Sembra che tu abbia visto un fantasma

di Black Fullmoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Una goccia di té cadde inavvertitamente sulla mano di John, scottandolo. John mise subito giù tazza e teiera, maledicendo mentalmente le mani tremanti grazie alle quali aveva ormai una collezione di piccole bruciature come quella. Decidendo che non voleva riprovare, prese la tazza cercando di non far cadere nulla del contenuto e con l'altra mano recuperò il bastone. Si spostò in salotto e si lasciò cadere pesantemente sul divano. Accese la televisione. TV spazzatura ovunque, non che davvero fosse interessato a cosa guardava.
Sentì di sotto i rumori che indicavano il ritorno di Mrs Hudson dalla spesa. Non si mosse sentendola salire le scale, finché non fu entrata nell'appartamento.
- Ciao John - 
- Serve aiuto con le borse? - chiese John, un falso sorriso sul volto.
- No, grazie. Tutto bene? -
- Tutto a posto - Mrs Hudson sorrise e tornò nel suo appartamento. Passava spesso a vedere come stava. Forse per controllare che non facesse gesti sconsiderati. John non le aveva mai detto di non preoccuparsi, perché lui non si sarebbe suicidato. Principalmente perché non si sentiva il cuore di confessarle che in effetti un paio di volte ci aveva provato, ma poi non ce l'aveva fatta e aveva rimesso la sicura alla pistola. Ma tutte le volte che ci aveva provato erano state nel primo mese dalla Caduta. Dopo era riuscito ad andare avanti un pochino.
Di certo essere riuscito a togliere le accuse su di Lui aveva aiutato ad alleviare il senso di impotenza. Poi sostanzialmente si era arreso. Si era arreso al fatto che i morti rimangono tali, e i vivi vanno avanti. Andava a lavoro alla clinica, vedeva Lestrade più o meno una volta ogni due settimane (a volte l'ispettore gli aveva chiesto se poteva dirgli le cause della morte di dei corpi. John sapeva che essere sulla scena di un crimine era solo qualcosa che faceva stare un po' meglio entrambi), a volte subiva qualcosa che poteva essere definito un ricordo dei bei vecchi tempi da Mycroft (nonostante l'uomo avesse deciso che gli forniva i soldi per mantenere l'altra metà dell'affitto e sapesse probabilmente cosa faceva in ogni minuto della sua vita, continuava a venir rapito e portato da qualche parte. Anche quello era solo un modo per far sentire meglio entrambi) e così via.
Cercò per qualche minuto di prestare attenzione a cosa stava vedendo. Non gli riuscì. Era ironico quasi, che una volta si lamentasse così tanto perché Lui non gli lasciava vedere cinque minuti di film senza dirgli tutta la trama e ora faceva fatica a seguire senza la Sua voce a borbottare qualcosa sui polsini del protagonista e la collana della fidanzata.
John si decise a bere il suo tè. Ormai era diventato freddo. Avrebbe dovuto berlo prima. Si rialzò per portare la tazza in cucina, appoggiandosi al bastone. Che non si mosse. John sospirò. Ottimo, gli si era incastrato il bastone da qualche parte. Odiava quando gli succedeva. Si chinò ignorando la sua gamba (perché avrebbe dovuto preoccuparsi di un dolore psicosomatico?) e controllò. Strano, non c'era niente che avesse potuto bloccare il bastone. Si tirò su scrollando le spalle e tornò in cucina.
I piatti nel lavandino andavano lavati. Decisamente. John poggiò il bastone e si mise al lavoro. Prendi il piatto, sciacqua, metti il sapone, strofina, togli il sapone, asciuga. Forse si sarebbe dovuto comprare una lavastoviglie un giorno. Avrebbe risparmiato un sacco di tempo.
Un brivido gli corse per la spina dorsale. Gli sembrava di essersi appena trovato in mezzo ad una corrente d'aria gelida. Si voltò. Le finestre erano tutte chiuse. Forse si stava prendendo qualcosa.






Saaalve! Questa storia all'inizio la volevo mettere su un fandom inglese, solo che nella mia ignoranza non sapevo come scriverla ed eccomi qua. All'inizio i capitoli saranno abbastanza seri, poi più avanti ci sarà anche da ridere un po'. Bye!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


John era in un'infermeria di guerra. I letti erano pieni di pazienti, giovani feriti o orribilmente mutilati che lui doveva salvare. Sentiva i rumori di bombe e spari, come se ci fosse una battaglia proprio fuori dalla porta. Lui correva da un lato all'altro della stanza, cercando di aiutare tutti e senza riuscire a fare nulla di davvero utile. Poi vide un ragazzo in un letto che si agitava e si agitava. Si avvicinò e quello aveva un volto terribilmente familiare, riccioli scuri sudati appiccicati al volto, e poi aveva la fronte piena di sangue, il viso coperto di macchie rosse ed era così pallido, maledizione John lo toccò ed era già freddo come un morto e...
John spalancò gli occhi. Per alcuni istanti faticò a focalizzarsi sul dove e quando, poi realizzò che era in camera sua, al 221b di Baker Street, e che la ragione per cui era tutto così scuro era che probabilmente era ancora notte fonda. John sospirò. Dalla Caduta non aveva più avuto vere e proprie notti di sonno degne di quel nome. I suoi incubi erano solo peggiorati; nemmeno dopo l'Afghanistan si era mai sentito così.
Cercò a tentoni il suo bastone, giusto per scoprire che non lo trovava. Si alzò barcollando e appoggiandosi al muro. Accese la luce. Il suo bastone non era lì nella stanza. John aggrottò le sopracciglia. Ce l'aveva la sera prima quando era andato a letto, ne era certo.
Zoppicando si diresse in salotto. Accese le luci. Rimase alcuni istanti a fissare la stanza a bocca aperta. Era un disastro. C'erano oggetti per terra, il teschio era poggiato sul divano, una poltrona era spostata e per finire il suo bastone era appoggiato su un maledetto ripiano della libreria a cui lui non era mai riuscito ad arrivare per una questione di circa due centimetri.
- Che diamine è successo qua? - mormorò. Non era possibile che quel casino fosse apparso così dal nulla. Si avvicinò zoppicando al divano e prese in mano il teschio. Quel coso era rimasto dove Lui l'aveva lasciato l'ultima volta che era stato in casa, quasi tre anni prima. John non si sarebbe mai azzardato a spostarlo. Cautamente lo rimise al suo posto sullo scaffale.
- Sto impazzendo. Non posso aver combinato io questa roba - borbottò John. Eppure era l'unico in casa, fatta eccezione per Mrs Hudson, ma lei non avrebbe mai nemmeno pensato di combinare qualcosa del genere. E si sentiva di escludere che fosse entrato un ladro o qualcosa del genere.
Gli ci volle quasi un'ora per rimettere tutto a posto e nella stanza giusta (perché qualcosa era arrivato anche dalla cucina e per non farsi mancare nulla c'erano degli asciugamani sul televisore). Alla fine dovette solo tirare giù il bastone dal ripiano. Si aiutò con una sedia e quando scese ringraziò metà dei santi del mondo per aver fatto resistere la sua gamba così a lungo sotto sforzo.
Si rigirò per un po' il bastone tra le mani. A volte, quando aveva appena iniziato a vivere lì e aveva ancora le sue crisi da psicosomatico e sentiva il bisogno di usare il bastone, Lui prendeva il bastone e lo spostava in maniera che John non ci arrivasse, in genere posti alti a cui John non arrivava nemmeno in punta di piedi. Dopo discutevano un po', discussioni che finivano sempre con John che prendeva una sedia e si arrampicava a riprendersi il bastone; dopodiché Lui gli avrebbe detto che se riusciva a stare in perfetto equilibrio col peso sulla gamba su una sedia non aveva bisogno di un bastone, John l'avrebbe mandato al diavolo e il bastone sarebbe rimasto dimenticato in un angolo. John rabbrividì. Aveva questa sensazione che non se ne andava via dalla sera prima. La sensazione di non essere solo nella stanza. E ora anche questa specie di dejá-vù.
Appoggiò il bastone e si lasciò cadere pesantemente sul divano. Chiuse gli occhi e si passò le mani sul volto. L'unica persona che avrebbe potuto fare il disordine di prima era se stesso, ma lui dormiva. Sonnambulismo? Non aveva mai camminato nel sonno, perché avrebbe dovuto iniziare ora? E perché avrebbe dovuto fare qualcosa di simile? Ok, sul piano psicologico non era totalmente a posto da anni, ma questo che senso aveva? Rimase lì un po' senza riuscire a venirne a capo.
Doveva essere ora di colazione ormai. Si era svegliato poco prima delle cinque, quindi ora saranno state le sei più o meno. Aprì gli occhi e si girò. Si guardò intorno perplesso e poi spalancò la bocca.
- Come cazzo... - il suo bastone era di nuovo appoggiato sullo stesso maledetto scaffale di prima.








Salve! Scusate tutto questo parlare del bastone di John, ma mi sentivo ispirata. Forse pubblico anche qualcos'altro oggi. Bye!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


- Tu hai qualcosa che non va in questo periodo - John alzò lo sguardo dalla birra di fronte a lui. Di fianco a lui, Greg Lestrade lo fissava preoccupato. John era stato strano e sembrava più stanco del solito. Non che Greg fosse proprio alla grande; intorno agli occhi aveva cerchi violacei e si appoggiava al bancone del pub quasi non ce la facesse a stare dritto da solo. In quel periodo il lavoro lo stava praticamente uccidendo.
- Sto bene -
- Non è vero - John sospirò.
- Hai ragione. È che... Credo di stare impazzendo - Greg lo fissò perplesso.
- Come? -
- Lo so, è strano a dirsi ma in queste due settimane ho avuto la sensazione che qualcuno mi spiasse, e... - "e le mie cose si spostano senza che nulla le muova" - Niente. Lascia stare - John deglutì. Il suo sguardo vagò sulle persone nel pub. Gente allegra, che rideva e scherzava, con amici o fidanzati o gente che avevano conosciuto in quel momento. Tutti tranne John e Lestrade.
- Per me stai esagerando. Sarà solo il lavoro - John annuì alle parole dell'ispettore.
- Può essere - bevvero le loro birre in silenzio. Anche loro spesso erano lì e ridevano a volte, forse non per davvero ma sembravano rilassati. Non stasera.
- Allora... Ci vediamo - disse John.
- Già. Alla prossima - confermò Greg. John prese il suo bastone, pagò il conto e uscì. Non prese un taxi, camminò fino a casa ignorando le fitte alla gamba. Dopo un po' si voltò. Ancora. Ancora quella insopportabile sensazione di essere seguito da qualcuno. Si voltò e continuò a camminare.
La casa era in ordine. Buono, se non lo fosse stata non si sarebbe fermato a rimettere tutto a posto. Da due settimane ogni mattina si svegliava e trovava la casa in un casino totale. Oggi per una volta era a posto. Del resto, oggi non avrebbe messo in ordine per nulla al mondo.
Salì le scale e andò in camera sua. Sospirò. Non vedeva bene la stanza. Imputabile sia alla poca luce che al fatto che si sentiva gli occhi lucidi. Deglutì a fatica. Non doveva piangere. Se avesse pianto sarebbe crollato.
Si mise il pigiama e si lasciò cadere sul letto. La sveglia segnava le dieci e quarantanove. John sospirò. Oggi erano passati ufficialmente tre anni dalla Caduta. Tre anni. Tre fottuti anni da quando Lui era... Era morto. Tutte le volte che John anche solo pensava a questo sentiva una fitta al petto. Si infilò sotto alle coperte, pregando di addormentarsi presto. Aspettò per più di un'ora che il sonno arrivasse. Niente. Guardò la sveglia. Mezzanotte.
Proprio in quel momento sentì qualcosa di sotto. Rumori leggeri. Scattò in piedi. Scese le scale con cautela, senza fare il minimo suono, bastone dimenticato da qualche parte in camera sua. Stavolta l'avrebbe capito cos'era, poteva giurarci. Si fermò appena fuori dal salotto.
Accese la luce ed entrò nella stanza. Nella stanza c'era un uomo che lo fissava come se avesse saputo esattamente ciò che John avrebbe fatto. Il dottore sentì il sangue che se andava dal suo volto. Iniziò a tremare.
- Tu?! -
- Sì, sono io. Credo dovresti sederti, o rischi di svenire - disse l'altro in tono vagamente divertito.
- Non è possibile... Mio Dio... -
- Non sono Dio, John. Sono solo io, per quanto intelligente - sbuffò Sherlock con un mezzo sorriso.







Ok, secondo capitoletto corto del giorno. Piaciuto? Ho cercato di fare in modo che Sherlock facesse una comparsa teatrale o qualcosa di vagamente simile, spero un minimo di effetto sia venuto. Per oggi dovrei avere smesso, ma non si sa mai, mi sento molto ispirata. Bye!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


John si diede un pizzicotto su una gamba. Era un sogno, non era possibile che Lui... Che Sherlock fosse davvero lì, in piedi, che lo fissava sorridendo non era possibile...
- E invece è possibile, a quanto pare - disse Sherlock. Dannazione, quella voce!
- Non capisco... È... Io ti ho visto cadere, Dio mio, tu eri morto! Ti ho sentito il polso e non ne avevi! - John si sedette barcollando sul divano, senza levare gli occhi dall'uomo davanti a sé - Sto impazzendo. Non c'è altra soluzione, sono impazzito - mormorò passandosi le mani tra i capelli.
- No, sei quasi sano a dire il vero. Io sono qua John, forse non nella maniera che tu ti... -
- Tu sei qua davvero... - Sherlock sbuffò.
- Certo che sono qua davvero John, credi di avere le allucinazioni per caso? -
- Tu... Tu eri in giro... Tutto questo tempo... Non posso crederci... Tu ti sei salvato e finora sei stato via, vero? È così Sherlock, non è vero? - mormorò John incredulo. Una parte di lui continuava a ripetere che tutto questo non era vero, che lui aveva visto Sherlock in un lago di sangue e che gli aveva controllato il polso e che Sherlock era stato dichiarato morto e non poteva, non poteva essere lì... Ma un'altra parte di sé voleva disperatamente che Sherlock fosse lì davanti davvero e porca puttana tutto ciò non aveva senso ma lui doveva essere lì davanti...
- Capisco che ci debba essere una bella confusione nel tuo cervello, lasciami spiegare. Diciamo che non è proprio esattamente come hai detto tu... -
- Non sto sognando -
- No John, e... -
- Tu sei vivo e finora hai fatto finta di nulla -
- Non è esattamente così, vedi... -
- E io ho pensato che tu fossi morto e ti ho pianto tutto questo tempo e tu eri in giro e non hai detto nulla -
- John se mi lasci parlare... -
- HAI FINTO DI ESSERE MORTO! - John scattò in piedi. Sentiva una furia cieca che gli scorreva dentro - TU CI HAI MENTITO, MI HAI MENTITO PER TRE FOTTUTI ANNI E ORA TORNI DALLA MORTE COME SE NIENTE FOSSE SUCCESSO! IN TRE ANNI NON HAI MAI DETTO A NESSUNO CHE TU ERI VIVO E CHE STAVI BENE! - a John non importava se avrebbe svegliato Mrs Hudson o il resto della strada con le sue urla. Non gli importava di quella parte più razionale di sé che gli diceva che questo era frutto della sua immaginazione. Voleva solo sfogarsi.
- John, ci sono delle cose che... -
- Che cose Sherlock? Che devi fare di queste "cose"? - sibilò John sentendo vagamente i muscoli delle mani contrarsi a pugno.
- Devo spiegarti John, non è come credi, vedi.. -
- No? È curioso quante cose non siano come credo, eh? Sai una cosa Sherlock? Va al fottuto inferno! - con questo, John si lanciò in avanti a sferrare un pugno a Sherlock. L'unica cosa in cui la sua mente era focalizzata al momento era il desiderio di sentire il setto nasale di quell'uomo che si fracassava contro alle sue nocche. Con sua sorpresa, Sherlock non si mosse. E con sua anche maggiore sorpresa non lo colpì, ma semplicemente sentì una specie di doccia fredda e cadde in avanti. Si voltò stupefatto.
- Hai intenzione di ascoltarmi? - chiese Sherlock innervosito, girandosi verso John.
- Hai del sangue sulla fronte - mormorò John fissando la tempia di Sherlock. Era certo che quella macchia rossa e lucida non c'era dieci secondi prima.
- Ah, hai ragione - John sobbalzò. Il sangue sulla fronte di Sherlock era svanito nel nulla. Il dottore si alzò e andò verso Sherlock. Provò ad allungare una mano verso il suo petto. Quando arrivò a contatto, sentì freddo alle dita e la sua mano semplicemente passò attraverso il consulente investigativo. John si ritrasse di scattò.
- Sto rivalutando l'idea di essere impazzito -
- I pazzi in genere non negano le loro allucinazioni, le accettano come realtà - commentò Sherlock. John lo fissò. Era abbastanza certo che i suoi occhi non si potessero spalancare più di così.
- Questo non è possibile - ripeté.
- L'hai già detto. E io ti ho detto più di una volta che ti devo spiegare alcune cose. Intanto è vero, sono stato in giro tutto questo tempo senza dirti nulla, ma avevo i miei motivi. L'unica a sapere di me era Molly per una lunga serie di ragioni. Ora arriviamo al punto in cui tu sei più in errore, anche se posso concederti di essere piuttosto confuso o incredulo. Per quanto la mia mente razionale fosse all'inizio estremamente contraria alla possibilità di ciò, tecnicamente io sono morto John, e sono quello che comunemente viene detto fantasma, o spettro, o spirito, o diversi altri sinonimi di queste parole - John batté le palpebre. Doveva essere fuori completamente per immaginare Sherlock dirgli di essere un fantasma. Eppure sentiva che questa storia era vera. Se lo sentiva dentro.
- Q-quindi tu mi stai dicendo che tu sei un fantasma? - domandò John.
- Lo sai che odio ripetermi - John si sedette su una poltrona. Si sentiva strano.
- E... E ora? Come mai sei tornato ora? - mormorò. Doveva essere pazzo per dare corda alla sua allucinazione, ma del resto contraddire i capricci di un pazzo non è mai consigliabile.
- Vedi io ho passato i precedenti tre anni a distruggere ciò che rimaneva dell'impero di Moriarty. Per quanto l'impossibilità di morire ancora sia cosa comoda, e quanto a ciò che posso fare come spettro te lo spiegherò prima o poi, la mia condizione ha anche degli svantaggi. Ad ogni modo, ho quasi finito e visto che gli ultimi rimasti sono qua a Londra ho pensato che era ora di rifarmi vedere. Inoltre il fatto di avermi già reincontrato potrà aiutarti ad abituarti a me per il dopo - spiegò Sherlock.
- Il dopo cosa? -
- Quando avrò finito con gli uomini di Moriarty credo che tornerò ad abitare qua, o per meglio dire, verrò ad infestare la casa, e a volte temo che mi annoierò un po' John. E sai, non so come farò a far passare la noia - disse Sherlock. John annuì.
- Ok. Sto parlando con il fantasma del mio migliore amico che mi ha appena detto che verrà ad infestare casa mia. Va bene - John deglutì - Posso farti una domanda? - Sherlock alzò un sopracciglio.
- Mi pare una frase inutile -
- Perché prima avevi del sangue in fronte? -
- Ah, quello. Vedi John, pare che quando un fantasma si arrabbi o si innervosisca o comunque sia di cattivo umore appaiono le ferite che l'hanno ucciso, sangue compreso. Se poi fossi in un momento di estrema rabbia ci potrebbero essere altri cambiamenti, ma tu non vuoi davvero vederli. Fortunatamente sto imparando come tenere sotto controllo le macchie - disse Sherlock pazientemente.
- Ottimo. E un'altra cosa. Perché mi allontanavi il bastone e mettevi sottosopra la casa? -
- Tu non hai bisogno del bastone John - sospirò Sherlock alzando gli occhi al cielo.
- E quanto al resto della casa? -
- Mi annoiavo - John annuì. Fissò Sherlock dritto negli occhi. Erano dello stesso colore che avevano in vita. E per un qualche motivo John iniziò a pensare sul serio che forse questa storia non era così assurda.
- Non so se essere felice perché sei qua o triste perché sei morto - disse John.
- Non sono bravo con le emozioni, lo sai - rispose Sherlock. Lui e John si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. A John sembrava che la sua risata fosse leggermente isterica. Non che si potesse pretendere granché vista la situazione e visto che era una delle rare risate reali che aveva fatto in tre anni.
- Oddio. Cos'ho fatto per meritare questo - mormorò John massaggiandosi le tempie - Senti, non sono ancora del tutto sicuro del fatto che tu sia qualcosa di reale, comunque se lo sei... Sono contento che tu sia qua. Però avresti potuto dirmi qualcosa - John fissò Sherlock accusatore.
- Non ne ho avuto modo. Se mi fossi rivelato subito dopo la mia morte la tua mente sarebbe crollata, e fino ad ora ho dovuto girare per il mondo senza tornare qua molto spesso - sospirò Sherlock. John annuì. C'era qualcos'altro che non gli era chiaro di questa storia (a parte  come fosse possibile tutto ciò), ma non riusciva a focalizzarlo. Oh, certo.
- Prima hai detto che solo Molly sapeva di te. Come... - 
- È stata lei a suggerirmi di diventare un fantasma dopo la morte. Ammetto che ero scettico all'inizio, ma la soluzione si è rivelata decisamente pratica. È un'anatomopatologa John - sospirò Sherlock alla faccia confusa di John - Ne ha viste di persone morte fluttuare mentre lei gli faceva l'autopsia. E sì, ho assistito alla mia autopsia -
- Che bella esperienza - commentò John - Senza offesa ma non ho ancora del tutto accettato tutto questo -
- Immagino. Ti lascio del tempo per pensare - rispose Sherlock. Sotto lo sguardo sorpreso di John, la sagoma del... Dello spettro svanì fino a diventare invisibile e scomparve. John rimase a fissare quel punto del salotto per alcuni minuti. Sherlock. Morto. Fantasma. John aveva il mal di testa ed era abbastanza sicuro che il suo cervello fosse andato in tilt.







Salve gente! Spero vi piaccia la ricomparsa di Sherlock come fantasma. Lo so che in certi punti sembra un pochino OOC, ma è il meglio che mi è riuscito (sono messa male, eh?) Mi lasciate una recensione per piacere? Bye!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quando John si svegliò, non aveva nessuna voglia di aprire gli occhi. Aveva fatto un sogno assurdo la notte prima, e per quanto strano fosse stato gli era abbastanza piaciuto. Si sentiva così riposato stamattina, niente incubi per una notte, e quasi quasi sarebbe rimasto lì a letto un altro po'...
- Jawn, lo so che sei sveglio - John spalancò gli occhi per vedere la sagoma semi-trasparente di Sherlock che fluttuava mezzo metro sopra di lui. John fece quasi un salto all'indietro, andando a picchiare la testa contro al muro.
- Porc... Non... Non ho sognato tutto quindi? - chiese John massaggiandosi la nuca.
- No -
- Devo considerarti un frutto della mia immaginazione? -
- No -
- Se tu fossi un'allucinazione e io te lo chiedessi mi risponderesti che sei reale? -
- Direi di sì - John sospirò e si passò le mani tra i capelli. Se non gli veniva una crisi di nervi ora poteva resistere a tutto.
- Io... Senti, non ho ancora bene accettato... Questo, ma ecco - John aggrottò le sopracciglia - Aspetta, per quanto tempo mi hai osservato mentre dormivo? -
- Sedici minuti e cinquantatré secondi - rispose Sherlock, come se avere un fantasma che ti guarda mentre dormi sia una cosa normale. John si tastò la fronte.
- Eppure non ho la febbre... - mormorò. Sherlock alzò gli occhi al cielo.
- Devi convincerti che io non sono un frutto della tua fantasia - sospirò.
- Non ne ho le prove - ribatté John.
- Dì un po', ti dà fastidio che io sia ancora qua o che questo sia per te molto improbabile? -
- Sherlock, ho smesso di credere nei fantasmi a sette anni e tu mi hai sempre ripetuto che tutto ha una spiegazione razionale. Non posso parlare con la tua sagoma trasparente che svolazza sopra di me senza farmi domande sulla mia salute mentale! - esclamò John.
- Se chiedi a Molly ti dirà che io esisto -
- Non posso chiamarla per chiederle se sei davvero un fantasma! -
- Anche Mrs Hudson sa di me - disse Sherlock serafico. John lo fissò.
- Eh? -
- Avevo previsto che ieri avresti avuto una reazione non tranquillissima e così l'ho avvertita di non spaventarsi. Ha preso la cosa estremamente bene devo dire - John si massaggiò l'attaccatura del naso. O la sua immaginazione correva proprio a briglia sciolta o lui stava davvero discutendo con uno spettro.
- Vado a fare colazione - borbottò alzandosi. La sua gamba non faceva troppo male oggi. E grazie al cielo Sherlock stanotte non era stato così annoiato da ribaltare la casa. No, non era possibile che fosse davvero Sherlock e che fosse un fantasma, doveva esserci un'altra spiegazione... Schizofrenia, magari...
- Buongiorno caro! Vi siete chiariti voi due ieri sera? - chiese Mrs Hudson entrando mentre John spalmava la marmellata.
- Certo Mrs Hudson - rispose Sherlock apparendo in quel momento. John per poco non fece cadere tutto quello che aveva in mano vedendolo che attraversava un muro. In più ora non era più semitrasparente ma aveva un'apparenza molto "solida", il che non faceva che aumentare la stranezza della situazione.
- Sono davvero contenta per voi ragazzi. Ho fatto dei biscotti, ve li lascio qua - cinguettò l'anziana donna uscendo dalla stanza dopo aver poggiato un vassoio di biscotti ancora caldi. John rimase a fissare la porta come un idiota.
- Ora mi credi? - chiese Sherlock con un ghigno.
- Va bene - sussurrò John battendo le palpebre e realizzando che si era sporcato di marmellata. Il mondo stava ufficialmente impazzendo.
- Al momento sembri un incredibile idiota lo sai Jawn? - chiese Sherlock.
- Sempre gentile tu - borbottò John pulendosi le mani - Vuoi mangiare qualcosa? - Sherlock rise.
- E come farei esattamente? - John si bloccò.
- Vero - 
- Ad ogni modo passando attraverso al cibo posso avvertirne il sapore. Non chiaramente, ma è qualcosa - continuò Sherlock. Un biscotto prese a levitare davanti a lui, dirigendosi verso la sua bocca. Sherlock la aprì e lasciò che il dolce gli passasse attraverso, prima di lasciarlo levitare al suo posto. John era sicuro che con la frequenza con cui finiva a bocca aperta in questi giorni si sarebbe slogato qualcosa.
- Buono? - domandò.
- Non è male. Ad ogni modo ti informo che non dovrai più preoccuparti della frequenza con cui mangio - rispose Sherlock ghignando di fronte all'espressione stupefatta di John - Ah, Jawn, se vuoi andare a lavoro in orario dovrai darti una mossa - John si riscosse e guardò l'orologio. Merda, ritardo mostruoso. Il dottore ingoiò un biscotto e si fiondò in doccia. Sotto l'acqua cercò di convincere se stesso che in fondo non doveva prendersela così tanto, in fondo è perfettamente normale che il tuo migliore amico torni dalla morte con la capacità di passare attraverso i muri.
- Jawn - John fece un salto vedendo la testa di Sherlock spuntare dalla parete della doccia.
- Sherlock! Sto facendo la doccia! - esclamò John coprendosi alla meno peggio le sue parti private.
- Lo so, ma puoi ascoltarmi mentre lo fai. Volevo dirti che comunque dovrò finire di dare la caccia ad uomini di Moriarty qua in giro, come sai, e per certi versi il tuo aiuto mi risulterebbe comodo. Ci riuscirei anche da solo, credo, ma avrei meno problemi con qualcuno a darmi una mano sul piano prettamente fisico. Se non te la senti però puoi rimanere a casa, del resto io non correrei rischi di alcun tipo ma per te potrebbe essere pericoloso - "pericoloso" detto con quel tono e in quel contesto semantico mandò i brividi a John. Dannato genio. Non era tornato da dodici ore e già iniziava coi suoi giochetti.
- Sei un bastardo manipolatore - sibilò John chiudendo il getto d'acqua.
- Presumo questo sia un "sì, ti aiuterò" o sbaglio, Jawn? - chiese Sherlock.
- Lo sai che è un sì - ringhiò John - Ti spiace almeno girarti mentre mi infilo le mutande? - Sherlock sospirò e si voltò. John si vestì e prese le sue cose il più in fretta possibile. Psicosomatico un cazzo, correre e senza bastone lo stava uccidendo. E dove era finito il dannato cell... Il suo telefono gli volò di fronte facendogli fare un salto e si fermò a dieci centimetri dal suo naso.
- Prego - disse Sherlock - Il kit che devi portare alla clinica è davanti alla porta -
- G-grazie - John si catapultò fuori e solo in taxi notò quanto sospetto fosse che Sherlock si preoccupasse dell'orario in cui arrivava a lavoro.







Ciao! Spero che vi piaccia Sherlock-fantasma e il suo aiutare John ad arrivare in orario alla clinica non è un cambiamento caratteriale o cose simili, è semplicemente qualcosa su cui ha ragionato e ha un motivo per fare. Grazie mille a May Des che ha recensito. Bye!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


- Come va oggi John? - chiese Sarah vedendolo arrivare.
- Abbastanza bene, grazie - rispose lui andando nel suo studio. Sapeva che la domanda era sia perché stava camminando senza bastone, sia perché ieri erano stati i tre anni dalla morte di Sherlock, e dopo i precedenti anniversari John era stato intrattabile per una settimana. John sorrise tra sé.
Fortunatamente non aveva pazienti prima delle 9.20, quindi aveva ancora un po' di tempo per mettere a posto le sue cose e prendersela comoda. Aveva appena finito di sistemare tutto quando sentì la sensazione tristemente familiare di passare attraverso una doccia fredda. Sbarrò gli occhi. No, eh. No, non poteva...
- Certo che sono qua Jawn - disse Sherlock.
- Che diamine ci fai qua? Tu non puoi seguirmi a lavoro! - sibilò John cercando di capire da dove arrivasse la voce e se rischiava di essere visto/sentito parlare con un fantasma e preso per matto.
- Sono invisibile al momento -
- Anche questo puoi fare, ottimo. Ora però dimmi che ci fai qua -
- Uno dei miei sospettati è un tuo paziente, probabilmente mandato apposta per controllarti - mormorò Sherlock.
- Stai scherzando -
- Non scherzo mai. Tu non fare caso a me, io starò qua e fluttuerò buono buono e tu farai il tuo lavoro -
- Vorrei tanto che tu fossi solido, sai? Così potrei prenderti a pugni - sibilò John, sentendosi un po' un idiota a parlare col nulla.
- Non lo faresti - rispose Sherlock. John avrebbe voluto rispondergli, ma in quel momento entrò il primo paziente. Era un uomo sulla trentina, dall'aria nervosa, corti capelli castani.
- Buongiorno dottore -
- Salve Thompson, che cosa avete? - chiese John. Secondo John Thompson era il tipico esempio di persona che vede disgrazie ovunque; veniva praticamente una volta alla settimana per cose come semplici emicranie o cose simili.
- Ecco, mi sento un dolore acuto allo stomaco, non saprei perché... -
- Si stenda - la visita durò circa un quarto d'ora durante il quale John non diagnosticò nessun reale problema di salute. Alla fine l'uomo se ne andò e John cercò di immaginare tra quanti giorni quell'uomo sarebbe tornato.
- Direi cinque o sei al massimo - disse una voce da sopra la sua spalla - E comunque fingeva. È gay ed ha una cotta per te, vive ancora con sua madre e pensa che se lei scoprisse la sua preferenza per gli uomini lo butterebbe fuori di casa - John non sapeva se essere più turbato dal fatto che Sherlock aveva assistito alla visita di un suo paziente o che questa cosa sapeva molto di persecuzione spiritica o cose del genere. O dalle deduzioni di Sherlock. Ad ogni modo non fece in tempo a dire nulla perché arrivò il prossimo paziente, una donna sulla ventina e con un fisico che John reputava decisamente non male. Una banale influenza, nulla di davvero preoccupante.
- Orfana di madre, vive in un appartamento con due amiche, si è appena lasciata col fidanzato e l'anno scorso si è fatta delle vacanze a Dublino -
- Puoi smetterla di guardare mentre visito i miei pazienti? -
- No - terzo paziente: un bambino di dieci anni con un polso rotto insieme al padre. Il bambino diceva di esserselo rotto cadendo in bici.
- Mente, in realtà è caduto da una sedia mentre cercava di arrivare al ripiano alto dello scaffale, quello dove ci sono i dolci, cosa che suo padre gli aveva proibito severamente. Quell'uomo ha una moglie adultera, non sarà per quella donna una grande fatica nasconderlo ad uomo così stupido - commentò Sherlock. Dalla direzione da cui arrivava il suono John poteva stimare che Sherlock si trovasse più o meno fluttuando sul soffitto.
- Non hai nient altro da fare? Non so, fare un po' di casino da qualche parte? - sibilò John.
- Non vuoi sapere quando un cecchino professionista entrerà nel tuo studio? - chiese la voce/Sherlock serafico. John sospirò.
- Ti odio -
- Non è vero - John odiava quando Sherlock lo smentiva a questa maniera. Fortunatamente in quell'istante entrò un quarantenne allampanato che risultava essere il signor Marc Harvy.
- Prego, si sieda - disse John educatamente. L'uomo aveva un gran mal di testa, nulla di serio. Un'aspirina e sarebbe passato tutto.
Appena l'uomo se ne fu andato John si guardò in giro (sentendosi un pochino idiota).
- Beh? Niente deduzioni? - commentò John.
- Figlio unico, ha una passione feticista per le cravatte di seta, ha appena visto un cartone per i bambini al cinema. Oh, e di professione fa il cecchino per un tizio morto che si chiama, vediamo, ah già, Jim Moriarty - sussurrò Sherlock a pochi centimetri da John con voce quasi seducente. Il dottore sobbalzò.
- Scherzi? -
- Cosa ti ho detto sul fatto che non scherzo mai? - John deglutì.
- Tu porti sfiga Sherlock -
- E tu ne sei felice - rispose il fantasma con un tono divertito.
- Ora non posso farci niente, devo lavorare -
- Non hai clienti per il resto della mattinata e il primo oggi pomeriggio è alle 14.40 quindi puoi venire ora - disse Sherlock.
- Non puoi costringermi a farlo ora - sospirò John anche se in fondo sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
- Oh, sì che posso - davanti a John Sherlock iniziò a prendere forma. John sospirò e si guardò in giro.
- Ti vedranno - 
- Qua non c'è nessuno oltre a noi e le telecamere non mi registrano se non divento abbastanza solido e mai con chiarezza - spiegò Sherlock - E poi vedi, non mi vedranno lo stesso -
- Non capisco co... - Sherlock sembrò gettarsi in avanti verso John. John trattenne il respiro preparandosi al freddo che sapeva avrebbe sentito. Ma il freddo non lo attraversò. Una sensazione di gelo assoluto si piantò all'altezza del suo petto. Gli si mozzò il fiato e gli si propagarono brividi per tutto il corpo. Si sentì debole e dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Sentiva una sorta di intorpidimento mentale e fisico. Non riuscendo a combattere le sensazioni, John vi si abbandonò. E tutto diventò nero.
Quando John si svegliò, si sentiva strano. Aveva freddo. Provò a muoversi, ma non si sentiva gli arti. Si sentiva debole. Mentalmente. Era strano.
"È inutile Jawn. Non puoi fare nulla" disse una voce profonda troppo conosciuta. La sentiva chiara e forte, tutto intorno. John provò a parlare, ma non ci riuscì. "Che cazzo mi succede?" "Nulla Jawn. Ti sto possedendo. Non ti sforzare, la tua mente non è abituata a questi esercizi, rischi di svenire. Non che a me cambierebbe molto, ma preferisco che tu ci sia. Lo so che ti senti strano, ma la gente poi si abitua" disse la voce di Sherlock.
"Tu... Tu cosa stai..." pensò John stupefatto.
"Non ti agitare Jawn. Appena ho finito ti ridò il tuo corpo" disse Sherlock. Con a dir poco shock, John sentì il suo corpo che si alzava e camminava. Ma non era lui a muoverlo. Cercò di riacquistare controllo delle sue azioni. Poi si sentì come se la sua testa si spegnesse e risprofondò nel nero.







Giorno. Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, personalmente dare a Sherlock la capacità di possedere la gente era un'idea troppo interessante. Bye!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


In fin dei conti, a John non era chiarissimo cosa fosse successo mentre Sherlock lo possedeva. Continuava a scivolare dentro e fuori quella specie di nero che assomigliava alla perdita di sensi ma non lo era del tutto. Oh, e aveva freddo. Gelava, a dir poco.
Per quello che capì, Sherlock si alzò (Dio, era Sherlock ma quello era il proprio corpo) ed uscì dallo studio. Era un'esperienza allucinante, avere il proprio corpo che si muoveva ma non essere tu a controllarlo.
John ebbe un attimo di vuoto e poi si svegliò correndo... Vedendo... Con Sherlock che correva in un corridoio della clinica.
- John! - John sentì qualcuno che lo chiamava, ma lui non poteva rispondere e di certo non lo fece Sherlock. Poi ci fu un altro momento di buio e ora Sherlock era in strada correndo con ancora il camice addosso. Davanti c'era Marc Harvy. L'uomo si voltò, e vedendo Sherlock... John... Vedendoli prese a correre.
"Sherlock! Dove diavolo stai andando!"
"Lo vedi dove stiamo andando, Jawn. Stiamo seguendo quel cecchino. Ora sta buono e lasciami pensare"
"A cosa?!" "Non preoccuparti" John arrivò fino al punto in cui giravano in un vicolo. Nero di nuovo.
"Dimmi che non è vero"
"Oh, sì invece"
"Ti odio" disse Jihn quando, svegliandosi, notò la pistola che aveva puntata in mezzo agli occhi. Harvy li fissava con astio... Cioè, fissava John, che però era Sherlock, ma... Al diavolo.
- Interessante Dottor Watson, come lei mi abbia scoperto e seguito - ringhiò Harvy.
- Perché continui a sorvegliarmi anche se sia Sherlock Holmes che Jim Moriarty sono morti? - chiese Sherlock. Se John avesse avuto un corpo da controllare al momento sarebbe sobbalzato nel sentire la propria voce usata tecnicamente da un altro.
- Soldi - rispose il cecchino con un sospiro ironico. Il metallo premette contro la fronte di John.
- Capisco. Devi avere una vita davvero banale per seguire così gli ordini di un morto per soldi - disse Sherlock. Harvy rise. John si odiò quando si sentì sprofondare di nuovo nel buio.
E quando si svegliò per l'ennesima volta notò con piacevole sorpresa che in qualche maniera Sherlock aveva disarmato Harvy e gli aveva piantato un proiettile nel cranio. Come aveva fatto a perdersi proprio il momento della lotta era per lui un mistero.
"Ti ridò il tuo corpo" pensò Sherlock. John sentì tutti i nervi del suo corpo bruciare e d'un tratto gli tornò tutta la sensibilità e il controllo del suo corpo. Purtroppo. Aveva la nausea, il mal di testa e gli dolevano muscoli che non sapeva di avere (ed essendo lui un medico, la cosa era quantomeno preoccupante). Si accasciò per terra.
- Voglio morire - gemette John.
- Non subito dopo che ho lottato per tenere il tuo corpo in vita - disse Sherlock sopra di lui. Lo spettro gli passò una mano attraverso. Il gelo di Sherlock era un sollievo rispetto al dolore bruciante che sentiva.
- Cazzo è successo? - gemette John.
- Ti ho posseduto, ho ammazzato uno che voleva farti fuori e poi ti ho ridato il tuo corpo. So che stai male, ti passerà. La prossima volta sarà meglio -
- La prossima volta un cazzo - sibilò John cercando di rimettersi in piedi - Tu non farai un cosa del genere mai più, chiaro? Mai più -
- Nulla me lo impedisce Jawn -
- Fottiti -
- Non credo di potere - John si alzò barcollando. Dio buono, si sentiva un vero e proprio straccio. Il cecchino era sdraiato a terra con gli occhi sbarrati e la pistola era a un paio di metri da John.
- Sherlock, ho appena ucciso un uomo per colpa tua -
- Tu non hai fatto niente, sono stato io -
- Col mio corpo -
- Che io stavo possedendo -
- Ok, diciamo che abbiamo appena ucciso un uomo - sospirò John - La cosa mi mette decisamente nei guai, lo sai vero? -
- Tecnicamente era autodifesa - precisò Sherlock.
- Grande. Senti autodifesa o no io ora chiamo la polizia - sbuffò John. Appena tirò fuori il cellulare Sherlock glielo fece volare via - Sherlock ridammelo. Non so se hai capito ma sono molto nervoso in questo momento. Ringrazia che non posso prenderti a pugni e ridammi il fottuto telefono! - ringhiò John lanciando un'occhiataccia a Sherlock.
- Solo se chiami Mycroft -
- Eh? -
- Mio fratello nasconderà il fatto e tu non verrai indagato. Inventati una balla credibile perché lui non sa di me e non deve saperlo ancora per un bel po' di tempo - spiegò Sherlock. John annuì. Aveva ragione, Mycroft gli avrebbe risparmiato un bel po' di guai. Il telefono gli fluttuò in mano. Velocemente John trovò in rubrica il numero di Mycroft e lo chiamò.
- Sì John? - rispose la voce annoiata del maggiore dei due Holmes.
- Ho un problema - disse John, mentre Sherlock scompariva nel nulla.





Salve! Non mi convince molto questo capitolo, l'ho provato a rifare un paio di volte e continua a non venirmi. Ditemi voi che ve ne pare. Bye!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


- Ripetimi cos'è successo John per favore - chiese Mycroft seduto su una poltrona del 221b. John si mosse leggermente sulla sua. Mycroft era inquietante quando faceva così.
- Quell'uomo mi ha minacciato, così io gli sono corso dietro e quello mi ha puntato una pistola. Abbiamo lottato e gli ho sparato per errore, poi ti ho chiamato - disse John per la terza volta nel giro di un'ora e mezza.
- Ascoltami John - sospirò Mycroft - Non dubito che quell'uomo fosse un rischio per te. È in effetti risultato essere ricercato in dodici stati. Ma la tua storia fa acqua -
- Perché? -
- Intanto era addestrato. Senza offesa John, ma da tre anni fa tu hai perso un po' di massa muscolare e capacità atletiche in generale, non avevi molte probabilità di batterlo. Non ci sono segni di lotta né su di te né su di lui. Questi e altri piccoli segni come il tuo linguaggio corporeo mi dicono che stai mentendo. Non sei mai stato un buon bugiardo, lo sai vero? - spiegò Mycroft. John deglutì. Perché non poteva essere Sherlock l'unico genio osservatore di quella famiglia? John si guardò le mani. Va bene, doveva giocarsela.
- Senti Mycroft, mi spiace dirtelo ma non posso dirti tutto - disse John guardando l'altro negli occhi. L'espressione di Mycroft si indurì.
- Non posso aiutarla se lei non è sincero con me, Dottor Watson - mormorò. John notò il cambio di persona. Mycroft era irritato. Mycroft irritato può essere pericoloso. Il pensiero fu come un interruttore per portare la parte soldato incosciente di John a galla.
- Ne avevo il sospetto Mycroft. La cosa non cambia che io non ti possa dire niente - John si sdraiò meglio sullo schienale della poltrona.
- Le conviene dirmelo -
- Altrimenti? -
- Dottor Watson. Io non ce l'ho con lei. Lei è stato il migliore amico di mio fratello e ha sempre cercato di stare con lui nonostante il suo carattere intrattabile. Ho molti motivi per rispettarla, ma se lei si ostina a fare così mi vedrò costretto ad usare metodi più drastici per convincerla - John emise una specie di ringhio.
- Sono terrorizzato Mycroft - i due uomini si fissarono negli occhi con espressione omicida. Tra loro non correva proprio buon sangue in quel periodo. Anche se si comportavano educatamente e civilmente, entrambi sapevano che John non aveva perdonato a Mycroft di aver messo Sherlock a caccia di Moriarty portandolo alla morte e Mycroft non aveva perdonato a John di non essere riuscito ad impedire a Sherlock di saltare. La differenza era che John aveva passato anni a incolpare se stesso e ora anche se sapeva che Sherlock stava "bene" non si era ancora perdonato; mentre Mycroft tendeva a non attribuire molta colpa a se stesso.
- Cosa vogliamo fare Dottor Watson? Stare qua a fissarci male o trovare una maniera più o meno convenzionale perché lei mi dica la verità? - domandò Mycroft. Prima che John dicesse niente però un libro cadde misteriosamente da un ripiano e sfidando ogni legge fisica e di probabilità colpì con precisione una nuca a due metri dal mobile da cui era caduto. Mycroft emise un gemito e si voltò.
- Hai dei problemi in fisica delle particelle Mycroft? - chiese John divertito guardando il libro per terra.
- Che diamine... - il cellulare di Mycroft prese a suonare. L'uomo lo tirò fuori e aggrottò le sopracciglia guardando il messaggio. John si sporse un po' per vedere il numero e il contenuto. Non c'era. Vide invece una sequenza di lettere. "URFATSH"
- Bel numero - commentò John. Mycroft gli lanciò un'occhiataccia.
- Perdonami John, ma devo andare. Continueremo la conversazione un'altra volta - salutò educatamente Mycroft alzandosi e uscendo. Appena se ne fu andato John si guardò in giro.
- Lo so che eri tu -
- Chi altro avrebbe potuto essere? - chiese Sherlock diventando semi visibile sul divano - Tornerà a rompere ma per un po' sei salvo. Hai visto la sua faccia? -
- Certo. Ma cos'era quel messaggio? - chiese John. Sherlock sospirò.
- John, ho visto cadaveri con capacità cerebrali più rapide delle tue. "yoU aRe FAT by Sherlock Holmes" - spiegò Sherlock. John scoppiò a ridere come un idiota.







Ciao! Scusate per il ritardo ma ho piccoli problemi tra computer e internet e ho un po' di ritardo. Non prendetevela troppo per la litigata, avevo solo voglia di far tormentare Mycroft a Sherlock. Bye!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


- Sherlock sono a casa! - 
- Lo vedo che sei a casa John - sbuffò Sherlock. John non aveva ancora capito come potesse Sherlock sbuffare o semplicemente emettere suoni visto che tecnicamente non spostava aria. Gliel'avrebbe dovuto chiedere prima o poi, sperando che il suo amico non lo mandasse educatamente a quel paese. Era una cosa che Sherlock faceva a volte, ma solo se eri un suo buon amico. Altrimenti ti insultava senza preoccuparsi minimamente dell'educazione. Ad ogni modo, il fantasma era evidentemente di cattivo umore. Fluttuava a gambe incrociate ad un paio di metri sopra il divano e da quel che John poteva vedere aveva un paio di chiazze di sangue in fronte. John rabbrividì. Odiava quelle macchie. Gli ricordavano brutti momenti.
- Hai combinato qualcosa oggi? - chiese John mettendo giù la giacca.
- Mh -
- Cosa intendi con "mh"? - domandò John sentendosi bastardo e girandosi in modo da essere di fronte a Sherlock.
- Sei noioso Jawn. Ho dato la caccia a un paio di gente mentre tu eri a lavoro e visto che ne ho preso e spedito a miglior vita solo uno senza piste buone per gli altri sono tornato qua, è sufficiente come spiegazione? - Sherlock finì di parlare con un altro sbuffo e lasciando che l'area rossa sulla sua fronte aumentasse leggermente, giusto per far capire a John quanto fosse infastidito dalle sue domande. Non si notava che voleva essere lasciato in pace?
- Sherlock... - mormorò John sentendosi impallidire.
- Cosa? -
- Ti manca la spalla - sussurrò John indicando la spalla sinistra di Sherlock. Un pezzo era come scomparso, e c'era una sorta di leggerissima nebbiolina al posto della parte mancante. Dava quasi l'impressione che Sherlock si stesse... Sfilacciando, riducendosi a fumo. A questo si aggiungeva che la nebbiolina era rossastra, il che dava un orrendo effetto sangue.
- Lo so Jawn - rispose Sherlock senza cambiare espressione.
- E... Perché? - chiese John deglutendo. Sherlock roteò gli occhi.
- Perché sfortunatamente il mio corpo è sensibile al calore, e può eventualmente esserne danneggiato, quindi quando è scoppiato un incendio nel posto in cui mi trovavo oggi il fatto di avere delle fiamme nella spalla per molto tempo ne hanno fatto sparire un pezzo. Sì, fa male, sì, ricrescerà; e ora vorrei tanto poter pensare in pace grazie - sbuffò Sherlock come se John gli avesse fatto una qualche offesa personale. Il dottore lo chiamò un paio di volte ma lui non rispose. Alla fine John si tirò in piedi ed andò a farsi un tè. Si sentiva lo stomaco vagamente scombussolato.
Il resto della serata Sherlock lo passò a fingere che John fosse solo un pezzo dell'arredamento dotato della capacità di muoversi ed emettere suoni e a far volare libri per il salotto. John invece fece del suo meglio prima per tentare di farsi riconoscere da Sherlock lo status di essere umano, e poi visti gli scarsi risultati a ignorare il più possibile sangue e pezzi mancanti del suo amico. Infine decise di alzarsi e chiudersi in camera propria. Prima provò a scrivere qualcosa sul suo blog, poi decise di lasciar perdere e mettersi a letto.
L'informazione ricevuta precedentemente continuava a tornargli in testa. Sensibilità al calore, sensibilità al calore, sens... Dannazione. Andiamo, Sherlock era un fantasma, giusto? Un fantasma che passava attraverso agli oggetti e quindi non poteva venire ferito. No, poteva da qualcosa di molto caldo. John seppellì la faccia nel cuscino.
Ricresce, si disse, aspetta un po' e poi ricresce, l'ha detto anche lui no? Non ti devi preoccupare, non può succedergli nulla di davvero serio. Però... Non poteva far a meno di pensare al fatto che quindi esisteva effettivamente una maniera per danneggiare Sherlock, e anche decisamente banale. Bastava un fuoco e Sherlock perdeva pezzi. Diceva che ricrescevano, ma se invece della spalla ad essere colpito dal fuoco fosse stato il torso? John si immaginò la scena di Sherlock senza nient'altro che quella nebbiolina al posto del busto e per poco non gli venne un mancamento. Sarebbe successo qualcosa a Sherlock in quel caso? Naa, era già morto in fondo, i morti sono morti, non sono vivi quindi non possono rimanerci secchi due volte, no? È logico, i morti rimangono morti, a volte girano in giro ma non... Merda, merda, merda. John stava per avere una crisi isterica. Solo che non poteva accettare l'idea di perdere Sherlock per la seconda volta. In fondo al suo amico non poteva succedre nulla, no? Almeno sperava.
John ebbe diversi problemi nel dormire quella notte. Non era il tipo da non addormentarsi quando succedeva qualcosa. Era il tipo da avere incubi per un tempo variabile da un paio di settimane ad anni. John si svegliò con un urlo strozzato poco prima delle due dopo un incubo che aveva come soggetto Sherlock che cadeva dal Bart e a metà caduta si tramutava in nebbiolina rossa. I rumori di sotto erano finiti. Evidentemente Sherlock si era stufato di far volare cose per casa. 
- Non mi succederà niente - disse una voce sopra di lui. John quasi saltò per la sorpresa. Alzando lo sguardo, vide la testa di Sherlock che sbucava dal muro sopra alla testiera del letto.
- Mi hai fatto venire un infarto! - ansimò John.
- Lo escludo. Eri solo già agitato per quell'incubo su una mia possibile seconda morte - disse Sherlock.
- Come... -
- È banale, anche tu ci arriveresti in meno di un minuto. Non hai incubi così violenti da quando sono tornato, e l'unica cosa che avrebbe potuto scatenarli nuovamente è lo stato in cui è ridotta la mia spalla. Perciò direi che era uno di quelli che hanno come soggetto me, o meglio la mia morte, e non uno di quelli sulla guerra. Di sicuro hai compreso nel sogno l'immagine che l'ha scatenato, ovvero me che svanisco. Visto che una cosa simile non può accadere ad un essere umano in vita, il tuo sogno era di me che morivo un'altra volta - spiegò Sherlock. John annuì e si lasciò ricadere sdraiato sul letto.
- Dimmi che non ti succederà niente - mormorò John.
- Non posso prometterlo ma escludo che mi possa succedere qualcosa di davvero grave - rispose Sherlock con un sorriso sghembo.







Salve! Scusate il ritardo nel postare, speravo che avrei potuto farlo prima e che magari sarei anche riuscita a scrivere un capitolo di una lunghezza accettabile, invece... Vabbè, ormai è andata. Bye!

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