoi amici.

Chloe si era fermata a riflettere e a cercare di dare un senso alle stranezze che aveva avuto modo di vedere con i suoi stessi occhi, negli ultimi tempi: era sconcertata in primis dalla sua miopia nel non aver capito cosa ribollisse nel petto di Clark, perché un ragazzo solare come lui, a volte, si chiudesse nel mistero. Quando lo aveva accettato era comparsa Lilyanne, il suo alter ego femminile, l’avrebbe definita, misteriosa eppure capace di gesti di altruismo e dolcezza che solo in Clark aveva visto prima di allora. Non aveva dubbi: era lei che glielo avrebbe portato via una volta per tutte, eppure sentiva che poteva accettarlo e farsene una ragione.

Poi c’erano Lily e Clark, che si cercavano e si respingevano come se stessero conducendo una danza, ognuno fermamente intenzionato a non deludere le richieste di non vedersi più dell’altro eppure desiderosi di stare vicini. Alle volte era Clark che la cercava, fingendo di incontrarla ‘casualmente’ vicino a casa sua, o nei corridoi della scuola: lei evitava i suoi approcci, limitandosi a salutarlo, e poi andava via. Altre volte lei lo aspettava fuori dall’aula o all’ingresso della mensa, per passare qualche minuto con lui, guardandolo con quegli occhi che bucavano le barriere di Clark e lo portavano, sempre, ad interrogarsi su quanto potesse starle accanto senza cercare ancora il suo abbraccio, il suo profumo, e, per paura di violare la sua richiesta, era lui che si allontanava e rimaneva solo a darsi del cretino, dietro il primo angolo che li dividesse.

Lex, invece, era sparito di nuovo, preso da un malsano nuovo interesse per le vecchie ricerche del professor Hamilton e da una quasi ossessione per l’aggressore di Lana e Chloe, al Talon. Era già stato al Belle Reve a trovarlo e a parlare con lui, sfruttando le sue conoscenze e i suoi finanziamenti alla clinica. Non aveva voluto nessun infermiere di guardia alle loro conversazioni, solo un uomo portato da lui, sulla sessantina, di nome Jamison.

Passarono alcuni giorni prima che Clark riuscisse a passare del tempo con Lily.

Dal giorno in cui, seppe più tardi, era uscita con Chloe, Lily aveva decisamente abbandonato il suo look trasandato, finendo con l’adeguarsi agli abiti delle ragazze della sua età, spiccando ora tra loro per l’innegabile bellezza.

Fu Pete, che, pensando che non ci fosse più niente tra lui e Lily, che, confidandogli che il suo giudizio affrettato gli aveva fatto perdere di mano l’occasione di conoscere meglio una delle ragazze più belle della scuola, lo fece riflettere su come Lily fosse diventata oggetto del desiderio di molti suoi compagni.

Lily non faceva niente per cercare gli sguardi dei suoi coetanei e, sebbene avesse optato per jeans e stivali, continuava a portare maglie piuttosto larghe e comode. Lasciava sciolti i suoi capelli, però, fermando le ciocche più corte con delle pinzette e non si sforzava più di camminare un po’ curva e con le spalle incassate.

Fu Chloe che la costrinse a lasciarsi truccare, un sabato sera, passando da casa sua per andare a prendere un gelato al Talon.

Fu quella sera che Clark ebbe modo di parlare con lei.

Si incontrarono per caso all’ingresso del locale e Chloe, che si era affezionata alla nuova amica e si era votata all’altruismo sentimentale, sperando che questo potesse risparmiarle qualche anno nell’inferno dei cronisti d’assalto, fu abile nel dirottarli verso il poco distante e deserto Lincoln Garden, lasciandoli soli sulle altalene con la scusa che aveva dimenticato “qualcosa”, al Talon.

Rimasero in silenzio a dondolare lentamente, senza guardarsi negli occhi, entrambi sorridenti e imbarazzati per essere stati chiaramente raggirati da Chloe.

Dopo un po’ Lily si alzò e fece qualche passo, oltre gli alberi, guardando in cielo verso le stelle luminose.

Clark si avvicinò a lei, trapassando i suoi occhi viola con il suo sguardo magnetico.

Era così difficile riuscire a trovare le parole per esprimere i sentimenti che si agitavano dentro di loro.

Clark aveva pensato che la lontananza avrebbe potuto ridimensionare le aspettative che si era fatto su di lei, sperava che il tempo avesse potuto dargli una spiegazione a quello che era accaduto tra loro.

La sentiva vicina come nessuno prima di allora, e sapeva che era per lei che il suo cuore aveva smesso di battere solo per Lana. Perché non riusciva a pensare a lei solo come ad un’amica? Era questo che lei voleva, no?

Eppure quando aveva letto nei suoi occhi la scintilla della passione che incontenibile la spingeva verso di lui, o quando aveva sentito il sapore del suo sangue, o ripensando all’onda di energia che li aveva avvolti quando si erano incontrati la prima volta, si era sentito meravigliosamente completo, consapevole che anche lei lo voleva.

Leggeva nei suoi occhi i ricordi e le aspettative che si confondevano, la pregava silenziosamente di parlare per prima, di liberarlo da quell’attesa che rendeva l’aria elettrica e sembrava fermare lo scorrere delle cose intorno a loro.

Lily si lasciò guardare dentro, sentendo quella splendida sensazione che aveva provava accanto al lui crescere e inebriarla come una droga. Perché le era stato vicino, a scuola, perché l’aveva aiutata e si era scoperto con lei come - lo sentiva – non aveva fatto con nessun altro al mondo? Perché Clark Kent continuava a cercarla, sebbene sapesse che lei poteva essere pericolosa e fargli del male, se si fosse lasciata andare un’altra volta? E perché da quel giorno non riusciva a dimenticare il sapore delle sue labbra e del suo sangue? Sperava che Clark rompesse quel silenzio spiegandole perché l’aveva tanto cercata.

Si avvicinarono lentamente l’uno all’altra, senza parlare, finché non furono così vicini da poter sentire i loro respiri farsi più brevi e veloci.

Non era il tempo delle parole.

La mano di Clark scivolò sotto i suoi capelli, mentre la spingeva delicatamente verso di sé, legandola in un bacio che sapeva di aria e di fuoco.

In quell’attimo seppero di poter condividere ogni segreto, ogni speranza, ogni desiderio.

Ancora una volta Clark si sentì some sospeso, legato solo al corpo di Lily, alla sua bocca ardente, ai suoi capelli che odoravano di fiori. Sentiva le sue mani scivolargli lungo la schiena stringendolo, poteva sentire i suoi seni premere contro il suo petto, le gambe intrecciarsi alle sue, come per tenerlo legato a sé, la sua lingua morbida farsi strada lottando con la sua, in una danza che solo gli dei sapevano condurre.

Avrebbe voluto essere una cosa sola con lei, come le sensazioni che provavano si erano fuse in una sola.

Staccò la bocca dalla sua, per guardare i suoi occhi brillanti e scorgervi lo stesso bagliore infuocato che, lo sentiva, riluceva nei suoi.

Spostò appena lo sguardo e capì che non stava sognando, quello che sentiva era reale: entrambi erano sospesi a poco più di un metro da terra. Sentì il cuore perdere un colpo. Tornò con gli occhi su di lei e vide che gli sorrideva, complice e soddisfatta e capì che tutte le parole che aveva detto, che sembravano invenzioni di una mente troppo fervida, erano vere.

La avvicinò nuovamente a sé e riprese a baciarla, finché sentì nuovamente la terra sotto i suoi piedi e lei si staccò, abbracciandolo e posando la testa sul suo petto.

Rimasero stretti, immobili, nel parco, per un tempo che non furono capaci di quantificare, finché le stelle di Orione scomparvero dietro l’orizzonte.

Tornarono alla casa di Lily camminando vicini, tenendosi stretti mano nella mano.

-Buonanotte, mio bel principe-, disse semplicemente lei.

-Buonanotte, principessa-, (1)[i] rispose lui, vedendola scomparire dietro la porta.

Non furono necessarie altre parole tra loro, perché tutti i dubbi e le domande erano stati cancellati quando le loro anime di erano incontrate e avevano danzato insieme, alla tremula luce di un lampione lontano, spiate solo dalle stelle.

-Tu devi essere la nuova amica di Clark. Te lo chiamo subito-

La voce di Lois lo riportò indietro da un sogno che il suo istinto gli suggeriva doveva essere bellissimo e lo catapultò in una mattinata inondata di sole.

Si tirò su dal divano cercando di capire che ore fossero, quando la porta di casa si aprì e Lois entrò. Era vestita con il suo succinto completino da jogging e aveva ancora al braccio l’iPod. Doveva essere tardissimo.

-Ehi, bello addormentato, sveglia! C’è qua fuori una persona per te…-, strizzò l’occhio ammiccando e salì di sopra a farsi una doccia.

Clark uscì in veranda schermandosi gli occhi per il sole, con indosso la maglietta e i pantaloni della tuta che usava per pigiama, scalzo e con i capelli tutti arruffati.

Davanti a lui, Lily sorrideva divertita.

-Buon giorno, dormiglione!-, disse con aria riposata, -sono venuta a rapirti…-

Indicò un cestino di paglia contenente, a prima vista, tutto l’occorrente per un pic-nic (2)[ii]. Clark si passò una mano tra i capelli.

-Accidenti! Aspettami solo un secondo!-

Schizzò di sopra e fece irruzione nel bagno, noncurante delle urla di Lois che stava facendo la doccia.

-Non ti guardo! Sta zitta! Fammi solo lavare il viso-, infilò la testa sotto al rubinetto e la tirò su, schizzando dappertutto. Un attimo dopo era sparito.

Aveva indossato velocemente dei jeans e una maglietta rossa, e, afferrate al volo le scarpe, aveva raggiunto il più velocemente possibile Lily, sulla porta di casa.

Lei lo guardò alzando un sopracciglio.

-Eri quasi più decente prima-, scherzò indicando la maglia infilata al rovescio e già tutta bagnata dai capelli gocciolanti. Risero e, dopo che Clark si fu sistemato, si avventurarono per i campi di granturco (3)[iii] verso sud.

-Non c’era bisogno che tu facessi così in fretta-

-Non volevo perdere altro tempo-, le rispose fermandosi davanti a lei per baciarla.

Ripresero il cammino tenendosi per mano, fermandosi solo dove le spighe li superavano in altezza. Nessuno li avrebbe visti, là sotto.

Le domande che avevano paura di porsi aleggiavano tra di loro come il vento tra le foglie sopra le loro teste.

Si persero in convenevoli, distraendosi con alcuni dei tramezzini al tonno che Lily aveva preparato e bevendo dallo stesso cartone del latte. Di nuovo si trovarono faccia a faccia.

-E’ inutile che continuiamo a far finta di niente-, disse Clark rompendo l’attesa e la guardò con un sorriso contagioso.

Si alzò e, prendendola per i polsi, la fece sollevare da terra.

-Voglio che mi dici come fai-, indicò il cielo con lo sguardo.

Vide che abbassava lo sguardo.

-Clark… prima devo sapere una cosa-, deglutì, -Io e te siamo uguali? E se siamo uguali… cosa siamo? Uno scherzo della natura o dei… mostri… Cosa?-, lo sguardo preoccupato era sincero.

Clark lo aveva dato per scontato, dopo quello che aveva percepito la notte prima, effettivamente le sue erano solo supposizioni.

Era già stato ingannato, in passato, da persone che dichiaravano di provenire dal suo stesso pianeta: uno si era rivelato un ragazzo misterioso con la capacità di guarire gli altri, e l’altra era stata solo una pedina nelle mani di Jor-El, per convincerlo a seguire i suoi comandi.

Lily vide il suo sguardo velarsi e la sua espressione felice svanire.

Forse una prova in più avrebbe potuto essere quella della reazione della ragazza alla Kryptonite, ma era troppo rischioso e Clark non lo avrebbe permesso.

Lo avrebbero scoperto col tempo.

-Non so se siamo uguali, Lily, ma sappiamo fare cose uguali… almeno credo-, le pose una domanda diretta.

-Le cose che hai detto a Chloe il giorno dell’intervista, erano tutte vere, quindi?-

La vide indugiare un istante e trattenere il respiro. Poi si rilassò un poco.

-Ho detto tante di quelle cose a Chloe… So correre molto veloce, più veloce di chiunque altro, credo. Ho scoperto di avere questa capacità un paio d’anni fa, mentre mi allenavo per le mie gare di corsa. Dopo ho pensato che non fosse corretto usarla per vincere e ho abbandonato la squadra-, Clark capì perfettamente cosa doveva aver provato in quella scelta.

-Come hai visto, so fare quella… cosa con gli occhi e poi… una volta ero arrabbiata, perché la mia auto si era fermata nel bel mezzo del niente e le ho dato un calcio. L’hanno ritrovata a tre chilometri di distanza due giorni dopo, Clark! Io… mi sono sentita un mostro! Non sapeva nessuno di queste stranezze, neanche mio padre. Sapeva solo che avevo incendiato la carta da parati semplicemente guardandola. Ma non ho mai usato questi poteri, non sapevo come controllarli. Li ho ignorati… fino a quando non ho incontrato te… è come se si fossero risvegliati tutto d’un tratto. L’altro giorno, Greedy…l’ho fermato io, ma non ho idea di come ho fatto…-, si fermò e lo guardò.

-E tu cosa sai fare, Clark Kent, oltre a baciare in quel modo così…-

Clark le sorrise e, prendendola alla sprovvista, la strinse alla vita e la fece andare per terra, distesa, mentre rideva come una bambina.

Si chinò su di lei e posò le labbra sulle sue, per un istante infinito.

Si allontanò distendendosi di fianco a lei.

Le nubi bianche scivolavano silenziose nel cielo sopra di loro, coprendo ogni tanto i raggi del sole.

-Sapevo che eri in grado di correre alla supervelocità: ero passato da casa tua, qualche giorno fa e tu sei scomparsa davanti ai miei occhi. Ti ho seguita fino a scuola, sai?-, vide che lo guardava stupita socchiudendo la bocca.

Volle essere il più sincero possibile con lei, sperando che poi si aprisse a nuove confessioni.

-Non so volare, ma posso correre anch’io veloce come te. E poi… posso spostare oggetti pesantissimi e… insomma, diciamo che ho una ‘superforza’, che mi permette di restare incolume di fronte a minacce anche grandi-

-E…?-, Lily si mise seduta sui talloni accanto a lui e gli fece poggiare la testa sulle sue gambe.

-E… posso vedere attraverso le cose. Ma questo hai detto a Chloe che lo sapevi fare anche te!-, la fissò pungente mentre giocherellava con una ciocca dei suoi capelli neri che ricadevano sul suo volto.

Lily arricciò le labbra fissandolo attenta.

-Mi piacciono i tuoi boxer azzurri…-, disse soltanto.

Clark si sollevò sui gomiti, guardandola esterrefatto.

-E a me piace il tuo reggiseno rosa!-, contrattaccò, poi si avvicinò di nuovo a lei e la baciò.

Scivolarono per terra senza staccarsi.

Lily sentì il peso di Clark che si piegava su di lei e continuava a baciarla, ininterrottamente, come se, nel momento in cui si fosse allontanato, lei sarebbe scomparsa.

Sentì le sue mani stringerla alla vita, mentre lei si insinuava con le sue sotto la maglietta rossa, sulla schiena nuda.

Poi, come di comune accordo, prima che non fosse possibile riuscire a tornare indietro, si allontanarono, i respiri affannati e le labbra arrossate.

Lily si alzò.

-Devo sapere una cosa-, la voce di Lily sembrava come sospesa.

Si voltò verso di lui, fissando lo sguardo nel suo.

-Cosa provi per Lana? Io… devo saperlo…-

Clark sospirò: non aveva affatto voglia di affrontare l’argomento in quel momento; si mise seduto incrociando i polsi sulle ginocchia piegate.

-Siamo stati insieme, io e Lana, e sono stato io a decidere che la nostra storia finisse, non ho rimpianti, adesso… Lei ha un nuovo ragazzo e io...-, la guardò per un attimo, ma lei era seria, - E’ stata dura per me da accettare, ma credo di avere iniziato a farlo-, le rivolse un’occhiata fugace, in tralice, mentre per un istante ritornava il sorriso sulle sue labbra.

-Perché l’hai lasciata?-, la sua domanda era sincera.

Clark si alzò in piedi.

-Come avrei fatto a legarla a me? Se avesse saputo quello che posso fare, se avesse capito cosa sono realmente… credo che avrebbe avuto paura… non mi avrebbe accettato. Io sono diverso da lei! Sono diverso da tutti! -, non sembrava più il ragazzo sicuro di sé e quasi orgoglioso dei suoi poteri di pochi istanti prima.

Lily lo guardò dolcemente, si alzò e gli fece una carezza, annuendo.

Lei capiva.

Lei aveva provato gli stessi sentimenti.

Lei aveva rinunciato ad amare.

Fino ad allora.

Clark la abbracciò, lasciando che lei poggiasse la testa sul suo petto. Le baciò la fronte e la allontanò appena da sé, tenendola per la vita, per guardarla. Le sorrise senza dire altro, perché sapeva già cosa si muoveva nel suo cuore ferito.

Una brezza leggera faceva muovere le cime delle spighe di granturco sopra la loro testa. Clark si era distratto e, onestamente, non era più molto convinto di dove fossero arrivati, camminando. Posò il cesto del pic-nic per terra e spiccò un salto per guardare oltre le spighe.

-Cosa fai?-, chiese Lily, ridacchiando, -Ti metti a fare la rana, ora?-

-Dai, Lily… non ci crederai… non che mi sia perso, ma…-

-Clark!? Ti sei perso?? Il re dei campi di Smallville che si è perso!!-, Lily si era fermata e rideva di gusto riempiendo l’aria con la sua voce cristallina, una risata contagiosa che, presto, coinvolse anche Clark.

-Devo aspettarmi che arrivi un tifone, adesso, e che tu diventi l’”Uomo di Latta”, o lo “Spaventapasseri”?-, non l’aveva mai vista così felice, prima.

Clark la afferrò per la vita, stringendola a sé.

-Io “uomo di latta”? Forse volevi dire “Uomo d’Acciaio”, baby…-, Lily abbassò per un istante gli occhi, seguendo il suo sguardo provocante, e subito rialzò il volto con un sorriso malizioso, le guance rosse, la bocca spalancata e stupefatta, lo guardò confusa spostando lo sguardo sui suoi occhi, per un attimo, poi si voltò, trattenendo a malapena una risata imbarazzata.

-Dai, “Uomo di Latta”, cerchiamo un posto tranquillo, che ho fame…-

Clark la guardò con una smorfia divertita, facendo alle sue spalle una mezza linguaccia.

-… d’acciaio… credimi…-, la seguì divertito e stupefatto per come era risuscito senza volerlo a metterla in imbarazzo, con le sue allusioni. Gli era piaciuto...

-Credo che abbiamo camminato quasi fino alle grotte…-, le disse dopo un po’, riconoscendo la vegetazione che sbucava oltre le spighe, ad est.

-Quali grotte?-

-Prima riposiamoci un po’, poi magari, se fai la brava, ti ci porto…-

Lily lo guardò perplessa, ma felice, scelse un posto alla fine del campo di mais, alle radici di un grosso albero, e decise che sarebbe stato il loro ristorante.

Stesero il plaid a grossi quadri scozzesi rossi e iniziarono a scoprire cosa era rimasto dopo lo spuntino di poche ore prima.

-Non abbiamo più latte…-, disse Lily.

-Vuoi che ti vada a prendere una mucca da casa?-, chiese Clark, divertito.

-So che saresti capace di farlo, Clark, ma la povera mucca non credo sarebbe così felice… Posso fare a meno del latte: ho un bottiglia di acqua… E tu? Solo ‘Latte Più’ (1)[iv] per te?-

-Come credi che sia cresciuto così sano e forte, altrimenti?-

-Pensavo tu fossi una specie di eroe caduto dal cielo…-, la sua battuta fece rabbuiare Clark, che si alzò senza risponderle, dandole le spalle.

Lily si alzò e si avvicinò a lui, da dietro.

-Clark… cosa…?-, gli posò una mano sulla spalla.

-Vieni con me, devo mostrarti una cosa…-, le disse voltandosi, con espressione grave e prendendola per mano.

La luce filtrava all’interno delle grotte dall’apertura esposta a sud, l’aria all’interno era umida e odorava di muschio e terra. Clark precedette Lily, sempre tenendola per mano.

Lungo il tragitto dall’albero alle grotte, Clark era rimasto in silenzio, cercando le parole più adatte per spiegare a Lily la storia protetta dalle pareti di roccia antica. Non voleva spaventarla, ma credeva fosse giusto che anche lei conoscesse quello che il tempo aveva conservato gelosamente, per lui.

I graffiti sulle pareti si vedevano appena, nella penombra, Clark si avvicinò e indicò con la mano i vari disegni.

-E’ la storia di Naman… l’uomo che cadde dalle stelle-, Lily lo guardò trattenendo il respiro, ascoltando le sue parole che sapevano di magia antica e di speranza.

Ascoltò tutta la storia di Naman, fino alla battaglia con Segith. Clark non andò oltre nel mostrarle gli altri graffiti: aveva visto quanto fosse turbata e allo stesso tempo affascinata da quello che gli stava dicendo.

Lily esaminò per un po’ da sola i graffiti, scorrendo con lo sguardo da un simbolo all’altro. D’un tratto si fermò, rimanendo immobile, come terrorizzata. Fece due passi all’indietro e inciampò su un sasso. Clark la afferrò prima che cadesse per terra.

-Cos’hai?-, le domandò preoccupato.

Lily allungò la mano verso la parete, dove sulla roccia grigia si stagliavano i simboli kryptoniani degli elementi, indicò il simbolo del fuoco, come Clark aveva saputo durante la sua permanenza in carcere, intrappolato nel corpo di Lionel.

-Guarda…-, sussurrò sollevando i suoi capelli e mostrandogli la schiena, proprio sotto la nuca: c’era un segno, sulla sua pelle, forse un vecchio tatuaggio, oppure una cicatrice violetta, identico al simbolo del fuoco.

Come la guerriera kryptoniana del suo sogno…

La strinse a sé e sentì che le batteva forte il cuore.

-Cosa significa tutto ciò… e Naman… tu hai gli stessi poteri… Clark… e anche io…-

Un fascio di luce violenta li abbagliò lasciandoli accecati per qualche istante, Lily si strinse di più al suo petto.

-Clark? Quando perderai l’abitudine di appartarti con le tue ragazze nelle mie grotte e di sedurle con quella vecchia storia di Naman e Segith?-

-Lex??-

Lex Luthor si fece avanti, spostando il fascio di luce della sua torcia dalla faccia di Clark e Lily, che si allontanarono imbarazzati.

-Non mi presenti la tua amica, Clark?-, disse avvicinandosi a Lily.

-Lei è Lilyanne Leibniz, una ragazza del liceo. Viene da Gotham City…-, non sapeva che altro dire di lei, l’aveva colto alla sprovvista, in quel momento così delicato.

-Piacere, Lex Luthor. Sono un amico di Clark da tanti anni e… ovviamente scherzavo, poco fa-, disse Lex stringendo la mano di Lily, squadrandola dalla testa ai piedi, in un modo che la mise a disagio.

-Io sono… molto lieta di conoscerla, Signor Luthor…-, aveva già detto quella frase, qualche tempo prima, ad un altro uomo, il padre di Lex, pensò. Provò un brivido che scivolò lungo la sua schiena.

-Clark, non mi avevi detto di avere una ragazza così bella!-, scherzò Lex.

-No, noi non stiamo…-, si affrettò a giustificarsi Clark, poi vide lo sguardo di Lily spegnersi e non terminò.

Lex lo guardò in tralice, comprendendo la situazione, il suo ghigno obliquo tornò su Lily. Fece un passo verso di lei.

-Non preoccuparti, avevo avuto notizie di lei da altre fonti...-, fu volutamente misterioso, -E’ molto che sei a Smallville, Lilyanne?-, chiese untuoso.

-Poche settimane-, disse solo Lily, poi si avvicinò a Clark, -Fa un po’ freddo, qui… possiamo andarcene?-

Clark e Lily salutarono Lex e uscirono nel sole, dirigendosi in silenzio verso la loro roba del pic-nic.

Lex li accompagnò all’esterno, inforcò i suoi Ray-Ban da quattrocento dollari, e continuò a seguirli con lo sguardo, da lontano, sorridendo in silenzio, soddisfatto.

“Benvenuta a Smallville, Lilyanne Leibniz…

Poi rientrò nelle grotte, si soffermò solo per controllare una cosa e se ne andò facendo rombare la sua Ferrari nera che partì mordendo la terra secca e sparendo verso la città.



[i] (1) La più bella buonanotte della mia infanzia: quella che Aladdin e Jasmin si scambiano alla luce della luna d’oriente.

[ii] (2) Ebbene sì: ho voluto rubare alla Lana Lang di Superman III l’idea del pic-nic. Ma stavolta non ci sono cani o bambini tra i piedi…

[iii] (3) Ovviamente anche questa, già usata nei primi capitoli, è una citazione da X-Files.

[iv] (1) Ovviamente citazione da “Arancia Meccanica” di Kubrik

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Identità ***


Capitolo 11 - Identità

Son of the Illusion Blog

Martedì 28 Dicembre 2004

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“E’ da tre mesi che sono rimasta sola,

sola come un animale abbandonato al proprio destino.

E’ da tre mesi che sono rinchiusa in questo istituto,

dove mi aiutano,

dicono,

a recuperare un po’ di serenità.

Dove mi studiano,

penso,

per capire cosa sono.

Io sono la figlia di una modesta coppia di provincia,

famiglia spezzata quando ero troppo piccola per soffrire.

Sono la figlia di un padre adottivo che mi ha amata,

ma che a volte ha amato di più la sua ricerca

e mi ha fatto sentire diversa.

Sono figlia di una madre adottiva,

che ho sempre considerato come la mia vera mamma,

una madre che soffriva,

a causa mia,

per le mie sofferenze e le paure.

Non è stata una bella vita,

la mia.

Ora sono la cavia,

dico io,

“no, la nostra ospite più carina”,

dicono loro,

ma da tre mesi cercano di capire cosa io sia.

E allora mi chiedo che cosa io sia veramente,

da dove venga questa energia nera che scorre nelle mie vene.

Cos’è che mi strazia la carne come è accaduto da bambina,

cosa nutre il fuoco nella mia testa e produce il mostro che sono,

cosa sono quei sogni,

che alle volte la notte mi prendono e mi lasciano confusa, al mattino?

Di cos’è fatta la mia pelle, i miei capelli sempre troppo lunghi,

cos’ho al posto del sangue?

E soprattutto:

i miei genitori, quelli veri,

quelli che non hanno potuto amarmi,

cosa erano?

Perché loro se ne sono andati mentre io,

ogni notte,

cerco di raggiungerli

e non ne sono capace?

E la mattina,

in silenzio,

mi sveglio con un nuovo sole,

e l’incubo ricomincia.

Ma forse non sono sicura di voler sapere cosa io sia: ho paura che la realtà,

ancora una volta,

sia più spaventosa della mia immaginazione.

Ho paura che gli altri possano finalmente trovare le prove inconfutabili del mio essere

un mostro.

E allora,

per me,

sarebbe la fine.”

-Fermati un attimo, Lily!-, Clark era sconvolto e spaventato quanto lei, dopo quello che avevano visto nelle grotte, ma voleva assolutamente cercare di calmarla, di spiegarle che doveva stare tranquilla, perché non sarebbe cambiato nulla.

Lily camminava alla cieca accanto a lui, cercando di ripercorrere attraverso ai campi la stessa strada della mattina. Da quando avevano raccolto in fretta le loro cose, non gli aveva più rivolto la parola, era scossa da quello che aveva visto e dalle parole di Lex.

E poi lui aveva fatto quella splendida puntualizzazione per definire al suo amico il loro rapporto, che l’aveva confusa ancora di più: cretino!

-Lily, aspetta!-, la prese per un polso.

-Che vuoi Clark? Lasciami stare, voglio andare a casa!-, disse quasi urlando, e lui la lasciò.

-Se se arrabbiata con me, hai ragione, scusa! Sono stato un cretino…-

Non rispose e lo fissò negli occhi con uno sguardo che faceva male.

-Sei… arrabbiata con me?-

Lily sospirò chiudendo per un attimo gli occhi.

-Sì… No… cioè… basta Clark, voglio andare via da questo posto e dimenticare tutto!-

Riprese a camminare veloce.

-E dai, scusami! Ho sbagliato a dire a quel modo, prima…-

Lei si voltò di nuovo, aggressiva.

-Non è per quello!-, poi si calmò un poco, -… lo so bene che io non sono la tua ragazza e che ci siamo solo “divertiti un po’”-, la sua voce risuonava vagamente acida.

Fece due passi, con il cestino in mano, da sola.

Poi si voltò, non arrabbiata, ma perplessa.

-Perché io… non sono la tua ragazza, giusto?-

Clark la guardò sorpreso, con la bocca semi aperta e le spalle basse, attendendo un attimo di troppo.

-Infatti, lo pensavo anch’io…-, disse lei e sparì velocissima tra le pannocchie di mais.

Clark sospirò, scosse la testa e, a passo lento, ritornò verso casa.

L’avrebbe chiamata quella sera e avrebbero fatto pace. Lei, ora ne era più che mai certo, era sulla terra per stare con lui e non sarebbe andata diversamente, anche se ora era spaventata e arrabbiata.

Lo avrebbero scoperto insieme cosa fosse quel segno che lei aveva sulla schiena, cosa significasse davvero la storia impressa sulla roccia delle grotte. Insieme…

Arrivato a casa sprofondò nel divano in alto, nel granaio, e fissò la prima stella della sera che sorgeva lenta accanto alla luna: non avrebbe mai pensato di avere una reazione del genere ad una rivelazione così enormemente importante. Avrebbe immaginato di sentire dentro di sé una tempesta di emozioni che lo avrebbero fatto vacillare, di provare un qualcosa di memorabile: invece sentiva solo una stranissima, ma piacevole, rassicurante, pace. Quante volte aveva osservato quel segno sulla parete della grotta, ne conosceva anche il significato: Fuoco… come quello che scorreva nelle sue vene quando stava con Lily…

Il cerchio si è chiuso…, pensò dentro di sé, prese aria e si sollevò con un balzo dal divano.

Le avrebbe telefonato invitandola a bere qualcosa insieme, le avrebbe portato una rosa e le avrebbe detto che, sì, era lei la sua ragazza.

Era così che voleva che andasse la sua vita, ne era più che mai certo.

Sorrise componendo il numero, con la testa bassa e un braccio tirato su, poggiato alla colonnina in salotto. Il telefono era libero, ma Lily non rispondeva. Spostò la cornetta trattenendola tra la spalla e l’orecchio e prese un soprammobile, giocherellandoci, nell’attesa.

Dal piano di sopra apparve sua madre, portando alcune tovaglie stirate di fresco; Clark la salutò con un cenno della testa, riprendendo in mano il telefono.

Qualcuno bussò alla porta: era strano, vista l’ora che si avvicinava alla sera.

-Mamma, puoi andare tu, per favore?-, chiese Clark, mise giù la cornetta e riprovò a telefonare, stando molto attento al numero composto.

Ancora niente. Si rassegnò e, rimesso a posto il telefono, si avviò verso la sua stanza, sperando che non ci fosse Lois a rompere.

La voce di sua madre che lo chiamava lo raggiunse al secondo gradino, Clark sbuffò, si voltò lentamente e andò verso la veranda.

-Ciao…-

Clark sorrise vedendo gli occhi viola di Lily che, in piedi accanto a sua mamma, lo stava aspettando.

-Ecco come mai non rispondevi al telefono…!-, si avvicinò a lei.

Martha li osservò per un istante, poi si scusò e si avviò verso la cucina. Poco prima di entrare, si voltò per invitare la ragazza a cena con loro, ma vide che suo figlio si era già avvicinato a lei e le aveva preso una mano. Rimase in silenzio, si voltò di nuovo e, con le sopracciglia alzate e un sorriso compiaciuto e allo stesso tempo sorpreso sulle labbra rientrò in casa: ci avrebbe pensato Clark, a dirle di fermarsi per cena.

-Clark… perdonami. Sono stata una sciocca…-, lo guardava dal basso verso l’alto con il visino contrito, un barlume di paura, nel fondo dei suoi occhi lucidi.

-Ma no, Lily… sono io che sono uno sciocco…-, la guardò come si guarda una cosa preziosa, -In fondo siamo proprio una bella coppia di sciocchi…-, le sorrise e vide che anche lei si scioglieva un po’.

-Vieni-, le disse guidandola per una mano verso il fienile.

-Mi porti a vedere il tramonto?-, chiese lei, con fare vagamente infantile, salendo le scale in legno, riportando alla mente di Clark ricordi sopiti da anni di sofferenze e dubbi sentimentali.

-Sì, e voglio che sia solo il primo di tanti tramonti che vedremo insieme…-, la tirò verso di sé e, prima che lei potesse opporsi, o dire nulla, la baciò sulla bocca, mentre tutto attorno a loro si tingeva dei colori infuocati della sera.

***

-Dunque, ripeti, Robert, cosa hai visto di preciso in quel vicolo?-

-Ve l’ho già detto, lo giuro! Quella ragazza ha fatto uscire il fuoco dagli occhi e mi ha bruciato e poi… tutta quella forza: non sembrava umana… non poteva essere umana!-

-Fuoco dagli occhi, Robert? Nei sei davvero sicuro? Pensaci bene ancora un po’: forse ti sei bruciato cadendo sulla marmitta del furgone parcheggiato lì accanto…-

-No, lo giuro, dovete credermi! E’ andata come vi ho detto! E poi lei è corsa via veloce come un fulmine! Davvero, non sto mentendo!-

-Vedo che anche oggi non hai voluto sforzarti di pensare più intensamente e cercare di capire dove finisce la realtà e dove inizia quello che la paura ha evocato alla tua memoria, Robert. Dobbiamo lavorare ancora e capire come mai c’è in te questo blocco che ti impedisce di accettare la realtà. Ora il nostro tempo è scaduto, Robert, cerca di lavorare da solo e di appuntare su un foglio le cose che credi siano reali e quelle sulle quali ti poni dubbi o non riesci a spiegare. Ora Jim ti riporterà nella tua stanza, Robert. Mi raccomando, prendi tutte le medicine che troverai vicino al tuo letto. Ecco Jim che sta arri…-

-Se non le dispiace, Dottor Smith, preferirei trattenermi ancora con il paziente per alcune domande…-

-Ma Dottor Jamison, lo sa che il regolamento prevede di fissare per tempo le visite esterne ai pazienti e…-

-Sono qua perché mi ha mandato il Signor Luthor e sono sicuro che avrà provveduto lui ad ogni formalità, per me. Quindi, la prego, ora mi lasci solo con il paziente-

-Chi è lei, e cosa vuole da me?-

-Sono il dottor Jamison e lavoro per Lex Luthor. Vedrai, Robert, se collaborerai con noi potrai uscire dal Belle Reve entro pochi giorni e noi diventeremo ottimi amici… Ora, Robert, ripeti ancora quello che è successo nel vicolo e soprattutto dimmi: che ne è stato del tuo potere di paralizzare le persone? E la tua forza sopra la media? Non aver paura a dire quello che sai, Robert… Abbiamo tutto il tempo che vogliamo…-

***

Clark fece strada a Lily, entrando in casa, dopo averla convinta a rimanere a cena da loro.

Erano rimasti da soli per poco e non avevano toccato l’argomento delle grotte. Ci sarebbe stato tempo più tardi, o quando l’avrebbe riaccompagnata a casa.

Lily si sentiva in profondo imbarazzo a rimanere a cena con i Kent: non li conosceva e non era sicura neanche di quale fosse il suo ruolo nella vita di Clark. Si sentiva di troppo, nel loro quadretto familiare così perfetto.

In cucina, Martha stava lavando nell’acquaio dell’insalata, la tavola era già apparecchiata per quattro. Da sopra si sentiva lo scrosciare della doccia, in bagno, segno che anche Jonathan sarebbe stato presto pronto.

Clark guardò torvo la tavola: -Mamma, non dirmi che c’è Lois anche stasera!?-

Martha si voltò sorridendo, -Lois è da sua cugina… il posto in più è per la tua amica… o sbaglio?-

Lily sentì che stava arrossendo e si strinse nelle spalle, cercando di sorridere gentilmente alla signora Kent.

-Infatti, non sbagli! Grazie mamma. Lei è Lilyanne Leibniz, una nuova studentessa della scuola e… una mia carissima amica…-, disse Clark, dissimulando anche lui l’imbarazzo mentre iniziava ad affettare il pane per la sera.

Lily e Martha si salutarono di nuovo: Martha osservò Lily dalla testa ai piedi, cercando di non farsi accorgere dalla ragazza e Lily cercò di apparire il più calma possibile.

Quando Jonathan scese, Clark gli presentò Lily.

-Stai tranquilla, non hanno mai morso nessuno!-, sussurrò Clark in un orecchio di Lily, mentre si sedevano a tavola.

La serata passò piacevolmente: piano piano anche Lily si lasciò un po’ andare e parlò un po’ ai Kent della sua storia, senza scendere in particolari che aveva avuto il coraggio di rivelare solo a Clark, prima di allora. Apprezzò molto le squisitezze preparate da Martha e confessò che anche lei era brava a cucinare.

-Certamente non ai suoi livelli, signora Kent! Diciamo che cerco di rendere la mia sopravvivenza il più saporita possibile!-

Martha e Jonathan risero, e Clark ne fu felice. Si soffermò a sparecchiare assieme a Lily, dopo aver fatto uscire i suoi a prendere un po’ di fresco in veranda.

La guardò e le sorrise, passandole alcune scodelle da mettere nell’acquaio.

Tutto era perfetto, come avrebbe dovuto essere. Si sentiva felice.

Si avvicinò a lei e l’abbracciò da dietro, posando la testa sulla sua spalla.

-Clark, ci vedranno…-

-Non importa…-, disse e la tenne stretta, mentre lei si perdeva nel suo abbraccio che sapeva di casa.

-Perché, più cerco di allontanarmi da te, più mi ritrovo così, tra le tue braccia…?-, Lily sorrise, mentre il suo cuore accelerava.

-Perché non voglio perderti…-, Clark la fece voltare e la osservò per un attimo, smarrendosi nei suoi occhi luminosi. Poi la abbracciò di nuovo e le posò un tenero bacio sulla bocca.

Fuori Jonathan e Martha fecero rumore, alzandosi dalle poltroncine di vimini e Lily si allontanò da Clark, con un sorriso.

-E’ ancora presto per loro-, disse e si sistemò i capelli, che le ricadevano sul viso.

Clark prese il furgone per riaccompagnarla a casa e durante il tragitto rimasero i silenzio, ascoltando la musica trasmessa dalla radio.

Arrivati in Kerry Lane, Clark fermò l’auto e si voltò verso Lilyanne: voleva che fosse lei a chiedergli di rimanere un po’ insieme.

Lily guardò Clark e sperò che fosse lui a parlare per primo, non voleva scendere e lasciarlo andar via, rientrando ancora una volta a casa da sola.

Le domande rimasero come sospese tra loro, galleggianti all’interno dell’auto, senza che né l’uno, né l’altra osassero parlare. Quel pomeriggio avevano scherzato facendo i fidanzatini: quello che era accaduto nella grotta aveva spezzato la loro allegria tesa e rimaneva solo lo spazio per i chiarimenti e le cose serie.

La radio suonava un vecchio pezzo di musica country; le stridenti note del banjo sfumarono in quelle della chitarra elettrica che apriva “Iris”, dei Goo Goo Dolls e che bussavano dritte al cuore.

And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now

And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight…[i](1)

-Aiutami a capire chi sono, Clark…-

Una lacrima scivolò lungo la sua guancia morbida.

Clark allungò la mano e le asciugò il viso, poi si avvicinò e la baciò sulla fronte.

…And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am… (2)[ii]

-Le grotte dove siamo stati oggi pomeriggio sono state scoperte poco più di due anni fa. Sono state dipinte dagli indiani della tribù Kiwachee tantissimo tempo fa e sono rimaste nascoste finché… io non ho sfondato il tetto cadendoci dentro. La storia che portano impressa è stata tramandata da generazioni di nativi ma non esistevano prove concrete del suo fondamento storico, oltre quei dipinti sulla roccia. Oggi mi hai domandato chi fosse Naman…-, Clark si interruppe e alzò gli occhi su Lily, che lo osservava interessata e attonita, stringendo un cuscino tra le braccia, seduta vicino a lui sul divano, in casa sua. Annuì in silenzio facendo brillare gli occhi attenti.

Clark riprese sospirando: non aveva mai voluto accettare quello che Willowbrook e Kyla gli avevano detto, ma non erano affermazioni assurde, e lui lo sapeva bene.

-Naman è “colui che i Kiwachee aspettano”, da sempre. Non è nato qui, sulla Terra, ma si narra che arriverà dal cielo, su qualcosa che potrebbe assomigliare ad una navicella… Naman può fare fuoco dagli occhi, ha la forza di dieci uomini e arriverà per proteggere tutto il mondo, per riportare l’equilibrio tra il Bene e il Male…-

-Clark, sembra che si parli di te… Santo Cielo: tu hai la forza di ben più di dieci uomini e puoi fare fuoco dagli occhi e… che sciocca che sono… tu non sei mica arrivato “su una navicella dal cielo”!-, Lily lo guardò ridacchiando tesa, e vide che era serio, troppo serio.

Clark la guardava rassegnato. O parlava, o avrebbe dovuto inventare un’altra delle sue bugie per continuare a vivere tranquillo tra la gente. Ma a Lily non voleva mentire.

-Ma no, certo che no! Che domanda stupida che ti ho fatto!-, sorrise cercando di allentare la tensione, scuotendo la testa e cambiando posizione sul divano.

Clark rise con lei, in cuor suo un po’ deluso per aver perso l’occasione di essere sincero, poi vide che Lily si rabbuiava un poco, abbassando gli occhi sulle mani giunte in grembo.

-Clark… com’è possibile che io abbia sulla schiena lo stesso segno che c’era sul muro della grotta? Io non… capisco…-

Clark si avvicinò a lei e, facendole appena abbassare la testa, le sollevò i capelli. C’era caldo, là sotto, avrebbe voluto soffermarsi con le mani affondate tra le onde di seta nera. Chinò il volto sulla sua pelle, si allontanò senza sfiorarla, inspirando il suo odore dolce di fiori. Lily sentì il suo respiro sulla pelle e provò un brivido, scuotendosi appena. Lui le scostò un poco la camicia, per guardare di nuovo quello strano segno che macchiava la sua pelle chiara.

-E’ uguale, vero?-, chiese lei, con una punta di terrore mal celato.

-Già…-, Clark sfiorò con le dita la sua pelle: non era una cicatrice, non sembrava un tatuaggio. D’un tratto gli balzò alla mente un’idea assurda: e se anche lui avesse un segno del genere sulla pelle, magari in un posto che non era in grado di vedere?

-Tu sai cosa significa quel simbolo?-

“Fuoco.”

-Io… non lo so…-, mentì, -Le grotte sono state scoperte di recente e gli studi non sono andati tanto avanti…-

-Forse è un simbolo del linguaggio dei… come li hai chiamati?-

-Kiwachee…-

-Sì, un simbolo Kiwachee… Ma come ci è finito sul mio collo?-, si spostò, lasciando ricadere i capelli sulla schiena. Con una mano portò i lunghi ciuffi della frangia dietro le orecchie.

Clark non rispose, scosse la testa e rimase zitto.

-Chissà… forse… forse ho origini Kiwachee. E’ possibile, Clark?-

“No, tu vieni da Krypton, come me… ne sono certo”

-Forse… chissà…-, si allontanò prendendo una penna dal tavolino davanti a loro e iniziando a giocherellarci, agitato.

“Maledizione! Non voglio mentirle! Ma non è pronta a scoprire la verità… E io? Io sono davvero pronto?”

-Chissà, forse i miei veri genitori… forse la mia mamma… sì, magari era di origine Kiwachee… in fondo io sono nata da queste parti…

-Da queste parti??-, Clark lasciò cadere la penna e fece un balzo sul divano.

Lily lo guardò confusa, si mise dritta seduta, tenendo una gamba piegata sotto di sé.

-Ma Clark… lo sa pure Chloe che sono nata a Metropolis…-

-E’ vero… è vero, scusami, ora… mi era sfuggito di mente questo fatto…-, si passò una mano tra i capelli, -Beh, sì, comunque può essere come dici tu… già…-

Sentiva il cuore che gli batteva così forte, quasi a voler sfondare il suo petto, le sue frasi frammentate rispecchiavano l’incertezza e l’agitazione che si muovevano dentro di lui.

-Lily… quand’è che sei stata trovata?-

-Cosa? Che stai dicendo?-

-No! No… scusa… volevo dire… quand’è che sei nata, ovviamente!-

Lo guardò torva e confusa, -Il 16 ottobre… perché?-

Clark deglutì e sentì un’ondata di adrenalina fluire al suo cervello.

-Beh… per sapere quando farti gli auguri, no?-, di nuovo passò la mano tra i capelli, fingendo una risata il più sincera possibile. Poi portò gli occhi all’orologio.

-E’ tardi, Lily… è meglio che vada e ti lasci dormire…-, le posò una mano sulla spalla. Lily si accorse che tramava appena.

Annuì con il volto serio e a Clark parve una bambina che vuole fare la grande e accetta senza capire quello che le viene detto.

-Ci vediamo, domani?-, gli domandò con un filo di preoccupazione e lo vide rilassarsi, il suo viso si illuminò di un sorriso dolcissimo.

-Ma certo… come potrei stare senza vederti, domani!-, le fece una carezza e uscì.

E.T. scese dalla poltrona dove stava dormendo e con un balzo saltò tra le braccia di Lily, ancora in piedi davanti alla porta, più confusa che mai.

And you can't fight the tears that ain't coming
Or the moment of truth in your lies
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know you're alive…[iii](3)

Lily strinse il gatto baciandolo sulla testa, tornò al divano e raccolse da terra la penna che Clark aveva fatto cadere poco prima.

Rigirandosela tra le mani le parve di sentire la sua energia rimasta imprigionata. Scosse la testa, cercando invano di capire perché si fosse comportato in quel modo così strano con lei, ripensò alla sua domanda… “quand’è che sei stata trovata”… che intendeva?

Camminò fino al bagno, al piano di sopra, accese la luce e si mise davanti allo specchio, guardando la sua immagine riflessa.

Lei e Clark erano così simili… avevano gli stessi poteri, lo stesso peso sul cuore, dato da anni di segreti custoditi nella paura di venire scoperti, avevano persino la stessa espressione spaurita negli occhi, gli stessi capelli ribelli. Eppure in alcuni momenti lo sentiva distante da sé come se l’unica cosa che li accomunasse fosse appartenere al genere umano…

Era stata una giornata strana, quella, fatta di momenti di pura gioia alternati ad antichi spettri e paure, attimi di terrore e ricordi dolcissimi. Era stanca. Non sarebbe riuscita a dormire, lo sapeva, ma era ora di andare a letto.

Si sentiva come un personaggio di un film, sospeso a metà del primo tempo: non aveva senso piangere, né essere felice. Poteva solo aspettare che le risposte che cercava da una vita, con calma si fossero svelate nel secondo tempo.

E le risposte, lo sentiva nel suo cuore, gliele poteva dare solo Clark Kent.

***

-Ritengo che il soggetto in studio sia un ottimo candidato per ritentare gli esperimenti, signor Luthor-

-Eccellente… provvederò subito ad avviare il suo trasferimento ai nostri laboratori, come abbiamo fatto con i gemelli, dottor Jamison. Intanto lei prepari le carte e predisponga tutto il necessario per l’inizio dei test-

-Certamente-

-Ah, Jamison? Cosa ha scoperto circa quell’altra storia… sulla ragazza?-

-Solo un racconto sconclusionato, per ora, il soggetto è ancora sotto shock. Ma conto entro breve di avere un quadro più preciso…-

-Il tempo scorre, se lo ricordi…-

-Sì, signore-

-La richiamerò io, dottor Jamison. A presto…-

***



[i] (1) Traduzione del testo “Iris”, Goo Goo Dolls:

E ho rinunciato per sempre a toccarti
perchè so che tu mi senti in qualche modo
tu sei più vicina al paradiso di quel che io sia mai stato
e non voglio andare a casa ora
e tutto quello che posso assaporare è questo momento
e tutto ciò che posso respirare è la tua vita
perchè presto o tardi è finita
e io non voglio perderti questa notte…

[ii] (2) Traduzione:

…E io non voglio che il mondo mi veda
perchè non penso che la gente capirebbe
quando tutto è stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu sappia chi sono…

[iii] (3) Traduzione:

E tu non puoi combattere le lacrime che non stanno per arrivare
o il momento della verità nelle tue bugie
quando tutto sembra come nei film
si tu sanguini solo per capire che ancora sei vivo…

Non è un caso che abbia scelto proprio questa canzone: come sapete Lily, in inglese, vuol dire “giglio”. Il Giglio di Firenze, la mia città, è in realtà un giaggiolo, che sarebbe un tipo di iris. Il testo della canzone, secondo me tra le più coinvolgenti degli ultimi dieci anni, sebbene poco sentita, era perfetto per descrivere, in musica, quello che c’è tra Clark e Lily… voi che ne dite?

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Notti di Luna ***


Capitolo 12 – Notti di Luna

Il suo profumo…

Disteso sul divano nel fienile, Clark non riusciva a prendere sonno. Quando aveva guardato l’ultima volta l’orologio erano le tre passate. Aveva provato a dormire, in salotto, ma si era rigirato per quasi un’ora, sentendo nelle orecchie il ronzio incessante dato dall’agitazione e i tonfi assordanti del suo cuore che batteva troppo veloce, senza riuscire a rallentare.

Solo poche ore prima era uscito da casa di Lilyanne, aveva ripreso il furgone e, senza voltarsi, aveva guidato più rapidamente possibile fino alla fattoria, sempre con il cuore in gola, con l’emozione che martellava in ogni cellula del suo corpo alieno.

Il sedici ottobre… non era possibile che fosse nata proprio in quel giorno dell’anno! Oppure sì, era ovvio che fosse quella la data del suo compleanno, era così che doveva essere, era la conferma di quello che dentro di sé conosceva ormai da tempo. Il sedici ottobre

Si era sforzato di calmarsi e di riordinare le idee così confuse, aveva cercato di ricostruire una alla volta le informazioni che più o meno direttamente aveva appreso sulla vita di Lilyanne e ogni volta – ogni volta-, era stato sopraffatto dal suo profumo, che era rimasto attaccato ai suoi vestiti, alla sua pelle, che era penetrato nel suo cervello e lo distraeva distogliendo la sua attenzione e precipitandolo nell’ardente ricordo dei suoi baci, delle sue lacrime e della sua pelle.

E ogni volta si sforzava di riprovare da capo.

Non aveva mai sentito così forte dentro di sé il desiderio di urlare a tutto il mondo chi fosse realmente, di rivelare il suo segreto affinché chiunque avesse potuto aiutarlo a trovare le risposte che cercava.

Quella notte l’unico suo pensiero, imperioso e potente era Lily.

Lily dal passato così misterioso, Lily che aveva la sua stessa forza, la stessa capacità di vedere attraverso gli oggetti, Lily con cui aveva volato nella notte e che si incendiava letteralmente per la passione, la timida Lily, la sua storia travagliata, la sua reazione a qualcosa che non sapeva cosa fosse, ma che avrebbe potuto ucciderla; Lily che lo guardava con occhi così magnetici, quel segno sul suo collo morbido, le grotte, il simbolo kryptoniano, Lily che chiedeva il suo aiuto, l’aggressione dietro al Talon, la ferita sul labbro e il loro sangue che si era mischiato; la sensazione meravigliosamente spaventosa che aveva provato al loro primo bacio, le sue mani che tremavano, Lily che nascondeva la sua bellezza, ma che non sarebbe mai riuscita ad ingannare lui; Lily che aveva il compleanno nel giorno della pioggia di meteoriti, i suoi capelli splendenti, i sui occhi magici…

Il suo profumo…

Avrebbe voluto urlare, correre da lei e portarla lontano, in un posto deserto e dirle senza paura che loro due insieme avrebbero potuto governare il mondo…

“Ma cosa sto pensando…?”, si domandò frastornato dal turbine dei suoi pensieri, e si rese conto che la sua natura aliena – Kal-El-, voleva prendere il sopravvento sulla sua umanità. Inorridì sentendo aumentare nella sua testa il turbine della confusione.

Il ronzio che sentiva… inspirò profondamente chiudendo gli occhi, cercando di ascoltare: non era un ronzio… era lo stesso suono che lo aveva richiamato subito dopo il suo ritorno a casa, quando ancora Clark Kent non era lì, quando aveva cercato e raggiunto quella pietra misteriosa che portava impresso un simbolo kryptoniano e che…

Si alzò di botto facendo cadere la brocca con l’acqua che teneva sulla cassa davanti al divano, frantumandola in mille pezzi.

Nessuno, al piano di sopra, si svegliò. La casa era avvolta nel silenzio della notte.

Sentì quel suono più forte, di nuovo, atrocemente sibilante nella sua testa, portò le mani alle tempie, soffocò un urlo e scappò di corsa, diretto alle grotte, dove l’unica pietra, quella con il simbolo del fuoco lo chiamava, da dietro la parete di roccia.

-Che cosa vuoi ancora da me, Jor-El?-, non attendeva una risposta, -Chi è Lilyanne? Come ha fatto a trovarmi? L’hai mandata tu da me? Rispondi!-

Le sue urla disperate rimbalzarono sulla parete di roccia.

Era scivolato in ginocchio nella polvere, battendo con i pugni contro la roccia ruvida. Aveva il volto bagnato dalle sue lacrime che rotolavano a terra, creando cerchietti più scuri, appena visibili alla flebile luce della luna che filtrava dal foro in alto.

-Perché? … che significato ha la mia vita? … perché?-

Si rannicchiò per terra, tenendo le ginocchia strette al petto e, pregando perché Lilyanne non fosse un altra emissaria di Jor-El, come era stata Kara meno di un anno prima, e non fosse coinvolta in alcun losco affare con i Luthor: voleva solo pensare che lei fosse lì per lui, la risposta alla sua voglia di non sentirsi più solo sulla terra. Reclinò la testa indietro e subito scivolò in un sonno senza sogni cullato solo da quel profumo che non riusciva più a togliersi dalla testa.

***

Erano passati mesi da quando il miracolo era avvenuto e, con esso, erano iniziati quegli strani sogni che avevano segnato la strada da seguire, passo dopo passo.

Non era più la stessa persona di prima, lo sapeva, eppure quello che aveva marchiato la sua anima per troppi lunghissimi anni di bugie, tradimenti e odio, ogni tanto spingeva per tornare a galla: erano i modi, quello che non riusciva a dimenticare, i modi di interfacciarsi agli altri e così la sua proverbiale aura diabolica non lo aveva abbandonato, nonostante il suo cuore fosse più limpido di quanto non lo fosse mai stato in tutta la sua vita, ne era consapevole e grato, ma ancora non riusciva ad ispirare fiducia negli altri.

Ogni notte, da quando era successo quell’evento miracolosamente strano, si svegliava madido di sudore, nel suo letto, o nel letto di un qualche costosissimo hotel a cinque stelle e ricordava solo la sgradevole sensazione di aver posseduto dentro di sé la forza, la pace e l’Amore per un unico istante, prima che gli venissero risucchiate via. Era come aver provato ad essere Dio per essere poi precipitato di nuovo nell’Inferno, ma ad un passo dalla redenzione.

Alle volte si risvegliava altrove, nei posti più strani come sulla panchina in un parco, vicino al liceo di Smallville, o dentro la sua Limousine, con l’autista che lo guardava preoccupato, o mentre suonava, al piano. Magari dormiva per pochi minuti soltanto; forse erano solo ricordi più vividi, non avrebbe saputo spiegarlo. Una volta si era ritrovato in maniche di camicia, scalzo, all’interno delle grotte Cowichan[i] (1), con la schiena poggiata al muro e la testa reclinata. La prima cosa che aveva visto risvegliandosi era stato un gigantesco simbolo nero dipinto sulla roccia, un simbolo che sapeva bene di aver già visto prima, in quel posto, ma anche altrove, inciso su qualcos’altro, qualcosa che non riusciva più a trovare, nonostante si sforzasse ogni giorno, di indagare su dove potesse essere finito.

Era come se la sua mente fosse avvolta da una cortina che gli impediva di avere il quadro completo della situazione, ma lasciava intravedere solo alcuni sporadici dettagli, nei momenti più impensati.

Quello di cui era certo, era la sua guarigione, e voleva davvero fare qualsiasi cosa per scoprire a cosa fosse dovuta: sentirsi “Dio”, per un istante, prima di risvegliarsi, era un conto, credere in Dio era un’altra cosa, che aveva rinunciato a fare forse prima di imparare a leggere.

L’orologio al suo polso indicava che erano le due passate. Si era appena risvegliato ricordando un nuovo dettaglio del suo misterioso sogno ricorrente: una figura che correva via velocissima avvolta dalla nebbia, mentre intorno infuriava il caos. Quello che lo aveva colpito era la sensazione terrificante di vedere se stesso allontanarsi e di essere allo stesso tempo lì, nel luogo dal quale stava andandosene via, come la sua persona fosse sdoppiata, appartenente a due corpi diversi.

Ma non poteva essere due persone contemporaneamente, non in posti diversi. Era troppo confuso, ma sapeva che doveva ringraziare solo una persona, per quello che era successo: Clark Kent, ma ancora non riusciva a ricordare il perché…

Era nuovamente caduto addormentato sul divano in pelle, accanto al camino: sul tavolino di cristallo davanti a lui c’era la sua ventiquattrore aperta, alcuni fogli sparsi sul vetro e sulle sue gambe. Lo stesso simbolo delle grotte ripetuto più volte, affiancato da altri fascicoli, con altri simboli e dati riservati.

Inspirò profondamente tirandosi su e si affrettò a richiudere il tutto nella valigetta: come gli era venuto in mente di lasciare tutti quei documenti di primaria importanza così in bella vista e proprio in quel posto?

Gli incubi erano aumentati nell’ultimo periodo, non era più sicuro di essere in grado di mantenere il segreto a lungo, forse era giunto il momento di tornare a New York e parlare di nuovo con Swann…

Si alzò rapidamente e si incamminò verso la porta, stringendo la borsa tra le braccia.

-Dove stai andando, papà?-, la voce di Lex lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto e lo vide emergere dall’ombra, in alto nella biblioteca.

-Che ci fai qui, Lex?-

-Cosa ci fai tu, qui! Se non ricordo male questa è casa mia e quello dove stavi schiacciando un corroborante pisolino è il mio divano. Senza dubbio anche quella borsa che stringi tra le braccia mi appartiene perché l’hai comprata con i miei soldi, papà-, Lex scese lentamente le scale in legno, parlando, e vide che suo padre serrava i denti, cercando di apparire il più tranquillo possibile.

-Stavo andando via-, Lionel si voltò tornando sui suoi passi.

-No, tu non vai via. Ci sono alcune cose di cui dobbiamo discutere…-, lo raggiunse davanti alla porta e, tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi, gli indicò di tornare indietro.

-Cosa vuoi Lex?-, chiese Lionel, sedendosi e posando la cartella a terra, tra le sue gambe.

-Innanzitutto informarti che è del tutto inutile che tu cerchi ancora di fingere di essere il povero carcerato pentito e redento. So bene che hai ripreso la gestione dei tuoi loschi traffici…-

-Di che stai parlando…?-

-Non fare il finto tonto con me, papà. Sappiamo entrambi che mentre eri in carcere ti è successo qualcosa che ti ha profondamente cambiato e, sai com’è?, non sei il solo a voler capire cosa ti sia realmente accaduto…-, si avvicinò e gli parlò piano, in un orecchio, stando in piedi dietro di lui -… solo che io credo di essere stato più furbo di te, papà…-

Lionel si voltò guardando la figura del figlio che incombeva su di lui, socchiuse gli occhi, rendendoli più affilati.

-Credi ancora che l’allievo sia in grado di superare il maestro, Lex?-

-Non sono io che lo credo: è la Storia che ce lo insegna. Se non ricordo male una volta, da piccolo, la mamma mi disse che scegliesti per me il nome Alexander proprio nella speranza che, dopo di te, io avrei potuto superarti. All’epoca, forse, mi volevi un po’ di bene… Ma non hai tenuto conto che se Filippo il Macedone fosse stato ancora in vita, quando Alessandro mostrò al mondo intero di quanto lo aveva superato, si sarebbe consumato dalla rabbia e dall’invidia nei confronti di quel figlio così grande!-

-La rabbia e l’invidia sono sempre stati ottimi sproni per dare il meglio di sé, Lex, ma, nonostante questo possa deluderti, ti assicuro che non è il mio caso!-

-Allora non ti arrabbierai sapendo che ti ho fatto seguire da quando hai lasciato il penitenziario e che sono venuto a conoscenza di alcuni fatti che, purtroppo, inficiano la tua splendida interpretazione del “padre redento”…-, si spostò davanti a lui, rimanendo il piedi.

-Cosa sei andato a fare dal dottor Virgil Swann e che cosa vuoi da Lilyanne Leibniz? E tutte le ricerche che, so bene, stavi conducendo in cella prima della tua guarigione a cosa miravano? Dov’è finito tutto il materiale che avevi raccolto e chi te lo aveva fatto avere?-

Lionel sorrise, espirando: doveva muovere il suo pezzo e liberarsi dallo scacco che stava subendo.

-In poche parole, Lex? Il dottor Swann è a capo di una equipe di scienziati di prima categoria nella ricerca medica e scientifica, pari solo a quelli della Luthor Corporation. Sono stato miracolato, sì è vero, ma non voglio che questo rimanga un miracolo per una sola persona: ho chiesto a Swann di usarmi come cavia, di servirsi dei miei campioni di sangue e tissutali per portare avanti le sue ricerche scientifiche nella speranza che riesca a trovare cosa mi ha guarito e ad isolarlo, per poterlo riprodurre in vasta scala e aiutare tutti quelli che, come me, vedono la loro vita appesa ad un filo, mentre la malattia li devasta!-

Lex lo guardò senza espressione, per un attimo, poi un ghigno prese forma sulle sue labbra.

-Non prenderti gioco di me, papà! La tua scusa non regge: se quello che dici fosse vero, perché non usare i nostri scienziati e i nostri laboratori, allora?-

-Perché non farò niente che possa portarti ulteriore profitto, Lex, niente che possa mettere nelle tue mani una responsabilità che tu non sei in grado di gestire. E ora, se vuoi scusarmi, voglio andare a letto: tuo padre è vecchio, ormai, e non è più abituato a stare sveglio fino all’alba a parlare dei progressi della medicina nel campo delle malattie degenerative-, disse alzandosi e dirigendosi verso la porta, la valigetta al suo fianco, tenuta con orgoglio.

-E di Lilyanne Leibniz che mi dici? Sei andato da lei quattro volte. Perché?-, Lex era furioso, la sua voce risuonava nel salone.

Lionel non lo ascoltò e proseguì a testa alta fuori dallo studio, percorse il corridoio senza rispondere a Lex, uscì nella notte e, aiutato dalla luce della luna, arrivò fino alla sua dependance. Aprì la porta con la chiave, la richiuse alle sue spalle, posò la valigetta sul letto e chiuse le tende.

Poi si sfilò la giacca, la sistemò con cura sulla spalliera di una sedia, allentò la cravatta e si sedette sul letto, affondando le mani nei capelli, con gli occhi sgranati.

Lex gli era vicino, troppo vicino… iniziava a sentire il suo fiato sul collo e quello non doveva accadere, per nessuna ragione al mondo. Lex… suo figlio… non poteva fidarsi di lui. Non più…

Si lasciò cadere disteso e rimase così, ad occhi aperti, in silenzio, conscio di dover al più presto cercare delle scuse sufficientemente valide per occultare le sue ricerche.

Avrebbe dovuto parlare di nuovo a Swann e dirgli quello che aveva scoperto…

Era stato dopo il loro incontro, poco tempo dopo che era tornato a casa, che l’agitazione che aveva dentro, nutrita dalla curiosità di sapere a che punto fosse proseguita la sua ricerca, aveva iniziato a prendere il sopravvento sulla sua lucidità.

Ricordava che prima stava cercando le tre pietre che lo avrebbero portato al tesoro della Conoscenza Assoluta. Ne aveva trovata una, forse, non ricordava bene, ma poi.. poi i suoi ricordi si facevano confusi, tutto appariva sfocato, soprattutto il perché della sua ricerca: non avrebbe mai pensato di poter essere lui quello destinato a ricevere un potere simile. Non dopo essersi accorto quanto fosse piccola ed inutile la vita di un comune mortale.

Ma gli era stata data un’altra possibilità e, ne era certo, avrebbe continuato la sua ricerca per permettere a chi ne avesse avuto il diritto di arrivare a quell’enorme tesoro.

Il suo compagno di cella era uscito poco dopo che lui si era risvegliato nel carcere assediato, senza alcun ricordo di quello che fosse accaduto negli ultimi giorni, ma con la consapevolezza che qualcosa di molto, molto potente e buono lo aveva aiutato. Chi era la persona che aveva visto scappare via tra la nebbia dei fumogeni nel carcere? Ne aveva solo un ricordo confuso, una sagoma indistinta…

Era rimasto interdetto nell’incontrare chi lo aveva fatto uscire dal carcere: quella donna malefica doveva aver avuto i suoi interessi per compiere quel gesto.

Si era informato in maniera discreta ed aveva scoperto che, prima di lui, Genevieve Teague aveva cercato informazioni sul matematico pazzo che divideva la cella con lui. Il suo scopo gli era chiaro, e lui non le avrebbe mai permesso di metterlo in pratica: né la Teague, né tantomeno Lex, che sapeva stava indagando pure lui sulla ricerca delle pietre, erano le persone cui era destinata la Conoscenza Assoluta e non avrebbero dovuto mai riuscire a mettere le loro mani sulle pietre.

Aveva confidato tutte queste cose a Virgil Swann quando era stato a New York. Doveva essere stato molto convincente, perché l’uomo aveva ricambiato la sua fiducia con altrettante informazioni circa le pietre, il loro scopo, la loro importanza e soprattutto era stato in grado di fare chiarezza nella sua testa sulle connessioni tra la leggenda delle tre pietre e quella conservata dalla parete delle grotte di Smallville.

Quando avevano avuto modo di parlare dell’argomento, l’anno prima, aveva vinto il suo scetticismo proprio condividendo i loro risultati, pur sapendo entrambi che la parte che rimaneva nascosta era la più grande.

In fondo Swann era come lui, ma aveva dalla sua anni di studi a lui ignoti che gli davano la chiave di lettura degli enigmi delle grotte, delle pietre e… di Clark Kent. Ma adesso lui aveva capito quanto Clark fosse importante, quanto doveva essergli grato, quanto avrebbe dovuto fare per proteggerlo: ma Swann che voleva da lui?

Avevano parlato a lungo di lui, del suo essere una persona “speciale”, ma Swann non aveva detto una virgola in più di quello che già Lionel sapesse. Se solo Lex fosse stato a conoscenza di quello che sapeva sul suo più caro amico…

Nel loro ultimo incontro Swann gli era apparso in apprensione per qualcosa che Lionel aveva dedotto fosse strettamente correlata a tutte le loro discussioni, qualcosa che aveva compreso da poco e che poteva cambiare profondamente il suo punto di vista su quello che sapevano sui misteri di questo popolo antico, forse di origine aliena. Era una persona diversa da Clark la chiave dell’enigma, e questo fatto aveva lasciato molto dubbioso Lionel: forse non si sentiva all’altezza di sopportare così tanti misteri.

Forse era stanco.

C’era una cosa su cui Swann non era stato sincero con lui: che fine avesse fatto il matematico e, soprattutto, la pietra nera con quello strano simbolo inciso sopra. Ma lo avrebbe tenuto sotto stretto controllo, analizzando ogni sua mossa in questa originale partita a scacchi.

Se Lex avesse scoperto le cose che sapeva lui, ne era sicuro, sarebbe stato un grandissimo rischio per tutti.

Ci volle un bel po’ prima che il suo cuore smettesse di correre così tanto: suo figlio era più vicino di quanto pensasse alla sua verità e non doveva far sì che anche una sola parola in più potesse compromettere il suo lavoro.

Lentamente si calmò e controllò i suoi fogli con le foto dei pittogrammi delle grotte, aprendo la valigetta e spargendoli sul letto attorno a lui, si sentì subito più tranquillo e presto scivolò nel sonno e nei suoi incubi sempre più familiari. Sarebbe tornato da Swann, sì, ma non prima di aver parlato ancora con Lilyanne Leibniz…

***

E.T. balzò sul letto silenziosamente, accompagnato solo da un tonfo sordo, appena udibile, si sistemò tra le pieghe delle coperte, si acciambellò e iniziò a fare le fusa, sempre più piano, fino a che non si fu addormentato.

Alla flebile luce della luna, che filtrava dalle tende socchiuse, Lily, alzando appena la testa dal cuscino, lo osservò per un po’; poi, quando si rese conto che il gatto si era addormentato, scivolò lentamente da sotto le coperte, senza svegliarlo e si mise seduta sul letto, con i piedi nudi che sfioravano il pavimento di parquet della sua stanza.

Come aveva previsto, non riusciva ad prendere sonno e i pensieri di quella giornata lunghissima si andavano a sommare a quelli accumulati nel corso di tutta la sua vita.

Portò una mano alla schiena, alla base della nuca: lo strano simbolo era proprio lì, invisibile al tatto, ma chiaro come una pittura sulla sua pelle bianca. Lo aveva da sempre, era cresciuto con lei: all’inizio i suoi genitori pensavano che fosse una specie di voglia della pelle, in seguito chi lo aveva scorto aveva pensato ad un tatuaggio particolare, per il colore e per la forma. Non sapeva cosa fosse e forse non voleva saperlo.

Allungò una mano e prese dalla poltrona vicino al letto la felpa che usava in casa: non che sentisse freddo – nella sua vita non le era quasi mai capitato di avere freddo o avere caldo- ma voleva sentire su di sé l’abbraccio morbido della stoffa che, una volta, era stata di Greg.

-Non ho mantenuto la mia promessa…-, disse piano carezzando la stoffa lisa dal tempo, -Non ho aspettato di ricongiungermi a te… ma non ti ho dimenticato, sai? Forse ho solo cercato il tuo stesso calore in una persona diversa… perdonami, Greg…-

Sospirò e rimase in silenzio ad ascoltare i rumori della notte che provenivano dalla strada; poi si alzò e scese in cucina per prepararsi una tisana.

Sapeva che non le avrebbe fatto nulla, ma aveva voglia di qualcosa di caldo per sopportare quella interminabile nottata da sola.

Riempì d’acqua il bollitore e lo mise sul fornello, poi si sedette su una sedia di cucina, con le ginocchia strette al petto, aspettando.

Prima di salire in camera aveva promesso di non pensare a quello che aveva visto e provato durante la giornata, voleva riparlarne con Clark, ma i pensieri la assalivano.

Sopra a tutti c’era la sensazione splendida del suo abbraccio caldo. Le mancava, in quel momento: la felpa sdrucita di Greg non le bastava più, constatò con rammarico.

Ma chi era Clark? Cosa ne sapeva di lui? E chi era lei, soprattutto?

Da quando era venuta al mondo si era posta quella domanda ogni giorno e l’aveva eletta a regina dei suoi pensieri, nelle giornate più nere, quando fuori pioveva e lei era costretta a rimanere a casa, da sola con suo padre, nel vano tentativo di capire chi fosse.

Quando la analizzava come una cavia da laboratorio.

Alzò una mano davanti ai suoi occhi e la osservò attentamente: aveva detto una bugia a Clark, quella mattina, non sapeva neanche perché l’aveva fatto, forse per sentirsi più vicina a lui, per mettere alla prova la sua sincerità. Non era in grado di vedere attraverso gli oggetti! Aveva scorto l’elastico dei boxer di Clark quando era uscito trafelato e fradicio di casa, dopo essere stato buttato giù dal letto per il pic-nic ed era rimasta senza parole quando invece lui, davvero, era riuscito ad indovinare (o vedere?) il colore della sua biancheria. Lei non lo sapeva fare.

Riabbassò la mano e la lasciò cadere in grembo.

Erano tante le cose che aveva capito che Clark era in grado fare diversamente da lei: sotto certi aspetti erano davvero così simili, ma per altre cose lui le era superiore e maestro.

Se la leggenda fosse stata vera, non poteva che essere davvero lui, Naman.

Naman… che storia assurda… le era persino venuto il dubbio che si potesse trattare di uno scherzo: le grotte, le pitture, la descrizione di quell’essere così simile a Clark.. e se l’aveva portata alle grotte per suggestionarla? E se lui avesse visto il segno sul suo collo prima di quel pomeriggio e avesse inscenato tutto per farla spaventare?

Scosse la testa scacciando quelle idee maligne e si alzò per spegnere il fuoco sotto al bollitore. Lo alzò senza usare le presine e versò l’acqua bollente nella tazza dove aveva messo il filtro della tisana.

Clark non le avrebbe mai fatto una cosa del genere: lo aveva capito dal primo momento che aveva incrociato lo sguardo con il suo, al Torch. Clark era una persona onesta e le voleva bene.

Ma lei si meritava il suo affetto? Non aveva capito molto di quello che Lana e Chloe le avevano detto prima dell’aggressione dietro al Talon, ma ricordava che l’avevano accusata di essere una spia di Lionel Luthor.

Quell’uomo era entrato nella sua vita con la stessa delicatezza con cui un usuraio entra nella vita di chi ha già perso tutto, ma non vuole nuocere agli altri.

Ogni volta che pensava ai loro incontri e al segreto che da allora manteneva con Clark le ribolliva il sangue nelle vene! Cosa diavolo voleva da lei e come aveva fatto a trovarla?

-Signorina Leibniz, molto lieto, io sono Lionel Luthor e credo che noi due dovremmo parlare… ci sono molte cose che lei non sa su di me, ma io ne so già tante su di lei, che credo vorrà dedicarmi qualche minuto del suo tempo per ascoltare quello che ho da dirle…-, l’aveva attratta così, come fa un pescatore con le esche luminose, e dopo l’aveva piegata.

-So che lei non è qui per caso, ma qualcuno ha voluto che lei si trasferisse qui. La mia famiglia è una delle finanziatrici del Liceo di Smallville e trovo interessante informarmi in prima persona sui nuovi iscritti… capisce, signorina, mi piace sapere come spendo i miei soldi… “Casualmente” sono venuto in possesso della documentazione completa su di lei e devo dire che… beh, il suo passato mi ha piuttosto incuriosito, signorina Leibniz, al punto di venirle a fare visita personalmente. Volevo vedere con i miei occhi che faccia ha una ragazza di soli diciassette anni che è già sfuggita alla morte così tante volte e devo dire che sono piacevolmente stupito da lei…-, era stato viscido e insinuante e aveva giocato con le parole senza arrivare ad esporre nessuna domanda, o illazione. L’aveva solo studiata.

-Porga i miei saluti al suo tutore, signorina Leibniz-, se n’era andato lasciandola piena di dubbi, senza che avesse avuto il coraggio di fargli alcuna domanda, senza aver protestato. In silenzio.

Ancora Lily non aveva conosciuto Clark e il loro magico incontro, pochi giorni dopo, le aveva fatto dimenticare quello così spiacevole con Luthor.

Poi era accaduto di nuovo. La sera che era tornata a casa, da sola, dopo che lei e Clark si erano baciati per la prima volta, dietro la scuola e dopo lui l’aveva aiutata a controllare quel raggio pericolosissimo che le usciva dagli occhi. Quella volta Luthor era stato più diretto.

-Che piacere vedere che finalmente è tornata a casa, signorina Leibniz! La stavo aspettando…-, le aveva detto da dentro la sua lunghissima auto, con il finestrino abbassato, poi aveva aperto la portiera e l’aveva invitata a salire.

-Non sia agitata, signorina Leibniz, non avrà mica paura di me, vero? Io non ho mai torto un capello a nessuno e non ho certo intenzione di iniziare da una così bella ragazza come lei-, le aveva fatto un sorriso obliquo e falso e le aveva porto un bicchiere con qualcosa da bere, che lei aveva rifiutato.

-Vede, signorina Leibniz, “casualmente” in questi giorni ho avuto modo di sentire alcune “chiacchiere” su di lei… Ora, capirà che quello che è giunto alle mie orecchie mi ha particolarmente divertito, perché immagino che siano solo baggianate quelle che la descrivono come in grado di correre ad una velocità spropositata pari a quella di un’auto da corsa… o mi sbaglio? Però devo ammettere che, dopo aver visto le foto del cadavere di Greg Audrey orribilmente sfigurato, e aver saputo che il suo decesso è avvenuto nella sua casa a Gotham City per eventi definiti “inspiegabili”, e pochi giorni fa aver visto strani segni di bruciatura sulle pareti della sua casa, mi sono posto alcuni dubbi sulla falsità delle “chiacchiere” che erano giunte alle mie orecchie-, l’aveva guardata ammiccando e porgendole un biglietto da visita. Lily era rimasta in silenzio, basita da quello che aveva appena sentito.

-La prego di chiamarmi, se le dovessero sovvenire fatti che al momento non ricorda, circa il decesso di Greg Audrey o circa la veridicità delle voci che corrono su di lei. Come presto imparerà, signorina Leibniz, la famiglia Luthor è molto influente, sia nel bene, che nel male…-, l’aveva fatta scendere dall’auto, lasciandola più scossa che mai.

-Ah, dimenticavo… fino a quando la sua situazione non sarà chiarita, le consiglio vivamente di non intrattenersi ulteriormente con i suoi compagni di scuola: deve tenersi alla larga dagli altri studenti, signorina, glielo dico per il suo bene…-, la sua voce l’aveva raggiunta alle spalle, mentre stava per entrare dal cancellino della sua abitazione, e l’aveva fatta tremare.

Se avesse conosciuto Lione Luthor si sarebbe accorta che la sua voce era sempre stata vagamente insicura, come mai lo era stata prima della sua incarcerazione.

Lily sorseggiò la tisana e storse la bocca: ci voleva del limone; si alzò e aprì il frigorifero, per tagliarne una fettina. Sul ripiano più in alto, sulla destra, c’era la scatola metallica entro cui aveva nascosto la fiala che Lionel Luthor le aveva consegnato un pomeriggio, tornando dall’apertura domenicale della biblioteca della scuola.

-Vedo che ha seguito il mio consiglio di stare lontana da Clark Kent, signorina Leibniz, ma ho notato che lei continua ad essere interessata a quel ragazzo. Forse non sa, ma stiamo tenendo d’occhio anche la sua famiglia e non vogliamo che il suo interessamento possa creare problemi a Clark, non è vero? Voglio farle un favore: le darò un ottimo motivo per allontanarsi da lui. Ovviamente faccio affidamento sulla sua discrezione e sul suo silenzio: il suo tutore non dovrà mai sapere quello che sto per dirle, altrimenti dovrà essere lei a trovare una giustificazione con le autorità… Le offro la possibilità di analizzare questa sostanza: è il siero estratto dal sangue di qualcuno o qualcosa, siero usato per un farmaco sperimentale. Riteniamo che sia unico al mondo e l’ultimo campione esistente è quello che le sto consegnando: la invito ad analizzarlo e a confrontarlo con il sangue di una qualsiasi persona normale… può usare il suo, se crede… so che ne è capace. Abbiamo ottimi motivi per ritenere che in qualche modo Clark Kent sia coinvolto nell’origine di questo siero, che provenga dalla sua famiglia e che, in breve, i Kent stiano coprendo esperimenti di una gravità eccezionale che potrebbero dare una svolta alla medicina per la cura delle malattie terminali, ma al tempo stesso potrebbero rivelarsi di una pericolosità estrema. Capirà per quale motivo la sto invitando a stare lontana da Clark Kent: è una persona che potrebbe rivelarsi molto pericolosa per lei e per molte altre… Deve stare attenta, signorina Leibniz-, aveva vacillato, per un attimo soltanto, Lily se n’era accorta, come se stesse mentendo, se ci fosse un coinvolgimento ben maggiore di quello che voleva dare a vedere… ma era stato un attimo solo, forse lo aveva immaginato. Luthor se n’era andato velocemente, lasciandola in mezzo al viale, sola, con una fiala in mano.

Quella fiala era lì, davanti a lei: forse era la risposta che stava cercando su chi fosse davvero Clark Kent, su chi fosse lei. Doveva solo analizzarla e confrontarla con il suo sangue.

Si ritrovò davanti al frigo, illuminata dalla luce verdastra, a ridere amaramente da sola: doveva “solo” analizzare il suo sangue! La chimera inseguita fino alla morte da suo padre, che mai era riuscito ad estrarne una sola goccia.

Si portò senza pensare una mano alla bocca… già, solo qualche giorno prima, per la prima volta, aveva visto il suo sangue e si era tranquillizzata vedendo che era rosso, come il sangue di Clark, come il sangue di chiunque altro. Non c’era motivo di preoccuparsi: non avrebbe trovato niente di strano dall’analisi e avrebbe chiarito una volta per tutte con Clark i misteri che Lionel Luthor gli attribuiva e che la avevano tenuta lontana da lui per tutti quei giorni.

Prese il coltello più affilato che aveva in cucina e lo strinse nella mano, si fece coraggio e avvinò la lama alla pelle del suo polso sinistro, premendo: solo un “crack”, e l’acciaio si era spezzato, cadendo in mille schegge tintinnanti sul pavimento.

Lily scosse la testa rassegnata, guardando il polso che non si era graffiato minimamente.

Prese la fiala dal frigo e la portò su in soffitta, con sé, dove aveva spostato microscopio e alambicchi per i suoi esperimenti chimici, la aprì, ne estrasse una goccia e la mise su un vetrino.

-Cosa sei, di così misteriosamente strano?-, chiese, e accese il microscopio per analizzare il siero tanto decantato da Luthor.

Si avvicinò con gli occhi all’oculare, poi si bloccò, prima di iniziare l’analisi.

-Eppure ce la devo fare…-, si voltò e di nuovo provò a tagliarsi la pelle del polso, afferrando un grosso cutter che era su una mensola, vicino ad altri attrezzi. Ancora niente. Dette uno sguardo al trapano e scosse la testa, inorridendo solo al pensiero di quello che le aveva sfiorato la mente, poi le venne un’idea, portò la mano davanti agli occhi e la guardò attentamente.

Strinse appena le palpebre e cercò di fissare un punto estremamente preciso, di concentrarsi il più possibile, di convogliare tutte le sue energie proprio lì, collimando la sua forza.

-Maledizione!-, urlò di dolore portando la destra sul polso e stringendo, mentre una lacrima usciva dai suoi occhi.

Non aveva mai sentito così tanto male: era riuscita a ferirsi indirizzando sulla sua carne il raggio che aveva ucciso Greg.

Sentiva che non riusciva più a trattenere i singhiozzi, che le facevano sussultare il petto, la sua bocca era piegata nel pianto, eppure i suoi occhi erano trionfanti, sapeva che stava esultando e allo stesso tempo piangeva per il gesto che aveva compiuto, per il dolore provato e che bruciava come se fosse ancora lì, a dilaniare la sua pelle con il raggio laser che era riuscita a riprodurre: fino ad allora pensava che fosse solo calore, concentrandosi di più, era riuscita ad ottenere un sottilissimo fascio monocromatico.

Scosse la testa stringendo gli occhi e lasciando che le lacrime scorressero sulla pelle, rigandole il viso, poi abbassò lo sguardo sul polso ferito e aprì la mano che lo teneva stretto: era insanguinata.

Niente di grave, si era fermata in tempo, ma c’era sangue sulla sua pelle, sulla sua mano, sangue che ancora gocciolava dalla ferita tonda e piccola. Rimase ad osservare che dentro, forse era fatta come tutti gli altri, ridendo, sentendo altri singhiozzi più violenti squassarle il respiro, mentre si calmava, rassicurata da quello che aveva visto.

Guardò di nuovo la ferita, che non faceva più male. Poi guardò più attenta e ciò che vide la fece rimanere senza fiato: i lembi della sua pelle si stavano richiudendo da soli, la ferita stava guarendo sotto i suoi occhi, come se non ci fosse mai stata, come se non avesse mai provato dolore!

Assistette al prodigio che stava avvenendo sulla sua carne, immobile, come pietrificata. Quando si rese conto di non sentire assolutamente più male passò con le dita sulla ferita, cercandola, cercando almeno una cicatrice in rilievo, un segno: niente.

Non doveva andare così, non doveva succedere quella cosa, no! Lei non era come tutti gli altri, è vero, aveva delle caratteristiche particolari, lo ammetteva, sapeva fare cose strane, ma no, no!, lei doveva essere come tutti gli altri, lei era come i suoi genitori, era come Greg e come Chloe, no, non era diversa, non era un mostro! O forse… no? Non voleva pensarlo: lei era proprio come tutti gli altri, lei era come Clark Kent…

Cadde in ginocchio piangendo l’orrore che non riusciva più a contenere nel suo cuore e rimase lì, fino a che la luna non tramontò dietro le colline, in lontananza e dalla finestra sul tetto non sparì l’ultima luce.

***

Si era risvegliato di soprassalto, non capendo perché era lì, perché sentiva male in ogni parte del suo corpo. Aveva aperto gli occhi e non aveva visto nulla, aveva sentito l’angoscia assalirlo e stringere il suo stomaco come una morsa. Aveva portato una mano sul suo viso: sì, era lui, era vivo, stava bene… eppure quel dolore fortissimo che lo aveva risvegliato… Si era alzato in piedi e aveva cercato di capire dove fosse, nel buio, credendo di tagliare a fette l’aria densa solo muovendosi.

Aveva camminato un poco, ma era buio, buio ovunque. Si era accorto che stava stringendo forte il suo polso sinistro, aveva liberato la presa e non aveva provato più dolore. Ancora una volta quella sensazione orrenda di non essere nel proprio corpo…

Aveva allungato le mani intorno a sé e finalmente l’aveva trovata: luce.

Si era guardato intorno, strizzando gli occhi feriti: certo, era lì dove si era addormentato,che sciocco che era stato.

Intorno a sé, ancora una volta, quei simboli misteriosi e lontani lo circondavano richiamandolo come il canto antico delle sirene, suscitando il lui la curiosità di aprire una volta per tutte il vaso di Pandora che nascondeva le risposte a quelle domande che avevano per troppo tempo condizionato la sua vita…



[i](1) Cambio la scrittura da Kawacheen (o giù di lì…) a Cowichan, dopo aver visto con i miei occhi, in Canada, che esiste una tribù di nativi che porta questo nome, la cui pronuncia è appunto quella usata in Smallville.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - L'ultimo bacio ***


Capitolo 13 – L’ultimo bacio

“Se qualcosa può andar male, lo farà”

(Legge di Murphy)

Il suono stridulo della campana che segnava l’inizio della prima ora non turbò minimamente Clark, che rimase inebetito seduto alla sua scrivania, al Torch, in penombra. La stanza era silenziosa e il ronzio del server conciliava ancor più il sonno.

-Ci vediamo a pranzo, Clark, devi raccontarmi qualche cosina…!-, Chloe prese i suoi libri e si diresse verso la porta, per seguire la lezione, sorridendo complice, poi si accorse che Clark non si era mosso.

-Clark…? Stai dormendo?-, si avvicinò all’amico piegandosi per portarsi alla sua altezza, guardandolo a metà tra il preoccupato e il divertito. Nessuna reazione.

-Clark!!-, chiamò a voce alta, scuotendo la mano davanti ai suoi occhi aperti, persi in un punto senza dubbio appartenente ad un’altra dimensione.

Clark sussultò, scuotendo la testa e realizzando solo allora di essersi incantato. Guardò Chloe con occhi spiritati, non sapendo che dire.

-Avanti, muoviti Clark, è tardi!-, Chloe lo tirò per la manica della giacca, invitandolo ad alzarsi; lui la seguì in silenzio, come un cagnolino, tenendo sempre gli occhi sgranati e la bocca appena aperta.

-Fatti un caffè doppio, appena puoi…-, disse Chloe spingendolo nell’aula dove aveva lezione.

Clark si sedette al primo posto che trovò, posò i libri sul banco, si guardò intorno e di nuovo precipitò nei suoi pensieri inesistenti: era paurosamente provato dalla nottata passata nelle grotte, da quel dolore atroce che aveva provato, il richiamo della pietra. Le due ore scarse di sonno che aveva fatto sul divano, seduto con la testa reclinata da una parte, senza neanche spogliarsi, finché qualcosa lo aveva svegliato, non avevano migliorato la situazione. Aveva fatto colazione senza rivolgere la parola a nessuno ed era uscito con calma, sbuffando per aver perso il bus della scuola e perché non gli andava affatto di correre fin lì.

Si sentiva su un altro pianeta, forse voleva solo appoggiarsi in un angolo e dormire, sperando che il sonno gli portasse le risposte che cercava.

-Permesso…-, qualcuno vicino a lui gli stava chiedendo di alzarsi per passare tra i banchi e uscire dall’aula: la lezione era terminata… dovette guardare sull’agenda per ricordare cosa avesse dopo, e scosse la testa ricordando che c’era l’ora di educazione fisica.

Pete lo raggiunse fuori dall’aula e insieme andarono negli spogliatoi: gli saltellava accanto come un folletto, raggiante per aver riallacciato i rapporti con la sua Samantha.

-Ma tu non stai sentendo niente di quello che ti sto dicendo, Clark! Sveglia!-

Si voltò verso l’amico, guardandolo afflitto.

-Scusa Pete… è che…-

-Aspetta! Fammi indovinare: anche stanotte non hai chiuso occhi pensando alla bella ragazza dai capelli neri e gli occhi viola!-

Clark, arricciò le labbra e lo lasciò parlare, si cambiò svogliatamente e infilò la tuta per l’ora di educazione fisica. Non aveva ancora preso il suo caffè ed era sempre in quello stato comatoso che lo accompagnava da quando aveva aperto gli occhi, ore prima, come se stesse lentamente sanguinando.

Insieme a loro, ma in un’altra area del campo, c’erano le ragazze del terzo anno: quando realizzò la cosa, Clark alzò subito lo sguardo alla ricerca di Lily, ma non la vide tra quelle che correvano per il riscaldamento.

Fu Pete ad indicargliela, infagottata in una felpa invernale troppo pesante per la giornata, seduta sugli spalti, vicino alle sue compagne: la raggiunse correndo, approfittando di un momento di distrazione del coach.

-Buongiorno!-, le disse sorridendo, tranquillo.

-Ciao, Clark…-, ricambiò il sorriso, abbassando lo sguardo.

-Che ti è successo?-, indicò la sua felpa e le altre ragazze.

-Non mi sentivo un granché bene, stamattina… come se mi avessero preso a bastonate tutta la notte… sono stanchissima…-, sembrava preoccupata.

-Beh… forse anche tu hai dormito poco, come me…!-, cercò di sdrammatizzare Clark.

Lily alzò le sopracciglia: no, non aveva dormito affatto. Poi si voltò verso di lui e lo guardò intensamente, avvicinando una mano al suo volto, per una carezza.

Indugiò per un istante, sapendo che stava per accadere qualcosa di importante, poi lo sfiorò e fu di nuovo come avere il corpo percorso da mille scintille di energia, di nuovo la stessa ondata di fuoco e brividi che li attraversò da capo a piedi, la stessa sensazione di volare in alto, lontano, sempre più su, e poi precipitare con il respiro spezzato e i sensi risvegliati di colpo. Fu come vedere una luce immensa per un attimo e poi di nuovo i suoi occhi.

Lily e Clark trattennero per un istante il respiro, poi lasciarono andare l’aria lentamente, sorridendo: tutta l’energia che mancava loro quella mattina era tornata a pulsare nelle loro vene, come se fossero carichi e scattanti per affrontare una gara di velocità, come se avessero dovuto urlarlo al mondo.

-Wow…-, sussurrò Clark, incredulo ed emozionato.

-Come la prima volta…-, osservò Lily arrossendo appena.

-Già…-, le prese la mano, guardandola. Forse lei si aspettava un bacio, ma lui non era ancora pronto.

-Kent, ti devo ricordare il regolamento di Istituto, forse? Torna immediatamente qui!-, la voce del coach risuonò da metà campo. Clark salutò con un cenno della testa Lily e andò a porgere le sue scuse. Cinque giri del campo a corsa, mentre gli altri si divertivano con il salto in alto: in fondo la punizione era stata modesta, per lui e quella corsa fu quello che gli ci voleva per smaltire il surplus di energia che in qualche modo, di nuovo, lui e Lily avevano creato dal nulla e alla quale avevano attinto per rinfrancarsi dalla nottata così strana.

Quando ebbe finito di correre attorno al campo da football con la testa persa tra le nuvole, Clark non vide più Lily e raggiunse i suoi compagni di classe negli spogliatoi. Fece una doccia e si preparò per il pranzo a mensa, molto, molto più attivo di prima.

Chloe e Pete stentarono a riconoscerlo quando arrivò portando su una mano sola il vassoio come se fosse un equilibrista e tenendo con l’altra il telefono cellulare sul quale stava digitando un messaggio: in segreteria gli avevano detto che la classe di Lily si era recata alle serre, poco distante dalla scuola e voleva fissare con lei nel pomeriggio un incontro al Talon, per parlarsi, per chiarire, per stare semplicemente vicini.

-Hai bevuto dieci caffè o… non so, hai messo le dita nella presa della corrente?-, Chloe lo guardò avvicinarsi a sopracciglia alzate e sorriso ironicamente sorpreso. Clark non rispose e gli sorrise piegando un angolo della bocca, guardandola con la testa inclinata.

Irresistibile…

Chloe si rese conto che stava tragicamente arrossendo, sentendo dentro di sé vecchi dolorosi istinti che si risvegliavano: doveva fare come al solito, pensò in un attimo, cioè darsi la zappa sui piedi.

-Oh no, aspetta… ho capito: il nostro Clark ha visto la sua innamorata!-, rise affondando il volto nel bicchiere con il succo d’arancia, vedendo che era lui, al suo posto, a cadere nell’imbarazzo e a diventare rosso.

Pete rincarò la dose, constatando quanto il breve incontro con Lily durante l’ora di ginnastica avesse migliorato l’umore dell’amico.

-Sei crudele a non confidarti con il tuo vecchio amico, Clark!-, disse assestandogli una pacca sulla spalla.

-Ma no, ragazzi, è che…-, li guardò non sapendo come completare la frase: l’energia e l’allegria che in quel momento permeavano da ogni sua cellula parlavano per lui e si ritrovarono a ridere tutti insieme, complici, amici e anche un po’ martiri.

-Propongo un brindisi al nostro conquistatore!-, disse Pete a voce non così bassa, alzando il cartone con il latte e invitando Clark e Chloe ad imitarlo.

Fu allora che arrivò Lana. Aveva in mano il vassoio della mensa e pareva piuttosto confusa e pensierosa. Si sforzò di sorridere.

-A cosa si brinda, oggi?-, chiese facendo richiesta con un cenno della testa agli altri se poteva sedersi con loro e posando il vassoio sul tavolo.

-Brindiamo al nostro Clark che… ah…-, Pete soffocò un urlo di dolore più forte: il calcio di Clark era andato a segno, ma quella volta il suo amico aveva usato un po’ troppa forza per farlo tacere, accidenti!

-A Clark…?-, chiese Lana sedendosi e sfilando la felpa leggera che fece scivolare dietro a lei, sulla sedia.

-Eh già… oggi ha battuto il record di giri del campo di punizione!-, cavolo, Pete non riusciva mai ad trovare le parole giuste per evitare domande imbarazzanti!

Lana guardò Clark stupita: -E come mai sei stato punito, Clark? Eri forse andato a molestare le ragazze?-, chiese ridendo per la sciocchezza della sua battuta, arricciando il naso come faceva da bambina.

-Ma figurati! Te lo immagini Clark a fare una cosa del genere? Era semplicemente più addormentato del solito-, sparò Chloe, con un sorrisino eloquente a Clark.

Lana addentò un pezzettino di pane e di nuovo piegò le sopracciglia sorridendo stupefatta.

-Non mi sembravi tanto addormentato quando sei uscito dagli spogliatoi: ti ho incrociato davanti alla segreteria e andavi così di furia che non mi hai neanche vista!-

Clark sorrise, portando una mano alla testa, con fare imbarazzato, - Scusa, Lana…-

Proseguirono il pranzo velocemente, parlando del più e del meno, poi si alzarono insieme, riprendendo i vassoi sporchi.

-Clark, potresti passare dal Talon più tardi…? Avrei bisogno di… parlarti…-, Lana lo guardò implorante, uno sguardo al quale Clark non avrebbe mai potuto dire di no.

Decise di fissare con lei un po’ prima delle sei, pensando che sarebbe potuto venire via dal Torch un po’ prima, quel pomeriggio.

Provò una strana sensazione quando si voltò salutando Lana. Sentì che quella volta sarebbe stato difficile aiutarla.

"Lasciate a se stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio."

(Quinto Corollario alla Legge di Murphy)[i] (1)

In fin dei conti, volendo essere sinceri, Clark si sentiva contento e lusingato che Lana volesse parlare con lui: le aveva scritto quella lettera sapendo che le cose tra loro sarebbero potute finire nel modo peggiore di tutti. Lana avrebbe potuto considerare le sue parole come pretenziose, come le parole di qualcuno che crede di essere importante nella vita di un’altra persona e che invece non conta affatto, avrebbe potuto evitarlo e ignorare la sua amicizia. Ma aveva passato troppi momenti bellissimi con lei perché tutto finisse nell’oblio, senza che nulla rimanesse a legarli.

Non voleva che semplicemente si dimenticassero. Lui non lo avrebbe mai potuto fare.

L’energia che lo animava da quella mattina non si era esaurita, sentiva ancora vivo il formicolio nella sua testa che lo faceva agire con più determinazione e rapidità del solito: sentiva che avrebbe potuto volare, se ci avesse provato, ma non lo fece: quelle erano cose per visionari…

Lily l’aveva chiamato sul cellulare quando era al Torch ad impaginare con Chloe l’edizione del giorno dopo e gli era parsa tranquilla, come se anche lei avesse beneficiato del loro breve contatto. Gli aveva detto che l’avrebbe raggiunto al Talon e si era fatta promettere che sarebbero tornati alle grotte. La sua voce vibrava di emozione; solo ascoltarla l’aveva trasportato di nuovo su quella strana nuvola fatta di elettricità e fuoco dove le parole, tra loro, svanivano per lasciare il posto alle loro anime.

Sì, l’avrebbe portata di nuovo a vedere gli strani segni dipinti sulle rocce e quel pomeriggio le avrebbe anche mostrato la seconda parte della storia di Naman, quella dove si parlava della sua donna del destino…

L’aveva salutata indugiando un attimo prima di chiudere la conversazione, come se avesse paura di abbandonare la sua voce.

-Vedrai che Lana vuole solo chiarire con te quello che è successo dietro al vicolo. Forse ha capito di aver un po’ esagerato all’ospedale…-

Se Chloe non gli avesse ricordato dell’incontro, probabilmente, dopo la telefonata, Clark lo avrebbe dimenticato. Quello che non riusciva a dimenticare era lo sguardo con cui Lana lo aveva implorato di vedersi… Chloe era stata rassicurante e sincera e lo aveva mandato via prima dell’ora perché potesse incontrarla con calma. Poi si era chiusa ancora nella stanza e si era sepolta di lavoro, per non aver troppo tempo per pensare a lui.

-Clark, io non so e non voglio sapere quale sia la situazione tra te e Lilyanne al momento né quella tra te e Lana… voglio solo che tu mi faccia una promessa: cerca di lasciarti guidare dal tuo cuore e vedrai che non ti pentirai mai delle tue scelte…-, lo aveva detto piano, tra sé, non appena Clark aveva varcato la porta, senza riuscire a trovare il coraggio di dirlo direttamente a lui.

Ma Clark l’aveva udita e non l’aveva mai sentita così vicina: la sua insostituibile e adorata Chloe…

Lana era ancora nel suo appartamento sopra al bar: il lunedì aveva il turno serale e, pensò Clark, doveva essere appena tornata da scuola. La aspettò sul pianerottolo, senza disturbarla.

Oltre quella porta colorata erano rimasti addormentati i suoi sogni di una vita: quante volte aveva immaginato di entrare con lei là dentro, in un posto che sarebbe stato solo loro, dove non li avrebbe disturbati nessuno, dove avrebbe potuto raccontarle tutto, e poi confidarle quanto l’amava, stare stretto a lei, sentire il suo respiro e guardarla mentre dormiva, vicino a lui.

Posò una mano sulla porta, perso in quei dolci ricordi, quando Lana la aprì e lo vide così vicino. Clark gli sorrise lasciandola interdetta per un attimo, con il respiro bloccato a metà.

-Ciao…-

-…Ciao, Clark…-, Lana si affrettò a chiudere la porta dietro di lei, - Sei in anticipo…-

Le sorrise pulito, aspettando che gli dicesse come mai lo aveva fatto venire al Talon. Aveva mezzora prima che Lily lo raggiungesse.

-Prendi qualcosa da bere?-, disse lei, avviandosi giù al bar.

-No, grazie, sto bene così…-

Lo guardò: - Allora, se per te è uguale… rimaniamo quassù…-, disse riaprendo la porta di casa e rientrando.

Clark aggrottò un attimo le sopracciglia, non visto: non era mai accaduto prima che Lana lo facesse entrare nella sua casa da solo, per parlare.

E se fosse arrivato Jason? Cosa avrebbe inventato Lana? Lo avrebbe chiuso in un armadio o messo sotto al letto?

Non gli piaceva quella cosa, eppure… fu come vedere i ricordi di pochi minuti prima prendere forma davanti a lui, sul tappeto chiaro del salotto, sul divano, vicino ai mobili di cucina…

-Clark, voglio essere chiara con te-, disse Lana asciutta, distogliendolo dai suoi pensieri e facendogli cenno di sedersi sul divano, -Voglio chiederti scusa per come mi sono comportata all’ospedale, dopo l’aggressione…-

Clark distolse lo sguardo da lei, per un momento: Chloe aveva ragione.

-Non devi scusarti con me, Lana, ma con Lilyanne, se vuoi…-, le sorrise cercando di farle tornare il timido sorriso sulle labbra, ma lei teneva la testa bassa, imbronciata.

Clark si avvicinò a lei, sfiorandole il mento con la mano, perché tirasse su gli occhi.

Lana provò un brivido scorrerle lungo la schiena e convogliarsi in basso, sotto lo stomaco: le sue mani… non l’avrebbero mai più carezzata come un tempo, e i suoi baci, che aveva conquistato dopo tanto tempo e subito li aveva persi, non sarebbero più tornati?

Cosa aveva? Perché si sentiva così? Era da quando aveva visto Clark a mensa che non riusciva a toglierselo dalla testa… era come se fosse più… più ‘sexy’ del solito… provò vergogna per quello che stava pensando, insomma… c’era Jason ora accanto a lei! Abbassò la testa ancora, poi non riuscì a contenere quello che le ribolliva dentro, e scoppiò in lacrime, aggrappandosi al collo di Clark e respirando l’odore dei suoi capelli.

Vorrei che il tempo si fermasse adesso…

-Lana… cosa ti prende?-, disse Clark cercando di calmarla e farla tirare su.

-Io sono… ho avuto paura, Clark… ho avuto paura che quel maledetto mi avesse… mi avesse…-, rimase stretta a lui finché non si fu un po’ calmata, ringraziando che le fosse venuta in mente una ottima scusa per essergli saltata al collo. L’aggressione, l’ultima di tante, l’aveva già dimenticata.

Volevo solo starti vicino…

-Ho esagerato, dopo, all’ospedale… lo so…-, alzò gli occhi e inspirò, staccandosi da lui e ricomponendosi un po’.

-Va tutto bene, adesso, Lana… devi dimenticare il passato-

Già, devo dimenticarti…

Le fece una carezza sui capelli: -Cerca di stare tranquilla, adesso, altrimenti la gente penserà che ti abbia fatto piangere io!-, le sorrise.

Lana bevve dell’acqua e si sciacquò il viso, chiese ancora scusa a Clark e gli offrì di nuovo qualcosa da bere.

-Ti ringrazio, Lana, ma non mi va… -, rispose portando un occhio all’orologio. Stava facendosi tardi…

Clark si alzò significando che era l’ora di andar via. Si accertò ancora che Lana stesse bene e si fece accompagnare alla porta.

Non c’era altro da dire… in effetti quello per cui l’aveva chiamato al Talon Lana non l’avrebbe mai confessato, ma doveva fare l’ultimo tentativo… Si mise davanti a lui e gli posò una mano sul braccio.

-Clark… grazie… tu mi sei sempre rimasto vicino… io… se si potesse tornare indietro...-, alzò gli occhi su di lui, - Potessi tornare indietro non rovinerei tutto cercando in tutti i modi di scoprire i tuoi segreti, Clark… Ringrazierei solo di averti vicino…-

Non se lo aspettava: fu come se un macigno troppo pesante gli fosse caduto sul cuore, sollevando la polvere che aveva seppellito i suoi sentimenti, ma che voleva restassero parte del passato.

-Lana, io…-, non sapeva che dirle. Aveva paura che se l’avesse guardata negli occhi, in quel momento, avrebbe ceduto a vecchi, dolcissimi, eppure amari, ricordi. Non era possibile… Lana, la sua Lana, gli stava finalmente dicendo quello che aspettava da una vita… ma ormai era tardi.

-Lana, io… non so che dirti… non è colpa tua se le cose sono andate in questo modo tra… noi… la colpa, semmai, è mia, ma… lo sai… io ti ho amata così tanto… così tanto-, alzò gli occhi, prendendo aria, e li fissò su quelli giada di Lana.

-… io non avrei sopportato di stare con te senza riuscire ad essere del tutto sincero…-

-E perché non lo hai fatto…?-, la sua voce timida, quasi un respiro. Clark abbassò ancora gli occhi. Sentiva le gambe deboli, come se le sue forze lottassero per abbandonarlo, lasciandolo pericolosamente da solo, con lei.

-Lana tu… tu sei stata il mio amore dal giorno in cui ti sei trasferita con Nell nella casa davanti alla nostra. E’ stato come vedere un angelo, che mi ha guidato in tanti, tanti anni… Eri tu il mio faro, era solo per te io vivevo…-, la guardò ancora negli occhi e vide che stava piangendo di nuovo, in silenzio, -ma adesso io… ho capito qual è la mia strada…-

-…e non hai più bisogno di un faro che ti guidi… eppure io…-, si morse un labbro, perché non riusciva a dirgli altro.

-Perché fai così? Tu non sei… felice? Io ti ho vista, sai, ho visto come eri radiosa quando sei tornata da Parigi. Non lo sapevo che stavi con… lui, ma ti vedevo più vitale, più bella, più felice… L’avevo capito che avevi un altro… era dipinto sul tuo viso, non c’era bisogno che tu me lo dicessi, ma speravo che lo avresti fatto, perché ho paura dei segreti che ci possono essere tra noi. Eri così bella…-

Le prese le mani e provò un brivido scorrere lungo il collo e svanire vicino al cuore.

-Perché non sei più felice… Che è successo?-

Lana abbassò lo sguardo e una lacrima calda scivolò sul pavimento bianco e nero. Poi prese aria e lo guardò ancora, senza parlare. Non avrebbe parlato.

-Io, Lana… ti vorrò sempre un bene dell’anima… lo sai questo, vero? Penserò sempre a te e non potrò mai dimenticare… il profumo della tua pelle, i tuoi baci… Ma… doveva andare così, ci sono cose che io non sarò mai pronto a condividere e che non potevo sopportare che rimanessero come un muro tra noi. Lo sai già… Non è stato facile… ma dobbiamo guardare avanti, cercare la felicità oltre il passato…-

-Tu sei felice, Clark?-, ancora un sussurro.

Cercò la risposta nei suoi occhi, poi li riabbassò, sentendo il cuore fermarsi per un istante.

-E’ Lilyanne… non è vero?-

Clark non rispose e mosse appena la testa, stringendo le mandibole. Era così difficile chiudere quella porta…

-Lana…-

-Va tutto bene, Clark… tutto bene-, annuì sorridendo e increspando il mento e gli fece capire di andare.

Lo vide uscire dalla sua casa e dalla sua vita, come se fosse una scena al rallentatore.

Poi rimise la mano sul suo braccio, fermandolo ancora prima che varcasse del tutto la porta e lo abbracciò stretto alla vita, per qualche attimo indimenticabile. Sentì le labbra morbide di Clark posarsi sulla sua fronte, poi vide il suo sorriso sincero.

-Vai da lei…-, gli disse e, facendo tesoro di quell’ultimo bacio, rientrò in casa chiudendo il mondo fuori dalla sua vita.

Clark ormai era volato via.

Non se l’aspettava proprio. Per un attimo aveva sentito qualcosa dentro di sé lottare ferocemente con quello che batteva nel suo cuore e cercare ancora una volta di prenderne il posto. Era qualcosa che pungeva come una spina e lo faceva sanguinare ancora, goccia dopo goccia.

Non sarebbe mai riuscito a dimenticarla, mai, anche se si fosse sforzato con tutte le sue forze: Lana faceva parte di lui, della sua vita, come i segni delle ferite che portava impressi a fuoco nella memoria.

Ma era tempo di andare avanti e quello che voleva era solo tornare da Lily.

Continuò a scrutare con lo sguardo gli avventori del bar, per trovarla: non voleva vivere un solo minuto in più senza di lei.

Scese a due a due le scale del Talon, cercando il suo volto tra i tanti che affollavano il locale. Senza trovarla.

Era in ritardo, era vero, ma solo di dieci minuti, lei sicuramente lo aveva aspettato lì in giro, non sarebbe mai andata da sola alle grotte.

Pensò a quello che stava per raccontarle e sorrise tra sé e sé: le parole di Lana lo avevano colpito, ma gli avevano aperto definitivamente gli occhi su quello che realmente voleva per il suo futuro, perché una cosa era il ricordo più dolce, un’altra cosa era voler vivere il proprio futuro.

“Finalmente so chi è la mia ‘donna del destino’… voglio che anche tu lo sappia il più presto possibile, Lily…”

Le avrebbe raccontato da capo la storia di Naman, le avrebbe mostrato gli ultimi pittogrammi e le avrebbe chiesto ufficialmente di diventare la sua ragazza: lo avrebbe fatto regalandole il bracciale di Kyla… quello che spettava solo ad una donna.

E quella donna era Lily.

Cercò ancora un po’ nel locale, poi guardò in strada.

Fuori si era alzato un vento freddo che odorava di terre lontane e scompigliava i capelli ai passanti.

La vide poco distante, oltre il negozio di fiori, che lo aspettava con le spalle al muro e le braccia incrociate sul petto, una gamba sollevata, con il piede sul muro.

Clark notò che si era fatta bella “per lui”: indossava degli stivali chiari e una gonna corta, che metteva in risalto le sue gambe slanciate. Sopra aveva un giubbino di jeans e velluto.

-Ciao… sei bellissima…-, le disse arrivandole vicino silenziosamente e sorprendendola con un bacio su una guancia.

Lily si voltò verso di lui: era scura in volto e aveva i lineamenti contratti.

-Che è successo?-, le chiese preoccupato.

Lily lo guardò dal basso in alto, stingendo appena gli occhi. Si liberò dalle sue mani che la tenevano alla vita.

-La prossima volta che vuoi stare con Lana ricordando la vostra relazione, stando abbracciati e… baciandola, fammelo sapere per tempo, così trovo qualcosa di meglio da fare che aspettare come una scema che voi due abbiate finito!-, si voltò e sparì, scappando alla supervelocità, senza che Clark potesse muovere un muscolo per raggiungerla, rimanendo da solo per strada, accanto ad un muro battuto dal vento.

Per terra, davanti a lui, alcune lacrime si perdevano nella polvere della strada.



[i](1) Grazie a Greg! :-P

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Trame ***


Capitolo 14 – Trame

Capitolo 14 – Trame

Lily, ti prego, lascia che io ti parli, fatti spiegare che quello che hai visto non ha alcun significato. Smetti di scappare da me: io non capisco come sia possibile che più ci avviciniamo, più riusciamo a dividerci, io e te. Non voglio che il mio cuore batta più forte perché tu lo possa sentire solo stando lontana: dobbiamo parlarci, chiarire tutto, dirci le cose che non sono state ancora dette, perché io voglio che tu sappia che non hai nulla da temere dal nostro rapporto… Mi suona strano anche dire solo così… perché se scappi da me, ogni volta, il nostro, che rapporto è? Sì, è vero, i tuoi occhi hanno visto bene, prima, ma quello che non sai è che ero lì solo per dire una volta per tutte a Lana che non provo più nulla per lei. Io non voglio doverti rincorrere ancora, perché non ce la faccio più a vedere la felicità così vicina e poi perderla per motivi sciocchi, non ce la faccio più a sopportare questo tira e molla tra noi: l’ho già provato una volta nella mia vita e non voglio più soffrire ancora, quando tutto quello che sogno è qui, accanto a me!

E’ vero: è stato con Lana che è successo, è con lei che non sono riuscito a tenere stretto quello che di buono avevo realizzato, perché ogni volta che ci avvicinavamo accadeva qualcosa che faceva precipitare gli eventi. Non voglio che accada di nuovo con te, perché non voglio dover rinunciare a te, Lily, ti prego, perché io credo davvero di…

-Maledizione…-, Clark accartocciò il foglio su cui stava scrivendo e lo gettò nel cestino accanto alla porta di camera sua. Ne prese un altro e ricominciò a scrivere, cercando di trasmettere quello che davvero provava e soffriva, senza perdersi nelle parole, che erano così difficili da trovare, perché non c’erano parole capaci di esprimere quello che bruciava nel suo petto.

Lily ti prego, aspetta, torna da me… Lasciami spiegare: quello che hai visto prima è stato solo uno stupido equivoco: io non ero lì CON Lana, ma ero lì per spiegarle un’altra volta che ormai la considero solo un’amica, che c’è un’altra persona nella mia vita, e quella persona sei tu! Cerca di avere fiducia in me. Non ha senso stare lontani e soffrire da soli… E’ solo con te che desidero stare, solo te che sogno la notte e cerco di giorno, sono i tuoi occhi che vedo nel cielo, è solo per te che sento battere il mio cuore, e non perché io e te siamo uguali, ma perché credo di essermi davvero inn…

-Ma che diavolo scrivo…-, appallottolò anche quel foglio e lo lanciò verso il cestino, facendolo rimbalzare sul bordo e buttandolo fuori.

-Per un pelo non facevi canestro, Smallville!-,la porta si era aperta e Lois era entrata in camera, sfilandosi la giacca e gettandola sul letto. Clark la guardò seccato e rassegnato, scivolando sulla sedia fino ad incassare la testa tra le spalle.

-Pensavo fossi tornata al college, Lois, non ti avevo vista nel week-end e avevo sperato che…-

-Oh, già… ma ora sono di nuovo qua: tua madre mi ha detto di riprendere pure la mia stanza-

-La MIA stanza, semmai! Fanno ancora ‘pausa didattica’ al college o ti senti così superiore da non aver bisogno di seguire le lezioni?-

Lo sguardo fiero di Lois svanì, e i suoi occhi verdi puntarono diretti verso quelli di Clark.

-Sai, Smallville, non tutti hanno dei genitori come i tuoi, che ti lasciano sempre fare le tue scelte e vivere la tua vita-, si fermò un istante, abbassando lo sguardo; -Se sono tornata a Metropolis, sabato, è stato solo per parlare una volta per tutte con il Generale…-

-Ah…-, Clark sapeva che, nel linguaggio di Lois, Generale equivaleva a guai…

-Gli ho detto che non sopporto più di studiare per diventare avvocato, come pretenderebbe lui: non è la mia strada e non lo sarà mai! Non voglio passare il resto della mia vita pentendomi di non aver fatto la scelta giusta e di aver sprecato anni ad imparare una professione che non amo, anzi, che detesto!-, si sedette sul letto, vicino alla sedia di Clark.

-… e ora che succede?-, chiese lui, dimenticandosi per un attimo dei suoi problemi.

-Succede che, in attesa di trovare un lavoro che mi dia di che sfamarmi, dovrò approfittare ancora della vostra ospitalità…-

-Già…-, Clark sbuffò senza convinzione e si alzò stancamente, per liberare, per l’ennesima volta, la sua stanza.

-E tu cos’hai Smallville?-, gli domandò Lois raccogliendo da terra il foglio stropicciato che aveva gettato poco prima Clark. Lui la guardò, pronto a fermarla se avesse provato a leggerlo.

-Niente, è tutto ok…-

-Certo, come no? Conosco i problemi dei maschi della tua età, e in un certo senso lo sono stata pure io…-

-Lois, ma se hai solo pochi mesi più di me…?-

-Già, ma le ragazze maturano più in fretta, non lo sapevi, Smallville?-

-Allora, o tu non sei una ragazza, o sei maturata così tanto da essere ormai prossima alla demenza senile!-

-Ma sì, bravo Smallville, continua sulla strada del tuo nichilismo. Tanto lo so che attacchi solo perché vuoi nascondere le tue ferite-

La guardò accigliato, colpito dalla sua frase e non trovò al volo le parole per replicare. Lois approfittò della pausa e continuò.

-Se un ragazzo della tua età si chiude in camera sua cercando disperatamente di scrivere le parole che non riesce a dire di persona e straccia fogli su fogli senza mai essere soddisfatto di quello che ha scritto, i motivi possono essere solo tre-

Clark alzò le sopracciglia, -E sarebbero?-

-O si vuole suicidare, perché “in questo mondo crudele non c’è spazio per lui”, o è gay e non sa come dirlo ai suoi genitori, specie se sono così tradizionalisti come i tuoi, o ha fatto davvero incazzare una ragazza e non riesce a trovare le parole per chiederle scusa-

-Ma…-

Lois interruppe sul nascere le sue proteste alzandosi e posando il palmo della mano sul suo petto.

-Fammi finire! Ora, ti conosco abbastanza bene da sapere che sei così attaccato alla vita che non ti verrebbe mai in mente di suicidarti, giusto? Quindi rimangono le altre due opzioni…-, lo guardò spostando la mano sulla sua spalla, guardandolo dall’alto.

-Sei gay, Clark? No, perché in tal caso non ci sarebbe niente di male e…-

-Ma che cavolo dici?!-

-... allora anche stavolta hai fatto incazzare una ragazza! Come pensavo. Vediamo se ho indovinato di chi si tratta…-, disse con un pizzico di sadismo aprendo il foglio di carta che ancora teneva in mano.

-Fermati!-, Clark fu veloce come un lampo, Lois non lo vide neanche muoversi che già il suo polso era stretto nella mano di Clark, che con l’altra le strappò via il foglio.

Cacciò un urlo, spaventata da tale velocità e dallo scossone che Clark le aveva tirato, facendole un po’ male dove la stava stringendo.

-Lasciami, mi fai male…-, disse con voce tornata seria, quasi minacciosa, poi allungò la sua mano verso la lettera, stretta tra le dita di Clark, per riprenderla, solo per fargli un dispetto.

-No, Lois-, disse Clark e la fermò di nuovo, stringendola alle spalle con le sue grandi mani.

Per un attimo Lois pensò che Clark l’avrebbe sollevata di peso, come aveva fatto la prima volta che lo aveva incontrato, quando ancora non conosceva il suo nome.

-Basta…-, le disse, e, nel suo sguardo, Lois lesse tanta amarezza.

Lasciò andare l’aria che aveva trattenuta e lo guardò: era talmente affranto e allo stesso tempo si sforzava di non mostrarlo agli altri. In quell’istante Lois si rese conto di quante cose si nascondevano dietro il suo volto da bonaccione, di quanto dolore, delusioni e speranze ancora non realizzate.

Proprio come lei. Non lo fece volontariamente e subito dopo se ne pentì: allungò una mano verso il suo volto e gli fece una carezza leggera.

-Lasciati aiutare, Clark…-, gli disse, e per un attimo la sua voce rimase sospesa nell’aria, senza che nessuno dei due si muovesse.

Poi Lois realizzò quello che aveva fatto, si guardò istintivamente attorno allontanando la sua mano e si mosse, perché anche lui lasciasse la presa dalle sue braccia.

-Eh… eh… avevi una cosa sul viso…-, gli disse voltandosi, per non fargli vedere che era arrossita.

Clark invece rimase immobile, con le labbra socchiuse, confuso, perplesso, ma stranamente un po’ più tranquillo di pochi minuti prima.

-Si, Lois, aiutami…-, le disse, e la sua voce uscì appena roca dalla sua gola, -Aiutami, perché io non so davvero più cosa fare…-

Lois si girò per guardarlo, gli sorrise a labbra strette e si sedette di nuovo sul letto, buttando a terra gli stivali e incrociando le gambe. Clark la imitò, e fino a che non fu buio e Martha, da sotto, chiamò per la cena, rimase a parlarle di quello che era successo con Lily e di quanto non riuscisse a capire come fare per sbloccare la situazione con lei.

Lois lo ascoltò in silenzio, scherzò un po’, poi cercò di esprimere il punto di vista di una ragazza a riguardo, e infine gli dette un consiglio così bizzarro, che Clark, uscendo, le promise che si sarebbe rifiutato di metterlo in pratica, e che a lei non si sarebbe più rivolto per cercare aiuto.

Ma lo disse senza convinzione e sulle sue labbra era già comparso un timido sorriso, come un raggio di sole che filtra dalle nuvole grigie che rimangono dopo una tempesta.

Sì, avrebbe trovato il coraggio di farlo, e quella sera stessa forse…

***

-Pronto, signor Luthor? Sono Jamison-

-Ha parlato?-

-Beh, non ancora, ma ci ha dato un grosso indizio-

-Che cosa intende?-

-Vede, il soggetto ha nominato un’altra persona, oltre a quella su cui stiamo cercando informazioni, che parrebbe avere le stesse caratteristiche fisiche che ci interessano. Quindi io pensavo di…-

-L’ultima volta che “pensava”, dottor Jamison, ha quasi mandato all’altro mondo con i suoi esperimenti il nostro soggetto! Non voglio “pensieri”, ma fatti, se lo ricordi!-

-Certamente signor Luthor, solo che è importante che lei sappia quello che il soggetto ha appena rivelato circa la particolarità di questa seconda persona, perché forse vorrà…-

-Lo rintracci-

-Non è così facile come può sembrare signor Luthor, il ragazzo ci ha parlato di una persona… “particolare” e sarebbe meglio se assistesse di persona alla descrizione dei suoi poteri perché…-

-Mi dica solo il nome-

-Ma la linea non è sicura signor Luthor e…-

-Il nome!-

-Come vuole lei… Greedy ha indicato come soggetto idoneo ai test un ragazzo che lei conosce bene… il suo nome è Clark Kent…-

-…-

-Signor Luthor?... Signor Luthor, cos’era quel rumore?? Lex? Maledizione… la linea è caduta… L’avevo avvertito che non era prudente fare nomi qua…-

***

Lois non si sarebbe persa la serata al Talon per niente al mondo: prese dalla sua valigia dei jeans scuri e si cambiò, rimise gli stivali e si dette una sistemata ai capelli.

Si sentiva appena in colpa per quello che aveva detto a Clark: in fondo era un suo amico e aveva paura di essersi presa gioco di lui un po’ troppo pesantemente, ma non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione d’oro che Clark, ricordandole il programma della serata al bar, che riteneva ormai sfumata, le aveva servito su un vassoio d’argento.

Quando squillò il cellulare pensò che fosse lui che la chiamava, colto da un attacco di panico, dal vicolo dietro al Talon, invece era Chloe e aveva la voce più agitata del solito. Chiamava dalla sua auto, Lois poteva sentire il rumore del motore nel vivavoce.

-Ciao Cugi sono io… non ce la faccio a passare a prenderti dai Kent, perché sono in emergenza Cupido e devo correre da Lily…-

Lois cercò di non ridere.

-Allora stasera siamo tutte e due armate di frecce e ali da piccione, mi sa! Ho appena fatto da consulente matrimoniale al tuo amico addormentato… al Talon vado per conto mio, non preoccuparti, ma l’importante è che tu ci sia e che porti anche la sua bella… ci sarà da sbellicarsi dalle risate!-

-Lois, possibile che tu riesca a fare ironia anche dove i tuoi amici soffrono? Che cosa hai detto a Clark… e perché devo trascinare Lily al Talon? Per favore, cerca di non combinare i tuoi soliti pasticci…-

-Tranquilla! A volte i problemi si possono risolvere anche ridendoci su… ad ogni modo, se le cose vanno come spero, stasera vedrai Clark come non l’hai mai visto prima! E chissà che non riesca davvero a risolvere i suoi dilemmi!-

-Uhm… non mi fido di te… sento che te la stai ridendo sotto ai baffi e non mi piace per niente!-

-Chloe! Ma dai, rilassati… e comunque…-, tornò seria per un momento, non capì neanche lei come mai lo fece, perché disse quelle cose a Chloe-, comunque… Clark mi ha detto di oggi pomeriggio e so perché Lily sta così male, ora… lei te ne ha parlato?-

-No, mi ha appena telefonato, mi ha solo accennato qualcosa, e credo stesse piangendo…-

-Chloe, c’è ancora una volta di mezzo Lana…-

Chloe rimase turbata dalle parole che Lois aveva, più o meno coscientemente scelto.

-… Lana?-

-Già, pare che oggi pomeriggio si siano incontrati, lei e Clark, e… insomma, secondo me Lana ancora sta dietro a Clark e se non ho capito male ha avuto la felice idea di abbracciarlo pubblicamente, al Talon e Lily ha visto la scena. Ma perché quella ragazza non si tiene quel gran pezzo di fico del suo ragazzo e lascia in pace Clark? Che ci troverà mai in quel lumacone??-

-Oh…-

-Oh? La tua unica reazione è ‘oh!’?? Ma Chloe, non capisci che Clark DEVE necessariamente trovarsi una ragazza dolce, carina, educata, senza troppi problemi, in una parola: NORMALE? Così almeno si darà pace e se ne starà il più possibile con lei, via di casa, e io avrò la mia libertà in casa sua!-, ridacchiò, dicendo queste parole, ma in fondo non era tanto sicura di quello che stava dicendo: l’idea di Clark fidanzato con qualcuna la turbava, senza un perché.

-Sei terribile Lois… lo sai che ti starebbe bene? Che fossi tu ad innamorarsi di lui, e che lui non ti considerasse neanche un po’! Così la smetteresti di scherzare sui sentimenti di Clark!-

-Io innamorarmi di quell’orso di Clark? Ma nemmeno morta! Comunque… Chloe, ci vediamo là. Mi raccomando, fai in modo che Lily ci sia-

-Non ti prometto nulla, non so in che stato la troverò…-

-… certo… e… dov’è che abita Lily?-

-Ma che…?-

-Dai…!-

-28, Kerry Lane… ma che ti importa di dove abi…-

-Ciao Cugi, devo scappare! A dopo e acqua in bocca con la capellona su quello che ti ho detto di Clark!-

Riattaccò il cellulare e rimase immobile, in mezzo alla stanza, confusa per le sue stesse parole e per il tono che aveva usato. Poi guardò l’orologio, scrollò la testa come per scacciare quella strana sensazione e tornò in bagno, per sistemarsi il trucco.

28, Kerry Lane… arriva la cavalleria, Chloe…

Quando Chloe arrivò da Lily la trovò accucciata sul divano, con i capelli legati, la frangia spiaccicata sulla fronte e una vecchia, enorme felpa che le arrivava fino alle ginocchia. Della sua bellezza era rimasto poco, nascosta nuovamente dal travestimento che aveva iniziato ad abbandonare e che in quei momenti di tristezza voleva sentire di nuovo su di sé, come un guscio che la faceva sentire protetta dalla cattiveria del mondo, dimenticata in un angolo.

Aveva ancora gli occhi rossi e non si era alzata neanche per aprire la porta, tanto era già aperta: si era guastata la sera che Clark l’aveva riaccompagnata a casa, quando erano rimasti in auto davanti al giardino senza parlare, mentre la musica riempiva il silenzio tra loro. La serratura si era rotta senza un motivo, e la porta poteva chiudersi solo con la chiave.

Lily non sapeva perché aveva chiamato Chloe: era abituata a risolvere i suoi problemi da sola, e se non riusciva a risolverli, li seppelliva sotto la cenere dell’amarezza che riempiva il suo cuore.

Ma quella volta era diverso… si era fidata davvero di Clark, aveva sentito di nuovo il calore ardere da qualche parte, nel suo cuore, aveva capito che erano così simili, e si cercavano da sempre e non potevano perdersi, ora che si erano trovati… eppure…

Ci era cascata ancora una volta: non è cosa per te, l’amore!, si era detta e aveva cercato di andar via da Clark come se la cosa non la ferisse affatto. Ma poi era finita in lacrime sul divano, cercando una voce amica, che potesse ricordarle che ancora non era sprofondata nell’inferno in cui sapeva che era attesa da molti.

-Lily, alzati e asciugati quelle lacrime!-, le aveva detto Chloe decisa, accendendo la luce.

Dopo interminabili minuti di silenzio, interrotti solo dal respiro regolare e profondo di E.T., che dormiva accucciato sotto al tavolino in salotto, Chloe si alzò per preparare un tè, sperando che Lily la fermasse, si sollevasse da quel torpore che l’aveva colta dopo che, appena lei le aveva chiesto “Ehi, piccola, che è successo?”, era scoppiata a piangere di nuovo, con il volto affondato nella sua spalla.

Decise che avrebbe parlato lei, a costo di fare tutto da sola: sua cugina le aveva fornito informazioni sufficienti per intavolare un discorso efficace, per una con la sua lingua e le sue risorse.

-Sai, ho visto Clark, prima che venisse via da scuola: sembrava emozionato… o comunque più frizzante del solito…-

Lily si voltò verso di lei, come se parlasse una lingua che non riusciva a comprendere.

-… pensavo fosse perché avevate un appuntamento… devo dedurre che le cose non sono andate poi così bene…-

-Già…-, almeno la stava ascoltando.

-Ho sentito mia cugina Lois, poco fa, mi ha detto che ha incontrato Clark, alla fattoria-

-…-

-Da come mi ha descritto Clark, doveva essere più o meno nelle tue stesse condizioni… ora, non nel senso che si è messo a piangere sulla sua spalla, ma comunque pareva star male…-

-…-

-Ne sai qualcosa, Lily?-

-…-

Chloe sospirò cercando di nascondere l’impazienza, poi cambiò posizione, sorseggiando il suo tè, che era amaro come le lacrime che si stavano seccando sul volto bianco della ragazza davanti a lei.

Cercò di essere più convincente, forse troppo. Disubbidì alla promessa fatta a Lois e decise di vuotare il sacco.

-Lily, so quello che è successo al Talon, so che hai visto Clark assieme a Lana e so che te ne sei andata via arrabbiata e delusa. So anche che Clark ha passato le ultime ore a battere metaforicamente la testa contro al muro, perché, credimi Lily, lui ci tiene davvero a te! Possibile che voi due non siate ancora riusciti a trovare un equilibrio? Insomma… sì, ho sofferto anch’io vedendo come Clark guardava Lana invece che me, tanto tempo fa, ma come lui guarda te, oh Lily, io non l’ho mai visto fare neanche con lei! E’ come se tu e lui… E’ come se tu fossi l’altra metà di Clark, quello che non ha mai trovato prima d’ora in una ragazza… quello che io avrei sempre sognato di essere, e non solo perché tu sei bella, ma perché c’è qualcosa, dentro di te, che è così in sintonia con Clark… insomma… è come se voi due siate uguali, uguali e unici e solo voi due siate fatti per stare insieme, è lampante solo vedendovi vicini… c’è qualcosa tra voi, che Clark non riuscirebbe mai ad avere con una ragazza come me, o Lana…non è giusto che buttiate via quello che c’è tra voi, che è così speciale, così…-

Lily rimase turbata dalle parole di Chloe, cosa intendeva per “uguali e unici”? Cosa sapeva su di loro, su Clark, che già le aveva fatto intuire quella volta, al lago? Che il simile cerca il suo simile… come se ci fosse qualcosa di più che attrazione e amore, tra loro, qualcosa che faceva parte delle loro essenze, di quello che loro erano, come se ci fosse un legame… di sangue? Ripensò alla sensazione provata quando si erano baciati per la prima volta… sì, era davvero come se fosse attratta da lui, come se si sentisse parte di lui… Cercò di sminuire la questione.

-Chloe… ti ringrazio per le tue parole, ma ti garantisco che non c’è niente di speciale in me, e non c’è nulla che mi possa legare a Clark più di quanto non possa farlo tu, o… Lana… E’ così… devo solo rassegnarmi all’idea e accettarlo…-

-Ma Lily… non devi dire così!-

-Ormai…-, disse Lily alzandosi e lasciando che i lunghi pantaloni della tuta le finissero sotto ai piedi. Si chinò e tirò fuori il gatto da sotto al tavolino: E.T. protestò agitando le zampe per essere stato svegliato così maleducatamente, poi si accucciò sul suo petto e riprese a dormire, mentre Lily lo carezzava come se attingesse conforto e amore dalle sue fusa appena udibili.

La pendola battè nove rintocchi: se non fossero uscite al più presto non ce l’avrebbero fatta ad arrivare al Talon in tempo; per cosa, Chloe, non osava chiederselo: c’era di mezzo Lois, quindi non poteva essere qualcosa di semplice, lo sapeva…

-Lily… perché non lasci il gatto, ti sciacqui la faccia e vieni con me fuori… ti distrarrai un po’-

Lily la guardò come se le avesse proposto di mettere la maionese sulla torta di mele, arricciò il naso e si strinse ancor di più nelle spalle, affondando il volto nel pelo del gatto.

-Davvero, Lily… chiuderti in casa è la cosa peggiore che tu possa fare stasera-, ancora Lily scosse la testa, abbozzando un sorriso riconoscente. Chloe pensò che portarla al Talon sarebbe stato come farle un taglietto e versarci sopra del sale, ma voleva provare ancora.

-Potremmo andare a divertirci un po’… magari a prendere un caffè o una cioccolata calda al… Talon…-

Lily la guardò fosca: -Già, andiamo nella fossa del leone, Chloe… così rivedo Clark e Lana insieme e ho un motivo più che ottimo per legarmi un sasso al collo e buttarmi dentro Crater Lake…-

-No, io direi che avresti un motivo più che ottimo per guardarti intorno alla caccia di qualche altro ragazzo che possa sostituire quel bietolone di Smallville. E se poi lui dovesse vederti, affari suoi, lo ripagheresti con la stessa moneta!-

Chloe e Lily si voltarono verso la porta di casa: sull’uscio, appena fuori, c’era Lois, che sorrideva loro soddisfatta.

-Ma come…-

-Oh, scusate… non volevo intromettermi nei vostri discorsi, ma la porta era socchiusa e quando mi sono avvicinata per bussare si è aperta ancora di più e così vi ho sentite!-

Lily sfrattò E.T. dalle sue ginocchia e si alzò, per fare entrare Lois in casa.

-Che sbadate… entra pure Lois-

Non se lo fece ripetere due volte, entrò, lanciò un’occhiata acida alla cugina, avendo capito che aveva vuotato il sacco con l’amica e rimase immobile davanti alla porta.

-Accomodati, Lois…-

Lois quadrò Lily dalla testa ai piedi: -Dai, smetti di fare la Cenerentola della situazione, infila dei jeans e una maglia più decente e vieni con noi. Vuoi forse perdere l’occasione di dimostrare al mondo che riesci a sopravvivere e mantenere una tua vita sociale indipendentemente da quello che fa, pensa o distrugge Clark Kent? Su, Lily, sei una ragazza dalle molte potenzialità… mi pare di averlo capito, quindi non lasciare che tutta la tua vita sia condizionata da lui. Non lasciare che sia un uomo a decidere per te… Muovi le chiappe e usciamo, che è già tardi!-

Lily la guardò restando immobile per un secondo, interdetta, poi qualcosa scattò in lei animato dalla molla delle parole di Lois che avevano risvegliato per un attimo l’orgoglio nel suo petto. Annuì e corse a mettere dei pantaloni e delle scarpe.

Chloe si voltò verso la cugina, stupefatta per la sua entrata ad effetto e il risultato ottenuto.

-Ma come ci sei riuscita?-

-Ho convinto un intero esercito a fare cose per me, che non ne hai idea… questa è stata una passeggiata!-

Non era vero nulla, ma quando Lily ridiscese, sempre con la felpa, ma con dei jeans e delle scarpe da ginnastica grigie e rosa, struccata, imbronciata e salì in auto accanto a lei, pensò che forse, se avesse usato la sua arte oratoria per ottenere qualcosa in più, quando stava in caserma con suo padre, avrebbe anche potuto avere delle attenzioni in più, un po’ d’affetto o amicizia e quegli anni non sarebbero stati così aridi e bui.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Una canzone per te ***


Capitolo 15 – Una canzone per te

Capitolo 15 – Una canzone per te[i] (1)

Clark camminava avanti e indietro nel vicolo dietro al Talon: Lily non era ancora arrivata… le cose non stavano andando come Lois aveva previsto… come avrebbe potuto mettere in pratica quello che doveva fare, se lei non c’era…?

Sentì la porta sul retro chiudersi alle sue spalle, si voltò e vide Lana, che camminava verso di lui, con una tazza di caffè bollente in mano.

-Servizio a domicilio!-, gli disse porgendogliela e sorridendo.

Clark la prese guardandola negli occhi… perché Lana era lì, proprio in quel momento?

-Stai aspettando qualcuno?-, gli domandò sperando in una risposta negativa. Da dentro provenivano note stonate e risate allegre.

-Già…-, le rispose sorseggiando il caffè, -ma temo che ormai sia tardi…-

-Non è mai tardi per qualcosa a cui tieni davvero…-, si mise davanti a lui e lo guardò. Sapeva di essersi comportata male, quel pomeriggio, ma ancora non voleva rassegnarsi a perdere anche la sua amicizia.

Clark non rispose e guardò ancora l’orologio.

-La serata è appena iniziata, c’è ancora tempo… no?-, le feriva vedere Clark star male per qualcosa, qualsiasi cosa fosse, -Perché non entri a divertirti un po’?-

-Non c’è Jason, stasera?-, colpo basso, autodifesa e attacco…

-No, Jason non c’è-, rispose Lana asciutta. Non c’erano porte aperte per lei, quella sera. Lo salutò e rientrò nel locale, lasciandolo solo.

-… e così è andata che ho conosciuto Clark. In realtà senza di lui non sarei mai riuscita a riprendermi mia cugina, ma non posso fare a meno di essere con lui come il limone dentro al latte!-

-… e cioè?-

-Acida, no?-, Lois e Lily risero, mentre scendevano di macchina, e aspettavano Chloe che, sulla sua Volkswagen, le raggiungesse. Almeno Lois era riuscita a strappare un sorriso all’amica… era buon segno, pensò, lasciandola un attimo da sola e precedendola nel locale: doveva avvertire Clark che erano arrivate.

Lo trovò seduto in un angolo, con in mano il fogliettino che gli aveva scritto lei poco prima: doveva darlo al dj, in sala, al momento opportuno. Gli posò una mano sulla spalla, sorridendogli e bisbigliandogli “lei è qui”. Avrebbe lasciato passare qualche minuto e poi sarebbe iniziato il loro piano.

-Se va male giuro che te la faccio pagare…-

-Tranquillo, Smallville!-, gli disse e tornò verso Chloe e Lily, cercando di prendere posto in un tavolo da cui Lily non riuscisse a vedere che Clark era lì.

-Salve ragazze! Cosa vi porto?-, Lana le raggiunse con taccuino e vassoio. Come lei e Lily si videro, i loro sguardi si annebbiarono per un istante, ma fecero finta di niente.

Quattro ragazze intorno ad un tavolo, tre delle quali, nel passato o nel presente, avevano amato o amavano Clark Kent. Quale di loro sarebbe stata la donna del suo futuro, in quel momento, non era possibile prevederlo. (2)[ii]

-Ah, ho visto Clark, poco fa… sembrava molto agitato per qualcosa…-, disse Lana, con una punta di invidia celata dalla preoccupazione.

Lois le rivolse un’occhiataccia e Lily alzò gli occhi al cielo, sentendo il temporale in avvicinamento.

Quando Lana si fu allontanata dal tavolo, Lily fece per alzarsi.

-Io non ci voglio restare qui… c’è Clark, avete sentito? Io non…-

-Zitta! Ormai sei qua e rimani qua! Guarda com’è ridicola quella che canta, abbuffati di torta della casa, insomma, fai quello che preferisci, ma cerca di non pensare ad altro! E soprattutto: non muoverti di qua!-

Lily tirò su il cappuccio e sprofondò nella poltroncina, rassegnata, mentre un ragazzo prendeva il microfono per cantare qualcosa al karaoke. Una dedica d’amore per la sua fidanzata.

-Che carini…-, disse Chloe guardandoli, con ironia, pensando a quanto fosse ridicolo tutto ciò. Ridicolo e puerile.

-Io invece trovo che se un ragazzo ha il coraggio per riuscire a dimostrare i suoi sentimenti a quella maniera davanti ad una sala piena di gente pronta a ridere di lui, beh… non può che essere davvero innamorato della sua ragazza!-

Chloe guardò Lois con un punto interrogativo al posto della faccia, meravigliandosi sempre di più ad ogni parola della cugina.

-Se un ragazzo facesse una cosa del genere per me, penso che potrei anche innamorarmi davvero-, continuò guardando Lily, -purtroppo trovare al giorno d’oggi qualcuno disposto a dedicarti “The greatest love of all” in un bar di provincia come questo è pressoché impossibile…-

Fu allora che a Chloe si accese la lampadina in testa. Vide Lily sorridere alle parole di Lois, non capendo se stesse scherzando oppure no: a Lily piaceva, Lois, era una donna forte, e la stimava per questo, perché lei non era capace di esserlo.

Lois si alzò dirigendosi verso il bar e la cugina la seguì, lasciando Lily da sola al tavolino, di spalle al palco del karaoke. Chloe la vide fare un cenno di ok verso la parte opposta del bancone, si voltò e vide Clark che, a conferma di quello che aveva intuito e non voleva fosse vero, si muoveva verso il palco, mentre sfumavano le ultime note della canzone d’amore cantata dal ragazzo preso ad esempio da Lois.

-Dimmi che Clark Kent non sta per fare quello che temo stia per fare!-, fermò Lois prendendola per un braccio.

-Lois! Cosa hai detto di fare, a Clark?-

-Stai calma, Chloe! Pensi che Clark sia uno che segue ciecamente i consigli degli altri senza ponderarli bene? Io gli ho solo dato una spinta… il volo lo farà di sua iniziativa…-

-Ma ti rendi conto che uno come Clark può restare traumatizzato a vita da quello che lo hai mandato a fare? Sciogliamo i leoni e facciamo entrare gli agnelli, eh, Lois? E poi, tutte quelle frasi di circostanza a Lily… ma perché non ti impicci dei fattacci tuoi e lasci che loro due se la vedano da sé e vivano quello che c’è tra di loro senza che sia tu a muovere i fili?-

-Ora calmati, Chloe! Te lo ripeto: se ho dato a Clark questo consiglio è perché penso che una dimostrazione pubblica di quello che prova davvero non possa fargli che bene. Deve togliersi di dosso l’insegna lampeggiante di ex fidanzato sfigato della reginetta della scuola e mettere su quella di uomo capace di vivere la sua vita, di avere le sue storie, indipendentemente da quello che Lana Lang fa o pensa…-

Chloe, espirò e si lasciò cadere su uno sgabello davanti al bancone: povero Clark… però quello che Lois diceva aveva un senso… non sapeva più che pensare.

-Che ci fa Clark in piedi nel mezzo al palco?-, chiese Lana, tornando a portare altre ordinazioni.

-Dedica una canzone d’amore alla sua ragazza-, rispose Lois soddisfatta e velatamente sadica, ma sentì come una spina che le bucava qualcosa dentro, appena percettibile, come se, graffiando, si fosse a sua volta graffiata.

-Ah…-, Lana rientrò nella stanza interna al bar, senza dire altro e senza farsi vedere in volto. Chloe la seguì con lo sguardo e sospirò, poi guardò la cugina, scura in volto.

-Sempre opportuna nelle tue affermazioni quando c’è il Karaoke, eh, Lois…-

Si voltò ancora verso Clark, imbarazzatissimo e rigido, con il microfono in mano, e provò pena per lui.

-Ricordi l’ultima volta che io e te eravamo qua nella serata karaoke, Lois?-

-Sì… è passato tanto di quel tempo…-

-Già… eppure Clark ricorderà sempre quella serata, quello che successe tra Lana e Alicia…-

-C’è sempre Lana di mezzo…-

-Lois…-

-Scusa, non lo dico più-

-Sei davvero impossibile…-

-Non lo dico più!-

-Per quello che conta…-

Quando Lily sentì le prime note di “The greatest love of all”, si voltò pensando all’ironia della cosa: la aveva appena citata Lois, quella canzone e ora… poi vide Clark, in mezzo al palco e con il microfono in mano, e pensò di avere le traveggole. Allora le parole di Lois erano ben studiate… il fatto che si era presentata a casa sua e l’aveva convinta con quelle parole, era solo perché glielo aveva chiesto Clark… non era capace di parlarle chiaro di persona e allora aveva mandato la sua amichetta ad aiutarlo…

Non era possibile quello che stava accadendo, non a lei, che era così timida e che non avrebbe MAI voluto in vita sua trovarsi in una situazione del genere… non era possibile che Clark le stesse facendo una cosa simile… non a lei… non Clark…

Si sentì presa in giro e si alzò in piedi per andarsene, proprio mentre le note preludevano alla melodia cantata.

Non voleva più sentire parlare di Clark Kent: un idiota capace di ridicolizzarla e farla star male sempre e comunque.

Clark rigirò il microfono tra le mani sudate, lo avvicinò alla bocca come per testarne il peso, fece per aprirla, ma sentì la lingua secca, come se dalla sua gola non dovessero uscire suoni. Si guardò intorno cercandolo sguardo di Lily, ma incrociò solo quello di Lois, che lo incitava con i pollici alzati, mentre Chloe, vicino a lei, era scura in volto.

Cercò di sentire la melodia, fissando lo schermo blu su cui stavano per apparire le parole… doveva essere lui, proprio lui a cantare… maledizione! In che situazione si era lasciato coinvolgere!

“Canta la canzone e poi fai la dedica”, le aveva detto Lois. Accidenti a lei!

Poi sentì qualcosa di stonato, una nota che… no, non andava… nulla andava come avrebbe dovuto andare… non erano quelle le parole che avrebbe dovuto dire… non una dedica che l’avrebbe fatta arrossire… non una canzone trita e banalmente sdolcinata… era tutto sbagliato!

Si avvicinò velocemente al dj facendo fermare la musica. Ecco cosa doveva fare… Solo in pochi si accorsero di questo stop, Lois rimase in allerta, preoccupata che il suo amico non facesse quello che gli aveva detto, Chloe sollevata per quell’interruzione che allontanava Clark da una colossale brutta figura… Non ce lo vedeva proprio Clark a cantare… era troppo… Clark Kent per poter essere intonato e sostenere una prova simile!

Lily era quasi alla porta, quando altre nuove note la pietrificarono sul posto, facendola voltare lentamente, incredula. Di nuovo quella chitarra, di nuovo quegli archi così malinconici e profondi.

Di nuovo “Iris”…

Come quella sera nell’auto, la sera che le aveva fatto tutte quelle domande strane. La sera che era stata così vicina a scoprire quello che Clark non riusciva ancora a dirle, quello che loro due erano davvero, le risposte che cercava da sempre e che la legavano così profondamente a lui.

Un brivido rotolò lungo la sua pelle quando Clark iniziò a cantare, prima timido, poi, via via che la canzone andava avanti e si rendeva conto di essere bravo, più sicurò di sé, tirando fuori una voce che non immaginava potesse avere.

Era come se le stesse ripetendo le stesse domande, dandole la risposta che voleva. Non un accenno a lei, non una parola per metterla in mostra, davanti a tutti: nel locale affollato c’erano solo Clark, Lily, e quella canzone che penetrava nei loro cuori e nelle loro teste, come un filtro magico, come le parole non dette di un incantesimo che li legava per l’eternità.

Solo Clark e Lily.

Quando anche l’ultima nota della canzone svanì nell’aria, Clark sentì le mani che, sempre più forti, battevano per lui, vincitore nell’arena, il loro divo, quasi come un idolo dei teenagers, come se la sua voce aliena avesse stregato i presenti nella sala.

Chloe e Lois, incredule, applaudivano stando in piedi, urlandogli “Bravo!”, “Vai così, Smallville!”, rimanendo vicine ad un lato del piccolo bar.

Clark scese dal palco, lasciando il microfono al dj, mentre le note di un’altra melodia iniziavano a suonare, e si guardò intorno, come se stesse vivendo al rallentatore quegli attimi.

Si diresse verso il gruppo di tavolini sotto alle scale e solo allora la vide. Sapeva che era lì, ma non l’aveva ancora trovata.

Lily era rimasta immobile, in piedi, con il cuore fermo e le lacrime sospese a metà, sul bordo dei suoi occhi viola. Era l’unica che non stava applaudendo e fu verso di lei che si diresse Clark, mentre già nessuno più badava a lui.

Si avvicinò lentamente, naufragando in quello sguardo che sapeva di mare e di cieli lontani. Di casa…(3)[iii]

Lei aveva ancora il cappuccio della felpa tirato su: Clark, delicatamente, le scoprì la testa, lasciandolo cadere sulle sue spalle, come se fosse il velo di una sposa e le prese una mano, che pendeva fredda al suo fianco.

Di nuovo quel brivido divenuto ormai così familiare saettò tra loro, entrando nelle loro vene e fino al profondo del cuore, risvegliandolo dall’incubo di quella serata.

Non dissero una sola parola e quando lui la baciò sulla bocca, senza attendere di essere fuori, dove solo la luna li avrebbe spiati, sentirono un peso che scivolava via dalle loro anime. Si erano di nuovo ritrovati e quella volta era per sempre.

Lily appoggiò la testa sul petto di Clark, sentendo che il suo cuore batteva forte. Rimasero così, abbracciati, mentre una lenta canzone d’amore li avvolgeva con le sue note morbide e calde.

Loro due soli, la musica e nient’altro attorno a loro.

-Come amica dovrei essere molto arrabbiata con te per l’incoscienza con cui hai mandato Clark al patibolo-, disse Chloe assestando una debole gomitata sul braccio di Lois, -ma come cugina non posso che essere orgogliosa di quello che hai fatto… orgogliosa e stupefatta!-

-Te l’avevo detto di fidarti di me… Clark deve essere davvero cotto, per essersi prestato a questo mio esperimento…-

-Esperimento?-

-Beh, sì… non crederai sul serio che realmente io fossi convinta della buona riuscita di questo spettacolino, vero?-

Chloe sgranò gli occhi.

-Evidentemente hai ragione quando dici che Clark ha delle doti nascoste… se fallirà come agricoltore e padre di famiglia potrà sempre entrare nel business della musica, non trovi?-, disse Lois sedendosi e buttando giù l’ultimo sorso di caffè, sognando che fosse birra.

-Come ti senti, ora?-, le chiese con aria strana Chloe.

Lois la guardò alzando le sopracciglia, non capendo il senso della sua domanda. Poi rispose.

-Leggera…-, non sapeva il perché, ma si sentiva davvero così.

Leggera e un po’ malinconica…, sospirò senza accorgersene.

-Lois…-

-Sì?-

-Io e te siamo cugine, ma è come se fossimo sorelle, non è vero?-

Lois le sorrise, annuendo. Mostrava atteggiamenti più dolci, negli ultimi giorni, come se fosse…

-Lois, non è che tu… insomma…con Clark… non è che tu provi qualcosa per lui e ora…-

-Ma stai scherzando?-, scattò Lois spalancando gli occhi e riprendendo il suo piglio deciso, -Prima che mi innamori di Clark Kent è possibile che perda la testa per… ma che ne so… per un personaggio dei fumetti! Ecco! O per un alieno che vola!-

Chloe le sorrise, e un velo di tristezza offuscò i suoi occhi azzurri, senza un perché.

Nella stanza dietro al bar, in piedi con le mani appoggiate al tavolo di metallo, per sorreggersi, Lana si sforzava di non piangere: fissava le sue nocche, bianche per la stretta sulla superficie fredda e cercava di pensare ad altro. DOVEVA pensare ad altro.

Inspirò profondamente, come se l’aria potesse spazzare via dalla sua mente l’immagine di Clark e quella ragazza che ballavano.

Noi non lo abbiamo mai fatto… pensò e un groppo la prese alla gola.

Non doveva piangere. Quel pomeriggio Clark era stato chiaro con lei, così come lo era stato con la sua lettera. Mi rimarrà la sua amicizia, il suo affetto… chiuse per un attimo gli occhi, e una piccola lacrima scivolò sulla sua guancia, seguita da altre, in un pianto silenzioso.

Forse l’ultimo, per lui. Doveva andare avanti, Clark aveva ragione.

Sentì il suo cellulare vibrare, nella tasca del grembiule e lo afferrò, tra le lacrime. Era Jason.

Piegò la testa all’indietro e ricacciò un singhiozzo, deglutendo. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e rispose.

Clark e Lily uscirono dal Talon tenendosi per mano e camminarono lentamente fino al parco dove una volta li aveva accompagnati Chloe.

-Ti ricordi?-, chiese lui con voce dolce, guardandola.

-Sì… come potrei dimenticarmelo…-

-L’hai più fatto?-

-Cosa?-

-Hai più… volato?-

Gli sorrise e si strinse di più a lui, scuotendo la testa.

-E’ successo solo con te-, disse fermandosi vicino alle altalene che dondolavano malinconiche alla luce del lampione.

-Allora… dovremmo riprovare…-, disse Clark, e avvicinò il volto al suo, sfiorando con le labbra la sua bocca rossa.

E lentamente, mentre la luce della luna saliva offuscando quella della lampada alle loro spalle, stretti in un bacio che sapeva di lacrime e miele, Clark e Lily riuscirono a sollevarsi da terra, ancora una volta.

-Ma sei tu o sono io?-, chiese lui, con il respiro appena affannato, gli occhi lucidi e la voce più profonda del solito.

-Siamo noi, insieme…-, disse lei, senza conoscere la vera risposta. Poi abbassò lo sguardo e provò una rapida vertigine. Si aggrappò a lui e, insieme, tornarono delicatamente giù.

-Ti amo-, le disse Clark, e aveva gli occhi limpidi, sinceri.

-Anchio… ti amo… non immagini neanche quanto…-, rispose lei, e si strinse più forte a lui, affondando il volto nel suo petto e respirando il suo profumo.

Un soffio più forte di vento fece oscillare rumorosamente l’altalena.

Lily si allontanò appena. C’era una cosa che l’aveva colpita particolarmente nel comportamento di Clark, quella sera, ed era stata Lois a fargliela comprendere: Clark non si era vergognato di mostrarsi con lei, con “la sua ragazza” ed era stata una sensazione magnifica, che non aveva mai provato nella sua vita. Voleva che fosse sempre così: tutto alla luce del sole, voleva avere la conferma che davvero Clark l’amava, e finalmente l’aveva avuta. Ma ancora non glielo aveva chiesto seriamente…

-Clark… ti ricordi quello che ti chiese quel tuo amico, nelle grotte…?-, sentiva che stava arrossendo, perché cercava una conferma come una bambina che vuole sentirsi dire che, anche se c’è buio, le cose rimangono sempre al loro posto.

Clark le sorrise, dolcemente e le prese la mano.

-Se tu lo vuoi… io… credo di sì…-, era diventato tutto rosso. Lily lo guardò e non riuscì a trattenere una piccola risata.

-Scusa, Clark… che cos’era… quello che hai detto?-

-Coè… volevo dire se… cioè… volevo chiederti se tu…-, povero, povero Clark! Era imbarazzato più di quando era salito su quel palcoscenico. Lily lo abbracciò, mettendogli le braccia attorno al collo e tirandolo un po’ giù.

-Sì! Sì, Clark… certo che sì! E non voglio più vergognarmi di farlo sapere al mondo!-

-Neanche io…-, sentì l’imbarazzo che defluiva e la baciò ancora.

-Senti, Clark…-, gli disse Lily dopo un po’, con aria rilassata e furba, -Io… forse mi stavo divertendo, dentro al Talon… sei stato davvero eccezionale!-

Clark portò una mano tra i capelli, realizzando solo allora quello che aveva fatto.

-Ti andrebbe di tornare là, da Lois e Chloe? La serata non è ancora finita…-, gli sorrise ammiccando, come una bambina a cui non si può dire di no.

Clark piegò la testa, sorridendole complice e rassegnato, poi si avvicinò e le parlò all’orecchio: -Sai… anche io mi stavo divertendo!-

Tornarono velocemente al Talon e furono accolti dalle cugine, che li stavano cercando.

-Dove vi eravate imboscati, piccioncini?-, disse Lois, facendoli arrossire e ricevendo un’altra gomitata da Chloe.

-Vi siete persi la nostra performance canora! Siamo state davvero brave!-

-In realtà Lois ha pagato metà dei presenti per applaudirci, non datele retta!-, cercò di sminuire Chloe.

-A proposito, Smallville: congratulazioni! Te lo dicevo io che almeno in qualcosa eri buono!-

Clark le fece una mezza linguaccia, poi lui e Lily si sedettero al tavolo assieme alle due ragazze.

Le note magiche di una canzone degli U2 trascinarono tutta la sala a cantare assieme al malcapitato che, poveretto, stava per storpiare una splendida canzone.

-Perche’ non torni su, Smallville… o devo chiamarti “ugola d’oro”?-, Lois tirò una gomitata a Clark, che si strinse nelle spalle.

-Non ci penso nemmeno… una volta è più che sufficiente!-

-E dai! Dammi questa soddisfazione!-, Lois strattonò più forte Clark, che si sbilanciò sulla sua sedia.

-Falla contenta, Clark!-

-Anche tu, Chloe? Nooo! Non ci torno lassù!-, spostò un po’ la sua sedia, per non essere a portata di gomito di Lois, e si avvicinò a Lily, prendendole la mano, sotto al tavolo.

Lei lo guardò arricciando un po’ il naso: si vergognava di farlo sopra al tavolo?

-Dai, Clark… per favore, fallo per me… torna a cantare-, gli sussurrò in un orecchio, sperando che non le dicesse di no.

Clark la guardò come un condannato al patibolo, e allora Lily parò a voce alta: -Torna su, dai!-

Clark espirò appena, poi scostò la sedia e si alzò in piedi, guardando le tre come se lo avessero costretto a buttarsi da una torre.

-Clark! Clark! Clark!-, iniziò ad urlare Lois, battendo le mani, subito seguita da Chloe e da Lily.

Clark si avvicinò al palco, parlottò con il dj e si prestò a questa seconda tortura, per Lily.

Lois continuava a incitarlo, urlando il suo nome e battendo le mani.

-Le sarà tornata la mania di protagonismo, come al primo anno, quando voleva diventare rappresentante degli studenti!-, disse Chloe, perplessa e divertita dalla piega spensierata che avevano preso gli eventi.

-Davvero Clark voleva fare una cosa del genere?-, chiesero Lois e Lily, sempre più stupite.

-Già… dovrei avere ancora qualche spilletta in soffitta: “L’uomo del domani”, si faceva chiamare… che cosa ridicola!-, disse Chloe ripensando all’avventura di tanto tempo prima.

Intanto Clark stava per attaccare il suo pezzo, tra gli applausi dei pochi presenti rimasti, una canzone allegra e difficile. SI sentiva felice, in quel momento, sprizzante di energia e allegria…

Do I attract you?
Do I repulse you with my queasy smile?
Am I too dirty?
Am I too flirty?
Do I like what you like?

I could be wholesome
I could be loathsome
I guess I'm a little bit shy
Why don't you like me?
Why don't you like me without making me try?

I try to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Why don't you walk out the door!

How can I help it
How can I help it
How can I help what you think?
Hello my baby
Hello my baby
Putting my life on the brink
Why don't you like me
Why don't you like me
Why don't you like yourself?
Should I bend over?
Should I look older just to be put on your shelf?

I try to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!

Clark allontanò per un istante il microfono dalle sue labbra e cercò Lily, tra la folla che seguiva la sua canzone, battendo le mani e incitandolo, la guardò e strizzò l’occhio, verso di lei, a lei, indicandola appena con il microfono, mentre la musica proseguiva e le sorrise piegando le sue labbra in modo provocante, guardandola con occhi ardenti.

Lily lo vide e sorrise, sentendo il cuore balzarle il petto e il sangue affluire alle sue guance, facendola arrossire.

Clark si voltò, muovendo la testa e agitando i capelli… era così bello… Lily dovette fare violenza su se stessa per non salire sul piccolo palco allestito al centro della sala e baciarlo, lì, davanti a tutti.

E non fu la sola…


Say what you want to satisfy yourself
But you only want what everybody else says you should want

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door![iv](4)

Mentre Clark proseguiva la sua canzone, con una voce così sexy da coinvolgere molte delle ragazze presenti in sala, Lily si alzò dalla sua sedia, trascinando con sé anche Lois e Chloe e insieme iniziarono a ballare e battere le mani, seguite presto dalle altre ragazze. Fu un bellissimo momento al Talon, uno di quei momenti che ogni gestore vorrebbe si ripetessero almeno una volta a settimana.

Lana, invece, continuò a preparare caffè, dietro al bancone. Jason stava per arrivare. Avrebbe ballato con lui. Lanciò un’occhiata dolce e amara a Clark, che pareva più solare del solito, e vuotò il filtro della caffettiera dentro al sacco dei rifiuti, mentre tutti applaudivano la fine dell’esibizione del suo caro, vecchio fidanzato di un tempo passato.

Si versò una tazza di caffè, e la alzò, rivolta verso Clark: -Alla vostra salute!-, disse piano, senza che nessuno si accorgesse di lei e decise che avrebbe sorriso e voltato pagina.

Lois, Chloe, Clark e Lily lasciarono il locale molto tardi, andandosene su tre auto diverse.

Lois proseguì dritta per la fattoria, Clark accompagnò Lily a casa e Chloe, che partì per ultima, aspettò che gli altri se ne fossero andati, spense il motore e rientrò nel Talon.

Voleva parlare con Lana. Era una sua amica e non voleva che stesse male. Aveva visto che Jason, arrivato poco prima, l’aveva salutata ed era subito andato via, e sapeva che era di nuovo sola.

Clark, invece, fermò l’auto come al solito davanti al giardino di Lily e le aprì lo sportello con fare cavalleresco perché scendesse dal suo pick-up.

-E’ vero che stavi male, oggi pomeriggio…? Me lo ha detto Lois…-

-Lois ha la lingua lunga, ma mi sa che stavolta devo ringraziare solo lei, se ho trovato il coraggio di fare quello che ho fatto…-

-Lasciamo perdere il passato… e pensiamo solo al domani-, gli diede un bacio sul petto, attraverso i vestiti, e si allontanò sorridendo.

-Lily…-, la fermò lui, -Lily, lo sai che ti amo… Non scappare più da me, ti prego…-

Lily sospirò.

-No, Clark. Rimarrò per sempre accanto a te…-

Si baciarono ancora e fu difficile darsi la buonanotte. Poi Lily chiuse la porta e la luce si accese dentro casa.

Clark risalì sull’auto e fece inversione per tornare sulla sua strada.

***

-E’ lei, la ragazza, signor Luthor… sembra una ragazza come le altre, ma Greedy dice che ha dei poteri fuori dal normale… il fatto che sia in stretti rapporti con Clark Kent non fa che confermare le parole di Greedy-

-Faccia silenzio, Jamison. Le ho già detto che Clark Kent è un ragazzo normalissimo. Ora deve solo concentrarsi su di lei. Ho bisogno di avere delle prove lampanti delle sue potenzialità-

-Certo signor Luthor. E con Clark Kent come dobbiamo comportarci?-

-Lasciatelo in pace. Ah… e controllate che mio padre non metta le sue mani sulla Leibniz prima di noi, siamo d’accordo?-

-Certo Lex… ma… non è proprio la limousine di suo padre, quella che sta partendo laggiù? Pare che stia… sta andando dietro all’auto di Kent!-

-Maledizione!-

-Deve aver sentito la nostra telefonata, Lex… gliel’avevo detto che non era prudente…-

-Silenzio!-

-Autista, segua quell’auto a fari spenti! Maledizione…-

***



[i] (1) Si direbbe Vasco… in realtà pensavo più ad Elisa e alla sua splendida canzone “una poesia anche per te”… insomma, lo spirito è quello, ma alla fine il titolo è uscito così! :-P

[ii] (2) … ih ih ih!

[iii] (3) … chiaramente… grazie Giacomino (Leopardi)!

[iv] (4) La canzone Grace Kelly, di Mika, è stata scritta solo due o tre anni dopo il momento in cui si svolgono i fatti narrati, ma dalla prima volta che l’ho sentita, mi sono sempre immaginata “il nostro Clark”, cantarla, forse perché la voce mi ricorda un po’ quella del doppiatore italiano, forse perché semplicemente sono suonata io… dovevo PER FORZA trovare un momento in cui Clark rendeva note le sue virtù canore e, spensieratamente, la cantava per le sue amiche.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Cassandra e la Chimera ***


Capitolo 16 – Cassandra e la Chimera

Anche se teneva i fari spenti, Clark notò subito l’auto che lo seguiva fin da quando aveva svoltato l’angolo della strada dove abitava Lily. Accelerò e lasciò un paio di curve di distanza tra lui e la vettura scura di cui ancora non era riuscito a capire il modello. Poi uscì rapidamente e si mise in mezzo di strada, agitando le braccia affinché chi lo seguiva lo vedesse e si fermasse.

Era una Limousine nera, riconobbe subito a chi apparteneva.

Si avvicinò al finestrino che si stava abbassando.

-Signor Luthor… perché mi sta seguendo?-

Lionel lo guardò con aria grave. -Sali su, Clark-

Proseguirono in silenzio fino ad uno spiazzo dove l’autista spense il motore.

Lionel oscurò il divisorio tra loro e la cabina di guida e offrì a Clark un bicchiere, che lui rifiutò.

Cosa diavolo poteva volere a quel modo Lionel Luthor da lui?

A Clark tornò solo allora in mente il fatto che era accaduto poco dopo che Lily era arrivata a Smallville, quando quell’uomo era stato visto davanti a casa sua a parlare con lei; per un attimo provò l’istinto di prenderlo per il bavero e di attaccarlo ad un muro facendo in modo che capisse bene quello che voleva dirgli: di uscire una volta per tutte dalla sua vita e da quella delle persone che gli stavano vicino.

-Che cosa ci faceva quella volta davanti alla casa della mia amica… e ora perché era lì? Cosa vuole da lei… e da me?-

-Ora calmati e ascoltami-, rispose Lionel senza battere ciglio, rifletté un attimo e soppesò le parole giuste da dire a Clark in quel momento.

-La tua amica Lilyanne non è al sicuro, Clark, e neanche tu lo sei. Purtroppo temo che l’interesse ben presto possa scavalcare l’amicizia, se di amicizia si può parlare…-

-Non capisco… cosa sta cercando di dirmi?-, Clark era confuso, non voleva cadere nell’ennesima rete tesa da quell’uomo: troppe volte in passato si era mostrato in veste d’agnello e poi si era rivelato un lupo famelico. Era vero: negli ultimi tempi, dopo quello che era successo nel carcere, lo scambio delle loro identità, Lionel pareva essere cambiato, ma Clark non voleva fidarsi di lui, non in quel momento e con quei presupposti spionistici.

-Ci ho messo molto tempo per cercare di fare chiarezza nei fatti occorsi negli ultimi mesi… la mia guarigione, la presenza di alcune persone che non mi piace siano arrivate a Smallville… ma quello che ti posso garantire è che qualunque storia poco chiara, mi porta sempre alla stessa conclusione, e cioè che, come che vadano le cose, tu e quella ragazza siete in pericolo-

Clark indietreggiò appena sul divanetto:- Sta solo cercando di spaventarmi, ma non riuscirà nel suo scopo, signor Luthor…-

-Non ho alcuno scopo, figliolo…-

-Non mi chiami “figliolo”, per favore…-

Un’occhiataccia e riprese: - Non ho alcuno scopo se non quello di far sì che tu possa metterti al sicuro da…-

-Da?... Chi?-

-Lex-

Clark portò la testa all’indietro, con una risata sarcastica.

-Ma certo! Ancora una volta mi tirate in ballo nella vostra sfida! Non riuscirà a mettermi contro Lex, mi dispiace. Lo conosco e so che lui non…-

-No, Clark. Tu non conosci affatto mio figlio. Non farti trarre in inganno dall’atto magnanimo che ha avuto riscattando la vostra fattoria, o dando protezione alla tua amica Chloe. Tu non sai di cosa è capace…-

-E lei invece lo conosce così bene? Se non sbaglio è stato proprio Lex che è riuscito a farla finire al fresco! Come dite sempre voi Luthor… conosci il tuo nemico per anticipare le sue mosse… non mi pare che lei sia stato così svelto da anticiparlo!-

-So come agisce Lex: sono io il suo modello, io sono stato la sua scuola di vita e so che fino a che non avrà ottenuto ciò che vuole non sposterà il suo mirino da voi due-

-E perché Lex dovrebbe avercela con me e Lilyanne…? Sentiamo!-

Lionel prese un altro sorso e fece schioccare la lingua, come per gustare appieno il gusto del suo drink, poi si accomodò meglio sul divanetto in pelle nera, girandosi maggiormente verso Clark.

-Come ti ho accennato, sono diversi i motivi che vi mettono al centro delle mire di Lex, e non solo delle sue, ma questo è un altro discorso… Per prima cosa Lex ha ripreso da tempo gli esperimenti del “livello 3”. Ora lo chiama “livello 3.31” e non cerca più di potenziare con i meteoriti le pannocchie e gli altri semi per farli crescere più forti, ma è passato alla sperimentazione umana. In secondo luogo Lex è convinto che se entrerà in possesso di tre antichi manufatti, la cui fama gli è arrivata sotto forma di leggenda, ma alla quale lui ha ciecamente creduto, avrà nelle sue mani un potere pressoché infinito, e terzo, quando ciò avverrà -ma temo che inizierà a muoversi anche prima su questa strada- Lex potrà porre le domande giuste alle persone sbagliate e vincere, come ho già fatto io, e tu lo sai bene, la reticenza di Virgil Swann nel dirgli tutto quello che sa sulle grotte di Cowichan e dei graffiti in essa nascoste-

Fece una pausa, guardando Clark dritto negli occhi.

-Ora, rispondi a questa semplice domanda: quanto credi che ci metterà, Lex, a capire che la tessera mancante di questo mosaico, che non si rende neanche conto di stare costruendo, sei tu, Clark? Tu e la tua nuova amica…-

Clark deglutì: come faceva Lionel Luthor a conoscere tutte quelle cose su di lui, ad aver collegato i puntini che formavano un disegno ben preciso, e quel disegno era il suo ritratto? Quando era giunto a conoscenza del legame che c’era tra lui, le pietre e le grotte? E soprattutto: cos’altro sapeva sul suo conto? E come mai conosceva Lilyanne? Chi gli aveva parlato di lei, come li aveva collegati? Sapeva forse dei loro poteri, li aveva visti? E il Dottor Swann, cosa gli aveva rivelato?

Cercò di aggrapparsi a qualcosa che confutasse queste sue teorie. Le sue mani, strette a pugno, erano madide di sudore freddo, lo stesso che sentiva scivolare lentamente giù per la schiena.

-Cosa avremmo a che fare, io e Lily, con gli esperimenti del “livello 3.31”? Non vede che le sue teorie sono infondate?-

Lionel sorseggiò il suo scotch, guardandolo e sorridendogli, come fa un professore sadico vedendo che l’esaminando non arriva capire la soluzione del problema.

-Non ti sei mai domandato che fine abbiano fatto tutti quei… soggetti che erano stati esposti ai frammenti di meteorite e che avevano sviluppato particolarità così bizzarre? Eppure, bene o male, ti sei sempre trovato coinvolto in ognuna di quelle brutte faccende… Robert Greedy, per esempio, credi che sia ancora al Belle Reve?-

Lionel stava iniziando ad esagerare…

-Certo che è al Belle Reve! Lui è stato…-

-No, Clark! Greedy è stato trasferito dieci giorni fa in una delle basi segrete di Lex, da qualche parte qua nel Kansas. Ti facevo più sveglio…-

Clark avvertì una spiacevolissima sensazione: non c’era una cosa sola tra quelle che aveva dette Luthor che non lo mettesse in guardia.

-Cioè… mi sta dicendo che Lex sta compiendo esperimenti su Greedy? E su tutti gli altri che sono stati alterati dalla kr… dalle meteoriti?-

Vide Lionel stringere gli occhi a fessura, per un istante, mentre gli parlava.

-Io credo che Lex abbia puntato le sue attenzioni anche sulla tua amichetta, Clark: ne sai nulla? Cosa può aver interessato così tanto mio figlio in lei?-

-E lei che cosa voleva da lei? Eh, signor Luthor? Perché non la lascia in pace?-

Lionel posò il bicchiere sul tavolino di radica e si voltò ancora verso di lui: la sua espressione tradiva una preoccupazione eccessiva, per una persona che voleva soltanto incastrare gli altri, suo figli per primo.

-La mia fama mi precede, Clark, e la fama di un ricco uomo d’affari pronto ad usare mezzucci e ricatti per ottenere la verità è difficile da scrollarsi di dosso. Quando ho parlato con Lilyanne ho pensato di non deludere le sue aspettative e di mostrarmi proprio così, come immagino il suo tutore mi avesse descritto nelle sue raccomandazioni: non conoscevo quella ragazza e credevo che intimidirla fosse la via più rapida per ottenere le risposte che cercavo e convincerla a comportarsi in una certa maniera, per il suo bene, si intende. Purtroppo la Leibniz non si è comportata come speravo e allora ho dovuto cercare di essere ancora più convincente con lei, sempre cercando di capire quale fosse la sua… indole. In breve, Clark, da quando ho saputo di Lilyanne ho subito voluto conoscerla. Quando poi il quadro su di lei mi è apparso più chiaro, non ho potuto fare a meno di indagare più a fondo ed è così che sono venuto a sapere che anche Lex stava raccogliendo informazioni su di lei, e questo poteva significare solo guai… E’ per questo che le ho parlato più volte… ma poi sei entrato in scena tu, con tutti i tuoi misteri, e questo non ha fatto altro che convincermi di quanto sia “speciale” quella ragazza e di quanto possa esserne interessato Lex…-

Clark scosse rapidamente la testa.

-Ha parlato per minuti e non mi ha detto una sola ragione valida per giustificare il suo atteggiamento nei confronti di Lilyanne! Io non mi fido di lei, non mi fiderò mai di una persona che ha cercato di ammazzare una ragazza come Chloe Sullivan e di avvelenare il proprio figlio! Non ho più niente da dirle, signor Luthor…-, disse cercando di non urlare ed uscì dall’auto.

La notte silenziosa odorava dell’umido delle campagne che risaliva in volute dense e cariche di vapore, conferendo alla strada un’aria sinistra.

Alta nel cielo, la luna illuminava di una fredda luce biancastra i rami degli alberi vicino alla limousine. Clark inspirò profondamente, come per ripulire il suo cervello dalle parole venefiche di Lionel Luthor, poi si voltò, e tornò lentamente verso il suo pick-up.

Ancora una volta, quell’uomo aveva passato il segno, ma aveva dichiarato apertamente di essere lui, quello da cui guardarsi le spalle, lui e i suoi discorsi ingarbugliati e subdoli. Se solo si fosse provato ad avvicinarsi ancora a Lily…

Salì in auto e mise in moto e lungo la strada di casa, ripensò a quello che gli aveva detto Lionel.

Le pietre, le grotte, lui e Lily: sì, era vero, erano tutti collegati tra loro e se quegli ingredienti si fossero uniti, la miscela che ne sarebbe potuta venire fuori, e che avrebbe visto lui e Lily protagonisti del passato e del futuro della storia dell’intero pianeta, avrebbe potuto essere così esplosiva da non essere capace di sostenerla. Non da solo, almeno.

Ma Lionel era sempre stato alla ricerca della verità su di lui: si guardava le spalle da quando sua madre aveva ritrovato i files che riportavano il suo nome nella cassaforte di Lionel. Insinuare quelle cose che aveva detto, mettere in mezzo Lex e Lily non poteva essere che un altro dei suoi piani per convincere Clark a confidarsi con lui e rivelargli il suo segreto, trovandosi inerme tra i suoi artigli affilati da anni di estorsioni e sotterfugi.

Clark era accecato dal rancore verso quell’uomo: aveva fatto paura a Lily solo per ottenere informazioni su di lui. Aveva ragione Lex: la redenzione di suo padre era più falsa di una stampa della Gioconda venduta a Montmartre, era solo l’ennesima prova di recitazione di quel farabutto che aveva mandato a morte i suoi stessi genitori e aveva sottoposto il suo stesso figlio ad un elettroshock, perché dimenticasse la sporca verità su di lui.

Mentre entrava con l’auto nella proprietà della fattoria promise a se stesso che avrebbe protetto Lilyanne da Lionel Luthor e che si sarebbe guardato dal prestare attenzione una volta ancora alle sue nenie da incantatore di serpenti.

Entrò in casa lasciandosi cadere sul divano: voleva solo ripensare alla serata passata con Lily, la sua Lily… ora che avevano chiarito non voleva più separarsi da lei: avrebbero capito insieme se loro due erano davvero uguali e, insieme, avrebbero deciso come vivere il loro futuro.

E che Lionel Luthor bollisse nel suo brodo di menzogne e falsità! Non sarebbe più stato la pedina da muovere nella partita tra lui e Lex.

Prima di tramontare dietro le colline, l’ultimo raggio di luna lo illuminò beffardo, osservandolo mentre il sonno se lo portava via: se avesse potuto parlare, lo avrebbe messo in guardia da giudizi errati. L’unica cosa che fece, invece, fu incorniciare d’argento il suo volto disteso, già rapito da un dolce sogno dove Lilyanne era la sua principessa e lui il valoroso principe dall’armatura splendente e il mantello rosso, svolazzante nel vento.

***

Lex aveva seguito a debita distanza l’auto nera di suo padre e, da lontano, non visto, aveva assistito al dialogo tra Lionel e Clark: dalla faccia che aveva quest’ultimo uscendo dalla limousine, aveva dedotto che, qualsiasi cosa gli fosse stata detta, non era stata creduta.

Ci avrebbe pensato lui, da amico, ad ottenere quello che voleva…

Le sue labbra si erano increspate in un ghigno malefico, aveva fatto un cenno all’autista e, ripartendo, aveva alzato nuovamente il finestrino, per comporre ancora il numero del dottor Jamison: era ora di raccogliere informazioni più dettagliate su Lilyanne Leibniz e sulla sua origine e di preparare i test adeguati a quelle che erano le sue capacità, se realmente ne aveva.

Una cosa soltanto lo rendeva scettico sulla storia raccontata da Greedy: era evidente che quella ragazza e Clark stavano insieme, come era possibile che un babbeo come Clark Kent, che si era lasciato sfuggire una donna come Lana Lang, si fosse messo insieme a quella che poteva essere la ragazza più speciale sulla terra?

Lui non se la sarebbe fatta scappare tanto facilmente…

Alzando le sopracciglia, avviò la chiamata e attese il tono di libero.

***

Fare tardi la sera prima di una giornata di scuola impegnativa come il martedì, era una sciocchezza della quale, la mattina successiva, Clark, Chloe e Lily si pentirono.

La sveglia era stata dura per tutti e tre e tornare alla realtà dopo una nottata fatta di sogni più o meno piacevoli non era stata una cosa rapida.

Dal canto suo Lois, nel suo primo giorno ufficiale da disoccupata, era rimasta a dormire, noncurante dei rumori soffocati che Clark aveva fatto entrando in camera per prendere i vestiti che si era dimenticato la sera prima.

Clark l’aveva guardata distesa nel suo profondo stato catatonico e aveva per un attimo sognato una vita diversa, se anche i suoi genitori avessero avuto un sonno pesante come quello di Lois.

Aveva deciso di non correre per andare a scuola e si era affrettato per non perdere il pulmino: era meglio evitare per un po’ ogni manifestazione pubblica dei suoi poteri, non voleva che Lionel Luthor lo avesse fatto seguire, dopo il loro incontro della sera prima.

Arrivò a scuola puntuale e seguì le lezioni contando i minuti che mancavano al termine della giornata. Quando furono finite, salutò velocemente Chloe e Pete, passando a prendere il suo lavoro dal Torch. Pete cercò di bloccarlo per chiedere lumi sulla performance canora della sera prima, che si era clamorosamente perso, ma Clark non vedeva l’ora di liberarsi per parlare con Lily, così delegò i racconti a Chloe, che lo guardò contrariata e anche un po’ mortificata per la rapida sparizione.

Aveva bisogno di parlargli di Lana, di quello che si erano dette la sera prima, quando era tornata dentro al Talon per vedere come stava, ma non era certa che quello fosse il momento migliore della sua vita per guardarsi ancora alle spalle, quando per la prima volta aveva trovato un motivo ottimo per andare avanti e dimenticare tutto quello che aveva sofferto nel passato. Sospirò e si disse che, forse, anche per lei era giunta l’ora di guardare avanti.

Si voltò verso Pete e, prendendolo sotto braccio come fanno due persone anziane, si fece accompagnare al parcheggio.

Lily aspettava Clark al cancello della scuola, come avevano deciso la sera prima, ingioiellata da un tenero sorriso, appena imbarazzato.

-Finalmente… pensavo che ti fossi addormentato in aula!-

-La tentazione c’è stata, ma non volevo rimanere chiuso dentro la scuola e mancare l’appuntamento con te-

-Avresti sempre potuto fondere le serrature con il tuo sguardo per uscire e poi sigillare nuovamente tutto…-, gli disse piano, ammiccando complice ed elettrizzata.

-… oppure avresti potuto farlo te, guardando con la vista a raggi X nell’edificio e trovandomi come il “bello addormentato” accanto al tuo amico scheletro!-

Lily provò un brivido alle sue parole: doveva chiarire al più presto alcune cose con Clark. Lo prese per un polso e lo trascinò lontano dall’ingresso del liceo. Clark vide il suo sguardo farsi agitato e la seguì senza fiatare, aspettando che fosse lei a parlare.

-Clark, c’è qualcosa che devi sapere…-

Decisero di andare a parlare da qualche parte più tranquilla e, quando furono un po’ lontani dagli altri studenti, si presero per mano, arrossendo appena entrambi e ridacchiando come due fidanzatini di dodici anni. Era così facile dimenticare i problemi e i dubbi, quando erano così vicini…

Passeggiarono mano nella mano per diversi minuti, sentendo solo il vento leggero scompigliare i loro capelli e il sole di maggio riscaldare i loro volti.

Si fermarono vicino ad un laghetto, nel parco che divideva Smallville dalle campagne limitrofe, dove c’era anche la fattoria di Clark. Tra le ninfee ancora in boccio videro guizzare una piccola carpa dorata. Lily sorrise.

-Cos’è che devo sapere…?-, le domandò Clark e la vide abbassare lo sguardo, turbata, cercando le parole più adatte-

-Non sono stata sincera con te, Clark…-

La guardò perplesso: -… che vuoi dire?-

-Ecco, io… non è vero che riesco a vedere attraverso gli oggetti…-

-Ah…-, non era deluso, ma questa rivelazione lo aveva lasciato un po’ spiazzato.

-Questo fa di me qualcosa che non è più come tu vorresti?-, gli chiese con un filo di voce, abbassando lo sguardo, sentendo una sottile vampata di angoscia salire come una marea invisibile e aggredirla alle gambe, rendendole molli come il burro.

-Ma cosa dici?-, le rispose Clark avvicinandosi a lei e prendendo il suo viso tra le mani, perché lo sollevasse e lo guardasse negli occhi, -Ehi, Lilyanne…! Dai…!-

-E’ che… Clark, una volta per tutte vorrei fare chiarezza in quello che io so di te e tu sai di me… insomma… vorrei che scoprissimo le nostre carte, onestamente e capissimo insieme tutto… anche quella cosa che ci è successa ieri sera…-, un timido sorriso, a quel dolce ricordo, si fece strada sulle sue labbra come un filo d’erba tra la neve.

Clark portò rapidamente un occhio all’orologio e si guardò intorno, come per fiutare l’aria. Poi la prese per mano.

-Andiamo, ti porto in un posto dove potremo… dare spettacolo!-, le disse tirandola a sé e dandole un bacetto sulla punta del naso.

Aveva usato la medicina giusta per far tornare il sorriso sulle sue labbra.

-Dopo il tuo show di ieri ci hai preso gusto?-, Lily si alzò sulle punte dei piedi e ricambiò il suo bacio, -Dove andiamo?-

-Abbiamo un rifugio anti-tempesta, vicino a casa. In realtà è… saltato in aria qualche anno fa, ma mio padre ha ricostruito il soffitto e quindi… insomma, lì non ci vanno più i miei ed è sicuramente più tranquillo del fienile-

-E’ saltato in aria? Accidenti… e… se andassimo a casa mia?-, propose Lily.

Le parole di Lionel tornarono alla mente di Clark di botto, mettendolo in guardia da qualcosa in cui lui si rifiutava di credere.

-Meglio di no… seguimi-, le disse cercando di nascondere il disagio, perché non era il momento di preoccuparla senza avere la sicurezza che le informazioni che aveva fossero vere.

Passeggiarono vicini, lasciando la strada, attraversando i campi. Dalla prima volta che si erano trovati in una circostanza simile era passato tanto tempo: le pannocchie di mais si erano ingrossate e le spighe arrivavano quasi oltre la testa di Lily, che si sentiva isolata da Clark che, in alto, la guardava e ridacchiava, facendola indispettire.

-Bello il mondo dall’alto, eh? Ridi, ridi! E pensare che ieri sera stavamo volando…-, disse lei sbuffando, poco prima di inciampare in una buca nel terreno.

Si sbilanciò e, cercando di non cadere, fece qualche passo in avanti, lasciando la mano di Clark per pararsi il volto con le braccia, perché le spighe non le sbattessero in faccia.

Si guardò intono e non lo vide più.

-Clark…?-, non ebbe risposta.

-Clark? Dove sei? Non ti vedo!-, ancora niente.

-Clark! Smettila di fare lo stupido e vieni fuori!-, le spighe, ora, la sovrastavano di almeno venti centimetri.

Se solo avesse potuto vedere attraverso di esse…

Clark, che invece lo stava facendo, la osservava sorridendo: era bella quando aveva quell’espressione da bambina. Un attimo ancora e poi si sarebbe fatto vedere.

Lily strinse i denti, arrabbiata: era stata brava nel salto in alto, anni prima, e allora avrebbe saltato oltre le spighe per trovare la testa nera di Clark e concludere quel giochetto che la stava innervosendo.

Si concentrò come faceva un tempo per balzare, prese aria, sentì ogni muscolo del suo corpo prepararsi e si dette la spinta: per un attimo le parve che la terra sotto di lei la aiutasse e si plasmasse per spingerla più su… chiuse gli occhi e percepì l’istante in cui si staccava dal suolo.

Quando li riaprì, un attimo dopo, vide Clark che, con la bocca aperta, incredulo, la guardava dal basso, lontanissimo, quasi un puntino in mezzo al verde del campo: era altissima, sospesa nell’azzurro cielo del Kansas!

Si spaventò e -come la sera prima- perse l’equilibrio da quella base immaginaria che sentiva sotto ai piedi e cadde giù, sentendo il vento inghiottirla, mentre precipitava a grande velocità.

Clark scattò nella sua direzione, per prenderla al volo prima che cadesse facendosi male.

Lily lo vide sotto di sé, con le braccia tese per afferrarla ed ebbe paura di schiacciarlo: riprese il controllo del suo corpo, di ogni sua cellula e pensò intensamente che non sarebbe caduta, che avrebbe evitato l’impatto che… si fermò a pochi centimetri da lui, fluttuando nell’aria fresca, mentre il vento le scompigliava i capelli e faceva gonfiare le sua gonna come una vela.

Rimasero in silenzio, per un tempo lunghissimo, oppure breve come il battito del cuore, poi il volto di Lily si illuminò in un sorriso incredulo e pieno di felicità: ce l’aveva fatta! Stava volando! Ed era lei, solo lei a farlo… era lei quella capace di volare.

Allungò appena una mano, voleva muoversi, capire se quello che stava vivendo era vero. Era come pervasa da una leggera carica elettrostatica che le faceva solleticare la pelle, come se fosse stata una bollicina in una bottiglia di acqua gassata. Si mosse verso est, prima piano, poi acquistando velocità. Si sentiva come un uccello, come una fatina dei suoi libri di bambina: era come nuotare nel mare, immergendosi e tornando su, ma non c’era acqua a bagnarle il viso, solo una leggera brezza che la sfiorava delicatamente.

Clark la guardava senza riuscire a credere che quello che stava vedendo fosse vero. Allungò una mano verso di lei, per raggiungerla, ma i suoi piedi rimasero ben saldi al terreno. Provò una momentanea fitta di dolore dentro di sé: era sempre stato il suo sogno, volare, e sapeva che non sarebbe mai stato in grado di farlo. Poi le sorrise, felice per lei, che sembrava di nuovo una bambina che gioca nel mare e ride, ride…

Lily tornò verso di lui, lasciandosi afferrare in un abbraccio: Clark la tenne stretta a sé, sentendo il suo cuore che batteva all’impazzata per l’eccitazione. Voleva trattenerla con sé, dirle che non scappasse più da lui, oppure che lo portasse con sé, ma lasciò che fosse lei a parlare.

-E’ magnifico…-, disse lei in un sussurrò, con le guance rosse dall’emozione, stringendosi al suo collo.

Clark la baciò e la scostò appena da sé: - Io questo non lo so fare… questo mi rende qualcosa che non è più come tu vorresti?-, le disse, serio, perché capisse.

Lily lo abbracciò stretto e -con i piedi saldi a terra-, guardandolo nuovamente dal basso verso l’alto, gli sorrise dolcemente.

-Tu sei tutto quello che voglio…-, gli disse, -ce la farai anche tu, ne sono sicura… dai, ora andiamo al tuo rifugio!-

Un paio di volte, quando evitando le spighe le loro mani si staccavano, Clark attraverso le spighe vedeva Lily che, pensando che lui non la vedesse, si sollevava appena da terra, e si spostava per qualche metro volando, testando questa sua nuova, sorprendente capacità, che aveva capito essere il punto debole di Clark.

-Ricordi ieri, quando eravamo nel parco?-, gli domandò poco prima che arrivassero alla meta, -eravamo sospesi in aria e io ho perso l’equilibrio… Sei stato tu a sostenermi… quindi… ce la puoi fare anche tu, Clark!-

Aveva ragione… questo allontanò quella sottile malinconia che lo aveva rattristato durante il loro tragitto e predispose il suo animo ad un pomeriggio di lezioni da dare e da imparare.

-Dunque… vediamo… tu hai detto di poter correre più veloce di un treno, puoi vedere attraverso gli oggetti, hai la vista calorifica e una superforza… cos’altro?-, le chiese Lily, accomodandosi su una cassa di legno abbandonata nel rifugio dove un tempo era nascosta la navicella con cui Clark era arrivato sulla terra.

Clark alzò le spalle, alzando gli occhi come per ricordare.

-Beh, posso… sentire a grandi distanze…-

-Cosa intendi? Che hai un superudito?-, chiese Lily, perplessa.

-Sì… se voglio, posso ascoltare cose che vengono dette molto lontane oppure…-

-Ma allora sei uno spione!-, le disse lei, arruffandogli i capelli, prendendolo in giro.

Clark cercò di difendersi dalle sue accuse e dalle sue mani che, veloci, avevano iniziato a fargli il solletico, facendolo cadere disteso per terra, sotto il suo peso.

Lily si fermò e lo guardò arrossendo, sentendo che lui la cingeva con un braccio tirandola a sé e baciandola appassionatamente, come non pensava che avrebbe potuto fare: solo quando era stato sotto l’effetto delle krypronite rossa -ne aveva un ricordo confuso-, sapeva di essere stato così ardente. Lily cercò di allontanarlo puntando le mani sul suo petto e ridendo appena.

-Non distraiamoci, Clark!- gli disse con le labbra rosse e il volto accaldato.

Clark si tirò su, passandosi una mano tra i capelli, per sistemarli. Lily soffiò impercettibilmente nella sua direzione e il suo gesto fu vanificato.

-Dai…-

Lo guardò ancora. –No, non hai capito…-

Si allontanò fino all’altra parte del rifugio e, di nuovo, soffiò appena: dietro a Clark si sollevò una nuvola di polvere e ragnatele, mentre i suoi capelli venivano ancora scompigliati come se fosse stato nel turbine di una tempesta.

-Ma che…?-

-Tu lo sai fare?-, gli domandò Lily: ogni volta che svelava qualcosa di lei lo faceva diventando timida, preoccupata che potesse essere qualcosa che lo spaventasse.

Clark provò a soffiare, concentrandosi, ma non successe nulla di strano. Scosse la testa.

-Uhm… uno ad uno… siamo pari, per ora-, le disse, cercando di metterla sul ridere.

-Ma come è successo… voglio dire… quando te ne sei accorta?-

-Mi venne un raffreddore, una volta, qualche tempo fa. Non ero mai stata male prima di allora, non avevo mai usato un fazzoletto per soffiarmi il naso o preso medicine. Credo di aver avuto anche la febbre…-

-Davvero?-, chiese Clark, incredulo, senza che il minimo dubbio sul fatto che avrebbero anche potuto essere diversi, lui e Lily, lo sfiorasse.

-Già… è una cosa bruttissima… ti cola tutto il naso e poi… era come avere una spugna nella testa… una sensazione bruttissima. Ma sono sopravvissuta…-

Si guardarono un istante riflettendo su quello che stavano dicendo e scoppiarono a ridere per l’assurdità della loro situazione: Clark era felice di aver trovato qualcuno che potesse davvero capirlo fino in fondo, che provasse le sue stesse sensazioni e avesse le sue stesse, ridicole, paure. Quelle di essere come un essere umano: vulnerabile. Eppure sognava di essere solo uno come gli altri da sempre… fino a che non era arrivata nella sua vita Lily. Con lei ogni cosa acquistava un altro sapore…

Quando si furono calmati, Lily si passò un dito sotto un occhio, per togliere la piccola lacrima che si era formata per il troppo ridere.

-Ad un certo punto ho starnutito, per la prima volta in vita mia… ed è stato come se l’uragano Lilyanne fosse passato in camera mia! Tutto, Clark, tutto quello che c’era negli armadi, sulla scrivania, il letto, tutto era volato via, ed era ricaduto in ordine sparso sul pavimento… per fortuna avevo la finestra alle spalle, altrimenti sarebbe volato tutto fuori di casa! Ci ho messo due giorni a risistemare le mie cose! Dopodiché ho capito come mai si insegna ai bambini a mettere la mano davanti alla bocca, quando starnutiscono…-

Risero ancora: no, Clark non aveva mai starnutito e godeva di ottima salute! Poi le raccontò di come si era accorto di possedere il super udito e Lily disse che avrebbe tanto voluto averlo avuto anche lei, per sentire quello che gli altri dicevano di lei.

-… che sei bellissima-

-Macché! Piuttosto che sono una racchia, come diceva Robert Greedy…-

Un attimo di imbarazzo calò tra loro: se quello che Lionel aveva detto a Clark era vero, Greedy sapeva troppe cose su di loro e le stava raccontando a Lex…

-Dai, Clark… dimmi che stanno dicendo Chloe e Lois in questo momento: so che sono insieme a cena al ristorante messicano, quello dopo il Talon-

-Ma non posso ascoltare le conversazioni degli altri, Lily!-, fu lui ad arruffarle i capelli, quella volta e le spostò la frangia dietro alle orecchie, perché non le coprisse il viso.

-Ok… e poi?-

-Ancora? Non sono mica un personaggio dei cartoni animati, Lily! Piuttosto lo sei tu…-, le disse ridendo,e lei, di risposta, si sollevò da terra e volò fino a portarsi orizzontalmente con il viso alla sua altezza.

-Scendi giù, Trilly!-

-Trilly? E tu allora chi saresti? … Wendy?-, volò attorno a lui ridendo, poi lo prese per mano e provò a vedere se potevano rimanere entrambi sollevati.

-Ehi… funziona!-, Clark era emozionato, come la sera prima. Lily lo abbracciò e insieme si spostò fuori dal rifugio, mentre fuori il cielo iniziava ad imbrunire, salendo in alto, sempre più su, baciandolo.

Clark spostò per un istante lo sguardo verso terra e provò una tremenda vertigine, chiudendo gli occhi ed aggrappandosi a lei, sbilanciandola.

-Attento!-

Tornarono giù e Clark si buttò seduto per terra, con il cuore che batteva forte.

-Lily, scusa… mai io…-

-Soffri di vertigini? Oh, povero caro… perdonami… non lo sapevo!-

Clark scosse le testa e la tirò giù, seduta accanto a lui. Rimasero ad osservare Venere che saliva nel cielo, mentre il sole, dalla parte opposta, sprofondava nel suo letto cremisi.

-Vieni, andiamo in casa…-, le disse Clark, rialzandosi e porgendole la mano per fare altrettanto, -Resta ancora un po’ con me, ti prego…-

Clark annunciò ai suoi che doveva studiare e che non avrebbe cenato e si ritirò nel fienile facendo sì che i suoi non vedessero Lily.

Accese un paio di candele e la raggiunse sul divano, distendendosi e poggiando la testa sulle sue gambe.

-E’ straordinario quello che ti è successo oggi…-, le disse, mentre lei gli carezzava i capelli.

-Già… è come se… tutte quelle volte che correvo o che saltavo per vincere una gara, a scuola, ci fosse sempre stato qualcosa che mancava… era come se sentissi sempre che il mio corpo rispondeva solo fino ad un certo limite a quello che gli ordinavo di fare… oggi ho abbattuto quel limite e per la prima volta ho sentito ogni cellula delle mie gambe, della pelle, ogni frammento del mio corpo… è stata una cosa… non so come descriverla… magnifica…-

-Lily tu… cosa ricordi di quando eri piccola… quali sono i tuoi primi ricordi?-, le domandò Clark, sentendo che il suo cuore accelerava appena, inoltrandosi su una strada pericolosa per il suo rapporto con Lily.

-Io…-, Lily scosse la testa, cercando di riportare alla memoria momenti così antichi che li confondeva con qualcosa di immaginato.

-Ti sembrerò sciocca… il primo ricordo che ho è un abbraccio… un abbraccio e una culla e tanta, tanta luce… non so come spiegartelo… anche perché forse non è vero, me lo sono immaginato soltanto, ho ricostruito qualche frammento della mia infanzia confondendo la realtà con le storie che ci raccontavano da bambini…-, Clark la guardò. Interessato, molto interessato a quello che le stava dicendo.

-So che era la mia mamma, quella che mi stava abbracciando… me del resto… non lo so… c’era dolore, sì, come se con l’abbraccio mi fosse arrivato nell’anima tanto dolore… non ricordo altro… e dopo...-, si fermò, come se stesse riflettendo su qualcosa.

-Non ricordo altro dei miei genitori, non ricordo il botto che me li portò via. I miei ricordi ripartono da quando fui affidata ai miei genitori adottivi, ero molto piccola, ma lo ricordo ancora e poi… quando mi successe quell’incidente al museo con gli altri bambini…-

-Al museo… Lily, ricordi cos’è che ti ha fatto stare male, quelle due volte che ti è susseso?-

-Una pietra, Clark. Ma mio padre diceva che non era possibile che una pietra potesse far star male una persona, per questo ha sempre cercato la causa dentro di me, invano, studiandomi come se fossi qualcosa di mitologico… una chimera: metà essere umano e metà mostro… Ma io lo so che è stata una pietra, tutte e due le volte, ne sono certa-

La guardò, deglutendo: stava avvicinandosi alla verità, ma non ci sarebbe riuscito, senza aprire di nuovo vecchie ferite nel cuore della ragazza che amava.

-Ti ricordi che pietra era?-, le chiese, senza aspettarsi una risposta esauriente.

-Un meteorite. Un meteorite caduto sulla terra nel 1961, non so dove e non so da dove, ma so che si tratta proprio di quello…-

Clark sentì il suo cuore mancare un colpo. Si sollevò mettendosi a sedere e la guardò fissa, tenendo una mano sulla sua spalla.

-Un meteorite…-, sentiva il respiro corto, tanta era l’emozione che le parole di Lily gli avevano suscitato.

-Lo so che può sembrarti assurdo, Clark, ma ti dico che è così… e non voglio assolutamente doverti convincere riprovando quell’esperienza! Mi sono bastate quelle due volte… sentire il sangue nelle vene che ribolle, come se fosse lava che cerca di solidificarsi e che sale, sale sempre più verso il cuore… e il respiro che si blocca, come se stessi per soffocare… no, non voglio proprio che mi accada un’altra volta…-, strinse le spalle, come se un brivido l’avesse percorsa da capo a piedi e cercasse protezione, -Non ti auguro proprio di dover provare un dolore simile, amore mio…-

La fissò, come ipnotizzato dai suoi occhi viola.

-Ma io l’ho già provato, Lily… so cosa significa…-, Lily sgranò gli occhi, aprendo le labbra in un’espressione di stupore.

-Cosa… cosa stai dicendo, Clark? Come puoi tu…-

Clark allungò la sua mano verso il suo volto e spostò ancora la frangia che le era scivolata sugli occhi, con dolcezza. L’altra mano era stretta nella sua.

-Siamo uguali, no? Nel bene e nel male…-

***

-Io so quello che ho visto con i miei occhi, non devo convincere nessuno di quello che dico!-

-Cerca di calmarti, Robert…-

-No, non mi calmo, dopo quello che mi avete fatto! Voi non potete tenermi qui! Dovete lasciarmi!-

-E dove vorresti andare, Robert? Le uniche porte che si aprirebbero per te sono quelle del Belle Reve…-

-Almeno lì c’era qualcuno che mi credeva…-

-Certo, Robert…-

-Sì, date ragione al cretino di Rober Greedy! Dico sul serio… non ero l’unico a sapere quelle cose su Clark Kent…-

-E cosa si diceva su Clark Kent, oltre a quello che ci hai già rivelato?-

-Dicevano che ha fatto sbattere in quella topaia tantissime persone… tantissimi mostri, come me!-

-Tu non sei un mostro, Robert. Sei solo una persona che ha bisogno di aiuto e noi, qua, possiamo dartelo. Di cosa hai paura, Robert-

-Io… ho paura di lui… perché è invincibile! C’è solo un modo, per fermarlo…-

-Un modo per fermare… chi, Robert?-

-Lui! Clark Kent! Si dice che una volta un ragazzo ce l’ha quasi fatta, con un proiettile speciale… un proiettile fatto con la roccia verde, la stessa che mi avete infilato nelle vene! Criminali! Assassini! Lasciatemi libero! La pagherete…! Nooo! No, per pietà, la supplico… nooo, ancora quella puntura no… la prego… la pr…-

-E’ andato…-

-Un proiettile di meteorite, eh?-

-Gliel’avevo detto che doveva ascoltare con le sue orecchie quello che va farneticando Greedy… credo che non sia più adatto per i nostri studi, signor Luthor e…-

-Greedy è più utile di quanto non lo sia stato lei in tutti questi mesi, Jamison. Cerchi di capire se è vero, quello che ha appena detto, e appena sa qualcosa, me lo riferisca sulla linea protetta. Ora devo andare. Ho una cena con mio padre che non perderei per niente al mondo…-

***

continua…

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Lacrime ***


Capitolo 17 – Familiari…

Capitolo 17 – Parenti…

Le note soffuse di un pianoforte a coda Gaveau riempivano la sala principale del ristorante Four Season di Metropolis, delicati profumi di cibi costosissimi si diffondevano tra le pareti dalle tinte tenui, mischiandosi al profumo intenso delle fresie, elegantemente disposte su ogni tavolo finemente imbandito.

Lionel Luthor si fece accompagnare fino alla saletta privata che la sua famiglia aveva a sua completa disposizione ogni giorno dell’anno, lasciò il cappotto e la sciarpa di seta al maitre e raggiunse il suo tavolo.

Clark Kent non gli aveva creduto. Maledizione a lui, testardo come suo padre… Senza il suo appoggio, andare avanti nel suo progetto era impossibile… come avrebbe potuto continuare a proteggerlo, quando le minacce si fossero fatte reali? Clark continuava a fidarsi di Lex… imbecille… lui stesso, suo padre, aveva perso la fiducia in quell’uomo che riusciva a volgere a suo favore ogni situazione e a convertire in guadagno ogni informazione. Non aveva ascoltato una sola parola, quel contadinello addormentato… eppure… lo sapeva, ne era certo che fosse solo lui che doveva ringraziare per tutto quello che gli era capitato di buono in quella vita buia… Doveva aiutarlo, costasse quel che costasse, aiutarlo e farselo amico, prima che fosse Lex a sfruttarlo…

Avrebbe preferito andare alla mensa dei poveri che al Four Season con Lex, quella sera, ma non poteva rifiutare una sfida: se fosse stato necessario avrebbe scoperto tutte le sue carte e avrebbe messo Lex di fronte al fatto compiuto che, nonostante i suoi sforzi, non avrebbe mai potuto fregare suo padre…

Lex lo fissava con un sorriso a metà tra l’ironico e il vittorioso, sfogliando pigramente la carta dei vini.

-Va bene anche per te un Sauterne Chateau de Fargues del ’71, papà?-, chiese fingendo di essere interessato al suo parere.

-Se iniziamo con un Chateau de Fargues, Lex, significa che quello per cui mi hai fatto venire qui stasera è davvero qualcosa di molto importante…-, doveva assolutamente tenere testa al genio che aveva plasmato con i suoi stessi insegnamenti in troppi anni di quel rapporto che non era mai stato possibile chiamare ‘familiare’.

Lex alzò lo sguardo verso di lui, obliquamente, -… accompagnato da ostriche della Normandia fresche di giornata…-

Lionel si sedette, facendo segno con la testa al cameriere che portasse quello che suo figlio ordinava. Poi aspettò che gli venisse servito il vino e che fossero soli nella saletta.

-Bene, Lex, abbiamo il nostro vino, siamo da soli, penso che adesso puoi parlare a tuo padre di quel che ti turba, figliolo…-, ricambiò il suo sorriso tagliente, alzando il calice verso di lui.

-Come hai avuto modo di ricordarmi l’altra sera, papà, sei un uomo anziano e non intendo trattenerti alzato fino a tardi, quindi arriverò subito al dunque. Sono qua per proporti di tornare a far parte della Luthor Corporation come direttore generale delle sezioni di Metropolis e del resto del Kansas. Io rimarrò a Smallville-, sorseggiò il sauterne, dolce e aromatico che scivolò nella sua gola lasciandogli in bocca quel classico sapore dolciastro, il sapore che aveva la vittoria… -… ah, ovviamente sarò sempre io il proprietario della Luthor Corp, tu avrai solo mansioni amministrative e ogni tua decisione dovrà essere approvata da me…-

Lionel non batté ciglio, cogliendo al volo l’intento di Lex. Lo imitò assaggiando il vino e aspettò che il cameriere in livrea servisse loro il piatto ordinato.

-Vedi, Lex… devo ammettere che la tua offerta è molto allettante… in effetti non vedrei l’ora di tornare qua, nella grande città, nella sala dei bottoni e riprendere tutti i miei affari più o meno legali… L’idea di riprendere la sperimentazione umana di quel siero di origine sconosciuta, o di continuare con la ricerca per realizzare il soldato perfetto, eccetera, eccetera, mi ha sempre sostenuto nei mesi di prigione… ma so già che ognuna di queste cose, ognuna di queste ricerche al limite della realtà e della legalità è già stata ripresa e portata avanti dai tuoi scienziati… quindi, in pratica, cosa mi staresti offrendo? Vuoi usarmi ancora una volta come copertura, come capro espiatorio qualora i tuoi folli progetti visionari andassero a scatafascio, o vuoi semplicemente levarmi dai piedi? Sono ormai vecchio per trarre godimento dalla compravendita di quote azionarie di compagnie più o meno floride sparse nel mondo, e non mi ci vedo a riprendere il riciclaggio del denaro sporco…-, fece una pausa e fissò Lex dritto negli occhi, -Quindi no, grazie Lex, credo che tuo padre preferirà rimanere al tuo fianco a Smallville e sostenerti nei tuoi nuovi sorprendenti affari… che ne dici?-

Il suo sorriso platealmente falso irritò Lex, che non rispose. La conversazione tra loro doveva passare al secondo punto di quelli che si era preparato mentre la sua limousine lo portava al ristorante: se suo padre non accettava di farsi da parte per raggiunti limiti di età, avrebbe dovuto essere più convincente, costasse quel che costasse…

Con le posate di argento estrasse un’ostrica dal suo guscio e la portò alle labbra, gustandone il viscido sapore dolciastro. Solo poche ore prima quella bestia era viva, pensò, e adesso se l’era mangiata lui.

Avrebbe fatto così anche con quel problema che rispondeva al nome di suo padre.

-Benissimo papà. Allora credo che troverai interessante sapere cosa i miei uomini hanno scoperto su di te e su quello che hai fatto da quando sei uscito dal carcere. Credo che potrebbero rimetterti dentro senza neanche passare dal tribunale…-

-E’ una minaccia, Lex?-, chiese tranquillo Lionel, incrociando le braccia e spingendo il piatto intatto in avanti, sul tavolo, -Se hai ripreso a minacciarmi, significa che le cose tra noi stanno tornando alla normalità! E’ bello sapere che il figliol prodigo intende tornare a casa…-, altro sorso di vino, altro sorriso falso.

-Non potrei mai minacciarti, papà… ti informavo. Semplicemente…-, altra risposta gelida, poi Lionel contrattaccò.

-Forse le stesse persone che sarebbero interessate a sapere che sono andato a parlare nell’ordine con Virgil Swann, con Lilyanne Leibniz e con Clark Kent potrebbero trovare un ottimo argomento di discussione nel racconto di come hai prelevato dall’ospedale psichiatrico di Belle Reve alcuni tra i più pericolosi soggetti geneticamente mutati di tutto il cuore degli Stati Uniti e di come gli stessi sono misteriosamente scomparsi dalla faccia della terra per approdare invisibilmente nei laboratori di genetica del dottor Lex Frankestein…-

Allungò una mano e prese con le dita un’ostrica, la portò alla bocca e succhiò il mollusco, lasciando cadere il guscio vuoto nel piatto, rumorosamente, sempre senza allentare il sorriso sicuro.

-Credevo che non ti piacessero le ostriche-, constatò Lex, senza staccare gli occhi dai suoi.

Anni prima era stato proprio suo padre ad insegnargli come sostenere lo sguardo del nemico era segno di grande forza. E lui sapeva che non avrebbe potuto che vincere, contro il fantasma di quello che era stato in passato Lionel Luthor.

-Ah sì? Non ricordo… Sai cosa non ricordo, oltre a quello? Non ricordo da quando i tuoi contatti con la polizia locale di Smallville hanno bypassato lo sceriffo Adams e ti hanno dato pieni poteri nelle decisioni amministrative del Belle Reve. Non ricordo quando hai deciso di riprendere gli esperimenti che si tenevano nel Livello 3, né quando hai deciso che fidarti della famiglia Teague può portare convenienza… oh, forse da quando hai sviluppato questo folle interesse per la ricerca di quelle tre pietre leggendarie…

Non ricordo cosa è stato detto ai familiari di Robert Greedy - per citarne uno - quando non hanno più trovato il loro figlio in clinica, né quando hai deciso che la sperimentazione con l’estratto di meteorite verde è salutare per coloro a cui la applichi. Non ricordo neanche come mai mi hai fatto venire qua, stasera, oltre a comportarti come la volpe e l’uva e offrire a tuo padre specialità gastronomiche non di suo gradimento. Perdere il rispetto degli ospiti, Lex, equivale a perdere il rispetto degli Dei, ricordatelo bene e ripensa ad Agamennone, Ulisse e tutti coloro che parteciparono alla mistificazione del cavallo di Troia. Non sperare che offrirmi un posto di lavoro nella MIA ditta ti permetta di controllarmi e colpirmi quando meno me lo aspetto… ricordati che tuo padre è sempre un passo avanti a te…-

-Ulisse fu il primo a sfidare gli dei per avere la Conoscenza, papà, e la ottenne…-

-Ulisse morì dimenticato da tutti, Lex, e con lui affondarono i visionari che lo avevano seguito fino alla fine…-

-Ma fece grandi cose, che suo padre Peleo non avrebbe potuto neanche immaginare. E neanche tu puoi immaginare quali grandi progetti ho per il mio futuro…-

Lionel si spostò sulla sedia e fece un cenno al cameriere, con il quale parlottò per un istante, prima che sparisse per ritornare velocemente con una porzione di spigola alle erbe aromatiche.

-So tutto-, disse soltanto, affondando la forchetta nella tenera carne bianca.

Lex scosse appena il capo,non capendo.

-So tutto Lex. So del livello 33.1, so dei Teague, della loro ricerca, dei tuoi stretti contatti con Jason, so del segreto di Lana Lang e so anche di ogni tuo più piccolo progresso nella ricerca dei tre cristalli. So che sei già stato da Virgil Swann tre volte, l’ultima delle quali non può essere definita propriamente una “visita di cortesia”. So degli esperimenti e so a cosa mirano. So che sei in stretti rapporti con un’ala della CIA e che credi che loro possano essere realmente interessati ad averti come amico. Ma soprattutto so che stai cercando di allungare i tuoi tentacoli su Lilyanne Leibniz e che hai ripreso ad indagare su Clark Kent… non giocare con il fuoco, Lex: non tutti sono tuoi amici e finirai col bruciarti e se passerai il limite, potrebbe essere per sempre…-

Lo lasciò nel suo silenzio, mentre, bevendo sauterne, consumava il suo piatto.

Si pulì avvicinando il tovagliolo piegato alle labbra e si alzò, andandosene.

Quando fu vicino a Lex posò una mano sulla sua spalla.

-Quello che non so, Lex, è se hai finalmente scoperto anche tu il segreto di Clark Kent… Ah, figliolo, smetti di fare le ricerche che stai facendo. Tutte. Il mio è un consiglio, Lex e, nonostante gli screzi tra noi, tu rimani mio figlio. E qualsiasi padre non può sopportare di seppellire il proprio figlio…-

Se ne andò aprendo la porta di cristallo lattimo, lasciando che le note morbide del piano entrassero nella saletta e riscuotessero Lex dal torpore cui pareva essere caduto.

Suo padre sapeva tutto. Ogni sua mossa era stata controllata ed analizzata. Suo padre aveva vinto anche questa battaglia. Ma la sua superbia gli aveva fatto commettere un errore, un errore madornale…

Lex bevve d’un fiato il vino rimasto nel suo bicchiere e portò alla bocca, come poco prima aveva fatto suo padre, un’altra ostrica.

Bene, papà, giochiamo a carte scoperte, dunque. Vediamo chi sarà più veloce nel vincere la mano, allora…

***

Dalla finestra del fienile entrava la brezza fresca della sera. Un soffio più forte fece ondeggiare l’acchiappasogni appeso al soffitto, richiamando l’attenzione di Clark.

Lily era abbracciata a lui, come cercasse protezione tra le sue braccia: da quando Clark le aveva detto che anche lui era stato male per una pietra piovuta dal cielo, era rimasta in silenzio, forse pensando che la stesse prendendo in giro, o chiedendosi chi realmente fosse Clark e come mai il destino li aveva fatti incontrare.

Clark si mosse appena, cambiando posizione e Lily si staccò da lui, stringendosi nel sottile golf di cotone per un brivido.

-Ehi… ti porto qualcosa di caldo…-, disse Clark con voce morbida, liberandosi con la mano dai lunghi capelli di Lily, rimasti impigliati nel suo orologio.

-Tanto non si spezzano…-, disse lei, indicando con il mento il groviglio creato, quasi un groppo nella sua voce.

Clark la guardò inclinando appena la testa: non era giusto continuare a stare con lei lasciandola all’oscuro di quello che lui sapeva.

Si sfilò l’orologio lasciandolo a lei e corse giù, andando in casa a preparare un tè caldo.

Martha, al buio della cucina, guardava verso la finestra del fienile: Lilyanne era affacciata e aveva lo sguardo perso verso il cielo nuvoloso, la luce della lampada sopra la scrivania la illuminava da dietro, quando vide Clark avvicinarsi andò di sopra, senza farsi vedere. Era preoccupata per suo figlio…

Quando Clark rientrò nel fienile, trovò Lily che cercava di far funzionare il vecchio telescopio che gli aveva regalato Jonathan. Posò il vassoio sulla cassa e si avvicinò a lei, scostandole i capelli dal collo, per baciarla.

-Ci sono troppe nuvole, non si vede neanche una stella…-, disse lei voltandosi.

-Io una la vedo…-, rispose Clark, guardandola.

-Stupido…-, Lily fece passare le braccia attorno al suo collo e si lasciò abbracciare, avvicinandosi alla sua bocca, esitando un istante, poi tornando a baciarlo, affondando le mani tra i suoi capelli, lasciando che il dolore che aveva provato in passato venisse cancellato da quel bacio profondo…

Clark si allontanò da lei, prendendo le sue mani e facendola sedere: aveva le labbra rosse e lo sguardo confuso, non la guardava negli occhi, perché non sapeva come dirle quella cosa che era troppo tempo che si teneva dentro.

-Clark…-, indietreggiò sul divano, guardando per terra, imbarazzata dal suo rifiuto… perché Clark non aveva voluto quel bacio… era come se si fosse sentito non al suo posto, in quel momento, come se non avesse voluto che ci fosse qualcosa di più intimo tra loro se non un dolce abbraccio fraterno…

-Lily… c’è una cosa di cui ti vorrei parlare…-, disse Clark dopo un po’, porgendo la tazza fumante alla ragazza, che la strinse tra le mani per rubarne un po’ di calore.

-Tu lo sai che io…sono stato adottato, vero?-

Lily aggrottò per un istante le sopracciglia… che c’entrava quel discorso in quel momento?

-Me lo ha accennato tua madre quella volta che rimasi a cena da voi… e allora? Lo sono stata anche io… che vuoi dire?-

-Io… mia madre ti ha mai parlato delle circostanze della mia adozione? Il mio compleanno è tra pochi giorni, ma in realtà io non so quando sono nato… quella è solo una data decisa in seguito. In realtà l’unica data che conta è quella di quando... sono stato trovato…-

-Ah…-, Lily era sempre più confusa, non capiva perché Clark, in quel momento, le stesse raccontando quei fatti del passato.

-I miei avrebbero voluto segnarmi all’anagrafe come nato nel giorno in cui sono entrato nelle loro vite, ma… non è stato così. Eppure, anche se non festeggiamo mai, è in quella data che noi sappiamo che io sono… entrato a far parte di questo mondo… Sai, funziona spesso così, che ai bambini senza famiglia viene assegnato il compleanno nel giorno in cui vengono ritrovati e…-

-E…? Che cosa c’è Clark, che stai cercando di dirmi?-

La guardò preoccupato, sperando di riuscire a pesare bene ogni parola.

-Io… sono stato trovato dai miei genitori il… il sedici ottobre del 1989…-

Lily sgranò gli occhi come se fosse stata trapassata da un fioretto particolarmente affilato, sentendo cuore e respiro rimanere bloccati per un istante lunghissimo, durante il quale il cervello lavora alacremente per cercare una spiegazione al perché sta finendo tutto.

Che cosa diavolo stava cercando di dirle Clark? Cosa significava che era stato ritrovato il sedici ottobre, e tutti quei discorsi sulle date… Era il suo compleanno il sedici ottobre 1989, compiva un anno… e allora? Era una splendida coincidenza, niente di più… assolutamente niente di più…

Perché Clark insisteva così tanto su quella storia delle adozioni? Lo sapeva di essere stata adottata anche lei, ma era grande, ormai, e la sua data di nascita era stabilita da un pezzo…

Clark vide un’ombra di terrore balenare nei suoi occhi immobili e le prese le mani tra le sue, mettendosi accoccolato davanti a lei e abbassandosi per guardarla dal basso. I suoi capelli ondeggiarono neri e lucenti. Proprio come i suoi…

Il pensiero che subdolo e velenoso la sfiorò per un istante bloccando il battito del suo cuore, l’immagine di lui che rifiutava il contatto delle sue labbra, furono interrotti dal volto di lui, chino a baciarla di nuovo, dolce, morbido. Un contatto così maledettamente conosciuto, da sempre, dentro di lei, nel suo sangue.

Lo allontanò da sé istintivamente, puntando le mani contro il suo petto, nascondendo un altro brivido che il tè caldo non era riuscito ad attenuare.

-Lily, cosa…?-, Clark la guardò confuso: sperava che capisse, non era quella la reazione che si aspettava.

-Ti prego, Clark… ora… ora basta! E va bene, sei piovuto a Smallville nello stesso giorno del mio compleanno… e allora? Che vuoi dirmi? Credi che questo sia un altro segno del destino? Condividere almeno informalmente il compleanno… e allora? Vuoi dire che siamo davvero destinati a stare insieme o… cosa? Te l’ho già detto: io sono nata il sedici ottobre, non è un giorno scelto, per me, ma un giorno certo, nel quale mia mamma, la mia prima mamma, mi ha messa al mondo. Cosa stai cercando di farmi capire, Clark, vuoi per caso convincermi di essere stata trovata pure io un sedici ottobre di un anno non ben identificato, magari in un campo di cavoli?

Ti prego non rispondermi!-

Si strinse nelle spalle, abbracciandosi le ginocchia sollevate sul divanetto, mettendosi a fissare un nodo più scuro in un’asse del pavimento.

Clark le fece solo una carezza sui capelli, sperando in un suo movimento, ma lei rimase immobile, facendo appassire ogni tentativo di proseguire il discorso che lui aveva intrapreso.

Dopo qualche minuto si voltò verso di lui, sorridendogli.

-E dai, Clark… facciamo finta che non abbiamo fatto questa conversazione, ok? Facciamo finta che io e te siamo due ragazzi normali, come tanti… due ragazzi che si sono trovati e che… beh… che provano qualcosa di forte l’uno per l’altra… e basta… Perché tu mi vuoi bene, vero?-

-Ma certo, che cosa ti metti a pensare adesso?-

Lo guardò fisso negli occhi cercando una risposta ad una domanda che non avrebbe mai trovato il coraggio di porgli.

-Tu mi ami… mi vuoi bene come se ne vuole alla propria ragazza, vero?-

Clark annuì, non capendo cosa Lily intendesse e la strinse nuovamente al petto.

Pretendeva di avere quelle risposte e, se parlarne direttamente a Lily era troppo difficile, le avrebbe cercate in altri modi, perché prima di giungere a conclusioni errate, che avrebbero messo in pericolo il suo segreto e anche lei, voleva essere certo di quello che realmente avevano in comune.

Se le sue ricerche non avessero sortito quello che sperava, sarebbe tornato ancora una volta a New York, dall’uomo che non aveva mai deluso la sua sete di conoscenza…

Lily non volle essere riaccompagnata a casa, nonostante Clark avesse insistito a lungo, preoccupato per le parole che Lionel gli aveva detto la sera prima, ma pretese che lo chiamasse sul cellulare, una volta al sicuro e con la porta chiusa a chiave dietro di lei.

Ricevette un sms:

“Tutto a posto amore!

… posso chiamarti amore, vero?

A domani”

Sorrise scuotendo appena la testa, pensando a quanto fosse dolce ed impaurita. Non era da lui mandare messaggini romantici, ma fece un’eccezione alla regola.

“Certo che puoi… sei la mia ragazza!

Ti amo e non vedo l’ora che sia già domani…”

Rimise il telefono nella tasca dei jeans, e rimase un po’ a guardare fuori dalla finestra le nuvole che passavano sopra la luna. Tra le mani rigirava la scatoletta di piombo che conteneva il suo veleno più letale.

-Clark… avevo capito che non cenavi con noi perché dovevi studiare tutta la sera…-, la voce preoccupata della mamma lo raggiunse dall’ingresso del fienile, la luce accesa al piano di sotto la illuminava flebilmente.

Martha salì di sopra e guardò Clark con la testa inclinata, sul suo viso c’era dipinta la stessa espressione che aveva quando, da bambino, lo beccava a fare qualche marachella e si peritava poi a sgridarlo, sapendo che bastava quello sguardo per fargli comprendere i suoi errori.

Clark la guardò e poi tornò a rigirarsi tra le mani il cofanetto, abbassando lo sguardo.

-Mamma… che ci fai ancora alzata?-, le chiese, ripiombando nel mondo della sua famiglia, che aveva per un po’ dimenticato, fantasticando su un’altra famiglia, mentre aspettava il messaggio di Lilyanne.

-Ci faccio che per fortuna non è stato tuo padre a vedere quello che stavi facendo invece di studiare… Ti ho visto affacciato alla finestra e… beh, sono preoccupata per te, Clark…-

Clark scosse la testa, non aveva voglia di parlare con la mamma in quel momento.

-Stai pensando ad una ragazza, Clark?-

-Cosa…?-

Martha si sedette vicino a lui, sorridendo.

-Ormai ti conosco, anche se cerchi di nasconderti ai miei occhi di mamma, io so bene che quando te ne stai in silenzio a guardare il cielo con quella scatola in mano è perché pensi a Lana.-

-No… non…Lana non c’entra…-, le dita di Clark strinsero più forte la scatola.

-Ah, allora qualche segreto riesci davvero a tenerlo per te!-, disse Martha fingendo di essere stupita.

-Non è Lana… E‘ Lily. E’ così…-

-Ti piace Lily, Clark?-, l’aveva riconosciuta alla finestra, poco tempo prima, ma non sapeva che le cose tra lei e suo figlio fossero andate così avanti.

-Non è quello, mamma. E’ che lei… è diversa…-, Clark si voltò verso di lei.

-In che senso, diversa?-

Clark non sapeva come spiegare quello che voleva dire alla madre. Era così difficile parlare a lei, ai suoi genitori di quell’argomento… ma d’altronde, a chi altri avrebbe potuto parlarne, oltre a loro e Pete? Rispose cercando di evitare ancora il suo sguardo.

-Lei non è come Lana, o come te, o Chloe…-

-Vuoi dire che ha dei poteri derivati dalla pioggia di meteoriti come tutte quelle persone che…-, Martha era delusa.

-Non credo che sia così-, si affrettò ad interromperla Clark.

-E allora cosa intendi?-

Clark si voltò verso di lei: i suoi occhi brillavano di una luce che Martha non aveva mai visto prima.

-Lily può correre alla supervelocità, fa fuoco dagli occhi e a detta di Lana e Chloe è riuscita a scaraventare un uomo che le aveva aggredite a decine di metri di distanza. Ma soprattutto…-

-… soprattutto?- Clark allungò verso di lei la scatola contenente il frammento di meteorite.

-Soprattutto se lei viene a contatto con questa il suo sangue ribolle e lei sta male. E l’ho vista tagliarsi a scuola senza farsi male, mentre il cutter si è spezzato in due. E poi…-

-Mi stai dicendo che lei è come… te, Clark?-, lo interruppe visibilmente agitata dalle parole che le aveva detto il figlio.

Non ebbe risposta.

Clark si voltò nuovamente verso la finestra, guardando lontano, oltre le nuvole e le stelle, sospirando.

Martha si alzò e posò le sue mani sulle sue spalle.

Dopo qualche attimo sospeso nel silenzio Clark parlò di nuovo, la sua voce pareva un sussurro.

-Quando ci hanno presentati e io le ho stretto la mano, è come se una scarica elettrica mi avesse percorso da capo a piedi, come se si fosse sviluppata una qualche energia che mi è entrata nel sangue… non so come spiegartelo… ma ho provato un istantaneo senso di calore, di sicurezza, forza… e… insomma, ho sentito che lei era diversa… che era lei che stavo aspettando…-

Tacque di nuovo, cercando le parole per esprimere quello che non riusciva a dire e che Martha lesse nei suoi occhi.

Gli sorrise carezzandogli una guancia, era il suo bambino e mai come allora aveva bisogno di certezze nella sua vita…

-Forse non sono solo, mamma…-, disse tradendo tutta l’emozione che aveva represso in quei giorni.

Martha sospirò, allontanandosi appena.

-Clark, tu non sei mai stato solo, lo sai-

-Ma è diverso…-

-So cosa vuoi dirmi, pensi che non lo capisca? Solo che ho paura che possa essere solo un abbaglio, che tu possa rimanere deluso ancora una volta come con Alicia…-

Clark scattò allontanandosi e alzando la voce.

-Non c’entra niente quella storia. E prima che tu lo dica, non c’entrano niente neanche le storie di persone come Kara e non c’entra niente Jor-El. E’ una cosa diversa…-, abbassò le spalle e la sua voce tornò ad essere un sussurro. - E’ come se d’un tratto mi sentissi tanto vicino ad una persona come mai è stato prima-, abbassò gli occhi, -neanche con Lana…-

Martha strinse i denti: doveva convincere Clark a non cacciarsi in una situazione che gli avrebbe nuovamente portato sofferenze, doveva assicurarsi che lui fosse tranquillo, come quando era un bambino e bastava stringerlo tra le braccia per sentire il suo cuore rilassarsi e i pensieri svanire.

-Come fai a sapere che lei è onesta e non ti sta imbrogliando? E come hai potuto lasciarti coinvolgere nuovamente in una storia con una ragazza… diversa, dopo quello che ti è capitato con Alicia… io, sono preoccupata, Clark e poi… chi ti dice che i suoi non siano solo trucchi!-

Clark si voltò di nuovo verso di lei, i suoi occhi fiammeggiavano.

-Mamma, io ti dico che Lilyanne è come me: lei è fatta come me… la sua pelle è come la mia, i suoi capelli non si spezzano, te lo ripeto, lei corre quasi più veloce di me, e poi… può prendere aria e alzare un tornado con il suo soffio, può spostare un’auto con una mano, accende le candele solo guardandole e poi… lei sa volare, mamma! Come me… o meglio… come Kal-El! E quello che più è importante, più importante anche della sua reazione alla kryptonite, è che Lily… lei ha uno strano segno sulla pelle, dietro al collo, è il simbolo… kryptoniano che rappresenta il fuoco, lo stesso simbolo che ho visto sul cristallo che ora è dentro le grotte, lo stesso che è dipinto sulle pareti di roccia...

Mamma, Lily è come me. E io non posso perdere pure lei…-

Martha abbassò lo sguardo sul cofanetto contenente il frammento di meteorite, lo soppesò per un istante, poi lo posò sulla scrivania, accanto a loro, e prese le mani del figlio tra le sue, guardandolo negli occhi, rassegnata.

-La ami, Clark?-

Il volto del ragazzo si illuminò in un sorriso sincero: -Sì… la amo… la amo così tanto che… che ogni volta che sono lontano da lei mi sembra di perdere la metà di me stesso-

Martha lo abbracciò e, forse per la prima volta, non sentì stretto a sé il timido bambino dal sorriso contagioso e i capelli ribelli, ma l’uomo che era diventato suo figlio.

-Andiamo a letto, ora…-, gli disse prendendolo per mano, -vedrai che non la perderai…-

Son of the Illusion Blog

Lunedì 03/05/2004

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“Ho sfogliato i miei vecchi libri di scuola

Ho cercato a lungo una vecchia poesia straniera

Ho paura.

Ho paura e non posso fare a meno di rileggere queste parole:

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli

(Giuseppe Ungaretti, Italian Poet, 1916)

Sei anche tu un figlio dell’Illusione?”

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Vicini alla verità ***


Capitolo 18

Capitolo 18 – Vicini alla verità

Era molto presto quando Clark era arrivato a scuola; ancora il cancello non era stato aperto e lo stesso ambiente, di solito brulicante di ragazzi vocianti, appariva totalmente differente. C’era solo un bidello che, nel giardino, ripuliva il prato dalle erbacce, con aria ancora assonnata e, da qualche parte nell’edificio, qualcuno aveva iniziato ad aprire le aule chiuse a chiave.

Clark aveva forzato la serratura del Torch, l’aveva risistemata ed aveva preso posto alla scrivania di Chloe. Il suo pc era più lento e la scheda di rete spesso si bloccava lasciandolo senza connessione.

Quella mattina aveva bisogno di tutta la banda possibile, di un computer veloce e di tanta, tanta fortuna: la sua era una ricerca disperata, molto più ardua di cercare il classico ago nel pagliaio, cosa che a lui, con i suoi poteri, risultava peraltro facilissima.

Aveva solo poche informazioni certe e documentate su di lei: sapeva che Lily era nata da qualche parte vicino a Metropolis, non troppo lontano da lì, il sedici di ottobre, che era stata adottata all’età di quattro anni e mezzo dal professor Leibniz di New York ed in seguito era rimasta coinvolta in diversi fatti di cronaca. I dati che Chloe aveva raccolto su di lei, gli stessi dati che avevano causato quel terribile litigio, ora gli sarebbero stati utili… se solo avesse conosciuto la password del computer di Chloe!

Provò la sua data di nascita, il nome di sua madre e suo padre, digitò anche “loislane”, confidando nell’affetto per la cugina, ma i files rimanevano ancora bloccati. Provò con altri nomi, soprannomi, date a caso, ed infine provò con “clarkkent”, sentendosi un po’ un idiota: il computer si sbloccò e Clark strinse le labbra, chiedendosi perché, ancora, Chloe provasse qualcosa per lui, che l’aveva abbandonata. Chissà se le cose sarebbero state diverse, se non ci fossero stati quei tornado, se fosse rimasto assieme a lei al ballo della scuola, tanti anni prima…

Scosse la testa imponendosi di non naufragare in universi paralleli e si rimise al lavoro.

Aprì subito i files che riteneva utili, per copiarli sulla chiave usb che Chloe gli aveva regalato per il Natale precedente e iniziò a sfogliare il database dell’ufficio anagrafe, cercando quante più informazioni sul passato di Lily.

Si sentiva di tradire un po’ la sua fiducia, a fare tutto di nascosto, ma era troppo importante quello che stava cercando di scoprire: non aveva il coraggio di porre a lei direttamente quelle domande così taglienti, ma avrebbe comunque scoperto se anche lei era, come era convinto che fosse, una trovatella…

-Come sei entrato qui?-, Chloe aveva aperto la porta molto, molto silenziosamente, sorprendendolo al suo pc. Lo guardava con occhi sgranati, stupita, ma soprattutto delusa.

-Era… era aperto, sai?-, rispose Clark, arrossendo come se fosse stato beccato a rubare caramelle ad un bambino.

-E come mai non sei al tuo computer? Clark, sono le sette e mezzo e tu di solito a quest’ora stai ancora rigirandoti tra le coperte sognando… lasciamo perdere cosa… Che è successo? Perché non mi hai chiamata, prima?-, Chloe si avvicinò e Clark non fu così veloce da far sparire i files che stava esaminando.

-Che cosa stai facendo? Ti sei messo tu, ad indagare su Lilyanne, ora? Credevo che lei fosse la tua ragazza, ormai, che non ci fossero più segreti tra voi!-, la sua voce oscillava tra toni sarcastici e delusi, senza nascondere la smania di conoscere il vero motivo per il quale Clark stesse setacciando il web alla ricerca di informazioni su Lily.

Clark non si aspettava una domanda del genere.

-No, è che lei… Lily mi ha chiesto se riesco a scoprire una cosa e quindi…-

-Quindi?-, aspettò che proseguisse, il suo sguardo lo feriva, graffiando via quella misera patina di menzogne con la quale lui cercava di proteggersi.

-Ti prego, Chloe, non dirle che stavo cercando informazioni sul suo passato…-

Chloe alzò lo sguardo verso il soffitto della stanza, espirando con forza. Poi tornò a guardarlo, preoccupata e arrabbiata.

-Ma perché fai così, Clark? Lily è anche una mia amica! Io… l’ho vista piangere per te, avrebbe rinunciato a quello che prova per lasciarti libero di stare con Lana, se fosse stato quello che volevi! Lei… tu non hai idea di quanto lei ti voglia bene… lei ti ama! Non chiedermi di fare qualcosa che potrebbe farla star male, o deluderla, per favore!-

Clark la guardò per un po’, poi prese aria. Non ne poteva più di sentirsi dire cosa fare, o cosa non fare, nella sua vita, non in quel momento, non quando avrebbe fatto qualsiasi cosa per scoprire se c’era qualcun altro come lui, se non era solo…

-Allora esci, Chloe-

-Esci!? Io cerco di aiutarti a non fare errori di cui potresti pentirti amaramente e tu mi dici di uscire dal mio stesso giornale! Clark! Ma cosa c’è che non ti va bene nel vivere una vita normale, senza menzogne e segreti verso tutti? Va tutto bene finché la gente non fa domande su di te, vero, Clark? Altrimenti diventi più duro e refrattario delle rocce cadute dal cielo,non è così? Te lo ripeto ancora: non tradire la fiducia di Lily indagando sul suo passato: possono esserci cose che è giusto che sia lei a rivelarti, se mai vorrà farlo!-

-… però quando eri tu a raccogliere materiale e minuziose informazioni su di lei, tutto andava bene, vero Chloe?-, le disse esplodendo.

-Ah sì, eh? … e andavano bene pure tutte quelle cose cattive che mi ha vomitato addosso, vero? Perché ora che sei tu a comportarti allo stesso modo, ora va tutto a posto, Clark? Tu solo sei giustificabile a questo mondo, tu solo hai una scusa valida e assurda per tutto! Non è sempre così?-

-Chloe… io non posso spiegarti…-, il tempo scorreva e ancora non aveva raccolto informazioni sufficienti, maledizione!

-Certo, come al solito! “Tu non puoi spiegare!”… è questo che non sopporto di te, sai Clark? Riesci ad allontanare tutte le persone che ti vogliono bene facendo così! Segreti, segreti… tu e i tuoi stramaledetti segreti! E’ per loro che Lana ti ha lasciato, Clark e ora… ora vuoi buttare via anche questa storia con Lily?-

Clark deglutì, schiacciato dal peso delle parole di Chloe, quelle parole che la sua coscienza gli ripeteva sempre, da sempre, e che lui ignorava…

-Tu non puoi… tu non puoi capire, Chloe!-

-Ah no? Almeno proviamo: dimmi che problemi hai e proviamo a vedere se riesco a capirti o no! Lo vuoi capire che io sono tua amica, io ti voglio bene, Clark!-

Clark estrasse la penna usb dal computer, chiuse rapidamente tutte le schede di Firefox che aveva aperto e schiacciò brutalmente il tasto di spegnimento del computer, alzandosi.

-Clark!-

-Si voltò ancora verso di lei, aveva lo sguardo ferito di chi sa che sta facendo del male a chi vuole bene, ma non può evitare di comportarsi così.

-L’ho fatto una volta, sai, Chloe? Mi sono confidato con una persona amica, ho detto tutto quello che non riesco a dire a te, o a Lana… e lo sai che cosa è successo? La vita di questa persona è stata rovinata da quello che ho rivelato, tanto che… se n’è andato via, per la sua incolumità!-, aveva urlato le ultime parole, stringendo tra le mani lo spallaccio dello zaino fino a farsi diventare le nocche bianche dallo sforzo.

-Perché vuoi costringermi ancora una volta a mettere te o chiunque altro in pericolo? Abbiamo tutti i nostri segreti eppure possiamo vivere normalmente insieme agli altri, senza che questi turbino ancora un’amicizia come la nostra. Se io sto facendo quella cosa, ora, ho i miei motivi, Chloe, e non chiedermi di rivelarti quali essi siano, perché non permetterei di nuovo che una persona a cui tengo così tanto se ne vada via e sia messa in pericolo per causa mia. Ti prego!-, la guardò per un istante ancora e poi uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé una calda scia di profumo di shampoo e lavanda, di cui Martha Kent aveva riempito i cassetti di casa.

Chloe lo vide passare davanti a sé, incredula per le ultime parole che Clark gli aveva detto: si era aperto, dunque, aveva trovato qualcuno di cui fidarsi, aveva svuotato la sua angoscia… ma chi, chi era la persona che aveva raccolto le sue confessioni? Era vero… c’era Lionel Luthor e chiunque avesse saputo qualcosa su Clark, sarebbe stato in pericolo, così come lo era stata lei… E se fosse… se si fosse riferito ad Alicia… in fondo lei sapeva molte più cose di chiunque altro su Clark Kent e… ed era morta! Però non si riferiva a lei, Clark, ne era sicura… e allora…

La porta del Torch si aprì nuovamente e la faccia allegra e ancora un po’ assonnata di Pete fece capolino.

-Pete…!-, Chloe sorrise spalancando la bocca… ora tutto le stava divenendo chiaro…

***

-Scusi, credo di non aver capito cosa mi ha chiesto, signor Luthor… Può ripetere per favore?-

-Maggiore Sawyer! La facevo più sveglio, sa? E’ molto semplice quello che ho domandato: deve “prelevare” mio padre Lionel Luthor, portarlo dove già sa, ed interrogarlo-

-…-

-Rimane in silenzio, Maggiore? Da quel che so si tratta di un’azione di semplice routine per lei… o mi sbaglio…? Ad ogni modo, si assicuri che, per tutto il tempo, mio padre rimanga totalmente bendato e che non capisca dove si trova. La vostra conversazione verrà registrata interamente, quindi si attenga agli ordini…-

-E se non volesse parlare?-

-Ecco, questo è per lei: prima di iniziare l’interrogatorio dovrà inalare questa sostanza dall’aerosol. Vede, funziona come quelli per l’asma, e semplice-

-I..io?-

-Sì Maggiore, lei è pagato per questo. Non si spaventi: si tratta semplicemente del più moderno, sofisticato affidabile e sicuro ritrovato capace di far sì che chiunque si trovi nel suo raggio di azione non possa fare a meno di dirle tutta la verità, su qualunque questione e argomento-

-E’ pericoloso?-

-Come ho già detto, Maggiore Sawyer, il Levitas è un ritrovato che offre la massima sicurezza per chi lo assume: è stato studiato appositamente per avere un effetto rapido ed i suoi effetti si esauriscono nell’arco di poche ore… non si renderà neanche conto di aver perso il suo potere, quando l’effetto del siero svanirà… Sarà come bere acqua fresca. Ah, maggiore… faccia in modo che mio padre non ricordi assolutamente nulla… Questo farà al caso suo…-

-Di che si tratta?-

-Niente che non abbia già usato prima in vita sua… Ricordi: mio padre sarà di ritorno per le ventuno di questa sera… Dopo che lo avrà riportato nel suo appartamento, sul retro del castello, lei tornerà qui e mi riferirà ogni singola parola… siamo intesi?-

***

-Ciao Chloe… che ti è successo? Hai una faccia…-, chiese Pete sbadigliando e lasciandosi cadere pesantemente sul divanetto nella stanza del Torch. In mano aveva una scatola con il materiale per gli articoli di Chloe sul ballo studentesco, che si sarebbe tenuto il sabato della settimana successiva.

La ragazza si affrettò a scuotere la testa, rendendosi conto che lo aveva fissato come se si fosse trattato di una nuova specie animale scoperta il giorno stesso dal WWF e si voltò rapidamente fingendo di essere occupata a lavorare al pc.

-Buongiorno Pete… noto che stai ancora dormendo… come al solito, direi!-, cercò di allentare la tensione che provava: non era certa che quello che aveva intuito fosse vero… non poteva immaginare che Pete, proprio lo stesso Pete che si cacciava nei guai un giorno sì e l’altro pure, il Pete che aveva sempre considerato “il suo amico imbranatone”, proprio lui fosse il custode dei più oscuri segreti di Clark Kent!

Senza volerlo si bloccò di nuovo a guardarlo, con espressione assente e la bocca appena socchiusa.

-Chloe?? Ma che hai? E’ da quando sono entrato che mi guardi strano? Cos’ho? Mi sono nati degli strani tentacoli sulla schiena??-, si alzò dal divanetto e si sedette vicino a lei, mentre lo schermo del computer, brutalmente spento da Clark pochi minuti prima, si accendeva con la classica schermata nera di errore.

-Accidenti! Che è successo a questo pc?-, domandò Pete, ma Chloe premette il tasto enter e, scuotendo la testa, fece capire che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Pete sollevò le sopracciglia e non chiese altro.

-Ti ho portato le cose che mi avevi chiesto sul comitato organizzatore del ballo-, disse allungandosi per porgere la scatola a Chloe, quando sullo schermo si visualizzarono gli ultimi files aperti: quelli relativi a Lilyanne Leibniz.

-Accidenti, Chloe! Stai ancora continuando a fare ricerche su di lei? Ma cos’hai al posto della testa?-, Pete si alzò di scatto, come se con quel gesto volesse dissociarsi da ciò che credeva stesse facendo l’amica.

-Ma no, Pete, aspetta… non è come pensi…-

La guardò con delusione e rabbia, l’espressione addormentata era svanita totalmente dal suo volto.

-Certo! Come tutte le altre volte! Credevo che tu fossi sincera, con lei, quando la definivi “amica”! E invece… sempre ad indagare su tutto e tutti, come tutte le altre volte! Cosa c’è che non va in lei? Basta, Chloe! BASTA! Devi smettere di cercare il mistero dove non c’è: Lilyanne è una ragazza come le altre, accettalo! Se Clark sapesse quello che stai facendo… Basta! Dammi retta: cancella quello che sai su Lilyanne e non indagare più, perché è solo una stupida perdita di tempo!-

Chloe rimase immobile, alla scrivania, scandagliando come se avesse un radar al posto degli occhi ogni più piccola espressione di Pete: sì… poteva davvero essere quella l’unica, logica, spiegazione a tutto…

Le parole che aveva appena usato… certo, anche lui sapeva di Lilyanne… e di Clark!

-Pete, perché non sei stato sincero con me, riguardo a Clark?-, i suoi pensieri si erano formati in parola, prima che lei potesse mordersi la lingua e impedirsi di parlare.

-Cosa…?-, lo vide fare un passo indietro, verso l’ex muro delle stramberie, ormai spoglio, come se fosse lei ad attaccare, adesso, con il fioretto appuntito delle sue parole.

Si alzò e gli andò incontro, mettendo le mani sulle sue spalle. Basta, aveva aspettato troppo tempo, anni persi cercando di capire il mistero Clark Kent, anni di frustrazioni e delusioni, e mai come in quel momento era stata così vicina alla verità, a capire come mai il ragazzo al quale aveva votato la sua giovinezza le sfuggiva sempre, come la sabbia scivola via dalle mani.

-Clark ti ha confidato tutto, non è vero? Si è fidato di te e… ti ha detto tutto, tutto quello che non ha mai rivelato a nessuno… che non ha mai detto a me, non è vero? Ed è per questo che tu… tu sei andato via, perché il segreto di Clark Kent è troppo pesante da sopportare, è così?-, le brillavano gli occhi.

Pete sentì il panico salire rapidamente come un’ondata e attanagliarlo alla bocca dello stomaco: Chloe non aveva il dono di far dire la verità, non più, ma sapeva che resistere alla sua richiesta disperata, dopo gli anni che aveva passato in segreto a sognare di lei, era uno sforzo così grosso che…

-Sono qua, no, Chloe? Non so cosa tu stia dicendo, ma se avessi avuto paura di Clark, pensi che sarei qui, adesso?-, afferrò lo zaino e, evitando il suo sguardo, si avviò verso la porta: doveva uscire da quella stanza, doveva scappare da quella sirena che sapeva poteva diventare Chloe, quando si rivolgeva a lui in quella maniera…

-Sei tornato perché sei un vero amico… l’ho capito, finalmente. Sei qua, adesso, perché qualsiasi cosa ti abbia detto Clark, tu senti che la vostra amicizia è più forte di qualsiasi paura-, gli mise una mano sulla spalla, lui aveva già la sua sulla maniglia della porta, per scappare di là. Si voltò verso di lei.

C’era una piccola, minuscola lacrima che lottava con le lunghe ciglia di Chloe e cercava di liberarsi. Vide che deglutiva, cercando di mantenere il suo solito contegno.

-Clark si è fidato di te… e non è mai riuscito a fidarsi di me…-, di nuovo puntò i suoi occhi chiarissimi su di lui, ma non avevano più il luccichio del predatore di informazioni, erano solo gli occhi di una ragazza delusa.

-Chloe…-, non riusciva a mentirle ancora, gli faceva male vederla così, non era giusto!

-Ti prego, Pete, dimmi la verità…-

Pete sospirò, un lungo, sospiro dolente.

-Mi dispiace, Chloe… non posso…-, abbassò lo sguardo, vinto.

Fu allora che Chloe giocò la sua ultima mossa, quella più rischiosa, che per prima pensava non avrebbe mai azzardato. E fu scacco.

-Ho visto Lilyanne Leibniz fare delle cose… cose che ritenevo potessero esistere solo nei fumetti. E’ stato quando mi ha savato la vita: ha rivelato il suo segreto pur di salvarmi e io le ho promesso che non lo avrei mai detto a nessuno-, fece una pausa, vacillò per un istante, -E ho visto Clark Kent, il nostro Clark Kent, fare qualcosa di altrettanto inimmaginabile. E’ stato quasi tre mesi fa ed è stato solo allora che ho capito tutto su di lui, sul perché volesse mantenere questo segreto. Ma ora non ne posso più. Non riesco più a dirgli tutti i giorni “Ehi Clark, come va? Hai fatto i compiti”, “Ciao Clark, anche oggi hai preso la tua solita scorciatoia per arrivare a scuola?”… io non… non ne posso più. Io la vedo la tristezza che c’è da sempre negli occhi di Clark, cosa credete? Io lo so che lui sta male per il suo segreto, perché non può mai essere se stesso! E ho capito come mai da quando c’è Lily lui è come… rinato! Ma non c’è solo lei, nella sua vita, ci sono anche io, io gli voglio bene e farei di tutto per aiutare Clark… se solo volesse essere aiutato…-, la lacrima scivolò sulla sua guancia, e i suoi occhi fermi e decisi, gli occhi della reporter Chloe Sullivan, si velarono di pianto.

Pete la guardò, riuscì a resistere per un attimo, poi si avvicinò a lei e la abbracciò stretta.

-Lo so che tu sei un’amica fidata, Chloe… lo so bene…-

La campana dell’inizio delle lezioni li interruppe.

-Forse… forse è meglio andare, ora…-, disse Chloe e Pete, sollevato, la seguì verso le aule.

Per quel giorno si sarebbe tenuto alla larga da Chloe e tutto sarebbe andato bene.

Clark aspettava Lily con la schiena appoggiata al suo armadietto, nel corridoio di quelli del terzo anno. Le lezioni della mattinata erano state noiose, come al solito, da quando c’erano altre cose ad affollare i suoi pensieri, e ogni minuto senza di lei gli pareva un minuto perso.

Tra le mani aveva il risultato del test di letteratura: non era andato bene, ma d’altronde, non si applicava più nello studio da così tanto tempo che non poteva pretendere miracoli.

Vide Lily che si avvicinava, parlottando con un ragazzo del suo anno: ridevano e sembravano scherzare in sintonia. Provò una sottile fitta di gelosia, che non avrebbe mai pensato potesse appartenergli. Strinse i denti e le sorrise, mentre lei salutava “Tommy”.

-Ciao…-, le disse appena un po’ freddo.

-Ciao, Clark!-, lo salutò lei, allungandosi per stampargli un bacio sulla guancia, prendendolo sotto braccio diretti verso l’uscita della scuola. Aveva deciso di non dare importanza ai suoi dubbi della sera precedente: erano solo le folli idee della sua mente malata di solitudine, e Clark era la sua medicina migliore. Niente altro che quello che voleva dalla sua vita.

-Lui era il tuo amico… “Tommy”, eh?-, disse senza guardarla, marcando il nome del ragazzo.

Lo afferrò per una manica e lo fece voltare, guardandolo incredula e divertita:- Clark! Che c’è? Sei per caso geloso di Tom? Che stupido che sei…!(1)[i]-, allungò una mano e gli assestò un leggerissimo pugno sulla testa, ridacchiando.

-Ma che dici? No… io non…-, aveva ragione: era stato un cretino, come al solito! Le sorrise e l’ombra che gli velava lo sguardo si dileguò subito.

-Tom è solo un amico! E invece tu sei il mio amore-, gli disse e si avvicinò per dargli un altro bacio sulla guancia, ma lui fu più veloce e conquistò la sua bocca, voltandosi e baciandola. Lily si staccò in fretta, arrossendo.

-Dai, Clark… qui davanti a tutti non…-, lui alzò appena le spalle con aria da piccola peste.

Passarono davanti al Torch, già deserto a quell’ora, e uscirono insieme.

-Che facciamo di bello?-, chiese lui, con aria vagamente sognante, seguendo con lo sguardo una rondine che volava lontana.

-Studiamo, Clark! Ho il compito di matematica giovedì e non intendo farlo male e tu… ho visto quello che hai in mano, sai! Credo che dovremmo iniziare a studiare seriamente… Se vuoi possiamo andare in biblioteca, per stare insieme…-

La guardò piegando un sopracciglio: -No, andiamo nel fienile, staremo più comodi!-, ammiccò appena, -Ti va di fare una corsa? Vediamo chi arriva prima?-

Lily lo guardò esterrefatta, poi strinse le labbra, increspò il mento e la fronte e annuì.

-D’accordo… che vuoi che ti prepari, mentre ti aspetto?-, disse in tono di sfida e sparì all’istante, correndo verso la fattoria.

Clark scosse la testa e partì dietro a lei, correndo nell’aria tiepida, sentendo il suo odore davanti a sé: era la prima volta che quella dimensione dove le cose sembravano immobili e inanimate gli parve il luogo ideale dove stare, insieme a lei. Le passò accanto, sorpassandola, e le sfiorò i capelli; Lily accelerò, passò accanto a lui e lo prese per mano: non c’era niente di strano… era come se stessero correndo normalmente, solo che erano in uno spazio solo per loro. Poi lei lo lasciò e accelerò ancora, lasciandolo indietro.

-Ehi! Sei davvero più veloce di me!-, disse Clark entrando nel fienile e trovandola seduta sul divanetto, che già aveva estratto un libro dalla borsa della scuola.

-Non pensavo che…-, era quasi deluso: per la prima volta i suoi poteri erano messi in discussione da qualcuno che era uguale a lui, ma le sorrise.

-Te l’avevo detto che ero brava, a scuola, nelle gare di corsa!-, gli sorrise e gli indicò la scrivania, -Ora siediti e… studia!-

Con fare cavalleresco, Clark la invitò ad accomodarsi lei alla scrivania, preferendo il divanetto e il baule che fungeva da tavolino, come appoggio. Poi di là, l’avrebbe potuta guardare…

Lily si fece la coda ai capelli con un elastico nero che teneva al polso, prese dalla borsa un vecchio astuccio di jeans ed estrasse le penne che le servivano. Prese dei fogli e piegò la testa, iniziando a concentrarsi sugli esercizi di trigonometria.

Clark la guardò un’ultima volta e aprì il suo libro: l’attendevano William Blake e le sue poesie visionarie…

Sia Clark che Lily non si resero conto del passare del tempo e, dopo tanti giorni, riuscirono a studiare seriamente per un’ora e mezzo abbondante, senza interruzioni, fino a quando non sentirono il rumore di passi dall’ingresso del fienile.

-Ragazzi! Vi ho portato qualcosa da mettere sotto ai denti!-, Martha aveva visto quando Clark e Lily erano arrivati e come erano arrivati ed era rimasta sconvolta dalle capacità di quella ragazza, di cui suo figlio si era così profondamente innamorato. Ora stava di fronte a lei, in piedi come fosse davanti ad un plotone militare, visibilmente agitata ed imbarazzata.

Martha le sorrise dolcemente: le ci era voluto un po’, ma, nel silenzio della sua cucina, rotto solo dal ronzio del forno dove i suoi muffin stavano cuocendo, aveva riflettuto con calma, cercando di mettere da parte lo scetticismo e sfiducia che aveva provato nei confronti di Lily e le era stato chiaro che mai prima di allora, suo figlio le era apparso così sereno.

Appoggiò i suoi “muffin della pace”, fumanti come un kalumet dei sioux e le tazze del tè sulla cassa che Clark aveva liberato e lo aveva guardato con l’espressione dolce e rassegnata di una madre che scopre che il figlio sta crescendo.

-Grazie, signora Kent…-, farfugliò Lily imbarazzata di essersi fatta trovare ancora una volta in compagnia di Clark.

-Non c’è di ché-, le rispose Martha, -Va tutto bene?-

Lily annuì e si voltò rapidamente verso Clark, come a cercare conferma della sua risposta.

-Va tutto bene, mamma, stiamo studiando degli argomenti “divertentissimi” e va tutto bene. E tu? Papà è sempre alla fiera del bestiame?-

-Mi ha appena chiamata, ha detto che non tornerà prima di stasera… temo che dovrà trattenersi fuori anche per cena… a proposito: ti fermi da noi, Lily?-

La ragazza si sentì avvolgere nuovamente dall’imbarazzo, che, come un incantesimo sottile, le faceva arrossire le guance e pronunciare frasi poco intelligenti.

-Io… oh… grazie Signora… se non sono di disturbo…-

-Ma quale disturbo?-, rispose decisa Martha, -Non mi fa che piacere cenare con… la ragazza di Clark!-, era una mamma, e guardare suo figlio arrossire come un peperone alla sua affermazione fu come ricevere un abbraccio stretto stretto dal bambino che era stato. Sorrise loro inclinando la testa, poi guardò Clark con amore.

-Vi lascio ai vostri compiti, adesso… Lily, per favore, controlla che questo pelandrone di Clark studi!-, ridiscese verso casa, più sollevata di prima e, mentre varcò la porta del fienile, ripensò alla ragazza dai lunghi capelli neri che, apparsa dal nulla, si fermava dopo una corsa alla supervelocità tra i campi.

Scosse la testa e rientrò in casa: aveva una cena da preparare…

-Clark… ma io… io mi vergogno! Cioè… chi sono io che entro in casa tua, così… santo cielo…-, addentò un muffin di Martha e lo guardò dal basso verso l’alto.

-Ehi… Lily, dai… ormai lo sanno anche i muri che noi due stiamo insieme… lo sa anche mia mamma, e allora? Così non dobbiamo fare le cose di nascosto!-, disse avvicinandosi a lei.

-Quali cose…?-, Lily smise di mangiare e alcune briciole rimasero sulle sue labbra.

-Per esempio… questo…-, Clark tolse dalle sue mani il muffin e si chinò su di lei, con gli occhi socchiusi e il sorriso provocante che aveva anche la sera del karaoke. Con un bacio strano prese le briciole che aveva sulle labbra.

-Sei così buona…-, disse senza levarle gli occhi di dosso, risentendo, dopo tantissimo tempo da quando aveva iniziato a controllarla, quella stessa scossa dentro la sua testa, dietro agli occhi, quella scossa che aveva rischiato di mandare in cenere tutto il Talon…

Chiuse gli occhi e la strinse a sé, cercando di calmarsi un istante.

-Il tuo cuore batte così forte…-, sussurrò Lily, turbata per lo stesso identico motivo di Clark, con gli occhi chiusi.

-Forse è meglio… fare merenda, Clark… e rimetterci a studiare…-, si sciolse dall’abbraccio e lo guardò di nuovo, riprendendo la calma. Lui la guardava immobile, con gli occhi grandi e profondi che perlustravano a fondo nella sua anima, come se si sentisse abbandonato, in quell’istante, abbandonato eppure così irresistbile.

Lily prese il suo volto tra le mani e si lasciò andare in quel bacio che ancora quel giorno non si erano scambiati e che entrambi desideravano fin dalla sera precedente.

Clark la trascinò giù con sé, sul divano, e continuò a baciarla e carezzare il volto, i suoi capelli, la pelle morbida del suo collo… Gli sembrava di vivere le sensazioni di un altro, in quel momento, come se si guardasse dall’esterno e sentisse forte dentro di sé la voglia di spingersi oltre, oltre quel bacio, oltre le carezze…

Il piatto dei muffin, colpito dal suo piede fu spinto per terra e si frantumò con un rumore assordante, che li bloccò all’istante, sospesi tra un bacio e l’altro, con le bocche rosse, così vicine, spalancate per lo spavento.

Si guardarono e non riuscirono a trattenere una risata dolce e liberatoria. Lily lo abbracciò e lo baciò ancora sul petto, attraverso la maglietta.

-Che casino che abbiamo fatto…!-, si chinò per raccogliere i cocci, ma prima controllò che non ci fossero schegge sui dolcetti, ne prese uno e se lo addentò, guardando Clark soddisfatta come una bambina dispettosa e anche un po’ provocante.

Poi ne prese un altro e, prima che lui potesse dire qualcosa, lo portò alle sue labbra e glielo infilò in bocca.

-Così stai un po’ in silenzio! Dai, ripuliamo questo disastro e rimettiamoci a studiare…-

Ridacchiarono entrambi, poi, in un istante, Clark sparì e, con lui, i resti del piatto rotto e dei muffin di Martha Kent. Tutto era di nuovo in ordine, quando riapparve un istante dopo seduto sul divano, con un pasticcino in mano e l’altro che stava masticando allegramente.

-Però! Ho proprio bisogno di qualcuno che venga a fare le pulizie in casa, Clark… se ti pagassi ad ore, veloce come sei, non mi costeresti nulla!-, si sedette alla scrivania e riprese a sfogliare i quaderni con gli appunti.

Lo stesso fece Clark

Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?

And what shoulder and what art
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand and what dread feet?

What the hammer? what the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?

When the stars threw down their spears,
And water'd heaven with their tears,
Did He smile His work to see?
Did He who made the lamb make thee?

Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry? [ii](2)

Era così difficile concentrarsi dopo quello che c’era stato tra loro… ogni volta era come la prima volta e i loro cuori continuavano a battere all’impazzata per minuti e minuti, ricercando la quiete.

E se la poesia di Blake che Clark stava leggendo lo aveva conquistato e catapultato in un mondo parallelo, dove si sentiva lui la tigre immortale dagli occhi di fuoco, gli esercizi di trigonometria, con i quali stava litigando, non affascinavano affatto Lily, che cercava ogni piccola distrazione per aggrapparcisi e scappare con i pensieri che ancora palpitavano di lui.

Fece la punta alla matita, con un appunta lapis da tavolo mezzo arrugginito che aveva Clark , poi, sbuffando appena, continuò a curiosare tra la cancelleria del ragazzo, finché la sua attenzione non fu colpita da una scatolina di metallo massiccio, abbandonata in un angolo della scrivania.

-Posso vedere che c’è qua, Clark?-, domandò, voltandosi verso di lui.

-Mmm mmm…-, rispose lui senza guardarla o ascoltare la sua domanda, rapito dalle parole di Blake, che ronzavano nella sua testa come un incantesimo.

Lily, alzò le sopracciglia, poi tornò alla scatolina e l’aprì.

Un rantolo soffocato e l’ultima aria sfuggì ai suoi polmoni, che non rispondevano più perché il cuore non riusciva a spingere il sangue che stava diventando denso, duro come pietra: era come se nelle vene avesse spilli appuntiti e si stesse distruggendo dal suo interno.

Sentì un colpo alla testa e capì a mala pena di essere caduta per terra. Un attimo prima che i suoi occhi cessassero di vedere, la sagoma di Clark apparve su di lei, per un istante, poi lo vide accasciarsi al suolo, vicino a lei. Il dolore ebbe la meglio sui suoi sensi e tutto divenne nero…

-Clark?-, Lionel non ebbe risposta. Era stata Martha a dirgli che lo avrebbe trovato nel fienile, sebbene il suo sguardo avesse lasciato trasparire che non si fidava di lui, neanche dopo che le aveva detto che doveva assolutamente parlare con suo figlio, perché era in pericolo e doveva metterlo in guardia da qualcosa.

-Clark, posso entrare?-, domandò ancora entrando nel fienile e vedendo, in alto, una luce verdastra, segno che il posto non era deserto.

Pensò che il ragazzo non lo avesse sentito perché aveva nelle orecchie uno di quei diabolici lettori mp3 che piacevano tanto ai giovani, così salì gli scalini di legno, per farsi vedere da lui.

Quello che vide lo lasciò per un istante di stucco, fermo e con la bocca spalancata.

C’era una pietra, per terra, una piccola pietra che mandava luminosissimi bagliori verdi, come se stesse prendendo energia da qualcosa. Accanto ad essa, privi di sensi, giacevano Clark e quella ragazza dai capelli lunghi, immobili: sembrava che non riuscissero a respirare, che fossero morti.

Subito si chinò su di loro, scuotendoli, chiamandoli per nome, cercando di tirarli su, facendo loro appoggiare la schiena al divano, perché non soffocassero stando distesi. Erano totalmente assenti, la loro pelle stava assumendo un colorito bluastro… stavano male… non era riuscito ad arrivare in tempo per fermare Lex, maledizione!

-Clark! Clark, svegliati, figliolo!-, sentiva la sua voce agitata mentre cercava di risvegliare il ragazzo, scuotendolo per le spalle.

-Lilyanne! Oh santo cielo! Lilyanne! Clark!-, non si muovevano, sembravano morti… ormai era tutto inutile…

-Martha! Martha!- urlò disperato affacciandosi alla finestra. La vide guardare in alto, verso di lui, impallidire e correre veloce verso il fienile.

-Che è successo? Lionel!-, sentiva i suoi passi sugli scalini, dietro a lei.

-Martha… i ragazzi…-, la guardò impotente, con gli occhi rossi e le mani aperte, in segno di resa contro un evento più potente di lui.

-Santo Dio Lionel! Butta via quella pietra!-, le urlò la donna accorrendo e gettandosi nella sua stessa direzione.

Lionel afferrò quella strana pietra verde e sentì che scottava. Corse di nuovo alla finestra del fienile e la scagliò lontano. L’aveva visto bene: era un pezzo di meteorite verde… ma di solito non emettevano luce né erano così caldi!

Si voltò e vide Martha al capezzale di Clark e Lily che, lentamente, si stavano riprendendo, una volta allontanata da loro quel frammento del cielo.

Il loro incarnato era di nuovo del colore normale e i due ragazzi riuscivano a respirare, sebbene ancora a fatica.

Si chinò e li aiutò ad alzarsi, facendo sedere la ragazza e aiutando Martha con Clark.

Lily aveva un’espressione terrorizzata, respirava affannata tenendo ancora gli occhi sgranati rivolti verso tutti loro, tremava visibilmente e, forse senza neanche rendersene conto, cercava la mano di Clark, con la sua.

-E’ tutto finito, cara… tutto finito…-, le disse Martha, estraendo dalla tasca un fazzoletto di bucato e tamponandole le gocce di sudore ghiacciato che le scivolavano dalla fronte, tenendola stretta, perché non svenisse di nuovo.

-E’ tutto finito… Calma, tesoro… calma…-, era l’abbraccio di una mamma, quello, e Lily lo riconobbe e iniziò a singhiozzare, sfogando il terrore che aveva dentro, voltandosi verso il suo petto e bagnando con le sue lacrime la maglia di Martha.

Lionel, chino su Clark, lo guardava esterrefatto: anche il ragazzo si stava riprendendo, anche lui cercava la mano di Lilyanne, il suo respiro era già tornato quasi alla normalità.

Clark incrociò lo sguardo di Lionel e non disse niente, ma si appoggiò a lui, per tirarsi su, e qualcosa dentro di sé gli fece capire che non era lì come nemico, ma solo per aiutarlo davvero.

-Grazie…-, disse soltanto, e si dedicò a Lilyanne, lasciando che sua madre si alzasse e pensasse a come liquidare Lionel.

-E’ successo di nuovo… Clark… è successo di nuovo!-, ripeteva piano Lily, con voce spezzata.

Clark si abbassò su di lei e le prese la mano, portandola alle sue labbra e baciandola.

Le sorrise sollevato: tutto sarebbe andato bene.

Ora aveva le risposte che cercava.



[i] (1) Ah Ah Ah!!! Concedetemi questa ghignata!!!!

[ii] (2) Tiger, di William Blake. Secondo me è una poesia che si adatta perfettamente bene alla natura di Clark, al suo essere venuto dalle stelle, da lontano; alla materia misteriosa del suo corpo, alla forza dei suoi pensieri…

La tigre

Tigre, Tigre, fiamma iridescente

nelle foreste della notte,

quale immortale occhio o mano

ha potuto forgiare la tua paurosa perfezione?

In quali abissi o cieli lontani

bruciò il fuoco dei tuoi occhi?

Su quali ali osa levarsi?

Quale mano osa afferrare il fuoco?

E quale braccio, e quale arte,

poté piegare i nervi del tuo cuore?

E quando il tuo cuore cominciò a battere,

quale orribile mano e quali orribili piedi?

Quale il martello? quale la catena,

in quale fornace scaturì il tuo cervello?

Quale l’incudine? quale orribile stretta

osò stringere i suoi funesti terrori?

Quando le stelle scagliarono le loro lance

e bagnarono di lacrime il cielo,

lui sorrise vedendo il suo lavoro?

Chi creò l’Agnello creò anche te?

Tigre, Tigre, fiamma iridescente

nelle foreste della notte,

quale immortale occhio o mano

ha osato forgiare la tua paurosa perfezione?

(traduzione a cura di Roberto Marchi, fonte: http://www.ilfoglioclandestino.it/11%20-%20blake.htm)

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Domande ***


Illusione

Capitolo 19 – Domande

Le prime nuvole sfilacciate iniziavano a mutare dal bianco al rosa, mentre in alto il cielo si tingeva di un azzurro più intenso, che preludeva alla sera. Nel fienile, ormai vuoto, un soffio di vento agitò i fogli del libro di letteratura di Clark, abbandonato sul divano e asciugò ogni traccia delle lacrime versate da Lilyanne sulle assi di legno del pavimento. Martha e Lionel li avevano aiutati a scendere dal loft e ad arrivare fino in casa, dove erano stati fatti accomodare sul divano, coperti con alcuni plaid caldi, in attesa di altro tè.

Lily e Clark si guardavano in silenzio, non sapendo come iniziare un qualsiasi discorso che, ormai, assumeva un sapore totalmente diverso tra loro.

Nei suoi occhi, Lily portava impresso il terrore appena provato, lo sbigottimento di aver rinnovato, dopo così tanto tempo, sensazioni che pensava di aver dimenticato, ma che la sua carne - ora lo sapeva – non avrebbe mai rimosso. Guardava Clark e solo allora riusciva a capire quanto fosse vera ogni singola parola che il ragazzo le aveva detto da quando si erano conosciuti: per un po’ aveva pensato che mentisse, dicendole che anche lui aveva provato lo stesso dolore quando era stato a contatto con una roccia meteoritica, ma poi lo aveva visto agonizzare accanto a lei, solo pochi minuti prima, soffrire e tenderle la mano, per darle conforto e per cercare il suo. Aveva visto le vene della sua mano scurirsi e ingrossarsi, proprio come era accaduto a lei, e aveva sentito, per un attimo, i loro corpi unirsi in un qualcosa che trascendeva le loro essenze terrene.

La sua mano piccola e gelida trovava conforto, stretta tra le sue, che le portavano quel calore che disperava di poter più provare.

Lionel, da un angolo tra il salotto e la cucina, li guardava attonito e silenzioso, non riuscendo a capacitarsi di quello a cui aveva assistito, ignorando totalmente le parole affannate di Martha, che cercava giustificazioni improbabili all’accaduto, ripetendogli che qualcosa nei muffin che aveva preparato per merenda doveva essere avariato, che era per quello che si erano sentiti male i “suoi ragazzi”, che non c’era più motivo perché lui si preoccupasse e rimanesse lì, con “tutte le cose che aveva sicuramente da fare!”

-Martha, ho visto con i miei occhi quella ragazza e tuo figlio che avevano smesso di respirare e, a meno che tu non abbia preparato per loro dei dolcetti al cianuro, credo che quello che hanno mangiato non c’entrasse assolutamente niente con la loro condizione…-, le disse Lionel piano, avvicinandosi a lei, senza farsi sentire dai ragazzi.

Martha lo guardò con espressione persa, per un istante, poi la sua mente inventò altre scuse, altri appigli…

-Allora… allora deve essere stato qualcosa che…-

-Martha! Quella ragazza aveva un taglio profondo sulla fronte, quando sono salito nel fienile! E ora quel taglio non c’è più: si è richiuso sotto i miei occhi mentre stava riprendendo colore… dopo che mi hai detto di allontanare quella pietra…-

Martha impallidì e non seppe trovare parole per giustificare quello che Lionel aveva visto: non era mai stato così difficile nascondere la verità, se Jonathan era vicino a lei, ma era da sola, in quel momento. Solo lei, Lionel e l’orrore per quello che poteva accadere. Deglutì e abbassò lo sguardo, distraendosi cercando delle tazze pulite.

-Martha! Cos’è successo dentro quel fienile? Cos’avevano Clark e Lilyanne?-, si era avvicinato a lei e l’aveva presa delicatamente per un braccio, facendola voltare, facendole accelerare il cuore, forse per la paura, forse per vecchi ricordi sopiti che in quell’attimo tornarono alla sua memoria.

Rimase in silenzio, con la schiena poggiata al frigorifero, fissando i suoi occhi in quelli dell’uomo che aveva appena salvato suo figlio.

Un rumore e la porta sul retro si aprì. Lois, stracarica di pacchetti della spesa, apparve in cucina.

-Che cosa sta facendo alla signora Kent?-, ringhiò a Lionel Luthor vedendo che stava trattenendo la sua mamma preferita attaccata al frigo e spaventandola.

Poggiò i pacchetti sul tavolo e si avvicinò a Lionel, che aveva lasciato la sua presa.

-Che sta succedendo qui?-, disse voltandosi e vedendo in salotto Clark e Lily imbacuccati nelle coperte e pallidi.

-Miss Lane! Le posso spiegare che…-

-Se non ricordo male, l’ultima volta che ci siamo incontrati, signor Luthor, lei indossava una tutina arancione e mi minacciava da dietro le sbarre di una cella di isolamento! Lei ha fatto saltare in aria la casa dove si era rifugiata mia cugina Chloe, perché aveva scavato troppo nella melma del suo passato: questa non è casa mia, ma ora la invito caldamente ad uscire da questa casa e a non mettervi più piede, sono stata chiara?-, Martha non aveva mai visto Lois così arrabbiata e ferma nelle sue parole, né aveva mai scorto quell’espressione smarrita sul volto fiero di Lionel. Lo vide abbassare lo sguardo e prendere aria, senza risponderle a tono, come tutti i presenti nella stanza si aspettavano che avrebbe fatto. Si voltò e, salutando con un cenno della testa Martha, Clark e Lily, che erano apparsi all’ingresso della cucina, uscì di casa richiudendo la porta e la zanzariera alle sue spalle.

Lionel alzò le sopracciglia, fece qualche passo inspirando l’aria frizzante della sera, alzò gli occhi verso la grande finestra del fienile e si diresse verso la strada, dove la sua limousine lo attendeva ormai da molto tempo. Poi si arrestò un attimo, richiamato da qualcosa che luccicava nella polvere davanti al granaio. Fece qualche passo e si chinò: il frammento di pietra verde giaceva per terra, privo della luce e del calore che aveva avuto solo poche ore prima. Lo strinse tra le sue mani e sorrise appena. Si alzò e, infilando la pietra nella tasca del suo cappotto di cashmere nero, pensò che era riuscito a collocare una tessera in più nel puzzle che stava cercando di ricostruire della vita di Clark Kent e Lilyanne Leibniz.

Domanda no. 1

Chi è Clark Kent e da dove viene?

Lois si avvicinò a Martha e le mise una mano sulla spalla, guardandola preoccupata, poi si voltò verso Clark e strinse appena gli occhi: non lo aveva mai visto così stanco. Anche Lily, accanto a lui, aveva l’espressione sconvolta.

-Va tutto bene, Signora Kent?-, chiese con calma, poi si voltò verso Clark, sgomenta, minacciosa come una leonessa ferita, -Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo in questa casa?-

Vide i tre palleggiarsi con lo sguardo la risposta che cercava, e, quando tutti e tre aprirono bocca in contemporanea, capì che non avrebbe mai saputo la versione ufficiale dei fatti.

-Sono caduta dalle scale…-

-Ci eravamo persi nei campi…-

-Lionel era qua per riscuotere un prestito…-

Martha, Clark e Lily si guardarono nuovamente con occhi diversi e sgranati, Lois osservò tutti e tre e si voltò, inspirando lentamente.

-Spero che non me ne vorrete se ho scacciato Lionel Luthor dalla vostra casa… ma visto che avete tutti le idee un po’ confuse, perdonatemi, tolgo il disturbo e vado a farmi una doccia, che sono stanca e sudata, dopo la coda al supermercato. Sono sicura che quando tornerò giù vi sarete messi d’accordo su quello che è successo…-, sfilò davanti a loro guardandoli uno ad uno con occhio indagatore e salì al piano di sopra. Quando fu udibile il rumore dell’acqua che scrosciava nella doccia, tutti e tre ripresero fiato e si sedettero intorno al tavolo di cucina, cercando di capire cosa fosse davvero successo.

Martha, sempre preoccupata per le condizioni del figlio e della sua ragazza, domandò subito loro come stessero: anche lei non aveva mai visto Clark accusare così tanto gli effetti del meteorite verde.

-E’ stata dura, mamma…-, rispose semplicemente il ragazzo, -Non pensavo che potesse farmi così male… non era mai stato così forte…-

Sulla fronte di Lily c’era una grossa macchia di sangue: ora che Lionel era andato via, Martha si alzò e prese un panno umido, per medicare la ragazza. Vinse la sua reticenza e la fece accomodare alla luce, iniziando a ripulire la ferita, ma subito si accorse che Lionel aveva ragione.

Spalancò lentamente la bocca e poi abbassò lo sguardo sugli occhi di Lily.

-Cosa c’è, signora Kent… perché mi sta guardando così? Cosa…?-

-La ferita, Lily… non c’è più…-, rispose Martha, passando un’ultima volta il panno sulla pelle intatta della ragazza.

-Signora… forse c’è qualcosa che dovrebbe sapere su di me…-, disse Lily lanciando un’occhiata disperata verso Clark e sperando che Martha non iniziasse ad urlare sconvolta da quello che le stava per dire.

-… è vero che sai anche volare?-, le domandò invece Martha, con voce tremante, guardandola come se fosse una figlia che fa la sua apparizione in chiesa vestita da sposa, con il cuore che le batteva forte, perché solo allora le tornavano in mente le parole di Clark e l’emozione nei suoi occhi, quando le parlava di Lily, solo la sera prima.

Domanda no. 2

Clark Kent è un ragazzo diverso dagli altri? Quali sono le sue abilità?

Lilyanne sgranò gli occhi non aspettandosi una domanda del genere e, di nuovo, cercò aiuto voltandosi verso Clark, che si avvicinò a lei e la abbracciò, tenendole il capo la sua testa stretto su di lui.

-Mamma, Lily è troppo agitata per rispondere a domande così dirette… forse è meglio capire prima come mai quel pezzo di kryptonite ha agito in modo così diverso dalle altre volte…-

-Kryptonite?-, chiese Lily staccandosi da Clark.

-Sì… insomma, il meteorite… lo… chiamiamo così…-, rispose Clark accorgendosi di aver accelerato i tempi, poi riprese, - Tra pochi minuti Lois sarà di nuovo in giro e non possiamo assolutamente permettere che sappia qualcosa di quello che è successo… Mamma, dov’è il meteorite, ora?-

Martha impallidì: -Lionel… è stato lui a scagliarlo lontano…-

-Lionel quindi ha capito che…-

-Non so se ha capito quello che può fare su di te… su di voi… il meteorite, ma di certo ha visto un piccolo frammento di pietra illuminarsi e lampeggiare!-

-Lampeggiare?-, Clark era sconvolto: non solo non capiva come fosse accaduta una cosa simile, ma soprattutto non ricordava nulla di tutto ciò, segno che quella volta aveva perso i sensi…

-Sì… era come se… -

-Come se la pietra risucchiasse tutte le nostre energie, signora Kent?-, Clark e Martha guardarono Lilyanne stupiti dalle sue parole, che sembravano essere le uniche adatte per spiegare quello che era accaduto. Poi riprese.

-Greg… Greg era un mio… amico, signora Kent, una volta mi salvò dagli effetti di una pietra… disse che era come se stesse succhiando via la vita dal mio corpo… ma non parlò di luce o calore…-, abbassò lo sguardo e sentì una piccola fitta nel suo cuore: Greg era un amico, solo un amico, l’amico più caro che avesse avuto, l’unico che le avesse rubato il cuore. Fino ad allora.

-Se fosse così, allora si spiega come mai perdo i miei poteri quando sono a contatto con la kr.. con il meteorite: forse l’effetto è stato più forte, come se avesse più energia a cui attingere e accrescesse la sua forza rubandola a noi, proprio perché eravamo in due… -

Lily si alzò in piedi, lasciando che la coperta scivolasse per terra. Puntò le mani sul tavolo e si allungò verso madre e figlio. La sua espressione era decisa, ma le sue labbra tremavano.

-Due cosa? Noi due siamo uguali, Clark, sei tu a dirlo. Lo hai detto anche a tua madre, a quanto ho capito, ma non mi hai ancora detto cosa siamo. Siamo dei mostri? Degli esperimenti venuti male? Siamo due aberrazioni cromosomiche viventi oppure siamo… siamo stati contagiati da questi stessi meteoriti, come diceva Chloe? Cosa siamo io e te, Clark?-

In alto, dalle scale, riapparve Lois: indossava dei pantaloni blu di una tuta, una felpa rossa e si tamponava i capelli con un asciugamano.

Passò di nuovo davanti a loro tre, che la guardarono senza parlare, e aprì la porta del frigorifero, per prendere del succo di arancia.

-Continuate pure a parlare!-, disse in tono ironico, -Mi pare di aver interrotto qualcosa di importante…-, lanciò un sorrisino a Lily e strizzò l’occhio a Clark.

-Mrs K, forse è meglio lasciarli da soli, questi due piccioncini imbranati, che ne dice?-, passò accanto a Martha e la guardò con veemenza, invitandola ad uscire in veranda, per assaporare gli ultimi raggi di sole rosso.

Domanda no.3

Che relazione c’è tra Clark Kent e il siero sperimentale “Lazzaro” prodotto nel Livello 3?

-Clark, aspetto una risposta…-, Lily non si era scomposta per l’apparizione di Lois e continuava a investire Clark con la forza del suo sguardo violetto.

Lui deglutì: non era ancora pronta per la verità che doveva conoscere…

-No… non è ancora il momento…-

-Che significa che non è ancora il momento? E’ una vita intera che la gente vuole dirmi cosa fare e cosa non fare, che mi nascondo dietro questa maschera da ragazzina per bene! Io non ne posso più! Non posso pensare che anche tu mi stai tenendo altri segreti! Basta, Clark, io pretendo che tu mi risponda, adesso!-

Clark si avvicinò a lei e la abbracciò, ma Lily si divincolò e non gli permise di toccarla.

-Lily ti amo e non voglio perderti, ma questo non è il momento per parlare di queste cose. C’è Lois fuori e non deve assolutamente sentire o essere nei paraggi…-

-Ma cosa diavolo mi devi dire di così difficile, Clark? Non capisci che io vivo nell’angoscia di quello che posso scoprire su di me? Cavolo… so volare, Clark! Non credo che sia “normale”! Le mie ferite si curano da sole, sul mio collo c’è lo stesso simbolo delle grotte…e poi tu… Clark… io non posso più aspettare… ti prego…-

Clark deglutì e si avvicinò a lei, le prese le mani e la guardò negli occhi. Dipendeva tutto da quel momento, dalla sua reazione…

-Io e te, Lily, siamo…-

Una chiamata sul cellulare che teneva nei jeans fece sobbalzare Clark, che lasciò le mani di Lily e immediatamente lo tirò fuori dalla tasca, guardando prima lui, poi Lily, sorridendo imbarazzato, sollevato, colpevole, preoccupato.

-… è Pete…-, disse candido a Lily.

Lei sosprirò, scosse la testa e si sedette. Rassegnata. Non era destino sapere quella sera cosa diavolo fossero lei e il ragazzo che desiderava così ardentemente…

Clark si allontanò appena e rispose al telefono, ascoltando le parole concitate di Pete. Quando chiuse la comunicazione il suo sguardo era agitato.

-Che è successo?-, domandò Lily vedendo la sua espressione.

-Chloe… E’ scoppiato un incendio nella scuola e Chloe era ancora lì ad impaginare il giornale per domani… Lily, perdonami, devo andare…-, si voltò verso l’ingresso principale di casa, per uscire senza che Lois si accorgesse di lui, quando sentì un lieve tocco sulla sua spalla.

-Vengo con te…-, gli disse Lily, ed insieme schizzarono via dalla fattoria alla supervelocità, diretti al liceo di Smallville.

Domanda no.4

Chi è Lilyanne Leibniz? Come sono morti, realemente i suoi genitori?

***

Le dolci note di Chopin suonate al pianoforte a coda da Yoko Mitsuni, chiamata per l’occasione dalla Filarmonica di New York, rendevano l’atmosfera nel salone del Castello dei Luthor quasi rarefatta, magica. Le delicate tartine al caviale e quelle al tartufo venivano consumate con elegante velocità dalla ventina di invitati al piccolo party che Lex aveva organizzato per festeggiare un importante contratto commerciale andato a buon fine. Venti persone riunite alla sua mensa, venti testimoni della sua raffinata innocenza.

Il cellulare cromato vibrò nella tasca interna della sua giacca di Armani.

Lex si diresse con calma verso la terrazza che dava sul retro del parco dispensando sorrisi ospitali ai presenti e rispose. Una voce distorta da un dispositivo elettronico parlò.

-La torcia è stata accesa e il pacco ritirato, come mi avevi chiesto-

Mentre riponeva il telefono al suo posto nella tasca, un diabolico sorriso obliquo si dipinse sul volto sbarbato di Lex. Passò una mano sulla sua testa lucida e rientrò nella sala, prendendo al volo una flute di champagne e riprendendo la sua conversazione in tedesco.

***

Domanda no.5

Che legame c’è tra Clark Kent e Lilyanne Leibniz? Cos’hanno in comune tra loro?

Pete era passato dalla scuola per cercare di chiarire con Chloe quello che lei voleva sapere circa Clark: le avrebbe detto che Clark le voleva così tanto bene, che teneva così tanto a lei che non l’avrebbe mai messa in pericolo raccontandole qualcosa che voleva che rimanesse nascosta. Le avrebbe mentito, dicendole che lui sapeva solo una parte della verità su Clark, e che l’aveva scoperta per caso, spiandolo una volta al secondo anno.

Aveva trovato l’ingresso sbarrato dai pompieri che cercavano di spegnere un violento incendio divampato nella palestra del Liceo e che stava estendendosi verso i laboratori del primo piano e la sede del Torch.

Aveva provato ad urlare loro che c’era qualcuno dentro, ma non era stato creduto: a quell’ora la scuola era vuota e le porte di ingresso erano chiuse a chiave e gli allarmi inseriti. Ma lui sapeva che Chloe era là dentro, e che era in pericolo.

Clark fermò la loro corsa poco distante, per evitare che i vigili del fuoco li vedessero, poi si avvicinò verso il suo amico Pete, seguito da Lily, che era rimasta un poco in disparte.

-Clark! Chloe mi voleva vedere… lei sta facendo troppo domande su di te… ha capito che io so tutto… ne sono certo: è là dentro..-

Quando Pete vide che Clark non era solo, rimase per un istante basito.

-Pete… Lily… mi aiuterà-, disse Clark e Lily gli sorrise visibilmente eccitata dall’idea di potersi rendere utile.

Pete vide Clark e Lily dividersi i compiti. Era come stare in un cartone animato, o in un film hollywoodiano sui supereroi della Marvel [i] (1): Clark guardò all’interno della scuola con la sua vista a raggi X, mentre Lily, poco distante, prese aria e con un soffio potentissimo allontanò le fiamme dall’ingresso della scuola, lasciando basiti i pompieri che si affrettarono ad aprire per fare irruzione nei corridoi e arrivare là dove l’incendio traeva forza.

Immediatamente dopo entrambi i ragazzi scomparvero come razzi dentro l’edificio, lasciando Pete da solo nel parcheggio, ad osservare la scena.

-Potevate lasciarmi almeno dei pop-corn!-, disse tra sé, sollevato, sapendo che adesso sarebbe andato tutto a posto.

Nell’edificio il fumo denso e acre nascondeva alla vista ogni cosa e faceva lacrimare gli occhi.

-Vai, Lily!-, disse Clark, e, come quella volta nel rifugio anti tempesta, la sua ragazza soffiò così forte da dileguare la cappa fumosa che li rallentava.

Corsero ancora fino al Torch e, con la sua vista speciale, Clark vide una persona per terra, nella stanza. Si affrettò a buttare giù la porta e Chloe, apparentemente senza vita, apparve ai loro occhi, distesa per terra, sporca di fumo e immobile.

Clark la prese in braccio e seguì Lily fuori dall’edificio, mentre lei gli apriva la strada.

Una trave del solaio del piano di sopra, ormai distrutta, crollò sopra le loro teste, ma la ragazza fu più veloce e riuscì a fermarla con le sue mani, guardando Clark attonita per quelle cose che non avrebbe mai pensato di saper fare.

Quando furono fuori, Pete corse subito nella loro direzione, mentre gli altri soccorritori, non accorgendosi di loro, stavano prendendo le pompe per bloccare le fiamme nella palestra e al piano terra.

Chloe, distesa per terra, aprì gli occhi lentamente, poi fu squassata da violenti colpi di tosse e li richiuse, cercò un appiglio per tirarsi un po’ su: trovò le mani forti di Clark che la sorressero e le riconobbe, le mani che tante volte l’avevano salvata dal pericolo.

Si sollevò, con gli occhi gonfi di lacrime per lo spavento ed il fumo e fu assalita da Pete, che la abbracciò stretta, così sollevato per il pericolo che la sua adorata amica aveva corso.

Chloe si aggrappò a lui per alzarsi in piedi e vide davanti a sé Clark e Lily, entrambi con i vestiti laceri e bruciati in più punti, e i volti sporchi di fuliggine.

Allungò una mano verso il viso del suo antico amore e gli fece una carezza, sorridendogli grata, poi guardò Lily.

-Mi avete salvata ancora una volta… grazie…-

Clark abbassò lo sguardo, si voltò verso Pete e verso Lily e scosse la testa.

Non era più giusto che Chloe non sapesse nulla di lui: le avrebbe parlato, ma non con Lily presente.

Non avrebbe saputo così la verità su se stessa.

Domanda no.6

Cosa sta cercando da Lilyanne Leibniz e da Clark Kent? E’ vero quello che Robert Greedy dice su di loro?

Pete si occupò di portare Chloe al pronto soccorso per una rapida visita di controllo. Lei si accertò che Clark non dicesse nulla dell’accaduto a Lois: l’ultima volta sua cugina si era preoccupata troppo e non voleva che accadesse di nuovo.

Quando Clark l’abbracciò, salutandola prima che l’auto di Pete partisse verso lo Smallville General Hospital, lei lo ringraziò ancora. Nella sua voce delle sfumature che non aveva mai sentito. Clark si avvicinò al suo orecchio e le bisbiglio le parole che da troppo tempo lei voleva sentire.

-Chloe, ti giuro che domani io e te parleremo… non torturare più Pete… penso che sia arrivato il momento che tu sappia tutto, ma voglio essere io a dirtelo…-

Attese che la vecchia Mustang sparisse dietro una curva e si voltò verso Lily. Era esausto e pregò che almeno lei non ritornasse all’attacco con le sue domande.

Lily lo guardava con occhioni increduli per quello che era successo: i suoi abiti erano rovinati ed i capelli tutti arruffati. Aveva una macchia di fuliggine sul naso… era così bella.

Si avvicinò strappandosi un lembo ancora intatto della maglietta blu e lo passò delicatamente sul suo volto per pulirla.

Lily prese la sua mano e lo fermò.

-Io vorrei… andare a casa-, gli fece capire che preferiva andare da sola. Prima di sparire si voltò di nuovo verso di lui.

-Ho capito cosa siamo io e te, Clark e per ora mi basta questo…-, gli disse, e vide che lui stringeva gli occhi cercando di capire cosa intendesse.

Si voltò e iniziò a camminare lentamente verso casa sua.

-… siamo una squadra…-, disse ad alta voce quando fu più lontana e, senza aver bisogno di guardarla in volto, Clark seppe che stava sorridendo.

Domanda no.7

Che relazione c’è tra Clark Kent e le grotte di Cowichan? E cosa sa il Dottor Virgil Swann su Clark Kent?

Clark rientrò in casa cercando di fare più piano che poté.

Sedute a tavola, in cucina, sua madre e Lois avevano entrambe la faccia scura. Quando lo videro arrivare, Lois fu la prima a scattare in piedi, imbufalita.

-Devi essere proprio stupido, Smallville, a scappare così da casa lasciando il tuo telefono in cucina! Ti abbiamo cercato per un’ora!-

-Dov’eri, Clark… e dov’è Lilyanne? Cos’è successo? Perché ve ne siete andati via…-

-Tua madre era preoccupatissima per te! Possibile che non ti importi di quello che fai passare a chi ti vuole bene?-

-Ehi ehi ehi! Calmatevi tutte e due! Va tutto bene! Io ho… solo riportato Lily a casa…-

-E con quale mezzo di trasporto lo avresti fatto? Hai preso una coppia di buoi e li hai legati ad un carretto?-, Lois era fuori di sé, come se cercasse di sfogare la sua rabbia. Era dal pomeriggio che c’era qualcosa di strano anche in lei, ma Clark era troppo stanco per cercare di capire cosa fosse.

-No, l’ho messa in spalla e ho camminato!-, le rispose sarcastico, poi scosse la testa, lanciò uno sguardo più eloquente di mille scuse a sua mamma, e salì verso la sua camera, senza cenare.

-Ci dormo io, là…-, protestò Lois dal basso.

-Non stanotte…-, rispose Clark salendo, senza voltarsi.

Lois lo fissò mentre spariva al piano di sopra con occhi sgranati, poi si voltò vero Martha Kent e le sorrise imbarazzata.

-Avrei bisogno di parlare con lei, Signora Kent…-, disse abbassando gli occhi.

Domanda no.8

Cosa sa Clark Kent delle tre pietre che portano al segreto della conoscenza?

Quando Jonathan rientrò in casa fu sorpreso di trovare un biglietto per lui, scritto da Martha, appiccicato sulla porta del frigo. Tutta la casa già dormiva.

Lo lesse e aggrottò le sopracciglia, poi fece qualche passo verso il salotto e vide che sul divano c’era una coperta pulita, il suo cuscino e il suo pigiama che Martha gli aveva regalato a Natale. Per terra, le sue pantofole e, sul tavolino, le sue pillole per il cuore, accanto ad un bicchier d’acqua. Clark non era lì.

Per la prima volta da quando viveva in quella fattoria, Jonathan Kent era stato esiliato a dormire in salotto.

“E’ stata una giornata complicata…”, gli aveva scritto sul foglio Martha, ma non aveva specificato come mai nel suo letto, al suo posto, quella sera ci fosse Lois, e come mai Clark era tornato in camera sua…

Prese le pillole, sfilò gli scarponcini e si sedette sul divano, rassegnato.

La pendola davanti a lui rintoccò annunciando che erano già le undici di notte.

Domanda no.9

Quali sono i punti deboli di Clark Kent, e cosa nasconde la sua famiglia?

***

Stavano servendo alcune fette di Sacher Torte, quando la porta del salone del Castello dei Luthor si aprì violentemente, lasciando tutti esterrefatti.

Un uomo con una felpa scura con il cappuccio irruppe nella stanza tenendo una mano premuta contro la testa.

La sicurezza lo seguì immediatamente, cercando di bloccarlo.

Parlava a malapena, urlava dal dolore alle tempie.

-Che mi hai fatto?? Che mi sta succedendo??-

Lex si avvicinò all’intruso, scusandosi con i presenti. Fece appena in tempo a cogliere nei suoi occhi un barlume di terrore, che questi cadde a terra con un tonfo sordo, immobile.

Lex scoprì il suo volto, allontanando il cappuccio, fece un cenno alle guardie di chiamare un’ambulanza e tastò la giugulare dell’uomo.

Il maggiore Michael Sawyer era morto.

Proprio come aveva previsto.

Fece in modo che le sue guardie rimuovessero il più rapidamente possibile il corpo e ritornò tra i suoi ospiti stranieri, che non avevano compreso molto di quello che era accaduto e che non trovarono difficile riempire nuovamente i loro calici di champagne e tornare a parlare d’affari.

Alla polizia che giunse poco dopo, Lex raccontò che non sapeva chi fosse quel pazzo visionario e che non era stato possibile tentare alcuna operazione di soccorso su di lui,che doveva essere stato colto da arresto cardiaco. Non aveva documenti con sé, così fu archiviato come uno degli svariati clochard che sovente irrompevano nelle ville dei ricchi, sperando di brillare della loro luce riflessa.

Gli ospiti confermarono la sua versione e che lui era sempre stato assieme a loro, dal tardo pomeriggio.

Li salutò con cordialità quando lasciarono la sua villa sulle loro auto di lusso e si chiuse nel suo studio.

Sulla sua scrivania, accanto al suo computer portatile, c’era già un pacco con su scritto “Dati personali – Top Secret”

Estrasse il dvd che aspettava e lo mise il disco nel pc, abbassò le luci nella stanza e serrò le porte usando i comandi della consolle che aveva vicino a sé.

Sullo schermo, dopo un disturbo iniziale, apparve il volto bendato di suo padre.

Lex sorrise soddisfatto e si mise comodo sulla sua poltrona di pelle…

Domanda no.10

Può davvero la roccia meteoritica uccidere Clark Kent?



[i] (1) Ih ih ih! Citazione scorretta? Forse… :-P

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Risposta ***


Cap 20 – Risposte

La luce entrava prepotente dalle finestre, inondando tutta la stanza. Lionel aprì lentamente gli occhi, feriti dai raggi del sole, una fitta più forte alle tempie lo fece sobbalzare: non ricordava il momento in cui era rientrato in casa… si era tolto il cappotto, la giacca, le scarpe e aveva allentato la camicia, ma non ricordava di averlo fatto. Si sollevò mettendosi al sedere sul letto, portò le mani alla testa, come per fermare le immagini che ruotavano vorticose attorno a lui e cercò di ricordare.

Niente.

L’ultima immagine che aveva era la piccola pietra verde che aveva raccolto dalla fattoria dei Kent: la stava facendo rotolare nella tasca, rientrando al villino accanto al castello.

Con un notevole sforzo si alzò e arrivò fino alla poltrona su cui aveva abbandonato il cappotto. Frugò nella tasca destra, ma il frammento non c’era. Provò nella sinistra, ma non era neanche lì.

Cercò con sguardo appannato la giacca del completo e controllò anche in quelle tasche, ma il meteorite era sparito. Guardò l’ora alla parete: aveva perso l’incontro con Lex, non era da lui lasciarsi sfuggire l’occasione di reclamare pubblicamente per il suo errore. Inspirò profondamente e una nuova fitta lo colpì alle tempie. Strofinò il volto con le mani, inspirò profondamente e si lasciò cadere nuovamente sul letto, ridacchiando tra sé e sé.

-Mi hai fregato…-, disse piano. Chiuse gli occhi e lasciò che il sonno malsano che lo stava pervadendo lo rapisse di nuovo.

Clark si era dimenticato di puntare la sveglia, quando era andato a letto, così non si era svegliato per tempo e, quella mattina, aveva saltato le lezioni a scuola. Martha non lo aveva voluto disturbare ,visto quello che gli era accaduto la sera prima e la faccia stanca e sconvolta che aveva quando era rientrato a casa, e lo aveva lasciato dormire tranquillo in camera sua.

Quando si era svegliato, si era stiracchiato affondando il volto tra i cuscini che avevano un profumo diverso da quello solito, poi aveva aperto gli occhi e aveva guardato l’ora, schizzando in piedi sconvolto per la mattinata persa: aveva promesso a Chloe che le avrebbe parlato e soprattutto doveva vedere Lily…

Imprecò sottovoce e infilò velocemente i jeans e una maglietta e uscì dalla sua camera diretto in bagno, nello stesso momento in cui Lois, sbadigliando, appariva nel suo pigiamone dalla camera dei suoi genitori.

-Tu che ci facevi là dentro?-, le chiese contrariato.

-Buongiorno anche a te, Smallville-, rispose caustica Lois, -Comunque ci dormivo, là dentro-

Clark la guardò passargli davanti strusciando i piedi per terra.

-Cosa?? E con chi hai dormito? … con mia madre?-

-No, con tuo padre!-, rispose sarcastica ed entrò in bagno, rubandogli il posto.

-No, Lois… Maledizione!-, battè un pugno contro la porta, che scricchiolò cupamente, scosse la testa e, adirato, scese in cucina. Martha stava cuocendo delle pancakes per lui e Jonathan si godeva una piccola pausa sorseggiando del caffè col miele.

-Buongiorno…-, la voce di suo padre gli arrivò vagamente critica.

-Già…-, rispose lasciandosi cadere su uno sgabello, poi aggrottò le sopracciglia, riflettendo, -… posso sapere che ci faceva Lois in camera vostra?-

Jonathan alzò le sopracciglia, lasciando che fosse Martha a parlare.

-Quando tu sei andato a letto, ieri sera Lois ed io siamo rimaste qua in cucina a parlare per più di un’ora, aspettando tuo padre… non me la sono sentita di far dormire quella povera ragazza sul divano!-

-La “povera ragazza” mi ha appena chiuso la porta del bagno in faccia, ha riempito due cassetti del mio scaffale con le sue cianfrusaglie e ha trasformato la scrivania in una vetrina di biancheria intima…-

-Dovresti essere contento, Smallville, o ci preferivi la tua collezione di conchiglie polverose sopra? Vai, io ho fatto-, disse Lois laconica cedendogli il turno in bagno e prendendo il bicchiere dove Clark si era appena versato del succo d’arancia. -Grazie!-

La guardò intensamente e pensò che se non ci fossero stati i suoi genitori, l’avrebbe presa e sculacciata, perché era questo che si meritava quella pettegola, antipatica, egocentrica, strafottente…

-Guarda che non ce la fai a fulminarmi con lo sguardo, anche se ti impegni, Smallville!-, prese una frittella e si fece passare da Jonathan lo sciroppo d’acero.

-Ah! Queste sì che sono delle pancakes fatte con tutti i crismi!-, disse addentandone una e facendo segno a Clark di filare in bagno.

-Lois…-, la rimproverò appena Martha, non osando essere scontrosa nei suoi confronti. La sera prima Lois si era aperta con lei e le aveva confidato cose che non avrebbe mai immaginato sul suo conto e che l’avevano lasciata di stucco: capiva il suo atteggiamento nei confronti di Clark, ma non lo giustificava. La questione della sua sistemazione era uno dei tanti problemi che andavano affrontati con urgenza, perché, al momento, non avrebbe permesso che lei dormisse in salotto, né preteso che suo figlio avesse continuato a farlo.

Quando Clark tornò giù, mangiò velocemente e poi andò ad aiutare suo padre alla stalla: non poteva presentarsi a scuola a quell’ora, così decise di attendere la fine delle lezioni. Non appena vide che erano le quattro scappò a scuola: non poteva deludere un’altra volta Chloe, né far aspettare troppo Lily…

Mentre aspettava che la sua amica rientrasse al Torch, mandò un altro sms a Lilyanne, in cui le prometteva che avrebbe parlato con lei al più presto: non sapeva quanto tempo potesse impiegare quello che doveva chiarire con Chloe, così rimase sul vago, circa gli orari. Lily non aveva risposto al suo messaggio di quella mattina, ma Clark era sicuro che fosse andata a scuola e quindi non era preoccupato: sicuramente la sua classe era stata spostata nei locali del seminterrato, mentre i vigili del fuoco provvedevano a mettere in sicurezza le stanze del piano terra e i solai del primo piano, colpiti dall’incendio della notte prima. Clark guardò la porta del Torch: aveva protetto bene la sua amica dalle fiamme, là dentro, lasciando entrare solo un gran fumo, ed ora era tutta annerita, tranne la maniglia che era stata accuratamente pulita per entrare nella stanza. Clark immaginò la faccia di Chloe che, con disappunto, uno straccio e del detersivo spray, quella mattina, aveva aperto da sola la porta oltre la quale solo poche ore prima, aveva rischiato di morire.

Quando la ragazza entrò nella stanza del giornale, guardò Clark con un’espressione a metà tra il sorpreso e l’arrabbiato.

-Sapevo che la tua maggiore abilità è riuscire a stupirmi, Clark, ma non immaginavo che marinare la scuola rientrasse nei modi per attirare l’attenzione! Cos’è… volevi fare un’entrata ad effetto?-, gli porse un sorriso ironico e prese le sue cose. -Dove andiamo?-, gli domandò, e non si aspettò che lui le proponesse di venire via dalla scuola senza aver prima sistemato l’edizione del Torch del giorno dopo, ma non seppe rifiutare e lo seguì fino alla sua auto.

-Andiamo al mulino di Chandler Field-, le disse, e la fece salire su, -devo dirti una cosa molto importante e non voglio che ci siano altri intorno…-

Per tutte le dieci miglia che percorsero, Clark e Chloe non riuscirono a parlare se non di argomenti stupidi, che contribuivano ad acuire l’apprensione in entrambi. Quando si fermò, Chloe pose la mano sulla sua, bloccandolo per un attimo prima che uscisse dalla macchina.

-Dopo tutti questi anni, il mistero vivente Clark Kent sta per rivelarmi i suoi segreti: non so se riesci a capire come mi sento in questo momento, Clark… tutta questa attesa… non sai quanti possibili scenari mi sono costruita nella mia mente, ma voglio che tu sappia una cosa: qualsiasi sia la verità che vorrai rivelarmi, sappi che l’affetto che provo per te non cambierà minimamente. Tu sarai sempre il mio Clark Kent, che tu sia un serial killer, o il Messia…-, gli fece una carezza sulla guancia e aspettò che parlasse.

-Vedi Chloe… devi sapere che in realtà io…-

***

Clark Kent, ritrovato dai coniugi Jonathan Kent e Martha Clark il 16 ottobre 1989 a Smallville, durante la pioggia di meteoriti, viene affidato legalmente alla Metropolis United Charities, orfanotrofio fondato per l’occasione da Lionel Luthor con l’unico scopo di insabbiare il ritrovamento del giovane Clark, e in seguito dato ad essi in adozione legale. Il certificato di nascita di Clark Kent, così come i suoi esami ospedalieri al momento della nascita, sono falsi. Fin da bambino, Clark Kent mostra di possedere particolari abilità: dotato di una forza molto superiore alla media, riesce a correre a velocità molto elevate; con la pubertà le sue capacità si sviluppano fino a costringere la sua famiglia a ritirarlo dalle squadre giovanili di football e basket. E’ escluso che queste sue abilità derivino dall’esposizione alla pioggia di meteoriti del 16 ottobre 1989, in quanto le caratteristiche presentate differiscono da ogni altra, tra quelle studiate nei laboratori del Livello 3. Salvo rari malori di causa non nota, Clark Kent cresce sano e forte, senza mai necessitare le cure dei pediatri di tutta la contea di Lowell. I certificati di vaccinazione presentati sono anch’essi falsi. All’età di quindici anni riesce a salvare il miliardario Lex Luthor da morte per annegamento, estraendolo con modalità tuttora ignote dalla sua auto caduta in un fiume: le indagini seguite da Lionel Luthor non portano sostanziali risposte. Pochi giorni dopo il fatto, viene ritrovato inerme appeso ad una croce in un campo, vittima dei giochi goliardici di studenti più grandi di lui, in evidente stato di sofferenza. Si riprende dall’incidente immediatamente. Poco tempo dopo viene attaccato dal coach della sua squadra di football, così come testimoniato da alcuni atleti, ma riesce a mostrare ancora una volta sorprendenti doti di recupero. Nello stesso anno mostra una eccezionale forza nel salvare due persone nello stabilimento di fertilizzazione di Smallville della Luthorcorp.

Nell’autunno del 2003, Clark Kent scopre le grotte di Cowichan, e mostra da subito un interesse quasi morboso verso simboli di natura ignota in essa dipinti, che lo porterà ad esporsi in prima linea contro la distruzione delle stesse. E’ documentata la sua presenza all’interno della sede della LuthorCorp a Metropolis, decisiva nell’ottenere la liberazione di Lionel Luthor e della sua segretaria Martha Kent, coinvolti in una rapina e tenuti in ostaggio dai cinque criminali armati. In tale occasione spariscono dalla cassaforte di Lionel Luthor un fascicolo top secret di informazioni su Clark Kent e un manufatto metallico ottagonale, collegato alle grotte di Cowichan, così come dichiarato da Lionel Luthor, che afferma di aver udito Martha Kent urlare al figlio adottivo di tenersi alla larga dalle scorte di lingotti di meteorite contenuti nella cassaforte dell’ufficio. Poco tempo dopo, come sua madre, Clark Kent cade vittima di una misteriosa malattia di natura ignota: la dottoressa Helen Bryce si occupa di lui e preleva un campione del suo sangue, andato perso. Nell’estate del 2003 Clark scappa di casa, in seguito ad una tremenda esplosione alla sua fattoria. Durante il suo soggiorno a Metropolis diventa complice di Morgan Edge; tornato a Smallville riprende la sua normale vita. La disputa su un campione di sangue da cui viene estratto il siero “Lazzaro”, prodotto nei laboratori del Livello 3 è la causa della morte di Morgan Edge, nelle cui circostanze Lex Luthor viene a conoscenza del segreto di Clark Kent, come riportato da riprese video a circuito chiuso all’interno della clinica “Belle Reve” ma, in seguito ad un elettroshock, perde i ricordi ad esso relativi. Clark Kent allaccia un rapporto epistolare con Virgil Swann, in seguito all’apparizione sulla porta del suo fienile di un simbolo Cowichan impresso a fuoco. Swann ha dichiarato a Lionel Luthor di avere la chiave per la comprensione della lingua Cowichan, che non appartiene alla tribù nativa, ma proviene da “molto lontano” e che anche Clark Kent ne è a conoscenza e “fa parte di un disegno più grande”. Risulta evidente che in alcuni momenti nel periodo di tempo in cui le grotte sono state sotto la giurisdizione di Lionel Luthor, la famiglia Kent è entrata in possesso della chiave ottagonale, che ha dimostrato di possedere un potere realmente impressionante e ignoto, così come è ignota la sua composizione, sebbene riconducibile al materiale ritrovato in alcuni frammenti di meteorite. Il nome di Clark Kent ritorna in evidenza in seguito alla ricerca iniziata da Lionel Luthor di tre elementi capaci di portare al segreto della Conoscenza: durante il suo soggiorno in carcere, è certo che Lionel Luthor abbia avuto tra le sue mani uno di questi frammenti, misteriosamente scomparso in seguito alla comparsa di Clark e al miracoloso scambio di identità tra i due. Lionel Luthor nel corpo di Clark Kent mostra una straordinaria forza e velocità. Nella primavera del 2005, Clark Kent conosce Lilyanne Leibniz ed entrambi si scontrano con il paziente Robert Greedy. Greedy dichiara che sia Kent che la Leibniz sono dotati di forza e velocità straordinarie e che la Leibniz è capace di “fare fuoco” dagli occhi. Le indagini sulla morte in circostanze misteriose dei genitori di Lilyanne Leibniz e di un giovane loro ospite conducono ad una violenta esplosione prodotta da una sorgente di energia termica estremamente concentrata e potente, che ha colpito l’impianto del gas nella loro abitazione a Gotham City. La ragazza esce illesa dall’incidente e viene subito sottratta alle indagini dal suo tutore legale, che la fa seguire presso un centro specializzato, fino a quando non la fa trasferire a Smallville. Da documentazione fotografica risulta che la Leibniz sia anch’essa correlata ai misteri Cowichan, in quanto ha un simbolo presente sulle pareti delle grotte tatuato sulla schiena. Da recenti sviluppi, è certo che la roccia meteoritica sia letalmente pericolosa per la salute di Clark Kent e di Lilyanne Leibniz, portandoli a soffrire come per una istantanea reazione di tipo allergico del sangue nelle loro vene, effetto che sembra svanire una volta allontanata la fonte meteoritica da loro. Se in presenza del meteorite, i due soggetti risultano privi di forze, non riescono a respirare e provano dolori atroci diffusi per il corpo, come per un shock anafilattico, fino a perdere i sensi. La causa di questi sintomi, attribuiti alla roccia verde, è però dubbia, in quanto non sono stati riscontrati prima d’ora casi di allergie così importanti a composti inorganici come i minerali.

Lex abbassò il fascicolo che aveva riletto per la terza volta e piantò i suoi occhi su quelli del Dottor Jamison, seduto impaziente davanti a lui.

-Tutto qua?-, domandò con calma apparente.

-Questo è il profilo emerso dalle informazioni fornite da lei, suo padre, Robert Greedy e altri pazienti del Belle Reve, supportate dai documenti ufficiali della polizia di Smallville e…-

-Questa pietra sarebbe l’unica cosa capace di fermare “gli invincibili Clark Kent e Lilyanne Leibniz”?-, chiese rigirandosi tra le mani il frammento di meteorite prelevato dalle tasche di Lionel.

Jamison alzò appena le sopracciglia, come ad indicare che aveva previsto il fallimento di quella ricerca.

-A parte l’aver scoperto che l’adozione di Clark è stata facilitata da mio padre, cosa che dovevo peraltro aspettarmi, vista la longa manus di cui si è sempre dimostrato dotato, queste carte non mi forniscono alcun dato in più circa il segreto che lui nasconde relativamente alle iscrizioni sulle grotte o alla ricerca dei tre elementi! Solo inutili appunti su come lui e la sua nuova fidanzata si siano già cacciati nei guai svariate volte e questa loro misteriosa intolleranza a questo minerale… cosa me ne faccio…-, scosse la testa. Jamison si accorse che stava per scoppiare e lo precedette.

-Forse… forse signor Luthor, la loro predisposizione agli effetti del meteorite potrebbe essere sfruttata nei nostri esperimenti: molti dei nostri… pazienti non hanno affatto risposto alla sostanza, magari nel loro caso potremmo ottenere risultati migliori e poi… non ha pensato che potrebbero avere entrambi dei poteri temporanei derivanti dall’esposizione al meteorite, come se… avesse l’effetto di un farmaco, o di una droga su di loro…-

Lex scosse la testa e si alzò, guardando fuori della vetrata che dava sulla fontana, nel parco del castello.

-Chiudiamo qua il capitolo Clark Kent. Ci serviremo di lui solo per arrivare alla ragazza. Sarà lei la nostra prossima paziente-, si voltò verso il dottore, - Sono stato chiaro?-

L’uomo scosse la testa annuendo.

-Come devo procedere per…-

-Lasci fare a me, dottor Jamison: le fornirò io la paziente a tempo debito… prima voglio vedere con i miei occhi se quello che c’è scritto su questo fascicolo è vero…-

Congedò lo scienziato con un cenno del capo e si sedette nuovamente sulla sua poltrona di pelle, sfogliando le pagine che riassumevano la vita di Clark.

-Qualunque strada batta, sei sempre un passo avanti a me, Clark. Non voglio sapere cosa sei: ti preferisco come alleato, che come nemico… ma se la tua amichetta è proprio come te, avrò lo stesso quello che cerco da troppo tempo…-, mosse il mouse del suo laptop e digitò una password: davanti a lui si formò l’immagine di qualcosa di indistinto, che sovrastava il cielo del Kansas.

Zoomò e centrò l’immagine e una ghigno simile ad un sorriso si dipinse sul suo volto: Lilyanne Leibniz e Clark Kent, teneramente abbracciati, erano sospesi in volo a cinquecento piedi d’altezza, lasciando che i loro capelli e gli abiti svolazzassero alla brezza della sera.

***

Chloe fissava un punto indistinto davanti a sé, oltre il parabrezza dell’auto dalla quale non erano mai scesi. Teneva le mani in grembo, torturandosi un’unghia scheggiata, senza neanche rendersene conto. Sentiva il respiro di Clark, nell’auto accanto a lei, e i suoi occhi fissi su di lei, in attesa di una parola da parte sua, di un qualsiasi segno.

Il suo cuore batteva come rallentato, si sentiva come un computer in attesa che terminasse un processo troppo pesante per la sua cpu.

Quello che Clark le aveva detto e che di primo riflesso aveva trovato assurdo, quasi al punto di essersi sentita presa in giro un’ultima, colossale volta, era permeato nella sua mente riaccendendo tutte le fantasiose ipotesi che, nel corso degli anni, aveva formulato sulle parole che aspettava a gloria le venissero rivolte.

In poche parole, era talmente stupefatta da non riuscire a muovere un muscolo in più per voltarsi verso di lui e fare quello che il suo cuore le urlava di fare da quando aveva visto gli occhi di Clark limpidi e spaventati, aspettare una risposta da lei, come mai prima si allora.

Erano rimasti in silenzio immobili per un tempo che non avrebbe saputo definire, ignorando i bip degli sms che arrivavano sui loro cellulari e non accorgendosi del sole che iniziava a sprofondare oltre l’orizzonte.

Cercò dentro di sé un po’ di forza e inspirò, voltandosi lentamente verso di lui. Allungò una mano tremante verso il suo volto e gli fece una carezza, lasciando uscire l’aria dai polmoni e, con essa, i suoi dubbi.

-Ho sempre saputo che eri speciale, Clark… ora so che sei super-, gli disse, e si sporse verso di lui per abbracciarlo.

Era felice. Finalmente conosceva la verità: finalmente Clark si era fidato di lei, e questo l’appagava come i mille baci che non avrebbe mai avuto da lui.

Clark portò una mano tra i capelli, grattandosi la testa imbarazzato.

-Avevo una paura, Chloe… che tu iniziassi ad urlare o mi credessi pazzo…-

Gli sorrise dandogli un buffetto sulla spalla, poi tornò seria e riprese a fissare quel punto avanti a sé.

-Io… lo sapevo già, sai?-, disse semplicemente.

-Cosa…?-, Clark abbassò il braccio mutando espressione, non capiva quello che Chloe stava dicendogli.

-Sì… diciamo che qualcuno mi ha aperto gli occhi sulle tue abilità…-, ripensò a quando, nascosta assieme ad Alicia dietro una siepe, aveva visto Clark afferrare al volo un’automobile e poi era corso via ad una velocità sovrumana.

Clark abbassò gli occhi, cercando di capire cosa intendesse, preoccupato sul fatto che fossero in diversi a conoscere il suo segreto.

-Chi è stato…?-, si lasciò sfuggire.

Chloe tornò a sorriderli, calma.

-Una persona che ti voleva bene…-, disse semplicemente e si avvicinò a lui guardandolo con occhi allegri, contagiosi.

Un timido sorriso tornò a dipingersi sulla bocca di Clark, che non aveva capito a chi si riferisse Chloe, ma era troppo felice di essersi tolto quel peso con lei.

-Non dirlo… a nessuno, eh!-, le disse con un pizzico di apprensione.

-Ma come? Pensavo di mettere la tua foto in prima pagina sul giornale di domani: “Mediocre studente del quarto anno si apparta con giovane giornalista in un campo isolato e la trattiene fino a tarda sera”-, scherzò.

Vide Clark guardarsi attorno spalancando lentamente la bocca.

-Maledizione! Ma che ore sono?-, chiese animatamente senza nascondere un ridicolo terrore che si era dipinto sul suo viso.

-Clark Kent: sai fare cose impossibili, vieni da un altro pianeta e ti spaventi se fai tardi per cena?-, domandò divertita Chloe.

-Lilyanne… dovevo vederla! E poi… oh… cavolo Chloe! L’incendio alla scuola… ma cos’è successo ieri sera? Hai capito qualcosa?-, mise in moto l’auto e fece rapidamente manovra per tornare verso Smallville, estraendo dalla tasca dei pantaloni il cellulare.

-Cavolo… tre messaggi e due chiamate perse… ma come ho fatto a non sentirlo?-, scosse la testa reimmettendosi sulla strada e spippolando sul telefonino per leggere gli sms.

-Attento!-, le urlò Chloe, vedendo che stava sbandando.

-Fallo tu, tanto ormai… non ho più segreti con te-, disse lanciandole il cellulare.

-Dunque… il primo messaggio è di Lilyanne… dice: “Ok, aspetto la tua chiamata… amore”! Che carini!!-, ridacchiò gustandosi la reazione seccata di Clark, che la fulminò con un’occhiataccia.

-Vai avanti…-, le disse appena un po’ scontrosamente.

-Il secondo messaggio è di… wow… mia cugina! Ha scritto: “… e non provarti a toccare la mia collezione di reggiseni che stacco le braccia al tuo Big-Jim. Lois”-, Chloe scoppiò a ridere a più non posso.

-E smettila Chloe! Ma perché quella rompiscatole di Lois non se ne torna a Metropolis, visto che è sempre a prendermi in giro per il lavoro alla fattoria? Non la sopporto davvero più!-

-See, chi disprezza, compra: ricordatelo Smallville!-, continuò a ridere, guardando l’espressione sconvolta di Clark nel sentirsi chiamare così anche da lei.

-E poi…?-, erano vicini alla deviazione per il centro della città. Clark doveva riaccompagnare Chloe a scuola, dove aveva lasciato la macchina.

-E poi ancora Lilyanne: è di un’ora fa, questo: “Clark ma dove sei? Dobbiamo parlare! Tutte le cose che sono successe ieri… prima nel fienile e poi… quello che abbiamo fatto ieri sera… Ho paura, Clark”-, Chloe rimase a bocca aperta, guardando Clark con espressione stupita e allo stesso tempo complice.

-Che…? No, Chloe, non è come pensi… accidenti… non è quella cosa lì…! -, Chloe rise, non riuscendo a capire come mai Clark fosse diventato tutto paonazzo. Decise di non stuzzicarlo.

-Vabè… le chiamate provengono invece entrambe da casa tua-, concluse porgendogli nuovamente il telefono e rimanendo in silenzio.

Mancavano solo pochi minuti alla scuola, e Chloe li trascorse guardando di nascosto Clark.

Non riusciva ancora a capacitarsi di quello che il suo amico di sempre gli aveva rivelato: no, certamente Clark si meritava una donna speciale al suo fianco. Da lei avrebbe avuto per sempre la sua amicizia più sincera.

-Grazie…-, gli disse soltanto uscendo dall’auto e si allungò verso di lui, per posare un timido bacio sulla sua guancia. Poi corse via, prese l’auto e partì a gran velocità, con il cuore che le batteva all’impazzata, dimenticandosi che doveva terminare il numero del Torch per il giorno dopo.

Quando arrivò a casa, fermando l’auto davanti alla porta -cosa che faceva arrabbiare suo padre-, entrò trafelato e si scusò con i suoi che stavano sparecchiando.

-Io dovevo… -, iniziò, ma Martha lo interruppe prima che proseguisse.

-Sappiamo che ieri hai salvato Chloe dall’incendio e siamo orgogliosi di te. Ma adesso devi occuparti di un’altra questione…-, indicò il fienile, fuori dalla finestra, e Lilyanne che lo aspettava affacciata al piano di sopra.

-Non credere di cavartela così, senza una spiegazione…-, disse Jonathan mentre usciva trafelato dalla porta sul retro, per correre da lei.

Lilyanne aveva il volto scuro. Quando lo vide lo fissò per qualche istante accigliata, poi corse verso di lui e lo abbracciò stretto.

-Avevo pensato che ti fosse successo qualcosa-, disse piano, perdendosi in un tenero bacio.

-Scusami…-, rispose Clark stringendola a sé.

Lilyanne si staccò da lui e si sedette sulla sedia vicino alla scrivania.

-E’ successa una cosa, oggi…-, gli disse abbassando gli occhi, aspettando che le si avvicinasse e la ascoltasse attentamente.

-Stanotte non ho chiuso occhio… ero terrorizzata che quello che ci è accaduto potesse succedere di nuovo: è stato come rivivere un incubo, ieri, Clark… ma quello che è successo è come se… come se avesse cambiato qualcosa in me: non so come spiegartelo, ma… ieri sera sono riuscita a sollevare una trave di acciaio, Clark, chissà quanto pesava e non mi è parso più faticoso di alzare… un libro. E poi… quando la mia casa a Gotham City è… saltata in aria, io so che sulla mia pelle c’erano delle ustioni, che poi sono sparite, come se mi fossi rigenerata da sola… ma ieri… ho appena sentito un po’ di calore: questo non è normale! Ed è tutto il giorno che ho questo maledetto mal di testa…-

La abbracciò di nuovo.

-Ci sono io, ora… devi solo stare tranquilla… non è successo niente di irreparabile. Quando ti ho detto che avevo provato anch’io lo stesso dolore, beh… mi riferivo a quello: ma ieri è stato diverso, è stato più forte… ma siamo ancora qui, giusto?-, la guardò rassicurandola e lei gli sorrise stringendo appena gli occhi per il dolore alla testa.

-Cos’hai?-, le chiese facendole una carezza.

-Non lo so… ma quando sei arrivato, pochi minuti fa, sono riuscita per un attimo a vederti attraverso le pareti del granaio…-

Clark alzò le sopracciglia stupefatto.

-Davvero?-, era la stessa cosa che era accaduta a lui tanti anni prima!

-Sì, per un istante solo, ma è stato proprio come se sapessi che stavi arrivando…-

-O forse… stai acquisendo un altro potere, Lily! E’ bellissimo! Credo che tu stia iniziando ad avere la visione a raggi X…-, le sorrise euforico mettendosi davanti a lei.

-Ho qualcosa nella mano… prova a guardare oltre e a vedere cos’ho!-

Lily storse la bocca, abbassando le sopracciglia, ma si fidava di lui e provò, per un po’.

-Niente: vedo solo le tue dita strette a pugno-, disse alzando le spalle e provando a cambiare discorso.

-Sai… stamani a scuola hanno detto che ieri è esplosa una tubatura del gas, negli spogliatoi… Per fortuna che abbiamo tirato fuori Chloe prima che…-

-Ah sei qui, Smallville!-, la voce stridula di Lois interruppe un momento di intimità.

Clark si girò verso le scale, stringendo le mascelle.

-Mi ha detto tua madre che ti avrei trovato qui… Ciao Lily! Ho… interrotto qualcosa?-, domandò quasi divertita. Lily la salutò con un sorriso, un po’ confusa.

-Cosa vuoi, Lois-, chiese asciutto Clark, sperando che se ne andasse il più rapidamente possibile.

-Volevo solo sapere dove devo dormire stanotte…-, incrociò le braccia sul petto, in aria di sfida.

Clark inspirò: doveva scoprire cosa fosse accaduto al liceo, aveva appena rivelato a Chloe un segreto che teneva nascosto da anni, doveva ancora chiarire con la sua ragazza cosa fosse accaduto e scoprire se davvero anche lei stava sviluppando quell’importante potere e lo aspettava una risciacquata da suo padre. Lois non avrebbe interferito ulteriormente nella sua vita, non quella sera.

-Dormi dove ti pare, basta che tu stia il più lontana possibile da me e da camera mia!-, le rispose a muso duro.

Lois strinse appena un occhio.

-D’accordo Clark. Sei stato sufficientemente chiaro-, disse e girò sui tacchi scendendo le scale del fienile.

Lily la guardò allontanarsi, non riuscendo a capire come Clark avesse potuto trattarla a quella maniera, la seguì con lo sguardo fino alla porta sempre aperta, e poi… vide attraverso le pareti di legno che si avvicinava alla sua auto e che apriva il bagagliaio infilando una grossa borsa… era piena di vestiti, di scarpe buttate alla rinfusa. Salì al posto di guida e infilò la chiave nel quadro. Si piegò appena sui gomiti e guardò la fattoria, oltre il parabrezza.

Lily scosse la testa, per recuperare la sua normale visione, si voltò verso Clark attonita.

-Lois se ne sta andando…-, disse piano, poi schizzò velocemente dietro di lei, correndo dietro all’auto che partiva.

Lois si fermò e Lily si avvicinò al finestrino aperto.

-Senti, scusami se sono stata scorbutica con il tuo ragazzo… scusami se non ti ho salutata, io…-

-Che stai facendo, Lois?-, la sua voce tradì la preoccupazione.

-Me ne vado. Sono diventata solo un peso in questa casa. Clark ha bisogno dei suoi spazi e io non posso continuare a fare l’ospite a vita-

-Dove andrai?-

-Non lo so. Vi manderò una cartolina quando avrò trovato una sistemazione… credo verso il Messico…-, le sorrise: ovviamente scherzava e non c’era motivo di mentire.

-Clark non… sono sicura che lui non ti odia. Se non fosse stato per te quel capoccione non avrebbe mai trovato il coraggio per…-

Lois rise appena.

-Ha fatto tutto da sé. Io l’ho solo mandato allo sbaraglio sperando in una sua brutta figura per la quale prenderlo in giro per l’eternità-, guardò il volante e fece scorrere le mani tutto attorno alla pelle: se l’avesse guardata negli occhi, Lily avrebbe capito che le stava mentendo.

-Lo so che non lo pensi davvero. Clark… lui è sempre così… misterioso, anche con me. A volte credo che gli ci vorrebbero le giornate di settantadue ore per fare tutte le cose che si carica sulle spalle… mi dispiace che i nervi gli siano saltati proprio contro di te-

-Ci sono abituata…-, disse e rimise in moto l’auto.

-Tu comunque… tienitelo stretto…-, le disse e ingranò la prima.

Lily la fermò.

-Lois… pensavo… se non sai dove andare… potresti venire a stare a casa mia: è così grande, e io sono sola… so che da Chloe non hanno spazio, quindi…-

Lois la guardò stupita dalla sua proposta. Girò nuovamente la chiave e spense il motore.

Aprì lo sportello e scese, mettendosi di fronte a lei.

-Davvero tu… dici sul serio?-

Lily le sorrise e annuì.

-Grazie…-, Lois la abbracciò e tornò a sorridere.

Dall’alto, Clark, vide la scena e, scotendo la testa, pensò che quelle due ragazze, insieme, lo avrebbero fatto impazzire…

***

Lex, seduto sulla sua poltrona di pelle, fece entrare il suo ospite.

Si alzò e verso due bicchieri di scotch: sapeva che anche lui avrebbe apprezzato e gliene porse uno.

-Hai fatto un buon lavoro, sapevo che potevo fidarmi di te-, disse mellifluo.

-Ora spiegami perché mi hai fatto dare fuoco al liceo di Smallville, Lex!-

-Ogni risposta a suo tempo… la palestra… è andata, vero?-

-Sì, come mi avevi chiesto… ma non capisco come tutto questo possa aiutarci a scoprire il segreto della Contessa Isobel! Credi di trovare gli elementi mancanti tra le cenere?-

-Vedi, Jason… la differenza tra mio padre e tua madre è che, mentre mi padre mi portava in giro con lui a firmare contratti con generali dell’esercito e politici alle più alte sfere, e nel frattempo riusciva sempre ad avere il suo tornaconto, tua madre ti ha semplicemente sballottato in ogni angolo del pianeta a scavare tra i sassi. Non tutto quello che cerchiamo giace sepolto, immobile da secoli, Jason. A volte le cose vengono fuori da dove meno te le aspetti… a volte hai le risposte sotto al naso da chissà quanto tempo: basta saperle vedere. Mentre tu ti spezzi le unghie scavando nella roccia, io, con un solo soffio, sposto la polvere che mi impedisce di vedere che ho la soluzione sotto agli occhi-, guardò il giovane Teague con superbia.

Jason fece forza su se stesso per non rispondergli a tono, e posò il bicchiere intonso sul tavolino in cristallo.

-Si sta facendo tardi e… Lana ti sta aspettando per una serata romantica al “Fleur de Lis”, Jason… non ricordi? Nella limousine troverai uno smoking della tua taglia… Buona serata…-

-Lana non deve sapere che lavoro con te…-, strinse le mascelle puntando i suoi occhi dritti in quelli di Lex.

-No… tu lavori per me. Ricordalo, Jason. Buona serata e… porgi i miei saluti a Lana…-

***

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Lacrime ***


Capitolo 21 – Lacrime

Seduta ad un tavolo un po’ in disparte nella sala dalle atmosfere ovattate del ristorante “Fleur de Lis”, Lana fingeva di studiare il menù, mentre si interrogava su come aveva potuto accettare quell’invito.

Erano settimane, ormai, che Jason si comportava con lei sempre più in maniera distaccata, quasi indagatrice: da quando sua madre era comparsa a Smallville e, con lei, era sparita quella complice intimità che li legava, come se lui non potesse più gioire di ogni attimo passato insieme.

Quando era stata aggredita da quel pazzo nel vicolo dietro al Talon, Jason le era stato vicino, appoggiandola in ogni sua opinione e scelta: era così che sarebbe dovuto andare tra loro, com’era stato a Parigi o quando ancora lui lavorava al Liceo e la loro relazione andava tenuta segreta.

Lana abbassò gli occhi sulle sue mani posate sul menù chiuso: erano bianche e fredde, e lo smalto rosso che aveva messo prima di uscire di casa le faceva apparire ancora più pallide. Sembrava potessero sparire, da un momento all’altro, lasciando solo un debole alone chiaro e delle macchie rosse.

Anche lei avrebbe potuto sparire e, forse, non se ne sarebbe accorto nessuno. Nessuno di quelli a cui importava rimanere vicina, almeno… Non esisteva più per la sua amica Chloe, ormai, né per Clark.

Si mosse appena sulla sedia e sospirò: aveva promesso a sé stessa di non pensare più a lui, di sforzarsi a considerarlo solo un amico, perché non si meritavano, entrambi, di ricadere nei vecchi errori del passato.

Era stato il suo atteggiamento nei confronti del suo vecchio amore e della sua nuova ragazza a far sì che Jason si sentisse tradito e si allontanasse da lei, ammise sospirando ancora e accettò che ogni altra responsabilità da attribuire alla signora Teague, o al licenziamento dalla scuola, era solo una scusa che lei si era inventata per non accettare che era solo colpa sua, se stava lentamente perdendo anche lui.

Alzò gli occhi al soffitto dal quale pendeva un brillante lampadario di cristallo e si chiese come mai, dopo quel periodo di raffreddamento dei loro rapporti, Jason avesse voluto invitarla a cena in quel meraviglioso ristorante, che prima d’ora aveva sempre guardato da lontano, passando dall’altro lato della strada, tanto si sentiva inadatta ad entrarvi. Forse non tutto, con lui, era perduto, se le aveva mandato quel magnifico mazzo di rose rosse con l’invito a cena. Si sforzò di ricordare se quello fosse un anniversario o una data speciale, ma non trovò nulla.

Bevve un po’ d’acqua, da un calice di cristallo che aveva persino paura a tenere tra le sue mani, e si asciugò timidamente le labbra al tovagliolo: perché Jason ci metteva così tanto?

Per un momento pensò che, forse, era stata tutta una presa in giro, che l’avrebbe fatta aspettare da sola a bere acqua fino a che il ristorante non avesse chiuso e lei se ne fosse tornata a casa in taxi: le sarebbe stato bene, visto quanto poco aveva tenuto in considerazione i suoi sentimenti, negli ultimi tempi.

Poi scosse appena la testa come per scacciare quell’idea: Jason le voleva davvero bene, non le avrebbe mai fatto uno scherzo del genere. Le era rimasto accanto anche dopo che lei lo aveva terrorizzato nei panni della Contessa Isobel, anzi, si era mostrato nei suoi confronti più comprensivo che mai, facendola sentire protetta. A volte la sera le faceva il solletico, la faceva voltare, sul divano, le scopriva la schiena e la baciava lì, dove la sua pelle era stata marchiata da quello strano simbolo, e scherzava con lei, le diceva che le donava, che così era ancora più sexy, e la baciava, fino a che ogni pensiero svaniva dalla sua testa.

Questo prima che arrivassero Genevieve Teague e Lilyanne Leibniz e le loro coccole erano diminuite fino a sparire.

Ripensò ai loro baci e sorrise teneramente: Jason era impulsivo e accusava ogni tipo di stravolgimento nella loro vita di coppia, ma l’amava davvero. Jason l’aveva stupita con quell’invito e non l’avrebbe mai lasciata sola, come aveva fatto Clark. Jason era una persona onesta e sincera, che non le avrebbe mai mentito nascondendole la verità, come le aveva mentito Clark.

Davanti a lei, elegantissimo in uno smoking che Lana non immaginava che avrebbe mai indossato, Jason faceva in suo ingresso nella sala, sorridendole da lontano.

Doveva solo credere nel loro rapporto e tutto sarebbe andato bene.

Clark vide Lois risalire in auto e Lily correre verso di lui.

-Sembra che abbia una nuova inquilina-, gli disse con una punta di orgoglio e rimprovero negli occhi.

Lui alzò le sopracciglia perplesso: in fondo non voleva dire quelle cose a Lois, era stato davvero scorbutico con lei negli ultimi giorni, gratuitamente.

-Mi sa che ora è meglio se vado a casa, con lei-, aggiunse Lily, e lo baciò velocemente sulla guancia, prima di raggiungere Lois all’auto e sparire con lei oltre il cancello della fattoria.

Clark spense le luci nel fienile, poi tornò in casa, lentamente.

-Sei venuto a prendere del caffè? Ne sto preparando una caraffa…-, disse Martha, che stava terminando di asciugare alcuni piatti e di sistemarli nella credenza. Jonathan era già a letto, Clark pensò che quella sera si fosse voluto assicurare che nessuno gli rubasse il posto.

-No, grazie… vado a letto-, rispose il ragazzo con voce mogia.

-Che è successo?-, Martha si voltò preoccupata, ma la sua espressione tradiva un certo rimprovero.

-Lily è andata a casa…-, disse Clark procedendo verso il corridoio.

-Aspetta un po’: non dovevate parlare di quello che è successo ieri? E poi… Lily mi ha accennato al fatto che ha avuto dei disturbi, oggi…-

-Sì, credo che stia sviluppando la visione a raggi X… Buonanotte, mamma-, disse con la stessa naturalezza con la quale avrebbe parlato di un raffreddore e salì i primi scalini.

-Dove stai andando?-, Martha lo raggiunse in fondo alle scale e lo guardò accigliata.

-A letto, mamma-, era stanco, seccato e non ne poteva più di sentirsi porre domande.

-Non vorrai fare dormire Lois sul divano, Clark!-, la sua era una preghiera, ma suonava come una protesta.

-Lois non tornerà-, rispose laconico senza voltarsi.

Martha rimase interdetta, per un istante, senza realizzare appieno quello che Clark le aveva appena comunicato. Poi aggrottò le sopracciglia.

-Clark Kent! Torna subito qua!-, ordinò al figlio con un tono che raramente aveva usato.

Clark, come folgorato da quell’ordine, si voltò e scese in cucina, con la coda tra le gambe.

-Sei stato tu a mandarla via?-, chiese amaramente sua madre, dopo averlo fatto sedere.

-No, io non… non le ho detto di andar via!-

-Immagino, Clark… ma scommetto che hai fatto di tutto per accelerare la sua decisione, o sbaglio?-

Il figlio non rispose ad abbassò gli occhi.

-Io non ti capisco… sono giorni che ogni volta che la vedi la tratti come un cane, Clark! Ma cosa ti ha fatto? A volte mi chiedo cosa avete nella testa, voi due…-, si sedette vicino a lui e posò una mano sulla sua. Il suo sguardo si fece più dolce.

-Devi cercare di sforzarti e… capire Lois. Forse ultimamente lei è un po’ più preoccupata e così…-

-Ultimamente, mamma? Lei è sempre stata così…-

-Ma tu no, Clark! Ultimamente sembra che tutte le tue frustrazioni per le cose che ti sono andate storte e quelle che non riesci ad accettare le sfoghi su Lois! Devi… devi cercare di comportarti bene, con lei, perché in questo momento lei… Insomma, credo che sia il momento che tu ti comporti da adulto!-, abbassò lo sguardo per un attimo e deglutì, poi cercò di mantenere un certo contegno.

Clark la guardò sospettosamente.

-In questo momento lei… cosa?-, domandò allungandosi verso Martha. Vide che abbassava lo sguardo ancora una volta.

-Vedi Clark… ci sono momenti nella vita in cui l’unica cosa che conta non è conoscere tutto di una persona, ma solo stargli vicina… in fondo è questo che chiedi a tutti anche tu, no? Solo che ti siano vicini, senza necessariamente indagare nella tua vita e scoprire cosa sei. Bene, questo è il momento che tu faccia lo stesso con Lois… sappi solo che non è un bel momento per lei, e che le cause sono diverse. Il tuo sarcasmo non l’aiuta affatto… non credo se lo meriti più. Non se l’è mai meritato, in realtà…-, gli sorrise amaramente e si alzò.

Tolse la caraffa dalla macchinetta del caffè e se ne versò un po’. Bevve velocemente senza mettere il suo solito zucchero e salì in camera, lasciandolo solo e pensieroso.

Le parole della mamma gli avevano lasciato un amaro in bocca, più forte del sapore del caffè che lei aveva bevuto andandosene: non c’erano segreti tra loro, in famiglia, fino ad allora. Se la mamma non gli aveva voluto parlare di Lois, le cose non dovevano essere così facili da spiegare… scosse la testa, e salì in camera sua. Accese la luce e vide che tutto era in ordine: i vestiti e le scarpe della ragazza non erano più sparsi un po’ ovunque e sulla scrivania erano tornate le sue cose, esattamente nello stesso ordine in cui le aveva lasciate qualche settimana prima.

Anche il suo profumo, che di solito aleggiava nell’aria, non c’era più.

-Non posso crederci! Sono caduta dalla padella nella brace, o meglio… dritta nel girone dei golosi!!! Lily, tu e la signora Kent volete davvero vedermi tutta ciccia e brufoli!-, disse Lois sbottonando i jeans, sazia e soddisfatta, dalla cenetta imbastita dalla sua nuova ospite in pochi minuti.

-Io non riesco a crederci… Mi hai raccolta triste e depressa per strada e mi hai cucinato cibo italiano, così, come se mi stessi parlando di gossip! Oddio… questo è un sogno! Non finirò mai di ringraziarti!-

Lily le sorrise cercando di corromperla con altri spaghetti alla carbonara, che aveva imparato a cucinare anni prima, in un pomeriggio in cui non sapeva che fare, aspettando che suo padre la sottoponesse a qualche altro test.

Era bello avere qualcuno in casa che con le sue parole riempisse il silenzio assordante che c’era la sera, quando rimaneva ad aspettare che il sonno arrivasse, coccolando il suo gatto, a letto. Lois aveva già preso possesso della stanza che lei le aveva offerto: un lettino singolo, una scrivania e un armadio un po’ scollato. Aveva detto che era perfetto, che non poteva desiderare di meglio, che avrebbe pagato l’affitto non appena avesse trovato un lavoro.

Lois si alzò tenendosi la pancia stracolma di pasta e si avvicinò all’acquaio, iniziando a sparecchiare.

Litigarono amichevolmente perché entrambe volevano che l’altra stesse comoda, e alla fine decisero di dividersi i compiti, spargendo schiuma di sapone per tutta la cucina.

-Sai, mi sarebbe piaciuto avere una sorella come te, o come tua cugina Chloe-, disse Lily, prima di andare a letto, quando la nuova inquilina uscì dal bagno.

Lois le sorrise: -Anche a me…-, rispose con un velo di tristezza sugli occhi.

-Domattina prima di andare a scuola ti preparerò i pancakes: la signora Kent mi ha detto che tu e quel testone di Clark ne andate matti!-

Il volto di Lois si oscurò appena.

-Ti ringrazio, ma… domattina devo andare presto a Metropolis e non posso…-, si interruppe e indossò un sorriso falsamente rassicurante, -… mangerò qualcosa per strada. Grazie Lily-

Poi entrò nella sua stanza e chiuse la porta alle sue spalle.

Lily si lavò i denti e corse a letto, indossando velocemente il pigiama. Spense la luce e rimase a pensare, sotto le coperte, come amava fare ogni sera.

In quel momento le cose nella sua vita parevano essere in equilibrio precario su una base instabile: non sapeva più chi era e non riusciva a controllare il suo corpo, sentiva che mai era stata così innamorata e felice, ma al tempo stesso aveva paura di qualcosa di ignoto, che la verità sulla sua identità fosse talmente sconvolgente da schiacciarla. Aveva provato quella sensazione indescrivibile volando alta nei cieli sopra Smallville e poi era sprofondata nel dolore atroce che ormai ricordava solo nei suoi incubi e finalmente aveva capito cosa lo causasse, da cosa avrebbe dovuto guardarsi per l’eternità. Aveva provato la gelosia ed aveva imparato a perdonare.

Ma in quel momento, al caldo sotto il suo piumino, pensò solo che Lois Lane, da quella sera, non dormiva più sotto lo stesso tetto del suo Clark. E sorrise.

Troppo gentile. Quella sera Jason era stato troppo gentile e amabile, pensò Lana, mentre la riaccompagnava a casa su una limousine bianca. Aveva passato la serata a confidarsi con lui, liberandosi di molte delle sue paure relative alla storia di Isobel, era stato così gentile ad interessarsi a lei... Troppo gentile, amabile e straordinariamente affascinante: ma forse aveva bevuto un po’ troppo champagne, a tavola, nonostante non avesse ancora l’età per farlo e il suo giudizio non era del tutto obiettivo. Evidentemente nei ristoranti di lusso l’età non contava, contava solo se si pagava il conto. Fortunatamente, quando le avevano riempito per la seconda volta il bicchiere, Jason l’aveva aiutata finendo il suo champagne e poi dandole un tenero bacio.

Jason fece scivolare la sua mano sulla sua schiena facendo cadere sul sedile di pelle la stola che le copriva le spalle.

-Sei bellissima…-, le disse avvicinandosi per baciarla. Gli brillavano gli occhi, come quando erano a Parigi.

Lana gli sorrise, e si lasciò baciare sulla bocca, ringraziando l’alcool che la rendeva più rilassata, sebbene avesse ancora la situazione assolutamente chiara e sotto controllo. Così pensava.

Era così tanto che Jason non la baciava a quella maniera. Per un istante dimenticò di essere vestita di taffetà su una limousine bianca che la stava riportando al Talon e immaginò di essere lontano, a Parigi, nella sua mansarda bohemienne con mille candele ad illuminare la notte calda e pulsante.

Sentì che lui la stringeva di più e si aggrappò alle sue spalle, alzandosi dal suo posto a sedere e mettendosi a cavalcioni sopra di lui, lasciando che la gonna si alzasse e scoprisse le sue gambe. Lo baciò profondamente, sentendo forse per la prima volta una fiamma ardere dentro di lei, sotto lo stomaco, da qualche parte.

Si sentiva bella, desiderabile. La sua regina.

Clark non l’avrebbe mai trattata così: tutt’al più l’avrebbe riaccompagnata a casa con il suo furgone e l’avrebbe salutata con un timido bacio sulle labbra, sorridendo imbarazzato.

Provò una fitta di rancore e tornò a farsi stringere di più dall’uomo che aveva deciso le avrebbe fatto dimenticare una volta per tutte Clark Kent.

Quando la limousine si fermò, nel vicolo dietro al Talon, Jason uscì, porgendole la mano e aiutandola a trovare la serratura per aprire la porta. Poi l’accompagnò su e si allentò appena il cravattino.

-Dallo a me…-, disse Lana sfilandoglielo con aria provocante e tirandolo verso il divano, allungandosi per baciarlo ancora, tornando a cavalcioni sulle sue gambe e poi baciandolo febbrilmente sul collo, insinuando le mani tra i suoi capelli.

-Lana… che… che stai facendo…-, chiese con voce roca, cercando di staccarsi da lei, ma quella inaspettata riconciliazione, così passionale, che gli aveva riservato, non aveva bisogno di ulteriori parole e il sangue era già scivolato giù, dalla sua testa, verso il suo ventre, verso le mani che carezzavano il collo morbido di Lana.

-Shhh…-, le fece lei in un orecchio e riprese a baciarlo, euforica.

Dopo tanto tempo, di sentiva di nuovo viva.

Come erano finiti sul letto, Jason non lo ricordava. Così come ricordava poco anche quando fossero venuti via dal ristorante, la sera prima. Doveva soltanto cenare con Lana e farla parlare: erano quelli i suoi compiti.

Dalle finestre un sole abbagliante feriva i suoi occhi, provocandogli fitte alle tempie.

Accanto a lui, Lana dormiva ancora. Il lenzuolo copriva la sua pelle nuda.

Si alzò lentamente, cercando di non fare rumore e raccolse le sue cose sparse per la stanza.

Si rivestì in fretta e scrisse due righe per lei su un foglietto che lasciò sul cuscino.

Poi aprì piano la porta e scese giù: il bar era già gremito e solo in pochi si accorsero di un uomo in smoking e senza cravattino che scendeva furtivamente le scale e usciva dalla porta sul retro.

L’aria ancora fresca lo colpì come uno schiaffò. Inspirò e si grattò la testa, cercando di mettere ordine tra le sue idee, quando il cellulare nella tasca vibrò appena: era un messaggio di Lex.

“Spero che il piccolo aiuto

che le ho dato abbia portato i suoi frutti…

Mi auguro che tu sia riuscito ad ottenere

dalla signorina Lang

quello che volevamo…”

Soffocò un’imprecazione e strinse il cellulare tra le mani, battendo un pugno contro il muro screpolato.

-Maledetto bastardo… cosa mi hai fatto fare?-

Lex lo aveva drogato, spingendolo ad annientare le sue inibizioni.

Aveva drogato entrambi, ed ora Lana avrebbe avuto un buon motivo per lasciarlo definitivamente. [i]

Un piccolo capannello di studenti si era assiepato attorno alla parete degli annunci, e le loro voci sovrapposte e confuse riecheggiavano nell’atrio del liceo di Smallville.

Clark, uscendo dall’aula assieme a Chloe e Pete, non poté fare a meno di esserne attratto.

Pete avanzò deciso fendendo la folla, mentre Chloe rimase indietro: doveva parlare al suo amico “particolare”, come aveva deciso di chiamarlo, nella sua mente.

“Alieno” era una parola che non le era mai piaciuta, e kryptoniano le ricordava troppo i cattivi dei cartoni animati giapponesi che guardava da bambina, quando la mamma le diceva di fare la brava e non uscire dalla sua camera. Gli parlò sottovoce.

-Senti… c’è una cosa che dovrei dirti… Ma non arrabbiarti prima di sentire tutta la storia-, Clark aggrottò le sopracciglia, temendo che l’amica si fosse lasciata sfuggire qualcosa sul suo segreto.

-L’altro giorno ti ho visto che cercavi informazioni precise su Lily ed io… diciamo che ho terminato il lavoro per te…-

Clark la prese per un braccio e la tirò verso un angolo isolato: gli altri studenti erano distratti dalla notizia appesa alla bacheca, non avrebbero fatto caso a loro. Lilyanne, invece, ancora non si era liberata per la pausa pranzo. Doveva essere con la sua classe nelle aule oltre la zona interrotta dall’incendio, e ci voleva qualche minuto per fare il giro della scuola e arrivare lì dov’erano loro.

-Che hai scoperto?-, chiese ansioso e preoccupato.

-Dunque… credo fosse questo che stavi cercando di capire… in realtà i genitori che Lilyanne ha perso nell’incidente d’auto vicino a New York, non erano i suoi veri genitori…-

-Cioè era stata adottata anche da loro?-, domandò vedendo i pezzi del puzzle andare al loro posto, da soli.

-Beh, qualcosa del genere… in realtà credo che non fosse neanche stata adottata legalmente… diciamo che l’hanno trovata e hanno detto che era figlia loro-

-E’ possibile che…-, Clark non riusciva a formulare la pesante domanda che da mesi risuonava nella sua testa.

Chloe annuì, in silenzio, consegnandole un piccolo fascicolo.

-Lilyanne non è nata a Metropolis nell’88, Clark… lei è stata trovata qui a Smallville il sedici ottobre del 1989… quando… tu sei…-

Clark la guardò esterrefatto, poi si avvicinò all’amica che gli aveva portato la notizia che aspettava e l’abbracciò, tenendola stretta per qualche istante. I suoi occhi scintillavano, ora che aveva la certezza di non essere il solo kryptoniano sulla terra. Sorrise, affondando il volto tra i capelli biondi di Chloe.

-Clark… pensi che anche Lily…? Cioè… intendo… che anche lei sia come te?-, non si mosse per non perdere quel contatto così importante.

-Credo di sì… sai, l’altro giorno lei ed io siamo stati entrambi…-

Furono interrotti da Pete che li chiamava a gesti verso di lui.

-Cosa stavate facendo voi due?-, chiese allusivamente, scherzando, -Avete visto? Il preside ha dato la comunicazione che la palestra non sarà pronta prima dell’estate! Questo significa che salterà il Ballo di fine anno!-, comunicò deluso: già pregustava di passare quella serata assieme a Samantha…

-Allora esiste davvero un Dio lassù!-, esclamò Chloe, avvicinandosi per leggere le novità, facendo finta di non aver avuto quella conversazione con Clark, mentre lui rimase in silenzio, ancora turbato per la notizia. In fondo, a lui non interessava quell’evento, sebbene non fosse così astioso a riguardo come Chloe.

Una classe del terzo anno comparve dalla porta antincendio che separava l’area bruciata della scuola da quella che non era stata toccata dalle fiamme.

Videro Lily, che si staccava dal gruppetto e avanzava verso di loro.

-Ciao!-, li salutò, scambiandosi un’occhiata dolce con Clark.

-Ciao! Com’è andata con la tua nuova… inquilina?-, chiese lui, cercando di nascondere quella curiosa apprensione che aveva dalla sera prima, dopo che sua madre gli aveva detto quelle cose.

-Ehi ehi ehi! Quale inquilina?-, chiese Chloe, mentre Pete, curioso, sbirciava gli annunci incriminati in bacheca, allontanandosi da loro.

-Clark non te l’ha detto? Da ieri sera Lois sta ufficialmente da me!-, sembrava soddisfatta dalla novità.

Chloe spalancò la bocca e guardò interrogativa Clark.

-Cos’è successo?-

-Ecco… vedi…-, iniziò lui, cercando le parole più adatte per spiegare all’amica che aveva litigato con sua cugina.

-Semplicemente Lois ha preferito la compagnia di una ragazza, a quella di questo amabile bifolco!-, anticipò Lilyanne, sorridendo complice al suo ragazzo.

-Incredibile! Pensavo che tu e Lois aveste eletto l’arte del battibecco a sport nazionale! Come farete, ora, a punzecchiarvi per ogni cosa?-, domandò divertita.

Clark si grattò la testa, imbarazzato: -Troveremo il modo di farlo lo stesso-, scherzò.

Rimasero un po’a commentare, formando, insieme agli altri studenti, alcuni gruppetti vocianti sparsi per il corridoio. Tutti si azzittirono quando il preside Reynolds si avvicinò con un altro comunicato tra le mani e si avvicinarono a lui curiosi e delusi.

-Fatemi passare, per favore… ragazzi, penso che avrete lo stesso la possibilità di festeggiare il vostro diploma con un Ballo-, dichiarò soddisfatto e sorridente, -Il finanziatore della squadra di Football mi ha appena comunicato che intende offrire gli spazi per tenere i festeggiamenti per la vittoria del campionato e, nell’occasione, per organizzare la serata danzante del Prom Ball!-

Attaccò con delle puntine il foglio alla parete e sparì, seguito da un codazzo di studentesse eccitate all’idea del cambio di sede. Avevano già dimenticato la palestra e stavano iniziando a pensare come organizzare la nuova festa.

-Lex Luthor si offre di ospitare una ridicola festa di ragazzine vestite come bomboniere… con i palloncini e tutto il resto??-, chiese, più che altro a se stessa, Chloe, sconvolta dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Dopo la rivelazione che il suo miglior amico veniva dallo spazio, che Lois si era spostata dalla casa di questo alieno a quella presumibilmente di un’altra aliena e che l’”ipertricotico” supermiliardario del Kansas aveva deciso di dilettarsi in mezzo a cheerleader sculettanti, forse le conveniva acquistare un biglietto della lotteria… le probabilità di vincita, vista l’ondata di casi anomali in quella zona, era altissima.

Clark ridacchiò e prese per la mano Lily. Pete corse a dare la notizia agli altri suoi amici. Non capitava così spesso di poter partecipare ad un Prom Ball nella tenuta di un multimiliardario!

-Vado al Torch a meditare un po’… questa notizia mi ha… colpita…-, disse Chloe, lasciando da soli i due piccioncini, salutandoli con un sorriso eloquentemente complice.

-Andiamo fuori?-, chiese Lily, e Clark la seguì.

-Dicevo sul serio, prima… come è andata con Lois? Voglio dire… hai notato nulla di strano, in lei?-, in realtà era emozionato dalla realtà scoperta poco prima, ma non voleva travolgere Lily con quelle notizie senza prepararla adeguatamente.

-Sai Clark… in realtà l’unica cosa che ho notato, e non è la prima volta, è che lei è una persona amabile, divertente, spiritosa, in gamba, intelligente… insomma… l’unica cosa che non va in lei è il vostro rapporto…-

-Già…-, Clark si adombrò: in fondo erano le stesse cose che aveva sempre detto loro sua madre.

-E’ che quando c’è lei io… non posso fare a meno di essere… acido!-, la guardò alzando le spalle e vide che il suo sguardo si era oscurato.

Aveva usato le stesse parole di Lois…

-Comunque… va meglio il tuo mal di testa?-, le domandò dandole un bacio sui capelli.

-Sì, grazie… io credo che… avessi ragione sulla causa… riesco a vedere anche io attraverso le cose, ora… devo ancora capire come controllarlo, ma con calma…-

-Ti è successo di avere dei flash anche quando non volevi?-

-Beh… diciamo che la visione del Professor Sheffield in mutande e calzettoni mentre stavo facendo il test di Matematica non è stata così edificante! Meglio quella di Steve Stewart, mentre entravamo in aula!-

Clark sgranò gli occhi e le passò un braccio dietro le spalle, tirandola a sé fingendo di soffocarla, mentre le scompigliava i capelli.

-Malandrina!-

Lily sfuggì alla sua presa e lo tirò verso un albero, ridendo, poi lo abbracciò. In quel momento si sentiva felice.

La piccole foglie verdissime, appena spuntate, si muovevano animatamente nel vento poco promettente che portava con sé nuvole scure, da est.

-E’ bello che stai sviluppando le mie stesse capacità… siamo sempre più… uguali-, la guardò con dolcezza, tenendola stretta a sé. Doveva parlarle…

-Sono pronta, Clark-

-Pronta…?-, allentò un po’ il suo abbraccio.

-Sì, sono pronta a sapere la verità su di me… su di noi. Ho atteso a sufficienza, credo…-

Lui la guardò intensamente, con espressione seria. Poi si guardò intorno e decise che quello era un luogo sufficientemente riservato per le cose che doveva confidarle.

-Devi promettermi una cosa, però-, le disse senza staccare gli occhi dai suoi, -Devi credere alle mie parole, perché non potrei mai prendermi gioco di te o raccontarti cose che non siano vere. Se ho aspettato così tanto a parlarti è perché non avevo tutte le risposte…-

-Quali risposte?-, si accigliò, e incrociò le mani sul petto.

-Dunque… ti ricordi di quando ti parlavo del fatto che anche io sono stato adottato… Beh… Ho scoperto una cosa, su di te…-

Lily alzò un sopracciglio, attendendo che proseguisse.

-Non sono stato l’unico bambino ad essere ritrovato qui a Smallville il sedici ottobre del 1989, durante la pioggia di meteoriti…-

-Che vuoi dire?-, era preoccupata.

-C’eri anche tu…-

Lily sentì un’ondata di panico avvolgerla come una coperta di ghiaccio e attaccarla alle gambe, che si fecero molli.

-E’ vero… io sono nata in Kansas… ma non qua a Smallville! La mia mamma mi ha partorito a Burnaby[ii], un sobborgo di Metropolis l’anno prima e…-

Clark mise le mani sulle sue spalle e scosse la testa. Nei suoi occhi brillavano la speranza e l’angoscia che lei potesse non accettare quello che le stava dicendo.

-No, Lily: i tuoi primi genitori ti hanno trovata qua a Smallville… erano qua perché tuo padre aveva preso una commessa di lavoro in questa zona e mancavano da Metropolis da più di un anno. Quando tornarono a casa, dissero che tua madre era rimasta incinta poco prima di partire e che non avevano voluto spargere la voce che aveva avuto un figlio, perché non erano ancora sposati. Credo si siano sposati qua a Smallville, nell’autunno dell’89…-

Le fece una carezza, perché smettesse di guardarlo con quegli occhi feriti e disorientati, come se avesse perso il suo passato e si fosse risvegliata senza più ricordi.

-Non è vero-, disse semplicemente, senza convinzione.

Clark la guardò scavare nella sua memoria alla ricerca di un ricordo che non c’era; Lily aggrottò le sopracciglia e tirò su con il naso, nell’evidente sforzo di non piangere.

Lui la strinse a sé e le offrì il suo petto per sfogare tutte le sue speranze disilluse, in un pianto liberatorio.

Non era il momento giusto per concludere la sua storia e dirle che, non solo non era figlia di quelli che credeva fossero i suoi genitori, ma oltretutto non era nata sulla terra.

-Mamma Meg mi diceva sempre che ero stata nella sua pancia… che ho messo il mio primo dentino a otto mesi e che… Papà1 faceva vedere le mie foto a tutti… dovevamo andare a New York dai suoi amici… noi…-, la sua voce rotta dal pianto graffiava il cuore di Clark, che si sentiva un po’ responsabile del suo stato d’animo, della delusione che stava provando Lily. Le diede un bacio sui capelli e la staccò delicatamente da sé, perché lo guardasse in viso.

-…Papà1?-, le chiese sorridendo dolcemente.

Tra le lacrime Lily sorrise appena e si asciugò il volto con il dorso della mano.

-Sì… c’erano Papa1 e papà John, mamma Meg e mamma Veronique… io… pensavo di avere “solo” quattro genitori… e invece… non ho perso solo loro… oddio Clark…-, riprese a singhiozzare più forte di prima, di nuovo le sue parole frammentarie risuonavano cariche di dolore.

-Mamma Meg… loro sono… loro sono morti… loro mi avevano voluta più che se fossi stata figlia loro… Li ha ammazzati quel bastardo… e io… Dovevo morire anch’io…! maledetto…-, non riusciva a calmarsi, il ricordo dell’incidente era tornato prepotente alla sua mente, come un cazzotto alla bocca dello stomaco, e tutto il dolore per la perdita di quelle persone che invece pareva aver dimenticato quando era solo una bambina, le mozzava il respiro, impastava sensazioni dimenticate troppo a lungo, con speranze disilluse.

Clark rimase con lei finché non si fu un po’ calmata, perdendo l’inizio delle lezioni del pomeriggio. Poi la accompagnò alle panchine vicino alla mensa: non avevano pranzato ed era certo che qualcosa di caldo le avrebbe fatto bene.

Non c’era nessuno, perché le nubi dense d’acqua, ormai vicine, avevano fatto scappare i recidivi delle pause all’aperto.

-Aspettami qui, ci metto un secondo-, le diede un bacio e sparì.

Quandò tornò con la supervelocità, qualche minuto dopo, aveva con sé due bicchieri fumanti di mocha[iii] con la panna sopra. Li riscaldò appena con lo sguardo termico e ne porse uno a Lily, che lo prese senza una parola, ancora corrucciata, bevve qualche sorso e alzò gli occhi su di lui, tornando a sorridere, come la bambina che non era riuscita ad essere…

Lana non si svegliò prima dell’ora di pranzo. Quando aprì gli occhi, anche lei, provò una fitta di dolore alla testa; si mosse e il lenzuolo scivolò di pochi centimetri dalle sue spalle, lasciandole una sgradevole sensazione di freddo. Si coprì con la mano e si rese conto di essere nuda. Si sollevò con espressione confusa.

Seduto sulla poltroncina vicina al letto, Jason la guardava. Aveva un occhio nero e un taglio sopra il labbro. La camicia dello smoking che indossava la sera prima era schizzata di sangue.

Aveva la faccia di chi sa di averla fatta grossa, e gli occhi tristi.

-Jason...? Cosa...?-, una fitta più violenta alla testa. Premette una mano sulla fronte e un’espressione di dolore trasformò il suo bel viso per un istante.

Jason si alzò e andò a sedersi sul letto, vicino a lei.

-Che ti è successo?-, disse Lana avvicinando una mano al suo volto, senza toccarlo per paura di fargli male.

-C’è qualcosa che devi sapere…-, le disse, scuotendo appena la testa, non riuscendo a trovare le parole giuste. Poi vide che rabbrividiva.

-Tieni, metti questo sulle spalle o ti prenderai un malanno-, le disse coprendola con la sua giacca da sera, poi la guardò di nuovo.

-Non ricordi niente di quello che è successo stanotte, vero?-, lasciò che riflettesse in silenzio e vide i suoi occhi dilatarsi, mentre portava una mano alle labbra, socchiuse per lo stupore dei ricordi che, lentamente, riaffioravano come i relitti di una nave naufragata nella nebbia.

Lo guardò spaventata.

-Noi…?-, il suo sguardo corse velocissimo al letto e alle cose ancora sparse per terra. Si strinse di più nella giacca, cercando di coprirsi il più possibile.

Jason annuì, abbassando lo sguardo. Ci fu un attimo di silenzio, tra loro, durante il quale nessuno dei due seppe trovare le parole per giustificarsi o accusare l’altro.

-Siamo stati drogati, Lana… C’era qualcosa nel vino che abbiamo bevuto o nell’acqua… Anche io mi sono svegliato con un mal di testa fortissimo, senza ricordarmi come siamo arrivati qua al Talon. Devi credermi-[iv]

Lana cercò di ricostruire la nottata precedente: ricordava solo alcuni frammenti del loro ritorno a casa, a bordo di una limousine e di quello che era successo dopo, tra loro… Guardò Jason: le sembrava sincero.

-Come… come ti sei ridotto a questa maniera?-, disse portando una mano al suo volto.

Il ragazzo si alzò e le bretelle bianche penzolarono ai suoi fianchi.

-Sono andato a dare una lezione a chi ci ha fatto questo…-, disse senza guardarla negli occhi. Era solo colpa sua se aveva deluso Lana e sua madre. Non sapeva cosa avesse esattamente fatto quella notte e come lo avesse fatto. Non era sicuro di nulla e sperava solo che quella nottata non avesse portato conseguenze nel tempo. Era colpa sua, che aveva permesso a quel serpente di Lex di entrare nella sua vita e di manovrarlo come un burattino, fino a costringersi a mentire a Lana per non rivelarle che lavorava con lui.

Per lui, pensò, e strinse i pugni.

-Chi è stato?-, domandò Lana. Nella sua voce, innocenza e rabbia sfumavano l’una nell’altra.

Jason la guardò, pensando alla sua risposta.

-Mi dispiace, Lana… ma non posso dirtelo. Non voglio che quel verme possa torcerti anche solo un capello… E’ meglio che tu non lo sappia…-, uscì velocemente di casa, senza dirle altro, senza aspettare che lei lo fermasse, gli dicesse altro, lo convincesse a parlare.

Lana non si mosse, per fermarlo. Lo guardò uscire dalla porta di casa rimanendo seduta nel letto, con indosso solo la giacca dello smoking che le stava enorme.

Fissò un punto distante da lei anni luce. Non aveva pensieri, nella sua testa. Non poteva pensare, in quel momento.

Una piccola lacrima scivolò sulla sua guancia e lei si lasciò cadere distesa sul letto, permettendo ai singhiozzi di farla tremare e alle lacrime di bagnare quelle lenzuola che puzzavano di qualcosa che le era stato rubato.

Affondò il volto tra i cuscini, per non fare sentire il suo pianto disperato, strinse tra i pugni la stoffa infida che aveva preso i suoi sogni più intimi e li aveva fatti a brandelli.

Solo una parola scivolò dalle sue labbra bagnate dalle lacrime, soffocata tra i cuscini: Clark

Pianse fino a che non fu troppo stanca, finché non ebbe più lacrime. Solo allora si alzò e barcollò nuda fino al bagno, illudendosi che una doccia bollente potesse cancellare via l’amarezza che le colmava il cuore.

Sul suo letto, da sola, Lily teneva in grembo l’album delle foto della sue vite passate. Aveva indossato la sua vecchia felpa ed era rimasta lì senza rendersi conto dello scorrere del tempo, sfogliando la carta ingiallita dagli anni: lei, sua madre e suo padre. I primi due. O meglio, quelli che lei credeva fossero i primi due…

Non si sentiva più la stessa persona che era scampata alla morte sulla statale 87.

Aveva iniziato a piovere: Lily guardò fuori dalla finestra, senza espressione.

Tante volte, in passato, quando il dottor Leibniz la torturava con test e domande, si rifugiava nella sua cameretta e stringeva tra le mani quella foto, sperando che la sua vera mamma e il suo vero papà la guardassero dal cielo. In quel momento, nella penombra della sua camera, interrotta solo dai bagliori che provenivano dai fari delle auto lungo la strada, si sentiva nuda, scoperta, come se avesse perso ogni cosa della quale fidarsi.

Aveva rispolverato una vecchia lettera che teneva nascosta tra i libri, nello scaffale in camera sua al piano di sopra e aveva trovato il coraggio di fare quella telefonata: aveva avuto le conferme che cercava, ma non era corsa da Clark a raccontargli tutto. Era una cosa sua e in quel momento voleva restare da sola, a riflettere.

Quando la pioggia battente iniziò a gocciolare dentro la sua camera dalla finestra socchiusa, Lily si alzò, al buio e la chiuse, asciugando con la manica della felpa le gocce dal vetro. Poi si sedette immobile sull’ampio davanzale in legno della sua finestra. Era tutto così confuso, ogni frammento del suo passato, conservato con gelosia negli anni, le appariva vuoto, senza senso, perché nessuna delle cose che le erano avvenute da quando era al mondo poteva realmente avere un senso.

Tranne quello che provava per Clark.

Allungò la mano fino al piccolo cofanetto che teneva lì accanto, su una mensola di ciliegio: al suo interno conservava le fedi dei suoi genitori, che le erano state consegnate dopo il suo affidamento ai signori Leibniz.

Cercò di ricostruire ancora una volta l’incidente, il momento esatto dell’impatto, lo stesso nel quale le braccia calde della mamma l’avevano persa e la vita aveva cessato di battere nel suo petto. L’istante in cui, là fuori sull’asfalto sporco di neve fangosa, era stato sbalzato suo padre, battendo la testa, vicino all’auto di colui che li aveva spezzati.

Si sforzò di ricordare quell’uomo. Sì… era uscita dall’auto urlando e piangendo e cercando di tirare fuori la sua mamma, schiacciata dall’impatto e immobile. Una bambina di quattro anni e mezzo che cerca di salvare chi l’ha messa al mondo, con la vista appannata dal pianto e dal sangue che le colava negli occhi, bruciando come un tizzone ardente. Non aveva forza a sufficienza, le ferite le facevano sempre meno male, ma non aveva la forza. Si era spostata camminando sulle ginocchia fino all’auto che li aveva travolti, senza capire cosa fosse successo, e aveva visto il volto sporco di sangue di un uomo che la guardava sofferente, immobile. Ricordava di essersi avvicinata alle lamiere e di aver infilato una mano nell’auto ribaltata, per fargli una carezza.

“Prendi la mia mano”

Era la sua voce che l’aveva detto, dilatata e trasformata dagli anni di dimenticanza. Sì… era stata lei, una bambina disperata, che aveva cercato di aiutare chi aveva ammazzato i suoi genitori.

Ma quell’uomo non si era mosso. Aveva solo continuato a guardarla mentre le lacrime scivolavano via dai suoi occhi azzurri e terrorizzati, che erano rimasti impressi nella sua mente a lungo.

Un giorno, tempo dopo, ascoltando un discorso tra grandi, aveva capito a chi appartenevano quegli occhi, gli stessi occhi che si erano distratti, perdendo il controllo dell’auto che aveva travolto la sua famiglia.

Era stato allora che aveva cancellato quel ricordo, quel volto.

Lois rientrò aprendo con la chiave che le aveva dato il giorno prima. Lily sentì che cercava di fare piano, camminando in punta di piedi per non svegliarla. Salì le scale lentamente, indugiando sulle assi di legno che, in alcuni punti, scricchiolavano sotto il suo peso. Aprì la porta della sua camera e accese la luce, lasciando alcune cose sul letto e sfilandosi la giacca, poi entrò in bagno e, aprendo piano il rubinetto dell’acqua, si lavò le mani e si sciacquò il viso. Poi si avvicinò di nuovo alla porta della sua stanza, mise le mani sulla maniglia, e rimase un istante ferma, al buio, con la testa bassa. Sospirò e si fece forza per entrare.

Lily rimise al loro posto il cofanetto con le fedi e si sedette di nuovo sul davanzale in legno, scacciando E.T., chiedendosi come mai quella sera sembrava avesse portato tristezza sui cuori di tutti.

Si voltò verso la camera di Lois e strinse appena gli occhi.

Attraverso le pareti, vide che stava seduta sul letto, con la testa china a leggere dei fogli, attentamente. Li scorse tutti più volte, come se cercasse un errore che non c’era, poi scosse le testa e soffocò un gesto di rabbia nell’accartocciarli. Strofinò una mano sotto al naso e si lasciò andare all’indietro, sul letto, piangendo in silenzio con il volto reclinato da un lato. Tirò su le gambe e si rannicchiò in posizione fetale, portando una mano alla bocca, cercando di non fare sentire i suoi singhiozzi.

Lily chiuse gli occhi e deglutì, guardando fuori, verso il cielo, cercando tra le stelle più lontane la risposta all’imperativa domanda che riecheggiava nella sua testa.

Perché siamo nati per soffrire?



[i] L’ispirazione per questa scena, sono sincera, mi è venuta dopo aver guardato il primo episodio di Veronica Mars…

[ii] In realtà Burnaby è un sobborgo di Vancouver, dove si trovano gli studios dove viene girato Smallville.

[iii] Il Mocha è una bevanda che fanno in America e Canada. Praticamente è una litrata di caffè misto a cacao, latte e immagino qualcosa di pannoso, zuccherato e bollente, servito con la panna montata sopra… se non siete ancora svenuti, rileggete la descrizione e svenite pure… MAMMAMIA COM’E’ BUONISSIMOOO!!!!

[iv] L’ecstasy, sugli umani, ha -secondo me- lo stesso effetto della Kryptonite rossa sui kryptoniani. Così come Clark, sotto gli effetti di quella pietra, è scappato con Alicia a Las Vegas, l’ha sposata ed era fermamente intenzionato a “renderlo ufficiale”, come dice nella puntata “Unsafe”, così è accaduto a Lana e Jason. Solo che gli effetti della droga non sono così facilmente annullabili allontanando la causa… per questo, ahilei!, è successo quello che è successo. Date la colpa a Lex, non a me. :-P

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Quello che brucia dentro ***


Capitolo 22 - Quello che brucia dentro

Pete si alzò prima che la sveglia suonasse, si stiracchiò e guardò fuori dalla finestra: non c’era traccia della pioggia sottile e penetrante della sera prima, sembrava che fosse un giorno diverso, un nuovo corso che avrebbe potuto portare solo eccitanti novità.

Era euforico per la serata precedente e quella notte era stata incorniciata da un bellissimo sogno: lui e la bella Samantha che ballavano abbracciati nei lussuosi saloni del castello di Lex Luthor, mentre un gruppo musicale tra i più ricercati dai licei di tutta America scioglieva nell’aria le note delle sue canzoni più romantiche.

Ripensò alla sera prima, quando finalmente si era deciso a chiederle di essere la sua dama al gran ballo di fine anno: “Tu… sei amico di Lex Luthor, non è vero Pete?”, gli aveva domandato. “Certo, amici da molto tempo!”, le aveva risposto, avvalendosi della proprietà transitiva dell’amicizia che, tramite Clark, lo rendeva di diritto un compare del multimiliardario calvo.

“Allora verrò con te…”, aveva concluso Samantha, e -finalmente- si era avvicinata a lui e aveva posto le labbra rosse e carnose sulle sue, facendolo volare al settimo cielo, mentre il sangue defluiva rapido dal suo cervello… dove ormai non era più necessario…

Indossò una bella felpa griffata, si lavò i denti, e scese in cucina, saltando gli scalini a due a due: quel venerdì sarebbe stata una giornata eccezionale.

Giovedì, 06/05/’05 ore 3:28 PM

Lana rimase immobile sotto l’acqua bollente sforzandosi di pensare ai momenti belli nella sua vita.

La volta che era andata al lago con Chloe ed erano rimaste a prendere il sole finché entrambe non erano diventate rosse come peperoni e la sera, nella stessa stanza, a casa di Chloe, avevano continuato a lamentarsi e a cercare posizioni per dormire che non facessero loro sentire le bruciature, ridendo al buio, come due galline.

La seta dell’abito nuovo sulla sua pelle.

Quando zia Nell le aveva regalato le sue scarpe col tacco, quelle bianche e nere che le piacevano tanto e che provava di nascosto fin da quando era una bambina.

La musica ammaliatrice del Fleur de Lis.

Le gare di atletica, quando aveva vinto la prima medaglia per la corsa ad ostacoli ed era corsa a farla vedere a Whitney, che l’aveva presa tra le sue braccia e l’aveva fatta girare, ridendo felice.

Le bollicine dello champagne che frizzavano sul suo palato, il sapore dolciastro dell’aragosta in bocca.

Il mulino di Chandler’s Field e Clark, che l’aveva accompagnata lassù, anche se soffriva di vertigini, e le risate nel guardarlo scendere tremando, sulla scaletta di metallo così instabile.

La lingua di Jason, che esplorava la sua bocca, appoggiati alla porta del Talon, il rumore della limousine che si allontanava.

Il primo vero bacio con Clark, nel fienile, la sera del suo compleanno, dopo che si era quasi bruciata un dito per accendere le candeline sulla sua torta. Il primo vero bacio, che l’aveva strappata da terra e fatta volare lontano, tra le stelle, stretta a lui; le sue braccia forti e protettive, dove aveva sempre voluto lasciarsi andare.

Le mani di Jason sulla sua schiena, sulla pelle nuda, il brivido che si scioglieva in basso, tra le sue gambe, le sue mani che si insinuavano sotto la sua camicia, a cercare la sua pelle, la bocca a cercare altro baci, il collo reclinato all’indietro, protesa davanti a lui, il suo volto premuto contro il seno, i capelli a solleticarle il petto lasciato scoperto dall’abito elegante.

I cavalli che brucavano l’erbetta fresca accanto a loro, la brezza leggera, l’abbraccio caldo di Clark, seduti per terra, gioendo solo di esser là, finalmente insieme, quando tutto era perfetto, quando nei suoi occhi limpidi poteva rispecchiarsi e trovare solo la sicurezza di un amore puro, conquistato con la pazienza, desiderato con il cuore, in ogni istante, nei sogni di ogni notte.

Il rumore impercettibile della zip del suo abito, che cedeva morbida alle mani febbrili e virili di Jason, il suo sguardo penetrante quando lo aveva allontanato da sé e, da sola, aveva fatto scivolare giù il vestito, provando un brivido mentre la seta strusciava morbida sui suoi seni nudi. Il desiderio ardente che si scioglieva dentro di lei alle sue carezze così intime, al contatto delle sue labbra bollenti. La voglia di essere sua, in quel momento, subito!

Il sollievo di rivedere il volto di Clark: era vivo, stava bene… anche se non era più lui. La guardava diversamente, spogliandola con gli occhi, baciandola con una forza che non c’era, prima che scappasse da Smallville, facendole provare delle sensazioni che non voleva provare, che non era bene desiderare in quel momento. E poi il suo sguardo colpevole e implorante, quando era tornato da lei, per un addio.

La camicia sfilata con la forza, le braccia di Jason che la sollevavano portandola fino al letto, ancora il suo sguardo bramoso, ancora il desiderio che la tormentava, le sue mani che lo tiravano a sé, il suo peso su di lei. L’attimo di paura, l’esitazione e poi di nuovo le gambe intrecciate a lui e una sensazione nuova, che toglieva il respiro. La sua voce spezzata mentre pronunciava il suo nome, mentre lo stringeva a sé, affondando le unghie nella sua schiena, sentendolo tremare forte.

L’ultimo bacio: poco prima che decidesse di andare via, di dimenticarlo. L’ultima speranza, l’ultima possibilità di essere sincero. L’ultima rosa abbandonata sull’asfalto. Per lei.

La sua voce che ripeteva affannata il suo nome, la stanchezza, il sonno che si impossessava di loro, senza riuscire a darsi una risposta, senza spiegare come avevano potuto essere così imprudenti. L’abbraccio caldo che aveva cercato, un posto sulla sua spalla, un bacio ancora. Poi il sonno che aveva cancellato ogni cosa.

Lana era riuscita a ricordare quasi ogni dettaglio della nottata trascorsa, provò un brivido, sotto la doccia bollente.

Guardò le sue mani, raggrinzite dal troppo tempo sotto l’acqua.

Le lacrime si mescolavano all’acqua della doccia. Chiuse il rubinetto ed uscì, spaventata a morte per quello che aveva realizzato.

Si asciugò velocemente con l’accappatoio e uscì dal bagno, insieme ad una nuvola di vapore profumato. Raggiunse la sua borsetta ed estrasse il telefono, mentre i suoi capelli sgocciolavano per terra.

-Dove sei?-, domandò in ansia a Jason, che le aveva subito risposto.

-Sono qua sotto, nel vicolo…-, la voce corrucciata, come doveva essere il suo volto. Era rimasto lì, ad aspettare che lei lo chiamasse…

-Sali…-

Chiuse la comunicazione e si infilò velocemente delle mutande pulite, un reggiseno di cotone bianco e una tuta morbida. Tamponò i capelli con l’asciugamano e aprì la porta a lui che bussava.

Lo fissò circospetta, cercando parole che non apparissero volgari, che non le ricordassero la Lana che era stata solo poche ore prima.

-Jason… noi due abbiamo…-

-Sì, Lana, sì!-, sbottò lui, lasciandosi cadere sul divano, -Mi pareva fosse chiaro… Abbiamo fatto l’a-m-o-r-e! Non è un concetto così complicato da comprendere!-, faceva sempre così quando si trovava in difficoltà: la interrompeva e diceva ovvietà.

-Sì, ma… come…?-, sperò che capisse che intendeva.

-Come?... Non capisco… in che senso “come”… vuoi che ti racconti i dettagli che mi ricordo? Dunque… cosa vuoi sapere… quando io ti ho aperto il vestito o quando tu mi hai sfilato i pantaloni? Oppure quando…-

-Abbiamo preso delle precauzioni, Jason!-, disse lei, tutta rossa, quasi urlando, sentendosi una scema a fare quella domanda.

Le parole morirono sulle labbra del ragazzo, che la guardò smarrito, senza rispondere.

-Jason…?-, voleva sentirsi dire che sì, avevano usato le precauzioni che servivano.

-Io non… non lo so… temo di no…-, abbassò gli occhi. Non era solo colpa sua, ma si sentiva più colpevole di lei. Forse perché per lui non era la prima volta…

-Temi di no, Jason? Mi stai dicendo che non solo ho perso la mia verginità e mi ricordo appena come, ma che temi anche di avermi messa incinta? Perché tu… tu…-, era chiaramente vittima di un attacco di panico, la sua voce era spezzata, così come i suoi respiri, affannati alla ricerca di aria che i suoi polmoni sembravano non trattenere. La testa come oppressa da qualcosa che le impediva di pensare, un macigno sullo stomaco e, improvvisamente, anche una fitta di dolore tra le gambe. Maledizione!

-Calmati!-, Jason la strinse a sé, premendo la sua testa contro il suo petto: tremava. Tremavano entrambi, in realtà.

Non mischierai il tuo sangue con quello di colei che ha giurato di annientare la nostra famiglia!

Le parole di sua madre risuonavano come un temporale nella sua testa, il suo cuore batteva forte, quello di Lana, piccolo e indifeso, sembrava il cuore di un leprotto, stretto nelle mani di un cacciatore, un attimo prima di decidere la sua sorte.

Si staccò da lui.

-Devo fare qualcosa, Jason… io non posso permettere che la mia vita venga stravolta fino a questo punto!-

Lui annuì e si avvicinò ancora a lei, abbracciandola. La baciò delicatamente sui capelli.

-Perdonami…-, sussurrò.

-Non è colpa tua… forse… forse... doveva accadere-, disse Lana lasciandosi abbracciare, ricordando la volta che lo aveva atteso accendendo mille candele e indossando per lui solo una camicia di seta…

Scosse la testa e poi alzò lo sguardo su di lui, rivedendo lo stesso Jason che aveva incontrato a Parigi, con il quale era stata felice. Si alzò sulla punta dei piedi e avvicinò le labbra alle sue, sfiorandolo appena con un bacio impalpabile, poi lo tirò giù, verso il divano, facendolo sedere e trovando asilo tra le sue braccia con la testa appoggiata sull’incavo della sua spalla, ascoltando il suo cuore tornare calmo.

I primi tuoni, in lontananza, risuonavano cupi e dalla finestra socchiusa della cucina, un soffio di vento più forte portò l’odore della pioggia.

---

-La notte tra mercoledì e giovedì… sono sempre in tempo, no?-, le tremò la voce, ponendo quella domanda all’infermiere al banco accettazioni dell’Ospedale di Smallville. Aveva passato due ore, il pomeriggio precedente, a guardare con Jason su internet quali fossero le soluzioni al loro ‘piccolo’ problema. Si era alzata di buon’ora, cercando di essere la prima, all’ospedale, per accelerare i tempi e per minimizzare i danni.

-Questo tipo di farmaco agisce fino a settantadue ore dopo il rapporto sessuale, signorina, non si preoccupi!-, rispose l’uomo, cercando di tranquillizzarla, ma riuscendo a metterla, se possibile, ancora più a disagio di quanto già non fosse.

-Però, per poterle vendere il Plan B, ho bisogno della prescrizione del suo medico, signorina-

-Certo… capisco… ecco, chieda a lui-, Lana consegnò all’infermiere un pezzo di carta su cui Jason aveva scritto il nome di un medico che aveva contattato la sera prima e che gli aveva promesso, in cambio di alcuni favori oscuri a lei, che avrebbe prescritto il farmaco.

Avevano preso la decisione insieme, una volta affrontate tutte le possibili alternative: la storia della contessa Isobel, la scuola, che ancora non era terminata, e il College, a cui Lana desiderava iscriversi, non potevano passare in secondo piano, di fronte ad un errore commesso, di cui loro due erano solo marginalmente colpevoli.

-Ecco qua…-, disse l’infermiere estraendo dal fax la prescrizione che il medico gli aveva appena inviato, in seguito alla sua telefonata per avere conferma dell’autorizzazione alla vendita del farmaco. Si voltò e ne fece una fotocopia, che consegnò a Lana.

-Vado a prenderle il farmaco-, disse, e scomparve, lasciandola sola al desk.

-Ciao Lana-, la ragazza si voltò: in coda dopo di lei, Lois la salutava da dietro lenti scure, mostrando un sorriso sforzato.

Istintivamente Lana accartocciò la fotocopia e la infilò in tasca. Nessuno doveva sapere di quella storia! Nessuno, tantomeno una persona che stava sotto lo stesso tetto di Clark!

-Lois… che piacere vederti!-, si dette della cretina: non poteva essere un piacere, se l’aveva incontrata in un luogo simile.

-Già… va tutto bene, Lana?-, domandò, perplessa dall’imbarazzo dipinto sul volto dell’amica.

-Certo! … alla grande! E tu? Che ci fai qua?-

Lois alzò le sopracciglia, poi si voltò fingendosi interessata ad alcune brochure sulla vaccinazione antitetanica.

-Questo: mi sono… tagliata con un ferro arrugginito e devo fare l’iniezione di siero antitetanico-, disse con convinzione, quasi esaltata dalla scusa che aveva trovato.

-Oh, poverina… dove ti sei fatta male?-, chiese Lana, scrutando le sue mani.

-Oh… niente… solo un graffietto… al ginocchio…-, disse imbarazzata, -E tu? Che ci fai, qui?-

-Controlli…-, disse Lana, sfoggiando un sorriso smielatamente falso, nel momento in cui tornava l’infermiere.

-Ecco il suo Plan B, signorina Lang. Deve mettere una firma qui: la ditta produttrice rilascia un’informativa da visionare e firmare prima che ne faccia uso. Innanzitutto la mettono a conoscenza del fatto che l'assunzione del farmaco entro le prime 24 ore dal rapporto a rischio ha un'efficacia del 95%, che scende al 58% entro le prime 72 ore. [i](1) Inoltre deve comunicarci tempestivamente qualsiasi effetto collaterale si manifestasse nei prossimi giorni, quali nausea, vomito, perdite ematiche e cefalee. Ecco… firmi qui…-

Lana scarabocchiò il suo nome con mano tremante e non si mosse, anche dopo che l’infermiere si era allontanato e tra le sue mani c’era il farmaco che doveva prendere immediatamente.

Lois aveva sentito tutto e lei era come impietrita, senza riuscire a voltarsi e andare via.

-Ehm…-, tossicchiò appena Lois, alle sue spalle, poi si spostò e le si mise davanti.

-Tieni, a me non serve-, disse passandole una bottiglietta d’acqua ancora sigillata e sfilandosi gli occhiali da sole. Aveva gli occhi stanchi, di chi ha passato le ultime ore a piangere. Proprio come lei.

Le due ragazze si allontanarono dal banco accettazione e si sedettero in una saletta d’aspetto poco distante, vuota. Rimasero per un po’ in silenzio.

Lana rigirava tra le sue mani il fagotto di carta al cui interno si trovava la confezione del farmaco a cui aveva pensato tutta la notte, da quando la sera prima aveva preso la decisione e Jason si era dato da fare per procurarle la ricetta. Lois, invece, guardava fisso un punto per terra davanti a sé, in silenzio.

Dopo un po’ si decise a parlare.

-Credo che sia il caso che ti decida a prenderla, Lana… capisco come ti senti, ma se aspetti ancora, potresti pentirti della tua esitazione…-

-Hai ragione-, rispose con voce roca. Mai in vita sua avrebbe pensato di fare una conversazione simile con Lois. Non l’aveva mai sentita come un’amica. Lois era la cugina di Chloe, stop.

Cercò di aprire con mani tremanti la bottiglia d’acqua che le sfuggì di mano.

-Ecco-, disse Lois stappandola, dopo averla raccolta e porgendogliela.

-Grazie…-, Lana aprì la scatolina rosa e celeste e portò la pastiglia alle labbra. Poi si decise, la inghiottì e bevve un sorso d’acqua. Si asciugò la bocca con il dorso della mano e si voltò lentamente verso Lois.

-Ora credo che ti convenga stare tranquilla per qualche giorno… forse avrai dei doloretti… al fegato più che altro…-, Lana la guardò pensierosa.

-Ne parli come se anche tu…-

Lois scosse la testa.

-No, non io… ma qualcuna che conosco… Anche se in realtà, quando mio padre trovò la scatola della medicina, me ne presi la colpa io…-, sospirò, lasciandosi andare ai ricordi, scotendo ancora il capo, senza capire come fosse possibile che gli affetti più profondi svanissero a quella maniera.

-Tua sorella?-, domandò Lana.

-Già… ma è storia passata!-, riacquistò il suo piglio deciso, indossando ancora la maschera che sperava avrebbe nascosto la sua stanchezza e le sue preoccupazioni, -Dunque… spero ne sia valsa la pena…-, si lasciò sfuggire, velando le sue parole con quel sarcasmo che non riusciva quasi più a scrollarsi di dosso.

Lana si accigliò, offesa dalla domanda.

-Sì, Lois, ne è valsa la pena-, disse alzandosi e, con un sorriso di commiato, mentendo, se ne andò.

Lois alzò le sopracciglia, sospirò e si convinse che aveva parlato a Lana a quella maniera solo perché anche i suoi nervi stavano per cedere. Inforcò ancora gli occhiali scuri, riprese la cartellina che aveva in mano, e si rimise in coda al banco accettazioni, fingendo di essere spavaldamente sicura di sé.

Quando uscì dall’ospedale erano le quattro e mezzo passate. Lois avanzò a grandi passi fino alla sua auto, aprì la portiera e buttò il fascicolo che le avevano appena consegnato sul sedile di dietro, sopra ad altri fogli simili.

Maledizione…!

Inspirò profondamente e abbassò il parasole, per guardarsi nello specchietto: sì, era decente.

Girò la chiave nel quadro e partì.

Doveva vedere Martha Kent.

Guidò rapidamente, infischiandosene dei controlli della velocità e della sua patente, già più volte finita in mano ai vigili della strada. Lasciò che il vento entrasse dai finestrini e scompigliasse i suoi capelli, ferisse i suoi occhi e le desse una scusa per mentire anche a se stessa, dicendo che non stava piangendo.

Sterzò facendo sgommare l’auto ed imboccò il vialetto dei Kent, rallentando. Si tolse gli occhiali da sole e passò un po’ di cipria sul viso, per coprire le occhiaie.

Uscì dall’auto e prese tutte le sue carte.

Indossò un bel sorriso spensierato ed entrò annunciandosi con la voce.

-Toc toc!-

Clark era in cucina, con la testa infilata dentro il frigorifero alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare o da bere. Riemerse e la vide, mentre Martha li raggiungeva arrivando dal piano di sopra.

-Lois, che bello rivederti qui!-, le disse avvicinandosi per abbracciarla, poi fermandosi un istante e guardandola a bocca aperta.

-Lois! Che… che è successo ai tuoi capelli? Hai infilato la testa in una pozza di petrolio?-, ridacchiò Clark, addentando un pezzo di Apple Pie avanzato. Si era sforzato di essere provocatorio come al solito.

-Sai, Clark, ho sempre voluto assomigliare a mia madre: lei aveva i capelli chiari, come mia sorella ed io… beh, volevo essere come lei. Ora… beh… ora so di essere più simile a mia madre di quanto volessi e… ho deciso che è tempo di tornare ad essere solo Lois Lane. Almeno per un po’…-, lei, invece, aveva abbandonato ogni tentativo di sarcasmo con lui, dopo quello che si erano detti la sera prima. Aveva cercato di sorridere, mentre parlava, ma era stato duro riuscirci.

Martha chinò appena la testa, lasciandosi sfuggire per un istante un’espressione addolorata ed impotente. Poi inspirò e tornò a sorridere.

-Apprezzo molto la tua scelta, Lois: sei proprio bella con i capelli neri!-, disse con voce il più salda possibile.

-Grazie! E pensare che stamattina Lana non se n’è neanche accorta!-, alzò le spalle, sforzandosi di mantenere un’espressione divertita.

-Hai visto Lana? Al Talon, immagino…-, domandò Clark, buttando giù un bicchiere di latte freddo.

-No, in realtà no… comunque… allora, Smallville, ti piaccio con questo nuovo look?-, scherzò, sapendo che lo avrebbe messo in imbarazzo e gli avrebbe servito su un piatto d’argento l’occasione per una delle sue battutine, che in quel momento avrebbe fatto bene a tutti.

-Sì… stai bene così-, disse Clark sorridendo, -Ora devo andare-, passò vicino a lei e le sfiorò la spalla con una mano, salutandola.

-Grazie Smallville…-, bisbigliò Lois quando già Clark era uscito di casa, senza trattenere un timido sorriso che era fiorito sulle sue labbra. Inatteso.

Giovedì 06/05/’05 ore 5:45 PM

A Metropolis si era sbrigata molto in fretta. Non c’era molto da dirle, così, quando aveva abbandonato lo studio medico, era ancora presto. Era rimasta indecisa sul da farsi per interminabili minuti, seduta sulla panchina del parco cittadino dove sua madre la portava spesso e dove lei, crescendo, aveva portato sua sorella, intrattenendosi con i ragazzini che andavano sugli skateboard e tenendola d’occhio mentre lei giocava con le sue barbie, seduta sull’altalena.

C’era una fontana, adesso, al posto della pista per gli skater, e una nuova altalena in metallo al posto di quella di corda e legno. Erano passati quasi dieci anni e tutto, tutto era cambiato.

Aveva provato a chiamare Lucy sul suo cellulare, contando mentalmente che ore fossero in Europa.

-Allò!-, la voce pimpante della ragazza, per un attimo, l’aveva fatta desistere da quello che stava per chiederle.

-Ciao sorellina, sono io…-

-Ciao Lois! Come va?-

-Lucy io… ho bisogno del tuo aiuto…-, poi le aveva chiesto quello che le pesava così tanto.

Guidando verso Smallville, Lois cercò di trattenere il pianto: sua sorella le aveva attaccato il telefono in faccia e, dopo, aveva rifiutato le sue telefonate. Solo un sms, che bruciava come acciaio infuocato su una ferita aperta:

E’ un problema tuo.

Non chiamarmi più.

Buona fortuna.

Imboccò la statale che portava dritta alla fattoria dei Kent bypassando il paese e sperò che Martha fosse lì, per sfogarsi con lei, che era divenuta la sua unica ancora di salvezza mentale su quella terra.

Fermò il motore e corse a bussare. Le venne ad aprire Clark, scuro in volto come se avesse preso un’insufficienza a scuola.

-Ciao. Dov’è tua madre, devo parlarle-, disse velocemente, non aspettando di trovare il ragazzo. La sua agitazione tradì l’apprensione che cercava di nascondere.

-Non c’è-, disse lui seccamente, senza farla entrare.

-Ehi, Smallville! Se mi fai tutte queste feste potrei anche prendere una pallina e lanciartela perché tu me la riporti scodinzolando!-, lo fulminò.

-Mi stai dando del cane, Lois? -, la guardò minaccioso.

-Per l’esattezza ti sto dando del cane rabbioso, ma con una spiccata propensione a capire al volo le battute-, ricambiò il suo sguardo: forse litigare con lui le avrebbe fatto bene lo stesso, pensò falsamente.

-Allora sono un cane rabbioso e, ti avverto, oggi potrei anche mordere sul serio! Sono solo, qua, mia mamma non c’è e quindi penso che tu possa andare-, Lois accusò il colpo, scoprendosi dispiaciuta per quella risposta, per il tempo necessario a riprendere il suo controllo.

-D’accordo, Smallville. Hai detto bene: tua madre non c’è e tu non servi proprio a nulla. Mi sono già sorbita il “Clark cattivo” quando ti ho raccattato tutto nudo in mezzo a quel campo e non ci tengo proprio ad assistere ad un’altra scena simile. Me ne vado-, si voltò abbassando la maniglia della zanzariera, con una ferita in più di quelle che già aveva collezionato quel giorno sul suo cuore.

-Aspetta Lois…-, la sua voce era diversa, molto più calma, pentita per il tono appena usato.

Le mise una mano sulla spalla e, delicatamente, la fece voltare.

-Credo di… dovermi scusare con te… Ha ragione mia madre: questo è un periodo incasinato per me e non so come mai l’unica persona con la quale io riesca a sfogarmi sei tu… Quando mi hai trovato in mezzo a quel campo mi hai aiutato senza chiedermi nulla. Avresti avuto più ragione di chiunque altro a impicciarti dei miei affari e invece… Io lo so, Lois, che c’è qualcosa che non va, me l’ha detto mia mamma che stai male per qualcosa e questo ti rende ancora più scontrosa, ma non sarò io a chiederti che hai, a scavare nella tua privacy… Se vorrai, sarai tu a parlarmi. Sono stato un cretino a stuzzicarti senza alcuna ragione e ora… Scusami… soltanto questo…-

Lois lo guardò aggrottando le sopracciglia, poi scacciò la sua mano dalla sua spalla.

-Sono il tuo punching-ball, praticamente?-, chiese seria, ma Clark non poté fare a meno di sorridere alla sua domanda.

-Credo che… sì, ti ho considerata come il mio punching-ball… non so come mai, ma quando ci sei te io…-

-Non scusarti, Clark… è anche merito mio se le cose tra noi vanno in questo modo… Sono la prima a dovermi scusare per il mio atteggiamento, ma con te non riesco ad essere in altro modo se non…-

-Acido!-

-Acida!- (2)[ii]

Parlarono insieme e abbassarono entrambi lo sguardo, sorridendo imbarazzati. Lois colpì con un pugno leggero Clark sul braccio.

Si guardarono senza parlare, senza più sorridere, scavando in profondità dentro le loro anime che non erano mai state così vicine, eppure così lontane, separate da segreti troppo pesanti per essere confessati.

Il timido ragazzone di campagna che riusciva a tirare fuori le unghie solo contro di lei, sotto sotto, era un uomo molto più complesso di quello che appariva, con tanti problemi che affastellavano il suo cuore e velavano il suo sguardo. Lois provò come una fitta dentro di sé e per un istante abbassò il volto, scoprendo ancora la guardia, mostrando quello che si agitava nel suo cuore. Rialzò lo sguardo verso di lui e gli permise di guardare quanta sofferenza ci fosse dentro di lei. Poi gli sorrise, con occhi tristi, si voltò ed uscì di casa.

Prima che le lacrime la colpissero proprio davanti a lui.

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Clark aveva chiaramente capito che, qualsiasi cosa avesse turbato Lois la sera prima, quel pomeriggio era più viva che mai e le bruciava nel petto togliendole anche quell’aria da superdonna che sfoggiava sempre, quando erano insieme. Si era tinta i capelli: non era una cosa normale, per lei, anche se si trattava di tornare al suo colore naturale.

Non era una cosa normale farlo adducendo una motivazione così valida.

Non pensava che anche Lois avesse i capelli neri, come Lily e Lana…

Almeno era contento di essere stato sincero, con lei, facendole un complimento.

Qualunque cosa nascondesse Lois, sarebbe stata lei a parlargliene, perché lui non avrebbe violato la sua privacy pretendendo che le svelasse il suo segreto.

Fermò la Dodge sulla statale, poco oltre il recinto della sua fattoria, e chiamò Lily, ma il telefono di casa era sempre occupato. Il cellulare, invece, era spento. L’aveva intravista quella mattina, a scuola, ma le era parsa molto confusa, e non aveva voluto imporle la sua presenza.

-Chiamami tu, quando te la senti-, le aveva detto ed era tornato a casa, lasciando a Pete il suo lavoro al Torch.

Scosse la testa e mise via il cellulare: sarebbe andato da Lex, allora, per capire cosa lo avesse spinto ad offrire la sua preziosa magione agli unni del Prom Ball. Aveva deciso di non dare ascolto alle parole di Lionel: forse era una mossa avventata, ma Lex non aveva dato alcun segno di interesse verso Lily, né si era visto molto in giro, negli ultimi tempi, non poteva essere una minaccia…

Si fece annunciare e lo trovò, come al solito, nel suo studio. Sorseggiava qualcosa girato verso la finestra.

-Quale onore, Clark! Pensavo di aver addirittura dimenticato il tuo nome, tanto è il tempo che non mi vieni a fare visita qua al castello!-, si voltò verso di lui aprendo le braccia in segno di accoglienza e, non appena lo vide, Clark aggrottò le sopracciglia e si avvicinò a lui.

-Che è successo, Lex? Chi è stato?-, aveva un taglio sul sopracciglio sinistro e metà volto gonfio.

Lex prese un altro sorso di liquore e un’espressione di dolore si dipinse sul suo volto.

-Vodka: brucia da impazzire, ma aiuta a risarcire la ferita-, disse, indicando il labbro solcato da un altro taglio.

-Credevo che in questi casi si usassero dei punti… Ma non mi hai ancora risposto: chi ti ha fatto questo?-

Lo afferrò delicatamente per le spalle e lo fece voltare verso la luce, per guardare il suo volto sfigurato.

Lex ridacchiò, allontanando le sue mani e versandosi altra vodka.

-Se te lo dicessi non mi crederesti… o forse sì… ?-, non era la prima volta che Jason Teague affondava i suoi pugni sulle loro facce, anche Clark ne era stato vittima, qualche mese prima.

-Che cos’hai combinato, stavolta, Lex?-, il tono della sua voce era velatamente critico, pur preoccupandosi per il suo amico.

-Forse me le sono anche meritate, sai? Ma ho picchiato duro anch’io: credo che… sia io che te siamo stati vittime di un furto… forse questo ha risolto una volta per tutte una probabile lite futura tra noi, ma… ormai alea iacta est-, alzò il bicchiere e buttò giù la vodka.

-Ma cosa stai dicendo, Lex? Sei ubriaco…-, Clark afferrò la bottiglia: mancavano solo poche dita di liquido.

-No, non sono ubriaco… lascia perdere quello che ti ho detto…-, rise da solo, diabolicamente.

Giovedì 06/05/’05 ore 10:20 AM

Jason entrò nello studio senza farsi annunciare. Aveva lo smoking che gli aveva procurato lui la sera prima, senza il cravattino ed un’aria decisamente molto poco amichevole.

-Luthor! Come hai potuto fare una cosa simile?-, tuonò sbattendo una mano sul pianoforte a coda.

-Excusez-moi messieurs, je dois vous demander de terminer notre rencontre dans un autre temp… (2) [iii], disse Lex in francese fluente a due distinti signori con cui stava trattando alcune questioni economiche, mantenendo il suo stile impeccabile.

Attese che i due fossero usciti scambiando con loro qualche altro convenevole e poi si diresse verso il mobile bar. Versò dello scotch ed offrì il bicchiere a Jason, che lo colpì con una mano e lo buttò per terra.

-Cosa significa questa presa in giro, eh? Lex?-, ringhiò mostrandogli il cellulare sul cui schermo appariva il messaggio che gli aveva appena inviato, -Ci hai drogati?-

Lex lo guardò perplesso, non capendo bene cosa intendesse Jason.

-Non pensare di dire altre cazzate, bastardo!-, Jason lo prese per il bavero e lo spinse verso il muro.

-Tu non sai cosa hai fatto… tu non…-

-Lana sarà stata più sciolta, grazie al mio aiuto, no? Ti sei fatto dire se sa dove sono le pietre?-, Jason lo colpì forte alla bocca. Subito il sapore dolciastro e metallico del sangue invase la bocca di Lex, che si portò una mano alle labbra.

-No! Non mi sono fatto dire dove sono le pietre! Me lo dovevi dire che avevi intenzione di drogarla, maledetto! Pensavi che non sarei riuscito a farla parlare senza il tuo aiuto??-, lo strattonò ancora. Aveva gli occhi iniettati di sangue e il mal di testa non gli dava tregua. Abbassò la guardia e Lex lo colpì, facendolo cadere per terra, tenendosi una mano premuta sull’occhio offeso.

-Penso proprio di no… Invece di ringraziarmi, entri in casa mia e mi colpisci! Chi ti credi di essere, Jason?-

-Io ho… bevuto il suo champagne, ieri sera-, disse alzandosi e riprendendo una posizione di difesa.

-Hai bevuto il…? Cosa…?-, la destra di Lex, sollevata in difesa, cadde giù ed un’espressione confusa si dipinse sul suo volto.

-Ti meravigli? A volte capita, tra fidanzati, di bere uno dal bicchiere dell’altra!-, si avvicinò ancora e lo spintonò verso il tavolo di cristallo. Era una provocazione, quella frase che aveva detto, -E capita anche di lasciarsi andare, specie se si è bevuto champagne corretto all’ecstasy!-

-Cosa vuoi dire?-

-Lo sai bene che voglio dire! Mi hai visto uscire da casa sua poco fa, è stato allora che mi hai mandato questo dannato messaggio!-

Lex aggrottò le sopracciglia.

-Cosa ci facevi da Lana di prima mattina?-, sembrava onesto. Sfacciatamente onesto.

-Dannato deficiente!-, lo colpì più forte, sentendo male alle nocche della mano che sbattevano contro la sua fronte dura, -Non doveva succedere così tra noi! E’ tutta colpa tua se Lana perderà la fiducia in me!-

Lex lo allontanò spingendolo con forza.

Stava iniziando a capire, forse… Non era quello che doveva accadere… non a Lana, alla sua Lana!

-Cosa le hai fatto? Bastardo?-, urlò in faccia a Jason, colpendolo con un gancio allo stomaco e mozzandogli il respiro.

-Non cosa le ho fatto, ma cosa ci hai indotti a fare!-, la voce strozzata dal dolore, rabbiosa.

-Se le hai torto un solo capello io…-, Jason si lasciò scappare una risata amara.

-Ci sono andato a letto! Sei stato tu a farmelo fare, tu e la tua droga! Non doveva accadere così… lei era…-

Lex rimase immobile un istante, le orecchie gli ronzavano per il colpo subito e per il cazzotto di Jason.

Lana, la sua Lana…

-Maledetto!-, Lex si scagliò contro Jason e lo colpì con un colpo scomposto alla bocca, dove sapeva per esperienza che faceva davvero male, ma il ragazzo fu svelto e ricambiò con un calcio in un ginocchio.

-Ti sei preso qualcosa che non era per te! Maledetto!-, Lex era fuori di sé, più di quanto Jason potesse immaginare. Era il momento di metterlo ko.

-Oh, sì, invece! Lana è stata molto convincente, mentre mi chiedeva di fare l’amore con lei, sai? Non era la prima volta che faceva così, ma il passato non avevamo la droga che ci ha spinto verso questa decisione!-, lo colpì una volta ancora e lo bloccò di nuovo al muro.

-Ho chiuso con te e con il nostro accordo, Lex! Non ti avvicinerai più a Lana, perché io le starò sempre vicino, sempre addosso come dovrebbe fare un fidanzato fedele. Ora non ci sono più incertezze ad impedirci di essere felici insieme: grazie a te! Immagino che anche Clark Kent, se lo sapesse, sarebbe infuriato con quello che ci hai fatto fare, Lex… ma in fondo ti ringrazio, perché mi hai dato modo di avere qualcosa che né tu, né quel bamboccio potrete mai più avere-, lo lasciò e se ne andò, sbattendo ancora una volta la porta in legno e vetro, che tintinnò sinistramente.

Lex, rimasto solo, cadde in ginocchio. Vedeva tutto rosso, gli occhi gli bruciavano e le lacrime si mischiavano al sangue, rendendo il suo volto una maschera scarlatta.

-Mi hai fregato…-, imprecò piano, battendo i pugni a terra: Jason Teague gli aveva soffiato da sotto il naso il suo trofeo, quello che controllava da tempo e che non doveva mai cadere in mani sbagliate.

Clark… un pensiero fugace corse a lui e a quello che Jason aveva detto a riguardo e sorrise diabolicamente, mentre le lacrime scivolavano lungo il suo collo.

-Non l’ho avuta per primo io, ma almeno non sei stato tu, Clark Kent…-

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Clark guardò Lex perplesso, senza capire a cosa alludesse dicendo che erano stati vittima di un furto: cosa poteva mai esserci che il grande Lex Luthor non fosse in grado di recuperare e che qualcuno potesse portare via a lui, un onesto contadino di provincia?

Vide che Lex abbassava il suo bicchiere e si sedeva sul divano davanti al caminetto. Era il suo modo di archiviare un argomento e anche se Clark avesse voluto indagare oltre, ne era certo, non sarebbe riuscito a strappare dalla sua bocca una parola in più. Decise che non era niente che lo toccasse in prima persona e si sedette vicino a lui.

-Ho saputo che hai offerto il castello per la festa di fine anno… io non riesco a capire come mai… hai idea della devastazione che dei ragazzi della mia età possono fare?-

Lex lo guardò senza espressione, poi sorrise, come a prenderlo in giro.

-E tu hai idea di cosa significhi avere un esercito di inservienti pronti a rimuovere ogni singolo schizzo di vomito di voi ragazzini e mantenere costantemente splendente ogni singolo angolo di questo castello e del parco là fuori?-, vide che Clark lo guardava perplesso da una tale risposta. Tornò serio.

-Io sono il finanziatore della squadra di football, Clark, e la vostra squadra merita una festa degna di tale nome, dopo aver vinto il campionato. Mi pareva il minimo che potessi fare… e visto che la palestra della vostra scuola è disgraziatamente andata in fumo… ho solo deciso di unire le due feste. Niente di più-, allargò le braccia, alzando le sopracciglia.

-E… sarai tu ad incoronare la reginetta della festa?-, chiese Clark ridacchiando, immaginando Lex nel ruolo del cerimoniere della serata. In fondo, l’idea di poter festeggiare la chiusura di un ciclo là, nel palazzo in cui aveva passato così tanto tempo e che tanti altri ragazzi invidiavano, mentre lui conosceva bene, era un’idea stuzzicante.

-Veramente pensavo di comunicare alle organizzatrici che quest’anno voglio che il tono della festa sia più goliardico, che elegantemente formale…-, guardò Clark di sottecchi, godendosi la sua espressione stupita.

-Cosa intendi per… goliardico?-

-Sai, Clark, io non ho mai partecipato al Prom Ball della mia scuola. Ero ad una festa di gala con mio padre, a Parigi, mentre i miei amici ballavano mano nella mano alle ragazze più belle del Kansas… loro si divertivano, ed io ero in doppiopetto ad ascoltare una anziana arpista nel suo salotto buono, circondato da altri pinguini come me e vecchie balene in lungo. Ho sempre sognato una festa più dinamica… meno formale, per intenderci. E questo castello ha già visto fin troppe cerimonie formali-

Clark non sapeva se ridere o preoccuparsi per la salute mentale del suo amico.

-Il comitato delle ragazze ti odierà se proporrai di lasciare a casa gli abiti-bomboniera…-

-Proporrò loro qualcosa di più casual… qualcosa che le faccia sentire comunque sexy e desiderabili, mentre immagino che gli Smash Mouth vi divertiranno, nel frattempo-

-Gli Smash… Cosa? Hai davvero chiamato loro?-, Clark era incredulo. Lex godette di quel breve momento di onnipotenza.

-Suoneranno fino a mezzanotte, dopo verrà la cover band degli U2… ho telefonato a Bono, ma sfortumatamente quella sera erano già impegnati per venire di persona…-, guardò Clark rimanendo serio.

-Tu non… Non è vero, giusto?-, mai come in quel momento aveva guardato Clark avanti a sé e aveva visto quello che era: un ragazzino pronto ad emozionarsi sentendo nominare dei cantanti famosi.

-Chi può dirlo?-, gli rispose alzandosi dal divano. Poi si voltò verso di lui.

-Mi aspetto che verrai con la tua bellissima ragazza, anche se avrei preferito conoscerla meglio di persona, prima di invitarla qua come una qualsiasi studentessa della scuola…-

Clark arrossì appena e il suo pensiero tornò rapido a lei: doveva vederla e si stava dilungando troppo con Lex. Si scusò e andò via dal castello, velocemente, fingendo di essersi dimenticato del loro appuntamento.

-Se non arrivo da lei entro dieci minuti mi sa che verrò da solo, alla festa!-, scherzò uscendo, corse alla macchina e guidò veloce verso casa sua.

Immaginò che Lois fosse sempre con sua madre alla fattoria e suonò alla porta di Lily, chiamandola a gran voce, visto che ancora il telefono di casa era occupato e il cellulare staccato.

Lily arrivò subito ad aprire e, quando lo vide, non seppe trattenersi dall’abbracciarlo stretto: aveva cercato di stare sola e di riflettere sulla sua vita, ma il pensiero correva sempre a lui.

Aveva rimesso a posto male il telefono, volutamente, e anche il cellulare era spento non per caso: aveva bisogno di capire da sola quello che stava riaffiorando dalla sua memoria e che dalla sera prima la tormentava, non voleva essere interrotta da qualcuno che la chiamasse.

Clark si perse tra le sue braccia, mentre veniva ricoperto da tanti piccoli baci dolci come caramelle di zucchero. La strinse forte e ricambiò il benvenuto, scostando la frangia dalla sua fronte e baciandola in ogni angolo del suo viso, scendendo verso la sua bocca.

Aveva un sapore strano, allontanò il viso dal suo e vide, dietro a lei, sul tavolino davanti al divano, un sottile filo di fumo provenire da una sigaretta accesa in un posacenere.

Fece qualche passo in quella direzione.

-Lily… che stavi facendo?-, le chiese con una punta di rimprovero nella voce, -Hai comprato delle sigarette…?-

-Non sono mie… le ha… dimenticate Lois, uscendo, stamattina… ho visto che le fuma quando è nervosa ed io…-

-Ha ricominciato…-, constatò con tristezza Clark, tra sé e sé. Poi guardò di nuovo Lily.

-Anche io sono nervosa, ma… ne ho accesa solo una, te lo giuro, Clark… ho anche tossito! Non… non mi ha fatto assolutamente niente: sono solo più agitata di prima! Sono così confusa…-

Clark la guardò scuotendo appena la testa.

-Tu non sei come Lois, Lilyanne… il tabacco, l’alcool… non possono fare su di te lo stesso effetto che hanno sulle persone… sugli altri-

-Stavi dicendo “sulle persone normali”, vero? Perché è chiaro che noi non lo siamo… ma cosa diavolo siamo, Clark?-, aveva gli occhi un po’ lucidi.

-Andiamo-, le disse prendendola per mano, ti dirò tutto.

Giovedì 06/05/’05, ore 4:37 PM

Lily chiuse la porta di casa alle sue spalle: Clark, là fuori, avrebbe voluto rimanere con lei e convincerla che quello che gli aveva rivelato corrispondeva a verità. Forse, se l’avesse vista più calma, le avrebbe anche mostrato le prove di quello che diceva, avrebbe dimostrato che, in quel pomeriggio del sedici ottobre 1989, erano stati due i bambini senza genitori ritrovati e raccolti da altrettante coppie. Forse le avrebbe anche detto che quei due bambini non erano due estranei, che venivano dallo stesso posto, che avevano gli stessi genitori. Che erano fratelli e che tra loro due, quindi, non ci sarebbe stata alcuna speranza di un futuro amoroso.

Da quando si era scoperta uguale a lui, essere sua sorella era la più grande delle paure, che non aveva mai voluto rivelargli, per timore che la prendesse per una sciocca. Aveva deciso di accantonare l’idea, ma adesso... se credeva alle parole di Clark, riapriva le porte ai suoi dubbi e si trascinava verso nuove sofferenze, scoprendo che quelli che aveva creduto suoi genitori, in realtà, erano solo due persone che l’avevano trovata, per caso…

Sospirò profondamente e si avvicinò alla libreria vicino al camino: prese un vecchio album delle foto e salì rapidamente le scale ed entrò in camera sua; si fermò davanti alla libreria ed estrasse il libro “Alice nel Paese delle Meraviglie”, l’unico che fosse sopravvissuto a quattro traslochi e ad un incendio. Si sedette sul letto facendo scorrere le mani sulla copertina scolorita e ruvida: non prendeva in mano quel libro da mesi.

Si soffermò a riflettere: stava per fare una cosa che sapeva bene che non avrebbe dovuto fare, ma doveva assolutamente parlare con lui!

Aprì il libro, che scricchiolò appena, ed estrasse dalle pagine un foglietto ripiegato accuratamente. Lo svolse e osservò quello che c’era scritto, poi afferrò il cordless e digitò il numero.

Pochi attimi dopo, le rispose un uomo.

-Sono Lilyanne Leibniz e devo parlare con il mio tutore-, attese con il cuore in gola che l’uomo rispondesse qualcosa.

-Chi ti ha dato questo numero?-, chiese perplesso quello all’altro capo.

-Io ho… ricavato il numero da una vecchia telefonata, quando stavo ancora a Gotham City…-, sperò che chi la stava ascoltando non si arrabbiasse o la ritenesse pazza.

Dopo un attimo di pausa, l’uomo parlò ancora.

-Sono io, Lilyanne: ho sottovalutato la tua intelligenza, ma mi congratulo. Cosa posso fare per te?-, nella voce vagamente metallica, Lily percepì un fremito emozionato.

-Io… devo parlarle, ho bisogno di capire cosa mi sta succedendo…-

-Ti trovi bene a Smallville, Lilyanne?-, chiese pacatamente.

Lily si sentiva in soggezione ascoltando di nuovo la voce dell’uomo che aveva deciso della sua vita, mandandola via da Gotham City. Si chiese da quanto tempo, in realtà, quell’uomo la controllasse.

Era stato solo grazie a lui, però, che la verità sulla morte dei suoi genitori e di Greg era stata coperta e lei poteva ancora vivere una vita da ragazza come tutte le altre, agli occhi della legge, almeno.

-Sì: pensavo che fosse una punizione l’essere mandata qui, invece ho capito che è stata solo una benedizione…-, disse di slancio.

-E’ stato un bene che tu non abbia mai provato a chiamarmi, prima d’ora, sai, Lilyanne? La tua linea era controllata, ma grazie ad un ‘amico’ abbiamo risolto il problema ormai da alcune settimane-, Lily non capì: non poteva essere vero… chi avrebbe mai trovato interesse a spiarla?

-Chi mi controllava? E perché pensa che le avrei detto qualcosa di compromettente?-, ancora una volta provò la stessa sensazione di sentirsi in trappola, come un topo da laboratorio chiuso in un labirinto di formaggio.

-Mi hai chiamata per dirmi che stai sviluppando nuovi poteri, non è vero, Lilyanne? Cosa hai imparato a fare? Ora riesci anche a vedere attraverso gli oggetti oppure hai finalmente imparato a controllare la tua tendenza ad incenerire le cose con la forza del tuo sguardo?-, la sua voce calma la fece agitare ancora di più, come se stesse parlando ad un Grande Fratello che la osservava in ogni istante della sua vita, da sempre.

-Oppure vuoi dirmi che hai conosciuto Clark Kent e che voi due avete in comune molto di più che la stessa scuola e la stessa propensione a cacciarvi nei guai? Spero che sia una brava guida, per te…-

Lily riagganciò il ricevitore con il cuore in gola, impietrita e sconvolta dalle parole del suo tutore: era davvero con lui che stava parlando? Chi era quell’uomo? Come faceva a conoscere tutte quelle cose su di lei, e perché conosceva Clark e il suo segreto?

Il telefono squillò prima che le avesse potuto sollevare le mani dal ricevitore. Sentì il cuore schizzarle fuori dal petto per lo spavento. Rispose immediatamente, senza pensare, portando il cordless all’orecchio.

-Non devi avere paura, Lily: è normale che io mi preoccupi per te, che sappia ogni cosa di te… tu sei come una figlia, per me…-

-Chi è lei?-, chiese Lilyanne, disubbidendo. Anni prima, in una lettera, l’uomo le aveva domandato di non porgli mai quella domanda.

-Sono solo una persona che si preoccupa per te, Lily… ti ho mandato a Smallville perché tu scoprissi chi sei-

Ancora menzogne, ancora quell’uomo non rispondeva alla sua domanda.

Non voleva dirle chi era? Bene, poteva fare a meno di lui, ma doveva sapere se quello che le aveva detto Clark era vero… non doveva lasciarsi portare fuori strada da sentimentalismi e curiosità inutili.

-Lei è il mio tutore legale da prima che venissi adottata da John e Veronique Leibniz, non è vero? Lei sa tutto su di me… allora perché non mi ha mai aiutata a capire cosa fossi, come dovessi comportarmi? Cosa sa lei dei miei primi genitori?-, chiese quasi urlando.

-Sono morti in un incidente sulla statale 87 vicino a New York, lasciandoti sola e miracolosamente illesa-, la sua voce tremò per un istante, ma Lily non se ne rese conto.

-Questo lo so anch’io! Ero presente e so che sono stati ammazzati da un pazzo!-

-E’ stato un incidente, Lily-

-Cosa ne vuole sapere, lei? Lei non c’era, non sa che ho visto morire la mia mamma a soli quattro anni, mentre il mio papà non mi ha neppure potuta guardare un’ultima volta! Io… spero che quell’uomo sia morto per il rimorso!-, stava per piangere.

-No, non è morto. Ma so che ogni giorno della sua misera vita ripensa a quella bambina dagli occhi pieni di lacrime che ha distrutto per sempre… e tutte le sere prima di dormire si domanda perché non è stato lui, a morire, invece che i suoi genitori…-

Lily portò una mano alla bocca, per non far sentire all’altro capo del telefono i singhiozzi che non riusciva più a trattenere: si era appena augurata la morte di un uomo… di un uomo che forse, davvero, provava quello che il suo tutore le aveva appena detto. Ebbe un flash di memoria, ricordò i suoi occhi che la guardavano dall’auto distrutta, gli occhi di chi si domanda perché non è morto, invece che spezzare il cuore di una bambina in lacrime. Proprio come aveva detto lui. Tirò su con il naso, deglutì e cercò di calmarsi, di andare oltre. Doveva sapere.

-Lei lo sapeva che io non ero figlia loro, non è vero?-, se Clark aveva ragione, lo avrebbe scoperto subito.

L’uomo non rispose, Lily lo sentì sospirare. Cercò di dominare l’angoscia e rimase in attesa.

-No, tu non eri figlia loro, Lily. Loro ti avevano solo trovata…-

-Dove?-, le unghie della sua mano stretta a pugno stavano ferendole il palmo.

-Ti ho mandata a Smallville perché tu scoprissi le tue origini…-

-Il sedici ottobre del 1989? Non è vero?-

-Come lo sai? Telo ha detto Clark?-

-Non ero l’unica bambina abbandonata che fu ritrovata, quel giorno, lei sapeva tutto, non è vero? Chi ci ha abbandonato? Chi ha abbandonato me e Clark durante una pioggia di meteoriti nel bel mezzo del niente?-

La voce dell’uomo all’altro capo cambiò di tono.

-No! No… io… sapevo che tu eri stata trovata a Smallville in quella data e che i tuoi genitori avevano fatto carte false per portarti via, ma… non ho mai pensato che tu e Clark Kent siate arrivati a Smallville insieme…-

-Senta ‘Papà Gambalunga’: io sono stanca dei giri di parole, di sentirmi confessare solo le cose che fanno comodo agli altri, di non sapere chi sono e cosa ci faccio qui! Io pretendo di sapere ogni cosa! Ora le dirò la mia verità: ho conosciuto Clark Kent e mi sono innamorata di lui. Ho scoperto che io e lui abbiamo gli stessi poteri, sappiamo fare le stesse cose, come già lei sapeva. Ora vengo a sapere che entrambi siamo stati trovati qua a Smallville abbandonati dai nostri genitori. Lo sa cosa penso? Penso che due più due fa sempre quattro, che stia a New York, Gotham City o Smallville e che io e Clark siamo stati abbandonati dagli stessi genitori, che sono morti, o se ne sono andati perché eravamo dei mostri! Penso che io e lui siamo fratelli e che il destino mi ha giocato anche questo orribile scherzo… oppure che lei mi abbia spedita qui senza pensare alle conseguenze del suo gesto, penso che per tutto questo tempo lei ci ha studiati, per capire a quale strana specie apparteniamo! Penso che lei sappia anche dove si trovano o che fine hanno fatto i nostri veri genitori, e che pur di continuare a studiarci, lei avrebbe taciuto la verità su di me in eterno!-, scoppiò a piangere a dirotto e l’uomo all’altro capo del telefono aspetto in silenzio che la quella che si ostinava a considerare la sua bambina, si calmasse un po’.

-Lilyanne? Ascoltami: come ti ho detto, io non credo che tu e Clark Kent abbiate un’origine comune… voi due non siete stati abbandonati come tutti gli altri trovatelli… voi…-, sospirò e cambiò discorso.

-Devo chiederti scusa, Lily… perché sono stato io a consegnarti nelle mani del professor Leibniz, affinché vegliasse su di te come un padre, scusa perché mi sono fidato di lui, sperando che la sua voglia di paternità andasse oltre il suo interesse scientifico. Scusa, perché so che ti ha sempre torturata, cercando di spiegarsi cosa fossi, perché ti ha reso la vita un inferno, perché ha rovinato la tua infanzia e l’adolescenza, rendendoti quella che sei ora: una persona ferita e che non riesce più a fidarsi di chi tiene a lei. Quando è scappato a Gotham City con te, io avrei dovuto fermarlo, ma se lo avessi fatto, avrei dovuto spiegare cosa ti stava facendo e la verità su di te sarebbe venuta fuori, mettendoti in pericolo. E adesso… tu pensi che io abbia voluto tenerti d’occhio per il mio interesse scientifico… non sai quanto ti sbagli…-

-John Leibniz era il mio papà… non il mostro che lei dipinge… lui voleva solo aiutarmi. È vero… mi ha fatto del male, ma mi ha anche ricoperta di amore e di protezione… Voleva solo aiutarmi…-

-Ed anche io, adesso, sto cercando di aiutarti pregandoti di non saltare alle conclusioni sbagliate e affidandoti alle cure di Clark Kent… so che quel ragazzo può essere tremendamente avventato, ma in coscienza mi sento di dire che è molto più saggio di tutti noi miseri mortali…-,

-Che sta dicendo?-, Lily sentì la peluria sulla sua schiena drizzarsi, come di fronte ad un pericolo.

-Fidati di lui e della tua coscienza. Nient’altro-, la sua voce era affannata, come se si fosse stancato parlando per tutta quella lunga telefonata, -Ora, Lilyanne, devo chiudere la nostra conversazione…-

-Aspetti! … la prego! Mi dica solo perché… Ho troppe domande… Perché mi ha sempre nascosto la verità sulla mia nascita, perché mi dice di fidarmi di Clark… perché è così certo che io e lui non siamo… E per favore… mi dica chi è lei!-, lo stava implorando.

-Lilyanne… io non ti ho nascosto la tua origine: semplicemente non so quale sia. Sto cercando di capirlo da dodici anni, ma ancora non so chi tu sia: per questo spero che Clark ti possa aiutare… Devi credermi…-

-E lei… perché mi ha sempre seguita… perché non vuole che sappia chi è lei?-

-Non sono il tuo ‘Papà Gambalunga’, Lily… direi proprio di no… ma tengo davvero a te, da quando ho guardato i tuoi occhi per la prima volta…-, chiuse la comunicazione e di lui rimase solo il ricordo della sua voce senza volto, confuso dal tono occupato che continuava a mandare insistentemente il telefono.

Lily lo spense e si lasciò cadere sul letto, fissando il soffitto.

Allungò una mano e toccò qualcosa di rigido e freddo, sul letto vicino a lei: era l’album delle foto che aveva portato su dal salotto.

Poggiò la testa alla spalliera del letto ed iniziò a sfogliarlo.

Io lo so chi sono… sono solo una figlia dell’Illusione… tutto intorno a me si sgretola come castelli di sabbia in mezzo ad una tempesta… rimane solo la mia illusione… solo l’incertezza e l’angoscia di non capire chi sono, di sentirmi costantemente su una zattera alla deriva in mezzo ad uno spazio a più dimensioni, dove il futuro e il passato si ripetono, dove l’unica cosa certa è solo la ferita che solca il mio cuore…

---

-Dove stiamo andando, Clark? Vai piano!-, Lily, seduta accanto a lui sul furgone, si sentiva più agitata che mai: poteva essere vero, dopo quello che le aveva detto l’uomo al telefono, la sera prima e le ricerche che aveva tentato di fare durante il pomeriggio, che Clark le stesse per rivelare tutta la verità su di lei? Stava guidando veloce, commettendo anche infrazioni al codice stradale: anche lui sembrava agitato.

-Ti porto nel posto dove è cominciato tutto…-, si voltò per un attimo verso di lei e le sorrise e i suoi occhi scintillarono. Guidò per alcuni minuti ancora, voltandosi ogni tanto a guardarla, fino a quando non furono dall’altra parte del paese, tra i campi di mais e le colline. Imboccò una strada sterrata e si bloccò vicino ad una specie di cantiere.

-Ci siamo già stati qua…-, constatò ragazza, ricordando la prima volta che lui l’aveva portata alle grotte.

-Sì, quando ancora non avevo tutte le risposte… ma adesso non ho più alcun dubbio e non posso aspettare oltre… se anche tu sei pronta-, mise la mano su quella esile e fredda di Lily e la strinse delicatamente.

-Forse… quello che sto per rivelarti ti sembrerà ancora più strano di quello che già ti ho detto… mi darai del matto, probabilmente, ma ti garantisco che è solo ed esclusivamente la verità…-, le sorrise ancora, aspettando qualche cenno da lei.

-Questa cosa che stai per dirmi, chi sono davvero… chi siamo davvero, è il segreto che conservi gelosamente da così tanto tempo, Clark?-, sentiva che era qualcosa di più grande di lei

Clark annuì, senza staccare gli occhi dai suoi, finché lei non abbassò lo sguardo.

-Allora c’è qualcosa che devi sapere… perché ho paura che il tuo segreto sia in pericolo… ieri ho parlato con una persona, il mio tutore legale, e lui mi ha detto che sono qui a Smallville perché… dovevo incontrare te e ascoltarti, perché solo tu avresti saputo guidarmi nella scoperta di chi sono davvero: lui sa tutto dei miei poteri… e anche dei tuoi, temo…-, alzò nuovamente lo sguardo, vedendo che Clark aveva un’espressione attonita.

-Chi è? Come sia chiama quest’uomo?-, domandò velocemente.

-Non lo so… non me l’ha mai voluto dire… però mi ha detto un’altra cosa: avevi ragione sui miei primi genitori… loro mi hanno trovata qua Smallville, proprio nello stesso giorno in cui sei stato trovato anche tu-, voleva sapere se quello che temeva su di loro era possibile, desiderava porgli quella domanda con ogni cellula del suo corpo, ma rimase in silenzio.

Clark, con gli occhi bassi, continuava a ripetersi che non era vero, che non poteva essere vero… le domande che urlavano dentro di loro riempivano quel silenzio assordante, facendoli smarrire, vagando con lo sguardo attraverso spettri e paure che prendevano forma davanti a loro, cercando un granello di polvere sul cruscotto, una spia luminosa, qualsiasi cosa che li riportasse alla realtà, strappandoli a quell’inferno di interrogativi. Fino a quando i loro occhi non si incontrarono.

-Lilyanne… io mi fido di te-, disse semplicemente, e le prese ancora la mano, -Tu ed io non siamo stati abbandonati: Smallville era la nostra meta, il luogo prescelto per noi, quando siamo stati mandati qua… Tu ed io non siamo nati in questo paese… in realtà non siamo neanche nati su questo pianeta: non siamo come le altre persone, perché non siamo esseri umani…-

Questo no, questo no! Fa che non sia vero!!! E’ peggio di quello che pensassi… è peggio di ogni cosa…

-Lily? Dì qualcosa, ti prego!-, strinse la sua mano, delicatamente, scuotendola appena, perché si riprendesse dallo shock che si era dipinto sul suo volto. Aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta.

-Devi credermi… non sono un pazzo! Ti ricordi quando ti ho detto che il rifugio anti-tempesta dei miei è saltato in aria? Sono stato io a farlo, perché ho distrutto la navicella con la quale sono arrivato sulla terra… ho usato un frammento di meteorite… proprio come quello che ci ha fatto stare male, l’altro giorno. Lo capisci, Lily? Finora credevo di essere solo… l’ultimo sopravvissuto del nostro pianeta, Krypton e invece… in mezzo a tutti quei meteoriti doveva esserci un’altra navicella… la tua-, allungò una mano per farle una carezza, ma Lily si ritrasse, scacciandolo. Clark abbassò il viso e la guardò come un animale ferito: quello che temeva, si era avverato.

Guardò Lily spaventata davanti a lui: i suoi occhi vitrei iniziavano a scendere le prime lacrime. Tremava.

Schiacciata contro la portiera dell’auto, lo osservava terrorizzata, senza riuscire ad emettere suono.

Non è possibile, questo non è possibile… è solo uno scherzo.. non può essere diversamente perché noi… perché ‘loro’ non… non…

Il respiro affannato si era spezzato nel suo petto sconvolto, facendola quasi ansimare: sentiva la testa girare vorticosamente, come se il sedile sotto di loro si stesse curvando diventando molle, come un orologio di Dalì, e le portiere stessero deformandosi, chiudendosi su di lei.

-Lily! Devi credermi…-, si avvicinò ancora con la sua mano, ma lei trovò la maniglia della portiera e l’aprì, ruzzolando fuori dalla macchina, mentre il sole stava svanendo oltre le colline e un nuovo tramonto malato tingeva di un cupo grigio il cielo ancora carico di nubi.

Clark uscì svelto dalla sua parte e si avvicinò a lei: l’aveva spaventata a morte, doveva trovare il modo di farla calmare.

-Amore! Non ti sto prendendo in giro… non c’è niente di male in quello che ti ho detto: io e te… siamo diversi dagli altri, ma i nostri animi sono più umani di tante altre persone! Non cambia nulla nella tua vita, anche se siamo nati sulla terra o… su un’altra galassia!-

Un’altra galassia… non esistono navi spaziali in grado di arrivare così lontano…

La testa continuava a girarle forte, i polmoni rifiutavano l’aria che lei cercava di trattenere, respirando dalla bocca piena di lacrime, scivolate ovunque, sul suo volto, sulle mani, ovunque. Le sue mani… non erano mani umane, allora… allungò un braccio avanti a sé e, alla luce morente cercò di concentrarsi sulla sua mano, cercando di tenere gli occhi fissi su un punto, anche se tutto girava, girava…

Fin quell’attimo fu come vederla cadere a terra e rimanere inerme al suolo, senza che lui avesse potuto fare nulla per lei.

Invece la stava stringendo tra le sue braccia: Clark l’aveva afferrata prima che toccasse terra e la teneva stretta a sé, abbassandosi per farla stendere. Non aveva retto l’emozione ed era svenuta sotto i suoi occhi.

Scosse appena il suo volto, sperando che riprendesse i sensi, la chiamò spaventato, senza che lei riaprisse gli occhi. Quando lo avrebbe fatto, aveva paura, non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lui.

La abbracciò di nuovo e si strinse a lei, affondando il volto tra i suoi capelli, sorreggendole la testa con una mano. Non doveva andare così… doveva essere un momento di gioia, per loro, un momento importante… cosa aveva sbagliato.

La frustrazione e la paura di avere perso per sempre la sua fiducia ebbero la meglio e si lasciò andare in un pianto disperato.

-Devi credermi… ti amo troppo per mentirti… Tu sei troppo importante per me… non potrei mai mentirti…-

Non si accorse che lei aveva lentamente riaperto gli occhi. Sentì la sua stretta, appena percettibile, delle sue braccia attorno al suo collo: si staccò da lei, sorreggendola sempre dietro la schiena. Lo guardava senza parlare, con gli occhi gonfi e lucidi.

-E’ per questo che riesco a volare?-, gli chiese piano, poi gli sorrise, titubante, all’inizio, poi più sicura,

La strinse di nuovo tramutando le sue lacrime in un pianto liberatorio, ringraziandola per non averlo respinto.

-Come hai detto che si chiama, questo pianeta?-, gli domandò e si liberò dal suo abbraccio, guardandolo attenta.

Se era quella la verità su di lei, tanti dei quesiti che si portava dietro da una vita apparivano ovvi, per la prima volta. Aveva sempre cercato di essere uguale agli altri e si era sempre sentita a disagio: ora sapeva il perché, anche se ne era affascinata e terrorizzata al tempo stesso. Doveva sforzarsi di abbandonare la sua razionalità… avrebbe dovuto farlo tanto tempo prima, quando i suoi primi poteri si erano manifestati, travolgendola.

-Krypton-, rispose Clark e le sorrise.

-E non è rimasto più nessuno, oltre a noi?-

-Credevo di essere solo… è splendido che ti abbia trovata…-, dietro di lui, un faro automatico si accese per il buio, illuminando l’ingresso delle grotte, catturando l’attenzione della ragazza.

-Perché siamo qua?-, gli domandò, poi capì e portò una mano dietro al suo collo, aprendo appena le labbra.

-Perché era scritto che saremmo arrivati…-, per la prima volta Clark aveva accettato la storia dei Cowichan.

Lily rabbrividì: -Parli come se fossimo degli invasori… alieni…-, l’aveva detto, aveva trovato la forza per pronunciare quelle parole.

-No, non lo siamo… ma quelle grotte parlano di noi…-, la prese per una mano, perché la seguisse al loro interno.

-Parlano di Naman, se non ricordo male… parlano di te… io non ero prevista…-

-Tu dici?-, le sorrise e la fece passare avanti a lui, illuminando le pareti con la torcia che aveva estratto dalla tasca.

-Guarda là-, disse indicandole, sulla parete opposta a loro, l’immagine di un volto femminile.

-È la donna del destino di Naman…-, la tirò verso di sé e la strinse in un abbraccio, -Sei tu…-, le disse piano, avvicinando le sue labbra alla bocca rossa e salata per le lacrime che aveva versato.

La torcia gli scivolò dalle mani, mentre stingeva la sua ragazza a sé, finalmente felice dopo tutta una vita. La luce tremolante illuminò i due innamorati, riflettendosi sulle pareti policrome delle grotte che custodivano da sempre la loro storia d’amore.

Sopra le loro teste, in un angolino lontano, una piccola luce rossa si mosse appena, comandata da un computer posto a decine di chilometri da lì; la lente ruotò per ingrandire l’immagine e la impresse su sensori ai raggi infrarossi che la tramutarono in segnale elettrico, inviato lontano, su invisibili cavi sotterranei.

Giovedì 06/05/’05 ore 10:50

-Ho appena visto Jason Teague uscire da questa porta, Lex: era coperto di sangue! Cosa sta succedendo?-

-In carcere non ti hanno insegnato a bussare, prima di entrare nelle case degli altri, papà?-, una fitta di dolore al labbro: la ferita buttava ancora sangue.

-Che è successo, figliolo?-, Lionel si avvicinò mostrando una sincera preoccupazione.

-Niente che ti riguardi-, Lex lo allontanò con un gesto della mano e tamponò il labbro con una salvietta pulita presa dal mobile bar. Una fitta violenta alla testa lo fece barcollare.

-Lex…-, Lionel lo sorresse e lo aiutò a stendersi sul divano. La sua espressione era sempre preoccupata.

-Ti consiglio di imprimere nella tua memoria questa immagine, papà, perché passerà molto tempo prima che qualcuno osi fare qualcosa di simile…-

-Sei molto sicuro di te, Lex… Ho sempre apprezzato il modo con cui ti lasci alle spalle i fallimenti-, si alzò e lo sovrastò, guardandolo dall’alto. Lentamente lo sguardo corrucciato si distese e le sue labbra si piegarono in un ghigno diabolico: -Qualcosa non è andato secondo i tuoi piani, figliolo?-

Lex non rispose, ma ricambiò con un’occhiata densa di odio.

-Sai… non si possono vincere tutte le battaglie…-

-Quello che conta è vincere la guerra-, si sollevò portando una mano alla fronte, -Adesso, se vuoi scusarmi, Papà, ho da fare-

Lionel lo guardò con aria strafottente.

-Alle volte, figliolo, curiamo ogni dettaglio dei nostri piani, non tenendo conto del fatto che l’imprevedibile attende dietro l’angolo e le cose, purtroppo, non sono totalmente comandabili dalla nostra volontà. A volte si deve rinunciare a qualcosa di molto prezioso o sacrificare qualcuno per ottenere i propri scopi. E’ la legge di chi lotta per vincere. Spero che tu ne sia consapevole, nella guerra che stai combattendo-

Lex non gli rispose.

-Sai, visto l’accanimento con cui stai cercando informazioni su Clark Kent e su Lilyanne Leibinz, pensavo che questo tuo stato dipendesse da loro… qualcosa mi dice che stavolta, però, il grande condottiero si è lasciato andare a sentimenti ben più umani e meno nobili… e chissà come mai nella mia mente anziana riecheggia solo un nome…-, si avvicinò a lui e si piegò fino a portare la sua bocca vicino all’orecchio del figlio.

-Lana Lang-, poi se allontanò di nuovo, con aria falsamente confusa -E’ così strano che oggi, uno dei miei collaboratori a Metropolis, abbia firmato una ricetta medica per lei… Alle volte, la casualità è davvero la sola regina dello scorrere degli eventi-

Si avviò verso la porta, abbassò la maniglia e si voltò.

-Aspetto che il frammento di roccia che mi hai fatto rubare l’altra sera, nella mia dependance, torni sulla mia scrivania entro domani mattina. Ti auguro buona fortuna per le tue ricerche insensate. Buona serata, Lex-, disse, e sparì.

Lex rimase immobile, guardando la porta da cui suo padre era uscito, senza espressione.

Poi alzò la cornetta del telefono che aveva sulla scrivania e partire una chiamata.

-Jamison: voglio che il monitoraggio parta immediatamente.

-Abbiamo montato solo una telecamera spia, signor Luthor-

-Partiamo da quella, allora. Forse sarà sufficiente…-

---

Seduto alla sua scrivania di cristallo e acciaio, Lex manovrava un piccolo joystick nero, collegato al suo computer portatile.

Sullo schermo si muovevano le immagini di Clark Kent e Lilyanne Leibniz che entravano nella grotta. Clark le indicava qualcosa sulle pareti: tra i due solo futili discorsi di innamorati che credono alle favole.

-Cosa aspetti, Clark… parla, dì quello che mi tieni nascosto da quattro anni…-, Lex ruotò la rotellina dello zoom, vedendo le sagome verdastre dei due stretti in un abbraccio molto intimo.

-Lo so che non l’hai portata là solo per appartarvi… non è da te...-, placò un raptus d’ira ripensando a Lana, l’anno prima, tra le sue braccia e la notte prima tra quelle di Jason.

«Ti amo, Lily, non riesco neanche a esprimere quanto…»

«Lo so, Clark… adesso lo capisco ancora di più…»

-Diabetico...-, Lex storse la sua bocca in un ghigno disgustato, facendo scrocchiare le dita delle mani. C’era qualcosa nell’aria di quelle grotte, qualcosa che pulsava di rivelazione, riusciva a capirlo lui stesso, a chilometri di distanza, guardando la soap opera tra Clark-e-la-sua-bella, tinta del verde delle telecamere a infrarossi.

«Per quello che mi hai detto, Clark…»

-Brava morettina! Fallo parlare…-

«Lily, è importante che nessuno lo sappia, devi conservare questo segreto gelosamente»

- Parla! Maledizione!-, un pugno sul cristallo del tavolo lo fece oscillare pericolosamente.

«Custodisco questo segreto da così tanto tempo… Averlo condiviso con te è la più grande delle mie gioie, ma ora non dobbiamo più parlarne ad anima viva»

«E’ che… scusami per come ho reagito poco fa: ero pronta a tutto, avrei accettato qualsiasi cosa che tu mi avessi detto, le ipotesi più astruse e tragiche… ma questa… beh, le batte tutte e io… non volevo crederci…»

-Smettetela di sbaciucchiarvi e parlate…!-

«Va tutto bene, Lily… Ora torniamo, però: è già buio…»

«Hai ragione, amore… ora va davvero tutto bene. Andiamo!»

Il bagliore verde dei loro corpi svanì con loro e sullo schermo del suo computer, Lex rivide solo una macchia nera.

Spense il pc chiudendolo con sforzata calma, si alzò lentamente e si versò un bicchiere di whiskey; lo portò alle labbra strette in un ghigno minaccioso e lo bevve tutto d’un fiato.

-La scoprirò, la tua verità, Clark… con o senza una tua confessione. Cadesse il mondo, io ti prometto che la scoprirò…-

-Scusami se ti ho portata via da lì così in fretta… avevo come la sensazione che qualcuno ci stesse osservando… so che è stupido, ma…-, Clark si grattò la testa, appena imbarazzato e aprì il furgone.

-Non devi scusarti. E poi… ieri a telefono il mio tutore mi ha detto che… fino a qualche settimana fa la mia linea era controllata e che solo grazie a quello che lui ha chiamato ‘un amico’, è stata ripulita-, lo guardò preoccupata, -Pensi sia per quello che mi hai detto prima? Cioè… chi altri può sapere il nostro segreto… non lo sapevo neanche io!-

Clark mise in moto senza rispondere, turbato dalle sue parole.

-Ho come il vago sospetto che questo ‘amico’ sia una persona che ho giudicato troppo in fretta… anche se onestamente non sono ancora sicuro da che parte stia…-

-Non c’è nessuna parte, Clark: non è una battaglia-, lo guardò sconfortata.

-Hai ragione. Ora però… andiamo: ho come un brutto presentimento…-, mise in moto e partì verso il paese, portando con sé dubbi e paure di tutta una vita. Poi sentì un lieve tocco sulla sua mano: era Lily.

-Siamo in due adesso… ricordatelo, Clark-, gli sorrise e un po’ di quelle paure, rapidamente, volarono via.

***

Clark era appena uscito di casa e Martha si avvicinò a Lois per offrirle qualcosa da bere.

La ragazza scosse la testa sorridendo, poi prese i suoi fascicoli e si sedette al bancone di cucina, invitando la signora Kent a fare altrettanto. Aprì la cartellina, estrasse un foglio e vi posò le mani sopra.

Seguì con lo sguardo, fuori dalla finestra, l’auto di Clark che si allontanava oltre la recinzione, poi si voltò verso Martha e la guardò a lungo negli occhi, prima di riuscire a parlare.

Quando iniziò, la sua voce era calma, quasi distaccata.

-Anche le analisi che ho fatto all’ospedale di Smallville confermano la diagnosi: è una forma di leucemia acuta linfoide. E’ tristemente diffusa tra i giovani della mia età e, anche se il medico mi ha assicurato che non è in alcun modo ereditaria, guarda caso è la stessa cosa che ha ucciso mia madre. Generalmente in queste forme acute il decorso è rapido e spesso la diagnosi precede la comparsa dei sintomi, perché la malattia viene scoperta nel corso di altre indagini: non è il mio caso… forse dovevo accorgermi da tempo che c’era qualcosa che non andava… ma ho sempre dato la colpa alla mia vita dissoluta al college: immagino che quando il mal di testa mi durava per giorni, dopo una sbronza, e la nausea non mi dava pace e non riuscivo a muovermi senza affaticarmi dopo soli pochi metri, quelli fossero i sintomi di cui dovevo preoccuparmi, prima che… succedesse quello che è successo l’ultima volta che sono stata da mio padre… Le cure sono sempre le stesse: tre cicli di chemioterapia, da iniziare al più presto in un centro specializzato a Metropolis. Purtroppo, la sola chemio non garantisce la risoluzione della malattia, perché, specie in un caso come il mio, il numero di cellule infette è così elevato che… Il trapianto di midollo osseo: quello sarebbe risolutivo, o comunque offrirebbe maggiori speranze di guarigione, ma non è facile trovare un donatore compatibile: ieri il medico ci ha detto che il midollo di mio padre non va bene per me, mentre mia sorella… lasciamo perdere, che è meglio. Mi hanno inserita nella lista d’attesa. L’aspettativa di vita, se non si interviene con le cure specifiche, va da pochi mesi ad un anno ed io non so da quanto sono malata. Potrebbero rimanermi solo pochi mesi: per questo inizierò il primo ciclo di chemioterapia tra due settimane… quindi, tra due settimane Lois Lane avrà trovato un lavoro interessantissimo a Metropolis che non le permetterà per mesi di tornare a Smallville (3)[iv]-, fece una pausa, guardandola negli occhi intensamente.

-Sono un soldato, Signora Kent, la battaglia non mi spaventa-, disse con aria fiera e gonfiò i polmoni d’aria, stringendo i denti e sforzandosi per non lasciare le lacrime libere di sfuggire alle sue ciglia.

Martha posò la sua mano su quella di Lois, ancora immobile sui fogli e gelida.

La ragazza la guardò di nuovo poi non ce la fece più e scoppiò in un pianto dirotto. Martha si avvicinò a lei e la abbracciò forte, lasciando che Lois si aggrappasse alla sua vita, bagnandole la camicia di lacrime amare come fiele.

-Non dica niente a nessuno… la prego… non dica niente a Chloe e a mio zio… e Clark… lui non deve sapere niente… la prego…-, la sua voce rotta dal pianto era così diversa da quella ferma e quasi professionale con cui aveva parlato poco prima. La sua schiena era scossa da singhiozzi violenti che sembravano non finire mai.

Martha sentì le lacrime scivolare sul suo volto, ma strinse i denti, perché Lois non si accorgesse che stava piangendo. Aveva bisogno di una mamma forte che la sostenesse nel momento più buio di tutta la sua giovane vita.

La sentì cercare di prendere aria, con difficoltà, e le si strinse il cuore: la Lois che tutti vedevano forte, aggressiva e spavalda era una fragile ragazza spaventata, in quel momento, e non riusciva ad indossare più a lungo la sua maschera di sempre. Da quando le aveva confidato le sue paure, pochi giorni prima, Martha aveva pregato perché i medici di Metropolis si fossero sbagliati, azzardando un’ipotesi non vera.

Le carezzò i capelli, finché non sentì che si stava calmando, poi mise le mani sulle sue spalle tremanti e l’allontanò un po’ da sé, per sorriderle, cercando di darle forza.

Le passò le mani sul volto per cancellare le tracce del trucco che si era sciolto e vide che, tra le lacrime, sorrideva appena.

La fece spostare in salotto, la infagottò nel plaid che Clark aveva abbandonato riprendendosi la sua stanza e corse a prepararle qualcosa di caldo, che la facesse sentire meglio. Con la coda dell’occhio la vide avvicinare la coperta al suo volto e ricominciare a piangere silenziosamente, affondando sempre di più giù nel divano.

Le porse una tazza bollente di tè e si sedette vicino a lei, in silenzio, lasciando che parlasse solo quando se lo fosse sentito.

Prima che iniziasse a fare buio, Lois si mosse e sospirò, sorridendo a Martha.

-Non volevo rovinarle la camicia…-, disse indicando le macchie di trucco sulla stoffa chiara.

-Figurati, cara: un lavaggio e tornerà come nuova-, le pareva più calma, anche lei si sentiva un po’ più sollevata.

Lois si alzò lentamente, poi sospirò ancora e lasciò scivolare la coperta sul divano.

-Devo andare, ora, Signora Kent…-

-Perché non rimani a cena con noi, saremmo tanto felici di riaverti qui…-, Martha piegò appena la testa sorridendole cercando di convincerla.

-La ringrazio, ma preferisco andare subito a letto…-

Riprese i suoi fogli e la salutò. Salì in auto e mise in moto, poi la vide vicino a sé, così abbassò il finestrino.

-Grazie ancora… lei è l’unica persona con cui riesca a parlane… Signora, la prego… non dica nulla a Clark…-

-Stai tranquilla… ma… perché non vuoi che lui sappia niente? Lui non ti prenderebbe mai in giro per questo, Lois-

-Lo so. Solo che non voglio… che lui ci sia…-, poi partì, salutandola con un ultimo, triste sorriso.

-Guida con prudenza!-, le urlò Martha seguendola per un breve tratto lungo il vialetto di casa, turbata dalle sue amare parole.

Lois andò piano: che fretta c’era, in fin dei conti. Non l’aspettava nessuno a casa di Lily: lei certamente era fuori con lui.

Parcheggiò ed aprì, richiudendo la porta alle sue spalle con la chiave, perché non si riaprisse da sola.

Lasciò la giacca all’attaccapanni all’ingresso e accese la luce, avvicinandosi al divano.

Sul tavolino davanti al camino vide il pacchetto delle sue sigarette e lo prese in mano.

-Ormai…-, disse, e ne accese una, aspirando profondamente.

Iniziò immediatamente a tossire, per il fumo che le era andato di traverso. Si aggrappò al divano, lasciando che i colpi di tosse le squassassero il petto, senza poter fare nulla. Sentiva che non aveva più aria nei polmoni. Gliel’avevano detto: aveva una forma acuta di anemia e quindi aveva poco ossigeno nel sangue: fumare equivaleva ad avvelenarsi lentamente. Cercò di respirare più che poté, tenendosi salda al divano, ma tutto iniziò a vorticare attorno a lei e diventare rosso e nero e si sentì andare giù.

In quell’attimo fu come se delle braccia invisibili e forti la afferrassero stringendola in un abbraccio familiare.

Cadde a terra perdendo i sensi e rimase inerme al suolo. Da sola.

Fuori il sole era già sparito oltre l’orizzonte e un cupo grigiore iniziava ad inghiottire ogni cosa.



[i] (1) Specifiche della pillola del giorno dopo, prese da Wikipedia. In realtà negli Stati Uniti la Pillola del giorno dopo (venduta con il nome di Plan B) è un farmaco da banco venduto anche nei supermercati. La ricetta medica è necessaria solo per pazienti di età inferiore ai 18 anni. Lana ne ha di più, presumo, ma ho voluto lo stesso richiedere la sua ricetta…

[ii] (2) Il primo che dice che ho voluto fare una citazione dai Prozac+ lo fulmino! E’ solo un caso… :-\

[iii] (3) Grazie al mon cher Gregoire (ihihihih!!!)

[iv] (4) Ho tratto le informazioni relative alla malattia dai siti www.wikipedia.it, www.dica33.it e http://it.geocities.com/ematologia/index.html. Forse quello che ho scritto sarà totalmente scorretto e poco scientifico, ma ho voluto farne un riassunto in prima persona, sentito da Lois, che ne parla. Se ho scritto qualcosa di sbagliato o che può urtare la sensibilità di qualcuno, innanzitutto chiedo scusa, in secondo luogo sarei felice se potessi sapere come correggere le mie parole, perché l’argomento è delicato e l’ultima cosa che voglio è che la sua trattazione appaia superficiale in questa storia.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Bitter ***


Capitolo 23 – Bitter

Lo squillo insistente del telefono svegliò Lois: aveva perso i sensi, maledizione… le cose erano più gravi di quello che lei si ostinasse a sperare.

Si era fatta male, cadendo, e la sigaretta ormai spenta giaceva a pochi centimetri da lei: aveva corso il rischio di bruciarsi il volto. O forse si era bruciata, ma non sentiva anche quel dolore.

Si tirò su e si sedette sul divano, massaggiandosi il gomito e il viso, che aveva battuto sul tavolino. Si chiese se si vedesse il livido. Il telefono smise di squillare, precipitando la casa in un silenzio angosciante. Non aveva risposto, tanto non era casa sua, in fin dei conti…

Guardò fuori dalla finestra e vide che era ormai buio.

Inspirò cercando di trattenere quanto più ossigeno riuscisse e si alzò, cautamente, dirigendosi in cucina per prendere un bicchier d’acqua. Poi passò davanti alla credenza, in salotto, sopra alla quale stava appesa una specchiera, e guardò la sua immagine riflessa.

Era pallida, più pallida che mai: i capelli scuri non aiutavano ed effettivamente un’ombra violacea iniziava a coprirle la pelle intorno al sopracciglio destro e lo zigomo.

Sospirò, rassegnandosi ad usare più fondotinta. Quando fosse tornata nella sua stanza si sarebbe rassegnata a prendere quelle medicine che le aveva prescritte il medico di Metropolis: l’avrebbero fatta dormire, diceva, ma dopo sarebbe stata meglio per un po’.

Lily ancora non era tornata. Si massaggiò ancora il braccio e raccolse le sue carte da terra, chinandosi. Per un istante pensò che le avrebbe bruciate, ma con esse non sarebbero spariti anche i suoi problemi. Le riunì in una cartellina e la infilò in borsa. Rialzandosi fu colta da un lieve capogiro: forse doveva stendersi un po’…

Afferrò il telecomando e si stese sul divano, coprendosi con la piccola coperta che Lily lasciava sempre in giro, come se fosse quella di Linus. Odorava di vaniglia e spezie.

Alla televisione davano un vecchio telefilm western [i], ne guardò un pezzo tenendo il volume molto basso, poi, lentamente, si addormentò.

La Dodge di Clark si fermò davanti al giardinetto della villetta di Lily. Sull’erba tagliata all’inglese un tappeto di fiori rosa caduti dal piccolo pesco davanti alla sua casa risaltava nel buio della sera, illuminato da una timida luna che si era fatta strada attraverso le dense nubi.

-Lily… mi dispiace averti nascosto la verità per tutto questo tempo, ma volevo essere sicuro prima di…-

-… prima di rischiare di rivelare il tuo segreto ad un mostro da meteorite verde?-, chiese guardandolo con i dolci occhioni tristi.

-No: prima di illudermi che davvero non ero solo su questo pianeta-, le sorrise e le fece una carezza, spostandole un ciuffo di capelli dalla spalla.

-Te l’ho detto: qualunque cosa ci riservi il futuro, ora siamo in due. Ci sono tante cose che sappiamo fare e tante che dovremo imparare… penso che insieme sarà più semplice, non trovi?-

-Più semplice e più divertente-, disse lui abbassando lo sguardo, un po’ imbarazzato.

-Sai… finora ho sempre pensato che sarei rimasto solo.. voglio dire: chi vorrebbe stare con un alieno come me, con uno che può fare fuoco con gli occhi e non ha bisogno di martello per infilare i chiodi nel muro e che… insomma… Mi ero quasi rassegnato, sai?-

Lily sorrise per un istante, poi guardò fuori, verso la sua casa e abbassò lo sguardo.

-Dillo a me… dopo quello che è successo, io…-

Sentì il tocco delicato della mano di Clark sulla sua.

-Ma ora ci siamo trovati e tutto sarà diverso. E’ come se ricominciassi a vivere, con te…-, si avvicinò a lei e la baciò dolcemente. Non avrebbe mai pensato di poter essere così felice.

-Ti amo-, sussurrò Lily e aprì la portiera dell’auto.

Clark la seguì fino alla porta e la baciò ancora, prima di andare via. Aveva sentito il suo cuore battere forte e si era emozionato: quello che aveva sempre desiderato nei suoi sogni più segreti, finalmente, sembrava essere divenuto reale.

Lily sospirò ed aprì la porta di casa senza nascondere un sorriso di gioia che le illuminava il volto. Sentiva ancora sulle sue labbra il caldo bacio del suo amore: non poteva essere più felice di così.

Non si accorse di Lois, distesa sul divano, ed accese la luce, lasciando cadere rumorosamente la borsa per terra, vicino all’attaccapanni.

Lois si svegliò: era come se avesse fatto un brutto sogno, troppo doloroso per poter essere vero e si sollevò sui gomiti, provando una fitta per la caduta. Cercò di coprire il volto con i capelli.

-Lily… devo essermi addormentata… scusami-, disse con voce appena un po’ fioca, poi si mise a sedere.

Lily si sedette accanto a lei: era troppo emozionata per potersi accorgere del volto pallido di Lois, o del suo umore sottotono. Si voltò verso di lei e la guardò, la sua faccia beata la rendeva vagamente svampita: Lois vide i suoi occhi brillare come pietre preziose e capì.

-Qualcosa mi dice che stavolta il mio amico Smallville si è comportato bene con te, vero?-, le domandò, evitando il suo sguardo mentre ripiegava la coperta di pile, alla meglio.

Lily sospirò, ondeggiò la testa cercando le parole più adatte, poi alzò le spalle e non disse nulla: il suo sorriso parlò per lei.

-E’ ora di cena, signorina… che ne dici se ti preparo le mie specialità alla griglia?-, chiese Lois battendo le mani sulle sue ginocchia e cercando di alzarsi in piedi senza mostrare fatica, attingendo ad una forza che si continuava a chiedere da dove le derivasse.

Lily rimase un istante interdetta, poi ricordò le descrizioni dei disastri culinari di Lois che le aveva narrato Clark e si affrettò ad aiutarla.

-Lascia pure a me, Lois! Sai… non ho molta fame e…-

-… e non vuoi perdere del tutto l’appetito, immagino! La mia cucina fa questo effetto! Ok… saggia decisione! Dunque…-, disse aprendo il frigo e guardando al suo interno come se fosse un armadio, -Che ne dici di un ottima frittata con il bacon?-

-Beh… perché no? Però…-, Lily si avvicinò mettendole una mano sulla spalla.

-Lo so, lo so: ora mi dirai che ti piace tanto cucinare e che avresti piacere di prepararla tu. Io dirò che sei molto gentile e non insisterò, così, almeno, avremo la nostra cena!-, si voltò facendole l’occhiolino, -Io apparecchio, è meglio!-

Lily accese la radio mentre le uova rassodavano e il profumino di bacon si diffondeva per la cucina. Lois, finito di apparecchiare, la osservò destreggiarsi tra acquaio e fornelli, ammirata ed intenerita dal suo sguardo un po’ assente, come se fosse lì con il corpo e la testa, ma il suo cuore, chiaramente, non era con loro.

-Sono contenta che tu e Clark stiate così bene, insieme, sai? L’ho visto per così tanto tempo triste e affranto che non speravo potesse uscire dal suo stato: hai davvero compiuto un miracolo!-

Lily si voltò, arrossendo: -Ma io non ho fatto niente… se non era per lui io… beh, sicuramente a quest’ora sarei stata da sola, magari a mangiare merendine davanti alla tivù!-

Poi si avvicinò a Lois, portando in tavola direttamente la padella dove aveva cotto la frittata e sedendosi vicino a lei e vide il suo sguardo triste lottare per apparire spensierato.

-Io credo che riuscirai anche tu a trovare una persona speciale come Clark… ne sono certa. Io ero convita che sarei rimasta sola per tutta la vita, e invece… a volte bisogna sapere aspettare. In fondo… siamo giovani e abbiamo tutta una vita, davanti a noi, che ci riserva ogni giorno delle sorprese inimmaginabili-, le sorrise, servendo la frittata.

-Sì, proprio inimmaginabili…-, disse piano Lois, e ingoiò un boccone che sapeva non le sarebbe andato giù neanche bevendo tutta l’acqua del pianeta.

Spilluzzicò appena la sua portata, cercando di sforzarsi di mangiarne il più possibile, lottando contro quella sensazione di stomaco chiuso che si portava avanti da diverso tempo.

Poi si alzò, prese i piatti sporchi e rigovernò velocemente, aiutata da Lily.

-Se non ti dispiace, io ora andrei a letto: sono un po’ stanca-, le disse prima di salire di sopra. Prese la sua borsa e diede la buonanotte a Lily.

Chiuse la porta di camera dietro di sé, aprì i fascicoli sulla scrivania di legno vicino al letto e fece scorrere per l’ennesima volta gli occhi sui fogli stampati.

-… proprio una sorpresa inimmaginabile…-, disse tra sé. Spense la luce e si addormentò vestita.

***

Come ogni anno, nella settimana precedente il tanto atteso Prom Ball, tutti i ragazze e le ragazze del Liceo di Smallville, erano in fibrillazione per i preparativi e la scelta dell’abito perfetto.

L’improvviso spostamento della festa alla villa dei Luthor aveva precipitato il comitato organizzatore nel panico più totale perché, sebbene i compiti a loro carico fossero drasticamente diminuiti, dal momento che Lex aveva preso in mano la situazione personalmente, le proporzioni della festa, trasferita dalla palestra del Liceo ad un vero e proprio castello, assumevano tutto un altro significato.

Il problema non era più cercare l’abito più romanticamente elegante e preparare striscioni, ma accaparrarsi per prime l’abito più fashion e glamour, prenotare gli appuntamenti dai parrucchieri, affittare la limousine più lussuosa, sfoggiare un look più in degli altri.

Il compleanno di Clark, ogni anno, cadeva nella settimana precedente l’evento e, con grande sollievo suo e della sua famiglia, per questo motivo veniva messo in ombra dai preparativi della festa e, per questo, passava quasi inosservato, evitando ai Kent una preoccupazione in più, nel gestire una festa, invitati, in breve gente pronta a ficcanasare nella loro vita.

Anche quell’anno Clark pensò che avrebbe potuto trascorrere una serena giornata con i suoi, oppure, perché no, scappare lontano con Lily.

Si rigirò nel suo letto sorridendo: aveva diciotto anni, era domenica e fuori, finalmente, splendeva di nuovo il sole.

Il giorno prima, con Lily, Chloe, Pete e Lois era stato a Metropolis per cercare insieme agli altri l’abito adatto per il ballo. Aveva cercato di fare capire agli altri, invano, che Lex aveva dichiarato che quell’anno la festa sarebbe stata diversa, ma aveva ottenuto come unico risultato di passare tre ore della sua vita al grande Mall Metrotown[ii], appena fuori città, correndo da un negozio all’altro, come dei ragazzini. Poi erano usciti e si erano incamminati verso il quartiere detto dei gitani, dove tante piccole botteghe piene di false pozioni magiche e di antichi cimeli stranieri rilucevano come un presepe, con le loro lucine colorate appese all’interno. Avevano perso le ragazze, lui e Pete, che si erano soffermate ad osservare i gioielli di un vecchio rigattiere europeo, aveva visto lo sguardo desideroso di Lily, che aveva adocchiato qualcosa, e si era ripromesso di tornare lì a comprarle qualsiasi cosa fosse… un gioiello per la sua splendida principessa. Poi erano arrivati, camminando, fino a Downtown.

Avevano deciso di fermarsi a mangiare un boccone in città prima di rientrare nel pomeriggio a Smallville. -Quello che mi domando è come mai, se Lois ha detto che non verrà alla festa, io mi prodigo per boicottarla, Lily non se la sente di parteciparvi, a Clark non è mai importato nulla del ballo, abbiamo perso ben tre ore provando e riprovando vestiti uno più ridicolo dell’altro!-, aveva chiesto Chloe, mentre addentava la sua hamburger in un grill vicino alla zona delle università.

-Perché io dovrò essere bellissimo per conquistare definitivamente il cuore di Sammy!-, aveva risposto Pete, ed era stato colpito da una gragnola di patatine fritte scagliate contro di lui dai suoi amici.

-Però è stato divertente, non trovate?-, aveva chiesto ridendo Clark, stringendo nella sua mano quella di Lily.

-Come no? Vederti indossare quella camicina psichedelica è stata un’esperienza davvero indimenticabile, Smallville!-

-Perché non vuoi venire alla festa, Lois… mi farebbe davvero piacere se mi accompagnassi-, le aveva domandato Lily, -E poi come farei senza la tua consulenza di moda!-

-Aspetta un po’: volevo essere io ad accompagnarti alla festa, Lily!-, Chloe e Lois erano scoppiate a ridere vedendo l’espressione perplessa e vagamente delusa di Clark.

-In effetti dovresti raddrizzare il tiro sugli accessori… ma come faceva a piacerti quel ciondolo in quel negozio?! Menomale che io e Chloe ti abbiamo tirata via di lì, altrimenti avresti dovuto abbinarlo con un vestito a mongolfiera!-

Era stata una bella mattinata, aveva visto Lily divertirsi dimenticando i fatti e le rivelazioni degli ultimi giorni ed insieme si erano sentiti esattamente come gli altri ragazzi, come se la loro nascita e il loro sangue non avesse più alcuna importanza.

L’aveva riaccompagnata a casa, sì… e poi… e poi doveva essere andato a letto, certo… anche se si sentiva un po’ confuso, a ripensarci bene… non ricordava cosa avessero fatto insieme…

L’odore delle pancakes appena cotte fu un ottimo motivo per alzarsi, infilare velocemente una maglietta e i pantaloni della tuta e correre giù, senza neanche passare dal bagno a lavarsi il viso.

L’abbraccio della mamma fu il primo regalo di quella strana giornata: era vero, quello era il giorno ufficiale del suo compleanno, e con il tempo anche lui e i suoi genitori si erano abituati a considerarlo tale, ma era nella data che era stato trovato, che realmente aveva un significato festeggiare.

-Tanti auguri, cucciolo mio!-, gli aveva detto la mamma, mettendo sotto al suo naso un piatto pieno di minipancakes ai mirtilli come piacevano tanto a lui. Ogni anno, fin da quando era piccolo, quello era il preludio alle libagioni di casa Kent.

Clark spazzolò il tutto e corse nel fienile ad aiutare suo padre con il solito trattore che non voleva saperne di funzionare correttamente.

-Ehi! Buon compleanno, figliolo!-, gli disse lanciandogli una chiave inglese, -Diciotto anni sono più che sufficienti per accollarti il compito di aggiustare questo demonio di un trattore!-

-E me lo terrai tu sollevato alto sulla testa?-, chiese Clark, strizzandogli l’occhio.

Jonathan si avvicinò a lui e lo abbracciò, come faceva quando lui era piccolo, poi lo guardò orgoglioso del suo unico figlio e mise una mano sulla sua spalla.

-Tua madre mi ha raccontato di Lilyanne… non so se essere arrabbiato con te per averci tenuta nascosta questa cosa finora o se essere felice che anche lei sia una ragazza seria e che ti vuole davvero bene-, lo prese alla sprovvista, con queste parole, e Clark non seppe che rispondere.

-Spero che ora che hai una così bella ragazza tu non ti monti la testa e ti dimentichi dei tuoi vecchi, vero, Clark?-, gli sorrise piegando la testa.

-Come potrei dimenticarmi di un padre che mi fa lavorare anche il giorno del mio compleanno?-, rispose sorridendo e restituendogli la chiave inglese e lo abbracciò di nuovo.

-Sono così felice, papà… mi dispiace non averti detto nulla di Lily, ma volevo prima esserne sicuro-, poi lo guardò negli occhi, la sua espressione appena un po’ più seria.

-Te l’ha detto la mamma cosa sa fare Lily?-, gli domandò, abbassando la voce.

Jonathan scosse la testa.

-Lei sa volare!-, gli sussurrò in un orecchio, poi si godette la sua espressione stupefatta e senza parole.

-Forse potrà insegnarmi a farlo… sa fare anche altre cose che io ancora non sono in grado di fare… ora… riesco finalmente a capire cosa proviate tu e la mamma quando… tu le sistemi il rubinetto che perde e lei ti cucina il tacchino ripieno… è davvero troppo bello potersi completare a vicenda…-

Jonathan lo guardò, un’espressione intenerita sul suo volto impolverato.

-Non sai quanto io sia orgoglioso di te, figliolo-, gli disse e i suoi occhi brillarono.

-Ora però, aiuta il tuo ‘vecchio padre’ a sistemare questo catorcio di un trattore!-, di nuovo gli passò la chiave inglese.

Quando ebbero finito, Clark e Jonathan rientrarono in casa, assaltando quel che rimaneva delle minipancakes.

-Lasciatene qualcuna anche per Lily!-, gridò loro Martha.

-Lily?-, Clark non riusciva a capire.

Martha lo guardò perplessa.

-Sì, Clark… Lily sta tornando qua e poi andrete tutti insieme a festeggiare a Miami, non ricordi? L’hai invitata tu stesso ieri pomeriggio quando ci siamo visti tutti insieme!-

Clark scosse la testa, senza capire.

-Ieri pomeriggio? Hai visto Lily ieri pomeriggio?-

-Ma Clark, cosa ti prende? Non ricordi che ieri ci siamo tutti incontrati dopo il funerale di Lois per festeggiare il vostro anniversario?-, disse Jonathan, masticando una frittella.

-Funerale di Lois? Anniversario? Ma cosa?-

Martha posò la sua mano sul braccio del figlio, guardandolo vagamente preoccupata.

-Clark… ora smettila di fare domande sciocche e vai a prepararti: l’aereo sarà qua a momenti! Lo so che ne puoi fare a meno e volare via, ma non vorrei che ti si sgualcisse lo smoking-

-Sì, Clark: quando si ha tutto il potere che avete voi due, essere eccentrici è solo un passatempo, come giocare a biliardo o cacciare cervi. O volare, nel vostro caso-

-Lex? Da quanto tempo eri qua dentro?-, un attacco di panico lo colse alla bocca dello stomaco.

-Da quanto? Da quando tu dormi nel mio castello e io nella tua stanza. E ringraziami che stanotte sono stato sul divano perché hai rivoluto il tuo letto!-

La testa di Clark aveva preso a girare forte, come se non ci fosse niente di giusto in tutto quello che stava sentendo. Si voltò di nuovo verso i suoi genitori, in piedi vicino al tavolo di cucina. Inorridì: erano invecchiati e sembrava avessero cento anni. Il rosso vivo dei capelli di Martha si era tramutato in un grigio polvere, i suoi occhi azzurri, velati dalle cataratte e le rughe a storpiare il suo sorriso dolcissimo.

-Avanti, Clark: i tuoi figli stanno arrivando!-

Si voltò verso Lex e al suo posto vide Lily, più bella che mai, impellicciata come una regina, accompagnata da una ragazzina dai capelli neri e un bambino con un berretto da baseball, che fluttuava a dieci centimetri da terra, masticando un chewingum.

-Ciao amore, ho appena portato i bambini con me sopra Genovia[iii]: abbiamo distrutto anche l’ultima opposizione: ora siamo i signori indiscussi del mondo, proprio come voleva tuo padre!-

Si avvicinò a lui e lo abbracciò circondandolo con le sue braccia sinuose e i suoi capelli che gli coprirono la faccia, sempre più stretti, avvolti attorno al suo collo, dentro la sua bocca, fino a che iniziò a soffocare e tutto riprese a ruotare intorno a lui velocemente, sempre più velocemente.

Si svegliò di soprassalto cercando aria e sollevandosi a sedere sul letto. Era sudato e tremava come una foglia in autunno.

Era stato solo un incubo… solo uno stupido incubo.

Portò la mano all’interruttore ed accese la luce: la sveglia segnava le quattro e mezzo del mattino. Respirando a fatica cercò di capacitarsi di che giorno fosse, di cosa fosse vero e cosa si fosse inventato. Si alzò e camminò arrancando fino al bagno, accese la luce e si bagnò il viso, guardandosi allo specchio: era in casa sua, da solo, e quello che aveva visto era solo un brutto sogno.

Scese in cucina e si versò dell’acqua fredda.

Doveva calmarsi, perché non c’era nulla di vero in quello che era accaduto.

Lois era viva, Lily la stessa ragazza semplice di sempre, Lex viveva nel castello e lui non aveva né figli, né anniversari da festeggiare.

Si chiese se la mattinata passata con Lily e i suoi amici a Metropolis fosse realmente accaduta oppure no, e non seppe darsi una risposta. Tornò in camera sua e accese il computer, per vedere che giorno fosse, si connesse ad internet e andò sul sito del Daily Planet, per controllare che tutto fosse a posto.

Un’e-mail in arrivo attirò la sua attenzione.

Era del dottor Swann: erano mesi, che non riceveva sue notizie.

Lesse velocemente la lettera, molto breve, nel classico stile dell’uomo che gli aveva, per primo, detto il suo nome kryptoniano.

Swann gli porgeva i suoi auguri di buon compleanno e lo salutava con una frase che lo incuriosì.

Tre sono i cristalli nascosti negli angoli più remoti del terzo pianeta della stella Sol: Naman li riunirà e il portale sarà aperto per ottenere la chiave della conoscenza assoluta e governare sulle razze inferiori. Non cadranno in mani di altri, o la conoscenza si tramuterà in distruzione.

Questa è la traduzione delle iscrizioni sulle pareti della grotta di Cowichan, attorno a quella che chiamiamo la “serratura”. Sulla parete opposta l’iscrizione è in caratteri differenti e tracciata in un’epoca diversa.

Questo è ciò che ho tradotto: Naman affronterà Segith, affiancato da Aethyran[iv] ed il destino sarà compito.

I tre cristalli sono realtà, Clark e la profezia deve essere realizzata, perché il rischio che essi cadano in mani sbagliate è troppo grosso. Ma anche se il tuo destino sembra essere stato scritto da secoli, anche se le tessere del mosaico stanno trovando il loro posto, anche se Naman, Segith, Aethyran hanno dei nomi che tu conosci, ricorda che il tuo compito è di ascoltare quello che consiglia il tuo cuore, non quello che altri hanno stabilito per te.

So che la vita sembra averti finalmente donato qualcosa di prezioso e inatteso, che sembra dare un senso a tutti i tuoi dubbi e fare battere il tuo cuore così speciale, ma devi sempre ricordare di prendere le tue decisioni proprio con quel cuore, non con l’ingordigia dello stomaco.

Ricorda sempre che non sei mai stato solo, fino ad ora: custodisci come pietre preziose le persone che ami e loro ti ameranno e non tradiranno mai la tua fiducia”

Parlava di Lily? No, come faceva, Swann, a sapere di lei? Parlava di quello che Jor-El voleva per lui, allora? Lo metteva ancora in guardia dal seguire una strada che lo avrebbe allontanato dall’essere umano, che avrebbe potuto portarlo ad uno scenario follemente assurdo come quello del suo incubo di pochi minuti prima? Il messaggio era fin troppo chiaro, sia il suo sogno che il Dottor Swann gli ripetevano di non pensare mai, anche lontanamente, di potersi mostrare superiore agli altri, di non cadere nell’errore di ascoltare le parole di conquista di Jor-El.

Controllò la data sul computer: aveva ancora tre ore di sonno prima che il sole spuntasse sulla mattina del suo compleanno. Lo spense e si infilò nel letto ormai freddo, rimanendo immobile a pensare.

Lana.

Ecco cosa aveva fatto il pomeriggio del giorno prima.

Si era separato dagli altri ragazzi al parcheggio degli autobus a Metropolis ed aveva corso assieme a Lily come se fossero due puledri selvaggi, e i campi tra la grande città e Smallville fossero stati fatti solo per loro. Si erano fermati al lago, a parlare del più e del meno, di come fosse assurdo che loro due erano due alieni, di come sarebbe stato il loro futuro, una volta finita la scuola. Si erano baciati e, ancora una volta, si erano lasciati prendere la mano dalle circostanze: loro due da soli, il frusciare delle foglie dei salici che si immergevano nel lago, i primi stormi di uccelli migratori che tornavano. L’abbaiare di un cane in lontananza li aveva riportati alla realtà, avevano sorriso l’uno all’altra e, a malincuore, si erano incamminati verso il paese.

O forse era stato in un’altra circostanza, un altro giorno…? si sentiva molto confuso.

Lui aveva fissato, sul tardi, al Torch con Chloe, per aiutarla con l’impaginazione dell’articolo sul ballo, Lily si era fermata al Talon, poi sarebbe tornata a casa.

Si chiese come mai non erano tornati assieme agli altri, sull’auto di Lois, e immaginò che fosse epr stare un po’ da solo con Lily…

Stava per entrare al giornale, quando aveva udito le voci concitate di Chloe e Lois litigare, dentro la stanza chiusa.

La sera prima Lois aveva curiosato tra i files di Chloe e aveva fatto confusione. La cugina la stava rimproverando di aver aperto documenti privati, peraltro dal contenuto pericoloso, Lois, invece, insisteva che doveva ascoltarla per un altro problema, e quel problema era Lana.

Si era avvicinato, fingendo di stare guardando alcuni annunci in bacheca, e, con il super-udito, aveva ascoltato la loro conversazione.

-Il fatto che sei mia cugina non ti autorizza a mettere il naso nelle mie cose! Perché non mi hai detto nulla stamani, mentre eravamo fuori? Ci sono cose che… che non devono uscire da questa stanza, hai capito, Lois?-

-E tu hai capito che a me dei tuoi articoli e delle tue indagini non interessa assolutamente niente?-

-Allora perché sei andata al castello di Lex?-

-Sono affari miei! Quello che deve importarti è che quel bastardo sta mettendo sottosopra la vita di tutti noi, Lana compresa!-

-Cosa c’entra Lana, adesso? Sei sempre pronta a prendertela con lei, non è vero?-

-Non me la sto prendendo con Lana, non capisci proprio nulla oggi, Chloe! Sto cercando di farti capire che Lex sta ficcando il naso anche nella sua vita: l’ho sentito che parlava con Jason, lo vuoi capire?-

-Quello che c’è tra Lana e Jason a noi non deve interessare. E poi… mi sa che sono agli sgoccioli, sicché il discorso può chiudersi qua-

-Agli sgoccioli? Ah, direi proprio di no! Ti posso garantire che non sono mai andati più d’accordo di così! Il problema è che lui la sta ingannando.-

-Ma che ne sai, tu?-

-Oh, so eccome! Jason e Lex stavano urlando: Jason minacciava Lex di non raccontare nulla a Lana del loro accordo… se ti sembra una cosa normale questa…!-

-Quale accordo?-

-E che ne so! Ma i toni di Lex non erano tra i più gentili: gli ha detto che avrebbe svelato a Lana tutto quello che Jason e sua madre avevano tramato contro di lei… e questo non è certamente il momento migliore per Lana per agitarsi… Se pensi che poi quella donna era lì, oggi, al castello, proprio mentre quei due litigavano… io non credo che le cose siano così lineari come tutti si sforzano di farcelo credere-

-Jason…? Sua madre…? Cos’altro c’è che io non so?-

-Adesso mi credi, Chloe?-

-Io… cos’ha Lana?-

-Non posso raccontarti i suoi fatti privati, mi dispiace-

-Però puoi frugare tra i miei fatti privati… e senza un valido motivo, almeno finché non ti decidi a dirmi che cosa cercavi!-

-Senti, vuoi considerarmi un’impicciona? Bene, fallo pure… ma in questo momento sono davvero preoccupata per Lana e per quello che può aver… combinato… con… Jason… e…-

-Cosa…? Lana…-

-Io non ti ho detto nulla! Però, capisci che ho il diritto di preoccuparmi per lei, se Jason le nasconde qualcosa? Anche se non sono la sua migliore amica, penso di avere il diritto di preoccuparmi, specie se c’è di mezzo quel disgraziato di Lex…-

Era stato allora che Clark aveva urtato qualcosa con il piede, facendo franare un estintore mal riposto per terra vicino alla porta del Torch, con un rumore assordante. Chloe e Lois erano comparse davanti a lui spaventate.

Le aveva salutate facendo finta di niente, Lois era uscita di fretta approfittando dell’attimo e lui era rimasto davanti alla porta, solo con Chloe, che pareva molto turbata da quello che la cugina le aveva fatto intuire.

-Dai… entra-, gli aveva detto chiudendo la porta alle loro spalle.

Si era seduta alla sua scrivania ed era rimasta ad osservarlo, sospirando.

-Clark, io e Lois stavamo urlando così forte che sono sicura che avresti sentito ogni parola anche se non avessi usato il tuo super-udito, quindi è inutile che assuma un’espressione spensierata di circostanza con te, perché spensierata, in questo momento, non mi sento proprio-

Si era fermata a guardarlo, poi aveva ripreso.

-Non lo so… mi pare che stia per arrivare la fine del mondo: tu che mi riveli il tuo segreto, il Liceo che va a fuoco, un’altra ragazza con i tuoi stessi poteri… e adesso Lois che si mette a fare l’investigatrice privata e vuole proteggere Lana… sono preoccupata…-

Non gli aveva risposto, perché se quello che aveva intuito dal discorso di Lois era vero, anche se adesso non stava più con Lana, era come se una parte di quello che era rimasto di lei nel suo cuore si fosse spezzata e fosse morta, con il ricordo dei loro baci, dell’attimo in cui qualcosa li aveva fermati, prima di donarsi l’uno all’altra per la prima volta, e si erano sussurrati che nulla avrebbe più interrotto il loro amore…

-Clark? Mi stai ascoltando?-, Chloe gli aveva detto qualcosa che lui non aveva assolutamente sentito.

-Sono preoccupata per Lois!-

-Lois?-, gli aveva domandato, non capendo che c’entrasse, se stavano parlando di Lana.

-Ma certo: che c’è andata a fare, Lois, da Lex? Non è di certo il tipo di persona con il quale una come Lois vuole avere a che fare! Penso che si rivolgerebbe a lui solo se non avesse altra strada, se avesse bisogno di un favore… e che favore potrebbe volere Lois da Lex… e poi… era così arrabbiata con lui… Non è un comportamento da lei… è sempre più strana, ultimamente…-

-E Lana…?-

-Lana? Lana è adulta e vaccinata e se ha preso determinate decisioni lo avrà fatto conoscendo le conseguenze. La domanda giusta è un’altra: che c’entra Jason con Lex… perché era al castello e perché c’era anche Genevieve Teague! Quello che ha sentito Lois non è rassicurante… Se Lex sa che li ha uditi, Lois non è al sicuro!-

Si era alzato, turbato e intimamente ferito.

-Tu, Lois, Pete… siete sempre pronti a scagliare la prima pietra contro Lex, a dipingerlo come un mostro! Lo vedi com’è Lex? C’è un problema alla scuola e lui offre la sua casa per ospitarci… e per avere un po’ di allegria intorno. Non è giusto che pensiate sempre che è colpa sua. Se piove è colpa sua… se la terra gira è colpa sua!-, aveva aperto la porta ed era uscito.

Doveva vedere Lois e parlarle. O era da Lana che doveva andare, prima di perderla ancora una volta e per sempre? O parlare con Lex di cosa fosse questa storia misteriosa? O andare da Jason e spaccargli il muso…

Clark si rigirò nel letto e si immerse nell’ultimo ricordo prima di addormentarsi.

Alla fine era andato al Talon e si era seduto ad un tavolino riparato, dal quale poteva vedere la porta dell’appartamento di Lana, senza che lei potesse notarlo, se fosse uscita dalla sua casa.

Aveva chiamato i suoi e, con la scusa di studiare, era rimasto là fino all’ora di chiusura. Aveva visto Lana rientrare, salutando velocemente le bariste e concedendosi un bagno caldo, una volta sola nella sua casa. Poi era arrivata Chloe, lo sguardo preoccupato, la sottile ruga che si dipingeva sulla sua fronte quando non sapeva come affrontare un problema. Aveva bussato e atteso pazientemente che l’amica le aprisse la porta, coperta con un asciugamano e con i capelli che gocciolavano a terra. Avevano parlato un po’, e Clark non aveva voluto ascoltare con il suo udito sviluppato la loro conversazione: non per rispettare la loro privacy, ma per la paura sottile di scoprire qualcosa che ancora nella sua mente era solo un’ipotesi. Quando Chloe era scesa, aveva affondato il volto dietro un giornale, per non farsi notare.

E alla fine, salendo gli scalini a due a due, con un dvd del videonoleggio in mano e il suo solito sorriso strafottente, era arrivato Jason: aveva bussato e aveva baciato Lana, che si era vestita con una tuta, l’aveva spinta dentro casa e si era stravaccato sul divano. Come se fossero gesti antichi, familiari entro quelle mura, come se quella fosse anche un po’ casa sua.

Solo allora era tornato verso casa, camminando lentamente, rigirando tra le mani il volantino stropicciato di un nuovo pub a Metropolis.

Si era messo a letto ed era sprofondato in quell’incubo così dolcemente allettante.

Due ore, e le frittelle di sua madre avrebbero iniziato a friggere giù in cucina, diffondendo il loro profumo e svegliandolo.

Due ore e avrebbe ricominciato quella giornata già vissuta.

-Cosa ci sei andato a fare da Lex?-

Jason aggrottò le sopracciglia, premette pause sul lettore dvd e si voltò verso Lana, con espressione perplessa.

-Lex? L’ultima volta che l’ho visto è stato quando ho saputo che mi aveva fatto licenziare dalla scuola-

Lana si scostò da lui: era dall’inizio di quello stupido film che non riusciva a pensare che a questa cosa.

-Una persona mi ha chiamata, stamani, spiegandomi che quell’occhio nero è stato Lex a fartelo. Penso che tu mi debba delle spiegazioni-

-Una persona ti chiama e tu credi ciecamente alla prima stronzata che ti dice? Tutta qua la fiducia che hai in me?-, incrociò le braccia al petto, come faceva sempre quando iniziava ad arrabbiarsi.

-Sei stato tu a dirmi che eri andato a dare una lezione a chi ci aveva fatto… quella cosa. Ti chiedo solo se questa persona è Lex-

Jason si alzò, lasciando il telecomando sul divano.

-Non mi ascolti, allora? Ti ho detto che non vedo Lex da molto tempo, ormai!-

Lana socchiuse gli occhi, affilando lo sguardo.

-Quindi tu non sei mai andato da Lex a chiedergli un lavoro e non hai mai lavorato per lui, con il compito di spiarmi, è così?-

Jason la guardò fissa negli occhi, senza tradire minimamente quello che si agitava dentro di lui.

-E’ così-, disse, poi le passò vicino, strinse le labbra scuotendo il capo e, senza aggiungere altro, uscì dall’appartamento e la lasciò da sola.

Lana si lasciò cadere sul divano, scivolando verso il basso: aveva ancora una volta dato ascolto alla voce di una sirena che voleva solo deviarla dalla sua strada, per qualche misterioso interesse personale.

-Perdonami…-, sussurrò. Rimase per un po’ immobile a guardare imbrunire il giorno, fuori della finestra, poi riaccese la televisione.

Come nel sogno, Clark aveva passato la mattinata con i suoi, aiutando suo padre nel fienile e aprendosi un po’ a lui, parlandole di quello che provava per Lily. Avevano fatto colazione insieme ed era rimasto con loro fino a quando la telefonata di Lily non aveva illuminato la sua giornata. Non aveva volutamente più pensato alla sera prima, a Lana, a Jason, a Lex, ai guai preannunciati da Lois, alla faccia preoccupata di Chloe.

-Che ne diresti di… passare da me tra un po’: ho bisogno che tu faccia una cosa…-, gli aveva chiesto Lily con voce allo stesso tempo infantile e sensuale e lui non aveva trovato un solo motivo per non precipitarsi subito da lei.

L’aveva sorpresa in accappatoio con i capelli bagnati.

-“Tra un po’”, Clark, significava tra un po’… non immediatamente!-, aveva detto ridendo facendolo entrare in casa.

-“Tra un po’” era troppo tempo… io ti volevo immediatamente…-

-Buon compleanno, amore mio…-

Ricordava a malapena la sua risposta, eppure erano passate solo poche ore.

Dopo di quello c’era solo il sapore delle sue labbra sulla sua bocca, il suo sguardo velato e febbrile, appena un po’ preoccupato. L’aveva baciata appassionatamente, perdendosi nel suo profumo, sulla sua pelle morbida e calda. L’aveva sollevata e fatta stendere sul divano, scostando l’accappatoio che le copriva le gambe e il collo, e aveva sentito in quell’istante più che mai la voglia di stare con lei, una volta e per tutta la vita.

Poi, di colpo, il volto stupefatto di Lois… sì: Lois doveva averli interrotti, ma quello che era successo dopo, nuovamente non riusciva a focalizzarlo, come se qualcuno, con un colpo di spugna, avesse cancellato i suoi ricordi, o, meglio, li avesse sbiaditi fino a confonderli l’uno con l’altro, dalla sera prima.

Sapeva di essere salito in camera di Lily, seguendo il suo volto rosso peperone, e di essersi sfilato la felpa, mentre lei, ridendo senza fare rumore, lo pregava di non parlare, portando l’indice alle sue labbra e sorridendo, avvicinando nuovamente le sue bocca rossa a lui e le sue mani scivolavano sul suo torace e sulle braccia…

-Ecco fatto!-, Lily, sorridente e soddisfatta, lo guardava con un misto di trepidazione e divertimento. Era completamente vestita e aveva i capelli asciutti e raccolti in una morbida treccia. Sul suo golfino azzurro spiccava un filo rosso, caduto chissà da dove.

-Allora, vuoi venire giù a pranzo?-, gli aveva chiesto, come se non fosse la prima volta che gli poneva quella domanda.

Lo aveva condotto con gli occhi coperti dalle sue mani morbide in cucina, dove la tavola apparecchiata per due e alcune ottime pietanze ammiccavano dai piatti quadrati del suo servito migliore.

-Ma quando hai…?-, Clark era sempre più confuso.

-Ssssst! Buon appetito!-, non aveva detto altro e aveva iniziato a servirgli quello che aveva cucinato per lui.

-E Lois?-, le aveva domandato dopo che avevano finito di mangiare e stava accingendosi a tornare a casa per aiutare suo padre con il vecchio trattore che aveva ripreso a fare le bizze.

-Sono ore che è uscita-, aveva risposto Lily, senza pensarci su, poi un leggerissimo fremito aveva scosso il suo volto. Si era girata verso di lui e, sorridendo un po’ troppo veementemente, aveva puntualizzato: -Ti sei addormentato appena siamo saliti in camera e non ho voluto svegliarti!-

Un bacio ancora e via, di nuovo sulla strada di casa, più confuso di prima.

La nebbia: ecco cosa gli sembrava di avere nuovamente in testa…

Però lo sguardo di Lois, i suoi occhi pungenti e l’espressione vagamente delusa e accusatoria quando lo aveva trovato a casa di Lily -e sua-, quella sì, la ricordava bene…

La cena era stata come sempre speciale: Martha aveva dato il meglio di sé stupendo tutti con un menù originale multietnico, che aveva esaltato il palato di Chloe e fatto storcere un po’ il naso a Jonathan, che si era in seguito ricreduto sulla cucina messicana.

Erano stati bene, a tavola: sette volti sorridenti che parevano aver dimenticato i loro problemi fuori dai confini della fattoria Kent.

Chloe e Lois erano arrivate piuttosto in ritardo, entrambe scure in viso, ma l’allegra atmosfera familiare che regnava in casa Kent aveva fatto tornare presto il sorriso alle due cugine.

Era come se non fosse successo nulla, come se fossero passati mesi…

Clark aveva voluto che Lily stesse vicino a lui e, in un momento in cui nessuno li guardava, si avvicinò a lei per darle un dolce bacio.

-Attenzione Smallville… non credo che la scena a luci rosse di stamani sarebbe tollerata a questa tavola!-, gli disse piano Lois, passandogli accanto con un vassoio di fajitas, e fissandolo nuovamente con quello sguardo che era l’unico ricordo nitido della giornata precedente.

Clark scosse la testa, mentre gli altri ammiravano la torta di compleanno fatta da Martha che faceva il suo ingresso trionfale a tavola.

Bevvero lo spumante che aveva portato Pete e Jonathan raccolse la sfida di Lois di buttare giù tutto d’un fiato “il petardo dei marines”, a base di rum, whiskey e soda, che avevano inventato i “suoi commilitoni” alla base militare.[v]

-Non dirmi che bevi anche tu questa roba, signorina?-, la rimproverò Jonathan, con la bocca in fiamme e Lois finse l’espressione più angelica che riuscisse a fare.

Poi i ragazzi rimasero soli e si spostarono nel fienile, dove ognuno dette il suo regalo a Clark.

Pete volle essere il primo per poi scappare al Beanery, dove aveva fissato con Samantha: gli aveva preso un pallone da football nuovo, augurandosi di vederlo giocare, prima o poi, visto che era stato assente proprio nei mesi di gloria del suo super-amico.

Lily gli consegnò il suo regalo, arrossendo come un peperone quando Clark scartò l’ennesimo maglione in cotone rosso fuoco.

-Gli mancava!-, ironizzò Lois guadagnandosi una gomitata da Chloe; -Ecco a cosa ti servivano tutti quei gomitoli e i libri che hai preso in prestito dalla biblioteca!-

-L’hai fatto tu?-, chiese Clark affondando le mani nella trama appena un po’ irregolare, abbassando gli occhi per guardare nei suoi. Lily annuì senza parlare e subito si sentì sollevata dall’abbraccio forte e delicato del suo amore.

-Grazie, piccola…-, gli sussurrò Clark in un orecchio.

-Io l’ho… fatto tutto stamani. Ho scoperto di avere… altre abilità, sai? Ieri ti ho visto che ne guardavi uno simile a Metropolis e quindi… ho memorizzato tutto il manuale in pochi minuti e poi: l’ho fatto usando un po’ di supervelocità-, spiegò lei, mormorando, -… e un modello affidabile!-, lo disse quasi tra sé e sé, come se fosse qualcosa che andava tenuto nascosto.

-Ma il vero regalo arriverà presto… c’è una cosa che voglio che sia tua…-, gli disse baciandolo, non importandole se lui sarebbe arrossito davanti alle sue amiche.

Chloe gli regalò un portachiavi sferico in plexiglass al cui interno erano stati raffigurati con la tecnica laser tanti piccoli puntini, che formavano delle figure apparentemente casuali.

-E’ un universo in miniatura-, gli disse, poi si avvicinò per abbracciarlo -Perché credo che nessuno meglio di te possa immaginare cosa significhi tenerlo stretto in una mano…- , gli disse piano in un orecchio, e gli sorrise.[vi]

-Ed io… beh, visto che una o due delle tue sono entrare a far parte del mio “parco tute e pigiami”, ti ho comprato una… tanto di piace di sicuro, ho voluto cadere in piedi, stavolta!-, disse Lois lanciandogli un pacchetto morbido contenente una calda camicia di pile con la solita fantasia blu scozzese che avevano quasi tutte le camicie di Clark. Gli strizzò l’occhio e si allontanò appena.[vii]

Risero tutti quanti, poi Lois tirò fuori dalla sua borsa un’altra bottiglia di spumante, stupendoli e iniziando a servirlo in bicchieri di plastica.

-Manca un po’ di musica in questo posto…-, Chloe accese lo stereo, tenendolo a volume non troppo alto per non disturbare i genitori di Clark, in casa.

-Ti dispiace se te lo rubo?-, disse a Lily e prese Clark per le mani, improvvisando un ballo con lui, che sorrideva imbarazzato, sulle note allegre di musica rock and roll anni sessanta.

Facendo una specie di lenta piroetta lasciò il “testimone” alla sua ragazza, che imitò Chloe e poi lo “passò” a Lois.

-Ah, no, grazie!-, rispose lei afferrando al suo posto la bottiglia di spumante e facendo ridere nuovamente tutti.

Clark ne approfittò per parlare con Lily.

-Quale altra abilità hai scoperto?-, le domandò a bruciapelo, stringendola a sé.

-Non posso dirtelo…-, sorrise con aria birbantella.

-Per favore…-

-D’accordo… allora, ho scoperto di riuscire a cancellare la memoria delle persone…-, lo guardò dal basso e vide dipingersi sul volto del ragazzo un’espressione di puro stupore.

-E come fai?-, chiese trepidante.

-Dunuqe…-, Lily sorrise e abbassò lo sguardo per un istante. Risollevò la testa e lo baciò sulla bocca, sentendo sulle labbra quello strano formicolio che provava ogni volta che usava il suo potere. Poi posò la testa sulla spalla di Clark e rimase abbracciata a lui, cullati dalla musica, senza voler spiegare, senza rivelare quel segreto che in realtà conservava gelosamente da tanto tempo. [viii]

Clark continuò a ballare, imbarazzato e confuso con Lily, quando il cellulare vibrò nella sua tasca.

-Scusami un attimo-, le disse e lesse il messaggio. Rimise il telefono in tasca e, scusandosi, disse che sarebbe tornato subito.

Scese le scale del fienile e uscì, nella notte ancora appena un po’ fredda.

-Lana…-, disse vedendola in disparte, poco distante dalla porta del fienile, -Perché non sei entrata?-

-Non volevo disturbarvi… per questo ti ho scritto solo un messaggio-

-Tu non disturbi mai, figurati! Perché non vieni su, ci sono anche Chloe e Lois-

Sorrise impacciata.

-No, grazie, devo tornare a casa, ora… volevo solo farti gli auguri e darti un pensierino… ecco…-

Clark soppesò il pacchetto tra le mani.

-Lana, non dovevi… grazie!-, fece per scartarlo, ma lei lo fermò.

-Fallo quando sarai solo… per favore…-, chiese abbassando gli occhi.

Clark annuì, imbarazzato.

-Ciao-, Lana lo salutò, si allungò sulle punte e gli diede un bacio sulla guancia. Lana si voltò, allontana dosi, ma Clark la trattenne per una mano. Era tantissimo tempo che non osava più toccare la sua pelle. La fece voltare e la guardò negli occhi lucidi di chi combatte con le lacrime.

-Lana… io… quando ho rinunciato a te… credevo che tu fossi felice, con lui…-

La ragazza deglutì in silenzio, poi gli aprì il suo cuore, staccando la mano dalla sua presa delicata.

-Da quando hai rinunciato a me ho smesso di essere felice…-, abbassò gli occhi e una piccola lacrima cadde sulla terra asciutta.

-E’ troppo tardi, ormai, e va bene così-, disse sforzandosi di sorridere.

Prima che lui potesse dire o fare qualcosa, lei risalì in auto e ripartì.

Clark rimase immobile, confuso per quello che era successo, deluso per quello che aveva saputo il giorno prima, amareggiato per averla lasciata andar via un’altra volta ancora.

Rigirò il regalo per un po’, indeciso su cosa farne, poi lo aprì.

“Anche se le nostre strade

si sono divise

per tornare a scorrere

parallele,

come amici,

volevo che sapessi solo,

che io non potrò dimenticarti

mai”

Sotto al biglietto firmato da lei c’era una piccola scatola contenente alcune foto che avevano scattato quando stavano insieme, delle cartine dei cioccolatini che avevano divorato guardando un film, al cinema e che lei aveva conservato, il piccolo bouquet di fiori che lui le aveva regalato per il ballo del secondo anno, il mezzo cuore d’argento, che lui aveva perso a Metropolis, poco tempo dopo, la sciarpa che lui le aveva prestato una volta e che non glia aveva più restituito, un foglietto su cui avevano scritto una lista di posti che avrebbero voluto visitare insieme.

Clark scosse la testa.

-Perché…?-, sussurrò, poi deglutì e inspirò profondamente. Richiuse la scatola e la nascose tra gli attrezzi nella parte bassa del fienile e tornò su, dalle sue amiche, che avevano smesso di ballare.



[i] Secondo voi che telefilm sarà? Hazzardate un titolo, va’! :-P

[ii] Questo Mall è a Burnaby, Vancouver.

[iii] Mettere uno stato vero mi pareva scorretto, così ho preso quello di “Pretty Princess” con Anne Hathaway

[iv] In kryptoniano Aethyr vuol dire donna.

[v] In realtà la mistura spacca budella inventata da me e una mia amica è Rhum, arancia e tabasco… in proporzioni variabili, dove l’arancia non si sa se effettivamente compare…

[vi] Un po’ come il gatto di Men in Black… ihihih! ;-)

[vii] Ogni riferimento è puramente casuale… ;-P A buon intenditore…

[viii] In realtà l’abilità a cui faccio riferimento non è annoverata tra i poteri ufficiali di Superman e, quindi, dei kryptoniani. E’ un’invenzione usata nel secondo film con Christopher Reeve, nella versione ufficiale tradotta anche in italiano. Negli anni è andata sempre di più affermandosi la convinzione che l’unica versione ufficiale del secondo Superman sia in realtà quella del Richard Donner’s Cut, mai tradotto in italiano, dove Superman, come nel primo film, fa tornare indietro il tempo per cancellare la memoria di Lois, che ha scoperto il suo segreto. Non esisterebbe perciò il famoso (e da me tanto amato) “bacio smemorino”… in questa sede voglio fare finta di non conoscere questa storia e voglio regalare questa abilità a Lily, perché credo che, tra tutte quelle che sono in possesso di Supes, sia quella più romantica… assieme al volo, ovviamente!

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