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-Vedrai un giorno riuscirai a trovare la persona giusta per te
-Vedrai un
giorno riuscirai a trovare la persona giusta per te-
-Ho creduto
che quella persona fosse Lana, ma non potevo essere sincero con lei, e poi ho
creduto che fosse Alicia, perché era come me-
-Ma tesoro,
non c’è… non c’è nessuno come te-
-Vuol dire
che sarò sempre solo-
(Obsession, Smallville #314)
Illusione
Intro: Su una tomba deserta
Son of the Illusion Blog
Martedì 17/06/2003
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“Che rumore fa un cuore quando si spezza?
Quando anche l’aria, gonfiando il petto, provoca dolore.
Quando guardi le tue mani e vedi le mani di un vecchio che muore,
levandole al cielo;
le mani di una madre che sa che il figlio non tornerà più;
le mani di un chirurgo che non ha saputo salvare una vita.
Che rumore fa un cuore che si ferma,
e dopo resta solo un ronzio assordante nella testa.
Che rumore fanno gli incubi la notte,
quando ti svegli e capisci che ha senso solo il buio tutto intorno.
E ti accorgi che l’incubo eri solo tu.
Che rumore fa il silenzio,
quando non c’è più la sua voce a riempire le stanze vicino a te,
quando ti guardi allo specchio e il tuo riflesso
urla
quel che sei.
Urla
la sofferenza
che deve contaminare la tua anima,
spegnere ogni colore,
finché rimarrà solo il vuoto.
E non ci sarà più rumore.
Solo allora riuscirò a sentire ancora il suono della tua voce.
Addio, mio primo
amore.”
L’ultima neve cadeva silenziosa e lenta sulle lapidi del
piccolo cimitero di Smallville disegnando sulla
pietra grigia e sui marmi gelidi arabeschi di ghiaccio.
Una leggera brezza soffiava da nord e sollevava rade volute di fiocchi bianchi
dalle tombe più esposte.
I raggi rossi del sole, filtrando da uno squarcio tra le dense nubi che
iniziavano a cedere il passo ad un clima più mite, allungavano le ombre verso
oriente, colorando di un pallido rosa la neve fresca.
Alicia non c’era più e
Clark, seduto per terra davanti alla sua tomba spoglia e senza fiori, solo, con
una rosa rossa in mano, aspettava in silenzio. Sperava che il freddo della
notte penetrasse nelle sue ossa e gli facesse sentire, almeno per una volta, di
essere come lei, come i suoi genitori, un po’ più umano.
Ma non sentiva freddo, se non nel suo cuore.
Negli ultimi giorni
aveva a lungo ripensato, con dolore, al suo legame con Alicia.
In fondo era
consapevole che quello che aveva provato per lei era un sentimento diverso
dall’amore incondizionato che sapeva di provare ancora per Lana.
Mentre Lana era come il
nord della sua bussola, il suo punto di riferimento e la donna che sapeva di
amare, Alicia gli aveva donato un affetto a doppio senso: gli si era mostrata
sincera in cambio della sua sincerità e gli aveva permesso, per la prima volta,
di essere se stesso fino in fondo, senza la paura di non essere accettato.
“Normale e speciale”,
aveva detto una volta a sua madre cercando di spiegarle come si sentiva quando
era insieme a lei, orgoglioso della sua imperfezione umana e del suo essere
diverso.
Normale e speciale.
Era quasi buio quando
Clark si rese conto che accanto a lui, un po’ in disparte, c’era qualcuno.
Si voltò lentamente,
pensando di vedere, ancora una volta, sua madre o suo padre che lo pregavano di
rientrare a casa. Gli chiedevano rassegnazione. Ma forse era un sentimento
troppo umano per lui, che non riusciva a smettere di soffrire. Pensava che
accettando che Alicia non c’era più, avrebbe cancellato per sempre il suo
ricordo.
Per un attimo rimase
interdetto, non aspettandosi di trovare accanto a sé, dopo tanto tempo, il suo
migliore amico: Pete Ross gli sorrideva, in piedi
accanto a lui.
Gli si avvicinò
salutandolo con una leggera pacca sulla sua spalla.
Non disse una parola.
Clark lasciò la rosa
davanti alla lapide e sfiorò un’ultima volta la pietra fredda. Poi si sforzò di
sorridere a Pete e lo seguì verso la sua automobile.
-E’ stata Chloe a chiamarti?-, chiese Clark solo dopo qualche minuto,
con voce stanca.
Pete
ammiccò abbozzando una risatina, come un bambino trovato con le mani nella
marmellata.
-In realtà avevo già
deciso di tornare, Chloe mi ha solo dato un buon
motivo per farlo adesso. Sai… mi sono reso conto di aver fatto una sciocchezza
ad andarmene: non hai idea di cosa significhi ricominciare da zero in una
scuola nuova, con professori nuovi, ma soprattutto senza neanche un amico-
Clark annuì. Ricordava
bene il motivo per cui Pete se n’era andato, e non
era perché sua madre era stata trasferita a Wichita.
Il suo repentino ritorno era una sorpresa.
-Pete,
mi dispiace…-, non sapeva cos’altro dire. Ma cosa avrebbe potuto fare, in
passato, perché le sue scelte non avessero comportato inevitabili problemi
all’amico?
-Cosa ti dispiace,
Clark? Non sentirti così importante da essere la sola causa del mio abbandono
di Smallville!-, sdrammatizzò Pete,
-Se è successo è solo per colpa mia, lo sai. Ma comunque… Ovviamente Chloe mi ha detto… Tu come stai?-
Clark lo guardò con
espressione sconsolata, alzando appena le spalle.
-La… amavi?-
-Io…-, Clark fece una
pausa, espirò e si fissò le mani. – Io credo di sì, anche se forse non sono mai
riuscito ad ametterlo davvero. In fondo lei mi
conosceva molto più di quanto non sapessi e riusciva a capire come mi sentivo.
Mi faceva star bene -
Alzò lo sguardo sulla
strada avanti a loro. – Non mi perdonerò mai di non aver avuto fiducia in lei…-
Pete
non seppe cosa rispondere. Sterzò per entrare nella fattoria dei Kent, percorse gli ultimi metri e fermò l’auto.
-Entra in casa, i miei
saranno felici di rivederti-, disse Clark scendendo dall’auto.
-Sono stato qui prima:
mi hanno detto loro che ti avrei trovato al… insomma, lì… Ora è meglio che vada
a salutare anche mio padre: ancora non sa che sono tornato!-
-Grazie Pete-, disse Clark salutandolo.
-Passo a prenderti
domani per andare a scuola… e non provarti a rimanere a letto che vengo a
tirarti fuori da sotto le coperte!-
Clark sorrise, mentre
l’auto di Pete faceva manovra per uscire dal piazzale
davanti alla sua casa, e si rese conto che era la prima volta, dopo tanti
giorni, che riusciva a farlo.
Entrò in casa,
scrollandosi di dosso la neve che aveva sulla giacca e sui capelli e andò in
salotto per salutare i suoi, seduti davanti al camino ad aspettarlo.
-Ho visto Pete… è stato bello ritrovarlo-, salutò con un gesto della
mano e si voltò.
-Ah… Pete ha detto che domani passa a prendermi per andare a
scuola e quindi… niente… vado a letto. Buonanotte-, si girò sorridendo ai suoi
e li vide rilassarsi, finalmente, dopo le ultime preoccupazioni.
Salì in camera, si
spogliò velocemente e si infilò sotto le coperte.
Quella notte sarebbe
riuscito finalmente a dormire.
Non voglio ancora una volta dover
ricominciare da zero.
Quello da cui scappiamo ci seguirà sempre e
si chiama paura.
E’ inutile illudersi di essere al sicuro in
un’altra casa: lei mi scoverà,
perché vive in me e di me. Perché sono io la
mia paura.
Sono le cose che non posso controllare e che
mi fanno sentire un mostro in fuga.
Ancora una volta la mia vita è in frantumi.
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1 COMMENTS:
Mickey says:
Tutta la vita è un viaggio…
traslocare non deve essere un grosso problema, il problema è trovare un altro
posto dove ti possa sentire davveroa
casa
Posted at: 00:15 13/02/2004
”
-Spiegami un po’, Pete: hai detto che sei tornato per finire il liceo a Smallville?-, quella mattina Clark era abbastanza di
buonumore.
Si era svegliato prima
che la sveglia squillasse ed era rimasto al caldo, sotto le coperte, osservando
sul soffitto della sua camera le piccole stelle fosforescenti che andavano
sparendo via via che la luce iniziava a filtrare
dalle tende.
Il dolore per la
perdita di Alicia non si era placato, ma quello che i suoi gli avevano detto
era vero: il tempo stava iniziando a rimarginare le sue ferite, lentamente,
senza che potesse realmente rendersene conto.
Si sentiva meglio, in
fondo, anche se una qualche sensazione di disagio, come una flebile paura
latente o forse un pensiero troppo brutto, non riusciva ad abbandonarlo del
tutto: quello che sarebbe rimasto come un tarlo a rodere la sua vita era l’aver
preso coscienza del fatto che, mentre lui era invulnerabile praticamente a
tutto, le persone che amava, prima o poi, erano destinate a lasciarlo solo.
Una volta Jordan, il
ragazzo che poteva vedere di che morte le persone sarebbero perite, aveva
predetto per lui una vita immortale.
Ma Clark non poteva
sopportare di poter rimanere da solo, aveva cercato volutamente di rimuovere
quel pensiero, ma i vari incidenti da cui Lana, Chloe
o sua madre si erano salvate, grazie al suo aiuto, e l’infarto del padre gli
avevano riportato alla mente quella predizione dolorosa.
E lui non riusciva a
farsene una ragione: la morte di Alicia lo aveva toccato così tanto anche per
quello, perché sapeva che se ci fosse stato lui, al suo posto, ora sarebbero stati
ancora insieme, come se nulla gli fosse accaduto.
Aveva provato un
brivido realizzando quel concetto: “ancora insieme”.
Non aveva avuto il
tempo neanche per prefigurarsi una vita accanto a lei. Il loro rapporto era
stato fatto solo di attimi e di momenti vissuti di getto, istintivamente. Non
si era mai fermato ad immaginare Alicia come la sua ragazza, non aveva mai
pensato a quanto desiderasse starle vicino, carezzarle i capelli, perdersi nei
suoi occhi.
In fondo non aveva mai
neanche riflettuto se avesse davvero voluto stare con lei.
Era successo e basta,
senza troppi sogni, troppe aspettative, troppe delusioni o occasioni perse.
Era successo e, drogato
o no, -doveva essere sincero-, era stato stupefacente.
Sì, se Alicia non fosse
morta, ora lui avrebbe dovuto rispondere alla domanda più importante: sarebbe
rimasto con lei, o avrebbe continuato a sognare una vita accanto a Lana?
Era come aprire il vaso
di Pandora e non riuscire a districarsi tra i mille dubbi che ne sarebbero
scaturiti.
Ma la realtà, purtroppo,
era diversa, e tutti i suoi poteri non erano stati in grado di salvarla. Tutti
i suoi maledettissimi poteri che lo avevano sempre fatto sentire diverso, utile
nel risolvere i problemi, ma tristemente diverso e lontano. Solo Alicia lo
aveva capito alla perfezione.
Si era alzato piano e
aveva aperto il cassetto della sua scrivania, estraendo una busta di carta
gialla, che conservava sigillata ormai da giorni.
“Per Clark”, c’era
scritto a stampatello con una grafia squisitamente femminile: gliela aveva
consegnata due giorni dopo il funerale di Alicia la signora Baker, sua madre,
dicendo che l’aveva trovata tra le cose della figlia, e che aveva voluto darla
a lui senza aprirla.
Clark aveva preso un
grosso respiro, rigirando tra le mani la carta ruvida che sapeva aveva toccato
anche Alicia, si era fermato un istante a pensare e poi l’aveva aperta, seduto
sul suo letto.
Dentro c’erano una
lettera, chiusa in un’altra busta più piccola, di carta rosa, sempre
indirizzata a lui, un floppy disk e alcuni fogli stampati e piegati a metà.
Il foglio sottile e
liscio della lettera, se faceva attenzione, conservava ancora il suo odore: una
nota sottilmente fiorita mista all’odore della carta e dell’inchiostro del pennarellino nero, con cui aveva scritto.
“Mio caro Clark,
è quasi un anno, ormai, che sono chiusa in questa clinica nella quale
mi sento, ora più che mai, davvero in trappola. Non credo che potrò uscire da
qui molto presto, anzi, è probabile che io rimanga qua finché tutti gli studi
su di me, sul mio corpo e la mia psiche, non saranno completati; ma i risultati
che questi “cervelloni” credevano di ottenere in breve tempo, purtroppo, sono
ancora lontani.
E’ quasi un anno, quindi, che non ti vedo, nonostante ogni giorno che
passi io non possa fare a meno di pensare a te. So di aver sbagliato a
comportarmi come mi sono comportata, e so di aver perso forse l’unica cosa
bella che questa mia vita disastrata mi aveva concesso: tu, la tua solare
presenza, la tua amicizia.
Avrei dovuto capire che dovevo accontentarmi di quella, e invece ho
preteso che tu fossi per me amico, salvatore e amante, perché, te lo giuro, non
ho mai trovato una persona che fosse anche solo lontanamente come te.
Ora qua in clinica mi hanno privato della mia capacità di teletrasportarmi… credo che sia stato in buona parte perché
temevano che potessi tornare da te, ad importunarti, a fare altre pazzie: non
possono sapere, loro, che la vergogna che provo nei tuoi confronti, verso Lana… verso tutti è così forte che non credo che potrei
tornare da te, con la mia faccia, e guardarti ancora negli occhi, sapendo il
dolore che ti ho causato.
Io pensavo che fosse stato il destino a farci incontrare, noi, due
persone così simili, con i nostri poteri così diversi, ma con lo stesso peso
sul cuore, la stessa paura di non essere accettati per quello che siamo dalle
persone che ci circondano, che amiamo.
Avevi ragione, Clark: è davvero difficile accettare che gli altri ti
guardino come un mostro, che non possano fidarsi di te, perché ai loro occhi
sei diverso. Che questa diversità sia usata per fare del bene, come fai tu
nell’ombra, o per uccidere, come ho tentato di fare io con la ragazza che ami,
è indifferente agli occhi degli altri: siamo diversi e tali rimarremo.
In questo mesi ho cercato su riviste e da internet (quello almeno me lo
lasciano usare, anche se mi hanno bloccato le mail e ogni modo di comunicare
con l’esterno) testimonianze di altre persone “diverse”, come noi: ce ne sono
tante, Clark, alcune che soffrono, altre che hanno saputo fare della loro diversità
una forza.
Credo che dovremmo prendere esempio da loro e cercare di accettarci noi
per primi per quello che siamo, perché non abbiamo scelto di essere diversi, e
non è giusto che gli altri ci discrimino per questo.
Ci sono tante persone che soffrono nel loro intimo e non si accettano,
altre che, come facevo io, si isolano dal resto del mondo. Altre ancora che
sfruttano i loro poteri per fare soldi, e questi sono i più deprecabili. Poi ci
sono quelli che hanno capito che per essere accettati dovevano mostrarsi al
mondo e far capire che sono loro, per primi, le vittime, ma che vogliono
mettere le loro capacità al servizio degli altri, oppure vogliono che tutti le
conoscano per essere aiutati.
Io ora vorrei essere aiutata: quello che mi fanno i medici, qua, è solo
terrorismo psicologico e fisico. Non ne posso più di rimanere qua dentro, loro
non si fidano di me: io sono davvero guarita, ormai, e non potrei più rifare
quelle cose orrende che ho fatto a te, o a mio padre, o a Lana, perché ho
capito che a far soffrire chi si ama, si soffre ancora di più noi stessi…
Chissà se questa mia lettera ti arriverà mai, Clark…
se riuscirai a leggerla, ti prego, leggi le testimonianze che ti ho preparato e
guarda con i tuoi occhi quanto può essere diversa la nostra vita solo prendendo
la scelta giusta.
Probabilmente invecchierò, qua dentro, e non rivedrò mai più i tuoi
occhi limpidi... ma ti prego, promettimi che rimarrai sempre così, leale e
onesto come sei ora e che non lascerai che i tuoi poteri ottenebrino quello che
di lucente c’è dentro al tuo cuore.
Ti voglio bene.
Alicia”
Clark aveva stretto la
lettera in una mano, trattenendo in silenzio le lacrime che prepotenti volevano
uscire dai suoi occhi, insieme al rimpianto per averla persa senza dirle quello
che provava davvero per lei: se solo avesse saputo come aveva passato quei mesi
lontana da casa, se solo avesse chiesto di lei, avesse provato ad impedire che
il suo nome fosse sporcato irrimediabilmente da quel terribile errore che aveva
commesso. Se solo avesse capito subito quanto disperato fosse il grido d’aiuto
di Alicia Baker, la ragazza che tutti evitavano, la snob che preferiva starsene
da sola, la dolcissima Alicia che aveva lasciato alla porta della sua casa, la
sera che erano andati al cinema insieme e che voleva solo essere compresa e
aiutata.
Aveva messo via la
lettera con cura asciugandosi col dorso della mano una lacrima che era
scivolata lungo la sua guancia e aveva dato un’occhiata alle stampe che erano
nella busta.
C’erano foto e articoli
di giornale su “freaks” non di Smallville,
vite devastate dall’azione dei media e degli “specialisti”, testimonianze di
anonimi “diversi”.
Clark era rimasto
colpito da un pezzo, forse tratto da un blog, scritto in prima persona,
amaramente decadente e disilluso, la summa del suo stato d’animo in quel
periodo in solo cinque parole: “Sono io
la mia paura”.
Era proprio così: la
paura di non sapere quali fossero i suoi limiti, questo era quello che
terrorizzava Clark.
Ma Pete
era tornato e questo piccolo gesto l’aveva tranquillizzato un po’,
distogliendolo da questi tristi pensieri. Con lui poteva essere se stesso e non
preoccuparsi di mostrare la sua forza, né le sue debolezze o le sue paure.
Aveva ripiegato con
cura i fogli e messo il floppy nella borsa della scuola, per consultare il suo
contenuto dai pc del Torch.
Si era preparato in
fretta facendo una doccia veloce, poi lo aveva raggiunto fuori di casa.
-Certo che sono tornato
per finire il Liceo! E per cos’altro? Per farmi un giretto sulla tua
astronave?-
Da quando Pete conosceva il suo segreto, non aveva avuto problemi a
parlargli schietto, e questo faceva bene ad entrambi, nutrendo la loro
complicità di vecchi amici.
-Sono sicuro che è più
veloce di questa vecchia carretta!-, rispose Clark, salendo sulla vecchissima Ford
blu cobalto che Pete aveva ripreso a Smallville. Dopo il fallimento della “Ross CreamedCorn Factory”, e il
divorzio, suo padre non poteva più permettersi la vita lussuosa e alla moda
nella quale Pete era cresciuto.
-Sarà lenta, ma almeno
è più comoda del bus della scuola, e poi possiamo parlare un po’ in santa pace,
no?-
Clark apprezzò le
parole di Pete e dopo qualche minuto si decise a
porgli la domanda che gli frullava in testa dalla sera prima.
-Come mai hai deciso di
tornare, Pete? Non lo fai per me, spero, perché io
sono capace di…-
-Lo faccio per me,
Clark. Sono praticamente scappato da Smallville
perché avevo paura di non essere in grado di proteggere il tuo segreto e avevo
una fifa matta di quello che avrebbero potuto farmi per conoscerlo. Poi, in
questi mesi accanto a mia madre, ho finalmente capito quale sia il vero
coraggio-, sorrise pensando alla madre e riprese.
-Sai… il mese scorso
qualcuno ha iniziato a farle telefonate anonime e a minacciarla se non avesse
favorito l’imputato ad un processo. Parlo di roba grossa, Clark -, Clark annuì,
aggrottando le sopracciglia preoccupato da ciò che Pete
stava raccontandogli.
-Le avevano assegnato
una pattuglia di scorta che l’avrebbe seguita e protetta ventiquattro ore su
ventiquattro, ma la mamma ha preferito rinunciare perché sapeva che io avrei
vissuto come un animale in gabbia. Capisci Clark? Ha deciso di rischiare la sua
vita per non interferire nella mia e allo stesso tempo è stata imparziale e
inflessibile al processo, senza cedere ai ricattatori. Lei è una donna normale,
Clark, non ha i tuoi poteri, eppure è stata coraggiosa… -, gli occhi di Pete luccicavano d’orgoglio e affetto.
-Se me ne vado, ho
pensato, magari lei accetterà la
scorta. Per questo sono tornato a Smallville.
Non potevo mettere in pericolo la vita di mia madre. Lei è stata così grande…-
-E tu sei stato grande
con il mio segreto. Sai Pete, ti trovo davvero
cresciuto. La tua permanenza a Wichita ti ha fatto
maturare-, disse Clark sorridendogli.
Pete
fermò l’auto nel parcheggio della scuola e i due si avviarono verso l’ingresso.
Un gruppo di studentesse dei primo anni li sorpassò in un turbine di capelli al
vento e profumi.
-Ragazze di Smallville, tremate! Pete il
Conquistatore è tornato!!!-, esclamò Pete, entrando
glorioso dopo mesi nel suo Liceo.
“Come non detto!”,
pensò Clark sorridendo e ripensando ai vecchi tempi.
Il preside aspettava Pete per un breve colloquio e per sbrigare alcune formalità
per la sua riammissione (accelerata dalla richiesta del Giudice Sarah Ross) e
così Clark, rimasto solo, si diresse al suo armadietto per riporre giacca e
zaino.
In fondo al corridoio
c’era Lana: non si erano più sentiti da prima dell’aggressione a Jason, nel
vicolo dietro al Talon. Entrambi si erano schierati
contro Alicia, ritenendo Clark uno stupido a credere che lei fosse davvero
cambiata e ancor più stupido ad essere fuggito con lei a Las Vegas, per le loro
nozze lampo, dopo aver tentato di ammazzarla solo un anno prima e averci
riprovato cercando di soffocarla nella vasca.
Lana lo scorse da
lontano, rimase per un po’ indecisa, poi si voltò e entrò in classe.
Clark sospirò
abbassando il capo e prese i libri.
-Ehi, campione! Hai
visto chi è tornato tra noi?-, Chloe sapeva apparire
sempre quando Clark meno se lo aspettava e puntualmente nei momenti in cui
avrebbe voluto stare da solo.
Le sorrise
tristementeannuendo e chiuse a chiave
l’armadietto.
-Clark,
mi trovi al Torch… per ogni cosa, sono lì. Se ti va
di parlare un po’… insomma, sappi che io ci sono-, gli sorrise e sparì, così
come era arrivata, stracarica di libri, borse e riviste, con un bicchiere di
caffè bollente in mano.
Nelle ultime settimane
Clark si era rassegnato al nuovo amore di Lana per Jason, aveva ritrovato in
Alicia un’amica, era stato drogato, era scappato con lei a Las Vegas, si era
sposato, aveva piantato “sua moglie” dopo meno di un’ora, l’aveva vista
sacrificarsi per mantenere il suo segreto e solo allora aveva capito quanto lo
amava, aveva letto nei suoi occhi la sofferenza per l’emarginazione e sapeva di
non esserle stato vicino. L’aveva trovata morta appesa ad una corda e l’aveva
pianta con tutte le lacrime che aveva. Aveva provato un odio incontenibile per
il suo assassino e solo grazie ad un’amica si era trattenuto dall’ucciderlo.
Si era fatto schifo.
Aveva rifiutato
l’affetto dei suoi genitori, degli amici e si era punito per non avere saputo
salvare Alicia.
Era passato quasi un
mese dal ritorno di Pete e Clark si sentiva molto,
molto meglio.
Era tornato due volte
sulla tomba di Alicia, sempre con una rosa rossa per lei.
Le aveva confidato
tutto quello che teneva dentro: le aveva parlato dell’amore che forse sarebbe
davvero potuto crescere potente nel suo cuore, ma che era stato bloccato dagli
eventi, dell’affetto che aveva provato per lei, del calore che il suo abbraccio
sapeva infondergli, dell’allegria che scorgeva nei suoi occhi tristi.
Le aveva confidato
della passione che aveva acceso in lui anche senza la kryptonite
rossa.
Sapeva che Alicia lo
avrebbe sentito.
Di ritorno dal cimitero
si era sentito meglio e ormai poteva ammettere che le cose erano tornate alla
normalità e che non era più il dolore a sopraffarlo, ma la voglia di vivere che
sempre lo aveva contraddistinto.
I files
che Alicia gli aveva lasciato erano serviti a comprendere quanto forte potesse
essere nelle persone come loro la paura di mostrarsi agli altri, ma come fosse
ancora più potente il rischio di rimanere soli, chiusi nei propri segreti,
vivendo guardinghi e timorosi di essere scoperti e di non riuscire a
controllarli, portando a conseguenze tragiche.
Aveva effettuato
diverse ricerche sul web fino a trovare alcune delle fonti da cui erano tratti
i pezzi raccolti sul floppy di Alicia: tra tutti, quello che più lo aveva
toccato, era un blog, scritto da una persona che voleva restare anonima,
chiaramente una ragazza, che riusciva a descrivere con un realismo a tratti
crudele, a tratti con metafore e sensazioni più intime, tutta la tempesta che
le si agitava dentro per il suo essere diversa.
C’erano post, sul suo
blog, che rispecchiavano in pieno la sensazione di equilibrio precario in cui
Clark sentiva limitata la sua vita, confuso tra quello che avrebbe dovuto fare
seguendo la sua coscienza, i consigli dei suoi genitori, le imposizioni del suo
padre biologico. La verità su se stesso lo metteva in una condizione
privilegiata, rispetto a quella ragazza senza volto che non sapeva dove andare,
ma lo vincolava a dover percorrere, prima o poi, una strada che non aveva
scelto lui.
I loro pensieri, a
volte, parevano confondersi.
Son of the Illusion Blog
Sabato 04/06/2002
2 commenti
“Non ho scelto io di essere così,
di aver paura di uscire dalla mia stanza per
non fare del male agli altri.
Non ho voluto che il mio corpo agisse senza
il mio controllo,
mostrando lati di me che mi terrorizzano.
Ho deciso che cercherò di dimenticare quello
che è successo,
che tenterò di fermare questa forza
sconosciuta che mi rende diversa.
Non voglio che i miei amici mi guardino con
sguardi di terrore,
che la mia mamma abbia paura ad
abbracciarmi.
Vorrei essere normale.
Cercherò di nascondermi, di dimenticare e
fingere.
Per sempre.
-----------
2 COMMENTS:
TeddyBearsays:
… e cosa sei?? Un Balrog
sputa fiamme?? LOL :-D
Posted at 1:28AM 04/07/2002
The Daffodilsays:
Gli altri non ci capirebbero, hai ragione.
Penserebbero che siamo solo dei mostri, quando invece sono solo gelosi di
qualcosa che loro non potranno mai essere. Non aver paura di quello che sei.
Non considerare gli altri superiori a te. Non farlo mai…
Posted at 2:26PM 02/01/2003
”
Leggeva le sue pagine
cariche di malinconia di nascosto, dal computer in camera sua, la notte, o dai
computer del Torch, quando Chloe
non c’era. Era come condividere i propri segreti con qualcuno che lo poteva
capire totalmente, senza giudicarlo; era rassicurante e deprimente, allo stesso
tempo, come parlare con uno psicologo affetto dagli stessi problemi. Era come
parlare ad Alicia.
Per il resto, la sua
vita iniziava a scorrere come era sempre stata, circondato come mai prima di
allora dall’affetto dei suoi genitori e dall’amicizia complice di Pete.
Aveva avuto anche modo
di riallacciare i rapporti con Lana, ed era stato felice nel capire che i suoi
silenzi erano dovuti alla vergogna che lei provava per non aver saputo capire
la nuova ragazza di Clark, forse colpita da una punta di invidia e non al
rancore verso di lui.
Si era scusata con lui
per le ultime parole che aveva detto a proposito di Alicia e aveva cercato di
essergli vicina nel dolore per il lutto.
-Io credo di essere
stata gelosa di lei, da sempre… perché…-, aveva abbassato lo sguardo arrossendo
e sorridendo, scuotendo la testa, senza terminare.
-Va tutto bene-, le
aveva semplicemente detto lui, e il suo sorriso era stato il premio più gradito
dopo la loro incomprensione.
Lana stava con Jason,
Clark lo aveva ormai accettato, e il loro rapporto, ormai, faceva parte della
quotidianità.
Anche Jason stesso
aveva porto le sue condoglianze a Clark e aveva acceso un immaginario kalumet della pace, tra loro due. Clark era il passato di
Lana, Jason in suo presente, e questo era stato messo in chiaro tacitamente.
In definitiva, tutto
era lentamente tornato alla normalità.
Tutto tranne Chloe.
Il suo atteggiamento
era vagamente cambiato, le frasi che prima spesso avevano un sapore sarcastico
ora sembravano ponderate, i suoi sguardi allegri o perplessi ora parevano
complici. Si guardava spesso intorno, quando stava con Clark, e aveva iniziato
- cosa più rilevante di tutte -a
staccare i ritagli di giornale dalla sua parete delle stramberie.
-Forse sono più stramba
io a collezionare tutta questa spazzatura, che non loro-, seppe dire in sua
unica giustificazione quando Clark la sorprese a chiudere il tutto in una
scatola.
-Penso che tappezzerò
la parete con foto di Keanu Reeves, o metterò delle mensole per i miei libri…
sì, forse è più utile-, rispose a Pete quando allagò
di cappuccino il pavimento del Torch trasalendo per
il muro spoglio.
-Chloe
è così, Clark… o la odi o la ami. Non puoi pretendere
di stare dietro a tutto quello che le passa per la testa, perché diventeresti
pazzo prima di riuscire a comprendere qualcosa!-, con queste parole Pete e Clark archiviarono il nuovo comportamento di Chloe: gli esami di fine trimestre erano alle porte e
dovevano concentrarsi solo sullo studio.
Clark, Pete e Chloe trascorsero una
serie, che a loro parve infinita, di serate rintanati nel fienile dei Kent armati di libri, fogli, penne, coperte e tazze di
caffè bollenti gentilmente servite da Martha Kent.
Avevano organizzato i loro studi in modo che ciascuno preparasse una parte nel
pomeriggio e la sera la ripetesse agli altri. Così facendo avrebbero potuto
accelerare la preparazione di alcune materie tra le più ostiche. Clark
preparava Matematica, Fisica e Storia, Chloe Inglese,
Diritto e Chimica, Pete il più delle volte si
dimenticava di preparare la sua parte e così le serate scivolavano nella notte
e la stanchezza colpiva i ragazzi nonostante la caffeina assunta in gran
quantità.
-Forse dovresti parlare
a Chloe, Clark. Lei ti è sempre stata vicina e ti
vuole bene. Sono sicuro che saprebbe capire e non si sentirebbe più isolata dai
tuoi segreti-, le parole di Pete, sussurrate rientrando
nel fienile dopo essere stati in casa a fare rifornimento di caffè e torta
fatta in casa, mentre Chloe si era addormentata con
la penna in mano, colpirono molto Clark.
Aveva sempre pensato
che mai più nessuno al mondo oltre i suoi e Pete avrebbe
saputo quale fosse la sua vera identità, tantomeno qualcuno così vicino a Lana.
Ma in fondo Pete non aveva tutti i torti e, sebbene
non avrebbe mai parlato apertamente a Chloe, si
sentiva in colpa nell’escluderla da una parte così importante della sua vita.
Specie ora che Lana ne stava lentamente uscendo e, con lei, una buona parte dei
suoi complessi.
-Non adesso, Pete, per favore… non voglio ancora che Chloe
lo sappia-
Dall’alto la testa
bionda e arruffata di Chloe fece capolino da sotto la
coperta in cui gli amici l’avevano avvolta – il trucco leggero ormai sparito
dal suo volto, gli occhi semichiusi per il sonno, la penna sempre lì, stretta
nella sua mano.
Si era appena
svegliata, ma nonostante la stanchezza, era come suo solito pronta a captare
qualsiasi frase strana.
-Cosa non devo sapere,
Clark?-, si alzò in piedi lasciando scivolare la coperta per terra e si passò
una mano sulla faccia e tra i capelli.
Clark e Pete la guardarono in silenzio non sapendo cosa dire.
-D’accordo, lo so:
“Niente, Chloe, cosa stai dicendo! Dai, prendi un
altro po’ di caffè”-, li guardò rassegnata e complice allo stesso tempo,
-Forza, venite su e datemi questo caffè, che non ne posso più!-
Non era normale una
risposta del genere da Chloe, senza che insistesse
per sapere quello che stavano dicendo tra loro, ma i due ragazzi lo
considerarono come un regalo da parte sua e si rimisero a bere caffè e
studiare, mentre le stelle si rincorrevano nel cielo.
I risultati del
trimestre lasciarono, come di solito accadeva, Chloe
e Lana soddisfatte, mentre a Clark e Pete era andata
un po’ peggio, specie al secondo che, nonostante l’innegabile impegno, aveva
collezionato ben quattro insufficienze su sette, contro le tre di Clark.
La convocazione del
Preside non si fece attendere molto e già il giorno dopo la consegna dei pagellini, Pete e Clark furono
richiamati all’ordine: era l’ultimo anno e se non si fossero impegnati al
massimo non avrebbero ottenuto i crediti necessari per poter sperare di
accedere al college.
-Vi dò
la possibilità di guadagnare 5 crediti ciascuno facendo da tutor per questi
nuovi ragazzi che sono arrivati a Smallville per
l’ultimo trimestre. Dovrete aiutarli ad ambientarsi nella scuola e cercare di
far sì che si mettano in pari con i nostri programmi. Tra venti giorni avranno
anche loro, con voi, la prima serie di test e voglio che sappiano esattamente
cosa devono studiare e che siano preparati. Al termine di questi test saranno
loro stessi a darvi una valutazione che vi permetterà di guadagnare i crediti
che avete perso stando tutto il tempo a bighellonare invece di studiare! I loro
nomi sono Robert Greedy, di Metropolis
e LilyanneLeibniz, di Gotham City. Greedy frequenta il
quarto anno ed era il quarterback della squadra di Football della sua scuola.
Visto che sei rientrato nella squadra, Ross, ho pensato di assegnarlo a te:
dovrai fare in modo che si senta subito ben integrato.
-Come vuole, Signor Reynolds… anche se preferirei la ragazza…-
-La ragazza sarà
compito di Kent: era la direttrice del giornale
scolastico e, dagli articoli che ho letto, devo dire che è una che sa il fatto
suo. La Leibniz
è del terzo anno, Kent, e visto che tra poco tu e ChloeSullivan prenderete il
diploma, ho pensato che fosse interessante procedere con l’ingresso di una
nuova giornalista che potrà poi proseguire nel vostro lavoro-
Clark lo guardò
perplesso: se l’argomento di discussione era il Torch,
Chloe poteva diventare più territoriale di una
leonessa…
-Kent,
voglio che tu legga queste cose della Leibniz, così
puoi farti un’idea di come lavora. Ci sono articoli, considerazioni, un po’ di
tutto. Ah… poi vorrei un tuo parere sull’affidarle o meno una rubrica tutta
sua. Sul Gothigh News ne aveva una, dovrebbe esserci
qualcosa tra quei fogli che ti ho dato-
Sempre più scettico e
preoccupato, Clark rigirò tra le mani il fascicolo, non sapendo cosa rispondere
alle parole del preside.
-Spero che almeno con
lei tu possa essere un po’ più loquace, Kent… Ad ogni
modo, voglio che conosciate i vostri nuovi compagni domattina qua nel mio
studio: Ross, tu verrai alle dieci per accompagnare Greedy
in un giro delle strutture della scuola e tu, Kent,
passa alle dieci e mezzo. Ah, Kent… non dire nulla a ChloeSullivan, ci penso io ad
informarla delle novità, anche perché voglio che il Torch
cambi radicalmente impostazione, visti gli ultimi fatti legati alla fobia da
“mostri da meteorite”-
I due ragazzi,
confermarono la loro presenza e uscirono, salutando, dall’ufficio del preside.
-Chloe
sarà furibonda!-, disse Clark non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle.
-Puoi scommetterci! E
intanto il nostro marpione si è guadagnato un appuntamento con una nuova
pollastrella! Tutte a te le fortune, Clark!-
Clark guardò Pete alzando un sopracciglio e piegando la testa su una
spalla: non aveva alcuna intenzione di trasformare quella punizione in
un’occasione di abbordaggio.
-Guarda un po’ se c’è
una sua foto, su quegli articoli?-, disse Pete
sfilandogli di mano il fascicolo di foglio che gli aveva dato Reynolds.
-Guarda qui: articolo
del 24 marzo 2002 del giornalino scolastico del… Beacon High News… New York? Che
c’entra New York? Comunque, c’è una piccola foto…wow, sembra carina!-
-Pete,
non fare lo stupido, dai!-, disse Clark, prendendo il foglio dalle mani di Pete, -Non importa com’è fatta, quello che importa è che presto
diventerà la peggiore nemica di Chloe!-
-Aspetta, aspetta… foto
dal Gothigh News dello scorso anno… Ehm… Clark,
lascia perdere, è meglio… Sembra la versione arruffata di Andrea Zuckerman[1], altro che la micetta[2] che mi aspettavo da Gotham!-, arricciò il naso e restituì a Clark tutti i
fogli, in ordine sparso, sommergendolo.
Suonò la campana della
fine delle lezioni pomeridiane e Pete scappò via,
salutando Clark e facendogli gli auguri per il suo increscioso compito del
giorno seguente.
Prima di andare a casa,
Clark passò da Chloe.
La trovò intenta ad
impaginare l’ultima edizione del Torch. Chloe non si mostrò sorpresa dalla punizione affidata ai
suoi amici e lo caricò di lavoro arretrato. Clark non se la sentì di dire nulla
a Chloe della nuova giornalista incaricata da
Reynolds e la salutò sistemando le bozze degli articoli con il fascicolo sulla
nuova ragazza, nello zaino.
Alle dieci del giorno
dopo Pete bussò alla porta del preside per prendere
in consegna Robert Greedy. Era un ragazzo della Metropolis “bene”, alto, biondo e, da una prima analisi,
poco propenso ad avere un mentore che lo guidasse per i successivi venti
giorni.
Quando lasciarono lo
studio di Reynolds, Robert fu piuttosto chiaro: non gli sarebbe costato nulla
dare a Pete un giudizio positivo, ma voleva essere
libero fin da subito, cosa che fu molto gradita dal suo mentore svogliato.
-Questo ragazzo è proprio il massimo!-, disse Pete
presentando a Clark Robert Greedy, davanti alla porta
del preside.
-Il vecchio ti sta
aspettando…-, disse il nuovo studente, storcendo la bocca in un sorriso
sarcastico, poi proseguì lungo il corridoio e scomparve alla vista di Clark.
-Ah… Clark… temo che il ciclone sia già passato…-, disse Pete, scuotendo la testa e seguendo il nuovo compagno giù
per le scale.
Clark scosse il capo e
bussò sulla pesante porta di quercia. Il preside era seduto alla scrivania e
rileggeva attentamente alcune circolari, prima di firmarle. Non alzò la testa
quando Clark entrò e continuò a sottolineare alcune righe con la penna stilografica.
-Kent,
LilyanneLeibniz ti aspetta
alla redazione del Torch. Immagino che ChloeSullivan si stia
preoccupando di lei, in questo momento. Raggiungila e falle fare un giro della
scuola. Portala ai laboratori di scienza, mi raccomando-, Clark annuì e si
voltò verso la porta.
Fu fermato dalla voce
di Reynolds: - Hai letto quegli articoli che ti ho lasciato ieri, Kent?-, chiese sollevando le testa e sfilandosi gli
occhiali.
-Li ho letti-, rispose
Clark.
-E cosa ne pensi?-
-Sono… notevoli-, disse
abbassando gli occhi velocemente, prima di incontrare lo sguardo del preside.
-Bene, Kent. Fai il tuo lavoro, adesso-, lo congedò riprendendo a
correggere le sue bozze.
“Notevoli…”, rifletté
Clark percorrendo i metri che lo separavano dalla furia di Chloe.
Si fermò alle
macchinette a prendere una cioccolata calda: qualcosa di corroborante era
indispensabile perfino a lui in quell’occasione.
La porta del Torch era socchiusa, da dentro la voce di Chloe risuonava velatamente stridula mentre illustrava gli
schedari cartacei vicino alla porta.
Clark si avvicinò
bussando. Chloe tacque aprendo la porta.
LilyanneLeibniz era in piedi accanto alla scrivania. Era una
ragazza poco più alta di Chloe, la si sarebbe potuta
definire, senza troppi giri di parole “bruttina”: portava i capelli scuri
raccolti in una specie di palla sulla nuca, una fascia di stoffa giallina a
tenere ferma la lunga frangia schiacciata sulla fronte e spessi occhiali
quadrati dalle lenti fumé. Indossava un lungo maglione sformato rosso che la
copriva fin quasi alle ginocchia e portava dei vecchi jeans scoloriti dentro un
paio di anfibi slacciati.
Non era ancora entrato
del tutto nella stanza, quando a Clark scivolò di mano il bicchiere della
cioccolata, rovesciandosi sul pavimento e schizzando le scarpe di Chloe.
-Sei entrato, Clark… Grazie-, sibilò Chloe
chinandosi per pulire con una salvietta la pelle delle scarpe.
Clark non la sentì e,
sorridendo, rimase fermo pesticciando il liquido che si spandeva verso la
scrivania. Chloe lo spinse dentro facendolo spostare
per pulire, mentre la ragazza lo guardava divertita da dietro le spesse lenti.
Clark si scosse subito e si avvicinò a lei.
-Salve, sono LilyanneLeibniz-, disse con voce
non troppo ferma.
-Pia… piacere, io sono
Clark Kent-, disse lui, porgendole la mano per
salutarla.
Un tremito che ferma il battito e annebbia la vista, per un istante,
lasciando l’alito di un guizzo più violento di vita. Adrenalina e sangue. Il
respiro sospeso, un brivido lungo la pelle, giù, giù verso il ventre e poi di
nuovo agli occhi che restano incantati in un attimo senza tempo. Il contatto
della pelle, materia ardente e fragile, come lo spirito che sfugge al corpo e
fluttua per un istante.
Un ronzio sospetto e il
Torch rimase al buio dopo che il trasformatore del pc accanto a loro emise un botto secco e iniziò a fumare.
Clark lasciò la mano
della nuova arrivata nello stesso istante in cui Chloe
lanciò una frenata imprecazione per il lavoro non salvato.
Come era saltata, la
corrente ritornò nella stanza.
Poi il respiro si fa normale, e gli occhi tornano a vedere il mondo
come erano abituati a fare, e le perle di sudore sulla schiena si asciugano,
lasciando solo il sapore salato. E il ricordo dell’attimo svanisce.
-Accidenti! Non si accende!-,
Chloe in un attimo era entrata in paranoia per il
danno causato dallo sbalzo di tensione.
Clark stava fissando
con occhi stupefatti la nuova ragazza che a sua volta lo guardava a bocca
aperta.
-Clark,
lei è… te ne avrà parlato Reynolds, immagino…-, la voce di Chloe
era tagliente, riemergendo da sotto la scrivania con dei cavi in mano.
LilyanneLeibniz abbassò lo sguardo, imbarazzata.
-Forse questo non è un
buon momento… Possiamo vederci domani alle dieci all’ingresso, Kent? … Scusatemi-, disse sparendo oltre la porta nell’attimo
di caos che si era creato.
Clark la seguì per
risponderle, ma il corridoio era deserto. Rientrò pensieroso con lo sguardo
fisso su un punto avanti a sé e la bocca socchiusa.
-Clark!
Ti svegli? Vieni a darmi una mano, accidenti!-, Chloe
lo stava richiamando all’ordine e Clark, scuotendo la testa per riprendersi, si
voltò verso di lei.
-Se fosse entrata
Angelina Jolie sono convinta che ora avresti una faccia più intelligente,
Clark! E’ solo saltata la luce, non è iniziata l’attacco alieno! Svegliati!-
Si voltò verso di lei e
prese uno straccio per finire di pulire per terra.
Si sentiva confuso come
se fosse stato un chicco di mais entrato per sbaglio nella macchina per fare i
pop-corn. Sbatté gli occhi più volte, per riordinare le idee.
-Perché non mi hai
detto niente di lei? Il preside mi ha detto che lo sapevi!-, Chloe non era arrabbiata, ma la sua voce tradiva il
dispiacere per la rassegnazione forzata cui doveva sottostare.
-L’ho saputo solo ieri
pomeriggio, Chloe… Reynolds mi ha detto di non dirti
nulla-
-E da quando ascolti
quello che la gente ti dice, Clark?-, scosse la testa stringendo le mandibole e
guardando affilata verso di lui.
-Troveremo il modo di
convivere, Chloe…-
-Certo, come no?
Reynolds ha trovato uno splendido
modo: le ha appena riservato le rubriche di scienze e quella sociale. Le “mie”
rubriche! E ha detto che vuole che l’articolo di fondo del lunedì sia il suo. E
in più ha cancellato la mia rubrica delle stramberie, ma tanto quella avevo già
deciso di chiuderla… Lo sai cosa mi è rimasto, Clark? La sezione delle
verifiche e i servizi sulla preparazione del Prom
Ball!-
Clark non rispose. Non
sapeva cosa rispondere: Reynolds non aveva tutti i torti a cercare di garantire
al giornale una continuità anche dopo il loro diploma. E il suo giudizio sulle capacità
della nuova ragazza era assolutamente condivisibile.
Ma soprattutto, volendo
essere davvero sincero, in quel momento si sentiva totalmente estraneo ai
problemi del Torch.
Aiutò Chloe a smontare l’unità andata in corto circuito e, appena
poté, si liberò da lei e corse verso casa alla supervelocità, senza essere
visto da nessuno.
Quando arrivò, il suo
cuore batteva all’impazzata, cosa che non era mai accaduta prima per una
semplice corsetta. Salì in bagno, si spogliò velocemente e si infilò sotto una
doccia fredda, non riuscendo a smettere di sorridere.
Era successo qualcosa
di più di un semplice sovraccarico, al Torch, e lui
era il responsabile dell’accaduto, ma non aveva idea di cosa potesse aver
combinato quella volta.
Era stato come la volta
che aveva mandato in fiamme la sala proiezioni al piano terra: qualunque cosa
gli fosse capitata non era riuscito a controllarla, perché era stata
inaspettata e rapidissima e gli era salita alla testa come una grossa bolla che
era esplosa, lasciando uno strano ronzio nelle orecchie, il respiro affannato e
le mani sudate.
Martha lo chiamò a
lungo per la cena, ma Clark non scese. Rimase chiuso nella sua stanza, disteso
sul letto in mutande, pervaso da quella nuova energia frizzante che sembrava
aver rubato all’impianto elettrico del Torch e che lo
faceva sentire come su una nuvola.
Continuava a sentirsi
come un pop-corn appena cotto, pensò ridacchiando da solo per il paragone
trovato. Era piacevole essere un pop-corn, osservò mentre il torpore lo rapiva
ai suoi pensieri.
Il suo sonno fu
costellato da sogni agitati, ma quando si svegliò non ne ricordava neanche uno.
Si vestì e si dette una
lavata, scese veloce in cucina, stampò un bacio sulla guancia della mamma,
sfilò dalle mani di Jonathan una fetta di pane e marmellata e corse via,
afferrando al volo zaino e giacca, mai così volenteroso di iniziare una nuova
giornataa scuola.
[1]
La “secchiona” poco attrente del primo anno di scuola
nel telefilm “Beverly Hilss90210”
[2]
Da Gotham City Pete non
poteva aspettarsi di veder arrivare altre se non “micette”
stile Cat Woman, la nemica di Batman
“Qualcuno mi ha domandato perché, se ho così
tanto timore di espormi al giudizio degli altri, tenga questo blog, in cui
parlo liberamente dei miei problemi e metto a nudo le mie emozioni e i miei
dolori più nascosti. E’ vero: ho paura di quello che gli altri possono pensare
di me e non voglio che nessuno sappia chi sono. Ma quello che mi porto dentro è
troppo doloroso e grande per sopportarlo da sola. Forse qualcuno, leggendo
quello che scrivo, potrà fermarsi a riflettere su come può essere ingiusta, a
volte, la vita, forse potrebbe capire che, prima di sparare sugli altri, tutti
dovrebbero esaminare quello che hanno dentro.
La mia vita, il mio dolore, le disgrazie che
ho causato e che rimarranno su di me come macchie indelebili non mi
abbandoneranno mai, ma se qualcuno al mondo potrà comprendermi, capire quello
che provo e perdonarmi, forse le mie ferite faranno un po’ meno male.
O forse le sue ferite gli appariranno meno
profonde, perché c’è qualcun altro che le condivide, che soffre per motivi
analoghi o diversi: ma comunque soffre, perché è al mondo e non ne capisce il
motivo.
Io almeno, non so più qual è il motivo per
il quale continuo a vivere.
Non è certo prendere un diploma, o pensare a
quale college potrò frequentare. Non è neanche pensare alla famiglia che avrò,
perché so che per non nuocere agli altri dovrò stare sola.
Quindi, in sostanza, è per questo che parlo
agli altri attraverso questo blog: perché ho paura di farlo apertamente e senza
qualcosa che vi protegga da me.”
-Non riesco a capire
cosa sia potuto accadere ieri pomeriggio: ho parlato con il custode e mi ha
detto che non ha avuto altre segnalazioni di sbalzi di tensione nell’edificio,
a parte il mio, che peraltro nonera
neanche registrato. In pratica è come se fosse saltata la corrente solo al Torch!-, Chloe era determinata a
capire cosa avesse mandato in tilt i computer e le avesse fatto perdere parte
del suo lavoro.
Clark la ascoltava
fingendo di essere interessato alle sue teorie elettrotecniche senza osare
aprire bocca per non essere travolto da altre mille domande. Erano quasi due
ore che Chloe li aveva presi in ostaggio per aiutarla
a rimettere a posto i computer del Torch e subissarli
di teorie e domande sullo strano fenomeno.
Pete,
dal canto suo, era in un mondo tutto suo dopo l’allegra serata passata con la
sua nuova amica Samantha, prima al Talon e dopo alla
pista di pattinaggio.
-Forse ti sei
avvicinato troppo al mio pc ieri, Clark, e lo hai
fatto impazzire con i tuoi “poteri speciali!”-, ironizzò Chloe
con il volto tirato, mentre Clark e Pete furono
assaliti da un fugace attimo di panico.
-Certo, come il potere
di fracassare tazze di caffè!-, cercò di rimediare Pete,
-me l’ha raccontato la tua nuova “amica”, Chloe-
-Era cioccolata…-,
puntualizzò Chloe, -E non è amica mia. Se era qua è
solo perché ce l’ha mandata Reynolds ed è bene che non inizi ad espandersi
troppo. Lo faccia l’anno prossimo, se vuole!-
-La ragazza! Me ne sono
dimenticato! Dovevo incontrarla all’ingresso alle dieci! Chloe,
perché mi hai fatto impelagare in questo lavoro?-, Clark cercò l’ora sul suo
polso, ma non aveva l’orologio.
-Che ore sono?-
-Sono le dieci e mezza,
e io ti ho aspettato per quasi un’ora!-, la voce della nuova ragazza di Gotham City rimbalzò sulle pareti spoglie del Torch ruvida come un gomitolo di lana shetland. Clark si
voltò colpevole, mentre Pete se la rideva in un
angolo. Chloe la squadrò dall’alto in basso, seccata
dalla sua presenza nel suo territorio.
-Scusami Lillian, me n’ero completamente dimenticato… C’è stato quel
guasto, ieri, ricordi… e stamani abbiamo cercato di… Dovevo portarti a fare il
giro della scuola, scusami-
-Mi chiamo Lilyanne. Non Lillian, Kent-, si avvicinò a lui stringendo gli occhi coperti dalle
lenti marroncine: Clark non sapeva che altro dire in
sua discolpa.
Chloe
si intromise, offrendo a tutti una valida, sebbene non disinteressata, via di
uscita.
-Perché non la
accompagni a fare il giro dei laboratori… ora!-,
disse accompagnando le parole con un eloquente gesto della mano.
-Certo: la mia lezione
inizia tra quasi un’ora e penso che possa essere sufficiente per avere un’idea
delle strumentazioni e di come lavorano i professori e poi… Sempre che ti vada
ancora… cioè, che tu sia libera per…-, disse Clark, grattandosi la testa
nervoso per la brutta figura e sorridendo imbarazzato.
-Certo che mi va!-,
tagliò corto Lilyanne, ricambiando il suo sorriso, come
un raggio di luce che filtra da uno squarcio tra le nuvole.
Rimasero a fissarsi
negli occhi per un istante in più del normale, e Chloe
dovette tossire appena per rompere l’empasse.
-Bene Clark, quando hai
finito di fare da Cicerone, ricordati che devi finire questi lavori-, disse
passandogli diversi fascicoli multicolori che lui guardò sconsolato.
-Io che devo fare?-,
chiese Lilyanne prendendo la sua pila di libri, che
aveva poggiato su un tavolino libero, tra le braccia.
-Divertirti in giro per
la scuola e a fare i compiti che ti daranno oggi a lezione-, sorrise sarcastica
Chloe e si voltò.
-Ho preparato un
articolo per Scienza e Società, come mi aveva detto il preside. Ce l’ho qua, se
vuoi dargli un’occhiata…-
-Clark,
pensaci tu, eh!-, disse Chloe senza voltarsi. Clark
strinse le labbra, deluso da quell’atteggiamento di superiorità e sarcasmo che
aveva usato Chloe.
-Ti dico io poi cosa
fare…-, disse piano a Lilyanne, uscendo dalla stanza.
Pete
salutò e se la diede a gambe, mentre Chloe annunciò
che avrebbe chiuso la stanza per andare a lezione.
-Bene, seguimi!-
Clark guidò la nuova
ragazza per i corridoi del Liceo fino ai laboratori e illustrò macchinari,
presentò i tecnici e le raccontò alcuni aneddoti divertenti. Lei lo seguiva
sorridendo interessata ad ogni sua parola, con la borsa di stoffa marrone che
le pendeva su un fianco e stonava con la ampia camicia sul viola che indossava
tenendola fuori dai pantaloni.
Nel laboratorio deserto
di chimica si avvicinò agli strumenti e li maneggiò con estrema naturalezza,
studiandone le caratteristiche e, di volta in volta, spiegando che li aveva
visti usare nella sua vecchia scuola.
Accese un oscilloscopio
nel laboratorio di elettronica, studiando con una sonda compensata una qualche
strana forma d’onda da un circuito abbandonato su un tavolo. Poi spense tutto,
mentre Clark la guardava curioso.
-Vedo che ci sai fare
con queste cose-, le disse mentre spegneva la luce uscendo dal laboratorio, -Andiamo
a visitare quello di biologia-
La tremula luce dei neon appena accesi si
rifletteva sulle lenti degli occhiali di Lilyanne
mentre si avvicinava agli armadi con le ante trasparenti entro cui stavano
alcune cavie sotto formalina. Spostò lo sguardo sull’attrezzatura fino a “Arthy”, lo scheletro di resina che serviva per le lezioni
di anatomia. Lo esaminò con attenzione alzando la testa con le labbra
socchiuse, come se stesse ammirando un capolavoro del cinquecento in una
pinacoteca straniera, poi sfiorò la mano ossuta con la sua, come se stesse
toccando un neonato.
Clark la osservava in
silenzio compiere un gesto che anche lui aveva fatto qualche anno prima.
Ricordava l’emozione che aveva provato, sebbene sapesse che lo scheletro non
era vero, chiedendosi se anche lui era fatto a quella maniera. Era stato poco
dopo aver saputo della navicella, di come lui era arrivato a Smallville, poco prima di sapere che non era umano.
Lilyanne
si voltò sorridendo.
-Non potevo non
presentarmi allo scheletro-, disse scherzando e avvicinandosi ai tavoli dove
c’erano i microscopi.
Vide dei vetrini
pronti, risalenti probabilmente all’ora prima, e ne prese uno, mettendolo sotto
la lente del microscopio più vicino. Sfilò gli occhiali pesanti e, nella
penombra, avvicinò il volto allo strumento.
-Wow! Abbiamo uno
splendido esemplare di vetrino sporco!-, disse, sollevando la testa sorridendo.
Clark la osservò per un
attimo, notando quanto quegli occhiali spessi la imbruttissero. Lilyanne li inforcò nuovamente e, spegnendo le
attrezzature, lo raggiunse.
L’ora volò via troppo
velocemente e quando la campanella suonò, Clark trattenne per un attimo il
fiato, poi si rilassò e si rassegnò a salutarla per correre alla sua lezione di
scienze.
Era stato davvero bene.
-Vengo con te, seguo
anch’io questo corso-, disse lei, e presero posto in un banco in fondo all’aula,
nei posti rimasti ancora vuoti, mentre le luci si spegnevano per la proiezione
dei lucidi.
-Come mai segui un
corso del quarto anno?-, chiese lui piano.
-Devo finire una
ricerca… e poi sono libera, ora-
Nelle prime file Clark
poté scorgere Lana, concentrata sui suoi appunti, mentre il professor Byers parlava di qualcosa che lui, quella mattina, non
riusciva a seguire.
Quando le luci si
riaccesero, Clark si rese conto di essersi incantato fissando un qualche punto
davanti a sé. Forse stava pensando ancora a quella strana euforia che lo aveva
colto il giorno prima, forse una parte del suo subconscio era tornata al
ricordo di Alicia, o cercava di capire come mai Lana negli ultimi tempi fosse così distaccata.
Si voltò verso Lilyanne, ma al suo posto trovò solo una cartellina con
l’articolo che aveva preparato per il torch e un
biglietto scritto con una penna viola: “Grazie ancora per il tour, sono stata
molto bene. Ci vediamo presto. Lily”. Si guardò intorno per vedere se fosse
ancora nei paraggi, poi prese il biglietto, lo mise tra le pagine di un
quaderno e uscì dall’aula.
Pete
e Chloe lo aspettavano agli armadietti per andare
insieme a mensa, entrambi con espressione interrogativa, ma senza aprire bocca.
Clark si liberò dei
suoi oggetti e li precedette, a sua volta perplesso dal loro atteggiamento.
Scelse il pasticcio di
carne con purè, le verdure al forno e una doppia fetta di dolce, prese il suo
cartone del latte e si sedette al loro solito tavolo.
-Qualcuno ha fame,
oggi-, osservò Pete rompendo il ghiaccio, mentre
Clark iniziava l’assalto delle sue portate sollevando le spalle.
-Ti ringrazio per
avermi tolto dai piedi quella lì, Clark. Dovevo far sparire alcuni files e schede che non volevo lei vedesse. Non posso ancora
credere che dovrò lasciare metà scrivania a quella ragazzina…-
-E se invece ti
sforzassi di conoscerla? Magari la potresti trovare interessante-
-Non credo proprio che
una straniera dall’aspetto sveglio come un bradipo possa essere interessante!-
-E da quando ti fermi
all’aspetto delle persone?-, la fulminò con lo sguardo.
-Com’è
andato il vostro tour dei laboratori?-, chiese Pete,
cercando di fermare il loro bisticcio.
Clark fu piuttosto
sbrigativo nel descrivere quello che aveva mostrato a Lilyanne,
mentre finiva con un solo boccone l’ultimo pezzo di torta, che non si gustò.
Chloe
disse che aveva fissato un appuntamento con Robert Greedy
per la classica intervista ai nuovi arrivati -Ovviamente, giornalista o no,
anche la tua amichetta dovrà avere la sua intervista… Avvertila, Clark-, disse e salutò rapidamente i due amici che
lentamente uscirono dalla mensa, sazi e assonnati.
-Dobbiamo trovare un
sistema per convincere la Leibniz a fare da sé, come ha fatto Greedy, in modo da non trovarcela più tra i piedi: così se
la vedranno tra loro: lei e Chloe-
-Perché dici così, Pete? A me sembra simpatica…-, Pete
guardò Clark aggrottando la fronte.
-Simpatica? E’ noiosa
come la lezione di diritto e poi… sinceramente farsi vedere in giro con quella
fa calare di molti punti il tuo indice di gradimento! E’ così… brutta!-
-Io non la trovo
brutta, tutt’altro. Penso che dietro quegli occhialoni e i vestiti larghi sia
una bella ragazza. E poi non è l’aspetto che conta, Pete:
è una ragazza molto intelligente, nonostante Chloe
non sia d’accordo con me-, rispose Clark e abbassò il volto perché sentiva che
stava arrossendo e non voleva che l’amico lo vedesse.
Pete
sollevò le sopracciglia allargando gli occhi.
-A te serve proprio una
vera donna, amico…-, sentenziò da uomo vissuto, con una pacca sulla sua spalla.
Era anomalo che Clark
potesse difendere su quel campo una ragazza che non rispondesse al nome di Lana
Lang, che Pete quasi pensò
che il suo amico avesse le traveggole. La campanella troncò quel discorso che avrebbe
potuto sfociare nell’imbarazzante borsino delle studentesse del Liceo, che
Clark avrebbe evitato a qualunque costo.
Tornando a casa, più
tardi, Clark ripensò a quello che aveva detto a Pete
circa LilyanneLeibniz e considerò
che, in fondo, avrebbe davvero voluto conoscerla meglio, nonostante il suo modo
schivo e l’aspetto trasandato.
“Ne va dei miei 5
crediti!”, pensò giustificandosi.
Poi accelerò e in pochi
attimi fu fuori Smallville.
Gli antichi
lo chiamavano Freccia di Cupido,
ormai lo conosciamo come Colpo di Fulmine.
Qualunque sia il modo di riferirci ad esso, l’amore
a prima vista è stato e sarà uno dei momenti più indimenticabili nella vita
di ciascuno che abbia avuto la fortuna – o la sfortuna – di provarlo almeno una
volta.
Qualcosa di
irrazionale e sconvolgente, che modifica la percezione della realtà e acuisce i
sensi.
Associato
all’alchimia, alla chimica sessuale tra due individui, il colpo di fulmine può
essere il risultato di una rapida analisi statistica o la somma di fattori
ambientali e psicologici che predispongono ad essere soggetti alla fatidica
cotta.
Tre le
caratteristiche fondamentali del colpo di fulmine:
non è
razionalmente spiegabile o indagabile,
trascende le
facoltà logiche e di discernimento di chi ne è colpito, lasciando spazio solo
all’istinto,
provoca
fondamentali mutamenti nella chimica dell’organismo e nella fisiologia stessa,
modificando il comportamento, la postura, l’odore.
I feromoni
sono i primi responsabili di questi radicali cambiamenti psicosomatici,
alterando la chimica dei recettori e predisponendo all’interesse amoroso.
Essi sono la
principale forma di comunicazione e seduzione usata dagli animali per la
riproduzione, ma anche per stabilire gerarchie sociali e per comunicare
situazioni di pericolo.
E nell’uomo?
Possibile che anche per noi valga una semplice formula di azione e reazione
basata sulla chimica?
Possibile che
realmente l’attrazione sconvolgente, immediata e indescrivibile che si accende
al primo incontro, sia frutto esclusivamente di ghiandole e ormoni a bassa
concentrazione scambiati tra i due innamorati?
O più
probabilmente contribuiscono, assieme ad altri fattori, a piacersi subito, a
pelle?
Fermatevi a
pensare a chi avete accanto: potreste essere separati da una pesante gabbia di
vetro,
potreste
essere nascosti da cortine spesse e buie che lascino fuori solo gli occhi,
ma non
sareste ancora al sicuro da un solo, semplice sguardo, che potrebbe fare
scoccare la scintilla che infiamma il vostro cuore.
Cosa
c’entrano i feromoni, allora?
Cosa c’entra
la semplice attrazione fisica?
Eppure, cosa
spinge al primo sguardo, ad annichilire il resto del mondo intorno e a
concentrare ogni pensiero e ogni azione verso quello sguardo ardente?
Cos’è che fa
tremare le gambe e compiere gesti impacciati, restando come ipnotizzati da
quello sguardo magnetico?
Personalmente
credo che l’amore, quello con la A
maiuscola che divampa una sola volta nella vita e che può rischiare di bruciare
ogni raziocinio e speranza, quell’amore non possa essere frutto solamente della
chimica, della necessità riproduttiva, della contingenza socio-culturale, ma
nasca da un’essenza più profonda e ignota, nascosta nel profondo del nostro
animo e sconosciuta perfino a noi stessi.
La chiave per
liberarla è solo una, e il rischio è di non trovarla mai.
Ma se quello
sguardo arriverà, statene certi, sarà la chiave capace di aprire davvero quel
minuscolo forziere nascosto e di liberare il più grande sogno e la più grande
debolezza della nostra vita.
diLilyanne
Leibniz, “Science Teenager”, Torch”
Quel venerdì sera Clark
decise che sarebbe andato al cinema Talon per il Silent Film Festival: Lana gli aveva detto che avrebbero
proiettato un vecchissimo film di Charlie Chaplin per nostalgici e, visto che Chloe era a Metropolis da Lois, Pete sembrava andare a
gonfie vele con Samantha, i suoi avevano invitato a cena alcuni vecchi amici
che Clark conosceva appena, optò per popcorn e coca cola nella sala buia e
quasi deserta.
Il film era iniziato da
qualche minuto, quando, poche file avanti a lui si sedette una ragazza. La vide
di profilo solo per i pochi istanti che impiegò per sedersi, poi si voltò verso
lo schermo ticchiolato di puntini bianchi e neri che disturbavano la pellicola.
Aveva lunghi capelli
mossi ed indossava un cappotto che le arrivava fino alle ginocchia,
stringendosi in vita. Clark la vide levarsi gli occhiali per guardare il film,
ma era troppo buio per poterla osservare con attenzione. Eppure il suo aspetto
era decisamente familiare e ne era incuriosito.
La riconobbe solo al
termine della proiezione, quando le luci si riaccesero e tutti iniziarono ad
alzarsi in piedi stiracchiandosi: sembrava proprio LilyanneLeibniz, ma, vestita diversamente: con la fronte
scoperta e senza quel fagotto che portava al posto dei capelli, aveva un
aspetto decisamente differente.
Non aveva nulla da fare
e così decise di seguirla, forse per salutarla, una volta fuori dal Talon.
Scese dietro di lei
fino al bar gremito di giovani fino al vestibolo, ma quando uscì dalla porta
del locale, lei era sparita.
La cercò un po’
intorno, poi, deluso, tornò a casa.
Se la ragazza che aveva
visto era davvero Lilyanne, pensò, aveva ragione a
dire che era carina. Nel complesso, l’idea che si era fatto di lei, in fondo
non era tanto sbagliata.
Ma poteva essere
davvero lei?
La mattina del sabato
era stato svegliato di buon’ora dalla telefonata –immancabile-
di Chloe: Clark ancora si chiedeva il perché, mentre
tutti, persino lui, avevano la necessità di dormire, la sua amica sembrava
tranquillamente poter andare avanti scolando litri di caffè, trascurando
l’inutile passatempo del dormi e sogna.
Quella volta la vittima
delle indagini di Chloe era Robert Greedy, appena conosciuto eppure già sotto il suo
riflettore personale. Nel dormiveglia Clark capì solo che quel ragazzo era a Smallville sotto copertura dell’FBI, come i documenti che Chloe aveva trovato su internet parevano confermare.
Mentre aspettava che il
pranzo fosse pronto, rilesse per l’ennesima volta l’articolo che Lilyanne gli aveva lasciato dopo la lezione e che Chloe non aveva voluto leggere. Ogni volta rimaneva stupito
di come le parole che aveva usato Lilyanne riuscivano
a colpire punti differenti della sua fantasia e lo interessavano in maniera
diversa, facendo propendere la sua attenzione verso una, o un’altra
riflessione. Doveva ammettere che l’argomento era banale, ma in poche righe
aveva perfettamente risposto, con domande puntuali e insinuando tarli nel
lettore, alle due tematiche della sua rubrica, cercando di coniugare l’ambito
delle scienze a quello della sociologia.
Chloe
diceva che era assurdo affidare ad una studentessa nuova e inesperta delle
dinamiche della scuola proprio la rubrica di sociologia, specie ad una chiusa
nel suo mondo come le appariva la Leibniz, schiva con
loro, come con altre persone con le quali aveva parlato di lei.
Eppure Clark era
convinto che, con quell’articolo breve e incisivo, avrebbe saputo andare
incontro all’aria di primavera che a breve sarebbe stata alle porte a Smallville e sarebbe stata in grado di sostenere eventuali
domande sia in ambito scientifico, che sociologico.
Assieme a quello, Lilyanne gli aveva lasciato anche una bozza di articolo di
presentazione, richiesta ogni volta che un nuovo giornalista collaborava al Torch: rispetto a come era stata timida, con lui, Pete, Chloe, le parole che aveva
usato denotavano invece una facilità nel proporsi alla gente fuori dal comune.
Clark lo rilesse,
cercando di comprendere quello che poteva passare per la testa della nuova
ragazza.
“Mi presento
a voi tutti studenti del Liceo di Smallville,
sperando che i miei articoli possano interessarvi e divertirvi allo stesso
tempo.
Come ero
solita fare nel giornale della mia vecchia scuola, tratterò di argomenti di
scienza e di sociologia. Forse la chimica, la fisica e la biologia potranno
apparire argomenti poco interessanti per un giornale scolastico, ma potrà
essere interessante scoprire insieme quanto una reazione, o un fenomeno
molecolare possano essere strettamente correlati ad elementi istintivi e
irrazionali come i sentimenti, o gli impulsi più basilari che costituiscono il
collante dei tasselli della nostra vita sociale.
Laddove la
magia non esiste, cosa sono i nostri sentimenti per avere la forza di
modificare lo scorrere degli eventi?
Cos’è la
volontà che anima ogni ambizione, confrontata con le grandi forze della fisica?
E cosa
rappresenta l’attrazione fisica, letta in un’ottica di reazioni chimiche?
Come può il
nostro corpo influenzare quello che diventeremo e come i nostri desideri
possono modificare lanostra visione del
mondo e di noi stessi?
Seguitemi
sulla rubrica “Science Teenager”, e potremo scoprirlo insieme!
di LilyanneLeibniz”
“Notevole”: la prima
impressione che aveva avuto leggendo il materiale che il preside gli aveva
fornito su di lei era confermata dalla sua presentazione alla scuola e dal
piccolo saggio sul “colpo di fumine”
Clark ripensò alla
ragazza che aveva creduto fosse proprio Lilyanne, al
cinema, la sera prima e, scuotendo la testa, si disse che quella ragazza era un
mistero da sciogliere.
Richiuse gli articoli
nella cartellina sorridendo soddisfatto e accese il pc
in camera sua.
Dal basso iniziavano a
diffondersi i profumi della tavola di Martha Kent.
Poco dopo che ebbero
terminato il pranzo, l’auto di Chloe fece
scricchiolare la ghiaia davanti alla casa dei Kent.
Clark si alzò
controvoglia dal divano in cui era sprofondato assieme a suo padre, guardando
una gara motociclistica in tivù e, presa la giacca, la raggiunse fuori.
-Allora Clark: ho
notizie succosissime sul protetto di Pete! Pare che
nella sua vecchia scuola abbia combinato dei casini, giocando a Football e
abbia scatenato le ire di un riccone locale. E poi non trovi strano che sia già
riuscito a prendersi il tuo posto nella squadra della scuola? Voglio dire… anche tu sei diventato subito quarterback, ma
ovviamente è una cosa diversa…!-, Clark, già stufo
delle teorie che Chloe, subito dopo l’intervista con Greedy, aveva avanzato sul nuovo ragazzo, non si accorse
della sottile insinuazione, forse involontaria, forse no, dell’amica.
Passarono tutto il
pomeriggio appostati sotto la casa dei Greedy nel
vano tentativo di rubare qualche foto o testimonianza che fosse spendibile in
un articolo di prima pagina per il Torch, ma fu tempo
sprecato.
Verso le quattro, Robert
Greedy uscì di casa con un sacchetto di carta in mano
e si diresse dritto verso la Wolkswagen di Chloe.
-Visto che non vi
decidete ad andarvene, mia madre ha pensato di mandarvi un po’ di torta che ha
appena sfornato-, disse dopo aver bussato al finestrino dell’auto. Poi cambiò
espressione, arricciando il viso in un ghigno beffardo.
-Ben fatto, detective Sullivan, hai pefettamente
abboccato alle false informazioni che avevo fatto trapelare durante la nostra
intervista di ieri. Peccato che la tua fama ti abbia preceduta! Non sai com’è
stato divertente metterti su una falsa pista solo per il gusto di osservarti
tutto il pomeriggio dalla mia finestra!-
Fece per andarsene, poi
si voltò ancora, -In fondo non sei poi una così brillante giornalista, Sullivan… ti consiglio di fare domanda alle Cheerleader… magari se prima smaltisci un paio di chiletti… Buona serata!-
Chloe
era diventata viola di rabbia, mentre Clark tratteneva a stento le lacrime
dalle risate che si stava facendo. Chloe non disse
una parola, partì velocemente con la sua auto e scaricò Clark direttamente
davanti al Talon, promettendo di riscattarsi, con un
articolo che dicesse la verità su quel bellimbusto.
Entrando nel locale con
ancora il sacchetto con la torta della signora Greedy
in mano, Clark vide Lilyanne, seduta ad un tavolo
defilato, che sorseggiava cappuccino tenendo un pc
portatile sulle gambe. Aveva i capelli legati in una treccia e spettinati, la
lunga frangia le copriva metà volto. La colse di sorpresa e vide che subito si
affrettò ad inforcare gli enormi occhiali, che in quel momento non stava
usando.
Lo salutò sorridendo,
contenta di vederlo anche fuori dall’orario scolastico. Clark sbirciò sul suo
computer e fece appena in tempo a notare alcune pagine di Blog.Com aperte
grazie alla wireless LAN proposta a suo tempo da Lex.
Subito lei chiuse il
laptop, leggermente imbarazzata.
-Cosa ti porta in
questo locale, Clark?-, chiese per cambiare discorso, non sapendo che Clark,
praticamente, aveva eletto da anni il Talon come sua
seconda casa.
Rimasero a parlare per
un po’. Clark le raccontò della sua famiglia e della fattoria, dell’usanza
della sua scuola di offrire ad ogni nuovo arrivato il cosiddetto “pacchetto di
benvenuto”, comprendente la famosa intervista di Chloe,
e cercò di giustificarla per non essere stata troppo accogliente e le spiegò i
motivi del suo scetticismo e il suo amore per il giornalismo.
Lei fu piuttosto evasiva
circa la sua vita personale e negò fermamente di essere stata al cinema, la
sera prima. Rise quando lui le descrisse la ragazza con i lunghi capelli,
affermando che i suoi, ormai, erano così annodati che non sarebbe stato
possibile scioglierli.
Anche Clark fu
contagiato da quell’apparente allegria e quando vennero a prendere la sua
ordinazione, non si accorse che era Lana, la cameriera al suo tavolo.
-Non si saluta più,
Clark?-, chiese lei. Negli ultimi tempi il suo carattere solare si era
adombrato, come se dal suo ritorno da Parigi le cose non fossero più state le
stesse. Era spesso preoccupata e sulla difensiva.
Clark si giustificò e
le presentò Lilyanne, definendola “la ragazza venuta
da lontano”. Lana vide gli spessi occhiali di Lily e, sollevando le
sopracciglia, tagliò corto con un -Ah, sì, Pete mi ha
parlato di te-
Poi si scusò, dicendo
che doveva tornare a servire ai tavoli, lasciando Clark perplesso e un po’
dispiaciuto.
-Mi sa che la tua amica
è un po’ gelosa, Clark…-, suppose Lily quando lana si
fu allontanata, poi ci rise su e accettò la proposta di Clark di accompagnarla
a fare un giro dei posti più interessanti di Smallville.
-Immagino che,
confrontata con Gotham City, Smallville
debba apparirti minuscola e noiosa-, osservò Clark dopo averle fatto fare un
breve giro nel corso principale. Lily alzò appena le spalle, e scosse la testa.
-Mi piacerebbe vedere
la tua fattoria-, chiese, così come tanto tempo prima gli aveva chiesto Chloe.
-E’ un po’ distante, e
si sta facendo buio…-, notò Clark, sentendo crescere
l’imbarazzo, senza motivo.
-Se a te va, a me non
importa. Non c’è nessuno che mi aspetti a casa e poi una bella passeggiata è
quello che mi ci vuole…-
Camminarono per più di
mezzora tagliando attraverso i campi, mentre il sole affondava dietro
l’orizzonte tingendo di rosso le nuvole basse. La primavera era quasi alle
porte: lo dicevano i prati verdi smeraldo e i tramonti che iniziavano a
diventare lunghissimi e magici.
Lilyanne
non sembrava appesantita dalla borsa con il portatile e si divertiva a
camminare tra le spighe di granturco ancora non troppo alte.
Clark non poteva fare a
meno di guardare in tralice i suoi occhi deformati dal vetro spesso e
sorriderle. C’era qualcosa di strano, in lei, che lo spingeva a seguirla.
Quando furono lontani
dalle strade di Smallville, gli tornarono alla mente
le parole che Lily aveva detto prima.
-Perché hai detto che
non ti aspetta nessuno a casa?-, chiese, mordendosi la lingua per la sua uscita
così brusca.
Lei, che camminava
avanti a lui tenendo le mani sollevate sulle spighe, come volesse carezzarle,
si fermò e si voltò indietro. Non sorrideva più e lo guardava dal basso verso
l’alto, con volto serio.
-Promettimi che non vai
a sbandierare ai quattro venti quello che sto per dirti, Clark-,
chiese senza distogliere gli occhi da lui, dopo un attimo di silenzio. Poi si
sedette in mezzo al campo e quasi scomparve sotto il granturco. Prese un
respiro profondo e iniziò a parlare.
-Non sono solita
raccontare i miei segreti al primo che capita, ma sento che di te mi posso
fidare. Sono venuta da sola, qui a Smallville. Anzi,
a dire il vero io non volevo neanche venire qua, ma sono stata costretta…-
Raccontò che circa un
anno e mezzo prima i suoi genitori erano morti in un tragico incendio nella
loro villetta alla periferia di Gotham City dal quale
lei era uscita incolume, ma profondamente distrutta psicologicamente. Si era
preso cura di lei il suo tutore, che non sapeva di avere, che aveva fatto
curare la sua depressione per mesi in una clinica specializzata, dall’altra
parte del Paese, finché lei non aveva superato l’accaduto.
Dopo alcuni mesi
trascorsi in una specie di convitto, a Gotham, pochi
giorni prima del suo arrivo in città, il suo tutore aveva stabilito che si
sarebbe dovuta trasferire in una piccola cittadina del Kansas, dove l’attendeva
una casa di sua proprietà. Non disse perché proprio a Smallville
e a nulla valsero le sue domande.
Rivelò di aver incontrato
l’uomo che si stava prendendo cura di lei solo una volta, quando era molto
piccola: un ricordo sbiadito, uno dei pochi della sua infanzia, e di sapere da
dove provenissero i soldi con i quali poteva vivere senza problemi, né
tantomeno chi le avesse intestato la casa dove era andata a vivere.
-Devo solo ringraziare
che non mi hanno lasciata in mezzo ad una strada a Gotham-,
disse concludendo, -Spero che la tua amica Chloe non
venga mai a sapere queste cose, altrimenti temo che potrei vedere la mia foto
in copertina sul Torch, invece dei miei articoli!-
Vide che Clark era
rimasto silenzioso al suo racconto, come stesse rimuginando sulle sue parole:
si riaccese in un bel sorriso e, alzandosi, lo rassicurò.
-Lo so che la storia
che ti ho raccontato può apparire strana, ma non pensare a me come ad Oliver
Twist, per favore! In fondo, cosa potrei desiderare di più dalla vita, adesso?
Vivo da sola in una bella casa, senza nessuno che mi dica cosa fare, ho a mia
disposizione una discreta somma mensile e… beh, credo
di aver già incontrato un amico, qui a Smallville,
no?-
Gli porse una mano per
aiutarlo a tirarsi su.
Di nuovo la luce. La luce che acceca dall’interno e che non riesci a
contenere. Perché sei luce, ora, luce e vento, e ancora il cuore si ferma e il
sangue scorre veloce e il respiro si accorcia e sulla pelle scorre il brivido
che sai convergerà nel profondo e poi fuori, perché è troppo stupefacente per
riuscire a trattenerlo.
Si staccarono
immediatamente, Clark si alzò da solo, con un balzo.
Rimasero a fissarsi un
istante a bocca aperta, trattenendo il respiro. Fu Lily a parlare,
affrettandosi a voltarsi per non guardare negli occhi Clark.
-Wow…!
Devo averti dato la scossa… qua a Smallville
l’aria è piuttosto secca, non trovi?-, accelerò il passo, quasi correndo
lontana da lui. Terrorizzata. Emozionata. Confusa.
-Aspetta, Lily!-, disse
Clark afferrandola per un polso, sconvolto e sorpreso da quella energia
misteriosa che saliva dal suo braccio e di nuovo lo permeava tutto.
Lei si voltò, sentendo
il suo cuore correre all’impazzata.
Gli occhiali, i legami,
i vestiti. I vincoli. Avrebbe voluto strapparli via. Urlare.
Per un attimo provò
l’impulso di abbracciarlo stretto e rimanere vicina a lui pervasa da quella
violenta energia, poi si liberò con uno strattone dalla presa.
-Mi dispiace, devo
andare ora-
Corse verso il campo
con le spighe più alte e sparì alla vista di Clark, che non riuscì a vederla
più
La cercò intorno anche
con la sua vista ai raggi X, ma Lilyanne era sparita.
Di lei trovò solo gli
occhiali, caduti a centinaia di metri di distanza, in direzione della città.
Erano ancora tiepidi
per il contatto con la sua pelle. Li avvicinò per un istante alle labbra,
pensieroso, poi li mise nella tasca della giacca e tornò verso casa.
Il giorno seguente,
dopo aver passato tutta la mattina a faticare nei campi assieme a suo padre,
cercando di liberare la mente dal pensiero di quello che gli era capitato la
sera prima e dopo aver cercato di distrarsi in ogni modo, chiamò Chloe, chiedendole uno di quei favori misteriosi che a
volte Clark Kent le strappava con un sorriso: voleva
entrare nell’archivio informatico della segreteria della scuola per cercare
un’informazione riservata. Lo raggiunse al suo fienile poco tempo dopo.
Chloe,
piuttosto perplessa dalla sua domanda, lo lasciò fare, facendolo lavorare sul
suo pc portatile, ben più veloce del suo, senza disturbarlo: era nella fortezza di Clark
Kent e, orache sapeva, non poteva perdere l’occasione di curiosare intorno alla
ricerca di qualsiasi indizio che lui non le avrebbe comunque fornito.
Con la scusa di
spostare la sua giacca per sedersi, sbirciò dentro alle tasche: riconobbe
subito gli occhiali di Lilyanne “Quattrocchi” Leibniz e li osservò, non vista. Non resistette alla
tentazione di inforcarli, rendendosi immediatamente conto che le lenti non
erano graduate, poi rimise tutto al suo posto.
“Strano”, pensò, “Molto
strano… Cosa nasconde quella ragazzina? ...dovrò
indagare!”
Quando Clark ebbe
fatto, le disse senza troppi preamboli che doveva uscire.
-Mia madre avrà
sfornato i muffin della domenica, se ne vuoi uno, li trovi in casa. Io devo
scappare ora. Ti ringrazio per l’aiuto!-, prese al volo la giacca e sparì.
Chloe
rimase un altro po’ nel fienile, poi, cedendo alla curiosità, tramite la
cronologia del browser ripercorse le ricerche di Clark scoprendo che, ancora
una volta, c’era di mezzo la nuova alunna di Gotham:
Clark aveva cercato sull’archivio della scuola dove abitasse. Senza dubbio
stava andando da lei. Dimenticò presto i muffin di Martha Kent
e lo seguì verso il centro di Smallville, incredula
per l’interesse che Clark sembrava nascondere nei confronti della persona che
stava per rubarle il giornale, l’unica cosa che la tenesse davvero legata a
lui.
Kerry Lane era una
breve strada alberata nella zona più occidentale di Smallville,
non troppo distante dal Liceo, dove ogni singola villetta aveva il suo piccolo
giardino recintato, una cassetta delle lettere di ferro battuto e un albero di
acero a fare ombra sulle finestre.
I primi boccioli
iniziavano a fiorire sugli alberi da frutta ornamentali che si alternavano
lungo la strada nonostante l’aria non fosse ancora calda, spargendo un
lievissimo odore di fiori.
Clark la percorse fino
al numero civico 28. Sul campanello non era riportato alcun nome, ma d’altronde
erano solo pochi giorni che Lily si era trasferita a Smallville.
Usò la vista a raggi X
per vedere se fosse in casa, ma l’abitazione sembrava deserta, salvo un piccolo
gatto che dormiva acciambellato al piano di sopra.
-Cosa ci fai qua?-, le
parole di Lilyanne lo raggiunsero all’improvviso,
secche. Quando si voltò la vide alle sue spalle, in tenuta da jogging, con i
capelli tirati all’indietro e legati in una lunghissima coda nera e con
occhiali da sole ultimo modello a coprirle, ancora una volta, gli occhi. La
tuta, azzurra e blu, le stava aderente al corpo, mostrando forme che fino ad
allora erano state nascoste dai pullover stazzonati o da vecchi bomber troppo
larghi.
-Io…-,
Clark, colto alla sprovvista, non sapeva cosa rispondere, quando le sue mani
tastarono nella tasca gli occhiali da vista che aveva trovato la sera prima.
-Sono passato a
riportarti questi, li avevi persi nel campo ieri-, salvato in corner!
Quando vide gli
occhiali la ragazza parve rilassarsi e spontaneo le nacque un piccolo sorriso
sulle labbra.
-Grazie, non so come
avrei fatto, senza!-, aprì la porta, ma rimase immobile senza entrare.
Evidentemente avevano
esaurito gli argomenti di conversazione, perché rimasero in silenzio davanti
alla casa per qualche istante. Anche Chloe lo notò,
nascosta in auto lontana lungo la strada, soddisfatta che il suo fiuto da
reporter, quella volta, avesse annusato la pista giusta, ma delusa dal
comportamento di Clark.
Il gatto fece capolino
da dietro la porta.
-Stavo andando via-
-Se ti va, puoi entrare
a prendere un tè-
Clark e Lily parlarono
contemporaneamente e, passata la stasi, risero insieme. L’aria era tesa.
Clark accettò l’invito
ed entrò nella villetta.
Chloe
attese per un po’, poi, stanca di aspettare, scese dall’auto e iniziò a cercare
informazioni in altro modo, passeggiando nelle vicinanze.
Quando se ne andò,
Clark era ancora dentro la casa di LilyanneLeibniz.
La casa di Lily non era
come Clark se la sarebbe aspettata. C’erano penne, al posto dei fiori, nei
bassi vasi sinuosi stile AlvarAalto,
fogli zeppi di calcoli e formule fisiche sparsi un po’ ovunque, un piccolo
laboratorio di chimica accanto al lavello, in cucina e un gatto che,
miracolosamente, era affettuoso e molto amichevole, di nome E.T.
Clark attese qualche
minuto che Lily si cambiasse, al piano di sopra. Sprofondò sul divano e,
alzando gli occhi, si accorse che c’era una strana macchia come di bruciato,
sul soffitto sopra a sé. Sembrava recente.
-Eccomi qua-, disse
Lily scendendo: era di nuovo avvolta nei suoi abiti larghi e sformati, aveva
schiacciato i suoi capelli con una fascia elastica e pinze varie e, di nuovo,
gli occhiali fumè coprivano i suoi occhi.
Preparò un ottimo tè
alla vaniglia destreggiandosi tra matracci e bollitori senza spostare nulla di
quello che stava facendo. Spiegò che si trattava di un progetto di chimica che
aveva iniziato alla vecchia scuola e che ancora non era riuscita a terminare.
Poi si sedette accanto
a lui, sul divano, sorseggiando il liquido ambrato e fumante.
C’erano così tante
domande che Clark voleva porle, ma aveva paura di essere frainteso, per il suo
interessamento: in fondo neanche lui sapeva come mai era così incuriosito da
quella ragazza che si presentava più o meno con l’aspetto di un troll.
Ancora una volta fu lei
a spezzare il silenzio, parlandogli del suo gatto, ma a Clark non interessavano
le banalità.
La guardò a lungo
cercando di scavare oltre le lenti, oltre i suoi occhi, cosa avesse di
speciale, poi rischiò.
-Lily,
hai sentito anche tu quella… quella strana cosa, ieri
nel campo, quando… ti ho stretto la mano?-
Rimase come sospesa a
metà di una frase, con le labbra semiaperte e gli occhi che subito andarono in
basso a sinistra. Fece per parlare, ma non sapeva cosa rispondere a Clark. Per
un istante i suoi occhi tornarono su di lui, poi di nuovo cercarono rifugio
altrove. Deglutì.
Clark non aveva altre
parole da dire. Non in quel momento. Si sentiva troppo strano per parlare.
Lily lo vide
avvicinarsi e, lentamente, lui le sfilò gli occhiali.
Non capiva perché lo
stava facendo, ma non stava seguendo il suo cervello. Seguiva quel brivido che
scorreva sulla sua schiena e che parlava solo di sangue, gonfiando le vene
delle tempie.
Lilyanne
aveva occhi viola, belli come non ne aveva mai visti prima, ma li copriva con quegli
occhiali che ne mutavano il colore.
Non fece nulla per
fermarlo, sentendo il battito del suo cuore accelerare mentre il respiro si
faceva più profondo, le palpebre diventavano pesanti e la sua pelle pareva
bruciare sotto gli abiti.
-Chi sei, Lily?-, la
voce morbida di Clark la percorse come un’onda del mare scivolandole dentro.
Lilyanne
sentì ancora una volta il breve capogiro che precedeva la catastrofe, crescere
e ronzare sotto le sue tempie, come un sovraccarico di elettricità, prima di
colpire alla base degli occhi con una vampata di caldo sulle gote, : stava
fissando il suo sguardo troppo a lungo su Clark, sui suoi occhi verdi, sui
capelli spettinati e sul suo corpo muscoloso e sensuale.
Troppo pericolosamente
a lungo.
Serrò gli occhi.
Con un rapido gesto gli
strappò di mano gli occhiali, li rimise e corse via, in cucina, lasciandolo
impreparato,svuotato di quell’energia
che aveva animato quel gesto impulsivo.
Udì uno strano rumore
sordo, poi vetri infranti.
Quando accorse in
cucina vide che il vetro della credenza era esploso e ovunque c’erano schizzi
di acqua.
Lily piangeva, seduta
per terra in un angolo. Aveva in mano gli occhiali spezzati in due e
accartocciati.
Clark le si avvicinò e
la strinse in un abbraccio caldo, cercando di calmarla.
Riuscì a farla alzare e
la riportò nel salotto, facendola sedere sul divano. Vide che evitata il suo
sguardo e non la forzò a spiegare quello che era successo.
In fondo, in qualche
modo, dentro di sé intuiva e temeva cosa le fosse accaduto. Qualcosa che
conosceva bene.
Fu lei a parlargli,
quando si fu calmata. Stava sul divano tenendo le ginocchia strette al petto e
ancora le lacrime le scendevano lungo le guance, scivolando sul collo e
bagnando il maglione già zuppo d’acqua.
Lo implorò di non fare
domande, di accettarla solo come una persona strana e un po’ pazza. Gli disse
che, prima di arrivare a Smallville, si era
documentata sulla nuova scuola e aveva letto dalla pagina del Torch delle stranezze che avvenivano in quella zona. Pregò
Clark di considerarla a tutti gli effetti figlia adottiva di Smallville e di non indagare oltre.
-E’ meglio che io non
ti veda più, Clark. Per il tuo bene…-, gli disse
alzando lo sguardo su di lui e ferendolo con i suoi occhi brillanti e
disperati, solo per un istante.
Gli stessi occhi
disperati che aveva visto sul volto di Alicia, quando era andata a dirgli
addio, una volta uscita dall’ospedale per il proiettile alla spalla.
Non voleva voltare
ancora una volta le spalle ad una persona in difficoltà.
Scosse lentamente la
testa facendole capire che non se ne sarebbe andato né l’avrebbe lasciata
andare e le fece una carezza sul viso bagnato.
Lasciarono che i loro
sensi si riempissero della luce e del brivido, ancora una volta, per un tempo
imprecisato, fino a quando la sensazione non svanì e loro rimasero, affannati,
a guardarsi negli occhi con sguardi diversi da prima..
Senza parlare.
Quando Clark tornò a
casa sua era molto tardi: doveva aveva perso la cognizione del tempo rimanendo
tutta la sera con Lily. Si sentiva diverso, quello che era successo,
quell’energia strana... era come se fosse entrata i lui e avesse cambiato
qualcosa, dentro, nel profondo, come se avessero condiviso l’anima, i ricordi,
le emozioni e li avessero trovati uguali.
Johnatan
e Martha Kent lo aspettavano in piedi, preoccupati ed
arrabbiati per averli fatti stare in pensiero.
-Cos’hai
da dire, Clark?-, chiese asciutto Jonathan.
Clark lo scrutò aprendo
la bocca per parlare, poi scosse la testa e salì in camera sua, senza proferire
parola.
-Non l’ho mai visto, così…-, Johnatan era preoccupato
per l’espressione che aveva scorto sul volto del figlio.
-Io sì, una volta sola,
e speravo di non dovere vederla più…-, disse Martha
con voce flebile, sbiancando.
-Quello non era Clark, Johnatan. Era Kal-El…-
[1]
“Che coss’è l’amor?” di Vinicio Capossela: ebbene sì,
quella canzone mi piace tanto e ogni tanto mi piace mettere nelle mie ff il richiamo al suo titolo! Però le citazioni sono
limitate al titolo, il resto è un’altra cosa!
questo è il dolore più grande che devo imparare a
sopportare.
Non posso versare lacrime pensando al tuo
sorriso che non rivedrò mai più,
non posso indugiare sulla tua tomba ricca di
fiori,
non posso piangerti nel silenzio della notte,
perché so che farei rumore.
Sapere che la nostra felicità era così
vicina e vederla sparire in attimo,
per causa mia:
questo è il peccato più grande che mi porterò
nella tomba.
Sapere che un giorno lontano potrai
perdonarmi:
questa è l’unica speranza che mi resta.
Tutto il resto scivola su di me come l’acqua
sui sassi del fiume dove giocavamo da bambini.
Non voglio che altri mi guardino come mi guardavi
tu,
non voglio che il tuo ricordo sbiadisca negli
occhi di un altro,
non voglio che il tuo profumo venga cancellato
dalla mia memoria.
Doveva essere solo nostro, il futuro.
Per questo non sarò di nessun altro,
così nessun altro correrà lo stesso rischio che
hai corso tu.
Pagherò per il mio errore e il tuo ricordo
sarà l’unica cosa che mi manterrà in vita.
Smetterò di essere la persona che sono, e
tornerò ad esserlo solo quando mi ricongiungerò a te.
Perdonami.”
Una leggera brezza
tiepida faceva ondeggiare le chiome degli alberi più alti che si aprivano
mostrando brevi sprazzi di cielo azzurro intenso, che pareva sorridere alla
primavera appena iniziata. Le prime rondini volavano sfiorando le cime più alte
e riempiendo l’aria dei loro garruli saluti.
Era così tutti gli anni
a Smallville: la bella stagione arrivava di botto,
senza preavviso, come un vecchio amico di cui non ricordi neanche più la voce,
che si presenta alla tua porta con due birre per continuare quella bella
conversazione lasciata a metà.
Fin da quando era
bambino, ogni anno, Clark scommetteva con sua madre sulla data dell’inizio
della primavera e ogni mattina, a partire dalla metà di marzo, saltava giù dal
letto e apriva la finestra della sua camera, tenendo gli occhi serrati, per rubare
il primo soffio di vento caldo.
Era la prima volta,
quell’anno, che vinceva la sua scommessa, ne era così sicuro che non aveva neanche tirato le tende della sua stanza ed era corso
giù, cercando di nascondere un sorriso soddisfatto che traspariva dal suo
sguardo dolce e sveglio, totalmente dimentico dell’espressione più selvaggia
che aveva la sera prima.
Erano le sette e mezzo
di lunedì mattina e tutto era perfetto.
Martha complice lo aveva
guardato di sbieco e aveva risposto al suo sorriso sfornando la sua classica
prima creazione gastronomica della stagione. Aveva voluto dimenticare quello
che aveva letto la sera prima negli occhi del figlio, si era convinta che fosse
stato solo un abbaglio dovuto forse alla stanchezza.
-Attento che scotta!-
-Mamma, ho una fame che
potrei mangiare carboni ardenti!-, rispose Clark alle parole della madre mentre addentava una fetta di torta. Poi si versò del
succo d’arancia, bevve il caffellatte bollente e schizzò fuori di casa dando al
volo un bacio sui capelli della donna.
-Lo zaino!-, lo rincorse
lei urlando e agitando la sua borsa rossa e nera davanti a sé: in un attimo se
la vide sparire dalle mani e sentì un altro brevissimo schiocco sulla sua
guancia.
-Finirà col farti male,
un giorno o l’altro, se ti corre vicino così veloce-, JohnatanKent apparve sulla veranda con alcuni attrezzi in
mano, guardò la moglie e si gettò all’arrembaggio della sua fetta di torta.
-Va tutto bene,
Martha?-, chiese sottintendendo ben più di quello che le sue semplici parole
parevano dire.
Martha guardò nella
direzione in cui era sparito Clark e alzò un sopracciglio.
-Direi che va tutto alla
perfezione, Johnatan…-, scosse la testa e riprese a
sparecchiare, convincendosi sempre di più che, prima che “alieno”, suo figlio
era adolescente, e quello era il fatto più preoccupante.
Clark amava sentire il
vento accarezzargli i capelli quando correva
velocissimo nei campi che separavano la fattoria dei Kent
dal centro di Smallville.
Ricordava ancora l’unica
volta che aveva volato: sebbene quello che era successo fosse sparito dalla sua
memoria, la sensazione che aveva provato era rimasta impressa in ogni molecola
del suo corpo. Si era sentito libero come non mai, parte integrante del cielo e
della terra sotto di lui, nelle sue vene era come se scorresse elettricità[1].
Era così che si era
sentito il giorno prima a casa di Lily, come se
avessero volato insieme per distanze incommensurabili, pur rimanendo fermi sul
divano. E dopo avevano parlato, parlato fino a che la sete non li aveva colti
e, asciugate le lacrime, il volto della ragazza aveva ripreso a sorridere.
Non era stato
propriamente sincero con lei, così come sapeva che anche lei aveva nascosto il
corpo dell’iceberg che nascondeva gelosamente, pur essendosi aperta come mai
nessun altro aveva fatto con lui.
Gli aveva detto che fin
da bambina era sempre stata diversa: suo padre, che era un medico, aveva fatto
studi avanzati di fisica quantistica, chimica e biologia per cercare di capire
cosa avesse, ma aveva tenuto le sue indagini nascoste, lasciando che lei
indagasse da sola sulla sua diversità. E questo l’aveva fatta sentire ancora
più isolata e strana.
Frequentava le
elementari, quando tutto era iniziato: era in visita con la classe ad un museo
didattico, di quelli dove gli assistenti fanno giocare i bambini con le
attrezzature e i campioni, quando, inspiegabilmente, si era accasciata a terra
come in preda ad un dolore atroce che aveva pervaso tutto il suo corpo. Gli
altri bambini attorno a lei si erano spaventati iniziando a piangere.
Le loro grida erano
l’unica cosa che ricordava.
Le dissero, quando fu
più grande, che una maestra e una guardia del museo avevano tentato su di lei
una respirazione artificiale e il massaggio cardiaco, mentre pareva che fosse
in atto un’emorragia interna partita dalla mano destra, ancora stretta a pugno.
Non respirava più quando era arrivata l’ambulanza.
Avevano tentato di
praticarle una tracheotomia, ma, le dissero, non erano riusciti a farla perché
gli strumenti a loro disposizione si erano guastati.
Avevano messo il suo
corpicino apparentemente senza vita sulla barella, l’avevano spogliata del giubbottino e a forza avevano aperto le sue mani ancora
strette sui giochi didattici.
Poi era avvenuto il
miracolo.
Non appena si erano
allontanati a sirene spiegate, lei aveva iniziato a riprendere conoscenza e
addirittura, arrivati all’ospedale, non aveva mostrato più alcun sintomo: i
lividi erano spariti e piangeva perché non capiva cosa le fosse successo,
cercando la mamma.
Per fortuna sua e della
sua famiglia, era stato suo padre a visitarla per primo, perché quella mattina
era di turno al Pronto Soccorso dell’Ospedale di New York.
Sua figlia stava bene,
stando ai risultati dell’elettrocardiogramma e dai parametri evinti dal pulsossimetro, ma non era stato possibile fare un prelievo
di sangue per valutare cosa avesse causato quel tremendo shock che gli avevano
descritto. Era come se la sua morbida pelle di bambina fosse diventata
resistente agli aghi. Lily non specificò se era stato un fenomeno temporaneo.
Nel
mesi che seguirono, disse, lei aveva manifestato alcune prime stranezze,
di cui però non volle parlare con Clark.
All’inizio Lily
ricordava che suo padre la portava spesso nei laboratori dell’azienda dove lavorava quando non era all’ospedale. Era stato un brutto
periodo, quello, che l’aveva privata della spensieratezza che le sarebbe
spettata di diritto. La sottoponeva a tanti test, alcuni divertenti, altri
dolorosi, altri inutili.
Poi, tempo dopo, era
venuto via dal posto dove lavorava, aveva tenuto per sé i risultati conseguiti
e aveva continuato a studiare la figlia a casa loro, ritirandosi anche dal
posto all’ospedale.
-Lo faccio per
proteggerti, tesoro-, le aveva detto una volta, guardando sconfortato i suoi
occhini pieni di lacrime.
Clark
non aveva voluto fare domande oltre quello che gli era stato raccontato, e le
aveva confidato, da parte sua, quasi a giustificazione di quello strano
fenomeno che li aveva coinvolti – e che era stato la causa della folgorazione
del pc di Chloe il giorno
prima, constatarono – che da piccolo era stato vittima
di una tempesta elettromagnetica che aveva in qualche modo alterato alcune cose
in lui: ma a Smallville rientrava nella normalità,
così Lilyanne non indagò, a sua volta, oltre le
parole che gli erano state dette.
Ma la descrizione così
dettagliata di quello che era successo alla ragazza da piccola aveva lasciato
Clark allo stesso tempo incuriosito e spaventato: se avesse dovuto descrivere
quello che gli era capitato la prima volta che, nel loro campo di avena, sulla
collina, aveva preso in mano un frammento di meteorite verde, non avrebbe
saputo trovare parole più adatte.
Doveva rivedere ancora
quella ragazza, e non solo per capire cosa gli fosse successo
quando le loro mani si erano toccate.
Quando il giorno prima
l’aveva vista in tuta da jogging, e quando aveva guardato nei suoi occhi viola,
aveva sentito crescere in lui una forte attrazione che andava ben oltre la
semplice curiosità.
I vestiti larghi e gli
occhiali antiquati avrebbero potuto ingannare Pete
Ross, ma lui sapeva guardare oltre.
Pensò che avrebbe potuto
essere carino passare da casa sua e prendere insieme il pullman della scuola.
Attese fuori della sua
porta per quasi mezzora, vedendo passare sul viale principale le due corse
disponibili per arrivare puntuali a lezione.
Decise che evidentemente
era già uscita di casa e si affrettò lungo la strada per correre a scuola,
quando la vide uscire dalla porta affannata, con il sacco della nettezza in una
mano, la giacca nell’altra e la cartella che spingeva con un piede, fuori di
casa. Lily chiuse bene a chiave, si guardò intorno
circospetta avvicinandosi per gettare il sacco al cassonetto davanti a casa, senza
accorgersi che lui era poco distante e… sparì alla sua vista.
Vedere le foglie della
siepe accanto alla sua casa muoversi come se ci fosse stata una ventata e
partire a corsa alla supervelocità nella stessa direzione, fu un tutt’uno.
Stava correndo dietro
alla ragazza con cui aveva passato la serata precedente ad una velocità che
aveva osato mostrare solo al suo amico Bart. Cercò di rimanerle dietro, per non
farsi vedere, ma quando lei si fermò di botto a circa un isolato dalla scuola,
fu colto alla sprovvista e quasi non la travolse, prima di sparire dentro il
portone del Liceo.
Era incredibile quello
che era appena successo!
Clark non riusciva a
capacitarsi dell’accaduto e stava con gli occhi sgranati in piedi davanti al
suo armadietto chiuso, cercando di fare ordine nella sua testa e di schiacciare
quell’insano pensiero che iniziava a solleticare come una piuma la sua
fantasia.
-Buon giorno, Clark-, la voce di Lana, dolce come miele, lo fece tornare
alla realtà. Si voltò verso di lei e vide che lo guardava perplessa, con le
sopracciglia sollevate, in attesa che lui facesse
qualcosa.
Era tanto tempo che non
si ritrovavano da soli così vicini.
Si passò una mano tra i
capelli con una risatina imbarazzata, cercò di coordinare i movimenti della sua
mano con la chiave e la serratura dell’armadietto, ma i suoi libri franarono
per terra con un sordo tonfo.
Lana si chinò per
aiutarlo a raccoglierli.
-Ti ho visto uscire
insieme a quella ragazza nuova, sabato sera-, disse Lana
mentre gli porgeva alcuni fogli sparsi, -Cosa avete fatto di bello?-
c’era qualcosa di strano nella sua voce.
Non era da lei fare
domande a bruciapelo su quel genere di argomenti, e Clark preferì glissare.
-Niente, siamo andati
subito a casa-, tagliò corto, poi vide Lana aggrottare le sopracciglia,
leggendo qualcosa che era scivolato via dai suoi libri.
-“Grazie ancora per il
tour, sono stata molto bene. Ci vediamo presto. Lily”. Deve abitare anche lei
molto lontana dal Talon a quanto pare…-, la sua voce
era diventata ruvida come la salsedine.
Restituì a Clark il
bigliettino che Lily gli aveva lasciato alla fine della lezione del venerdì
precedente e che lei aveva appena raccolto, gli fece un sorriso sforzato, e si
diresse verso l’aula dove stava iniziando la sua lezione di Francese.
Clark rimase immobile,
chinato per terra per raccogliere i libri, e la guardò allontanarsi senza
riuscire a dire una sola parola per fermarla, mentre la campanella segnava
l’inizio delle lezioni.
Riuscì ad entrare nella
sua aula appena prima del professore e passò l’ora successiva a rimuginare su
quanto aveva scoperto di Lilyanne.
Ancora una volta
quell’idea assurda che aveva scacciato dalla sua mente la sera prima tornò
imperiosa a farsi strada nel suo subconscio, nonostante i suoi sforzi per non
pensarci.
Perché era così
importante capire chi fosse quella misteriosa ragazza, per lui? Doveva essere
abituato a fatti strani di persone fuori dal normale,
ormai, come tutti a Smallville. Doveva aver imparato
che c’erano persone capaci di polverizzarne altre con il solo tocco delle mani,
o di risucchiarne tutta l’energia vitale, o che solo stringendoti a sé potevano
teletrasportare entrambi a miglia e miglia di distanza, come Alicia.
Cosa avrebbe avuto di
così diverso Lilyanne? Rientrava nella normale
diversità di Smallville.
Rigirò tra le mani il
foglietto con la scritta viola perdendo la cognizione del tempo, finché, quando
la campana suonò, si rese conto di non aver preso neanche una riga di appunti
della lezione.
Quando uscì dall’aula, Lilyanne era ad aspettarlo davanti al suo armadietto. Aveva
pettinato i suoi capelli in una treccia raccolta sulla nuca e al posto del
solito del suo solito stile extra-large indossava un twin set di maglia color
pesca dal taglio decisamente antiquato e jeans scuri.
Clark notò che sul naso
aveva una diversa montatura di occhiali, un po’ più piccola e tondeggiante. Le
lenti erano sempre le stesse e mutavano il viola dei suoi occhi in un colore
sgradevole.
Decise di fare finta di
nulla per quello che aveva visto solo un’ora prima, e cercò di comportarsi
naturalmente con lei, per quanto fosse una cosa un po’
complicata, visti tutti gli interrogativi che si poneva ormai da giorni.
-Dormito bene
stanotte?-, gli chiese sorridendo, apparentemente tranquilla.
Clark annuì con non
molta convinzione e pose la stessa domanda a lei.
-Ho dormito poco,
perché… avevo da rimettere un po’ in ordine in cucina e poi dovevo sistemare
questi-, disse indicando gli occhiali. Clark sollevò le sopracciglia, ma non
fece domande.
-Volevo solo dirti che…
sono stata davvero bene con te, Clark-, fece una
breve pausa, - …ma è meglio se cerchiamo di non vederci più-, lo disse tutto
d’un fiato cercando di mantenere un’espressione il più convinta possibile, ma
dal suo sguardo triste era chiaro che avrebbe voluto l’esatto opposto di quello
che chiedeva.
Non attese la risposta
di Clark, lo salutò con un gesto della mano e corse a cercare l’aula di
disegno, al piano di sopra, lasciandolo ammutolito con i libri in mano, per la
seconda volta in quella giornata.
-Stai proprio perdendo
punti, Kent, se ti fai liquidare così anche dalle
racchie!-, disse una voce alle sue spalle.
Era Robert Greedy, perfettamente a suo agio nella nuova giacca dei Crows conquistata in una sola settimana e senza alcuna
conoscenza nella squadra, a parte Pete.
Clark non cedette alla
provocazione e, salutandolo con un sorriso sarcastico, se lo lasciò alle
spalle, dirigendosi verso il Torch.
Chloe
non c’era. Al suo posto, da dietro il monitor di un Apple, Clark vide spuntare
la testa di Lois.
-Ciao Smallville! Sorpresa!-
Clark alzò gli occhi al
cielo, -Ciao Lois, cosa ci fai
qui? Quando riparti?-
-Che accoglienza
affettuosa! Comunque, per la tua gioia, non riparto prima di quindici giorni.
Sai, al College hanno stabilito una sospensione delle lezioni e quindi…-
-Perché, di solito tu
segui le lezioni, Lois? Pensavo fosse un optional,
per te!-
-Spiritoso. Ad ogni modo
sono già passata da casa tua e tua madre è stata felicissima di vedermi. Ha
detto che mi aiuta a trasferire le mie cose in camera tua più tardi! Ah… ti ho
portato un regalo: è un abat-jour dei Transformers… ti ci vuole qualcosa di più aggressivo di
quello di Winnie the Pooh, Smallville!-
Clark emise una specie
di grugnito di disapprovazione, lasciò lo zaino per terra e si buttò,
sconsolato, sul divanetto del Torch.
Lois
rimase a guardarlo per qualche istante stringendo appena gli occhi: si era
aspettata una reazione meno rassegnata. Non era da Clark fuggire alle sue
provocazioni.
Si diede la spinta su
una cassettiera di legno e scivolò sulla sedia con le ruote fino al divano,
puntando i suoi occhi verdi dritti in quelli di Clark.
-Che hai, Smallville?-
Secondo Clark, uno dei
peggiori difetti di Lois era quello -sempre e
comunque- di riuscire a fargli dire quello che non le avrebbe mai voluto
rivelare. Era odiosa, presuntuosa, sarcastica e indisponente
oltre ogni limite, eppure, con lei, Clark sapeva di poter essere sincero,
perché lei non lo avrebbe giudicato, semmai compreso, sebbene su questo
avessero un tacito accordo.
La guardò dubbioso, lei
alzò le sopracciglia nella sua classica espressione “sto aspettando”, poi le
parlò.
-Sono stato appena
scaricato da una ragazza…-
-Vai avanti-, disse lei
arricciando le labbra, non senza lasciarsi scappare un sorriso vagamente irriverente.
-Solo che non c’è mai stato nulla tra noi, né io le ho dato modo di credere
che potessi essere interessato!-
-Sì, va bene. Raccontala
ad un altro questa balla. Deve per forza esserci stato
qualcosa, Clark!-
-Diciamo che… abbiamo
parlato molto, negli ultimi giorni-, Clark fu il più evasivo possibile.
-Ad ogni modo, non
voglio indagare, se non vuoi raccontarmi. Ti dico solo questo: se in qualche modo sei interessato a lei, vai e cercala. Se se
n’è accorta lei, devi per forza aver fatto qualcosa di cui ti sei accorto anche
te, ma non lo vuoi accettare. Se invece non ti
interessa affatto, allora ringrazia che non sia stata
con te appiccicosa come spesso accade-
Gli
sorrise tenendo le labbra serrate, si voltò e scivolò di nuovo verso il pc. Subito dalle casse uscirono i suoni di qualcosa che
doveva essere un videogame di battaglie stellari.
Clark si concesse solo
pochi secondi per pensare, si alzò e riprese lo zaino.
-Grazie Lois, sei stata illuminante, come al solito-, disse uscendo.
Loislo prese come un caloroso ringraziamento, nel loro
singolare modo di comunicare, e lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì
alla sua vista.
Quel giorno non riuscì
ad incontrare di nuovo Lilyanne. La cercò a scuola,
pensando di trovarla impegnata in uno dei laboratori, poi passò da casa sua, ma
era deserta, a parte E.T. che dormiva acciambellato
sul divano in salotto.
La sera provò a
chiamarla, ma non rispose nessuno.
Cenò con poco appetito e
salutò subito i suoi, rintanandosi nel fienile.
Era tanto che non
guardava le stelle con il suo telescopio. Il cielo limpido e la luna ancora
giovane permettevano di vedere perfettamente il firmamento.
Clark cercò la costellazione
dalla forma di una testa di lupo, di cui le aveva parlato una volta Kyla, ma non la trovò. Non era stato più capace di distinguerla, dopo quella volta, e le carte celesti che
aveva non la riportavano.
-Chissà se Krypton era
davvero l’occhio del lupo…-, si chiese, e il suo pensiero tornò senza volerlo a
Lily.
La vide correre
velocissima davanti a sé, la mattina, e pensò che la reazione che lui aveva
avuto non era stata così sorpresa come sarebbe stato
lecito aspettarsi.
Si meravigliò di se
stesso e sorrise.
Il giorno dopo l’avrebbe trovata, era una promessa.
Durante tutta la
mattina, il proposito di Clark non fu messo in pratica e Lilyanne
non si fece vedere.
Quando fu ora di pranzo,
Clark salutò sulla porta della mensa Pete e Chloe, che li aveva raggiunti, e si mise nuovamente alla
ricerca di Lily.
Aveva deciso che era
interessato a conoscere cosa nascondesse e cosa gli fosse capitato quella sera
a casa sua.
La trovò seduta sugli
spalti vuoti del campo di football della scuola, che sgranocchiava una mela[2] . Si avvicinò senza fare rumore, perché aveva paura che
potesse scappare via, vedendolo arrivare.
-Sai, quella mela che
stai mangiando, non è poi così genuina. Dovresti provare una delle nostre…-,
disse sedendosi accanto a lei.
La prima reazione della
ragazza fu un sorriso, felice di vederlo, poi si ricordò di quello che gli
aveva domandato e si adombrò.
-Cosa ci fai qua, Clark?
Sbaglio o ti avevo chiesto di non vederci più?-, lo disse senza alcun astio,
forse con una punta di rassegnazione.
-E’ vero, me lo avevi
chiesto, ma non mi hai dato alcuna spiegazione e poi… chi ti dice che io dia
retta a tutto quello che mi dicono gli altri?-, sorrise sfrontato e divertito,
sicuro che lei non se ne sarebbe andata.
Rimasero qualche minuto
in silenzio, ascoltando il suono del vento che lambiva la loro pelle e
scompigliava i loro capelli.
La squadra di football
iniziò a rumoreggiare da dentro gli spogliatoi, segno che a breve sarebbero
iniziati gli allenamenti e, con essi, anche le lezioni
pomeridiane nelle aule del liceo.
-Clark,
tra un po’ devo essere in classe-, disse Lily cercando di chiudere là la loro
conversazione.
Il senso del dovere di
Clark gli impedì di istigarla a saltare la lezione.
Mentre, in lontananza,
la prima campanella squillava, si arrese e la salutò.
-Sarò davanti alla porta
della tua aula quando finirà l’ora-, poi si fece più
serio,-Lily, ho bisogno di parlarti, per favore…-
-Se sarai così veloce da
trovarmi ancora lì, allora parleremo, ma, Clark, ti prego, non insistere…-, lo
salutò voltandosi e sparendo sotto la gradinata.
“Contaci”, pensò Clark e tornò verso l’edificio, mentre i primi
giocatori dei Crows entravano in campo, lasciando
fluire un soffio di malinconia tra i ricordi di Clark.
-Sono stato abbastanza
veloce?-, la voce di Clark sorprese Lily mentre usciva
dall’aula al termine della lezione, pochi secondi dopo che la campana era
suonata.
Gli
sorrise imbarazzata vedendo la sua via di fuga svanire. Clark stava
fermo davanti a lei aspettando la sua prossima mossa.
Lo guardò scuotendo il
capo, lo prese per un braccio e lo guidò fino al giardino dietro l’edificio,
deserto a quell’ora, quando gli alunni tornavano a casa svuotando il liceo e il
sole calava dietro l’orizzonte, colorando ogni cosa di rosso.
Gli si mise davanti
guardandolo dal basso verso l’alto. Voleva chiarire quella situazione non
voluta e chiudere con quella storia una volta per tutte.
-Senti, Clark, se sapessi quanto ti sono grata per l’appoggio che mi hai dato
in questi giorni, capiresti che lo faccio solo per te. Io sono … pericolosa, e
non voglio che ti accada niente di male. E poi… non sentirti in dovere di stare
con me per via dell’imposizione del preside: so che sono una persona poco
interessante e preferisco stare da sola, davvero. Per favore, salutiamoci qua-
Si tolse gli occhiali e
lo fisso intensamente, sperando che lui accettasse le sue parole.
-Ti prego…-
Senza staccare gli occhi
dai suoi, Clark le prese una mano e la strinse delicatamente tra le sue,
sentendo una leggera scossa dentro di sé, come una scintilla che infiamma la paglia secca. Guardava la sua bocca che si
muoveva, ma non ascoltava le sue parole: gli occhi viola lo chiamavano come il
canto di una sirena.
Provò la familiare
sensazione di essere comandato dai sui sensi, sentì dentro la
testa il ronzio che precedeva l’esplosione, ma seppe controllarla. Solo un vago
riflesso della sua energia trapelò nei suoi occhi che per un istante si
accesero mostrando quello che ardeva dentro di lui.
Si chinò su di lei e la
baciò, rispondendo a quello che la sua anima comandava al suo corpo, totalmente
prigioniero dei suoi sensi.
Sentì un brivido
attraversargli tutta la schiena e il sangue convergere in basso, nel suo
ventre, mentre defluiva dalla testa con una vertigine. Sentì le sue labbra
stendersi in un sorriso, mentre il suo bacio si faceva più audace.
Provò a resistergli, da
principio, puntando le mani tremanti sul suo petto, per allontanarlo da sé.
Lui sciolse il bacio,
guardandola ansimante per un istante. Gli scostò i capelli dalla fronte con una
carezza.
Sentì le sue braccia
scivolare dietro al suo collo e tirarlo a sé, cercando la sua bocca con labbra
ardenti.
Le sue dita tremanti si
insinuavano tra i suoi capelli, mentre la stringeva tenendola per la vita,
mentre il fuoco diventava liquido e scorreva nelle loro vene, dimentichi di
poter essere osservati, dimentichi della terra sotto di loro, dimentichi di
quali fossero i loro nomi e i loro destini.
Fu come volare ancora,
staccati appena dal suolo, mentre il flusso delle emozioni scambiate metteva a
nudo le loro essenze, condividendo le sensazioni come in un unico essere.
Clark sentì le sue gambe
vacillare per un istante, quando capì di non aver desiderato mai nessun’altra
come in quel momento. Non Lana, non Alicia.
Si sentì folle e
potente, e gli piacque.
Mosse una mano verso il
suo volto, verso il collo lungo e sottile, scivolando tra i capelli e
sorreggendo la sua testa mentre continuava in quel bacio appassionato che
pareva non finire più, diventando a tratti dolcissimo,
a tratti quasi violento, come se entrambi volessero impossessarsi fisicamente l’uno
dell’altra. Sentì in bocca il sapore del sangue, ma non si fermò e continuò a
baciarla, con ardore.
Non avrebbe saputo dire,
in quel momento, a chi appartenesse.
D’un tratto la sentì
irrigidirsi e staccare la bocca bollente dalla sua. Si sentì di nuovo con i
piedi per terra.
Vide nei suoi occhi
sgranati lo stesso fuoco che sentiva di avere dentro di sé, vide il suo volto terrorizzato mentre cercava di allontanarsi spostando lo
sguardo lontano da lui.
Poco distante un ciuffo
d’erba si incendiò come acceso da un’energia invisibile; poi un altro ancora, e
uno un po’ più distante, mentre il volto di Lily era
contratto in una smorfia di terrore.
Da i
suoi occhi uscivano fasci di energia e lacrime, che le rigavano il volto
brillando alla debole luce delle fiammelle isolate.
Durò poco più di pochi
secondi, un lampo veloce, e tutto era passato, poi lei si lasciò scivolare
verso il basso, come priva di energie.
Clark fu subito pronto a
sostenerla, prima che toccasse terra, e la strinse a sé, senza dire una parola,
mentre la sentiva singhiozzare in silenzio, disperata, aggrappata con le mani
alla sua maglia.
Clark
si portò una mano alla bocca e sentì che aveva una piccola ferita sul labbro:
quindi il sangue era il suo… com’era possibile?
Poi guardò meglio Lilyanne e vide che anche lei aveva un piccolo graffio
sulle labbra rosso carminio.
Scosse la testa non
riuscendo a capire cosa stesse succedendo e la strinse
più forte, spostandole ancora con la mano la lunga frangia e scoprendo la sua
fronte imperlata di sudore.
Era bella, Lily, come
aveva immaginato, con il volto stanco e preoccupato, le labbra rosse che
risaltavano sulla pelle chiara e i suoi occhi che rilucevano per le lacrime
intrappolate tra le lunghe ciglia nere , le mani
sottili dai polsi esili strette alle sue, il petto che si alzava e abbassava
mentre il respiro tornava normale.
In lontananza il suono
di una campanella avvertiva gli studenti del liceo che la scuola stava
chiudendo, Clark sentì gli ultimo studenti abbandonare
l’edificio e vide le luci della palestra spegnersi dietro a loro.
Si sentiva come sospeso
in una bolla senza tempo, aspettando che la ragazza fosse pronta a guardarlo
nuovamente negli occhi.
-Hai visto quello che ho
fatto?-, gli domandò senza staccare il volto dal suo petto, tenendo gli occhi
ancora chiusi, con voce appena udibile.
Clark sospirò e portando
una mano al suo viso asciugò le lacrime dalle sue guance, carezzandola perché
aprisse gli occhi.
-Lily…
è successo anche a me, ma posso aiutarti a controllarlo-, le disse piano,
scoprendosi, con voce morbida, tenendola abbracciata.
Lei lo guardò stupefatta
allontanandosi e mettendosi in ginocchio, davanti a lui. Gli prese la mano.
-Aiutami-,
chiese semplicemente. Tutto quello che poteva non conoscere di lui, le era
apparso chiaro quando si erano uniti in
quell’indimenticabile bacio.
-E’ meglio andare via di
qui, ora, se stai bene-, le chiese preoccupato,
lasciando la sua mano tra quelle di Lily.
Uscirono dall’area della
scuola da un buco nel recinto posteriore, via di fuga storica di generazioni di
allievi della scuola, ignorata volontariamente dai vari capi d’istituto nel
corso degli anni.
Poco dopo di loro, dallo
stesso accesso, uscì una persona con il capo coperto dal cappuccio di una felpa
arancione. In mano aveva gli occhiali di Lilyanne
dimenticati nell’erba e tremava di rabbia e delusione.
Clark portò Lily alla
sua fattoria, mentre il sole spariva dietro le colline ad ovest di Smallville.
Si sentiva più vivo che
mai, avrebbe voluto correre e urlare, per liberare l’energia che aveva dentro e
che lo spingeva a stringere ancora la mano di Lily.
Scambiarono appena poche
parole lungo la strada e quando giunsero alla sua casa, Clark la fece entrare
nel fienile e la fece accomodare sul divanetto davanti al tavolo.
-Aspettami qua-, le
disse, e corse in casa a prendere qualcosa da mangiare.
Lily rimase ferma,
decidendo che non avrebbe curiosato tra le cose di Clark. Era ancora confusa
per quanto era avvenuto solo pochi minuti prima. Non
si era mai sentita così, prima, in vita sua.
Era stato come se ogni
particella del suo corpo fosse stata attratta da Clark, come se non fosse il
suo cervello a decidere le sue azioni, ma fossero state dettate dal sangue che
aveva sentito ribollire nelle vene, fino a trovare la strada per arrivare a
lui, mischiandosi al suo in quel bacio sorprendentemente intenso.
Aveva tradito la
promessa che si era fatta tanto tempo prima. E di
nuovo aveva rischiato di perdere tutto.
Clark fu rapidissimo a
tornare. Aveva in mano un vassoio con dei dolci ancora caldi e una brocca di
latte. Era chiaramente confuso, non meno di lei, ma sorrideva sincero e felice.
Nell’attesa, Lily aveva
sciolto i suoi capelli che ora ricadevano lunghissimi fino al divano in morbide
onde scurissime, con riflessi ambrati e aveva fermato le ciocche più corte con
delle pinzette di osso, che aveva nella borsa. Aveva lasciato, per la prima
volta, che la sua natura non fosse nascosta da tutti
quegli espedienti che, negli anni, aveva elaborato per “non apparire”.
-Stai bene così-, disse
Clark, imbarazzato, sfiorando appena i suoi lunghi capelli, -Perché non ti
mostri sempre per quello che sei?-
Lily nascondeva un corpo
invidiabilmente morbido e perfetto sotto larghi maglioni, copriva il suo volto
con la frangia e quei grandi occhiali spessi e fuori moda, camminava
leggermente curva con la testa un po’ incassata tra le spalle e arricciava le
labbra in modo strano, quando sorrideva agli altri, per apparire più brutta.
Abbassò lo sguardo,
sollevando le spalle, in un gesto di rassegnazione.
-Perché è questo che
sono, Clark, una persona orribile…-
-Non è vero, e lo sai
benissimo, Lily. Tu sei… bellissima-
La vide arrossire e
abbassare lo sguardo, non riuscendo a trattenere un sorriso vergognoso, poi
iniziò a raccontare.
-Non è così, Clark. Io
sono responsabile della morte dei miei genitori e… del ragazzo che amavo-,
confessò, alzandosi in piedi e guardando fuori, verso i campi coltivati.
-Io e lui praticamente
siamo cresciuti insieme. Eravamo compagni alle scuole inferiori. All’inizio non
potevamo sopportarci, poi accadde una cosa, quando avevamo dodici anni. Ero
sola con lui nel laboratorio di mio padre, perché ci avevano costretto a
preparare insieme una ricerca per la scuola, quando lui iniziò a curiosare
ovunque aprendo cassetti e tirando fuori dalle scatole
ogni oggetto che trovava. Io mi arrabbiai moltissimo e… beh, diciamo che mi
avventai contro di lui perché la smettesse di fare tutto quel casino, quando
lui aprì un’ultima scatola. Fu questione di attimi e io mi ritrovai a terra
rantolando dal dolore, come se mi fosse tornato un altro attacco come mi era
accaduto da bambina. Credetti di morire. Fu lui che mi aiutò e mi strinse forte
a sé, terrorizzato, urlando che non voleva perdermi, perché mi voleva bene. Mi
trascinò fuori dalla stanza, chiamando aiuto, ma
eravamo soli, in casa. Mi fece stendere per terra, nell’altra stanza e andò
verso il telefono, per chiamare il 911. Fui io a fermarlo: così come era
venuto, quel misterioso attacco era passato, lasciandomi solo un po’ di
fiatone. Da allora divenimmo inseparabili. Non so cosa avesse
fatto, ma mi aveva salvato la vita-, Lily si fermò, riflettendo sulle sue
ultime parole e sospirò.
-Poco dopo ci
trasferimmo a Gotham City, lui non poteva permettere
che ci dividessero e mi promise che mi avrebbe raggiunto, quando ci saremmo
iscritti al liceo. Fu allora che venne a vivere con noi e, per me, era come
avere un fratello. Stavamo sempre insieme e ci divertivamo a fare scherzi agli
altri, alle feste, come due ragazzi normali. Ma il tempo ci fece dimenticare i
due bambini che bisticciavano sempre e, crescendo, crebbe anche l’attrazione
tra noi. Circa due anni fa, per sbaglio, entrai in camera sua per portargli dei
panni stirati mentre lui stava vestendosi. Fu la prima
volta che mi sentii… beh, insomma, fatto sta che riuscii appena a chiudermi la
porta alle spalle che quagli strani raggi uscirono dai miei occhi friggendo il
muro, davanti a me. Mio padre si accorse dell’accaduto e riprese a studiarmi,
in segreto, la notte, quando gli altri dormivano. Non gli dissi mai cosa aveva
scatenato quella reazione in me, ma lui giunse alla conclusione che, qualunque
cosa fosse stata, avrebbe potuto accadere di nuovo e
così fabbricò per me degli occhiali di vetro con alta percentuale di piombo
polarizzati in laboratorio e temprati a temperature elevatissime. Mi disse che
avrei dovuto portarli sempre, per sicurezza. Ma io non ubbidii-, si voltò verso
Clark trafiggendolo con i suoi occhi viola pieni di lacrime.
-Qualche tempo dopo, una
sera dopo cena, accadde che io e Gregeravamo insieme a studiare, sul tavolo di cucina, mentre i
miei stavano in salotto. C’era un’atmosfera strana, ci scambiavamo occhiate di
continuo. Io lo sapevo che anche lui provava qualcosa per me… era come se
galleggiassi su una nuvola… Fu lui a prendermi la mano per primo e mi fece una
carezza. “Non dire nulla”, mi disse, e si avvicinò. Io sentivo il cuore battere
all’impazzata, lo ricordo ancora, sentivo la testa iniziare a girare. Mi tolse
gli occhiali e io lo lasciai fare, perché sapevo che mi facevano apparire
brutta, e io non volevo essere brutta ai suoi occhi. Poi di nuovo si avvicinò,
stringendomi alla vita, e poi… successe di nuovo quella cosa,
ma io non riuscii a capire i segni del mio corpo e mentre stava per baciarmi
aprii gli occhi…-, aveva la voce spezzata dai singhiozzi e non riuscì ad andare
avanti.
Clark si avvicinò a lei
e le asciugò con i pollici le lacrime che bagnavano il
suo volto. Lily prese un respiro e proseguì.
-Non credo che si sia
accorto di morire. Accadde tutto velocemente. Un attimo prima mi stava per
baciare e un attimo dopo era per terra, davanti a me e... e… non aveva più la faccia. Non riuscivo a
fermarmi. Mi voltai intorno disperata colpendo con
questi maledetti raggi i mobili della cucina, il tavolo, i fogli su cui stavamo
studiando… mio padre e mia madre accorsero subito, ma ormai Greg
non respirava più, ed io ero in preda ad un attacco violento di panico: urlavo
e non la smettevo di piangere, non volevo che mi allontanassero da lui. Colpii
violentemente con un calcio mia madre, che battè la
testa contro un mobile e perse i sensi. Mio padre fece qualcosa e… poi ricordo
solo di essermi svegliata qualche ora dopo nel mio letto. Mi sentivo spossata e
stanca come mai prima d’ora. Il funerale di Marc fu fatto due giorni dopo.
Vennero i suoi e se lo riportarono a New York. Non seppero quello che era
successo. Io non volli vederli e rimasi chiusa nella mia stanza per tutto il
tempo. Da allora decisi che sarei stata lontana da ogni persona e mi chiusi in
un’asocialità insana, nascondendomi alla vista degli altri. Volevo diventare
invisibile. Comunicavo con il mondo solo tramite i miei articoli e quello che
scrivevo qua e là, dove capitava. Avevo paura del mostro che ero diventata, e
non volevo più che nessuno si avvicinasse a me. E avevo
ragione.-
-Nonostante tutti i miei
sforzi e l’affetto che i miei avevano comunque continuato a nutrire nei miei
confronti, le precauzioni prese da mio padre non furono sufficienti. Qualunque fossero i miei poteri distruttivi, le lenti che mio padre
aveva pensato per me non bastarono a fermare quello che accadde pochi mesi
dopo. Avvenne qualcosa, in quei giorni, qualcosa fuori dalla
mia portata e che non era legato a niente che mi fosse avvenuto prima.
Sviluppai altre strane stranezze che avrebbero dovuto mettermi in guardia,
perché inattese e violente. Non volli ascoltare il mio corpo, ancora una volta.
Poi mi sentii male, come se tutte le energie mi avessero abbandonate senza
motivo, e svenni. Era come se fossi alimentata con la corrente, che andava e
veniva. Ma quando aprii gli occhi e vidi i miei attorno al mio letto, allora,
accadde qualcosa che non potei fermare in alcun modo. Di
nuovo quei dannati raggi incontrollabili: la mia stanza prese fuoco in
un attimo e prima che i miei potessero scappare, prima che io potessi fare
qualcosa per loro, di nuovo le forze mi abbandonarono e svenni una seconda
volta, come una pila che si scarica. Intanto le fiamme erano scese lungo il
tappeto per le scale e poi lungo la boiserie dell’ingresso, verso la cucina,
fino ai tubi del gas. Saltò tutto in aria. La mia casa, la mia mamma, mio
padre: bruciò tutto in un istante. L’esplosione fu sentita a chilometri di
distanza. Tutto sparito, finito-, fece una pausa.
-Mi trovarono con gli
abiti strappati e bruciati incollati alla pelle solo la mattina dopo, quando fu
spento l’incendio. I miei non c’erano più, mentre io ero semplicemente svenuta
ed ero sporca di fuliggine. Credo che sia stato il mio tutore a mettere a
tacere ogni voce a riguardo e a chiudermi in quella clinica, per un po’ di
tempo, finché le chiacchiere non si furono calmate. Poi mi disse che dovevo
trasferirmi qui-
Clark pensò al rischio
enorme che aveva passato Lana, quando anche a lui era successa una cosa simile,
al Talon, e sospirò. Quel momento sembrava perdersi
così lontano nel tempo, ormai.
Guardò Lily e, stavolta
consciamente, si interrogò su chi fosse davvero. Correva come una saetta,
lanciava fuoco dagli occhi… possedeva anche una forza sovrumana e poteva vedere
attraverso gli oggetti?
La guardò cercando una
risposta dentro di lei.
O dentro se stesso.
Non lo sapeva.
-Mi stai guardando come
se fossi un mostro, Clark. Te l’avevo detto di stare
alla larga da me!-, si voltò per andarsene, ma Clark la trattenne per un braccio.
-Aspetta! Te l’ho già
detto: è successo anche a me e ora posso controllarlo-, era deciso a non
lasciarla scappare via, anche a costo di rivelarle il suo segreto.
Lily indugiò un istante,
poi si lasciò condurre lontano dalla casa, in un campo isolato e, ormai,
illuminato solo da uno spicchio di luna.
Clark raccolse una
piccola balla di fieno e la mise a distanza da loro.
-Prova a centrarla con
quel raggio-, le disse.
Lily lo guardò alzando
le sopracciglia, -Non posso farlo a comando!-, protestò.
-Sì che puoi: guarda-
La balla di fieno prese
fuoco e Lily potè vedere perfettamente gli occhi di
Clark mutare dal verde al fuoco e poi tornare di nuovo verdi
e profondi, rassicuranti. Era rimasta con la bocca socchiusa e si accorse che
stava trattenendo il fiato.
-Fallo tu, ora, prova a
concentrarti-
-Clark…
io non so come tu lo fai, ma nel mio caso è una
reazione che io non comando ad un particolare impulso che… beh, a te!-,
confessò arrossendo.
-E allora mira a me-,
disse Clark, mettendosi davanti a lei.
-Ma cosa dici? Lasciami
in pace, Clark!-, urlò voltandosi e iniziando a camminare veloce,
allontanandosi.
Clark corse alla
supervelocità e si mise davanti a lei, lasciandola di stucco.
-So fare anche questo…
Fidati di me, non mi farai male-
Lily lo guardò dubbiosa
e confusa,ma lui la incitò con lo sguardo. La vide
stringere i pugni e le labbra in un evidente sforzo di concentrazione, ma non
accadde nulla.
Riprovò ancora, poi si
arrese.
-Non siamo uguali,
Clark, io non sono in grado di fare quello che fai tu!-, gridò disperata.
La tenne ferma
stringendola alla vita, avvicinando il volto al suo fin quasi a sfiorarla,
fissandola con smeraldi infuocati. Un gioco pericoloso, perché poteva non
tornare indietro, come nel pomeriggio e cedere ancora alla passione che di nuovo
spingeva prepotente dentro di lui, levandogli il respiro.
Lily sentì il cuore
battere all’impazzata, provò una vertigine. Sentì come una piccola scossa
dentro la testa, dietro gli occhi, avvertì i muscoli dietro le orecchie
contrarsi, le palpebre aprirsi e subito dopo stringere, la messa a fuoco
mutare.
I suoi occhi cambiarono
colore brillando per un istante, poi non riuscì a trattenere il raggio.
Clark sparì appena in
tempo dalla traiettoria e si fermò accanto a lei.
-Wow…!-, disse.
Lei lo guardò a metà tra
lo spaventato e l’esaltato.
-Se hai sentito quello
che è successo dentro di te ora, prova a ricrearlo, concentrati su quella balla
di fieno. Puoi farcela-
Lily contrasse le
palpebre e i muscoli sulla testa, trattenne il respiro, ricercò dentro di sé quella
scintilla, strinse gli occhi e sentì che divenivano infuocati. Si concentrò sul
bersaglio e li riaprì velocemente.
Il fieno prese fuoco e
Lily si voltò verso Clark, incredula per avercela fatta.
Altri raggi le
sfuggirono e colpirono Clark di striscio, prima che potesse correre via.
-Ehi! Calma, occhi
viola!-, dalla manica della giacca usciva un sottile sbuffo di fumo.
Lily corse da lui
preoccupata e lo aiutò a sfilarsi la giacca e la maglia, che stavano bruciando.
Afferrò il suo braccio, controllando che stesse bene e vide solo un
piccolissimo graffio, che non sanguinava.
Gli si buttò al collo,
con cuore che batteva velocissimo, terrorizzata per quello che sarebbe potuto
accadere, chiedendogli scusa infinite volte.
Clark sorrise e attese
che fosse lei ad allontanarsi. Poi sentì che lei
abbassava la testa appoggiandosi sulla sua pelle.
Lily teneva il volto
appoggiato al petto nudo di Clark, poteva sentire il suo odore che le riempiva
le narici, fino alla testa, il suo cuore non rallentava. Sentì ancora la
scintilla nella sua testa, ma, quella volta, seppe
controllarla.
Inspirò profondamente e
si staccò da Clark, sorridendogli, più calma.
-Proverò ancora, Clark,
ma voglio che tu stia lontano da me, per favore-, si chinò e raccolse la maglia
e la giacca di Clark, un po’ bruciacchiate sulla manica destra e gliele porse.
Clark, seminudo davanti
a lei, arrossì. Sperò che la luce della luna non fosse sufficientemente forte perché
lei se ne accorgesse.
Si allontanò a distanza
di sicurezza, comprendendo la paura della ragazza, specie dopo quello che gli aveva confidato e la osservò esercitare
questo strano potere sul fieno che bruciava in un attimo, lasciando solo una
piccola area di prato sciupata.
Rimase a guardarla a
lungo, finché fu lei a fermarsi e si avvicinò si nuovo
a lui.
-Ti chiedo scusa per
prima-, disse, poi socchiuse gli occhi e fu più diretta.
-Ti chiedo scusa anche
per quello che è successo dietro la scuola oggi. Ho visto come… guardavi quella
tua amica al bar e poi a scuola, e credo di non sbagliare a dire che è stata
lei che per poco non hai colpito con i tuoi occhi, non è vero?-
Clark non aspettava un
discorso del genere, aggrottò le sopracciglia e, sebbene un po’ controvoglia, annuì in silenzio.
Lily gli
sorrise e deglutì.
-Devo andare, ora, è troppo
tardi. Grazie per tutto, Clark. Il tuo segreto è al sicuro con me… tu, per
favore, non dire a nessuno quello che sai di me-
Clark non fece in tempo
a risponderle, perché era già corsa via, attraverso i campi, a grande velocità.
Credette di leggere un’ombra di delusione nei suoi
occhi.
Tornò lentamente verso
casa, riflettendo su tutto quello che era accaduto in quella lunghissima
giornata, interrogandosi sul suo comportamento nei confronti di Lilyanne.
Poteva ancora sentire
sulla sua bocca il sapore del bacio che si erano scambiati, ricordare la
passione che si era impossessata di lui quel pomeriggio. Una sensazione che non
aveva mai provato prima e che coinvolgeva ogni molecola del suo corpo. Era come
una calamita di segno opposto che lo attraeva senza che nulla potesse
impedirlo.
Quando arrivò alla sua
camera, aprì la porta e, nel buio, raggiunse il letto e ci si buttò sopra.
C’era qualcosa di
strano. Qualcuno era sul suo letto e si rigirò verso di lui, mettendo un
braccio sul suo petto.
-Stai con me…-, farfugliò
la voce addormentata di Lois.
Si era completamente
dimenticato di lei! Inorridì scivolando via dal suo abbraccio involontario e
uscì silenziosamente dalla stanza.
Corse in bagno,
accendendo la luce levando un sospiro di sollievo per non aver svegliato “la
bestia”.
Si avvicinò al mobiletto
sopra il lavandino e si osservò nello specchio: la piccola ferita che aveva sul
labbro inferiore era ancora lì, e bruciava come fosse stata incisa con il
fuoco.
Il fuoco…
Uscì di casa e andò a
dormire sul divano nel fienile, coprendosi con una coperta piccola e vecchia.
Aveva intuito una cosa,
quel pomeriggio, qualcosa che sembrava essere arrivata a lui non con il
ragionamento, ma filtrando direttamente nelle sue vene.
Se quello che ogni sua
cellula gli stava urlando era vero, forse, non era solo sul pianeta Terra…
“C’è qualcosa dentro di me,
qualcosa che, se la rivelassi al mondo,
mi
costerebbe l’emarginazione.
Rimarrei sola, forse oggetto di
curiosità morbose, ma sola.
I miei amici mi guarderebbero con
disprezzo, mi eviterebbero come se fossi
un’Intoccabile
della casta più infima.
C’è un’energia che mi brucia dentro
e che cerca di liberarsi,
per vivere
la mia natura diversa.
Chi ha conosciuto il mio segreto,
in un modo o nell’altro,
ha pagato
per colpe non sue e ora
non c’è
più.
Vorrei urlarlo al mondo,
alle
volte,
a chi mi
chiede perché non riesco ad essere me stessa e a dare la mia fiducia agli
altri,
ma ho
paura che dopo essi siano risucchiati nel vortice
della mia
menzogna e non mi accettino,
non
perdonino il mio silenzio.
Non so cosa sono,
ma quello
che sono,
nessuno lo
saprà mai.
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1 COMMENTS:
The Daffodilsays:
… è terribile… è andata così a me e
ora sono rimasta sola e emarginata, come una cosa disgustosa, una creatura
mostruosa. Chissà se lui, ogni tanto, pensa ancora a me…
In fondo lo so: l’ho perso per
sempre…
Posted at 2:26PM 14/02/2004
”
Clark
arrivò a scuola in ritardo, la mattina successiva. Era riuscito a prendere
sonno solo alle prime luci dell’alba e non aveva con sé la sveglia, che era
rimasta sul suo comodino, vicino aLois,
né aveva sentito i primi richiami di sua madre, dall’aia davanti casa.
Quando era sceso, sua
madre non gli aveva rivolto la
parola. Suo padre, quando lui era rientrato in cucina con la
faccia sconvolta e i capelli spettinati, aveva la faccia nera.
Clark aveva intuito che
il temporale si sarebbe sfogato su di lui, così, rassegnato, si era seduto al
tavolo incrociando le mani davanti a sé.
-Avanti, non tiratela
per le lunghe. Ditemi quello che mi volete dire e facciamola finita-
-Facciamola finita,
Clark? E’ quasi una settimana che hai preso questa casa per un albergo! Torni
solo per dormire, la sera sei sempre fuori casa e non ci dici dove vai, ti sei
dimenticato delle tue faccende, e stamattina non sapevamo dove fossi finito,
perché in salotto c’erano solo la coperta che ti avevamo lasciato e il tuo
pigiama ancora piegato. E ieri sera tua madre ti ha visto portare una ragazza
nei campi, al buio! Spero che tu non abbia passato il limite un’altra volta
Clark perché sarebbe davvero…-
-Jonathan,
calmati adesso!-, Martha si era avvicinata a Clark e aveva posato una mano
sulle sue, -Se c’è qualcosa che ti turba, Clark, se qualcosa non va bene, devi
parlarcene, perché solo rimanendo uniti possiamo affrontare i problemi. Tuo
padre ed io vorremmo che…-
-Vorreste controllare
ogni mia mossa, lo so bene! Ho diciotto anni, mamma! Sono grande a sufficienza
per poter vivere da solo la mia vita. Non ho più bisogno di voi che mi dite
cosa fare o cosa non fare!-, Clark era balzato in piedi, staccandosi dal
contatto con sua madre.
-Attento a come parli, ragazzo!-, Jonathan era
furente.
-Perché sennò che fai?
Mi minacci con la kryptonite?-
Entrambi erano rimasti
in silenzio alle parole del figlio. Johnatan era
uscito di casa, sbattendo la porta alle sue spalle, Clark, aveva sospirato
profondamente, serrando le mascelle e deglutendo.
-Tuo padre ti ama
profondamente, Clark, e se entrambi parliamo così è perché siamo preoccupati
per te. Ieri sera ha chiamato Chloe, preoccupata
perché non ti aveva visto alla lezione di Matematica del pomeriggio. Sei
tornato a casa e ti sei subito chiuso nel fienile e poi… chi era quella
ragazza, Clark? Tu sei un ragazzo così bello e onesto e noi siamo preoccupati
per quello che le altre persone potrebbero indurti a fare. E’ già successo che
tu scappassi con una ragazza e quello che ti è successo non è stato bello, Clark-
Alicia…
Sua madre stava dicendo
che Alicia lo aveva raggirato per farne il suo giocattolo.
-Vedi mamma… è vero, Alicia
mi aveva drogato con la kryptonite rossa, ma aveva
ragione: quello che è successo è solo quello che io volevo che succedesse. Ma l’ho capito troppo tardi, quando ormai
lei non c’era più…-, fece una pausa, tenendo la testa bassa. Poi la fissò negli
occhi.
- Ti prego, mamma, ho
bisogno di poter essere padrone delle mie scelte, ho bisogno di sbagliare da
solo…-
-Ben detto, Smallville. A proposito, ne sai nulla di questa? Era sul
mio letto, stamattina. Ah, pardon, sul “tuo” letto!-, aveva detto Lois scendendo dalle scale ancora in pigiama, con la giacca
bruciacchiata di Clark in mano.
Martha aveva abbassato
lo sguardo, colpita dalle parole del figlio.
Quando Lois era sparita dietro la porta del frigo, Clark aveva
rivolto alla madre un’occhiata più forte di cento
parole e sfiorandole la mano con la sua, era uscito.
La nottata passata in
bianco non aveva portato le risposte che Clark sperava di trovare, semmai aveva
ancora di più confuso quello che si agitava dentro di lui.
Il breve sonno che aveva
fatto era stato scosso da un sogno che ricordava appena, al suo risveglio.
C’erano Lana e Alicia,
opposte tra loro come bellissime guerriere, lui era nel mezzo e più avanzava
verso una, più l’altra lo tirava a sé e viceversa,
come Gano legato ai cavalli che correvano in direzioni opposte.
Intorno a loro divampava
un incendio che bruciava le case e le urla d’aiuto delle persone care
laceravano la sua volontà. Ma arrivava una terza guerriera, portando sull’armatura
un simbolo kryptoniano marcato a fuoco, che riusciva
a liberarlo da Alicia, facendola sprofondare negli abissi, mentre chiamava
ancora il suo nome e da Lana, che si allontanava con occhi fiammeggianti,
sparendo tra le fiamme. Non aveva visto in volto la terza donna, ma, quando si
era voltata per spegnere l’incendio intorno a sé, aveva notato sulla sua
schiena nuda, in alto,un altro simbolo simile ad un rombo con
un cerchio in basso.
Prima che potesse
avvicinarsi a lei per farla voltare, si era svegliato, madido di sudore, per la
voce della madre che lo chiamava da dietro la porta.
Quando arrivò a scuola,
incontrò Chloe che usciva dal Torch
chiudendo a chiave. La salutò, ma lei rispose freddamente.
-Sono di fretta. Magari
ci vediamo dopo-, fece qualche passo, poi si voltò con espressione tesa.
-Clark,
per favore… stai attento. Lo so che tu sei sempre pronto a dare la tua fiducia
totale alle persone, ma… ecco, stavolta
stai attento…-
Clark la guardò
aggrottando le sopracciglia, non capendo quello che volesse
intendere. Chloe si voltò per andarsene, ma lui la
fermò mettendole una mano sulla spalla.
-Che vuoi dire?-
Chloe
prese aria: era preoccupata e al contempo nel suo sguardo si poteva leggere un
velo di rabbia. Lo guardò sperando che non ci fosse bisogno di spiegare quello
che intendeva, ma Clark scosse la testa.
-Clark,
quella ragazza, Lilyanne… non sono sicura che sia a
posto. Ho paura che sia d’accordo con Lionel Lu…-
-Basta così, Chloe! Finora ho sempre cercato di difenderti e di capire
quanto il tuo comportamento fosse legato all’interesse
che hai per il Torch, ma ora basta! Non puoi
inventarti illazioni contro di lei solo perché il preside ha pensato che,
giustamente, servirà un sostituto alla guida del giornale per l’anno prossimo.
Basta!-, disse e, senza salutarla, le voltò le spalle e cercò di entrare al Torch, ma la porta era chiusa.
-Aprimi, Chloe-
-E’ questo che pensi,
Clark? Che io sono solo gelosa di lei?-
Clark cercò di contenere
l’arrabbiatura.
-Per favore, apri la
porta, ho bisogno di guardare una cosa sul computer…-
-Mi dispiace, Clark, ma
non puoi entrare ora, io devo andare-, disse e, tremando, si allontanò. Poi
tornò sui suoi passi, scura in volto.
-Quando vedi la tua
nuova amichetta, ricordale che alle tre abbiamo fissato l’intervista per il Torch-
Clark non le rispose.
-Ah… E dille anche che
ieri ha perso i suoi “bellissimi occhiali” nel giardino dietro la scuola…-, se
ne andò senza aggiungere altro, indossando al volo la sua felpa arancione.
Chloe
li aveva visti! Clark pregò che non avesse assistito anche a quello che aveva
fatto Lily, ma, pensò, in fondo si era trattato solo di pochi ciuffi d’erba
bruciati; forse da lontano non se ne sarebbe potuto accorgere nessuno.
Era per questo, allora,
che era così astiosa nei suoi confronti. Eppure non era da lei inventare balle
per soddisfare il suo spirito di protezione nei suoi confronti. Aveva passato
il segno, ma allo stesso tempo era dispiaciuto per una tale reazione: chissà
che idea si era fatta di lui, che solo poche settimane prima stava seduto
davanti alla tomba di Alicia in uno stato dal quale, se non fosse stato per i
suoi amici, non sarebbe uscito tanto velocemente.
Ripensò al suo gesto del giorno prima: era stato troppo avventato.
Aveva dato ascolto solo a quello che gli diceva il suo corpo, senza pensare,
prima di agire. Era stato scorretto e troppo impulsivo. Lily non se lo
meritava.
Chloe
uscì come un treno dall’edificio, evitando lo sguardo delle persone che
incontrava.
-Lasciami stare, Pete-, disse al suo amico che, vistola così strana, aveva
provato a parlarle.
Si fermò dietro la scuola,
sedendosi ad un tavolo isolato: poco importava saltare la lezione di inglese,
doveva accertarsi di alcune cose molto più urgenti.
Dalla borsa che portava
stretta al fianco estrasse un fascicolo di fogli e stampe di fotografie, prese
fiato e, cercando di mantenersi il più possibile imparziale, iniziò a
ricostruire il puzzle che era la vita di LilyanneLeibniz.
Aveva passato la notte e
metà della mattinata a cercare ovunque tra gli schedari della scuola e su
internet qualsiasi informazione su di lei, aveva
contattato alcune conoscenze agli uffici dell’anagrafe di Metropolis
e aveva raccolto una sfilza di fatti strani degni della parete delle
stramberie. Ora si trattava di dare a tutto una consecutio
logica e soprattutto un senso.
Si fermo un attimo a pensare:
non avrebbe agito a quella maniera, si disse più che altro per convincersene,
se la sera prima, seguendo la Leibniz, non avesse visto che, al suo
ritorno a casa, a notte inoltrata, c’era ad attenderla davanti alla sua porta
la limousine di Lionel Luthor.
Cosa avesse
fatto fuori, con Clark, fino a quell’ora, non voleva neanche pensarlo,
visto quello a cui aveva assistito dietro la scuola e che ora giaceva
immortalato in una foto tra i vari fogli sparsi sul tavolo.
Quando era arrivata
davanti alla sua casa, per prima cosa, la Leibniz portava i
capelli sciolti e aveva legato in vita il cardigan, rivelando, dai vestiti resi
più stretti, che non si trattava affatto di una “racchia”, come aveva già
sentito definirla in giro.
Seconda cosa, e di
importanza molto maggiore ad ogni altra, Lionel Luthor
era sceso dalla limousine – era la prima volta che Chloe
lo vedeva da quando era uscito misteriosamente di
prigione – e aveva fermato la ragazza sulla porta, invitandola ad entrare nella
sua auto, per parlarle.
Erano rimasti fermi
davanti alla casa per quasi un quarto d’ora, dopodiché Lilyanne
era uscita aprendo lo sportello e entrando dritta in casa sua. Chloe non era riuscita a capire assolutamente nulla di
quell’incontro, ma le era parso così strano che proprio quella ragazza, entrata
in maniera quasi miracolosa nella vita di Clark, fosse legata in qualche modo
ai Luthor, che le era subito balzata alla testa la
somiglianza del suo caso con quello di Adam, inviato perché spiasse Lana, solo
pochi mesi prima.
Doveva assolutamente
aiutare Clark ad uscire da quella storia in cui si stava invischiando mettendo
a rischio il suo segreto.
Da quando Alicia le
aveva mostrato di cosa fosse capace il ragazzo che aveva accanto a sé da così
tanto tempo, senza che lei si fosse mai accorta di niente, le tessere del
mosaico Clark-Luthor prendevano il giusto posto nella
sua mente, presentandole un quadro poco rassicurante per lui. Forse la Leibniz
era una delle tante pedine nelle mani di Lionel e cercava solo di smascherare
Clark, per darlo in pasto a quell’essere immorale.
Doveva proteggerlo,
anche a costo di rendersi odiosa.
Rilesse per l’ennesima
volta le informazioni su di lei, una più nebulosa dell’altra: si sarebbe potuto
fare un film, della sua vita, pensò scartabellando i fogli, finché non si fermò
ad osservare le foto che aveva scattato di nascosto il
giorno prima, dietro la scuola.
Sentì lo stomaco
stringersi nel vedere di nuovo con quanta passione il suo Clark la stava
baciando: ma come aveva fatto, quella lì, a sedurlo così rapidamente e senza un
minimo di sex appeal! Le faceva male guardare le mani grandi di Clark strette
sulla sua schiena e, dopo, tenerla abbracciata, accoccolati per terra, come fossero due fidanzatini.
-Santo cielo che orrore!
Allora avevo ragione io, che qualcosa aveva pur dovuto fare, il vecchio
marpione!-, la voce di Lois, alle sue spalle, la fece
sobbalzare: non l’aveva sentita arrivare.
Subito Chloe si affrettò a riunire fogli e foto, imbarazzatissima,
salutandola.
-Ehi ehi
ehi, ferma lì! Voglio anch’io il mio gossip
quotidiano!-, disse la cugina sfilandole di mano il gruppo di foto, senza che
lei riuscisse a fermarla, - Da quando ti sei messa a fare
il Paparazzi della situazione?-
Osservo una ad una le stampe, mutando espressione di volta in volta, interessata.
-E chi sarebbe, questa moretta?-, chiese alla fine, sedendosi a
cavalcioni della panca, accanto a Chloe, complice e
curiosa.
-Lasciamo perdere…-, le
rispose la cugina scrollando le spalle. Riprese le foto e fece cenno a Lois di seguirla nella scuola.
Ne avrebbero parlato più
tardi.
Clark non vide Lily,
quella mattina, né a pranzo, a mensa. La cercò al campo, come il giorno prima,
manon era
neanche lì, allora decise di aspettarla fuori dal Torch
se si fosse fatta viva con Chloe. Voleva avvertirla prima
di mandarla in pasto alla cinica giornalista che, a volte, Chloe
sapeva essere. E quella volta, Chloe, sarebbe stata
spietata, visti i presupposti.
Lily arrivò puntuale,
svoltando da dietro l’angolo trafelata. Aveva il volto
preoccupato, di nuovo era vestita con una larga felpa e aveva i capelli
acconciati male. Non aveva gli occhiali, però.
-Clark,
grazie al cielo, Clark… devo parlarti-
-Anche io, Lily…-
Lo guardò sconsolata,
scuotendo appena la testa, -Senti… per quello che è successo ieri: mi dispiace,
è stato un errore…-, Clark rimase interdetto, deluso dalle sue parole.
-Clark,
ascoltami… è successa una cosa ieri, quando sono arrivata a casa… tu conosci un
uomo che si chiama…-
-Ciao a tutti! Wow,
Clark, non sai che ti sei perso ieri! Ti ricordi di Samantha,
vero? E’ fantastica! Ha un’auto eccezionale, dovresti vederla!-
Pete
arrivò a troncare il discorso tra loro, stordendoli con il racconto di una
spettacolare corsa fatta sull’auto della sua nuova amichetta, la sera prima,
fuori della città e li trascinò dentro la stanza
Quando li videro, Chloe e Lois si affrettarono a
mettere via le cose che stavano guardando insieme.
Chloe
lanciò a Clark un’occhiata seria e pensierosa, lui ricambiò con preoccupazione,
pregando che non volesse davvero accusare Lily di
chissà cosa.
-Bentornata al Torch, Lilyanne, accomodati
pure-, disse Chloe dopo un attimo di pausa,
melliflua.
Pete
disse che doveva andare e Clark fece per seguirlo. Lois
si sedette in disparte, in un angolo.
-Resta qui, Kent. Avrò bisogno che tu mi aiuti a prendere appunti
durante l’intervista-, disse asciutta Chloe.
“Kent??” si domandò sconvolto Clark, e
lo stesso fecero Lois e Pete,
che, uscendo, sentì come Chloe si era rivolta a
Clark.
Lilyanne
era evidentemente in tensione per l’atmosfera tesa che si era creata tra Clark
e Chloe.
-Bene, LilyanneLeibniz, ora ti mostro
come lavora un giornalista. Ho qui la tua scheda. Vedo che sei nata a Metropolis dove sei rimasta fino a tre anni. Poi, fino ai
dodici sei vissuta a New York e da allora sei stata a Gotham,
per cinque anni. Una vita movimentata, a quanto pare-
Lilyanne
provò ad interromperla, ma Chloe procedeva come un
treno, stringendo un pugno, sotto al tavolo, sapendo che stava sparando troppo
in alto. Ma doveva rischiare di rimetterci la faccia. Per Clark.
-Cosa ti abbia portata
proprio a Smallville, adesso, lo vedremo in seguito.
Ora vorrei farti alcune domande sul tuo passato. Mi risulta che la tua vita sia costellata di fatti alquanto bizzarri, chiamiamoli pure incidenti, se preferisci, dai quali sei
sempre uscita, miracolosamente, salva-, prese un altro foglio stampato, mentre
Lily sgranava gli occhi per quello che stava dicendole la giornalista
d’assalto.
Lois
si sistemò sulla sedia, nell’angolo, evidentemente a disagio. Clark,
ammutolito, ascoltava la condanna emessa da Chloe.
-1992: l’auto su cui
viaggi con i tuoi veri genitori durante una vacanza a New York, si disintegra
contro una grossa Jaguar sulla
statale 87. I tuoi muoiono sul colpo, l’uomo alla guida della Jaguar riporta ferite gravissime, tu ne esci illesa. 1994: vieni portata in fin di vita all’ospedale di Metropolis. Vieni salvata da tuo
nuovo padre adottivo che, apparentemente senza uso di farmaci, ti riporta in
vita. Long Island, 1998: l’auto di amici, su cui viaggi, si schianta contro un
TIR lungo la statale per New York. Tre morti, tra cui la donna che guidava e
sua figlia: tu ne esci illesa. 1999: al centralino dell’911 arriva la chiamata
di un ragazzino che dice che una sua amica sta morendo. Quella chiamata parte
dalla tua casa, ma il giorno seguente sei presente a scuola e vinci pure le
gare sportive: specialità 100
metri e salto in alto. Gotham
City, due anni fa viene trovato morto un ragazzo nella
tua casa, i vicini riferiscono di avere sentito una donna urlare e rumori di
colluttazione nella casa. Sei mesi dopo: un misterioso
incendio scoppia nella tua casa, provocando una terribile esplosione: tua madre
e tuo padre muoiono per la deflagrazione, tu rimani venti ore sotto le macerie
e ti trovano il giorno dopo, in condizioni fisiche perfette, a parte lo shock
psicologico. E ancora: cosa si nasconde sotto il tuo aspetto da Ugly Betty? Sappiamo che sei molto più bella di quello che
vuoi apparire: dagli archivi del liceo di Gotham,
classe prima, infatti sei descritta come una ragazza
brillante, estroversa e molto attraente. Poi arrivi qua con un look decisamente
fuori moda e ancora una volta la tua natura misteriosa viene fuori riuscendo in
meno di una settimana a sedurre nientepopodimeno che
il qui presente Clark Kent, ex quarterback[1]
della squadra di football della scuola, mai capitolato così in fretta senza uso
di droghe. Sai, ho alcune foto vietate ai minori scattate ieri pomeriggio qua
dietro alla scuo…-
-Chloe,
smettila!-, la voce di Clark era dura come mai l’aveva sentita prima.
Nella penombra, Lois, fece cadere il lapis con cui stava nervosamente
giocherellando, imbarazzata per il comportamento della cugina.
Chloe
non si arrese e continuò il suo affondo: -E come mai ieri sera sei stata a
colloquio con Lionel Luthor nella sua limousine,
davanti a casa tua? Saprai bene che Luthor è da poco
uscito misteriosamente dal carcere, che è stato più volte implicato in scandali
politici, che lavora in segreto su cavie umane e che guarda caso spesso si è
servito di gente anonima, come te, per pedinare le persone usandole come spie
per…-
-Basta!-, urlò Lily
alzandosi in piedi e puntando le mani sul tavolo. Era furibonda. Anche Clark
non poteva credere alle sue orecchie. Avevano entrambi ascoltato troppo. Chloe non si era mai spinta così in basso.
-Vuoi sapere perché mi
sono sempre salvata, ChloeSullivan?
Perché io sono diversa da tutti voi e posso distruggerti
quando voglio! Posso arrostire un pollo solo guardandolo, corro più
veloce di un treno e sono a prova di proiettile; riesco a vedere attraverso gli
oggetti e posso sentire quello che dici da decine di metri di distanza, anche
sei al sicuro, in casa tua. E so anche volare! E ora scrivilo su quel tuo
stupido muro delle stramberie che hai fatto sparire, scrivi che è stata LilyanneLeibniz, il “mostro”, a
dire a tutto il mondo quanto patetica tu sia quando la
sera te ne stai sotto le coperte con la foto di Clark Kent
tra le mani sperando che arrivi il giorno che ci sia lui, nel tuo letto, a
scoparti! Ma io non sono la spia di nessuno! Capito? Lasciami in pace, Sullivan, per il tuo bene!-
Chloe
divenne paonazza mentre sentiva le vene del collo
gonfiarsi per l’ira che stava per esplodere. Dovette prendere fiato stringendo
la bocca e riducendo a fessure i suoi occhi.
-Mi ero fidata di te-,
disse Lilyanne guardando Clark tristemente. Prese la
sua borsa da terra e si avvicinò alla porta, per andarsene.
Chloe
si mosse per continuare la loro discussione fuori dalla
stanza, ma la mano di Lois la fermò; il suo sguardo
la inchiodò sulla sedia davanti alla sua scrivania. Scosse la testa,
sconsolata, guardò la cugina sperando nella sua comprensione, che non arrivò. Chloe era come animata da una motivazione più forte della
volontà di mantenere un certo contegno.
Clark corse dietro a
Lily urtando la sedia sulla quale era seduta fino ad un
attimo prima e facendola cadere.
Quella volta non era
scomparsa, ma camminava a testa bassa, lenta, lungo il corridoio, sfiorando con
la mano la parete ruvida.
-Lily…-,
Clark posò la mano sulla sua spalla e sentì che tremava.
Le si
mise davanti e delicatamente le fece sollevare il mento: piangeva.
-Lasciami sola, Clark.
Hai già fatto abbastanza-, disse sarcastica distogliendo lo sguardo dal suo.
-Non ho detto nulla su
di te a Chloe, né sapevo che ci stava guardando, ieri
pomeriggio-, prese il suo volto tra le mani e abbassò
lo sguardo alla sua altezza.
-Devi credermi-
Una lacrima scivolò
sulla sua mano, bruciante come metallo fuso. Gli credette.
-Lily…
tu non mi avevi detto che i tuoi genitori… che sei stata
adottata…-
“Come me…”
-Clark,
io… perdonami. Mi ero illusa che il passato fosse ben
nascosto dietro le porte che mi sono chiusa alle spalle… invece è sempre lì, a
ricordarmi chi sono… Dio, Clark… io ho seppellito per
due volte i miei genitori io sono… sono…-
La abbracciò tenendola
stretta al suo petto, solo per un attimo.
-Perdonami… sono stata
una sciocca. Io avevo parlato con Chloe, ieri
mattina, e avevo capito quanto lei tenesse a te,
eppure… ho detto quelle porcherie solo per farle male. Sono… sono una persona cattiva… però, devi credermi, io non sono una spia, Clark!-,
fece per scartarlo sfuggendo al suo sguardo, ma Clark la prese per i polsi
guardandola negli occhi.
Sentiva il suo cuore
battere veloce.
-Lily…
è vero che sai volare?-, vide per un istante il suo viso sorpreso, poi si riabbuiò di botto, lo strattonò perché mollasse le sue
mani, lo allontanò da sé e se ne andò, svoltando oltre l’angolo del corridoio.
Quando Clark la
raggiunse, non c’era già più.
-E’ vero che sai volare?!-, la voce di Chloe tuonò alle sue
spalle, furiosa, dalla porta del Torch. Passi veloci
annunciarono che la sua minaccia si stava avvicinando. Clark non poté fare
altro che attendere la sua ira.
-E’ vero che sai volare?! Clark! La tua migliore amica viene
volgarmente vilipesa con stupide illazioni da una ragazzina saccente e questo è
tutto quello che sai dire? E’ vero che sai volare?!
Sei… sei…-
-Te la sei cercata, Chloe! Perché l’hai aggredita così? Che ti aveva fatto per
meritarsi un’indagine sul suo passato come quella che hai messo su in una sola
notte? Devi smetterla di aggredire così tutte le persone che ti capitano a
tiro! L’hai fatta star male e lei si è difesa usando la tua stessa arma. Chi ti
dà il permesso di indagare sulla vita di chiunque ti stia vicino? Eh, Chloe? Chi sei tu, per fare questo genere di interrogatori?-
-E tu chi sei, Clark,
per pretendere che gli altri facciano come te e mentano sempre sulla loro vita?
Io ho detto solo la verità e ho portato le prove di quello che dicevo. Lei ha
detto solo un mucchio di stupidaggini su se stessa, ha inventato storie
ridicole e fuori dalla ragione! Lei che può correre
come un treno, sparare fiamme dagli occhi e… e…-, si azzittì tutto d’un tratto,
rimanendo a bocca aperta, mentre il suo cervello lavorava frenetico cercando di
dare un senso a quello che stava dicendo, alle parole che aveva appena sentito.
Abbassò lo sguardo sui suoi piedi. Non erano del tutto
invenzioni, quelle di Lily, erano cose che potevano davvero esistere! E
la prova era davanti a lei.
Sentì il vento muoverle
i capelli e alzò gli occhi su Clark. Non c’era più.
Rientrò lentamente verso
il giornale, chiuse la porta e si sedette affondando la testa tra le mani. Lois le avvicinò una tazza di caffè e si sedette vicino a
lei, aspettando che dicesse qualcosa.
Clark aveva ragione:
quella volta aveva davvero esagerato…
Lilyanne
era sparita: Clark la cercò a casa sua e in ogni posto che le aveva visto
frequentare da quando era arrivata a Smallville.
Poi
gli tornò in mente quello che lei stava cercando di dirgli quel pomeriggio,
prima che Pete li interrompesse e dopo Chloe procedesse con la sua “intervista”: voleva parlargli,
gli stava chiedendo se conoscesse qualcuno.
Si
soffermò a riflettere: forse quello che aveva detto Chloe
non era una pura e semplice illazione, forse davvero la sera prima Lily aveva
incontrato Lionel Luthor, ma doveva esserne stata
spaventata, visto come appariva accorata la sua richiesta di parlargliene, solo
poche ore prima. Si maledisse per non aver capito
subito come stavano le cose e corse subito alla residenza dei Luthor.
Si
fece annunciare dal maggiordomo vestito di nero e attese
impaziente di vedere Lionel.
Al
posto suo, però, fu Lex a riceverlo, accogliendolo
con un sorriso e una stretta di mano.
-Lex, sto cercando tuo
padre-
-Allora
hai sbagliato luogo, Clark: mio padre è a Metropolis-,
Clark strinse le mandibole, contrariato.
-Come
mai il mio vecchio ti interessa così tanto? Cos’ha combinato stavolta?-
Clark
si avvicinò a lui, - E’ quello che vorrei appunto chiedergli, visto che sembra
abbia importunato una mia amica, ieri sera-
-Cosa
odono le mie orecchie? Il mio vecchio che se la fa con
le ragazzine?-, poi vide Clark aggrottare le sopracciglia, offeso dalle sue
parole.
-Non
ho idea di cosa abbia fatto mio padre, né con chi. Non
si tratta di Lana, vero?-, chiese, non riuscendo a
celare più che un amichevole interessamento.
-No,
non si tratta di lei-, Clark era sempre più infastidito da quello che stava
dicendo Lex e da come lo diceva. Era tardi, si voltò
per uscire.
-Se
vedi tuo padre, per favore, digli che ho urgenza di parlargli-, chiese secco, poi salutò Lex con
un sorriso a labbra strette e uscì.
Doveva
trovare Lilyanne, per parlarle, per sapere cosa le fosse successo la sera prima e per chiedere scusa per il
comportamento di Chloe e la sua domanda cretina, di
poco prima, nel corridoio del liceo.
Chiese
di lei, al Talon, ma Lana le disse che non si era più vista da quando si
erano incontrati là, lei e Clark. Aveva il volto contratto e sembrava stanca.
-Cos’hai
Lana? Va tutto bene?-, chiese preoccupato, pur sapendo che doveva sbrigarsi per
cercare Lily.
Lana
scosse il capo voltandosi verso la macchina per i cappuccini, ma non
rispose.
Clark aspettò che si
voltasse di nuovo: non era da lei sfuggire alle domande.
Evitava di guardarlo
negli occhi, non voleva parlare con lui.
-Cosa c’è, Lana?-,
insistette, sporgendosi oltre il bancone per prenderle una mano affinché si decidesse a parlare.
Lana deglutì e alzò il
volto su di lui.
-Oggi, a scuola, Chloe mi ha detto di averti visto ieri, dopo la scuola, con
la ragazza che ora stai cercando. Mi ha detto le cose che sa di lei…-
La guardò aspettando che
continuasse, mentre il suo cuore mancò un colpo.
-Cosa sai, tu, di lei,
Clark? Come… come puoi fidarti ancora di una persona così oscura… tu devi…
stare attento… pensavo che tu avessi imparato dagli errori del passato, Clark-
Sembrava ferita, eppure
le sue parole erano affilate come fogli di carta strisciati sulla pelle delle
mani.
Non aveva alcun diritto
di trattarlo a quella maniera, ma la delusione che leggeva nei suoi occhi
rendeva le sue parole dolci, cariche solo della preoccupazione e dell’affetto
che da sempre, lei sola sapeva trasmettergli.
-Sono preoccupata per
te…-, lo sfiorò sulla guancia con una fragile carezza.
-Vedi Lana, io…-,
strinse le mascelle, prendendo molta aria.
“No! Non devo giustificarmi con lei. Non devo giustificarmi con
nessuno!”
Un ruggito. Un attimo
soltanto. Sentì ribollire dentro di sé. I suoi occhi cambiarono repentinamente
espressione.
-Mi dispiace che la cosa
ti abbia turbato così tanto. Pensavo che avessimo deciso di lasciarci alle
spalle quello che c’era stato tra noi-, lasciò la sua mano.
Sentì freddo sulla pelle appena sudata.
-…tu almeno lo hai fatto.
Con Jason-, andò via come un animale ferito, senza
aggiungere altro. Non vide la piccola lacrima che scivolò lungo la guancia di
Lana.
E lei non vide le sue.
Corse più veloce chepotè passando per i campi, i
giardini, con lo sguardo appannato dalle lacrime che non riusciva a trattenere.
Era da tanto, tanto tempo che non riusciva a piangere, da
quando si era rassegnato ad una vita senza un vero amore.
Per proteggere lei.
Quello che aveva fatto pochi minuti prima era dire addio a Lana, ancora una volta.
Per l’ultima volta.
Addio ai dolci ricordi
che avevano condiviso insieme, addio alle risate, addio alla speranza di stare
con lei.
Addio al suo abbraccio
dolce e ai suoi baci fruttati. Non sarebbero tornati mai più.
Era stato lui a volerlo,
e non per seguire la sua decisione di proteggerla, ma perché voleva che fosse
proprio così, senza alcun altro motivo.
Sentiva che doveva essere così.
Era sull’orlo di un
precipizio, dopo aver fatto l’ultimo passo e senza più possibilità di tornare
indietro.
Aveva osato mettere in
pratica quell’esorcismo atroce che aveva temuto nei suoi incubi da sempre.
Aveva volontariamente
deciso di voltare le spalle al suo amore per Lana.
Aveva consapevolmente perso
il porto sicuro entro cui rifugiarsi la notte, quando il sonno non arrivava e i
pensieri trovavano riposo nel suo volto, nella sua voce.
Aveva voluto abbandonare
la riva, ma non sapeva in quale mare oscuro stava iniziando a navigare, si era
lasciato cadere in un baratro scuro in cui non poteva vedere la fine.
Ma in fondo al suo cuore
sapeva che una fine doveva esserci e tutta la sofferenza provata nel cercare di
rinunciare a Lana sarebbe stata presto ripagata.
Si concesse una sosta,
in un angolo isolato di un parco e pianse; e l’amarezza della sua decisione
scivolò via, lasciandolo attonito, con il cuore ristorato.
Doveva trovare Lily…
Chiamò Pete con il cellulare, spiegandogli cos’era successo e
chiedendogli di avvertirlo subito, nel caso avesse visto Lilyanne
da qualche parte in giro per Smallville.
Quandò
fu quasi ora di cena ripassò dalla scuola, pensando che potesse essere tornata
lì.
C’era ancora qualcuno
dentro, sicuramente Chloe, pensò.
Bussò alla porta del Torch.
Seduta alla sua
scrivania Chloe era intenta a scrivere qualcosa al pc, mentre Lois, passata a
trovare la cugina, insisteva nell’ammazzare alieni
digitali con un joypad verde fosforescente, intonato
all’Apple.
Clark chiese subito
scusa per il disturbo e uscì. Non aveva voglia di parlare con Chloe dopo il loro litigio di sole poche ore prima.
Sentì la porta aprirsi e
richiudersi dietro di lui. Era Lois, che, con un
sorriso complice, lo fissava.
-Che vuoi,
Lois?-, chiese spiccio.
-Sai, Smallville, lo so anch’io che mia cugina ha davvero passato
il limite, prima, ma non ti avevo mai visto così motivato in qualcosa come ti
ho visto prima, neanche quando si trattava di Lana… A
quanto pare ci hai preso gusto ad importunare le povere studentesse
sprovvedute…-
La guardò nero in volto,
-Non è il caso, Lois…-
-D’accordo. Ma almeno
spiegami come mai stamattina ho trovato le tue cose sul mio letto…-
-Chiedi a tua cugina che
sa tutto, magari saprà darti una risposta migliore della mia-
Lois
lo guardò accigliata e lo trattenne per una manica.
-Che hai, Smallville? Dormito male o sei davvero così furibondo per
prima?-
Clark non rispose,
inspirando a labbra strette.
-Vuoi farmi un favore, Lois? Impedisci a tua cugina di pubblicare quelle stronzate
che ha detto alla mia amica, per piacere!-
Lois
alzò le sopracciglia e rientrò al Torch, meravigliata
di come, quella volta, Chloe fosse riuscita a fare
arrabbiare così tanto quell’agnello di Clark.
Lui, senza salutarla,
voltò l’angolo e uscì dalla scuola.
In
quel momento si sentiva come nel sogno della notte precedente, solo che le
donne che ruotavano attorno a lui, e non tutte propriamente per averlo, erano
diventate troppe: Lily, Chloe, Lana, Lois… e il ricordo di Alicia non era ancora affatto sbiadito.
Tornò verso casa,
sperando, almeno quella sera, di riuscire a cenare con i suoi, evitando
ulteriori polemiche in famiglia.
Passò dal suo rifugio,
nel fienile, per ultimo veloce pensiero a quello che aveva coscientemente
fatto, l’ultimo sguardo all’immagine di Lana ancora incorniciata sulla sua
scrivania. Prese la cornice in mano, sospirò, la chiuse dentro al cassetto,
capovolta, seppellendola con mille cianfrusaglie.
Poi scese.
Entrando in casa portò
una mano alla bocca, toccò la piccola ferita sul labbro.
Un brivido.
Era ancora vivo.
Quando i suoi genitori
andarono a letto e la casa fu silenziosa, Clark si spogliò e si distese sul
divano in salotto. Per lo meno quella sera si era
ricordato che doveva dormire là.
Spense le luci e cercò
di dormire, ma il suo pensiero correva ai fatti eccezionali che aveva vissuto
negli ultimi giorni e all’idea sempre meno assurda di
capire chi fosse realmente quella ragazza dagli occhi viola.
Non riusciva a credere di
essere stato lui per primo ad avvicinarsi a lei, a sentire l’impulso profondo
di baciarla. Non era mai stato così passionale, prima. Aveva aspettato per anni
prima di riuscire a dire quello che provava a Lana, era stata Alicia, a
sedurlo, ogni volta, aveva ceduto alla magica atmosfera delle grotte, con Kyla, ma mai aveva sentito così forte quella spinta che
coinvolgeva ogni muscolo del suo corpo, ogni nervo, ogni goccia di sangue nelle
sue vene aliene. Mai aveva agito spinto dalla sua propria
volontà, dalle proprie pulsioni, da quel fuoco che si era acceso nelle sue
mani, sulle sue labbra, nei suoi occhi. Mai era stato così sicuro di quello che
stava facendo.
Non aveva mai pensato che avrebbe potuto realmente desiderare di
sciogliere il suo cuore dall’amore per Lana. Eppure era successo.
Si rigirò sui cuscini
troppo morbidi per un tempo che a lui parve lunghissimo, senza poter prendere
sonno, quando udì il rumore della chiave inserita nella toppa della porta
delicatamente.
Sentì Lois che sfilava i suoi stivali texani prima di entrare,
per non fare rumore con il ticchettio dei tacchi sul pavimento di legno, apriva
e richiudeva la porta dietro a sé, camminando in punta di piedi verso le scale.
-Lois,
sono sveglio-, disse e la sentì trasalire per lo spavento, lasciando cadere gli
stivali e le chiavi per terra.
-Mi hai fatto prendere
un colpo, Clark! Accendi!-
Clark accese la piccola
lampada sopra il mobile, in salotto, e la vide che cercava, nel buio, la
credenza dei bicchieri.
Si avvicinò e prese
anche lui un bicchier d’acqua. Lois lo squadrò da
capo a piedi.
-Bel pigiamino,
Smallville-, disse, alludendo ai pantaloni della tuta
celesti e alla fruit bianca e stropicciata che
indossava.
-Bello il tuo…-, rispose
lui, alludendo alla tutona rosa con gli orsetti e
alle pantofole a coniglietti.
Lois
le fece una smorfia, poi lo guardò più attentamente e vide che qualcosa non
andava.
-Mi cambio e torno giù.
Aspettami con la luce accesa, che altrimenti cado dalle scale. Noi due dobbiamo
parlare-
La vide salire scalza al
piano di sopra, mentre con una mano scioglieva i capelli dalla coda in cui
erano legati.
Tornò dopo pochi minuti,
con le sue pantofoline bianche e il pigiama rosa.
Aveva portato una coperta da sopra.
-Hai cattive
intenzioni...-, notò Clark alzando le sopracciglia.
Lois
si sedette sul divano, noncurante del fatto che fosse il letto di Clark, quella
notte, e per di più per causa sua. Incrociò le gambe sui cuscini e, arricciando
il mento, disse: -Eccomi qua, Smallville. Raccontami tutto
quello che pesa sul tuo cuoricino di rompiscatole!-
Rimasero a parlare tutta
la notte, prima del più e del meno, poi delle foto che Lois
aveva visto di Clark e Lilyanne, poi di Chloe e di quello che Clark provava per la nuova arrivata.
Clark non disse nulla dei poteri di Lily, né, ovviamente, dei suoi, ma le parlò
della sensazione che aveva provato quando l’aveva
incontrata e che Lois aveva definito “il classico
colpo di fulmine”.
Verso le tre di notte
Clark preparò una tisana che bevvero in veranda, imbacuccati nelle coperte di
lana scozzese, seduti sul dondolo.
Lois
gli confidò di aver litigato con Chloe, quella sera,
per come si era comportata nei confronti di Clark e di Lily, e ammise di aver
trovato imbarazzanti le foto scattate da Chloe, senza
pietà. Non era riuscita a farla ragionare, pensava, perché quando c’era di
mezzo lui, era noto, sua cugina smetteva di ragionare e iniziava ad agire in
maniera agitata.
-Eppure, Smallville, tu sei così… così…-, le sue risate soffocate
terminarono la frase, mentre gesticolava cercando con le mani le parole che non
riusciva ad esprimere, prima che Clark le sfilasse una pantofola e la facesse
volare nel prato davanti alla casa, in segno di protesta.
Quando iniziò ad
albeggiare Lois annunciò che sarebbe tornata in
camera, prima che uno dei genitori di Clark scoprisse che il loro pargoletto
era stato importunato, nottetempo, da una nota sciupa uomini di città e “li
mettesse entrambi in castigo”.
-Mi ha fatto piacere
parlare con te. Grazie-, le disse sorridendole.
-Non c’è di ché, ma non
prenderci gusto, eh! Io e te, di giorno, siamo come cane e gatto, ricordi? Ne
va del mio buon nome!-, ricambiò il suo sorriso, recuperò la pantofola e salì
di sopra, facendo più piano che poté.
Clark rientro e si
distese sul divano, in attesa di un riposo che, quella
notte, non arrivò.
[1] La
storia si immagina essere inserita dopo l’episodio “Pariah”, mentre Clark
rinuncia alla sua carriera di quarterback solo nell’episodio successivo. Ho
deciso di prendermi questa licenza e di anticipare l’abbandono del football a
prima che Alicia morisse.
“Come ogni lunedì, anche
stavolta apriamo la rubrica “What’s New?” con la
presentazione dei nuovi arrivati nella nostra scuola.
LilyanneLeibniz del terzo anno, classe 1986, è uno
dei due nuovi acquisti del Liceo di Smallville.
Studentessa esemplare con risultati ottimi in tutte le materie, arriva dalla Gotham West High School. Di lei
sappiamo che ha viaggiato molto, spostandosi tra alcune delle più belle città
degli Stati Uniti, prima di arrivare al nostro Liceo. Alle atmosfere cupe e gli
inverni rigidi di Gotham City, Lilyanne
ha preferito il clima più solare e genuino di Smallville,
dove è arrivata portando con sé la sua esperienza di giovane giornalista del
settimanale della scuola. Quattro volte campionessa di corsa e salto in alto durante
i primi due anni delle scuole superiori, Lilyanne ha
ottenuto in passato riconoscimenti scolastici per le sue ricerche nel campo
della chimica molecolare e della matematica. Lo scorso anno ha vinto le
Olimpiadi della Matematica di Gotham, sbaragliando
persino concorrenti del College. Caratterialmente riservata, Lilyanne ha sempre preferito l’essenza, all’apparenza,
scegliendo di non piegarsi alle mode e ai dettami dell’ultima ora e dimostrando
di saper scegliere i suoi amici preferendo compagnie genuine. Parleranno di lei
la rubriche di Scienza e Società che dal prossimo mese vedrà la sua firma e gli
articoli di fondo del lunedì mattina, secondo le più recenti disposizioni della
Presidenza: LilyanneLeibniz
sarò colei che raccoglierà il testimone della redazione del Torch,
quando i gloriosi vecchi membri dello staff voleranno verso college o impieghi
al termine di questo anno scolastico. Come ad ogni nuovo studente del Liceo di Smallville, la redazione del Torch
è lieta di darle il benvenuto nella scuola.
Robert Greedy, del quarto anno, invece,
arriva da Metropolis, dove ha frequentato alcune
delle più prestigiose scuole private. A quanto pare Robert è un ragazzo
riservato e per questo non ci è stato possibile ricavare tutte le indiscrezioni
che volevamo dalla sua intervista! Sappiamo però che nel corso della sua
carriera sportiva ha sempre primeggiato nelle varie squadre in cui ha giocato
riuscendo da subito a guadagnarsi il ruolo più ambito. Anche alla Smallville High School è andata
così: “Greedy ha un modo di correre verso meta che
lascia stordito e immobile chiunque si trovi sul suo cammino”, “Credo sia il
suo gioco di gambe che ti confonde e subito dopo sei a terra, chiedendoti come
hai fatto ad andare giù”, “O lui è un genio, o è come se ti ipnotizzasse,
quando ti viene incontro, e poi passa sempre oltre e va a meta!”, queste sono
solo alcune delle testimonianze dei compagni di squadra sulla strana tecnica di
gioco del nuovo arrivato a Smallville. Dei suoi
profitti scolastici sappiamo poco, se non che sono sempre stati eclissati dal
successo in campo. All’apparenza molto estroverso, Greedy
ha una certa propensione al mistero, cercando di mettere fuori strada chiunque
voglia conoscere qualcosa del suo passato. Cosa nascondi dietro la tua maglia
da quarterback, Robert Greedy? Tutto il liceo è
ansioso di scoprirlo.
ChloeSullivan”
-E’ impazzita!-, Pete rilesse tre volte l’articolo della rubrica “What’s New?” del Torch e la
conclusione cui arrivò fu sempre la stessa.
Non appena vide Clark,
quella mattina, più spettinato e assonnato del solito, lo travolse infilandogli
sotto al naso il giornale e dicendogli che dovevano trovare Chloe
e poi chiamare il Belle Reve.
Anche Clark non riuscì
a credere ai suoi occhi, dopo quello che era successo solo pochi giorni prima,
ma concluse che senza dubbio non era da Chloe
rinunciare ai suoi scoop senza una valida giustificazione, sebbene Lois fosse stata senza dubbio spietata, con lei, da quel
poco che gli aveva raccontato quella notte che avevano passato a chiacchierare
in veranda.
Certo, era vero… si era presa la sua vendetta con le parole al
vetriolo contro Robert Greedy: non le era proprio
andato giù il modo in cui, pochi giorni prima, lui l’aveva offesa.
Quando la videro
arrivare a scuola, era come al solito di fretta, ma le si leggeva sul volto
un’espressione tesa, a metà tra il sereno e il disperato. Sembrava un martire
che va al patibolo, pensò Clark, seguendola dentro la redazione e chiudendo la
porta alle loro spalle. Era dal mercoledì prima che non le parlava a
quattrocchi.
-Grazie tante!-, disse Pete, rimasto fuori, e se ne andò.
Clark le lanciò il
giornale aperto a pagina cinque.
-Cosa significa?-
Chloe
abbozzò un sorriso sforzato. Prese fiato.
Sapeva di aver fatto un
altro errore di cui non aveva parlato a Clark, in quel giorno maledetto: si era
sfogata con Lana per la delusione di aver visto il ragazzo che ancora amava
avvinghiato in un bacio passionale con la prima secchiona arrivata. Era
successo per caso, la mattina. Lana era entrata al Torch
mentre lei stava riversando le foto scattate la sera prima sul computer e non
aveva potuto fare a meno di notarle. All’inizio si era mostrata delusa dal
fatto che l’amica si fosse messa a spiare Clark, poi, nonostante tentasse di
dissimularlo, era diventata partecipe dello sdegno di Chloe,
che insisteva nell’affermare, sull’ondata di gelosia e preoccupazione, che
Clark era stato raggirato. Chloe aveva letto negli
occhi di Lana la delusione cocente per quello che aveva saputo. Forse anche lei provava ancora qualcosa per Clark…
-Significa che mi sono
resa conto di aver un po’ esagerato mercoledì… E non
conosco altro modo per chiedere scusa se non quello di dire la verità… anche se noi sappiamo che questa è solo una parte,
della verità, perché io non ho la memoria corta, Clark. Ma poi ho pensato: cosa
ne può interessare agli altri se la nuova compagna è scampata alla morte una o
dieci volte? Forse era più interessante parlare di conquiste sportive e scolastiche…-
Clark piegò la testa da
una parte sbuffando e stringendo le mascelle.
Erano parole che
scottavano, dette da lei. Aveva gettato la spugna?
Chloe
lo guardò senza espressione, mentre i suoi occhi fiammeggiavano come quelli di
una leonessa dietro le sbarre.
-Non aspettarti che
abbassi la guardia con lei, Clark, né che le stenda un tappeto rosso per
arrivare alla scrivania del Torch. Dovrà conquistarsi
il suo spazio presentando dei buoni articoli, anche se ha il preside dalla sua.
… e anche te, a quanto ho potuto vedere-
-Chloe,
perché hai parlato a Lana di questa storia? Te lo chiedo ancora una volta: che
diritto hai di intrometterti nella mia vita e nella vita di quella povera
ragazza?-
Chloe
ammutolì, non aspettandosi che Clark fosse già al corrente del suo ulteriore
sbaglio. Aveva fatto tutto per proteggerlo, si ripeteva, ma onestamente
coinvolgere Lana non era di certo la strada migliore di tenersi stretta la sua
amicizia. Forse era per questo che non li aveva visti più parlare insieme,
nell’ultima settimana, per causa sua.
-Mi dispiace-, disse
soltanto.
-Anche a me-, rispose
Clark, e uscì, lasciando cadere il giornale nel cestino della carta.
-Sei riuscito oggi a
trovarla?-, chiese Pete a Clark quando uscirono
dall’aula, dopo la lezione di economia.
Clark scosse il capo.
-Non pensavo che
potesse essere diventata così… complicata la storia
con lei, in così pochi giorni!-, gli dette una pacca sulla spalla. Clark scosse
la testa.
Forse Pete non avrebbe potuto capire, neanche se gli avesse
spiegato le cose che sapeva di Lily.
Si incamminarono verso
il Torch, per riprendere gli zaini che avevano
lasciato lì.
-Ho chiesto in
segreteria, stamani, ma mi hanno detto che anche oggi Lily non è venuta a
scuola. E ora ci si mette anche Chloe a fare casino
con questi articoli…Pete,
senti, io devo andare a vedere se Lily è a casa sua…
correrò veloce… se ritardo cerca una scusa per
giustificarmi con il prof…-
-Prima devi dirmi una
cosa, Clark… senza offesa: come è possibile che tu
sia così interessato a quella ragazza? Cioè, voglio dire…
non la conosci...-
-Sento di conoscerla, invece…-
Entrarono al giornale,
in quel momento deserto. Sul tavolo luminoso erano posati i ritagli per
l’impaginazione dell’edizione del giorno dopo; sulla scrivania, accanto alla
lampada Mathmos,la tazza fatta ad alieno verde di Chloe
odorava del caffè rimasto sul fondo.
“Posso rinunciare al
muro delle stramberie, ma non abbandonerei mai il piccolo omino verde!”, aveva
detto Chloe una volta, sorridendo complice verso
Clark.
Clark la rigirò tra le
mani, ripensando con ironia al fatto che era stato proprio lui, il primo anno,
ad avergliela regalata, prima di conoscere le sue vere origini.
Chloe
rientrò in quel momento.
Erano in troppi, in
quella stanza…
-Vado-, disse Clark e
aprì la porta per uscire.
-Vengo con te-, disse Pete.
Lilyanne
stava per bussare.
Aveva i capelli legati,
senza la fascia sulla fronte e indossava dei pantaloni neri. Portava una felpa
leggera color del cielo. Tra le mani aveva il giornale scolastico.
Si trovò faccia a
faccia con Clark sulla porta del Torch, entrambi
evidentemente imbarazzati. Nessuno dei due osava parlare né muoversi, evitando
di guardarsi negli occhi.
La campanella suonò
giusto in tempo per liberarli dall’imbarazzante situazione. Clark uscì e lei
entrò, scambiandosi solo uno sguardo.
Gli bastava aver visto
che stava bene e che era a scuola. Gli batteva troppo forte il cuore per
parlarle, in quel momento.
Non avrebbe mai pensato
di provare quella sensazione per qualcuna che non fosse Lana.
All’intervallo
successivo le avrebbe parlato, fosse cascato il mondo!
Arrivò davanti al
laboratorio di Chimica e si salutò con Pete, che non
aveva quel corso.
Entrando in aula vide
Robert Greedy che lo salutava con una mano,
avvicinandosi a Pete. Senza dubbio anche lui era
rimasto male per le parole di Chloe.
Lilyanne
era entrata al Torch per parlare proprio con lei. Non
sapeva se doveva ringraziarla per l’articolo, o arrabbiarsi ancora per il terzo
grado della settimana prima, o scusarsi, per come lei aveva reagito alle sue
parole.
Chloe,
da parte sua, sapeva di aver trovato uno dei modi meno spontanei di chiedere
scusa, e quasi si pentiva di aver scritto una qualunque cosa su di lei.
Anche tra loro due ci
fu un momento di stasi, nel quale nessuna delle due sapeva cosa dire.
-Clark
è fortunato ad avere un’amica come te-, disse Lilyanne,
vincendo l’imbarazzo e rompendo il ghiaccio.
Chloe
le sorrise, -Mi dispiace per ieri. Credo che abbiamo tutti detto cose che non
pensavamo-
Abbassò lo sguardo,
perché, in fondo, non era convinta di quello che stava dicendo. La gelosia
bruciava ancora.
Cercò nei suoi occhi la
conferma alla sua affermazione. Lily annuì e mostrò il giornale.
-In tutta onestà,
quando l’ho letto sarei sprofondata dalla vergogna…
non sono abituata ai complimenti!-
-Né io a farli, in realtà… Ma ho pensato che fosse giusto così-, Chloe sollevò le spalle arricciando il mento.
Ora avevano davvero
finito gli argomenti a loro disposizione, pensò Chloe
sperando che la ragazza se ne andasse al più presto sollevandola da quella
atmosfera pesante e imbarazzata.
Lilyanne
fece un passo verso la porta, salutò e uscì.
Un attimo dopo bussò
ancora alla porta del Torch.
-Chloe… se sei
libera, dopo le lezioni, mi chiedevo se ti potrebbe andare di prendere qualcosa
da bere insieme…-, era totalmente a disagio e
stringeva il giornale tra le mani stropicciandone le pagine grigie.
Chloe,
meravigliata dalla domanda, ebbe un attimo di esitazione. Poi le sorrise,
rassegnata.
-Certamente. Qua chiudo
alle sei, se vuoi possiamo andare insieme da qualche parte-, le rispose.
Lily si sciolse appena,
posando il giornale sulla sedia davanti a lei.
-Troviamoci alle sei
qua davanti, ok?-
-Se per te non è un
problema, preferirei trovarci da qualche altra parte…
più lontano-, sembrava preoccupata. Forse non voleva incontrare ancora Clark.
-Allora troviamoci al Talon, alle sei e un quarto-
Si salutarono, entrambe
sorprese dalla direzione che aveva preso il colloquio e un po’ preoccupate per
quello che avrebbero potuto condividere nel pomeriggio.
Clark attese Lily quasi
un’ora, agli armadietti nel corridoio, aspettando che la lezione terminasse.
Voleva parlare
assolutamente, perché, da quando l’aveva vista sparire, dopo l’intervista,
aveva temuto che se ne fosse andata per sempre. C’era qualcosa che lo spingeva
a cercarla, da quando si erano visti la prima volta, che andava oltre la sua
razionale comprensione, qualcosa che trascendeva i segreti che avevano
condiviso, le lacrime e le carezze e che faceva pesare la sua assenza come un
blocco di granito sull’anima.
Non la conosceva a
sufficienza per poter dare di lei giudizi ponderati, ma la “sentiva” incredibilmente
vicina.
Tutte le cose che aveva
vomitato in faccia a Chloe, durante l’intervista,
erano materia quotidiana per lui. I poteri che aveva citato, così,
apparentemente a caso, erano i suoi
poteri.
Non riusciva a capire
se avesse scherzato, o se avesse parlato di lui, perché conosceva tutta la
verità, e non solo la parte che gli era stata raccontata.
Oppure se fosse tutto vero.
Doveva sapere, ma
voleva essere il più cauto possibile con lei, per non vederla sparire come era
successo a Las Vegas con Alicia.
La vide avvicinarsi
tenendo tra le braccia una pila di libri e quaderni. Non aveva i suoi occhiali
scuri.
Non ne aveva più
bisogno.
Si fermò davanti a lui
e lo guardò. I suoi occhi erano come spine che trafiggevano la sua cortina e
squarciavano le sue barriere invisibili. Sembrava che qualcosa di grosso la
preoccupasse, qualcosa che la settimana prima non era lì a velare il suo
sguardo limpido.
-Devo parlarti-, le
disse.
Lily inspirò, -Non c’è
niente da dire, Clark. Va tutto bene. Ho chiarito con Chloee…-
-Chloe
non c’entra! Devo parlare con te-
Lo guardò pensierosa, -Clark, è meglio se facciamo una pausa, per favore-
-Lily,
ma io…-
-Ti prego, non cercarmi
più, fai finta che io non esista, che tu non mi abbia mai incontrata-
La sua espressione non
dava adito a proteste.
Gli rivolse un breve
sorriso e posò una mano sul suo braccio, salutandolo, come se in realtà non
volesse staccarsi da lui. Poi sparì tra la massa degli altri studenti, verso
l’uscita.
-Ti prego non cercarmi
più, fai finta che io non esista?? Ti ha detto proprio così?-
-Già…
non mi ha dato modo di parlarle, di chiederle scusa…-
-Clark,
non è colpa tua se Chloe le ha fatto quella sfuriata!
Non devi sempre scusarti per le colpe degli altri!-
Clark guardò Pete, sapendo che aveva ragione, ma non riuscendo a
perdonarsi di non aver fatto nulla per evitare che le cose, tra lui e Lilyanne, finissero a quella maniera.
-Ad ogni modo è quasi
una settimana che Lily mi evita… non so più che fare
per cercare di parlarle-, era davvero mortificato e dispiaciuto.
Pete
lo guardò senza sapere quali parole dirgli per tirargli su il morale: era
davvero a terra. Era un miracolo, in fondo, che si fosse ripreso abbastanza
velocemente dalla morte di Alicia, ma le cose non dovevano andare a quella
maniera. Cosa aveva detto di preciso Chloe a Lily e
cosa aveva fatto Clark perché lei, ora, lo evitasse con tanta convinzione? Né
Clark, né tantomeno Chloe avevano voluto essere più
dettagliati circa quanto era successo al Torch, ma
c’era qualcosa che non lo convinceva affatto, qualcosa che riguardava Clark,
prima che quella ragazza.
In pochissimi giorni il
suo amico sembrava aver totalmente dimenticato l’amore della sua vita, Lana, scordandosi
quasi di farle gli auguri per il compleanno, che era passato da un paio di
giorni.
C’era stata una festa,
al Talon, e Clark era apparso solo per un saluto, sul
tardi, scusandosi per non averle fatto gli auguri prima. Aveva stretto la mano
a Jason e porto a Lana il suo regalo. Poi era andato via, senza aspettare che
lo aprisse. Sembrava stanco. Pete aveva visto Lana
aprire il piccolo pacchetto, da sola, in un angolo e leggere la lettera che lo
accompagnava. Poi era corsa al bagno, e quando era ritornata nella sala, alcuni
minuti dopo, aveva gli occhi lucidi e il naso arrossato.
Per pochissimi giorni, Pete se n’era accorto, Clark era stato vitale come non mai,
felice e determinato; dopo, in seguito alla lite tra Chloe
e Lily, era ricaduto in uno stato di depressione più doloroso di quanto non lo
avesse visto in passato per questioni simili. Più volte lo aveva visto, al
termine delle lezioni, attendere Lilyanne fuori dalla
sua aula e fermarsi a cercare di parlare con lei. Ogni volta lei scuoteva la
testa, lasciando ondeggiare la lunga frangia nera e, con sguardo triste, gli
diceva solo qualche parola e poi si allontanava.
Pete
si guardò intorno, accertandosi che non ci fosse nessuno in giro, e scivolò giù
dal tavolo su cui era seduto, in attesa che riprendessero le lezioni.
-Clark,
per favore, rispondi alla mia domanda: cos’ha questa Lily di diverso dalle
altre, per averti coinvolto così tanto?-, il suo sguardo pungente lasciava
intendere che, quello che voleva chiedergli, andava oltre le parole che era disposto
a dirgli, in quel momento e che già aveva cercato di estorcergli quella
mattina.
La risposta che ebbe lo
lasciò di stucco.
-Io credo che Lily… che lei sia come me…-, fu
lo sguardo, più che le parole dette, a far prendere seriamente a Pete quello che Clark aveva detto.
-Che intendi…?-, chiese corrugando le sopracciglia, guardandosi
ancora intorno, senza rendersene conto.
-Pete…
questa cosa deve rimanere assolutamente tra me e te come…
come il mio segreto, ti prego-, attese che l’amico annuisse in silenzio e
proseguì, -Se quello che credo è vero, se Lily davvero non è una ragazza come
tutte le altre, io non posso permettermi di perderla- , fece una pausa,
guardandolo fisso.
-Non sarei più solo!
Capisci che significa, Pete?-
Gli brillavano gli
occhi. Pete non sapeva che dire.
-Io lo so che quello
che dico può sembrare folle… ma da quando l’ho vista,
io ho sentito che c’era qualcosa di diverso, in lei, in me…-
Pete
era scettico.
-Ma lei ha… i tuoi poteri? Cioè, come fai a dire che è come te?-,
domanda più che legittima, la stessa domanda che da giorni, ogni sera, nel suo
letto (o meglio, nel suo divano…), Clark si
riproponeva.
La risposta era solo
una e sempre la stessa. Sorrise a Pete, immaginando
che non gli avrebbe dato ragione.
-Perché l’ho sentito
dentro di me… l’ho sentito nel sangue, si è messo in
moto qualcosa che non sono in grado di controllare che mi urla di far qualsiasi
cosa per non perderla-
Pete
abbassò gli occhi.
-Sai, ho visto quelle foto…-
Clark sbuffò
spazientito: non ne poteva più di quelle stupide foto, di Chloe,
di quella assurda situazione.
-Lei non è così brutta
come pensavo… forse avevi ragione, amico-, gli
sorrise lasciandolo interdetto per la sua reazione, con una pacca sulla spalla,
poi tornò serio.
-Lo puoi sapere solo te
quello che ti passa per la testa, e se quello che senti è così importante,
allora ti prometto che cercherò di aiutarti a scoprire la verità e a mettere
chiarezza nei tuoi sentimenti… però sono tuo amico e
non voglio che tu faccia qualcosa di cui poi ti potresti pentire, quindi devo
dirti questa cosa: sei consapevole che il tuo atteggiamento nei confronti di
Lana è totalmente cambiato?-, Clark lo guardò, senza rispondere. Pete decise di essere diretto.
-Ti sei accorto che lei
è… rimasta male per il tuo comportamento?-
Prese aria nei polmoni:
quello che stava per dire pesava come un macigno.
-Pete,
dopo più di dieci anni sono finalmente riuscito ad accettare Lana come
un’amica, forse la più cara amica che potessi mai desiderare…
a lei sento ancora di poter confidare le mie sofferenze e soffro anche io se
vedo che lei sta male. Le ho parlato, qualche giorno fa, forse sono stato un
po’ troppo brutale, ma ho cercato di fare chiarezza, in modo che non ci siano
più incomprensioni tra noi. Ma Lana è il mio passato, Pete.
Le voglio molto bene e non voglio farla soffrire, ma ora devo fare chiarezza su
quello che voglio per me. Voglio avere modo di fare la mia scelta, come ha
fatto lei-
-E la nuova ragazza
sarebbe il tuo futuro?-, chiese Pete a bruciapelo.
Clark strinse le labbra
e per un istante rimase zitto.
-Non lo so. Ma, senza
dubbio, è il mio presente, quello che voglio ora-, rispose voltandosi.[1]
Da lontano gli studenti
iniziavano a rientrare nella scuola per le lezioni.
-D’accordo, mi hai
convinto, Clark. Se la cosa può farti piacere, cercherò di parlare con Chloe…-
Si incamminarono verso
gli armadietti, quando, voltando in un corridoio, Pete
sgranò gli occhi e, tirando Clark per la manica della giacca, lo fece tornare
indietro.
-Passiamo da un’altra
parte, per favore-
-Cosa c’è?-, chiese
Clark stupito.
Pete
camminava veloce.
-Niente! E’ che… mi sono ricordato che ho lasciato una cosa…-
-Ross!
Finalmente ti ho trovato!-, dal fondo del corridoio la voce di RoberGreedy risuonò come una
campana a morto.
Pete
si voltò lentamente alzando gli occhi, mentre Clark lo guardava senza capire
che stesse accadendo.
-Aspettami un secondo, Clark…-, disse Pete, e si
avvicinò a Greedy.
I due parlarono per
qualche minuto sottovoce, ma animatamente. Clark non potè
fare a meno di ascoltare la loro conversazione.
Greedy
stava minacciando Pete se lui non gli avesse
consegnato, entro mezzora, i fogli con le soluzioni dei test di fisica e
storia, prendendoli dalla sala dei professori!
Quando Pete tornò da lui era visibilmente sconvolto, una piccola
goccia di sudore scivolò dalla sua tempia.
-Clark
ora devo… devo salutarti, ho da fare…-,
disse allontanandosi.
Clark gli si mise
davanti fermandolo.
-Ho sentito tutto
quello che ti ha detto Greedy! Da quanto va avanti
questa storia? Perché ti sei lasciato coinvolgere nei suoi loschi affari? Non
devi fare quello che ti ha chiesto!-
Pete
sospirò distrutto, facendo oscillare la testa.
-Tu non lo conosci,
Clark, non sai di cosa è capace quel ragazzo! Ho dovuto fare quello che vuole
lui, perché è… -
-Ti ha minacciato, Pete…?-, Clark non poteva credere alle sue orecchie. Forse
quello su cui stava indagando Chloe era vero.
Pete
non rispondeva.
-Ti ha minacciato??
Rispondi!-
-Non me… ma ha detto che avrebbe fatto del male a Chloe e Lana, se non avessi fatto quello che voleva. Mi ha
visto passare del tempo con loro e ha capito subito come fare per ottenere
quello che voleva. E ora quella sciocca di Chloe ha
anche scritto quell’articolo contro di lui… non so
come fare per farlo stare buono, se non fare quello che mi chiede…
Clark, tu non sai di chi stiamo parlando…-
-E tu non ricordi chi
sono io, forse! Ci parlerò io, con lui. Intanto dimmi…
cosa ti ha costretto a fare?-
-Samantha…
ha fatto in modo che non mi parlasse più dopo che mi ero rifiutato la prima
volta di rubare per lui i test di fisica. E se non faccio questa cosa che mi ha
chiesto, ha detto che se la prenderà molto seriamente con Chloe,
per via dell’articolo. E poi… io non so che potere
abbia, ma quando è in campo, tutti quelli che tocca cadono a terra come foglie
morte e lui va dritto alla meta! E’ per questo che è arrivato a conquistarsi in
pochissimi giorni il tuo posto di quarterback, Clark! E poi ha una forza…-
-Pensi che sia anche
lui un freak da meteorite?-
-Chloe
mi ha detto che la sua famiglia si era trasferita a Metropolis
quando lui era ancora piccolo e che ha sempre frequentato scuole private, fino
ad ora. E’ nato qua… potrebbe essere stato esposto
anche lui alla pioggia di metoritie… Clark, prima ti dicevo di Lana, perché Greedy si è preso una fissa per lei! Non c’eri alla sua
festa, l’altro giorno: lui era lì e finché non è arrivato Jason è sempre stato
a ronzarle intorno come un moscone. Io volevo risolvere la cosa da solo specie
ora che tu sei così preso da Lily…-
-Non lascerei mai i
miei amici nei guai, lo sai bene, Pete!-
Si spostarono fino al
campo da football, dove Pete aveva fissato con Greedy e aspettarono che si presentasse.
Quando si sentirono i
suoi passi in lontananza, Clark disse a Pete di
nascondersi e si preparò a parlargli chiaro.
-Kent!
Che piacere rivederti! Come mai non sei alla ricerca della tua amichetta
racchia?-, gli rise in faccia,
-Sto cercando Ross,
l’hai visto in giro?-
Clark si mise davanti a
lui e lo guardò con odio.
-So tutto, Greedy. Pete mi ha detto che lo
stai ricattando-
-Il piccolo nano ha
chiamato la sua guardia del corpo personale! Uhh, che
paura!-
Clark sentì il sangue
ribollirgli nelle vene.
-Ti consiglio di non
dare più noia ai miei amici, altrimenti sarò costretto a dire al preside del
tuo piccolo segreto in campo e che sei un imbroglione! E allora dirai addio
alla squadra e alla possibilità di andare al college…-
Robert Greedy contorse le labbra in una smorfia che forse doveva
essere un sorriso strafottente e si avvicinò con passo cadenzato e molleggiato
verso Clark, sfidandolo con lo sguardo.
-Che paura che mi fai, Kent!-, quando fu vicino a lui accelerò di colpo e afferrò
Clark per il colletto della giacca correndo velocemente fino agli spalti più
vicini.
Lo teneva quasi
sollevato da terra.
-Prova ad aprire bocca
e te ne pentirai…-, lo colpì violentemente con un
pugno sul viso.
Clark non attese oltre:
si liberò dalla sua presa e lo spinse lontano, facendolo cadere per terra.
Greedy
era forte, ma non poteva immaginare che Clark fosse più forte di lui.
-Vattene adesso! E non
farti più vedere da me o dai miei amici!-, gli urlò Clark, puntando il dito
verso l’uscita del campo.
Greedy
si alzò e finse di allontanarsi, poi si scagliò a tutta velocità verso Clark,
buttandolo per terra e colpendolo di nuovo sul volto, mentre con l’altra mano
stringeva la sua gola.
Quando si accorse che
Clark si muoveva e opponeva una strenua resistenza, senza rimanere immobile
sotto i suoi colpi, come avrebbe dovuto accadere, sgranò gli occhi e scoprì il
lato sinistro.
Il pugno di Clark non
si fece attendere e Greedy finì nuovamente per terra,
con un labbro spaccato.
Si allontanò barcollando,
tamponandosi la ferita con il dorso della mano, lanciando fiammeggianti
occhiate di odio verso Clark.
-Me la pagherete-,
disse piano uscendo dal campo, e sparì alla vista di Clark.
Pochi secondi dopo,
l’applauso entusiasta di Pete risuonò sugli spalti
vuoti, mentre si avvicinava di gran lena all’amico in piedi nel mezzo al campo
da gioco.
-No, Pete, non c’è niente da festeggiare-, gli disse Clark, e se
ne andò lasciandolo solo con i suoi errori. Per una volta ancora.
Chloe
arrivò al Talon in anticipo, ordinò un caffè forte e
sedette ad un tavolino più isolato. Quando Lana montò al lavoro, pochi minuti
dopo, la trovò col portatile aperto sulle gambe, mentre osservava attenta lo
schermo che le illuminava il volto di una luce azzurrina.
La salutò dandole un
bacio sulla guancia, evidentemente Lana aveva davvero bisogno di affetto, se lo
cercava pure in lei, pensò Chloe chiudendo il laptop.
Doveva parlarle, l’aveva sentita strana la sera prima, al telefono, preoccupata
forse e quella mattina non si era presentata a scuola.
-Mi dispiace non essere
venuta da te, ieri, lo so che mi hai aspettata al Torch…-
-Volevo solo il tuo
parere su un articolo che dovevo far uscire oggi…-
-Credo di sapere quale…-
Lana si sedette vicino
a lei, stringendo il vassoio vuoto al petto.
A quell’ora il locale
era deserto.
-Senti, Lana, forse mi
sono sbagliata nel giudicare quella ragazza così affrettatamente-, la guardò
stanca, aspettando che dicesse qualcosa.
Lana si sistemò sulla
poltroncina a disagio.
-E’ che…
l’idea di vedere una ragazza accanto a Clark, forse…
come dire… ancora non riesco ad accettarlo…-
Lo sguardo di Lana
parlava per lei.
-…credo
di aver montato una storia assurda su di lei perché volevo convincermi che
avesse cattive intenzioni contro di lui, ho voluto pensare che c’entrasse
qualcosa con Lionel Luthor e che…-
-Chloe,
forse lei sarà anche una ragazza a posto, ma ha davvero a che fare con Lionel Luthor…-
Chloe
guardò Lana deglutendo, sollevandosi appena.
-Il comportamento di
Clark ha deluso anche me, per questo ho temuto di essere prevenuta nei suoi
confronti, però non voglio dovermi pentire…-
-Che vuoi dire?-, Chloe era confusa.
Lana la fissò seria,
posando il vassoio sul tavolino.
-Posso accettare che le
nostre strade si siano ormai separate, ma non mi potrei perdonare se gli
accadesse qualcosa. L’altro giorno Lilyanne ha
incontrato Lionel qua fuori. Stava uscendo quando lui l’ha affiancata con
l’auto proprio davanti all’ingresso, facendola salire a bordo. E poi…-
Chloe
non poteva pensare che quello che si era convinta fosse solo una sua illazione
potesse trovare altre conferme da Lana.
-Poi?-
-Ho fatto una cosa meschina… mi sono messa a seguirla…
E’ per questo che ieri non sono venuta al nostro appuntamento…-
-Che hai scoperto,
ancora?-
Lana si avvicinò di più
a Chloe, lanciando una sbirciata intorno per
assicurarsi che nessuno la sentisse. Sembrava dovesse confidarle qualcosa di
estremamente importante.
-Poi è successo di
nuovo, proprio ieri, vicino alla scuola, nel viale che costeggia il parco.
Credo che lei stesse tornando a casa. La limousine si è di nuovo avvicinata e
si è abbassato il finestrino, ma lei si è voltata per tornare indietro,
accelerando il passo. Veniva verso di me, così mi sono nascosta dietro un
cespuglio.Allora lo sportello si è
aperto ed è uscito proprio Lionel Luthor, che si è
avvicinato a lei, per parlarle. Io ero proprio là… ma
parlavano piano, non ho sentito molto di quello che si sono detti…-
Fece una pausa,
dubbiosa se proseguire o meno il suo racconto.
-Lana…
dimmi!-
-Lui le ha mostrato alcuni
fogli, le ha chiesto se lei ne sapesse qualcosa. Poi…
le ha chiesto di Clark. Ha detto qualcosa come “stai attenta…
tenere d’occhio Clark Kent…”, non so di preciso, Chloe. So per certo che le ha detto che avrebbe reso
pubblico quello che era successo “a quel ragazzo”, se non avesse fatto quello
che chiedeva. Poi le ha dato una fiala…-
Chloe
sgranò gli occhi, mentre le immagini e le conversazioni che aveva avuto modo di
sentire l’anno prima le ritornavano alla memoria, ricomponendo il puzzle che
sapeva esistere, ma non riusciva a ricostruire.
Tutto prendeva corpo
nella sua mente, mentre Lana la osservava ragionare con occhi spaventati.
Ma certo! L’anno prima
aveva scoperto che Adam era stato esperimento e spia
di Lionel Luthor: era stato riportato in vita grazie
ad un qualche cocktail piastrinico dalla composizione ignota perfino a chi lo
aveva prodotto: un nuovo farmaco dalle enormi potenzialità che era stato
analizzato dagli analisti dell’ospedale di Smallville,
dopo che Clark (guarda caso) era riuscito a portarne una dose a GarrettDavies, il fratello del
giovane morto e miracolosamente risorto. E la composizione presentava tracce di
sostanza organica non nota in natura, sebbene inattiva: il dottore che l’aveva
iniettata aveva notato che, vicino alla bomba armata con il meteorite verde
indossata da Garret, questa aveva reagito diventando
prima rossa, poi verde scuro, poi di nuovo limpida. Era morta una donna, una
scienziata koreana che curava tutto il progetto, e di
nuovo il nome dei Luthor era venuto fuori. E lo
stesso Adam era stato mandato da Lana per spiare lei
e Clark…
Allora, forse, di nuovo
anche Lilyanne era davvero una spia, ricattata da
Lionel con la stessa merce di scambio: forse anche lei “non era più in vita”, come
Adam, anche lei aveva bisogno di quella sostanza per…
-…
forse anche lei è morta nell’espolosione…-, disse ad
alta voce, portando avanti il suo ragionamento.
Lana spalancò la bocca,
incredula.
-Cosa…
cosa stai dicendo, Chloe?-
Chloe
non riuscì a mettere a freno la sua lingua fantasiosa e in breve descrisse a Lana
un panorama più che plausibile di quella che poteva essere davvero la storia,
la vita, la morte e lo scopo di Lilyanne, la ragazza
che aveva conquistato Clark e rischiava di mettere in pericolo la sua vita, che
aveva bisogno di quelle fiale…
Forse Lionel sa di Clark…Chloe doveva impedire a tutti i costi che la vita del suo
amico potesse essere messa in pericolo da quell’uomo spregevole che aveva
tentato di ammazzare anche lei, solo pochi mesi prima.
-Chloe,
non dobbiamo permetterle di fare del male a Clark… io
non, non me lo perdonerei mai!-, la guardò con occhi lucidi, accorata.
-Neanche io, Lana-,
avrebbero smascherato i nuovi piani contro di lui. Ora sapeva qual era il
segreto di Clark Kent e poteva capire quale fosse la
posta in gioco. Lo avrebbero aiutato: era una promessa.
Alle sei in punto la
porta del Talon si aprì e Lilyanne
fece il suo ingresso, sorridendo verso Chloe e Lana,
ancora sedute al tavolino. Si era cambiata e indossava una camicia azzurra a
righine sottili e dei jeans. Si avvicinandosi a loro.
-Dobbiamo parlarti…-, disse Chloe.
-Seguici-,
aggiunse Lana, ed entrambe scortarono Lilyanne, che
le guardava attonita,nel vicolo dietro
al locale.
[1]
… corsi e ricorsi… ho fatto un viaggio nel tempo fino
a 6x13 e sono tornata indietro!
non credere che mi sia dimenticato di questo
giorno così importante: è dall’età di dieci anni che ogni tanto immaginavo come
avrebbe potuto essere la tua festa di compleanno dei diciotto anni. Ho sempre
pensato che tu saresti stata vestita come una principessa e che io sarei stato
al tuo fianco come tuo principe… ma il tempo passa e
sbiadisce questi sogni da ragazzino.
Tu sei stata per me il sogno più grande, il
tesoro che ho sempre conservato gelosamente nel mio cuore, impedendomi di
pensare ad altre se non a te, perché solo di te mi sentivo innamorato.
Quei pochi giorni che siamo stati insieme,
credimi, sono stati forse il periodo più bello della mia vita: sapere che
potevo dimostrarti quello che avevo dentro senza nascondermi dietro la presenza
di un altro ragazzo, senza temere un rifiuto ai miei baci, avendo la certezza
che anche i tuoi erano sinceri.
Ma quel tempo non c’è più e la colpa è solo
mia.
Non credere che sia stato per mancanza di
amore o di fiducia in te che ho voluto che le cose seguissero il corso che ci
ha separato: io ho voluto soltanto proteggerti.
E’ vero, Lana: io ho un segreto, un segreto
così grande che se te lo avessi rivelato la tua vita sarebbe stata in pericolo
e io non avrei più potuto vivere, sapendoti a rischio.
Non chiedermi ancora di parlartene, perché
se ho rinunciato a te è stato solo per questo motivo e non metterei ora
nuovamente a repentaglio la tua vita.
Ho sofferto tanto, sai, vedendo che questa
tua vita comunque riusciva ad andare avanti, anche senza di me, senza le mie
bugie e i miei misteri. Sono stato da cani quando ho scoperto che c’era Jason,
accanto a te.
Ma non posso che ringraziarlo per averti
reso felice, per essere riuscito a spazzare via dal tuo sguardo quel velo di
tristezza che credo fosse accompagnato al mio pensiero.
Hai fatto bene a cercare di dimenticarmi:
noi due non siamo fatti per stare insieme, Lana, per quanto quello che c’era un
tempo tra noi fosse splendente e puro.
Non c’è un futuro per noi due insieme, e tu
per prima lo hai capito.
E’ stata più dura, per me, esserne la causa
e accettarlo, ma sono successe cose che mi hanno fatto capire quanto l’amore
che provavo per te sia maturato in un affetto sconfinato e fraterno.
Non perdiamoci ora, Lana, ma accettiamo che
il tempo e il destino hanno giocato le loro carte e che, finalmente, le persone
che potrebbero essere al nostro fianco potrebbero renderci ugualmente felici.
Io spero davvero che quello che c’è tra te e
Jason sia l’amore della tua vita, quello che capita una volta e che rimane vivo
per sempre.
E spero di essere in grado di riconoscere il
mio, se mai busserà al mio cuore.
Erano mani di bambina quelle che tanti anni
fa fecero una breccia in questo cuore indurito, le mani della bambina che
rimarrà sempre viva dentro di te e che nulla e nessuno riuscirà mai a sporcare.
Cerca di serbare il ricordo di quella
bambina e di portarlo con te anche quando sarai una donna con il tuo destino.
Ti voglio un bene dell’anima, Lana, e non
potrà mai essere diversamente.
Ti auguro di essere felice, per sempre.
Clark”
Tre
erano i problemi che Clark avrebbe dovuto affrettarsi a risolvere: capire chi
fosse Lily e cosa significasse nella sua vita, cercare di recuperare il
rapporto di fiducia e l’intimità che aveva avuto con lei e allo stesso tempo
impedire di rovinare per sempre la sua amicizia con Lana, ora che sapeva di
poter essere sincero nei sentimenti che provava per lei, senza sperare ancora
in quel qualcosa in più che ormai aveva accettato come passato.
Non
immaginava che presto il loro numero sarebbe aumentato, ma gli fu presto chiaro
che qualcosa sarebbe successo, di lì a breve. Qualcosa di brutto.
Mentre
stava tornando verso casa, rassegnato a non parlare a Lily neanche quel giorno,
sentì il rumore di un’auto che si fermava accanto a lui. Si voltò indietro e
vide Lex che, da dentro, gli faceva segno di salire a
bordo.
Era
stato via per due settimane, in giro per il mondo per lavoro, così almeno aveva
detto, e al suo ritorno era stato accolto da lui con quelle domande su suo
padre, senza una parola di bentornato a casa.
Clark,
in fondo,fu felice di vederlo dopo
tanto tempo, ma notò subito che il suo amico appariva cambiato, almeno nel suo
approcciarsi a lui. Pareva più distaccato e al tempo stesso mellifluo, senza
però eccedere in qualsiasi manifestazione di quello che lo turbava. Come al
solito Lex era abilissimo nel nascondere quello che
ribolliva dentro la sua testa, alimentato dalle fiamme dell’ambizione.
Per
un istante Clark penso che potesse essere coinvolto nei fatti di cui era andato
a domandare la settimana prima.
Lex disse a Clark che suo padre non si era fatto vivo a Smallville negli ultimi giorni e che non aveva avuto modo
di chiedergli del suo comportamento nei confronti della fantomatica ragazza di
cui l’amico gli aveva parlato.
Disse
che Clark gli era mancato mentre era in viaggio lungo la cordigliera delle Ande
e poi più ad est, in Bolivia. E che aveva immaginato una diversa accoglienza da
lui, pur capendo il suo punto di vista. Clark si sentì in imbarazzo: effettivamente
quando avevano parlato, giorni prima, non era stato affatto carino e si era
dimenticato che non si vedevano da diverso tempo.
Lex raccontò di essere stato in quei paesi per stipulare
importanti contratti di vendita dei suoi prodotti chimici, ma non aveva perso
l’occasione di visitare i resti della civiltà Tiwanaku,
“così simile ai Kiwatchee”, disse, per molti aspetti,
e agli Anasazi[i] (1), gli ‘Antichi Alieni’
del New Mexico.
-Sei
tornato per tenere una lezione sulle civiltà precolombiane?-, chiese Clark, a
disagio per la piega vagamente inquisitoria che le parole di Lex stavano prendendo.
Lex gli sorrise, piegando la bocca a sinistra, -Sono
tornato per continuare la mia ricerca del successo-, rispose sfrontato, ma
evasivo.
Clark
lo guardò sollevando le sopracciglia, mentre l’auto di Lex
entrava nella sua fattoria.
-Devo
passare prima dalla fabbrica e poi al Talon per
riguardare i conti con Lana. Immagino che tuo padre vivrà tranquillo anche se
non mi fermo a salutarlo-, disse, e fece manovra per tornare sulla strada
principale.
Non
era ancora tardi e Clark, dopo tanto tempo, decise di fare un salto alle grotte
Kiwatchee ormai abbandonate, visto che Lex aveva ancora una volta risvegliato la sua curiosità per
quel luogo che aveva cercato di dimenticare.
Posò
lo zaino nel fienile e prese la torcia. Cercò di non farsi notare dai suoi, che
non vedevano di buon occhio il suo interesse alle grotte, perché sapevano che,
prima o poi, glielo avrebbero portato via.
Le
pareti fredde e umide riflettevano la luce della torcia. Clark cercò i disegni
sulla pietra e ne seguì per l’ennesima volta la storia ormai così familiare.
L’interrogativo di sempre tornò imperioso alla sua memoria: era davvero lui Naman?
Ironicamente
erano state proprio le parole di Lex che lo avevano
fatti riflettere, l’anno prima, sul mito dell’uomo venuto dallo spazio. Naman era colui che avrebbe salvato la terra dal male, o
che ne avrebbe causato la distruzione, forte dei suoi poteri sovrumani?
E
supponendo che lui fosse davvero Naman, chi era Segith, al cui tocco il pugnale mistico si era
polverizzato? Era forse Lex quello destinato a
diventare il suo più grande nemico?
Nonostante
le sorprese poco piacevoli e le delusioni che, negli anni, aveva spesso
ricevuto da Lex, la sua naturale tendenza ad avere
fiducia negli altri lo aveva sempre portato a giustificare il suo amico e a
confidare in un suo cambiamento.
Scorrendo
lungo le iscrizioni, Clark si arrampicò per sfiorare con la punta delle dita
quella raffigurante la donna del destino di Naman.
Se
lui era Naman, chi era quella donna misteriosamente
bella?
Era
stata Kyla? Lana, forse? Era Lilyanne,
piovuta nella sua vita come lui sulla terra? O forse quella donna doveva ancora
arrivare, cambiando per sempre la sua vita e indicandogli il cammino giusto da
seguire? Forse l’aveva già incontrata, ma non era stato in grado di
riconoscerla?
Rimase
nelle grotte ancora un po’, riflettendo sul significato profondo che quei
graffiti rivestivano per lui, finché la luce della torcia si affievolì e il
buio inghiottì la storia di Naman.
Era
curioso di sentire ancora delle altre civiltà che aveva citato Lex, così decise di raggiungerlo al Talon
per scambiare altre quattro chiacchiere e, magari, cercare di chiarire meglio
la sua situazione con Lana dopo la lettera che le aveva lasciato, assieme al
suo vecchio ciondolo di kryptonite, ormai diventato
trasparente come un diamante senza valore. [ii] (2)
-Chloe, avevamo detto di passare un pomeriggio insieme, pacificamente…
che sta succedendo?-
Lily
era spaventata dal comportamento aggressivo di Chloe
e Lana; nel vicolo dietro al Talon il vento creava
piccoli mulinelli alzando la polvere e le foglie secche da terra.
Non
c’era nessun altro, solo l’auto di Lana, in sosta sotto le finestre del suo
appartamento.
Non
ne poteva più: era la quarta o la quinta volta da quando era arrivata a Smallville, che qualcuno la metteva spalle al muro per
parlare in gran segreto.
-Che
volete da me?-, la voce le uscì debole, quasi un lamento.
-Ho
cercato di credere alle giustificazioni di Clark sul tuo atteggiamento al Torch, l’altro giorno, ma sono troppe le cose di te che non
tornano, signorina! Dimmi: tutta quella lista di superpoteri che hai elencato… di cosa diavolo stavi parlando?-
Lily
spalancò gli occhi incredula alle parole di Chloe, si
sentiva come una volpe in trappola circondata dai cani che abbaiavano sbavando
verso di lei.
-Ma…Chloe! Mi avevi.. mi avevi
trattata come una bestia… io non ricordo cosa ti ho detto…-, senza accorgesene stava
andando indietro, verso il muro.
-Te
lo ricordo io: hai detto che sai volare, che puoi spiaccicarmi come un verme,
che sei superveloce, che puoi vedere attraverso i muri e che ascolti la gente a
chilometri di distanza. E’ vero, Lilyanne?-
Lilyanne sentì il sangue fluire alle sue guance e sperò che
nessuna delle due si accorgesse che stava arrossendo violentemente.
-Chloe, ma che domande…?-, Lana
non capiva più niente di quello che Chloe stava
farfugliando.
-Te
lo ripeto: è vero, Lilyanne?-
Lily
deglutì, tenendo gli occhi sgranati. Quando parlò, la sua voce era sottile sottile.
-Io
ho… letto molti fumetti di Warrior
Angel, da bambina… volevo solo…
farti paura…-
Chloe espirò, sgonfiandosi come un palloncino, scuotendo la
testa. Poi la sollevò di nuovo, facendo scattare gli occhi da lei a Lana.
-Allora
passiamo alla domanda di riserva…-, fece un segno con
la testa a Lana, che fu più diretta di una locomotiva sparata a quattrocento
chilometri all’ora su un rettilineo.
-Che
cosa cerchi da Clark? Chi sei, Lilyanne e che cosa ci
facevi insieme a Lionel Luthor nel parco, ieri
pomeriggio?-
Ancora
una volta, la vampa prese Lilyanne alle guance,
mentre le sue gambe iniziarono a tremare. Si sarebbe messa a piangere come una
bambina, se avesse saputo di non essere sola, se fosse stata certa di avere
qualcuno, dopo, che l’avrebbe consolata.
O
attaccava ancora, o soccombeva a quell’interrogatorio.
Prese
molta aria nei polmoni, stringendo i pugni e staccandosi dal muro, con un passo
avanti. Le fissò intensamente trafiggendole con gli occhi socchiusi.
-Primo:
io non voglio niente da Clark! E’ stato lui il primo a starmi vicino, l’unico
che mi abbia accettata senza pregiudizi. Io non ho fatto niente per portarvelo
via: siete state voi due, forse a farvelo scappare, troppo prese a tramare alle
sue spalle-
-… ma senti questa…-, Lana
difficilmente era stata così arrabbiata. Portò una mano al ciondolo che aveva
al collo, l’ultimo regalo di Clark, quello che somigliava così tanto a quello
che aveva perso…
-Secondo:
chi sono io, non sono affari vostri, né di nessun altro. E terzo: che vuole da
me Lionel Luthor?? Chiedetelo a lui, che a quanto ne
so è in stretti contatti con entrambe. E’ già venuto ad importunarmi quattro
volte e per tutte e quattro le volte mi ha chiesto le stesse cose che mi
chiedete voi! Io non lo so che volete tutti da me, non lo so in che posto del
cavolo sono capitata, io non lo so perché tu, Sullivan,
continui ad indagare su di me e perché tu, Lana Lang,
non ti rassegni a lasciar perdere Clark!-
Lana
stava davvero per perdere la pazienza.
-Tu
sei solo una pedina nelle mani di Luthor… te l’ha
detto lui di risponderci così, non è vero? Che c’era in quella fiala che ti ha
dato ieri? Vi ho visti, sai? Che cosa sai tu di Clark che interessa così tanto a
Lionel Luthor? E soprattutto: sei viva, sei morta… cosa sei?-, si era avvicinata a Lily e senza
staccare gli occhi dai suoi, le stava sibilando tutte quelle cose in faccia.
Era visibilmente sconvolta, non meno di lei.
Lily
non capiva che stavano dicendo, non capiva più niente!
-Giusto,
cosa c’era in quella fiala, Lily? Che ci devi fare con quello che c’è dentro?-,
incalzò Chloe.
-Io… io devo… mi ha detto di
analizzarlo, e di confrontarlo con.. un’altra cosa e poi…
Cavolo, ma mi volete lasciare in pace? Non c’entra niente Clark con Lionel Luthor e non voglio che lui sappia che l’ho visto ancora!-
-E
perché non vuoi? Hai paura che dopo lui scappi da te e che ti consideri un mostro?-,
ancora bugie, su bugie, su bugie. Dove c’era Clark, le bugie e il mistero facevano
da sovrani. Lana era davvero stanca.
Chloe non pensava che la situazione sarebbe loro scappata
di mano così presto.
-Lana!
Calmati ora! Ragioniamo-, si mise tra le due, cercando di abbassare i toni del
loro litigio.
-Lily, forse c’è una cosa su cui noi tre siamo d’accordo e
quella cosa è Clark: credo che tu non voglia che lui sia messo in pericolo,
giusto?-
Lilyanne annuì, guardandola, la fronte corrugata e i pugni
ancora stretti.
-Ora,
abbiamo motivo di credere che Lionel Luthor possa
volere di nuovo indagare su Clark, cercare da lui qualcosa che nessuno sa cosa
sia. L’anno scorso aveva pagato alcune spie, addirittura, e tutte loro non
hanno fatto una buona fine…-
-Cos’è, una minaccia?-, chiese Lily strizzando gli occhi e
facendo un passo indietro.
-No,
è solo un avvertimento: stai attenta a quell’uomo, se come dici non sei già
coinvolta troppo oltre con lui. E stai attenta a come ti comporti con Clark,
perché quel ragazzo al momento sta passando un brutto periodo…-
Lana
lanciò a Chloe un’occhiata interrogativa: che stava diecendo? A che gioco voleva giocare?
Chloe gustò una ad una le parole che disse, sapendo che
ciascuna di esser avrebbe raggiunto il segno e svelato loro quello che davvero
provava quella ragazza. Se era sincera, lo avrebbero capito una volta per
tutte.
-Clark non ti ha raccontato del suo recente lutto?-
Lily
scosse ancora la testa. Lana iniziò a capire, ma l’argomento era doloroso anche
per lei. E anche per Chloe, lo sapeva bene. Stava
affilando la sua spada più tagliente che avrebbe ferito tutte e tre.
-La
moglie di Clark è morta solo pochi
mesi fa: è stata uccisa da un pazzo che la credeva “diversa”. Clark è stato
spezzato dal dolore per la sua perdita e da allora non è più stato il ragazzo
che noi conoscevamo”
Lily
sentì che le gambe le stavano cedendo.
-La…moglie?-, un
sussurro appena. Lana e Chloe deglutirono, senza
aggiungere altro.
Lily
sentì di non riuscire a trattenere ancora a lungo il pianto per tutta quella
situazione, per quelle ultime, graffianti parole.
Una
lacrima scivolò lungo la sua guancia, si appoggiò ancora con la schiena al
muro, sentendo che vacillava.
-La moglie…-,
un bisbiglio.
La
sua reazione spontanea e disperata convinse Chloe che
forse era davvero sincera in quello che provava per Clark, e che altrettanto
probabilmente era davvero stata una vittima delle circostanze e dell’interesse
morboso di Lionel Luthor.
Ormai
Lily aveva perso ogni controllo e stava iniziando a singhiozzare, scivolando in
basso.
Chloe si chinò su di lei, posandole una mano sulla spalla.
-Ehi… dai, la situazione non è così tragica…
lascia che ti spieghi…-, le disse piano, cercando di
calmarla.
Fece
un cenno a Lana, perché si avvicinasse a loro, ma Lana non si mosse: le loro
stesse parole avevano ferito anche lei. Rimase in piedi, a qualche metro da
loro, mentre Chloe porgeva un fazzoletto a Lily e le
scostava i capelli dalla fronte, spiegandole la vera storia di Alicia. Guardò Lilyanne e pensò che Clark forse poteva realmente essere
attratto da lei. Provò una fitta al cuore e abbassò lo sguardo.
Sì,
in fin dei conti, anche se Lilyanne non fosse stata
una spia, o una mutante da meteorite, o una come Adam,
non riusciva proprio a sopportare l’idea di vederla accanto a Clark.
-Dai,
Chloe, basta, andiamo via-, chiese all’amica
consapevole che avevano davvero passato il segno scadendo nel bullismo più
disprezzabile.
Sentirono
la porta sul retro del Talon aprirsi e richiudersi.
-No,
Lana, voi non andate proprio da nessuna parte…-, Robert
Greedy le guardava col suo ghigno storto,
massaggiandosi con una mano il pugno stretto nell’altra, stava davanti alla
porta, impedendo loro di rientrare.
Lilyanne si tirò su, inghiottendo e scostandosi i capelli
dal viso. Qualcosa pizzicò dietro la sua nuca, forse il suo “quinto senso e
mezzo”[iii](3), come le diceva
sempre la sua mamma da piccola. Tirò per la manica della giacca Chloe e le bisbigliò in un orecchio: -Dobbiamo andarcene velocemente…-
Lana
si avvicinò verso di lui, era arrabbiata nera e le ci mancava solo quel ragazzo
appiccicoso per completare il quadro.
-Robert, non è il caso, lasciami entrare-
Greedy le ostruì il passaggio allungando un braccio, Lana cercò
di abbassarlo scartandolo, allora lui la afferrò per le spalle e la bloccò a
sé, tenendola ferma attaccata al suo petto.
-Lasciami!-,
urlò Lana terrorizzata.
Chloe e Lily scattarono verso di lui immediatamente, per
aiutarla, ma furono respinte con uno colpo che le fece barcollare.
-Greedy, lo sapevo che eri pazzo…-,
Chloe era terrorizzata dalla forza di quel ragazzo,
ma non doveva apparire debole.
Lana
cercava con tutte le sue forze di sfuggire alla sua presa, graffiava e tirava
calci. Lily e Chloe, dimenticate tutte le brutte cose
che si erano dette, si scambiavano occhiate per cercare di coordinarsi per
aiutarla.
-Buona… stai buona, micetta!-, Greedy, viscido come una sanguisuga, si allungò sul volto
di Lana e le biascicò un bacio umido sul collo.
-Lasciala
stare!-, Chloe e Lily di nuovo scattarono verso di
lui, sferrando calci e pugni, che non sortivano alcun effetto.
-Non
la lascio… sono venuto apposta perché sapevo di
trovarvi entrambe qua, Sullivan… i vostri amici mi
hanno fatto arrabbiare, e voi due siete la mia vendetta…-,
afferrò anche Chloe, che non riuscì a sfuggirli in
fretta.
-Cosa
posso desiderare di più: ho tra le mie braccia le due donne della vita di Clark
Kent… ha osato sfidarmi e ora voi due, mie care,
pagherete per lui…-, incurante dei loro colpi, di
nuovo allungò le sue labbra sulla bocca di Lana, baciandola e facendole male.
-Povero
Clark… se solo sapesse cosa sto facendo alla sua
ragazza! Ha proprio ragione ad essere perso di te-, continuando a tenere a bada
Chloe che graffiava e cercava di urlare, baciò ancora
Lana, che, immobile, accettava in silenzio le sue mani viscide, senza neanche
più cercare di difendersi.
Lily
tremava, in piedi davanti a lui, ignorata e incapace di fermarlo.
Gli
urlò di nuovo contro, tornando a graffiarlo.
-Lasciale,
mostro!-
-Ha
parlato la donna più bella del mondo! Vattene finché sei in tempo, scarto della
natura! Non mi interessa niente di te! Voglio solo loro due, solo quelle a cui
Clark tiene! Tu sei solo una racchia, non ci penso nemmeno di avvicinarmi a
te!”, rideva diabolico mentre affondava la lama delle sue parole nel petto di
Lily.
Lily
sentiva la rabbia montare dentro di lei,mentre vedeva anche Chloe
smettere di divincolarsi: pendevano entrambe dalle sue braccia come bambole
rotte.
Greedy le fece cadere per terra, spingendo Chloe che rotolò nella sua direzione.
Lily
la vide immobile, come se fosse morta, con gli occhi aperti rivolti verso di
lei. Sentì il suo cuore che si fermava per la paura. Corse verso di lei,
cercando di scuoterla, controllando se respirava ancora. Era viva e dal suo
sguardo terrorizzato poteva capire che era cosciente.
Greedy intanto stava raggiungendo Lana, distesa con la
faccia a terra, le braccia scomposte sotto di lei.
-Che
cosa hai fatto?-, la disperazione ribolliva dentro Lily: si sentiva spettatrice
inutile di una tragedia, senza che il carnefice la degnasse almeno di uno
sguardo d’odio. Aveva spezzato le due ragazze con le quali aveva appena
discusso come fossero fuscelli, eppure sentiva una rabbia così forte dentro, un
fuoco che si alimentava delle lacrime non versate, delle parole cattive che le
aveva detto, che non poteva lasciare quel gesto impunito.
Non
seppe da dove prese la forza, ma corse di nuovo verso Robert Greedy e, afferrandolo per una spalla prima che potesse
scendere su Lana, lo strattonò così forte da farlo volare dietro di sé,
lasciandolo senza fiato per l’urto contro il suolo.
Lily
alzò le mani, incredula, guardandosi e chiedendosi cosa avesse fatto,
distraendosi per il tempo che fu sufficiente a Greedy
per rimettersi in piedi e attaccarla: si sentì presa per il collo e buttata a
terra, mentre l’aria non riusciva più a passare nei suoi polmoni.
Vide
l’espressione del suo aggressore mutare, mentre cercava di sfuggire alla sua
presa scalciando e stringendo i suoi polsi, per allontanarlo da sé.
-Come
fai a muoverti ancora?-, sentì che si chiedeva Greedy,
stringendo ancora di più, digrignando i denti per il disappunto.
Chloe, immobile come paralizzata, stava osservando tutta la
scena non potendo fare nulla per aiutare Lily. Le lacrime scivolavano dai suoi
occhi andando a bagnarle i capelli, per terra.
Almeno
lei non era caduta vittima della sua stretta paralizzante…
avrebbe voluto alzarsi e prenderlo a calci proprio lì, violentemente, finché
non si fosse ridotto ad una larva mugolante per il dolore. Ma riusciva a
malapena a respirare…
Poi
la vide, così vicina a lei, fermare per un attimo la sua lotta, stringere gli
occhi e riaprirli: vide chiaramente come un fascio di energia staccarsi dai
suoi occhi divenuti rossi per un istante e colpire le braccia di Greedy, tese sul suo collo, sentì le sue urla di dolore,
vide la pelle delle braccia gonfiarsi di vesciche per le ustioni, e un attimo
dopo vide ancora Lily in piedi, davanti a lui, con la rabbia che bruciava nel
suo petto, avvicinarsi e colpirlo ancora, scaraventandolo contro la fiancata
dell’auto, i vetri che si sbriciolarono in mille pezzi.
Come
Greedy svenne, la forza che la teneva immobilizzata
cessò e sentì le sue mani riuscire a muoversi di nuovo.
Si
sollevò di scatto, camminando verso Lily, con gli occhi sgranati e la bocca
aperta.
Vide
che piangeva.
-Non
dire niente a nessuno, ti prego…-, le disse, e corse
via, accelerando come aveva visto fare solo a Clark.
Richiamati
dalle grida e dal frastuono dei vetri spaccati, dall’interno del Talon accorsero i presenti.
Lex era arrivato da pochi minuti, aveva ordinato un
cappuccino bollente senza schiuma, come suo solito e si era seduto al bancone,
aspettando che Lana rientrasse.
Una
cameriera gli aveva detto che era sul retro a parlare con delle amiche e lui
non voleva impicciarsi.
Quando
sentì il gran rumore da fuori, temette subito il peggio e si precipitò a vedere
quello che stava accadendo, proprio nel momento in cui Clark entrava al Talon, per chiacchierare ancora un po’ con lui.
Quello
che videro li lasciò di stucco: Chloe immobile in
piedi davanti al corpo di Lana, che sembrava morta, per terra;accanto a loro l’auto fracassata e,
incastrato tra le lamiere, Robert Greedy che stava cercando
di liberarsi, una volta ripresi i sensi.
Lex accorse subito da Lana, urlando di chiamare
un’ambulanza, Clark raggiunse Chloe, che, sconvolta
continuava a ripetere: -Sto bene, sto bene… pensate a
lei…-
Altre
persone accorsero e si presero cura di Chloe. Lex si allontanò da Lana per chiamare la polizia e
controllare chi fosse il ragazzo, lasciando che Clark si occupasse di lei.
Tra
le sue braccia, Lana sembrava un uccellino caduto dal nido. Sentiva che
respirava tranquilla: doveva essere solo svenuta per un grosso spavento, non
aveva lividi sul volto.
Si
sentì in colpa per non essere arrivato prima per evitare che le succedesse
questo nuovo incidente: la strinse a sé sentendo per la prima volta che
riusciva ad abbracciarla senza che dentro al suo petto si accendesse la solita
scintilla di sempre.
Scostò
i capelli dalla sua fronte, facendole una carezza, vide che stava aprendo gli
occhi. Le sorrise.
Quando
si rese conto di essere tra le braccia di Clark, Lana si strinse forte al suo
collo, abbracciandolo e lasciando che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi
bagnando la sua giacca. Si sentiva finalmente protetta.
Non
seppe dirgli cosa fosse accaduto dopo che, quello lo ricordava, Greedy l’aveva stretta immobilizzandola, lasciandola come
paralizzata, ma sveglia, in suo potere.
-Lui
mi ha… toccata, mi ha baciata…-,
confidò nascondendo la faccia sotto la sua spalla.
Clark
strinse le mascelle giurando che Greedy gliel’avrebbe
pagata e rimase vicino a Lana, finché non arrivò l’ambulanza che portò lei e Chloe all’ospedale, mentre la polizia scortava l’aggressore
al commissariato.
Lex si avvicinò a Clark, sembrava perplesso.
-Conoscevi
quel ragazzo, Clark?-, chiese portandolo un po’ in disparte.
-Era
nuovo della scuola, veniva da Metropolis. Oggi… abbiamo avuto una discussione, temo che se la sia
presa con Chloe e Lana per causa mia-
-Non
erano sole: c’era una terza ragazza con loro. Greedy
vaneggiava a proposito di una ragazza che lo aveva ridotto in quello stato-,
alzò le sopracciglia dando poco credito alle parole dell’aggressore.
-Dov’eri, Clark, quando è successo tutto?-, ancora il tono
inquisitorio di poche ore prima.
-Stavo
raggiungendoti al Talon, Lex!-
-Cosa
sai di quel ragazzo? Cos’ha fatto a Lana e Chloe?-
Clark
lo guardò esitando un attimo: non sapeva che rispondergli. Per una volta volle
essere sincero.
-Credo
che Greedy abbia avuto dei…
poteri derivanti dall’esposizione alla pioggia di meteoriti: è davvero forte e
riesce a paralizzare le persone solo con il tocco delle mani…
per questo va così forte nel football[iv](4)-, lo guardò cercando
di interpretare la sua reazione. Lex non battè ciglio, lo salutò e si allontanò, attaccandosi al suo
telefonino in una conversazione animata e riservata.
La
sera stessa Greedy fu trasferito al Belle Reve e Clark non potè parlargli
per sapere cosa intendesse con “la terza ragazza che lo aveva ridotto a quello
stato”.
Avrebbe
chiesto a Chloe.
Ma
prima doveva trovare Lily, era sicuro che fosse stata lei a fermare Greedy…
[i]
(1) Tributo a X-Files. Chi lo conosce, sa di cosa sto
parlando e, in fondo, non è che si debba andare tanto lontano dai temi di Smallville…
[ii]
(2) In effetti la storia del ciondolo non è esattamente questa, ma ho voluto
che fosse quello il dono che Clark fa a Lana: gli restituisce solo la purezza e
la trasparenza, togliendo via il veleno e le bugie che hanno distrutto la loro
storia. Non ha più bisogno, Clark, di mentire a Lana, perché la sa al sicuro
vicino a Jason. Il fatto che si sbagli di grosso, povero Clark, è solo perché non
riesce mai a vedere il nero che c’è nelle persone, ma cerca sempre la luce.
[iii]
(3) Dylan Dog e i suoi autori non me ne vogliano…
apprezzino la citazione come tributo verso la loro creatura più affascinante e
meglio riuscita! ♥♥♥
[iv](4)
Ho odiato gli sceneggiatori per aver inserito la puntata “I valori di Clark”
subito dopo la morte di Alicia, senza che nessuno nominasse neanche il suo
nome, senza un ricordo. Così ho cancellato quella puntata e ho pensato di
riprenderne i temi inserendoli in questa fanfic.
Capirete perfettamente che ho sfruttato i poteri del giocatore di football di Metropolis e li ho passati a Robert Greedy.
Così almeno sono rimasta fedele alla storia, sebbene tagliando via quello che
non mi piaceva.
flash dolorosi e monocromatici di quelle che
sono state le mie vite passate.
Il più nitido di tutti,
amore mio, sei tu,
quando ti vidi chino su di me con gli occhi
gonfi di pianto, credendo che stessi per morire.
Tornando indietro nel tempo mi rendo conto
di aver cancellato i bei momenti con la mia famiglia, le vacanze insieme, i
pranzi di Natale: so che ci sono stati, ma non ricordo alcuna immagine di essi.
Poi le urla di orrore dei bambini al Museo
di Mineralogia,
quelle ancora riecheggiano nelle mie
orecchie.
I loro volti invece sono sbiaditi nel
ricordo del dolore atroce che provai.
Altre due immagini soltanto, indistinte, ma
reali:
un uomo sulla carrozzina che mi teneva in
braccio davanti a quelli che sarebbero diventati
mamma e papà.
Poi solo tanta, tantissima luce riflessa dal
vetro, come in una grotta di diamanti
E un abbraccio, l’ultimo, di un’altra mamma.
Forse quella vera.
Tu amore mio, eri riuscito a donarmi altri
ricordi
vocianti di risate, di corse sui prati,
di dolcezza, luce e calore.
Ti avevo sognato per tanto tempo, e tu eri
il frutto dei miei sogni.
Ora non ci sei più,
e capisco che i miei non erano sogni, ma
solo illusione
e tu, amore mio,
eri il Figlio della mia Illusione.
E sono di nuovo sola.
--------------------
2 COMMENTS:
The Daffodilsays:
Ho perso anch’io il ragazzo che amavo, per
causa mia. L’ho ingannato, l’ho tradito e ho commesso errori così grandi che
non vorrà più accettarmi, quando tornerò da lui. E’ come se io fossi morta… magari fosse accaduto davvero…
Posted at 4:32PM 20/07/2004
UglyOgre says:
… ma sparati e smettila di rompere con
questa lagna!!!
Daffodil, sparati anche te!
Posted at: 11:47PM 24/08/2004”
Clark, approfittando
del caos del momento, corse via dal Talon alla
supervelocità. Decise di deviare verso casa per avvertire di quello che era
successo a Lana e Chloe e poi ripartire verso Smallville, i suoi avrebbero capito.
Era già buio e la
ricerca di Lily rimaneva la sua priorità.
Giunse a casa pochi
attimi dopo e, entrando, percepì subito l’atmosfera tesa e preoccupata che accompagna
la comunicazione di una triste notizia: i suoi, immobili in cucina, guardavano Lois che parlava al telefono, il volto stretto in
un’espressione di angoscia.
Jonathan gli fece cenno
con la mano di non fare rumore e Clark, ubbidendo, rimase fermo accanto a loro,
mentre Lois, a telefono, ringraziava e metteva giù la
cornetta.
L’aria profumava dell’arrosto
di Martha, in attesa sul tavolo in cucina, accanto al purè di patate e bacon.
-L’hanno portata
all’ospedale in paese… non sanno cosa le abbia fatto
di preciso… iniziavano ora a farle tutti i
controlli-, la solita voce squillante di Lois aveva
lasciato il posto alla stessa voce che Clark aveva già udito, alcuni mesi
prima, quando l’aveva vista piangere sulla tomba di Chloe,
prima che insieme riuscissero a scoprire che era ancora viva e liberarla.
Martha si avvicinò a lei, confortandola con una carezza su di un braccio.
Clark si fece avanti:
sapeva cosa le avevano appena comunicato, voleva rassicurarla sulle condizioni
di sua cugina, ma fu interrotto da lei.
-Scusatemi, io devo… devo correre da Chloe… mio
zio è a Metropolis per lavoro e non posso lasciarla
sola. Devo…-, si voltò per prendere la giacca appesa
vicino alla porta, ma le scivolò di mano. Si chinò per raccoglierla, ma Clark
fu più veloce di lei.
Quando rialzò la testa,
allungando la mano per riprendere la giacca che lui le porgeva, i suoi occhi
erano gonfi di lacrime.
-Lois…-,
non l’aveva mai vista così. Le posò le mani sulle spalle, per confortarla,
mentre i suoi genitori si avvicinavano per starle vicini; Lois
si lasciò andare per un istante, poggiando la testa al petto di Clark e
lasciando che le lacrime che non le aveva mai visto versare fino ad allora
bagnassero la sua maglia.
-Perché non ci sono mai
quando lei ha bisogno di me...?-, Clark la abbracciò per un attimo, poi staccò
le mani.
-Lois,
vengo dal Talon e ho visto Chloe…
stai tranquilla, non ha niente di grave-
Lois
si allontanò tirando su col naso e fissandolo con occhi grandi come quelli di
un bambino dopo che ha pianto.
-E’ la verità?-
Clark le sorrise
annuendo e vide che Lois prendeva aria e si calmava
un po’.
-Clark,
accompagnala all’ospedale… non è il caso che guidi da
sola, adesso-
-Non si preoccupi
signora Kentio…-
Martha e Jonathan
scossero la testa e praticamente spinsero fuori di casa Lois
e Clark.
Lily doveva aspettare…
-Ti vedo nervoso, Smallville…-, durante il tragitto in auto verso l’ospedale,
Lois si era notevolmente calmata in seguito
all’assicurazione fatta da Clark circa le condizioni di Chloe.
Non avrebbe mai pensato
di vedere Lois così fragile, nonostante la sua
capacità di recupero fosse eccezionale, e, mentre guidava il più velocemente
possibile, nei limiti concessi dalla legge, pensava a quale potesse essere
invece la stessa capacità in Lily: l’aveva vista davvero giù nei giorni
successivi alla lite con Chloe e tutti i contrattempi
che lo tenevano lontano da lei acuivano la sua preoccupazione.
Quando arrivarono
all’ospedale, Lois scese velocemente di macchina
chiedendo all’ingresso dove fosse la cugina. Le risposero che era stata portata
a fare alcuni esami di accertamento e che avrebbero dovuto aspettare un po’.
Si sedettero nella sala
d’aspetto, dove il silenzio e l’aria grave facevano da sovrani, uno di fronte
all’altra, senza guardarsi.
Un movimento nel
corridoio richiamò la loro attenzione: era Jason che, uscito dalla stanza dove
era Lana, cercava un medico per sincerarsi delle sue condizioni.
Lois
e Clark si fecero avanti, per chiedere notizie. Jason li salutò, ma dalla sua
espressione trapelava preoccupazione.
-Quel pazzo le ha come… paralizzate, non so come abbia fatto, ma i medici
vogliono controllare che vada tutto bene-, Lois
abbassò gli occhi.
-Possiamo vederla?-,
chiese Clark.
-Sì, credo sia sveglia… Clark, Lana è molto arrabbiata con una ragazza che
credo tu conosca: continua a dire che era lì ed è scappata quando la situazione
è degenerata…-
Clark prese aria e,
salutando Jason, entrò nella stanza di Lana con Lois.
Sembrava stesse
dormendo, nella penombra, con la testa rivolta verso la parete opposta alla
porta.
Si voltò quando sentì
che qualcuno entrava e sorrise, vedendo Clark. Un attimo dopo si rabbui,
voltandosi.
-Come ti senti?- , le
chiese Lois, sedendosi sulla sedia vicino a lei.
Lana attese un attimo,
come se stesse raccogliendo le sue idee, poi rispose.
-Ora bene… ma ho temuto di rimanere paralizzata…
era come un incubo… non riuscivo a muovere niente,
sentivo solo le sue mani e le lacrime che continuavano a uscire dai miei occhi
chiusi: non riuscivo neanche ad aprirli, a parlare, gridare…-
-E’ tutto finito…-, disse Clark, e le prese una mano.
Lana la ritirò: -C’era
anche la tua amica, Clark, quella nuova… quella che
parla sempre con Lionel Luthor… lei se l’è data a
gambe, sai? Non ha neanche chiamato la polizia… è una
vigliacca!-, le sue dita stringevano convulsamente la stoffa bianca dei
lenzuoli.
Lois
lanciò un’occhiata in tralice a Clark. Di nuovo Luthor…
che cosa c’entrava ancora?
Lui strinse di nuovo la
mano a Lana e uscì dalla stanza, senza dire una parola.
Poco dopo l’infermiera
entrò chiedendo a Lois di uscire.
Chloe
era stata riportata nella sua stanza e le due cugine poterono abbracciarsi.
-Ho bisogno di
chiederti una cosa…-, disse piano Clark a Chloe, mentre Lois, più in
disparte, parlava con il medico delle condizioni di salute della cugina.
Chloe
lo guardò, sveglia, -Mi ero sbagliata sul conto di Lily…
perdonami-, sorrise appena mortificata e aspettò che lui parlasse.
-Lana dice… che c’era anche lei con voi e che è scappata via,
senza aiutarvi… io non posso credere ad una cosa del genere…-
Chloe
posò la sua mano su quella di Clark e lo fissò dritto negli occhi.
-E’ vero, c’era anche
Lily ed è andata via prima che arrivassero i soccorsi, ma, Clark, credimi… se non ci fosse stata lei non so se io e Lana
saremmo qui, adesso… Non chiedermi altro, per favore…-, sembrava convinta nelle sue parole. Clark la
guardò pensieroso.
-Va da lei, ora…-, Chloe gli sorrise, facendogli cenno con la testa di andare.
Lui rispose al suo
sorriso posandole un dolce bacio sulla fronte, salutò Lois,
gettandole le chiavi dell’auto, per tornare a casa, e scomparve.
Come pensava, Lilyanne non era a casa: la sua ricerca era diventata la
costante degli ultimi giorni.
In realtà, forse, era
tutta la vita che stava cercando una come lei, pensò tirando un pugno leggero
sulla sua porta di casa.
Dall’interno udì un
flebile miagolio: doveva aver svegliato il gatto. Pensò all’ironia racchiusa
nel nome scelto per lui: E.T…
Forse anche Lily voleva
solo tornare a casa, come E.T., ma non sapeva più
quale essa fosse: troppe volte la sua vita era stata interrotta dalle beffe del
destino, troppe case l’avevano ospitata, chissà se in qualcuna di esse si era
mai davvero sentita protetta.
Vagò ancora un po’ per
la città, senza una meta, consapevole che Lily avrebbe potuto essere ovunque,
anche molto, molto lontano da lì, poi si rassegnò, e tornò a casa.
La luce in cucina era
ancora accesa e lui non aveva voglia di parlare con i suoi, si sentiva troppo
arrabbiato e depresso. Salì nella sua piccola fortezza della solitudine,
facendo le scale con passo lento e stanco, reggendosi al passamano.
Quando arrivò su, credette che i suoi occhi lo stessero ingannando. Si fermò
in cima alle scale, trattenendo il respiro, sentendo il cuore che accelerava
nel petto: davanti a lui, china sull’oculare del suo vecchio telescopio, c’era
Lily.
Si voltò verso di lui
con un pizzico di sorpresa, rimase immobile, con la bocca semi aperta, gli
occhi lucidi, poi corse verso di lui, buttandosi al suo collo.
Clark l’abbracciò
stretta tenendola sollevata da terra, affondando il volto nel suoi capelli
sciolti che profumavano di primavera.
Provò di nuovo quella
sensazione di calore e brividi nel suo corpo, per un attimo, poi sentì che le
sue tensioni e le paure si scioglievano, e dopo sentì solo lei, stretta tra le
sue braccia, che riempiva il suo sguardo, la sua testa, ogni cellula del suo
corpo.
Sentì il suo cuore battere
velocemente, in sintonia con il suo, e volle poterla stringere ancora di più,
se possibile, perché non scappasse di nuovo, lasciando quel vuoto doloroso in
lui.
-Lily…-,
mormorò piano, e la sua voce fu come una carezza sulla pelle del suo volto.
Sentiva il sangue alla
testa, pulsare nelle tempie, e capì che anche lei era emozionata e rinfrancata
dalla sua presenza.
Rimasero stretti a
lungo, finché i loro battiti non tornarono normali e fu possibile scostarsi
appena, per guardala negli occhi.
Le sorrise, le fece una
carezza sulla guancia, scostandole i capelli dal viso: voleva controllare che
stesse davvero bene.
-Clark,
è successa una cosa…-
-Tu stai bene…?-
-Io sì, ma…-
-Anche loro stanno
bene-, le sorrise e, di nuovo, le fece un’altra carezza.
Vide che si rilassò un
poco e la invitò a sedersi sul divano. Notò che aveva uno strappo sulla manica
della camicetta che indossava. Con le dita riavvicinò i lembi della stoffa.
-Ti ha fatto male?-, le
domandò triste.
-Appena…-,
rispose scuotendo la testa, rassegnata e lasciò che lui la circondasse con un
braccio, poi sprofondò nel suo abbraccio.
-Cosa sono, Clark? Io
non riesco a capirlo…-, sollevò una mano davanti al
suo viso e la esaminò.
-Io non pensavo di
avere tutta quella…forza…-,
Clark prese la sua mano e l’avvicinò alla sua bocca, dandole un bacio sulla
punta delle dita. Non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, ma Lily non lo
vide.
-…
hai delle mani così belle…-, Lily arrossì e ritirò la
mano al suo petto. Sorrise per il complimento, sperando che Clark non la
vedesse, e si accucciò sulla sua spalla. Clark fissava le travi del tetto sopra
di sé.
Non aveva bisogno di
niente.
-Hai freddo-, le
domandò piano dopo qualche minuto, e vide che si era addormentata.
Ringraziò il Signore
per quell’attimo e chiuse gli occhi, scivolando nel sonno cullato dal suo
respiro caldo.
Si svegliò per la luce
del sole che entrava dalla finestra spalancata del granaio: era disteso sul
divano e aveva una coperta a coprirlo: era solo.
Deluso, si alzò e fece
qualche passo, massaggiandosi il collo. Non l’aveva sognata…
no, ne era convinto.
Sulla scrivania,
accanto alle vecchie foto di quando era bambino, c’era un foglio con la grafia
di Lily, scritto ancora con una penna viola: era una lettera per lui.
La lesse attentamente e
quando arrivò in fondo, la lesse di nuovo, perché non riusciva a capire le sue
parole:
“Ti giuro che venire da te, ieri sera, è stato l’ultimo errore che ho
fatto e l’ultima intromissione nella tua vita. Avevo bisogno solo di un
abbraccio da te.
Ieri sono venuta a sapere alcune cose, che ti riguardano, e ho toccato
con mano quanto Chloe e Lana siano affezionate a te,
in modi che forse tu non comprendi, ma che solo loro, se lo vorranno, hanno il
diritto di spiegarti.
Quel folle di Greedy è riuscito a farmi capire
per tempo quanto loro due siano i tuoi tesori… le ho
protette anche per te. Ti vogliono davvero bene, Clark.
Mi hanno parlato di quello che è successo pochi mesi fa… mi hanno detto che sei stato molto male, che avevi una ragazza
che hai sposato e che amavi e che ora non c’è più. Immagino che loro ti siano
state vicino senza accollarti ulteriori problemi e storie dolorose, come la
mia.
Avrei voluto parlarti ancora di me, chiederti tante cose…
ma so che condivideremmo troppo e non voglio spingerti verso direzioni che io
per prima ho cancellato dalla carta delle rotte della mia vita.
Non preoccuparti: non scapperò ancora, rimarrò a Smallville
e sarò felice, se lo vorrai, di rimanerti amica, perché ho compreso quanto
possa essere prezioso un amico come te.
Stai tranquillo, il tuo segreto è al sicuro. Tu, per favore, custodisci
il mio.
Con affetto,
L.L.”
Sospirò sgonfiando le
spalle e lasciandosi cadere sul divano: Chloe e Lana
le avevano parlato di Alicia! Chissà che idea si era fatta, quali castelli si
era costruita nella sua testa, quante storie non vere…
Non se ne sarebbe
andata, d’accordo, ma lui sarebbe riuscito a farle capire cosa realmente
provasse per lei?
Sì, perché ora ne era
davvero sicuro: sentirla tra le sue braccia la sera prima, perdersi nel suo
sguardo che lo aveva illuminato dal dentro, provare ancora la sensazione che
scorreva sulla pelle come un brivido e andava a riscaldare il suo cuore, a
diradare le nubi grigie delle sue sofferenze passate…
sì ne era sicuro... era lei la donna che voleva accanto a sé.
Strinse il foglio di
carta in una mano, avvicinandolo alle sue labbra, prese aria e si rimise in
piedi, con uno scopo.
Pensò a lei ancora un
istante: … ti stavo aspettando…
Fece un balzo e corse
fuori dal fienile, per farsi una doccia e prepararsi prima che gli altri si
fossero alzati e la vita avesse ripreso a scorrere nella fattoria.
Lois
fu la prima a scendere – fatto stranissimo – , fece colazione in fretta con del
caffè soltanto e disse che sarebbe corsa all’ospedale per prendere Chloe, che veniva dimessa quella mattina: non aveva
assolutamente nulla e non vedeva l’ora di tornare subito a scuola.
Clark la osservò
inciampare infilando gli stivali con una mano sola, mentre con l’altra reggeva
la tazza del caffè che le aveva scottato la lingua, rovesciare il contenuto
della borsa sul tavolo per cercare le chiavi dell’auto e uscire trafelata.
-Dimentichi queste…-, le disse Clark lanciandole al volo il pacchetto
di sigarette che era caduto per terra, -Lois,
dovresti davvero smettere, dammi retta…-, gli sorrise
seccata e sparì.
Clark attese che i suoi
si alzassero per fare colazione con loro e poi andò a scuola.
Verso metà mattinata
andò a controllare se davvero Chloe era tornata e la
trovò seduta dietro la sua scrivania, che scriveva l’articolo sull’aggressione
del giorno prima. Lois, vicino a lei, la osservava
sollevata.
Quando vide entrare
Clark, si alzò e disse che doveva proprio andare via.
-Come ti senti?-,
chiese Clark a Chloe.
-Benissimo…
tranquillo-, rispose alzando appena le spalle, -…
l’hai trovata?-
Clark annuì
guardandola: Chloe capì che le cose non erano andate
proprio come lui sperava.
-Devo andare, ora-, le
disse, e si diresse verso l’aula dove aveva lezione.
Chloe
prese le sue cose e uscì dal Torch.
-Mi fa piacere vederti
già in piedi-, le disse Lily, apparsa alle sue spalle senza che se ne
accorgesse.
-Lilyanne…-,
si sentiva discretamente in imbarazzo, non sapeva che dirle. Le aveva visto
fare cose che solo Clark era stato in grado di fare davanti ai suoi occhi,
prima di allora, anche se lui non lo sapeva.
Anche Lily era in
imbarazzo.
-Io…
niente, volevo solo vedere come stavi… ci vediamo-,
disse allontanandosi.
-Aspetta Lilyanne… ti va ancora di fare due chiacchiere con me?-,
Lily guardò Chloe sorpresa, senza rispondere.
-Ti prometto che
stavolta lascio l’ascia di guerra ben sotterrata…-
Lily le sorrise,
-D’accordo: ci troviamo qua davanti alle cinque?-
-Perfetto-, si
salutarono.
Si erano concesse
entrambe una terza chance: era l’ultimo tentativo e doveva per forza andare
bene.
Lilyanne
prese posto sulla New Beetle di Chloe,
leggermente imbarazzata per il clima teso e silenzioso che galleggiava tra
loro. Da quando si erano incontrate al Torch, pochi
minuti prima, si erano scambiate solo frasi di circostanza, brevi e spezzate.
Chloe
mise in moto l’auto e sintonizzò l’autoradio su una stazione di musica rock,
poi uscì dal parcheggio della scuola, percorse alcuni chilometri verso est e si
fermò, guardando Lily.
-Che ne dici di andare
a fare due passi verso il lago, piuttosto che chiuderci in un bar?-, la sua era
più un’affermazione, che una domanda e Lilyapprezzò la sua proposta.
Camminarono per alcuni
minuti attraverso una faggeta. Sui rami esili le prime foglie splendevano di un
verde brillante, mentre i primi frulli di ali riecheggiavano in lontananza.
Crater Lake era un lago
ampio e profondo, dalle acque scure su cui si riflettevano le bianche nuvole di
vapore provenienti dal sud. Chloe camminò fino al
piccolo molo di legno e si sedette, lasciando dondolare le gambe e invitando Lily
a fare altrettanto.
Lasciarono che il vento
sollevasse i loro capelli e facesse svolazzare le frange della gonna di Chloe.
-Chloe…
vorrei poterti spiegare quello che è successo ieri... Ma non so come iniziare…-
Chloe
espirò in una specie di risatina imbarazzata.
-Beh, e io vorrei
poterti chiedere ancora scusa: non ci sono andata giù delicatamente, per la
seconda volta, Lily. Quindi… scusa!-, tacque un
attimo, poi riprese
-Se c’è qualcosa che io
possa fare per rimediare a quello che ho fatto, sarei felice di aiutarti-
Lily fu sorpresa dalla
sua frase, -Non hai fatto nulla, Chloe! Siamo solo due… galline che starnazzavano intorno allo stesso gallo.
Tutto qui-
-Ma se il gallo in
questione si chiama Clark Kent… beh, le cose si
complicano-
Lily non comprese quello
che Chloe intendeva e la guardò confusa.
-Non volevo metterti in
imbarazzo prima con la storia delle foto e poi… o
meglio, volevo, ma ora mi dispiace averlo fatto-
Lily non parlò.
-E’ che è così strano
vedere Clark che si interessa a qualcuna che non sia Lana…
e poi, dopo quello che è successo con Alicia…-
-Lana, Alicia… forse ci sono molte cose che ancora non conosco…-, constatò Lilyanne, -Alicia era “la moglie”?-, chiese, sentendo qualcosa che le
moriva dentro.
Mentre il sole iniziava
a tramontare e a tingere le acque del lago prima di rosa, poi di un rosso
sempre più intenso, Chloe raccontò, non senza
nascondere a tratti la sua sottile gelosia, delle storie di amore di Clark.
Le disse di Lana e di
come lui l’avesse sempre desiderata, le parlò della sua delusione d’amore con
lui.
Quando ebbe terminato
il suo racconto, vide il volto di Lily tirato, gli occhi lucidi.
-Perché mi hai
raccontato tutte queste cose di Clark?-
-Vedi…
Alicia era una ragazza… speciale-
-In che senso?-
Era preoccupata.
-Alicia
aveva dei… poteri e dopo che lei e Clark si
conobbero, lei fu talmente ossessionata da lui, da cercare di uccidere Lana,
per averlo solo per sé-
-Poteri…?-,
anche lei aveva dei poteri… dove voleva parare Chloe?
-Alicia
era in grado di teletrasportarsi, Lily-, lei sgranò
gli occhi, stupefatta: non pensava potesse essere possibile una cosa simile.
-E’stata per quasi un
anno nell’ospedale psichiatrico di Belle Reve, ma
quando è uscita è tornata da Clark. Stava meglio e lui fu felice di vederla e poi…-
-E poi?-
-Beh, diciamo che lei
conosceva il punto debole di Clark e finirono per scappare insieme a Las Vegas!
Non che il matrimonio fosse valido, intendiamoci, ma tutti si…-
Lily scosse la testa,
come per non sentire ancora quella parola, tirò su col naso, forse stava per
piangere.
-Fammi finire, Lily… insomma, volevo dire che in realtà lei era davvero
affezionata a Clark, ma il fatto che lei avesse quei poteri, beh, contribuì a
farla sentire emarginata da tutti gli altri, che non vedevano di buon occhio
che stesse con lui. Io per prima, ma soprattutto Lana…-
-Già…Lana…-, disse Lily piano, stringendo velocemente le
mascelle, poi rilassandosi e sospirando.
-Per farla breve lei fu
accusata di alcune aggressioni contro Lana e Jason e finì che neanche Clark le credette, almeno così lui mi ha detto. Finché il vero
colpevole la uccise…-
Un soffio più forte di
vento spostò la frangia dalla fronte di Lilyanne.
-Clark
ha sofferto così tanto… si è accusato di non esserle
stato vicino e di non aver avuto fiducia in lei-
La guardò.
-Il problema è che lei
era ossessionata da Clark, e lui si era lasciato andare con lei, dimenticandosi
di qualunque altra cosa-
-E’ di questo che hai
paura?-, le piantò gli occhi dritti nei suoi.
Solo allora Chloe si accorse di quanto fossero profondi e belli.
-Hai paura che anche io
possa fare del male a Clark, dopo quello che hai visto? Che voglia scoprire il
suo punto debole e usarlo per approfittarmi di lui? Chloe,
solo perché non ho una famiglia e vengo da lontano e…
beh, ho fatto quella cosa, non significa che io…-
Chloe
le mise una mano sulla spalla, sorridendole.
-Voglio solo che lui
sia felice, e poiché vi conoscete solo da pochissimo tempo, sono preoccupata…-
Lily deglutì,
continuando a fissarla.
-Io non volevo che
succedesse qualcosa tra me e Clark. Non volevo che succedesse niente con
nessuno!-, le tremava la voce, -Perché pensi che mi vesta come una scema, che
mi copra con questa… questa stupida frangia o con gli
occhiali? Perché non volevo che nessuno si accorgesse che esisto! E Greedy ci era pure cascato…-
Aveva iniziato a
piangere, Chloe non sapeva come comportarsi.
-Lo sai cos’è buffo?
Che hai ragione… senza neanche conoscermi ha saputo
fare un’analisi di me perfetta… E’ vero io… io sono pericolosa quanto quella Alicia, io devo stare
lontana da Clark… io posso fargli altrettanto male…-
Chloe
le prese una mano, cercando di calmarla, aspettando che le lacrime smettessero
di scivolarle dagli occhi.
-Ho detto a Clark che
non voglio che ci sia niente tra noi…Chloe, che dobbiamo rimanere tutt’al più solo amici. E’
vero: ci conosciamo da pochissimo, ma ti posso giurare che mi sono davvero
affezionata a lui, in un modo che non pensavo potesse essere possibile. Dirgli addio
in quel senso… è stata la cosa più…
più difficile…-
-Vedi Lily… ci sono delle cose, di Clark, che non credo che tu
conosca, e sebbene lui sia un ragazzo apparentemente così…
forte, io credo che sia molto fragile, che abbia davvero bisogno di trovare
qualcuno che voglia stare con lui senza pregiudizi su quello che lui è o quello
che non è… qualcuno che possa capire come si sente…-
-Che vuoi dire, Chloe?-, Lily era confusa: anche Chloe
sapeva qualcosa su Clark?
Chloe
le sorrise e non disse altro. Nel profondo dei suoi occhi Lily vide tanta
tristezza e capì che se le stava dicendo quelle cose, davvero, l’aveva
accettata nella sua vita.
Il sole scivolò giù,
dietro il lago, e i colori intorno iniziarono a perdere di consistenza, mentre
in cielo Venere sorgeva vicina alla luna.
Dopo un po’, Chloe riprese a parlare e cercò di trovare le parole più
adatte per esprimere quello che voleva farle capire, sebbene la cosa la facesse
star male.
-Lily,
sto cercando di dirti che se Clark si è fidato di te, può significare solo che
tu hai dimostrato di meritare la sua fiducia, perché non avrebbe mai pensato di
rimpiazzare quello che hanno contato Lana e Alicia per lui con la prima ragazza
che gli fosse capitata davanti-, fece una pausa, -E neanche con qualcuno che
fosse accanto a lui da sempre…-, disse poi più piano,
quasi a se stessa.
Lily la guardò, poi
sollevò una mano su di lei e le carezzò i capelli biondi, con un sorriso.
-Io non avrei voluto
che succedessero quelle cose con Clark… sono solo
successe-, mentì a se stessa e a Chloe.
Chloe
si alzò in piedi e fece qualche passo verso l’acqua.
-Posso farti una
domanda, Lily?-, chiese all’altra, senza guardarla.
-Se posso risponderti…-
-Perché continui a
nascondere il tuo aspetto… dopo che hai visto come
Clark non si sia curato dei tuoi sforzi per renderti meno bella. E quegli
occhiali, poi… perché li portavi?-
Lily rifletté su quello
che sarebbe stato giusto rispondere. Sospirò, iniziando a parlare.
-Ricordi di aver detto
che sapevi cosa mi era successo a Gotham, nella casa
che prese fuoco? Vedi… il ragazzo che fu trovato
morto era… beh, era il mio più caro amico, ma era
anche qualcosa di più, per me. Non avevo mai avuto un ragazzo e speravo che lui
potesse essere quello giusto. Ma poi lui se n’è andato…
Da allora ho deciso che avrei sempre evitato che altri entrassero nel mio
cuore, perché quello che ho sofferto quando lui è morto io…-,
sospirò, ricacciando indietro una lacrima, -Avevo scelto di essere la ragazza
meno desiderabile della scuola perché nessuno si avvicinasse a me… almeno lo speravo…-
-…
ma Clark ha saputo guardare oltre il tuo aspetto...-, concluse Chloe, dispiaciuta per aver riaperto una ferita così
dolorosa.
-Ora non hai più
bisogno di nasconderti, Lily-
Lily le sorrise
tristemente, poi si alzò e si avvicinò a lei.
-Voglio confidarti un segreto… Quello dell’altro giorno con Clark…ecco… è stato il mio primo bacio…-
-Wow…
beh, devo dire che te la sei cavata bene, per essere una alle prime armi,
allora!-
Risero insieme di gusto
per la prima volta da quando si erano conosciute.
Chloe
doveva accettare che qualunque fossero state le scelte di Clark, lei non ne
avrebbe mai fatto parte, e Lily che era inutile mentire al suo cuore e quindi,
a quel punto, non aveva senso mentire neanche a Chloe
su quello che provava per Clark.
Rientrarono verso la
città quando era già buio.
-Ti va di fermarti a
mangiare un boccone da me?-, le chiese Lily quando Chloe
fermò la macchina davanti alla sua villetta.
Chloe
pensò per pochi secondi, -Avverto mia cugina e arrivo-, disse estraendo il
cellulare dalla borsa.
Scese di macchina ed
entrò nella casa. Non immaginava che Lily avesse potuto essere anche un’ottima
cuoca.
Mangiarono con gusto e
dopo rimasero a chiacchierare ancora, carezzando E.T.
che, dapprima diffidente, si era affezionato anche a Chloe.
Lily le disse che gli
occhiali servivano a far sì che i suoi occhi apparissero di un altro colore,
perché non le piaceva che le persone la chiamassero ‘Liz
Taylor’ e che legava i capelli anche perché non le piacevano così lunghi e
selvaggi.
Poi vide lo sguardo
scettico di Chloe, pensò che lei le aveva visto fare
quelle cose assurde, il giorno prima, e fu sincera, come era riuscita ad
esserlo solo con Clark.
Le raccontò di come Greg
fosse morto, la storia vera, e anche dei suoi genitori. Chloe
si sentì onorata di ricevere una tale confessione e si chiese in cuor suo se
quella ragazza potesse essere davvero come Clark, o se era solo uno dei tanti
casi speciali che, lei lo sapeva bene, popolavano la Terra.
Esauriti gli argomenti
tristi, parlarono del più e del meno, di Gotham, di
Clark e dei misteri di Smallville finché non fu l’ora
di andare a dormire.
In un modo o
nell’altro, era per via di Clark che aveva potuto conoscere e apprezzare Chloe. Lui l’aveva aiutata a gestire il suo potere
distruttivo, l’aveva fatta sentire donna accendendo il lei il fuoco della
passione che dormiva sotto le ceneri del suo dolore, l’aveva accolta e si era
fidato di lei.
Lily prese sonno col
sorriso sulle labbra, pensando a quale dono il destino le avesse fatto, mettendola
sulla strada di Clark Kent e si chiese se, in fondo,
non poteva dare alla loro storia un’altra possibilità…
“… non pensavo fosse possibile, ma ho
sentito il mio cuore ricominciare a battere di nuovo,
come se il ghiaccio che lo avvolgeva da
troppo tempo
si fosse incrinato e un sottile soffio di
calore
lo riscaldasse appena,
nell’attesa di una nuova primavera…”
I giorni che seguirono
furono come sospesi in un limbo emozionale: erano successe tante cose troppo
velocemente che avevano turbato gli equilibri nella vita di Clark e dei suoi
amici. Tutti avevano una tale confusione in testa per quello che era accaduto e
per come si erano comportati che, per qualche giorno, senza quasi rendersene
conto, evitarono di incontrarsi, di parlare, finché la maschera che ciascuno
portava da sempre si fosse ristabilita e avesse permesso di ripresentarsi agli
altri con la vecchia faccia di sempre.
Lois,
per prima, si era resa conto di essersi mostrata fragile come non mai e, di
punto in bianco, accertato che sua cugina stesse davvero bene, era tornata al
suo atteggiamento sarcastico e strafottente nei confronti di Clark e
dell’intero mondo che le ruotava intorno.
Pete,
che aveva assistito dall’esterno alla cattura di Robert Greedy
e non aveva ricevuto alcuna spiegazione da Chloe e
Clark, si era offeso per questa esclusione da un fatto che lo riguardava in prima
persona, e aveva ripreso a frequentare Samantha, dopo averle spiegato tutto
quello che era successo.
Lana era stata convinta
da Clark e Jason a non sporgere alcuna denuncia contro Lily e si era chiusa in
una muta protesta contro tutti, riuscendo a fare allontanare da lei anche il
suo fidanzato ei suoi amici.
Chloe
si era fermata a riflettere e a cercare di dare un senso alle stranezze che
aveva avuto modo di vedere con i suoi stessi occhi, negli ultimi tempi: era
sconcertata in primis dalla sua miopia nel non aver capito cosa ribollisse nel
petto di Clark, perché un ragazzo solare come lui, a volte, si chiudesse nel
mistero. Quando lo aveva accettato era comparsa Lilyanne,
il suo alter ego femminile, l’avrebbe definita, misteriosa eppure capace di
gesti di altruismo e dolcezza che solo in Clark aveva visto prima di allora.
Non aveva dubbi: era lei che glielo avrebbe portato via una volta per tutte,
eppure sentiva che poteva accettarlo e farsene una ragione.
Poi c’erano Lily e
Clark, che si cercavano e si respingevano come se stessero conducendo una
danza, ognuno fermamente intenzionato a non deludere le richieste di non
vedersi più dell’altro eppure desiderosi di stare vicini. Alle volte era Clark
che la cercava, fingendo di incontrarla ‘casualmente’ vicino a casa sua, o nei
corridoi della scuola: lei evitava i suoi approcci, limitandosi a salutarlo, e
poi andava via. Altre volte lei lo aspettava fuori dall’aula o all’ingresso
della mensa, per passare qualche minuto con lui, guardandolo con quegli occhi che
bucavano le barriere di Clark e lo portavano, sempre, ad interrogarsi su quanto
potesse starle accanto senza cercare ancora il suo abbraccio, il suo profumo,
e, per paura di violare la sua richiesta, era lui che si allontanava e rimaneva
solo a darsi del cretino, dietro il primo angolo che li dividesse.
Lex,
invece, era sparito di nuovo, preso da un malsano nuovo interesse per le
vecchie ricerche del professor Hamilton e da una quasi ossessione per
l’aggressore di Lana e Chloe, al Talon.
Era già stato al Belle Reve a trovarlo e a parlare
con lui, sfruttando le sue conoscenze e i suoi finanziamenti alla clinica. Non
aveva voluto nessun infermiere di guardia alle loro conversazioni, solo un uomo
portato da lui, sulla sessantina, di nome Jamison.
Passarono alcuni giorni
prima che Clark riuscisse a passare del tempo con Lily.
Dal giorno in cui,
seppe più tardi, era uscita con Chloe, Lily aveva
decisamente abbandonato il suo look trasandato, finendo con l’adeguarsi agli
abiti delle ragazze della sua età, spiccando ora tra loro per l’innegabile
bellezza.
Fu Pete,
che, pensando che non ci fosse più niente tra lui e Lily, che, confidandogli
che il suo giudizio affrettato gli aveva fatto perdere di mano l’occasione di
conoscere meglio una delle ragazze più belle della scuola, lo fece riflettere
su come Lily fosse diventata oggetto del desiderio di molti suoi compagni.
Lily non faceva niente
per cercare gli sguardi dei suoi coetanei e, sebbene avesse optato per jeans e
stivali, continuava a portare maglie piuttosto larghe e comode. Lasciava
sciolti i suoi capelli, però, fermando le ciocche più corte con delle pinzette
e non si sforzava più di camminare un po’ curva e con le spalle incassate.
Fu Chloe
che la costrinse a lasciarsi truccare, un sabato sera, passando da casa sua per
andare a prendere un gelato al Talon.
Fu quella sera che
Clark ebbe modo di parlare con lei.
Si incontrarono per
caso all’ingresso del locale e Chloe, che si era
affezionata alla nuova amica e si era votata all’altruismo sentimentale,
sperando che questo potesse risparmiarle qualche anno nell’inferno dei cronisti
d’assalto, fu abile nel dirottarli verso il poco distante e deserto Lincoln
Garden, lasciandoli soli sulle altalene con la scusa che aveva dimenticato “qualcosa”,
al Talon.
Rimasero in silenzio a
dondolare lentamente, senza guardarsi negli occhi, entrambi sorridenti e
imbarazzati per essere stati chiaramente raggirati da Chloe.
Dopo un po’ Lily si
alzò e fece qualche passo, oltre gli alberi, guardando in cielo verso le stelle
luminose.
Clark si avvicinò a
lei, trapassando i suoi occhi viola con il suo sguardo magnetico.
Era così difficile
riuscire a trovare le parole per esprimere i sentimenti che si agitavano dentro
di loro.
Clark aveva pensato che
la lontananza avrebbe potuto ridimensionare le aspettative che si era fatto su
di lei, sperava che il tempo avesse potuto dargli una spiegazione a quello che
era accaduto tra loro.
La sentiva vicina come
nessuno prima di allora, e sapeva che era per lei che il suo cuore aveva smesso
di battere solo per Lana. Perché non riusciva a pensare a lei solo come ad
un’amica? Era questo che lei voleva, no?
Eppure quando aveva
letto nei suoi occhi la scintilla della passione che incontenibile la spingeva
verso di lui, o quando aveva sentito il sapore del suo sangue, o ripensando
all’onda di energia che li aveva avvolti quando si erano incontrati la prima
volta, si era sentito meravigliosamente completo, consapevole che anche lei lo
voleva.
Leggeva nei suoi occhi
i ricordi e le aspettative che si confondevano, la pregava silenziosamente di
parlare per prima, di liberarlo da quell’attesa che rendeva l’aria elettrica e
sembrava fermare lo scorrere delle cose intorno a loro.
Lily si lasciò guardare
dentro, sentendo quella splendida sensazione che aveva provava accanto al lui
crescere e inebriarla come una droga. Perché le era stato vicino, a scuola,
perché l’aveva aiutata e si era scoperto con lei come - lo sentiva – non aveva
fatto con nessun altro al mondo? Perché Clark Kent
continuava a cercarla, sebbene sapesse che lei poteva essere pericolosa e
fargli del male, se si fosse lasciata andare un’altra volta? E perché da quel
giorno non riusciva a dimenticare il sapore delle sue labbra e del suo sangue?
Sperava che Clark rompesse quel silenzio spiegandole perché l’aveva tanto
cercata.
Si avvicinarono
lentamente l’uno all’altra, senza parlare, finché non furono così vicini da
poter sentire i loro respiri farsi più brevi e veloci.
Non era il tempo delle
parole.
La mano di Clark
scivolò sotto i suoi capelli, mentre la spingeva delicatamente verso di sé,
legandola in un bacio che sapeva di aria e di fuoco.
In quell’attimo seppero
di poter condividere ogni segreto, ogni speranza, ogni desiderio.
Ancora una volta Clark
si sentì some sospeso, legato solo al corpo di Lily, alla sua bocca ardente, ai
suoi capelli che odoravano di fiori. Sentiva le sue mani scivolargli lungo la
schiena stringendolo, poteva sentire i suoi seni premere contro il suo petto,
le gambe intrecciarsi alle sue, come per tenerlo legato a sé, la sua lingua
morbida farsi strada lottando con la sua, in una danza che solo gli dei
sapevano condurre.
Avrebbe voluto essere
una cosa sola con lei, come le sensazioni che provavano si erano fuse in una
sola.
Staccò la bocca dalla
sua, per guardare i suoi occhi brillanti e scorgervi lo stesso bagliore
infuocato che, lo sentiva, riluceva nei suoi.
Spostò appena lo
sguardo e capì che non stava sognando, quello che sentiva era reale: entrambi
erano sospesi a poco più di un metro da terra. Sentì il cuore perdere un colpo.
Tornò con gli occhi su di lei e vide che gli sorrideva, complice e soddisfatta
e capì che tutte le parole che aveva detto, che sembravano invenzioni di una
mente troppo fervida, erano vere.
La avvicinò nuovamente
a sé e riprese a baciarla, finché sentì nuovamente la terra sotto i suoi piedi
e lei si staccò, abbracciandolo e posando la testa sul suo petto.
Rimasero stretti,
immobili, nel parco, per un tempo che non furono capaci di quantificare, finché
le stelle di Orione scomparvero dietro l’orizzonte.
Tornarono alla casa di
Lily camminando vicini, tenendosi stretti mano nella mano.
-Buonanotte, mio bel
principe-, disse semplicemente lei.
-Buonanotte,
principessa-, (1)[i]
rispose lui, vedendola scomparire dietro la porta.
Non furono necessarie
altre parole tra loro, perché tutti i dubbi e le domande erano stati cancellati
quando le loro anime di erano incontrate e avevano danzato insieme, alla
tremula luce di un lampione lontano, spiate solo dalle stelle.
-Tu devi essere la
nuova amica di Clark. Te lo chiamo subito-
La voce di Lois lo riportò indietro da un sogno che il suo istinto gli
suggeriva doveva essere bellissimo e lo catapultò in una mattinata inondata di
sole.
Si tirò su dal divano
cercando di capire che ore fossero, quando la porta di casa si aprì e Lois entrò. Era vestita con il suo succinto completino da
jogging e aveva ancora al braccio l’iPod. Doveva
essere tardissimo.
-Ehi, bello
addormentato, sveglia! C’è qua fuori una persona per te…-,
strizzò l’occhio ammiccando e salì di sopra a farsi una doccia.
Clark uscì in veranda
schermandosi gli occhi per il sole, con indosso la maglietta e i pantaloni
della tuta che usava per pigiama, scalzo e con i capelli tutti arruffati.
Davanti a lui, Lily
sorrideva divertita.
-Buon giorno,
dormiglione!-, disse con aria riposata, -sono venuta a rapirti…-
Indicò un cestino di
paglia contenente, a prima vista, tutto l’occorrente per un pic-nic (2)[ii]. Clark si passò una mano
tra i capelli.
-Accidenti! Aspettami
solo un secondo!-
Schizzò di sopra e fece
irruzione nel bagno, noncurante delle urla di Lois
che stava facendo la doccia.
-Non ti guardo! Sta
zitta! Fammi solo lavare il viso-, infilò la testa sotto al rubinetto e la tirò
su, schizzando dappertutto. Un attimo dopo era sparito.
Aveva indossato
velocemente dei jeans e una maglietta rossa, e, afferrate al volo le scarpe,
aveva raggiunto il più velocemente possibile Lily, sulla porta di casa.
Lei lo guardò alzando
un sopracciglio.
-Eri quasi più decente
prima-, scherzò indicando la maglia infilata al rovescio e già tutta bagnata
dai capelli gocciolanti. Risero e, dopo che Clark si fu sistemato, si
avventurarono per i campi di granturco (3)[iii] verso sud.
-Non c’era bisogno che
tu facessi così in fretta-
-Non volevo perdere
altro tempo-, le rispose fermandosi davanti a lei per baciarla.
Ripresero il cammino
tenendosi per mano, fermandosi solo dove le spighe li superavano in altezza.
Nessuno li avrebbe visti, là sotto.
Le domande che avevano
paura di porsi aleggiavano tra di loro come il vento tra le foglie sopra le
loro teste.
Si persero in
convenevoli, distraendosi con alcuni dei tramezzini al tonno che Lily aveva
preparato e bevendo dallo stesso cartone del latte. Di nuovo si trovarono
faccia a faccia.
-E’ inutile che
continuiamo a far finta di niente-, disse Clark rompendo l’attesa e la guardò
con un sorriso contagioso.
Si alzò e, prendendola
per i polsi, la fece sollevare da terra.
-Voglio che mi dici
come fai-, indicò il cielo con lo sguardo.
Vide che abbassava lo
sguardo.
-Clark…
prima devo sapere una cosa-, deglutì, -Io e te siamo uguali? E se siamo uguali… cosa siamo? Uno scherzo della natura o dei…mostri… Cosa?-, lo sguardo
preoccupato era sincero.
Clark lo aveva dato per
scontato, dopo quello che aveva percepito la notte prima, effettivamente le sue
erano solo supposizioni.
Era già stato
ingannato, in passato, da persone che dichiaravano di provenire dal suo stesso
pianeta: uno si era rivelato un ragazzo misterioso con la capacità di guarire
gli altri, e l’altra era stata solo una pedina nelle mani di Jor-El, per convincerlo a seguire i suoi comandi.
Lily vide il suo
sguardo velarsi e la sua espressione felice svanire.
Forse una prova in più avrebbe
potuto essere quella della reazione della ragazza alla Kryptonite,
ma era troppo rischioso e Clark non lo avrebbe permesso.
Lo avrebbero scoperto
col tempo.
-Non so se siamo
uguali, Lily, ma sappiamo fare cose uguali… almeno
credo-, le pose una domanda diretta.
-Le cose che hai detto
a Chloe il giorno dell’intervista, erano tutte vere,
quindi?-
La vide indugiare un
istante e trattenere il respiro. Poi si rilassò un poco.
-Ho detto tante di
quelle cose a Chloe… So correre molto veloce, più
veloce di chiunque altro, credo. Ho scoperto di avere questa capacità un paio
d’anni fa, mentre mi allenavo per le mie gare di corsa. Dopo ho pensato che non
fosse corretto usarla per vincere e ho abbandonato la squadra-, Clark
capì perfettamente cosa doveva aver provato in quella scelta.
-Come hai visto, so
fare quella… cosa con gli occhi e poi…
una volta ero arrabbiata, perché la mia auto si era fermata nel bel mezzo del
niente e le ho dato un calcio. L’hanno ritrovata a tre chilometri di distanza
due giorni dopo, Clark! Io… mi sono sentita un
mostro! Non sapeva nessuno di queste stranezze, neanche mio padre. Sapeva solo
che avevo incendiato la carta da parati semplicemente guardandola. Ma non ho
mai usato questi poteri, non sapevo come controllarli. Li ho ignorati… fino a quando non ho incontrato te… è come se si fossero risvegliati tutto d’un tratto.
L’altro giorno, Greedy…l’ho fermato io, ma non ho idea
di come ho fatto…-, si fermò e lo guardò.
-E tu cosa sai fare,
Clark Kent, oltre a baciare in quel modo così…-
Clark le sorrise e,
prendendola alla sprovvista, la strinse alla vita e la fece andare per terra,
distesa, mentre rideva come una bambina.
Si chinò su di lei e
posò le labbra sulle sue, per un istante infinito.
Si allontanò
distendendosi di fianco a lei.
Le nubi bianche
scivolavano silenziose nel cielo sopra di loro, coprendo ogni tanto i raggi del
sole.
-Sapevo che eri in
grado di correre alla supervelocità: ero passato da casa tua, qualche giorno fa
e tu sei scomparsa davanti ai miei occhi. Ti ho seguita fino a scuola, sai?-,
vide che lo guardava stupita socchiudendo la bocca.
Volle essere il più
sincero possibile con lei, sperando che poi si aprisse a nuove confessioni.
-Non so volare, ma
posso correre anch’io veloce come te. E poi… posso
spostare oggetti pesantissimi e… insomma, diciamo che
ho una ‘superforza’, che mi permette di restare incolume di fronte a minacce
anche grandi-
-E…?-,
Lily si mise seduta sui talloni accanto a lui e gli fece poggiare la testa
sulle sue gambe.
-E…
posso vedere attraverso le cose. Ma questo hai detto a Chloe
che lo sapevi fare anche te!-, la fissò pungente mentre giocherellava con una
ciocca dei suoi capelli neri che ricadevano sul suo volto.
Lily arricciòle labbra fissandolo attenta.
-Mi piacciono i tuoi
boxer azzurri…-, disse soltanto.
Clark si sollevò sui
gomiti, guardandola esterrefatto.
-E a me piace il tuo
reggiseno rosa!-, contrattaccò, poi si avvicinò di nuovo a lei e la baciò.
Scivolarono per terra
senza staccarsi.
Lily sentì il peso di
Clark che si piegava su di lei e continuava a baciarla, ininterrottamente, come
se, nel momento in cui si fosse allontanato, lei sarebbe scomparsa.
Sentì le sue mani stringerla
alla vita, mentre lei si insinuava con le sue sotto la maglietta rossa, sulla
schiena nuda.
Poi, come di comune
accordo, prima che non fosse possibile riuscire a tornare indietro, si
allontanarono, i respiri affannati e le labbra arrossate.
Lily si alzò.
-Devo sapere una cosa-,
la voce di Lily sembrava come sospesa.
Si voltò verso di lui,
fissando lo sguardo nel suo.
-Cosa provi per Lana? Io… devo saperlo…-
Clark sospirò: non
aveva affatto voglia di affrontare l’argomento in quel momento; si mise seduto
incrociando i polsi sulle ginocchia piegate.
-Siamo stati insieme,
io e Lana, e sono stato io a decidere che la nostra storia finisse, non ho
rimpianti, adesso… Lei ha un nuovo ragazzo e io...-,
la guardò per un attimo, ma lei era seria, - E’ stata dura per me da accettare,
ma credo di avere iniziato a farlo-, le rivolse un’occhiata fugace, in tralice,
mentre per un istante ritornava il sorriso sulle sue labbra.
-Perché l’hai
lasciata?-, la sua domanda era sincera.
Clark si alzò in piedi.
-Come avrei fatto a
legarla a me? Se avesse saputo quello che posso fare, se avesse capito cosa
sono realmente… credo che avrebbe avuto paura… non mi avrebbe accettato. Io sono diverso da lei!
Sono diverso da tutti! -, non sembrava più il ragazzo sicuro di sé e quasi
orgoglioso dei suoi poteri di pochi istanti prima.
Lily lo guardò
dolcemente, si alzò e gli fece una carezza, annuendo.
Lei capiva.
Lei aveva provato gli
stessi sentimenti.
Lei aveva rinunciato ad
amare.
Fino ad allora.
Clark la abbracciò,
lasciando che lei poggiasse la testa sul suo petto. Le baciò la fronte e la
allontanò appena da sé, tenendola per la vita, per guardarla. Le sorrise senza
dire altro, perché sapeva già cosa si muoveva nel suo cuore ferito.
Una brezza leggera
faceva muovere le cime delle spighe di granturco sopra la loro testa. Clark si
era distratto e, onestamente, non era più molto convinto di dove fossero
arrivati, camminando. Posò il cesto del pic-nic per terra e spiccò un salto per
guardare oltre le spighe.
-Cosa fai?-, chiese
Lily, ridacchiando, -Ti metti a fare la rana, ora?-
-Dai, Lily… non ci crederai… non che mi
sia perso, ma…-
-Clark!?
Ti sei perso?? Il re dei campi di Smallville che si è
perso!!-, Lily si era fermata e rideva di gusto riempiendo l’aria con la sua
voce cristallina, una risata contagiosa che, presto, coinvolse anche Clark.
-Devo aspettarmi che
arrivi un tifone, adesso, e che tu diventi l’”Uomo di Latta”, o lo
“Spaventapasseri”?-, non l’aveva mai vista così felice, prima.
Clark la afferrò per la
vita, stringendola a sé.
-Io “uomo di latta”?
Forse volevi dire “Uomo d’Acciaio”, baby…-, Lily
abbassò per un istante gli occhi, seguendo il suo sguardo provocante, e subito
rialzò il volto con un sorriso malizioso, le guance rosse, la bocca spalancata
e stupefatta, lo guardò confusa spostando lo sguardo sui suoi occhi, per un
attimo, poi si voltò, trattenendo a malapena una risata imbarazzata.
-Dai, “Uomo di Latta”,
cerchiamo un posto tranquillo, che ho fame…-
Clark la guardò con una
smorfia divertita, facendo alle sue spalle una mezza linguaccia.
-…
d’acciaio…credimi…-, la
seguì divertito e stupefatto per come era risuscito senza volerlo a metterla in
imbarazzo, con le sue allusioni. Gli era piaciuto...
-Credo che abbiamo
camminato quasi fino alle grotte…-, le disse dopo un
po’, riconoscendo la vegetazione che sbucava oltre le spighe, ad est.
-Quali grotte?-
-Prima riposiamoci un
po’, poi magari, se fai la brava, ti ci porto…-
Lily lo guardò
perplessa, ma felice, scelse un posto alla fine del campo di mais, alle radici
di un grosso albero, e decise che sarebbe stato il loro ristorante.
Stesero il plaid a
grossi quadri scozzesi rossi e iniziarono a scoprire cosa era rimasto dopo lo
spuntino di poche ore prima.
-Non abbiamo più latte…-, disse Lily.
-Vuoi che ti vada a
prendere una mucca da casa?-, chiese Clark, divertito.
-So che saresti capace
di farlo, Clark, ma la povera mucca non credo sarebbe così felice…
Posso fare a meno del latte: ho un bottiglia di acqua…
E tu? Solo ‘Latte Più’ (1)[iv] per te?-
-Come credi che sia
cresciuto così sano e forte, altrimenti?-
-Pensavo tu fossi una
specie di eroe caduto dal cielo…-, la sua battuta
fece rabbuiare Clark, che si alzò senza risponderle, dandole le spalle.
Lily si alzò e si
avvicinò a lui, da dietro.
-Clark…cosa…?-, gli posò una mano sulla spalla.
-Vieni con me, devo mostrarti
una cosa…-, le disse voltandosi, con espressione grave
e prendendola per mano.
La luce filtrava
all’interno delle grotte dall’apertura esposta a sud, l’aria all’interno era
umida e odorava di muschio e terra. Clark precedette Lily, sempre tenendola per
mano.
Lungo il tragitto
dall’albero alle grotte, Clark era rimasto in silenzio, cercando le parole più
adatte per spiegare a Lily la storia protetta dalle pareti di roccia antica.
Non voleva spaventarla, ma credeva fosse giusto che anche lei conoscesse quello
che il tempo aveva conservato gelosamente, per lui.
I graffiti sulle pareti
si vedevano appena, nella penombra, Clark si avvicinò e indicò con la mano i
vari disegni.
-E’ la storia di Naman… l’uomo che cadde dalle stelle-, Lily lo guardò
trattenendo il respiro, ascoltando le sue parole che sapevano di magia antica e
di speranza.
Ascoltò tutta la storia
di Naman, fino alla battaglia con Segith.
Clark non andò oltre nel mostrarle gli altri graffiti: aveva visto quanto fosse
turbata e allo stesso tempo affascinata da quello che gli stava dicendo.
Lily esaminò per un po’ da sola i graffiti,
scorrendo con lo sguardo da un simbolo all’altro. D’un tratto si fermò,
rimanendo immobile, come terrorizzata. Fece due passi all’indietro e inciampò
su un sasso. Clark la afferrò prima che cadesse per terra.
-Cos’hai?-,
le domandò preoccupato.
Lily allungò la mano
verso la parete, dove sulla roccia grigia si stagliavano i simboli kryptoniani degli elementi, indicò il simbolo del fuoco,
come Clark aveva saputo durante la sua permanenza in carcere, intrappolato nel
corpo di Lionel.
-Guarda…-,
sussurrò sollevando i suoi capelli e mostrandogli la schiena, proprio sotto la nuca:
c’era un segno, sulla sua pelle, forse un vecchio tatuaggio, oppure una
cicatrice violetta, identico al simbolo del fuoco.
Come la guerriera kryptoniana del suo sogno…
La strinse a sé e sentì
che le batteva forte il cuore.
-Cosa significa tutto ciò… e Naman… tu hai gli stessi poteri…Clark… e anche io…-
Un fascio di luce
violenta li abbagliò lasciandoli accecati per qualche istante, Lily si strinse
di più al suo petto.
-Clark?
Quando perderai l’abitudine di appartarti con le tue ragazze nelle mie grotte e
di sedurle con quella vecchia storia di Naman e Segith?-
-Lex??-
LexLuthor si fece avanti, spostando il fascio di luce
della sua torcia dalla faccia di Clark e Lily, che si allontanarono
imbarazzati.
-Non mi presenti la tua
amica, Clark?-, disse avvicinandosi a Lily.
-Lei è LilyanneLeibniz, una ragazza del
liceo. Viene da GothamCity…-,
non sapeva che altro dire di lei, l’aveva colto alla sprovvista, in quel
momento così delicato.
-Piacere, LexLuthor. Sono un amico di
Clark da tanti anni e… ovviamente scherzavo, poco
fa-, disse Lex stringendo la mano di Lily,
squadrandola dalla testa ai piedi, in un modo che la mise a disagio.
-Io sono…
molto lieta di conoscerla, Signor Luthor…-, aveva già
detto quella frase, qualche tempo prima, ad un altro uomo, il padre di Lex, pensò. Provò un brivido che scivolò lungo la sua
schiena.
-Clark,
non mi avevi detto di avere una ragazza così bella!-, scherzò Lex.
-No, noi non stiamo…-, si affrettò a giustificarsi Clark, poi vide lo
sguardo di Lily spegnersi e non terminò.
Lex
lo guardò in tralice, comprendendo la situazione, il suo ghigno obliquo tornò
su Lily. Fece un passo verso di lei.
-Non preoccuparti,
avevo avuto notizie di lei da altre fonti...-, fu volutamente misterioso, -E’
molto che sei a Smallville, Lilyanne?-,
chiese untuoso.
-Poche settimane-,
disse solo Lily, poi si avvicinò a Clark, -Fa un po’ freddo, qui… possiamo andarcene?-
Clark e Lily salutarono
Lex e uscirono nel sole, dirigendosi in silenzio
verso la loro roba del pic-nic.
Lex
li accompagnò all’esterno, inforcò i suoi Ray-Ban da quattrocento dollari, e
continuò a seguirli con lo sguardo, da lontano, sorridendo in silenzio,
soddisfatto.
“Benvenuta a Smallville, LilyanneLeibniz…”
Poi rientrò nelle
grotte, si soffermò solo per controllare una cosa e se ne andò facendo rombare
la sua Ferrari nera che partì mordendo la terra secca e sparendo verso la
città.
[i]
(1) La più bella buonanotte della mia infanzia: quella che Aladdin e Jasmin si scambiano alla luce della luna d’oriente.
[ii]
(2) Ebbene sì: ho voluto rubare alla Lana Lang di
Superman III l’idea del pic-nic. Ma stavolta non ci sono cani o bambini tra i piedi…
[iii]
(3) Ovviamente anche questa, già usata nei primi capitoli, è una citazione da X-Files.
[iv]
(1) Ovviamente citazione da “Arancia Meccanica” di Kubrik
sola come un animale abbandonato al proprio
destino.
E’ da tre mesi che sono rinchiusa in questo
istituto,
dove mi aiutano,
dicono,
a recuperare un po’ di serenità.
Dove mi studiano,
penso,
per capire cosa sono.
Io sono la figlia di una modesta coppia di
provincia,
famiglia spezzata quando ero troppo piccola
per soffrire.
Sono la figlia di un padre adottivo che mi
ha amata,
ma che a volte ha amato di più la sua
ricerca
e mi ha fatto sentire diversa.
Sono figlia di una madre adottiva,
che ho sempre considerato come la mia vera
mamma,
una madre che soffriva,
a causa mia,
per le mie sofferenze e le paure.
Non è stata una bella vita,
la mia.
Ora sono la cavia,
dico io,
“no, la nostra ospite più carina”,
dicono loro,
ma da tre mesi cercano di capire cosa io
sia.
E allora mi chiedo che cosa io sia
veramente,
da dove venga questa energia nera che scorre
nelle mie vene.
Cos’è che mi strazia la carne come è
accaduto da bambina,
cosa nutre il fuoco nella mia testa e
produce il mostro che sono,
cosa sono quei sogni,
che alle volte la notte mi prendono e mi lasciano
confusa, al mattino?
Di cos’è fatta la mia pelle, i miei capelli
sempre troppo lunghi,
cos’ho al posto del sangue?
E soprattutto:
i miei genitori, quelli veri,
quelli che non hanno potuto amarmi,
cosa erano?
Perché loro se ne sono andati mentre io,
ogni notte,
cerco di raggiungerli
e non ne sono capace?
E la mattina,
in silenzio,
mi sveglio con un nuovo sole,
e l’incubo ricomincia.
Ma forse non sono sicura di voler sapere
cosa io sia: ho paura che la realtà,
ancora una volta,
sia più spaventosa della mia immaginazione.
Ho paura che gli altri possano finalmente
trovare le prove inconfutabili del mio essere
un mostro.
E allora,
per me,
sarebbe la fine.”
-Fermati un attimo,
Lily!-, Clark era sconvolto e spaventato quanto lei, dopo quello che avevano
visto nelle grotte, ma voleva assolutamente cercare di calmarla, di spiegarle
che doveva stare tranquilla, perché non sarebbe cambiato nulla.
Lily camminava alla
cieca accanto a lui, cercando di ripercorrere attraverso ai campi la stessa
strada della mattina. Da quando avevano raccolto in fretta le loro cose, non
gli aveva più rivolto la parola, era scossa da quello che aveva visto e dalle
parole di Lex.
E poi lui aveva fatto
quella splendida puntualizzazione per definire al suo amico il loro rapporto,
che l’aveva confusa ancora di più: cretino!
-Lily,
aspetta!-, la prese per un polso.
-Che vuoi Clark?
Lasciami stare, voglio andare a casa!-, disse quasi urlando, e lui la lasciò.
-Se se arrabbiata con
me, hai ragione, scusa! Sono stato un cretino…-
Non rispose e lo fissò
negli occhi con uno sguardo che faceva male.
-Sei… arrabbiata con
me?-
Lily sospirò chiudendo
per un attimo gli occhi.
-Sì… No… cioè… basta
Clark, voglio andare via da questo posto e dimenticare tutto!-
Riprese a camminare
veloce.
-E dai, scusami! Ho
sbagliato a dire a quel modo, prima…-
Lei si voltò di nuovo,
aggressiva.
-Non è per quello!-,
poi si calmò un poco, -… lo so bene che io non sono la tua ragazza e che ci
siamo solo “divertiti un po’”-, la sua voce risuonava vagamente acida.
Fece due passi, con il
cestino in mano, da sola.
Poi si voltò, non
arrabbiata, ma perplessa.
-Perché io… non sono la
tua ragazza, giusto?-
Clark la guardò
sorpreso, con la bocca semi aperta e le spalle basse, attendendo un attimo di
troppo.
-Infatti, lo pensavo
anch’io…-, disse lei e sparì velocissima tra le pannocchie di mais.
Clark sospirò, scosse la
testa e, a passo lento, ritornò verso casa.
L’avrebbe chiamata
quella sera e avrebbero fatto pace. Lei, ora ne era più che mai certo, era
sulla terra per stare con lui e non sarebbe andata diversamente, anche se ora
era spaventata e arrabbiata.
Lo avrebbero scoperto
insieme cosa fosse quel segno che lei aveva sulla schiena, cosa significasse
davvero la storia impressa sulla roccia delle grotte. Insieme…
Arrivato a casa sprofondò
nel divano in alto, nel granaio, e fissò la prima stella della sera che sorgeva
lenta accanto alla luna: non avrebbe mai pensato di avere una reazione del
genere ad una rivelazione così enormemente importante. Avrebbe immaginato di
sentire dentro di sé una tempesta di emozioni che lo avrebbero fatto vacillare,
di provare un qualcosa di memorabile: invece sentiva solo una stranissima, ma
piacevole, rassicurante, pace. Quante volte aveva osservato quel segno sulla
parete della grotta, ne conosceva anche il significato: Fuoco… come quello che
scorreva nelle sue vene quando stava con Lily…
Il cerchio si è chiuso…, pensò dentro di sé, prese aria e si
sollevò con un balzo dal divano.
Le avrebbe telefonato
invitandola a bere qualcosa insieme, le avrebbe portato una rosa e le avrebbe
detto che, sì, era lei la sua ragazza.
Era così che voleva che
andasse la sua vita, ne era più che mai certo.
Sorrise componendo il
numero, con la testa bassa e un braccio tirato su, poggiato alla colonnina in
salotto. Il telefono era libero, ma Lily non rispondeva. Spostò la cornetta
trattenendola tra la spalla e l’orecchio e prese un soprammobile,
giocherellandoci, nell’attesa.
Dal piano di sopra
apparve sua madre, portando alcune tovaglie stirate di fresco; Clark la salutò
con un cenno della testa, riprendendo in mano il telefono.
Qualcuno bussò alla
porta: era strano, vista l’ora che si avvicinava alla sera.
-Mamma, puoi andare tu,
per favore?-, chiese Clark, mise giù la cornetta e riprovò a telefonare, stando
molto attento al numero composto.
Ancora niente. Si
rassegnò e, rimesso a posto il telefono, si avviò verso la sua stanza, sperando
che non ci fosse Lois a rompere.
La voce di sua madre
che lo chiamava lo raggiunse al secondo gradino, Clark sbuffò, si voltò
lentamente e andò verso la veranda.
-Ciao…-
Clark sorrise vedendo
gli occhi viola di Lily che, in piedi accanto a sua mamma, lo stava aspettando.
-Ecco come mai non
rispondevi al telefono…!-, si avvicinò a lei.
Martha li osservò per
un istante, poi si scusò e si avviò verso la cucina. Poco prima di entrare, si
voltò per invitare la ragazza a cena con loro, ma vide che suo figlio si era
già avvicinato a lei e le aveva preso una mano. Rimase in silenzio, si voltò di
nuovo e, con le sopracciglia alzate e un sorriso compiaciuto e allo stesso
tempo sorpreso sulle labbra rientrò in casa: ci avrebbe pensato Clark, a dirle
di fermarsi per cena.
-Clark…
perdonami. Sono stata una sciocca…-, lo guardava dal basso verso l’alto con il
visino contrito, un barlume di paura, nel fondo dei suoi occhi lucidi.
-Ma no, Lily… sono io
che sono uno sciocco…-, la guardò come si guarda una cosa preziosa, -In fondo
siamo proprio una bella coppia di sciocchi…-, le sorrise e vide che anche lei
si scioglieva un po’.
-Vieni-, le disse
guidandola per una mano verso il fienile.
-Mi porti a vedere il
tramonto?-, chiese lei, con fare vagamente infantile, salendo le scale in
legno, riportando alla mente di Clark ricordi sopiti da anni di sofferenze e
dubbi sentimentali.
-Sì, e voglio che sia
solo il primo di tanti tramonti che vedremo insieme…-, la tirò verso di sé e,
prima che lei potesse opporsi, o dire nulla, la baciò sulla bocca, mentre tutto
attorno a loro si tingeva dei colori infuocati della sera.
***
-Dunque, ripeti,
Robert, cosa hai visto di preciso in quel vicolo?-
-Ve l’ho già detto, lo
giuro! Quella ragazza ha fatto uscire il fuoco dagli occhi e mi ha bruciato e
poi… tutta quella forza: non sembrava umana… non poteva essere umana!-
-Fuoco dagli occhi,
Robert? Nei sei davvero sicuro? Pensaci bene ancora un po’: forse ti sei
bruciato cadendo sulla marmitta del furgone parcheggiato lì accanto…-
-No, lo giuro, dovete
credermi! E’ andata come vi ho detto! E poi lei è corsa via veloce come un
fulmine! Davvero, non sto mentendo!-
-Vedo che anche oggi
non hai voluto sforzarti di pensare più intensamente e cercare di capire dove
finisce la realtà e dove inizia quello che la paura ha evocato alla tua
memoria, Robert. Dobbiamo lavorare ancora e capire come mai c’è in te questo
blocco che ti impedisce di accettare la realtà. Ora il nostro tempo è scaduto,
Robert, cerca di lavorare da solo e di appuntare su un foglio le cose che credi
siano reali e quelle sulle quali ti poni dubbi o non riesci a spiegare. Ora Jim
ti riporterà nella tua stanza, Robert. Mi raccomando, prendi tutte le medicine
che troverai vicino al tuo letto. Ecco Jim che sta arri…-
-Se non le dispiace,
Dottor Smith, preferirei trattenermi ancora con il paziente per alcune
domande…-
-Ma Dottor Jamison, lo sa che il regolamento prevede di fissare per
tempo le visite esterne ai pazienti e…-
-Sono qua perché mi ha
mandato il Signor Luthor e sono sicuro che avrà
provveduto lui ad ogni formalità, per me. Quindi, la prego, ora mi lasci solo
con il paziente-
-Chi è lei, e cosa
vuole da me?-
-Sono il dottor Jamison e lavoro per LexLuthor. Vedrai, Robert, se collaborerai con noi potrai uscire
dal Belle Reve entro pochi giorni e noi diventeremo
ottimi amici… Ora, Robert, ripeti ancora quello che è successo nel vicolo e
soprattutto dimmi:che ne è stato del
tuo potere di paralizzare le persone? E la tua forza sopra la media? Non aver
paura a dire quello che sai, Robert… Abbiamo tutto il
tempo che vogliamo…-
***
Clark fece strada a
Lily, entrando in casa, dopo averla convinta a rimanere a cena da loro.
Erano rimasti da soli
per poco e non avevano toccato l’argomento delle grotte. Ci sarebbe stato tempo
più tardi, o quando l’avrebbe riaccompagnata a casa.
Lily si sentiva in
profondo imbarazzo a rimanere a cena con i Kent: non
li conosceva e non era sicura neanche di quale fosse il suo ruolo nella vita di
Clark. Si sentiva di troppo, nel loro quadretto familiare così perfetto.
In cucina, Martha stava
lavando nell’acquaio dell’insalata, la tavola era già apparecchiata per
quattro. Da sopra si sentiva lo scrosciare della doccia, in bagno, segno che
anche Jonathan sarebbe stato presto pronto.
Clark guardò torvo la
tavola: -Mamma, non dirmi che c’è Lois anche
stasera!?-
Martha si voltò
sorridendo, -Lois è da sua cugina…
il posto in più è per la tua amica… o sbaglio?-
Lily sentì che stava
arrossendo e si strinse nelle spalle, cercando di sorridere gentilmente alla
signora Kent.
-Infatti, non sbagli!
Grazie mamma. Lei è LilyanneLeibniz,
una nuova studentessa della scuola e… una mia carissima amica…-, disse Clark,
dissimulando anche lui l’imbarazzo mentre iniziava ad affettare il pane per la
sera.
Lily e Martha si
salutarono di nuovo: Martha osservò Lily dalla testa ai piedi, cercando di non
farsi accorgere dalla ragazza e Lily cercò di apparire il più calma possibile.
Quando Jonathan scese,
Clark gli presentò Lily.
-Stai tranquilla, non
hanno mai morso nessuno!-, sussurrò Clark in un orecchio di Lily, mentre si
sedevano a tavola.
La serata passò
piacevolmente: piano piano anche Lily si lasciò un
po’ andare e parlò un po’ ai Kent della sua storia,
senza scendere in particolari che aveva avuto il coraggio di rivelare solo a
Clark, prima di allora. Apprezzò molto le squisitezze preparate da Martha e
confessò che anche lei era brava a cucinare.
-Certamente non ai suoi
livelli, signora Kent! Diciamo che cerco di rendere
la mia sopravvivenza il più saporita possibile!-
Martha e Jonathan
risero, e Clark ne fu felice. Si soffermò a sparecchiare assieme a Lily, dopo
aver fatto uscire i suoi a prendere un po’ di fresco in veranda.
La guardò e le sorrise,
passandole alcune scodelle da mettere nell’acquaio.
Tutto era perfetto,
come avrebbe dovuto essere. Si sentiva felice.
Si avvicinò a lei e
l’abbracciò da dietro, posando la testa sulla sua spalla.
-Clark,
ci vedranno…-
-Non importa…-, disse e
la tenne stretta, mentre lei si perdeva nel suo abbraccio che sapeva di casa.
-Perché, più cerco di
allontanarmi da te, più mi ritrovo così, tra le tue braccia…?-,
Lily sorrise, mentre il suo cuore accelerava.
-Perché non voglio perderti…-, Clark la fece voltare e la osservò per un
attimo, smarrendosi nei suoi occhi luminosi. Poi la abbracciò di nuovo e le
posò un tenero bacio sulla bocca.
Fuori Jonathan e Martha
fecero rumore, alzandosi dalle poltroncine di vimini e Lily si allontanò da
Clark, con un sorriso.
-E’ ancora presto per
loro-, disse e si sistemò i capelli, che le ricadevano sul viso.
Clark prese il furgone
per riaccompagnarla a casa e durante il tragitto rimasero i silenzio,
ascoltando la musica trasmessa dalla radio.
Arrivati in Kerry Lane,
Clark fermò l’auto e si voltò verso Lilyanne: voleva
che fosse lei a chiedergli di rimanere un po’ insieme.
Lily guardò Clark e
sperò che fosse lui a parlare per primo, non voleva scendere e lasciarlo andar
via, rientrando ancora una volta a casa da sola.
Le domande rimasero
come sospese tra loro, galleggianti all’interno dell’auto, senza che né l’uno,
né l’altra osassero parlare. Quel pomeriggio avevano scherzato facendo i
fidanzatini: quello che era accaduto nella grotta aveva spezzato la loro
allegria tesa e rimaneva solo lo spazio per i chiarimenti e le cose serie.
La radio suonava un
vecchio pezzo di musica country; le stridenti note
del banjo sfumarono in quelle della chitarra elettrica che apriva “Iris”, dei GooGooDolls
e che bussavano dritte al cuore.
And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now
And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight…[i](1)
-Aiutami a capire chi
sono, Clark…-
Una lacrima scivolò
lungo la sua guancia morbida.
Clark allungò la mano e
le asciugò il viso, poi si avvicinò e la baciò sulla fronte.
…And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am… (2)[ii]
-Le grotte dove siamo
stati oggi pomeriggio sono state scoperte poco più di due anni fa. Sono state
dipinte dagli indiani della tribù Kiwachee tantissimo
tempo fa e sono rimaste nascoste finché… io non ho
sfondato il tetto cadendoci dentro. La storia che portano impressa è stata
tramandata da generazioni di nativi ma non esistevano prove concrete del suo
fondamento storico, oltre quei dipinti sulla roccia. Oggi mi hai domandato chi
fosse Naman…-, Clark si interruppe e alzò gli occhi
su Lily, che lo osservava interessata e attonita, stringendo un cuscino tra le
braccia, seduta vicino a lui sul divano, in casa sua. Annuì in silenzio facendo
brillare gli occhi attenti.
Clark riprese
sospirando: non aveva mai voluto accettare quello che Willowbrook
e Kyla gli avevano detto, ma non erano affermazioni
assurde, e lui lo sapeva bene.
-Naman
è “colui che i Kiwachee aspettano”, da sempre. Non è
nato qui, sulla Terra, ma si narra che arriverà dal cielo, su qualcosa che
potrebbe assomigliare ad una navicella…Naman può fare fuoco dagli occhi, ha la forza di dieci
uomini e arriverà per proteggere tutto il mondo, per riportare l’equilibrio tra
il Bene e il Male…-
-Clark,
sembra che si parli di te… Santo Cielo: tu hai la
forza di ben più di dieci uomini e puoi fare fuoco dagli occhi e… che sciocca che sono… tu non
sei mica arrivato “su una navicella dal cielo”!-, Lily lo guardò ridacchiando
tesa, e vide che era serio, troppo serio.
Clark la guardava
rassegnato. O parlava, o avrebbe dovuto inventare un’altra delle sue bugie per
continuare a vivere tranquillo tra la gente. Ma a Lily non voleva mentire.
-Ma no, certo che no!
Che domanda stupida che ti ho fatto!-, sorrise cercando di allentare la
tensione, scuotendo la testa e cambiando posizione sul divano.
Clark rise con lei, in cuor
suo un po’ deluso per aver perso l’occasione di essere sincero, poi vide che
Lily si rabbuiava un poco, abbassando gli occhi sulle mani giunte in grembo.
-Clark…
com’è possibile che io abbia sulla schiena lo stesso segno che c’era sul muro
della grotta? Io non…capisco…-
Clark si avvicinò a lei
e, facendole appena abbassare la testa, le sollevò i capelli. C’era caldo, là
sotto, avrebbe voluto soffermarsi con le mani affondate tra le onde di seta
nera. Chinò il volto sulla sua pelle, si allontanò senza sfiorarla, inspirando
il suo odore dolce di fiori. Lily sentì il suo respiro sulla pelle e provò un brivido,
scuotendosi appena. Lui le scostò un poco la camicia, per guardare di nuovo quello
strano segno che macchiava la sua pelle chiara.
-E’ uguale, vero?-,
chiese lei, con una punta di terrore mal celato.
-Già…-,
Clark sfiorò con le dita la sua pelle: non era una cicatrice, non sembrava un
tatuaggio. D’un tratto gli balzò alla mente un’idea assurda: e se anche lui
avesse un segno del genere sulla pelle, magari in un posto che non era in grado
di vedere?
-Tu sai cosa significa
quel simbolo?-
“Fuoco.”
-Io…
non lo so…-, mentì, -Le grotte sono state scoperte di
recente e gli studi non sono andati tanto avanti…-
-Forse è un simbolo del
linguaggio dei… come li hai chiamati?-
-Kiwachee…-
-Sì, un simbolo Kiwachee… Ma come ci è finito sul mio collo?-, si spostò,
lasciando ricadere i capelli sulla schiena. Con una mano portò i lunghi ciuffi
della frangia dietro le orecchie.
Clark non rispose,
scosse la testa e rimase zitto.
-Chissà…forse… forse ho origini Kiwachee.
E’ possibile, Clark?-
“No, tu vieni da Krypton, come me… ne sono
certo”
-Forse…chissà…-, si allontanò prendendo una penna dal
tavolino davanti a loro e iniziando a giocherellarci, agitato.
“Maledizione! Non voglio mentirle! Ma non è pronta a scoprire la verità… E io? Io sono davvero pronto?”
-Chissà, forse i miei
veri genitori… forse la mia mamma…
sì, magari era di origine Kiwachee… in fondo io sono
nata da queste parti…
-Da queste parti??-,
Clark lasciò cadere la penna e fece un balzo sul divano.
Lily lo guardò confusa,
si mise dritta seduta, tenendo una gamba piegata sotto di sé.
-Ma Clark…
lo sa pure Chloe che sono nata a Metropolis…-
-E’ vero…
è vero, scusami, ora… mi era sfuggito di mente questo fatto…-,
si passò una mano tra i capelli, -Beh, sì, comunque può essere come dici tu…già…-
Sentiva il cuore che
gli batteva così forte, quasi a voler sfondare il suo petto, le sue frasi
frammentate rispecchiavano l’incertezza e l’agitazione che si muovevano dentro
di lui.
-Lily…
quand’è che sei stata trovata?-
-Cosa? Che stai
dicendo?-
-No! No…scusa… volevo dire… quand’è che sei nata, ovviamente!-
Lo guardò torva e
confusa, -Il 16 ottobre… perché?-
Clark deglutì e sentì
un’ondata di adrenalina fluire al suo cervello.
-Beh…
per sapere quando farti gli auguri, no?-, di nuovo passò la mano tra i capelli,
fingendo una risata il più sincera possibile. Poi portò gli occhi all’orologio.
-E’ tardi, Lily… è meglio che vada e ti lasci dormire…-,
le posò una mano sulla spalla. Lily si accorse che tramava appena.
Annuì con il volto
serio e a Clark parve una bambina che vuole fare la grande e accetta senza
capire quello che le viene detto.
-Ci vediamo, domani?-,
gli domandò con un filo di preoccupazione e lo vide rilassarsi, il suo viso si
illuminò di un sorriso dolcissimo.
-Ma certo…
come potrei stare senza vederti, domani!-, le fece una carezza e uscì.
E.T.
scese dalla poltrona dove stava dormendo e con un balzo saltò tra le braccia di
Lily, ancora in piedi davanti alla porta, più confusa che mai.
And you can't fight the tears that ain't
coming
Or the moment of truth in your lies
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know you're alive…[iii](3)
Lily strinse il gatto
baciandolo sulla testa, tornò al divano e raccolse da terra la penna che Clark
aveva fatto cadere poco prima.
Rigirandosela tra le
mani le parve di sentire la sua energia rimasta imprigionata. Scosse la testa,
cercando invano di capire perché si fosse comportato in quel modo così strano
con lei, ripensò alla sua domanda… “quand’è che sei
stata trovata”… che intendeva?
Camminò fino al bagno,
al piano di sopra, accese la luce e si mise davanti allo specchio, guardando la
sua immagine riflessa.
Lei e Clark erano così simili… avevano gli stessi poteri, lo stesso peso sul
cuore, dato da anni di segreti custoditi nella paura di venire scoperti,
avevano persino la stessa espressione spaurita negli occhi, gli stessi capelli
ribelli. Eppure in alcuni momenti lo sentiva distante da sé come se l’unica
cosa che li accomunasse fosse appartenere al genere umano…
Era stata una giornata
strana, quella, fatta di momenti di pura gioia alternati ad antichi spettri e
paure, attimi di terrore e ricordi dolcissimi. Era stanca. Non sarebbe riuscita
a dormire, lo sapeva, ma era ora di andare a letto.
Si sentiva come un
personaggio di un film, sospeso a metà del primo tempo: non aveva senso
piangere, né essere felice. Poteva solo aspettare che le risposte che cercava
da una vita, con calma si fossero svelate nel secondo tempo.
E le risposte, lo
sentiva nel suo cuore, gliele poteva dare solo Clark Kent.
***
-Ritengo che il
soggetto in studio sia un ottimo candidato per ritentare gli esperimenti,
signor Luthor-
-Eccellente…
provvederò subito ad avviare il suo trasferimento ai nostri laboratori, come
abbiamo fatto con i gemelli, dottor Jamison. Intanto
lei prepari le carte e predisponga tutto il necessario per l’inizio dei test-
-Certamente-
-Ah, Jamison? Cosa ha scoperto circa quell’altra storia… sulla ragazza?-
-Solo un racconto
sconclusionato, per ora, il soggetto è ancora sotto shock. Ma conto entro breve
di avere un quadro più preciso…-
E ho rinunciato per sempre a toccarti perchè so che tu mi senti in qualche modo
tu sei più vicina al paradiso di quel che io sia mai stato
e non voglio andare a casa ora
e tutto quello che posso assaporare è questo momento
e tutto ciò che posso respirare è la tua vita perchè presto o tardi è finita
e io non voglio perderti questa notte…
…E io non voglio che il mondo mi veda perchè non penso che la gente capirebbe
quando tutto è stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu sappia chi sono…
E tu non puoi combattere le lacrime che non
stanno per arrivare
o il momento della verità nelle tue bugie
quando tutto sembra come nei film
si tu sanguini solo per capire che ancora sei vivo…
Non è un caso che abbia
scelto proprio questa canzone: come sapete Lily, in inglese, vuol dire
“giglio”. Il Giglio di Firenze, la mia città, è in realtà un giaggiolo, che
sarebbe un tipo di iris. Il testo della canzone, secondo me tra le più
coinvolgenti degli ultimi dieci anni, sebbene poco sentita, era perfetto per
descrivere, in musica, quello che c’è tra Clark e Lily…
voi che ne dite?
Disteso sul divano nel
fienile, Clark non riusciva a prendere sonno. Quando aveva guardato l’ultima
volta l’orologio erano le tre passate. Aveva provato a dormire, in salotto, ma
si era rigirato per quasi un’ora, sentendo nelle orecchie il ronzio incessante
dato dall’agitazione e i tonfi assordanti del suo cuore che batteva troppo
veloce, senza riuscire a rallentare.
Solo poche ore prima era
uscito da casa di Lilyanne, aveva ripreso il furgone
e, senza voltarsi, aveva guidato più rapidamente possibile fino alla fattoria,
sempre con il cuore in gola, con l’emozione che martellava in ogni cellula del
suo corpo alieno.
Il sedici ottobre… non era possibile che fosse nata proprio in quel
giorno dell’anno! Oppure sì, era ovvio che fosse quella la data del suo
compleanno, era così che doveva essere, era la conferma di quello che dentro di
sé conosceva ormai da tempo. Il sedici ottobre…
Si era sforzato di
calmarsi e di riordinare le idee così confuse, aveva cercato di ricostruire una
alla volta le informazioni che più o meno direttamente aveva appreso sulla vita
di Lilyanne e ogni volta – ogni volta-, era stato
sopraffatto dal suo profumo, che era rimasto attaccato ai suoi vestiti, alla
sua pelle, che era penetrato nel suo cervello e lo distraeva distogliendo la
sua attenzione e precipitandolo nell’ardente ricordo dei suoi baci, delle sue
lacrime e della sua pelle.
E ogni volta si
sforzava di riprovare da capo.
Non aveva mai sentito
così forte dentro di sé il desiderio di urlare a tutto il mondo chi fosse
realmente, di rivelare il suo segreto affinché chiunque avesse potuto aiutarlo
a trovare le risposte che cercava.
Quella notte l’unico
suo pensiero, imperioso e potente era Lily.
Lily dal passato così
misterioso, Lily che aveva la sua stessa forza, la stessa capacità di vedere
attraverso gli oggetti, Lily con cui aveva volato nella notte e che si
incendiava letteralmente per la passione, la timida Lily, la sua storia travagliata, la sua reazione a
qualcosa che non sapeva cosa fosse, ma che avrebbe potuto ucciderla; Lily che
lo guardava con occhi così magnetici, quel segno sul suo collo morbido, le
grotte, il simbolo kryptoniano, Lily che chiedeva il
suo aiuto, l’aggressione dietro al Talon, la ferita
sul labbro e il loro sangue che si era mischiato; la sensazione
meravigliosamente spaventosa che aveva provato al loro primo bacio, le sue mani
che tremavano, Lily che nascondeva la sua bellezza, ma che non sarebbe mai
riuscita ad ingannare lui; Lily che aveva il compleanno nel giorno della
pioggia di meteoriti, i suoi capelli splendenti, i sui occhi magici…
Il suo profumo…
Avrebbe voluto urlare,
correre da lei e portarla lontano, in un posto deserto e dirle senza paura che
loro due insieme avrebbero potuto governare il mondo…
“Ma cosa sto pensando…?”, si domandò frastornato
dal turbine dei suoi pensieri, e si rese conto che la sua natura aliena – Kal-El-, voleva prendere il sopravvento sulla sua umanità. Inorridì
sentendo aumentare nella sua testa il turbine della confusione.
Il ronzio che sentiva… inspirò profondamente chiudendo gli occhi,
cercando di ascoltare: non era un ronzio… era lo
stesso suono che lo aveva richiamato subito dopo il suo ritorno a casa, quando
ancora Clark Kent
non era lì, quando aveva cercato e raggiunto quella pietra misteriosa che
portava impresso un simbolo kryptoniano e che…
Si alzò di botto
facendo cadere la brocca con l’acqua che teneva sulla cassa davanti al divano,
frantumandola in mille pezzi.
Nessuno, al piano di
sopra, si svegliò. La casa era avvolta nel silenzio della notte.
Sentì quel suono più
forte, di nuovo, atrocemente sibilante nella sua testa, portò le mani alle tempie,
soffocò un urlo e scappò di corsa, diretto alle grotte, dove l’unica pietra,
quella con il simbolo del fuoco lo chiamava, da dietro la parete di roccia.
-Che cosa vuoi ancora
da me, Jor-El?-, non attendeva una risposta, -Chi è Lilyanne? Come ha fatto a trovarmi? L’hai mandata tu da me?
Rispondi!-
Le sue urla disperate
rimbalzarono sulla parete di roccia.
Era scivolato in
ginocchio nella polvere, battendo con i pugni contro la roccia ruvida. Aveva il
volto bagnato dalle sue lacrime che rotolavano a terra, creando cerchietti più
scuri, appena visibili alla flebile luce della luna che filtrava dal foro in
alto.
-Perché? … che
significato ha la mia vita? … perché?-
Si rannicchiò per
terra, tenendo le ginocchia strette al petto e, pregando perché Lilyanne non fosse un altra emissaria
di Jor-El, come era stata Kara meno di un anno prima,
e non fosse coinvolta in alcun losco affare con i Luthor:
voleva solo pensare che lei fosse lì per lui, la risposta alla sua voglia di
non sentirsi più solo sulla terra. Reclinò la testa indietro e subito scivolò
in un sonno senza sogni cullato solo da quel profumo che non riusciva più a
togliersi dalla testa.
***
Erano passati mesi da
quando il miracolo era avvenuto e, con esso, erano iniziati quegli strani sogni
che avevano segnato la strada da seguire, passo dopo passo.
Non era più la stessa
persona di prima, lo sapeva, eppure quello che aveva marchiato la sua anima per
troppi lunghissimi anni di bugie, tradimenti e odio, ogni tanto spingeva per
tornare a galla: erano i modi, quello che non riusciva a dimenticare, i modi di
interfacciarsi agli altri e così la sua proverbiale aura diabolica non lo aveva
abbandonato, nonostante il suo cuore fosse più limpido di quanto non lo fosse
mai stato in tutta la sua vita, ne era consapevole e grato, ma ancora non
riusciva ad ispirare fiducia negli altri.
Ogni notte, da quando
era successo quell’evento miracolosamente strano, si svegliava madido di
sudore, nel suo letto, o nel letto di un qualche costosissimo hotel a cinque
stelle e ricordava solo la sgradevole sensazione di aver posseduto dentro di sé
la forza, la pace e l’Amore per un unico istante, prima che gli venissero
risucchiate via. Era come aver provato ad essere Dio per essere poi precipitato
di nuovo nell’Inferno, ma ad un passo dalla redenzione.
Alle volte si
risvegliava altrove, nei posti più strani come sulla panchina in un parco,
vicino al liceo di Smallville, o dentro la sua
Limousine, con l’autista che lo guardava preoccupato, o mentre suonava, al piano.
Magari dormiva per pochi minuti soltanto; forse erano solo ricordi più vividi,
non avrebbe saputo spiegarlo. Una volta si era ritrovato in maniche di camicia,
scalzo, all’interno delle grotte Cowichan[i] (1), con la schiena
poggiata al muro e la testa reclinata. La prima cosa che aveva visto
risvegliandosi era stato un gigantesco simbolo nero dipinto sulla roccia, un
simbolo che sapeva bene di aver già visto prima, in quel posto, ma anche
altrove, inciso su qualcos’altro, qualcosa che non riusciva più a trovare,
nonostante si sforzasse ogni giorno, di indagare su dove potesse essere finito.
Era come se la sua
mente fosse avvolta da una cortina che gli impediva di avere il quadro completo
della situazione, ma lasciava intravedere solo alcuni sporadici dettagli, nei
momenti più impensati.
Quello di cui era certo,
era la sua guarigione, e voleva davvero fare qualsiasi cosa per scoprire a cosa
fosse dovuta: sentirsi “Dio”, per un istante, prima di risvegliarsi, era un
conto, credere in Dio era un’altra cosa, che aveva rinunciato a fare forse
prima di imparare a leggere.
L’orologio al suo polso
indicava che erano le due passate. Si era appena risvegliato ricordando un
nuovo dettaglio del suo misterioso sogno ricorrente: una figura che correva via
velocissima avvolta dalla nebbia, mentre intorno infuriava il caos. Quello che
lo aveva colpito era la sensazione terrificante di vedere se stesso
allontanarsi e di essere allo stesso tempo lì, nel luogo dal quale stava
andandosene via, come la sua persona fosse sdoppiata, appartenente a due corpi
diversi.
Ma non poteva essere
due persone contemporaneamente, non in posti diversi. Era troppo confuso, ma
sapeva che doveva ringraziare solo una persona, per quello che era successo:
Clark Kent, ma ancora non riusciva a ricordare il perché…
Era nuovamente caduto
addormentato sul divano in pelle, accanto al camino: sul tavolino di cristallo
davanti a lui c’era la sua ventiquattrore aperta, alcuni fogli sparsi sul vetro
e sulle sue gambe. Lo stesso simbolo delle grotte ripetuto più volte,
affiancato da altri fascicoli, con altri simboli e dati riservati.
Inspirò profondamente
tirandosi su e si affrettò a richiudere il tutto nella valigetta: come gli era venuto
in mente di lasciare tutti quei documenti di primaria importanza così in bella
vista e proprio in quel posto?
Gli incubi erano
aumentati nell’ultimo periodo, non era più sicuro di essere in grado di
mantenere il segreto a lungo, forse era giunto il momento di tornare a New York
e parlare di nuovo con Swann…
Si alzò rapidamente e
si incamminò verso la porta, stringendo la borsa tra le braccia.
-Dove stai andando,
papà?-, la voce di Lex lo fece sobbalzare. Si voltò
di scatto e lo vide emergere dall’ombra, in alto nella biblioteca.
-Che ci fai qui, Lex?-
-Cosa ci fai tu, qui! Se non ricordo male questa è
casa mia e quello dove stavi schiacciando un corroborante pisolino è il mio
divano. Senza dubbio anche quella borsa che stringi tra le braccia mi
appartiene perché l’hai comprata con i miei
soldi, papà-, Lex scese lentamente le scale in legno,
parlando, e vide che suo padre serrava i denti, cercando di apparire il più
tranquillo possibile.
-Stavo andando via-,
Lionel si voltò tornando sui suoi passi.
-No, tu non vai via. Ci
sono alcune cose di cui dobbiamo discutere…-, lo
raggiunse davanti alla porta e, tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi, gli
indicò di tornare indietro.
-Cosa vuoi Lex?-, chiese Lionel, sedendosi e posando la cartella a
terra, tra le sue gambe.
-Innanzitutto
informarti che è del tutto inutile che tu cerchi ancora di fingere di essere il
povero carcerato pentito e redento. So bene che hai ripreso la gestione dei
tuoi loschi traffici…-
-Di che stai parlando…?-
-Non fare il finto
tonto con me, papà. Sappiamo entrambi che mentre eri in carcere ti è successo
qualcosa che ti ha profondamente cambiato e, sai com’è?, non sei il solo a
voler capire cosa ti sia realmente accaduto…-, si
avvicinò e gli parlò piano, in un orecchio, stando in piedi dietro di lui -… solo che io credo di essere stato più furbo di te, papà…-
Lionel si voltò
guardando la figura del figlio che incombeva su di lui, socchiuse gli occhi,
rendendoli più affilati.
-Credi ancora che
l’allievo sia in grado di superare il maestro, Lex?-
-Non sono io che lo
credo: è la Storia che ce lo insegna. Se non ricordo male una volta, da
piccolo, la mamma mi disse che scegliesti per me il nome Alexander proprio
nella speranza che, dopo di te, io avrei potuto superarti. All’epoca, forse, mi
volevi un po’ di bene… Ma non hai tenuto conto che se
Filippo il Macedone fosse stato ancora in vita, quando Alessandro mostrò al
mondo intero di quanto lo aveva superato, si sarebbe consumato dalla rabbia e
dall’invidia nei confronti di quel figlio così grande!-
-La rabbia e l’invidia
sono sempre stati ottimi sproni per dare il meglio di sé, Lex,
ma, nonostante questo possa deluderti, ti assicuro che non è il mio caso!-
-Allora non ti
arrabbierai sapendo che ti ho fatto seguire da quando hai lasciato il
penitenziario e che sono venuto a conoscenza di alcuni fatti che, purtroppo,
inficiano la tua splendida interpretazione del “padre redento”…-, si spostò davanti a lui, rimanendo il piedi.
-Cosa sei andato a fare
dal dottor VirgilSwann e che
cosa vuoi da LilyanneLeibniz?
E tutte le ricerche che, so bene, stavi conducendo in cella prima della tua
guarigione a cosa miravano? Dov’è finito tutto il materiale che avevi raccolto
e chi te lo aveva fatto avere?-
Lionel sorrise,
espirando: doveva muovere il suo pezzo e liberarsi dallo scacco che stava
subendo.
-In poche parole, Lex? Il dottor Swann è a capo di
una equipe di scienziati di prima categoria nella ricerca medica e scientifica,
pari solo a quelli della Luthor Corporation. Sono
stato miracolato, sì è vero, ma non voglio che questo rimanga un miracolo per
una sola persona: ho chiesto a Swann di usarmi come
cavia, di servirsi dei miei campioni di sangue e tissutali per portare avanti
le sue ricerche scientifiche nella speranza che riesca a trovare cosa mi ha
guarito e ad isolarlo, per poterlo riprodurre in vasta scala e aiutare tutti
quelli che, come me, vedono la loro vita appesa ad un filo, mentre la malattia
li devasta!-
Lex
lo guardò senza espressione, per un attimo, poi un ghigno prese forma sulle sue
labbra.
-Non prenderti gioco di
me, papà! La tua scusa non regge: se quello che dici fosse vero, perché non
usare i nostri scienziati e i nostri laboratori, allora?-
-Perché non farò niente
che possa portarti ulteriore profitto, Lex, niente
che possa mettere nelle tue mani una responsabilità che tu non sei in grado di
gestire. E ora, se vuoi scusarmi, voglio andare a letto: tuo padre è vecchio,
ormai, e non è più abituato a stare sveglio fino all’alba a parlare dei
progressi della medicina nel campo delle malattie degenerative-, disse
alzandosi e dirigendosi verso la porta, la valigetta al suo fianco, tenuta con
orgoglio.
-E di LilyanneLeibniz che mi dici? Sei
andato da lei quattro volte. Perché?-, Lex era
furioso, la sua voce risuonava nel salone.
Lionel non lo ascoltò e
proseguì a testa alta fuori dallo studio, percorse il corridoio senza
rispondere a Lex, uscì nella notte e, aiutato dalla
luce della luna, arrivò fino alla sua dependance. Aprì la porta con la chiave,
la richiuse alle sue spalle, posò la valigetta sul letto e chiuse le tende.
Poi si sfilò la giacca,
la sistemò con cura sulla spalliera di una sedia, allentò la cravatta e si
sedette sul letto, affondando le mani nei capelli, con gli occhi sgranati.
Lex
gli era vicino, troppo vicino… iniziava a sentire il
suo fiato sul collo e quello non doveva accadere, per nessuna ragione al mondo.
Lex… suo figlio… non poteva
fidarsi di lui. Non più…
Si lasciò cadere
disteso e rimase così, ad occhi aperti, in silenzio, conscio di dover al più
presto cercare delle scuse sufficientemente valide per occultare le sue
ricerche.
Avrebbe dovuto parlare
di nuovo a Swann e dirgli quello che aveva scoperto…
Era stato dopo il loro
incontro, poco tempo dopo che era tornato a casa, che l’agitazione che aveva
dentro, nutrita dalla curiosità di sapere a che punto fosse proseguita la sua
ricerca, aveva iniziato a prendere il sopravvento sulla sua lucidità.
Ricordava che prima stava cercando le tre pietre che
lo avrebbero portato al tesoro della Conoscenza Assoluta. Ne aveva trovata una,
forse, non ricordava bene, ma poi.. poi i suoi ricordi si facevano confusi,
tutto appariva sfocato, soprattutto il perché
della sua ricerca: non avrebbe mai pensato di poter essere lui quello destinato
a ricevere un potere simile. Non dopo essersi accorto quanto fosse piccola ed
inutile la vita di un comune mortale.
Ma gli era stata data
un’altra possibilità e, ne era certo, avrebbe continuato la sua ricerca per
permettere a chi ne avesse avuto il diritto di arrivare a quell’enorme tesoro.
Il suo compagno di
cella era uscito poco dopo che lui si era risvegliato nel carcere assediato,
senza alcun ricordo di quello che fosse accaduto negli ultimi giorni, ma con la
consapevolezza che qualcosa di molto, molto potente e buono lo aveva aiutato. Chi
era la persona che aveva visto scappare via tra la nebbia dei fumogeni nel
carcere? Ne aveva solo un ricordo confuso, una sagoma indistinta…
Era rimasto interdetto
nell’incontrare chi lo aveva fatto uscire dal carcere: quella donna malefica
doveva aver avuto i suoi interessi per compiere quel gesto.
Si era informato in
maniera discreta ed aveva scoperto che, prima di lui, GenevieveTeague aveva cercato informazioni sul matematico
pazzo che divideva la cella con lui. Il suo scopo gli era chiaro, e lui non le
avrebbe mai permesso di metterlo in pratica: né la Teague,
né tantomeno Lex, che sapeva stava indagando pure lui
sulla ricerca delle pietre, erano le persone cui era destinata la Conoscenza
Assoluta e non avrebbero dovuto mai
riuscire a mettere le loro mani sulle pietre.
Aveva confidato tutte
queste cose a VirgilSwann
quando era stato a New York. Doveva essere stato molto convincente, perché
l’uomo aveva ricambiato la sua fiducia con altrettante informazioni circa le
pietre, il loro scopo, la loro importanza e soprattutto era stato in grado di
fare chiarezza nella sua testa sulle connessioni tra la leggenda delle tre
pietre e quella conservata dalla parete delle grotte di Smallville.
Quando avevano avuto
modo di parlare dell’argomento, l’anno prima, aveva vinto il suo scetticismo
proprio condividendo i loro risultati, pur sapendo entrambi che la parte che
rimaneva nascosta era la più grande.
In fondo Swann era come lui, ma aveva dalla sua anni di studi a lui
ignoti che gli davano la chiave di lettura degli enigmi delle grotte, delle
pietre e… di Clark Kent. Ma
adesso lui aveva capito quanto Clark fosse importante, quanto doveva essergli
grato, quanto avrebbe dovuto fare per proteggerlo: ma Swann
che voleva da lui?
Avevano parlato a lungo
di lui, del suo essere una persona “speciale”, ma Swann
non aveva detto una virgola in più di quello che già Lionel sapesse. Se solo Lex fosse stato a conoscenza di quello che sapeva sul suo
più caro amico…
Nel loro ultimo
incontro Swann gli era apparso in apprensione per
qualcosa che Lionel aveva dedotto fosse strettamente correlata a tutte le loro
discussioni, qualcosa che aveva compreso da poco e che poteva cambiare
profondamente il suo punto di vista su quello che sapevano sui misteri di
questo popolo antico, forse di origine aliena. Era una persona diversa da Clark
la chiave dell’enigma, e questo fatto aveva lasciato molto dubbioso Lionel:
forse non si sentiva all’altezza di sopportare così tanti misteri.
Forse era stanco.
C’era una cosa su cui Swann non era stato sincero con lui: che fine avesse fatto
il matematico e, soprattutto, la pietra nera con quello strano simbolo inciso
sopra. Ma lo avrebbe tenuto sotto stretto controllo, analizzando ogni sua mossa
in questa originale partita a scacchi.
Se Lex
avesse scoperto le cose che sapeva lui, ne era sicuro, sarebbe stato un
grandissimo rischio per tutti.
Ci volle un bel po’
prima che il suo cuore smettesse di correre così tanto: suo figlio era più
vicino di quanto pensasse alla sua verità e non doveva far sì che anche una
sola parola in più potesse compromettere il suo lavoro.
Lentamente si calmò e
controllò i suoi fogli con le foto dei pittogrammi delle grotte, aprendo la
valigetta e spargendoli sul letto attorno a lui, si sentì subito più tranquillo
e presto scivolò nel sonno e nei suoi incubi sempre più familiari. Sarebbe
tornato da Swann, sì, ma non prima di aver parlato
ancora con LilyanneLeibniz…
***
E.T.
balzò sul letto silenziosamente, accompagnato solo da un tonfo sordo, appena
udibile, si sistemò tra le pieghe delle coperte, si acciambellò e iniziò a fare
le fusa, sempre più piano, fino a che non si fu addormentato.
Alla flebile luce della
luna, che filtrava dalle tende socchiuse, Lily, alzando appena la testa dal
cuscino, lo osservò per un po’; poi, quando si rese conto che il gatto si era
addormentato, scivolò lentamente da sotto le coperte, senza svegliarlo e si
mise seduta sul letto, con i piedi nudi che sfioravano il pavimento di parquet
della sua stanza.
Come aveva previsto,
non riusciva ad prendere sonno e i pensieri di quella giornata lunghissima si
andavano a sommare a quelli accumulati nel corso di tutta la sua vita.
Portò una mano alla
schiena, alla base della nuca: lo strano simbolo era proprio lì, invisibile al
tatto, ma chiaro come una pittura sulla sua pelle bianca. Lo aveva da sempre,
era cresciuto con lei: all’inizio i suoi genitori pensavano che fosse una
specie di voglia della pelle, in seguito chi lo aveva scorto aveva pensato ad
un tatuaggio particolare, per il colore e per la forma. Non sapeva cosa fosse e
forse non voleva saperlo.
Allungò una mano e
prese dalla poltrona vicino al letto la felpa che usava in casa: non che
sentisse freddo – nella sua vita non le era quasi mai capitato di avere freddo
o avere caldo- ma voleva sentire su di sé l’abbraccio morbido della stoffa che,
una volta, era stata di Greg.
-Non ho mantenuto la
mia promessa…-, disse piano carezzando la stoffa lisa
dal tempo, -Non ho aspettato di ricongiungermi a te…
ma non ti ho dimenticato, sai? Forse ho solo cercato il tuo stesso calore in
una persona diversa… perdonami, Greg…-
Sospirò e rimase in
silenzio ad ascoltare i rumori della notte che provenivano dalla strada; poi si
alzò e scese in cucina per prepararsi una tisana.
Sapeva che non le
avrebbe fatto nulla, ma aveva voglia di qualcosa di caldo per sopportare quella
interminabile nottata da sola.
Riempì d’acqua il
bollitore e lo mise sul fornello, poi si sedette su una sedia di cucina, con le
ginocchia strette al petto, aspettando.
Prima di salire in
camera aveva promesso di non pensare a quello che aveva visto e provato durante
la giornata, voleva riparlarne con Clark, ma i pensieri la assalivano.
Sopra a tutti c’era la
sensazione splendida del suo abbraccio caldo. Le mancava, in quel momento: la
felpa sdrucita di Greg non le bastava più, constatò con rammarico.
Ma chi era Clark? Cosa
ne sapeva di lui? E chi era lei, soprattutto?
Da quando era venuta al
mondo si era posta quella domanda ogni giorno e l’aveva eletta a regina dei
suoi pensieri, nelle giornate più nere, quando fuori pioveva e lei era
costretta a rimanere a casa, da sola con suo padre, nel vano tentativo di
capire chi fosse.
Quando la analizzava
come una cavia da laboratorio.
Alzò una mano davanti
ai suoi occhi e la osservò attentamente: aveva detto una bugia a Clark, quella
mattina, non sapeva neanche perché l’aveva fatto, forse per sentirsi più vicina
a lui, per mettere alla prova la sua sincerità. Non era in grado di vedere
attraverso gli oggetti! Aveva scorto l’elastico dei boxer di Clark quando era
uscito trafelato e fradicio di casa, dopo essere stato buttato giù dal letto
per il pic-nic ed era rimasta senza parole quando invece lui, davvero, era
riuscito ad indovinare (o vedere?) il colore della sua biancheria. Lei non lo
sapeva fare.
Riabbassò la mano e la
lasciò cadere in grembo.
Erano tante le cose che
aveva capito che Clark era in grado fare diversamente da lei: sotto certi
aspetti erano davvero così simili, ma per altre cose lui le era superiore e
maestro.
Se la leggenda fosse
stata vera, non poteva che essere davvero lui, Naman.
Naman…
che storia assurda… le era persino venuto il dubbio
che si potesse trattare di uno scherzo: le grotte, le pitture, la descrizione
di quell’essere così simile a Clark.. e se l’aveva portata alle grotte per
suggestionarla? E se lui avesse visto il segno sul suo collo prima di quel
pomeriggio e avesse inscenato tutto per farla spaventare?
Scosse la testa
scacciando quelle idee maligne e si alzò per spegnere il fuoco sotto al
bollitore. Lo alzò senza usare le presine e versò l’acqua bollente nella tazza
dove aveva messo il filtro della tisana.
Clark non le avrebbe
mai fatto una cosa del genere: lo aveva capito dal primo momento che aveva
incrociato lo sguardo con il suo, al Torch. Clark era
una persona onesta e le voleva bene.
Ma lei si meritava il
suo affetto? Non aveva capito molto di quello che Lana e Chloe le avevano detto
prima dell’aggressione dietro al Talon, ma ricordava
che l’avevano accusata di essere una spia di Lionel Luthor.
Quell’uomo era entrato
nella sua vita con la stessa delicatezza con cui un usuraio entra nella vita di
chi ha già perso tutto, ma non vuole nuocere agli altri.
Ogni volta che pensava
ai loro incontri e al segreto che da allora manteneva con Clark le ribolliva il
sangue nelle vene! Cosa diavolo voleva da lei e come aveva fatto a trovarla?
-Signorina Leibniz, molto lieto, io sono Lionel Luthor
e credo che noi due dovremmo parlare… ci sono molte
cose che lei non sa su di me, ma io ne so già tante su di lei, che credo vorrà
dedicarmi qualche minuto del suo tempo per ascoltare quello che ho da dirle…-, l’aveva attratta così, come fa un pescatore con le
esche luminose, e dopo l’aveva piegata.
-So che lei non è qui
per caso, ma qualcuno ha voluto che lei si trasferisse qui. La mia famiglia è
una delle finanziatrici del Liceo di Smallville e
trovo interessante informarmi in prima persona sui nuovi iscritti…
capisce, signorina, mi piace sapere come spendo i miei soldi…
“Casualmente” sono venuto in possesso della documentazione completa su di lei e
devo dire che… beh, il suo passato mi ha piuttosto
incuriosito, signorina Leibniz, al punto di venirle a
fare visita personalmente. Volevo vedere con i miei occhi che faccia ha una
ragazza di soli diciassette anni che è già sfuggita alla morte così tante volte
e devo dire che sono piacevolmente stupito da lei…-,
era stato viscido e insinuante e aveva giocato con le parole senza arrivare ad
esporre nessuna domanda, o illazione. L’aveva solo studiata.
-Porga i miei saluti al
suo tutore, signorina Leibniz-, se n’era andato
lasciandola piena di dubbi, senza che avesse avuto il coraggio di fargli alcuna
domanda, senza aver protestato. In silenzio.
Ancora Lily non aveva
conosciuto Clark e il loro magico incontro, pochi giorni dopo, le aveva fatto
dimenticare quello così spiacevole con Luthor.
Poi era accaduto di
nuovo. La sera che era tornata a casa, da sola, dopo che lei e Clark si erano
baciati per la prima volta, dietro la scuola e dopo lui l’aveva aiutata a
controllare quel raggio pericolosissimo che le usciva dagli occhi. Quella volta
Luthor era stato più diretto.
-Che piacere vedere che
finalmente è tornata a casa, signorina Leibniz! La
stavo aspettando…-, le aveva detto da dentro la sua
lunghissima auto, con il finestrino abbassato,poi aveva aperto la portiera e l’aveva invitata a salire.
-Non sia agitata,
signorina Leibniz, non avrà mica paura di me, vero?
Io non ho mai torto un capello a nessuno e non ho certo intenzione di iniziare
da una così bella ragazza come lei-, le aveva fatto un sorriso obliquo e falso
e le aveva porto un bicchiere con qualcosa da bere, che lei aveva rifiutato.
-Vede, signorina Leibniz, “casualmente” in questi giorni ho avuto modo di
sentire alcune “chiacchiere” su di lei… Ora, capirà
che quello che è giunto alle mie orecchie mi ha particolarmente divertito,
perché immagino che siano solo baggianate quelle che la descrivono come in grado
di correre ad una velocità spropositata pari a quella di un’auto da corsa… o mi sbaglio? Però devo ammettere che, dopo aver
visto le foto del cadavere di Greg Audrey orribilmente sfigurato, e aver saputo
che il suo decesso è avvenuto nella sua casa a Gotham
City per eventi definiti “inspiegabili”, e pochi giorni fa aver visto strani
segni di bruciatura sulle pareti della sua casa, mi sono posto alcuni dubbi
sulla falsità delle “chiacchiere” che erano giunte alle mie orecchie-, l’aveva
guardata ammiccando e porgendole un biglietto da visita. Lily era rimasta in
silenzio, basita da quello che aveva appena sentito.
-La prego di chiamarmi,
se le dovessero sovvenire fatti che al momento non ricorda, circa il decesso di
Greg Audrey o circa la veridicità delle voci che corrono su di lei. Come presto
imparerà, signorina Leibniz, la famiglia Luthor è molto influente, sia nel bene, che nel male…-, l’aveva fatta scendere dall’auto, lasciandola più
scossa che mai.
-Ah, dimenticavo… fino a quando la sua situazione non sarà
chiarita, le consiglio vivamente di non intrattenersi ulteriormente con i suoi
compagni di scuola: deve tenersi alla larga dagli altri studenti, signorina,
glielo dico per il suo bene…-, la sua voce l’aveva
raggiunta alle spalle, mentre stava per entrare dal cancellino della sua
abitazione, e l’aveva fatta tremare.
Se avesse conosciuto
Lione Luthor si sarebbe accorta che la sua voce era
sempre stata vagamente insicura, come mai lo era stata prima della sua
incarcerazione.
Lily sorseggiò la
tisana e storse la bocca: ci voleva del limone; si alzò e aprì il frigorifero,
per tagliarne una fettina. Sul ripiano più in alto, sulla destra, c’era la
scatola metallica entro cui aveva nascosto la fiala che Lionel Luthor le aveva consegnato un pomeriggio, tornando dall’apertura
domenicale della biblioteca della scuola.
-Vedo che ha seguito il
mio consiglio di stare lontana da Clark Kent,
signorina Leibniz, ma ho notato che lei continua ad
essere interessata a quel ragazzo. Forse non sa, ma stiamo tenendo d’occhio
anche la sua famiglia e non vogliamo che il suo interessamento possa creare
problemi a Clark, non è vero? Voglio farle un favore: le darò un ottimo motivo
per allontanarsi da lui. Ovviamente faccio affidamento sulla sua discrezione e
sul suo silenzio: il suo tutore non dovrà mai sapere quello che sto per dirle,
altrimenti dovrà essere lei a trovare una giustificazione con le autorità… Le offro la possibilità di analizzare questa
sostanza: è il siero estratto dal sangue di qualcuno o qualcosa, siero usato
per un farmaco sperimentale. Riteniamo che sia unico al mondo e l’ultimo
campione esistente è quello che le sto consegnando: la invito ad analizzarlo e
a confrontarlo con il sangue di una qualsiasi persona normale…
può usare il suo, se crede… so che ne è capace. Abbiamo
ottimi motivi per ritenere che in qualche modo Clark Kent
sia coinvolto nell’origine di questo siero, che provenga dalla sua famiglia e che,
in breve, i Kent stiano coprendo esperimenti di una
gravità eccezionale che potrebbero dare una svolta alla medicina per la cura
delle malattie terminali, ma al tempo stesso potrebbero rivelarsi di una
pericolosità estrema. Capirà per quale motivo la sto invitando a stare lontana
da Clark Kent: è una persona che potrebbe rivelarsi
molto pericolosa per lei e per molte altre… Deve
stare attenta, signorina Leibniz-, aveva vacillato,
per un attimo soltanto, Lily se n’era accorta, come se stesse mentendo, se ci
fosse un coinvolgimento ben maggiore di quello che voleva dare a vedere… ma era stato un attimo solo, forse lo aveva
immaginato. Luthor se n’era andato velocemente,
lasciandola in mezzo al viale, sola, con una fiala in mano.
Quella fiala era lì,
davanti a lei: forse era la risposta che stava cercando su chi fosse davvero
Clark Kent, su chi fosse lei. Doveva solo analizzarla
e confrontarla con il suo sangue.
Si ritrovò davanti al
frigo, illuminata dalla luce verdastra, a ridere amaramente da sola: doveva
“solo” analizzare il suo sangue! La chimera inseguita fino alla morte da suo
padre, che mai era riuscito ad estrarne una sola goccia.
Si portò senza pensare
una mano alla bocca… già, solo qualche giorno prima,
per la prima volta, aveva visto il suo sangue e si era tranquillizzata vedendo
che era rosso, come il sangue di Clark, come il sangue di chiunque altro. Non
c’era motivo di preoccuparsi: non avrebbe trovato niente di strano dall’analisi
e avrebbe chiarito una volta per tutte con Clark i misteri che Lionel Luthor gli attribuiva e che la avevano tenuta lontana da
lui per tutti quei giorni.
Prese il coltello più
affilato che aveva in cucina e lo strinse nella mano, si fece coraggio e avvinò
la lama alla pelle del suo polso sinistro, premendo: solo un “crack”, e
l’acciaio si era spezzato, cadendo in mille schegge tintinnanti sul pavimento.
Lily scosse la testa
rassegnata, guardando il polso che non si era graffiato minimamente.
Prese la fiala dal
frigo e la portò su in soffitta, con sé, dove aveva spostato microscopio e
alambicchi per i suoi esperimenti chimici, la aprì, ne estrasse una goccia e la
mise su un vetrino.
-Cosa sei, di così
misteriosamente strano?-, chiese, e accese il microscopio per analizzare il
siero tanto decantato da Luthor.
Si avvicinò con gli
occhi all’oculare, poi si bloccò, prima di iniziare l’analisi.
-Eppure ce la devo fare…-, si voltò e di nuovo provò a tagliarsi la pelle del
polso, afferrando un grosso cutter che era su una mensola, vicino ad altri
attrezzi. Ancora niente. Dette uno sguardo al trapano e scosse la testa,
inorridendo solo al pensiero di quello che le aveva sfiorato la mente, poi le
venne un’idea, portò la mano davanti agli occhi e la guardò attentamente.
Strinse appena le
palpebre e cercò di fissare un punto estremamente preciso, di concentrarsi il
più possibile, di convogliare tutte le sue energie proprio lì, collimando la
sua forza.
-Maledizione!-, urlò di
dolore portando la destra sul polso e stringendo, mentre una lacrima usciva dai
suoi occhi.
Non aveva mai sentito
così tanto male: era riuscita a ferirsi indirizzando sulla sua carne il raggio
che aveva ucciso Greg.
Sentiva che non
riusciva più a trattenere i singhiozzi, che le facevano sussultare il petto, la
sua bocca era piegata nel pianto, eppure i suoi occhi erano trionfanti, sapeva
che stava esultando e allo stesso tempo piangeva per il gesto che aveva
compiuto, per il dolore provato e che bruciava come se fosse ancora lì, a
dilaniare la sua pelle con il raggio laser che era riuscita a riprodurre: fino
ad allora pensava che fosse solo calore, concentrandosi di più, era riuscita ad
ottenere un sottilissimo fascio monocromatico.
Scosse la testa stringendo
gli occhi e lasciando che le lacrime scorressero sulla pelle, rigandole il
viso, poi abbassò lo sguardo sul polso ferito e aprì la mano che lo teneva
stretto: era insanguinata.
Niente di grave, si era
fermata in tempo, ma c’era sangue sulla sua pelle, sulla sua mano, sangue che
ancora gocciolava dalla ferita tonda e piccola. Rimase ad osservare che dentro,
forse era fatta come tutti gli altri, ridendo, sentendo altri singhiozzi più
violenti squassarle il respiro, mentre si calmava, rassicurata da quello che
aveva visto.
Guardò di nuovo la ferita,
che non faceva più male. Poi guardò più attenta e ciò che vide la fece rimanere
senza fiato: i lembi della sua pelle si stavano richiudendo da soli, la ferita
stava guarendo sotto i suoi occhi, come se non ci fosse mai stata, come se non
avesse mai provato dolore!
Assistette al prodigio
che stava avvenendo sulla sua carne, immobile, come pietrificata. Quando si
rese conto di non sentire assolutamente più male passò con le dita sulla
ferita, cercandola, cercando almeno una cicatrice in rilievo, un segno: niente.
Non doveva andare così,
non doveva succedere quella cosa, no! Lei non era come tutti gli altri, è vero,
aveva delle caratteristiche particolari, lo ammetteva, sapeva fare cose strane,
ma no, no!, lei doveva essere come tutti gli altri, lei era come i suoi
genitori, era come Greg e come Chloe, no, non era diversa, non era un mostro! O
forse… no? Non voleva pensarlo: lei era proprio come
tutti gli altri, lei era come Clark Kent…
Cadde in ginocchio
piangendo l’orrore che non riusciva più a contenere nel suo cuore e rimase lì,
fino a che la luna non tramontò dietro le colline, in lontananza e dalla finestra
sul tetto non sparì l’ultima luce.
***
Si era risvegliato di
soprassalto, non capendo perché era lì, perché sentiva male in ogni parte del
suo corpo. Aveva aperto gli occhi e non aveva visto nulla, aveva sentito
l’angoscia assalirlo e stringere il suo stomaco come una morsa. Aveva portato
una mano sul suo viso: sì, era lui, era vivo, stava bene…
eppure quel dolore fortissimo che lo aveva risvegliato…
Si era alzato in piedi e aveva cercato di capire dove fosse, nel buio, credendo
di tagliare a fette l’aria densa solo muovendosi.
Aveva camminato un
poco, ma era buio, buio ovunque. Si era accorto che stava stringendo forte il
suo polso sinistro, aveva liberato la presa e non aveva provato più dolore.
Ancora una volta quella sensazione orrenda di non essere nel proprio corpo…
Aveva allungato le mani
intorno a sé e finalmente l’aveva trovata: luce.
Si era guardato
intorno, strizzando gli occhi feriti: certo, era lì dove si era
addormentato,che sciocco che era stato.
Intorno a sé, ancora
una volta, quei simboli misteriosi e lontani lo circondavano richiamandolo come
il canto antico delle sirene, suscitando il lui la curiosità di aprire una
volta per tutte il vaso di Pandora che nascondeva le risposte a quelle domande
che avevano per troppo tempo condizionato la sua vita…
[i](1)
Cambio la scrittura da Kawacheen (o giù di lì…) a Cowichan, dopo aver visto con i miei occhi, in Canada, che
esiste una tribù di nativi che porta questo nome, la cui pronuncia è appunto
quella usata in Smallville.
Il suono stridulo della
campana che segnava l’inizio della prima ora non turbò minimamente Clark, che
rimase inebetito seduto alla sua scrivania, al Torch, in penombra. La stanza
era silenziosa e il ronzio del server conciliava ancor più il sonno.
-Ci vediamo a pranzo,
Clark, devi raccontarmi qualche cosina…!-, Chloe prese i suoi libri e si
diresse verso la porta, per seguire la lezione, sorridendo complice, poi si
accorse che Clark non si era mosso.
-Clark…? Stai
dormendo?-, si avvicinò all’amico piegandosi per portarsi alla sua altezza,
guardandolo a metà tra il preoccupato e il divertito. Nessuna reazione.
-Clark!!-, chiamò a
voce alta, scuotendo la mano davanti ai suoi occhi aperti, persi in un punto
senza dubbio appartenente ad un’altra dimensione.
Clark sussultò,
scuotendo la testa e realizzando solo allora di essersi incantato. Guardò Chloe
con occhi spiritati, non sapendo che dire.
-Avanti, muoviti Clark,
è tardi!-, Chloe lo tirò per la manica della giacca, invitandolo ad alzarsi;
lui la seguì in silenzio, come un cagnolino, tenendo sempre gli occhi sgranati
e la bocca appena aperta.
-Fatti un caffè doppio,
appena puoi…-, disse Chloe spingendolo nell’aula dove aveva lezione.
Clark si sedette al
primo posto che trovò, posò i libri sul banco, si guardò intorno e di nuovo
precipitò nei suoi pensieri inesistenti: era paurosamente provato dalla nottata
passata nelle grotte, da quel dolore atroce che aveva provato, il richiamo
della pietra. Le due ore scarse di sonno che aveva fatto sul divano, seduto con
la testa reclinata da una parte, senza neanche spogliarsi, finché qualcosa lo
aveva svegliato, non avevano migliorato la situazione. Aveva fatto colazione
senza rivolgere la parola a nessuno ed era uscito con calma, sbuffando per aver
perso il bus della scuola e perché non gli andava affatto di correre fin lì.
Si sentiva su un altro
pianeta, forse voleva solo appoggiarsi in un angolo e dormire, sperando che il
sonno gli portasse le risposte che cercava.
-Permesso…-, qualcuno
vicino a lui gli stava chiedendo di alzarsi per passare tra i banchi e uscire
dall’aula: la lezione era terminata… dovette guardare sull’agenda per ricordare
cosa avesse dopo, e scosse la testa ricordando che c’era l’ora di educazione
fisica.
Pete lo raggiunse fuori
dall’aula e insieme andarono negli spogliatoi: gli saltellava accanto come un
folletto, raggiante per aver riallacciato i rapporti con la sua Samantha.
-Ma tu non stai
sentendo niente di quello che ti sto dicendo, Clark! Sveglia!-
Si voltò verso l’amico,
guardandolo afflitto.
-Scusa Pete… è che…-
-Aspetta! Fammi
indovinare: anche stanotte non hai chiuso occhi pensando alla bella ragazza dai
capelli neri e gli occhi viola!-
Clark, arricciò le labbra
e lo lasciò parlare, si cambiò svogliatamente e infilò la tuta per l’ora di
educazione fisica. Non aveva ancora preso il suo caffè ed era sempre in quello
stato comatoso che lo accompagnava da quando aveva aperto gli occhi, ore prima,
come se stesse lentamente sanguinando.
Insieme a loro, ma in
un’altra area del campo, c’erano le ragazze del terzo anno: quando realizzò la
cosa, Clark alzò subito lo sguardo alla ricerca di Lily, ma non la vide tra
quelle che correvano per il riscaldamento.
Fu Pete ad indicargliela,
infagottata in una felpa invernale troppo pesante per la giornata, seduta sugli
spalti, vicino alle sue compagne: la raggiunse correndo, approfittando di un
momento di distrazione del coach.
-Buongiorno!-, le disse
sorridendo, tranquillo.
-Ciao, Clark…-,
ricambiò il sorriso, abbassando lo sguardo.
-Che ti è successo?-,
indicò la sua felpa e le altre ragazze.
-Non mi sentivo un
granché bene, stamattina… come se mi avessero preso a bastonate tutta la notte…
sono stanchissima…-, sembrava preoccupata.
-Beh… forse anche tu
hai dormito poco, come me…!-, cercò di sdrammatizzare Clark.
Lily alzò le
sopracciglia: no, non aveva dormito affatto. Poi si voltò verso di lui e lo
guardò intensamente, avvicinando una mano al suo volto, per una carezza.
Indugiò per un istante,
sapendo che stava per accadere qualcosa di importante, poi lo sfiorò e fu di
nuovo come avere il corpo percorso da mille scintille di energia, di nuovo la
stessa ondata di fuoco e brividi che li attraversò da capo a piedi, la stessa
sensazione di volare in alto, lontano, sempre più su,e poi precipitare con il respiro spezzato e i
sensi risvegliati di colpo. Fu come vedere una luce immensa per un attimo e poi
di nuovo i suoi occhi.
Lily e Clark
trattennero per un istante il respiro, poi lasciarono andare l’aria lentamente,
sorridendo: tutta l’energia che mancava loro quella mattina era tornata a
pulsare nelle loro vene, come se fossero carichi e scattanti per affrontare una
gara di velocità, come se avessero dovuto urlarlo al mondo.
-Wow…-, sussurrò Clark,
incredulo ed emozionato.
-Come la prima volta…-,
osservò Lily arrossendo appena.
-Già…-, le prese la
mano, guardandola. Forse lei si aspettava un bacio, ma lui non era ancora
pronto.
-Kent, ti devo
ricordare il regolamento di Istituto, forse? Torna immediatamente qui!-, la
voce del coach risuonò da metà campo. Clark salutò con un cenno della testa
Lily e andò a porgere le sue scuse. Cinque giri del campo a corsa, mentre gli
altri si divertivano con il salto in alto: in fondo la punizione era stata
modesta, per lui e quella corsa fu quello che gli ci voleva per smaltire il
surplus di energia che in qualche modo, di nuovo, lui e Lily avevano creato dal
nulla e alla quale avevano attinto per rinfrancarsi dalla nottata così strana.
Quando ebbe finito di
correre attorno al campo da football con la testa persa tra le nuvole, Clark
non vide più Lily e raggiunse i suoi compagni di classe negli spogliatoi. Fece
una doccia e si preparò per il pranzo a mensa, molto, molto più attivo di
prima.
Chloe e Pete stentarono
a riconoscerlo quando arrivò portando su una mano sola il vassoio come se fosse
un equilibrista e tenendo con l’altra il telefono cellulare sul quale stava
digitando un messaggio: in segreteria gli avevano detto che la classe di Lily
si era recata alle serre, poco distante dalla scuola e voleva fissare con lei
nel pomeriggio un incontro al Talon, per parlarsi, per chiarire, per stare
semplicemente vicini.
-Hai bevuto dieci caffè
o… non so, hai messo le dita nella presa della corrente?-, Chloe lo guardò
avvicinarsi a sopracciglia alzate e sorriso ironicamente sorpreso. Clark non
rispose e gli sorrise piegando un angolo della bocca, guardandola con la testa
inclinata.
Irresistibile…
Chloe si rese conto che
stava tragicamente arrossendo, sentendo dentro di sé vecchi dolorosi istinti
che si risvegliavano: doveva fare come al solito, pensò in un attimo, cioè
darsi la zappa sui piedi.
-Oh no, aspetta… ho
capito: il nostro Clark ha visto la sua innamorata!-, rise affondando il volto
nel bicchiere con il succo d’arancia, vedendo che era lui, al suo posto, a
cadere nell’imbarazzo e a diventare rosso.
Pete rincarò la dose,
constatando quanto il breve incontro con Lily durante l’ora di ginnastica
avesse migliorato l’umore dell’amico.
-Sei crudele a non confidarti
con il tuo vecchio amico, Clark!-, disse assestandogli una pacca sulla spalla.
-Ma no, ragazzi, è
che…-, li guardò non sapendo come completare la frase: l’energia e l’allegria
che in quel momento permeavano da ogni sua cellula parlavano per lui e si
ritrovarono a ridere tutti insieme, complici, amici e anche un po’ martiri.
-Propongo un brindisi
al nostro conquistatore!-, disse Pete a voce non così bassa, alzando il cartone
con il latte e invitando Clark e Chloe ad imitarlo.
Fu allora che arrivò Lana.
Aveva in mano il vassoio della mensa e pareva piuttosto confusa e pensierosa.
Si sforzò di sorridere.
-A cosa si brinda,
oggi?-, chiese facendo richiesta con un cenno della testa agli altri se poteva
sedersi con loro e posando il vassoio sul tavolo.
-Brindiamo al nostro
Clark che… ah…-, Pete soffocò un urlo di dolore più forte: il calcio di Clark
era andato a segno, ma quella volta il suo amico aveva usato un po’ troppa
forza per farlo tacere, accidenti!
-A Clark…?-, chiese
Lana sedendosi e sfilando la felpa leggera che fece scivolare dietro a lei,
sulla sedia.
-Eh già… oggi ha
battuto il record di giri del campo di punizione!-, cavolo, Pete non riusciva mai ad trovare le parole giuste per
evitare domande imbarazzanti!
Lana guardò Clark
stupita: -E come mai sei stato punito, Clark? Eri forse andato a molestare le
ragazze?-, chiese ridendo per la sciocchezza della sua battuta, arricciando il
naso come faceva da bambina.
-Ma figurati! Te lo
immagini Clark a fare una cosa del genere? Era semplicemente più addormentato
del solito-, sparò Chloe, con un sorrisino eloquente a Clark.
Lana addentò un
pezzettino di pane e di nuovo piegò le sopracciglia sorridendo stupefatta.
-Non mi sembravi tanto
addormentato quando sei uscito dagli spogliatoi: ti ho incrociato davanti alla
segreteria e andavi così di furia che non mi hai neanche vista!-
Clark sorrise, portando
una mano alla testa, con fare imbarazzato, - Scusa, Lana…-
Proseguirono il pranzo
velocemente, parlando del più e del meno, poi si alzarono insieme, riprendendo
i vassoi sporchi.
-Clark, potresti
passare dal Talon più tardi…? Avrei bisogno di… parlarti…-, Lana lo guardò
implorante, uno sguardo al quale Clark non avrebbe mai potuto dire di no.
Decise di fissare con
lei un po’ prima delle sei, pensando che sarebbe potuto venire via dal Torch un
po’ prima, quel pomeriggio.
Provò una strana
sensazione quando si voltò salutando Lana. Sentì che quella volta sarebbe stato
difficile aiutarla.
"Lasciate a se
stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio."
In fin dei conti,
volendo essere sinceri, Clark si sentiva contento e lusingato che Lana volesse
parlare con lui: le aveva scritto quella lettera sapendo che le cose tra loro
sarebbero potute finire nel modo peggiore di tutti. Lana avrebbe potuto
considerare le sue parole come pretenziose, come le parole di qualcuno che
crede di essere importante nella vita di un’altra persona e che invece non
conta affatto, avrebbe potuto evitarlo e ignorare la sua amicizia. Ma aveva
passato troppi momenti bellissimi con lei perché tutto finisse nell’oblio,
senza che nulla rimanesse a legarli.
Non voleva che
semplicemente si dimenticassero. Lui non lo avrebbe mai potuto fare.
L’energia che lo
animava da quella mattina non si era esaurita, sentiva ancora vivo il
formicolio nella sua testa che lo faceva agire con più determinazione e
rapidità del solito: sentiva che avrebbe potuto volare, se ci avesse provato,
ma non lo fece: quelle erano cose per visionari…
Lily l’aveva chiamato sul
cellulare quando era al Torch ad impaginare con Chloe l’edizione del giorno
dopo e gli era parsa tranquilla, come se anche lei avesse beneficiato del loro breve
contatto. Gli aveva detto che l’avrebbe raggiunto al Talon e si era fatta
promettere che sarebbero tornati alle grotte. La sua voce vibrava di emozione;
solo ascoltarla l’aveva trasportato di nuovo su quella strana nuvola fatta di
elettricità e fuoco dove le parole, tra loro, svanivano per lasciare il posto
alle loro anime.
Sì, l’avrebbe portata
di nuovo a vedere gli strani segni dipinti sulle rocce e quel pomeriggio le
avrebbe anche mostrato la seconda parte della storia di Naman, quella dove si
parlava della sua donna del destino…
L’aveva salutata
indugiando un attimo prima di chiudere la conversazione, come se avesse paura
di abbandonare la sua voce.
-Vedrai che Lana vuole
solo chiarire con te quello che è successo dietro al vicolo. Forse ha capito di
aver un po’ esagerato all’ospedale…-
Se Chloe non gli avesse
ricordato dell’incontro, probabilmente, dopo la telefonata, Clark lo avrebbe
dimenticato. Quello che non riusciva a dimenticare era lo sguardo con cui Lana
lo aveva implorato di vedersi… Chloe era stata rassicurante e sincera e lo
aveva mandato via prima dell’ora perché potesse incontrarla con calma. Poi si
era chiusa ancora nella stanza e si era sepolta di lavoro, per non aver troppo
tempo per pensare a lui.
-Clark, io non so e non
voglio sapere quale sia la situazione tra te e Lilyanne al momento né quella
tra te e Lana… voglio solo che tu mi faccia una promessa: cerca di lasciarti
guidare dal tuo cuore e vedrai che non ti pentirai mai delle tue scelte…-, lo
aveva detto piano, tra sé, non appena Clark aveva varcato la porta, senza riuscire
a trovare il coraggio di dirlo direttamente a lui.
Ma Clark l’aveva udita
e non l’aveva mai sentita così vicina: la sua insostituibile e adorata Chloe…
Lana era ancora nel suo
appartamento sopra al bar: il lunedì aveva il turno serale e, pensò Clark,
doveva essere appena tornata da scuola. La aspettò sul pianerottolo, senza
disturbarla.
Oltre quella porta
colorata erano rimasti addormentati i suoi sogni di una vita: quante volte
aveva immaginato di entrare con lei là dentro, in un posto che sarebbe stato
solo loro, dove non li avrebbe disturbati nessuno, dove avrebbe potuto
raccontarle tutto, e poi confidarle quanto l’amava, stare stretto a lei,
sentire il suo respiro e guardarla mentre dormiva, vicino a lui.
Posò una mano sulla
porta, perso in quei dolci ricordi, quando Lana la aprì e lo vide così vicino. Clark
gli sorrise lasciandola interdetta per un attimo, con il respiro bloccato a
metà.
-Ciao…-
-…Ciao, Clark…-, Lana
si affrettò a chiudere la porta dietro di lei, - Sei in anticipo…-
Le sorrise pulito,
aspettando che gli dicesse come mai lo aveva fatto venire al Talon. Aveva
mezzora prima che Lily lo raggiungesse.
-Prendi qualcosa da
bere?-, disse lei, avviandosi giù al bar.
-No, grazie, sto bene
così…-
Lo guardò: - Allora, se
per te è uguale… rimaniamo quassù…-, disse riaprendo la porta di casa e rientrando.
Clark aggrottò un
attimo le sopracciglia, non visto: non era mai accaduto prima che Lana lo
facesse entrare nella sua casa da solo, per parlare.
E se fosse arrivato
Jason? Cosa avrebbe inventato Lana? Lo avrebbe chiuso in un armadio o messo
sotto al letto?
Non gli piaceva quella
cosa, eppure… fu come vedere i ricordi di pochi minuti prima prendere forma
davanti a lui, sul tappeto chiaro del salotto, sul divano, vicino ai mobili di
cucina…
-Clark, voglio essere
chiara con te-, disse Lana asciutta, distogliendolo dai suoi pensieri e
facendogli cenno di sedersi sul divano, -Voglio chiederti scusa per come mi
sono comportata all’ospedale, dopo l’aggressione…-
Clark distolse lo
sguardo da lei, per un momento: Chloe aveva ragione.
-Non devi scusarti con
me, Lana, ma con Lilyanne, se vuoi…-, le sorrise cercando di farle tornare il
timido sorriso sulle labbra, ma lei teneva la testa bassa, imbronciata.
Clark si avvicinò a
lei, sfiorandole il mento con la mano, perché tirasse su gli occhi.
Lana provò un brivido
scorrerle lungo la schiena e convogliarsi in basso, sotto lo stomaco: le sue
mani… non l’avrebbero mai più carezzata come un tempo, e i suoi baci, che aveva
conquistato dopo tanto tempo e subito li aveva persi, non sarebbero più tornati?
Cosa aveva? Perché si
sentiva così? Era da quando aveva visto Clark a mensa che non riusciva a
toglierselo dalla testa… era come se fosse più… più ‘sexy’ del solito… provò
vergogna per quello che stava pensando, insomma… c’era Jason ora accanto a lei!
Abbassò la testa ancora, poi non riuscì a contenere quello che le ribolliva
dentro, e scoppiò in lacrime, aggrappandosi al collo di Clark e respirando
l’odore dei suoi capelli.
Vorrei che il tempo si fermasse adesso…
-Lana… cosa ti
prende?-, disse Clark cercando di calmarla e farla tirare su.
-Io sono… ho avuto
paura, Clark… ho avuto paura che quel maledetto mi avesse… mi avesse…-, rimase
stretta a lui finché non si fu un po’ calmata, ringraziando che le fosse venuta
in mente una ottima scusa per essergli saltata al collo. L’aggressione,
l’ultima di tante, l’aveva già dimenticata.
Volevo solo starti vicino…
-Ho esagerato, dopo,
all’ospedale… lo so…-, alzò gli occhi e inspirò, staccandosi da lui e
ricomponendosi un po’.
-Va tutto bene, adesso,
Lana… devi dimenticare il passato-
Già, devo dimenticarti…
Le fece una carezza sui
capelli: -Cerca di stare tranquilla, adesso, altrimenti la gente penserà che ti
abbia fatto piangere io!-, le sorrise.
Lana bevve dell’acqua e
si sciacquò il viso, chiese ancora scusa a Clark e gli offrì di nuovo qualcosa
da bere.
-Ti ringrazio, Lana, ma
non mi va… -, rispose portando un occhio all’orologio. Stava facendosi tardi…
Clark si alzò
significando che era l’ora di andar via. Si accertò ancora che Lana stesse bene
e si fece accompagnare alla porta.
Non c’era altro da
dire… in effetti quello per cui l’aveva chiamato al Talon Lana non l’avrebbe
mai confessato, ma doveva fare l’ultimo tentativo… Si mise davanti a lui e gli
posò una mano sul braccio.
-Clark… grazie… tu mi
sei sempre rimasto vicino… io… se si potesse tornare indietro...-, alzò gli
occhi su di lui, - Potessi tornare indietro non rovinerei tutto cercando in
tutti i modi di scoprire i tuoi segreti, Clark… Ringrazierei solo di averti
vicino…-
Non se lo aspettava: fu
come se un macigno troppo pesante gli fosse caduto sul cuore, sollevando la
polvere che aveva seppellito i suoi sentimenti, ma che voleva restassero parte
del passato.
-Lana, io…-, non sapeva
che dirle. Aveva paura che se l’avesse guardata negli occhi, in quel momento,
avrebbe ceduto a vecchi, dolcissimi, eppure amari, ricordi. Non era possibile…
Lana, la sua Lana, gli stava finalmente dicendo quello che aspettava da una
vita… ma ormai era tardi.
-Lana, io… non so che
dirti… non è colpa tua se le cose sono andate in questo modo tra… noi… la
colpa, semmai, è mia, ma… lo sai… io ti ho amata così tanto… così tanto-, alzò
gli occhi, prendendo aria, e li fissò su quelli giada di Lana.
-… io non avrei
sopportato di stare con te senza riuscire ad essere del tutto sincero…-
-E perché non lo hai
fatto…?-, la sua voce timida, quasi un respiro. Clark abbassò ancora gli occhi.
Sentiva le gambe deboli, come se le sue forze lottassero per abbandonarlo,
lasciandolo pericolosamente da solo, con lei.
-Lana tu… tu sei stata
il mio amore dal giorno in cui ti sei trasferita con Nell nella casa davanti
alla nostra. E’ stato come vedere un angelo, che mi ha guidato in tanti, tanti
anni… Eri tu il mio faro, era solo per te io vivevo…-, la guardò ancora negli
occhi e vide che stava piangendo di nuovo, in silenzio, -ma adesso io… ho capito
qual è la mia strada…-
-…e non hai più bisogno
di un faro che ti guidi… eppure io…-, si morse un labbro, perché non riusciva a
dirgli altro.
-Perché fai così? Tu
non sei… felice? Io ti ho vista, sai, ho visto come eri radiosa quando sei
tornata da Parigi. Non lo sapevo che stavi con… lui, ma ti vedevo più vitale,
più bella, più felice… L’avevo capito che avevi un altro… era dipinto sul tuo
viso, non c’era bisogno che tu me lo dicessi, ma speravo che lo avresti fatto,
perché ho paura dei segreti che ci possono essere tra noi. Eri così bella…-
Le prese le mani e
provò un brivido scorrere lungo il collo e svanire vicino al cuore.
-Perché non sei più
felice… Che è successo?-
Lana abbassò lo sguardo
e una lacrima calda scivolò sul pavimento bianco e nero. Poi prese aria e lo
guardò ancora, senza parlare. Non avrebbe parlato.
-Io, Lana… ti vorrò
sempre un bene dell’anima… lo sai questo, vero? Penserò sempre a te e non potrò
mai dimenticare… il profumo della tua pelle, i tuoi baci… Ma… doveva andare
così, ci sono cose che io non sarò mai pronto a condividere e che non potevo
sopportare che rimanessero come un muro tra noi. Lo sai già… Non è stato
facile… ma dobbiamo guardare avanti, cercare la felicità oltre il passato…-
-Tu sei felice, Clark?-,
ancora un sussurro.
Cercò la risposta nei
suoi occhi, poi li riabbassò, sentendo il cuore fermarsi per un istante.
-E’ Lilyanne… non è
vero?-
Clark non rispose e mosse
appena la testa, stringendo le mandibole. Era così difficile chiudere quella porta…
-Lana…-
-Va tutto bene, Clark…
tutto bene-, annuì sorridendo e increspando il mento e gli fece capire di
andare.
Lo vide uscire dalla
sua casa e dalla sua vita, come se fosse una scena al rallentatore.
Poi rimise la mano sul
suo braccio, fermandolo ancora prima che varcasse del tutto la porta e lo
abbracciò stretto alla vita, per qualche attimo indimenticabile. Sentì le
labbra morbide di Clark posarsi sulla sua fronte, poi vide il suo sorriso
sincero.
-Vai da lei…-, gli
disse e, facendo tesoro di quell’ultimo bacio, rientrò in casa chiudendo il
mondo fuori dalla sua vita.
Clark ormai era volato
via.
Non se l’aspettava
proprio. Per un attimo aveva sentito qualcosa dentro di sé lottare ferocemente
con quello che batteva nel suo cuore e cercare ancora una volta di prenderne il
posto. Era qualcosa che pungeva come una spina e lo faceva sanguinare ancora,
goccia dopo goccia.
Non sarebbe mai
riuscito a dimenticarla, mai, anche se si fosse sforzato con tutte le sue
forze: Lana faceva parte di lui, della sua vita, come i segni delle ferite che
portava impressi a fuoco nella memoria.
Ma era tempo di andare
avanti e quello che voleva era solo tornare da Lily.
Continuò a scrutare con
lo sguardo gli avventori del bar, per trovarla: non voleva vivere un solo
minuto in più senza di lei.
Scese a due a due le
scale del Talon, cercando il suo volto tra i tanti che affollavano il locale. Senza
trovarla.
Era in ritardo, era
vero, ma solo di dieci minuti, lei sicuramente lo aveva aspettato lì in giro,
non sarebbe mai andata da sola alle grotte.
Pensò a quello che
stava per raccontarle e sorrise tra sé e sé: le parole di Lana lo avevano
colpito, ma gli avevano aperto definitivamente gli occhi su quello che
realmente voleva per il suo futuro, perché una cosa era il ricordo più dolce,
un’altra cosa era voler vivere il proprio futuro.
“Finalmente so chi è la mia ‘donna del destino’… voglio che anche tu lo
sappia il più presto possibile, Lily…”
Le avrebbe raccontato
da capo la storia di Naman, le avrebbe mostrato gli ultimi pittogrammi e le
avrebbe chiesto ufficialmente di diventare la sua ragazza: lo avrebbe fatto
regalandole il bracciale di Kyla… quello che spettava solo ad una donna.
E quella donna era
Lily.
Cercò ancora un po’ nel
locale, poi guardò in strada.
Fuori si era alzato un
vento freddo che odorava di terre lontane e scompigliava i capelli ai passanti.
La vide poco distante,
oltre il negozio di fiori, che lo aspettava con le spalle al muro e le braccia
incrociate sul petto, una gamba sollevata, con il piede sul muro.
Clark notò che si era
fatta bella “per lui”: indossava degli stivali chiari e una gonna corta, che
metteva in risalto le sue gambe slanciate. Sopra aveva un giubbino di jeans e
velluto.
-Ciao… sei bellissima…-,
le disse arrivandole vicino silenziosamente e sorprendendola con un bacio su
una guancia.
Lily si voltò verso di
lui: era scura in volto e aveva i lineamenti contratti.
-Che è successo?-, le
chiese preoccupato.
Lily lo guardò dal
basso in alto, stingendo appena gli occhi. Si liberò dalle sue mani che la
tenevano alla vita.
-La prossima volta che
vuoi stare con Lana ricordando la vostra relazione, stando abbracciati e…
baciandola, fammelo sapere per tempo, così trovo qualcosa di meglio da fare che
aspettare come una scema che voi due abbiate finito!-, si voltò e sparì,
scappando alla supervelocità, senza che Clark potesse muovere un muscolo per
raggiungerla, rimanendo da solo per strada, accanto ad un muro battuto dal
vento.
Per terra, davanti a
lui, alcune lacrime si perdevano nella polvere della strada.
Lily, ti prego, lascia che io ti parli, fatti spiegare che quello che
hai visto non ha alcun significato. Smetti di scappare da me: io non capisco
come sia possibile che più ci avviciniamo, più riusciamo a dividerci, io e te.
Non voglio che il mio cuore batta più forte perché tu lo possa sentire solo
stando lontana: dobbiamo parlarci, chiarire tutto, dirci le cose che non sono
state ancora dette, perché io voglio che tu sappia che non hai nulla da temere
dal nostro rapporto… Mi suona strano anche dire solo così… perché se scappi da
me, ogni volta, il nostro, che rapporto è? Sì, è vero, i tuoi occhi hanno visto
bene, prima, ma quello che non sai è che ero lì solo per dire una volta per
tutte a Lana che non provo più nulla per lei. Io non voglio doverti rincorrere
ancora, perché non ce la faccio più a vedere la felicità così vicina e poi
perderla per motivi sciocchi, non ce la faccio più a sopportare questo tira e
molla tra noi: l’ho già provato una volta nella mia vita e non voglio più soffrire
ancora, quando tutto quello che sogno è qui, accanto a me!
E’ vero: è stato con Lana che è successo, è con lei che non sono
riuscito a tenere stretto quello che di buono avevo realizzato, perché ogni
volta che ci avvicinavamo accadeva qualcosa che faceva precipitare gli eventi. Non
voglio che accada di nuovo con te, perché non voglio dover rinunciare a te,
Lily, ti prego, perché io credo davvero di…
-Maledizione…-, Clark
accartocciò il foglio su cui stava scrivendo e lo gettò nel cestino accanto alla
porta di camera sua. Ne prese un altro e ricominciò a scrivere, cercando di
trasmettere quello che davvero provava e soffriva, senza perdersi nelle parole,
che erano così difficili da trovare, perché non c’erano parole capacidi esprimere quello che bruciava nel suo
petto.
Lily ti prego, aspetta, torna da me… Lasciami spiegare: quello che hai
visto prima è stato solo uno stupido equivoco: io non ero lì CON Lana, ma ero
lì per spiegarle un’altra volta che ormai la considero solo un’amica, che c’è
un’altra persona nella mia vita, e quella persona sei tu! Cerca di avere
fiducia in me. Non ha senso stare lontani e soffrire da soli… E’ solo con te
che desidero stare, solo te che sogno la notte e cerco di giorno, sono i tuoi
occhi che vedo nel cielo, è solo per te che sento battere il mio cuore, e non
perché io e te siamo uguali, ma perché credo di essermi davvero inn…
-Ma che diavolo
scrivo…-, appallottolò anche quel foglio e lo lanciò verso il cestino,
facendolo rimbalzare sul bordo e buttandolo fuori.
-Per un pelo non facevi
canestro, Smallville!-,la porta si era aperta e Lois era entrata in camera,
sfilandosi la giacca e gettandola sul letto. Clark la guardò seccato e
rassegnato, scivolando sulla sedia fino ad incassare la testa tra le spalle.
-Pensavo fossi tornata
al college, Lois, non ti avevo vista nel week-end e avevo sperato che…-
-Oh, già… ma ora sono
di nuovo qua: tua madre mi ha detto di riprendere pure la mia stanza-
-La MIA stanza, semmai! Fanno
ancora ‘pausa didattica’ al college o ti senti così superiore da non aver
bisogno di seguire le lezioni?-
Lo sguardo fiero di
Lois svanì, e i suoi occhi verdi puntarono diretti verso quelli di Clark.
-Sai, Smallville, non
tutti hanno dei genitori come i tuoi, che ti lasciano sempre fare le tue scelte
e vivere la tua vita-, si fermò un istante, abbassando lo sguardo; -Se sono
tornata a Metropolis, sabato, è stato solo per parlare una volta per tutte con
il Generale…-
-Ah…-, Clark sapeva
che, nel linguaggio di Lois, Generale equivaleva a guai…
-Gli ho detto che non
sopporto più di studiare per diventare avvocato, come pretenderebbe lui: non è
la mia strada e non lo sarà mai! Non voglio passare il resto della mia vita
pentendomi di non aver fatto la scelta giusta e di aver sprecato anni ad
imparare una professione che non amo, anzi, che detesto!-, si sedette sul
letto, vicino alla sedia di Clark.
-… e ora che succede?-,
chiese lui, dimenticandosi per un attimo dei suoi problemi.
-Succede che, in attesa
di trovare un lavoro che mi dia di che sfamarmi, dovrò approfittare ancora
della vostra ospitalità…-
-Già…-, Clark sbuffò
senza convinzione e si alzò stancamente, per liberare, per l’ennesima volta, la
sua stanza.
-E tu cos’hai
Smallville?-, gli domandò Lois raccogliendo da terra il foglio stropicciato che
aveva gettato poco prima Clark. Lui la guardò, pronto a fermarla se avesse provato
a leggerlo.
-Niente, è tutto ok…-
-Certo, come no?
Conosco i problemi dei maschi della tua età, e in un certo senso lo sono stata
pure io…-
-Lois, ma se hai solo
pochi mesi più di me…?-
-Già, ma le ragazze
maturano più in fretta, non lo sapevi, Smallville?-
-Allora, o tu non sei
una ragazza, o sei maturata così tanto da essere ormai prossima alla demenza
senile!-
-Ma sì, bravo
Smallville, continua sulla strada del tuo nichilismo. Tanto lo so che attacchi
solo perché vuoi nascondere le tue ferite-
La guardò accigliato,
colpito dalla sua frase e non trovò al volo le parole per replicare. Lois
approfittò della pausa e continuò.
-Se un ragazzo della
tua età si chiude in camera sua cercando disperatamente di scrivere le parole
che non riesce a dire di persona e straccia fogli su fogli senza mai essere
soddisfatto di quello che ha scritto, i motivi possono essere solo tre-
Clark alzò le
sopracciglia, -E sarebbero?-
-O si vuole suicidare,
perché “in questo mondo crudele non c’è spazio per lui”, o è gay e non sa come
dirlo ai suoi genitori, specie se sono così tradizionalisti come i tuoi, o ha
fatto davvero incazzare una ragazza e non riesce a trovare le parole per
chiederle scusa-
-Ma…-
Lois interruppe sul
nascere le sue proteste alzandosi e posando il palmo della mano sul suo petto.
-Fammi finire! Ora, ti
conosco abbastanza bene da sapere che sei così attaccato alla vita che non ti
verrebbe mai in mente di suicidarti, giusto? Quindi rimangono le altre due
opzioni…-, lo guardò spostando la mano sulla sua spalla, guardandolo dall’alto.
-Sei gay, Clark? No,
perché in tal caso non ci sarebbe niente di male e…-
-Ma che cavolo dici?!-
-... allora anche
stavolta hai fatto incazzare una ragazza! Come pensavo. Vediamo se ho
indovinato di chi si tratta…-, disse con un pizzico di sadismo aprendo il
foglio di carta che ancora teneva in mano.
-Fermati!-, Clark fu
veloce come un lampo, Lois non lo vide neanche muoversi che già il suo polso
era stretto nella mano di Clark, che con l’altra le strappò via il foglio.
Cacciò un urlo,
spaventata da tale velocità e dallo scossone che Clark le aveva tirato,
facendole un po’ male dove la stava stringendo.
-Lasciami, mi fai
male…-, disse con voce tornata seria, quasi minacciosa, poi allungò la sua mano
verso la lettera, stretta tra le dita di Clark, per riprenderla, solo per
fargli un dispetto.
-No, Lois-, disse Clark
e la fermò di nuovo, stringendola alle spalle con le sue grandi mani.
Per un attimo Lois
pensò che Clark l’avrebbe sollevata di peso, come aveva fatto la prima volta
che lo aveva incontrato, quando ancora non conosceva il suo nome.
-Basta…-, le disse, e,
nel suo sguardo, Lois lesse tanta amarezza.
Lasciò andare l’aria
che aveva trattenuta e lo guardò: era talmente affranto e allo stesso tempo si
sforzava di non mostrarlo agli altri. In quell’istante Lois si rese conto di
quante cose si nascondevano dietro il suo volto da bonaccione, di quanto
dolore, delusioni e speranze ancora non realizzate.
Proprio come lei. Non
lo fece volontariamente e subito dopo se ne pentì: allungò una mano verso il
suo volto e gli fece una carezza leggera.
-Lasciati aiutare,
Clark…-, gli disse, e per un attimo la sua voce rimase sospesa nell’aria, senza
che nessuno dei due si muovesse.
Poi Lois realizzò
quello che aveva fatto, si guardò istintivamente attorno allontanando la sua
mano e si mosse, perché anche lui lasciasse la presa dalle sue braccia.
-Eh… eh… avevi una cosa
sul viso…-, gli disse voltandosi, per non fargli vedere che era arrossita.
Clark invece rimase
immobile, con le labbra socchiuse, confuso, perplesso, ma stranamente un po’
più tranquillo di pochi minuti prima.
-Si, Lois, aiutami…-,
le disse, e la sua voce uscì appena roca dalla sua gola, -Aiutami, perché io
non so davvero più cosa fare…-
Lois si girò per
guardarlo, gli sorrise a labbra strette e si sedette di nuovo sul letto,
buttando a terra gli stivali e incrociando le gambe. Clark la imitò, e fino a
che non fu buio e Martha, da sotto, chiamò per la cena, rimase a parlarle di
quello che era successo con Lily e di quanto non riuscisse a capire come fare
per sbloccare la situazione con lei.
Lois lo ascoltò in
silenzio, scherzò un po’, poi cercò di esprimere il punto di vista di una
ragazza a riguardo, e infine gli dette un consiglio così bizzarro, che Clark,
uscendo, le promise che si sarebbe
rifiutato di metterlo in pratica, e che a lei non si sarebbe più rivolto per
cercare aiuto.
Ma lo disse senza
convinzione e sulle sue labbra era già comparso un timido sorriso, come un
raggio di sole che filtra dalle nuvole grigie che rimangono dopo una tempesta.
Sì, avrebbe trovato il
coraggio di farlo, e quella sera stessa forse…
***
-Pronto, signor Luthor?
Sono Jamison-
-Ha parlato?-
-Beh, non ancora, ma ci
ha dato un grosso indizio-
-Che cosa intende?-
-Vede, il soggetto ha
nominato un’altra persona, oltre a quella su cui stiamo cercando informazioni,
che parrebbe avere le stesse caratteristiche fisiche che ci interessano. Quindi
io pensavo di…-
-L’ultima volta che
“pensava”, dottor Jamison, ha quasi mandato all’altro mondo con i suoi
esperimenti il nostro soggetto! Non voglio “pensieri”, ma fatti, se lo
ricordi!-
-Certamente signor
Luthor, solo che è importante che lei sappia quello che il soggetto ha appena
rivelato circa la particolarità di questa seconda persona, perché forse vorrà…-
-Lo rintracci-
-Non è così facile come
può sembrare signor Luthor, il ragazzo ci ha parlato di una persona…
“particolare” e sarebbe meglio se assistesse di persona alla descrizione dei
suoi poteri perché…-
-Mi dica solo il nome-
-Ma la linea non è
sicura signor Luthor e…-
-Il nome!-
-Come vuole lei… Greedy
ha indicato come soggetto idoneo ai test un ragazzo che lei conosce bene… il
suo nome è Clark Kent…-
-…-
-Signor Luthor?...
Signor Luthor, cos’era quel rumore?? Lex? Maledizione… la linea è caduta… L’avevo
avvertito che non era prudente fare nomi qua…-
***
Lois non si sarebbe
persa la serata al Talon per niente al mondo: prese dalla sua valigia dei jeans
scuri e si cambiò, rimise gli stivali e si dette una sistemata ai capelli.
Si sentiva appena in
colpa per quello che aveva detto a Clark: in fondo era un suo amico e aveva
paura di essersi presa gioco di lui un po’ troppo pesantemente, ma non poteva
lasciarsi sfuggire quell’occasione d’oro che Clark, ricordandole il programma
della serata al bar, che riteneva ormai sfumata, le aveva servito su un vassoio
d’argento.
Quando squillò il
cellulare pensò che fosse lui che la chiamava, colto da un attacco di panico,
dal vicolo dietro al Talon, invece era Chloe e aveva la voce più agitata del
solito. Chiamava dalla sua auto, Lois poteva sentire il rumore del motore nel
vivavoce.
-Ciao Cugi sono io… non
ce la faccio a passare a prenderti dai Kent, perché sono in emergenza Cupido e
devo correre da Lily…-
Lois cercò di non
ridere.
-Allora stasera siamo
tutte e due armate di frecce e ali da piccione, mi sa! Ho appena fatto da
consulente matrimoniale al tuo amico addormentato… al Talon vado per conto mio,
non preoccuparti, ma l’importante è che tu ci sia e che porti anche la sua
bella… ci sarà da sbellicarsi dalle risate!-
-Lois, possibile che tu
riesca a fare ironia anche dove i tuoi amici soffrono? Che cosa hai detto a
Clark… e perché devo trascinare Lily al Talon? Per favore, cerca di non
combinare i tuoi soliti pasticci…-
-Tranquilla! A volte i
problemi si possono risolvere anche ridendoci su… ad ogni modo, se le cose
vanno come spero, stasera vedrai Clark come non l’hai mai visto prima! E chissà
che non riesca davvero a risolvere i suoi dilemmi!-
-Uhm… non mi fido di
te… sento che te la stai ridendo sotto ai baffi e non mi piace per niente!-
-Chloe! Ma dai,
rilassati… e comunque…-, tornò seria per un momento, non capì neanche lei come
mai lo fece, perché disse quelle cose a Chloe-, comunque… Clark mi ha detto di
oggi pomeriggio e so perché Lily sta così male, ora… lei te ne ha parlato?-
-No, mi ha appena
telefonato, mi ha solo accennato qualcosa, e credo stesse piangendo…-
-Chloe, c’è ancora una
volta di mezzo Lana…-
Chloe rimase turbata
dalle parole che Lois aveva, più o meno coscientemente scelto.
-… Lana?-
-Già, pare che oggi
pomeriggio si siano incontrati, lei e Clark, e… insomma, secondo me Lana ancora
sta dietro a Clark e se non ho capito male ha avuto la felice idea di
abbracciarlo pubblicamente, al Talon e Lily ha visto la scena. Ma perché quella
ragazza non si tiene quel gran pezzo di fico del suo ragazzo e lascia in pace
Clark? Che ci troverà mai in quel lumacone??-
-Oh…-
-Oh? La tua unica
reazione è ‘oh!’?? Ma Chloe, non capisci che Clark DEVE necessariamente
trovarsi una ragazza dolce, carina, educata, senza troppi problemi, in una
parola: NORMALE? Così almeno si darà pace e se ne starà il più possibile con
lei, via di casa, e io avrò la mia libertà in casa sua!-, ridacchiò, dicendo
queste parole, ma in fondo non era tanto sicura di quello che stava dicendo:
l’idea di Clark fidanzato con qualcuna la turbava, senza un perché.
-Sei terribile Lois… lo
sai che ti starebbe bene? Che fossi tu ad innamorarsi di lui, e che lui non ti
considerasse neanche un po’! Così la smetterestidi scherzare sui sentimenti di Clark!-
-Io innamorarmi di
quell’orso di Clark? Ma nemmeno morta! Comunque… Chloe, ci vediamo là. Mi
raccomando, fai in modo che Lily ci sia-
-Non ti prometto nulla,
non so in che stato la troverò…-
-… certo… e… dov’è che
abita Lily?-
-Ma che…?-
-Dai…!-
-28, Kerry Lane… ma che
ti importa di dove abi…-
-Ciao Cugi, devo
scappare! A dopo e acqua in bocca con la capellona su quello che ti ho detto di
Clark!-
Riattaccò il cellulare
e rimase immobile, in mezzo alla stanza, confusa per le sue stesse parole e per
il tono che aveva usato. Poi guardò l’orologio, scrollò la testa come per
scacciare quella strana sensazione e tornò in bagno, per sistemarsi il trucco.
28, Kerry Lane… arriva la cavalleria, Chloe…
Quando Chloe arrivò da
Lily la trovò accucciata sul divano, con i capelli legati, la frangia
spiaccicata sulla fronte e una vecchia, enorme felpa che le arrivava fino alle
ginocchia. Della sua bellezza era rimasto poco, nascosta nuovamente dal
travestimento che aveva iniziato ad abbandonare e che in quei momenti di
tristezza voleva sentire di nuovo su di sé, come un guscio che la faceva
sentire protetta dalla cattiveria del mondo, dimenticata in un angolo.
Aveva ancora gli occhi
rossi e non si era alzata neanche per aprire la porta, tanto era già aperta: si
era guastata la sera che Clark l’aveva riaccompagnata a casa, quando erano
rimasti in auto davanti al giardino senza parlare, mentre la musica riempiva il
silenzio tra loro. La serratura si era rotta senza un motivo, e la porta poteva
chiudersi solo con la chiave.
Lily non sapeva perché
aveva chiamato Chloe: era abituata a risolvere i suoi problemi da sola, e se
non riusciva a risolverli, li seppelliva sotto la cenere dell’amarezza che
riempiva il suo cuore.
Ma quella volta era
diverso… si era fidata davvero di Clark, aveva sentito di nuovo il calore
ardere da qualche parte, nel suo cuore, aveva capito che erano così simili, e
si cercavano da sempre e non potevano perdersi, ora che si erano trovati…
eppure…
Ci era cascata ancora
una volta: non è cosa per te, l’amore!, si era detta e aveva cercato di andar
via da Clark come se la cosa non la ferisse affatto. Ma poi era finita in
lacrime sul divano, cercando una voce amica, che potesse ricordarle che ancora
non era sprofondata nell’inferno in cui sapeva che era attesa da molti.
-Lily, alzati e
asciugati quelle lacrime!-, le aveva detto Chloe decisa, accendendo la luce.
Dopo interminabili
minuti di silenzio, interrotti solo dal respiro regolare e profondo di E.T., che
dormiva accucciato sotto al tavolino in salotto, Chloe si alzò per preparare un
tè, sperando che Lily la fermasse, si sollevasse da quel torpore che l’aveva
colta dopo che, appena lei le aveva chiesto “Ehi, piccola, che è successo?”,
era scoppiata a piangere di nuovo, con il volto affondato nella sua spalla.
Decise che avrebbe
parlato lei, a costo di fare tutto da sola: sua cugina le aveva fornito
informazioni sufficienti per intavolare un discorso efficace, per una con la
sua lingua e le sue risorse.
-Sai, ho visto Clark,
prima che venisse via da scuola: sembrava emozionato… o comunque più frizzante
del solito…-
Lily si voltò verso di
lei, come se parlasse una lingua che non riusciva a comprendere.
-… pensavo fosse perché
avevate un appuntamento… devo dedurre che le cose non sono andate poi così
bene…-
-Già…-, almeno la stava
ascoltando.
-Ho sentito mia cugina
Lois, poco fa, mi ha detto che ha incontrato Clark, alla fattoria-
-…-
-Da come mi ha
descritto Clark, doveva essere più o meno nelle tue stesse condizioni… ora, non
nel senso che si è messo a piangere sulla sua spalla, ma comunque pareva star
male…-
-…-
-Ne sai qualcosa,
Lily?-
-…-
Chloe sospirò cercando
di nascondere l’impazienza, poi cambiò posizione, sorseggiando il suo tè, che
era amaro come le lacrime che si stavano seccando sul volto bianco della
ragazza davanti a lei.
Cercò di essere più
convincente, forse troppo. Disubbidì alla promessa fatta a Lois e decise di
vuotare il sacco.
-Lily, so quello che è
successo al Talon, so che hai visto Clark assieme a Lana e so che te ne sei
andata via arrabbiata e delusa. So anche che Clark ha passato le ultime ore a battere
metaforicamente la testa contro al muro, perché, credimi Lily, lui ci tiene
davvero a te! Possibile che voi due non siate ancora riusciti a trovare un
equilibrio? Insomma… sì, ho sofferto anch’io vedendo come Clark guardava Lana
invece che me, tanto tempo fa, ma come lui guarda te, oh Lily, io non l’ho mai
visto fare neanche con lei! E’ come se tu e lui… E’ come se tu fossi l’altra
metà di Clark, quello che non ha mai trovato prima d’ora in una ragazza… quello
che io avrei sempre sognato di essere, e non solo perché tu sei bella, ma
perché c’è qualcosa, dentro di te, che è così in sintonia con Clark… insomma… è
come se voi due siate uguali, uguali e unici e solo voi due siate fatti per
stare insieme, è lampante solo vedendovi vicini… c’è qualcosa tra voi, che
Clark non riuscirebbe mai ad avere con una ragazza come me, o Lana…non è giusto
che buttiate via quello che c’è tra voi, che è così speciale, così…-
Lily rimase turbata
dalle parole di Chloe, cosa intendeva per “uguali e unici”? Cosa sapeva su di
loro, su Clark, che già le aveva fatto intuire quella volta, al lago? Che il
simile cerca il suo simile… come se ci fosse qualcosa di più che attrazione e
amore, tra loro, qualcosa che faceva parte delle loro essenze, di quello che
loro erano, come se ci fosse un legame… di sangue? Ripensò alla sensazione
provata quando si erano baciatiper la
prima volta… sì, era davvero come se fosse attratta da lui, come se si sentisse
parte di lui… Cercò di sminuire la questione.
-Chloe… ti ringrazio
per le tue parole, ma ti garantisco che non c’è niente di speciale in me, e non
c’è nulla che mi possa legare a Clark più di quanto non possa farlo tu, o… Lana…
E’ così… devo solo rassegnarmi all’idea e accettarlo…-
-Ma Lily… non devi dire
così!-
-Ormai…-, disse Lily
alzandosi e lasciando che i lunghi pantaloni della tuta le finissero sotto ai
piedi. Si chinò e tirò fuori il gatto da sotto al tavolino: E.T. protestò
agitando le zampe per essere stato svegliato così maleducatamente, poi si
accucciò sul suo petto e riprese a dormire, mentre Lily lo carezzava come se
attingesse conforto e amore dalle sue fusa appena udibili.
La pendola battè nove
rintocchi: se non fossero uscite al più presto non ce l’avrebbero fatta ad
arrivare al Talon in tempo; per cosa, Chloe, non osava chiederselo: c’era di
mezzo Lois, quindi non poteva essere qualcosa di semplice, lo sapeva…
-Lily… perché non lasci
il gatto, ti sciacqui la faccia e vieni con me fuori… ti distrarrai un po’-
Lily la guardò come se
le avesse proposto di mettere la maionese sulla torta di mele, arricciò il naso
e si strinse ancor di più nelle spalle, affondando il volto nel pelo del gatto.
-Davvero, Lily…
chiuderti in casa è la cosa peggiore che tu possa fare stasera-, ancora Lily
scosse la testa, abbozzando un sorriso riconoscente. Chloe pensò che portarla
al Talon sarebbe stato come farle un taglietto e versarci sopra del sale, ma
voleva provare ancora.
-Potremmo andare a
divertirci un po’… magari a prendere un caffè o una cioccolata calda al…
Talon…-
Lily la guardò fosca:
-Già, andiamo nella fossa del leone, Chloe… così rivedo Clark e Lana insieme e
ho un motivo più che ottimo per legarmi un sasso al collo e buttarmi dentro
Crater Lake…-
-No, io direi che
avresti un motivo più che ottimo per guardarti intorno alla caccia di qualche
altro ragazzo che possa sostituire quel bietolone di Smallville. E se poi lui
dovesse vederti, affari suoi, lo ripagheresti con la stessa moneta!-
Chloe e Lily si
voltarono verso la porta di casa: sull’uscio, appena fuori, c’era Lois, che
sorrideva loro soddisfatta.
-Ma come…-
-Oh, scusate… non
volevo intromettermi nei vostri discorsi, ma la porta era socchiusa e quando mi
sono avvicinata per bussare si è aperta ancora di più e così vi ho sentite!-
Lily sfrattò E.T. dalle
sue ginocchia e si alzò, per fare entrare Lois in casa.
-Che sbadate… entra
pure Lois-
Non se lo fece ripetere
due volte, entrò, lanciò un’occhiata acida alla cugina, avendo capito che aveva
vuotato il sacco con l’amica e rimase immobile davanti alla porta.
-Accomodati, Lois…-
Lois quadrò Lily dalla
testa ai piedi: -Dai, smetti di fare la Cenerentola della
situazione, infila dei jeans e una maglia più decente e vieni con noi. Vuoi
forse perdere l’occasione di dimostrare al mondo che riesci a sopravvivere e
mantenere una tua vita sociale indipendentemente da quello che fa, pensa o
distrugge Clark Kent? Su, Lily, sei una ragazza dalle molte potenzialità… mi
pare di averlo capito, quindi non lasciare che tutta la tua vita sia
condizionata da lui. Non lasciare che sia un uomo a decidere per te… Muovi le
chiappe e usciamo, che è già tardi!-
Lily la guardò restando
immobile per un secondo, interdetta, poi qualcosa scattò in lei animato dalla
molla delle parole di Lois che avevano risvegliato per un attimo l’orgoglio nel
suo petto. Annuì e corse a mettere dei pantaloni e delle scarpe.
Chloe si voltò verso la
cugina, stupefatta per la sua entrata ad effetto e il risultato ottenuto.
-Ma come ci sei
riuscita?-
-Ho convinto un intero
esercito a fare cose per me, che non ne hai idea… questa è stata una
passeggiata!-
Non era vero nulla, ma
quando Lily ridiscese, sempre con la felpa, ma con dei jeans e delle scarpe da
ginnastica grigie e rosa, struccata, imbronciata e salì in auto accanto a lei,
pensò che forse, se avesse usato la sua arte oratoria per ottenere qualcosa in
più, quando stava in caserma con suo padre, avrebbe anche potuto avere delle
attenzioni in più, un po’ d’affetto o amicizia e quegli anni non sarebbero
stati così aridi e bui.
Clark camminava avanti
e indietro nel vicolo dietro al Talon: Lily non era ancora arrivata… le cose
non stavano andando come Lois aveva previsto… come avrebbe potuto mettere in
pratica quello che doveva fare, se lei non c’era…?
Sentì la porta sul
retro chiudersi alle sue spalle, si voltò e vide Lana, che camminava verso di
lui, con una tazza di caffè bollente in mano.
-Servizio a
domicilio!-, gli disse porgendogliela e sorridendo.
Clark la prese
guardandola negli occhi… perché Lana era lì, proprio in quel momento?
-Stai aspettando
qualcuno?-, gli domandò sperando in una risposta negativa. Da dentro
provenivano note stonate e risate allegre.
-Già…-, le rispose
sorseggiando il caffè, -ma temo che ormai sia tardi…-
-Non è mai tardi per
qualcosa a cui tieni davvero…-, si mise davanti a lui e lo guardò. Sapeva di
essersi comportata male, quel pomeriggio, ma ancora non voleva rassegnarsi a
perdere anche la sua amicizia.
Clark non rispose e
guardò ancora l’orologio.
-La serata è appena
iniziata, c’è ancora tempo… no?-, le feriva vedere Clark star male per
qualcosa, qualsiasi cosa fosse, -Perché non entri a divertirti un po’?-
-Non c’è Jason,
stasera?-, colpo basso, autodifesa e attacco…
-No, Jason non c’è-,
rispose Lana asciutta. Non c’erano porte aperte per lei, quella sera. Lo salutò
e rientrò nel locale, lasciandolo solo.
-… e così è andata che
ho conosciuto Clark. In realtà senza di lui non sareimai riuscita a riprendermi mia cugina, ma non
posso fare a meno di essere con lui come il limone dentro al latte!-
-… e cioè?-
-Acida, no?-, Lois e
Lily risero, mentre scendevano di macchina, e aspettavano Chloe che, sulla sua
Volkswagen, le raggiungesse. Almeno Lois era riuscita a strappare un sorriso
all’amica… era buon segno, pensò, lasciandola un attimo da sola e precedendola
nel locale: doveva avvertire Clark che erano arrivate.
Lo trovò seduto in un
angolo, con in mano il fogliettino che gli aveva
scritto lei poco prima: doveva darlo al dj, in sala, al momento opportuno. Gli
posò una mano sulla spalla, sorridendogli e bisbigliandogli “lei è qui”.
Avrebbe lasciato passare qualche minuto e poi sarebbe iniziato il loro piano.
-Se va male giuro che
te la faccio pagare…-
-Tranquillo, Smallville!-, gli disse e tornò verso Chloe e Lily, cercando
di prendere posto in un tavolo da cui Lily non riuscisse a vedere che Clark era
lì.
-Salve ragazze! Cosa vi
porto?-, Lana le raggiunse con taccuino e vassoio. Come lei e Lily si videro, i
loro sguardi si annebbiarono per un istante, ma fecero finta di niente.
Quattro ragazze intorno
ad un tavolo, tre delle quali, nel passato o nel presente, avevano amato o
amavano Clark Kent. Quale di loro sarebbe stata la donna del suo futuro, in
quel momento, non era possibile prevederlo. (2)[ii]
-Ah, ho visto Clark,
poco fa… sembrava molto agitato per qualcosa…-, disse Lana, con una punta di
invidia celata dalla preoccupazione.
Lois le rivolse
un’occhiataccia e Lily alzò gli occhi al cielo, sentendo il temporale in
avvicinamento.
Quando Lana si fu
allontanata dal tavolo,Lily fece per
alzarsi.
-Io non ci voglio
restare qui… c’è Clark, avete sentito? Io non…-
-Zitta! Ormai sei qua e
rimani qua! Guarda com’è ridicola quella che canta, abbuffati di torta della
casa, insomma, fai quello che preferisci, ma cerca di non pensare ad altro! E
soprattutto: non muoverti di qua!-
Lily tirò su il
cappuccio e sprofondò nella poltroncina, rassegnata, mentre un ragazzo prendeva
il microfono per cantare qualcosa al karaoke. Una dedica d’amore per la sua
fidanzata.
-Che carini…-, disse
Chloe guardandoli, con ironia, pensando a quanto fosse ridicolo tutto ciò.
Ridicolo e puerile.
-Io invece trovo che se
un ragazzo ha il coraggio per riuscire a dimostrare i suoi sentimenti a quella
maniera davanti ad una sala piena di gente pronta a ridere di lui, beh… non può
che essere davvero innamorato della sua ragazza!-
Chloe guardò Lois con
un punto interrogativo al posto della faccia, meravigliandosi sempre di più ad
ogni parola della cugina.
-Se un ragazzo facesse
una cosa del genere per me, penso che potrei anche innamorarmi davvero-,
continuò guardando Lily, -purtroppo trovare al giorno d’oggi qualcuno disposto
a dedicarti “The greatest love ofall” in un bar di provincia come questo è pressoché
impossibile…-
Fu allora che a Chloe si
accese la lampadina in testa. Vide Lily sorridere alle parole di Lois, non
capendo se stesse scherzando oppure no: a Lily piaceva, Lois,
era una donna forte, e la stimava per questo, perché lei non era capace di
esserlo.
Lois si alzò
dirigendosi verso il bar e la cugina la seguì, lasciando Lily da sola al
tavolino, di spalle al palco del karaoke. Chloe la vide fare un cenno di ok
verso la parte opposta del bancone, si voltò e vide Clark che, a conferma di
quello che aveva intuito e non voleva fosse vero, si muoveva verso il palco,
mentre sfumavano le ultime note della canzone d’amore cantata dal ragazzo preso
ad esempio da Lois.
-Dimmi che Clark Kent
non sta per fare quello che temo stia per fare!-, fermò Lois prendendola per un
braccio.
-Lois! Cosa hai detto
di fare, a Clark?-
-Stai calma, Chloe!
Pensi che Clark sia uno che segue ciecamente i consigli degli altri senza
ponderarli bene? Io gli ho solo dato una spinta… il volo lo farà di sua iniziativa…-
-Ma ti rendi conto che
uno come Clark può restare traumatizzato a vita da quello che lo hai mandato a
fare? Sciogliamo i leoni e facciamo entrare gli agnelli, eh, Lois? E poi, tutte
quelle frasi di circostanza a Lily… ma perché non ti impicci dei fattacci tuoi
e lasci che loro due se la vedano da sé e vivano quello che c’è tra di loro
senza che sia tu a muovere i fili?-
-Ora calmati, Chloe! Te
lo ripeto: se ho dato a Clark questo consiglio è perché penso che una dimostrazione
pubblica di quello che prova davvero non possa fargli che bene. Deve togliersi
di dosso l’insegna lampeggiante di ex fidanzato sfigato della reginetta della
scuola e mettere su quella di uomo capace di vivere la sua vita, di avere le
sue storie, indipendentemente da quello che Lana Lang
fa o pensa…-
Chloe, espirò e si
lasciò cadere su uno sgabello davanti al bancone: povero Clark… però quello che
Lois diceva aveva un senso… non sapeva più che pensare.
-Che ci fa Clark in
piedi nel mezzo al palco?-, chiese Lana, tornando a portare altre ordinazioni.
-Dedica una canzone
d’amore alla sua ragazza-, rispose Lois soddisfatta e velatamente sadica, ma
sentì come una spina che le bucava qualcosa dentro, appena percettibile, come
se, graffiando, si fosse a sua volta graffiata.
-Ah…-, Lana rientrò
nella stanza interna al bar, senza dire altro e senza farsi vedere in volto.
Chloe la seguì con lo sguardo e sospirò, poi guardò la cugina, scura in volto.
-Sempre opportuna nelle
tue affermazioni quando c’è il Karaoke, eh, Lois…-
Si voltò ancora verso
Clark, imbarazzatissimo e rigido, con il microfono in mano, e provò pena per
lui.
-Ricordi l’ultima volta
che io e te eravamo qua nella serata karaoke, Lois?-
-Sì… è passato tanto di
quel tempo…-
-Già… eppure Clark
ricorderà sempre quella serata, quello che successe tra Lana e Alicia…-
-C’è sempre Lana di
mezzo…-
-Lois…-
-Scusa, non lo dico
più-
-Sei davvero
impossibile…-
-Non lo dico più!-
-Per quello che conta…-
Quando Lily sentì le
prime note di “The greatest love of all”, si voltò pensando all’ironia della cosa: la aveva
appena citata Lois, quella canzone e ora… poi vide Clark, in mezzo al palco e
con il microfono in mano, e pensò di avere le traveggole. Allora le parole di
Lois erano ben studiate… il fatto che si era presentata a casa sua e l’aveva
convinta con quelle parole, era solo perché glielo aveva chiesto Clark… non era
capace di parlarle chiaro di persona e allora aveva mandato la sua amichetta ad
aiutarlo…
Non era possibile
quello che stava accadendo, non a lei, che era così timida e che non avrebbe
MAI voluto in vita sua trovarsi in una situazione del genere… non era possibile
che Clark le stesse facendo una cosa simile… non a lei… non Clark…
Si sentì presa in giro
e si alzò in piedi per andarsene, proprio mentre le note preludevano alla
melodia cantata.
Non voleva più sentire
parlare di Clark Kent: un idiota capace di ridicolizzarla e farla star male
sempre e comunque.
Clark rigirò il
microfono tra le mani sudate, lo avvicinò alla bocca come per testarne il peso,
fece per aprirla, ma sentì la lingua secca, come se dalla sua gola non
dovessero uscire suoni. Si guardò intorno cercandolo sguardo di Lily, ma
incrociò solo quello di Lois, che lo incitava con i pollici alzati, mentre
Chloe, vicino a lei, era scura in volto.
Cercò di sentire la
melodia, fissando lo schermo blu su cui stavano per apparire le parole… doveva
essere lui, proprio lui a cantare… maledizione! In che situazione si era
lasciato coinvolgere!
“Canta la canzone e poi
fai la dedica”, le aveva detto Lois. Accidenti a lei!
Poi sentì qualcosa di
stonato, una nota che… no, non andava… nulla andava come avrebbe dovuto andare…
non erano quelle le parole che avrebbe dovuto dire… non una dedica che
l’avrebbe fatta arrossire… non una canzone trita e banalmente sdolcinata… era
tutto sbagliato!
Si avvicinò velocemente
al dj facendo fermare la musica. Ecco cosa doveva fare… Solo in pochi si
accorsero di questo stop, Lois rimase in allerta, preoccupata che il suo amico
non facesse quello che gli aveva detto, Chloe sollevata per quell’interruzione
che allontanava Clark da una colossale brutta figura… Non ce lo vedeva proprio
Clark a cantare… era troppo… Clark Kent per poter essere intonato e sostenere
una prova simile!
Lily era quasi alla
porta, quando altre nuove note la pietrificarono sul posto, facendola voltare
lentamente, incredula. Di nuovo quella chitarra, di nuovo quegli archi così
malinconici e profondi.
Di nuovo “Iris”…
Come quella sera nell’auto,
la sera che le aveva fatto tutte quelle domande strane. La sera che era stata
così vicina a scoprire quello che Clark non riusciva ancora a dirle, quello che
loro due erano davvero, le risposte che cercava da sempre e che la legavano
così profondamente a lui.
Un brivido rotolò lungo
la sua pelle quando Clark iniziò a cantare, prima timido, poi, via via che la canzone andava avanti e si rendeva conto di
essere bravo, più sicurò di sé, tirando fuori una
voce che non immaginava potesse avere.
Era come se le stesse
ripetendo le stesse domande, dandole la risposta che voleva. Non un accenno a
lei, non una parola per metterla in mostra, davanti a tutti: nel locale
affollato c’erano solo Clark, Lily, e quella canzone che penetrava nei loro
cuori e nelle loro teste, come un filtro magico, come le parole non dette di un
incantesimo che li legava per l’eternità.
Solo Clark e Lily.
Quando anche l’ultima
nota della canzone svanì nell’aria, Clark sentì le mani che, sempre più forti,
battevano per lui, vincitore nell’arena, il loro divo, quasi come un idolo dei teenagers, come se la sua voce aliena avesse stregato i
presenti nella sala.
Chloe e Lois,
incredule, applaudivano stando in piedi, urlandogli “Bravo!”, “Vai così, Smallville!”, rimanendo vicine ad un lato del piccolo bar.
Clark scese dal palco,
lasciando il microfono al dj, mentre le note di un’altra melodia iniziavano a
suonare, e si guardò intorno, come se stesse vivendo al rallentatore quegli
attimi.
Si diresse verso il
gruppo di tavolini sotto alle scale e solo allora la vide. Sapeva che era lì,
ma non l’aveva ancora trovata.
Lily era rimasta
immobile, in piedi, con il cuore fermo e le lacrime sospese a metà, sul bordo dei
suoi occhi viola. Era l’unica che non stava applaudendo e fu verso di lei che
si diresse Clark, mentre già nessuno più badava a lui.
Si avvicinò lentamente,
naufragandoin quello sguardo che sapeva
di mare e di cieli lontani. Di casa…(3)[iii]
Lei aveva ancora il
cappuccio della felpa tirato su: Clark, delicatamente, le scoprì la testa,
lasciandolo cadere sulle sue spalle, come se fosse il velo di una sposa e le
prese una mano, che pendeva fredda al suo fianco.
Di nuovo quel brivido
divenuto ormai così familiare saettò tra loro, entrando nelle loro vene e fino
al profondo del cuore, risvegliandolo dall’incubo di quella serata.
Non dissero una sola
parola e quando lui la baciò sulla bocca, senza attendere di essere fuori, dove
solo la luna li avrebbe spiati, sentirono un peso che scivolava via dalle loro
anime. Si erano di nuovo ritrovati e quella volta era per sempre.
Lily appoggiò la testa
sul petto di Clark, sentendo che il suo cuore batteva forte. Rimasero così,
abbracciati, mentre una lenta canzone d’amore li avvolgeva con le sue note
morbide e calde.
Loro due soli, la
musica e nient’altro attorno a loro.
-Come amica dovrei
essere molto arrabbiata con te per l’incoscienza con cui hai mandato Clark al
patibolo-, disse Chloe assestando una debole gomitata sul braccio di Lois, -ma come cugina non posso che essere orgogliosa di
quello che hai fatto… orgogliosa e stupefatta!-
-Te l’avevo detto di
fidarti di me… Clark deve essere davvero cotto, per essersi prestato a questo
mio esperimento…-
-Esperimento?-
-Beh, sì… non crederai
sul serio che realmente io fossi convinta della buona riuscita di questo
spettacolino, vero?-
Chloe sgranò gli occhi.
-Evidentemente hai
ragione quando dici che Clark ha delle doti nascoste… se fallirà come
agricoltore e padre di famiglia potrà sempre entrare nel business della musica,
non trovi?-, disse Lois sedendosi e buttando giù l’ultimo sorso di caffè,
sognando che fosse birra.
-Come ti senti, ora?-,
le chiese con aria strana Chloe.
Lois la guardò alzando
le sopracciglia, non capendo il senso della sua domanda. Poi rispose.
-Leggera…-,
non sapeva il perché, ma si sentiva davvero così.
Leggera e un po’ malinconica…, sospirò senza accorgersene.
-Lois…-
-Sì?-
-Io e te siamo cugine,
ma è come se fossimo sorelle, non è vero?-
Lois le sorrise,
annuendo. Mostrava atteggiamenti più dolci, negli ultimi giorni, come se fosse…
-Lois, non è che tu…
insomma…con Clark… non è che tu provi qualcosa per lui e ora…-
-Ma stai scherzando?-,
scattò Lois spalancando gli occhi e riprendendo il suo piglio deciso, -Prima
che mi innamori di Clark Kent è possibile che perda la testa per… ma che ne so…
per un personaggio dei fumetti! Ecco! O per un alieno che vola!-
Chloe le sorrise, e un
velo di tristezza offuscò i suoi occhi azzurri, senza un perché.
Nella stanza dietro al
bar, in piedi con le mani appoggiate al tavolo di metallo, per sorreggersi,
Lana si sforzava di non piangere: fissava le sue nocche, bianche per la stretta
sulla superficie fredda e cercava di pensare ad altro. DOVEVA pensare ad altro.
Inspirò profondamente,
come se l’aria potesse spazzare via dalla sua mente l’immagine di Clark e
quella ragazza che ballavano.
Noi non lo abbiamo mai fatto… pensò e un groppo la prese alla gola.
Non doveva piangere.
Quel pomeriggio Clark era stato chiaro con lei, così come lo era stato con la
sua lettera. Mi rimarrà la sua amicizia, il suo affetto…
chiuse per un attimo gli occhi, e una piccola lacrima scivolò sulla sua
guancia, seguita da altre, in un pianto silenzioso.
Forse l’ultimo, per
lui. Doveva andare avanti, Clark aveva ragione.
Sentì il suo cellulare
vibrare, nella tasca del grembiule e lo afferrò, tra le lacrime. Era Jason.
Piegò la testa
all’indietro e ricacciò un singhiozzo, deglutendo. Si asciugò le lacrime con il
dorso della mano e rispose.
Clark e Lily uscirono
dal Talon tenendosi per mano e camminarono lentamente fino al parco dove una
volta li aveva accompagnati Chloe.
-Ti ricordi?-, chiese
lui con voce dolce, guardandola.
-Sì… come potrei
dimenticarmelo…-
-L’hai più fatto?-
-Cosa?-
-Hai più… volato?-
Gli sorrise e si
strinse di più a lui, scuotendo la testa.
-E’ successo solo con
te-, disse fermandosi vicino alle altalene che dondolavano malinconiche alla
luce del lampione.
-Allora… dovremmo
riprovare…-, disse Clark, e avvicinò il volto al suo, sfiorando con le labbra
la sua bocca rossa.
E
lentamente, mentre la luce della luna saliva offuscando quella della lampada
alle loro spalle, stretti in un bacio che sapeva di lacrime e miele, Clark e
Lily riuscirono a sollevarsi da terra, ancora una volta.
-Ma
sei tu o sono io?-, chiese lui, con il respiro appena affannato, gli occhi
lucidi e la voce più profonda del solito.
-Siamo
noi, insieme…-, disse lei, senza conoscere la vera risposta. Poi abbassò lo
sguardo e provò una rapida vertigine. Si aggrappò a lui e, insieme, tornarono
delicatamente giù.
-Ti
amo-, le disse Clark, e aveva gli occhi limpidi, sinceri.
-Anch’io… ti amo…
non immagini neanche quanto…-, rispose lei, e si strinse più forte a lui,
affondando il volto nel suo petto e respirando il suo profumo.
Un
soffio più forte di vento fece oscillare rumorosamente l’altalena.
Lily
si allontanò appena. C’era una cosa che l’aveva colpita particolarmente nel
comportamento di Clark, quella sera, ed era stata Lois
a fargliela comprendere: Clark non si era vergognato di mostrarsi con lei, con
“la sua ragazza” ed era stata una sensazione magnifica, che non aveva mai
provato nella sua vita. Voleva che fosse sempre così: tutto alla luce del sole,
voleva avere la conferma che davvero Clark l’amava, e finalmente l’aveva avuta.
Ma ancora non glielo aveva chiesto seriamente…
-Clark… ti ricordi quello che ti chiese quel tuo amico,
nelle grotte…?-, sentiva che stava arrossendo, perché
cercava una conferma come una bambina che vuole sentirsi dire che, anche se c’è
buio, le cose rimangono sempre al loro posto.
Clark
le sorrise, dolcemente e le prese la mano.
-Se
tu lo vuoi…io… credo di sì…-, era diventato tutto rosso. Lily lo guardò e non
riuscì a trattenere una piccola risata.
-Scusa,
Clark… che cos’era… quello
che hai detto?-
-Coè… volevo dire se…cioè… volevo chiederti se tu…-,
povero, povero Clark! Era imbarazzato più di quando era salito su quel
palcoscenico. Lily lo abbracciò, mettendogli le braccia attorno al collo e
tirandolo un po’ giù.
-Sì!
Sì, Clark… certo che sì! E non voglio più vergognarmi
di farlo sapere al mondo!-
-Neanche
io…-, sentì l’imbarazzo che defluiva e la baciò
ancora.
-Senti,
Clark…-, gli disse Lily dopo un po’, con aria
rilassata e furba, -Io… forse mi stavo divertendo, dentro al Talon… sei stato
davvero eccezionale!-
Clark
portò una mano tra i capelli, realizzando solo allora quello che aveva fatto.
-Ti
andrebbe di tornare là, da Lois e Chloe? La serata
non è ancora finita…-, gli sorrise ammiccando, come una bambina a cui non si
può dire di no.
Clark
piegò la testa, sorridendole complice e rassegnato, poi si avvicinò e le parlò
all’orecchio: -Sai… anche io mi stavo divertendo!-
Tornarono
velocemente al Talon e furono accolti dalle cugine, che li stavano cercando.
-Dove
vi eravate imboscati, piccioncini?-, disse Lois, facendoli arrossire e
ricevendo un’altra gomitata da Chloe.
-Vi
siete persi la nostra performance canora! Siamo state davvero brave!-
-In
realtà Lois ha pagato metà dei presenti per applaudirci, non datele retta!-,
cercò di sminuire Chloe.
-A
proposito, Smallville: congratulazioni! Te lo dicevo
io che almeno in qualcosa eri buono!-
Clark
le fece una mezza linguaccia, poi lui e Lily si sedettero al tavolo assieme
alle due ragazze.
Le
note magiche di una canzone degli U2 trascinarono tutta la sala a cantare
assieme al malcapitato che, poveretto, stava per storpiare una splendida
canzone.
-Perche’ non torni su, Smallville…
o devo chiamarti “ugola d’oro”?-, Lois tirò una
gomitata a Clark, che si strinse nelle spalle.
-Non
ci penso nemmeno… una volta è più che sufficiente!-
-E
dai! Dammi questa soddisfazione!-, Lois strattonò più
forte Clark, che si sbilanciò sulla sua sedia.
-Falla
contenta, Clark!-
-Anche
tu, Chloe? Nooo! Non ci torno lassù!-, spostò un po’
la sua sedia, per non essere a portata di gomito di Lois,
e si avvicinò a Lily, prendendole la mano, sotto al tavolo.
Lei
lo guardò arricciando un po’ il naso: si vergognava di farlo sopra al tavolo?
-Dai,
Clark… per favore, fallo per me…
torna a cantare-, gli sussurrò in un orecchio, sperando che non le dicesse di
no.
Clark
la guardò come un condannato al patibolo, e allora Lily parò a voce alta:
-Torna su, dai!-
Clark
espirò appena, poi scostò la sedia e si alzò in piedi, guardando le tre come se
lo avessero costretto a buttarsi da una torre.
-Clark! Clark! Clark!-, iniziò ad urlare Lois, battendo le mani, subito seguita da Chloe e da Lily.
Clark
si avvicinò al palco, parlottò con il dj e si prestò a questa seconda tortura,
per Lily.
Lois continuava a incitarlo, urlando il suo nome e battendo
le mani.
-Le
sarà tornata la mania di protagonismo, come al primo anno, quando voleva
diventare rappresentante degli studenti!-, disse Chloe, perplessa e divertita
dalla piega spensierata che avevano preso gli eventi.
-Davvero
Clark voleva fare una cosa del genere?-, chiesero Lois e Lily, sempre più
stupite.
-Già…
dovrei avere ancora qualche spilletta in soffitta:
“L’uomo del domani”, si faceva chiamare… che cosa ridicola!-, disse Chloe
ripensando all’avventura di tanto tempo prima.
Intanto
Clark stava per attaccare il suo pezzo, tra gli applausi dei pochi presenti
rimasti, una canzone allegra e difficile. SI sentiva felice, in quel momento,
sprizzante di energia e allegria…
Do I attract you?
Do I repulse you with my queasy smile?
Am I too dirty?
Am I too flirty?
Do I like what you like?
I could be wholesome
I could be loathsome
I guess I'm a little bit shy
Why don't you like me?
Why don't you like me without making me try?
I try to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!
I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like Gotta be green Gotta be mean Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Why don't you walk out the door!
How can I help it
How can I help it
How can I help what you think?
Hello my baby
Hello my baby
Putting my life on the brink
Why don't you like me
Why don't you like me
Why don't you like yourself?
Should I bend over?
Should I look older just to be put on your shelf?
I try to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!
I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like Gotta be green Gotta be mean Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!
Clark
allontanò per un istante il microfono dalle sue labbra e cercò Lily, tra la
folla che seguiva la sua canzone, battendo le mani e incitandolo, la guardò e
strizzò l’occhio, verso di lei, a lei, indicandola appena con il microfono,
mentre la musica proseguiva e le sorrise piegando le sue labbra in modo
provocante, guardandola con occhi ardenti.
Lily
lo vide e sorrise, sentendo il cuore balzarle il petto e il sangue affluire
alle sue guance, facendola arrossire.
Clark
si voltò, muovendo la testa e agitando i capelli… era
così bello… Lily dovette fare violenza su se stessa
per non salire sul piccolo palco allestito al centro della sala e baciarlo, lì,
davanti a tutti.
E non
fu la sola…
Say what you want to satisfy yourself
But you only want what everybody else says you should want
I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like Gotta be green Gotta be mean Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!
I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like Gotta be green Gotta be mean Gotta be everything more
Why don't you like me? Why don't youlike me? Walk out the door![iv](4)
Mentre
Clark proseguiva la sua canzone, con una voce così sexy da coinvolgere molte
delle ragazze presenti in sala, Lily si alzò dalla sua sedia, trascinando con
sé anche Lois e Chloe e insieme iniziarono a ballare e battere le mani, seguite
presto dalle altre ragazze. Fu un bellissimo momento al Talon, uno di quei
momenti che ogni gestore vorrebbe si ripetessero almeno una volta a settimana.
Lana,
invece, continuò a preparare caffè, dietro al bancone. Jason stava per
arrivare. Avrebbe ballato con lui. Lanciò un’occhiata dolce e amara a Clark, che
pareva più solare del solito, e vuotò il filtro della caffettiera dentro al
sacco dei rifiuti, mentre tutti applaudivano la fine dell’esibizione del suo
caro, vecchio fidanzato di un tempo passato.
Si
versò una tazza di caffè, e la alzò, rivolta verso Clark: -Alla vostra salute!-, disse piano, senza che
nessuno si accorgesse di lei e decise che avrebbe sorriso e voltato pagina.
Lois,
Chloe, Clark e Lily lasciarono il locale molto tardi, andandosene su tre auto
diverse.
Lois
proseguì dritta per la fattoria, Clark accompagnò Lily a casa e Chloe, che
partì per ultima, aspettò che gli altri se ne fossero andati, spense il motore
e rientrò nel Talon.
Voleva
parlare con Lana. Era una sua amica e non voleva che stesse male. Aveva visto
che Jason, arrivato poco prima, l’aveva salutata ed era subito andato via, e
sapeva che era di nuovo sola.
Clark,
invece, fermò l’auto come al solito davanti al giardino di Lily e le aprì lo
sportello con fare cavalleresco perché scendesse dal suo pick-up.
-E’
vero che stavi male, oggi pomeriggio…? Me lo ha detto Lois…-
-Lois ha la lingua lunga, ma mi sa che stavolta devo
ringraziare solo lei, se ho trovato il coraggio di fare quello che ho fatto…-
-Lasciamo
perdere il passato… e pensiamo solo al domani-, gli diede un bacio sul petto,
attraverso i vestiti, e si allontanò sorridendo.
-Lily…-, la fermò lui, -Lily, lo
sai che ti amo… Non scappare più da me, ti prego…-
Lily
sospirò.
-No,
Clark. Rimarrò per sempre accanto a te…-
Si
baciarono ancora e fu difficile darsi la buonanotte. Poi Lily chiuse la porta e
la luce si accese dentro casa.
Clark
risalì sull’auto e fece inversione per tornare sulla sua strada.
***
-E’
lei, la ragazza, signor Luthor… sembra una ragazza come le altre, ma Greedy dice che ha dei poteri fuori dal normale… il fatto
che sia in stretti rapporti con Clark Kent non fa che confermare le parole di Greedy-
-Faccia
silenzio, Jamison. Le ho già detto che Clark Kent è
un ragazzo normalissimo. Ora deve solo concentrarsi su di lei. Ho bisogno di avere
delle prove lampanti delle sue potenzialità-
-Certo
signor Luthor. E con Clark Kent come dobbiamo comportarci?-
-Lasciatelo
in pace. Ah… e controllate che mio padre non metta le sue mani sulla Leibniz prima di noi, siamo d’accordo?-
-Certo Lex… ma… non è proprio la limousine di suo padre,
quella che sta partendo laggiù? Pare che stia… sta andando dietro all’auto di
Kent!-
-Maledizione!-
-Deve
aver sentito la nostra telefonata, Lex… gliel’avevo detto che non era
prudente…-
-Silenzio!-
-Autista,
segua quell’auto a fari spenti! Maledizione…-
***
[i]
(1) Si direbbe Vasco… in realtà pensavo più ad Elisa
e alla sua splendida canzone “una poesia anche per te”… insomma, lo spirito è
quello, ma alla fine il titolo è uscito così! :-P
[iii]
(3) … chiaramente… grazie Giacomino
(Leopardi)!
[iv]
(4) La canzone Grace Kelly, di Mika,
è stata scritta solo due o tre anni dopo il momento in cui si svolgono i fatti
narrati, ma dalla prima volta che l’ho sentita, mi sono sempre immaginata “il
nostro Clark”, cantarla, forse perché la voce mi ricorda un po’ quella del
doppiatore italiano, forse perché semplicemente sono suonata io… dovevo PER FORZA trovare un momento in cui Clark
rendeva note le sue virtù canore e, spensieratamente, la cantava per le sue
amiche.
Capitolo 17 *** Capitolo 16 - Cassandra e la Chimera ***
Capitolo 16 – Cassandra
e la Chimera
Anche se teneva i fari
spenti, Clark notò subito l’auto che lo seguiva fin da quando aveva svoltato l’angolo
della strada dove abitava Lily. Accelerò e lasciò un paio di curve di distanza
tra lui e la vettura scura di cui ancora non era riuscito a capire il modello.
Poi uscì rapidamente e si mise in mezzo di strada, agitando le braccia affinché
chi lo seguiva lo vedesse e si fermasse.
Era una Limousine nera,
riconobbe subito a chi apparteneva.
Si avvicinò al
finestrino che si stava abbassando.
-Signor Luthor… perché mi sta seguendo?-
Lionel lo guardò con
aria grave. -Sali su, Clark-
Proseguirono in
silenzio fino ad uno spiazzo dove l’autista spense il motore.
Lionel oscurò il
divisorio tra loro e la cabina di guida e offrì a Clark un bicchiere, che lui
rifiutò.
Cosa diavolo poteva
volere a quel modo Lionel Luthor da lui?
A Clark tornò solo
allora in mente il fatto che era accaduto poco dopo che Lily era arrivata a Smallville, quando quell’uomo era stato visto davanti a casa
sua a parlare con lei; per un attimo provò l’istinto di prenderlo per il bavero
e di attaccarlo ad un muro facendo in modo che capisse bene quello che voleva
dirgli: di uscire una volta per tutte dalla sua vita e da quella delle persone
che gli stavano vicino.
-Che cosa ci faceva
quella volta davanti alla casa della mia amica… e ora
perché era lì? Cosa vuole da lei… e da me?-
-Ora calmati e
ascoltami-, rispose Lionel senza battere ciglio, rifletté un attimo e soppesò
le parole giuste da dire a Clark in quel momento.
-La tua amica Lilyanne non è al sicuro, Clark, e neanche tu lo sei.
Purtroppo temo che l’interesse ben presto possa scavalcare l’amicizia, se di
amicizia si può parlare…-
-Non capisco… cosa sta cercando di dirmi?-, Clark era confuso,
non voleva cadere nell’ennesima rete tesa da quell’uomo: troppe volte in
passato si era mostrato in veste d’agnello e poi si era rivelato un lupo
famelico. Era vero: negli ultimi tempi, dopo quello che era successo nel
carcere, lo scambio delle loro identità, Lionel pareva essere cambiato, ma
Clark non voleva fidarsi di lui, non in quel momento e con quei presupposti
spionistici.
-Ci ho messo molto
tempo per cercare di fare chiarezza nei fatti occorsi negli ultimi mesi… la mia guarigione, la presenza di alcune persone che
non mi piace siano arrivate a Smallville… ma quello
che ti posso garantire è che qualunque storia poco chiara, mi porta sempre alla
stessa conclusione, e cioè che, come che vadano le cose, tu e quella ragazza
siete in pericolo-
Clark indietreggiò appena
sul divanetto:- Sta solo cercando di spaventarmi, ma non riuscirà nel suo
scopo, signor Luthor…-
-Non ho alcuno scopo, figliolo…-
-Non mi chiami
“figliolo”, per favore…-
Un’occhiataccia e
riprese: - Non ho alcuno scopo se non quello di far sì che tu possa metterti al
sicuro da…-
-Da?... Chi?-
-Lex-
Clark portò la testa
all’indietro, con una risata sarcastica.
-Ma certo! Ancora una
volta mi tirate in ballo nella vostra sfida! Non riuscirà a mettermi contro Lex, mi dispiace. Lo conosco e so che lui non…-
-No, Clark. Tu non
conosci affatto mio figlio. Non farti trarre in inganno dall’atto magnanimo che
ha avuto riscattando la vostra fattoria, o dando protezione alla tua amica
Chloe. Tu non sai di cosa è capace…-
-E lei invece lo
conosce così bene? Se non sbaglio è stato proprio Lex
che è riuscito a farla finire al fresco! Come dite sempre voi Luthor… conosci il tuo nemico per anticipare le sue mosse… non mi pare che lei sia stato così svelto da
anticiparlo!-
-So come agisce Lex: sono io il suo modello, io sono stato la sua scuola di
vita e so che fino a che non avrà ottenuto ciò che vuole non sposterà il suo
mirino da voi due-
-E perché Lex dovrebbe avercela con me e Lilyanne…?
Sentiamo!-
Lionel prese un altro
sorso e fece schioccare la lingua, come per gustare appieno il gusto del suo
drink, poi si accomodò meglio sul divanetto in pelle nera, girandosi maggiormente
verso Clark.
-Come ti ho accennato,
sono diversi i motivi che vi mettono al centro delle mire di Lex, e non solo delle sue, ma questo è un altro discorso… Per prima cosa Lex ha
ripreso da tempo gli esperimenti del “livello 3”. Ora lo chiama “livello 3.31”
e non cerca più di potenziare con i meteoriti le pannocchie e gli altri semi
per farli crescere più forti, ma è passato alla sperimentazione umana. In
secondo luogo Lex è convinto che se entrerà in
possesso di tre antichi manufatti, la cui fama gli è arrivata sotto forma di
leggenda, ma alla quale lui ha ciecamente creduto, avrà nelle sue mani un
potere pressoché infinito, e terzo, quando ciò avverrà -ma temo che inizierà a
muoversi anche prima su questa strada- Lex potrà
porre le domande giuste alle persone sbagliate evincere, come ho già fatto io, e tu lo sai
bene, la reticenza di VirgilSwann
nel dirgli tutto quello che sa sulle grotte di Cowichan
e dei graffiti in essa nascoste-
Fece una pausa,
guardando Clark dritto negli occhi.
-Ora, rispondi a questa
semplice domanda: quanto credi che ci metterà, Lex, a
capire che la tessera mancante di questo mosaico, che non si rende neanche
conto di stare costruendo, sei tu, Clark? Tu e la tua nuova amica…-
Clark deglutì: come
faceva Lionel Luthor a conosceretutte quelle cose su di lui, ad aver
collegato i puntini che formavano un disegno ben preciso, e quel disegno era il
suo ritratto? Quando era giunto a conoscenza del legame che c’era tra lui, le
pietre e le grotte? E soprattutto: cos’altro sapeva sul suo conto? E come mai
conosceva Lilyanne? Chi gli aveva parlato di lei,
come li aveva collegati? Sapeva forse dei loro poteri, li aveva visti? E il
Dottor Swann, cosa gli aveva rivelato?
Cercò di aggrapparsi a
qualcosa che confutasse queste sue teorie. Le sue mani, strette a pugno, erano
madide di sudore freddo, lo stesso che sentiva scivolare lentamente giù per la
schiena.
-Cosa avremmo a che
fare, io e Lily, con gli esperimenti del “livello 3.31”? Non vede che le sue
teorie sono infondate?-
Lionel sorseggiò il suo
scotch, guardandolo e sorridendogli, come fa un professore sadico vedendo che
l’esaminando non arriva capire la soluzione del problema.
-Non ti sei mai
domandato che fine abbiano fatto tutti quei… soggetti
che erano stati esposti ai frammenti di meteorite e che avevano sviluppato
particolarità così bizzarre? Eppure, bene o male, ti sei sempre trovato
coinvolto in ognuna di quelle brutte faccende… Robert
Greedy, per esempio, credi che sia ancora al Belle Reve?-
Lionel stava iniziando
ad esagerare…
-Certo che è al Belle Reve! Lui è stato…-
-No, Clark! Greedy è stato trasferito dieci giorni fa in una delle basi
segrete di Lex, da qualche parte qua nel Kansas. Ti
facevo più sveglio…-
Clark avvertì una
spiacevolissima sensazione: non c’era una cosa sola tra quelle che aveva dette Luthor che non lo mettesse in guardia.
-Cioè…
mi sta dicendo che Lex sta compiendo esperimenti su Greedy? E su tutti gli altri che sono stati alterati dalla kr… dalle meteoriti?-
Vide Lionel stringere
gli occhi a fessura, per un istante, mentre gli parlava.
-Io credo che Lex abbia puntato le sue attenzioni anche sulla tua
amichetta, Clark: ne sai nulla? Cosa può aver interessato così tanto mio figlio
in lei?-
-E lei che cosa voleva
da lei? Eh, signor Luthor? Perché non la lascia in
pace?-
Lionel posò il
bicchiere sul tavolino di radica e si voltò ancora verso di lui: la sua
espressione tradiva una preoccupazione eccessiva, per una persona che voleva
soltanto incastrare gli altri, suo figli per primo.
-La mia fama mi
precede, Clark, e la fama di un ricco uomo d’affari pronto ad usare mezzucci e
ricatti per ottenere la verità è difficile da scrollarsi di dosso. Quando ho
parlato con Lilyanne ho pensato di non deludere le
sue aspettative e di mostrarmi proprio così, come immagino il suo tutore mi
avesse descritto nelle sue raccomandazioni: non conoscevo quella ragazza e
credevo che intimidirla fosse la via più rapida per ottenere le risposte che
cercavo econvincerla a comportarsi in
una certa maniera, per il suo bene, si intende. Purtroppo la Leibniz non si è comportata come speravo e allora ho dovuto
cercare di essere ancora più convincente con lei, sempre cercando di capire
quale fosse la sua… indole. In breve, Clark, da
quando ho saputo di Lilyanne ho subito voluto
conoscerla. Quando poi il quadro su di lei mi è apparso più chiaro, non ho
potutofare a meno di indagare più a
fondo ed è così che sono venuto a sapere che anche Lex
stava raccogliendo informazioni su di lei, e questo poteva significare solo guai… E’ per questo che le ho parlato più volte… ma poi sei entrato in scena tu, con tutti i tuoi
misteri, e questo non ha fatto altro che convincermi di quanto sia “speciale”
quella ragazza e di quanto possa esserne interessato Lex…-
Clark scosse
rapidamente la testa.
-Ha parlato per minuti
e non mi ha detto una sola ragione valida per giustificare il suo atteggiamento
nei confronti di Lilyanne! Io non mi fido di lei, non
mi fiderò mai di una persona che ha cercato di ammazzare una ragazza come Chloe
Sullivan e di avvelenare il proprio figlio! Non ho
più niente da dirle, signor Luthor…-, disse cercando
di non urlare ed uscì dall’auto.
La notte silenziosa
odorava dell’umido delle campagne che risaliva in volute dense e cariche di
vapore, conferendo alla strada un’aria sinistra.
Alta nel cielo, la luna
illuminava di una fredda luce biancastra i rami degli alberi vicino alla
limousine. Clark inspirò profondamente, come per ripulire il suo cervello dalle
parole venefiche di Lionel Luthor, poi si voltò, e
tornò lentamente verso il suo pick-up.
Ancora una volta,
quell’uomo aveva passato il segno, ma aveva dichiarato apertamente di essere
lui, quello da cui guardarsi le spalle, lui e i suoi discorsi ingarbugliati e
subdoli. Se solo si fosse provato ad avvicinarsi ancora a Lily…
Salì in auto e mise in
moto e lungo la strada di casa, ripensò a quello che gli aveva detto Lionel.
Le pietre, le grotte,
lui e Lily: sì, era vero, erano tutti collegati tra loro e se quegli
ingredienti si fossero uniti, la miscela che ne sarebbe potuta venire fuori, e
che avrebbe visto lui e Lily protagonisti del passato e del futuro della storia
dell’intero pianeta, avrebbe potuto essere così esplosiva da non essere capace
di sostenerla. Non da solo, almeno.
Ma Lionel era sempre
stato alla ricerca della verità su di lui: si guardava le spalle da quando sua
madre aveva ritrovato i files che riportavano il suo
nome nella cassaforte di Lionel. Insinuare quelle cose che aveva detto, mettere
in mezzo Lex e Lily non poteva essere che un altro
dei suoi piani per convincere Clark a confidarsi con lui e rivelargli il suo
segreto, trovandosi inerme tra i suoi artigli affilati da anni di estorsioni e
sotterfugi.
Clark era accecato dal
rancore verso quell’uomo: aveva fatto paura a Lily solo per ottenere
informazioni su di lui. Aveva ragione Lex: la
redenzione di suo padre era più falsa di una stampa della Gioconda venduta a
Montmartre, era solo l’ennesima prova di recitazione di quel farabutto che
aveva mandato a morte i suoi stessi genitori e aveva sottoposto il suo stesso
figlio ad un elettroshock, perché dimenticasse la sporca verità su di lui.
Mentre entrava con
l’auto nella proprietà della fattoria promise a se stesso che avrebbe protetto Lilyanne da Lionel Luthor e che
si sarebbe guardato dal prestare attenzione una volta ancora alle sue nenie da
incantatore di serpenti.
Entrò in casa
lasciandosi cadere sul divano: voleva solo ripensare alla serata passata con
Lily, la sua Lily… ora che avevano chiarito non
voleva più separarsi da lei: avrebbero capito insieme se loro due erano davvero
uguali e, insieme, avrebbero deciso come vivere il loro futuro.
E che Lionel Luthor bollisse nel suo brodo di menzogne e falsità! Non
sarebbe più stato la pedina da muovere nella partita tra lui e Lex.
Prima di tramontare
dietro le colline, l’ultimo raggio di luna lo illuminò beffardo, osservandolo
mentre il sonno se lo portava via: se avesse potuto parlare, lo avrebbe messo
in guardia da giudizi errati. L’unica cosa che fece, invece, fu incorniciare
d’argento il suo volto disteso, già rapito da un dolce sogno dove Lilyanne era la sua principessa e lui il valoroso principe
dall’armatura splendente e il mantello rosso, svolazzante nel vento.
***
Lex
aveva seguito a debita distanza l’auto nera di suo padre e, da lontano, non
visto, aveva assistito al dialogo tra Lionel e Clark: dalla faccia che aveva
quest’ultimo uscendo dalla limousine, aveva dedotto che, qualsiasi cosa gli
fosse stata detta, non era stata creduta.
Ci avrebbe pensato lui,
da amico, ad ottenere quello che voleva…
Le sue labbra si erano
increspate in un ghigno malefico, aveva fatto un cenno all’autista e,
ripartendo, aveva alzato nuovamente il finestrino, per comporre ancora il
numero del dottor Jamison: era ora di raccogliere
informazioni più dettagliate su LilyanneLeibniz e sulla sua origine e di preparare i test adeguati
a quelle che erano le sue capacità, se realmente ne aveva.
Una cosa soltanto lo
rendeva scettico sulla storia raccontata da Greedy:
era evidente che quella ragazza e Clark stavano insieme, come era possibile che
un babbeo come Clark Kent, che si era lasciato
sfuggire una donna come Lana Lang, si fosse messo
insieme a quella che poteva essere la ragazza più speciale sulla terra?
Lui non se la sarebbe
fatta scappare tanto facilmente…
Alzando le
sopracciglia, avviò la chiamata e attese il tono di libero.
***
Fare tardi la sera
prima di una giornata di scuola impegnativa come il martedì, era una
sciocchezza della quale, la mattina successiva, Clark, Chloe e Lily si
pentirono.
La sveglia era stata
dura per tutti e tre e tornare alla realtà dopo una nottata fatta di sogni più
o meno piacevoli non era stata una cosa rapida.
Dal canto suo Lois, nel suo primo giorno ufficiale da disoccupata, era
rimasta a dormire, noncurante dei rumori soffocati che Clark aveva fatto
entrando in camera per prendere i vestiti che si era dimenticato la sera prima.
Clark l’aveva guardata
distesa nel suo profondo stato catatonico e aveva per un attimo sognato una
vita diversa, se anche i suoi genitori avessero avuto un sonno pesante come
quello di Lois.
Aveva deciso di non
correre per andare a scuola e si era affrettato per non perdere il pulmino: era
meglio evitare per un po’ ogni manifestazione pubblica dei suoi poteri, non
voleva che Lionel Luthor lo avesse fatto seguire,
dopo il loro incontro della sera prima.
Arrivò a scuola
puntuale e seguì le lezioni contando i minuti che mancavano al termine della
giornata. Quando furono finite, salutò velocemente Chloe e Pete,
passando a prendere il suo lavoro dal Torch. Pete cercò di bloccarlo per chiedere lumi sulla performance
canora della sera prima, che si era clamorosamente perso, ma Clark non vedeva
l’ora di liberarsi per parlare con Lily, così delegò i racconti a Chloe, che lo
guardò contrariata e anche un po’ mortificata per la rapida sparizione.
Aveva bisogno di
parlargli di Lana, di quello che si erano dette la sera prima, quando era
tornata dentro al Talon per vedere come stava, ma non
era certa che quello fosse il momento migliore della sua vita per guardarsi
ancora alle spalle, quando per la prima volta aveva trovato un motivo ottimo
per andare avanti e dimenticare tutto quello che aveva sofferto nel passato.
Sospirò e si disse che, forse, anche per lei era giunta l’ora di guardare
avanti.
Si voltò verso Pete e, prendendolo sotto braccio come fanno due persone
anziane, si fece accompagnare al parcheggio.
Lily aspettava Clark al
cancello della scuola, come avevano deciso la sera prima, ingioiellata da un
tenero sorriso, appena imbarazzato.
-Finalmente…
pensavo che ti fossi addormentato in aula!-
-La tentazione c’è
stata, ma non volevo rimanere chiuso dentro la scuola e mancare l’appuntamento
con te-
-Avresti sempre potuto
fondere le serrature con il tuo sguardo per uscire e poi sigillare nuovamente tutto…-, gli disse piano, ammiccando complice ed
elettrizzata.
-…
oppure avresti potuto farlo te, guardando con la vista a raggi X nell’edificio
e trovandomi come il “bello addormentato” accanto al tuo amico scheletro!-
Lily provò un brivido
alle sue parole: doveva chiarire al più presto alcune cose con Clark. Lo prese
per un polso e lo trascinò lontano dall’ingresso del liceo. Clark vide il suo
sguardo farsi agitato e la seguì senza fiatare, aspettando che fosse lei a
parlare.
-Clark,
c’è qualcosa che devi sapere…-
Decisero di andare a
parlare da qualche parte più tranquilla e, quando furono un po’ lontani dagli
altri studenti, si presero per mano, arrossendo appena entrambi e ridacchiando
come due fidanzatini di dodici anni. Era così facile dimenticare i problemi e i
dubbi, quando erano così vicini…
Passeggiarono mano
nella mano per diversi minuti, sentendo solo il vento leggero scompigliare i
loro capelli e il sole di maggio riscaldare i loro volti.
Si fermarono vicino ad
un laghetto, nel parco che divideva Smallville dalle
campagne limitrofe, dove c’era anche la fattoria di Clark. Tra le ninfee ancora
in boccio videro guizzare una piccola carpa dorata. Lily sorrise.
-Cos’è
che devo sapere…?-, le domandò Clark e la vide
abbassare lo sguardo, turbata, cercando le parole più adatte-
-Non sono stata sincera
con te, Clark…-
La guardò perplesso: -… che vuoi dire?-
-Ecco, io… non è vero che riesco a vedere attraverso gli oggetti…-
-Ah…-,
non era deluso, ma questa rivelazione lo aveva lasciato un po’ spiazzato.
-Questo fa di me
qualcosa che non è più come tu vorresti?-, gli chiese con un filo di voce,
abbassando lo sguardo, sentendo una sottile vampata di angoscia salire come una
marea invisibile e aggredirla alle gambe, rendendole molli come il burro.
-Ma cosa dici?-, le
rispose Clark avvicinandosi a lei e prendendo il suo viso tra le mani, perché
lo sollevasse e lo guardasse negli occhi, -Ehi, Lilyanne…!
Dai…!-
-E’ che…
Clark, una volta per tutte vorrei fare chiarezza in quello che io so di te e tu
sai di me…insomma… vorrei
che scoprissimo le nostre carte, onestamente e capissimo insieme tutto… anche quella cosa che ci è successa ieri sera…-, un timido sorriso, a quel dolce ricordo, si fece
strada sulle sue labbra come un filo d’erba tra la neve.
Clark portò rapidamente
un occhio all’orologio e si guardò intorno, come per fiutare l’aria. Poi la
prese per mano.
-Andiamo, ti porto in
un posto dove potremo… dare spettacolo!-, le disse
tirandola a sé e dandole un bacetto sulla punta del naso.
Aveva usato la medicina
giusta per far tornare il sorriso sulle sue labbra.
-Dopo il tuo show di
ieri ci hai preso gusto?-, Lily si alzò sulle punte dei piedi e ricambiò il suo
bacio, -Dove andiamo?-
-Abbiamo un rifugio
anti-tempesta, vicino a casa. In realtà è… saltato in
aria qualche anno fa, ma mio padre ha ricostruito il soffitto e quindi… insomma, lì non ci vanno più i miei ed è
sicuramente più tranquillo del fienile-
-E’ saltato in aria? Accidenti…e… se andassimo a casa
mia?-, propose Lily.
Le parole di Lionel
tornarono alla mente di Clark di botto, mettendolo in guardia da qualcosa in
cui lui si rifiutava di credere.
-Meglio di no…seguimi-, le disse cercando
di nascondere il disagio, perché non era il momento di preoccuparla senza avere
la sicurezza che le informazioni che aveva fossero vere.
Passeggiarono vicini,
lasciando la strada, attraversando i campi. Dalla prima volta che si erano
trovati in una circostanza simile era passato tanto tempo: le pannocchie di
mais si erano ingrossate e le spighe arrivavano quasi oltre la testa di Lily,
che si sentiva isolata da Clark che, in alto, la guardava e ridacchiava,
facendola indispettire.
-Bello il mondo
dall’alto, eh? Ridi, ridi! E pensare che ieri sera stavamo volando…-,
disse lei sbuffando, poco prima di inciampare in una buca nel terreno.
Si sbilanciò e,
cercando di non cadere, fece qualche passo in avanti, lasciando la mano di
Clark per pararsi il volto con le braccia, perché le spighe non le sbattessero
in faccia.
Si guardò intono e non
lo vide più.
-Clark…?-,
non ebbe risposta.
-Clark?
Dove sei? Non ti vedo!-, ancora niente.
-Clark!
Smettila di fare lo stupido e vieni fuori!-, le spighe, ora, la sovrastavano di
almeno venti centimetri.
Se solo avesse potuto
vedere attraverso di esse…
Clark, che invece lo
stava facendo, la osservava sorridendo: era bella quando aveva
quell’espressione da bambina. Un attimo ancora e poi si sarebbe fatto vedere.
Lily strinse i denti,
arrabbiata: era stata brava nel salto in alto, anni prima, e allora avrebbe
saltato oltre le spighe per trovare la testa nera di Clark e concludere quel
giochetto che la stava innervosendo.
Si concentrò come
faceva un tempo per balzare, prese aria, sentì ogni muscolo del suo corpo
prepararsi e si dette la spinta: per un attimo le parve che la terra sotto di
lei la aiutasse e si plasmasse per spingerla più su…
chiuse gli occhi e percepì l’istante in cui si staccava dal suolo.
Quando li riaprì, un
attimo dopo, vide Clark che, con la bocca aperta, incredulo, la guardava dal
basso, lontanissimo, quasi un puntino in mezzo al verde del campo: era
altissima, sospesa nell’azzurro cielo del Kansas!
Si spaventò e -come la
sera prima- perse l’equilibrio da quella base immaginaria che sentiva sotto ai
piedi e cadde giù, sentendo il vento inghiottirla, mentre precipitava a grande
velocità.
Clark scattò nella sua
direzione, per prenderla al volo prima che cadesse facendosi male.
Lily lo vide sotto di
sé, con le braccia tese per afferrarla ed ebbe paura di schiacciarlo: riprese
il controllo del suo corpo, di ogni sua cellula e pensò intensamente che non
sarebbe caduta, che avrebbe evitato l’impatto che… si
fermò a pochi centimetri da lui, fluttuando nell’aria fresca, mentre il vento
le scompigliava i capelli e faceva gonfiare le sua gonna come una vela.
Rimasero in silenzio,
per un tempo lunghissimo, oppure breve come il battito del cuore, poi il volto
di Lily si illuminò in un sorriso incredulo e pieno di felicità: ce l’aveva
fatta! Stava volando! Ed era lei, solo lei a farlo…
era lei quella capace di volare.
Allungò appena una
mano, voleva muoversi, capire se quello che stava vivendo era vero. Era come
pervasa da una leggera carica elettrostatica che le faceva solleticare la
pelle, come se fosse stata una bollicina in una bottiglia di acqua gassata. Si
mosse verso est, prima piano, poi acquistando velocità. Si sentiva come un
uccello, come una fatina dei suoi libri di bambina: era come nuotare nel mare,
immergendosi e tornando su, ma non c’era acqua a bagnarle il viso, solo una
leggera brezza che la sfiorava delicatamente.
Clark la guardava senza
riuscire a credere che quello che stava vedendo fosse vero. Allungò una mano
verso di lei, per raggiungerla, ma i suoi piedi rimasero ben saldi al terreno.
Provò una momentanea fitta di dolore dentro di sé: era sempre stato il suo
sogno, volare, e sapeva che non sarebbe mai stato in grado di farlo. Poi le
sorrise, felice per lei, che sembrava di nuovo una bambina che gioca nel mare e
ride, ride…
Lily tornò verso di
lui, lasciandosi afferrare in un abbraccio: Clark la tenne stretta a sé,
sentendo il suo cuore che batteva all’impazzata per l’eccitazione. Voleva
trattenerla con sé, dirle che non scappasse più da lui, oppure che lo portasse
con sé, ma lasciò che fosse lei a parlare.
-E’ magnifico…-,
disse lei in un sussurrò, con le guance rosse dall’emozione, stringendosi al
suo collo.
Clark la baciò e la
scostò appena da sé: - Io questo non lo so fare…
questo mi rende qualcosa che non è più come tu vorresti?-, le disse, serio,
perché capisse.
Lily lo abbracciò
stretto e -con i piedi saldi a terra-, guardandolo nuovamente dal basso verso
l’alto, gli sorrise dolcemente.
-Tu sei tutto quello
che voglio…-, gli disse, -ce la farai anche tu, ne
sono sicura… dai, ora andiamo al tuo rifugio!-
Un paio di volte, quando
evitando le spighe le loro mani si staccavano, Clark attraverso le spighe
vedeva Lily che, pensando che lui non la vedesse, si sollevava appena da terra,
e si spostava per qualche metro volando, testando questa sua nuova,
sorprendente capacità, che aveva capito essere il punto debole di Clark.
-Ricordi ieri, quando
eravamo nel parco?-, gli domandò poco prima che arrivassero alla meta, -eravamo
sospesi in aria e io ho perso l’equilibrio… Sei stato
tu a sostenermi…quindi… ce
la puoi fare anche tu, Clark!-
Aveva ragione… questo allontanò quella sottile malinconia che lo aveva
rattristato durante il loro tragitto e predispose il suo animo ad un pomeriggio
di lezioni da dare e da imparare.
-Dunque…vediamo… tu hai detto di poter correre più veloce di
un treno, puoi vedere attraverso gli oggetti, hai la vista calorifica e una superforza… cos’altro?-, le chiese Lily, accomodandosi su
una cassa di legno abbandonata nel rifugio dove un tempo era nascosta la
navicella con cui Clark era arrivato sulla terra.
Clark alzò le spalle,
alzando gli occhi come per ricordare.
-Beh, posso… sentire a grandi distanze…-
-Cosa intendi? Che hai
un superudito?-, chiese Lily, perplessa.
-Sì…
se voglio, posso ascoltare cose che vengono dette molto lontane oppure…-
-Ma allora sei uno spione!-,
le disse lei, arruffandogli i capelli, prendendolo in giro.
Clark cercò di
difendersi dalle sue accuse e dalle sue mani che, veloci, avevano iniziato a
fargli il solletico, facendolo cadere disteso per terra, sotto il suo peso.
Lily si fermò e lo
guardò arrossendo, sentendo che lui la cingeva con un braccio tirandola a sé e
baciandola appassionatamente, come non pensava che avrebbe potuto fare: solo
quando era stato sotto l’effetto delle krypronite
rossa -ne aveva un ricordo confuso-, sapeva di essere stato così ardente. Lily
cercò di allontanarlo puntando le mani sul suo petto e ridendo appena.
-Non distraiamoci,
Clark!- gli disse con le labbra rosse e il volto accaldato.
Clark si tirò su,
passandosi una mano tra i capelli, per sistemarli. Lily soffiò impercettibilmente
nella sua direzione e il suo gesto fu vanificato.
-Dai…-
Lo guardò ancora. –No, non hai capito…-
Si allontanò fino all’altra
parte del rifugio e, di nuovo, soffiò appena: dietro a Clark si sollevò una
nuvola di polvere e ragnatele, mentre i suoi capelli venivano ancora
scompigliati come se fosse stato nel turbine di una tempesta.
-Ma che…?-
-Tu lo sai fare?-, gli
domandò Lily: ogni volta che svelava qualcosa di lei lo faceva diventando
timida, preoccupata che potesse essere qualcosa che lo spaventasse.
Clark provò a soffiare,
concentrandosi, ma non successe nulla di strano. Scosse la testa.
-Uhm…
uno ad uno… siamo pari, per ora-, le disse, cercando
di metterla sul ridere.
-Ma come è successo… voglio dire… quando te
ne sei accorta?-
-Mi venne un
raffreddore, una volta, qualche tempo fa. Non ero mai stata male prima di
allora, non avevo mai usato un fazzoletto per soffiarmi il naso o preso
medicine. Credo di aver avuto anche la febbre…-
-Davvero?-, chiese
Clark, incredulo, senza che il minimo dubbio sul fatto che avrebbero anche
potuto essere diversi, lui e Lily, lo sfiorasse.
-Già…
è una cosa bruttissima… ti cola tutto il naso e poi… era come avere una spugna nella testa…
una sensazione bruttissima. Ma sono sopravvissuta…-
Si guardarono un
istante riflettendo su quello che stavano dicendo e scoppiarono a ridere per
l’assurdità della loro situazione: Clark era felice di aver trovato qualcuno
che potesse davvero capirlo fino in fondo, che provasse le sue stesse
sensazioni e avesse le sue stesse, ridicole, paure. Quelle di essere come un
essere umano: vulnerabile. Eppure sognava di essere solo uno come gli altri da sempre… fino a che non era arrivata nella sua vita Lily.
Con lei ogni cosa acquistava un altro sapore…
Quando si furono calmati,
Lily si passò un dito sotto un occhio, per togliere la piccola lacrima che si
era formata per il troppo ridere.
-Ad un certo punto ho
starnutito, per la prima volta in vita mia… ed è
stato come se l’uragano Lilyanne fosse passato in
camera mia! Tutto, Clark, tutto quello che c’era negli armadi, sulla scrivania,
il letto, tutto era volato via, ed era ricaduto in ordine sparso sul pavimento… per fortuna avevo la finestra alle spalle,
altrimenti sarebbe volato tutto fuori di casa! Ci ho messo due giorni a
risistemare le mie cose! Dopodiché ho capito come mai si insegna ai bambini a
mettere la mano davanti alla bocca, quando starnutiscono…-
Risero ancora: no, Clark
non aveva mai starnutito e godeva di ottima salute! Poi le raccontò di come si
era accorto di possedere il super udito e Lily disse che avrebbe tanto voluto
averlo avuto anche lei, per sentire quello che gli altri dicevano di lei.
-…
che sei bellissima-
-Macché! Piuttosto che
sono una racchia, come diceva Robert Greedy…-
Un attimo di imbarazzo
calò tra loro: se quello che Lionel aveva detto a Clark era vero, Greedy sapeva troppe cose su di loro e le stava raccontando
a Lex…
-Dai, Clark… dimmi che stanno dicendo Chloe e Lois
in questo momento: so che sono insieme a cena al ristorante messicano, quello
dopo il Talon-
-Ma non posso ascoltare
le conversazioni degli altri, Lily!-, fu lui ad arruffarle i capelli, quella
volta e le spostò la frangia dietro alle orecchie, perché non le coprisse il
viso.
-Ok…
e poi?-
-Ancora? Non sono mica
un personaggio dei cartoni animati, Lily! Piuttosto lo sei tu…-,
le disse ridendo,e lei, di risposta, si sollevò da terra e volò fino a portarsi
orizzontalmente con il viso alla sua altezza.
-Scendi giù, Trilly!-
-Trilly?
E tu allora chi saresti? … Wendy?-, volò attorno a lui
ridendo, poi lo prese per mano e provò a vedere se potevano rimanere entrambi
sollevati.
-Ehi…
funziona!-, Clark era emozionato, come la sera prima. Lily lo abbracciò e
insieme si spostò fuori dal rifugio, mentre fuori il cielo iniziava ad
imbrunire, salendo in alto, sempre più su, baciandolo.
Clark spostò per un
istante lo sguardo verso terra e provò una tremenda vertigine, chiudendo gli
occhi ed aggrappandosi a lei, sbilanciandola.
-Attento!-
Tornarono giù e Clark
si buttò seduto per terra, con il cuore che batteva forte.
-Lily,
scusa… mai io…-
-Soffri di vertigini?
Oh, povero caro…perdonami…
non lo sapevo!-
Clark scosse le testa e
la tirò giù, seduta accanto a lui. Rimasero ad osservare Venere che saliva nel
cielo, mentre il sole, dalla parte opposta, sprofondava nel suo letto cremisi.
-Vieni, andiamo in casa…-, le disse Clark, rialzandosi e porgendole la mano
per fare altrettanto, -Resta ancora un po’ con me, ti prego…-
Clark annunciò ai suoi
che doveva studiare e che non avrebbe cenato e si ritirò nel fienile facendo sì
che i suoi non vedessero Lily.
Accese un paio di
candele e la raggiunse sul divano, distendendosi e poggiando la testa sulle sue
gambe.
-E’ straordinario
quello che ti è successo oggi…-, le disse, mentre lei
gli carezzava i capelli.
-Già…
è come se… tutte quelle volte che correvo o che
saltavo per vincere una gara, a scuola, ci fosse sempre stato qualcosa che mancava… era come se sentissi sempre che il mio corpo
rispondeva solo fino ad un certo limite a quello che gli ordinavo di fare… oggi ho abbattuto quel limite e per la prima volta ho
sentito ogni cellula delle mie gambe, della pelle, ogni frammento del mio corpo… è stata una cosa… non so
come descriverla…magnifica…-
-Lilytu… cosa ricordi di quando eri piccola…
quali sono i tuoi primi ricordi?-, le domandò Clark, sentendo che il suo cuore
accelerava appena, inoltrandosi su una strada pericolosa per il suo rapporto
con Lily.
-Io…-,
Lily scosse la testa, cercando di riportare alla memoria momenti così antichi
che li confondeva con qualcosa di immaginato.
-Ti sembrerò sciocca… il primo ricordo che ho è un abbraccio…
un abbraccio e una culla e tanta, tanta luce… non so
come spiegartelo… anche perché forse non è vero, me
lo sono immaginato soltanto, ho ricostruito qualche frammento della mia
infanzia confondendo la realtà con le storie che ci raccontavano da bambini…-, Clark la guardò. Interessato, molto interessato
a quello che le stava dicendo.
-So che era la mia
mamma, quella che mi stava abbracciando… me del resto… non lo so… c’era dolore,
sì, come se con l’abbraccio mi fosse arrivato nell’anima tanto dolore… non ricordo altro… e
dopo...-, si fermò, come se stesse riflettendo su qualcosa.
-Non ricordo altro dei
miei genitori, non ricordo il botto che me li portò via. I miei ricordi ripartono
da quando fui affidata ai miei genitori adottivi, ero molto piccola, ma lo
ricordo ancora e poi… quando mi successe
quell’incidente al museo con gli altri bambini…-
-Al museo…
Lily, ricordi cos’è che ti ha fatto stare male, quelle due volte che ti è susseso?-
-Una pietra, Clark. Ma
mio padre diceva che non era possibile che una pietra potesse far star male una
persona, per questo ha sempre cercato la causa dentro di me, invano,
studiandomi come se fossi qualcosa di mitologico… una
chimera: metà essere umano e metà mostro… Ma io lo so
che è stata una pietra, tutte e due le volte, ne sono certa-
La guardò, deglutendo:
stava avvicinandosi alla verità, ma non ci sarebbe riuscito, senza aprire di
nuovo vecchie ferite nel cuore della ragazza che amava.
-Ti ricordi che pietra
era?-, le chiese, senza aspettarsi una risposta esauriente.
-Un meteorite. Un
meteorite caduto sulla terra nel 1961, non so dove e non so da dove, ma so che
si tratta proprio di quello…-
Clark sentì il suo
cuore mancare un colpo. Si sollevò mettendosi a sedere e la guardò fissa,
tenendo una mano sulla sua spalla.
-Un meteorite…-,
sentiva il respiro corto, tanta era l’emozione che le parole di Lily gli
avevano suscitato.
-Lo so che può
sembrarti assurdo, Clark, ma ti dico che è così… e
non voglio assolutamente doverti convincere riprovando quell’esperienza! Mi
sono bastate quelle due volte… sentire il sangue
nelle vene che ribolle, come se fosse lava che cerca
di solidificarsi e che sale, sale sempre più verso il cuore…
e il respiro che si blocca, come se stessi per soffocare…
no, non voglio proprio che mi accada un’altra volta…-,
strinse le spalle, come se un brivido l’avesse percorsa da capo a piedi e
cercasse protezione, -Non ti auguro proprio di dover provare un dolore simile,
amore mio…-
La fissò, come
ipnotizzato dai suoi occhi viola.
-Ma io l’ho già
provato, Lily… so cosa significa…-,
Lily sgranò gli occhi, aprendo le labbra in un’espressione di stupore.
-Cosa…
cosa stai dicendo, Clark? Come puoi tu…-
Clark allungò la sua
mano verso il suo volto e spostò ancora la frangia che le era scivolata sugli
occhi, con dolcezza. L’altra mano era stretta nella sua.
-Siamo uguali, no? Nel
bene e nel male…-
***
-Io so quello che ho
visto con i miei occhi, non devo convincere nessuno di quello che dico!-
-Cerca di calmarti, Robert…-
-No, non mi calmo, dopo
quello che mi avete fatto! Voi non potete tenermi qui! Dovete lasciarmi!-
-E dove vorresti
andare, Robert? Le uniche porte che si aprirebbero per te sono quelle del Belle
Reve…-
-Almeno lì c’era qualcuno
che mi credeva…-
-Certo, Robert…-
-Sì, date ragione al
cretino di RoberGreedy!
Dico sul serio… non ero l’unico a sapere quelle cose
su Clark Kent…-
-E cosa si diceva su
Clark Kent, oltre a quello che ci hai già rivelato?-
-Dicevano che ha fatto
sbattere in quella topaia tantissime persone…
tantissimi mostri, come me!-
-Tu non sei un mostro,
Robert. Sei solo una persona che ha bisogno di aiuto e noi, qua, possiamo
dartelo. Di cosa hai paura, Robert-
-Io…
ho paura di lui… perché è invincibile! C’è solo un
modo, per fermarlo…-
-Un modo per fermare… chi, Robert?-
-Lui! Clark Kent! Si dice che una volta un ragazzo ce l’ha quasi fatta,
con un proiettile speciale… un proiettile fatto con
la roccia verde, la stessa che mi avete infilato nelle vene! Criminali!
Assassini! Lasciatemi libero! La pagherete…! Nooo! No, per pietà, la supplico…nooo, ancora quella puntura no…
la prego… la pr…-
-E’ andato…-
-Un proiettile di
meteorite, eh?-
-Gliel’avevo
detto che doveva ascoltare con le sue orecchie quello che va farneticando Greedy… credo che non sia più adatto per i nostri studi,
signor Luthore…-
-Greedy
è più utile di quanto non lo sia stato lei in tutti questi mesi, Jamison. Cerchi di capire se è vero, quello che ha appena
detto, e appena sa qualcosa, me lo riferisca sulla linea protetta. Ora devo
andare. Ho una cena con mio padre che non perderei per niente al mondo…-
Le note soffuse di un
pianoforte a coda Gaveau riempivano la sala principale del ristorante Four
Season di Metropolis, delicati profumi di cibi costosissimi si diffondevano tra
le pareti dalle tinte tenui, mischiandosi al profumo intenso delle fresie,
elegantemente disposte su ogni tavolo finemente imbandito.
Lionel Luthor si fece accompagnare fino alla saletta privata che la sua
famiglia aveva a sua completa disposizione ogni giorno dell’anno, lasciò il
cappotto e la sciarpa di seta al maitre e raggiunse il suo tavolo.
Clark Kent non gli aveva creduto. Maledizione a lui, testardo come suo
padre… Senza il suo appoggio, andare avanti nel suo progetto era impossibile…
come avrebbe potuto continuare a proteggerlo, quando le minacce si fossero
fatte reali? Clark continuava a fidarsi di Lex… imbecille… lui stesso, suo
padre, aveva perso la fiducia in quell’uomo che riusciva a volgere a suo favore
ogni situazione e a convertire in guadagno ogni informazione. Non aveva
ascoltato una sola parola, quel contadinello addormentato… eppure… lo sapeva,
ne era certo che fosse solo lui che doveva ringraziare per tutto quello che gli
era capitato di buono in quella vita buia… Doveva aiutarlo, costasse quel che
costasse, aiutarlo e farselo amico, prima che fosse Lex a sfruttarlo…
Avrebbe preferito andare alla mensa dei poveri che al Four
Season con Lex, quella sera, ma non poteva rifiutare una sfida: se fosse stato
necessario avrebbe scoperto tutte le sue carte e avrebbe messo Lex di fronte al
fatto compiuto che, nonostante i suoi sforzi, non avrebbe mai potuto fregare
suo padre…
Lex lo fissava con un sorriso a metà tra l’ironico e il vittorioso,
sfogliando pigramente la carta dei vini.
-Va bene anche per te un SauterneChateau de Fargues del ’71,
papà?-, chiese fingendo di essere interessato al suo parere.
-Se iniziamo con un Chateau de Fargues, Lex, significa che quello per cui mi hai fatto
venire qui stasera è davvero qualcosa di molto importante…-, doveva
assolutamente tenere testa al genio che aveva plasmato con i suoi stessi
insegnamenti in troppi anni di quel rapporto che non era mai stato possibile
chiamare ‘familiare’.
Lex alzò lo sguardo verso di lui, obliquamente, -… accompagnato da
ostriche della Normandia fresche di giornata…-
Lionel si sedette, facendo segno con la testa al cameriere che portasse
quello che suo figlio ordinava. Poi aspettò che gli venisse servito il vino e
che fossero soli nella saletta.
-Bene, Lex, abbiamo il nostro vino, siamo da soli, penso che adesso puoi
parlare a tuo padre di quel che ti turba, figliolo…-, ricambiò il suo sorriso
tagliente, alzando il calice verso di lui.
-Come hai avuto modo di ricordarmi l’altra sera, papà, sei un uomo
anziano e non intendo trattenerti alzato fino a tardi, quindi arriverò subito
al dunque. Sono qua per proporti di tornare a far parte della Luthor
Corporation come direttore generale delle sezioni di Metropolis e del resto del
Kansas. Io rimarrò a Smallville-, sorseggiò il sauterne, dolce e aromatico che scivolò nella sua gola lasciandogli
in bocca quel classico sapore dolciastro, il sapore che aveva la vittoria… -…
ah, ovviamente sarò sempre io il proprietario della Luthor Corp,
tu avrai solo mansioni amministrative e ogni tua decisione dovrà essere
approvata da me…-
Lionel non batté ciglio, cogliendo al volo l’intento di Lex. Lo imitò
assaggiando il vino e aspettò che il cameriere in livrea servisse loro il
piatto ordinato.
-Vedi, Lex… devo ammettere che la tua offerta è molto allettante… in
effetti non vedrei l’ora di tornare qua, nella grande città, nella sala dei
bottoni e riprendere tutti i miei affari più o meno legali… L’idea di
riprendere la sperimentazione umana di quel siero di origine sconosciuta, o di
continuare con la ricerca per realizzare il soldato perfetto, eccetera, eccetera,
mi ha sempre sostenuto nei mesi di prigione… ma so già che ognuna di queste
cose, ognuna di queste ricerche al limite della realtà e della legalità è già
stata ripresa e portata avanti dai tuoi scienziati… quindi, in pratica, cosa mi
staresti offrendo? Vuoi usarmi ancora una volta come copertura, come capro
espiatorio qualora i tuoi folli progetti visionari andassero a scatafascio, o
vuoi semplicemente levarmi dai piedi? Sono ormai vecchio per trarre godimento
dalla compravendita di quote azionarie di compagnie più o meno floride sparse
nel mondo, e non mi ci vedo a riprendere il riciclaggio del denaro sporco…-,
fece una pausa e fissò Lex dritto negli occhi, -Quindi no, grazie Lex, credo
che tuo padre preferirà rimanere al tuo fianco a Smallville
e sostenerti nei tuoi nuovi sorprendenti
affari… che ne dici?-
Il suo sorriso platealmente falso irritò Lex, che non rispose. La
conversazione tra loro doveva passare al secondo punto di quelli che si era
preparato mentre la sua limousine lo portava al ristorante: se suo padre non
accettava di farsi da parte per raggiunti limiti di età, avrebbe dovuto essere
più convincente, costasse quel che costasse…
Con le posate di argento estrasse un’ostrica dal suo guscio e la portò
alle labbra, gustandone il viscido sapore dolciastro. Solo poche ore prima
quella bestia era viva, pensò, e adesso se l’era mangiata lui.
Avrebbe fatto così anche con quel problema che rispondeva al nome di suo
padre.
-Benissimo papà. Allora credo che troverai interessante sapere cosa i
miei uomini hanno scoperto su di te e su quello che hai fatto da quando sei
uscito dal carcere. Credo che potrebbero rimetterti dentro senza neanche
passare dal tribunale…-
-E’ una minaccia, Lex?-, chiese tranquillo Lionel, incrociando le braccia
e spingendo il piatto intatto in avanti, sul tavolo, -Se hai ripreso a
minacciarmi, significa che le cose tra noi stanno tornando alla normalità! E’
bello sapere che il figliol prodigo intende tornare a casa…-, altro sorso di
vino, altro sorriso falso.
-Non potrei mai minacciarti, papà… ti informavo. Semplicemente…-, altra
risposta gelida, poi Lionel contrattaccò.
-Forse le stesse persone che sarebbero interessate a sapere che sono
andato a parlare nell’ordine con VirgilSwann, con LilyanneLeibniz e con Clark Kent potrebbero trovare un ottimo
argomento di discussione nel racconto di come hai prelevato dall’ospedale
psichiatrico di Belle Reve alcuni tra i più
pericolosi soggetti geneticamente mutati di tutto il cuore degli Stati Uniti e
di come gli stessi sono misteriosamente scomparsi dalla faccia della terra per
approdare invisibilmente nei laboratori di genetica del dottor Lex Frankestein…-
Allungò una mano e prese con le dita un’ostrica, la portò alla bocca e
succhiò il mollusco, lasciando cadere il guscio vuoto nel piatto,
rumorosamente, sempre senza allentare il sorriso sicuro.
-Credevo che non ti piacessero le ostriche-, constatò Lex, senza staccare
gli occhi dai suoi.
Anni prima era stato proprio suo padre ad insegnargli come sostenere lo
sguardo del nemico era segno di grande forza. E lui sapeva che non avrebbe
potuto che vincere, contro il fantasma di quello che era stato in passato
Lionel Luthor.
-Ah sì? Non ricordo… Sai cosa non ricordo, oltre a quello? Non ricordo da
quando i tuoi contatti con la polizia locale di Smallville
hanno bypassato lo sceriffo Adams e ti hanno dato pieni poteri nelle decisioni
amministrative del Belle Reve. Non ricordo quando hai
deciso di riprendere gli esperimenti che si tenevano nel Livello 3, né quando
hai deciso che fidarti della famiglia Teague può
portare convenienza… oh, forse da quando hai
sviluppato questo folle interesse per la ricerca di quelle tre pietre leggendarie…
Non ricordo cosa è stato detto ai familiari di Robert Greedy
- per citarne uno -quando non hanno più
trovato il loro figlio in clinica, né quando hai deciso che la sperimentazione
con l’estratto di meteorite verde è salutare per coloro a cui la applichi. Non
ricordo neanche come mai mi hai fatto venire qua, stasera, oltre a comportarti
come la volpe e l’uva e offrire a tuo padre specialità gastronomiche non di suo
gradimento. Perdere il rispetto degli ospiti, Lex, equivale a perdere il
rispetto degli Dei, ricordatelo bene e ripensa ad Agamennone, Ulisse e tutti
coloro che parteciparono alla mistificazione del cavallo di Troia. Non sperare
che offrirmi un posto di lavoro nella MIA ditta ti permetta di controllarmi e
colpirmi quando meno me lo aspetto… ricordati che tuo padre è sempre un passo
avanti a te…-
-Ulisse fu il primo a sfidare gli dei
per avere la Conoscenza,
papà, e la ottenne…-
-Ulisse morì dimenticato da tutti, Lex,
e con lui affondarono i visionari che lo avevano seguito fino alla fine…-
-Ma fece grandi cose, che suo padre Peleo non
avrebbe potuto neanche immaginare. E neanche tu puoi immaginare quali grandi
progetti ho per il mio futuro…-
Lionel si spostò sulla sedia e fece un cenno al cameriere, con il quale
parlottò per un istante, prima che sparisse per ritornare velocemente con una
porzione di spigola alle erbe aromatiche.
-So tutto-, disse soltanto, affondando la forchetta nella tenera carne
bianca.
Lex scosse appena il capo,non capendo.
-So tutto Lex. So del livello 33.1, so dei Teague,
della loro ricerca, dei tuoi stretti contatti con Jason, so del segreto di Lana
Lang e so anche di ogni tuo più piccolo progresso
nella ricerca dei tre cristalli. So che sei già stato da VirgilSwann tre volte, l’ultima delle quali non può essere
definita propriamente una “visita di cortesia”. So degli esperimenti e so a
cosa mirano. So che sei in stretti rapporti con un’ala della CIA e che credi
che loro possano essere realmente interessati ad averti come amico. Ma
soprattutto so che stai cercando di allungare i tuoi tentacoli su LilyanneLeibniz e che hai
ripreso ad indagare su Clark Kent… non giocare con il fuoco, Lex: non tutti
sono tuoi amici e finirai col bruciarti e se passerai il limite, potrebbe
essere per sempre…-
Lo lasciò nel suo silenzio, mentre, bevendo sauterne,
consumava il suo piatto.
Si pulì avvicinando il tovagliolo piegato alle labbra e si alzò, andandosene.
Quando fu vicino a Lex posò una mano sulla sua spalla.
-Quello che non so, Lex, è se hai finalmente scoperto anche tu il segreto
di Clark Kent… Ah, figliolo, smetti di fare le ricerche che stai facendo. Tutte. Il mio è un consiglio, Lex e,
nonostante gli screzi tra noi, tu rimani mio figlio. E qualsiasi padre non può
sopportare di seppellire il proprio figlio…-
Se ne andò aprendo la porta di cristallo lattimo,
lasciando che le note morbide del piano entrassero nella saletta e
riscuotessero Lex dal torpore cui pareva essere caduto.
Suo padre sapeva tutto. Ogni sua mossa era stata controllata ed
analizzata. Suo padre aveva vinto anche questa battaglia. Ma la sua superbia
gli aveva fatto commettere un errore, un errore madornale…
Lex bevve d’un fiato il vino rimasto nel suo bicchiere e portò alla
bocca, come poco prima aveva fatto suo padre, un’altra ostrica.
Bene, papà, giochiamo a carte
scoperte, dunque. Vediamo chi sarà più veloce nel vincere la mano, allora…
***
Dalla finestra del fienile entrava la brezza fresca della sera. Un soffio
più forte fece ondeggiare l’acchiappasogni appeso al soffitto, richiamando
l’attenzione di Clark.
Lily era abbracciata a lui, come cercasse protezione tra le sue braccia:
da quando Clark le aveva detto che anche lui era stato male per una pietra
piovuta dal cielo, era rimasta in silenzio, forse pensando che la stesse
prendendo in giro, o chiedendosi chi realmente fosse Clark e come mai il
destino li aveva fatti incontrare.
Clark si mosse appena, cambiando posizione e Lily si staccò da lui,
stringendosi nel sottile golf di cotone per un brivido.
-Ehi… ti porto qualcosa di caldo…-, disse Clark con voce morbida,
liberandosi con la mano dai lunghi capelli di Lily, rimasti impigliati nel suo
orologio.
-Tanto non si spezzano…-, disse lei, indicando con il mento il groviglio
creato, quasi un groppo nella sua voce.
Clark la guardò inclinando appena la testa: non era giusto continuare a
stare con lei lasciandola all’oscuro di quello che lui sapeva.
Si sfilò l’orologio lasciandolo a lei e corse giù, andando in casa a
preparare un tè caldo.
Martha, al buio della cucina, guardava verso la finestra del fienile: Lilyanne era affacciata e aveva lo sguardo perso verso il
cielo nuvoloso, la luce della lampada sopra la scrivania la illuminava da
dietro, quando videClark avvicinarsi
andò di sopra, senza farsi vedere. Era preoccupata per suo figlio…
Quando Clark rientrò nel fienile, trovò Lily che cercava di far
funzionare il vecchio telescopio che gli aveva regalato Jonathan. Posò il vassoio
sulla cassa e si avvicinò a lei, scostandole i capelli dal collo, per baciarla.
-Ci sono troppe nuvole, non si vede neanche una stella…-, disse lei
voltandosi.
-Io una la vedo…-, rispose Clark, guardandola.
-Stupido…-, Lily fece passare le braccia attorno al suo collo e si lasciò
abbracciare, avvicinandosi alla sua bocca, esitando un istante, poi tornando a
baciarlo, affondando le mani tra i suoi capelli, lasciando che il dolore che
aveva provato in passato venisse cancellato da quel bacio profondo…
Clark si allontanò da lei, prendendo le sue mani e facendola sedere:
aveva le labbra rosse e lo sguardo confuso, non la guardava negli occhi, perché
non sapeva come dirle quella cosa che era troppo tempo che si teneva dentro.
-Clark…-, indietreggiò sul divano, guardando per terra, imbarazzata dal
suo rifiuto… perché Clark non aveva voluto quel bacio… era come se si fosse
sentito non al suo posto, in quel momento, come se non avesse voluto che ci
fosse qualcosa di più intimo tra loro se non un dolce abbraccio fraterno…
-Lily… c’è una cosa di cui ti vorrei parlare…-, disse Clark dopo un po’, porgendo
la tazza fumante alla ragazza, che la strinse tra le mani per rubarne un po’ di
calore.
-Tu lo sai che io…sono stato adottato, vero?-
Lily aggrottò per un istante le sopracciglia… che c’entrava quel discorso
in quel momento?
-Me lo ha accennato tua madre quella volta che rimasi a cena da voi… e
allora? Lo sono stata anche io… che vuoi dire?-
-Io… mia madre ti ha mai parlato delle circostanze della mia adozione? Il
mio compleanno è tra pochi giorni, ma in realtà io non so quando sono nato…
quella è solo una data decisa in seguito. In realtà l’unica data che conta è
quella di quando... sono stato trovato…-
-Ah…-, Lily era sempre più confusa, non capiva perché Clark, in quel
momento, le stesse raccontando quei fatti del passato.
-I miei avrebbero voluto segnarmi all’anagrafe come nato nel giorno in
cui sono entrato nelle loro vite, ma… non è stato così. Eppure, anche se non
festeggiamo mai, è in quella data che noi sappiamo che io sono… entrato a far
parte di questo mondo… Sai, funziona spesso così, che ai bambini senza famiglia
viene assegnato il compleanno nel giorno in cui vengono ritrovati e…-
-E…? Che cosa c’è Clark, che stai cercando di dirmi?-
La guardò preoccupato, sperando di riuscire a pesare bene ogni parola.
-Io… sono stato trovato dai miei genitori il… il sedici ottobre del
1989…-
Lily sgranò gli occhi come se fosse stata trapassata da un fioretto
particolarmente affilato, sentendo cuore e respiro rimanere bloccati per un
istante lunghissimo, durante il quale il cervello lavora alacremente per
cercare una spiegazione al perché sta finendo tutto.
Che cosa diavolo stava cercando di dirle Clark? Cosa significava che era
stato ritrovato il sedici ottobre, e tutti quei discorsi sulle date… Era il suo
compleanno il sedici ottobre 1989, compiva un anno… e allora? Era una splendida
coincidenza, niente di più… assolutamente niente di più…
Perché Clark insisteva così tanto su quella storia delle adozioni? Lo
sapeva di essere stata adottata anche lei, ma era grande, ormai, e la sua data
di nascita era stabilita da un pezzo…
Clark vide un’ombra di terrore balenare nei suoi occhi immobili e le
prese le mani tra le sue, mettendosi accoccolato davanti a lei e abbassandosi
per guardarla dal basso. I suoi capelli ondeggiarono neri e lucenti. Proprio
come i suoi…
Ilpensiero che subdolo e velenoso
la sfiorò per un istante bloccando il battito del suo cuore, l’immagine di lui
che rifiutava il contatto delle sue labbra, furono interrotti dal volto di lui,
chino a baciarla di nuovo, dolce, morbido. Un contatto così maledettamente
conosciuto, da sempre, dentro di lei, nel suo sangue.
Lo allontanò da sé istintivamente, puntando le mani contro il suo petto,
nascondendo un altro brivido che il tè caldo non era riuscito ad attenuare.
-Lily, cosa…?-, Clark la guardò confuso: sperava che capisse, non era quella
la reazione che si aspettava.
-Ti prego, Clark… ora… ora basta! E va bene, sei piovuto a Smallville nello stesso giorno del mio compleanno… e
allora? Che vuoi dirmi?Credi che questo
sia un altro segno del destino? Condividere almeno informalmente il compleanno…
e allora? Vuoi dire che siamo davvero destinati a stare insieme o… cosa? Te
l’ho già detto: io sono nata il sedici ottobre, non è un giorno scelto, per me,
ma un giorno certo, nel quale mia mamma, la mia prima mamma, mi ha messa al
mondo. Cosa stai cercando di farmi capire, Clark, vuoi per caso convincermi di
essere stata trovata pure io un sedici ottobre di un anno non ben identificato,
magari in un campo di cavoli?
Ti prego non rispondermi!-
Si strinse nelle spalle, abbracciandosi le ginocchia sollevate sul
divanetto, mettendosi a fissare un nodo più scuro in un’asse del pavimento.
Clark le fece solo una carezza sui capelli, sperando in un suo movimento,
ma lei rimase immobile, facendo appassire ogni tentativo di proseguire il
discorso che lui aveva intrapreso.
Dopo qualche minuto si voltò verso di lui, sorridendogli.
-E dai, Clark… facciamo finta che non abbiamo fatto questa conversazione,
ok? Facciamo finta che io e te siamo due ragazzi normali, come tanti… due
ragazzi che si sono trovati e che… beh… che provano qualcosa di forte l’uno per
l’altra… e basta… Perché tu mi vuoi bene, vero?-
-Ma certo, che cosa ti metti a pensare adesso?-
Lo guardò fisso negli occhi cercando una risposta ad una domanda che non
avrebbe mai trovato il coraggio di porgli.
-Tu mi ami… mi vuoi bene come se ne vuole alla propria ragazza, vero?-
Clark annuì, non capendo cosa Lily intendesse e la strinse nuovamente al
petto.
Pretendeva di avere quelle risposte e, se parlarne direttamente a Lily
era troppo difficile, le avrebbe cercate in altri modi, perché prima di
giungere a conclusioni errate, che avrebbero messo in pericolo il suo segreto e
anche lei, voleva essere certo di quello che realmente avevano in comune.
Se le sue ricerche non avessero sortito quello che sperava, sarebbe
tornato ancora una volta a New York, dall’uomo che non aveva mai deluso la sua
sete di conoscenza…
Lily non volle essere riaccompagnata a casa, nonostante Clark avesse
insistito a lungo, preoccupato per le parole che Lionel gli aveva detto la sera
prima, ma pretese che lo chiamasse sul cellulare, una volta al sicuro e con la
porta chiusa a chiave dietro di lei.
Ricevette un sms:
“Tutto
a posto amore!
…
posso chiamarti amore, vero?
A
domani”
Sorrise scuotendo appena la testa, pensando a quanto fosse dolce ed
impaurita. Non era da lui mandare messaggini romantici, ma fece un’eccezione
alla regola.
“Certo
che puoi… sei la mia ragazza!
Ti
amo e non vedo l’ora che sia già domani…”
Rimise il telefono nella tasca dei jeans, e rimase un po’ a guardare
fuori dalla finestra le nuvole che passavano sopra la luna. Tra le mani
rigirava la scatoletta di piombo che conteneva il suo veleno più letale.
-Clark… avevo capito che non cenavi con noi perché dovevi studiare tutta
la sera…-, la voce preoccupata della mamma lo raggiunse dall’ingresso del
fienile, la luce accesa al piano di sotto la illuminava flebilmente.
Martha salì di sopra e guardò Clark con la testa inclinata, sul suo viso
c’era dipinta la stessa espressione che aveva quando, da bambino, lo beccava a
fare qualche marachella e si peritava poi a sgridarlo, sapendo che bastava
quello sguardo per fargli comprendere i suoi errori.
Clark
la guardò e poi tornò a rigirarsi tra le mani il cofanetto, abbassando lo
sguardo.
-Mamma… che ci fai ancora alzata?-, le chiese, ripiombando nel mondo
della sua famiglia, che aveva per un po’ dimenticato, fantasticando su un’altra
famiglia, mentre aspettava il messaggio di Lilyanne.
-Ci faccio che per fortuna non è stato tuo padre a vedere quello che
stavi facendo invece di studiare… Ti ho visto affacciato alla finestra e… beh,
sono preoccupata per te, Clark…-
Clark scosse la testa, non aveva voglia di parlare con la mamma in quel
momento.
-Stai
pensando ad una ragazza, Clark?-
-Cosa…?-
Martha
si sedette vicino a lui, sorridendo.
-Ormai
ti conosco, anche se cerchi di nasconderti ai miei occhi di mamma, io so bene
che quando te ne stai in silenzio a guardare il cielo con quella scatola in
mano è perché pensi a Lana.-
-No…non…Lana non c’entra…-, le
dita di Clark strinsero più forte la scatola.
-Ah,
allora qualche segreto riesci davvero a tenerlo per te!-, disse Martha fingendo
di essere stupita.
-Non
è Lana… E‘ Lily. E’ così…-
-Ti
piace Lily, Clark?-, l’aveva riconosciuta alla finestra, poco tempo prima, ma
non sapeva che le cose tra lei e suo figlio fossero andate così avanti.
-Non
è quello, mamma. E’ che lei… è diversa…-, Clark si voltò verso di lei.
-In
che senso, diversa?-
Clark
non sapeva come spiegare quello che voleva dire alla madre. Era così difficile
parlare a lei, ai suoi genitori di quell’argomento…
ma d’altronde, a chi altri avrebbe potuto parlarne, oltre a loro e Pete? Rispose cercando di evitare ancora il suo sguardo.
-Lei
non è come Lana, o come te, o Chloe…-
-Vuoi
dire che ha dei poteri derivati dalla pioggia di meteoriti come tutte quelle
persone che…-, Martha era delusa.
-Non
credo che sia così-, si affrettò ad interromperla Clark.
-E
allora cosa intendi?-
Clark
si voltò verso di lei: i suoi occhi brillavano di una luce che Martha non aveva
mai visto prima.
-Lily
può correre alla supervelocità, fa fuoco dagli occhi e a detta di Lana e Chloe
è riuscita a scaraventare un uomo che le aveva aggredite a decine di metri di
distanza. Ma soprattutto…-
-…
soprattutto?- Clark allungò verso di lei la scatola contenente il frammento di
meteorite.
-Soprattutto
se lei viene a contatto con questa il suo sangue ribolle
e lei sta male. E l’ho vista tagliarsi a scuola senza farsi male, mentre il
cutter si è spezzato in due. E poi…-
-Mi
stai dicendo che lei è come… te, Clark?-, lo interruppe visibilmente agitata
dalle parole che le aveva detto il figlio.
Non
ebbe risposta.
Clark
si voltò nuovamente verso la finestra, guardando lontano, oltre le nuvole e le
stelle, sospirando.
Martha
si alzò e posò le sue mani sulle sue spalle.
Dopo
qualche attimo sospeso nel silenzio Clark parlò di nuovo, la sua voce pareva un
sussurro.
-Quando
ci hanno presentati e io le ho stretto la mano, è come se una scarica elettrica
mi avesse percorso da capo a piedi, come se si fosse sviluppata una qualche
energia che mi è entrata nel sangue… non so come spiegartelo… ma ho provato un
istantaneo senso di calore, di sicurezza, forza… e… insomma, ho sentito che lei
era diversa… che era lei che stavo aspettando…-
Tacque
di nuovo, cercando le parole per esprimere quello che non riusciva a dire e che
Martha lesse nei suoi occhi.
Gli
sorrise carezzandogli una guancia, era il suo bambino e mai come allora aveva
bisogno di certezze nella sua vita…
-Forse
non sono solo, mamma…-, disse tradendo tutta l’emozione che aveva represso in
quei giorni.
Martha
sospirò, allontanandosi appena.
-Clark,
tu non sei mai stato solo, lo sai-
-Ma
è diverso…-
-So
cosa vuoi dirmi, pensi che non lo capisca? Solo che ho paura che possa essere
solo un abbaglio, che tu possa rimanere deluso ancora una volta come con
Alicia…-
Clark
scattò allontanandosi e alzando la voce.
-Non
c’entra niente quella storia. E prima che tu lo dica, non c’entrano niente
neanche le storie di persone come Kara e non c’entra niente Jor-El. E’ una cosa
diversa…-, abbassò le spalle e la sua voce tornò ad essere un sussurro. - E’
come se d’un tratto mi sentissi tanto vicino ad una persona come mai è stato
prima-, abbassò gli occhi, -neanche con Lana…-
Martha
strinse i denti: doveva convincere Clark a non cacciarsi in una situazione che
gli avrebbe nuovamente portato sofferenze, doveva assicurarsi che lui fosse
tranquillo, come quando era un bambino e bastava stringerlo tra le braccia per
sentire il suo cuore rilassarsi e i pensieri svanire.
-Come
fai a sapere che lei è onesta e non ti sta imbrogliando? E come hai potuto
lasciarti coinvolgere nuovamente in una storia con una ragazza… diversa, dopo
quello che ti è capitato con Alicia… io, sono preoccupata, Clark e poi… chi ti
dice che i suoi non siano solo trucchi!-
Clark
si voltò di nuovo verso di lei, i suoi occhi fiammeggiavano.
-Mamma,
io ti dico che Lilyanne è come me: lei è fatta come
me… la sua pelle è come la mia, i suoi capelli non si spezzano, te lo ripeto,
lei corre quasi più veloce di me, e poi… può prendere ariae alzare un tornado con il suo soffio, può
spostare un’auto con una mano, accende le candele solo guardandole e poi… lei
sa volare, mamma! Come me… o meglio… come Kal-El! E
quello che più è importante, più
importante anche della sua reazione alla kryptonite, è che Lily… lei ha uno
strano segno sulla pelle, dietro al collo, è il simbolo… kryptoniano
che rappresenta il fuoco, lo stesso simbolo che ho visto sul cristallo che ora
è dentro le grotte, lo stesso che è dipinto sulle pareti di roccia...
Mamma,
Lily è come me. E io non posso perdere pure lei…-
Martha
abbassò lo sguardo sul cofanetto contenente il frammento di meteorite, lo
soppesò per un istante, poi lo posò sulla scrivania, accanto a loro, e prese le
mani del figlio tra le sue, guardandolo negli occhi, rassegnata.
-La
ami, Clark?-
Il
volto del ragazzo si illuminò in un sorriso sincero: -Sì… la amo… la amo così
tanto che… che ogni volta che sono lontano da lei mi sembra di perdere la metà
di me stesso-
Martha lo abbracciò e, forse per la prima volta, non sentì stretto a sé
il timido bambino dal sorriso contagioso e i capelli ribelli, ma l’uomo che era
diventato suo figlio.
-Andiamo a letto, ora…-, gli disse prendendolo per mano, -vedrai che non
la perderai…-
Son of the Illusion Blog
Lunedì03/05/2004
0 commenti
“Ho sfogliato i miei vecchi libri di scuola
Ho cercato a lungo una vecchia poesia straniera
Ho paura.
Ho paura e non posso fare a meno di rileggere
queste parole:
Capitolo 19 *** Capitolo 18 - Vicini alla verità ***
Capitolo 18
Capitolo 18 – Vicini alla verità
Era molto presto quando
Clark era arrivato a scuola; ancora il cancello non era stato aperto e lo
stesso ambiente, di solito brulicante di ragazzi vocianti, appariva totalmente
differente. C’era solo un bidello che,
nel giardino, ripuliva il prato dalle erbacce, con aria ancora assonnata e, da
qualche parte nell’edificio, qualcuno aveva iniziato ad aprire le aule chiuse a
chiave.
Clark aveva forzato la
serratura del Torch, l’aveva risistemata ed aveva preso posto alla scrivania di
Chloe. Il suo pc era più lento e la scheda di rete spesso si bloccava
lasciandolo senza connessione.
Quella mattina aveva
bisogno di tutta la banda possibile, di un computer veloce e di tanta, tanta
fortuna: la sua era una ricerca disperata, molto più ardua di cercare il
classico ago nel pagliaio, cosa che a lui, con i suoi poteri, risultava
peraltro facilissima.
Aveva solo poche
informazioni certe e documentate su di lei: sapeva che Lily era nata da qualche
parte vicino a Metropolis, non troppo lontano da lì, il sedici di ottobre, che
era stata adottata all’età di quattro anni e mezzo dal professor Leibniz di New
York ed in seguito era rimasta coinvolta in diversi fatti di cronaca. I dati
che Chloe aveva raccolto su di lei, gli stessi dati che avevano causato quel
terribile litigio, ora gli sarebbero stati utili… se solo avesse conosciuto la
password del computer di Chloe!
Provò la sua data di
nascita, il nome di sua madre e suo padre, digitò anche “loislane”, confidando
nell’affetto per la cugina, ma i files rimanevano ancora bloccati. Provò con
altri nomi, soprannomi, date a caso, ed infine provò con “clarkkent”,
sentendosi un po’ un idiota: il computer si sbloccò e Clark strinse le labbra,
chiedendosi perché, ancora, Chloe provasse qualcosa per lui, che l’aveva
abbandonata. Chissà se le cose sarebbero state diverse, se non ci fossero stati
quei tornado, se fosse rimasto assieme a lei al ballo della scuola, tanti anni
prima…
Scosse la testa
imponendosi di non naufragare in universi paralleli e si rimise al lavoro.
Aprì subito i files che
riteneva utili, per copiarli sulla chiave usb che Chloe gli aveva regalato per
il Natale precedente e iniziò a sfogliare il database dell’ufficio anagrafe,
cercando quante più informazioni sul passato di Lily.
Si sentiva di tradire
un po’ la sua fiducia, a fare tutto di nascosto, ma era troppo importante
quello che stava cercando di scoprire: non aveva il coraggio di porre a lei
direttamente quelle domande così taglienti, ma avrebbe comunque scoperto se
anche lei era, come era convinto che fosse, una trovatella…
-Come sei entrato
qui?-, Chloe aveva aperto la porta molto, molto silenziosamente, sorprendendolo
al suo pc. Lo guardava con occhi sgranati, stupita, ma soprattutto delusa.
-Era… era aperto,
sai?-, rispose Clark, arrossendo come se fosse stato beccato a rubare caramelle
ad un bambino.
-E come mai non sei al
tuo computer? Clark, sono le sette e mezzo e tu di solito a quest’ora stai
ancora rigirandoti tra le coperte sognando… lasciamo perdere cosa… Che è
successo? Perché non mi hai chiamata, prima?-, Chloe si avvicinò e Clarknon fu così veloce da far sparire i files che
stava esaminando.
-Che cosa stai facendo?
Ti sei messo tu, ad indagare su Lilyanne, ora? Credevo che lei fosse la tua
ragazza, ormai, che non ci fossero più segreti tra voi!-, la sua voce oscillava
tra toni sarcastici e delusi, senza nascondere la smania di conoscere il vero
motivo per il quale Clark stesse setacciando il web alla ricerca di
informazioni su Lily.
Clark non si aspettava
una domanda del genere.
-No, è che lei… Lily mi
ha chiesto se riesco a scoprire una cosa e quindi…-
-Quindi?-, aspettò che
proseguisse, il suo sguardo lo feriva, graffiando via quella misera patina di
menzogne con la quale lui cercava di proteggersi.
-Ti prego, Chloe, non
dirle che stavo cercando informazioni sul suo passato…-
Chloe alzò lo sguardo
verso il soffitto della stanza, espirando con forza. Poi tornò a guardarlo,
preoccupata e arrabbiata.
-Ma perché fai così,
Clark? Lily è anche una mia amica! Io… l’ho vista piangere per te, avrebbe
rinunciato a quello che prova per lasciarti libero di stare con Lana, se fosse
stato quello che volevi! Lei… tu non hai idea di quanto lei ti voglia bene… lei
ti ama! Non chiedermi di fare qualcosa che potrebbe farla star male, o deluderla,
per favore!-
Clark la guardò per un
po’, poi prese aria. Non ne poteva più
di sentirsi dire cosa fare, o cosa non fare, nella sua vita, non in quel
momento, non quando avrebbe fatto qualsiasi cosa per scoprire se c’era qualcun
altro come lui, se non era solo…
-Allora esci, Chloe-
-Esci!? Io cerco di
aiutarti a non fare errori di cui potresti pentirti amaramente e tu mi dici di
uscire dal mio stesso giornale! Clark! Ma cosa c’è che non ti va bene nel vivere una vita normale, senza menzogne
e segreti verso tutti? Va tutto bene finché la gente non fa domande su di te,
vero, Clark? Altrimenti diventi più duro e refrattario delle rocce cadute dal
cielo,non è così? Te lo ripeto ancora: non tradire la fiducia di Lily indagando
sul suo passato: possono esserci cose che è giusto che sia lei a rivelarti, se
mai vorrà farlo!-
-… però quando eri tu a
raccogliere materiale e minuziose informazioni su di lei, tutto andava bene,
vero Chloe?-, le disse esplodendo.
-Ah sì, eh? … e
andavano bene pure tutte quelle cose cattive che mi ha vomitato addosso, vero?
Perché ora che sei tu a comportarti allo stesso modo, ora va tutto a posto,
Clark? Tu solo sei giustificabile a questo mondo, tu solo hai una scusa valida
e assurda per tutto! Non è sempre così?-
-Chloe… io non posso
spiegarti…-, il tempo scorreva e ancora non aveva raccolto informazioni
sufficienti, maledizione!
-Certo, come al solito!
“Tu non puoi spiegare!”… è questo che non sopporto di te, sai Clark? Riesci ad
allontanare tutte le persone che ti vogliono bene facendo così! Segreti,
segreti… tu e i tuoi stramaledetti segreti! E’ per loro che Lana ti ha lasciato,
Clark e ora… ora vuoi buttare via anche questa storia con Lily?-
Clark deglutì,
schiacciato dal peso delle parole di Chloe, quelle parole che la sua coscienza
gli ripeteva sempre, da sempre, e che lui ignorava…
-Tu non puoi… tu non
puoi capire, Chloe!-
-Ah no? Almeno
proviamo: dimmi che problemi hai e proviamo a vedere se riesco a capirti o no!
Lo vuoi capire che io sono tua amica, io ti voglio bene, Clark!-
Clark estrasse la penna
usb dal computer, chiuse rapidamente tutte le schede di Firefox che aveva
aperto e schiacciò brutalmente il tasto di spegnimento del computer, alzandosi.
-Clark!-
-Si voltò ancora verso
di lei, aveva lo sguardo ferito di chi sa che sta facendo del male a chi vuole
bene, ma non può evitare di comportarsi così.
-L’ho fatto una volta,
sai, Chloe? Mi sono confidato con una persona amica, ho detto tutto quello che
non riesco a dire a te, o a Lana… e lo sai che cosa è successo? La vita di
questa persona è stata rovinata da quello che ho rivelato, tanto che… se n’è
andato via, per la sua incolumità!-, aveva urlato le ultime parole, stringendo
tra le mani lo spallaccio dello zaino fino a farsi diventare le nocche bianche
dallo sforzo.
-Perché vuoi
costringermi ancora una volta a mettere te o chiunque altro in pericolo?
Abbiamo tutti i nostri segreti eppure possiamo vivere normalmente insieme agli
altri, senza che questi turbino ancora un’amicizia come la nostra. Se io sto
facendo quella cosa, ora, ho i miei motivi, Chloe,
e non chiedermi di rivelarti quali essi siano, perché non permetterei di nuovo
che una persona a cui tengo così tanto se ne vada via e sia messa in pericolo
per causa mia. Ti prego!-, la guardò per un istante ancora e poi uscì dalla
stanza, lasciando dietro di sé una calda scia di profumo di shampoo e lavanda,
di cui Martha Kent aveva riempito i cassetti di casa.
Chloe lo vide passare
davanti a sé, incredula per le ultime parole che Clark gli aveva detto: si era
aperto, dunque, aveva trovato qualcuno di cui fidarsi, aveva svuotato la sua
angoscia… ma chi, chi era la persona che aveva raccolto le sue confessioni? Era
vero… c’era Lionel Luthor e chiunque avesse saputo qualcosa su Clark, sarebbe
stato in pericolo, così come lo era stata lei… E se fosse… se si fosse riferito
ad Alicia… in fondo lei sapeva molte più cose di chiunque altro su Clark Kent
e… ed era morta! Però non si riferiva a lei, Clark, ne era sicura… e allora…
La porta del Torch si
aprì nuovamente e la faccia allegra e ancora un po’ assonnata di Pete fece
capolino.
-Pete…!-, Chloe sorrise
spalancando la bocca… ora tutto le stava divenendo chiaro…
***
-Scusi, credo di non
aver capito cosa mi ha chiesto, signor Luthor… Può ripetere per favore?-
-Maggiore Sawyer! La
facevo più sveglio, sa? E’ molto semplice quello che ho domandato: deve “prelevare”
mio padre Lionel Luthor, portarlo dove già sa, ed interrogarlo-
-…-
-Rimane in silenzio,
Maggiore? Da quel che so si tratta di un’azione di semplice routine per lei… o
mi sbaglio…? Ad ogni modo, si assicuri che, per tutto il tempo, mio padre
rimanga totalmente bendato e che non capisca dove si trova. La vostra
conversazione verrà registrata interamente, quindi si attenga agli ordini…-
-E se non volesse
parlare?-
-Ecco, questo è per
lei: prima di iniziare l’interrogatorio dovrà inalare questa sostanza
dall’aerosol. Vede, funziona come quelli per l’asma, e semplice-
-I..io?-
-Sì Maggiore, lei è
pagato per questo. Non si spaventi: si tratta semplicemente del più moderno,
sofisticato affidabile e sicuro ritrovato capace di far sì che chiunque si
trovi nel suo raggio di azione non possa fare a meno di dirle tutta la verità,
su qualunque questione e argomento-
-E’ pericoloso?-
-Come ho già detto,
Maggiore Sawyer, il Levitas è un ritrovato che offre la massima sicurezza per
chi lo assume: è stato studiato appositamente per avere un effetto rapido ed i
suoi effetti si esauriscono nell’arco di poche ore… non si renderà neanche
conto di aver perso il suo potere, quando l’effetto del siero svanirà… Sarà
come bere acqua fresca. Ah, maggiore… faccia in modo che mio padre non ricordi
assolutamente nulla… Questo farà al caso suo…-
-Di che si tratta?-
-Niente che non abbia
già usato prima in vita sua… Ricordi: mio padre sarà di ritorno per le ventuno
di questa sera… Dopo che lo avrà riportato nel suo appartamento, sul retro del
castello, lei tornerà qui e mi riferirà ogni singola parola… siamo intesi?-
***
-Ciao Chloe… che ti è
successo? Hai una faccia…-, chiese Pete sbadigliando e lasciandosi cadere
pesantemente sul divanetto nella stanza del Torch. In mano aveva una scatola
con il materiale per gli articoli di Chloe sul ballo studentesco, che si
sarebbe tenuto il sabato della settimana successiva.
La ragazza si affrettò
a scuotere la testa, rendendosi conto che lo aveva fissato come se si fosse
trattato di una nuova specie animale scoperta il giorno stesso dal WWF e si
voltò rapidamente fingendo di essere occupata a lavorare al pc.
-Buongiorno Pete… noto
che stai ancora dormendo… come al solito, direi!-, cercò di allentare la
tensione che provava: non era certa che quello che aveva intuito fosse vero…
non poteva immaginare che Pete, proprio lo stesso Pete che si cacciava nei guai
un giorno sì e l’altro pure, il Pete che aveva sempre considerato “il suo amico
imbranatone”, proprio lui fosse il custode dei più oscuri segreti di Clark
Kent!
Senza volerlo si bloccò
di nuovo a guardarlo, con espressione assente e la bocca appena socchiusa.
-Chloe?? Ma che hai? E’
da quando sono entrato che mi guardi strano? Cos’ho? Mi sono nati degli strani
tentacoli sulla schiena??-, si alzò dal divanetto e si sedette vicino a lei,
mentre lo schermo del computer, brutalmente spento da Clark pochi minuti prima,
si accendeva con la classica schermata nera di errore.
-Accidenti! Che è
successo a questo pc?-, domandò Pete, ma Chloe premette il tasto enter e,
scuotendo la testa, fece capire che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Pete sollevò le
sopracciglia e non chiese altro.
-Ti ho portato le cose
che mi avevi chiesto sul comitato organizzatore del ballo-, disse allungandosi
per porgere la scatola a Chloe, quando sullo schermo si visualizzarono gli
ultimi files aperti: quelli relativi a Lilyanne Leibniz.
-Accidenti, Chloe! Stai
ancora continuando a fare ricerche su di lei? Ma cos’hai al posto della
testa?-, Pete si alzò di scatto, come se con quel gesto volesse dissociarsi da
ciò che credeva stesse facendo l’amica.
-Ma no, Pete, aspetta…
non è come pensi…-
La guardò con delusione
e rabbia, l’espressione addormentata era svanita totalmente dal suo volto.
-Certo! Come tutte le
altre volte! Credevo che tu fossi sincera, con lei, quando la definivi “amica”!
E invece… sempre ad indagare su tutto e tutti, come tutte le altre volte! Cosa
c’è che non va in lei? Basta, Chloe! BASTA! Devi smettere di cercare il mistero
dove non c’è: Lilyanne è una ragazza come le altre, accettalo! Se Clark sapesse
quello che stai facendo… Basta! Dammi retta: cancella quello che sai su
Lilyanne e non indagare più, perché è solo una stupida perdita di tempo!-
Chloe rimase immobile,
alla scrivania, scandagliando come se avesse un radar al posto degli occhi ogni
più piccola espressione di Pete: sì… poteva davvero essere quella l’unica,
logica, spiegazione a tutto…
Le parole che aveva
appena usato… certo, anche lui sapeva di Lilyanne… e di Clark!
-Pete, perché non sei
stato sincero con me, riguardo a Clark?-, i suoi pensieri si erano formati in
parola, prima che lei potesse mordersi la lingua e impedirsi di parlare.
-Cosa…?-, lo vide fare
un passo indietro, verso l’ex muro delle stramberie, ormai spoglio, come se
fosse lei ad attaccare, adesso, con il fioretto appuntito delle sue parole.
Si alzò e gli andò
incontro, mettendo le mani sulle sue spalle. Basta, aveva aspettato troppo
tempo, anni persi cercando di capire il mistero Clark Kent, anni di
frustrazioni e delusioni, e mai come in quel momento era stata così vicina alla
verità, a capire come mai il ragazzo al quale aveva votato la sua giovinezza le
sfuggiva sempre, come la sabbia scivola via dalle mani.
-Clark ti ha confidato
tutto, non è vero? Si è fidato di te e… ti ha detto tutto, tutto quello che non
ha mai rivelato a nessuno… che non ha mai detto a me, non è vero? Ed è per
questo che tu… tu sei andato via, perché il segreto di Clark Kent è troppo
pesante da sopportare, è così?-, le brillavano gli occhi.
Pete sentì il panico
salire rapidamente come un’ondata e attanagliarlo alla bocca dello stomaco:
Chloe non aveva il dono di far dire la verità, non più, ma sapeva che resistere
alla sua richiesta disperata, dopo gli anni che aveva passato in segreto a
sognare di lei, era uno sforzo così grosso che…
-Sono qua, no, Chloe?
Non so cosa tu stia dicendo, ma se avessi avuto paura di Clark, pensi che sarei
qui, adesso?-, afferrò lo zaino e, evitando il suo sguardo, si avviò verso la
porta: doveva uscire da quella stanza, doveva scappare da quella sirena che
sapeva poteva diventare Chloe, quando si rivolgeva a lui in quella maniera…
-Sei tornato perché sei
un vero amico… l’ho capito, finalmente. Sei qua, adesso, perché qualsiasi cosa
ti abbia detto Clark, tu senti che la vostra amicizia è più forte di qualsiasi
paura-, gli mise una mano sulla spalla, lui aveva già la sua sulla maniglia
della porta, per scappare di là. Si voltò verso di lei.
C’era una piccola,
minuscola lacrima che lottava con le lunghe ciglia di Chloe e cercava di
liberarsi. Vide che deglutiva, cercando di mantenere il suo solito contegno.
-Clark si è fidato di
te… e non è mai riuscito a fidarsi di me…-, di nuovo puntò i suoi occhi
chiarissimi su di lui, ma non avevano più il luccichio del predatore di
informazioni, erano solo gli occhi di una ragazza delusa.
-Chloe…-, non riusciva
a mentirle ancora, gli faceva male vederla così, non era giusto!
-Ti prego, Pete, dimmi
la verità…-
Pete sospirò, un lungo,
sospiro dolente.
-Mi dispiace, Chloe…
non posso…-, abbassò lo sguardo, vinto.
Fu allora che Chloe
giocò la sua ultima mossa, quella più rischiosa, che per prima pensava non
avrebbe mai azzardato. E fu scacco.
-Ho visto Lilyanne
Leibniz fare delle cose… cose che ritenevo potessero esistere solo nei fumetti.
E’ stato quando mi ha savato la vita: ha rivelato il suo segreto pur di
salvarmi e io le ho promesso che non lo avrei mai detto a nessuno-, fece una
pausa, vacillò per un istante, -E ho visto Clark Kent, il nostro Clark Kent, fare qualcosa di altrettanto inimmaginabile. E’
stato quasi tre mesi fa ed è stato solo allora che ho capito tutto su di lui,
sul perché volesse mantenere questo segreto. Ma ora non ne posso più. Non
riesco più a dirgli tutti i giorni “Ehi Clark, come va? Hai fatto i compiti”,
“Ciao Clark, anche oggi hai preso la tua solita scorciatoia per arrivare a
scuola?”… io non… non ne possopiù. Io
la vedo la tristezza che c’è da sempre negli occhi di Clark, cosa credete? Io
lo so che lui sta male per il suo segreto, perché non può mai essere se stesso!
E ho capito come mai da quando c’è Lily lui è come… rinato! Ma non c’è solo
lei, nella sua vita, ci sono anche io, io gli voglio bene e farei di tutto per
aiutare Clark… se solo volesse essere aiutato…-, la lacrima scivolò sulla sua
guancia, e i suoi occhi fermi e decisi, gli occhi della reporter Chloe
Sullivan, si velarono di pianto.
Pete la guardò, riuscì
a resistere per un attimo, poi si avvicinò a lei e la abbracciò stretta.
-Lo so che tu sei
un’amica fidata, Chloe… lo so bene…-
La campana dell’inizio
delle lezioni li interruppe.
-Forse… forse è meglio
andare, ora…-, disse Chloe e Pete, sollevato, la seguì verso le aule.
Per quel giorno si
sarebbe tenuto alla larga da Chloe e tutto sarebbe andato bene.
Clark aspettava Lily
con la schiena appoggiata al suo armadietto, nel corridoio di quelli del terzo
anno. Le lezioni della mattinata erano state noiose, come al solito, da quando
c’erano altre cose ad affollare i suoi pensieri, e ogni minuto senza di lei gli
pareva un minuto perso.
Tra le mani aveva il
risultato del test di letteratura: non era andato bene, ma d’altronde, non si
applicava più nello studio da così tanto tempo che non poteva pretendere
miracoli.
Vide Lily che si
avvicinava, parlottando con un ragazzo del suo anno: ridevano e sembravano
scherzare in sintonia. Provò una sottile fitta di gelosia, che non avrebbe mai
pensato potesse appartenergli. Strinse i denti e le sorrise, mentre lei
salutava “Tommy”.
-Ciao…-, le disse appena
un po’ freddo.
-Ciao, Clark!-, lo
salutò lei, allungandosi per stampargli un bacio sulla guancia, prendendolo
sotto braccio diretti verso l’uscita della scuola. Aveva deciso di non dare
importanza ai suoi dubbi della sera precedente: erano solo le folli idee della
sua mente malata di solitudine, e Clark era la sua medicina migliore. Niente
altro che quello che voleva dalla sua vita.
-Lui era il tuo amico…
“Tommy”, eh?-, disse senza guardarla,
marcando il nome del ragazzo.
Lo afferrò per una
manica e lo fece voltare, guardandolo incredula e divertita:- Clark! Che c’è?
Sei per caso geloso di Tom? Che stupido che sei…!(1)[i]-, allungò una mano e gli
assestò un leggerissimo pugno sulla testa, ridacchiando.
-Ma che dici? No… io
non…-, aveva ragione: era stato un cretino, come al solito! Le sorrise e
l’ombra che gli velava lo sguardo si dileguò subito.
-Tom è solo un amico! E
invece tu sei il mio amore-, gli disse e si avvicinò per dargli un altro bacio
sulla guancia, ma lui fu più veloce e conquistò la sua bocca, voltandosi e
baciandola. Lily si staccò in fretta, arrossendo.
-Dai, Clark… qui
davanti a tutti non…-, lui alzò appena le spalle con aria da piccola peste.
Passarono davanti al
Torch, già deserto a quell’ora, e uscirono insieme.
-Che facciamo di
bello?-, chiese lui, con aria vagamente sognante, seguendo con lo sguardo una
rondine che volava lontana.
-Studiamo, Clark! Ho il
compito di matematica giovedì e non intendo farlo male e tu… ho visto quello
che hai in mano, sai! Credo che dovremmo iniziare a studiare seriamente… Se
vuoi possiamo andare in biblioteca, per stare insieme…-
La guardò piegando un
sopracciglio: -No, andiamo nel fienile, staremo più comodi!-, ammiccò appena,
-Ti va di fare una corsa? Vediamo chi arriva prima?-
Lily lo guardò
esterrefatta, poi strinse le labbra, increspò il mento e la fronte e annuì.
-D’accordo… che vuoi
che ti prepari, mentre ti aspetto?-, disse in tono di sfida e sparì
all’istante, correndo verso la fattoria.
Clark scosse la testa e
partì dietro a lei, correndo nell’aria tiepida, sentendo il suo odore davanti a
sé: era la prima volta che quella dimensione dove le cose sembravano immobili e
inanimate gli parve il luogo ideale dove stare, insieme a lei. Le passò
accanto, sorpassandola, e le sfiorò i capelli; Lily accelerò, passò accanto a
lui e lo prese per mano: non c’era niente di strano… era come se stessero
correndo normalmente, solo che erano in uno spazio solo per loro. Poi lei lo
lasciò e accelerò ancora, lasciandolo indietro.
-Ehi! Sei davvero più
veloce di me!-, disse Clark entrando nel fienile e trovandola seduta sul
divanetto, che già aveva estratto un libro dalla borsa della scuola.
-Non pensavo che…-, era
quasi deluso: per la prima volta i suoi poteri erano messi in discussione da
qualcuno che era uguale a lui, ma le sorrise.
-Te l’avevo detto che
ero brava, a scuola, nelle gare di corsa!-, gli sorrise e gli indicò la
scrivania, -Ora siediti e… studia!-
Con fare cavalleresco,
Clark la invitò ad accomodarsi lei alla scrivania, preferendo il divanetto e il
baule che fungeva da tavolino, come appoggio. Poi di là, l’avrebbe potuta
guardare…
Lily si fece la coda ai
capelli con un elastico nero che teneva al polso, prese dalla borsa un vecchio
astuccio di jeans ed estrasse le penne che le servivano. Prese dei fogli e piegò
la testa, iniziando a concentrarsi sugli esercizi di trigonometria.
Clark la guardò
un’ultima volta e aprì il suo libro: l’attendevano William Blake e le sue
poesie visionarie…
Sia Clark che Lily non
si resero conto del passare del tempo e, dopo tanti giorni, riuscirono a
studiare seriamente per un’ora e mezzo abbondante, senza interruzioni, fino a
quando non sentirono il rumore di passi dall’ingresso del fienile.
-Ragazzi! Vi ho portato
qualcosa da mettere sotto ai denti!-, Martha aveva visto quando Clark e Lily
erano arrivati e come erano arrivati
ed era rimasta sconvolta dalle capacità di quella ragazza, di cui suo figlio si
era così profondamente innamorato. Ora stava di fronte a lei, in piedi come
fosse davanti ad un plotone militare, visibilmente agitata ed imbarazzata.
Martha le sorrise
dolcemente: le ci era voluto un po’, ma, nel silenzio della sua cucina, rotto
solo dal ronzio del forno dove i suoi muffin stavano cuocendo, aveva riflettuto
con calma, cercando di mettere da parte lo scetticismo e sfiducia che aveva
provato nei confronti di Lily e le era stato chiaro che mai prima di allora,
suo figlio le era apparso così sereno.
Appoggiò i suoi “muffin
della pace”, fumanti come un kalumet dei sioux e le tazze del tè sulla cassa
che Clark aveva liberato e lo aveva guardato con l’espressione dolce e
rassegnata di una madre che scopre che il figlio sta crescendo.
-Grazie, signora
Kent…-, farfugliò Lily imbarazzata di essersi fatta trovare ancora una volta in
compagnia di Clark.
-Non c’è di ché-, le
rispose Martha, -Va tutto bene?-
Lily annuì e si voltò
rapidamente verso Clark, come a cercare conferma della sua risposta.
-Va tutto bene, mamma,
stiamo studiando degli argomenti “divertentissimi” e va tutto bene. E tu? Papà
è sempre alla fiera del bestiame?-
-Mi ha appena chiamata,
ha detto che non tornerà prima di stasera… temo che dovrà trattenersi fuori
anche per cena… a proposito: ti fermi da noi, Lily?-
La ragazza si sentì
avvolgere nuovamente dall’imbarazzo, che, come un incantesimo sottile, le
faceva arrossire le guance e pronunciare frasi poco intelligenti.
-Io… oh… grazie
Signora… se non sono di disturbo…-
-Ma quale disturbo?-,
rispose decisa Martha, -Non mi fa che piacere cenare con… la ragazza di
Clark!-, era unamamma, e guardare suo
figlio arrossire come un peperone alla sua affermazione fu come ricevere un
abbraccio stretto stretto dal bambino che era stato. Sorrise loro inclinando la
testa, poi guardò Clark con amore.
-Vi lascio ai vostri
compiti, adesso… Lily, per favore, controlla che questo pelandrone di Clark
studi!-, ridiscese verso casa, più sollevata di prima e, mentre varcò la porta
del fienile, ripensò alla ragazza dai lunghi capelli neri che, apparsa dal
nulla, si fermava dopo una corsa alla supervelocità tra i campi.
Scosse la testa e rientrò
in casa: aveva una cena da preparare…
-Clark… ma io… io mi
vergogno! Cioè… chi sono io che entro in casa tua, così… santo cielo…-, addentò
un muffin di Martha e lo guardò dal basso verso l’alto.
-Ehi… Lily, dai… ormai
lo sanno anche i muri che noi due stiamo insieme… lo sa anche mia mamma, e
allora? Così non dobbiamo fare le cose di nascosto!-, disse avvicinandosi a
lei.
-Quali cose…?-, Lily
smise di mangiare e alcune briciole rimasero sulle sue labbra.
-Per esempio… questo…-,
Clark tolse dalle sue mani il muffin e si chinò su di lei, con gli occhi
socchiusi e il sorriso provocante che aveva anche la sera del karaoke. Con un
bacio strano prese le briciole che aveva sulle labbra.
-Sei così buona…-,
disse senza levarle gli occhi di dosso, risentendo, dopo tantissimo tempo da
quando aveva iniziato a controllarla, quella stessa scossa dentro la sua testa,
dietro agli occhi, quella scossa che aveva rischiato di mandare in cenere tutto
il Talon…
Chiuse gli occhi e la
strinse a sé, cercando di calmarsi un istante.
-Il tuo cuore batte
così forte…-, sussurrò Lily, turbata per lo stesso identico motivo di Clark,
con gli occhi chiusi.
-Forse è meglio… fare
merenda, Clark… e rimetterci a studiare…-, si sciolse dall’abbraccio e lo
guardò di nuovo, riprendendo la calma. Lui la guardava immobile, con gli occhi
grandi e profondi che perlustravano a fondo nella sua anima, come se si
sentisse abbandonato, in quell’istante, abbandonato eppure così irresistbile.
Lily prese il suo volto
tra le mani e si lasciò andare in quel bacio che ancora quel giorno non si
erano scambiati e che entrambi desideravano fin dalla sera precedente.
Clark la trascinò giù
con sé, sul divano, e continuò a baciarla e carezzare il volto, i suoi capelli,
la pelle morbida del suo collo… Gli sembrava di vivere le sensazioni di un
altro, in quel momento, come se si guardasse dall’esterno e sentisse forte
dentro di sé la voglia di spingersi oltre, oltre quel bacio, oltre le carezze…
Il piatto dei muffin,
colpito dal suo piede fu spinto per terra e si frantumò con un rumore
assordante, che li bloccò all’istante, sospesi tra un bacio e l’altro, con le
bocche rosse, così vicine, spalancate per lo spavento.
Si guardarono e non
riuscirono a trattenere una risata dolce e liberatoria. Lily lo abbracciò e lo
baciò ancora sul petto, attraverso la maglietta.
-Che casino che abbiamo
fatto…!-, si chinò per raccogliere i cocci, ma prima controllò che non ci
fossero schegge sui dolcetti, ne prese uno e se lo addentò, guardando Clark
soddisfatta come una bambina dispettosa e anche un po’ provocante.
Poi ne prese un altro
e, prima che lui potesse dire qualcosa, lo portò alle sue labbra e glielo
infilò in bocca.
-Così stai un po’ in
silenzio! Dai, ripuliamo questo disastro e rimettiamoci a studiare…-
Ridacchiarono entrambi,
poi, in un istante, Clark sparì e, con lui, i resti del piatto rotto e dei
muffin di Martha Kent. Tutto era di nuovo in ordine, quando riapparve un
istante dopo seduto sul divano, con un pasticcino in mano e l’altro che stava
masticando allegramente.
-Però! Ho proprio
bisogno di qualcuno che venga a fare le pulizie in casa, Clark… se ti pagassi
ad ore, veloce come sei, non mi costeresti nulla!-, si sedette alla scrivania e
riprese a sfogliare i quaderni con gli appunti.
Lo stesso fece Clark…
Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?
In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?
And what shoulder and what art
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand and what dread feet?
What the hammer? what the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?
When the stars threw down their spears,
And water'd heaven with their tears,
Did He smile His work to see?
Did He who made the lamb make thee?
Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry? [ii](2)
Era così difficile
concentrarsi dopo quello che c’era stato tra loro… ogni volta era come la prima
volta e i loro cuori continuavano a battere all’impazzata per minuti e minuti,
ricercando la quiete.
E se la poesia di Blake
che Clark stava leggendo lo aveva conquistato e catapultato in un mondo
parallelo, dove si sentiva lui la tigre immortale dagli occhi di fuoco, gli
esercizi di trigonometria, con i quali stava litigando, non affascinavano
affatto Lily, che cercava ogni piccola distrazione per aggrapparcisi e scappare
con i pensieri che ancora palpitavano di lui.
Fece la punta alla
matita, con un appunta lapis da tavolo mezzo arrugginito che aveva Clark , poi,
sbuffando appena, continuò a curiosare tra la cancelleria del ragazzo, finché
la sua attenzione non fu colpita da una scatolina di metallo massiccio,
abbandonata in un angolo della scrivania.
-Posso vedere che c’è
qua, Clark?-, domandò, voltandosi verso di lui.
-Mmm mmm…-, rispose lui
senza guardarla o ascoltare la sua domanda, rapito dalle parole di Blake, che
ronzavano nella sua testa come un incantesimo.
Lily, alzò le
sopracciglia, poi tornò alla scatolina e l’aprì.
Un rantolo soffocato e
l’ultima aria sfuggì ai suoi polmoni, che non rispondevano più perché il cuore
non riusciva a spingere il sangue che stava diventando denso, duro come pietra:
era come se nelle vene avesse spilli appuntiti e si stesse distruggendo dal suo
interno.
Sentì un colpo alla
testa e capì a mala pena di essere caduta per terra. Un attimo prima che i suoi
occhi cessassero di vedere, la sagoma di Clark apparve su di lei, per un
istante, poi lo vide accasciarsi al suolo, vicino a lei. Il dolore ebbe la
meglio sui suoi sensi e tutto divenne nero…
-Clark?-, Lionel non
ebbe risposta. Era stata Martha a dirgli che lo avrebbe trovato nel fienile,
sebbene il suo sguardo avesse lasciato trasparire che non si fidava di lui,
neanche dopo che le aveva detto che doveva assolutamente parlare con suo
figlio, perché era in pericolo e doveva metterlo in guardia da qualcosa.
-Clark, posso
entrare?-, domandò ancora entrando nel fienile e vedendo, in alto, una luce
verdastra, segno che il posto non era deserto.
Pensò che il ragazzo
non lo avesse sentito perché aveva nelle orecchie uno di quei diabolici lettori
mp3 che piacevano tanto ai giovani, così salì gli scalini di legno, per farsi
vedere da lui.
Quello che vide lo
lasciò per un istante di stucco, fermo e con la bocca spalancata.
C’era una pietra, per
terra, una piccola pietra che mandava luminosissimi bagliori verdi, come se
stesse prendendo energia da qualcosa. Accanto ad essa, privi di sensi,
giacevano Clark e quella ragazza dai capelli lunghi, immobili: sembrava che non
riuscissero a respirare, che fossero morti.
Subito si chinò su di
loro, scuotendoli, chiamandoli per nome, cercando di tirarli su, facendo loro
appoggiare la schiena al divano, perché non soffocassero stando distesi. Erano
totalmente assenti, la loro pelle stava assumendo un colorito bluastro… stavano
male… non era riuscito ad arrivare in tempo per fermare Lex, maledizione!
-Clark! Clark,
svegliati, figliolo!-, sentiva la sua voce agitata mentre cercava di
risvegliare il ragazzo, scuotendolo per le spalle.
-Lilyanne! Oh santo
cielo! Lilyanne! Clark!-, non si muovevano, sembravano morti… ormai era tutto
inutile…
-Martha! Martha!- urlò
disperato affacciandosi alla finestra. La vide guardare in alto, verso di lui,
impallidire e correre veloce verso il fienile.
-Che è successo?
Lionel!-, sentiva i suoi passi sugli scalini, dietro a lei.
-Martha… i ragazzi…-,
la guardò impotente, con gli occhi rossi e le mani aperte, in segno di resa
contro un evento più potente di lui.
-Santo Dio Lionel!
Butta via quella pietra!-, le urlò la donna accorrendo e gettandosi nella sua
stessa direzione.
Lionel afferrò quella
strana pietra verde e sentì che scottava. Corse di nuovo alla finestra del
fienile e la scagliò lontano. L’aveva visto bene: era un pezzo di meteorite
verde… ma di solito non emettevano luce né erano così caldi!
Si voltò e vide Martha
al capezzale di Clark e Lily che, lentamente, si stavano riprendendo, una volta
allontanata da loro quel frammento del cielo.
Il loro incarnato era
di nuovo del colore normale e i due ragazzi riuscivano a respirare, sebbene
ancora a fatica.
Si chinò e li aiutò ad
alzarsi, facendo sedere la ragazza e aiutando Martha con Clark.
Lily aveva
un’espressione terrorizzata, respirava affannata tenendo ancora gli occhi
sgranati rivolti verso tutti loro, tremava visibilmente e, forse senza neanche
rendersene conto, cercava la mano di Clark, con la sua.
-E’ tutto finito, cara…
tutto finito…-, le disse Martha, estraendo dalla tasca un fazzoletto di bucato
e tamponandole le gocce di sudore ghiacciato che le scivolavano dalla fronte,
tenendola stretta, perché non svenisse di nuovo.
-E’ tutto finito…
Calma, tesoro… calma…-, era l’abbraccio di una mamma, quello, e Lily lo
riconobbe e iniziò a singhiozzare, sfogando il terrore che aveva dentro,
voltandosi verso il suo petto e bagnando con le sue lacrime la maglia di
Martha.
Lionel, chino su Clark,
lo guardava esterrefatto: anche il ragazzo si stava riprendendo, anche lui
cercava la mano di Lilyanne, il suo respiro era già tornato quasi alla
normalità.
Clark incrociò lo sguardo
di Lionele non disse niente, ma si appoggiò
a lui, per tirarsi su, e qualcosa dentro di sé gli fece capire che non era lì
come nemico, ma solo per aiutarlo davvero.
-Grazie…-, disse
soltanto, e si dedicò a Lilyanne, lasciando che sua madre si alzasse e pensasse
a come liquidare Lionel.
-E’ successo di nuovo…
Clark… è successo di nuovo!-, ripeteva piano Lily, con voce spezzata.
Clark si abbassò su di
lei e le prese la mano, portandola alle sue labbra e baciandola.
Le sorrise sollevato:
tutto sarebbe andato bene.
Ora aveva le risposte che
cercava.
[i]
(1) Ah Ah Ah!!! Concedetemi questa ghignata!!!!
[ii]
(2) Tiger, di William Blake. Secondo
me è una poesia che si adatta perfettamente bene alla natura di Clark, al suo
essere venuto dalle stelle, da lontano; alla materia misteriosa del suo corpo,
alla forza dei suoi pensieri…
La tigre
Tigre, Tigre, fiamma iridescente
nelle foreste della notte,
quale immortale occhio o mano
ha potuto forgiare la tua paurosa perfezione?
In quali abissi o cieli lontani
bruciò il fuoco dei tuoi occhi?
Su quali ali osa levarsi?
Quale mano osa afferrare il fuoco?
E quale braccio, e quale arte,
poté piegare i nervi del tuo cuore?
E quando il tuo cuore cominciò a battere,
quale orribile mano e quali orribili piedi?
Quale il martello? quale la catena,
in quale fornace scaturì il tuo cervello?
Quale l’incudine? quale orribile stretta
osò stringere i suoi funesti terrori?
Quando le stelle scagliarono le loro lance
e bagnarono di lacrime il cielo,
lui sorrise vedendo il suo lavoro?
Chi creò l’Agnello creò anche te?
Tigre, Tigre, fiamma iridescente
nelle foreste della notte,
quale immortale occhio o mano
ha osato forgiare la tua paurosa perfezione?
(traduzione a cura di Roberto Marchi, fonte: http://www.ilfoglioclandestino.it/11%20-%20blake.htm)
Le prime nuvole
sfilacciate iniziavano a mutare dal bianco al rosa, mentre in alto il cielo si
tingeva di un azzurro più intenso, che preludeva alla sera. Nel fienile, ormai
vuoto, un soffio di vento agitò i fogli del libro di letteratura di Clark,
abbandonato sul divano e asciugò ogni traccia delle lacrime versate da Lilyanne
sulle assi di legno del pavimento. Martha e Lionel li avevano aiutati a
scendere dal loft e ad arrivare fino in casa, dove erano stati fatti accomodare
sul divano, coperti con alcuni plaid caldi, in attesa di altro tè.
Lily e Clark si
guardavano in silenzio, non sapendo come iniziare un qualsiasi discorso che,
ormai, assumeva un sapore totalmente diverso tra loro.
Nei suoi occhi, Lily
portava impresso il terrore appena provato, lo sbigottimento di aver rinnovato,
dopo così tanto tempo, sensazioni che pensava di aver dimenticato, ma che la
sua carne - ora lo sapeva – non avrebbe mai rimosso. Guardava Clark e solo
allora riusciva a capire quanto fosse vera ogni singola parola che il ragazzo
le aveva detto da quando si erano conosciuti: per un po’ aveva pensato che
mentisse, dicendole che anche lui aveva provato lo stesso dolore quando era
stato a contatto con una roccia meteoritica, ma poi lo aveva visto agonizzare
accanto a lei, solo pochi minuti prima, soffrire e tenderle la mano, per darle
conforto e per cercare il suo. Aveva visto le vene della sua mano scurirsi e
ingrossarsi, proprio come era accaduto a lei, e aveva sentito, per un attimo, i
loro corpi unirsi in un qualcosa che trascendeva le loro essenze terrene.
La sua mano piccola e
gelida trovava conforto, stretta tra le sue, che le portavano quel calore che
disperava di poter più provare.
Lionel, da un angolo
tra il salotto e la cucina, li guardava attonito e silenzioso, non riuscendo a
capacitarsi di quello a cui aveva assistito, ignorando totalmente le parole
affannate di Martha, che cercava giustificazioni improbabili all’accaduto,
ripetendogli che qualcosa nei muffin che aveva preparato per merenda doveva
essere avariato, che era per quello che si erano sentiti male i “suoi ragazzi”,
che non c’era più motivo perché lui si preoccupasse e rimanesse lì, con “tutte
le cose che aveva sicuramente da fare!”
-Martha, ho visto con i
miei occhi quella ragazza e tuo figlio che avevano smesso di respirare e, a
meno che tu non abbia preparato per loro dei dolcetti al cianuro, credo che
quello che hanno mangiato non c’entrasse assolutamente niente con la loro
condizione…-, le disse Lionel piano, avvicinandosi a lei, senza farsi sentire
dai ragazzi.
Martha lo guardò con
espressione persa, per un istante, poi la sua mente inventò altre scuse, altri
appigli…
-Allora… allora deve
essere stato qualcosa che…-
-Martha! Quella ragazza
aveva un taglio profondo sulla fronte, quando sono salito nel fienile! E ora
quel taglio non c’è più: si è richiuso sotto i miei occhi mentre stava
riprendendo colore… dopo che mi hai detto di allontanare quella pietra…-
Martha impallidì e non
seppe trovare parole per giustificare quello che Lionel aveva visto: non era
mai stato così difficile nascondere la verità, se Jonathan era vicino a lei, ma
era da sola, in quel momento. Solo lei, Lionel e l’orrore per quello che poteva
accadere. Deglutì e abbassò lo sguardo, distraendosi cercando delle tazze
pulite.
-Martha! Cos’è successo
dentro quel fienile? Cos’avevano Clark e Lilyanne?-, si era avvicinato a lei e
l’aveva presa delicatamente per un braccio, facendola voltare, facendole
accelerare il cuore, forse per la paura, forse per vecchi ricordi sopiti che in
quell’attimo tornarono alla sua memoria.
Rimase in silenzio, con
la schiena poggiata al frigorifero, fissando i suoi occhi in quelli dell’uomo
che aveva appena salvato suo figlio.
Un rumore e la porta
sul retro si aprì. Lois, stracarica di pacchetti della spesa, apparve in
cucina.
-Che cosa sta facendo
alla signora Kent?-, ringhiò a Lionel Luthor vedendo che stava trattenendo la
sua mamma preferita attaccata al frigo e spaventandola.
Poggiò i pacchetti sul
tavolo e si avvicinò a Lionel, che aveva lasciato la sua presa.
-Che sta succedendo
qui?-, disse voltandosi e vedendo in salotto Clark e Lily imbacuccati nelle
coperte e pallidi.
-Miss Lane! Le posso
spiegare che…-
-Se non ricordo male,
l’ultima volta che ci siamo incontrati, signor Luthor, lei indossava una tutina
arancione e mi minacciava da dietro le sbarre di una cella di isolamento! Lei
ha fatto saltare in aria la casa dove si era rifugiata mia cugina Chloe, perché
aveva scavato troppo nella melma del suo passato: questa non è casa mia, ma ora
la invito caldamente ad uscire da questa casa e a non mettervi più piede, sono
stata chiara?-, Martha non aveva mai visto Lois così arrabbiata e ferma nelle
sue parole, né aveva mai scorto quell’espressione smarrita sul volto fiero di
Lionel. Lo vide abbassare lo sguardo e prendere aria, senza risponderle a tono,
come tutti i presenti nella stanza si aspettavano che avrebbe fatto. Si voltò
e, salutando con un cenno della testa Martha, Clark e Lily, che erano apparsi
all’ingresso della cucina, uscì di casa richiudendo la porta e la zanzariera
alle sue spalle.
Lionel alzò le
sopracciglia, fece qualche passo inspirando l’aria frizzante della sera, alzò
gli occhi verso la grande finestra del fienile e si diresse verso la strada,
dove la sua limousine lo attendeva ormai da molto tempo. Poi si arrestò un
attimo, richiamato da qualcosa che luccicava nella polvere davanti al granaio.
Fece qualche passo e si chinò: il frammento di pietra verde giaceva per terra,
privo della luce e del calore che aveva avuto solo poche ore prima. Lo strinse
tra le sue mani e sorrise appena. Si alzò e, infilando la pietra nella tasca
del suo cappotto di cashmere nero, pensò che era riuscito a collocare una
tessera in più nel puzzle che stava cercando di ricostruire della vita di Clark
Kent e Lilyanne Leibniz.
Domanda no. 1
Chi è Clark Kent e da dove viene?
Lois si avvicinò a
Martha e le mise una mano sulla spalla, guardandola preoccupata, poi si voltò
verso Clark e strinse appena gli occhi: non lo aveva mai visto così stanco. Anche
Lily, accanto a lui, aveva l’espressione sconvolta.
-Va tutto bene, Signora
Kent?-, chiese con calma, poi si voltò verso Clark, sgomenta, minacciosa come
una leonessa ferita, -Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo in questa
casa?-
Vide i tre palleggiarsi
con lo sguardo la risposta che cercava, e, quando tutti e tre aprirono bocca in
contemporanea, capì che non avrebbe mai saputo la versione ufficiale dei fatti.
-Sono caduta dalle
scale…-
-Ci eravamo persi nei
campi…-
-Lionel era qua per
riscuotere un prestito…-
Martha, Clark e Lily si
guardarono nuovamente con occhi diversi e sgranati, Lois osservò tutti e tre e
si voltò, inspirando lentamente.
-Spero che non me ne
vorrete se ho scacciato Lionel Luthor dalla vostra casa… ma visto che avete
tutti le idee un po’ confuse, perdonatemi, tolgo il disturbo e vado a farmi una
doccia, che sono stanca e sudata, dopo la coda al supermercato. Sono sicura che
quando tornerò giù vi sarete messi d’accordo su quello che è successo…-, sfilò
davanti a loro guardandoli uno ad uno con occhio indagatore e salì al piano di
sopra. Quando fu udibile il rumore dell’acqua che scrosciava nella doccia,
tutti e tre ripresero fiato e si sedettero intorno al tavolo di cucina,
cercando di capire cosa fosse davvero successo.
Martha, sempre
preoccupata per le condizioni del figlio e della sua ragazza, domandò subito
loro come stessero: anche lei non aveva mai visto Clark accusare così tanto gli
effetti del meteorite verde.
-E’ stata dura,
mamma…-, rispose semplicemente il ragazzo, -Non pensavo che potesse farmi così
male… non era mai stato così forte…-
Sulla fronte di Lily
c’era una grossa macchia di sangue: ora che Lionel era andato via, Martha si
alzò e prese un panno umido, per medicare la ragazza. Vinse la sua reticenza e
la fece accomodare alla luce, iniziando a ripulire la ferita, ma subito si
accorse che Lionel aveva ragione.
Spalancò lentamente la
bocca e poi abbassò lo sguardo sugli occhi di Lily.
-Cosa c’è, signora
Kent… perché mi sta guardando così? Cosa…?-
-La ferita, Lily… non
c’è più…-, rispose Martha, passando un’ultima volta il panno sulla pelle
intatta della ragazza.
-Signora… forse c’è
qualcosa che dovrebbe sapere su di me…-, disse Lily lanciando un’occhiata
disperata verso Clark e sperando che Martha non iniziasse ad urlare sconvolta
da quello che le stava per dire.
-… è vero che sai anche
volare?-, le domandò invece Martha, con voce tremante, guardandola come se
fosse una figlia che fa la sua apparizione in chiesa vestita da sposa, con il
cuore che le batteva forte, perché solo allora le tornavano in mente le parole
di Clark e l’emozione nei suoi occhi, quando le parlava di Lily, solo la sera
prima.
Domanda no. 2
Clark Kent è un ragazzo diverso dagli altri? Quali sono le sue abilità?
Lilyanne sgranò gli
occhi non aspettandosi una domanda del genere e, di nuovo, cercò aiuto
voltandosi verso Clark, che si avvicinò a lei e la abbracciò, tenendole il capo
la sua testa stretto su di lui.
-Mamma, Lily è troppo
agitata per rispondere a domande così dirette… forse è meglio capire prima come
mai quel pezzo di kryptonite ha agito in modo così diverso dalle altre volte…-
-Kryptonite?-, chiese
Lily staccandosi da Clark.
-Sì… insomma, il
meteorite… lo… chiamiamo così…-, rispose Clark accorgendosi di aver accelerato
i tempi, poi riprese, - Tra pochi minuti Lois sarà di nuovo in giro e non
possiamo assolutamente permettere che sappia qualcosa di quello che è successo…
Mamma, dov’è il meteorite, ora?-
Martha impallidì:
-Lionel… è stato lui a scagliarlo lontano…-
-Lionel quindi ha
capito che…-
-Non so se ha capito
quello che può fare su di te… su di voi… il meteorite, ma di certo ha visto un
piccolo frammento di pietra illuminarsi e lampeggiare!-
-Lampeggiare?-, Clark
era sconvolto: non solo non capiva come fosse accaduta una cosa simile, ma
soprattutto non ricordava nulla di tutto ciò, segno che quella volta aveva
perso i sensi…
-Sì… era come se… -
-Come se la pietra
risucchiasse tutte le nostre energie, signora Kent?-, Clark e Martha guardarono
Lilyanne stupiti dalle sue parole, che sembravano essere le uniche adatte per
spiegare quello che era accaduto. Poi riprese.
-Greg… Greg era un mio…
amico, signora Kent, una volta mi salvò dagli effetti di una pietra… disse che
era come se stesse succhiando via la vita dal mio corpo… ma non parlò di luce o
calore…-, abbassò lo sguardo e sentì una piccola fitta nel suo cuore: Greg era
un amico, solo un amico, l’amico più caro che avesse avuto, l’unico che le
avesse rubato il cuore. Fino ad allora.
-Se fosse così, allora
si spiega come mai perdo i miei poteri quando sono a contatto con la kr.. con
il meteorite: forse l’effetto è stato più forte, come se avesse più energia a
cui attingere e accrescesse la sua forza rubandola a noi, proprio perché
eravamo in due… -
Lily si alzò in piedi,
lasciando che la coperta scivolasse per terra. Puntò le mani sul tavolo e si
allungò verso madre e figlio. La sua espressione era decisa, ma le sue labbra
tremavano.
-Due cosa? Noi due siamo uguali, Clark, sei tu a dirlo. Lo hai detto
anche a tua madre, a quanto ho capito, ma non mi hai ancora detto cosa siamo. Siamo dei mostri? Degli
esperimenti venuti male? Siamo due aberrazioni cromosomiche viventi oppure
siamo… siamo stati contagiati da questi stessi meteoriti, come diceva Chloe?
Cosa siamo io e te, Clark?-
In alto, dalle scale,
riapparve Lois: indossava dei pantaloni blu di una tuta, una felpa rossa e si
tamponava i capelli con un asciugamano.
Passò di nuovo davanti
a loro tre, che la guardarono senza parlare, e aprì la porta del frigorifero,
per prendere del succo di arancia.
-Continuate pure a
parlare!-, disse in tono ironico, -Mi pare di aver interrotto qualcosa di
importante…-, lanciò un sorrisino a Lily e strizzò l’occhio a Clark.
-Mrs K, forse è meglio
lasciarli da soli, questi due piccioncini imbranati, che ne dice?-, passò
accanto a Martha e la guardò con veemenza, invitandola ad uscire in veranda,
per assaporare gli ultimi raggi di sole rosso.
Domanda no.3
Che relazione c’è tra Clark Kent e il siero sperimentale “Lazzaro”
prodotto nel Livello 3?
-Clark, aspetto una
risposta…-, Lily non si era scomposta per l’apparizione di Lois e continuava a
investire Clark con la forza del suo sguardo violetto.
Lui deglutì: non era
ancora pronta per la verità che doveva conoscere…
-No… non è ancora il
momento…-
-Che significa che non
è ancora il momento? E’ una vita intera che la gente vuole dirmi cosa fare e
cosa non fare, che mi nascondo dietro questa maschera da ragazzina per bene! Io
non ne posso più! Non posso pensare che anche tu mi stai tenendo altri segreti!
Basta, Clark, io pretendo che tu mi risponda, adesso!-
Clark si avvicinò a lei
e la abbracciò, ma Lily si divincolò e non gli permise di toccarla.
-Lily ti amo e non
voglio perderti, ma questo non è il momento per parlare di queste cose. C’è
Lois fuori e non deve assolutamente sentire o essere nei paraggi…-
-Ma cosa diavolo mi
devi dire di così difficile, Clark? Non capisci che io vivo nell’angoscia di
quello che posso scoprire su di me? Cavolo… so volare, Clark! Non credo che sia
“normale”! Le mie ferite si curano da sole, sul mio collo c’è lo stesso simbolo
delle grotte…e poi tu… Clark… io non posso più aspettare… ti prego…-
Clark deglutì e si
avvicinò a lei, le prese le mani e la guardò negli occhi. Dipendeva tutto da
quel momento, dalla sua reazione…
-Io e te, Lily, siamo…-
Una chiamata sul
cellulare che teneva nei jeans fece sobbalzare Clark, che lasciò le mani di
Lily e immediatamente lo tirò fuori dalla tasca, guardando prima lui, poi Lily,
sorridendo imbarazzato, sollevato, colpevole, preoccupato.
-… è Pete…-, disse
candido a Lily.
Lei sosprirò, scosse la
testa e si sedette. Rassegnata. Non era destino sapere quella sera cosa diavolo
fossero lei e il ragazzo che desiderava così ardentemente…
Clark si allontanò
appena e rispose al telefono, ascoltando le parole concitate di Pete. Quando
chiuse la comunicazione il suo sguardo era agitato.
-Che è successo?-,
domandò Lily vedendo la sua espressione.
-Chloe… E’ scoppiato un
incendio nella scuola e Chloe era ancora lì ad impaginare il giornale per
domani… Lily, perdonami, devo andare…-, si voltò verso l’ingresso principale di
casa, per uscire senza che Lois si accorgesse di lui, quando sentì un lieve
tocco sulla sua spalla.
-Vengo con te…-, gli
disse Lily, ed insieme schizzarono via dalla fattoria alla supervelocità, diretti
al liceo di Smallville.
Domanda no.4
Chi è Lilyanne Leibniz? Come sono morti, realemente i suoi genitori?
***
Le dolci note di Chopin
suonate al pianoforte a coda da Yoko Mitsuni, chiamata per l’occasione dalla
Filarmonica di New York, rendevano l’atmosfera nel salone del Castello dei
Luthor quasi rarefatta, magica. Le delicate tartine al caviale e quelle al
tartufo venivano consumate con elegante velocità dalla ventina di invitati al
piccolo party che Lex aveva organizzato per festeggiare un importante contratto
commerciale andato a buon fine. Venti persone riunite alla sua mensa, venti
testimoni della sua raffinata innocenza.
Il cellulare cromato
vibrò nella tasca interna della sua giacca di Armani.
Lex si diresse con
calma verso la terrazza che dava sul retro del parco dispensando sorrisi
ospitali ai presenti e rispose. Una voce distorta da un dispositivo elettronico
parlò.
-La torcia è stata
accesa e il pacco ritirato, come mi avevi chiesto-
Mentre riponeva il
telefono al suo posto nella tasca, un diabolico sorriso obliquo si dipinse sul
volto sbarbato di Lex. Passò una mano sulla sua testa lucida e rientrò nella
sala, prendendo al volo una flute di champagne e riprendendo la sua
conversazione in tedesco.
***
Domanda no.5
Che legame c’è tra Clark Kent e Lilyanne Leibniz? Cos’hanno in comune
tra loro?
Pete era passato dalla
scuola per cercare di chiarire con Chloe quello che lei voleva sapere circa
Clark: le avrebbe detto che Clark le voleva così tanto bene, che teneva così
tanto a lei che non l’avrebbe mai messa in pericolo raccontandole qualcosa che
voleva che rimanesse nascosta. Le avrebbe mentito, dicendole che lui sapeva
solo una parte della verità su Clark, e che l’aveva scoperta per caso,
spiandolo una volta al secondo anno.
Aveva trovato l’ingresso
sbarrato dai pompieri che cercavano di spegnere un violento incendio divampato
nella palestra del Liceo e che stava estendendosi verso i laboratori del primo
piano e la sede del Torch.
Aveva provato ad urlare
loro che c’era qualcuno dentro, ma non era stato creduto: a quell’ora la scuola
era vuota e le porte di ingresso erano chiuse a chiave e gli allarmi inseriti.
Ma lui sapeva che Chloe era là dentro, e che era in pericolo.
Clark fermò la loro
corsa poco distante, per evitare che i vigili del fuoco li vedessero, poi si
avvicinò verso il suo amico Pete, seguito da Lily, che era rimasta un poco in
disparte.
-Clark! Chloe mi voleva
vedere… lei sta facendo troppo domande su di te… ha capito che io so tutto… ne
sono certo: è là dentro..-
Quando Pete vide che
Clark non era solo, rimase per un istante basito.
-Pete… Lily… mi aiuterà-,
disse Clark e Lily gli sorrise visibilmente eccitata dall’idea di potersi
rendere utile.
Pete vide Clark e Lily
dividersi i compiti. Era come stare in un cartone animato, o in un film
hollywoodiano sui supereroi della Marvel [i] (1): Clark guardò
all’interno della scuola con la sua vista a raggi X, mentre Lily, poco
distante, prese aria e con un soffio potentissimo allontanò le fiamme
dall’ingresso della scuola, lasciando basiti i pompieri che si affrettarono ad
aprire per fare irruzione nei corridoi e arrivare là dove l’incendio traeva
forza.
Immediatamente dopo
entrambi i ragazzi scomparvero come razzi dentro l’edificio, lasciando Pete da
solo nel parcheggio, ad osservare la scena.
-Potevate lasciarmi
almeno dei pop-corn!-, disse tra sé, sollevato, sapendo che adesso sarebbe
andato tutto a posto.
Nell’edificio il fumo
denso e acre nascondeva alla vista ogni cosa e faceva lacrimare gli occhi.
-Vai, Lily!-, disse
Clark, e, come quella volta nel rifugio anti tempesta, la sua ragazza soffiò
così forte da dileguare la cappa fumosa che li rallentava.
Corsero ancora fino al
Torch e, con la sua vista speciale, Clark vide una persona per terra, nella
stanza. Si affrettò a buttare giù la porta e Chloe, apparentemente senza vita,
apparve ai loro occhi, distesa per terra, sporca di fumo e immobile.
Clark la prese in
braccio e seguì Lily fuori dall’edificio, mentre lei gli apriva la strada.
Una trave del solaio
del piano di sopra, ormai distrutta, crollò sopra le loro teste, ma la ragazza
fu più veloce e riuscì a fermarla con le sue mani, guardando Clark attonita per
quelle cose che non avrebbe mai pensato di saper fare.
Quando furono fuori,
Pete corse subito nella loro direzione, mentre gli altri soccorritori, non
accorgendosi di loro, stavano prendendo le pompe per bloccare le fiamme nella
palestra e al piano terra.
Chloe, distesa per
terra, aprì gli occhi lentamente, poi fu squassata da violenti colpi di tosse e
li richiuse, cercò un appiglio per
tirarsi un po’ su: trovò le mani forti di Clark che la sorressero e le
riconobbe, le mani che tante volte l’avevano salvata dal pericolo.
Si sollevò, con gli
occhi gonfi di lacrime per lo spavento ed il fumo e fu assalita da Pete, che la
abbracciò stretta, così sollevato per il pericolo che la sua adorata amica
aveva corso.
Chloe si aggrappò a lui
per alzarsi in piedi e vide davanti a sé Clark e Lily, entrambi con i vestiti
laceri e bruciati in più punti, e i volti sporchi di fuliggine.
Allungò una mano verso
il viso del suo antico amore e gli fece una carezza, sorridendogli grata, poi
guardò Lily.
-Mi avete salvata
ancora una volta… grazie…-
Clark abbassò lo
sguardo, si voltò verso Pete e verso Lily e scosse la testa.
Non era più giusto che
Chloe non sapesse nulla di lui: le avrebbe parlato, ma non con Lily presente.
Non avrebbe saputo così
la verità su se stessa.
Domanda no.6
Cosa sta cercando da Lilyanne Leibniz e da Clark Kent? E’ vero quello
che Robert Greedy dice su di loro?
Pete si occupò di
portare Chloe al pronto soccorso per una rapida visita di controllo. Lei si
accertò che Clark non dicesse nulla dell’accaduto a Lois: l’ultima volta sua
cugina si era preoccupata troppo e non voleva che accadesse di nuovo.
Quando Clark
l’abbracciò, salutandola prima che l’auto di Pete partisse verso lo Smallville
General Hospital, lei lo ringraziò ancora. Nella sua voce delle sfumature che
non aveva mai sentito. Clark si avvicinò al suo orecchio e le bisbiglio le
parole che da troppo tempo lei voleva sentire.
-Chloe, ti giuro che
domani io e te parleremo… non torturare più Pete… penso che sia arrivato il
momento che tu sappia tutto, ma voglio essere io a dirtelo…-
Attese che la vecchia
Mustang sparisse dietro una curva e si voltò verso Lily. Era esausto e pregò
che almeno lei non ritornasse all’attacco con le sue domande.
Lily lo guardava con
occhioni increduli per quello che era successo: i suoi abiti erano rovinati ed
i capelli tutti arruffati. Aveva una macchia di fuliggine sul naso… era così
bella.
Si avvicinò
strappandosi un lembo ancora intatto della maglietta blu e lo passò
delicatamente sul suo volto per pulirla.
Lily prese la sua mano
e lo fermò.
-Io vorrei… andare a
casa-, gli fece capire che preferiva andare da sola. Prima di sparire si voltò
di nuovo verso di lui.
-Ho capito cosa siamo
io e te, Clark e per ora mi basta questo…-, gli disse, e vide che lui stringeva
gli occhi cercando di capire cosa intendesse.
Si voltò e iniziò a
camminare lentamente verso casa sua.
-… siamo una squadra…-,
disse ad alta voce quando fu più lontana e, senza aver bisogno di guardarla in
volto, Clark seppe che stava sorridendo.
Domanda no.7
Che relazione c’è tra Clark Kent e le grotte di Cowichan? E cosa sa il
Dottor Virgil Swann su Clark Kent?
Clark rientrò in casa cercando
di fare più piano che poté.
Sedute a tavola, in
cucina, sua madre e Lois avevano entrambe la faccia scura. Quando lo videro
arrivare, Lois fu la prima a scattare in piedi, imbufalita.
-Devi essere proprio
stupido, Smallville, a scappare così da casa lasciando il tuo telefono in
cucina! Ti abbiamo cercato per un’ora!-
-Dov’eri, Clark… e
dov’è Lilyanne? Cos’è successo? Perché ve ne siete andati via…-
-Tua madre era
preoccupatissima per te! Possibile che non ti importi di quello che fai passare
a chi ti vuole bene?-
-Ehi ehi ehi! Calmatevi
tutte e due! Va tutto bene! Io ho… solo riportato Lily a casa…-
-E con quale mezzo di
trasporto lo avresti fatto? Hai preso una coppia di buoi e li hai legati ad un
carretto?-, Lois era fuori di sé, come se cercasse di sfogare la sua rabbia.
Era dal pomeriggio che c’era qualcosa di strano anche in lei, ma Clark era
troppo stanco per cercare di capire cosa fosse.
-No, l’ho messa in
spalla e ho camminato!-, le rispose sarcastico, poi scosse la testa, lanciò uno
sguardo più eloquente di mille scuse a sua mamma, e salì verso la sua camera,
senza cenare.
-Ci dormo io, là…-, protestò
Lois dal basso.
-Non stanotte…-,
rispose Clark salendo, senza voltarsi.
Lois lo fissò mentre
spariva al piano di sopra con occhi sgranati, poi si voltò vero Martha Kent e
le sorrise imbarazzata.
-Avrei bisogno di
parlare con lei, Signora Kent…-, disse abbassando gli occhi.
Domanda no.8
Cosa sa Clark Kent delle tre pietre che portano al segreto della
conoscenza?
Quando Jonathan rientrò
in casa fu sorpreso di trovare un biglietto per lui, scritto da Martha,
appiccicato sulla porta del frigo. Tutta la casa già dormiva.
Lo lesse e aggrottò le
sopracciglia, poi fece qualche passo verso il salotto e vide che sul divano
c’era una coperta pulita, il suo cuscino e il suo pigiama che Martha gli aveva
regalato a Natale. Per terra, le sue pantofole e, sul tavolino, le sue pillole
per il cuore, accanto ad un bicchier d’acqua. Clark non era lì.
Per la prima volta da
quando viveva in quella fattoria, Jonathan Kent era stato esiliato a dormire in
salotto.
“E’ stata una giornata
complicata…”, gli aveva scritto sul foglio Martha, ma non aveva specificato
come mai nel suo letto, al suo posto, quella sera ci fosse Lois, e come mai Clark era tornato in
camera sua…
Prese le pillole, sfilò
gli scarponcini e si sedette sul divano, rassegnato.
La pendola davanti a
lui rintoccò annunciando che erano già le undici di notte.
Domanda no.9
Quali sono i punti deboli di Clark Kent, e cosa nasconde la sua
famiglia?
***
Stavano servendo alcune
fette di Sacher Torte, quando la porta del salone del Castello dei Luthor si
aprì violentemente, lasciando tutti esterrefatti.
Un uomo con una felpa
scura con il cappuccio irruppe nella stanza tenendo una mano premuta contro la
testa.
La sicurezza lo seguì
immediatamente, cercando di bloccarlo.
Parlava a malapena,
urlava dal dolore alle tempie.
-Che mi hai fatto?? Che
mi sta succedendo??-
Lex si avvicinò
all’intruso, scusandosi con i presenti. Fece appena in tempo a cogliere nei
suoi occhi un barlume di terrore, che questi cadde a terra con un tonfo sordo,
immobile.
Lex scoprì il suo
volto, allontanando il cappuccio, fece un cenno alle guardie di chiamare
un’ambulanza e tastò la giugulare dell’uomo.
Il maggiore Michael
Sawyer era morto.
Proprio come aveva
previsto.
Fece in modo che le sue
guardie rimuovessero il più rapidamente possibile il corpo e ritornò tra i suoi
ospiti stranieri, che non avevano compreso molto di quello che era accaduto e
che non trovarono difficile riempire nuovamente i loro calici di champagne e
tornare a parlare d’affari.
Alla polizia che giunse
poco dopo, Lex raccontò che non sapeva chi fosse quel pazzo visionario e che
non era stato possibile tentare alcuna operazione di soccorso su di lui,che
doveva essere stato colto da arresto cardiaco. Non aveva documenti con sé, così
fu archiviato come uno degli svariati clochard che sovente irrompevano nelle
ville dei ricchi, sperando di brillare della loro luce riflessa.
Gli ospiti confermarono
la sua versione e che lui era sempre stato assieme a loro, dal tardo
pomeriggio.
Li salutò con
cordialità quando lasciarono la sua villa sulle loro auto di lusso e si chiuse
nel suo studio.
Sulla sua scrivania,
accanto al suo computer portatile, c’era già un pacco con su scritto “Dati personali
– Top Secret”
Estrasse il dvd che
aspettava e lo mise il disco nel pc, abbassò le luci nella stanza e serrò le
porte usando i comandi della consolle che aveva vicino a sé.
Sullo schermo, dopo un
disturbo iniziale, apparve il volto bendato di suo padre.
Lex sorrise soddisfatto
e si mise comodo sulla sua poltrona di pelle…
Domanda no.10
Può davvero la roccia meteoritica uccidere Clark Kent?
La luce entrava
prepotente dalle finestre, inondando tutta la stanza. Lionel aprì lentamente
gli occhi, feriti dai raggi del sole, una fitta più forte alle tempie lo fece
sobbalzare: non ricordava il momento in cui era rientrato in casa… si era tolto il cappotto, la giacca, le scarpe e
aveva allentato la camicia, ma non ricordava di averlo fatto. Si sollevò
mettendosi al sedere sul letto, portò le mani alla testa, come per fermare le
immagini che ruotavano vorticose attorno a lui e cercò di ricordare.
Niente.
L’ultima immagine che
aveva era la piccola pietra verde che aveva raccolto dalla fattoria dei Kent: la stava facendo rotolare nella tasca, rientrando al
villino accanto al castello.
Con un notevole sforzo
si alzò e arrivò fino alla poltrona su cui aveva abbandonato il cappotto. Frugò
nella tasca destra, ma il frammento non c’era. Provò nella sinistra, ma non era
neanche lì.
Cercò con sguardo
appannato la giacca del completo e controllò anche in quelle tasche, ma il
meteorite era sparito. Guardò l’ora alla parete: aveva perso l’incontro con Lex, non era da lui lasciarsi sfuggire l’occasione di
reclamare pubblicamente per il suo errore. Inspirò profondamente e una nuova
fitta lo colpì alle tempie. Strofinò il volto con le mani, inspirò profondamente
e si lasciò cadere nuovamente sul letto, ridacchiando tra sé e sé.
-Mi hai fregato…-, disse piano. Chiuse gli occhi e lasciò che il
sonno malsano che lo stava pervadendo lo rapisse di nuovo.
Clark si era
dimenticato di puntare la sveglia, quando era andato a letto, così non si era
svegliato per tempo e, quella mattina, aveva saltato le lezioni a scuola.
Martha non lo aveva voluto disturbare ,visto quello che gli era accaduto la
sera prima e la faccia stanca e sconvolta che aveva quando era rientrato a
casa, e lo aveva lasciato dormire tranquillo in camera sua.
Quando si era
svegliato, si era stiracchiato affondando il volto tra i cuscini che avevano un
profumo diverso da quello solito, poi aveva aperto gli occhi e aveva guardato
l’ora, schizzando in piedi sconvolto per la mattinata persa: aveva promesso a
Chloe che le avrebbe parlato e soprattutto doveva vedere Lily…
Imprecò sottovoce e
infilò velocemente i jeans e una maglietta e uscì dalla sua camera diretto in
bagno, nello stesso momento in cui Lois,
sbadigliando, appariva nel suo pigiamone dalla camera dei suoi genitori.
-Tu che ci facevi là
dentro?-, le chiese contrariato.
-Buongiorno anche a te,
Smallville-, rispose caustica Lois,
-Comunque ci dormivo, là dentro-
Clark la guardò
passargli davanti strusciando i piedi per terra.
-Cosa?? E con chi hai
dormito? … con mia madre?-
-No, con tuo padre!-, rispose
sarcastica ed entrò in bagno, rubandogli il posto.
-No, Lois… Maledizione!-, battè un
pugno contro la porta, che scricchiolò cupamente, scosse la testa e, adirato,
scese in cucina. Martha stava cuocendo delle pancakes
per lui e Jonathan si godeva una piccola pausa sorseggiando del caffè col
miele.
-Buongiorno…-,
la voce di suo padre gli arrivò vagamente critica.
-Già…-,
rispose lasciandosi cadere su uno sgabello, poi aggrottò le sopracciglia,
riflettendo, -… posso sapere che ci faceva Lois in camera vostra?-
Jonathan alzò le
sopracciglia, lasciando che fosse Martha a parlare.
-Quando tu sei andato a
letto, ieri sera Lois ed io siamo rimaste qua in
cucina a parlare per più di un’ora, aspettando tuo padre…
non me la sono sentita di far dormire quella povera ragazza sul divano!-
-La “povera ragazza” mi
ha appena chiuso la porta del bagno in faccia, ha riempito due cassetti del mio
scaffale con le sue cianfrusaglie e ha trasformato la scrivania in una vetrina
di biancheria intima…-
-Dovresti essere
contento, Smallville, o ci preferivi la tua
collezione di conchiglie polverose sopra? Vai, io ho fatto-, disse Lois laconica cedendogli il turno in bagno e prendendo il
bicchiere dove Clark si era appena versato del succo d’arancia. -Grazie!-
La guardò intensamente
e pensò che se non ci fossero stati i suoi genitori, l’avrebbe presa e
sculacciata, perché era questo che si meritava quella pettegola, antipatica,
egocentrica, strafottente…
-Guarda che non ce la
fai a fulminarmi con lo sguardo, anche se ti impegni, Smallville!-,
prese una frittella e si fece passare da Jonathan lo sciroppo d’acero.
-Ah! Queste sì che sono
delle pancakes fatte con tutti i crismi!-, disse
addentandone una e facendo segno a Clark di filare in bagno.
-Lois…-,
la rimproverò appena Martha, non osando essere scontrosa nei suoi confronti. La
sera prima Lois si era aperta con lei e le aveva
confidato cose che non avrebbe mai immaginato sul suo conto e che l’avevano
lasciata di stucco: capiva il suo atteggiamento nei confronti di Clark, ma non
lo giustificava. La questione della sua sistemazione era uno dei tanti problemi
che andavano affrontati con urgenza, perché, al momento, non avrebbe permesso
che lei dormisse in salotto, né preteso che suo figlio avesse continuato a
farlo.
Quando Clark tornò giù,
mangiò velocemente e poi andò ad aiutare suo padre alla stalla: non poteva
presentarsi a scuola a quell’ora, così decise di attendere la fine delle
lezioni. Non appena vide che erano le quattro scappò a scuola: non poteva
deludere un’altra volta Chloe, né far aspettare troppo Lily…
Mentre aspettava che la
sua amica rientrasse al Torch, mandò un altro sms a Lilyanne,
in cui le prometteva che avrebbe parlato con lei al più presto: non sapeva
quanto tempo potesse impiegare quello che doveva chiarire con Chloe, così
rimase sul vago, circa gli orari. Lily non aveva risposto al suo messaggio di
quella mattina, ma Clark era sicuro che fosse andata a scuola e quindi non era
preoccupato: sicuramente la sua classe era stata spostata nei locali del
seminterrato, mentre i vigili del fuoco provvedevano a mettere in sicurezza le
stanze del piano terra e i solai del primo piano, colpiti dall’incendio della
notte prima. Clark guardò la porta del Torch: aveva
protetto bene la sua amica dalle fiamme, là dentro, lasciando entrare solo un
gran fumo, ed ora era tutta annerita, tranne la maniglia che era stata
accuratamente pulita per entrare nella stanza. Clark immaginò la faccia di
Chloe che, con disappunto, uno straccio e del detersivo spray, quella mattina,
aveva aperto da sola la porta oltre la quale solo poche ore prima, aveva
rischiato di morire.
Quando la ragazza entrò
nella stanza del giornale, guardò Clark con un’espressione a metà tra il
sorpreso e l’arrabbiato.
-Sapevo che la tua
maggiore abilità è riuscire a stupirmi, Clark, ma non immaginavo che marinare
la scuola rientrasse nei modi per attirare l’attenzione! Cos’è… volevi fare un’entrata ad effetto?-, gli porse un
sorrisoironico e prese le sue cose. -Dove
andiamo?-, gli domandò, e non si aspettò che lui le proponesse di venire via
dalla scuola senza aver prima sistemato l’edizione del Torch
del giorno dopo, ma non seppe rifiutare e lo seguì fino alla sua auto.
-Andiamo al mulino di
Chandler Field-, le disse, e la fece salire su, -devo
dirti una cosa molto importante e non voglio che ci siano altri intorno…-
Per tutte le dieci
miglia che percorsero, Clark e Chloe non riuscirono a parlare se non di argomenti
stupidi, che contribuivano ad acuire l’apprensione in entrambi. Quando si
fermò, Chloe pose la mano sulla sua, bloccandolo per un attimo prima che
uscisse dalla macchina.
-Dopo tutti questi
anni, il mistero vivente Clark Kent sta per rivelarmi
i suoi segreti: non so se riesci a capire come mi sento in questo momento, Clark… tutta questa attesa… non
sai quanti possibili scenari mi sono costruita nella mia mente, ma voglio che
tu sappia una cosa: qualsiasi sia la verità che vorrai rivelarmi, sappi che l’affetto
che provo per te non cambierà minimamente. Tu sarai sempre il mio Clark Kent, che tu sia un serial killer, o il Messia…-,
gli fece una carezza sulla guancia e aspettò che parlasse.
-Vedi Chloe… devi sapere che in realtà io…-
***
Clark Kent, ritrovato dai coniugi Jonathan Kent e Martha Clark il 16 ottobre 1989 aSmallville,
durante la pioggia di meteoriti, viene affidato legalmente alla MetropolisUnitedCharities, orfanotrofio fondato per l’occasione da Lionel Luthor con l’unico scopo di insabbiare il ritrovamento del
giovane Clark, e in seguito dato ad essi in adozione legale. Il certificato di
nascita di Clark Kent, così come i suoi esami
ospedalieri al momento della nascita, sono falsi. Fin da bambino, Clark Kent mostra di possedere particolari abilità: dotato di una
forza molto superiore alla media, riesce a correre a velocità molto elevate;
con la pubertà le sue capacità si sviluppano fino a costringere la sua famiglia
a ritirarlo dalle squadre giovanili di football e basket. E’ escluso che queste
sue abilità derivino dall’esposizione alla pioggia di meteoriti del 16 ottobre
1989, in quanto le caratteristiche presentate differiscono da ogni altra, tra
quelle studiate nei laboratori del Livello 3. Salvo rari malori di causa non
nota, Clark Kent cresce sano e forte, senza mai
necessitare le cure dei pediatri di tutta la contea di Lowell.
I certificati di vaccinazione presentati sono anch’essi falsi. All’età di
quindici anni riesce a salvare il miliardario LexLuthor da morte per annegamento, estraendolo con modalità
tuttora ignote dalla sua auto caduta in un fiume: le indagini seguite da Lionel
Luthor non portano sostanziali risposte. Pochi giorni
dopo il fatto, viene ritrovato inerme appeso ad una croce in un campo, vittima
dei giochi goliardici di studenti più grandi di lui,in evidente stato di sofferenza. Si riprende
dall’incidente immediatamente. Poco tempo dopo viene attaccato dal coach della
sua squadra di football, così come testimoniato da alcuni atleti, ma riesce a
mostrare ancora una volta sorprendenti doti di recupero. Nello stesso anno
mostra una eccezionale forza nel salvare due persone nello stabilimento di
fertilizzazione di Smallville della Luthorcorp.
Nell’autunno del 2003, Clark Kent scopre le
grotte di Cowichan, e mostra da subito un interesse
quasi morboso verso simboli di natura ignota in essa dipinti, che lo porterà ad
esporsi in prima linea contro la distruzione delle stesse. E’ documentata la
sua presenza all’interno della sede della LuthorCorp
a Metropolis, decisiva nell’ottenere la liberazione
di Lionel Luthor e della sua segretaria Martha Kent, coinvolti in una rapina e tenuti in ostaggio dai
cinque criminali armati. In tale occasione spariscono dalla cassaforte di
Lionel Luthor un fascicolo top secret di informazioni
su Clark Kent e un manufatto metallico ottagonale,
collegato alle grotte di Cowichan, così come
dichiarato da Lionel Luthor, che afferma di aver
udito Martha Kent urlare al figlio adottivo di
tenersi alla larga dalle scorte di lingotti di meteorite contenuti nella
cassaforte dell’ufficio. Poco tempo dopo, come sua madre, Clark Kent cade vittima di una misteriosa malattia di natura
ignota: la dottoressa Helen Bryce si occupa di lui e
preleva un campione del suo sangue, andato perso. Nell’estate del 2003 Clark
scappa di casa, in seguito ad una tremenda esplosione alla sua fattoria.
Durante il suo soggiorno a Metropolis diventa
complice di Morgan Edge; tornato a Smallville riprende la sua normale vita. La disputa su un
campione di sangue da cui viene estratto il siero “Lazzaro”, prodotto nei
laboratori del Livello 3 è la causa della morte di Morgan Edge,
nelle cui circostanze LexLuthor
viene a conoscenza del segreto di Clark Kent, come
riportato da riprese video a circuito chiuso all’interno della clinica “Belle Reve” ma, in seguito ad un elettroshock, perde i ricordi ad
esso relativi. Clark Kent allaccia un rapporto
epistolare con VirgilSwann,
in seguito all’apparizione sulla porta del suo fienile di un simbolo Cowichan impresso a fuoco. Swann
ha dichiarato a Lionel Luthor di avere la chiave per
la comprensione della lingua Cowichan, che non
appartiene alla tribù nativa, ma proviene da “molto lontano” e che anche Clark Kent ne è a conoscenza e “fa parte di un disegno più grande”.
Risulta evidente che in alcuni momenti nel periodo di tempo in cui le grotte
sono state sotto la giurisdizione di Lionel Luthor,
la famiglia Kent è entrata in possesso della chiave
ottagonale, che ha dimostrato di possedere un potere realmente impressionante e
ignoto, così come è ignota la sua composizione, sebbene riconducibile al
materiale ritrovato in alcuni frammenti di meteorite. Il nome di Clark Kent ritorna in evidenza in seguito alla ricerca iniziata
da Lionel Luthor di tre elementi capaci di portare al
segreto della Conoscenza: durante il suo soggiorno in carcere, è certo che
Lionel Luthor abbia avuto tra le sue mani uno di
questi frammenti, misteriosamente scomparso in seguito alla comparsa di Clark e
al miracoloso scambio di identità tra i due. Lionel Luthor
nel corpo di Clark Kent mostra una straordinaria
forza e velocità. Nella primavera del 2005, Clark Kent
conosce LilyanneLeibniz ed
entrambi si scontrano con il paziente Robert Greedy. Greedy dichiara che sia Kent che
la Leibniz sono dotati di forza e velocità
straordinarie e che la Leibniz è capace di “fare
fuoco” dagli occhi. Le indagini sulla morte in circostanze misteriose dei
genitori di LilyanneLeibniz
e di un giovane loro ospite conducono ad una violenta esplosione prodotta da
una sorgente di energia termica estremamente concentrata e potente, che ha
colpito l’impianto del gas nella loro abitazione a Gotham
City. La ragazza esce illesa dall’incidente e viene subito sottratta alle
indagini dal suo tutore legale, che la fa seguire presso un centro
specializzato, fino a quando non la fa trasferire a Smallville.
Da documentazione fotografica risulta che la Leibniz
sia anch’essa correlata ai misteri Cowichan, in
quanto ha un simbolo presente sulle pareti delle grotte tatuato sulla schiena.
Da recenti sviluppi, è certo che la roccia meteoritica sia letalmente
pericolosa per la salute di Clark Kent e di LilyanneLeibniz, portandoli a
soffrire come per una istantanea reazione di tipo allergico del sangue nelle
loro vene, effetto che sembra svanire una volta allontanata la fonte meteoritica
da loro. Se in presenza del meteorite, i due soggetti risultano privi di forze,
non riescono a respirare e provano dolori atroci diffusi per il corpo, come per
un shock anafilattico, fino a perdere i sensi. La causa di questi sintomi,
attribuiti alla roccia verde, è però dubbia, in quanto non sono stati
riscontrati prima d’ora casi di allergie così importanti a composti inorganici
come i minerali.
Lex
abbassò il fascicolo che aveva riletto per la terza volta e piantò i suoi occhi
su quelli del Dottor Jamison, seduto impaziente
davanti a lui.
-Tutto qua?-, domandò
con calma apparente.
-Questo è il profilo
emerso dalle informazioni fornite da lei, suo padre, Robert Greedy
e altri pazienti del Belle Reve, supportate dai
documenti ufficiali della polizia di Smallvillee…-
-Questa pietra sarebbe
l’unica cosa capace di fermare “gli invincibili Clark Kent
e LilyanneLeibniz”?-,
chiese rigirandosi tra le mani il frammento di meteorite prelevato dalle tasche
di Lionel.
Jamison
alzò appena le sopracciglia, come ad indicare che aveva previsto il fallimento
di quella ricerca.
-A parte l’aver
scoperto che l’adozione di Clark è stata facilitata da mio padre, cosa che
dovevo peraltro aspettarmi, vista la longamanus di cui si è sempre dimostrato dotato, queste carte non
mi forniscono alcun dato in più circa il segreto che lui nasconde relativamente
alle iscrizioni sulle grotte o alla ricerca dei tre elementi! Solo inutili
appunti su come lui e la sua nuova fidanzata si siano già cacciati nei guai
svariate volte e questa loro misteriosa intolleranza a questo minerale… cosa me ne faccio…-,
scosse la testa. Jamison si accorse che stava per
scoppiare e lo precedette.
-Forse…
forse signor Luthor, la loro predisposizione agli
effetti del meteorite potrebbe essere sfruttata nei nostri esperimenti: molti
dei nostri… pazienti non hanno affatto risposto alla
sostanza, magari nel loro caso potremmo ottenere risultati migliori e poi… non ha pensato che potrebbero avere entrambi dei
poteri temporanei derivanti dall’esposizione al meteorite, come se… avesse l’effetto di un farmaco, o di una droga su di loro…-
Lex
scosse la testa e si alzò, guardando fuori della vetrata che dava sulla
fontana, nel parco del castello.
-Chiudiamo qua il
capitolo Clark Kent. Ci serviremo di lui solo per arrivare
alla ragazza. Sarà lei la nostra prossima paziente-, si voltò versoil dottore, - Sono stato chiaro?-
L’uomo scosse la testa
annuendo.
-Come devo procedere per…-
-Lasci fare a me,
dottor Jamison: le fornirò io la paziente a tempo debito… prima voglio vedere con i miei occhi se quello che
c’è scritto su questo fascicolo è vero…-
Congedò lo scienziato
con un cenno del capo e si sedette nuovamente sulla sua poltrona di pelle,
sfogliando le pagine che riassumevano la vita di Clark.
-Qualunque strada batta,
sei sempre un passo avanti a me, Clark. Non voglio sapere cosa sei: ti
preferisco come alleato, che come nemico… ma se la
tua amichetta è proprio come te, avròlo
stesso quello che cerco da troppo tempo…-, mosse il
mouse del suo laptop e digitò una password: davanti a lui si formò l’immagine
di qualcosa di indistinto, che sovrastava il cielo del Kansas.
Zoomò e centrò
l’immagine e una ghigno simile ad un sorriso si dipinse sul suo volto: LilyanneLeibniz e Clark Kent, teneramente abbracciati, erano sospesi in volo a
cinquecento piedi d’altezza, lasciando che i loro capelli e gli abiti
svolazzassero alla brezza della sera.
***
Chloe fissava un punto
indistinto davanti a sé, oltre il parabrezza dell’auto dalla quale non erano
mai scesi. Teneva le mani in grembo, torturandosi un’unghia scheggiata, senza
neanche rendersene conto. Sentiva il respiro di Clark, nell’auto accanto a lei,
e i suoi occhi fissi su di lei, in attesa di una parola da parte sua, di un
qualsiasi segno.
Il suo cuore batteva
come rallentato, si sentiva come un computer in attesa che terminasse un
processo troppo pesante per la sua cpu.
Quello che Clark le
aveva detto e che di primo riflesso aveva trovato assurdo, quasi al punto di
essersi sentita presa in giro un’ultima, colossale volta, era permeato nella
sua mente riaccendendo tutte le fantasiose ipotesi che, nel corso degli anni,
aveva formulato sulle parole che aspettava a gloria le venissero rivolte.
In poche parole, era
talmente stupefatta da non riuscire a muovere un muscolo in più per voltarsi
verso di lui e fare quello che il suo cuore le urlava di fare da quando aveva
visto gli occhi di Clark limpidi e spaventati, aspettare una risposta da lei,
come mai prima si allora.
Erano rimasti in
silenzio immobili per un tempo che non avrebbe saputo definire, ignorando i bip degli sms che arrivavano sui loro cellulari e non
accorgendosi del sole che iniziava a sprofondare oltre l’orizzonte.
Cercò dentro di sé un
po’ di forza e inspirò, voltandosi lentamente verso di lui. Allungò una mano tremante
verso il suo volto e gli fece una carezza, lasciando uscire l’aria dai polmoni
e, con essa, i suoi dubbi.
-Ho sempre saputo che
eri speciale, Clark… ora so che sei super-, gli
disse, e si sporse verso di lui per abbracciarlo.
Era felice. Finalmente
conosceva la verità: finalmente Clark si era fidato di lei, e questo l’appagava
come i mille baci che non avrebbe mai avuto da lui.
Clark portò una mano
tra i capelli, grattandosi la testa imbarazzato.
-Avevo una paura, Chloe… che tu iniziassi ad urlare o mi credessi pazzo…-
Gli sorrise dandogli un
buffetto sulla spalla, poi tornò seria e riprese a fissare quel punto avanti a
sé.
-Io…
lo sapevo già, sai?-, disse semplicemente.
-Cosa…?-,
Clark abbassò il braccio mutando espressione, non capiva quello che Chloe stava
dicendogli.
-Sì…
diciamo che qualcuno mi ha aperto gli occhi sulle tue abilità…-,
ripensò a quando, nascosta assieme ad Alicia dietro una siepe, aveva visto
Clark afferrare al volo un’automobile e poi era corso via ad una velocità
sovrumana.
Clark abbassò gli
occhi, cercando di capire cosa intendesse, preoccupato sul fatto che fossero in
diversi a conoscere il suo segreto.
-Chi è stato…?-, si lasciò sfuggire.
Chloe tornò a
sorriderli, calma.
-Una persona che ti
voleva bene…-, disse semplicemente e si avvicinò a
lui guardandolo con occhi allegri, contagiosi.
Un timido sorriso tornò
a dipingersi sulla bocca di Clark, che non aveva capito a chi si riferisse
Chloe, ma era troppo felice di essersi tolto quel peso con lei.
-Non dirlo… a nessuno, eh!-, le disse con un pizzico di
apprensione.
-Ma come? Pensavo di
mettere la tua foto in prima pagina sul giornale di domani: “Mediocre studente
del quarto anno si apparta con giovane giornalista in un campo isolato e la
trattiene fino a tarda sera”-, scherzò.
Vide Clark guardarsi
attorno spalancando lentamente la bocca.
-Maledizione! Ma che
ore sono?-, chiese animatamente senza nascondere un ridicolo terrore che si era
dipinto sul suo viso.
-ClarkKent: sai fare cose impossibili, vieni da un altro
pianeta e ti spaventi se fai tardi per cena?-, domandò divertita Chloe.
-Lilyanne…
dovevo vederla! E poi…oh…
cavolo Chloe! L’incendio alla scuola… ma cos’è
successo ieri sera? Hai capito qualcosa?-, mise in moto l’auto e fece
rapidamente manovra per tornare verso Smallville,
estraendo dalla tasca dei pantaloni il cellulare.
-Cavolo…
tre messaggi e due chiamate perse… ma come ho fatto a
non sentirlo?-, scosse la testa reimmettendosi sulla
strada e spippolando sul telefonino per leggere gli
sms.
-Attento!-, le urlò
Chloe, vedendo che stava sbandando.
-Fallo tu, tanto ormai… non ho più segreti con te-, disse lanciandole il
cellulare.
-Dunque…
il primo messaggio è di Lilyanne… dice: “Ok, aspetto
la tua chiamata… amore”! Che carini!!-, ridacchiò
gustandosi la reazione seccata di Clark, che la fulminò con un’occhiataccia.
-Vai avanti…-, le disse appena un po’ scontrosamente.
-Il secondo messaggio è
di…wow… mia cugina! Ha
scritto: “… e non provarti a toccare la mia collezione di reggiseni
che stacco le braccia al tuo Big-Jim. Lois”-, Chloe scoppiò a ridere a più non posso.
-E smettila Chloe! Ma
perché quella rompiscatole di Lois non se ne torna a Metropolis, visto che è sempre a prendermi in giro per il
lavoro alla fattoria? Non la sopporto davvero più!-
-See,
chi disprezza, compra: ricordatelo Smallville!-,
continuò a ridere, guardando l’espressione sconvolta di Clark nel sentirsi
chiamare così anche da lei.
-E poi…?-,
erano vicini alla deviazione per il centro della città. Clark doveva
riaccompagnare Chloe a scuola, dove aveva lasciato la macchina.
-E poi ancora Lilyanne: è di un’ora fa, questo: “Clark ma dove sei?
Dobbiamo parlare! Tutte le cose che sono successe ieri…
prima nel fienile e poi… quello che abbiamo fatto
ieri sera… Ho paura, Clark”-, Chloe rimase a bocca
aperta, guardando Clark con espressione stupita e allo stesso tempo complice.
-Che…?
No, Chloe, non è come pensi…accidenti…
non è quella cosa lì…! -, Chloe rise, non riuscendo a
capire come mai Clark fosse diventato tutto paonazzo. Decise di non
stuzzicarlo.
-Vabè…
le chiamate provengono invece entrambe da casa tua-, concluse porgendogli
nuovamente il telefono e rimanendo in silenzio.
Mancavano solo pochi
minuti alla scuola, e Chloe li trascorse guardando di nascosto Clark.
Non riusciva ancora a
capacitarsi di quello che il suo amico di sempre gli aveva rivelato: no,
certamente Clark si meritava una donna speciale al suo fianco. Da lei avrebbe
avuto per sempre la sua amicizia più sincera.
-Grazie…-,
gli disse soltanto uscendo dall’auto e si allungò verso di lui, per posare un
timido bacio sulla sua guancia. Poi corse via, prese l’auto e partì a gran
velocità, con il cuore che le batteva all’impazzata, dimenticandosi che doveva
terminare il numero del Torch per il giorno dopo.
Quando arrivò a casa,
fermando l’auto davanti alla porta -cosa che faceva arrabbiare suo padre-,
entrò trafelato e si scusò con i suoi che stavano sparecchiando.
-Io dovevo…
-, iniziò, ma Martha lo interruppe prima che proseguisse.
-Sappiamo che ieri hai
salvato Chloe dall’incendio e siamo orgogliosi di te. Ma adesso devi occuparti
di un’altra questione…-, indicò il fienile, fuori
dalla finestra, e Lilyanne che lo aspettava
affacciata al piano di sopra.
-Non credere di
cavartela così, senza una spiegazione…-, disse
Jonathan mentre usciva trafelato dalla porta sul retro, per correre da lei.
Lilyanne
aveva il volto scuro. Quando lo vide lo fissò per qualche istante accigliata,
poi corse verso di lui e lo abbracciò stretto.
-Avevo pensato che ti
fosse successo qualcosa-, disse piano, perdendosi in un tenero bacio.
-Scusami…-,
rispose Clark stringendola a sé.
Lilyanne
si staccò da lui e si sedette sulla sedia vicino alla scrivania.
-E’ successa una cosa, oggi…-, gli disse abbassando gli occhi, aspettando che le
si avvicinasse e la ascoltasse attentamente.
-Stanotte non ho chiuso
occhio… ero terrorizzata che quello che ci è accaduto
potesse succedere di nuovo: è stato come rivivere un incubo, ieri, Clark… ma quello che è successo è come se…
come se avesse cambiato qualcosa in me: non so come spiegartelo, ma… ieri sera sono riuscita a sollevare una trave di
acciaio, Clark, chissà quanto pesava e non mi è parso più faticoso di alzare… un libro. E poi… quando
la mia casa a Gotham City è…
saltata in aria, io so che sulla mia pelle c’erano delle ustioni, che poi sono
sparite, come se mi fossi rigenerata da sola… ma ieri… ho appena sentito un po’ di calore: questo non è
normale! Ed è tutto il giorno che ho questo maledetto mal di testa…-
La abbracciò di nuovo.
-Ci sono io, ora… devi
solo stare tranquilla… non è successo niente di
irreparabile. Quando ti ho detto che avevo provato anch’io lo stesso dolore, beh… mi riferivo a quello: ma ieri è stato diverso, è stato
più forte… ma siamo ancora qui, giusto?-, la guardò
rassicurandola e lei gli sorrise stringendo appena gli occhi per il dolore alla
testa.
-Cos’hai?-,
le chiese facendole una carezza.
-Non lo so… ma quando sei arrivato, pochi minuti fa, sono riuscita
per un attimo a vederti attraverso le pareti del granaio…-
Clark alzò le
sopracciglia stupefatto.
-Davvero?-, era la
stessa cosa che era accaduta a lui tanti anni prima!
-Sì, per un istante
solo, ma è stato proprio come se sapessi che stavi arrivando…-
-O forse…
stai acquisendo un altro potere, Lily! E’ bellissimo! Credo che tu stia
iniziando ad avere la visione a raggi X…-, le sorrise
euforico mettendosi davanti a lei.
-Ho qualcosa nella mano… prova a guardare oltre e a vedere cos’ho!-
Lily storse la bocca,
abbassando le sopracciglia, ma si fidava di lui e provò, per un po’.
-Niente: vedo solo le
tue dita strette a pugno-, disse alzando le spalle e provando a cambiare
discorso.
-Sai…
stamani a scuola hanno detto che ieri è esplosa una tubatura del gas, negli spogliatoi… Per fortuna che abbiamo tirato fuori Chloe
prima che…-
-Ah sei qui, Smallville!-, la voce stridula di Lois
interruppe un momento di intimità.
Clark si girò verso le
scale, stringendo le mascelle.
-Mi ha detto tua madre
che ti avrei trovato qui… Ciao Lily! Ho… interrotto qualcosa?-, domandò quasi divertita. Lily la
salutò con un sorriso, un po’ confusa.
-Cosa vuoi, Lois-, chiese asciutto Clark, sperando che se ne andasse il
più rapidamente possibile.
-Volevo solo sapere
dove devo dormire stanotte…-, incrociò le braccia sul
petto, in aria di sfida.
Clark inspirò: doveva
scoprire cosa fosse accaduto al liceo, aveva appena rivelato a Chloe un segreto
che teneva nascosto da anni, doveva ancora chiarire con la sua ragazza cosa
fosse accaduto e scoprire sedavvero
anche lei stava sviluppando quell’importante potere e lo aspettava una
risciacquata da suo padre. Lois non avrebbe
interferito ulteriormente nella sua vita, non quella sera.
-Dormi dove ti pare,
basta che tu stia il più lontana possibile da me e da camera mia!-, le rispose
a muso duro.
Lois
strinse appena un occhio.
-D’accordo Clark. Sei
stato sufficientemente chiaro-, disse e girò sui tacchi scendendo le scale del
fienile.
Lily la guardò
allontanarsi, non riuscendo a capire come Clark avesse potuto trattarla a
quella maniera, la seguì con lo sguardo fino alla porta sempre aperta, e poi… vide attraverso le pareti di legno che si avvicinava
alla sua auto e che apriva il bagagliaio infilando una grossa borsa… era piena di vestiti, di scarpe buttate alla
rinfusa. Salì al posto di guida e infilò la chiave nel quadro. Si piegò appena
sui gomiti e guardò la fattoria, oltre il parabrezza.
Lily scosse la testa,
per recuperare la sua normale visione, si voltò verso Clark attonita.
-Lois
se ne sta andando…-, disse piano, poi schizzò
velocemente dietro di lei, correndo dietro all’auto che partiva.
Lois
si fermò e Lily si avvicinò al finestrino aperto.
-Senti, scusami se sono
stata scorbutica con il tuo ragazzo… scusami se non
ti ho salutata, io…-
-Che stai facendo, Lois?-, la sua voce tradì la preoccupazione.
-Me ne vado. Sono
diventata solo un peso in questa casa. Clark ha bisogno dei suoi spazi e io non
posso continuare a fare l’ospite a vita-
-Dove andrai?-
-Non lo so. Vi manderò
una cartolina quando avrò trovato una sistemazione…
credo verso il Messico…-, le sorrise: ovviamente
scherzava e non c’era motivo di mentire.
-Clarknon… sono sicura che lui non ti odia. Se non fosse
stato per te quel capoccione non avrebbe mai trovato il coraggio per…-
Lois
rise appena.
-Ha fatto tutto da sé.
Io l’ho solo mandato allo sbaraglio sperando in una sua brutta figura per la
quale prenderlo in giro per l’eternità-, guardò il volante e fece scorrere le
mani tutto attorno alla pelle: se l’avesse guardata negli occhi, Lily avrebbe
capito che le stava mentendo.
-Lo so che non lo pensi
davvero. Clark… lui è sempre così…
misterioso, anche con me. A volte credo che gli ci vorrebbero le giornate di
settantadue ore per fare tutte le cose che si carica sulle spalle…
mi dispiace che i nervi gli siano saltati proprio contro di te-
-Ci sono abituata…-, disse e rimise in moto l’auto.
-Tu comunque…
tienitelo stretto…-, le disse e ingranò la prima.
Lily la fermò.
-Lois…pensavo… se non sai dove andare…
potresti venire a stare a casa mia: è così grande, e io sono sola… so che da Chloe non hanno spazio, quindi…-
Lois
la guardò stupita dalla sua proposta. Girò nuovamente la chiave e spense il
motore.
Aprì lo sportello e
scese, mettendosi di fronte a lei.
-Davvero tu… dici sul serio?-
Lily le sorrise e
annuì.
-Grazie…-,
Lois la abbracciò e tornò a sorridere.
Dall’alto, Clark, vide
la scena e, scotendo la testa, pensò che quelle due ragazze, insieme, lo
avrebbero fatto impazzire…
***
Lex,
seduto sulla sua poltrona di pelle, fece entrare il suo ospite.
Si alzò e verso due
bicchieri di scotch: sapeva che anche lui avrebbe apprezzato e gliene porse uno.
-Hai fatto un buon
lavoro, sapevo che potevo fidarmi di te-, disse mellifluo.
-Ora spiegami perché mi
hai fatto dare fuoco al liceo di Smallville, Lex!-
-Ogni risposta a suo tempo… la palestra… è andata,
vero?-
-Sì, come mi avevi chiesto… ma non capisco come tutto questo possa aiutarci a
scoprire il segreto della Contessa Isobel! Credi di trovare gli elementi
mancanti tra le cenere?-
-Vedi, Jason… la differenza tra mio padre e tua madre è che,
mentre mi padre mi portava in giro con lui a firmare contratti con generali
dell’esercito e politici alle più alte sfere, e nel frattempo riusciva sempre
ad avere il suo tornaconto, tua madre ti ha semplicemente sballottato in ogni
angolo del pianeta a scavare tra i sassi. Non tutto quello che cerchiamo giace
sepolto, immobile da secoli, Jason. A volte le cose vengono fuori da dove meno
te le aspetti… a volte hai le risposte sotto al naso
da chissà quanto tempo: basta saperle vedere. Mentre tu ti spezzi le unghie
scavando nella roccia, io, con un solo soffio, sposto la polvere che mi
impedisce di vedere che ho la soluzione sotto agli occhi-, guardò il giovane Teague con superbia.
Jason fece forza su se
stesso per non rispondergli a tono, e posò il bicchiere intonso sul tavolino in
cristallo.
-Si sta facendo tardi e… Lana ti sta aspettando per una serata romantica al “Fleur de Lis”, Jason… non ricordi? Nella limousine troverai uno smoking
della tua taglia… Buona serata…-
-Lananon deve sapere che lavoro con te…-, strinse le mascelle puntando i suoi occhi dritti in
quelli di Lex.
-No…
tu lavori per me. Ricordalo, Jason.
Buona serata e… porgi i miei saluti a Lana…-
Seduta ad un tavolo un
po’ in disparte nella sala dalle atmosfere ovattate del ristorante “Fleur de
Lis”, Lana fingeva di studiare il menù, mentre si interrogava su come aveva
potuto accettare quell’invito.
Erano settimane, ormai,
che Jason si comportava con lei sempre più in maniera distaccata, quasi
indagatrice: da quando sua madre era comparsa a Smallville e, con lei, era
sparita quella complice intimità che li legava, come se lui non potesse più
gioire di ogni attimo passato insieme.
Quando era stata
aggredita da quel pazzo nel vicolo dietro al Talon, Jason le era stato vicino,
appoggiandola in ogni sua opinione e scelta: era così che sarebbe dovuto andare
tra loro, com’era stato a Parigi o quando ancora lui lavorava al Liceo e la
loro relazione andava tenuta segreta.
Lana abbassò gli occhi
sulle sue mani posate sul menù chiuso: erano bianche e fredde, e lo smalto
rosso che aveva messo prima di uscire di casa le faceva apparire ancora più
pallide. Sembrava potessero sparire, da un momento all’altro, lasciando solo un
debole alone chiaro e delle macchie rosse.
Anche lei avrebbe
potuto sparire e, forse, non se ne sarebbe accorto nessuno. Nessuno di quelli a
cui importava rimanere vicina, almeno… Non esisteva più per la sua amica Chloe,
ormai, né per Clark.
Si mosse appena sulla
sedia e sospirò: aveva promesso a sé stessa di non pensare più a lui, di
sforzarsi a considerarlo solo un amico, perché non si meritavano, entrambi, di
ricadere nei vecchi errori del passato.
Era stato il suo atteggiamento
nei confronti del suo vecchio amore e della sua nuova ragazza a far sì che
Jason si sentisse tradito e si allontanasse da lei, ammise sospirando ancora e
accettò che ogni altra responsabilità da attribuire alla signora Teague, o al
licenziamento dalla scuola, era solo una scusa che lei si era inventata per non
accettare che era solo colpa sua, se stava lentamente perdendo anche lui.
Alzò gli occhi al
soffitto dal quale pendeva un brillante lampadario di cristallo e si chiese
come mai, dopo quel periodo di raffreddamento dei loro rapporti, Jason avesse
voluto invitarla a cena in quel meraviglioso ristorante, che prima d’ora aveva
sempre guardato da lontano, passando dall’altro lato della strada, tanto si
sentiva inadatta ad entrarvi. Forse non tutto, con lui, era perduto, se le
aveva mandato quel magnifico mazzo di rose rosse con l’invito a cena. Si sforzò
di ricordare se quello fosse un anniversario o una data speciale, ma non trovò
nulla.
Bevve un po’ d’acqua,
da un calice di cristallo che aveva persino paura a tenere tra le sue mani, e
si asciugò timidamente le labbra al tovagliolo: perché Jason ci metteva così
tanto?
Per un momento pensò
che, forse, era stata tutta una presa in giro, che l’avrebbe fatta aspettare da
sola a bere acqua fino a che il ristorante non avesse chiuso e lei se ne fosse
tornata a casa in taxi: le sarebbe stato bene, visto quanto poco aveva tenuto
in considerazione i suoi sentimenti, negli ultimi tempi.
Poi scosse appena la
testa come per scacciare quell’idea: Jason le voleva davvero bene, non le
avrebbe mai fatto uno scherzo del genere. Le era rimasto accanto anche dopo che
lei lo aveva terrorizzato nei panni della Contessa Isobel, anzi, si era
mostrato nei suoi confronti più comprensivo che mai, facendola sentire protetta.
A volte la sera le faceva il solletico, la faceva voltare, sul divano, le
scopriva la schiena e la baciava lì, dove la sua pelle era stata marchiata da
quello strano simbolo, e scherzava con lei, le diceva che le donava, che così
era ancora più sexy, e la baciava, fino a che ogni pensiero svaniva dalla sua
testa.
Questo prima che
arrivassero Genevieve Teague e Lilyanne Leibniz e le loro coccole erano
diminuite fino a sparire.
Ripensò ai loro baci e
sorrise teneramente: Jason era impulsivo e accusava ogni tipo di stravolgimento
nella loro vita di coppia, ma l’amava davvero. Jason l’aveva stupita con
quell’invito e non l’avrebbe mai lasciata sola, come aveva fatto Clark. Jason
era una persona onesta e sincera, che non le avrebbe mai mentito nascondendole
la verità, come le aveva mentito Clark.
Davanti a lei,
elegantissimo in uno smoking che Lana non immaginava che avrebbe mai indossato,
Jason faceva in suo ingresso nella sala, sorridendole da lontano.
Doveva solo credere nel
loro rapporto e tutto sarebbe andato bene.
Clark vide Lois
risalire in auto e Lily correre verso di lui.
-Sembra che abbia una
nuova inquilina-, gli disse con una punta di orgoglio e rimprovero negli occhi.
Lui alzò le
sopracciglia perplesso: in fondo non voleva dire quelle cose a Lois, era stato
davvero scorbutico con lei negli ultimi giorni, gratuitamente.
-Mi sa che ora è meglio
se vado a casa, con lei-, aggiunse Lily, e lo baciò velocemente sulla guancia,
prima di raggiungere Lois all’auto e sparire con lei oltre il cancello della fattoria.
Clark spense le luci
nel fienile, poi tornò in casa, lentamente.
-Sei venuto a prendere
del caffè? Ne sto preparando una caraffa…-, disse Martha, che stava terminando
di asciugare alcuni piatti e di sistemarli nella credenza. Jonathan era già a
letto, Clark pensò che quella sera si fosse voluto assicurare che nessuno gli
rubasse il posto.
-No, grazie… vado a
letto-, rispose il ragazzo con voce mogia.
-Che è successo?-,
Martha si voltò preoccupata, ma la sua espressione tradiva un certo rimprovero.
-Lily è andata a
casa…-, disse Clark procedendo verso il corridoio.
-Aspetta un po’: non
dovevate parlare di quello che è successo ieri? E poi… Lily mi ha accennato al
fatto che ha avuto dei disturbi, oggi…-
-Sì, credo che stia
sviluppando la visione a raggi X… Buonanotte, mamma-, disse con la stessa naturalezza
con la quale avrebbe parlato di un raffreddore e salì i primi scalini.
-Dove stai andando?-,
Martha lo raggiunse in fondo alle scale e lo guardò accigliata.
-A letto, mamma-, era
stanco, seccato e non ne poteva più di sentirsi porre domande.
-Non vorrai fare
dormire Lois sul divano, Clark!-, la sua era una preghiera, ma suonava come una
protesta.
-Lois non tornerà-,
rispose laconico senza voltarsi.
Martha rimase
interdetta, per un istante, senza realizzare appieno quello che Clark le aveva
appena comunicato. Poi aggrottò le sopracciglia.
-Clark Kent! Torna
subito qua!-, ordinò al figlio con un tono che raramente aveva usato.
Clark, come folgorato
da quell’ordine, si voltò e scese in cucina, con la coda tra le gambe.
-Sei stato tu a
mandarla via?-, chiese amaramente sua madre, dopo averlo fatto sedere.
-No, io non… non le ho
detto di andar via!-
-Immagino, Clark… ma
scommetto che hai fatto di tutto per accelerare la sua decisione, o sbaglio?-
Il figlio non rispose
ad abbassò gli occhi.
-Io non ti capisco…
sono giorni che ogni volta che la vedi la tratti come un cane, Clark! Ma cosa
ti ha fatto? A volte mi chiedo cosa avete nella testa, voi due…-, si sedette
vicino a lui e posò una mano sulla sua. Il suo sguardo si fece più dolce.
-Devi cercare di
sforzarti e… capire Lois. Forse ultimamente lei è un po’ più preoccupata e
così…-
-Ultimamente, mamma?
Lei è sempre stata così…-
-Ma tu no, Clark! Ultimamente
sembra che tutte le tue frustrazioni per le cose che ti sono andate storte e
quelle che non riesci ad accettare le sfoghi su Lois! Devi… devi cercare di
comportarti bene, con lei, perché in questo momento lei… Insomma, credo che sia
il momento che tu ti comporti da adulto!-, abbassò lo sguardo per un attimo e
deglutì, poi cercò di mantenere un certo contegno.
Clark la guardò
sospettosamente.
-In questo momento lei…
cosa?-, domandò allungandosi verso Martha. Vide che abbassava lo sguardo ancora
una volta.
-Vedi Clark… ci sono
momenti nella vita in cui l’unica cosa che conta non è conoscere tutto di una
persona, ma solo stargli vicina… in fondo è questo che chiedi a tutti anche tu,
no? Solo che ti siano vicini, senza necessariamente indagare nella tua vita e
scoprire cosa sei. Bene, questo è il momento che tu faccia lo stesso con Lois…
sappi solo che non è un bel momento per lei, e che le cause sono diverse. Il
tuo sarcasmo non l’aiuta affatto… non credo se lo meriti più. Non se l’è mai
meritato, in realtà…-, gli sorrise amaramente e si alzò.
Tolse la caraffa dalla
macchinetta del caffè e se ne versò un po’. Bevve velocemente senza mettere il
suo solito zucchero e salì in camera, lasciandolo solo e pensieroso.
Le parole della mamma
gli avevano lasciato un amaro in bocca, più forte del sapore del caffè che lei
aveva bevuto andandosene: non c’erano segreti tra loro, in famiglia, fino ad
allora. Se la mamma non gli aveva voluto parlare di Lois, le cose non dovevano
essere così facili da spiegare… scosse la testa, e salì in camera sua. Accese
la luce e vide che tutto era in ordine: i vestiti e le scarpe della ragazza non
erano più sparsi un po’ ovunque e sulla scrivania erano tornate le sue cose,
esattamente nello stesso ordine in cui le aveva lasciate qualche settimana
prima.
Anche il suo profumo,
che di solito aleggiava nell’aria, non c’era più.
-Non posso crederci!
Sono caduta dalla padella nella brace, o meglio… dritta nel girone dei golosi!!!
Lily, tu e la signora Kent volete davvero vedermi tutta ciccia e brufoli!-,
disse Lois sbottonando i jeans, sazia e soddisfatta, dalla cenetta imbastita
dalla sua nuova ospite in pochi minuti.
-Io non riesco a
crederci… Mi hai raccolta triste e depressa per strada e mi hai cucinato cibo italiano, così, come se mi stessi
parlando di gossip! Oddio… questo è un sogno! Non finirò mai di ringraziarti!-
Lily le sorrise
cercando di corromperla con altri spaghetti alla carbonara, che aveva imparato
a cucinare anni prima, in un pomeriggio in cui non sapeva che fare, aspettando
che suo padre la sottoponesse a qualche altro test.
Era bello avere
qualcuno in casa che con le sue parole riempisse il silenzio assordante che
c’era la sera, quando rimaneva ad aspettare che il sonno arrivasse, coccolando
il suo gatto, a letto. Lois aveva già preso possesso della stanza che lei le
aveva offerto: un lettino singolo, una scrivania e un armadio un po’ scollato.
Aveva detto che era perfetto, che non poteva desiderare di meglio, che avrebbe
pagato l’affitto non appena avesse trovato un lavoro.
Lois si alzò tenendosi
la pancia stracolma di pasta e si avvicinò all’acquaio, iniziando a
sparecchiare.
Litigarono
amichevolmente perché entrambe volevano che l’altra stesse comoda, e alla fine
decisero di dividersi i compiti, spargendo schiuma di sapone per tutta la
cucina.
-Sai, mi sarebbe
piaciuto avere una sorella come te, o come tua cugina Chloe-, disse Lily, prima
di andare a letto, quando la nuova inquilina uscì dal bagno.
Lois le sorrise: -Anche
a me…-, rispose con un velo di tristezza sugli occhi.
-Domattina prima di
andare a scuola ti preparerò i pancakes: la signora Kent mi ha detto che tu e
quel testone di Clark ne andate matti!-
Il volto di Lois si
oscurò appena.
-Ti ringrazio, ma…
domattina devo andare presto a Metropolis e non posso…-, si interruppe e
indossò un sorriso falsamente rassicurante, -… mangerò qualcosa per strada.
Grazie Lily-
Poi entrò nella sua
stanza e chiuse la porta alle sue spalle.
Lily si lavò i denti e
corse aletto, indossando velocemente il
pigiama. Spense la luce e rimase a pensare, sotto le coperte, come amava fare
ogni sera.
In quel momento le cose
nella sua vita parevano essere in equilibrio precario su una base instabile:
non sapeva più chi era e non riusciva a controllare il suo corpo, sentiva che
mai era stata così innamorata e felice, ma al tempo stesso aveva paura di qualcosa
di ignoto, che la verità sulla sua identità fosse talmente sconvolgente da
schiacciarla. Aveva provato quella sensazione indescrivibile volando alta nei
cieli sopra Smallville e poi era sprofondata nel dolore atroce che ormai
ricordava solo nei suoi incubi e finalmente aveva capito cosa lo causasse, da
cosa avrebbe dovuto guardarsi per l’eternità. Aveva provato la gelosia ed aveva
imparato a perdonare.
Ma in quel momento, al
caldo sotto il suo piumino, pensò solo che Lois Lane, da quella sera, non dormiva
più sotto lo stesso tetto del suo Clark. E sorrise.
Troppo gentile. Quella
sera Jason era stato troppo gentile e amabile, pensò Lana, mentre la
riaccompagnava a casa su una limousine bianca. Aveva passato la serata a confidarsi con lui,
liberandosi di molte delle sue paure relative alla storia di Isobel, era stato
così gentile ad interessarsi a lei... Troppo gentile, amabile e
straordinariamente affascinante: ma forse aveva bevuto un po’ troppo champagne,
a tavola, nonostante non avesse ancora l’età per farlo e il suo giudizio non
era del tutto obiettivo. Evidentemente nei ristoranti di lusso l’età non
contava, contava solo se si pagava il conto. Fortunatamente, quando le avevano
riempito per la seconda volta il bicchiere, Jason l’aveva aiutata finendo il
suo champagne e poi dandole un tenero bacio.
Jason fece scivolare la
sua mano sulla sua schiena facendo cadere sul sedile di pelle la stola che le
copriva le spalle.
-Sei bellissima…-, le
disse avvicinandosi per baciarla. Gli brillavano gli occhi, come quando erano a
Parigi.
Lana gli sorrise, e si
lasciò baciare sulla bocca, ringraziando l’alcool che la rendeva più rilassata,
sebbene avesse ancora la situazione assolutamente chiara e sotto controllo.
Così pensava.
Era così tanto che
Jason non la baciava a quella maniera. Per un istante dimenticò di essere
vestita di taffetà su una limousine bianca che la stava riportando al Talon e
immaginò di essere lontano, a Parigi, nella sua mansarda bohemienne con mille
candele ad illuminare la notte calda e pulsante.
Sentì che lui la
stringeva di più e si aggrappò alle sue spalle, alzandosi dal suo posto a
sedere e mettendosi a cavalcioni sopra di lui, lasciando che la gonna si
alzasse e scoprisse le sue gambe. Lo baciò profondamente, sentendo forse per la
prima volta una fiamma ardere dentro di lei, sotto lo stomaco, da qualche
parte.
Si sentiva bella,
desiderabile. La sua regina.
Clark non l’avrebbe mai
trattata così: tutt’al più l’avrebbe riaccompagnata a casa con il suo furgone e
l’avrebbe salutata con un timido bacio sulle labbra, sorridendo imbarazzato.
Provò una fitta di
rancore e tornò a farsi stringere di più dall’uomo che aveva deciso le avrebbe
fatto dimenticare una volta per tutte Clark Kent.
Quando la limousine si
fermò, nel vicolo dietro al Talon, Jason uscì, porgendole la mano e aiutandola
a trovare la serratura per aprire la porta. Poi l’accompagnò su e si allentò
appena il cravattino.
-Dallo a me…-, disse
Lana sfilandoglielo con aria provocante e tirandolo verso il divano, allungandosi
per baciarlo ancora, tornando a cavalcioni sulle sue gambe e poi baciandolo
febbrilmente sul collo, insinuando le mani tra i suoi capelli.
-Lana… che… che stai
facendo…-, chiese con voce roca, cercando di staccarsi da lei, ma quella
inaspettata riconciliazione, così passionale, che gli aveva riservato, non
aveva bisogno di ulteriori parole e il sangue era già scivolato giù, dalla sua
testa, verso il suo ventre, verso le mani che carezzavano il collo morbido di
Lana.
-Shhh…-, le fece lei in
un orecchio e riprese a baciarlo, euforica.
Dopo tanto tempo, di
sentiva di nuovo viva.
Come erano finiti sul
letto, Jason non lo ricordava. Così come ricordava poco anche quando fossero
venuti via dal ristorante, la sera prima. Doveva soltanto cenare con Lana e
farla parlare: erano quelli i suoi compiti.
Dalle finestre un sole
abbagliante feriva i suoi occhi, provocandogli fitte alle tempie.
Accanto a lui, Lana
dormiva ancora. Il lenzuolo copriva la sua pelle nuda.
Si alzò lentamente,
cercando di non fare rumore e raccolse le sue cose sparse per la stanza.
Si rivestì in fretta e
scrisse due righe per lei su un foglietto che lasciò sul cuscino.
Poi aprì piano la porta
e scese giù: il bar era già gremito e solo in pochi si accorsero di un uomo in
smoking e senza cravattino che scendeva furtivamente le scale e usciva dalla
porta sul retro.
L’aria ancora fresca lo
colpì come uno schiaffò. Inspirò e si grattò la testa, cercando di mettere
ordine tra le sue idee, quando il cellulare nella tasca vibrò appena: era un
messaggio di Lex.
“Spero che il piccolo aiuto
che le ho dato abbia portato i suoi frutti…
Mi auguro che tu sia riuscito ad ottenere
dalla signorina Lang
quello che volevamo…”
Soffocò un’imprecazione
e strinse il cellulare tra le mani, battendo un pugno contro il muro
screpolato.
-Maledetto bastardo…
cosa mi hai fatto fare?-
Lex lo aveva drogato,
spingendolo ad annientare le sue inibizioni.
Aveva drogato entrambi,
ed ora Lana avrebbe avuto un buon motivo per lasciarlo definitivamente. [i]
Un piccolo capannello
di studenti si era assiepato attorno alla parete degli annunci, e le loro voci
sovrapposte e confuse riecheggiavano nell’atrio del liceo di Smallville.
Clark, uscendo
dall’aula assieme a Chloe e Pete, non poté fare a meno di esserne attratto.
Pete avanzò deciso
fendendo la folla, mentre Chloe rimase indietro: doveva parlare al suo amico
“particolare”, come aveva deciso di chiamarlo, nella sua mente.
“Alieno” era una parola
che non le era mai piaciuta, e kryptoniano le ricordava troppo i cattivi dei
cartoni animati giapponesi che guardava da bambina, quando la mamma le diceva
di fare la brava e non uscire dalla sua camera. Gli parlò sottovoce.
-Senti… c’è una cosa
che dovrei dirti… Ma non arrabbiarti prima di sentire tutta la storia-, Clark
aggrottò le sopracciglia, temendo che l’amica si fosse lasciata sfuggire
qualcosa sul suo segreto.
-L’altro giorno ti ho
visto che cercavi informazioni precise su Lily ed io… diciamo che ho terminato
il lavoro per te…-
Clark la prese per un
braccio e la tirò verso un angolo isolato: gli altri studenti erano distratti
dalla notizia appesa alla bacheca, non avrebbero fatto caso a loro. Lilyanne,
invece, ancora non si era liberata per la pausa pranzo. Doveva essere con la
sua classe nelle aule oltre la zona interrotta dall’incendio, e ci voleva qualche
minuto per fare il giro della scuola e arrivare lì dov’erano loro.
-Che hai scoperto?-,
chiese ansioso e preoccupato.
-Dunque… credo fosse
questo che stavi cercando di capire… in realtà i genitori che Lilyanne ha perso
nell’incidente d’auto vicino a New York, non erano i suoi veri genitori…-
-Cioè era stata
adottata anche da loro?-, domandò vedendo i pezzi del puzzle andare al loro
posto, da soli.
-Beh, qualcosa del
genere… in realtà credo che non fosse neanche stata adottata legalmente…
diciamo che l’hanno trovata e hanno detto che era figlia loro-
-E’ possibile che…-,
Clark non riusciva a formulare la pesante domanda che da mesi risuonava nella
sua testa.
Chloe annuì, in
silenzio, consegnandole un piccolo fascicolo.
-Lilyanne non è nata a
Metropolis nell’88, Clark… lei è stata trovata qui a Smallville il sedici
ottobre del 1989… quando… tu sei…-
Clark la guardò
esterrefatto, poi si avvicinò all’amica che gli aveva portato la notizia che
aspettava e l’abbracciò, tenendola stretta per qualche istante. I suoi occhi
scintillavano, ora che aveva la certezza di non essere il solo kryptoniano
sulla terra. Sorrise, affondando il volto tra i capelli biondi di Chloe.
-Clark… pensi che anche
Lily…? Cioè… intendo… che anche lei sia come te?-, non si mosse per non perdere
quel contatto così importante.
-Credo di sì… sai,
l’altro giorno lei ed io siamo stati entrambi…-
Furono interrotti da
Pete che li chiamava a gesti verso di lui.
-Cosa stavate facendo
voi due?-, chiese allusivamente, scherzando, -Avete visto? Il preside ha dato
la comunicazione che la palestra non sarà pronta prima dell’estate! Questo
significa che salterà il Ballo di fine anno!-, comunicò deluso: già pregustava
di passare quella serata assieme a Samantha…
-Allora esiste davvero
un Dio lassù!-, esclamò Chloe, avvicinandosi per leggere le novità, facendo
finta di non aver avuto quella conversazione con Clark, mentre lui rimase in
silenzio, ancora turbato per la notizia. In fondo, a lui non interessava
quell’evento, sebbene non fosse così astioso a riguardo come Chloe.
Una classe del terzo
anno comparve dalla porta antincendio che separava l’area bruciata della scuola
da quella che non era stata toccata dalle fiamme.
Videro Lily, che si
staccava dal gruppetto e avanzava verso di loro.
-Ciao!-, li salutò,
scambiandosi un’occhiata dolce con Clark.
-Ciao! Com’è andata con
la tua nuova… inquilina?-, chiese lui, cercando di nascondere quella curiosa
apprensione che aveva dalla sera prima, dopo che sua madre gli aveva detto
quelle cose.
-Ehi ehi ehi! Quale
inquilina?-, chiese Chloe, mentre Pete, curioso, sbirciava gli annunci
incriminati in bacheca, allontanandosi da loro.
-Clark non te l’ha
detto? Da ieri sera Lois sta ufficialmente da me!-, sembrava soddisfatta dalla
novità.
Chloe spalancò la bocca
e guardò interrogativa Clark.
-Cos’è successo?-
-Ecco… vedi…-, iniziò
lui, cercando le parole più adatte per spiegare all’amica che aveva litigato
con sua cugina.
-Semplicemente Lois ha
preferito la compagnia di una ragazza, a quella di questo amabile bifolco!-,
anticipò Lilyanne, sorridendo complice al suo ragazzo.
-Incredibile! Pensavo
che tu e Lois aveste eletto l’arte del battibecco a sport nazionale! Come
farete, ora, a punzecchiarvi per ogni cosa?-, domandò divertita.
Clark si grattò la
testa, imbarazzato: -Troveremo il modo di farlo lo stesso-, scherzò.
Rimasero un po’a
commentare, formando, insieme agli altri studenti, alcuni gruppetti vocianti
sparsi per il corridoio. Tutti si azzittirono quando il preside Reynolds si
avvicinò con un altro comunicato tra le mani e si avvicinarono a lui curiosi e
delusi.
-Fatemi passare, per
favore… ragazzi, penso che avrete lo stesso la possibilità di festeggiare il
vostro diploma con un Ballo-, dichiarò soddisfatto e sorridente, -Il
finanziatore della squadra di Football mi ha appena comunicato che intende
offrire gli spazi per tenere i festeggiamenti per la vittoria del campionato e,
nell’occasione, per organizzare la serata danzante del Prom Ball!-
Attaccò con delle
puntine il foglio alla parete e sparì, seguito da un codazzo di studentesse
eccitate all’idea del cambio di sede. Avevano già dimenticato la palestra e
stavano iniziando a pensare come organizzare la nuova festa.
-Lex Luthor si offre di
ospitare una ridicola festa di ragazzine vestite come bomboniere… con i palloncini
e tutto il resto??-, chiese, più che altro a se stessa, Chloe, sconvolta dalla
piega che stavano prendendo gli eventi. Dopo la rivelazione che il suo miglior
amico veniva dallo spazio, che Lois si era spostata dalla casa di questo alieno
a quella presumibilmente di un’altra aliena e che l’”ipertricotico”
supermiliardario del Kansas aveva deciso di dilettarsi in mezzo a cheerleader
sculettanti, forse le conveniva acquistare un biglietto della lotteria… le
probabilità di vincita, vista l’ondata di casi anomali in quella zona, era
altissima.
Clark ridacchiò e prese
per la mano Lily.Pete corse a dare la notizia
agli altri suoi amici. Non capitava così spesso di poter partecipare ad un Prom
Ball nella tenuta di un multimiliardario!
-Vado al Torch a meditare
un po’… questa notizia mi ha… colpita…-, disse Chloe, lasciando da soli i due
piccioncini, salutandoli con un sorriso eloquentemente complice.
-Andiamo fuori?-,
chiese Lily, e Clark la seguì.
-Dicevo sul serio,
prima… come è andata con Lois? Voglio dire… hai notato nulla di strano, in
lei?-, in realtà era emozionato dalla realtà scoperta poco prima, ma non voleva
travolgere Lily con quelle notizie senza prepararla adeguatamente.
-Sai Clark… in realtà
l’unica cosa che ho notato, e non è la prima volta, è che lei è una persona
amabile, divertente, spiritosa, in gamba, intelligente… insomma… l’unica cosa
che non va in lei è il vostro rapporto…-
-Già…-, Clark si
adombrò: in fondo erano le stesse cose che aveva sempre detto loro sua madre.
-E’ che quando c’è lei
io… non posso fare a meno di essere… acido!-, la guardò alzando le spalle e
vide che il suo sguardo si era oscurato.
Aveva usato le stesse parole di Lois…
-Comunque… va meglio il
tuo mal di testa?-, le domandò dandole un bacio sui capelli.
-Sì, grazie… io credo
che… avessi ragione sulla causa… riesco a vedere anche io attraverso le cose,
ora… devo ancora capire come controllarlo, ma con calma…-
-Ti è successo di avere
dei flash anche quando non volevi?-
-Beh… diciamo che la
visione del Professor Sheffield in mutande e calzettonimentre stavo facendo il test di Matematica
non è stata così edificante! Meglio quella di Steve Stewart, mentre entravamo
in aula!-
Clark sgranò gli occhi
e le passò un braccio dietro le spalle, tirandola a sé fingendo di soffocarla,
mentre le scompigliava i capelli.
-Malandrina!-
Lily sfuggì alla sua
presa e lo tirò verso un albero, ridendo, poi lo abbracciò. In quel momento si
sentiva felice.
La piccole foglie
verdissime, appena spuntate, si muovevano animatamente nel vento poco
promettente che portava con sé nuvole scure, da est.
-E’ bello che stai
sviluppando le mie stesse capacità… siamo sempre più… uguali-, la guardò con
dolcezza, tenendola stretta a sé. Doveva parlarle…
-Sono pronta, Clark-
-Pronta…?-, allentò un
po’ il suo abbraccio.
-Sì, sono pronta a
sapere la verità su di me… su di noi. Ho atteso a sufficienza, credo…-
Lui la guardò
intensamente, con espressione seria. Poi si guardò intorno e decise che quello
era un luogo sufficientemente riservato per le cose che doveva confidarle.
-Devi promettermi una
cosa, però-, le disse senza staccare gli occhi dai suoi, -Devi credere alle mie
parole, perché non potrei mai prendermi gioco di te o raccontarti cose che non
siano vere. Se ho aspettato così tanto a parlarti è perché non avevo tutte le
risposte…-
-Quali risposte?-, si
accigliò, e incrociò le mani sul petto.
-Dunque… ti ricordi di
quando ti parlavo del fatto che anche io sono stato adottato… Beh… Ho scoperto
una cosa, su di te…-
Lily alzò un
sopracciglio, attendendo che proseguisse.
-Non sono stato l’unico
bambino ad essere ritrovato qui a Smallville il sedici ottobre del 1989,
durante la pioggia di meteoriti…-
-Che vuoi dire?-, era
preoccupata.
-C’eri anche tu…-
Lily sentì un’ondata di
panico avvolgerla come una coperta di ghiaccio e attaccarla alle gambe, che si
fecero molli.
-E’ vero… io sono nata
in Kansas… ma non qua a Smallville! La mia mamma mi ha partorito a Burnaby[ii], un sobborgo di
Metropolis l’anno prima e…-
Clark mise le mani
sulle sue spalle e scosse la testa. Nei suoi occhi brillavano la speranza e
l’angoscia che lei potesse non accettare quello che le stava dicendo.
-No, Lily: i tuoi primi
genitori ti hanno trovata qua a Smallville… erano qua perché tuo padre aveva
preso una commessa di lavoro in questa zona e mancavano da Metropolis da più di
un anno. Quando tornarono a casa, dissero che tua madre era rimasta incinta
poco prima di partire e che non avevano voluto spargere la voce che aveva avuto
un figlio, perché non erano ancora sposati. Credo si siano sposati qua a
Smallville, nell’autunno dell’89…-
Le fece una carezza,
perché smettesse di guardarlo con quegli occhi feriti e disorientati, come se
avesse perso il suo passato e si fosse risvegliata senza più ricordi.
-Non è vero-, disse
semplicemente, senza convinzione.
Clark la guardò scavare
nella sua memoria alla ricerca di un ricordo che non c’era; Lily aggrottò le
sopracciglia e tirò su con il naso, nell’evidente sforzo di non piangere.
Lui la strinse a sé e
le offrì il suo petto per sfogare tutte le sue speranze disilluse, in un pianto
liberatorio.
Non era il momento
giusto per concludere la sua storia e dirle che, non solo non era figlia di
quelli che credeva fossero i suoi genitori, ma oltretutto non era nata sulla
terra.
-Mamma Meg mi diceva
sempre che ero stata nella sua pancia… che ho messo il mio primo dentino a otto
mesi e che… Papà1 faceva vedere le mie foto a tutti… dovevamo andare a New York
dai suoi amici… noi…-, la sua voce rotta dal pianto graffiava il cuore di
Clark, che si sentiva un po’ responsabile del suo stato d’animo, della
delusione che stava provando Lily. Le diede un bacio sui capelli e la staccò
delicatamente da sé, perché lo guardasse in viso.
-…Papà1?-, le chiese
sorridendo dolcemente.
Tra le lacrime Lily sorrise
appena e si asciugò il volto con il dorso della mano.
-Sì… c’erano Papa1 e
papà John, mamma Meg e mamma Veronique… io… pensavo di avere “solo” quattro
genitori… e invece… non ho perso solo loro… oddio Clark…-, riprese a
singhiozzare più forte di prima, di nuovo le sue parole frammentarie
risuonavano cariche di dolore.
-Mamma Meg… loro sono…
loro sono morti… loro mi avevano voluta più che se fossi stata figlia loro… Li
ha ammazzati quel bastardo… e io… Dovevo morire anch’io…! maledetto…-, non
riusciva a calmarsi, il ricordo dell’incidente era tornato prepotente alla sua
mente, come un cazzotto alla bocca dello stomaco, e tutto il dolore per la
perdita di quelle persone che invece pareva aver dimenticato quando era solo
una bambina, le mozzava il respiro, impastava sensazioni dimenticate troppo a
lungo, con speranze disilluse.
Clark rimase con lei
finché non si fu un po’ calmata, perdendo l’inizio delle lezioni del
pomeriggio. Poi la accompagnò alle panchine vicino alla mensa: non avevano
pranzato ed era certo che qualcosa di caldo le avrebbe fatto bene.
Non c’era nessuno,
perché le nubi dense d’acqua, ormai vicine, avevano fatto scappare i recidivi
delle pause all’aperto.
-Aspettami qui, ci
metto un secondo-, le diede un bacio e sparì.
Quandò tornò con la
supervelocità, qualche minuto dopo, aveva con sé due bicchieri fumanti di mocha[iii] con la panna sopra. Li
riscaldò appena con lo sguardo termico e ne porse uno a Lily, che lo prese
senza una parola, ancora corrucciata, bevve qualche sorso e alzò gli occhi su
di lui, tornando a sorridere, come la bambina che non era riuscita ad essere…
Lana non si svegliò
prima dell’ora di pranzo. Quando aprì gli occhi, anche lei, provò una fitta di
dolore alla testa; si mosse e il lenzuolo scivolò di pochi centimetri dalle sue
spalle, lasciandole una sgradevole sensazione di freddo. Si coprì con la mano e
si rese conto di essere nuda. Si sollevò con espressione confusa.
Seduto sulla
poltroncina vicina al letto, Jason la guardava. Aveva un occhio nero e un
taglio sopra il labbro. La camicia dello smoking che indossava la sera prima
era schizzata di sangue.
Aveva la faccia di chi
sa di averla fatta grossa, e gli occhi tristi.
-Jason...? Cosa...?-,
una fitta più violenta alla testa. Premette una mano sulla fronte e
un’espressione di dolore trasformò il suo bel viso per un istante.
Jason si alzò e andò a
sedersi sul letto, vicino a lei.
-Che ti è successo?-,
disse Lana avvicinando una mano al suo volto, senza toccarlo per paura di
fargli male.
-C’è qualcosa che devi
sapere…-, le disse, scuotendo appena la testa, non riuscendo a trovare le
parole giuste. Poi vide che rabbrividiva.
-Tieni, metti questo
sulle spalle o ti prenderai un malanno-, le disse coprendola con la sua giacca
da sera, poi la guardò di nuovo.
-Non ricordi niente di
quello che è successo stanotte, vero?-, lasciò che riflettesse in silenzio e
vide i suoi occhi dilatarsi, mentre portava una mano alle labbra, socchiuse per
lo stupore dei ricordi che, lentamente, riaffioravano come i relitti di una
nave naufragata nella nebbia.
Lo guardò spaventata.
-Noi…?-, il suo sguardo
corse velocissimo al letto e alle cose ancora sparse per terra. Si strinse di
più nella giacca, cercando di coprirsi il più possibile.
Jason annuì, abbassando
lo sguardo. Ci fu un attimo di silenzio, tra loro, durante il quale nessuno dei
due seppe trovare le parole per giustificarsi o accusare l’altro.
-Siamo stati drogati,
Lana… C’era qualcosa nel vino che abbiamo bevuto o nell’acqua… Anche io mi sono
svegliato con un mal di testa fortissimo, senza ricordarmi come siamo arrivati
qua al Talon. Devi credermi-[iv]
Lana cercò di ricostruire
la nottata precedente: ricordava solo alcuni frammenti del loro ritorno a casa,
a bordo di una limousine e di quello che era successo dopo, tra loro… Guardò
Jason: le sembrava sincero.
-Come… come ti sei
ridotto a questa maniera?-, disse portando una mano al suo volto.
Il ragazzo si alzò e le
bretelle bianche penzolarono ai suoi fianchi.
-Sono andato a dare una
lezione a chi ci ha fatto questo…-, disse senza guardarla negli occhi. Era solo
colpa sua se aveva deluso Lana e sua madre. Non sapeva cosa avesse esattamente
fatto quella notte e come lo avesse fatto. Non era sicuro di nulla e sperava
solo che quella nottata non avesse portato conseguenze nel tempo. Era colpa
sua, che aveva permesso a quel serpente di Lex di entrare nella sua vita e di
manovrarlo come un burattino, fino a costringersi a mentire a Lana per non
rivelarle che lavorava con lui.
Per lui, pensò, e strinse i pugni.
-Chi è stato?-, domandò
Lana. Nella sua voce, innocenza e rabbia sfumavano l’una nell’altra.
Jason la guardò,
pensando alla sua risposta.
-Mi dispiace, Lana… ma
non posso dirtelo. Non voglio che quel verme possa torcerti anche solo un
capello… E’ meglio che tu non lo sappia…-, uscì velocemente di casa, senza
dirle altro, senza aspettare che lei lo fermasse, gli dicesse altro, lo
convincesse a parlare.
Lana non si mosse, per
fermarlo. Lo guardò uscire dalla porta di casa rimanendo seduta nel letto, con
indosso solo la giacca dello smoking che le stava enorme.
Fissò un punto distante
da lei anni luce. Non aveva pensieri, nella sua testa. Non poteva pensare, in
quel momento.
Una piccola lacrima
scivolò sulla sua guancia e lei si lasciò cadere distesa sul letto, permettendo
ai singhiozzi di farla tremare e alle lacrime di bagnare quelle lenzuola che
puzzavano di qualcosa che le era stato rubato.
Affondò il volto tra i
cuscini, per non fare sentire il suo pianto disperato, strinse tra i pugni la
stoffa infida che aveva preso i suoi sogni più intimi e li aveva fatti a
brandelli.
Solo una parola scivolò
dalle sue labbra bagnate dalle lacrime, soffocata tra i cuscini: Clark…
Pianse fino a che non
fu troppo stanca, finché non ebbe più lacrime. Solo allora si alzò e barcollò
nuda fino al bagno, illudendosi che una doccia bollente potesse cancellare via
l’amarezza che le colmava il cuore.
Sul suo letto, da sola,
Lily teneva in grembo l’album delle foto della sue vite passate. Aveva
indossato la sua vecchia felpa ed era rimasta lì senza rendersi conto dello
scorrere del tempo, sfogliando la carta ingiallita dagli anni: lei, sua madre e
suo padre. I primi due. O meglio, quelli che lei credeva fossero i primi due…
Non si sentiva più la
stessa persona che era scampata alla morte sulla statale 87.
Aveva iniziato a
piovere: Lily guardò fuori dalla finestra, senza espressione.
Tante volte, in
passato, quando il dottor Leibniz la torturava con test e domande, si rifugiava
nella sua cameretta e stringeva tra le mani quella foto, sperando che la sua
vera mamma e il suo vero papà la guardassero dal cielo. In quel momento, nella
penombra della sua camera, interrotta solo dai bagliori che provenivano dai
fari delle auto lungo la strada, si sentiva nuda, scoperta, come se avesse
perso ogni cosa della quale fidarsi.
Aveva rispolverato una
vecchia lettera che teneva nascosta tra i libri, nello scaffale in camera sua al
piano di sopra e aveva trovato il coraggio di fare quella telefonata: aveva
avuto le conferme che cercava, ma non era corsa da Clark a raccontargli tutto.
Era una cosa sua e in quel momento voleva restare da sola, a riflettere.
Quando la pioggia
battente iniziò a gocciolare dentro la sua camera dalla finestra socchiusa,
Lily si alzò, al buio e la chiuse, asciugando con la manica della felpa le
gocce dal vetro. Poi si sedette immobile sull’ampio davanzale in legno della
sua finestra. Era tutto così confuso, ogni frammento del suo passato,
conservato con gelosia negli anni, le appariva vuoto, senza senso, perché
nessuna delle cose che le erano avvenute da quando era al mondo poteva
realmente avere un senso.
Tranne quello che
provava per Clark.
Allungò la mano fino al
piccolo cofanetto che teneva lì accanto, su una mensola di ciliegio: al suo
interno conservava le fedi dei suoi genitori, che le erano state consegnate
dopo il suo affidamento ai signori Leibniz.
Cercò di ricostruire
ancora una volta l’incidente, il momento esatto dell’impatto, lo stesso nel
quale le braccia calde della mamma l’avevano persa e la vita aveva cessato di
battere nel suo petto. L’istante in cui, là fuori sull’asfalto sporco di neve
fangosa, era stato sbalzato suo padre, battendo la testa, vicino all’auto di
colui che li aveva spezzati.
Si sforzò di ricordare
quell’uomo. Sì… era uscita dall’auto urlando e piangendo e cercando di tirare
fuori la sua mamma, schiacciata dall’impatto e immobile. Una bambina di quattro
anni e mezzo che cerca di salvare chi l’ha messa al mondo, con la vista
appannata dal pianto e dal sangue che le colava negli occhi, bruciando come un
tizzone ardente. Non aveva forza a sufficienza, le ferite le facevano sempre
meno male, ma non aveva la forza. Si era spostata camminando sulle ginocchia
fino all’auto che li aveva travolti, senza capire cosa fosse successo, e aveva
visto il volto sporco di sangue di un uomo che la guardava sofferente, immobile.
Ricordava di essersi avvicinata alle lamiere e di aver infilato una mano
nell’auto ribaltata, per fargli una carezza.
“Prendi la mia mano”
Era la sua voce che
l’aveva detto, dilatata e trasformata dagli anni di dimenticanza. Sì… era stata
lei, una bambina disperata, che aveva cercato di aiutare chi aveva ammazzato i
suoi genitori.
Ma quell’uomo non si
era mosso. Aveva solo continuato a guardarla mentre le lacrime scivolavano via
dai suoi occhi azzurri e terrorizzati, che erano rimasti impressi nella sua
mente a lungo.
Un giorno, tempo dopo,
ascoltando un discorso tra grandi, aveva capito a chi appartenevano quegli
occhi, gli stessi occhi che si erano distratti, perdendo il controllo dell’auto
che aveva travolto la sua famiglia.
Era stato allora che
aveva cancellato quel ricordo, quel volto.
Lois rientrò aprendo
con la chiave che le aveva dato il giorno prima. Lily sentì che cercava di fare
piano, camminando in punta di piedi per non svegliarla. Salì le scale
lentamente, indugiando sulle assi di legno che, in alcuni punti,
scricchiolavano sotto il suo peso. Aprì la porta della sua camera e accese la
luce, lasciando alcune cose sul letto e sfilandosi la giacca, poi entrò in
bagno e, aprendo piano il rubinetto dell’acqua, si lavò le mani e si sciacquò
il viso. Poi si avvicinò di nuovo alla porta della sua stanza, mise le mani
sulla maniglia, e rimase un istante ferma, al buio, con la testa bassa. Sospirò
e si fece forza per entrare.
Lily rimise al loro
posto il cofanetto con le fedi e si sedette di nuovo sul davanzale in legno,
scacciando E.T., chiedendosi come mai quella sera sembrava avesse portato
tristezza sui cuori di tutti.
Si voltò verso la
camera di Lois e strinse appena gli occhi.
Attraverso le pareti,
vide che stava seduta sul letto, con la testa china a leggere dei fogli,
attentamente. Li scorse tutti più volte, come se cercasse un errore che non
c’era, poi scosse le testa e soffocò un gesto di rabbia nell’accartocciarli.
Strofinò una mano sotto al naso e si lasciò andare all’indietro, sul letto,
piangendo in silenzio con il volto reclinato da un lato. Tirò su le gambe e si
rannicchiò in posizione fetale, portando una mano alla bocca, cercando di non
fare sentire i suoi singhiozzi.
Lily chiuse gli occhi e
deglutì, guardando fuori, verso il cielo, cercando tra le stelle più lontane la
risposta all’imperativa domanda che riecheggiava nella sua testa.
Perché siamo nati per soffrire?
[i]
L’ispirazione per questa scena, sono sincera, mi è venuta dopo aver guardato il
primo episodio di Veronica Mars…
[ii]
In realtà Burnaby è un sobborgo di Vancouver, dove si trovano gli studios dove
viene girato Smallville.
[iii]
Il Mocha è una bevanda che fanno in America e Canada. Praticamente è una
litrata di caffè misto a cacao, latte e immagino qualcosa di pannoso, zuccherato
e bollente, servito con la panna montata sopra… se non siete ancora svenuti,
rileggete la descrizione e svenite pure… MAMMAMIA COM’E’ BUONISSIMOOO!!!!
[iv]
L’ecstasy, sugli umani, ha -secondo me- lo stesso effetto della Kryptonite
rossa sui kryptoniani. Così come Clark, sotto gli effetti di quella pietra, è
scappato con Alicia a Las Vegas, l’ha sposata ed era fermamente intenzionato a
“renderlo ufficiale”, come dice nella puntata “Unsafe”, così è accaduto a Lana
e Jason. Solo che gli effetti della droga non sono così facilmente annullabili
allontanando la causa… per questo, ahilei!, è successo quello che è successo.
Date la colpa a Lex, non a me. :-P
Capitolo 23 *** Capitolo 22 - Quello che brucia dentro ***
Capitolo 22 -Quello che brucia dentro
Pete si alzò prima che
la sveglia suonasse, si stiracchiò e guardò fuori dalla finestra: non c’era
traccia della pioggia sottile e penetrante della sera prima, sembrava che fosse
un giorno diverso, un nuovo corso che avrebbe potuto portare solo eccitanti
novità.
Era euforico per la
serata precedente e quella notte era stata incorniciata da un bellissimo sogno:
lui e la bella Samantha che ballavano abbracciati nei lussuosi saloni del
castello di Lex Luthor, mentre un gruppo musicale tra i più ricercati dai licei
di tutta America scioglieva nell’aria le note delle sue canzoni più romantiche.
Ripensò alla sera
prima, quando finalmente si era deciso a chiederle di essere la sua dama al
gran ballo di fine anno: “Tu… sei amico di Lex Luthor, non è vero Pete?”, gli
aveva domandato. “Certo, amici da molto tempo!”, le aveva risposto, avvalendosi
della proprietà transitiva dell’amicizia che, tramite Clark, lo rendeva di
diritto un compare del multimiliardario calvo.
“Allora verrò con te…”,
aveva concluso Samantha, e -finalmente- si era avvicinata a lui e aveva posto
le labbra rosse e carnose sulle sue, facendolo volare al settimo cielo, mentre
il sangue defluiva rapido dal suo cervello… dove ormai non era più necessario…
Indossò una bella felpa
griffata, si lavò i denti, e scese in cucina, saltando gli scalini a due a due:
quel venerdì sarebbe stata una giornata eccezionale.
Giovedì, 06/05/’05 ore 3:28 PM
Lana
rimase immobile sotto l’acqua bollente sforzandosi di pensare ai momenti belli
nella sua vita.
La
volta che era andata al lago con Chloe ed erano rimaste a prendere il sole
finché entrambe non erano diventate rosse come peperoni e la sera, nella stessa
stanza, a casa di Chloe, avevano continuato a lamentarsi e a cercare posizioni
per dormire che non facessero loro sentire le bruciature, ridendo al buio, come
due galline.
La seta dell’abito nuovo sulla sua
pelle.
Quando
zia Nell le aveva regalato le sue scarpe col tacco, quelle bianche e nere che
le piacevano tanto e che provava di nascosto fin da quando era una bambina.
La musica ammaliatrice del Fleur de
Lis.
Le
gare di atletica, quando aveva vinto la prima medaglia per la corsa ad ostacoli
ed era corsa a farla vedere a Whitney, che l’aveva presa tra le sue braccia e
l’aveva fatta girare, ridendo felice.
Le bollicine dello champagne che
frizzavano sul suo palato, il sapore dolciastro dell’aragosta in bocca.
Il
mulino di Chandler’s Field e Clark, che l’aveva accompagnata lassù, anche se
soffriva di vertigini, e le risate nel guardarlo scendere tremando, sulla
scaletta di metallo così instabile.
La lingua di Jason, che esplorava la
sua bocca, appoggiati alla porta del Talon, il rumore della limousine che si
allontanava.
Il
primo vero bacio con Clark, nel fienile, la sera del suo compleanno, dopo che
si era quasi bruciata un dito per accendere le candeline sulla sua torta. Il
primo vero bacio, che l’aveva strappata da terra e fatta volare lontano, tra le
stelle, stretta a lui; le sue braccia forti e protettive, dove aveva sempre voluto
lasciarsi andare.
Le mani di Jason sulla sua schiena,
sulla pelle nuda, il brivido che si scioglieva in basso, tra le sue gambe, le
sue mani che si insinuavano sotto la sua camicia, a cercare la sua pelle, la
bocca a cercare altro baci, il collo reclinato all’indietro, protesa davanti a
lui, il suo volto premuto contro il seno, i capelli a solleticarle il petto
lasciato scoperto dall’abito elegante.
I
cavalli che brucavano l’erbetta fresca accanto a loro, la brezza leggera,
l’abbraccio caldo di Clark, seduti per terra, gioendo solo di esser là,
finalmente insieme, quando tutto era perfetto, quando nei suoi occhi limpidi
poteva rispecchiarsi e trovare solo la sicurezza di un amore puro, conquistato
con la pazienza, desiderato con il cuore, in ogni istante, nei sogni di ogni
notte.
Il rumore impercettibile della zip del
suo abito, che cedeva morbida alle mani febbrili e virili di Jason, il suo
sguardo penetrante quando lo aveva allontanato da sé e, da sola, aveva fatto
scivolare giù il vestito, provando un brivido mentre la seta strusciava morbida
sui suoi seni nudi. Il desiderio ardente che si scioglieva dentro di lei alle
sue carezze così intime, al contatto delle sue labbra bollenti. La voglia di
essere sua, in quel momento, subito!
Il
sollievo di rivedere il volto di Clark: era vivo, stava bene… anche se non era
più lui. La guardava diversamente, spogliandola con gli occhi, baciandola con
una forza che non c’era, prima che scappasse da Smallville, facendole provare
delle sensazioni che non voleva provare, che non era bene desiderare in quel
momento. E poi il suo sguardo colpevole e implorante, quando era tornato da
lei, per un addio.
La camicia sfilata con la forza, le
braccia di Jason che la sollevavano portandola fino al letto, ancora il suo
sguardo bramoso, ancora il desiderio che la tormentava, le sue mani che lo
tiravano a sé, il suo peso su di lei. L’attimo di paura, l’esitazione e poi di
nuovo le gambe intrecciate a lui e una sensazione nuova, che toglieva il
respiro. La sua voce spezzata mentre pronunciava il suo nome, mentre lo
stringeva a sé, affondando le unghie nella sua schiena, sentendolo tremare
forte.
L’ultimo
bacio: poco prima che decidesse di andare via, di dimenticarlo. L’ultima
speranza, l’ultima possibilità di essere sincero. L’ultima rosa abbandonata
sull’asfalto. Per lei.
La sua voce che ripeteva affannata il
suo nome, la stanchezza, il sonno che si impossessava di loro, senza riuscire a
darsi una risposta, senza spiegare come avevano potuto essere così imprudenti.
L’abbraccio caldo che aveva cercato, un posto sulla sua spalla, un bacio
ancora. Poi il sonno che aveva cancellato ogni cosa.
Lana
era riuscita a ricordare quasi ogni dettaglio della nottata trascorsa, provò un
brivido, sotto la doccia bollente.
Guardò
le sue mani, raggrinzite dal troppo tempo sotto l’acqua.
Le
lacrime si mescolavano all’acqua della doccia. Chiuse il rubinetto ed uscì,
spaventata a morte per quello che aveva realizzato.
Si
asciugò velocemente con l’accappatoio e uscì dal bagno, insieme ad una nuvola
di vapore profumato. Raggiunse la sua borsetta ed estrasse il telefono, mentre
i suoi capelli sgocciolavano per terra.
-Dove
sei?-, domandò in ansia a Jason, che le aveva subito risposto.
-Sono
qua sotto, nel vicolo…-, la voce corrucciata, come doveva essere il suo volto.
Era rimasto lì, ad aspettare che lei lo chiamasse…
-Sali…-
Chiuse
la comunicazione e si infilò velocemente delle mutande pulite, un reggiseno di
cotone bianco e una tuta morbida. Tamponò i capelli con l’asciugamano e aprì la
porta a lui che bussava.
Lo
fissò circospetta, cercando parole che non apparissero volgari, che non le
ricordassero la Lana
che era stata solo poche ore prima.
-Jason…
noi due abbiamo…-
-Sì,
Lana, sì!-, sbottò lui, lasciandosi cadere sul divano, -Mi pareva fosse chiaro…
Abbiamo fatto l’a-m-o-r-e! Non è un concetto così complicato da comprendere!-,
faceva sempre così quando si trovava in difficoltà: la interrompeva e diceva
ovvietà.
-Sì,
ma… come…?-, sperò che capisse che intendeva.
-Come?...
Non capisco… in che senso “come”… vuoi che ti racconti i dettagli che mi
ricordo? Dunque… cosa vuoi sapere… quando io ti ho aperto il vestito o quando
tu mi hai sfilato i pantaloni? Oppure quando…-
-Abbiamo
preso delle precauzioni, Jason!-, disse lei, tutta rossa, quasi urlando, sentendosi
una scema a fare quella domanda.
Le
parole morirono sulle labbra del ragazzo, che la guardò smarrito, senza
rispondere.
-Jason…?-,
voleva sentirsi dire che sì, avevano usato le precauzioni che servivano.
-Io
non… non lo so… temo di no…-, abbassò gli occhi. Non era solo colpa sua, ma si
sentiva più colpevole di lei. Forse perché per lui non era la prima volta…
-Temi di no, Jason? Mi stai dicendo che
non solo ho perso la mia verginità e mi ricordo appena come, ma che temi anche di avermi messa incinta? Perché
tu… tu…-, era chiaramente vittima di un attacco di panico, la sua voce era
spezzata, così come i suoi respiri, affannati alla ricerca di aria che i suoi
polmoni sembravano non trattenere. La testa come oppressa da qualcosa che le
impediva di pensare, un macigno sullo stomaco e, improvvisamente, anche una
fitta di dolore tra le gambe. Maledizione!
-Calmati!-,
Jason la strinse a sé, premendo la sua testa contro il suo petto: tremava.
Tremavano entrambi, in realtà.
Non mischierai il tuo sangue con
quello di colei che ha giurato di annientare la nostra famiglia!
Le
parole di sua madre risuonavano come un temporale nella sua testa, il suo cuore
batteva forte, quello di Lana, piccolo e indifeso, sembrava il cuore di un
leprotto, stretto nelle mani di un cacciatore, un attimo prima di decidere la
sua sorte.
Si
staccò da lui.
-Devo
fare qualcosa, Jason… io non posso permettere che la mia vita venga stravolta
fino a questo punto!-
Lui
annuì e si avvicinò ancora a lei, abbracciandola. La baciò delicatamente sui
capelli.
-Perdonami…-,
sussurrò.
-Non
è colpa tua… forse… forse... doveva accadere-, disse Lana lasciandosi
abbracciare, ricordando la volta che lo aveva atteso accendendo mille candele e
indossando per lui solo una camicia di seta…
Scosse
la testa e poi alzò lo sguardo su di lui, rivedendo lo stesso Jason che aveva
incontrato a Parigi, con il quale era stata felice. Si alzò sulla punta dei
piedi e avvicinò le labbra alle sue, sfiorandolo appena con un bacio
impalpabile, poi lo tirò giù, verso il divano, facendolo sedere e trovando
asilo tra le sue braccia con la testa appoggiata sull’incavo della sua spalla,
ascoltando il suo cuore tornare calmo.
I
primi tuoni, in lontananza, risuonavano cupi e dalla finestra socchiusa della
cucina, un soffio di vento più forte portò l’odore della pioggia.
---
-La notte tra mercoledì
e giovedì… sono sempre in tempo, no?-, le tremò la voce, ponendo quella domanda
all’infermiere al banco accettazioni dell’Ospedale di Smallville. Aveva passato
due ore, il pomeriggio precedente, a guardare con Jason su internet quali
fossero le soluzioni al loro ‘piccolo’ problema. Si era alzata di buon’ora,
cercando di essere la prima, all’ospedale, per accelerare i tempi e per
minimizzare i danni.
-Questo tipo di farmaco
agisce fino a settantadue ore dopo il rapporto sessuale, signorina, non si
preoccupi!-, rispose l’uomo, cercando di tranquillizzarla, ma riuscendo a
metterla, se possibile, ancora più a disagio di quanto già non fosse.
-Però, per poterle
vendere il Plan B, ho bisogno della
prescrizione del suo medico, signorina-
-Certo… capisco… ecco,
chieda a lui-, Lana consegnò all’infermiere un pezzo di carta su cui Jason
aveva scritto il nome di un medico che aveva contattato la sera prima e che gli
aveva promesso, in cambio di alcuni favori oscuri a lei, che avrebbe prescritto
il farmaco.
Avevano preso la
decisione insieme, una volta affrontate tutte le possibili alternative: la
storia della contessa Isobel, la scuola, che ancora non era terminata, e il
College, a cui Lana desiderava iscriversi, non potevano passare in secondo
piano, di fronte ad un errore commesso, di cui loro due erano solo
marginalmente colpevoli.
-Ecco qua…-, disse
l’infermiere estraendo dal fax la prescrizione che il medico gli aveva appena
inviato, in seguito alla sua telefonata per avere conferma dell’autorizzazione
alla vendita del farmaco. Si voltò e ne fece una fotocopia, che consegnò a
Lana.
-Vado a prenderle il
farmaco-, disse, e scomparve, lasciandola sola al desk.
-Ciao Lana-, la ragazza
si voltò: in coda dopo di lei, Lois la salutava da dietro lenti scure,
mostrando un sorriso sforzato.
Istintivamente Lana
accartocciò la fotocopia e la infilò in tasca. Nessuno doveva sapere di quella
storia! Nessuno, tantomeno una persona che stava sotto lo stesso tetto di
Clark!
-Lois… che piacere
vederti!-, si dette della cretina: non poteva essere un piacere, se l’aveva
incontrata in un luogo simile.
-Già… va tutto bene,
Lana?-, domandò, perplessa dall’imbarazzo dipinto sul volto dell’amica.
-Certo! … alla grande!
E tu? Che ci fai qua?-
Lois alzò le
sopracciglia, poi si voltò fingendosi interessata ad alcune brochure sulla
vaccinazione antitetanica.
-Questo: mi sono…
tagliata con un ferro arrugginito e devo fare l’iniezione di siero
antitetanico-, disse con convinzione, quasi esaltata dalla scusa che aveva
trovato.
-Oh, poverina… dove ti
sei fatta male?-, chiese Lana, scrutando le sue mani.
-Oh… niente… solo un
graffietto… al ginocchio…-, disse imbarazzata, -E tu? Che ci fai, qui?-
-Controlli…-, disse
Lana, sfoggiando un sorriso smielatamente falso, nel momento in cui tornava
l’infermiere.
-Ecco il suo Plan B, signorina Lang. Deve mettere una
firma qui: la ditta produttrice rilascia un’informativa da visionare e firmare
prima che ne faccia uso. Innanzitutto la mettono a conoscenza del fatto che
l'assunzione del farmaco entro le prime 24 ore dal rapporto a rischio ha
un'efficacia del 95%, che scende al 58% entro le prime 72 ore. [i](1) Inoltre deve
comunicarci tempestivamente qualsiasi effetto collaterale si manifestasse nei
prossimi giorni, quali nausea, vomito, perdite ematiche e cefalee. Ecco… firmi
qui…-
Lana scarabocchiò il
suo nome con mano tremante e non si mosse, anche dopo che l’infermiere si era
allontanato e tra le sue mani c’era il farmaco che doveva prendere
immediatamente.
Lois aveva sentito
tutto e lei era come impietrita, senza riuscire a voltarsi e andare via.
-Ehm…-, tossicchiò
appena Lois, alle sue spalle, poi si spostò e le si mise davanti.
-Tieni, a me non
serve-, disse passandole una bottiglietta d’acqua ancora sigillata e sfilandosi
gli occhiali da sole. Aveva gli occhi stanchi, di chi ha passato le ultime ore
a piangere. Proprio come lei.
Le due ragazze si
allontanarono dal banco accettazione e si sedettero in una saletta d’aspetto
poco distante, vuota. Rimasero per un po’ in silenzio.
Lana rigirava tra le
sue mani il fagotto di carta al cui interno si trovava la confezione del
farmaco a cui aveva pensato tutta la notte, da quando la sera prima aveva preso
la decisione e Jason si era dato da fare per procurarle la ricetta. Lois,
invece, guardava fisso un punto per terra davanti a sé, in silenzio.
Dopo un po’ si decise a
parlare.
-Credo che sia il caso
che ti decida a prenderla, Lana… capisco come ti senti, ma se aspetti ancora,
potresti pentirti della tua esitazione…-
-Hai ragione-, rispose
con voce roca. Mai in vita sua avrebbe pensato di fare una conversazione simile
con Lois. Non l’aveva mai sentita come un’amica. Lois era la cugina di Chloe,
stop.
Cercò di aprire con
mani tremanti la bottiglia d’acqua che le sfuggì di mano.
-Ecco-, disse Lois
stappandola, dopo averla raccolta e porgendogliela.
-Grazie…-, Lana aprì la
scatolina rosa e celeste e portò la pastiglia alle labbra. Poi si decise, la
inghiottì e bevve un sorso d’acqua. Si asciugò la bocca con il dorso della mano
e si voltò lentamente verso Lois.
-Ora credo che ti
convenga stare tranquilla per qualche giorno… forse avrai dei doloretti… al
fegato più che altro…-, Lana la guardò pensierosa.
-Ne parli come se anche
tu…-
Lois scosse la testa.
-No, non io… ma
qualcuna che conosco… Anche se in realtà, quando mio padre trovò la scatola
della medicina, me ne presi la colpa io…-, sospirò, lasciandosi andare ai
ricordi, scotendo ancora il capo, senza capire come fosse possibile che gli
affetti più profondi svanissero a quella maniera.
-Tua sorella?-, domandò
Lana.
-Già… ma è storia
passata!-, riacquistò il suo piglio deciso, indossando ancora la maschera che
sperava avrebbe nascosto la sua stanchezza e le sue preoccupazioni, -Dunque…
spero ne sia valsa la pena…-, si lasciò sfuggire, velando le sue parole con
quel sarcasmo che non riusciva quasi più a scrollarsi di dosso.
Lana si accigliò, offesa
dalla domanda.
-Sì, Lois, ne è valsa
la pena-, disse alzandosi e, con un sorriso di commiato, mentendo, se ne andò.
Lois alzò le sopracciglia,
sospirò e si convinse che aveva parlato a Lana a quella maniera solo perché
anche i suoi nervi stavano per cedere. Inforcò ancora gli occhiali scuri,
riprese la cartellina che aveva in mano, e si rimise in coda al banco
accettazioni, fingendo di essere spavaldamente sicura di sé.
Quando uscì
dall’ospedale erano le quattro e mezzo passate. Lois avanzò a grandi passi fino
alla sua auto, aprì la portiera e buttò il fascicolo che le avevano appena
consegnato sul sedile di dietro, sopra ad altri fogli simili.
Maledizione…!
Inspirò profondamente e
abbassò il parasole, per guardarsi nello specchietto: sì, era decente.
Girò la chiave nel
quadro e partì.
Doveva vedere Martha
Kent.
Guidò rapidamente,
infischiandosene dei controlli della velocità e della sua patente, già più
volte finita in mano ai vigili della strada. Lasciò che il vento entrasse dai
finestrini e scompigliasse i suoi capelli, ferisse i suoi occhi e le desse una
scusa per mentire anche a se stessa, dicendo che non stava piangendo.
Sterzò facendo sgommare
l’auto ed imboccò il vialetto dei Kent, rallentando. Si tolse gli occhiali da
sole e passò un po’ di cipria sul viso, per coprire le occhiaie.
Uscì dall’auto e prese
tutte le sue carte.
Indossò un bel sorriso
spensierato ed entrò annunciandosi con la voce.
-Toc toc!-
Clark era in cucina,
con la testa infilata dentro il frigorifero alla ricerca di qualcosa da
sgranocchiare o da bere. Riemerse e la vide, mentre Martha li raggiungeva
arrivando dal piano di sopra.
-Lois, che bello
rivederti qui!-, le disse avvicinandosi per abbracciarla, poi fermandosi un
istante e guardandola a bocca aperta.
-Lois! Che… che è
successo ai tuoi capelli? Hai infilato la testa in una pozza di petrolio?-,
ridacchiò Clark, addentando un pezzo di Apple Pie avanzato. Si era sforzato di
essere provocatorio come al solito.
-Sai, Clark, ho sempre voluto assomigliare a
mia madre: lei aveva i capelli chiari, come mia sorella ed io… beh, volevo
essere come lei. Ora… beh… ora so di essere più simile a mia madre di quanto
volessi e… ho deciso che è tempo di tornare ad essere solo Lois Lane. Almeno
per un po’…-, lei, invece, aveva abbandonato ogni tentativo di sarcasmo con
lui, dopo quello che si erano detti la sera prima. Aveva cercato di sorridere,
mentre parlava, ma era stato duro riuscirci.
Martha chinò appena la
testa, lasciandosi sfuggire per un istante un’espressione addolorata ed
impotente. Poi inspirò e tornò a sorridere.
-Apprezzo molto la tua
scelta, Lois: sei proprio bella con i capelli neri!-, disse con voce il più
salda possibile.
-Grazie! E pensare che
stamattina Lana non se n’è neanche accorta!-, alzò le spalle, sforzandosi di
mantenere un’espressione divertita.
-Hai visto Lana? Al
Talon, immagino…-, domandò Clark, buttando giù un bicchiere di latte freddo.
-No, in realtà no…
comunque… allora, Smallville, ti piaccio con questo nuovo look?-, scherzò,
sapendo che lo avrebbe messo in imbarazzo e gli avrebbe servito su un piatto
d’argento l’occasione per una delle sue battutine, che in quel momento avrebbe
fatto bene a tutti.
-Sì… stai bene così-,
disse Clark sorridendo, -Ora devo andare-, passò vicino a lei e le sfiorò la
spalla con una mano, salutandola.
-Grazie Smallville…-,
bisbigliò Lois quando già Clark era uscito di casa, senza trattenere un timido
sorriso che era fiorito sulle sue labbra. Inatteso.
Giovedì 06/05/’05 ore 5:45 PM
A
Metropolis si era sbrigata molto in fretta. Non c’era molto da dirle, così,
quando aveva abbandonato lo studio medico, era ancora presto. Era rimasta
indecisa sul da farsi per interminabili minuti, seduta sulla panchina del parco
cittadino dove sua madre la portava spesso e dove lei, crescendo, aveva portato
sua sorella, intrattenendosi con i ragazzini che andavano sugli skateboard e
tenendola d’occhio mentre lei giocava con le sue barbie, seduta sull’altalena.
C’era
una fontana, adesso, al posto della pista per gli skater, e una nuova altalena
in metallo al posto di quella di corda e legno. Erano passati quasi dieci anni
e tutto, tutto era cambiato.
Aveva
provato a chiamare Lucy sul suo cellulare, contando mentalmente che ore fossero
in Europa.
-Allò!-,
la voce pimpante della ragazza, per un attimo, l’aveva fatta desistere da
quello che stava per chiederle.
-Ciao
sorellina, sono io…-
-Ciao
Lois! Come va?-
-Lucy
io… ho bisogno del tuo aiuto…-, poi le aveva chiesto quello che le pesava così
tanto.
Guidando
verso Smallville, Lois cercò di trattenere il pianto: sua sorella le aveva
attaccato il telefono in faccia e, dopo, aveva rifiutato le sue telefonate.
Solo un sms, che bruciava come acciaio infuocato su una ferita aperta:
E’ un problema tuo.
Non chiamarmi più.
Buona fortuna.
Imboccò
la statale che portava dritta alla fattoria dei Kent bypassando il paese e
sperò che Martha fosse lì, per sfogarsi con lei, che era divenuta la sua unica
ancora di salvezza mentale su quella terra.
Fermò
il motore e corse a bussare. Le venne ad aprire Clark, scuro in volto come se
avesse preso un’insufficienza a scuola.
-Ciao.
Dov’è tua madre, devo parlarle-, disse velocemente, non aspettando di trovare
il ragazzo. La sua agitazione tradì l’apprensione che cercava di nascondere.
-Non
c’è-, disse lui seccamente, senza farla entrare.
-Ehi,
Smallville! Se mi fai tutte queste feste potrei anche prendere una pallina e
lanciartela perché tu me la riporti scodinzolando!-, lo fulminò.
-Mi
stai dando del cane, Lois? -, la guardò minaccioso.
-Per
l’esattezza ti sto dando del cane rabbioso, ma con una spiccata propensione a
capire al volo le battute-, ricambiò il suo sguardo: forse litigare con lui le
avrebbe fatto bene lo stesso, pensò falsamente.
-Allora
sono un cane rabbioso e, ti avverto, oggi potrei anche mordere sul serio! Sono
solo, qua, mia mamma non c’è e quindi penso che tu possa andare-, Lois accusò
il colpo, scoprendosi dispiaciuta per quella risposta, per il tempo necessario
a riprendere il suo controllo.
-D’accordo,
Smallville. Hai detto bene: tua madre non c’è e tu non servi proprio a nulla.
Mi sono già sorbita il “Clark cattivo” quando ti ho raccattato tutto nudo in
mezzo a quel campo e non ci tengo proprio ad assistere ad un’altra scena
simile. Me ne vado-, si voltò abbassando la maniglia della zanzariera, con una
ferita in più di quelle che già aveva collezionato quel giorno sul suo cuore.
-Aspetta
Lois…-, la sua voce era diversa, molto più calma, pentita per il tono appena
usato.
Le
mise una mano sulla spalla e, delicatamente, la fece voltare.
-Credo
di… dovermi scusare con te… Ha ragione mia madre: questo è un periodo
incasinato per me e non so come mai l’unica persona con la quale io riesca a
sfogarmi sei tu… Quando mi hai trovato in mezzo a quel campo mi hai aiutato
senza chiedermi nulla. Avresti avuto più ragione di chiunque altro a
impicciarti dei miei affari e invece… Io lo so, Lois, che c’è qualcosa che non
va, me l’ha detto mia mamma che stai male per qualcosa e questo ti rende ancora
più scontrosa, ma non sarò io a chiederti che hai, a scavare nella tua privacy…
Se vorrai, sarai tu a parlarmi. Sono stato un cretino a stuzzicarti senza
alcuna ragione e ora… Scusami… soltanto questo…-
Lois
lo guardò aggrottando le sopracciglia, poi scacciò la sua mano dalla sua
spalla.
-Sono
il tuo punching-ball, praticamente?-, chiese seria, ma Clark non poté fare a
meno di sorridere alla sua domanda.
-Credo
che… sì, ti ho considerata come il mio punching-ball… non so come mai, ma
quando ci sei te io…-
-Non
scusarti, Clark… è anche merito mio se le cose tra noi vanno in questo modo…
Sono la prima a dovermi scusare per il mio atteggiamento, ma con te non riesco
ad essere in altro modo se non…-
Parlarono
insieme e abbassarono entrambi lo sguardo, sorridendo imbarazzati. Lois colpì
con un pugno leggero Clark sul braccio.
Si
guardarono senza parlare, senza più sorridere, scavando in profondità dentro le
loro anime che non erano mai state così vicine, eppure così lontane, separate
da segreti troppo pesanti per essere confessati.
Il
timido ragazzone di campagna che riusciva a tirare fuori le unghie solo contro
di lei, sotto sotto, era un uomo molto più complesso di quello che appariva,
con tanti problemi che affastellavano il suo cuore e velavano il suo sguardo.
Lois provò come una fitta dentro di sé e per un istante abbassò il volto,
scoprendo ancora la guardia, mostrando quello che si agitava nel suo cuore.
Rialzò lo sguardo verso di lui e gli permise di guardare quanta sofferenza ci
fosse dentro di lei. Poi gli sorrise, con occhi tristi, si voltò ed uscì di
casa.
Prima
che le lacrime la colpissero proprio davanti a lui.
---
Clark aveva chiaramente
capito che, qualsiasi cosa avesse turbato Lois la sera prima, quel pomeriggio
era più viva che mai e le bruciava nel petto togliendole anche quell’aria da
superdonna che sfoggiava sempre, quando erano insieme. Si era tinta i capelli:
non era una cosa normale, per lei, anche se si trattava di tornare al suo colore
naturale.
Non era una cosa
normale farlo adducendo una motivazione così valida.
Non pensava che anche Lois avesse i capelli neri, come Lily e Lana…
Almeno era contento di
essere stato sincero, con lei, facendole un complimento.
Qualunque cosa
nascondesse Lois, sarebbe stata lei a parlargliene, perché lui non avrebbe
violato la sua privacy pretendendo che le svelasse il suo segreto.
Fermò la Dodge sulla statale, poco
oltre il recinto della sua fattoria, e chiamò Lily, ma il telefono di casa era
sempre occupato. Il cellulare, invece, era spento. L’aveva intravista quella
mattina, a scuola, ma le era parsa molto confusa, e non aveva voluto imporle la
sua presenza.
-Chiamami tu, quando te
la senti-, le aveva detto ed era tornato a casa, lasciando a Pete il suo lavoro
al Torch.
Scosse la testa e mise
via il cellulare: sarebbe andato da Lex, allora, per capire cosa lo avesse
spinto ad offrire la sua preziosa magione agli unni del Prom Ball. Aveva deciso
di non dare ascolto alle parole di Lionel: forse era una mossa avventata, ma
Lex non aveva dato alcun segno di interesse verso Lily, né si era visto molto
in giro, negli ultimi tempi, non poteva essere una minaccia…
Si fece annunciare e lo
trovò, come al solito, nel suo studio. Sorseggiava qualcosa girato verso la finestra.
-Quale onore, Clark!
Pensavo di aver addirittura dimenticato il tuo nome, tanto è il tempo che non
mi vieni a fare visita qua al castello!-, si voltò verso di lui aprendo le
braccia in segno di accoglienza e, non appena lo vide, Clark aggrottò le
sopracciglia e si avvicinò a lui.
-Che è successo, Lex?
Chi è stato?-, aveva un taglio sul sopracciglio sinistro e metà volto gonfio.
Lex prese un altro
sorso di liquore e un’espressione di dolore si dipinse sul suo volto.
-Vodka: brucia da
impazzire, ma aiuta a risarcire la ferita-, disse, indicando il labbro solcato
da un altro taglio.
-Credevo che in questi
casi si usassero dei punti… Ma non mi hai ancora risposto: chi ti ha fatto
questo?-
Lo afferrò
delicatamente per le spalle e lo fece voltare verso la luce, per guardare il
suo volto sfigurato.
Lex ridacchiò,
allontanando le sue mani e versandosi altra vodka.
-Se te lo dicessi non
mi crederesti… o forse sì… ?-, non era la prima volta che Jason Teague
affondava i suoi pugni sulle loro facce, anche Clark ne era stato vittima,
qualche mese prima.
-Che cos’hai combinato,
stavolta, Lex?-, il tono della sua voce era velatamente critico, pur
preoccupandosi per il suo amico.
-Forse me le sono anche
meritate, sai? Ma ho picchiato duro anch’io: credo che… sia io che te siamo
stati vittime di un furto…forse questo
ha risolto una volta per tutte una probabile lite futura tra noi, ma… ormai
alea iacta est-, alzò il bicchiere e buttò giù la vodka.
-Ma cosa stai dicendo,
Lex? Sei ubriaco…-, Clark afferrò la bottiglia: mancavano solo poche dita di
liquido.
-No, non sono ubriaco…
lascia perdere quello che ti ho detto…-, rise da solo, diabolicamente.
Giovedì 06/05/’05 ore 10:20 AM
Jason
entrò nello studio senza farsi annunciare. Aveva lo smoking che gli aveva
procurato lui la sera prima, senza il cravattino ed un’aria decisamente molto
poco amichevole.
-Luthor!
Come hai potuto fare una cosa simile?-, tuonò sbattendo una mano sul pianoforte
a coda.
-Excusez-moi
messieurs, je dois vous demander de terminer notre rencontre dans un autre temp…
(2) [iii],
disse Lex in francese fluente a due distinti signori con cui stava trattando
alcune questioni economiche, mantenendo il suo stile impeccabile.
Attese che i
due fossero usciti scambiando con loro qualche altro convenevole e poi si
diresse verso il mobile bar. Versò dello scotch ed offrì il bicchiere a Jason,
che lo colpì con una mano e lo buttò per terra.
-Cosa
significa questa presa in giro, eh? Lex?-, ringhiò mostrandogli il cellulare
sul cui schermo appariva il messaggio che gli aveva appena inviato, -Ci hai
drogati?-
Lex lo
guardò perplesso, non capendo bene cosa intendesse Jason.
-Non pensare
di dire altre cazzate, bastardo!-, Jason lo prese per il bavero e lo spinse
verso il muro.
-Tu non sai
cosa hai fatto… tu non…-
-Lana sarà
stata più sciolta, grazie al mio aiuto, no? Ti sei fatto dire se sa dove sono
le pietre?-, Jason lo colpì forte alla bocca. Subito il sapore dolciastro e
metallico del sangue invase la bocca di Lex, che si portò una mano alle labbra.
-No! Non mi
sono fatto dire dove sono le pietre! Me lo dovevi dire che avevi intenzione di
drogarla, maledetto! Pensavi che non sarei riuscito a farla parlare senza il
tuo aiuto??-, lo strattonò ancora. Aveva gli occhi iniettati di sangue e il mal
di testa non gli dava tregua. Abbassò la guardia e Lex lo colpì, facendolo
cadere per terra, tenendosi una mano premuta sull’occhio offeso.
-Penso
proprio di no… Invece di ringraziarmi, entri in casa mia e mi colpisci! Chi ti
credi di essere, Jason?-
-Io ho…
bevuto il suo champagne, ieri sera-, disse alzandosi e riprendendo una
posizione di difesa.
-Hai bevuto
il…? Cosa…?-, la destra di Lex, sollevata in difesa, cadde giù ed
un’espressione confusa si dipinse sul suo volto.
-Ti
meravigli? A volte capita, tra fidanzati, di bere uno dal bicchiere
dell’altra!-, si avvicinò ancora e lo spintonò verso il tavolo di cristallo.
Era una provocazione, quella frase che aveva detto, -E capita anche di
lasciarsi andare, specie se si è bevuto champagne corretto all’ecstasy!-
-Cosa vuoi
dire?-
-Lo sai bene
che voglio dire! Mi hai visto uscire da casa sua poco fa, è stato allora che mi
hai mandato questo dannato messaggio!-
Lex aggrottò
le sopracciglia.
-Cosa ci
facevi da Lana di prima mattina?-, sembrava onesto. Sfacciatamente onesto.
-Dannato
deficiente!-, lo colpì più forte, sentendo male alle nocche della mano che
sbattevano contro la sua fronte dura, -Non doveva succedere così tra noi! E’
tutta colpa tua se Lana perderà la fiducia in me!-
Lex lo
allontanò spingendolo con forza.
Stava
iniziando a capire, forse… Non era quello che doveva accadere… non a Lana, alla
sua Lana!
-Cosa le hai
fatto? Bastardo?-, urlò in faccia a Jason, colpendolo con un gancio allo
stomaco e mozzandogli il respiro.
-Non cosa le
ho fatto, ma cosa ci hai indotti a fare!-, la voce strozzata dal dolore,
rabbiosa.
-Se le hai
torto un solo capello io…-, Jason si lasciò scappare una risata amara.
-Ci sono
andato a letto! Sei stato tu a farmelo fare, tu e la tua droga! Non doveva
accadere così… lei era…-
Lex rimase
immobile un istante, le orecchie gli ronzavano per il colpo subito e per il
cazzotto di Jason.
Lana, la sua Lana…
-Maledetto!-,
Lex si scagliò contro Jason e lo colpì con un colpo scomposto alla bocca, dove
sapeva per esperienza che faceva davvero male, ma il ragazzo fu svelto e
ricambiò con un calcio in un ginocchio.
-Ti sei
preso qualcosa che non era per te! Maledetto!-, Lex era fuori di sé, più di
quanto Jason potesse immaginare. Era il momento di metterlo ko.
-Oh, sì,
invece! Lana è stata molto convincente, mentre mi chiedeva di fare l’amore con
lei, sai? Non era la prima volta che faceva così, ma il passato non avevamo la
droga che ci ha spinto verso questa decisione!-, lo colpì una volta ancora e lo
bloccò di nuovo al muro.
-Ho chiuso
con te e con il nostro accordo, Lex! Non ti avvicinerai più a Lana, perché io le
starò sempre vicino, sempre addosso come dovrebbe fare un fidanzato fedele. Ora
non ci sono più incertezze ad impedirci di essere felici insieme: grazie a te!
Immagino che anche Clark Kent, se lo sapesse, sarebbe infuriato con quello che
ci hai fatto fare, Lex… ma in fondo ti ringrazio, perché mi hai dato modo di
avere qualcosa che né tu, né quel bamboccio potrete mai più avere-, lo lasciò e
se ne andò, sbattendo ancora una volta la porta in legno e vetro, che tintinnò
sinistramente.
Lex, rimasto
solo, cadde in ginocchio. Vedeva tutto rosso, gli occhi gli bruciavano e le
lacrime si mischiavano al sangue, rendendo il suo volto una maschera scarlatta.
-Mi hai
fregato…-, imprecò piano, battendo i pugni a terra: Jason Teague gli aveva
soffiato da sotto il naso il suo trofeo, quello che controllava da tempo e che
non doveva mai cadere in mani sbagliate.
Clark… un
pensiero fugace corse a lui e a quello che Jason aveva detto a riguardo e
sorrise diabolicamente, mentre le lacrime scivolavano lungo il suo collo.
-Non l’ho
avuta per primo io, ma almeno non sei stato tu, Clark Kent…-
---
Clark guardò Lex
perplesso, senza capire a cosa alludesse dicendo che erano stati vittima di un
furto: cosa poteva mai esserci che il grande Lex Luthor non fosse in grado di
recuperare e che qualcuno potesse portare via a lui, un onesto contadino di
provincia?
Vide che Lex abbassava
il suo bicchiere e si sedeva sul divano davanti al caminetto. Era il suo modo
di archiviare un argomento e anche se Clark avesse voluto indagare oltre, ne
era certo, non sarebbe riuscito a strappare dalla sua bocca una parola in più.
Decise che non era niente che lo toccasse in prima persona e si sedette vicino
a lui.
-Ho saputo che hai
offerto il castello per la festa di fine anno… io non riesco a capire come mai…
hai idea della devastazione che dei ragazzi della mia età possono fare?-
Lex lo guardò senza
espressione, poi sorrise, come a prenderlo in giro.
-E tu hai idea di cosa
significhi avere un esercito di inservienti pronti a rimuovere ogni singolo
schizzo di vomito di voi ragazzini e mantenere costantemente splendente ogni
singolo angolo di questo castello e del parco là fuori?-, vide che Clark lo
guardava perplesso da una tale risposta. Tornò serio.
-Io sono il
finanziatore della squadra di football, Clark, e la vostra squadra merita una
festa degna di tale nome, dopo aver vinto il campionato. Mi pareva il minimo
che potessi fare… e visto che la palestra della vostra scuola è
disgraziatamente andata in fumo… ho solo deciso di unire le due feste. Niente
di più-, allargò le braccia, alzando le sopracciglia.
-E… sarai tu ad
incoronare la reginetta della festa?-, chiese Clark ridacchiando, immaginando
Lex nel ruolo del cerimoniere della serata. In fondo, l’idea di poter
festeggiare la chiusura di un ciclo là, nel palazzo in cui aveva passato così
tanto tempo e che tanti altri ragazzi invidiavano, mentre lui conosceva bene,
era un’idea stuzzicante.
-Veramente pensavo di
comunicare alle organizzatrici che quest’anno voglio che il tono della festa
sia più goliardico, che elegantemente formale…-, guardò Clark di sottecchi,
godendosi la sua espressione stupita.
-Cosa intendi per…
goliardico?-
-Sai, Clark, io non ho
mai partecipato al Prom Ball della mia scuola. Ero ad una festa di gala con mio
padre, a Parigi, mentre i miei amici ballavano mano nella mano alle ragazze più
belle del Kansas… loro si divertivano, ed io ero in doppiopetto ad ascoltare
una anziana arpista nel suo salotto buono, circondato da altri pinguini come me
e vecchie balene in lungo. Ho sempre sognato una festa più dinamica… meno
formale, per intenderci. E questo castello ha già visto fin troppe cerimonie
formali-
Clark non sapeva se
ridere o preoccuparsi per la salute mentale del suo amico.
-Il comitato delle
ragazze ti odierà se proporrai di lasciare a casa gli abiti-bomboniera…-
-Proporrò loro qualcosa
di più casual… qualcosa che le faccia sentire comunque sexy e desiderabili,
mentre immagino che gli Smash Mouth vi divertiranno, nel frattempo-
-Gli Smash… Cosa? Hai
davvero chiamato loro?-, Clark era incredulo. Lex godette di quel breve momento
di onnipotenza.
-Suoneranno fino a
mezzanotte, dopo verrà la cover band degli U2… ho telefonato a Bono, ma sfortumatamente
quella sera erano già impegnati per venire di persona…-, guardò Clark rimanendo
serio.
-Tu non… Non è vero,
giusto?-, mai come in quel momento aveva guardato Clark avanti a sé e aveva
visto quello che era: un ragazzino pronto ad emozionarsi sentendo nominare dei
cantanti famosi.
-Chi può dirlo?-, gli
rispose alzandosi dal divano. Poi si voltò verso di lui.
-Mi aspetto che verrai
con la tua bellissima ragazza, anche se avrei preferito conoscerla meglio di
persona, prima di invitarla qua come una qualsiasi studentessa della scuola…-
Clark arrossì appena e
il suo pensiero tornò rapido a lei: doveva vederla e si stava dilungando troppo
con Lex. Si scusò e andò via dal castello, velocemente, fingendo di essersi
dimenticato del loro appuntamento.
-Se non arrivo da lei
entro dieci minuti mi sa che verrò da solo, alla festa!-, scherzò uscendo,
corse alla macchina e guidò veloce verso casa sua.
Immaginò che Lois fosse
sempre con sua madre alla fattoria e suonò alla porta di Lily, chiamandola a
gran voce, visto che ancora il telefono di casa era occupato e il cellulare
staccato.
Lily arrivò subito ad
aprire e, quando lo vide, non seppe trattenersi dall’abbracciarlo stretto:
aveva cercato di stare sola e di riflettere sulla sua vita, ma il pensiero
correva sempre a lui.
Aveva rimesso a posto
male il telefono, volutamente, e anche il cellulare era spento non per caso:
aveva bisogno di capire da sola quello che stava riaffiorando dalla sua memoria
e che dalla sera prima la tormentava, non voleva essere interrotta da qualcuno
che la chiamasse.
Clark si perse tra le
sue braccia, mentre veniva ricoperto da tanti piccoli baci dolci come caramelle
di zucchero. La strinse forte e ricambiò il benvenuto, scostando la frangia
dalla sua fronte e baciandola in ogni angolo del suo viso, scendendo verso la
sua bocca.
Aveva un sapore strano,
allontanò il viso dal suo e vide, dietro a lei, sul tavolino davanti al divano,
un sottile filo di fumo provenire da una sigaretta accesa in un posacenere.
Fece qualche passo in
quella direzione.
-Lily… che stavi
facendo?-, le chiese con una punta di rimprovero nella voce, -Hai comprato
delle sigarette…?-
-Non sono mie… le ha…
dimenticate Lois, uscendo, stamattina… ho visto che le fuma quando è nervosa ed
io…-
-Ha ricominciato…-,
constatò con tristezza Clark, tra sé e sé. Poi guardò di nuovo Lily.
-Anche io sono nervosa,
ma… ne ho accesa solo una, te lo giuro, Clark… ho anche tossito! Non… non mi ha
fatto assolutamente niente: sono solo più agitata di prima! Sono così confusa…-
Clark la guardò
scuotendo appena la testa.
-Tu non sei come Lois,
Lilyanne… il tabacco, l’alcool… non possono fare su di te lo stesso effetto che
hanno sulle persone… sugli altri-
-Stavi dicendo “sulle
persone normali”, vero? Perché è chiaro che noi non lo siamo… ma cosa diavolo
siamo, Clark?-, aveva gli occhi un po’ lucidi.
-Andiamo-, le disse
prendendola per mano, ti dirò tutto.
Giovedì 06/05/’05, ore 4:37 PM
Lily
chiuse la porta di casa alle sue spalle: Clark, là fuori, avrebbe voluto
rimanere con lei e convincerla che quello che gli aveva rivelato corrispondeva
a verità. Forse, se l’avesse vista più calma, le avrebbe anche mostrato le
prove di quello che diceva, avrebbe dimostrato che, in quel pomeriggio del
sedici ottobre 1989, erano stati due i bambini senza genitori ritrovati e
raccolti da altrettante coppie. Forse le avrebbe anche detto che quei due
bambini non erano due estranei, che venivano dallo stesso posto, che avevano
gli stessi genitori. Che erano fratelli e che tra loro due, quindi, non ci
sarebbe stata alcuna speranza di un futuro amoroso.
Da
quando si era scoperta uguale a lui, essere sua sorella era la più grande delle
paure, che non aveva mai voluto rivelargli, per timore che la prendesse per una
sciocca. Aveva deciso di accantonare l’idea, ma adesso... se credeva alle
parole di Clark, riapriva le porte ai suoi dubbi e si trascinava verso nuove
sofferenze, scoprendo che quelli che aveva creduto suoi genitori, in realtà,
erano solo due persone che l’avevano trovata, per caso…
Sospirò
profondamente e si avvicinò alla libreria vicino al camino: prese un vecchio
album delle foto e salì rapidamente le scale ed entrò in camera sua; si fermò
davanti alla libreria ed estrasse il libro “Alice nel Paese delle Meraviglie”,
l’unico che fosse sopravvissuto a quattro traslochi e ad un incendio. Si
sedette sul letto facendo scorrere le mani sulla copertina scolorita e ruvida:
non prendeva in mano quel libro da mesi.
Si
soffermò a riflettere: stava per fare una cosa che sapeva bene che non avrebbe
dovuto fare, ma doveva assolutamente parlare con lui!
Aprì
il libro, che scricchiolò appena, ed estrasse dalle pagine un foglietto
ripiegato accuratamente. Lo svolse e osservò quello che c’era scritto, poi
afferrò il cordless e digitò il numero.
Pochi
attimi dopo, le rispose un uomo.
-Sono
Lilyanne Leibniz e devo parlare con il mio tutore-, attese con il cuore in gola
che l’uomo rispondesse qualcosa.
-Chi
ti ha dato questo numero?-, chiese perplesso quello all’altro capo.
-Io
ho… ricavato il numero da una vecchia telefonata, quando stavo ancora a Gotham
City…-, sperò che chi la stava ascoltando non si arrabbiasse o la ritenesse
pazza.
Dopo
un attimo di pausa, l’uomo parlò ancora.
-Sono
io, Lilyanne: ho sottovalutato la tua intelligenza, ma mi congratulo. Cosa
posso fare per te?-, nella voce vagamente metallica, Lily percepì un fremito
emozionato.
-Io…
devo parlarle, ho bisogno di capire cosa mi sta succedendo…-
-Ti
trovi bene a Smallville, Lilyanne?-, chiese pacatamente.
Lily
si sentiva in soggezione ascoltando di nuovo la voce dell’uomo cheaveva deciso della sua vita, mandandola via
da Gotham City. Si chiese da quanto tempo, in realtà, quell’uomo la
controllasse.
Era
stato solo grazie a lui, però, che la verità sulla morte dei suoi genitori e di
Greg era stata coperta e lei poteva ancora vivere una vita da ragazza come tutte
le altre, agli occhi della legge, almeno.
-Sì:
pensavo che fosse una punizione l’essere mandata qui, invece ho capito che è
stata solo una benedizione…-, disse di slancio.
-E’
stato un bene che tu non abbia mai provato a chiamarmi, prima d’ora, sai, Lilyanne?
La tua linea era controllata, ma grazie ad un ‘amico’ abbiamo risolto il
problema ormai da alcune settimane-, Lily non capì: non poteva essere vero… chi
avrebbe mai trovato interesse a spiarla?
-Chi
mi controllava? E perché pensa che le avrei detto qualcosa di compromettente?-,
ancora una volta provò la stessa sensazione di sentirsi in trappola, come un
topo da laboratorio chiuso in un labirinto di formaggio.
-Mi
hai chiamata per dirmi che stai sviluppando nuovi poteri, non è vero, Lilyanne?
Cosa hai imparato a fare? Ora riesci anche a vedere attraverso gli oggetti
oppure hai finalmente imparato a controllare la tua tendenza ad incenerire le
cose con la forza del tuo sguardo?-, la sua voce calma la fece agitare ancora
di più, come se stesse parlando ad un Grande Fratello che la osservava in ogni
istante della sua vita, da sempre.
-Oppure
vuoi dirmi che hai conosciuto Clark Kent e che voi due avete in comune molto di
più che la stessa scuola e la stessa propensione a cacciarvi nei guai? Spero
che sia una brava guida, per te…-
Lily
riagganciò il ricevitore con il cuore in gola, impietrita e sconvolta dalle
parole del suo tutore: era davvero con lui che stava parlando? Chi era
quell’uomo? Come faceva a conoscere tutte quelle cose su di lei, e perché conosceva
Clark e il suo segreto?
Il
telefono squillò prima che le avesse potuto sollevare le mani dal ricevitore.
Sentì il cuore schizzarle fuori dal petto per lo spavento. Rispose
immediatamente, senza pensare, portando il cordless all’orecchio.
-Non
devi avere paura, Lily: è normale che io mi preoccupi per te, che sappia ogni
cosa di te… tu sei come una figlia, per me…-
-Chi
è lei?-, chiese Lilyanne, disubbidendo. Anni prima, in una lettera, l’uomo le
aveva domandato di non porgli mai quella domanda.
-Sono
solo una persona che si preoccupa per te, Lily… ti ho mandato a Smallville
perché tu scoprissi chi sei-
Ancora
menzogne, ancora quell’uomo non rispondeva alla sua domanda.
Non
voleva dirle chi era? Bene, poteva fare a meno di lui, ma doveva sapere se quello
che le aveva detto Clark era vero… non doveva lasciarsi portare fuori strada da
sentimentalismi e curiosità inutili.
-Lei
è il mio tutore legale da prima che venissi adottata da John e Veronique
Leibniz, non è vero? Lei sa tutto su di me… allora perché non mi ha mai aiutata
a capire cosa fossi, come dovessi comportarmi? Cosa sa lei dei miei primi
genitori?-, chiese quasi urlando.
-Sono
morti in un incidente sulla statale 87 vicino a New York, lasciandoti sola e
miracolosamente illesa-, la sua voce tremò per un istante, ma Lily non se ne
rese conto.
-Questo
lo so anch’io! Ero presente e so che sono stati ammazzati da un pazzo!-
-E’
stato un incidente, Lily-
-Cosa
ne vuole sapere, lei? Lei non c’era, non sa che ho visto morire la mia mamma a
soli quattro anni, mentre il mio papà non mi ha neppure potuta guardare
un’ultima volta! Io… spero che quell’uomo sia morto per il rimorso!-, stava per
piangere.
-No,
non è morto. Ma so che ogni giorno della sua misera vita ripensa a quella
bambina dagli occhi pieni di lacrime che ha distrutto per sempre… e tutte le
sere prima di dormire si domanda perché non è stato lui, a morire, invece che i
suoi genitori…-
Lily
portò una mano alla bocca, per non far sentire all’altro capo del telefono i
singhiozzi che non riusciva più a trattenere: si era appena augurata la morte
di un uomo… di un uomo che forse, davvero, provava quello che il suo tutore le
aveva appena detto. Ebbe un flash di memoria, ricordò i suoi occhi che la
guardavano dall’auto distrutta, gli occhi di chi si domanda perché non è morto,
invece che spezzare il cuore di una bambina in lacrime. Proprio come aveva
detto lui. Tirò su con il naso, deglutì e cercò di calmarsi, di andare oltre.
Doveva sapere.
-Lei
lo sapeva che io non ero figlia loro, non è vero?-, se Clark aveva ragione, lo
avrebbe scoperto subito.
L’uomo
non rispose, Lily lo sentì sospirare. Cercò di dominare l’angoscia e rimase in
attesa.
-No,
tu non eri figlia loro, Lily. Loro ti avevano solo trovata…-
-Dove?-,
le unghie della sua mano stretta a pugno stavano ferendole il palmo.
-Ti
ho mandata a Smallville perché tu scoprissi le tue origini…-
-Il
sedici ottobre del 1989? Non è vero?-
-Come
lo sai? Telo ha detto Clark?-
-Non
ero l’unica bambina abbandonata che fu ritrovata, quel giorno, lei sapeva
tutto, non è vero? Chi ci ha abbandonato? Chi ha abbandonato me e Clark durante
una pioggia di meteoriti nel bel mezzo del niente?-
La
voce dell’uomo all’altro capo cambiò di tono.
-No!
No… io… sapevo che tu eri stata trovata a Smallville in quella data e che i tuoi
genitori avevano fatto carte false per portarti via, ma… non ho mai pensato che
tu e Clark Kent siate arrivati a Smallville insieme…-
-Senta
‘Papà Gambalunga’: io sono stanca dei giri di parole, di sentirmi confessare
solo le cose che fanno comodo agli altri, di non sapere chi sono e cosa ci
faccio qui! Io pretendo di sapere ogni cosa! Ora le dirò la mia verità: ho conosciuto Clark Kent e
mi sono innamorata di lui. Ho scoperto che io e lui abbiamo gli stessi poteri,
sappiamo fare le stesse cose, come già lei sapeva. Ora vengo a sapere che
entrambi siamo stati trovati qua a Smallville abbandonati dai nostri genitori.
Lo sa cosa penso? Penso che due più due fa sempre quattro, che stia a New York,
Gotham City o Smallville e che io e
Clark siamo stati abbandonati dagli stessi
genitori, che sono morti, o se ne sono andati perché eravamo dei mostri! Penso
che io e lui siamo fratelli e che il destino mi ha giocato anche questo
orribile scherzo… oppure che lei mi abbia spedita qui senza pensare alle
conseguenze del suo gesto, penso che per tutto questo tempo lei ci ha studiati,
per capire a quale strana specie apparteniamo! Penso che lei sappia anche dove
si trovano o che fine hanno fatto i nostri veri genitori, e che pur di
continuare a studiarci, lei avrebbe taciuto la verità su di me in eterno!-,
scoppiò a piangere a dirotto e l’uomo all’altro capo del telefono aspetto in
silenzio che la quella che si ostinava a considerare la sua bambina, si
calmasse un po’.
-Lilyanne?
Ascoltami: come ti ho detto, io non credo che tu e Clark Kent abbiate
un’origine comune… voi due non siete stati abbandonati come tutti gli altri
trovatelli… voi…-, sospirò e cambiò discorso.
-Devo
chiederti scusa, Lily… perché sono stato io a consegnarti nelle mani del
professor Leibniz, affinché vegliasse su di te come un padre, scusa perché mi
sono fidato di lui, sperando che la sua voglia di paternità andasse oltre il
suo interesse scientifico. Scusa, perché so che ti ha sempre torturata,
cercando di spiegarsi cosa fossi, perché ti ha reso la vita un inferno, perché
ha rovinato la tua infanzia e l’adolescenza, rendendoti quella che sei ora: una
persona ferita e che non riesce più a fidarsi di chi tiene a lei. Quando è
scappato a Gotham City con te, io avrei dovuto fermarlo, ma se lo avessi fatto,
avrei dovuto spiegare cosa ti stava facendo e la verità su di te sarebbe venuta
fuori, mettendoti in pericolo. E adesso… tu pensi che io abbia voluto tenerti
d’occhio per il mio interesse scientifico… non sai quanto ti sbagli…-
-John
Leibniz era il mio papà… non il mostro che lei dipinge… lui voleva solo
aiutarmi. È vero… mi ha fatto del male, ma mi ha anche ricoperta di amore e di
protezione… Voleva solo aiutarmi…-
-Ed
anche io, adesso, sto cercando di aiutarti pregandoti di non saltare alle
conclusioni sbagliate e affidandoti alle cure di Clark Kent… so che quel
ragazzo può essere tremendamente avventato, ma in coscienza mi sento di dire
che è molto più saggio di tutti noi miseri mortali…-,
-Che
sta dicendo?-, Lily sentì la peluria sulla sua schiena drizzarsi, come di
fronte ad un pericolo.
-Fidati
di lui e della tua coscienza. Nient’altro-, la sua voce era affannata, come se
si fosse stancato parlando per tutta quella lunga telefonata, -Ora, Lilyanne,
devo chiudere la nostra conversazione…-
-Aspetti!
… la prego! Mi dica solo perché… Ho troppe domande… Perché mi ha sempre
nascosto la verità sulla mia nascita, perché mi dice di fidarmi di Clark…
perché è così certo che io e lui non siamo… E per favore… mi dica chi è lei!-,
lo stava implorando.
-Lilyanne…
io non ti ho nascosto la tua origine: semplicemente non so quale sia. Sto
cercando di capirlo da dodici anni, ma ancora non so chi tu sia: per questo
spero che Clark ti possa aiutare… Devi credermi…-
-E
lei… perché mi ha sempre seguita… perché non vuole che sappia chi è lei?-
-Non
sono il tuo ‘Papà Gambalunga’, Lily… direi proprio di no… ma tengo davvero a
te, da quando ho guardato i tuoi occhi per la prima volta…-, chiuse la
comunicazione e di lui rimase solo il ricordo della sua voce senza volto,
confuso dal tono occupato che continuava a mandare insistentemente il telefono.
Lily
lo spense e si lasciò cadere sul letto, fissando il soffitto.
Allungò
una mano e toccò qualcosa di rigido e freddo, sul letto vicino a lei: era
l’album delle foto che aveva portato su dal salotto.
Poggiò
la testa alla spalliera del letto ed iniziò a sfogliarlo.
Io lo so chi sono… sono solo una
figlia dell’Illusione… tutto intorno a me si sgretola come castelli di sabbia
in mezzo ad una tempesta… rimane solo la mia illusione… solo l’incertezza e
l’angoscia di non capire chi sono, di sentirmi costantemente su una zattera
alla deriva in mezzo ad uno spazio a più dimensioni, dove il futuro e il
passato si ripetono, dove l’unica cosa certa è solo la ferita che solca il mio
cuore…
---
-Dove stiamo andando,
Clark? Vai piano!-, Lily, seduta accanto a lui sul furgone, si sentiva più
agitata che mai: poteva essere vero, dopo quello che le aveva detto l’uomo al
telefono, la sera prima e le ricerche che aveva tentato di fare durante il pomeriggio,
che Clark le stesse per rivelare tutta la verità su di lei? Stava guidando
veloce, commettendo anche infrazioni al codice stradale: anche lui sembrava
agitato.
-Ti porto nel posto
dove è cominciato tutto…-, si voltò per un attimo verso di lei e le sorrise e i
suoi occhi scintillarono. Guidò per alcuni minuti ancora, voltandosi ogni tanto
a guardarla, fino a quando non furono dall’altra parte del paese, tra i campi
di mais e le colline. Imboccò una strada sterrata e si bloccò vicino ad una
specie di cantiere.
-Ci siamo già stati
qua…-, constatò ragazza, ricordando la prima volta che lui l’aveva portata alle
grotte.
-Sì, quando ancora non
avevo tutte le risposte… ma adesso non ho più alcun dubbio e non posso
aspettare oltre… se anche tu sei pronta-, mise la mano su quella esile e fredda
di Lily e la strinse delicatamente.
-Forse… quello che sto
per rivelarti ti sembrerà ancora più strano di quello che già ti ho detto… mi
darai del matto, probabilmente, ma ti garantisco che è solo ed esclusivamente
la verità…-, le sorrise ancora, aspettando qualche cenno da lei.
-Questa cosa che stai
per dirmi, chi sono davvero… chi siamo davvero, è il segreto che conservi
gelosamente da così tanto tempo, Clark?-, sentiva che era qualcosa di più
grande di lei
Clark annuì, senza
staccare gli occhi dai suoi, finché lei non abbassò lo sguardo.
-Allora c’è qualcosa
che devi sapere… perché ho paura che il tuo segreto sia in pericolo… ieri ho
parlato con una persona, il mio tutore legale, e lui mi ha detto che sono qui a
Smallville perché… dovevo incontrare te e ascoltarti, perché solo tu avresti
saputo guidarmi nella scoperta di chi sono davvero: lui sa tutto dei miei
poteri… e anche dei tuoi, temo…-, alzò nuovamente lo sguardo, vedendo che Clark
aveva un’espressione attonita.
-Chi è? Come sia chiama
quest’uomo?-, domandò velocemente.
-Non lo so… non me l’ha
mai voluto dire… però mi ha detto un’altra cosa: avevi ragione sui miei primi
genitori… loro mi hanno trovata qua Smallville, proprio nello stesso giorno in
cui sei stato trovato anche tu-, voleva sapere se quello che temeva su di loro
era possibile, desiderava porgli quella domanda con ogni cellula del suo corpo,
ma rimase in silenzio.
Clark, con gli occhi
bassi, continuava a ripetersi che non era vero, che non poteva essere vero… le
domande che urlavano dentro di loro riempivano quel silenzio assordante,
facendoli smarrire, vagando con lo sguardo attraverso spettri e paure che
prendevano forma davanti a loro, cercando un granello di polvere sul cruscotto,
una spia luminosa, qualsiasi cosa che li riportasse alla realtà, strappandoli a
quell’inferno di interrogativi. Fino a quando i loro occhi non si incontrarono.
-Lilyanne… io mi fido
di te-, disse semplicemente, e le prese ancora la mano, -Tu ed io non siamo
stati abbandonati: Smallville era la nostra meta, il luogo prescelto per noi,
quando siamo stati mandati qua… Tu ed
io non siamo nati in questo paese… in realtà non siamo neanche nati su questo
pianeta: non siamo come le altre persone, perché non siamo esseri umani…-
Questo no, questo no! Fa che non sia vero!!! E’ peggio di quello che
pensassi… è peggio di ogni cosa…
-Lily? Dì qualcosa, ti
prego!-, strinse la sua mano, delicatamente, scuotendola appena, perché si
riprendesse dallo shock che si era dipinto sul suo volto. Aveva gli occhi
sgranati e la bocca aperta.
-Devi credermi… non
sono un pazzo! Ti ricordi quando ti ho detto che il rifugio anti-tempesta dei
miei è saltato in aria? Sono stato io a farlo, perché ho distrutto la navicella
con la quale sono arrivato sulla terra… ho usato un frammento di meteorite…
proprio come quello che ci ha fatto stare male, l’altro giorno. Lo capisci,
Lily? Finora credevo di essere solo… l’ultimo sopravvissuto del nostro pianeta,
Krypton e invece… in mezzo a tutti quei meteoriti doveva esserci un’altra
navicella… la tua-, allungò una mano per farle una carezza, ma Lily si
ritrasse, scacciandolo. Clark abbassò il viso e la guardò come un animale
ferito: quello che temeva, si era avverato.
Guardò Lily spaventata davanti a lui: i suoi occhi
vitrei iniziavano a scendere le prime lacrime. Tremava.
Schiacciata contro la
portiera dell’auto, lo osservava terrorizzata, senza riuscire ad emettere
suono.
Non è possibile, questo non è possibile… è solo uno scherzo.. non può
essere diversamente perché noi… perché ‘loro’ non… non…
Il respiro affannato si
era spezzato nel suo petto sconvolto, facendola quasi ansimare: sentiva la
testa girare vorticosamente, come se il sedile sotto di loro si stesse curvando
diventando molle, come un orologio di Dalì, e le portiere stessero
deformandosi, chiudendosi su di lei.
-Lily! Devi credermi…-,
si avvicinò ancora con la sua mano, ma lei trovò la maniglia della portiera e
l’aprì, ruzzolando fuori dalla macchina, mentre il sole stava svanendo oltre le
colline e un nuovo tramonto malato tingeva di un cupo grigio il cielo ancora
carico di nubi.
Clark uscì svelto dalla
sua parte e si avvicinò a lei: l’aveva spaventata a morte, doveva trovare il
modo di farla calmare.
-Amore! Non ti sto
prendendo in giro… non c’è niente di male in quello che ti ho detto: io e te…
siamo diversi dagli altri, ma i nostri animi sono più umani di tante altre
persone! Non cambia nulla nella tua vita, anche se siamo nati sulla terra o… su
un’altra galassia!-
Un’altra galassia… non esistono navi spaziali in grado di arrivare così
lontano…
La testa continuava a
girarle forte, i polmoni rifiutavano l’aria che lei cercava di trattenere,
respirando dalla bocca piena di lacrime, scivolate ovunque, sul suo volto,
sulle mani, ovunque. Le sue mani… non erano mani umane, allora… allungò un
braccio avanti a sé e, alla luce morente cercò di concentrarsi sulla sua mano,
cercando di tenere gli occhi fissi su un punto, anche se tutto girava, girava…
Fin quell’attimo fu come vederla cadere a terra e rimanere inerme al suolo,
senza che lui avesse potuto fare nulla per lei.
Invece la stava
stringendo tra le sue braccia: Clark l’aveva afferrata prima che toccasse terra
e la teneva stretta a sé, abbassandosi per farla stendere. Non aveva retto
l’emozione ed era svenuta sotto i suoi occhi.
Scosse appena il suo
volto, sperando che riprendesse i sensi, la chiamò spaventato, senza che lei
riaprisse gli occhi. Quando lo avrebbe fatto, aveva paura, non avrebbe più
voluto avere niente a che fare con lui.
La abbracciò di nuovo e
si strinse a lei, affondando il volto tra i suoi capelli, sorreggendole la
testa con una mano. Non doveva andare così… doveva essere un momento di gioia,
per loro, un momento importante… cosa aveva sbagliato.
La frustrazione e la
paura di avere perso per sempre la sua fiducia ebbero la meglio e si lasciò
andare in un pianto disperato.
-Devi credermi… ti amo
troppo per mentirti… Tu sei troppo importante per me… non potrei mai mentirti…-
Non si accorse che lei
aveva lentamente riaperto gli occhi. Sentì la sua stretta, appena percettibile,
delle sue braccia attorno al suo collo: si staccò da lei, sorreggendola sempre
dietro la schiena. Lo guardava senza parlare, con gli occhi gonfi e lucidi.
-E’ per questo che
riesco a volare?-, gli chiese piano, poi gli sorrise, titubante, all’inizio,
poi più sicura,
La strinse di nuovo
tramutando le sue lacrime in un pianto liberatorio, ringraziandola per non
averlo respinto.
-Come hai detto che si
chiama, questo pianeta?-, gli domandò e si liberò dal suo abbraccio,
guardandolo attenta.
Se era quella la verità
su di lei, tanti dei quesiti che si portava dietro da una vita apparivano ovvi,
per la prima volta. Aveva sempre cercato di essere uguale agli altri e si era
sempre sentita a disagio: ora sapeva il perché, anche se ne era affascinata e
terrorizzata al tempo stesso. Doveva sforzarsi di abbandonare la sua
razionalità… avrebbe dovuto farlo tanto tempo prima, quando i suoi primi poteri
si erano manifestati, travolgendola.
-Krypton-, rispose
Clark e le sorrise.
-E non è rimasto più
nessuno, oltre a noi?-
-Credevo di essere
solo… è splendido che ti abbia trovata…-, dietro di lui, un faro automatico si
accese per il buio, illuminando l’ingresso delle grotte, catturando
l’attenzione della ragazza.
-Perché siamo qua?-,
gli domandò, poi capì e portò una mano dietro al suo collo, aprendo appena le
labbra.
-Perché era scritto che
saremmo arrivati…-, per la prima volta Clark aveva accettato la storia dei
Cowichan.
Lily rabbrividì: -Parli
come se fossimo degli invasori… alieni…-, l’aveva detto, aveva trovato la forza
per pronunciare quelle parole.
-No, non lo siamo… ma
quelle grotte parlano di noi…-, la prese per una mano, perché la seguisse al
loro interno.
-Parlano di Naman, se
non ricordo male… parlano di te… io non ero prevista…-
-Tu dici?-, le sorrise
e la fece passare avanti a lui, illuminando le pareti con la torcia che aveva
estratto dalla tasca.
-Guarda là-, disse
indicandole, sulla parete opposta a loro, l’immagine di un volto femminile.
-È la donna del destino
di Naman…-, la tirò verso di sé e la strinse in un abbraccio, -Sei tu…-, le
disse piano, avvicinando le sue labbra alla bocca rossa e salata per le lacrime
che aveva versato.
La torcia gli scivolò
dalle mani, mentre stingeva la sua ragazza a sé, finalmente felice dopo tutta una
vita. La luce tremolante illuminò i due innamorati, riflettendosi sulle pareti
policrome delle grotte che custodivano da sempre la loro storia d’amore.
Sopra le loro teste, in
un angolino lontano, una piccola luce rossa si mosse appena, comandata da un computer
posto a decine di chilometri da lì; la lente ruotò per ingrandire l’immagine e
la impresse su sensori ai raggi infrarossi che la tramutarono in segnale
elettrico, inviato lontano, su invisibili cavi sotterranei.
Giovedì 06/05/’05 ore 10:50
-Ho
appena visto Jason Teague uscire da questa porta, Lex: era coperto di sangue!
Cosa sta succedendo?-
-In
carcere non ti hanno insegnato a bussare, prima di entrare nelle case degli
altri, papà?-, una fitta di dolore al labbro: la ferita buttava ancora sangue.
-Che
è successo, figliolo?-, Lionel si avvicinò mostrando una sincera
preoccupazione.
-Niente
che ti riguardi-, Lex lo allontanò con un gesto della mano e tamponò il labbro
con una salvietta pulita presa dal mobile bar. Una fitta violenta alla testa lo
fece barcollare.
-Lex…-,
Lionel lo sorresse e lo aiutò a stendersi sul divano. La sua espressione era
sempre preoccupata.
-Ti consiglio di imprimere nella tua memoria
questa immagine, papà, perché passerà molto tempo prima che qualcuno osi fare
qualcosa di simile…-
-Sei
molto sicuro di te, Lex… Ho sempre apprezzato il modo con cui ti lasci alle
spalle i fallimenti-, si alzò e lo sovrastò, guardandolo dall’alto. Lentamente
lo sguardo corrucciato si distese e le sue labbra si piegarono in un ghigno
diabolico: -Qualcosa non è andato secondo i tuoi piani, figliolo?-
Lex
non rispose, ma ricambiò con un’occhiata densa di odio.
-Sai…
non si possono vincere tutte le battaglie…-
-Quello
che conta è vincere la guerra-, si sollevò portando una mano alla fronte, -Adesso,
se vuoi scusarmi, Papà, ho da fare-
Lionel
lo guardò con aria strafottente.
-Alle
volte, figliolo, curiamo ogni dettaglio dei nostri piani, non tenendo conto del
fatto che l’imprevedibile attende dietro l’angolo e le cose, purtroppo, non
sono totalmente comandabili dalla nostra volontà. A volte si deve rinunciare a
qualcosa di molto prezioso o sacrificare qualcuno per ottenere i propri scopi.
E’ la legge di chi lotta per vincere. Spero che tu ne sia consapevole, nella
guerra che stai combattendo-
Lex
non gli rispose.
-Sai,
visto l’accanimento con cui stai cercando informazioni su Clark Kent e su
Lilyanne Leibinz, pensavo che questo tuo stato dipendesse da loro… qualcosa mi
dice che stavolta, però, il grande condottiero si è lasciato andare a
sentimenti ben più umani e meno nobili… e chissà come mai nella mia mente
anziana riecheggia solo un nome…-, si avvicinò a lui e si piegò fino a portare
la sua bocca vicino all’orecchio del figlio.
-Lana
Lang-, poi se allontanò di nuovo, con aria falsamente confusa -E’ così strano
che oggi, uno dei miei collaboratori a Metropolis, abbia firmato una ricetta
medica per lei… Alle volte, la casualità è davvero la sola regina dello
scorrere degli eventi-
Si
avviò verso la porta, abbassò la maniglia e si voltò.
-Aspetto
che il frammento di roccia che mi hai fatto rubare l’altra sera, nella mia
dependance, torni sulla mia scrivania entro domani mattina. Ti auguro buona
fortuna per le tue ricerche insensate. Buona serata, Lex-, disse, e sparì.
Lex
rimase immobile, guardando la porta da cui suo padre era uscito, senza
espressione.
Poi
alzò la cornetta del telefono che aveva sulla scrivania e partire una chiamata.
-Jamison:
voglio che il monitoraggio parta immediatamente.
-Abbiamo
montato solo una telecamera spia, signor Luthor-
-Partiamo
da quella, allora. Forse sarà sufficiente…-
---
Seduto alla sua
scrivania di cristallo e acciaio, Lex manovrava un piccolo joystick nero,
collegato al suo computer portatile.
Sullo schermo si
muovevano le immagini di Clark Kent e Lilyanne Leibniz che entravano nella
grotta. Clark le indicava qualcosa sulle pareti: tra i due solo futili discorsi
di innamorati che credono alle favole.
-Cosa aspetti, Clark…
parla, dì quello che mi tieni nascosto da quattro anni…-, Lex ruotò la
rotellina dello zoom, vedendo le sagome verdastre dei due stretti in un
abbraccio molto intimo.
-Lo so che non l’hai
portata là solo per appartarvi… non è da te...-, placò un raptus d’ira
ripensando a Lana, l’anno prima, tra le sue braccia e la notte prima tra quelle
di Jason.
«Ti amo, Lily, non riesco neanche a esprimere quanto…»
«Lo so, Clark… adesso lo capisco ancora di più…»
-Diabetico...-, Lex
storse la sua bocca in un ghigno disgustato, facendo scrocchiare le dita delle
mani. C’era qualcosa nell’aria di quelle grotte, qualcosa che pulsava di
rivelazione, riusciva a capirlo lui stesso, a chilometri di distanza, guardando
la soap opera tra Clark-e-la-sua-bella, tinta del verde delle telecamere a
infrarossi.
«Per quello che mi hai detto, Clark…»
-Brava morettina! Fallo
parlare…-
«Lily, è importante che nessuno lo sappia, devi conservare questo
segreto gelosamente»
- Parla! Maledizione!-,
un pugno sul cristallo del tavolo lo fece oscillare pericolosamente.
«Custodisco questo segreto da così tanto tempo… Averlo condiviso con te
è la più grande delle mie gioie, ma ora non dobbiamo più parlarne ad anima
viva»
«E’ che… scusami per come ho reagito poco fa: ero pronta a tutto, avrei
accettato qualsiasi cosa che tu mi avessi detto, le ipotesi più astruse e
tragiche… ma questa… beh, le batte tutte e io… non volevo crederci…»
-Smettetela di
sbaciucchiarvi e parlate…!-
«Va tutto bene, Lily… Ora torniamo, però: è già buio…»
«Hai ragione, amore… ora va davvero tutto bene. Andiamo!»
Il bagliore verde dei
loro corpi svanì con loro e sullo schermo del suo computer, Lex rivide solo una
macchia nera.
Spense il pc
chiudendolo con sforzata calma, si alzò lentamente e si versò un bicchiere di
whiskey; lo portò alle labbra strettein
un ghigno minaccioso e lo bevve tutto d’un fiato.
-La scoprirò, la tua
verità, Clark… con o senza una tua confessione. Cadesse il mondo, io ti
prometto che la scoprirò…-
-Scusami se ti ho
portata via da lì così in fretta… avevo come la sensazione che qualcuno ci
stesse osservando… so che è stupido, ma…-, Clark si grattò la testa, appena
imbarazzato e aprì il furgone.
-Non devi scusarti. E
poi… ieri a telefono il mio tutore mi ha detto che… fino a qualche settimana fa
la mia linea era controllata e che solo grazie a quello che lui ha chiamato ‘un
amico’, è stata ripulita-, lo guardò preoccupata, -Pensi sia per quello
chemi hai detto prima? Cioè… chi altri
può sapere il nostro segreto… non lo sapevo neanche io!-
Clark mise in moto
senza rispondere, turbato dalle sue parole.
-Ho come il vago
sospetto che questo ‘amico’ sia una persona che ho giudicato troppo in fretta…
anche se onestamente non sono ancora sicuro da che parte stia…-
-Non c’è nessuna parte,
Clark: non è una battaglia-, lo guardò sconfortata.
-Hai ragione. Ora però…
andiamo: ho come un brutto presentimento…-, mise in moto e partì verso il
paese, portando con sé dubbi e paure di tutta una vita. Poi sentì un lieve
tocco sulla sua mano: era Lily.
-Siamo in due adesso…
ricordatelo, Clark-, gli sorrise e un po’ di quelle paure, rapidamente,
volarono via.
***
Clark era appena uscito
di casa e Martha si avvicinò a Lois per offrirle qualcosa da bere.
La ragazza scosse la
testa sorridendo, poi prese i suoi fascicoli e si sedette al bancone di cucina,
invitando la signora Kent a fare altrettanto. Aprì la cartellina, estrasse un
foglio e vi posò le mani sopra.
Seguì con lo sguardo,
fuori dalla finestra, l’auto di Clark che si allontanava oltre la recinzione, poi
si voltò verso Martha e la guardò a lungo negli occhi, prima di riuscire a
parlare.
Quando iniziò, la sua voce
era calma, quasi distaccata.
-Anche le analisi che
ho fatto all’ospedale di Smallville confermano la diagnosi: è una forma di
leucemia acuta linfoide. E’ tristemente diffusa tra i giovani della mia età e,
anche se il medico mi ha assicurato che non è in alcun modo ereditaria, guarda
caso è la stessa cosa che ha ucciso mia madre. Generalmente in queste forme
acute il decorso è rapido e spesso la diagnosi precede la comparsa dei sintomi,
perché la malattia viene scoperta nel corso di altre indagini: non è il mio
caso… forse dovevo accorgermi da tempo che c’era qualcosa che non andava… ma ho
sempre dato la colpa alla mia vita dissoluta al college: immagino che quando il
mal di testa mi durava per giorni, dopo una sbronza, e la nausea non mi dava
pace e non riuscivo a muovermi senza affaticarmi dopo soli pochi metri, quelli
fossero i sintomi di cui dovevo preoccuparmi, prima che… succedesse quello che
è successo l’ultima volta che sono stata da mio padre…Le cure sono sempre le stesse: tre cicli di
chemioterapia, da iniziare al più presto in un centro specializzato a
Metropolis. Purtroppo, la sola chemio non garantisce la risoluzione della
malattia, perché, specie in un caso come il mio, il numero di cellule infette è
così elevato che… Il trapianto di midollo osseo: quello sarebbe risolutivo, o
comunque offrirebbe maggiori speranze di guarigione, ma non è facile trovare un
donatore compatibile: ieri il medico ci ha detto che il midollo di mio padre
non va bene per me, mentre mia sorella… lasciamo perdere, che è meglio. Mi
hanno inserita nella lista d’attesa. L’aspettativa di vita, se non si
interviene con le cure specifiche, va da pochi mesi ad un anno ed io non so da
quanto sono malata. Potrebbero rimanermi solo pochi mesi: per questo inizierò
il primo ciclo di chemioterapia tra due settimane… quindi, tra due settimane
Lois Lane avrà trovato un lavoro interessantissimo
a Metropolis che non le permetterà per mesi di tornare a Smallville(3)[iv]-, fece una pausa,
guardandola negli occhi intensamente.
-Sono un soldato,
Signora Kent, la battaglia non mi spaventa-, disse con aria fiera e gonfiò i
polmoni d’aria, stringendo i denti e sforzandosi per non lasciare le lacrime
libere di sfuggire alle sue ciglia.
Martha posò la sua mano
su quella di Lois, ancora immobile sui fogli e gelida.
La ragazza la guardò di
nuovo poi non ce la fece più e scoppiò in un pianto dirotto. Martha si avvicinò
a lei e la abbracciò forte, lasciando che Lois si aggrappasse alla sua vita,
bagnandole la camicia di lacrime amare come fiele.
-Non dica niente a
nessuno… la prego… non dica niente a Chloe e a mio zio… e Clark… lui non deve
sapere niente… la prego…-, la sua voce rotta dal pianto era così diversa da
quella ferma e quasi professionale con cui aveva parlato poco prima. La sua
schiena era scossa da singhiozzi violenti che sembravano non finire mai.
Martha sentì le lacrime
scivolare sul suo volto, ma strinse i denti, perché Lois non si accorgesse che
stava piangendo. Aveva bisogno di una mamma forte che la sostenesse nel momento
più buio di tutta la sua giovane vita.
La sentì cercare di
prendere aria, con difficoltà, e le si strinse il cuore: la Lois che tutti vedevano
forte, aggressiva e spavalda era una fragile ragazza spaventata, in quel
momento, e non riusciva ad indossare più a lungo la sua maschera di sempre. Da
quando le aveva confidato le sue paure, pochi giorni prima, Martha aveva
pregato perché i medici di Metropolis si fossero sbagliati, azzardando
un’ipotesi non vera.
Le carezzò i capelli,
finché non sentì che si stava calmando, poi mise le mani sulle sue spalle
tremanti e l’allontanò un po’ da sé, per sorriderle, cercando di darle forza.
Le passò le mani sul
volto per cancellare le tracce del trucco che si era sciolto e vide che, tra le
lacrime, sorrideva appena.
La fece spostare in
salotto, la infagottò nel plaid che Clark aveva abbandonato riprendendosi la
sua stanza e corse a prepararle qualcosa di caldo, che la facesse sentire
meglio. Con la coda dell’occhio la vide avvicinare la coperta al suo volto e
ricominciare a piangere silenziosamente, affondando sempre di più giù nel
divano.
Le porse una tazza
bollente di tè e si sedette vicino a lei, in silenzio, lasciando che parlasse
solo quando se lo fosse sentito.
Prima che iniziasse a
fare buio, Lois si mosse e sospirò, sorridendo a Martha.
-Non volevo rovinarle
la camicia…-, disse indicando le macchie di trucco sulla stoffa chiara.
-Figurati, cara: un
lavaggio e tornerà come nuova-, le pareva più calma, anche lei si sentiva un
po’ più sollevata.
Lois si alzò
lentamente, poi sospirò ancora e lasciò scivolare la coperta sul divano.
-Devo andare, ora,
Signora Kent…-
-Perché non rimani a
cena con noi, saremmo tanto felici di riaverti qui…-, Martha piegò appena la
testa sorridendole cercando di convincerla.
-La ringrazio, ma
preferisco andare subito a letto…-
Riprese i suoi fogli e
la salutò. Salì in auto e mise in moto, poi la vide vicino a sé, così abbassò
il finestrino.
-Grazie ancora… lei è
l’unica persona con cui riesca a parlane… Signora, la prego… non dica nulla a
Clark…-
-Stai tranquilla… ma…
perché non vuoi che lui sappia niente? Lui non ti prenderebbe mai in giro per
questo, Lois-
-Lo so. Solo che non
voglio… che lui ci sia…-, poi partì, salutandola con un ultimo, triste sorriso.
-Guida con prudenza!-,
le urlò Martha seguendola per un breve tratto lungo il vialetto di casa,
turbata dalle sue amare parole.
Lois andò piano: che
fretta c’era, in fin dei conti. Non l’aspettava nessuno a casa di Lily: lei
certamente era fuori con lui.
Parcheggiò ed aprì,
richiudendo la porta alle sue spalle con la chiave, perché non si riaprisse da
sola.
Lasciò la giacca
all’attaccapanni all’ingresso e accese la luce, avvicinandosi al divano.
Sul tavolino davanti al
camino vide il pacchetto delle sue sigarette e lo prese in mano.
-Ormai…-, disse, e ne
accese una, aspirando profondamente.
Iniziò immediatamente a
tossire, per il fumo che le era andato di traverso. Si aggrappò al divano,
lasciando che i colpi di tosse le squassassero il petto, senza poter fare
nulla. Sentiva che non aveva più aria nei polmoni. Gliel’avevano detto: aveva
una forma acuta di anemia e quindi aveva poco ossigeno nel sangue: fumare
equivaleva ad avvelenarsi lentamente. Cercò di respirare più che poté,
tenendosi salda al divano, ma tutto iniziò a vorticare attorno a lei e
diventare rosso e nero e si sentì andare giù.
In quell’attimo fu come se delle braccia invisibili e forti la
afferrassero stringendola in un abbraccio familiare.
Cadde a terra perdendo
i sensi e rimase inerme al suolo. Da sola.
Fuori il sole era già
sparito oltre l’orizzonte e un cupo grigiore iniziava ad inghiottire ogni cosa.
[i]
(1) Specifiche della pillola del giorno dopo, prese da Wikipedia. In realtà
negli Stati Uniti la Pillola
del giorno dopo (venduta con il nome di Plan B) è un farmaco da banco venduto
anche nei supermercati. La ricetta medica è necessaria solo per pazienti di età
inferiore ai 18 anni. Lana ne ha di più, presumo, ma ho voluto lo stesso
richiedere la sua ricetta…
[ii](2) Il primo che dice che ho voluto fare una
citazione dai Prozac+ lo fulmino! E’ solo un caso… :-\
[iii]
(3) Grazie al mon cher Gregoire (ihihihih!!!)
[iv]
(4) Ho tratto le informazioni relative alla malattia dai siti www.wikipedia.it, www.dica33.it e http://it.geocities.com/ematologia/index.html.
Forse quello che ho scritto sarà totalmente scorretto e poco scientifico, ma ho
voluto farne un riassunto in prima persona, sentito da Lois, che ne parla. Se
ho scritto qualcosa di sbagliato o che può urtare la sensibilità di qualcuno,
innanzitutto chiedo scusa, in secondo luogo sarei felice se potessi sapere come
correggere le mie parole, perché l’argomento è delicato e l’ultima cosa che
voglio è che la sua trattazione appaia superficiale in questa storia.
Lo squillo insistente
del telefono svegliò Lois: aveva perso i sensi, maledizione… le cose erano più gravi di quello che lei si ostinasse
a sperare.
Si era fatta male,
cadendo, e la sigaretta ormai spenta giaceva a pochi centimetri da lei: aveva
corso il rischio di bruciarsi il volto. O forse si era bruciata, ma non sentiva
anche quel dolore.
Si tirò su e si sedette
sul divano, massaggiandosi il gomito e il viso, che aveva battuto sul tavolino.
Si chiese se si vedesse il livido. Il telefono smise di squillare, precipitando
la casa in un silenzio angosciante. Non aveva risposto, tanto non era casa sua,
in fin dei conti…
Guardò fuori dalla
finestra e vide che era ormai buio.
Inspirò cercando di
trattenere quanto più ossigeno riuscisse e si alzò, cautamente, dirigendosi in
cucina per prendere un bicchier d’acqua. Poi passò davanti alla credenza, in
salotto, sopra alla quale stava appesa una specchiera, e guardò la sua immagine
riflessa.
Era pallida, più
pallida che mai: i capelli scuri non aiutavanoed effettivamente un’ombra violacea iniziava a coprirle la pelle intorno
al sopracciglio destro e lo zigomo.
Sospirò, rassegnandosi
ad usare più fondotinta. Quando fosse tornata nella sua stanza si sarebbe
rassegnata a prendere quelle medicine che le aveva prescritte il medico di
Metropolis: l’avrebbero fatta dormire, diceva, ma dopo sarebbe stata meglio per
un po’.
Lily ancora non era
tornata. Si massaggiò ancora il braccio e raccolse le sue carte da terra,
chinandosi. Per un istante pensò che le avrebbe bruciate, ma con esse non
sarebbero spariti anche i suoi problemi. Le riunì in una cartellina e la infilò
in borsa. Rialzandosi fu colta da un lieve capogiro: forse doveva stendersi un
po’…
Afferrò il telecomando
e si stese sul divano, coprendosi con la piccola coperta che Lily lasciava
sempre in giro, come se fosse quella di Linus. Odorava di vaniglia e spezie.
Alla televisione davano
un vecchio telefilm western [i], ne guardò un pezzo
tenendo il volume molto basso, poi, lentamente, si addormentò.
La Dodge di Clark si
fermò davanti al giardinetto della villetta di Lily. Sull’erba tagliata
all’inglese un tappeto di fiori rosa caduti dal piccolo pesco davanti alla sua
casa risaltava nel buio della sera, illuminato da una timida luna che si era
fatta strada attraverso le dense nubi.
-Lily… mi dispiace
averti nascosto la verità per tutto questo tempo, ma volevo essere sicuro prima
di…-
-… prima di rischiare
di rivelare il tuo segreto ad un mostro da meteorite verde?-, chiese
guardandolo con i dolci occhioni tristi.
-No: prima di illudermi
che davvero non ero solo su questo pianeta-, le sorrise e le fece una carezza,
spostandole un ciuffo di capelli dalla spalla.
-Te l’ho detto:
qualunque cosa ci riservi il futuro, ora siamo in due. Ci sono tante cose che
sappiamo fare e tante che dovremo imparare… penso che insieme sarà più
semplice, non trovi?-
-Più semplice e più
divertente-, disse lui abbassando lo sguardo, un po’ imbarazzato.
-Sai… finora ho sempre
pensato che sarei rimasto solo.. voglio dire: chi vorrebbe stare con un alieno
come me, con uno che può fare fuoco con gli occhi e non ha bisogno di martello
per infilare i chiodi nel muro e che… insomma… Mi ero quasi rassegnato, sai?-
Lily sorrise per un
istante, poi guardò fuori, verso la sua casa e abbassò lo sguardo.
-Dillo a me… dopo
quello che è successo, io…-
Sentì il tocco delicato
della mano di Clark sulla sua.
-Ma ora ci siamo
trovati e tutto sarà diverso. E’ come se ricominciassi a vivere, con te…-, si
avvicinò a lei e la baciò dolcemente. Non avrebbe mai pensato di poter essere
così felice.
-Ti amo-, sussurrò Lily
e aprì la portiera dell’auto.
Clark la seguì fino
alla porta e la baciò ancora, prima di andare via. Aveva sentito il suo cuore
battere forte e si era emozionato: quello che aveva sempre desiderato nei suoi
sogni più segreti, finalmente, sembrava essere divenuto reale.
Lily sospirò ed aprì la
porta di casa senza nascondere un sorriso di gioia che le illuminava il
volto.Sentiva ancora sulle sue labbra
il caldo bacio del suo amore: non poteva essere più felice di così.
Non si accorse di Lois,
distesa sul divano, ed accese la luce, lasciando cadere rumorosamente la borsa
per terra, vicino all’attaccapanni.
Lois si svegliò: era
come se avesse fatto un brutto sogno, troppo doloroso per poter essere vero e
si sollevò sui gomiti, provando una fitta per la caduta. Cercò di coprire il
volto con i capelli.
-Lily… devo essermi
addormentata… scusami-, disse con voce appena un po’ fioca, poi si mise a
sedere.
Lily si sedette accanto
a lei: era troppo emozionata per potersi accorgere del volto pallido di Lois, o
del suo umore sottotono. Si voltò verso di lei e la guardò, la sua faccia beata
la rendeva vagamente svampita: Lois vide i suoi occhi brillare come pietre
preziose e capì.
-Qualcosa mi dice che
stavolta il mio amico Smallville si è comportato bene con te, vero?-, le
domandò, evitando il suo sguardo mentre ripiegava la coperta di pile, alla
meglio.
Lily sospirò, ondeggiò
la testa cercando le parole più adatte, poi alzò le spalle e non disse nulla:
il suo sorriso parlò per lei.
-E’ ora di cena,
signorina… che ne dici se ti preparo le mie specialità alla griglia?-, chiese
Lois battendo le mani sulle sue ginocchia e cercando di alzarsi in piedi senza
mostrare fatica, attingendo ad una forza che si continuava a chiedere da dove
le derivasse.
Lily rimase un istante
interdetta, poi ricordò le descrizioni dei disastri culinari di Lois che le
aveva narrato Clark e si affrettò ad aiutarla.
-Lascia pure a me,
Lois! Sai… non ho molta fame e…-
-… e non vuoi perdere
del tutto l’appetito, immagino! La mia cucina fa questo effetto! Ok… saggia
decisione! Dunque…-, disse aprendo il frigo e guardando al suo interno come se
fosse un armadio, -Che ne dici di un ottima frittata con il bacon?-
-Beh… perché no?
Però…-, Lily si avvicinò mettendole una mano sulla spalla.
-Lo so, lo so: ora mi
dirai che ti piace tanto cucinare e che avresti piacere di prepararla tu. Io
dirò che sei molto gentile e non insisterò, così, almeno, avremo la nostra
cena!-, si voltò facendole l’occhiolino, -Io apparecchio, è meglio!-
Lily accese la radio
mentre le uova rassodavano e il profumino di bacon si diffondeva per la cucina.
Lois, finito di apparecchiare, la osservò destreggiarsi tra acquaio e fornelli,
ammirata ed intenerita dal suo sguardo un po’ assente, come se fosse lì con il
corpo e la testa, ma il suo cuore, chiaramente, non era con loro.
-Sono contenta che tu e
Clark stiate così bene, insieme, sai? L’ho visto per così tanto tempo triste e
affranto che non speravo potesse uscire dal suo stato: hai davvero compiuto un
miracolo!-
Lily si voltò,
arrossendo: -Ma io non ho fatto niente… se non era per lui io… beh, sicuramente
a quest’ora sarei stata da sola, magari a mangiare merendine davanti alla
tivù!-
Poi si avvicinò a Lois,
portando in tavola direttamente la padella dove aveva cotto la frittata e
sedendosi vicino a lei e vide il suo sguardo triste lottare per apparire
spensierato.
-Io credo che riuscirai
anche tu a trovare una persona speciale come Clark… ne sono certa. Io ero
convita che sarei rimasta sola per tutta la vita, e invece… a volte bisogna
sapere aspettare. In fondo… siamo giovani e abbiamo tutta una vita, davanti a
noi, che ci riserva ogni giorno delle sorprese inimmaginabili-, le sorrise,
servendo la frittata.
-Sì, proprio inimmaginabili…-,
disse piano Lois, e ingoiò un boccone che sapeva non le sarebbe andato giù
neanche bevendo tutta l’acqua del pianeta.
Spilluzzicò appena la
sua portata, cercando di sforzarsi di mangiarne il più possibile, lottando
contro quella sensazione di stomaco chiuso che si portava avanti da diverso
tempo.
Poi si alzò, prese i
piatti sporchi e rigovernò velocemente, aiutata da Lily.
-Se non ti dispiace, io
ora andrei a letto: sono un po’ stanca-, le disse prima di salire di sopra.
Prese la sua borsa e diede la buonanotte a Lily.
Chiuse la porta di
camera dietro di sé, aprì i fascicoli sulla scrivania di legno vicino al letto
e fece scorrere per l’ennesima volta gli occhi sui fogli stampati.
-… proprio una sorpresa
inimmaginabile…-, disse tra sé. Spense la luce e si addormentò vestita.
***
Come ogni anno, nella
settimana precedente il tanto atteso Prom Ball, tutti i ragazze e le ragazze
del Liceo di Smallville, erano in fibrillazione per i preparativi e la scelta
dell’abito perfetto.
L’improvviso spostamento
della festa alla villa dei Luthor aveva precipitato il comitato organizzatore
nel panico più totale perché, sebbene i compiti a loro carico fossero
drasticamente diminuiti, dal momento che Lex aveva preso in mano la situazione
personalmente, le proporzioni della festa, trasferita dalla palestra del Liceo
ad un vero e proprio castello, assumevano tutto un altro significato.
Il problema non era più
cercare l’abito più romanticamente elegante e preparare striscioni, ma
accaparrarsi per prime l’abito più fashion e glamour, prenotare gli
appuntamenti dai parrucchieri, affittare la limousine più lussuosa, sfoggiare
un look più in degli altri.
Il compleanno di Clark,
ogni anno, cadeva nella settimana precedente l’evento e, con grande sollievo
suo e della sua famiglia, per questo motivo veniva messo in ombra dai
preparativi della festa e, per questo, passava quasi inosservato, evitando ai
Kent una preoccupazione in più, nel gestire una festa, invitati, in breve gente
pronta a ficcanasare nella loro vita.
Anche quell’anno Clark
pensò che avrebbe potuto trascorrere una serena giornata con i suoi, oppure,
perché no, scappare lontano con Lily.
Si rigirò nel suo letto
sorridendo: aveva diciotto anni, era domenica e fuori, finalmente, splendeva di
nuovo il sole.
Il giorno prima, con
Lily, Chloe, Pete e Lois era stato a Metropolis per cercare insieme agli altri
l’abito adatto per il ballo. Aveva cercato di fare capire agli altri, invano,
che Lex aveva dichiarato che quell’anno la festa sarebbe stata diversa, ma
aveva ottenuto come unico risultato di passare tre ore della sua vita al grande
Mall Metrotown[ii],
appena fuori città, correndo da un negozio all’altro, come dei ragazzini. Poi
erano usciti e si erano incamminati verso il quartiere detto dei gitani, dove
tante piccole botteghe piene di false pozioni magiche e di antichi cimeli
stranieri rilucevano come un presepe, con le loro lucine colorate appese
all’interno. Avevano perso le ragazze, lui e Pete, che si erano soffermate ad
osservare i gioielli di un vecchio rigattiere europeo, aveva visto lo sguardo
desideroso di Lily, che aveva adocchiato qualcosa, e si era ripromesso di
tornare lì a comprarle qualsiasi cosa fosse… un gioiello per la sua splendida
principessa. Poi erano arrivati, camminando, fino a Downtown.
Avevano deciso di
fermarsi a mangiare un boccone in città prima di rientrare nel pomeriggio a
Smallville. -Quello che mi domando è come mai, se Lois ha detto che non verrà
alla festa, io mi prodigo per boicottarla, Lily non se la sente di
parteciparvi, a Clark non è mai importato nulla del ballo, abbiamo perso ben
tre ore provando e riprovando vestiti uno più ridicolo dell’altro!-, aveva
chiesto Chloe, mentre addentava la sua hamburger in un grill vicino alla zona
delle università.
-Perché io dovrò essere
bellissimo per conquistare definitivamente il cuore di Sammy!-, aveva risposto
Pete, ed era stato colpito da una gragnola di patatine fritte scagliate contro
di lui dai suoi amici.
-Però è stato
divertente, non trovate?-, aveva chiesto ridendo Clark, stringendo nella sua
mano quella di Lily.
-Come no? Vederti
indossare quella camicina psichedelica è stata un’esperienza davvero
indimenticabile, Smallville!-
-Perché non vuoi venire
alla festa, Lois… mi farebbe davvero piacere se mi accompagnassi-, le aveva
domandato Lily, -E poi come farei senza la tua consulenza di moda!-
-Aspetta un po’: volevo
essere io ad accompagnarti alla festa, Lily!-, Chloe e Lois erano scoppiate a
ridere vedendo l’espressione perplessa e vagamente delusa di Clark.
-In effetti dovresti
raddrizzare il tiro sugli accessori… ma come faceva a piacerti quel ciondolo in
quel negozio?! Menomale che io e Chloe ti abbiamo tirata via di lì, altrimenti
avresti dovuto abbinarlo con un vestito a mongolfiera!-
Era stata una bella mattinata,
aveva visto Lily divertirsi dimenticando i fatti e le rivelazioni degli ultimi
giorni ed insieme si erano sentiti esattamente come gli altri ragazzi, come se
la loro nascita e il loro sangue non avesse più alcuna importanza.
L’aveva riaccompagnata
a casa, sì… e poi… e poi doveva essere andato a letto, certo… anche se si
sentiva un po’ confuso, a ripensarci bene… non ricordava cosa avessero fatto
insieme…
L’odore delle pancakes
appena cotte fu un ottimo motivo per alzarsi, infilare velocemente una
maglietta e i pantaloni della tuta e correre giù, senza neanche passare dal
bagno a lavarsi il viso.
L’abbraccio della mamma
fu il primo regalo di quella strana giornata: era vero, quello era il giorno
ufficiale del suo compleanno, e con il tempo anche lui e i suoi genitori si erano
abituati a considerarlo tale, ma era nella data che era stato trovato, che
realmente aveva un significato festeggiare.
-Tanti auguri, cucciolo
mio!-, gli aveva detto la mamma, mettendo sotto al suo naso un piatto pieno di
minipancakes ai mirtilli come piacevano tanto a lui. Ogni anno, fin da quando
era piccolo, quello era il preludio alle libagioni di casa Kent.
Clark spazzolò il tutto
e corse nel fienile ad aiutare suo padre con il solito trattore che non voleva
saperne di funzionare correttamente.
-Ehi! Buon compleanno,
figliolo!-, gli disse lanciandogli una chiave inglese, -Diciotto anni sono più
che sufficienti per accollarti il compito di aggiustare questo demonio di un
trattore!-
-E me lo terrai tu
sollevato alto sulla testa?-, chiese Clark, strizzandogli l’occhio.
Jonathan si avvicinò a
lui e lo abbracciò, come faceva quando lui era piccolo, poi lo guardò
orgoglioso del suo unico figlio e mise una mano sulla sua spalla.
-Tua madre mi ha
raccontato di Lilyanne… non so se essere arrabbiato con te per averci tenuta
nascosta questa cosa finora o se essere felice che anche lei sia una ragazza
seria e che ti vuole davvero bene-, lo prese alla sprovvista, con queste
parole, e Clark non seppe che rispondere.
-Spero che ora che hai
una così bella ragazza tu non ti monti la testa e ti dimentichi dei tuoi
vecchi, vero, Clark?-, gli sorrise piegando la testa.
-Come potrei
dimenticarmi di un padre che mi fa lavorare anche il giorno del mio
compleanno?-, rispose sorridendo e restituendogli la chiave inglese e lo abbracciò
di nuovo.
-Sono così felice,
papà… mi dispiace non averti detto nulla di Lily, ma volevo prima esserne
sicuro-, poi lo guardò negli occhi, la sua espressione appena un po’ più seria.
-Te l’ha detto la mamma
cosa sa fare Lily?-, gli domandò, abbassando la voce.
Jonathan scosse la
testa.
-Lei sa volare!-, gli
sussurrò in un orecchio, poi si godette la sua espressione stupefatta e senza
parole.
-Forse potrà insegnarmi
a farlo… sa fare anche altre cose che io ancora non sono in grado di fare… ora…
riesco finalmente a capire cosa proviate tu e la mamma quando… tu le sistemi il
rubinetto che perde e lei ti cucina il tacchino ripieno… è davvero troppo bello
potersi completare a vicenda…-
Jonathan lo guardò,
un’espressione intenerita sul suo volto impolverato.
-Non sai quanto io sia
orgoglioso di te, figliolo-, gli disse e i suoi occhi brillarono.
-Ora però, aiuta il tuo
‘vecchio padre’ a sistemare questo catorcio di un trattore!-, di nuovo gli
passò la chiave inglese.
Quando ebbero finito, Clark
e Jonathan rientrarono in casa, assaltando quel che rimaneva delle
minipancakes.
-Lasciatene qualcuna
anche per Lily!-, gridò loro Martha.
-Lily?-, Clark non
riusciva a capire.
Martha lo guardò
perplessa.
-Sì, Clark… Lily sta
tornando qua e poi andrete tutti insieme a festeggiare a Miami, non ricordi?
L’hai invitata tu stesso ieri pomeriggio quando ci siamo visti tutti insieme!-
Clark scosse la testa,
senza capire.
-Ieri pomeriggio? Hai
visto Lily ieri pomeriggio?-
-Ma Clark, cosa ti
prende? Non ricordi che ieri ci siamo tutti incontrati dopo il funerale di Lois
per festeggiare il vostro anniversario?-, disse Jonathan, masticando una
frittella.
-Funerale di Lois?
Anniversario? Ma cosa?-
Martha posò la sua mano
sul braccio del figlio, guardandolo vagamente preoccupata.
-Clark… ora smettila di
fare domande sciocche e vai a prepararti: l’aereo sarà qua a momenti! Lo so che
ne puoi fare a meno e volare via, ma non vorrei che ti si sgualcisse lo smoking-
-Sì, Clark: quando si
ha tutto il potere che avete voi due, essere eccentrici è solo un passatempo,
come giocare a biliardo o cacciare cervi. O volare, nel vostro caso-
-Lex? Da quanto tempo
eri qua dentro?-, un attacco di panico lo colse alla bocca dello stomaco.
-Da quanto? Da quando
tu dormi nel mio castello e io nella tua stanza. E ringraziami che stanotte
sono stato sul divano perché hai rivoluto il tuo letto!-
La testa di Clark aveva
preso a girare forte, come se non ci fosse niente di giusto in tutto quello che
stava sentendo. Si voltò di nuovo verso i suoi genitori, in piedi vicino al
tavolo di cucina. Inorridì: erano invecchiati e sembrava avessero cento anni.
Il rosso vivo dei capelli di Martha si era tramutato in un grigio polvere, i
suoi occhi azzurri, velati dalle cataratte e le rughe a storpiare il suo
sorriso dolcissimo.
-Avanti, Clark: i tuoi
figli stanno arrivando!-
Si voltò verso Lex e al
suo posto vide Lily, più bella che mai, impellicciata come una regina,
accompagnata da una ragazzina dai capelli neri e un bambino con un berretto da
baseball, che fluttuava a dieci centimetri da terra, masticando un chewingum.
-Ciao amore, ho appena
portato i bambini con me sopra Genovia[iii]: abbiamo distrutto anche
l’ultima opposizione: ora siamo i signori indiscussi del mondo, proprio come
voleva tuo padre!-
Si avvicinò a lui e lo
abbracciò circondandolo con le sue braccia sinuose e i suoi capelli che gli
coprirono la faccia, sempre più stretti, avvolti attorno al suo collo, dentro
la sua bocca, fino a che iniziò a soffocare e tutto riprese a ruotare intorno a
lui velocemente, sempre più velocemente.
Si svegliò di
soprassalto cercando aria e sollevandosi a sedere sul letto. Era sudato e
tremava come una foglia in autunno.
Era stato solo un
incubo… solo uno stupido incubo.
Portò la mano
all’interruttore ed accese la luce: la sveglia segnava le quattro e mezzo del
mattino. Respirando a fatica cercò di capacitarsi di che giorno fosse, di cosa
fosse vero e cosa si fosse inventato. Si alzò e camminò arrancando fino al
bagno, accese la luce e si bagnò il viso, guardandosi allo specchio: era in
casa sua, da solo, e quello che aveva visto era solo un brutto sogno.
Scese in cucina e si
versò dell’acqua fredda.
Doveva calmarsi, perché
non c’era nulla di vero in quello che era accaduto.
Lois era viva, Lily la
stessa ragazza semplice di sempre, Lex viveva nel castello e lui non aveva né
figli, né anniversari da festeggiare.
Si chiese se la mattinata
passata con Lily e i suoi amici a Metropolis fosse realmente accaduta oppure
no, e non seppe darsi una risposta. Tornò in camera sua e accese il computer,
per vedere che giorno fosse, si connesse ad internet e andò sul sito del Daily
Planet, per controllare che tutto fosse a posto.
Un’e-mail in arrivo
attirò la sua attenzione.
Era del dottor Swann:
erano mesi, che non riceveva sue notizie.
Lesse velocemente la
lettera, molto breve, nel classico stile dell’uomo che gli aveva, per primo,
detto il suo nome kryptoniano.
Swann gli porgeva i
suoi auguri di buon compleanno e lo salutava con una frase che lo incuriosì.
“Tre sono
i cristalli nascosti negli angoli più remoti del terzo pianeta della stella
Sol: Naman li riunirà e il portale sarà aperto per ottenere la chiave della
conoscenza assoluta e governare sulle razze inferiori. Non cadranno in mani di
altri, o la conoscenza si tramuterà in distruzione.
Questa è la
traduzione delle iscrizioni sulle pareti della grotta di Cowichan, attorno a
quella che chiamiamo la “serratura”. Sulla parete opposta l’iscrizione è in
caratteri differenti e tracciata in un’epoca diversa.
Questo è ciò
che ho tradotto: Naman affronterà Segith,
affiancato da Aethyran[iv]
ed il destino sarà compito.
I
tre cristalli sono realtà, Clark e la profezia deve essere realizzata, perché
il rischio che essi cadano in mani sbagliate è troppo grosso. Ma anche se il
tuo destino sembra essere stato scritto da secoli, anche se le tessere del
mosaico stanno trovando il loro posto, anche se Naman, Segith, Aethyran hanno
dei nomi che tu conosci, ricorda che
il tuo compito è di ascoltare quello che consiglia il tuo cuore, non quello che
altri hanno stabilito per te.
So che la
vita sembra averti finalmente donato qualcosa di prezioso e inatteso, che
sembra dare un senso a tutti i tuoi dubbi e fare battere il tuo cuore così speciale,
ma devi sempre ricordare di prendere le tue decisioni proprio con quel cuore,
non con l’ingordigia dello stomaco.
Ricorda sempre che non sei mai stato solo,
fino ad ora: custodisci come pietre preziose le persone che ami e loro ti
ameranno e non tradiranno mai la tua fiducia”
Parlava di Lily? No,
come faceva, Swann, a sapere di lei? Parlava di quello che Jor-El voleva per
lui, allora? Lo metteva ancora in guardia dal seguire una strada che lo avrebbe
allontanato dall’essere umano, che avrebbe potuto portarlo ad uno scenario
follemente assurdo come quello del suo incubo di pochi minuti prima? Il
messaggio era fin troppo chiaro, sia il suo sogno che il Dottor Swann gli
ripetevano di non pensare mai, anche lontanamente, di potersi mostrare
superiore agli altri, di non cadere nell’errore di ascoltare le parole di
conquista di Jor-El.
Controllò la data sul
computer: aveva ancora tre ore di sonno prima che il sole spuntasse sulla
mattina del suo compleanno. Lo spense e si infilò nel letto ormai freddo,
rimanendo immobile a pensare.
Lana.
Ecco cosa aveva fatto
il pomeriggio del giorno prima.
Si era separato dagli
altri ragazzi al parcheggio degli autobus a Metropolis ed aveva corso assieme a
Lily come se fossero due puledri selvaggi, e i campi tra la grande città e
Smallville fossero stati fatti solo per loro. Si erano fermati al lago, a
parlare del più e del meno, di come fosse assurdo che loro due erano due
alieni, di come sarebbe stato il loro futuro, una volta finita la scuola. Si
erano baciati e, ancora una volta, si erano lasciati prendere la mano dalle
circostanze: loro due da soli, il frusciare delle foglie dei salici che si
immergevano nel lago, i primi stormi di uccelli migratori che tornavano.
L’abbaiare di un cane in lontananza li aveva riportati alla realtà, avevano
sorriso l’uno all’altra e, a malincuore, si erano incamminati verso il paese.
O forse era stato in
un’altra circostanza, un altro giorno…? si sentiva molto confuso.
Lui aveva fissato, sul
tardi, al Torch con Chloe, per aiutarla con l’impaginazione dell’articolo sul
ballo, Lily si era fermata al Talon, poi sarebbe tornata a casa.
Si chiese come mai non
erano tornati assieme agli altri, sull’auto di Lois, e immaginò che fosse epr
stare un po’ da solo con Lily…
Stava per entrare al
giornale, quando aveva udito le voci concitate di Chloe e Lois litigare, dentro
la stanza chiusa.
La sera prima Lois
aveva curiosato tra i files di Chloe e aveva fatto confusione. La cugina la
stava rimproverando di aver aperto documenti privati, peraltro dal contenuto
pericoloso, Lois, invece, insisteva che doveva ascoltarla per un altro
problema, e quel problema era Lana.
Si era avvicinato,
fingendo di stare guardando alcuni annunci in bacheca, e, con il super-udito,
aveva ascoltato la loro conversazione.
-Il fatto che sei mia
cugina non ti autorizza a mettere il naso nelle mie cose! Perché non mi hai
detto nulla stamani, mentre eravamo fuori? Ci sono cose che… che non devono
uscire da questa stanza, hai capito, Lois?-
-E tu hai capito che a
me dei tuoi articoli e delle tue indagini non interessa assolutamente niente?-
-Allora perché sei
andata al castello di Lex?-
-Sono affari miei!
Quello che deve importarti è che quel bastardo sta mettendo sottosopra la vita
di tutti noi, Lana compresa!-
-Cosa c’entra Lana,
adesso? Sei sempre pronta a prendertela con lei, non è vero?-
-Non me la sto prendendo
con Lana, non capisci proprio nulla oggi, Chloe! Sto cercando di farti capire
che Lex sta ficcando il naso anche nella sua vita: l’ho sentito che parlava con
Jason, lo vuoi capire?-
-Quello che c’è tra
Lana e Jason a noi non deve interessare. E poi… mi sa che sono agli sgoccioli,
sicché il discorso può chiudersi qua-
-Agli sgoccioli? Ah,
direi proprio di no! Ti posso garantire che non sono mai andati più d’accordo
di così! Il problema è che lui la sta ingannando.-
-Ma che ne sai, tu?-
-Oh, so eccome! Jason e
Lex stavano urlando: Jason minacciava Lex di non raccontare nulla a Lana del
loro accordo… se ti sembra una cosa normale questa…!-
-Quale accordo?-
-E che ne so! Ma i toni
di Lex non erano tra i più gentili: gli ha detto che avrebbe svelato a Lana
tutto quello che Jason e sua madre avevano tramato contro di lei… e questo non
è certamente il momento migliore per Lana per agitarsi… Se pensi che poi quella
donna era lì, oggi, al castello, proprio mentre quei due litigavano… io non
credo che le cose siano così lineari come tutti si sforzano di farcelo credere-
-Jason…? Sua madre…?
Cos’altro c’è che io non so?-
-Adesso mi credi,
Chloe?-
-Io… cos’ha Lana?-
-Non posso raccontarti
i suoi fatti privati, mi dispiace-
-Però puoi frugare tra
i miei fatti privati… e senza un
valido motivo, almeno finché non ti decidi a dirmi che cosa cercavi!-
-Senti, vuoi
considerarmi un’impicciona? Bene, fallo pure… ma in questo momento sono davvero
preoccupata per Lana e per quello che può aver… combinato… con… Jason… e…-
-Cosa…? Lana…-
-Io non ti ho detto
nulla! Però, capisci che ho il diritto di preoccuparmi per lei, se Jason le
nasconde qualcosa? Anche se non sono la sua migliore amica, penso di avere il
diritto di preoccuparmi, specie se c’è di mezzo quel disgraziato di Lex…-
Era stato allora che
Clark aveva urtato qualcosa con il piede, facendo franare un estintore mal
riposto per terra vicino alla porta del Torch, con un rumore assordante. Chloe
e Lois erano comparse davanti a lui spaventate.
Le aveva salutate
facendo finta di niente, Lois era uscita di fretta approfittando dell’attimo e
lui era rimasto davanti alla porta, solo con Chloe, che pareva molto turbata da
quello che la cugina le aveva fatto intuire.
-Dai… entra-, gli aveva
detto chiudendo la porta alle loro spalle.
Si era seduta alla sua
scrivania ed era rimasta ad osservarlo, sospirando.
-Clark, io e Lois
stavamo urlando così forte che sono sicura che avresti sentito ogni parola
anche se non avessi usato il tuo super-udito, quindi è inutile che assuma
un’espressione spensierata di circostanza con te, perché spensierata, in questo
momento, non mi sento proprio-
Si era fermata a
guardarlo, poi aveva ripreso.
-Non lo so… mi pare che
stia per arrivare la fine del mondo: tu che mi riveli il tuo segreto, il Liceo
che va a fuoco, un’altra ragazza con i tuoi stessi poteri… e adesso Lois che si
mette a fare l’investigatrice privata e vuole proteggere Lana… sono
preoccupata…-
Non gli aveva risposto,
perché se quello che aveva intuito dal discorso di Lois era vero, anche se
adesso non stava più con Lana, era come se una parte di quello che era rimasto
di lei nel suo cuore si fosse spezzata e fosse morta, con il ricordo dei loro
baci, dell’attimo in cui qualcosa li aveva fermati, prima di donarsi l’uno
all’altra per la prima volta, e si erano sussurrati che nulla avrebbe più
interrotto il loro amore…
-Clark? Mi stai
ascoltando?-, Chloe gli aveva detto qualcosa che lui non aveva assolutamente
sentito.
-Sono preoccupata per
Lois!-
-Lois?-, gli aveva
domandato, non capendo che c’entrasse, se stavano parlando di Lana.
-Ma certo: che c’è
andata a fare, Lois, da Lex? Non è di certo il tipo di persona con il quale una
come Lois vuole avere a che fare! Penso che si rivolgerebbe a lui solo se non
avesse altra strada, se avesse bisogno di un favore… e che favore potrebbe
volere Lois da Lex… e poi… era così arrabbiata con lui… Non è un comportamento
da lei… è sempre più strana, ultimamente…-
-E Lana…?-
-Lana? Lana è adulta e
vaccinata e se ha preso determinate decisioni lo avrà fatto conoscendo le
conseguenze. La domanda giusta è un’altra: che c’entra Jason con Lex… perché
era al castello e perché c’era anche Genevieve Teague! Quello che ha sentito
Lois non è rassicurante… Se Lex sa che li ha uditi, Lois non è al sicuro!-
Si era alzato, turbato
e intimamente ferito.
-Tu, Lois, Pete… siete
sempre pronti a scagliare la prima pietra contro Lex, a dipingerlo come un
mostro! Lo vedi com’è Lex? C’è un problema alla scuola e lui offre la sua casa
per ospitarci… e per avere un po’ di allegria intorno. Non è giusto che
pensiate sempre che è colpa sua. Se piove è colpa sua… se la terra gira è colpa
sua!-, aveva aperto la porta ed era uscito.
Doveva vedere Lois e
parlarle. O era da Lana che doveva andare, prima di perderla ancora una volta e
per sempre? O parlare con Lex di cosa fosse questa storia misteriosa? O andare
da Jason e spaccargli il muso…
Clark si rigirò nel
letto e si immerse nell’ultimo ricordo prima di addormentarsi.
Alla fine era andato al
Talon e si era seduto ad un tavolino riparato, dal quale poteva vedere la porta
dell’appartamento di Lana, senza che lei potesse notarlo, se fosse uscita dalla
sua casa.
Aveva chiamato i suoi e,
con la scusa di studiare, era rimasto là fino all’ora di chiusura. Aveva visto
Lana rientrare, salutando velocemente le bariste e concedendosi un bagno caldo,
una volta sola nella sua casa. Poi era arrivata Chloe, lo sguardo preoccupato,
la sottile ruga che si dipingeva sulla sua fronte quando non sapeva come
affrontare un problema. Aveva bussato e atteso pazientemente che l’amica le
aprisse la porta, coperta con un asciugamano e con i capelli che gocciolavano a
terra. Avevano parlato un po’, e Clark non aveva voluto ascoltare con il suo
udito sviluppato la loro conversazione: non per rispettare la loro privacy, ma
per la paura sottile di scoprire qualcosa che ancora nella sua mente era
soloun’ipotesi. Quando Chloe era scesa,
aveva affondato il volto dietro un giornale, per non farsi notare.
E alla fine, salendo
gli scalini a due a due, con un dvd del videonoleggio in mano e il suo solito
sorriso strafottente, era arrivato Jason: aveva bussato e aveva baciato Lana,
che si era vestita con una tuta, l’aveva spinta dentro casa e si era
stravaccato sul divano. Come se fossero gesti antichi, familiari entro quelle
mura, come se quella fosse anche un po’ casa sua.
Solo allora era tornato
verso casa, camminando lentamente, rigirando tra le mani il volantino
stropicciato di un nuovo pub a Metropolis.
Si era messo a letto ed
era sprofondato in quell’incubo così dolcemente allettante.
Due ore, e le frittelle
di sua madre avrebbero iniziato a friggere giù in cucina, diffondendo il loro
profumo e svegliandolo.
Due ore e avrebbe
ricominciato quella giornata già vissuta.
-Cosa ci sei andato a
fare da Lex?-
Jason aggrottò le sopracciglia,
premette pause sul lettore dvd e si
voltò verso Lana, con espressione perplessa.
-Lex? L’ultima volta
che l’ho visto è stato quando ho saputo che mi aveva fatto licenziare dalla
scuola-
Lana si scostò da lui:
era dall’inizio di quello stupido film che non riusciva a pensare che a questa
cosa.
-Una persona mi ha
chiamata, stamani, spiegandomi che quell’occhio nero è stato Lex a fartelo.
Penso che tu mi debba delle spiegazioni-
-Una persona ti chiama e tu credi ciecamente
alla prima stronzata che ti dice? Tutta qua la fiducia che hai in me?-,
incrociò le braccia al petto, come faceva sempre quando iniziava ad
arrabbiarsi.
-Sei stato tu a dirmi
che eri andato a dare una lezione a chi ci aveva fatto… quella cosa. Ti chiedo
solo se questa persona è Lex-
Jason si alzò, lasciando
il telecomando sul divano.
-Non mi ascolti,
allora? Ti ho detto che non vedo Lex da molto tempo, ormai!-
Lana socchiuse gli
occhi, affilando lo sguardo.
-Quindi tu non sei mai
andato da Lex a chiedergli un lavoro e non hai mai lavorato per lui, con il
compito di spiarmi, è così?-
Jason la guardò fissa
negli occhi, senza tradire minimamente quello che si agitava dentro di lui.
-E’ così-, disse, poi
le passò vicino, strinse le labbra scuotendo il capo e, senza aggiungere altro,
uscì dall’appartamento e la lasciò da sola.
Lana si lasciò cadere
sul divano, scivolando verso il basso: aveva ancora una volta dato ascolto alla
voce di una sirena che voleva solo deviarla dalla sua strada, per qualche
misterioso interesse personale.
-Perdonami…-, sussurrò.
Rimase per un po’ immobile a guardare imbrunire il giorno, fuori della
finestra, poi riaccese la televisione.
Come nel sogno, Clark
aveva passato la mattinata con i suoi, aiutando suo padre nel fienile e
aprendosi un po’ a lui,parlandole di
quello che provava per Lily. Avevano fatto colazione insieme ed era rimasto con
loro fino a quando la telefonata di Lily non aveva illuminato la sua giornata.
Non aveva volutamente più pensato alla sera prima, a Lana, a Jason, a Lex, ai
guai preannunciati da Lois, alla faccia preoccupata di Chloe.
-Che ne diresti di…
passare da me tra un po’: ho bisogno che tu faccia una cosa…-, gli aveva
chiesto Lily con voce allo stesso tempo infantile e sensuale e lui non aveva
trovato un solo motivo per non precipitarsi subito da lei.
L’aveva sorpresa in
accappatoio con i capelli bagnati.
-“Tra un po’”, Clark,
significava tra un po’… non immediatamente!-, aveva detto ridendo facendolo
entrare in casa.
-“Tra un po’” era
troppo tempo… io ti volevo immediatamente…-
-Buon compleanno, amore
mio…-
Ricordava a malapena la
sua risposta, eppure erano passate solo poche ore.
Dopo di quello c’era
solo il sapore delle sue labbra sulla sua bocca, il suo sguardo velato e
febbrile, appena un po’ preoccupato. L’aveva baciata appassionatamente,
perdendosi nel suo profumo, sulla sua pelle morbida e calda. L’aveva sollevata
e fatta stendere sul divano, scostando l’accappatoio che le copriva le gambe e
il collo, e aveva sentito in quell’istante più che mai la voglia di stare con
lei, una volta e per tutta la vita.
Poi, di colpo, il volto
stupefatto di Lois… sì: Lois doveva averli interrotti, ma quello che era
successo dopo, nuovamente non riusciva a focalizzarlo, come se qualcuno, con un
colpo di spugna, avesse cancellato i suoi ricordi, o, meglio, li avesse
sbiaditi fino a confonderli l’uno con l’altro, dalla sera prima.
Sapeva di essere salito
in camera di Lily, seguendo il suo volto rosso peperone, e di essersi sfilato
la felpa, mentre lei, ridendo senza fare rumore, lo pregava di non parlare,
portando l’indice alle sue labbra e sorridendo, avvicinando nuovamente le sue bocca
rossa a lui e le sue mani scivolavano sul suo torace e sulle braccia…
-Ecco fatto!-, Lily,
sorridente e soddisfatta, lo guardava con un misto di trepidazione e divertimento.
Era completamente vestita e aveva i capelli asciutti e raccolti in una morbida
treccia. Sul suo golfino azzurro spiccava un filo rosso, caduto chissà da dove.
-Allora, vuoi venire
giù a pranzo?-, gli aveva chiesto, come se non fosse la prima volta che gli
poneva quella domanda.
Lo aveva condotto con
gli occhi coperti dalle sue mani morbide in cucina, dove la tavola
apparecchiata per due e alcune ottime pietanze ammiccavano dai piatti quadrati
del suo servito migliore.
-Ma quando hai…?-,
Clark era sempre più confuso.
-Ssssst! Buon
appetito!-, non aveva detto altro e aveva iniziato a servirgli quello che aveva
cucinato per lui.
-E Lois?-, le aveva
domandato dopo che avevano finito di mangiare e stava accingendosi a tornare a
casa per aiutare suo padre con il vecchio trattore che aveva ripreso a fare le
bizze.
-Sono ore che è
uscita-, aveva risposto Lily, senza pensarci su, poi un leggerissimo fremito
aveva scosso il suo volto. Si era girata verso di lui e, sorridendo un po’
troppo veementemente, aveva puntualizzato: -Ti sei addormentato appena siamo
saliti in camera e non ho voluto svegliarti!-
Un bacio ancora e via,
di nuovo sulla strada di casa, più confuso di prima.
La nebbia: ecco cosa
gli sembrava di avere nuovamente in testa…
Però lo sguardo di
Lois, i suoi occhi pungenti e l’espressione vagamente delusa e accusatoria
quando lo aveva trovato a casa di Lily -e sua-, quella sì, la ricordava bene…
La cena era stata come
sempre speciale: Martha aveva dato il meglio di sé stupendo tutti con un menù originale
multietnico, che aveva esaltato il palato di Chloe e fatto storcere un po’ il
naso a Jonathan, che si era in seguito ricreduto sulla cucina messicana.
Erano stati bene, a
tavola: sette volti sorridenti che parevano aver dimenticato i loro problemi
fuori dai confini della fattoria Kent.
Chloe e Lois erano
arrivate piuttosto in ritardo, entrambe scure in viso, ma l’allegra atmosfera
familiare che regnava in casa Kent aveva fatto tornare presto il sorriso alle
due cugine.
Era come se non fosse
successo nulla, come se fossero passati mesi…
Clark aveva voluto che
Lily stesse vicino a lui e, in un momento in cui nessuno li guardava, si
avvicinò a lei per darle un dolce bacio.
-Attenzione Smallville…
non credo che la scena a luci rosse di stamani sarebbe tollerata a questa
tavola!-, gli disse piano Lois, passandogli accanto con un vassoio di fajitas,
e fissandolo nuovamente con quello sguardo che era l’unico ricordo nitido della
giornata precedente.
Clark scosse la testa,
mentre gli altri ammiravano la torta di compleanno fatta da Martha che faceva
il suo ingresso trionfale a tavola.
Bevvero lo spumante che
aveva portato Pete e Jonathan raccolse la sfida di Lois di buttare giù tutto
d’un fiato “il petardo dei marines”, a base di rum, whiskey e soda, che avevano
inventato i “suoi commilitoni” alla base militare.[v]
-Non dirmi che bevi
anche tu questa roba, signorina?-, la rimproverò Jonathan, con la bocca in
fiamme e Lois finse l’espressione più angelica che riuscisse a fare.
Poi i ragazzi rimasero
soli e si spostarono nel fienile, dove ognuno dette il suo regalo a Clark.
Pete volle essere il
primo per poi scappare al Beanery, dove aveva fissato con Samantha: gli aveva
preso un pallone da football nuovo, augurandosi di vederlo giocare, prima o
poi, visto che era stato assente proprio nei mesi di gloria del suo
super-amico.
Lily gli consegnò il
suo regalo, arrossendo come un peperone quando Clark scartò l’ennesimo maglione
in cotone rosso fuoco.
-Gli mancava!-,
ironizzò Lois guadagnandosi una gomitata da Chloe; -Ecco a cosa ti servivano
tutti quei gomitoli e i libri che hai preso in prestito dalla biblioteca!-
-L’hai fatto tu?-,
chiese Clark affondando le mani nella trama appena un po’ irregolare,
abbassando gli occhi per guardare nei suoi. Lily annuì senza parlare e subito
si sentì sollevata dall’abbraccio forte e delicato del suo amore.
-Grazie, piccola…-, gli
sussurrò Clark in un orecchio.
-Io l’ho… fatto tutto stamani.
Ho scoperto di avere… altre abilità, sai? Ieri ti ho visto che ne guardavi uno
simile a Metropolis e quindi…ho
memorizzato tutto il manuale in pochi minuti e poi: l’ho fatto usando un po’ di
supervelocità-, spiegò lei, mormorando, -… e un modello affidabile!-, lo disse
quasi tra sé e sé, come se fosse qualcosa che andava tenuto nascosto.
-Ma il vero regalo
arriverà presto… c’è una cosa che voglio che sia tua…-, gli disse baciandolo,
non importandole se lui sarebbe arrossito davanti alle sue amiche.
Chloe gli regalò un
portachiavi sferico in plexiglass al cui interno erano stati raffigurati con la
tecnica laser tanti piccoli puntini, che formavano delle figure apparentemente
casuali.
-E’ un universo in
miniatura-, gli disse, poi si avvicinò per abbracciarlo -Perché credo che
nessuno meglio di te possa immaginare cosa significhi tenerlo stretto in una
mano…- , gli disse piano in un orecchio, e gli sorrise.[vi]
-Ed io… beh, visto che
una o due delle tue sono entrare a far parte del mio “parco tute e pigiami”, ti
ho comprato una… tanto di piace di sicuro, ho voluto cadere in piedi,
stavolta!-, disse Lois lanciandogli un pacchetto morbido contenente una calda
camicia di pile con la solita fantasia blu scozzese che avevano quasi tutte le
camicie di Clark. Gli strizzò l’occhio e si allontanò appena.[vii]
Risero tutti quanti,
poi Lois tirò fuori dalla sua borsa un’altra bottiglia di spumante, stupendoli e
iniziando a servirlo in bicchieri di plastica.
-Manca un po’ di musica
in questo posto…-, Chloe accese lo stereo, tenendolo a volume non troppo alto
per non disturbare i genitori di Clark, in casa.
-Ti dispiace se te lo
rubo?-, disse a Lily e prese Clark per le mani, improvvisando un ballo con lui,
che sorrideva imbarazzato, sulle note allegre di musica rock and roll anni
sessanta.
Facendo una specie di
lenta piroetta lasciò il “testimone” alla sua ragazza, che imitò Chloe e poi lo
“passò” a Lois.
-Ah, no, grazie!-,
rispose lei afferrando al suo posto la bottiglia di spumante e facendo ridere
nuovamente tutti.
Clark ne approfittò per
parlare con Lily.
-Quale altra abilità
hai scoperto?-, le domandò a bruciapelo, stringendola a sé.
-Non posso dirtelo…-,
sorrise con aria birbantella.
-Per favore…-
-D’accordo… allora, ho
scoperto di riuscire a cancellare la memoria delle persone…-, lo guardò dal
basso e vide dipingersi sul volto del ragazzo un’espressione di puro stupore.
-E come fai?-, chiese
trepidante.
-Dunuqe…-, Lily sorrise
e abbassò lo sguardo per un istante. Risollevò la testa e lo baciò sulla bocca,
sentendo sulle labbra quello strano formicolio che provava ogni volta che usava
il suo potere. Poi posò la testa sulla spalla di Clark e rimase abbracciata a
lui, cullati dalla musica, senza voler spiegare, senza rivelare quel segreto
che in realtà conservava gelosamente da tanto tempo. [viii]
Clark continuò a
ballare, imbarazzato e confuso con Lily, quando il cellulare vibrò nella sua
tasca.
-Scusami un attimo-, le
disse e lesse il messaggio. Rimise il telefono in tasca e, scusandosi, disse
che sarebbe tornato subito.
Scese le scale del
fienile e uscì, nella notte ancora appena un po’ fredda.
-Lana…-, disse
vedendola in disparte, poco distante dalla porta del fienile, -Perché non sei
entrata?-
-Non volevo
disturbarvi… per questo ti ho scritto solo un messaggio-
-Tu non disturbi mai,
figurati! Perché non vieni su, ci sono anche Chloe e Lois-
Sorrise impacciata.
-No, grazie, devo
tornare a casa, ora… volevo solo farti gli auguri e darti un pensierino… ecco…-
Clark soppesò il pacchetto
tra le mani.
-Lana, non dovevi…
grazie!-, fece per scartarlo, ma lei lo fermò.
-Fallo quando sarai
solo… per favore…-, chiese abbassando gli occhi.
Clark annuì,
imbarazzato.
-Ciao-, Lana lo salutò,
si allungò sulle punte e gli diede un bacio sulla guancia. Lana si voltò,
allontana dosi, ma Clark la trattenne per una mano. Era tantissimo tempo che
non osava più toccare la sua pelle. La fece voltare e la guardò negli occhi
lucidi di chi combatte con le lacrime.
-Lana… io… quando ho
rinunciato a te… credevo che tu fossi felice, con lui…-
La ragazza deglutì in
silenzio, poi gli aprì il suo cuore, staccandola mano dalla sua presa delicata.
-Da quando hai
rinunciato a me ho smesso di essere felice…-, abbassò gli occhi e una piccola
lacrima cadde sulla terra asciutta.
-E’ troppo tardi,
ormai, e va bene così-, disse sforzandosi di sorridere.
Prima che lui potesse
dire o fare qualcosa, lei risalì in auto e ripartì.
Clark rimase immobile,
confuso per quello che era successo, deluso per quello che aveva saputo il
giorno prima, amareggiato per averla lasciata andar via un’altra volta ancora.
Rigirò il regalo per un
po’, indeciso su cosa farne, poi lo aprì.
“Anche se
le nostre strade
si sono
divise
per tornare
a scorrere
parallele,
come amici,
volevo che
sapessi solo,
che io non
potrò dimenticarti
mai”
Sotto al biglietto
firmato da lei c’era una piccola scatola contenente alcune foto che avevano
scattato quando stavano insieme, delle cartine dei cioccolatini che avevano
divorato guardando un film, al cinema e che lei aveva conservato, il piccolo
bouquet di fiori che lui le aveva regalato per il ballo del secondo anno, il
mezzo cuore d’argento, che lui aveva perso a Metropolis, poco tempo dopo, la
sciarpa che lui le aveva prestato una volta e che non glia aveva più
restituito, un foglietto su cui avevano scritto una lista di posti che
avrebbero voluto visitare insieme.
Clark scosse la testa.
-Perché…?-, sussurrò, poi
deglutì e inspirò profondamente. Richiuse la scatola e la nascose tra gli
attrezzi nella parte bassa del fienile e tornò su, dalle sue amiche, che
avevano smesso di ballare.
[i]
Secondo voi che telefilm sarà? Hazzardate un titolo, va’! :-P
[v]
In realtà la mistura spacca budella inventata da me e una mia amica è Rhum,
arancia e tabasco… in proporzioni variabili, dove l’arancia non si sa se
effettivamente compare…
[vi]
Un po’ come il gatto di Men in Black… ihihih! ;-)
[vii]
Ogni riferimento è puramente casuale… ;-P A buon intenditore…
[viii]
In realtà l’abilità a cui faccio riferimento non è annoverata tra i poteri
ufficiali di Superman e, quindi, dei kryptoniani. E’ un’invenzione usata nel
secondo film con Christopher Reeve, nella versione ufficiale tradotta anche in
italiano. Negli anni è andata sempre di più affermandosi la convinzione che
l’unica versione ufficiale del secondo Superman sia in realtà quella del
Richard Donner’s Cut, mai tradotto in italiano, dove Superman, come nel primo
film, fa tornare indietro il tempo per cancellare la memoria di Lois, che ha scoperto
il suo segreto. Non esisterebbe perciò il famoso (e da me tanto amato) “bacio
smemorino”… in questa sede voglio fare finta di non conoscere questa storia e
voglio regalare questa abilità a Lily, perché credo che, tra tutte quelle che
sono in possesso di Supes, sia quella più romantica… assieme al volo,
ovviamente!