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Premetto
che avrei dovuto chiamare questa storia in un altro modo, frammenti forse, perché
è così, sono piccoli frammenti che mi vengono da dentro proprio quando mi metto
davanti allo schermo del pc e comincio a scrivere,
Non
lasciatevi fuorviare però questa storia ha una sua trama: inizia e prosegue con
un suo senso logico, sono i punti di vista che cambiano, le impressioni e le
emozioni dei personaggi che variano continuamente, senza fermarsi mai, proprio
come succede, nella realtà.
E così
i punti di vista cambiano: terza persona, prima persona singolare, e una volta
saremo nella testa di Francesca, un'altra in quella di Marco, e così via,
separandoli con una linea continua
cercherò
di far capire abbastanza rapidamente ogni volta qual'è
il punto di vista dal quale sto raccontando perché mettendomi nei panni di un
lettore so che questo in certi casi potrebbe risultare complicato.
se il testo è troppo grande per essere
visualizzato intero vi consiglio di diminuire lo zoom della pagina premendo contemporaneamente
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Era sul treno Marco, i pensieri volavano
fuori dal finestrino, avanti e indietro,
quasi volessero seguire i binari di quel percorso, tornavano indietro su quella
spiaggia fino alla precisa immagine di lui seduto da solo a contemplare il
mare, solo.
Andavano avanti, superavano incerti la stazione,
salivano sul pullman, percorrevano le stradine del centro e quelle della
periferia, entravano indiscreti dentro casa sua e nel suo letto.
Nei suoi pensieri Marco non era solo, c'era
lei con lui.
Quella continuava ad essere la sua idea della
perfezione, loro due, lei,
Francesca.
Nonostante fosse solo ormai da mesi, e non
l'avesse più vista e sentita solo raramente,
nonostante lei l'avesse lasciato, tradito,
ferito, mortificato,
nonostante tutto questo nella sua testa le
immagini del paesino dove aveva passato gli ultimi 20 anni,di casa e della sua cameretta erano
indissolubilmente legate a Francesca.
Quel letto ad una piazza dove
anche lui da solo stava stretto ma se era stretto a lei immensamente bene…
Tutto ciò che lo aspettava davanti a quel
treno alla fine di quei maledetti binari.
Solo un nome che rimbombava, echeggiava, lo
ossessionava, di continuo,
Entrò, posò le chiavi sul mobile all'ingresso
che era sempre stato troppo alto per i suoi gusti, si tolse il piumino che
aveva comprato pochi giorni fa in un negozio al centro di Roma e che
probabilmente aveva pagato più di quanto realmente valesse, e si distese sul
letto, pensando che fosse nata stanca.
Pensò alle stranezze del caso, a quando hai
tanti ragazzi che farebbero follie per te e un momento dopo non c'è nessuno
fuori dalla tua porta, né nessuno a cui interessa come stai, che ti manda
messaggini prima di addormentarti, che ti ripete che ti ama.
Tre ragazzi le avevano detto di amarla solo
pochi mesi prima, perché allora era sola, adesso?
Aveva scelto quello sbagliato perché aveva
quel dannato sorriso, ingenuamente pensò che qualcuno con un sorriso così non
poteva che essere una persona meravigliosa.
E invece lui non contento di averle fatto
chiudere una relazione di due anni se l'era spassata con lei per qualche mese e
poi gli aveva confessato di non volere avere un rapporto stabile perché non era
il tipo d'uomo da una "fidanzata" per volta .
ovviamente non usando queste testuali parole.
Ed ora distesa sul letto, dopo una giornata
intera passata a far shopping ma soprattutto a prender freddo aveva bisogno del
calore di sentirsi dire parole belle, così chiamo l'unica persona che non
avrebbe mai dovuto chiamare, l'unica che non aveva parole belle da dire, non
più.
…
Aspettò pazientemente la risposta sapendo che
lui era il tipo da avere sempre il cellulare vicino e che non stava rispondendo
perché non voleva rispondere.
Aspettò, riprovò e come succedeva sempre alla
fine ottenne quello che voleva:
"Pronto"
"Ehm…ciao
Marco"
"ciao"
"Com'è che non rispondevi?"
"Non lo so...Te com'è che chiami?"
Silenzio.
Non poteva di certo dirgli che aveva un
estremo bisogno di essere consolata, rassicurata, amata.
No, non glielo poteva dire, soprattutto
perché non voleva essere amata da lui.
"Dove sei?"
"In treno, sto tornando a casa"
"Dove sei andato di bello?"
"In spiaggia"
"Marco al mare ci si va d'estate, non a
Novembre"
"Quindi?" Cominciava ad essere
infastidito
"Quindi perché? Perché devi sempre
capovolgere l'ordine delle cose? La gente va al mare a divertirsi, prende un
po’ di sole, cose da mare insomma, te no, d'estate il mare manco lo tocchi! Ti
chiesi di venire al mare due giorni con me tempo fa e sembrava ti volessi
torturare! "
"E io son venuto per stare con te non di
certo per prendere il sole, sai che lo odio.
Devo sempre capovolgere l'ordine delle cose perché son fatto così, e oggi
volevo stare da solo. Ma perché chiami? Vuoi rinfacciarmi il fatto che son
disturbato, pazzo, malato e tutte quelle cose li?"
"No, scusa io volevo…
…vedi sto passando un periodo
complicato, ed è novembre, e fa freddo, e io…
…volevo…
…volevo sentirmi dire qualcosa di bello,
di buono, di reale e sincero da qualcuno come te che mi è sempre rimasto
vicino"
La più talentuosa studentessa di matematica
della classe, ma lo diceva la mia professoressa. Ovvio che non l'avrebbero poi
pensato tutti gli altri professori, e
mentre i miei compagni credevano fossi una specie di genio in gonnella, io
studiavo duramente perché volevo riuscire.
I miei genitori hanno sempre creduto fossi
riuscita a fare qualunque cosa avessi desiderato, non volevo deluderli. Io mi
sono posta limiti già svariate volte, non loro, io ho sempre pensato di non
essere in grado e ho scelto quello che mi dicevano "sapevo fare
meglio" non quello che volevo.
Ma, perlomeno dovevo farlo meglio.
Squillò il cellulare, un buon motivo per non
studiare.
Ale era un buon motivo per non
studiare
"oi ciao"
Perché la mia voce sembrava ogni volta così maledettamente squillante quando
rispondevo al cellulare con la scritta sullo schermo?
"Ciao Ele, Che
combini?"
"Studio" constatazione che mi fece tornare alla realtà, uffa
"Senti ti volevo dire che sto passando
dalle tue parti, se ti va ci prendiamo un caffè.."
"ok" non ero stata abbastanza enfatica
"Ok allora tra poco passo, fatti trovare
pronta! A dopo"
Solo io potevo avere una cotta stratosferica
da un anno per quel bastardello del mio migliore
amico. Non che io significassi davvero qualcosa per lui, ma ero l'unica amica
che aveva, l'unica ragazza almeno.
Quel giorno mi convinsi che gli avrei detto
che lo amavo, si lo avrei guardato negli occhi e gli avrei detto: "Ti
voglio più bene di quanto voglio dimostrare. non vorrei per nessun motivo al
mondo che ti allontanassi perché non puoi ricambiare quello che provo, ma lo
provo e non ci posso fare niente, non posso fare a meno di amarti, volevo
dirtelo. "
sisi, così avrei detto, proprio così.
Ripetendo queste parole più volte nella mia
testa mi feci forza e mi autoconvinsi che stavo
facendo la cosa giusta, e poi dovevo essere sincera con lui, soprattutto dopo tutto
quello che avevamo passato, insieme.
Ho creduto che sarebbero passati più
velocemente venti minuti,
e invece dopo essermi sistemata a dovere
cercando di sembrare abbastanza carina, senza lasciare intendere di essermi
preoccupata del mio aspetto per più di cinque minuti non avevo più niente da
fare se non fissare il vuoto e aspettare, aspettare e fissare il vuoto, fissare
il vuoto e pensare ad Alessandro, al suo sorriso, a quello che sarebbe cambiato
dopo la mia "rivelazione", a cosa avrei molto probabilmente perso,
anche se non volevo:
lui, il suo modo di prendermi in giro, la sua
voce al telefono, di giorno o di notte. Chiamava quando voleva.
In istanti casuali della sua giornata si
ritrovava inconsciamente a cambiare la mia, migliorandola.
Salì in macchina e lui mi salutò e mi
sorrise.
Il cuore stava impazzendo insieme a tutto il
resto del mio corpo, persino il cervello che di solito se ne stava in disparte,
scettico e diffidente: adorava starsene su un piedistallo a guardare il mio
cuore soffrire e aspettare il momento giusto per infierire con un "te
l'avevo detto", sadico.
Questa è la mia prima
storia su questo sito
sebbene io scriva storie da una vita raramente le ho pubblicate, perché spesso
mi vergogno che magari sono un po’ personali, perché mi scoccia, o perché boh.
Non l'ho pubblicizzata
quindi non mi stupirei molto se nessuno la troverà magicamente tra la lista
delle nuove storie e si incuriosisca per quella sottospecie di "intro" che ho scritto.
Ma se capita, e vi piace,
vi prego di farmelo sapere, così continuo con molte più motivazioni (non nego
che essendo un esperimento potrei "abbandonare" notando dopo un po’
che a nessuno piace/interessa).
Mi metto in gioco perché mi
piace e mi piacerebbe ricevere opinioni, discutere insieme di cose che vanno o
non vanno. Mi piacerebbe migliorarmi, con il vostro aiuto…
A volte
sentire i commenti acidi delle mie amiche (perlomeno coloro che avrebbero
dovuto esserlo) su di me e su come mi comportassi mi faceva stare male, soprattutto
perché ero stata io stessa ad ispirarli.
Gli avevo
raccontato ogni piccola porzione della mia vita e delle mia storia perché
volevo essere sorretta, aiutata, confortata, da qualcuno.
Tutte quelle
cose brutte, tutte quelle voci non le venivano mai a dire alla sottoscritta:
buon viso a cattivo gioco, proprio come faceva quella faccia d'angelo per cui
avevo tradito Marco.
Bastò un
finto sorriso e un paio di finte parole carine e io mi buttai in quello che
sarebbe stato poi il più grande casino della mia vita.
Sesso senza
amore,
così dicevano.
Tutte le mie
amiche erano convinte che fossi una specie di puttanella a comando. Lui
chiamava io andavo, e facevo tutto quello che voleva, ogni volta.
Effettivamente questo era proprio quello che succedeva, tranne un particolare,
un piccolo particolare che non si poteva di certo considerare insignificante:
Io lo amavo.
Amavo, non
facevo solamente sesso. L'amore che sentivo dentro in quei minuti in cui lui si
divertiva ad annullarmi e mortificarmi potevo sentirlo esplodere e crescere
come un tumore che si stava espandendo, impadronendosi di quel poco che ancora
era rimasto sano in me.
Violando le
regole che io stessa mi ero imposta riguardo al fatto di farmi sentire al
massimo un paio di volte a settimana, lo chiamai:
"Cucciola,
come mai questa telefonata improvvisa?
Già ti
manco?"
"Si"
"Anche
tu, se potessi correrei subito da te, sul tuo letto, ora"
La solita
storia, bastavano due parole e io impazzivo. Morivo dalla voglia di farlo mio
ancora una volta, anche se, a pensarci bene,
davvero mio non era mai stato.
"Vorrei
che lo facessi"
"Lo so
cucciola ma sono a Praga fino alla settimana prossima"
"A
Praga?"
"Si,
non te l'avevo detto?"
"No"
No non l'hai fatto, me ne
ricorderei, no te non parli con me, non senti minimamente il bisogno di dirmi
cosa cazzo fai quando non sei con me, non ti passa nemmeno lontanamente per
l'anticamera del cervello, no. Io non esisto. Quando non sono con te sotto le
lenzuola, non esisto.
"Credevo
di si, comunque va beh non tornerò prima di lunedì prossimo"
mancavano nove fottuti giorni.
Ero incapace
di parlare, troppo concentrata a reprimere una sfuriata che sarebbe sfociata in
tanti insulti e un pianto isterico.
"Ce la
farai senza di me fino a lunedì?"
"Si, mi
inventerò qualcosa"
Mentivo, non
potevo dargliela vinta.
"Brava,
esci piccola, divertiti. Ma ricorda che sarai mia quando torno. Devo scappare.
Un bacio. Ciao"
Mi prese in
giro in macchina da casa mia al bar, rideva e mi prendeva in giro.
Ordinò i due
caffè, si mise di fronte a me e si accese una sigaretta.
Era una
tipica giornata autunnale, ma dietro quelle nuvole scure che ormai stazionavano
lì in cielo da giorni si intravedeva un po’ la luce del sole.
L'idea che fosse li e che si potesse intravedere mi faceva stare bene,
sarebbero spuntati presto i primi raggi e la giornata sarebbe migliorata,
come la mia
vita, con Alessandro vicino.
Il mio
sguardo passò dal grigiore del cielo al fumo della sigaretta, al suo cappotto
nero e alla sua espressione pensierosa prima di confondersi con il suo.
Osservare è
sempre stato quello che sapevo fare meglio, adoravo spalancare i miei occhi
castani e sbirciare il mondo,
sempre con
una bella dose di fantasia, dipingendolo a volte migliore di quello che era.
Emozioni e attimi si confondevano e gli occhi cercavano di parlare per me e di
farmi capire mentre spesso le parole restavano bloccate ancora prima di lasciare
l'angolo ignoto del cervello in cui venivano generate.
Adoravo
guardare intensamente gli occhi di qualcun altro, soprattutto quando riuscivo a
leggere cosa volevano raccontarmi:
Con Ale ci riuscivo, gli sguardi tra noi erano sempre più eloquenti
di ogni spiegazione, battuta, discorso.
In quel
pomeriggio mi parlò degli ultimi mesi che aveva trascorso, in cui non ci
eravamo sentiti:
Aveva
litigato con suo fratello perché voleva trasferirsi a Berlino da una ragazza
che aveva conosciuto ormai da un paio di anni, lasciando suo padre a casa da
solo con lui.
"Ele io non ce la faccio da solo, lui ha bisogno di aiuto e
io non so come…"
Gli avevano
diagnosticato una forma di leucemia senile, aveva bisogno di trasfusioni una o
due volte al mese, peggiorava di giorno in giorno…
parlò
prevalentemente lui, della sua famiglia, di come stesse crollando poco a poco
tutto e di come fino al mese scorso non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi
in questa brutta situazione, si scusò con me per non essersi fatto sentire, sapeva
che era colpa sua e anche se non l'aveva mai ammesso ne l'avrebbe ammesso oggi,
domani, o dopodomani, mi considerava davvero importante.
Quest'ultima
cosa, che ovviamente non mi disse, la colsi, ne ero sicura,
parlarono i suoi occhi.
Mi sentì in
colpa per averlo giudicato, per aver pensato in quest'ultimo mese che lui mi
avesse usato come e quando gli era stato comodo per poi salutarmi quando non
voleva avermi intorno. Ora che sapevo che non era mai stato così avrei voluto sapermi
esprimere meglio, sorridergli e
dirgli che gli volevo bene e che gli sarei sempre stata vicina, che anche lui
era importante per me e che insieme, come avevamo fatto fin'ora avremmo potuto
affrontare tutti i mali del mondo.
Ma non lo amavo? Non era questo
che gli volevo dire?
Forse no…
Ci stavo pensando mentre lo
sentivo parlare dell'ultima figuraccia che aveva fatto con il padre di un suo
amico,
che forse era davvero tutto li, e
lo era sempre stato, incredibilmente vicino quanto incredibilmente lontano.
Non sentivo il minimo bisogno di
sfiorarlo, ne di baciarlo,
di abbracciarlo si, ma come un amico, un caro
amico,
il più caro al mondo.
A casa quella sera stessa gli
scrissi un messaggio che non avrei mai inviato:
"Ero arrabbiata con te solo perché
ho avevo paura di perderti,
La giornata
aveva luci nuove, calde, per Francesca. Si era appena svegliata senza nessun
altro sul letto, a parte la sua micia Marie, chiamata così perché le ricordava
la gattina bianca degli Aristogatti, anche se questa
sua Marie era tutta nera.
Dopo sette
giorni lontana dalla sua unica droga, si sentiva pulita, libera:
libera di
provare emozioni belle e non maledirle subito dopo, di amare e di venire
ricambiata.
Decise che
avrebbe tenuto il cellulare spento tutto il giorno così che non si sarebbe
dannata l'anima e rimproverata ogni volta che l'avesse sbirciato sperando che
si illuminasse;
prima però doveva controllare...
L'icona del
messaggino che lampeggiava sullo schermo però purtroppo non segnalava quello
che avrebbe voluto lei.
Era Marco,
il suo Marco:
"Ciao Fra,
Scusami se sono stato
brusco.
A volte, al riparo da tutte
le brutte voci che girano su di noi
ancora penso che stare con te sia stata una
cosa giusta…"
E' sempre
stato bravo lui con le parole, pensò.
Durante quei due anni in cui erano stati insieme era sempre riuscito a farla
sorridere narrandole storie o inviandole messaggi lunghissimi e testi delle sue
canzoni preferite. E' un romantico Marco.
Ogni donna
sogna almeno una volta nella vita di avere accanto un tipo come lui,
poi si sa,
essendo donna, cambierà idea.
Così aveva
fatto lei un anno fa, cominciando a pensare che fosse ossessivo,
ripetitivo,
noioso.
E più lui
cercava di starle vicino, di farle capire quanto fosse speciale, di farla
sentire importante più lei si allontanava, rispondeva nervosa, non lo
sopportava.
Non
sopportava più la sua vicinanza perché era diventata qualcosa di certo,
scontato.
Sapeva che
era suo e che lo era sempre stato,
che poteva averlo tutte le volte che voleva, lasciarlo e riprenderlo come un
giocattolo perché lui la amava davvero.
Ora
probabilmente non sarebbe stato più così, lo sapeva bene, ma sapeva anche che
continuava ad avere una certa influenza su di lui, continuava ad avere chanche…
…chissà,
magari un giorno di quelli sarebbe timidamente ritornata sui suoi passi, ad
elemosinare amore come una mendicante...
…amore,
carezze,certezze, Dio quanto le
mancavano.
Ironia della sorte: Tutto si era
capovolto. Le cose che non sopportava erano quelle che più le mancavano adesso.
Qualcuno lassù probabilmente avrà
pensato di giocarle un brutto scherzo, farla cadere in trappola, ed ora stava
pagando le conseguenze del suo comportamento infantile e meschino nei confronti
dell'unico uomo che l'avesse mai amata.
Un giocattolo era stato lui, un
giocattolo era lei,
buttato in una scatola da tempo,
scartato, dimenticato.
Un'altra
giornata uguale a tutte le altrestava
cominciando, pensando a quanto fosse facile isolarsi durante le lezioni di
qualsiasi professore in qualsiasi ora, mettersi in un angolino e disegnare,
scrivere canzoni e pensare a lei, Marco salì sull'autobus che da li a 59 minuti
l'avrebbe portato all'università.
Sperava che
quella mattina potesse esserci a lezione qualcosa di interessante da ascoltare,
un argomento talmente potente da catturare la sua attenzione, in fondo lui era
sempre stato un appassionato di calcolo numerico; perché faceva così schifo?
Forse per i
61 secondi ogni minuto che passava distrattamente.
Musica nelle
orecchie: Green Day oggi.
Le lezioni
erano cominciate da un mese ormai, in quello che era il secondo semestre del
secondo anno di corso,
anche se
lui, essendo indietro con gli esami, era uno studente a tutti gli effetti del
primo.
Si sedette
in fondo al solito posto dove nessuno l'avrebbe guardato con occhi curiosi,
nessuno.
C'era il
solito gruppo dei fancazzisti davanti al lui: una
moltitudine di ragazzi che si credevano estremamente fighi,
illusi;
perché alla
fine nessuno se li filava. C'era una ragazza bionda che sapeva il fatto suo con
cui non aveva mai parlato;
non aveva
quasi mai parlato con nessuno li in mezzo perché si sentiva spesso in
difficoltà a stringere amicizie con persone così lontane dal suo mondo.
C'era il
primo della classe, quello che alzava sempre la mano quando il professore
sbagliava a scrivere qualcosa alla lavagna,
si era
sempre chiesto come facesse visto che lui a malapena seguiva, una caccia al
tesoro tra 109985420435 numeri;
lui si però
che era simpatico, ci aveva parlato qualche volta e chiesto informazioni ed era
sempre stato estremamente disponibile, cordiale e amichevole, gli aveva anche
presentato i suoi amici e le sue amiche, con cui non parlava ma che salutava
sempre.
Almeno era
educato, salutava sempre.
Giovanni,
Giacomo, Andrea, Alessandra…
La sua mente
era come un post-it, o forse a dirla tutta una telecamera: registrava immagini,
suoni, sensazioni, associazioni di nomi, di dettagli, di informazioni,
registrava tutto, dalle cose più importanti alle più insignificanti.
Rientrò da
una passeggiata tra i corridoi con probabilmente un caffè una ragazza che aveva
conosciuto ad un esame.
Quel
pomeriggio di febbraio era arrivata ansiosa ripetendo formule con un foulard
grigio al collo e un maglioncino lilla.
Aveva i
capelli castani, lisci e corti al di sopra delle spalle e l'espressione di
qualcuno che aveva smarrito qualcosa.
Qualche
rotella, pensò, e rise all'idea.
Oggi aveva i
capelli un po’ più lunghi, la stessa espressione confusa e curiosa, lo stesso
dolce sorriso,
e
accorgendosi di essere guardata gli lanciò un occhiata allegra e lo salutò con
la mano.
Rispose al
saluto e girò lo sguardo verso un'altra direzione, un po’ imbarazzato.
Ricordava ancora
ogni dettaglio del giorno che l'aveva incontrata, molto prima di averla
conosciuta, a spasso per i corridoi e ricordava benissimo quel pomeriggio,
quando con un sorriso gli aveva detto di tranquillizzarsi che lo avrebbe
superato quell'esame mentre ansiosa cento volte più di lui veniva chiamata per
essere interrogata.
La sua
memoria non perdeva un colpo: erano seduti uno di fronte all'altro e lei gli
aveva dato un calcetto, sorriso e trasmesso fiducia in se stesso, le era grato
già solo per così poco.
Entrò il
professore, e poi numeri, e procedimenti, e un grigiore fuori dalle
vetrate,l'autunno: la stagione che gli piaceva di più, Novembre…
No, doveva stare attento.
Si stava
discutendo sugli esercizi assegnati la settimana scorsa, e ti pareva! Non li aveva
nemmeno guardati.
Un alunno
espose la sua soluzione e il professore prima cercò di capirla, poi gli fece i
complimenti e la spiegò alla classe. Ovviamente nessun'altro l'aveva trovata.
Poi la mano
alzata di quella stessa ragazza che poco prima aveva salutato; disse che
secondo lei c'era qualcosa che non andava in quella soluzione e che non
comprendeva tutti i casi possibili in cui il problema poteva essere posto.
Perché? Non è vero…sembra
corretta.
Marco decise
di partecipare alla lezione ed esprimere quello che era stato il suo
ragionamento, e cioè dimostrare che le ipotesi da cui era partita lei erano
sbagliate e che quindi non poteva essere considerato valido il suo intervento.
Era
intervenuto in una discussione che non lo riguardava senza che nessuno
gliel'avesse chiesto.
Non l'avesse
mai fatto! Fece scattare in lei un senso di competizione mai visto prima:
"Se
esiste un caso isolato in cui non vale, vuol dire che non è una soluzione al
problema, e secondo me se i valori hanno una variazione alta, ora non ti so
dire bene se pari al 70 o l'80 per cento del valore stesso, ma alta, crolla
tutto il ragionamento di partenza."
"Io
penso invece che in quel caso facendo una media ponderata dei valori a seconda
della loro variazione si ricade in un caso standard e quindi si può
applicare"
"Avresti
una perdita di informazioni utili al livello computazionale"
"No non
è vero"
Il
professore intervenne bloccandoli per proseguire la sua lezione e invitò tutta
la classe a ragionare di nuovo su quel problema e portargli una soluzione, per
la prossima volta.
Finita la
lezione lei si guardò intorno, lo vide e accennò un saluto.
Prima di
uscire dall'aula Marco si avvicinò e si presentò:
"Ciao,
ci siamo già visti anche se non mi sono mai presentato,
comunque,
sono Marco"
"Eleonora"
Strinse
forte la sua mano e sorrise, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
Sapeva già
il suo nome, l'aveva memorizzato la prima volta che l'aveva sentito: quel
giorno ad un esame, mentre lei sorrideva per tranquillizzarlo, il professore
chiamò: "Eleonora Preziosi".
Sull'autobus
lungo la strada del ritorno gli si sedette vicino una ragazza dai lunghi
capelli ricci neri, gli zigomi alti, un rossetto dal colore naturale e un
trucco leggero sugli occhi, neri anch'essi, sembrava che volesse chiedergli qualcosa:
"Ciao…"
Non rispose,
non aveva voglia di fare conversazione.
Lei abbassò
lo sguardo, intimorita, e continuò:
"Ti
vedo sempre sull'autobus quando torno a casa, visto che mi sono trasferita da poco
non ho stretto amicizia con nessuno, lo so che è un modo assurdo per attaccare
bottone ma non sono pratica di queste cose"
Marco si
stupì della schiettezza delle sue parole.
"Piacere,
mi chiamo Marco, e abito qui da sempre, anche se ce ne vuole ad usare
l'avverbio "qui" per un posto che in realtà si trova a più di 70 km
di distanza"
soffocò una
risata nervosa.
"Teresa"
Teresa rese
il viaggio di ritorno quasi divertente, anche se sapeva che si stava
comportando da giullare per impressionarla;
Era siciliana
e si era trasferita da uno zio a Latina per frequentare l'università. Tornava
giù ogni qual volta che se lo poteva permettere ma era dura e la sua famiglia
le mancava.
Era
spontanea e ironica e sapeva ridere alle sue battute tristi, e quando fu il
momento per Marco di scendere la guardò e le sorrise:
"Ci
vediamo domani sull'auto delle 4 e 30?"
"Domani
ho lezione fino alle 6…Mi spiace"
"Ok,
riformulo la domanda: ci vediamo domani sull'auto delle 6:30?"
Sorrise e
accettò la proposta, felice.
Talmente preso
dalla compagnia di quell'insolita e simpatica ragazza non si accorse della
nuova icona sullo schermo del telefono:
"Ciao
Vediamoci un giorno di questi…
parliamo…
Per favore
Francesca(hai ancora il
mio numero o l'hai bruciato insieme a tutto il resto?)"
Ok sarebbe
andata bene quella sera stessa; decisi che dovevo fare colpo su di lui per non
perderlo definitivamente, solidificare quel legame che lo teneva stretto a me,
perché ne avevo bisogno.
Con tutta
calma scelsi dei vestiti quanto basta provocanti e misi un po’ di rossetto
sulle labbra che adorava baciare, crema idratante agli estratti di cocco,
matita e rimmel.
Ammetto che
"fare colpo" era un eufemismo, volevo farlo impazzire. Ora che non era più mio lo volevo indietro e
volevo che assecondasse i miei capricci invece di attaccarmi il telefono in
faccia.
In più
volevo dimostrare a me stessa che non dovevo necessariamente farmi male
rimanendo con sorriso smagliante alias Roberto, potevo essere felice e libera
senza di lui.
E si, volevo
che anche Roberto impazzisse.
Ma si, che impazziscano tutti!
Quanto sto impazzendo io…
Due labbra
che si incontrano, gesti molto familiari, troppo.
Le mie mani
che ardiscono di più, che meritano di
più, il suo corpo che si avvicina, che aderisce al mio, che scandisce i ritmi
di quei movimenti lenti, la gonna troppo corta, la maglietta scollata, il
rossetto sulle labbra, quel profumo, l'alcool, il mio desiderio crescente, il
suo atteggiamento sempre più malizioso, a mano a mano che la serata
trascorreva, e quando poi si era conclusa.
Ieri, dopo
avermi sedotto, baciato, umiliato, usò la scusa del "non si può fare"
e scappò, come sapeva fare lei.
La mattina
era iniziata con un forte mal di testa, non prometteva bene. Erano le sei,
avrei dovuto sbrigarmi se volevo andare all'università, il mio cellulare aveva
fisse un paio di notifiche che proprio non volevo guardare.
Corsi e salì
sul pullman, poi sbirciai:
- Eleonora
Preziosi ti ha aggiunto ai suoi amici
- Messagefrom: Eleonora Preziosi
"Eccoti il controesempio,
non funziona…
sei scarso =P
con affetto.
Ci vediamo domani
a lezione…
Eleonora"
Un immagine
in allegato mi spiegava perché aveva ragione e dove avevo sbagliato io, doveva
essere una tipetta in gamba oltre che ad essere
tremendamente cocciuta quella ragazza.
- Messageto: Eleonora Preziosi
"Avevi ragione, contenta? :P
ci vediamo tra
poco.=) "
___________________________________________________________________________________________________________ Eccomi qua, sono sempre
io…e adoro scrivere quindi anche se non ci sono ancora
recensioni ( me D: )
continuo
comunque imperterrita perché mi piace.
La storia si delinea nella mia testa mentre la scrivo, quindi non saprei
anticiparvi nulla (e si probabilmente anche potendo non lo farei XD )
è
ancora povera di avvenimenti solo perché è appena cominciata…più
andrò avanti a scrivere più ne vedrete delle belle ^^
Vi suggerisco solo di non caratterizzare i personaggi fino a renderli
stereotipi perché io non ne ho mai avuto l'intenzione.
Francesca
per quanto appaia stronza e insensibile e perfida e crudele (di sicuro non è
nemmeno tra i miei di personaggi preferiti) ma è donna, e come ogni donna ha le
sue debolezze e fragilità. Sta affrontando un periodo difficile, si rende conto
di aver seguito il suo cuore verso una strada che non la rende felice, si odia
per aver dato retta al cuore invece che alla ragione…
A quanto pare non riesce a fare a meno, inconsciamente o no, di ferire i
sentimenti di Marco; che si è lasciato incantare per l'ennesima volta da lei e
l'ha baciata, desiderandola di nuovo come se non fosse passato tutto quel tempo
da quando si erano lassciati e come se non fosse
cambiato niente…
Dopo
queste piccole riflessioni scappo e vi saluto, spero che troviate 2 minuti per
leggere e recensire…
Stava per incominciare
uno dei tanti giorni tutti uguali all'università, e io nel mio letto al caldo,
mentre fuori facevano si e no 10 gradi, non volevo.
Decisi di
dare un senso alla mattina che stavo per passare prendendo il cellulare e
mandando un messaggio adAle:
"Caffe oggi pom? =)"
Si, sorrisi
e pensai che forse quella giornata iniziata tanto male sarebbe migliorata
presto.
La piastra
per capelli, il trucco leggero sugli occhi, il caffè dentro la moka,
i vestiti
che scelsi di corsa:
tanto
nessuno mi avrebbe guardata,
mi sarei
mimetizzata tra ragazze più appariscenti.
Tra tacchi a
spillo, borse firmate, rossetti e pantacollant che permettevano di vedere più
di quanto lasciavano immaginare,
nessuno
avrebbe notato le mie scarpe da ginnastica e il mio maglioncino grigio.
Questo
invece di intristirmi mi rallegrava:
potevo
starmene al centro e spiare il mondo dai miei occhi castani fino a spogliarlo
da qualsiasi maschera senza correre il rischio che il mondo spogliasse me.
Coglievo e
conservavo tutto ciò che c'era di bello,
che cosa avrei potuto desiderare di più?
L'amore,
forse.
Sospirai,
pensando di aver colto nel segno:
mi stavo
nascondendo così tanto facendo la parte della donna indipendente e libera (e
terrorizzata) che (per paura) non voleva nessuno accanto a se quando in realtà
come tutte le ragazze della mia età desideravo ardentemente un contatto, una
familiarità negli occhi di qualcun altro.
Desideravo
essere travolta dalla passione dell'amore.
Chiavi della
macchina, frizione, acceleratore, via.
La mia macchina
sapeva sempre come tirarmi su di morale.
Guidandola
potevo sentire che un po’ le piacevo, che un po’ mi voleva bene,
si adattava
perfettamente alle mie abitudini e alla mia guida un po’ sportiva,
le piaceva
quando in curva, invece di rallentare, acceleravo.
Non potevo
immaginare che tutti i miei discorsi mentali oggi sarebbero andati a farsi
fottere:
due occhi
verdi mi avrebbero notata e trafitta.
Spogliata di
tutto quello che non ero io, mi avrebbero guardata fuori e dentro,
e poi di
nuovo fuori,
e poi di
nuovo dentro.
Prima che
iniziasse la lezione mi accorsi che Marco stava bisticciando con i numeri, i
calcoli, e i compiti a casa:
"Ancora
nulla?"
Alzò la
testa dal banco quel tanto che bastava per dare un occhiata a chi fossi,
poi la alzò
un po’ di più per accennarmi un sorriso.
"Buongiorno"
"Giorno!
Ancora nulla?"
Mi odiavo da
sola per quanto la mia voce potesse a volte essere squillante.
"Na ma mi ci son messo ora in realtà"
Presi posto
accanto a lui e sbirciai quello che aveva scritto sul foglio:
aveva una
grafia confusa e irregolare; c'erano calcoli, ragionamenti scritti e non
formalizzati, le parole di una canzone:
"Cause nothin' lasts
forever
And we both know …"
…parole
che non feci in tempo a leggere, perché il suo sguardo indagatore fece spostare
il mio, un po’ troppo curioso, dal suo foglio.
"Non
riesco a collegare le varie assunzioni, come se mancassero dei pezzi"
"Prova
ad aggiungere ipotesi al problema e collegarli" azzardai senza riflettere.
"Ma non
ha senso"
"No in effetti
non ce l'ha, non l'ho nemmeno guardato a casa, solitamente non li faccio i
compiti"
Gli sorrisi,
lui fece lo stesso
"Di
solito nemmeno io
ma questa
volta mi interessa,
cazzo per è
la prima volta che mi capita da quan…"
Avevo perso
l'ennesima lezione di economia e aggiunto altri argomenti alla lista di quelli
che studiando non avrei capito, o forse si ma con difficoltà e il tutto per
risolvere un problema di calcolo numerico.
Considerando
che molto probabilmente avrei presto optato per rimandare economia al prossimo
semestre non mi era andata troppo male.
Mi voltai e
salutai velocemente Marco che rispose con un cenno del capo e un -ci vediamo-,
ora sapevo
qual'era la canzone su quel foglio di brutta, avevo avuto un'ora e mezza per
sbirciarla: tra una chiacchiera, un conto ed un ragionamento.
Era un pezzo
preso da NovemberRain, dei Guns n' Roses:
"Cause nothin' lasts
forever
And we both know hearts can change
And it's hard to hold a candle
In the cold November rain"
Corsi a
prendere il mio caffè delle 11:30.
Arrivata
alla cassa mi accorsi di aver scordato il portafogli da qualche parte,
ecco! La
solita rincoglionita!
Imbarazzatissima,
mi discostai dalla fila e feci passare gli altri studenti avanti mentre cercavo
disperatamente di racimolare spicci nelle tasche dei pantaloni, del
cappotto, in fondo alla borsa…
"Due
caffè per piacere"
Lo studente
in fila dietro di me attirò la mia attenzione,
Era bello,
alto e carismatico. Mi guardò con i suoi occhi neri così intensamente che mi
sciolsi.
"Signorina
posso offrirle un caffè?"
Si rivolgeva
a me dandomi ironicamente del lei, anche il suo sorriso contribuì all'effetto: -burro sopra una fetta di pane appena
tostato-
"Non
preoccuparti, grazie comunque"
Mi diede un
buffetto:
"Andiamo
che ne ho presi due e uno è per te…"
Si spostò
dalla fila per la cassa alla fila per le ordinazioni, io lo seguì:
"Grazie"
"Di
nulla"
Ordinò e
tornò a guardarmi, e io non feci nemmeno in tempo a tornare nel mondo cognitivo
che sprofondai di nuovo in quello dei sogni.
"Comunque,
io mi chiamo Christian"
"Eleonora"
Aveva una
stretta di mano forte, decisa, non come la mia tipica stretta di mano da
pappamolle.
"Lo so,
seguiamo lo stesso corso di calcolo numerico"
Come? Come?
Come potevo non essermene mai
accorta?
"Ah,
non ci ho fatto mai caso"
"Per
forza, sei sempre distratta, guardi sempre nonsisadovenonsisacosa"
Ed era vero,
perché i
miei occhi sbirciavano il mondo, ma in modo strano: guardavano intensamente
solo quello che volevano loro, come
volevano loro.
"ah, si
un po’ hai ragione, scusami.." Non so il perché lo dissi, forse sarei
dovuta apparire più decisa:
Non ci stavo riuscendo.
"Ah
tranquilla, figurati! Non c'è niente di cui farsi perdonare,
ma mi fa
piacere averti incontrata, ora e senza portafogli" Rise sotto i baffi.
"Dai,
non prendermi in giro! Uffa…"
"Dico
sul serio, sei sbadata in ogni cosa che fai, non c'è che dire,
ma almeno
così son riuscito ad offrirti un caffè,
era da un
po’ che ci pensavo"
Guardandolo,
non stava ridendo, no. Parlava seriamente.
Allargai il
sorriso a più non posso:
"Davvero?"
Sembravo una bimba con in mano una caramella
"Si"
Sorrise anche lui, poi imbarazzato distolse lo sguardo.
"Vieni
con me a lezione?"
Durante la
lezione mi sedetti vicino a lui e tra un appunto ed un altro lanciavo qualche
occhiata furtiva a Christian cercando di non farmi beccare, lui probabilmente
se ne era accorto (impossibile non farlo, vista la frequenza con la quale ogni
volta, con qualsiasi pretesto, mi voltavo) ma aveva fatto finta di niente in
modo molto signorile.
La mattinata
passò velocemente, mentre mi specchiavo nei suoi occhi neri.
Ricevetti
presto la risposta che aspettavo da Alessandro, ci saremmo visti nel tardo
pomeriggio.
Qualcosa era cambiato, e Francesca lo
sapeva bene: 8 giorni senza di lui sarebbero dovuti sembrare un eternità mentre
invece erano solo tanti. Poi Marco e
la sua familiarità, la sua voce profonda e la sua sicurezza, mettevano tutto di
nuovo in dubbio.
Lei stava
facendo volontariamente un gioco che
l'avrebbe distrutta, avrebbe distrutto entrambi,
Francesca e Marco;
non
riuscendo a farne a meno desiderava ardentemente di essere ricambiata, un
ragazzo d'oro come Marco era più unico che raro, e lei lo sapeva bene. Perché avrebbe
dovuto lasciarselo scappare?
"Ciao,
non lo so cosa voglio di
preciso
mi dispiace davvero non
poterti dare le risposte che meriti…
Ma ho bisogno di vederti…Ti va di andare dal cinese?"
"Dico
sul serio, cioè hai fatto la figura della scroccona ancora prima del primo
appuntamento, ora sto tipo si aspetterà di dover pagare tutto lui se mai
andrete fuori a cena"
"Alessa' hai il romanticismo sotto i piedi!"
"Sono
realista, è diverso
-l'enfasi sulla
parola diverso, ammiccando, così da farla vergognare ancora di più-
hai il suo numero
di cellulare?"
"No"
"Ele sei una frana stratosferica…mo
col cavolo che ci fa un pensierino ad uscire con te.
cioè dico
io:
lui ha fatto
il passo base e te potevi anche ricambiare il favore,
del passo
base più il caffè largamente scroccato, e fare il passo primo"
"Ale ma come parli? sembri uscito da un episodio di Ed, Edd e Eddy*!"
"Chi?"
"Niente,
lascia stare,
hai solo
lacune infantili gravi per non aver visto quel cartone animato.
Comunque, la
prossima volta glielo chiedo"
"Sese! Pare vero"
"Uffa"
"Rassegnati
hai perso la tua occasione, domani troverà una ragazza più disponibile, con
meno complessi, e che viaggia di meno di te ed è andata, hai perso la tua
occasione, Per Sempre"
Ovviamente
enfatizzando anche il per sempre, perché è così che funzionava tra loro due:
Lui prendeva
in giro lei in ogni istante, sempre e dovunque,
qualsiasi
cosa lei faccesse.
E' fatto
così Alessandro.
E la cosa
bella tra quei due è che Eleonora non saprebbe stare senza il suo amico
rompicoglioni, esattamente così come è.
*Edd Ed ed Eddy
è un cartone animato che facevano (o fanno non lo so) su cartoon network, non
per far pubblicità ma mi piaceva il riferimento
Premetto che avrei
voluto scrivere molte più cose in un capitolo solo,e invece li ho divisi in due
(questo è perché mi soffermo troppo quando racconto e scrivo un sacco di
particolari in più di quelli che magari inizialmente pensavo di scrivere)
Quindi
si, cioè no XD
Il
capitolo non si conclude, ma resta un po’ in sospeso,
e a
dirvi la verità l'ho fatto anche per stimolare la vostra curiosità…
c'è un particolare in questo capitolo che rende l'intrigo ancora più
interessante, un particolare che al momento non svelerò (mi raccomando, se
credete di averlo capito non "svelatelo") XD.
Aspetto
recensioni se avete seguito questa storia, se vi è piaciuta (potete dirmi anche
che fa schifo non mi offendo (basta che la critica sia costruttiva ;)
Soprattutto
se volete che continuo, stimolatemi a farlo..recensite così che io sappia che
la state leggendo e continui ad aggiornare
Ditemi
che ne pensate della storia e dei personaggi che son curiosissima di sentirlo
:)
Mi aveva sorriso e mi aveva dato un bacio
sulla guancia, mentre arrossivo e mi lasciavo trasportare dal suo immancabile
entusiasmo.
Ma cosa mi stava succedendo?
Cosa?
Dove era andata Francesca?
Forse ero spaventata, forse.
Forse volevo solamente tornare ad avere 15
anni, ed essere felice, o perlomeno serena.
La serata proseguì sempre meglio, al
ristorante mentre mi guardava negli occhi faceva il giullare e mi raccontava le
sue disavventure all'università cercando di farmi ridere,
e ci stava riuscendo.
Mi ricordo che il calore di quel posticino
con le luci soffuse, puzzolente di fritto mi travolse,
come mi travolse il suo umorismo e la sua
parlantina senza né un senso né una fine precisa.
Era più di un anno ormai che non lo sentivo
parlare così tanto e così in fretta, e che non cercava in quel modo così
adorabile di farmi ridere,
più di un anno.
Che fine avevamo fatto in tutto
quel tempo?
Nervosismo, problemi, lacrime, tutte quelle
cose brutte che ci avevano allontanato, e che ci avevano messo paura in un
attimo erano svanite.
Tornavo a sorridere timidamente,
finalmente.
Dopo cena lo portai al cinema a vedere una
pessima commedia romantica, credevo fosse un bel film e invece,
mi ritrovai a distrarmi più volte durante la
proiezione da qualche sua battuta triste o da qualche suo piccolo monologo
strano.
Tutto quello, questa sera, mi stava
riportando a com'era Marco in realtà, e non come era diventato negli ultimi
mesi ma come era fatto, dentro, nel midollo.
Riuscivo quasi a ricordarmi il motivo per il
quale avevo perso la testa per lui.
fattelo dire da qualcuno che ti
conosce veramente:
Sei una cretina!
Non una cretina come tutte le
altre, tipo, che ne so, quella rincoglionita della professoressa di disegno del
liceo, che era talmente rincoglionita da non accorgersi che copiavo tutti i disegni
dal mio compagno di banco ma visto che ero più carina di lui mi metteva un voto
in più, no! Non un rincoglionimento di quel tipo,
cretina nel profondo,
irrimediabilmente cretina! Incredibilmente cretina!
Stasera è una noia, penso che
dovrei smetterla di insultarmi gratuitamente e fare qualcosa,qualsiasi cosa, di
meno degradante,
tipo una puntata di "How I metyourmother", che magari con un pizzico di fortuna
sarei riuscita anche a trovare su youtube.
Ok lo ammetto, parlo da sola,
a volte,
spesso.
Eleonora parlava da sola come una
schizofrenica a volte, e forse un po’ lo era davvero.
Parlava da sola perché la aiutava a
riflettere, a concretizzare le sue emozioni, a dargli una forma, così da
poterle visualizzare molto più chiaramente nella sua testa, che era un po’
visionaria.
Prima che io scesi dalla macchina mi guardò
mi sorrise e mi diede un altro bacio sulla guancia, sorrisi anche io cercando
di manifestare quanto mi avesse fatto stare bene in quelle ore e quanto fossi
grata a lui per questo.
Poi, per consolidare il ringraziamento, e
anche perché mi andava, gli mandai un messaggio appena chiusi il portone di
casa:
"è stato carino rivedersi,
ho passato una bella serata in tua compagnia,
domani lo rifacciamo?
Franci"
Mi avevano chiamato mentre ero via…
…
Roberto…
Era una delle rarissime volte in cui aveva
chiamato lui, da quando lo conoscevo ero io ad assillarlo di telefonate, di
messaggi, di affetto, lui se ne era sempre altamente fregato. Ma non mi
soffermai sul perché aveva cambiato così repentinamente le sue abitudini
facendo il primo passo invece di limitarsi a sparire, perché diedi subito la
colpa al sesso, sarà stato in crisi di astinenza, senza nessun'altra ragazzina
intorno che lo potesse soddisfare.
Buttai con rabbia il cellulare dentro la
borsa e decisi che avrei ignorato la chiamata di quel bastardo, chiamata che
non era altro che l'invito esplicito a spogliarmi ed infilarmi nel suo letto,
o forse dentro la doccia,
mah che importanza aveva? Voleva solo
sbattermi ed io ero ferita.
Decisi che avrei controllato e letto l'eventuale
risposta di Marco domani mattina, perché ero stanca e non volevo dare il tempo
sufficiente ai brutti pensieri di prendere il sopravvento su quella serata così
quasi perfetta.
Marco era stordito e confuso in quella
mattinata soleggiata di Novembre, sensazioni positive si facevano strada lungo
quella nuvola grigia del suo radicato pessimismo,
pessimismo perché, in fondo, quello che stava
vivendo era identico all'inizio di una storia che ormai aveva visto ripetersi
troppe volte, e ogni volta con lo stesso finale: lei se ne andava, spesso tra le braccia di qualcun altro.
Per questo voleva mantenersi razionale e non
farsi coinvolgere troppo, anche se gli riusciva impossibile evitare
quell'ondata di entusiasmo che a poco a poco lo stava travolgendo.
Si sforzò a seguire le lezioni e a non far
sfuggire lo sguardo oltre la finestra, e soprattutto, a non pensare a
Francesca.
Durante la pausa pranzo vide Eleonora in
difficoltà: aveva sicuramente troppe cose per le mani e stava combattendo
contro la cerniera della borsa, con scarso successo;
un istante e capì cosa stava succedendo, ebbe
un'anteprima di un futuro molto prossimo: tutte quelle cose a terra e un
Eleonora piuttosto imbarazzata.
Fece un passo fulmineo verso di lei e riuscii
ad evitare l'impossibile: afferrò la tracolla della borsa con una mano e prese
al volo il quaderno con l'altra.
La concentrazione necessaria a
compiere quell'impresa non gli
consentiva di guardarla negli occhi.
"Ciao Ele"
Disse alzando gli occhi verso i suoi e sorridendo ampiamente.
"Ciao, grazie"
"Ti hanno mai consigliato di
fare una cosa per volta?"
"Ecco perché mamma me lo
ripeteva sempre - Rise - mi diceva sempre anche di prendere le cose con due
mani"
"Perle di saggezza"
"Soprattutto con un disastro
di figlia così"
Marco la guardò interrogativo,
pensando -perché un disastro? Non è mica
così male-
"Mo non esagerare sei solo
un po’ sbadata"
Eleonora sbuffò, esprimendo tutto
il suo disappunto
"Ok,un po’ tanto"
Sorrise spontaneamente pensando a quanto fosse spontanea Eleonora.
"Grazie mille comunque, ora
chiudo la bors.. - con movimenti veloci mise le cose
che teneva in mano dentro la tracolla e chiuse la lampo - ecco fatto,
grazie"
"Di nulla"
Eleonora aveva qualcos'altro a
cui pensare, qualcosa che le teneva la mente occupata, che probabilmente la
distraeva, rendendola ancora più distratta del solito, Marco se ne accorse.
"Ele
è tutto a posto?"
"Si, Perché?" lei era
smarrita.
"Non so ti vedo un po’ strana…"
"Si, si,
tutto a posto"
Eleonora si stupì che qualcuno
che conosceva da così poco tempo riusciva già a leggerle negli occhi.
"Sto scappando, ciao
Ma"
"Ciao" Sorrise ampiamente
di nuovo, cercando di trasmetterle un po’ della sua energia.
Marco sbirciò per un po’ Eleonora
mentre si allontanava: quella ragazzina minuta l'aveva colpito dal primo
momento, e poi era sveglia, simpatica, e loro due si capivano.
Si era scordato di rispondere a
Francesca:
"Volentieri = )
ma facciamo dopo cena che sto diventando
grasso ç.ç
Passo alle 9:30 "
Si riempì di orgoglio e iniziò a
dirigersi verso la fermata dell'autobus.
Prese lo stesso autobus di
sempre, si sedette nel solito posto, ma qualcosa durante quel solito viaggio
passato con la musica nelle orecchie e lo sguardo fuori dal finestrino lo
turbava.
C'era qualcosa di diverso,
qualcosa di strano, come un energia negativa, verso di lui.
La percepiva distintamente, ma non
riusciva a coglierne il motivo, nè la fonte.
La vide solo quando si alzò per
uscire dal veicolo: Teresa, la ragazza che aveva conosciuto qualche giorno fa e
a cui aveva promesso un incontro il giorno dopo su quello stesso autobus,
incontro che mancò, dimenticandosene.
Non lo degnò di uno sguardo, si
alzò e scese troppo velocemente per fermarla, aveva gli occhi bassi e
un'espressione mista tra la rabbia, il dispiacere e la delusione.
In un attimo si sentì perso,
mortificato: aveva deluso tutte le aspettative di quella ragazza che non solo
non aveva fatto niente per meritarsi un tale atteggiamento ma in più gli era
sempre piaciuta.
Era stata carina con lui dal primo
momento, e per un po’ Marco aveva anche seriamente pensato di provarci con lei,
e molto probabilmente l'avrebbe anche fatto se non fosse subentrata Francesca.
Iniziò a volare con la fantasia:
Era il giorno del
matrimonio del cugino di Francesca.
Marco si era scomodato
a mettersi in giacca e cravatta mentre lei indossava un abito blu lungo fin sotto
le ginocchia, lasciava scoperte le spalle e Francesca aveva pudicamente
rimediato con un giacchetto grigio.
Lui era estasiato da
quell'immagine.
L'aveva vista in
difficoltà, seduta su un muretto a riposare le gambe durante quei pochi minuti
di pausa dal cerimoniale, gli unici che avrebbero avuto in tutta quella
lunghissima giornata,
così la prese per mano
e la portò via, appena furono fuori dalla vista degli invitati la prese in
braccio, continuando ad allontanarsi da tutto quel chiasso, lei non disse una
parola, acconsentendo.
Quando furono
abbastanza lontani le sfilò le scarpe, si tolse il cappotto e lo posò
sull'erba, si sarebbe sporcato e probabilmente avrebbe speso un po’ solo per
portarlo in tintoria, ma non gli importava.
Si stesero entrambi
sul quel minuscolo spazio, esausti.
Un brivido percorse il
corpo di Francesca, e Marco con la scusa l'abbracciò ancora più forte, sentiva
distintamente il suo respiro sul collo e il battito del suo cuore accelerare.
"Amore hai
freddo?"
"Si,un po’,
ma non muoverti,
ho voglia di stare
così, di stringerti forte"
Marco non poteva che
essere d'accordo, sorrise, pensando che al mondo non ci fosse niente di più
bello che tenere ciò che si ama stretto a se, in modo autoritario, deciso,
forte, senza mai correre il rischio che possa sfuggire alla presa.
le baciò la fronte
mentre la mano che non la stringeva a se le accarezzava i capelli dolcemente.
Il suo corpo ebbe la
naturale, fisiologica reazione che la vicinanza di Francesca sempre gli
suscitava: non poteva farne a meno, non perché fosse un pensiero costante
quello di fare l'amore, non era dovuto al chiodo fisso che si dice che i
giovani abbiano entro una certa età, no.
Era la costante e
immancabile voglia di quel minimo contatto, del suo profumo, di lei.
"Marco?"
"Che c'è?"
Immaginava già un piccolo rimprovero e una presa in giro per essersi rivelato
tanto vulnerabile.
"Ti amo"
Scandì ogni singolo
suono, e fissò l'immagine delle sue labbra pronunciare quella promessa d'amore
nella mente, inconsapevole che vi sarebbe rimasta per il resto della sua vita.
Era la prima volta che
sentiva Francesca pronunciare quelle parole,
sebbene lui
gliel'avesse già detto tantissime volte che l'amava lei non l'aveva mai fatto,
e non perché non l'amasse, di questo ne era fermamente convinto, ma perché non
voleva,
non voleva esporsi
perché aveva paura delle emozioni che provava.
Poi lei lo guardò, e
nell'immensità dei suoi occhi verdi trovò l'amore che stava cercando, quello di
cui aveva bisogno, e vi trovò anche tutte le sicurezze, che forse,
forse,
non meritava.
Un bacio sulle labbra,
il sapore del vino bianco copriva tutti gli altri.
L'amore di Marco si
percepiva anche in quel timido bacio.
Un bacio, poi un
altro, poi un altro,
e la tentazione di
resistere dall'andare oltre, e fare l'amore su quel prato, li, in quel momento,
resistere dal
dichiararsi amore eterno inebriati dal vino, innamorati persi.
pensando a quel momento Marco si
domandò se tutto quello che era successo potesse essere stato frutto di un
inganno e si rispose immediatamente.
No, qualcosa di così bello e così
sentito non poteva non essere vero, non poteva essere solo finzione,
no, non era possibile,
Francesca era li su quel prato a
digli che l'amava, e ci aveva creduto veramente,
doveva essere così, doveva.
Per forza.
Conservava quella certezza come
un tesoro raro, spesso quando non sapeva cosa pensare su Francesca, quando non
capiva il motivo per il quale l'avesse trattato così male, spesso ripensava a
quel momento.
No non poteva essere solo la sua
immaginazione.
Eppure cose orribili erano
successe: le promesse infrante, le cattiverie dalla sua stessa bocca, il
tradimento.
Vedeva tutto questo Marco e si
sentiva soffocare: amore o odio?
Odi
et amo. Quareidfaciam, fortasserequiris. Nescio, sed fieri sentioetexcrucior.
[Catullo]
Odio
e amo. Come possa farlo forse ti chiedi.
Non
so, ma questo sento e mi tormento.
Aveva tutta la voglia di
piangere, e probabilmente ne aveva anche il diritto, considerando quello che
stava passando in quel momento:
la voglia di tornare ad essere
felici, il bisogno di avere Francesca al suo fianco contro la paura di tornare
ad amarla per poi essere abbandonato di nuovo,
tutto questo lo rendeva
instabile, soggetto ad emozioni che nemmeno concentrandosi al meglio delle sue
capacità riusciva a controllare: non sapeva cos'era che stava succedendo ed era
terrorizzato all'idea di fallire di nuovo, di cadere, di affogare.
dopo un po’ che sono stata lontana dal pc
torno ad aggiornare, spero che gradiate il capitolo (chiedetemi di continuare a
scrivere se vi piace così mi motiverete ^^ )
Fatemi sapere che ne pensate della storia e di come la sto
sviluppando,
potete darmi qualche dritta se vi va =) sono un po’ smarrita
>_<