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di bbbgster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Do it fast. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Gamer number three ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Do it fast. ***


1 Do it fast

Do it fast.

 

 

 

Sono una donna normalissima, con discendenze scozzesi delle quali vado fiera.
Mio padre lo era, mentre mia madre aveva origini italiane, questo spiega il colore nocciola monotono dei miei occhi, i miei capelli rossi, le mie lentiggini e il colore chiarissimo della mia pelle.
Ho trentun anni e pensavo di aver già visto tutto nella mia vita o almeno quasi tutto, ma mi sbagliavo.
Eccome se mi sbagliavo.
Sono una donna normalissima e questa è la mia normalissima storia.

Era un giorno assolato anche se, qui a Londra, l’aria porta con sé sempre una brezza fresca che assomiglia più ad una carezza leggera che ad un vento freddo e gelido. Cosa che in realtà è.
Mi sistemai la sciarpa in modo che il mio viso ormai arrossato dall’aria fredda non congelasse del tutto.
Aprii il portone di casa mia salendo le scale con molta calma.
Ricordo che quel giorno ebbi una brutta sorpresa al lavoro che diede al mio umore una sfumatura di nero pece.
Entrai in casa a fatica, la serratura era scheggiata e quindi la mia chiave faticava ad entrare ogni volta che provavo a rincasare, dopo aver chiuso la porta dietro di me mi stesi sul divano abbandonando la borsa inerme sul pavimento.
Sospirai, ero veramente stanca e soprattutto ero stufa marcia del mio lavoro anche se sapevo che l’avrei abbandonato presto, come tutti i miei precedenti impieghi part-time.
Mentre mi stavo rialzando per togliermi le mie pesanti e invernali scarpe, sentii un fruscio vicino alla porta che mi inquietò un poco. Mi voltai verso il rumore e notai qualcosa di bianco e sottile scivolare sotto la porta, non avevo la più pallida idea che sarebbe stata proprio quella lettera a cambiarmi la vita.
Mi chinai prendendo la busta ai miei piedi ed aprendola con svogliatezza, pensando fosse pubblicità o altro di simile. L’interno della lettera era alquanto strano:

 

Salve, Alice Gillian.

Tu non sai chi sono io, ma il sottoscritto sa perfettamente chi sei tu.

Proprio oggi riceverai una visita, perché negare un buon tea ad una persona amica?
Sarà il suo ultimo desiderio, esaudiscilo.

Gioca la tua prima partita al meglio.

 

Il Mandante.

 

In realtà devo dire che non compresi appieno le parole di quello strano messaggio, anzi, non capii assolutamente nulla di quello che volesse dire.
L’unica cosa che mi incuriosii fu il timbro a fine pagina, la lettera M in stile gotico, un po’ inquietante ma non me ne curai affatto e buttai la lettera nella spazzatura con un gesto sbrigativo. Me ne dimenticai di li a poco.
Era pomeriggio e avevo un certo languorino, decisi di aprire la scatola di cioccolatini regalatami da mia madre. Ogni anno, nel giorno del mio compleanno, sia mio padre che 
mia madre venivano a trovarmi portando con sé questa deliziosa cioccolata italiana. In ogni Bacio Perugina (così si chiama il tipo di cioccolata) potevo trovare un bigliettino di colore bianco dove all’interno si facevano spazio alcune frasi di colore blu acceso come ad esempio: Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti; amare profondamente qualcuno ci rende coraggiosi, e nella stessa frase si poteva ammirare anche il nome dell’autore.
Non feci in tempo ad assaporare il dolce gusto del cacao perché qualcuno bussò alla porta mimando un motivetto simile alla canzone London Bridge is falling down. Pensai a quanto odiosa fosse quella canzone, non la sopportavo in alcun modo ma andai comunque a vedere chi fosse.
Guardai dallo spioncino della porta. Era Denise, una mia amica, se così si poteva definire una persona perennemente acida, con una voce stridula e per di più che non vedevo da anni.
Le serviranno dei soldi, pensai.
- Che vuoi Denise? –
Pronunciai il suo nome con tutto il ribrezzo di cui ero capace, le mie labbra si incresparono al solo pensiero di quella donna con quei capelli arruffati e quell’odore di frutta troppo dolce per il mio olfatto.
- Oh, ma insomma! – sbuffò sonoramente pestando i piedi a terra. – Non fai nemmeno entrare un’amica che vuole parlarti? –
La sua voce era ancora più acuta del solito e si poteva udire il tono da lecca piedi dal fondo della strada.
Sospirai cercando di calmarmi ma non funzionò molto dato che aprii di scatto la porta facendo spaventare la bionda davanti a me.
Mi salutò con un velato: - Chi si rivede… - per poi sedersi comodamente sul mio divano.
- Prego, entra pure. – la sbeffeggiai.
Era inquieta, lo notai dal movimento nervoso del suo piede e della gamba ma non ci diedi importanza.
- Ti dico subito che non ti darò altri soldi. – volevo essere chiara su questo.
Lei mi guardò in maniera stupita, come l’avessi offesa.
- Come puoi pensare questo di me? – la sua mano destra raggiunse il cuore in segno di mortificazione totale.
Quando eravamo al college eravamo entrambe nel corso di recitazione e aveva sempre avuto una predilezione per la tragedia, questo si ripercuoteva anche sulle sue azioni involontarie quotidiane.
- Forse perché mi devi ancora mille sterline da più di due mesi. Tu che dici? –
Il mio tono ironico era volontario ma Denise non sembrò notarlo.
- Parliamone davanti ad una tazza di tea, ti va? Voglio raccontarti una cosa, non ci crederai mai! –
Un altro aspetto che non sopportavo di Denise era la sua logorrea. Con questo non intendo dire che era pazza ma che parlava decisamente troppo.
Non le risposi e incominciai a riempire il bollitore di acqua per poi accendere una flebile fiamma che diventò subito più grande.
- Un tizio, qualche giorno fa, mi ha consegnato ben duemila sterline e mi dice: mille sono per la tua amica e il resto puoi tenertelo. – diceva, mimando una voce baritonale maschile rendendosi alquanto ridicola.
- Quale amica? Chiedo e lui mi risponde: Alice Gillian. –
Il bollitore incominciò a fischiare ma non ci feci molto caso perché la mia attenzione era del tutto concentrata sul racconto di Denise. Il mio cuore aveva incominciato una galoppata senza fine.
- Quindi io gli domando come fa a sapere il tuo nome e lui sai che mi risponde? –
La suspance mi stava uccidendo. Quel tizio sapeva il mio nome e io non conoscevo il suo, chi diavolo poteva essere?
- Devo farlo, altrimenti mi ucciderà. Detto questo l’uomo incomincia a correre. –
- Non ti è venuto nemmeno in mente di inseguirlo e chiedergli spiegazioni? –
Sapevo che Denise non brillava in quanto intelligenza ma speravo vivamente che avesse fatto qualcosa.
- Tu forse non hai capito come correva. Assomigliava ad un fulmine, mai vista una persona più veloce. –
Con la testa mi fece capire di togliere il bollitore dal fornello, in effetti stava fischiando da un po’ di tempo.
Versai l’acqua nelle tazze dopo aver messo in infusione il tea, le mani tremavano un poco e così qualche goccia d’acqua finì sul pavimento della sala.
- Comunque sia eccoli, questi sono tuoi. –
Appoggiò sul tavolino di legno intagliato mille sterline avvolte in una busta trasparente.
- Io non tocco quei soldi, non so nemmeno da dove arrivino e tu non avresti dovuto accettarli! –
Mi ritrovai ad urlare inconsapevolmente, ero allibita dal fatto che li avesse presi.
Questa donna è proprio un’idiota. Avevo tutto il diritto di pensarlo.
- Tranquilla Alice! Se fossero soldi sporchi sarei già in carcere o sepolta da qualche parte, non trovi? –
Come poteva essere così tranquilla in una situazione del genere?! Non riuscivo a spiegarmelo.
- Vuoi dello zucchero? –
Dovevo assolutamente cambiare discorso. La giornata era incominciata male e andando avanti in questo modo sarebbe finita anche peggio.
- Volentieri, lo sai che lo prendo dolcissimo il tea.–
Mi avvicinai alla credenza distogliendo lo sguardo da una Denise compiaciuta e sorridente. Presi la zuccheriera con calma per poi controllare che all’interno ci fosse rimasto ancora un briciolo di zucchero. La aprii e constatai con stupore che il contenitore traboccava.
Mi sembrava fosse finito e molto meno farinoso…
Dopo aver versato quattro cucchiaini di zucchero nel proprio tea Denise ricominciò a parlare. L’ascoltai ancora per qualche minuto finché ad un certo punto si bloccò, incominciando ad oscillare.
- Non mi sento bene. – disse.
Mi ricordo ancora il suo viso come fosse ieri.
Pupille dilatate come quelle di un gatto quando si fa sera, sguardo vacuo, vuoto e un colorito pallido come un cadavere. Questione di secondi prima che la povera donna incominciasse ad avere convulsioni vicino al mio tavolino. Ovviamente nel frattempo la tazza di porcellana contenente il tea scivolò dalla sua mano rompendosi in mille pezzi al contatto con il pavimento.
Dalla sua bocca uscì ogni rantolo udibile dall’orecchio umano e della saliva bianca e schiumosa. Non sapevo assolutamente cosa fare e ogni nozione di pronto soccorso era sparita dalla mia mente, solo una cosa feci d’istinto: mi avvicinai cautamente alla testa ma quando lo feci Denise giaceva nel mio salotto in una posizione contorta e rigida. Provai a scuoterla urlando il suo nome  ma non ottenni nulla in cambio, nessuna risposta, il panico stava prendendo il sopravvento. Nonostante questo mantenni una lucidità tale da portare due dita della mano destra sulla gola di Denise per sentirle il battito. Non riuscii a percepire nulla. Mi alzai di scatto come se qualcosa mi avesse colpita e ferita allo stesso tempo, cominciai a singhiozzare come una bambina al suo primo giorno di scuola lontano da casa. Ero terrorizzata e completamente persa.
Mentre mi stavo perdendo nei sentimentalismi sentii di nuovo quel suono.
Un’altra busta scivolò sotto la mia porta, questa volta le corsi incontro spalancandola immediatamente. Ancora nessuno alla porta. Dopo essermi resa conto di avere un cadavere all’interno di casa la richiusi subito facendola sbattere involontariamente producendo un rumore assordante, ma soprattutto chiusi a chiave. Le mie gambe cedettero e la mia schiena percorse l’intero percorso dalla maniglia della porta al pavimento in meno di tre secondi. Con la poca lucidità mentale che mi restava presi con le mani tremanti la busta e l’aprì con grande fatica, stavolta.

 

Salve, Alice Gillian,
questa sarà la tua prima partita:

Riuscirai a nascondere il cadavere di Denise Crane  prima che la polizia bussi alla tua porta?

 
P.S.: La polizia arriverà fra pochi minuti, è meglio che ti sbrighi.

Let the game begin, good luck.

 

Il Mandante

 

La rilessi tre volte prima di capire ma soprattutto concepire che Denise era morta.
Avevo il suo cadavere in casa mia e fra poco sarei stata accusata di omicidio, avrei avuto una condanna all’ ergastolo e avrei passato gli ultimi anni della mia vita in una cella ammuffita che puzzava di urina.
Non lo potevo permettere assolutamente, avrei trovato una soluzione e l’avrei trovata in fretta, non appena le mie gambe si fossero schiodate dal pavimento e i miei occhi avessero smesso di lacrimare.
Fino al quel giorno si avrebbe potuto dire che ero una smidollata che si faceva mettere i piedi in testa da chiunque, ma da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata.
Mi alzai lentamente spostandomi dall’uscio d’entrata al salotto fino ad arrivare vicino a Denise.
La guardai sconvolta non capendo perché fosse morta, ma poco importava.
L’unica cosa che contava in quel momento era che fra poco sarebbero arrivati degli agenti di polizia ed avrebbero trovato un cadavere pieno di bava appiccicosa sul pavimento di casa mia e la cosa era alquanto preoccupante.

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Gamer number three ***


cgd

Gamer number three.

 

 

Decisi di seguire il mio istinto e, dopo essermi asciugata le lacrime che continuavano a solcare il mio viso, andai in bagno con passo svelto e isterico per poi strappare la tendina da doccia di un colore fucsia accecante. La portai vicino al cadavere ormai freddo di Denise e la avvolsi con accuratezza, come fosse un neonato in fasce. Ripensando con lucidità mi chiedo perché stessi trattando così delicatamente e rispettosamente quel cadavere, nonostante Denise fosse stata per me un peso da portare sulle spalle.

Continuai il mio lavoro ricoprendo interamente la mia defunta conoscente e incominciando a trascinarla verso la porta  e in quel momento mi resi davvero conto di quanto quella donna pesasse. Prima dell’accaduto non mi ero mai posta il problema, d’altronde perché domandarselo?

Feci abbastanza fatica a raggiungere la porta d’ingresso e qualche goccia di sudore mi scese dalla fronte. Fortunatamente il corpo non era ancora diventato rigido, quindi potei tranquillamente trascinarlo dai piedi, così facendo mi facilitai il lavoro di spostamento. Arrivai alla porta e istintivamente portai la mano sulla maniglia. Ero decisa in tutti i modi di sbarazzarmi di quel cadavere, dovevo portarlo nel baule della mia macchina e poi scaricarlo da qualche parte. Non ero molto lucida in quel momento, quindi non mi venne in mente una soluzione più intelligente. Prima di aprire la porta buttai uno sguardo d’odio e ribrezzo a Denise. Anche da morta riusciva a rovinarmi la vita. La odiai con tutto il mio cuore per essere morta proprio in quell’istante a casa mia.

Stavo per fare forza sulla maniglia quando qualcosa, o per meglio dire qualcuno, mi fermò.

- Signorina Gillian è in casa?  

Mi pietrificai. Non riconoscevo quella voce, non l’avevo mai sentita prima d’ora. Chi poteva essere in un momento simile? Non riuscii a dire nemmeno una sillaba. La bocca si aprì ma si richiuse subito dopo, come fossi un pesce fuor d’acqua boccheggiante. Passarono alcuni secondi, forse minuti, poi l’uomo parlò ancora e la sua voce roca e baritonale tornò per svegliarmi da quella trance momentanea.

- Abbiamo ricevuto una chiamata anonima per grida moleste. Sta bene, signorina? –

Oh shit.

Avevo un cadavere ai miei piedi avvolto nella tendina da doccia e dei poliziotti sulla porta d’ingresso. La giornata stava proprio procedendo benissimo.

- C-certo agente. Tutto bene. Ero al telefono e devo avere alzato la voce… -

Dovevo spostare quel cadavere da li senza fare il minimo rumore.

Trascinai ancora Denise per i piedi facendo sbattere la testa sul gradino dell’ingresso, fortunatamente il poliziotto non sentii nulla. Ero arrivata quasi al salotto quando l’uomo dietro la porta parlò ancora.

- Potrebbe aprire la porta signorina? Vorrei farle alcune domande. –

Alcune domande? Dopo quelle ultime due parole il mio cuore incominciò a battere come se volesse uscire dalla cassa toracica. Istintivamente portai la mano destra sul petto stringendo il maglione che stavo indossando.

- Certo. Solo un attimo agente! –

Cercai di far risultare il mio tono di voce il più calmo possibile ma sapevo di non essere stata molto credibile. Continuai a trascinare il corpo esanime fino a raggiungere la porta del bagno che spalancai aiutandomi con il piede, senza fare alcun rumore. Misi all’interno della vasca Denise e feci un profondo respiro per calmarmi. Frettolosamente raggiunsi di nuovo la porta d’ingresso aprendola con uno scatto quasi isterico.

 - Scusi il ritardo agente… mi dica pure. –

L’uomo che mi trovai davanti era sulla quarantina, abbastanza alto e con un viso molto rassicurante.

Il mio cuore si calmò finché la voce baritonale non echeggiò nuovamente nella mia testa.

- Si figuri. Volevo solo controllare se stesse bene, ma a quanto pare non ha bisogno del mio aiuto. Giusto? –

Mi guardò e mi sorrise allegramente aspettandosi una risposta. Le nocche della mano, con la quale stavo afferrando la maniglia della porta, diventarono bianche e i nervi incominciarono ad affiorare sulla mia pelle.

- Oh, no. Come le ho detto molto probabilmente ho alzato un po’ la voce parlando al telefono… sa, ho appena litigato con una mia amica e credo di essermi adirata più del necessario. –

- Capisco. Non ho visto vicini attorno a casa sua… sa chi potrebbe aver fatto la chiamata? –

L’uomo guardò curioso l’interno di casa mia soffermandosi sul soggiorno visibile dalla sua posizione, nonostante fosse lontano.

La mano incominciò a tremare, stavo stringendo troppo la maniglia. Mi stavo facendo decisamente male ma almeno stavo allentando la tensione che alimentava il mio corpo sommerso da irregolari fremiti e nonostante questo il mio cervello elaborò una scusa piuttosto credibile.

- Dietro casa mia c’è una ragazza all’incirca della mia età… i muri sono confinanti quindi potrebbe essere stata lei... –

Certo, non sa nemmeno come ti chiami malgrado tu viva qui da quasi cinque anni ma… ok. Certamente.

Lo sguardo dell’agente si spostò dal mio soggiorno a me. Solo in quel momento notai il colore nero pece dei suoi occhi molto penetranti. Il mio cervello stava urlando, diceva di raccontargli tutto e che l’avessi fatto ora forse la pena sarebbe stata meno severa…

- Certo, certo. Beh, se non ha bisogno di me io andrei. Mi sono assicurato che lei stesse bene e d’altronde le chiamate anonime non sono mai sicure. Scusi il disturbo signorina Gillian, spero di non vederla tanto presto. –

L’uomo mi salutò sorridendo e una risata si estese per le scale che percorse per uscire dalla mia abitazione. Salutai a mia volta l’eccentrico poliziotto chiudendo la porta a chiave e tirando un lungo sospiro di sollievo.

Mi ricordai quello che avevo pensato poco prima: volevo davvero passare il resto della mia vita in carcere per un omicidio che non avevo commesso? Avanti, alla fine non era stata colpa mia se quell’idiota di Denise aveva deciso di morire poco dopo aver bevuto del tea. Pensai allo zucchero e che poco prima di porgerlo a Denise vi notai qualcosa di strano, volevo controllare ma avevo qualcosa di molto più urgente da sbrigare. Avrei controllato quando (e se) fossi tornata a casa.

Mi avvicinai piano verso il bagno come avessi paura di fare rumore e svegliare quel qualcuno o qualcosa all’interno della vasca da bagno. Passai davanti allo specchio e guardai attentamente la figura riflessa al suo interno. Quella persona, quell’orribile persona, ero io. Il senso di colpa che mi attanagliava le viscere si stava riflettendo anche sul mio aspetto fisico: la pelle era diventata pallida come un lenzuolo, le occhiaie si erano fatte più evidenti e i capelli erano completamente spettinati. Mi chiesi se fossi io a vedermi così oppure apparivo in quel modo anche ad altre persone, ad esempio al poliziotto che mi aveva appena fatto visita.

Scacciai quei pensieri con uno scatto ben direzionato della testa, come se qualcosa si fosse incollato al mio cervello e potessi cacciarlo solo dopo aver mosso istintivamente il viso da destra a sinistra.

Presi nuovamente il cadavere fra le mie mani, stavolta ero decisa: l’avrei portato in macchina e dopo averlo messo nel baule avrei scortato il corpo all’interno di in un cantiere edile o qualcosa di simile.

Indossai il giubbino pesante con all’interno le chiavi dell’automobile, presi la mia borsa e dei guanti insieme alla scarpe invernali per poi trascinare quei settanta chili, circa, fino in fondo alle scale. Aprii la porta che dava alla stanza prima del garage, una specie di cantina, con fare calmo. Impiegai maggior parte della mia forza per riuscire a portare in quella stanza Denise perciò i sensi di colpa e la fretta di buttare quel cadavere se ne andarono per la fatica.

Aprii il baule e tentai di sollevare il corpo cercando di inserirlo in quello che sembrava lo spazio più angusto, sporco e buio che io avessi mai visto prima d’ora, ma era decisamente troppo pesante per una donna di cinquanta chili e alta un metro e sessantacinque.  Ancora una volta il panico prese il sopravvento e incominciai ad affogare nei miei pensieri negativi. Non potevo lasciare li un cadavere in bella vista nel mio garage, senza contare il fatto del deterioramento. La stanza avrebbe incominciato a puzzare di carne putrefatta e così ci sarebbe stato davvero qualcuno che avrebbe pensato a chiamare la polizia per il tanfo. Avrei potuto cimentarmi nel murare vivo un cadavere e la mia mente incominciò a vagare nei racconti del saggio e visionario Edgard Allan Poe, ma anche quella era una pessima idea. Decisamente pessima, che fare dunque? L’unica possibilità di fuga era sollevare quel dannatissimo corpo senza vita all’interno del baule del mio New Beetle, ma come? Solo in quell’istante notai come il bagagliaio fosse obiettivamente piccolo per ospitare il corpo di una persona adulta ma scacciai via anche quel pensiero. Avrei trovato un modo per farci stare quell’odiosa Denise. Pensai ad ogni modo possibile per sbarazzarmi e per sollevare quei chili di grasso, mi sorpresi di quanto quella donna fu ingrassata negli ultimi anni. Mi guardai attorno sperando di notare qualcosa che si potesse rivelare utile ma l’unica cosa che potei notare fu qualche metro di corda, un’asse di legno e dell’inutile nastro isolante. Decisi di usufruirne immediatamente legando la corda intorno al collo e ai piedi di Denise così da formare due specie di manici per poter spostare il cadavere in modo più facile. Tentai di sollevarlo ma con scarso successo (riuscii ad alzarlo solo di pochi centimetri) ed è proprio in quel momento che mi venne un’idea. Presi una sedia di legno abbastanza rovinata e scheggiata, penso di averla usata solo due volte da quando mi trasferii li o forse anche meno. La sistemai accanto al bagagliaio della mia auto adagiando l’asse di legno sul ciglio della seduta e salii sopra alla sedia malmessa, dopo di che presi i due manici di corda e trascinai con tutta la mia forza Denise dalla fine dell’asse alla sedia dov’ero io per poi metterla immediatamente nel baule con un rapido scatto istintivo. Ci riuscii finalmente, non potevo crederci. Le gambe mi cedettero e così mi sedetti un attimo sulla sedia appoggiandomi sullo schienale e buttando la testa all’indietro fino a quando la nuca non picchiò sulla spalliera della sedia.

La mia cassa toracica si espanse a causa dei forti sospiri che producevo in continuazione. Riuscii a calmarmi un pochino e riprendere la poca lucidità che mi aveva abbandonato anche se le mani continuarono a tremare. Mi fermai a pensare cosa stavo facendo in quel momento e perché. Il mio sguardo era fisso su quel cadavere che ormai credevo stesse diventando rigido e freddo, ripensando alle mie azioni la sensazione di panico mi assalì nuovamente facendo navigare la mia mente in un mondo irreale. E se qualcuno mi avesse scoperto? Quanti anni di prigione mi sarebbero spettati? Quindici? Venti? O magari l’ergastolo?

Il mio respiro si fece più irregolare e ansimante come se avessi avuto un attacco d’asma e respirando a fatica mi feci forza e riuscii a chiudere la portiera del bagagliaio con un po’ di fatica ma fortunatamente senza troppi intoppi. Salii immediatamente in macchina e aprendo il garage con il telecomando automatico strinsi in maniera decisa e compulsiva il volante dell’auto. Premetti con decisione il pedale dell’accelerazione così da partire ed uscire da quella stanza scura e piena di muffa.

Lasciai casa mia senza molti problemi ma la testa mi stava esplodendo, troppe domande e dubbi  continuavano a ronzarmi nella mente. Fortunatamente non trovai nessun poliziotto per la strada. Non so dire quanti minuti oppure ore guidai ma alla fine riuscii ad arrivare in un cantiere edile, era sera quindi nessuno stava lavorando, ora il problema principale era entrarci. Cercai di andare il più possibile vicino al cancello del cantiere con l’auto, quando fui abbastanza vicino scesi e mi avvicinai per poi notare che il cancello in questione era totalmente sprovvisto di lucchetto o di una chiusura decente, quindi lo aprii e decisi di entrare con la macchina all’interno. Notai che la strada non era asfaltata ma costituita da terra dismossa e in certi tratti anche ghiaia e li la vidi, la mia ancora di salvezza: delle fondamenta di una futura casa. Scesi dalla macchina incredula e sporgendomi sul ciglio notai che la buca era molto larga ma cosa più importante, anzi, di vitale importanza era che fosse molto profonda. All’incirca due o tre metri, era piuttosto buio e non riuscii a calcolare esattamente la misura. Rivolsi lo sguardo al cielo come a ringraziare una potenza divina di avermi concesso una simile occasione e il cielo mi rispose facendomi dono della prima stella della sera, riuscendomi a strappare un sorriso anche nella situazione in cui mi ero ritrovata. A pensarci ora, mi stupisco di come le mie emozioni prendano il sopravvento su di me facendomi sembrare ad un occhio estraneo così volubile.

la mia beatitudine non durò solo che qualche secondo e la mia mente mi schiaffeggiò con l’immagine di Denise morta e legata nel mio bagagliaio. Con altri sentimenti molto contrastanti da quelli precedenti mi riavvicinai alla macchina per aprire il bagagliaio e buttare il povero corpo senz’anima sulla terra dura e fredda che al suo contatto sprigionò una nube leggera di sabbia. Trascinai ancora quel corpo fino al ciglio delle fondamenta. Guardai di nuovo al loro interno e quel buio era così opprimente e spaventoso che mi allontanai di qualche metro per la paura. Non sono mai stata una persona di grande coraggio, ma non pensavo proprio di reagire in quel modo di fronte ad una semplice buca scavata nel terreno. Con due piccoli ma importanti calci il cadavere scivolò in quello spazio così grande  in maniera frettolosa come volesse essere seppellito e trovare pace. Non sono credente, non lo sono mai stata ma in realtà penso che ci sia qualcuno che scrive il nostro futuro e che noi non possiamo fare nulla per cambiarlo. In quel momento pensai che proprio quel qualcuno si stesse divertendo da morire a vedermi in quello stato e con quel pensiero in testa uscii dal cantiere edile dove avevo appena commesso il mio primo crimine: occultamento di cadavere per non dimenticare l’accusa di omicidio colposo anche se io sapevo benissimo che Denise non era morta per colpa mia, ma per l’altra accusa non avevo scuse.

Nel momento in cui Denise arrivò in fondo a quell’enorme buca sentii un rumore, come se qualcuno si muovesse dietro di me, mi paralizzai dal terrore. Qualcuno mi aveva visto. Passarono secondi o addirittura minuti prima che il mio corpo decidesse di muoversi automaticamente senza aspettare gli ordini del cervello. La mia mente era sgombra nell’istante in cui decisi di voltarmi il più lentamente possibile. Quando riuscii a girarmi del tutto fui sorpresa di non trovare nessuno di fronte a me, ma sentii qualcosa strusciare sulle mie gambe. Quello che mi aveva spaventata era un semplice gatto che ora aveva solo voglia di coccole. Mi avvicinai a lui e quest’ultimo incominciò a fare delle fusa, come tutti i gatti.

- A te non interessa quello che ho fatto, vuoi solo delle carezze piccolo opportunista. Non è così? –

Si, in quel momento l’unica cosa che mi venne spontanea fu parlare con quella palla di pelo, era l’unico che non mi avrebbe giudicata per aver buttato un cadavere in un luogo privato. Non aveva un collare e si poteva notare benissimo che era un gatto selvatico. Lasciando il felino alle mie spalle mi diressi verso la mia auto.

Arrivai a casa senza troppi intoppi e non diedi nemmeno nell’occhio rientrando. Salii le scale con una calma della quale mi stupii. I miei nervi si distesero nell’istante in cui quel maledetto corpo rigido e freddo sparii dalla mia vista. Ecco, in quel momento mi sentii veramente bene come mai negli ultimi anni. È alquanto orribile da dire ma… si. Mi sentivo libera di un peso che mi avrebbe portato nella tomba se non l’avessi eliminato del tutto. La chiave di casa mia girò per ben quattro volte prima che la porta si aprì e dopo averla richiusa attentamente con altrettanti giri incomincia a spogliarmi senza pensarci due volte e mi diressi involontariamente verso il bagno accendendo l’acqua calda. La mia pelle sussultò al contatto con l’acqua bollente. Mi voltai per afferrare con decisione la tenda da doccia ma ovviamente non esisteva più, non almeno nel mio bagno. Restai pietrificata con la mano aperta come se la tenda da doccia dovesse comparire magicamente davanti a me. Nonostante l’acqua calda continuasse a sgorgare e a bagnarmi un vento gelido e forte entrò nelle ossa facendomi cadere in ginocchio e sotterrandomi dai sensi di colpa che fino a quel momento erano spariti o dei quali mi ero semplicemente dimenticata.  Come avevo potuto commettere una simile atrocità? Perché non avevo chiamato la polizia? È possibile che io sia così vigliacca? Le mie mani raggiunsero i capelli tirandoli istintivamente verso il pavimento interno della doccia, non riuscivo nemmeno a provare dolore. Fortunatamente qualcosa mi impedì di strapparmi l’intero cuoio capelluto, la suoneria del mio telefono. Era arrivato un messaggio. Senza pensarci due volte uscii dalla doccia avvolgendomi con uno semplice asciugamano e ancora gocciolante raggiunsi il cappotto il salotto, vicino al divano e presi il cellulare: messaggio anonimo: lo aprii. Dopo averlo letto dovetti andare in bagno. Non ricordo di avere vomitato tanto in tutta la mia vita.

 

 

Salve, Alice Gillian,

La tua prima partita è finita e sono lieto di comunicarti

che l’hai terminata con esito positivo.

I'm proud of you.

Da oggi sei il Gamer numero 3.

 

 

Il Mandante

 

 

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