Soul- l'unione tra le anime

di Aoimoku_kitsune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prescelto ***
Capitolo 3: *** Strada ***
Capitolo 4: *** La spada ***
Capitolo 5: *** La Shibusen ***
Capitolo 6: *** Amico ***
Capitolo 7: *** Supplica ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


SOUL

Prologo.

Un’anima forte risiede in un corpo
forte e in una mente forte.

-Soul Eater- Atsushi Ohkubo

Con sguardo stanco e vitreo, fissava il campo di battaglia intorno a se. Corpi mutilati, armi e la vecchia natura distrutta, resa polvere, lo circondavano, facendogli provare un senso di nausea. Un mugugno gli fece abbassare gli occhi, e uno sguardo freddo, pronto alla morte, azzurro come l’acqua, lo ricambiò.
Il corpo del giovane, avvolto in un kimono, era attraversato da graffi e ferite profonde dalle quali il sangue usciva lento, macchiando di scuro la terra sottostante. Il moro deglutì e sul suo volto comparì il panico.
La testa del ragazzo morente era appoggiata sulle sue cosce, e i capelli corti e biondi, macchiati di rosso e terra, erano sparpagliati intorno a quel viso amato e dolce. Un piccolo sorriso solcò quelle labbra pallide, ma che sempre per lui erano state di un tenue color pesca e il moro si sentì morire.
Le innumerevoli battaglie non lo avevano mai scalfito. Le persone non erano mai riuscite a passare oltre la sua maschera di freddezza e odio. Solo lui. Quel piccolo, dolce ma forte ragazzo lo aveva accolto tra le sue braccia. Lo aveva conosciuto per quello che era e non per il simbolo che portava fieramente sulla schiena.
L’uomo si abbassò sul suo viso, ormai anche lui pronto alla morte, e appoggiò le labbra screpolate e insanguinate a quella dell’amante che spirò tra le sue braccia, cominciando a scomparire lento, dissolvendosi davanti ai suoi occhi vuoti e spenti.
Il corpo del biondo s’illuminò, poi cominciò a dissolversi in tante luci bianche e il cielo nuvolo sopra alle loro teste si squarciò e la luce salì verso il cielo, prendendo forma di una croce stilizzata e tremolante.
Alzò il viso contratto di dolore e fissò il cielo ombrarsi, diventando nero, scaricando tutta la pioggia e coprendo le sue lacrime.
Il dolore lo inghiottì e il buio lo avvolse mentre precipitava nel sonno eterno.



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Capitolo 2
*** Prescelto ***





Capitolo uno

Prescelto

Ti cercherò finché le mie braccia
non avvolgeranno ancora il tuo corpo.

Sasuke era stufo di aspettare e si stava annoiando.
Non gli piaceva più la recita in cui la madre lo aveva portato a forza, solo per osservare tutti, compreso lui incappucciato, a mormorare qualcosa che lui non capiva. Sbuffò, mettendo un broncio infantile e si portò le braccia al petto, indispettito.
Lui voleva essere a casa a giocare con il suo Aniki, invece Itachi, con i suoi cugini più grandi e qualche amico, stavano in piedi su quell’altare, ritti e in silenzio con delle cappe in testa e delle maschere androgine e senza volto, rendendoli irriconoscibili.
-Sasuke per favore, non sbuffare. Stai disturbando gli altri.
Lo ammonì la madre, guardandolo severamente ma non una nota dolce nello sguardo nero.
-Ma Kaa-san, mi sto annoiando. Voglio andare a giocare con aniki.
Borbottò, fissando la madre che sospirò divertita. La donna si abbassò verso il figlio di otto anni, appoggiandogli una mano sul capo.
-Dopo Itachi ci rimane male, se non segui la sua recita. E poi dovrai farla anche tu, quando avrai la sua età.
Rispose la donna sorridendo amabilmente. Sasuke storse il naso, annuendo e borbottando indignazioni su indignazioni si voltò verso il palco, dove l’anziano dei saggi saliva verso i giovani.
-Come ogni generazione, anche in questa cercheremo un buon membro che potrà conquistare il potere dell’antica spada, appartenuta al nostro fondatore. Madara Uchiha.
In molti trattennero il fiato a quel nome pieno di potere.
Mentre l’uomo parlava dell’antica storia del grande guerriero, Sasuke seguì con interesse l’entrata in scena del baule sacro.
Sasuke vide come quattro uomini trasportavano una cassa in ferro, incatenata con sigilli e catene. Curioso, chiamò la madre tirandogli la veste scura, facendole capire che non vedeva bene. La madre lo prese in braccio, sorridendo e poi riportò la sua attenzione sul palco.
-… Milla anni sono passati, da quando la sacra spada è stata impugnata. Appartenuta prima al signore dei demoni, Madara la conquistò, usandola per sconfiggere l’esercito nemico nella prima e seconda guerra, dove perse la vita.
L’anziano scosse impercettibilmente la testa, e i quattro ragazzi annuirono, inchinandosi verso di lui e poi cominciarono a rompere i sigilli.
Nell’aria si cominciava a respirare un’aria pesante.
Sasuke si sentiva eccitato, non sapendone il motivo, quando le catene vennero spezzate.
L’aria divenne rarefatta, elettrica e pesante, e la cassa si aprì con uno scatto.
Il vecchio avanzò cauto, facendo gesto ai giovani di aprire la cassa e poi  guardò al suo interno.
 Le Koshirae della katana erano rifinite a mano, perfette nel loro stile particolare.
La tsuba metallica, posta tra il manico e la lama per proteggere le mani, era ovale, con intrecci raffinati e ricercati e in essa vi erano incastonate nove pietre nere onice.
L’impugnatura in legno era ricoperta di pelle si same, rivestita con una fettuccia di tsuka-ito scura, atta a migliorare la presa ed assorbire il sudore; tra i vari intrecci dello tsukaito, trovavano posto i menuki (fuchi e kashira), due piccole decorazioni in metallo inserite tra gli avvolgimenti dello tsukaito, una da un lato e una dall’altro.
Il saya, in legno di magnolia laccato, nascondeva la lama lunga 60 centimetri, rifinito da koiguchi e kojiri; il primo fatto di corno di bufalo mentre il secondo in metallo e venivano applicate rispettivamente all’imboccatura del fodero e all’estremità opposta.
Applicato al fodero a circa un palmo dal koiguchi, c’era il kurikata, un anello in corno, per far passate il sageo, fettuccia di cotono intrecciata, utilizzato per fissare il fodero alla cintura.
All’improvviso la spada tremò e un’ondata di potere scoppiò dalla cassa e Sasuke si sentì strano.
Il terreno cominciò a tremare e le persone spaventate cominciarono a urlare e spingere verso l’uscita.
Il tetto e i muri cominciarono a crepare e in tutto quel casino, Mikoto perse la mano del figlio.
Sasuke impaurito, si attaccò al muro, storcendo le labbra per non piangere e nascondendo i singhiozzi, spalancando gli occhi.
Poi un boato e il tetto cominciò a crollare.
Tutti urlavano, i bambini più piccoli piangevano e le guardie strillavano di mantenere la calma.
In pochi secondi il caos si fece largo tra di loro.
Mikoto urlava il nome del figlio, anche quando il marito e Itachi la affiancarono fuori dall’edificio.
-Madre?
-Sasuke… Sasuke è ancora lì dentro. Fugaku fa qualcosa.
La voce di Mikoto era straziata dal dolore e dalla paura e sul viso dell’uomo spuntò il panico e l’orrore, sentendo quelle parole.
Itachi spalancò gli occhi, fissando l’edificio e poi scattò verso di esso, ma quando fu abbastanza vicino, nello stesso momento in cui il padre lo acchiappò e lo protesse con il suo corpo, il tetto del tempio crollò.
Mikoto urlò.
Un urlo straziante che fece gelare il cuore dei presenti e corse verso le macerie, venendo trattenuta poi dai fratelli di Fugaku.
Il marito invece, con una smorfia contrita, tratteneva Itachi che piangeva, singhiozzando, urlando il nome del fratello.

Sasuke aprì le palpebre lentamente dopo che le aveva chiuse quando il tetto era crollato sulla sua testa , e con sguardo opaco e perplesso fissò davanti a se.
Una barriera azzurrina vorticava intorno al suo corpo e disintegrava le macerie che ancora cadeva, proteggendolo.
Poi si guardò le mani, spalancando gli occhi quando tra le dita vide una spada che si illuminava di una luce chiara.

Non aver paura, piccolo Uchiha.

Quella voce lo cullò come quando sentiva quella della madre e annuì al nulla. Voleva parlare, chiedere chi fosse, ma si sentiva stanco e spossato.

Gli uomini cominciarono fin da subito a togliere i detriti, spostandolo, per aprirsi un varco per il tempio.
Mikoto era circondata da madri che provavano a consolarla, dalla sorella che piangeva con lei per la perdita di un familiare.
Itachi strinse le labbra, gemendo di dolore quando si tagliò ancora e si ruppe un unghia.
Non importava.
L’unica cosa che nella sua mente vorticava impazzita era il nome di Sasuke.
Poi una scossa si assestamento li mise in guardia e arretrarono, e il cielo sopra di loro si aprì.
Spaventati e sorpresi guardando come le macerie si alzavano dal centro, spostando e una luce chiara si alzava verso il cielo.
Mikoto spalancò gli occhi, divincolandosi dagli abbracci e corse verso il tempio.
-Sasukeeeee…
Strillò.
In mezzo alla luce, il bambino era ritto, con la testa verso il basso e ricoperto di polvere. Al petto, stretta, c’era la spada.
Itachi corse verso il fratello, quando la luce si dissolse verso il cielo, sfocando lenta e lo afferrò prima che cadesse in avanti, svenuto.
Con un tonfo sordo la spada vibrò al suolo, mentre le urla e le benedizioni facevano da sottofondo alla riconciliazione di quella famiglia.
Il vecchio saggio guardò l’arma, poi il piccolo bambino e storse il naso, pensoso.
E così hai scelto quel bambino. Perche?

***

Glossario

Koshirae: insieme delle rifiniture che compongono la katana.

Tsuba: elsa.

Same: pelle di razza.

tsuka-ito: pelle intrecciata.

Saya: fodero.


Qualche giorno fa ho pubblicato il prologo senza una sensata spiegazione… eheheh… dimenticata, scusate ^^
Coomunqueee…

Shokunin significa Maestri d’armi. Si dividono in tre categorie. Avete presente Harry Potter, in cui i maghi si dividono in tre “specie”, ebbene è simile. Avremo gli umani, ragazzi nati con la capacità di vedere gli spiriti maligni e usare un Buki.
Poi ci sono i mezzo sangue, mezzi umani e sangue puro, diciamo così. Che possono accedere alla scuola per migliorare i loro poteri e di poter maneggiare il Buki che si tramanda da genitore a figlio.
A finire, ci sono i sangue puro, appartenenti ad antichi clan. Tra questi, ci saranno gli Uzumaki, Uchiha, Hyuga e qualcun altro se mi verrà in mento.

Cosa sono i Buki?
Sono spiriti, che si possono trasformare in armi da combattimento.
Possiedono vari poteri.
Si presentano sotto forma di umani, e studiano con il proprio compagno le lezioni della scuola e si allenano con il maestro per essere compatibili il più possibile tra loro.

Apparentemente questa storia è nata, guardano l’animazione, Soul eater, che io ho trovato bella, avventurosa e divertente.
Sarà diversa dal’anime. In prestito, diciamo, ho preso il nome della scuola, Shibusen, e la cosa di Buki e Shokunin. Poi più avanti ci sarà qualche ideuzza rubata da Inuyasha.
Del resto è una storia a parte.

Spiegazione sui generi che ho messo.

Violenza: non ci saranno violenze sessuali, tranquille. L’ho messo perché fondamentalmente i protagonisti combatteranno 3 capitoli si e tre righe no, perciò mi sembrava giusto avvisare.

Rating: ero indecisa tra arancione e rosso. Lemon o qual si voglia scena ci sono ma non sono spiegate accuratamente. Non ho voglia di scriverle ^_^, sono tanto sfaticata…
Per ora ho messo arancione ma forse, dai, l’ho farò salire.

Spoiler: ci saranno degli spoiler sul manga, che partiranno circa dalla metà della storia, fino alla fine. Non vi anticipo nulla, non voglio rovinarvi la sorpresa.

Mha, direi che ho finito, per qualsiasi dubbio chiedete. 

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Capitolo 3
*** Strada ***


Sto aggiornando più storie che posso. Quando ho il bollino rosso, e sto male, mi devo tenere occupata, perciò comincio a scrivere.
Come avrete visto i capitoli sono corti. i vengono così, mha! Vaa bhe!!
Ringrazio a chi ha recensito la storia e chi la segue.
Un bacio e buona lettura.

 Capitolo tre


Strada

 Mikoto accarezzò i capelli del figlio, sospirando rumorosamente e pesantemente.
Sasuke era steso sul suo futon, una pezza sulla fronte umida a rinfrescargli la pelle bollente.
La donna respirò ancora, alzandosi con eleganze e si pulì il kimono.
-Mi raccomando, se si sveglia, chiamami.
Mormorò alla donna dall’altro capo del letto che annuì, piegandosi in avanti in un profondo inchino, sfiorando con la fronte il legno del tatami.
Mikoto lanciò uno sguardo al figlio e poi abbandonò la camera, chiudendosi dietro di lei il pannello in carta di riso e legno e con passo leggero si incamminò per il corridoio, nel salone centrale della villa.
Seduti, trovò il marito e il consiglio degli anziani e quando entrò nella stanza, gli uomini la guardarono, inchinando il capo appena. Fugaku la fissò, indicandogli il posto accanto a lui con lo sguardo.
Mikoto si inchinò agli uomini e poi si sedette sulle ginocchia, spostando le gambe di lato, appoggiandosi su un gluteo.
-Mikoto San, come sta vostro figlio?
Domandò il capo degli anziani.
Mikoto sospirò impercettibilmente, tormentandosi le mani sotto il tavolo.
-A qualche linea di febbre per via della stanchezza, sta riposando. Grazie per l’interessamento.
Rispose cordiale, chinando lo sguardo.
L’uomo annuì, richiamando l’attenzione del padrone di casa.
-Fugaku San, la spada ha scelto il vostro secondogenito, sa cosa significa questo?!
L’uomo storce il naso, annuendo serio e le palpebre si assottigliarono.
-Dovrà frequentare la Shibusen.
Continuò l’uomo.
Mikoto si morse un labbro, abbassando il capo.
Avevano scelto Itachi, all’inizio, perché si era mostrato fin da subito forte, attento e un buon guerriero. Per Sasuke, Mikoto voleva una vita diversa, più tranquilla e serena.
Sasuke era un bambino vivace e pieno di vita e la donna non avrebbe amato vederlo sempre serio.
Fugaku le appoggiò una mano sulla gamba, nascosta da occhi indiscreti e la strizzò appena.
Mikoto sorrise interiormente alla premura di quell’uomo che fuori dalla loro camera da letto sembrava brusco e freddo.
Era proprio uno tsundere.
-Siamo consapevoli che è ancora piccolo, ma visto che a questa età ancora non ha risvegliato in se alcun potere, dovremmo addestrarlo al meglio.
Cominciò un altro uomo, posando il bicchiere di sakè sul tavolino basso.
-… proponevo un membro del consiglio, per accelerare i tempi.
La mascella di Fugaku tremò appena e il suo sguardo si indurì.
Poi la porta venne aperta, mostrano Itachi in piedi che avanzò, inginocchiandosi davanti a loro e si inchinò profondamente.
-Vorrei allenare io, Sasuke Uchiha.
Proruppe, alzando lo sguardo nero e puntandolo sugli uomini che cominciarono a borbottare.

In una camera oscura, la spada demoniaca vibrava sinistra, pulsando il suo potere.
Sasuke si tese, cominciando a respirare pesantemente mentre le pupille sotto lo strato di pelle delle palpebre cominciò a tremare.

Maestosa, una volpe a nove code combatteva ringhiando contro un uomo, davanti a lei.
L’animale mosse le code, distruggendo la natura intorno e puntò i suoi occhi rossi su quelli altrettanto rossi dell’uomo che ghignò, sguainando una spada.
La volpe ringhiò e poi si tuffò sull’avversario.

Sasuke spalancò gli occhi, fissando il soffitto della sua camera per un tempo indefinito, sentendosi accaldato e sudato.
Stizzito si scostò le coperte, e la leggera aria che produssero gli portò freschezza nella pelle sudata e calda.
Sospirando si alzò da letto e si sgranchì le ossa, strofinandosi gli occhi e poi si incamminò nel bagno, deciso a farsi un doccia per sciogliere i  muscoli e rinfrescarsi.
Quei sogni lo confondevano sempre ed, essendo un tipo molto silenzioso e sulle sue, non aveva detto niente a nessuno, eppure percepiva qualcosa, quando intravedeva quella battaglia che tanto gli ricordava quella di Madara.
Scuotendo il capo per svegliarsi, entrò nella doccia moderna di camera sua. Se solo pensava che qualche anni fa era in stile giapponese, come una volta, si metteva le mani nei capelli. Era bello e tutto, anzi, faceva il suo effetto, ma era tremendamente scomodo.
Sbuffando, tremò quando l’acqua fresca gli scivolò sul corpo, e con una spugna e del bagnoschiuma cominciò ad insaponarsi, pronto per la giornata e per un nuovo allenamento pomeridiano con il fratello.
Ancora non capiva perché dovesse allenarsi anche lui. Era consapevole che il secondogenito non avrebbe dovuto studiare per diventare un Shokunin.
Molti suoi cugini andavano in una normale scuola, e anche lui, fino all’età di otto anni, andava una comune scuola in centro.
Dopo dieci anni, ancora non aveva avuto risposta, del fatto che lo stessero allenando, ma a lui era indifferente, alla fine di tutto.
Se serviva ad aiutare qualcuno, lui lo avrebbe fatto con piacere.
All’età di otto anni, il suo sogno era quello di diventare dottore, ma ormai era troppo lontano dalla normalità, per avverarlo.

-Buongiorno.
Mormorò senza tono, salutando la madre in cucina che si voltò appena, sorridendo al figlio ormai uomo.
Sasuke in quegli anni si era alzato, raggiungendo il metro e ottantatre, e il suo corpo, per via degli allenamenti, aveva sviluppato una serie di muscoli sottili, non troppo ingombranti.
Le gambe toniche e lunghe, uscivano dallo yukata scuro, fermo in vita da un nastro in cotone nero.
Sasuke avanzò, sedendosi a tavola e sbadigliò.
Si sentiva stanco.
Gli esercizi erano sempre più aumentati, soprattutto in quell’ultimo mese e il fratello, quando combattevano insieme, attaccava per uccidere e non per giocare.
Che fosse finalmente arrivato alla fine?
La ciotola di miso e di latte di soia lo svegliò dalla sua trans, e ringraziò la donna con un mite sorriso, ricambiato da uno più ampio della madre, che gli scompigliò i capelli con affetto.
-Tuo padre ti vorrebbe parlare. Dopo mangiato e vestito presentati nel suo studio.
Sasuke annuì pensoso, fissando in tralice la madre che scompariva in cucina.

Sasuke si sentiva sempre un po’ più oppresso quando si trovava nello studio del padre.
Quando poi l’uomo era girato di schiena, e fissava il giardino, non era mai buone notizie, almeno per lui.
-… Ormai hai 17 anni.
Lo so.
Sasuke si mosse appena, spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro.
-Itachi ha iniziato solo quattro anni fa la Shibusen, perché era occupato ad allenarti a dovere…
Il ragazzo corruccio le sopracciglia nere.
Dove vuole andare a parare.
L’uomo si voltò, e sul suo viso comparì un’espressione seria.
-E’ giunto il momento che anche tu inizi a frequentare l’istituto e per farlo…
L’esitazione nella voce di quell’uomo fece irrigidire il figlio.
Fugaku scostò lo sguardo, puntandolo sulla scrivania e poi ritornò a guardare il ragazzo.
-… dovrai possedere un Buki.
Ora veramente non capiva, Sasuke. L’unico Buki di famiglia, era nelle mani di Itachi.
Non vorrà farmi combattere contro mio fratello, giusto per farmi capire che non sono alla sua altezza… come sempre.
Lo sguardo di Sasuke si incupì.
-So cosa stai pensando…
La voce del padre sembrò anche più dolce del solito.
-… vieni.
Disse l’uomo, facendogli gesto di seguirlo e così fece Sasuke, quasi scoperto da quello sguardo nero, che lo guardava con una punta d’orgoglio.
Sapeva che il padre, in un modo contorto, gli voleva bene, ma sapeva anche che al centro dei suoi pensieri c’era sempre il fenomeno del clan, Itachi.
Che poteva farci, Sasuke, se il colpire fantasmi e demoni con un arma, non gli interessava più di tanto?
Seguì la schiena del padre, finché non attraversarono il lungo corridoio della villa e si fermarono davanti ad un piccolo tempio, che, strano ma vero, non aveva mai colto la struttura.
Fugaku aprì la porta, e Sasuke sentì l’aria pesante provenire da quella stanza, che gli fece provare delle strane sensazioni. Prima tra queste, una paura incondizionata.
L’uomo gli afferrò una spalla, affiancandoselo a se, e portò il figlio davanti ad un piccolo altare, dove incatenata c’era una spada bellissima.
Quella spada gli solleticò dei ricordi sopiti e confusi, e il sogno che ogni notte, dall’età di otto anni, non faceva altro che sognare.
-Questa è la tsunagary, il tuo Buki.


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Capitolo 4
*** La spada ***


Capitolo 4.

La spada

Quelle parole gli riverberano in testa, e si sentì quasi svenire.
Quella spada, di cui non sapeva l’esistenza, sarebbe stata sua?
-Io… non…
Fugaku si avvicinò all’altare, fece dei movimenti con le mani e si posizioni quella destra davanti alle labbra, stretta a pugno con solo l’indice e il medio eretti, poi sussurrò una parola.
Le catene si spezzarono davanti agli occhi increduli di Sasuke e il moro dovette portarsi una mano sul cuore, quando la vera potenza dell’arma vibrò e pulsò in quella stanza, portando uno strano odore di boccioli in fiori.
Aspirò quel profumo a pieni polmoni, e gli girò la testa, per quelle noti dolce e spezziate.
Il padre, con reverenza e delicatezza, afferrò tra le mani la katana, e poi si voltò verso il figlio.
-Questa, Sasuke, è la spada della leggenda, appartenuta a Madara Uchiha quando era in vita.

Madara saltò da un ramo all’altro, scappando e deviando con il suo ventaglio le lingue di fuoco che il re dei demoni gli mandava contro.
Si voltò, verso di lui, con sguardo freddo e autoritario e quando arrivò in una vallata, partì all’attaccò, rimandando, con un fendente che squarciò l’aria, il fuoco scagliatogli contro.
Il demone volpe ringhiò, indietreggiando di qualche metro.
- Dammelo… non ti appartiene e mai sarà tuo.
Urlò, mostrando i canini. Le folte code, nove in tutto, svolazzarono dietro di lui, distruggendo il bosco e portando il caos.
Madara strinse la presa contro l’arma ancorata saldamente al suo fianco, quasi a protezione dalla stessa furia della volpe.
-Non osare portarmelo via.
Aggiunse il demone, fissando con disgusto la scena.
Madara si accigliò, indietreggiando e muovendo il ventaglio davanti a se.
-Mi hai negato la sua compagnia già da troppo tempo, e questo non te lo perdonerò mai, demone.
La volpe ringhiò, partendo all’attacco, e quello che ci fu dopo, fu solo caos e distruzione.

-… Madara conquistò la spada, uccidendo il demone. Si narra che abbia poteri inimmaginabili e che se usati male, porterebbero alla distruzione del mondo.
L’uomo prese fiato dal racconto, porgendo la katana verso il figlio.
-Ha scelto te, e adesso ti appartiene, Sasuke Uchiha, Shokunin di Tsunagary.
Commosso, perché diamine, quelle parole gli avevano riempito il cuore, afferrò con mani tremanti l’arma, sentendo un brivido e una scarica elettrica attraversargli il corpo e fermarsi negli occhi neri che si screziarono di pochi secondi di rosso.
-Non vi deluderò, padre.
Mormorò, fissando la katana.
-So che non lo farai.
Rispose l’uomo, appoggiando e strizzando appena, la mano sulla spalla del figlio, in un moto di conforto e per dargli un po’ di coraggio.
-Ti insegnerò a richiamarlo.
Mormorò serio il padre, uscendo dal santuario.
Sasuke lo seguì, quasi contento, come da bambino quando riceveva il più bel regalo del mondo, e si fermò nel campo di addestramento che per nove anni aveva accolto i suo pianti, il sudore e il sangue.
Fugaku sparì dentro al dojo e ne uscì con una katana.
Si mise in posizione di attacco e aspettò che il figlio fece lo stesso.
Sasuke si fece serio e poi afferrò il manico raffinato della katana e il fodero e tirò, cercando di sfilarla, ma vani furono i suoi sforzi.
Alzò appena gli occhi sul padre e poi ci riprovò, con più convinzione e più forza, ma il risultato fu lo stesso.
-Padre… non… non ci riesco.
Disse stupito, guardandosi l’arma tra le mani.
Fugaku sembrò accigliarsi e si avvicinò al figlio, fissandolo dall’alto.
Non è ancora pronto? Impossibile. Ha già richiamato lo sharingan.
Fugaku assottigliò lo sguardo e poi respirò lentamente e pesantemente.
-Entriamo.
Disse burbero, rifoderando la sua katana e avviandosi in casa, lasciando di sasso Sasuke in mezzo al campo.
Il moro sbuffò, e la katana vibrò appena sotto le sue dita affusolate.
Spazientito e con la spada in mano, seguì il padre, mentre l’aria dietro di lui alzava le foglie e rinfrescava la giornata.

***

-… tu mi appartieni.
Sibilò il moro, afferrando con irruente forza i capelli del biondo.
Il ragazzo chinò lo sguardo, spaventato e confuso e il viso del moro si addolcì, e gli si formò un’espressione dispiaciuta.
L abbracciò, e trasformò la violenza in dolce carezze.
-Scusami, ma sono impazzito senza di te.
Mormorò lentamente, sul capo del ragazzo che gli abbracciò forte il torace, singhiozzando.
-Koishitero…
Mormorò piangendo lacrime di sangue il biondo, affondando nel petto grande muscoloso del moro, appendendosi a lui, inebriandosi di quel calore che gli era stato negato.

***

-… affascinante.
Mormorò un anziano, dopo il racconto di Fugaku, davanti a lui. Sasuke, chinato al suolo, e con la spada di fianco, ascoltava in silenzio la strada che avrebbe preso la sua vita, d’ora in poi.
-Sicuramente alla Shibusen imparerà a richiamare lo spirito del Buki. Molti hanno qualche difficoltà all’inizio. La spada dovrà fidarsi di suo figlio, Fugaku San.
Lo calmò l’unica anziana del gruppo, sorridendo mite all’uomo che si inchinò, ringraziandola con lo sguardo.
-Penso che questo sia tutto.
Iniziò l’anziano di prima.
-… domani, Sasuke Uchiha verrà accompagnato alla Shibusen, dove apprenderà al meglio la tecnica di Maestro d’armi… dove imparerà a maneggiare con maestria il suo Buki.
Il capo famiglia si inchinò, sfiorando la fronte contro il tatami e poi si alzò, così come fece il figlio, e sparirono oltre la porta, diretti verso casa.
Sasuke seguì il padre con sguardo basso, e la spada stretta la petto.

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Se c'è ancora qualcuno che segue questa storia, si inizia già a capire qualcosina sulla spada magica... Nel prossimo chappy, Sasuke entrerà finalmente dell'istituto dove farà tante amicizie, e dove farà un incontro che gli sconvolgerà l'esistenza. Spero tanto che seguirete la storia con passione, un bacio a chi legge e chi recensisce.
Grazie. <3




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Capitolo 5
*** La Shibusen ***




Capitolo 5

La Shibusen

-Rosso scarlatto, agitato.
Ti ho incontrato alla fine del mio sogno.
Il destino è cominciato a muoversi.
Un segreto che nessuna sa, si rivela.
Ormai non posso tornare, nonostante abbia impresso il mio peccato nel tuo cuore.

***

Senza neanche dirlo, Sasuke Uchiha era agitato.
Il cuore, da quella mattina, aveva cominciato a muoversi sempre più veloce, pompando tanto di quel sangue, che si sentiva svenire.
Il pomo d’Adamo non faceva altro che muoversi lento, in un sali e scendi nervoso.
La macchina si muoveva tra le strade della città di Tokio e alcuni passanti, incuriositi, si fermavano per fissare quell’autovettura nera, tirata a lucido.
Di fianco a lui, Itachi guardava il paesaggio all’esterno del finestrino.
Si domandava se anche Itachi, il primo giorno di scuola, fosse così agitato, come lo era lui ora. Se sentiva il suore battere così forte, da poter spezzare la gabbia toracica.
Aveva tante domande, ma non ne espresse neanche una, mordendosi la guancia.
Kami, quanto era agitato.
Itachi si voltò verso il fratellino, fissandolo e sorrise appena, trovandolo più pallido del solito e con le palpebre più aperte.
Sasuke era agitato, e Itachi lo sapeva.
Non l’avrebbe mai ammesso apertamente, ma anche lui, la prima volta che era stato accompagnato verso la scuola, era stato agitato per tutto il tragitto, sentendo l’adrenalina girare velocemente nel suo corpo.
Non si sera calmato, quando aveva visto l’imponente struttura.
-Respira.
Sussurrò il fratello, guardando per pochi secondi Sasuke e poi voltandosi verso il paesaggio.
Il più piccolo lo fissò, deglutì e annuì, ringraziandolo con lo sguardo e fece un profondo respiro.
E se non sarebbe stato capace di utilizzare il suo buki? Diamine. Se quella stupida spada gli avrebbe fatto fare la figura dello sfigato?
Socchiuse gli occhi e prese un grosso respiro, e poi inspirò, lentamente, ponendosi l’autocontrollo che lo aveva sempre accompagnato.
Quando la macchina si fermò, si ritrovò a deglutire e a spalancare gli occhi, davanti alla maestosa struttura della scuola.
La Shibusen era un grande castello, nel mezzo di Tokyo.
L’intera costruzione era arroccata ed arrampicata sopra un’enorme scogliera di fronte al lago Biwa.
La Shibusen era un castello stile gotico/romantico dalle grandi arcate e torrette.
Sasuke notò che era suddiviso in due parti, quando uscì dall’automobile, e queste erano collegate tra loro da sottili ponti.
Poi un calore gli formò sulla spalla, e si voltò verso il fratello, che gli sorrideva con quel mite sorriso e si calmò, pensando che c’era anche Itachi, nella strada che avrebbe percorso.
Insieme varcarono il cancello principale, e attraversarono il lungo giardino anteriore, arrivando dietro alla massa di ragazzi, che, come lui, avrebbero frequentato il primo anno.
-Buona fortuna, Otoouto.
Gli augurò Itachi, scomparendo nella folla, entrando nell’istituto.
Sasuke respirò e respirò, e si fece coraggio, cercando di trovare una buona posizione per vedere il palco dove lo avrebbero chiamato e smistato in una squadra.
Socchiuse appena gli occhi e poi li spalancò, assottigliandoli poco dopo quando gli arrivò uno spintone da dietro e un ragazzo gli si appoggiò di peso sulla schiena.
-Scusami…
Mormorò il giovane, appoggiando le mani sul corpo di Sasuke, staccandosi.
Il moro si voltò, guardandolo freddamente, con il mento alto.
Il ragazzo davanti a lui ridacchiò imbarazzato e si grattò il capo con una mano, stampandosi sul viso un’espressione ebete.
-Davvero, scusami… ma mi hanno spinto e… bhe… tu eri davanti…
Sasuke ruotò gli occhi al cielo, incrociandosi le mani al petto, schioccando la lingua al palato.
-Mmmm…
Rispose, distaccato, osservando con i suoi occhi neri, il ragazzo davanti a lui.
La zazzera disordinata e castana gli ricadeva sul viso paffuto contorto in un’espressione da idiota.
Gli occhi dorati lo guardavano dispiaciuti e anche divertiti e sotto le palpebre, curioso, Sasuke fissò i tatuaggi a forma di triangoli rovesciati, che finivano appena sotto agli zigomi.
-Comunque piacere, Kiba Inuzuka.
Disse il ragazzo, di punto in bianco, imbarazzato per lo sguardo persistente di Sasuke.
Il moro respirò pesantemente dal naso e allungò un braccio verso il moro, afferrandogli la mano.
-Sasuke Uchiha.
Rispose calmo e Kiba sorrise radioso.
-Diventeremo grandi amici.
Il moro era scettico, ma cercò di non rispondere male a quell’idiota di un ragazzo.
Quando sentirono un colpo di tosse più forte, richiamare la loro attenzione, i due giovani si voltarono verso il palco, dove un signore di mezz’età batteva un dito sul microfono.
Di fianco a lui, si affiancarono altre persone e Sasuke li guardò curioso.
Soprattutto l’uomo con una maschera in pezza, che gli copriva metà volto.
Sbatté le palpebre, quando si rese conto che l’anziano aveva cominciato a parlare.
-… Sarutobi, e sono il preside della scuola. Mi auguro che anche voi tutti  vi troviate bene in queste mura, e che la consideraste come una seconda casa.
L’anziano si schiarì la gola, facendo qualche gesto con il capo e poi iniziò a dividere in gruppi le squadre.
Per ogni maestro, veniva assegnato un gruppo per ogni anno.
A lui fu assegnato Kakashi Hatake, un ex guerriero speciale, che dopo aver perso l’occhio in battaglia, si era indirizzato sulla strada dell’insegnamento.
Era un uomo fondamentalmente tranquillo, mite e con uno strano senso dell’umorismo.
Sasuke lo studiò, quando il maestro gli sorrise sotto la maschera di pezza che gli celava metà volto e poi si voltò versò gli altri compagni.
-Mmm… vediamo. Uchiha…
Kakashi lo puntò, annuendo e borbottando qualcosa.
-… Haruno, giusto?
-Si sensei!
Strillò la ragazza, agitata e imbarazzata.
-… e alla fine… Uzumaki.
Kakashi si voltò, e non vide nessuno.
Corrucciò le sopracciglia e poi una voce fastidiosa e gracchiata gli riverberò in testa.
-Waaaa… Sasuke kun… come sei bello.
La chioma rossa si mosse agitata, mentre la ragazza si strusciava senza pudore su uno sbalordito Sasuke.
Il moro guardava la ragazza con occhi spalancati e, cercando di respirare in quell’abbraccio, lentamente indietreggiava con quel corpo tra le braccia.
-Karin… per favore. Sei o non sei una signorina.
Mormorò divertito il maestro, guadagnandosi un’occhiataccia da Sasuke.
La ragazza, fingendosi imbarazzata, si staccò, ridacchiando.

Seduti su una collina, nel giardino che circondava l’intera scuola,  ragazzi fissavano il maestro spiegare il loro percorso scolastico.
-… la nostra - vostra - prima tappa sarà di richiamare il vostro buki alla perfezione, senza perdere secondi vitali. Poi, bhe…
L’insegnante ridacchiò.
-Ci sarà la parte più difficile.
-Cioè?
Domandò incuriosita Sakura, quando il maestro non continuò.
-Fare amicizia…
-Amicizia? Con un arma?
Domandò sprezzante la rossa, aggiustandosi gli occhiali.
Il maestro sospirò.
-E’ importante, in una coppia, avere una fiducia reciproca e il rispetto per l’altro. Se tu disprezzi il tuo buki, in battaglia perché dovrebbe aiutarti? Lui non può morire facilmente, ma se tu venissi colpita, essendo ancora alle prime armi, perderesti la vita. E dimmi, ne varrebbe poi la pena?
Karin si accucciò, corrucciando le labbra in un broncio e scosse il capo.
Mugugnando, Kakashi continuò.
-Poi vi individueremo i poteri dei vostri buki, e come usarli in battaglia. Ora… alzatevi.
Gli alunni si alzarono, seguendo il maestro che camminò verso il bosco, diretto ai campi d’allenamento.

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Capitolo 6
*** Amico ***


Amico

Un vento si alzò all’improvviso, caldo e frizzante, elettrico fino alle ossa e Sasuke si sentì perso dentro a tutto quel potere.
Sfavillante, furono le luci che lo avvolsero tutto d’un tratto, voltando come in una danza frenetica, intorno al suo corpo ritto.
La spada tra le mani, ancora nel fodero bruciava, si illuminava e pulsava potere, ma Sasuke non riusciva a sfilare la lama.
Tutto divenne nero.
Il suo corpo tremò.
Si guardò intorno con occhi aperti, sorpresi.
Era in un campo di battaglia, devastato dalla lotta che si era svolta sopra a quella terra che ora sembrava piangere sangue.
Sasuke si voltò, guardandosi in giro e poi notò, lontano, una scia bianca salire verso il cielo squarciato e sentì sulla propria pelle la pioggia fredda.
Poi due braccia lo tirarono indietro.
Sentì propria qualcosa avvolgersi intorno alla sua vita e tirarlo lontano da quel posto, e l’ultima cosa che vide, sparire lenta nella foschia, fu un uomo, in mezzo a tutto quello, cadere
Tutto divenne nero.
Il suo corpo tremò.
-Sasuke…
Qualcuno lo chiamava.
-Sasuke…
Era una voce doppiata.
-Sasuke…
Aprì gli occhi e li richiuse subito dopo.
-Spegni la luce.
Sibilò.
Itachi tirò le tende dell’infermeria, facendo calare le tenebre nella stanca asettica e poi si riavvicinò al fratello.
-Come ti senti?
Domandò.
-Confuso.
Mormorò, tirandosi in piedi.
Frequentava la Shibusen da tre mesi ormai e lui era l’unico ancora che non riusciva a richiamare il potere del suo buki.
Gli era quasi costata la vita una volta, quando degli spiriti del dolore avevano attaccato lui e la sua squadra, mentre si stavano allenando fuori dalla barriera che circondava la scuola.
C’aveva messo l’anima per riuscirci ma erano stati vani i suoi sforzi.
-… richiamare lo spirito di Tsunagary richiede più potere di quanto si immagini…
Itachi fissò la spada, con una tale profondità e curiosità che Sasuke si sentì strano.
Tsunagary era difficile da gestire, come arma. Senza la lama che veniva sfilata dal fodero, era inutile in un combattimento e senza l’anima che si risvegliava, era proprio inutile portarsela dietro.
-Chiederò a nostro padre di farti fare una katana simile, così quando riuscirai a richiamare lo spirito, saprai maneggiarla.
Il maggiore si alzò, si avvicinò all’arma, e poi allungò le dita per toccarla.
Da quando era stata sottratta dal tempio, Itachi non aveva mai avuto l’occasione di guardarla, o toccarla. Ma quando le sue dita furono ad un millimetro di distanza, qualcosa nella sua mente gli disse di non toccarla.
-… Kuro…
Mormorò il moro, mandando uno sguardo allo shuriken gigante dietro alla schiena.
Se fossi in te non lo toccherei… puzza di demone e morte.
Itachi ritirò le dita e poi si voltò verso il fratello con aria preoccupata.
-Vado.
Sasuke annuì, fissandolo stranito.
Perché si era comportato in quel modo?

Lo shuriken si illuminò e con un soffio di vento, l’arma si tramutò in un ragazzo poco più basso del padrone.
I capelli argento come il ferro, lunghi e legati in una traccia si mossero nell’aria, andando ad appoggiarsi sulla schiena del ragazzo.
Occhi grigi, chiari come uno specchio, fissarono Itachi.
-Quella spada è famosa per le vite che ha troncato… è normale che puzzi di morte.
Cominciò, incrociandosi le braccia dietro al capo, camminando a fianco del ragazzo.
-Non capisco come tuo fratello, così debole, riesca solo a tenerla tra le mani… dovrebbe appartenere a te.
Itachi lo fulminò con lo sguardo, assottigliando le palpebre e le iridi si tramutarono, diventando scarlatte.
-Taci.
Sibilò, infastidito e Kuro mosse le mani davanti al viso.
-Sorry… sorry… quanto sei acido, baby.
Itachi ringhiò al suo indirizzo e il ragazzo si ritrovò a ridacchiare.

Sasuke fissava con ostinatezza l’arma appoggiata all’angolo della sua camera da letto.
La mezzanotte era passata ma lui non riusciva a prendere sonno.
Dentro di lui, qualcosa nello stomaco si muoveva, bruciando e dandogli fastidio.
Si rigirò tra le coperte, trovandosi a sudare per il caldo.
Strinse gli occhi, provando a dormire, e ci riuscì solo mezz’ora dopo.
Tra le ombre, che si muovevano danzanti ai raggi della luna, si formò una figura, che fissò la spada e poi il ragazzo dormiente.
Si avvicinò come aria, non emettendo nessun rumore e fissò con i suoi occhi malinconici il volto del giovane.
La tua arte oculare e il tuo chakra, sono gli stessi di Madara Uchiha.
Sasuke sobbalzò nel sonno, alzandosi a sedere con la fronte imperlata di sudore.
Con il cuore a mille, cercò di calmare il respiro e poi si accucciò su se stesso.
Prese un grosso respiro, e poi appoggiò la fronte alle mani aperte, strizzando gli occhi.
-Che diamine mi sta succedendo…
Mormorò, assonnato e spossato.
La spada cadde, e lui tremò dalla paura, fissando l’arma al suolo.
Sbuffò alzandosi dal letto, la prese tra le mani e poi l’appoggiò sulla scrivania, ritornando a letto.

Urlò, scagliando l’arma lontano e si prese i capelli tra le mani.
-Perché diavolo non ci riesco…
Sbottò.
Dentro di lui, giorno dopo giorno, stava crescendo un senso di inutilità, che lo stava corrodendo.
Provava, ci provava col cuore, ma non riusciva a dominare l’arma.
Gli occhi si tinsero di rosso, bruciarono e si fissarono sulla katana stesa al suolo.
Odio.
Odiava quell’arma, odiava la scuola e stava odiando seriamente la strada che il padre gli aveva imposto.
Un anno…
Un fottuto anno, e se non sarebbe stato capace di comandare il potere della spada, il padre lo avrebbe ritirato dalla scuola, e per lui ci sarebbe stato solo il disonore e non poteva permetterlo.
A costo di spezzarsi le ossa, di bruciare vivo, doveva imporsi, doveva dominare quella spada.
-Ehi… amico… ti stai allenando.
Si voltò, facendo trasalire Kiba che indietreggiò, con gli occhi spalancati.
Sasuke si portò una mano agli occhi, strofinandoli e cercò di calmarsi.
-Stai bene?
-Sono solo stanco.
Rispose flebile, voltandosi e raccogliendo la spada.
Kiba avanzò, mordendo un labbro e si portò una mano a grattare il capo.
-So che non riesci a richiamare il tuo buki…
Sasuke ringhiò, stringendo la presa contro l’arma.
-So quello che stai pa…
-Taci! Tu non sai un bel niente.
Urlò al ragazzo.
Kiba deglutì, ma non si arrese.
Aveva parlato poche volte con il moro, ma in parte era come se lo capisse.
Anche la sua famiglia si aspettava grandi cose da lui, essendo l’unico erede maschio.
-Anche mio padre si aspetta grandi cose. L’ho deluso, una multitudine di volte, ma non me ne son curato eccessivamente, e sai il perché?
Sasuke ora lo stava guardando, apatico, ma Kiba ci leggeva dell’interesse nei suoi occhi.
-Perché ogni volta che facevo qualche passo in avanti, lui voleva sempre di più. Ho capito che per quanto potessi farcela, non sarebbe mai stato contento. Alla fine c’ho rinunciato. Ora sono contento delle piccole vittorie che faccio. Quindi, sì, so come ti senti…
Abbassò lo sguardo, il moro e poi annuì.
E Kiba capì che quello era il suo ringraziamento per averlo tirato su di morale.
-Andiamo a mangiare un po’ di carne secca?
Propose, contento.
Sasuke lo fissò schifato.
-Come fai a mangiare quella roba…
-Bhe? A te piacciono i pomodori quasi da tutte le parti…
Obiettò il castano, facendogli una linguaccia.
Sasuke ghignò, scuotendo il capo e poi fece gesto di seguirlo e Kiba, contento, scodinzolò dietro di lui.















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Capitolo 7
*** Supplica ***




-Mia signora… mi dispiace, ma vostro figlio sta morendo…
Mormorò il demone, porgendosi in un inchino davanti alla regina dei demoni.
Un lamento che fece piegare anche il cuore più duro si sparse per il bosco nero, e gli animali, sentendo quel pianto doloroso, piegarono il capo.
-Com’è potuto accadere…
Ringhiò, distruggendo con una zampata un’ albero accanto al suo corpo.
Il demone minore scostò lo sguardo, fissando da un’altra parte, e schiacciò le orecchie pelose sul capo.
-Non -
-Taci! Portami da lui.
Il suo corpo tremò, ma annuì ubbidiente e si recò nelle profondità del bosco.
La notte li circondò, e la Regina si piegò appena quando la caverna si presentò davanti a lei, grande, fredda e buia.
Entrando, le luci lievi delle candele illuminavano le pareti umidi, e un corpo.
Il giovane, figlio di uno dei demoni più forti, giaceva esamine su una lastra di pietra, coperto da una pelliccia di visone per farlo riscaldare.
La madre si avvicinò al figlio e allungò una mano verso di lui e quando sfiorò la guancia, le palpebre del ragazzo tremarono e occhi liquidi la puntarono.
-… dov’è… Mad…
La madre cercò di non stringere i pungi, cercando di celare la rabbia che gli scuoteva il corpo e la mente.
-E’ morto.
Sibilò, sputando veleno su quel nome che aveva maledetto il figlio.
Il ragazzo biondo tremò, scosso dal dolore e poi tossì del sangue.
Le lacrime rosse calarono dagli occhi, procurandogli altro dolore per quel sentimento che non era permesso nella loro razza, punendolo per quell’amore che non avrebbe mai dovuto nascere.
La madre fu subito accanto a lui, allarmata così come il dottore.
Ma il dolore era troppo forte per quel corpo.
-Mia signora… la morte lo sta reclamando.
-NO! Non lo permetterò.
Gridò, furiosa.
Era stata egoista in quel frangente.
Terrorizzata dal fatto che l’anima del figlio si potesse congiungere con quella di quel’umano.
Accostò una mano sulla fronte madida di sudore e calda per la febbre del ragazzo e lo fissò.
-Dormi.
Sussurrò, poi sul biondo calò l’oscurità di una non-morte.
Il suo corpo si tramutò, diventando in un fascio di luce una spada.
Intorno ad essa, otto perle blu brillarono.
-Disfati di queste.
Ordinò, ferrea, mentre con cura prendeva tra le mani l’arma.
Il servo la fissò, e cercò di parlare, ma non lo fece e annuì, inchinandosi.

***

Sasuke sbuffò, e poi seguì i compagni dopo una missione.
-Che diamine di missione era?! Prendere il maialino dell’infermiera… che cavolo.
Brontolò il castano, arricciando le labbra in disappunto.
Kakashi ridacchiò davanti ai suoi tre allievi e si voltò appena, in mano, aperto, un libricino.
-Su via… l’importante è che abbiate concluso la missione con successo.
Spiegò benevole, arricciando gli occhi in un espressione divertita.
Kiba sbuffò.
Il maialino camminava tranquillo, sculettando dietro a Sasuke che con una corda lo teneva stretto a sé per non farlo fuggire ancora.
-Se non fosse stato per te… avremmo finito prima.
Sbraitò Karin, aggiustandosi gli occhiali come era solita fare, guardando male Kiba che sussultò e si voltò furente verso di lei.
-Che vorresti dire… pomodoro.
La prese in giro.
La ragazza gonfiò le guancie, mandandogli uno sguardo di fuoco che fece tremare il ragazzo.
Semplicemente, Sasuke allungò il passo, mettendosi accanto al maestro, mentre dietro di lui i due suoi compagni di team litigavano come forsennati.
-Che pazienza con quei due…
Mormorò divertito l’uomo, fissando i ragazzi sopra alla spalla, giusto qualche secondo.
Sasuke si scrollò le spalle, come a togliersi un peso e mugugnò qualcosa e Kakashi si trovò a scuotere la testa divertito e sconsolato.
Anche se la maggior parte del tempo i ragazzi litigavano, specialmente quei due, non avrebbe mai cambiato la sua squadra.
Quei giovani erano destinati a grandi cose, e lui ne era sicuro.
Gli avrebbe insegnato con pazienza e caparbietà l’importanza del lavoro di squadra e il rispetto per il proprio buki.
L’unica cosa che ancora lo lasciava perplesso, era la spada di Sasuke, che il giovane aveva smesso di portare con sé.
-La tua arma?
Domandò.
Sasuke alzò il viso verso l’uomo e lo fissò, per poi riportare la sua attenzione davanti a sé.
-In camera.
-Dovresti portarla sempre con te…
-Ora ho questa.
Rispose stizzito, guardando sbiecamente l’uomo.
-Non è un buki.
La spada che Sasuke aveva ancorata alla schiena gli era stata mandata dal padre, sotto consiglio di Itachi. Così avrebbe potuto allenarsi, per quando avrebbe risvegliato l’anima della spada.
Aveva provato a guardare nelle biblioteche qualche risposta sulla spada, qualche storia che la riguardasse, ma era come se non fosse mai esistita.
Gli altri buki, ogni tanto lo guardavano, parlottando con i propri padroni e ogni volta l’odio e la rabbia cominciavano a crescere in lui.
Loro sapevano qualcosa, ma nessuno era così coraggioso da parlargli.
Itachi poi sembrava sempre deviare il discorso ed era una cosa che non sopportava.
Sbuffò.
-Non importa.

***

Si è perso in un profondo sonno invernale e non riesce a trovare l’uscita da solo.
Il kimono bianco gli avvolge il corpo, le mani vengono nascoste dalle lunghe maniche, dove il sottokimono rosso si intravede svolazzando nell’aria, mischiandosi col sangue.
L’obi color rosso è avvolto in due giri, e il resto del tessuto svolazza in quella bolla di oscurità.
È come se il suo corpo emanasse luce propria, illuminandolo.
Le catene gli lambiscono le membra, tenendolo imprigionato e non si riescono a spezzare.
Le palpebre, che per anni erano rimaste immobili tremano appena.
I pugni si stringono.
Aiutami.

***

Svegliami.
Sasuke si strofina stancamente gli occhi mentre con passo pesante si dirige verso il dormitorio.
È stanco, ma non per via della missione.
Una strana stanchezza gli avvolge il corpo e si ritrova ad appoggiarsi al muro, ansimando pesantemente.
Quel lamento disperato gli alleggia ancora in testa, sempre più triste, sempre più terrorizzato.
Qualcuno lo sta chiamando, il suo corpo lo sa, ma la sua mente ancora non lo accetta.
È per quello che non riesco a richiamarlo, pensa, stringendo le palpebre.
Entra in camera e quando accende la luce, sgrana gli occhi.
-Che ci fai qui?
Avanza minaccioso, con gli occhi furenti verso il ragazzo.
Questo si gira, fissandolo con aria di superiorità.
Al suolo accanto a lui, la spada.
Il ragazzo non lo degna di una risposta e lo sorpassa con una spallata che lo fa barcollare.
-Che cazzo fai nella mia stanza??
Urla furioso, afferrando il buki di suo fratello per un braccio.
Questo ringhia, strattonando, e si volta verso Sasuke con aria minacciosa.
-Ti manda Itachi?
Domanda.
Un ghigno sadico nasce sulle labbra del giovane e Sasuke assottiglia lo sguardo.
-Non sei degno di quel potere…
Sputa, per poi andarsene.
Sasuke non riesce a ribattere, perché non saprebbe cosa dire. La porta sbatte mentre lui stringe i pugni, fissando, con lo sharingan che gli brucia nelle iridi, la superficie legnosa.
Furente si volta verso la spada, la raccoglie e con forza cerca di sfilarla, urla, la fa volare per la stanza.
Ma niente.
Rimane sigillata.
-Svegliati.
Mormora.
Lo sguardo rosso fisso sull’arma ai suoi piedi.
Odio.
-Svegliati.
La voce è più alta, quasi disperata.
-SVEGLIATI.
Urla con tutta la voce, cadendo sulle ginocchia afferrando la spada, cercando di sfoderarla.
Ma alle braccia gli manca la forza, la convinzione di poter vincere quella battaglia dove lui non sa ancora le regole.
-… ti prego…
Sussurra all’oscurità, strizzando gli occhi.
Quando una lacrime gli rotola sulla guancia, scivolando sotto il mento e infrangendosi sulla fodera, la lama scatta appena, come una crepa e Sasuke spalanca gli occhi.
Ci riprova, ma la spada non esce.
Eppure, l’aveva sentita scattare, ne è sicuro.
Si porta l’arma ancora più vicino, strofinandosi gli occhi con la manica della maglia per togliere la platina delle lacrime non versate.
E poi lo vede.
La lama appena accennata. Il manico staccato di un’unghia dal fodero.
Cosa aveva pensato quando la voleva estrarre?

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