Soul- l'unione tra le anime di Aoimoku_kitsune (/viewuser.php?uid=131537)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prescelto ***
Capitolo 3: *** Strada ***
Capitolo 4: *** La spada ***
Capitolo 5: *** La Shibusen ***
Capitolo 6: *** Amico ***
Capitolo 7: *** Supplica ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
SOUL
Prologo.
Un’anima forte
risiede in un corpo
forte e in una mente
forte.
-Soul Eater- Atsushi Ohkubo
Con sguardo stanco e vitreo, fissava il campo di battaglia intorno a
se. Corpi mutilati, armi e la vecchia natura distrutta, resa polvere,
lo circondavano, facendogli provare un senso di nausea. Un mugugno gli
fece abbassare gli occhi, e uno sguardo freddo, pronto alla morte,
azzurro come l’acqua, lo ricambiò.
Il corpo del giovane, avvolto in un kimono, era attraversato da graffi
e ferite profonde dalle quali il sangue usciva lento, macchiando di
scuro la terra sottostante. Il moro deglutì e sul suo volto
comparì il panico.
La testa del ragazzo morente era appoggiata sulle sue cosce, e i
capelli corti e biondi, macchiati di rosso e terra, erano sparpagliati
intorno a quel viso amato e dolce. Un piccolo sorriso solcò
quelle labbra pallide, ma che sempre per lui erano state di un tenue
color pesca e il moro si sentì morire.
Le innumerevoli battaglie non lo avevano mai scalfito. Le persone non
erano mai riuscite a passare oltre la sua maschera di freddezza e odio.
Solo lui. Quel piccolo, dolce ma forte ragazzo lo aveva accolto tra le
sue braccia. Lo aveva conosciuto per quello che era e non per il
simbolo che portava fieramente sulla schiena.
L’uomo si abbassò sul suo viso, ormai anche lui
pronto alla morte, e appoggiò le labbra screpolate e
insanguinate a quella dell’amante che spirò tra le
sue braccia, cominciando a scomparire lento, dissolvendosi davanti ai
suoi occhi vuoti e spenti.
Il corpo del biondo s’illuminò, poi
cominciò a dissolversi in tante luci bianche e il cielo
nuvolo sopra alle loro teste si squarciò e la luce
salì verso il cielo, prendendo forma di una croce stilizzata
e tremolante.
Alzò il viso contratto di dolore e fissò il cielo
ombrarsi, diventando nero, scaricando tutta la pioggia e coprendo le
sue lacrime.
Il dolore lo inghiottì e il buio lo avvolse mentre
precipitava nel sonno eterno.
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Capitolo 2 *** Prescelto ***
Capitolo uno
Prescelto
Ti cercherò
finché le mie braccia
non avvolgeranno ancora
il tuo corpo.
Sasuke era stufo di aspettare e si stava annoiando.
Non gli piaceva più la recita in cui la madre lo aveva
portato a forza, solo per osservare tutti, compreso lui incappucciato,
a mormorare qualcosa che lui non capiva. Sbuffò, mettendo un
broncio infantile e si portò le braccia al petto,
indispettito.
Lui voleva essere a casa a giocare con il suo Aniki, invece Itachi, con
i suoi cugini più grandi e qualche amico, stavano in piedi
su quell’altare, ritti e in silenzio con delle cappe in testa
e delle maschere androgine e senza volto, rendendoli irriconoscibili.
-Sasuke per favore, non sbuffare. Stai disturbando gli altri.
Lo ammonì la madre, guardandolo severamente ma non una nota
dolce nello sguardo nero.
-Ma Kaa-san, mi sto annoiando. Voglio andare a giocare con aniki.
Borbottò, fissando la madre che sospirò
divertita. La donna si abbassò verso il figlio di otto anni,
appoggiandogli una mano sul capo.
-Dopo Itachi ci rimane male, se non segui la sua recita. E poi dovrai
farla anche tu, quando avrai la sua età.
Rispose la donna sorridendo amabilmente. Sasuke storse il naso,
annuendo e borbottando indignazioni su indignazioni si voltò
verso il palco, dove l’anziano dei saggi saliva verso i
giovani.
-Come ogni generazione, anche in questa cercheremo un buon membro che
potrà conquistare il potere dell’antica spada,
appartenuta al nostro fondatore. Madara Uchiha.
In molti trattennero il fiato a quel nome pieno di potere.
Mentre l’uomo parlava dell’antica storia del grande
guerriero, Sasuke seguì con interesse l’entrata in
scena del baule sacro.
Sasuke vide come quattro uomini trasportavano una cassa in ferro,
incatenata con sigilli e catene. Curioso, chiamò la madre
tirandogli la veste scura, facendole capire che non vedeva bene. La
madre lo prese in braccio, sorridendo e poi riportò la sua
attenzione sul palco.
-… Milla anni sono passati, da quando la sacra spada
è stata impugnata. Appartenuta prima al signore dei demoni,
Madara la conquistò, usandola per sconfiggere
l’esercito nemico nella prima e seconda guerra, dove perse la
vita.
L’anziano scosse impercettibilmente la testa, e i quattro
ragazzi annuirono, inchinandosi verso di lui e poi cominciarono a
rompere i sigilli.
Nell’aria si cominciava a respirare un’aria
pesante.
Sasuke si sentiva eccitato, non sapendone il motivo, quando le catene
vennero spezzate.
L’aria divenne rarefatta, elettrica e pesante, e la cassa si
aprì con uno scatto.
Il vecchio avanzò cauto, facendo gesto ai giovani di aprire
la cassa e poi guardò al suo interno.
Le Koshirae
della katana erano rifinite a mano, perfette nel loro stile particolare.
La tsuba
metallica, posta tra il manico e la lama per proteggere le mani, era
ovale, con intrecci raffinati e ricercati e in essa vi erano
incastonate nove pietre nere onice.
L’impugnatura in legno era ricoperta di pelle si same, rivestita con
una fettuccia di tsuka-ito
scura, atta a migliorare la presa ed assorbire il sudore; tra i vari
intrecci dello tsukaito,
trovavano posto i menuki
(fuchi e kashira),
due piccole decorazioni in metallo inserite tra gli avvolgimenti dello tsukaito, una da un
lato e una dall’altro.
Il saya, in
legno di magnolia laccato, nascondeva la lama lunga 60 centimetri,
rifinito da koiguchi
e kojiri;
il primo fatto di corno di bufalo mentre il secondo in metallo e
venivano applicate rispettivamente all’imboccatura del fodero
e all’estremità opposta.
Applicato al fodero a circa un palmo dal koiguchi,
c’era il kurikata,
un anello in corno, per far passate il sageo, fettuccia di cotono
intrecciata, utilizzato per fissare il fodero alla cintura.
All’improvviso la spada tremò e
un’ondata di potere scoppiò dalla cassa e Sasuke
si sentì strano.
Il terreno cominciò a tremare e le persone spaventate
cominciarono a urlare e spingere verso l’uscita.
Il tetto e i muri cominciarono a crepare e in tutto quel casino, Mikoto
perse la mano del figlio.
Sasuke impaurito, si attaccò al muro, storcendo le labbra
per non piangere e nascondendo i singhiozzi, spalancando gli occhi.
Poi un boato e il tetto cominciò a crollare.
Tutti urlavano, i bambini più piccoli piangevano e le
guardie strillavano di mantenere la calma.
In pochi secondi il caos si fece largo tra di loro.
Mikoto urlava il nome del figlio, anche quando il marito e Itachi la
affiancarono fuori dall’edificio.
-Madre?
-Sasuke… Sasuke è ancora lì dentro.
Fugaku fa qualcosa.
La voce di Mikoto era straziata dal dolore e dalla paura e sul viso
dell’uomo spuntò il panico e l’orrore,
sentendo quelle parole.
Itachi spalancò gli occhi, fissando l’edificio e
poi scattò verso di esso, ma quando fu abbastanza vicino,
nello stesso momento in cui il padre lo acchiappò e lo
protesse con il suo corpo, il tetto del tempio crollò.
Mikoto urlò.
Un urlo straziante che fece gelare il cuore dei presenti e corse verso
le macerie, venendo trattenuta poi dai fratelli di Fugaku.
Il marito invece, con una smorfia contrita, tratteneva Itachi che
piangeva, singhiozzando, urlando il nome del fratello.
Sasuke aprì le palpebre lentamente dopo che le aveva chiuse
quando il tetto era crollato sulla sua testa , e con sguardo opaco e
perplesso fissò davanti a se.
Una barriera azzurrina vorticava intorno al suo corpo e disintegrava le
macerie che ancora cadeva, proteggendolo.
Poi si guardò le mani, spalancando gli occhi quando tra le
dita vide una spada che si illuminava di una luce chiara.
Non aver paura, piccolo
Uchiha.
Quella voce lo cullò come quando sentiva quella della madre
e annuì al nulla. Voleva parlare, chiedere chi fosse, ma si
sentiva stanco e spossato.
Gli uomini cominciarono fin da subito a togliere i detriti,
spostandolo, per aprirsi un varco per il tempio.
Mikoto era circondata da madri che provavano a consolarla, dalla
sorella che piangeva con lei per la perdita di un familiare.
Itachi strinse le labbra, gemendo di dolore quando si tagliò
ancora e si ruppe un unghia.
Non importava.
L’unica cosa che nella sua mente vorticava impazzita era il
nome di Sasuke.
Poi una scossa si assestamento li mise in guardia e arretrarono, e il
cielo sopra di loro si aprì.
Spaventati e sorpresi guardando come le macerie si alzavano dal centro,
spostando e una luce chiara si alzava verso il cielo.
Mikoto spalancò gli occhi, divincolandosi dagli abbracci e
corse verso il tempio.
-Sasukeeeee…
Strillò.
In mezzo alla luce, il bambino era ritto, con la testa verso il basso e
ricoperto di polvere. Al petto, stretta, c’era la spada.
Itachi corse verso il fratello, quando la luce si dissolse verso il
cielo, sfocando lenta e lo afferrò prima che cadesse in
avanti, svenuto.
Con un tonfo sordo la spada vibrò al suolo, mentre le urla e
le benedizioni facevano da sottofondo alla riconciliazione di quella
famiglia.
Il vecchio saggio guardò l’arma, poi il piccolo
bambino e storse il naso, pensoso.
E così hai
scelto quel bambino. Perche?
***
Glossario
Koshirae:
insieme delle rifiniture che compongono la katana.
Tsuba: elsa.
Same: pelle
di razza.
tsuka-ito:
pelle intrecciata.
Saya:
fodero.
Qualche giorno fa ho pubblicato il prologo senza una sensata
spiegazione… eheheh… dimenticata, scusate ^^
Coomunqueee…
Shokunin
significa Maestri d’armi. Si dividono in tre categorie. Avete
presente Harry Potter, in cui i maghi si dividono in tre
“specie”, ebbene è simile. Avremo gli
umani, ragazzi nati con la capacità di vedere gli spiriti
maligni e usare un Buki.
Poi ci sono i mezzo sangue, mezzi umani e sangue puro, diciamo
così. Che possono accedere alla scuola per migliorare i loro
poteri e di poter maneggiare il Buki che si tramanda da genitore a
figlio.
A finire, ci sono i sangue puro, appartenenti ad antichi clan. Tra
questi, ci saranno gli Uzumaki, Uchiha, Hyuga e qualcun altro se mi
verrà in mento.
Cosa sono i Buki?
Sono spiriti, che si possono trasformare in armi da combattimento.
Possiedono vari poteri.
Si presentano sotto forma di umani, e studiano con il proprio compagno
le lezioni della scuola e si allenano con il maestro per essere
compatibili il più possibile tra loro.
Apparentemente questa storia è nata, guardano
l’animazione, Soul eater, che io ho trovato bella,
avventurosa e divertente.
Sarà diversa dal’anime. In prestito, diciamo, ho
preso il nome della scuola,
Shibusen, e la cosa di Buki e Shokunin. Poi
più avanti ci sarà qualche ideuzza rubata da
Inuyasha.
Del resto è una storia a parte.
Spiegazione sui generi che ho messo.
Violenza: non ci saranno violenze sessuali, tranquille. L’ho
messo perché fondamentalmente i protagonisti combatteranno 3
capitoli si e tre righe no, perciò mi sembrava giusto
avvisare.
Rating: ero indecisa tra arancione e rosso. Lemon o qual si voglia
scena ci sono ma non sono spiegate accuratamente. Non ho voglia di
scriverle ^_^, sono tanto sfaticata…
Per ora ho messo arancione ma forse, dai, l’ho
farò salire.
Spoiler: ci saranno degli spoiler sul manga, che partiranno circa dalla
metà della storia, fino alla fine. Non vi anticipo nulla,
non voglio rovinarvi la sorpresa.
Mha, direi che ho finito, per qualsiasi dubbio chiedete.
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Capitolo 3 *** Strada ***
Sto aggiornando
più storie che posso. Quando ho il bollino rosso, e sto
male, mi devo tenere occupata, perciò comincio a scrivere.
Come avrete visto i capitoli sono corti. i vengono così,
mha! Vaa bhe!!
Ringrazio a chi ha recensito la storia e chi la segue.
Un bacio e buona lettura.
Capitolo tre
Strada
Mikoto accarezzò i capelli del figlio, sospirando
rumorosamente e pesantemente.
Sasuke era steso sul suo futon, una pezza sulla fronte umida a
rinfrescargli la pelle bollente.
La donna respirò ancora, alzandosi con eleganze e si
pulì il kimono.
-Mi raccomando, se si sveglia, chiamami.
Mormorò alla donna dall’altro capo del letto che
annuì, piegandosi in avanti in un profondo inchino,
sfiorando con la fronte il legno del tatami.
Mikoto lanciò uno sguardo al figlio e poi
abbandonò la camera, chiudendosi dietro di lei il pannello
in carta di riso e legno e con passo leggero si incamminò
per il corridoio, nel salone centrale della villa.
Seduti, trovò il marito e il consiglio degli anziani e
quando entrò nella stanza, gli uomini la guardarono,
inchinando il capo appena. Fugaku la fissò, indicandogli il
posto accanto a lui con lo sguardo.
Mikoto si inchinò agli uomini e poi si sedette sulle
ginocchia, spostando le gambe di lato, appoggiandosi su un gluteo.
-Mikoto San, come sta vostro figlio?
Domandò il capo degli anziani.
Mikoto sospirò impercettibilmente, tormentandosi le mani
sotto il tavolo.
-A qualche linea di febbre per via della stanchezza, sta riposando.
Grazie per l’interessamento.
Rispose cordiale, chinando lo sguardo.
L’uomo annuì, richiamando l’attenzione
del padrone di casa.
-Fugaku San, la spada ha scelto il vostro secondogenito, sa cosa
significa questo?!
L’uomo storce il naso, annuendo serio e le palpebre si
assottigliarono.
-Dovrà frequentare la Shibusen.
Continuò l’uomo.
Mikoto si morse un labbro, abbassando il capo.
Avevano scelto Itachi, all’inizio, perché si era
mostrato fin da subito forte, attento e un buon guerriero. Per Sasuke,
Mikoto voleva una vita diversa, più tranquilla e serena.
Sasuke era un bambino vivace e pieno di vita e la donna non avrebbe
amato vederlo sempre serio.
Fugaku le appoggiò una mano sulla gamba, nascosta da occhi
indiscreti e la strizzò appena.
Mikoto sorrise interiormente alla premura di quell’uomo che
fuori dalla loro camera da letto sembrava brusco e freddo.
Era proprio uno tsundere.
-Siamo consapevoli che è ancora piccolo, ma visto che a
questa età ancora non ha risvegliato in se alcun potere,
dovremmo addestrarlo al meglio.
Cominciò un altro uomo, posando il bicchiere di
sakè sul tavolino basso.
-… proponevo un membro del consiglio, per accelerare i tempi.
La mascella di Fugaku tremò appena e il suo sguardo si
indurì.
Poi la porta venne aperta, mostrano Itachi in piedi che
avanzò, inginocchiandosi davanti a loro e si
inchinò profondamente.
-Vorrei allenare io, Sasuke Uchiha.
Proruppe, alzando lo sguardo nero e puntandolo sugli uomini che
cominciarono a borbottare.
In una camera oscura, la spada demoniaca vibrava sinistra, pulsando il
suo potere.
Sasuke si tese, cominciando a respirare pesantemente mentre le pupille
sotto lo strato di pelle delle palpebre cominciò a tremare.
Maestosa, una volpe a
nove code combatteva ringhiando contro un uomo, davanti a lei.
L’animale
mosse le code, distruggendo la natura intorno e puntò i suoi
occhi rossi su quelli altrettanto rossi dell’uomo che
ghignò, sguainando una spada.
La volpe
ringhiò e poi si tuffò sull’avversario.
Sasuke spalancò gli occhi, fissando il soffitto della sua
camera per un tempo indefinito, sentendosi accaldato e sudato.
Stizzito si scostò le coperte, e la leggera aria che
produssero gli portò freschezza nella pelle sudata e calda.
Sospirando si alzò da letto e si sgranchì le
ossa, strofinandosi gli occhi e poi si incamminò nel bagno,
deciso a farsi un doccia per sciogliere i muscoli e
rinfrescarsi.
Quei sogni lo confondevano sempre ed, essendo un tipo molto silenzioso
e sulle sue, non aveva detto niente a nessuno, eppure percepiva
qualcosa, quando intravedeva quella battaglia che tanto gli ricordava
quella di Madara.
Scuotendo il capo per svegliarsi, entrò nella doccia moderna
di camera sua. Se solo pensava che qualche anni fa era in stile
giapponese, come una volta, si metteva le mani nei capelli. Era bello e
tutto, anzi, faceva il suo effetto, ma era tremendamente scomodo.
Sbuffando, tremò quando l’acqua fresca gli
scivolò sul corpo, e con una spugna e del bagnoschiuma
cominciò ad insaponarsi, pronto per la giornata e per un
nuovo allenamento pomeridiano con il fratello.
Ancora non capiva perché dovesse allenarsi anche lui. Era
consapevole che il secondogenito non avrebbe dovuto studiare per
diventare un Shokunin.
Molti suoi cugini andavano in una normale scuola, e anche lui, fino
all’età di otto anni, andava una comune scuola in
centro.
Dopo dieci anni, ancora non aveva avuto risposta, del fatto che lo
stessero allenando, ma a lui era indifferente, alla fine di tutto.
Se serviva ad aiutare qualcuno, lui lo avrebbe fatto con piacere.
All’età di otto anni, il suo sogno era quello di
diventare dottore, ma ormai era troppo lontano dalla
normalità, per avverarlo.
-Buongiorno.
Mormorò senza tono, salutando la madre in cucina che si
voltò appena, sorridendo al figlio ormai uomo.
Sasuke in quegli anni si era alzato, raggiungendo il metro e
ottantatre, e il suo corpo, per via degli allenamenti, aveva sviluppato
una serie di muscoli sottili, non troppo ingombranti.
Le gambe toniche e lunghe, uscivano dallo yukata scuro, fermo in vita
da un nastro in cotone nero.
Sasuke avanzò, sedendosi a tavola e sbadigliò.
Si sentiva stanco.
Gli esercizi erano sempre più aumentati, soprattutto in
quell’ultimo mese e il fratello, quando combattevano insieme,
attaccava per uccidere e non per giocare.
Che fosse finalmente arrivato alla fine?
La ciotola di miso e di latte di soia lo svegliò dalla sua
trans, e ringraziò la donna con un mite sorriso, ricambiato
da uno più ampio della madre, che gli scompigliò
i capelli con affetto.
-Tuo padre ti vorrebbe parlare. Dopo mangiato e vestito presentati nel
suo studio.
Sasuke annuì pensoso, fissando in tralice la madre che
scompariva in cucina.
Sasuke si sentiva sempre un po’ più oppresso
quando si trovava nello studio del padre.
Quando poi l’uomo era girato di schiena, e fissava il
giardino, non era mai buone notizie, almeno per lui.
-… Ormai hai 17 anni.
Lo so.
Sasuke si mosse appena, spostando il peso del proprio corpo da un piede
all’altro.
-Itachi ha iniziato solo quattro anni fa la Shibusen, perché
era occupato ad allenarti a dovere…
Il ragazzo corruccio le sopracciglia nere.
Dove vuole andare a
parare.
L’uomo si voltò, e sul suo viso comparì
un’espressione seria.
-E’ giunto il momento che anche tu inizi a frequentare
l’istituto e per farlo…
L’esitazione nella voce di quell’uomo fece
irrigidire il figlio.
Fugaku scostò lo sguardo, puntandolo sulla scrivania e poi
ritornò a guardare il ragazzo.
-… dovrai possedere un Buki.
Ora veramente non capiva, Sasuke. L’unico Buki di famiglia,
era nelle mani di Itachi.
Non vorrà
farmi combattere contro mio fratello, giusto per farmi capire che non
sono alla sua altezza… come sempre.
Lo sguardo di Sasuke si incupì.
-So cosa stai pensando…
La voce del padre sembrò anche più dolce del
solito.
-… vieni.
Disse l’uomo, facendogli gesto di seguirlo e così
fece Sasuke, quasi scoperto da quello sguardo nero, che lo guardava con
una punta d’orgoglio.
Sapeva che il padre, in un modo contorto, gli voleva bene, ma sapeva
anche che al centro dei suoi pensieri c’era sempre il
fenomeno del clan, Itachi.
Che poteva farci, Sasuke, se il colpire fantasmi e demoni con un arma,
non gli interessava più di tanto?
Seguì la schiena del padre, finché non
attraversarono il lungo corridoio della villa e si fermarono davanti ad
un piccolo tempio, che, strano ma vero, non aveva mai colto la
struttura.
Fugaku aprì la porta, e Sasuke sentì
l’aria pesante provenire da quella stanza, che gli fece
provare delle strane sensazioni. Prima tra queste, una paura
incondizionata.
L’uomo gli afferrò una spalla, affiancandoselo a
se, e portò il figlio davanti ad un piccolo altare, dove
incatenata c’era una spada bellissima.
Quella spada gli solleticò dei ricordi sopiti e confusi, e
il sogno che ogni notte, dall’età di otto anni,
non faceva altro che sognare.
-Questa è la tsunagary,
il tuo Buki.
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Capitolo 4 *** La spada ***
Capitolo
4.
La
spada
Quelle parole gli riverberano in testa, e si sentì quasi
svenire.
Quella spada, di cui non sapeva l’esistenza, sarebbe stata
sua?
-Io… non…
Fugaku si avvicinò all’altare, fece dei movimenti
con le mani e si posizioni quella destra davanti alle labbra, stretta a
pugno con solo l’indice e il medio eretti, poi
sussurrò una parola.
Le catene si spezzarono davanti agli occhi increduli di Sasuke e il
moro dovette portarsi una mano sul cuore, quando la vera potenza
dell’arma vibrò e pulsò in quella
stanza, portando uno strano odore di boccioli in fiori.
Aspirò quel profumo a pieni polmoni, e gli girò
la testa, per quelle noti dolce e spezziate.
Il padre, con reverenza e delicatezza, afferrò tra le mani
la katana, e poi si voltò verso il figlio.
-Questa, Sasuke, è la spada della leggenda, appartenuta a
Madara Uchiha quando era in vita.
Madara saltò
da un ramo all’altro, scappando e deviando con il suo
ventaglio le lingue di fuoco che il re dei demoni gli mandava contro.
Si voltò,
verso di lui, con sguardo freddo e autoritario e quando
arrivò in una vallata, partì
all’attaccò, rimandando, con un fendente che
squarciò l’aria, il fuoco scagliatogli contro.
Il demone volpe
ringhiò, indietreggiando di qualche metro.
- Dammelo…
non ti appartiene e mai sarà tuo.
Urlò,
mostrando i canini. Le folte code, nove in tutto, svolazzarono dietro
di lui, distruggendo il bosco e portando il caos.
Madara strinse la presa
contro l’arma ancorata saldamente al suo fianco, quasi a
protezione dalla stessa furia della volpe.
-Non osare portarmelo
via.
Aggiunse il demone,
fissando con disgusto la scena.
Madara si
accigliò, indietreggiando e muovendo il ventaglio davanti a
se.
-Mi hai negato la sua
compagnia già da troppo tempo, e questo non te lo
perdonerò mai, demone.
La volpe
ringhiò, partendo all’attacco, e quello che ci fu
dopo, fu solo caos e distruzione.
-… Madara conquistò la spada, uccidendo il
demone. Si narra che abbia poteri inimmaginabili e che se usati male,
porterebbero alla distruzione del mondo.
L’uomo prese fiato dal racconto, porgendo la katana verso il
figlio.
-Ha scelto te, e adesso ti appartiene, Sasuke Uchiha, Shokunin di Tsunagary.
Commosso, perché diamine, quelle parole gli avevano riempito
il cuore, afferrò con mani tremanti l’arma,
sentendo un brivido e una scarica elettrica attraversargli il corpo e
fermarsi negli occhi neri che si screziarono di pochi secondi di rosso.
-Non vi deluderò, padre.
Mormorò, fissando la katana.
-So che non lo farai.
Rispose l’uomo, appoggiando e strizzando appena, la mano
sulla spalla del figlio, in un moto di conforto e per dargli un
po’ di coraggio.
-Ti insegnerò a richiamarlo.
Mormorò serio il padre, uscendo dal santuario.
Sasuke lo seguì, quasi contento, come da bambino quando
riceveva il più bel regalo del mondo, e si fermò
nel campo di addestramento che per nove anni aveva accolto i suo
pianti, il sudore e il sangue.
Fugaku sparì dentro al dojo e ne uscì con una
katana.
Si mise in posizione di attacco e aspettò che il figlio fece
lo stesso.
Sasuke si fece serio e poi afferrò il manico raffinato della
katana e il fodero e tirò, cercando di sfilarla, ma vani
furono i suoi sforzi.
Alzò appena gli occhi sul padre e poi ci riprovò,
con più convinzione e più forza, ma il risultato
fu lo stesso.
-Padre… non… non ci riesco.
Disse stupito, guardandosi l’arma tra le mani.
Fugaku sembrò accigliarsi e si avvicinò al
figlio, fissandolo dall’alto.
Non è ancora
pronto? Impossibile. Ha già richiamato lo sharingan.
Fugaku assottigliò lo sguardo e poi respirò
lentamente e pesantemente.
-Entriamo.
Disse burbero, rifoderando la sua katana e avviandosi in casa,
lasciando di sasso Sasuke in mezzo al campo.
Il moro sbuffò, e la katana vibrò appena sotto le
sue dita affusolate.
Spazientito e con la spada in mano, seguì il padre, mentre
l’aria dietro di lui alzava le foglie e rinfrescava la
giornata.
***
-… tu mi
appartieni.
Sibilò il
moro, afferrando con irruente forza i capelli del biondo.
Il ragazzo
chinò lo sguardo, spaventato e confuso e il viso del moro si
addolcì, e gli si formò un’espressione
dispiaciuta.
L abbracciò,
e trasformò la violenza in dolce carezze.
-Scusami, ma sono
impazzito senza di te.
Mormorò
lentamente, sul capo del ragazzo che gli abbracciò forte il
torace, singhiozzando.
-Koishitero…
Mormorò
piangendo lacrime di sangue il biondo, affondando nel petto grande
muscoloso del moro, appendendosi a lui, inebriandosi di quel calore che
gli era stato negato.
***
-… affascinante.
Mormorò un anziano, dopo il racconto di Fugaku, davanti a
lui. Sasuke, chinato al suolo, e con la spada di fianco, ascoltava in
silenzio la strada che avrebbe preso la sua vita, d’ora in
poi.
-Sicuramente alla Shibusen
imparerà a richiamare lo spirito del Buki. Molti hanno
qualche difficoltà all’inizio. La spada
dovrà fidarsi di suo figlio, Fugaku San.
Lo calmò l’unica anziana del gruppo, sorridendo
mite all’uomo che si inchinò, ringraziandola con
lo sguardo.
-Penso che questo sia tutto.
Iniziò l’anziano di prima.
-… domani, Sasuke Uchiha verrà accompagnato alla Shibusen, dove
apprenderà al meglio la tecnica di Maestro
d’armi… dove imparerà a maneggiare con
maestria il suo Buki.
Il capo famiglia si inchinò, sfiorando la fronte contro il
tatami e poi si alzò, così come fece il figlio, e
sparirono oltre la porta, diretti verso casa.
Sasuke seguì il padre con sguardo basso, e la spada stretta
la petto.
_______________________________________________________________________
Se c'è ancora qualcuno che segue questa storia, si inizia
già a capire qualcosina sulla spada magica... Nel prossimo
chappy, Sasuke entrerà finalmente dell'istituto dove
farà tante amicizie, e dove farà un incontro che
gli sconvolgerà l'esistenza. Spero tanto che seguirete la
storia con passione, un bacio a chi legge e chi recensisce.
Grazie. <3
|
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Capitolo 5 *** La Shibusen ***
Capitolo 5
La Shibusen
-Rosso scarlatto, agitato.
Ti ho incontrato alla
fine del mio sogno.
Il destino è
cominciato a muoversi.
Un segreto che nessuna
sa, si rivela.
Ormai non posso tornare,
nonostante abbia impresso il mio peccato nel tuo cuore.
***
Senza neanche dirlo, Sasuke Uchiha era agitato.
Il cuore, da quella mattina, aveva cominciato a muoversi sempre
più veloce, pompando tanto di quel sangue, che si sentiva
svenire.
Il pomo d’Adamo non faceva altro che muoversi lento, in un
sali e scendi nervoso.
La macchina si muoveva tra le strade della città di Tokio e
alcuni passanti, incuriositi, si fermavano per fissare
quell’autovettura nera, tirata a lucido.
Di fianco a lui, Itachi guardava il paesaggio all’esterno del
finestrino.
Si domandava se anche Itachi, il primo giorno di scuola, fosse
così agitato, come lo era lui ora. Se sentiva il suore
battere così forte, da poter spezzare la gabbia toracica.
Aveva tante domande, ma non ne espresse neanche una, mordendosi la
guancia.
Kami, quanto era agitato.
Itachi si voltò verso il fratellino, fissandolo e sorrise
appena, trovandolo più pallido del solito e con le palpebre
più aperte.
Sasuke era agitato, e Itachi lo sapeva.
Non l’avrebbe mai ammesso apertamente, ma anche lui, la prima
volta che era stato accompagnato verso la scuola, era stato agitato per
tutto il tragitto, sentendo l’adrenalina girare velocemente
nel suo corpo.
Non si sera calmato, quando aveva visto l’imponente struttura.
-Respira.
Sussurrò il fratello, guardando per pochi secondi Sasuke e
poi voltandosi verso il paesaggio.
Il più piccolo lo fissò, deglutì e
annuì, ringraziandolo con lo sguardo e fece un profondo
respiro.
E se non sarebbe stato capace di utilizzare il suo buki? Diamine. Se
quella stupida spada gli avrebbe fatto fare la figura dello sfigato?
Socchiuse gli occhi e prese un grosso respiro, e poi
inspirò, lentamente, ponendosi l’autocontrollo che
lo aveva sempre accompagnato.
Quando la macchina si fermò, si ritrovò a
deglutire e a spalancare gli occhi, davanti alla maestosa struttura
della scuola.
La Shibusen era un grande castello, nel mezzo di Tokyo.
L’intera costruzione era arroccata ed arrampicata sopra
un’enorme scogliera di fronte al lago Biwa.
La Shibusen era un castello stile gotico/romantico dalle grandi arcate
e torrette.
Sasuke notò che era suddiviso in due parti, quando
uscì dall’automobile, e queste erano collegate tra
loro da sottili ponti.
Poi un calore gli formò sulla spalla, e si voltò
verso il fratello, che gli sorrideva con quel mite sorriso e si
calmò, pensando che c’era anche Itachi, nella
strada che avrebbe percorso.
Insieme varcarono il cancello principale, e attraversarono il lungo
giardino anteriore, arrivando dietro alla massa di ragazzi, che, come
lui, avrebbero frequentato il primo anno.
-Buona fortuna, Otoouto.
Gli augurò Itachi, scomparendo nella folla, entrando
nell’istituto.
Sasuke respirò e respirò, e si fece coraggio,
cercando di trovare una buona posizione per vedere il palco dove lo
avrebbero chiamato e smistato in una squadra.
Socchiuse appena gli occhi e poi li spalancò,
assottigliandoli poco dopo quando gli arrivò uno spintone da
dietro e un ragazzo gli si appoggiò di peso sulla schiena.
-Scusami…
Mormorò il giovane, appoggiando le mani sul corpo di Sasuke,
staccandosi.
Il moro si voltò, guardandolo freddamente, con il mento alto.
Il ragazzo davanti a lui ridacchiò imbarazzato e si
grattò il capo con una mano, stampandosi sul viso
un’espressione ebete.
-Davvero, scusami… ma mi hanno spinto e…
bhe… tu eri davanti…
Sasuke ruotò gli occhi al cielo, incrociandosi le mani al
petto, schioccando la lingua al palato.
-Mmmm…
Rispose, distaccato, osservando con i suoi occhi neri, il ragazzo
davanti a lui.
La zazzera disordinata e castana gli ricadeva sul viso paffuto contorto
in un’espressione da idiota.
Gli occhi dorati lo guardavano dispiaciuti e anche divertiti e sotto le
palpebre, curioso, Sasuke fissò i tatuaggi a forma di
triangoli rovesciati, che finivano appena sotto agli zigomi.
-Comunque piacere, Kiba Inuzuka.
Disse il ragazzo, di punto in bianco, imbarazzato per lo sguardo
persistente di Sasuke.
Il moro respirò pesantemente dal naso e allungò
un braccio verso il moro, afferrandogli la mano.
-Sasuke Uchiha.
Rispose calmo e Kiba sorrise radioso.
-Diventeremo grandi amici.
Il moro era scettico, ma cercò di non rispondere male a
quell’idiota di un ragazzo.
Quando sentirono un colpo di tosse più forte, richiamare la
loro attenzione, i due giovani si voltarono verso il palco, dove un
signore di mezz’età batteva un dito sul microfono.
Di fianco a lui, si affiancarono altre persone e Sasuke li
guardò curioso.
Soprattutto l’uomo con una maschera in pezza, che gli copriva
metà volto.
Sbatté le palpebre, quando si rese conto che
l’anziano aveva cominciato a parlare.
-… Sarutobi, e sono il preside della scuola. Mi auguro che
anche voi tutti vi troviate bene in queste mura, e che la
consideraste come una seconda casa.
L’anziano si schiarì la gola, facendo qualche
gesto con il capo e poi iniziò a dividere in gruppi le
squadre.
Per ogni maestro, veniva assegnato un gruppo per ogni anno.
A lui fu assegnato Kakashi Hatake, un ex guerriero speciale, che dopo
aver perso l’occhio in battaglia, si era indirizzato sulla
strada dell’insegnamento.
Era un uomo fondamentalmente tranquillo, mite e con uno strano senso
dell’umorismo.
Sasuke lo studiò, quando il maestro gli sorrise sotto la
maschera di pezza che gli celava metà volto e poi si
voltò versò gli altri compagni.
-Mmm… vediamo. Uchiha…
Kakashi lo puntò, annuendo e borbottando qualcosa.
-… Haruno, giusto?
-Si sensei!
Strillò la ragazza, agitata e imbarazzata.
-… e alla fine… Uzumaki.
Kakashi si voltò, e non vide nessuno.
Corrucciò le sopracciglia e poi una voce fastidiosa e
gracchiata gli riverberò in testa.
-Waaaa… Sasuke kun… come sei bello.
La chioma rossa si mosse agitata, mentre la ragazza si strusciava senza
pudore su uno sbalordito Sasuke.
Il moro guardava la ragazza con occhi spalancati e, cercando di
respirare in quell’abbraccio, lentamente indietreggiava con
quel corpo tra le braccia.
-Karin… per favore. Sei o non sei una signorina.
Mormorò divertito il maestro, guadagnandosi
un’occhiataccia da Sasuke.
La ragazza, fingendosi imbarazzata, si staccò, ridacchiando.
Seduti su una collina, nel giardino che circondava l’intera
scuola, ragazzi fissavano il maestro spiegare il loro
percorso scolastico.
-… la nostra - vostra - prima tappa sarà di
richiamare il vostro buki alla perfezione, senza perdere secondi
vitali. Poi, bhe…
L’insegnante ridacchiò.
-Ci sarà la parte più difficile.
-Cioè?
Domandò incuriosita Sakura, quando il maestro non
continuò.
-Fare amicizia…
-Amicizia? Con un arma?
Domandò sprezzante la rossa, aggiustandosi gli occhiali.
Il maestro sospirò.
-E’ importante, in una coppia, avere una fiducia reciproca e
il rispetto per l’altro. Se tu disprezzi il tuo buki, in
battaglia perché dovrebbe aiutarti? Lui non può
morire facilmente, ma se tu venissi colpita, essendo ancora alle prime
armi, perderesti la vita. E dimmi, ne varrebbe poi la pena?
Karin si accucciò, corrucciando le labbra in un broncio e
scosse il capo.
Mugugnando, Kakashi continuò.
-Poi vi individueremo i poteri dei vostri buki, e come usarli in
battaglia. Ora… alzatevi.
Gli alunni si alzarono, seguendo il maestro che camminò
verso il bosco, diretto ai campi d’allenamento.
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Capitolo 6 *** Amico ***
Amico
Un vento si alzò all’improvviso, caldo
e frizzante, elettrico fino alle ossa e Sasuke si sentì
perso dentro a tutto quel potere.
Sfavillante, furono le luci che lo avvolsero tutto d’un
tratto, voltando come in una danza frenetica, intorno al suo corpo
ritto.
La spada tra le mani, ancora nel fodero bruciava, si illuminava e
pulsava potere, ma Sasuke non riusciva a sfilare la lama.
Tutto divenne nero.
Il suo corpo tremò.
Si guardò intorno con occhi aperti, sorpresi.
Era in un campo di battaglia, devastato dalla lotta che si era svolta
sopra a quella terra che ora sembrava piangere sangue.
Sasuke si voltò, guardandosi in giro e poi notò,
lontano, una scia bianca salire verso il cielo squarciato e
sentì sulla propria pelle la pioggia fredda.
Poi due braccia lo tirarono indietro.
Sentì propria qualcosa avvolgersi intorno alla sua vita e
tirarlo lontano da quel posto, e l’ultima cosa che vide,
sparire lenta nella foschia, fu un uomo, in mezzo a tutto quello, cadere
Tutto divenne nero.
Il suo corpo tremò.
-Sasuke…
Qualcuno lo chiamava.
-Sasuke…
Era una voce doppiata.
-Sasuke…
Aprì gli occhi e li richiuse subito dopo.
-Spegni la luce.
Sibilò.
Itachi tirò le tende dell’infermeria, facendo
calare le tenebre nella stanca asettica e poi si riavvicinò
al fratello.
-Come ti senti?
Domandò.
-Confuso.
Mormorò, tirandosi in piedi.
Frequentava la Shibusen da tre mesi ormai e lui era l’unico
ancora che non riusciva a richiamare il potere del suo buki.
Gli era quasi costata la vita una volta, quando degli spiriti del
dolore avevano attaccato lui e la sua squadra, mentre si stavano
allenando fuori dalla barriera che circondava la scuola.
C’aveva messo l’anima per riuscirci ma erano stati
vani i suoi sforzi.
-… richiamare lo spirito di Tsunagary richiede
più potere di quanto si immagini…
Itachi fissò la spada, con una tale profondità e
curiosità che Sasuke si sentì strano.
Tsunagary era difficile da gestire, come arma. Senza la lama che veniva
sfilata dal fodero, era inutile in un combattimento e senza
l’anima che si risvegliava, era proprio inutile portarsela
dietro.
-Chiederò a nostro padre di farti fare una katana simile,
così quando riuscirai a richiamare lo spirito, saprai
maneggiarla.
Il maggiore si alzò, si avvicinò
all’arma, e poi allungò le dita per toccarla.
Da quando era stata sottratta dal tempio, Itachi non aveva mai avuto
l’occasione di guardarla, o toccarla. Ma quando le sue dita
furono ad un millimetro di distanza, qualcosa nella sua mente gli disse
di non toccarla.
-… Kuro…
Mormorò il moro, mandando uno sguardo allo shuriken gigante
dietro alla schiena.
Se fossi in te non lo
toccherei… puzza di demone e morte.
Itachi ritirò le dita e poi si voltò verso il
fratello con aria preoccupata.
-Vado.
Sasuke annuì, fissandolo stranito.
Perché si era comportato in quel modo?
Lo shuriken si illuminò e con un soffio di vento,
l’arma si tramutò in un ragazzo poco
più basso del padrone.
I capelli argento come il ferro, lunghi e legati in una traccia si
mossero nell’aria, andando ad appoggiarsi sulla schiena del
ragazzo.
Occhi grigi, chiari come uno specchio, fissarono Itachi.
-Quella spada è famosa per le vite che ha
troncato… è normale che puzzi di morte.
Cominciò, incrociandosi le braccia dietro al capo,
camminando a fianco del ragazzo.
-Non capisco come tuo fratello, così debole, riesca solo a
tenerla tra le mani… dovrebbe appartenere a te.
Itachi lo fulminò con lo sguardo, assottigliando le palpebre
e le iridi si tramutarono, diventando scarlatte.
-Taci.
Sibilò, infastidito e Kuro mosse le mani davanti al viso.
-Sorry… sorry… quanto sei acido, baby.
Itachi ringhiò al suo indirizzo e il ragazzo si
ritrovò a ridacchiare.
Sasuke fissava con ostinatezza l’arma appoggiata
all’angolo della sua camera da letto.
La mezzanotte era passata ma lui non riusciva a prendere sonno.
Dentro di lui, qualcosa nello stomaco si muoveva, bruciando e dandogli
fastidio.
Si rigirò tra le coperte, trovandosi a sudare per il caldo.
Strinse gli occhi, provando a dormire, e ci riuscì solo
mezz’ora dopo.
Tra le ombre, che si muovevano danzanti ai raggi della luna, si
formò una figura, che fissò la spada e poi il
ragazzo dormiente.
Si avvicinò come aria, non emettendo nessun rumore e
fissò con i suoi occhi malinconici il volto del giovane.
La tua arte oculare e il
tuo chakra, sono gli stessi di Madara Uchiha.
Sasuke sobbalzò nel sonno, alzandosi a sedere con la fronte
imperlata di sudore.
Con il cuore a mille, cercò di calmare il respiro e poi si
accucciò su se stesso.
Prese un grosso respiro, e poi appoggiò la fronte alle mani
aperte, strizzando gli occhi.
-Che diamine mi sta succedendo…
Mormorò, assonnato e spossato.
La spada cadde, e lui tremò dalla paura, fissando
l’arma al suolo.
Sbuffò alzandosi dal letto, la prese tra le mani e poi
l’appoggiò sulla scrivania, ritornando a letto.
Urlò, scagliando l’arma lontano e si prese i
capelli tra le mani.
-Perché diavolo non ci riesco…
Sbottò.
Dentro di lui, giorno dopo giorno, stava crescendo un senso di
inutilità, che lo stava corrodendo.
Provava, ci provava col cuore, ma non riusciva a dominare
l’arma.
Gli occhi si tinsero di rosso, bruciarono e si fissarono sulla katana
stesa al suolo.
Odio.
Odiava quell’arma, odiava la scuola e stava odiando
seriamente la strada che il padre gli aveva imposto.
Un anno…
Un fottuto anno, e se non sarebbe stato capace di comandare il potere
della spada, il padre lo avrebbe ritirato dalla scuola, e per lui ci
sarebbe stato solo il disonore e non poteva permetterlo.
A costo di spezzarsi le ossa, di bruciare vivo, doveva imporsi, doveva
dominare quella spada.
-Ehi… amico… ti stai allenando.
Si voltò, facendo trasalire Kiba che
indietreggiò, con gli occhi spalancati.
Sasuke si portò una mano agli occhi, strofinandoli e
cercò di calmarsi.
-Stai bene?
-Sono solo stanco.
Rispose flebile, voltandosi e raccogliendo la spada.
Kiba avanzò, mordendo un labbro e si portò una
mano a grattare il capo.
-So che non riesci a richiamare il tuo buki…
Sasuke ringhiò, stringendo la presa contro l’arma.
-So quello che stai pa…
-Taci! Tu non sai un bel niente.
Urlò al ragazzo.
Kiba deglutì, ma non si arrese.
Aveva parlato poche volte con il moro, ma in parte era come se lo
capisse.
Anche la sua famiglia si aspettava grandi cose da lui, essendo
l’unico erede maschio.
-Anche mio padre si aspetta grandi cose. L’ho deluso, una
multitudine di volte, ma non me ne son curato eccessivamente, e sai il
perché?
Sasuke ora lo stava guardando, apatico, ma Kiba ci leggeva
dell’interesse nei suoi occhi.
-Perché ogni volta che facevo qualche passo in avanti, lui
voleva sempre di più. Ho capito che per quanto potessi
farcela, non sarebbe mai stato contento. Alla fine c’ho
rinunciato. Ora sono contento delle piccole vittorie che faccio.
Quindi, sì, so come ti senti…
Abbassò lo sguardo, il moro e poi annuì.
E Kiba capì che quello era il suo ringraziamento per averlo
tirato su di morale.
-Andiamo a mangiare un po’ di carne secca?
Propose, contento.
Sasuke lo fissò schifato.
-Come fai a mangiare quella roba…
-Bhe? A te piacciono i pomodori quasi da tutte le parti…
Obiettò il castano, facendogli una linguaccia.
Sasuke ghignò, scuotendo il capo e poi fece gesto di
seguirlo e Kiba, contento, scodinzolò dietro di lui.
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Capitolo 7 *** Supplica ***
-Mia
signora… mi dispiace, ma vostro figlio sta
morendo…
Mormorò il
demone, porgendosi in un inchino davanti alla regina dei demoni.
Un lamento che fece
piegare anche il cuore più duro si sparse per il bosco nero,
e gli animali, sentendo quel pianto doloroso, piegarono il capo.
-Com’è
potuto accadere…
Ringhiò,
distruggendo con una zampata un’ albero accanto al suo corpo.
Il demone minore
scostò lo sguardo, fissando da un’altra parte, e
schiacciò le orecchie pelose sul capo.
-Non -
-Taci! Portami da lui.
Il suo corpo
tremò, ma annuì ubbidiente e si recò
nelle profondità del bosco.
La notte li
circondò, e la Regina si piegò appena quando la
caverna si presentò davanti a lei, grande, fredda e buia.
Entrando, le luci lievi
delle candele illuminavano le pareti umidi, e un corpo.
Il giovane, figlio di
uno dei demoni più forti, giaceva esamine su una lastra di
pietra, coperto da una pelliccia di visone per farlo riscaldare.
La madre si
avvicinò al figlio e allungò una mano verso di
lui e quando sfiorò la guancia, le palpebre del ragazzo
tremarono e occhi liquidi la puntarono.
-…
dov’è… Mad…
La madre
cercò di non stringere i pungi, cercando di celare la rabbia
che gli scuoteva il corpo e la mente.
-E’ morto.
Sibilò,
sputando veleno su quel nome che aveva maledetto il figlio.
Il ragazzo biondo
tremò, scosso dal dolore e poi tossì del sangue.
Le lacrime rosse
calarono dagli occhi, procurandogli altro dolore per quel sentimento
che non era permesso nella loro razza, punendolo per
quell’amore che non avrebbe mai dovuto nascere.
La madre fu subito
accanto a lui, allarmata così come il dottore.
Ma il dolore era troppo
forte per quel corpo.
-Mia signora…
la morte lo sta reclamando.
-NO! Non lo
permetterò.
Gridò,
furiosa.
Era stata egoista in
quel frangente.
Terrorizzata dal fatto
che l’anima del figlio si potesse congiungere con quella di
quel’umano.
Accostò una
mano sulla fronte madida di sudore e calda per la febbre del ragazzo e
lo fissò.
-Dormi.
Sussurrò, poi
sul biondo calò l’oscurità di una
non-morte.
Il suo corpo si
tramutò, diventando in un fascio di luce una spada.
Intorno ad essa, otto
perle blu brillarono.
-Disfati di queste.
Ordinò,
ferrea, mentre con cura prendeva tra le mani l’arma.
Il servo la
fissò, e cercò di parlare, ma non lo fece e
annuì, inchinandosi.
***
Sasuke sbuffò, e poi seguì i compagni dopo una
missione.
-Che diamine di missione era?! Prendere il maialino
dell’infermiera… che cavolo.
Brontolò il castano, arricciando le labbra in disappunto.
Kakashi ridacchiò davanti ai suoi tre allievi e si
voltò appena, in mano, aperto, un libricino.
-Su via… l’importante è che abbiate
concluso la missione con successo.
Spiegò benevole, arricciando gli occhi in un espressione
divertita.
Kiba sbuffò.
Il maialino camminava tranquillo, sculettando dietro a Sasuke che con
una corda lo teneva stretto a sé per non farlo fuggire
ancora.
-Se non fosse stato per te… avremmo finito prima.
Sbraitò Karin, aggiustandosi gli occhiali come era solita
fare, guardando male Kiba che sussultò e si voltò
furente verso di lei.
-Che vorresti dire… pomodoro.
La prese in giro.
La ragazza gonfiò le guancie, mandandogli uno sguardo di
fuoco che fece tremare il ragazzo.
Semplicemente, Sasuke allungò il passo, mettendosi accanto
al maestro, mentre dietro di lui i due suoi compagni di team litigavano
come forsennati.
-Che pazienza con quei due…
Mormorò divertito l’uomo, fissando i ragazzi sopra
alla spalla, giusto qualche secondo.
Sasuke si scrollò le spalle, come a togliersi un peso e
mugugnò qualcosa e Kakashi si trovò a scuotere la
testa divertito e sconsolato.
Anche se la maggior parte del tempo i ragazzi litigavano, specialmente
quei due, non avrebbe mai cambiato la sua squadra.
Quei giovani erano destinati a grandi cose, e lui ne era sicuro.
Gli avrebbe insegnato con pazienza e caparbietà
l’importanza del lavoro di squadra e il rispetto per il
proprio buki.
L’unica cosa che ancora lo lasciava perplesso, era la spada
di Sasuke, che il giovane aveva smesso di portare con sé.
-La tua arma?
Domandò.
Sasuke alzò il viso verso l’uomo e lo
fissò, per poi riportare la sua attenzione davanti a
sé.
-In camera.
-Dovresti portarla sempre con te…
-Ora ho questa.
Rispose stizzito, guardando sbiecamente l’uomo.
-Non è un buki.
La spada che Sasuke aveva ancorata alla schiena gli era stata mandata
dal padre, sotto consiglio di Itachi. Così avrebbe potuto
allenarsi, per quando avrebbe risvegliato l’anima della spada.
Aveva provato a guardare nelle biblioteche qualche risposta sulla
spada, qualche storia che la riguardasse, ma era come se non fosse mai
esistita.
Gli altri buki, ogni tanto lo guardavano, parlottando con i propri
padroni e ogni volta l’odio e la rabbia cominciavano a
crescere in lui.
Loro sapevano qualcosa, ma nessuno era così coraggioso da
parlargli.
Itachi poi sembrava sempre deviare il discorso ed era una cosa che non
sopportava.
Sbuffò.
-Non importa.
***
Si è perso in un profondo sonno invernale e non riesce a
trovare l’uscita da solo.
Il kimono bianco gli avvolge il corpo, le mani vengono nascoste dalle
lunghe maniche, dove il sottokimono rosso si intravede svolazzando
nell’aria, mischiandosi col sangue.
L’obi color rosso è avvolto in due giri, e il
resto del tessuto svolazza in quella bolla di oscurità.
È come se il suo corpo emanasse luce propria, illuminandolo.
Le catene gli lambiscono le membra, tenendolo imprigionato e non si
riescono a spezzare.
Le palpebre, che per anni erano rimaste immobili tremano appena.
I pugni si stringono.
Aiutami.
***
Svegliami.
Sasuke si strofina stancamente gli occhi mentre con passo pesante si
dirige verso il dormitorio.
È stanco, ma non per via della missione.
Una strana stanchezza gli avvolge il corpo e si ritrova ad appoggiarsi
al muro, ansimando pesantemente.
Quel lamento disperato gli alleggia ancora in testa, sempre
più triste, sempre più terrorizzato.
Qualcuno lo sta chiamando, il suo corpo lo sa, ma la sua mente ancora
non lo accetta.
È per quello che non riesco a richiamarlo, pensa, stringendo
le palpebre.
Entra in camera e quando accende la luce, sgrana gli occhi.
-Che ci fai qui?
Avanza minaccioso, con gli occhi furenti verso il ragazzo.
Questo si gira, fissandolo con aria di superiorità.
Al suolo accanto a lui, la spada.
Il ragazzo non lo degna di una risposta e lo sorpassa con una spallata
che lo fa barcollare.
-Che cazzo fai nella mia stanza??
Urla furioso, afferrando il buki di suo fratello per un braccio.
Questo ringhia, strattonando, e si volta verso Sasuke con aria
minacciosa.
-Ti manda Itachi?
Domanda.
Un ghigno sadico nasce sulle labbra del giovane e Sasuke assottiglia lo
sguardo.
-Non sei degno di quel potere…
Sputa, per poi andarsene.
Sasuke non riesce a ribattere, perché non saprebbe cosa
dire. La porta sbatte mentre lui stringe i pugni, fissando, con lo
sharingan che gli brucia nelle iridi, la superficie legnosa.
Furente si volta verso la spada, la raccoglie e con forza cerca di
sfilarla, urla, la fa volare per la stanza.
Ma niente.
Rimane sigillata.
-Svegliati.
Mormora.
Lo sguardo rosso fisso sull’arma ai suoi piedi.
Odio.
-Svegliati.
La voce è più alta, quasi disperata.
-SVEGLIATI.
Urla con tutta la voce, cadendo sulle ginocchia afferrando la spada,
cercando di sfoderarla.
Ma alle braccia gli manca la forza, la convinzione di poter vincere
quella battaglia dove lui non sa ancora le regole.
-… ti prego…
Sussurra all’oscurità, strizzando gli occhi.
Quando una lacrime gli rotola sulla guancia, scivolando sotto il mento
e infrangendosi sulla fodera, la lama scatta appena, come una crepa e
Sasuke spalanca gli occhi.
Ci riprova, ma la spada non esce.
Eppure, l’aveva sentita scattare, ne è sicuro.
Si porta l’arma ancora più vicino, strofinandosi
gli occhi con la manica della maglia per togliere la platina delle
lacrime non versate.
E poi lo vede.
La lama appena accennata. Il manico staccato di un’unghia dal
fodero.
Cosa aveva pensato quando la voleva estrarre?
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