Amare, questione di un attimo

di PeterLinus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Amici come prima ***
Capitolo 3: *** Nuove vite, o forse no... ***
Capitolo 4: *** Green Eyes ***
Capitolo 5: *** Odi et amo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Amare, questione di un attimo.

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Premetto che avrei dovuto chiamare questa storia in un altro modo, frammenti forse, perché è così, sono piccoli frammenti che mi vengono da dentro proprio quando mi metto davanti allo schermo del pc e comincio a scrivere,

Non lasciatevi fuorviare però questa storia ha una sua trama: inizia e prosegue con un suo senso logico, sono i punti di vista che cambiano, le impressioni e le emozioni dei personaggi che variano continuamente, senza fermarsi mai, proprio come succede, nella realtà.

E così i punti di vista cambiano: terza persona, prima persona singolare, e una volta saremo nella testa di Francesca, un'altra in quella di Marco, e così via, separandoli con una linea continua

cercherò di far capire abbastanza rapidamente ogni volta qual'è il punto di vista dal quale sto raccontando perché mettendomi nei panni di un lettore so che questo in certi casi potrebbe risultare complicato.

Vi lascio alla lettura, spero recensiate

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Capitolo 0: Prologo

 

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Era sul treno Marco, i pensieri volavano fuori dal finestrino, avanti e indietro,
quasi volessero seguire i binari di quel percorso, tornavano indietro su quella spiaggia fino alla precisa immagine di lui seduto da solo a contemplare il mare, solo.

Andavano avanti, superavano incerti la stazione, salivano sul pullman, percorrevano le stradine del centro e quelle della periferia, entravano indiscreti dentro casa sua e nel suo letto.

Nei suoi pensieri Marco non era solo, c'era lei con lui.

Quella continuava ad essere la sua idea della perfezione, loro due, lei,

Francesca.

Nonostante fosse solo ormai da mesi, e non l'avesse più vista e sentita solo raramente,

nonostante lei l'avesse lasciato, tradito, ferito, mortificato,

nonostante tutto questo nella sua testa le immagini del paesino dove aveva passato gli ultimi 20 anni,  di casa e della sua cameretta erano indissolubilmente legate a Francesca.

Quel letto ad una piazza dove anche lui da solo stava stretto ma se era stretto a lei immensamente bene…

Tutto ciò che lo aspettava davanti a quel treno alla fine di quei maledetti binari.

Solo un nome che rimbombava, echeggiava, lo ossessionava, di continuo,

solo un nome, Francesca.

 

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Entrò, posò le chiavi sul mobile all'ingresso che era sempre stato troppo alto per i suoi gusti, si tolse il piumino che aveva comprato pochi giorni fa in un negozio al centro di Roma e che probabilmente aveva pagato più di quanto realmente valesse, e si distese sul letto, pensando che fosse nata stanca.

Pensò alle stranezze del caso, a quando hai tanti ragazzi che farebbero follie per te e un momento dopo non c'è nessuno fuori dalla tua porta, né nessuno a cui interessa come stai, che ti manda messaggini prima di addormentarti, che ti ripete che ti ama.

Tre ragazzi le avevano detto di amarla solo pochi mesi prima, perché allora era sola, adesso?

Aveva scelto quello sbagliato perché aveva quel dannato sorriso, ingenuamente pensò che qualcuno con un sorriso così non poteva che essere una persona meravigliosa.

E invece lui non contento di averle fatto chiudere una relazione di due anni se l'era spassata con lei per qualche mese e poi gli aveva confessato di non volere avere un rapporto stabile perché non era il tipo d'uomo da una "fidanzata" per volta .

ovviamente non usando queste testuali parole.

Ed ora distesa sul letto, dopo una giornata intera passata a far shopping ma soprattutto a prender freddo aveva bisogno del calore di sentirsi dire parole belle, così chiamo l'unica persona che non avrebbe mai dovuto chiamare, l'unica che non aveva parole belle da dire, non più.

Aspettò pazientemente la risposta sapendo che lui era il tipo da avere sempre il cellulare vicino e che non stava rispondendo perché non voleva rispondere.

Aspettò, riprovò e come succedeva sempre alla fine ottenne quello che voleva:

"Pronto"

"Ehm…ciao Marco"

"ciao"

"Com'è che non rispondevi?"

"Non lo so...Te com'è che chiami?"

Silenzio.

Non poteva di certo dirgli che aveva un estremo bisogno di essere consolata, rassicurata, amata.

No, non glielo poteva dire, soprattutto perché non voleva essere amata da lui.

"Dove sei?"

"In treno, sto tornando a casa"

"Dove sei andato di bello?"

"In spiaggia"

"Marco al mare ci si va d'estate, non a Novembre"

"Quindi?" Cominciava ad essere infastidito

"Quindi perché? Perché devi sempre capovolgere l'ordine delle cose? La gente va al mare a divertirsi, prende un po’ di sole, cose da mare insomma, te no, d'estate il mare manco lo tocchi! Ti chiesi di venire al mare due giorni con me tempo fa e sembrava ti volessi torturare! "

"E io son venuto per stare con te non di certo per prendere il sole, sai che lo odio.
Devo sempre capovolgere l'ordine delle cose perché son fatto così, e oggi volevo stare da solo. Ma perché chiami? Vuoi rinfacciarmi il fatto che son disturbato, pazzo, malato e tutte quelle cose li?"

"No, scusa io volevo…

…vedi sto passando un periodo complicato, ed è novembre, e fa freddo, e io…

…volevo…

…volevo sentirmi dire qualcosa di bello, di buono, di reale e sincero da qualcuno come te che mi è sempre rimasto vicino"

 

...



Aveva attaccato il telefono, prevedibile.

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Somma qui, sottrai li, uffa.

Perché mi ci sono iscritta?

La più talentuosa studentessa di matematica della classe, ma lo diceva la mia professoressa. Ovvio che non l'avrebbero poi pensato tutti gli altri professori, e mentre i miei compagni credevano fossi una specie di genio in gonnella, io studiavo duramente perché volevo riuscire.

I miei genitori hanno sempre creduto fossi riuscita a fare qualunque cosa avessi desiderato, non volevo deluderli. Io mi sono posta limiti già svariate volte, non loro, io ho sempre pensato di non essere in grado e ho scelto quello che mi dicevano "sapevo fare meglio" non quello che volevo.

Ma, perlomeno dovevo farlo meglio.

Squillò il cellulare, un buon motivo per non studiare.

Ale era un buon motivo per non studiare

"oi ciao" Perché la mia voce sembrava ogni volta così maledettamente squillante quando rispondevo al cellulare con la scritta sullo schermo?

"Ciao Ele, Che combini?"

"Studio" constatazione che mi fece tornare alla realtà, uffa

"Senti ti volevo dire che sto passando dalle tue parti, se ti va ci prendiamo un caffè.."

"ok" non ero stata abbastanza enfatica

"Ok allora tra poco passo, fatti trovare pronta! A dopo"

Solo io potevo avere una cotta stratosferica da un anno per quel bastardello del mio migliore amico. Non che io significassi davvero qualcosa per lui, ma ero l'unica amica che aveva, l'unica ragazza almeno.

Quel giorno mi convinsi che gli avrei detto che lo amavo, si lo avrei guardato negli occhi e gli avrei detto: "Ti voglio più bene di quanto voglio dimostrare. non vorrei per nessun motivo al mondo che ti allontanassi perché non puoi ricambiare quello che provo, ma lo provo e non ci posso fare niente, non posso fare a meno di amarti, volevo dirtelo. "

sisi, così avrei detto, proprio così.

Ripetendo queste parole più volte nella mia testa mi feci forza e mi autoconvinsi che stavo facendo la cosa giusta, e poi dovevo essere sincera con lui, soprattutto dopo tutto quello che avevamo passato, insieme.

 

Ho creduto che sarebbero passati più velocemente venti minuti,

e invece dopo essermi sistemata a dovere cercando di sembrare abbastanza carina, senza lasciare intendere di essermi preoccupata del mio aspetto per più di cinque minuti non avevo più niente da fare se non fissare il vuoto e aspettare, aspettare e fissare il vuoto, fissare il vuoto e pensare ad Alessandro, al suo sorriso, a quello che sarebbe cambiato dopo la mia "rivelazione", a cosa avrei molto probabilmente perso, anche se non volevo:

lui, il suo modo di prendermi in giro, la sua voce al telefono, di giorno o di notte. Chiamava quando voleva.

In istanti casuali della sua giornata si ritrovava inconsciamente a cambiare la mia, migliorandola.

 

Salì in macchina e lui mi salutò e mi sorrise.

Il cuore stava impazzendo insieme a tutto il resto del mio corpo, persino il cervello che di solito se ne stava in disparte, scettico e diffidente: adorava starsene su un piedistallo a guardare il mio cuore soffrire e aspettare il momento giusto per infierire con un "te l'avevo detto", sadico.

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Questa è la mia prima storia su questo sito
sebbene io scriva storie da una vita raramente le ho pubblicate, perché spesso mi vergogno che magari sono un po’ personali, perché mi scoccia, o perché boh.

Non l'ho pubblicizzata quindi non mi stupirei molto se nessuno la troverà magicamente tra la lista delle nuove storie e si incuriosisca per quella sottospecie di "intro" che ho scritto.

Ma se capita, e vi piace, vi prego di farmelo sapere, così continuo con molte più motivazioni (non nego che essendo un esperimento potrei "abbandonare" notando dopo un po’ che a nessuno piace/interessa).

Mi metto in gioco perché mi piace e mi piacerebbe ricevere opinioni, discutere insieme di cose che vanno o non vanno. Mi piacerebbe migliorarmi, con il vostro aiuto…

Ora torno a scrivere J

Saluti

 

 

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Capitolo 2
*** Amici come prima ***


Capitolo 2: Amici come prima

 

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A volte sentire i commenti acidi delle mie amiche (perlomeno coloro che avrebbero dovuto esserlo) su di me e su come mi comportassi mi faceva stare male, soprattutto perché ero stata io stessa ad ispirarli.

Gli avevo raccontato ogni piccola porzione della mia vita e delle mia storia perché volevo essere sorretta, aiutata, confortata, da qualcuno.

Tutte quelle cose brutte, tutte quelle voci non le venivano mai a dire alla sottoscritta: buon viso a cattivo gioco, proprio come faceva quella faccia d'angelo per cui avevo tradito Marco.

Bastò un finto sorriso e un paio di finte parole carine e io mi buttai in quello che sarebbe stato poi il più grande casino della mia vita.

Sesso senza amore,

così dicevano.

Tutte le mie amiche erano convinte che fossi una specie di puttanella a comando. Lui chiamava io andavo, e facevo tutto quello che voleva, ogni volta. Effettivamente questo era proprio quello che succedeva, tranne un particolare, un piccolo particolare che non si poteva di certo considerare insignificante: Io lo amavo.

Amavo, non facevo solamente sesso. L'amore che sentivo dentro in quei minuti in cui lui si divertiva ad annullarmi e mortificarmi potevo sentirlo esplodere e crescere come un tumore che si stava espandendo, impadronendosi di quel poco che ancora era rimasto sano in me.

Violando le regole che io stessa mi ero imposta riguardo al fatto di farmi sentire al massimo un paio di volte a settimana, lo chiamai:

"Cucciola, come mai questa telefonata improvvisa?

Già ti manco?"

"Si"

"Anche tu, se potessi correrei subito da te, sul tuo letto, ora"

La solita storia, bastavano due parole e io impazzivo. Morivo dalla voglia di farlo mio ancora una volta, anche se, a pensarci bene, davvero mio non era mai stato.

"Vorrei che lo facessi"

"Lo so cucciola ma sono a Praga fino alla settimana prossima"

"A Praga?"

"Si, non te l'avevo detto?"

"No"

No non l'hai fatto, me ne ricorderei, no te non parli con me, non senti minimamente il bisogno di dirmi cosa cazzo fai quando non sei con me, non ti passa nemmeno lontanamente per l'anticamera del cervello, no. Io non esisto. Quando non sono con te sotto le lenzuola, non esisto.

"Credevo di si, comunque va beh non tornerò prima di lunedì prossimo"

mancavano nove fottuti giorni.

Ero incapace di parlare, troppo concentrata a reprimere una sfuriata che sarebbe sfociata in tanti insulti e un pianto isterico.

"Ce la farai senza di me fino a lunedì?"

"Si, mi inventerò qualcosa"

Mentivo, non potevo dargliela vinta.

"Brava, esci piccola, divertiti. Ma ricorda che sarai mia quando torno. Devo scappare. Un bacio. Ciao"

 

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Mi prese in giro in macchina da casa mia al bar, rideva e mi prendeva in giro.

Ordinò i due caffè, si mise di fronte a me e si accese una sigaretta.

Era una tipica giornata autunnale, ma dietro quelle nuvole scure che ormai stazionavano lì in cielo da giorni si intravedeva un po’ la luce del sole.
L'idea che fosse li e che si potesse intravedere mi faceva stare bene, sarebbero spuntati presto i primi raggi e la giornata sarebbe migliorata,

come la mia vita, con Alessandro vicino.

Il mio sguardo passò dal grigiore del cielo al fumo della sigaretta, al suo cappotto nero e alla sua espressione pensierosa prima di confondersi con il suo.

Osservare è sempre stato quello che sapevo fare meglio, adoravo spalancare i miei occhi castani e sbirciare il mondo,

sempre con una bella dose di fantasia, dipingendolo a volte migliore di quello che era. Emozioni e attimi si confondevano e gli occhi cercavano di parlare per me e di farmi capire mentre spesso le parole restavano bloccate ancora prima di lasciare l'angolo ignoto del cervello in cui venivano generate.

Adoravo guardare intensamente gli occhi di qualcun altro, soprattutto quando riuscivo a leggere cosa volevano raccontarmi:

Con Ale ci riuscivo, gli sguardi tra noi erano sempre più eloquenti di ogni spiegazione, battuta, discorso.

In quel pomeriggio mi parlò degli ultimi mesi che aveva trascorso, in cui non ci eravamo sentiti:

Aveva litigato con suo fratello perché voleva trasferirsi a Berlino da una ragazza che aveva conosciuto ormai da un paio di anni, lasciando suo padre a casa da solo con lui.

"Ele io non ce la faccio da solo, lui ha bisogno di aiuto e io non so come…"

Gli avevano diagnosticato una forma di leucemia senile, aveva bisogno di trasfusioni una o due volte al mese, peggiorava di giorno in giorno…

parlò prevalentemente lui, della sua famiglia, di come stesse crollando poco a poco tutto e di come fino al mese scorso non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi in questa brutta situazione, si scusò con me per non essersi fatto sentire, sapeva che era colpa sua e anche se non l'aveva mai ammesso ne l'avrebbe ammesso oggi, domani, o dopodomani, mi considerava davvero importante.

Quest'ultima cosa, che ovviamente non mi disse, la colsi, ne ero sicura,

parlarono i suoi occhi.

Mi sentì in colpa per averlo giudicato, per aver pensato in quest'ultimo mese che lui mi avesse usato come e quando gli era stato comodo per poi salutarmi quando non voleva avermi intorno. Ora che sapevo che non era mai stato così avrei voluto sapermi esprimere meglio, sorridergli e dirgli che gli volevo bene e che gli sarei sempre stata vicina, che anche lui era importante per me e che insieme, come avevamo fatto fin'ora avremmo potuto affrontare tutti i mali del mondo.

 

Ma non lo amavo? Non era questo che gli volevo dire?

Forse no…

Ci stavo pensando mentre lo sentivo parlare dell'ultima figuraccia che aveva fatto con il padre di un suo amico,

che forse era davvero tutto li, e lo era sempre stato, incredibilmente vicino quanto incredibilmente lontano.

Non sentivo il minimo bisogno di sfiorarlo, ne di baciarlo,

 di abbracciarlo si, ma come un amico, un caro amico,

il più caro al mondo.

 

A casa quella sera stessa gli scrissi un messaggio che non avrei mai inviato:

 

"Ero arrabbiata con te solo perché ho avevo paura di perderti,

ora non ne ho più,

Amico mio ti voglio bene,

come prima,

come sempre."

 

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Capitolo 3
*** Nuove vite, o forse no... ***


Capitolo 3: Nuove vite, o forse no…

 

 

 

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La giornata aveva luci nuove, calde, per Francesca. Si era appena svegliata senza nessun altro sul letto, a parte la sua micia Marie, chiamata così perché le ricordava la gattina bianca degli Aristogatti, anche se questa sua Marie era tutta nera.

Dopo sette giorni lontana dalla sua unica droga, si sentiva pulita, libera:

libera di provare emozioni belle e non maledirle subito dopo, di amare e di venire ricambiata.

Decise che avrebbe tenuto il cellulare spento tutto il giorno così che non si sarebbe dannata l'anima e rimproverata ogni volta che l'avesse sbirciato sperando che si illuminasse;

prima però doveva controllare...

L'icona del messaggino che lampeggiava sullo schermo però purtroppo non segnalava quello che avrebbe voluto lei.

Era Marco, il suo Marco:

 

"Ciao Fra,

Scusami se sono stato brusco.

A volte, al riparo da tutte le brutte voci che girano su di noi

 ancora penso che stare con te sia stata una cosa giusta…"

 

E' sempre stato bravo lui con le parole, pensò.
Durante quei due anni in cui erano stati insieme era sempre riuscito a farla sorridere narrandole storie o inviandole messaggi lunghissimi e testi delle sue canzoni preferite. E' un romantico Marco.

Ogni donna sogna almeno una volta nella vita di avere accanto un tipo come lui,

poi si sa, essendo donna, cambierà idea.

Così aveva fatto lei un anno fa, cominciando a pensare che fosse ossessivo,

ripetitivo,

noioso.

E più lui cercava di starle vicino, di farle capire quanto fosse speciale, di farla sentire importante più lei si allontanava, rispondeva nervosa, non lo sopportava.

Non sopportava più la sua vicinanza perché era diventata qualcosa di certo, scontato.

Sapeva che era suo e che lo era sempre stato, che poteva averlo tutte le volte che voleva, lasciarlo e riprenderlo come un giocattolo perché lui la amava davvero.

Ora probabilmente non sarebbe stato più così, lo sapeva bene, ma sapeva anche che continuava ad avere una certa influenza su di lui, continuava ad avere chanche…

…chissà, magari un giorno di quelli sarebbe timidamente ritornata sui suoi passi, ad elemosinare amore come una mendicante...

…amore, carezze,certezze, Dio quanto le mancavano.

Ironia della sorte: Tutto si era capovolto. Le cose che non sopportava erano quelle che più le mancavano adesso.

Qualcuno lassù probabilmente avrà pensato di giocarle un brutto scherzo, farla cadere in trappola, ed ora stava pagando le conseguenze del suo comportamento infantile e meschino nei confronti dell'unico uomo che l'avesse mai amata.

Un giocattolo era stato lui, un giocattolo era lei,

buttato in una scatola da tempo, scartato, dimenticato.

 

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Un'altra giornata uguale a tutte le altre stava cominciando, pensando a quanto fosse facile isolarsi durante le lezioni di qualsiasi professore in qualsiasi ora, mettersi in un angolino e disegnare, scrivere canzoni e pensare a lei, Marco salì sull'autobus che da li a 59 minuti l'avrebbe portato all'università.

Sperava che quella mattina potesse esserci a lezione qualcosa di interessante da ascoltare, un argomento talmente potente da catturare la sua attenzione, in fondo lui era sempre stato un appassionato di calcolo numerico; perché faceva così schifo?

Forse per i 61 secondi ogni minuto che passava distrattamente.

Musica nelle orecchie: Green Day oggi.

Le lezioni erano cominciate da un mese ormai, in quello che era il secondo semestre del secondo anno di corso,

anche se lui, essendo indietro con gli esami, era uno studente a tutti gli effetti del primo.

Si sedette in fondo al solito posto dove nessuno l'avrebbe guardato con occhi curiosi, nessuno.

C'era il solito gruppo dei fancazzisti davanti al lui: una moltitudine di ragazzi che si credevano estremamente fighi, illusi;

perché alla fine nessuno se li filava. C'era una ragazza bionda che sapeva il fatto suo con cui non aveva mai parlato;

non aveva quasi mai parlato con nessuno li in mezzo perché si sentiva spesso in difficoltà a stringere amicizie con persone così lontane dal suo mondo.

C'era il primo della classe, quello che alzava sempre la mano quando il professore sbagliava a scrivere qualcosa alla lavagna,

si era sempre chiesto come facesse visto che lui a malapena seguiva, una caccia al tesoro tra 109985420435 numeri;

lui si però che era simpatico, ci aveva parlato qualche volta e chiesto informazioni ed era sempre stato estremamente disponibile, cordiale e amichevole, gli aveva anche presentato i suoi amici e le sue amiche, con cui non parlava ma che salutava sempre.

Almeno era educato, salutava sempre.

Giovanni, Giacomo, Andrea, Alessandra…

La sua mente era come un post-it, o forse a dirla tutta una telecamera: registrava immagini, suoni, sensazioni, associazioni di nomi, di dettagli, di informazioni, registrava tutto, dalle cose più importanti alle più insignificanti.

Rientrò da una passeggiata tra i corridoi con probabilmente un caffè una ragazza che aveva conosciuto ad un esame.

Quel pomeriggio di febbraio era arrivata ansiosa ripetendo formule con un foulard grigio al collo e un maglioncino lilla.

Aveva i capelli castani, lisci e corti al di sopra delle spalle e l'espressione di qualcuno che aveva smarrito qualcosa.

Qualche rotella, pensò, e rise all'idea.

Oggi aveva i capelli un po’ più lunghi, la stessa espressione confusa e curiosa, lo stesso dolce sorriso,

e accorgendosi di essere guardata gli lanciò un occhiata allegra e lo salutò con la mano.

Rispose al saluto e girò lo sguardo verso un'altra direzione, un po’ imbarazzato.

Ricordava ancora ogni dettaglio del giorno che l'aveva incontrata, molto prima di averla conosciuta, a spasso per i corridoi e ricordava benissimo quel pomeriggio, quando con un sorriso gli aveva detto di tranquillizzarsi che lo avrebbe superato quell'esame mentre ansiosa cento volte più di lui veniva chiamata per essere interrogata.

La sua memoria non perdeva un colpo: erano seduti uno di fronte all'altro e lei gli aveva dato un calcetto, sorriso e trasmesso fiducia in se stesso, le era grato già solo per così poco.

Entrò il professore, e poi numeri, e procedimenti, e un grigiore fuori dalle vetrate,l'autunno: la stagione che gli piaceva di più, Novembre…

No, doveva stare attento.

Si stava discutendo sugli esercizi assegnati la settimana scorsa, e ti pareva! Non li aveva nemmeno guardati.

Un alunno espose la sua soluzione e il professore prima cercò di capirla, poi gli fece i complimenti e la spiegò alla classe. Ovviamente nessun'altro l'aveva trovata.

Poi la mano alzata di quella stessa ragazza che poco prima aveva salutato; disse che secondo lei c'era qualcosa che non andava in quella soluzione e che non comprendeva tutti i casi possibili in cui il problema poteva essere posto.

Perché? Non è vero…sembra corretta.

Marco decise di partecipare alla lezione ed esprimere quello che era stato il suo ragionamento, e cioè dimostrare che le ipotesi da cui era partita lei erano sbagliate e che quindi non poteva essere considerato valido il suo intervento.

Era intervenuto in una discussione che non lo riguardava senza che nessuno gliel'avesse chiesto.

Non l'avesse mai fatto! Fece scattare in lei un senso di competizione mai visto prima:

"Se esiste un caso isolato in cui non vale, vuol dire che non è una soluzione al problema, e secondo me se i valori hanno una variazione alta, ora non ti so dire bene se pari al 70 o l'80 per cento del valore stesso, ma alta, crolla tutto il ragionamento di partenza."

"Io penso invece che in quel caso facendo una media ponderata dei valori a seconda della loro variazione si ricade in un caso standard e quindi si può applicare"

"Avresti una perdita di informazioni utili al livello computazionale"

"No non è vero"

Il professore intervenne bloccandoli per proseguire la sua lezione e invitò tutta la classe a ragionare di nuovo su quel problema e portargli una soluzione, per la prossima volta.

 

Finita la lezione lei si guardò intorno, lo vide e accennò un saluto.

Prima di uscire dall'aula Marco si avvicinò e si presentò:

"Ciao, ci siamo già visti anche se non mi sono mai presentato,

comunque, sono Marco"

"Eleonora"

Strinse forte la sua mano e sorrise, senza nemmeno guardarlo negli occhi.

Sapeva già il suo nome, l'aveva memorizzato la prima volta che l'aveva sentito: quel giorno ad un esame, mentre lei sorrideva per tranquillizzarlo, il professore chiamò: "Eleonora Preziosi".

 

Sull'autobus lungo la strada del ritorno gli si sedette vicino una ragazza dai lunghi capelli ricci neri, gli zigomi alti, un rossetto dal colore naturale e un trucco leggero sugli occhi, neri anch'essi, sembrava che volesse chiedergli qualcosa:

"Ciao…"

Non rispose, non aveva voglia di fare conversazione.

Lei abbassò lo sguardo, intimorita, e continuò:

"Ti vedo sempre sull'autobus quando torno a casa, visto che mi sono trasferita da poco non ho stretto amicizia con nessuno, lo so che è un modo assurdo per attaccare bottone ma non sono pratica di queste cose"

Marco si stupì della schiettezza delle sue parole.

"Piacere, mi chiamo Marco, e abito qui da sempre, anche se ce ne vuole ad usare l'avverbio "qui" per un posto che in realtà si trova a più di 70 km di distanza"

soffocò una risata nervosa.

"Teresa"

Teresa rese il viaggio di ritorno quasi divertente, anche se sapeva che si stava comportando da giullare per impressionarla;

Era siciliana e si era trasferita da uno zio a Latina per frequentare l'università. Tornava giù ogni qual volta che se lo poteva permettere ma era dura e la sua famiglia le mancava.

Era spontanea e ironica e sapeva ridere alle sue battute tristi, e quando fu il momento per Marco di scendere la guardò e le sorrise:

"Ci vediamo domani sull'auto delle 4 e 30?"

"Domani ho lezione fino alle 6…Mi spiace"

"Ok, riformulo la domanda: ci vediamo domani sull'auto delle 6:30?"

Sorrise e accettò la proposta, felice.

 

Talmente preso dalla compagnia di quell'insolita e simpatica ragazza non si accorse della nuova icona sullo schermo del telefono:

 

"Ciao

Vediamoci un giorno di questi…

parliamo…

Per favore

Francesca(hai ancora il mio numero o l'hai bruciato insieme a tutto il resto?)"

 

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"Stasera ti va bene?"

 

un po’ me l'ero aspettato.

Ok sarebbe andata bene quella sera stessa; decisi che dovevo fare colpo su di lui per non perderlo definitivamente, solidificare quel legame che lo teneva stretto a me, perché ne avevo bisogno.

Con tutta calma scelsi dei vestiti quanto basta provocanti e misi un po’ di rossetto sulle labbra che adorava baciare, crema idratante agli estratti di cocco, matita e rimmel.

Ammetto che "fare colpo" era un eufemismo, volevo farlo impazzire. Ora che non era più mio lo volevo indietro e volevo che assecondasse i miei capricci invece di attaccarmi il telefono in faccia.

In più volevo dimostrare a me stessa che non dovevo necessariamente farmi male rimanendo con sorriso smagliante alias Roberto, potevo essere felice e libera senza di lui.

E si, volevo che anche Roberto impazzisse.

Ma si, che impazziscano tutti! Quanto sto impazzendo io…

 

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Due labbra che si incontrano, gesti molto familiari, troppo.

Le mie mani che ardiscono di più, che meritano di più, il suo corpo che si avvicina, che aderisce al mio, che scandisce i ritmi di quei movimenti lenti, la gonna troppo corta, la maglietta scollata, il rossetto sulle labbra, quel profumo, l'alcool, il mio desiderio crescente, il suo atteggiamento sempre più malizioso, a mano a mano che la serata trascorreva, e quando poi si era conclusa.

Ieri, dopo avermi sedotto, baciato, umiliato, usò la scusa del "non si può fare" e scappò, come sapeva fare lei.

 

La mattina era iniziata con un forte mal di testa, non prometteva bene. Erano le sei, avrei dovuto sbrigarmi se volevo andare all'università, il mio cellulare aveva fisse un paio di notifiche che proprio non volevo guardare.

Corsi e salì sul pullman, poi sbirciai:

 

- Eleonora Preziosi ti ha aggiunto ai suoi amici

 

 

- Message from: Eleonora Preziosi

 

            "Eccoti il controesempio, non funziona…

              sei scarso =P

              con affetto.

              Ci vediamo domani a lezione…

              Eleonora"

 

Un immagine in allegato mi spiegava perché aveva ragione e dove avevo sbagliato io, doveva essere una tipetta in gamba oltre che ad essere tremendamente cocciuta quella ragazza.

 

- Message to: Eleonora Preziosi

 

            "Avevi ragione, contenta? :P

              ci vediamo tra poco.  =) "

 

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Eccomi qua, sono sempre io…e adoro scrivere quindi anche se non ci sono ancora recensioni ( me D: )

continuo comunque imperterrita perché mi piace.
La storia si delinea nella mia testa mentre la scrivo, quindi non saprei anticiparvi nulla (e si probabilmente anche potendo non lo farei XD )

è ancora povera di avvenimenti solo perché è appena cominciata…più andrò avanti a scrivere più ne vedrete delle belle ^^
Vi suggerisco solo di non caratterizzare i personaggi fino a renderli stereotipi perché io non ne ho mai avuto l'intenzione.

Francesca per quanto appaia stronza e insensibile e perfida e crudele (di sicuro non è nemmeno tra i miei di personaggi preferiti) ma è donna, e come ogni donna ha le sue debolezze e fragilità. Sta affrontando un periodo difficile, si rende conto di aver seguito il suo cuore verso una strada che non la rende felice, si odia per aver dato retta al cuore invece che alla ragione…
A quanto pare non riesce a fare a meno, inconsciamente o no, di ferire i sentimenti di Marco; che si è lasciato incantare per l'ennesima volta da lei e l'ha baciata, desiderandola di nuovo come se non fosse passato tutto quel tempo da quando si erano lassciati e come se non fosse cambiato niente…

Dopo queste piccole riflessioni scappo e vi saluto, spero che troviate 2 minuti per leggere e recensire…

Linus ;)

 

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Capitolo 4
*** Green Eyes ***


Capitolo 4: Green Eyes

 

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Stava per incominciare uno dei tanti giorni tutti uguali all'università, e io nel mio letto al caldo, mentre fuori facevano si e no 10 gradi, non volevo.

Decisi di dare un senso alla mattina che stavo per passare prendendo il cellulare e mandando un messaggio ad  Ale:

 

"Caffe oggi pom? =)"

 

Si, sorrisi e pensai che forse quella giornata iniziata tanto male sarebbe migliorata presto.

 

La piastra per capelli, il trucco leggero sugli occhi, il caffè dentro la moka,

i vestiti che scelsi di corsa:

tanto nessuno mi avrebbe guardata,

mi sarei mimetizzata tra ragazze più appariscenti.

Tra tacchi a spillo, borse firmate, rossetti e pantacollant che permettevano di vedere più di quanto lasciavano immaginare,

nessuno avrebbe notato le mie scarpe da ginnastica e il mio maglioncino grigio.

Questo invece di intristirmi mi rallegrava:

potevo starmene al centro e spiare il mondo dai miei occhi castani fino a spogliarlo da qualsiasi maschera senza correre il rischio che il mondo spogliasse me.

Coglievo e conservavo tutto ciò che c'era di bello,
che cosa avrei potuto desiderare di più?

L'amore, forse.

Sospirai, pensando di aver colto nel segno:

mi stavo nascondendo così tanto facendo la parte della donna indipendente e libera (e terrorizzata) che (per paura) non voleva nessuno accanto a se quando in realtà come tutte le ragazze della mia età desideravo ardentemente un contatto, una familiarità negli occhi di qualcun altro.

Desideravo essere travolta dalla passione dell'amore.

 

Chiavi della macchina, frizione, acceleratore, via.

La mia macchina sapeva sempre come tirarmi su di morale.

Guidandola potevo sentire che un po’ le piacevo, che un po’ mi voleva bene,

si adattava perfettamente alle mie abitudini e alla mia guida un po’ sportiva,

le piaceva quando in curva, invece di rallentare, acceleravo.

 

Non potevo immaginare che tutti i miei discorsi mentali oggi sarebbero andati a farsi fottere:

due occhi verdi mi avrebbero notata e trafitta.

Spogliata di tutto quello che non ero io, mi avrebbero guardata fuori e dentro,

e poi di nuovo fuori,

e poi di nuovo dentro.

 

Prima che iniziasse la lezione mi accorsi che Marco stava bisticciando con i numeri, i calcoli, e i compiti a casa:

"Ancora nulla?"

Alzò la testa dal banco quel tanto che bastava per dare un occhiata a chi fossi,

poi la alzò un po’ di più per accennarmi un sorriso.

"Buongiorno"

"Giorno! Ancora nulla?"

Mi odiavo da sola per quanto la mia voce potesse a volte essere squillante.

"Na ma mi ci son messo ora in realtà"

Presi posto accanto a lui e sbirciai quello che aveva scritto sul foglio:

aveva una grafia confusa e irregolare; c'erano calcoli, ragionamenti scritti e non formalizzati, le parole di una canzone:

 

"Cause nothin' lasts forever
And we both know …"

 

…parole che non feci in tempo a leggere, perché il suo sguardo indagatore fece spostare il mio, un po’ troppo curioso, dal suo foglio.

"Non riesco a collegare le varie assunzioni, come se mancassero dei pezzi"

"Prova ad aggiungere ipotesi al problema e collegarli" azzardai senza riflettere.

"Ma non ha senso"

"No in effetti non ce l'ha, non l'ho nemmeno guardato a casa, solitamente non li faccio i compiti"

Gli sorrisi, lui fece lo stesso

"Di solito nemmeno io

ma questa volta mi interessa,

cazzo per è la prima volta che mi capita da quan…"

 

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L'entrata del professore attirò l'attenzione di tutti i presenti in aula, lei compresa:

si affretto a prendere le sue cose così da potersi sedere da qualche altra parte a seguire la lezione.

Poi mi guardò, con l'aria di una ragazza indecisa se chiedere o meno qualcosa:

"Puoi stare se vuoi, il posto è libero"

Volevo essere gentile con lei, il più possibile gentile;

Forse era ora di stringere amicizia con qualcuno li in mezzo e lei mi piaceva.

 

L'ora e mezza di lezione passò molto velocemente anche senza sentire nemmeno una parola di quello che stava blaterando il professore.

Io ed Eleonora dovevamo risolverlo quell'esercizio, in quel momento e insieme.

 

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Avevo perso l'ennesima lezione di economia e aggiunto altri argomenti alla lista di quelli che studiando non avrei capito, o forse si ma con difficoltà e il tutto per risolvere un problema di calcolo numerico.

Considerando che molto probabilmente avrei presto optato per rimandare economia al prossimo semestre non mi era andata troppo male.

Mi voltai e salutai velocemente Marco che rispose con un cenno del capo e un -ci vediamo-,

ora sapevo qual'era la canzone su quel foglio di brutta, avevo avuto un'ora e mezza per sbirciarla: tra una chiacchiera, un conto ed un ragionamento.

Era un pezzo preso da November Rain, dei Guns n' Roses:

 

"Cause nothin' lasts forever

And we both know hearts can change

And it's hard to hold a candle

In the cold November rain"

 

 

Corsi a prendere il mio caffè delle 11:30.

Arrivata alla cassa mi accorsi di aver scordato il portafogli da qualche parte,

ecco! La solita rincoglionita!

Imbarazzatissima, mi discostai dalla fila e feci passare gli altri studenti avanti mentre cercavo disperatamente di racimolare spicci nelle tasche dei pantaloni, del cappotto, in fondo alla borsa…

"Due caffè per piacere"

Lo studente in fila dietro di me attirò la mia attenzione,

Era bello, alto e carismatico. Mi guardò con i suoi occhi neri così intensamente che mi sciolsi.

"Signorina posso offrirle un caffè?"

Si rivolgeva a me dandomi ironicamente del lei, anche il suo sorriso contribuì all'effetto: -burro sopra una fetta di pane appena tostato-

"Non preoccuparti, grazie comunque"

Mi diede un buffetto:

"Andiamo che ne ho presi due e uno è per te…"

Si spostò dalla fila per la cassa alla fila per le ordinazioni, io lo seguì:

"Grazie"

"Di nulla"

Ordinò e tornò a guardarmi, e io non feci nemmeno in tempo a tornare nel mondo cognitivo che sprofondai di nuovo in quello dei sogni.

"Comunque, io mi chiamo Christian"

"Eleonora"

Aveva una stretta di mano forte, decisa, non come la mia tipica stretta di mano da pappamolle.

"Lo so, seguiamo lo stesso corso di calcolo numerico"

Come? Come?

Come potevo non essermene mai accorta?

"Ah, non ci ho fatto mai caso"

"Per forza, sei sempre distratta, guardi sempre nonsisadove nonsisacosa"

Ed era vero,

perché i miei occhi sbirciavano il mondo, ma in modo strano: guardavano intensamente solo quello che volevano loro, come volevano loro.

"ah, si un po’ hai ragione, scusami.." Non so il perché lo dissi, forse sarei dovuta apparire più decisa:

Non ci stavo riuscendo.

"Ah tranquilla, figurati! Non c'è niente di cui farsi perdonare,

ma mi fa piacere averti incontrata, ora e senza portafogli" Rise sotto i baffi.

"Dai, non prendermi in giro! Uffa…"

"Dico sul serio, sei sbadata in ogni cosa che fai, non c'è che dire,

ma almeno così son riuscito ad offrirti un caffè,

era da un po’ che ci pensavo"

Guardandolo, non stava ridendo, no. Parlava seriamente.

Allargai il sorriso a più non posso:

"Davvero?" Sembravo una bimba con in mano una caramella

"Si" Sorrise anche lui, poi imbarazzato distolse lo sguardo.

"Vieni con me a lezione?"

 

Durante la lezione mi sedetti vicino a lui e tra un appunto ed un altro lanciavo qualche occhiata furtiva a Christian cercando di non farmi beccare, lui probabilmente se ne era accorto (impossibile non farlo, vista la frequenza con la quale ogni volta, con qualsiasi pretesto, mi voltavo) ma aveva fatto finta di niente in modo molto signorile.

 

La mattinata passò velocemente, mentre mi specchiavo nei suoi occhi neri.

Ricevetti presto la risposta che aspettavo da Alessandro, ci saremmo visti nel tardo pomeriggio.

 

 

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Qualcosa era cambiato, e Francesca lo sapeva bene: 8 giorni senza di lui sarebbero dovuti sembrare un eternità mentre invece erano solo tanti. Poi Marco e la sua familiarità, la sua voce profonda e la sua sicurezza, mettevano tutto di nuovo in dubbio.

Lei stava facendo volontariamente un gioco che l'avrebbe distrutta, avrebbe distrutto entrambi, Francesca e Marco;

non riuscendo a farne a meno desiderava ardentemente di essere ricambiata, un ragazzo d'oro come Marco era più unico che raro, e lei lo sapeva bene. Perché avrebbe dovuto lasciarselo scappare?

 

"Ciao,

non lo so cosa voglio di preciso

mi dispiace davvero non poterti dare le risposte che meriti…

Ma ho bisogno di vederti…Ti va di andare dal cinese?"

 

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Tutto stava acquisendo un ritmo, tutto quanto:

il trascorrere dei giorni, delle ore, dei minuti.

Mi stavo abituando ad una nuova realtà ad una vita senza di lei.

Poi quel bacio, quel contatto, quel messaggio: -Vediamoci-

 

mi chiedo che cosa sono senza Francesca, chi sono, e per quale motivo non riesco a dirle di no.

Eppure basterebbe così poco: un po’ d'orgoglio, il mio orgoglio.

Dove cazzo era finito?

 

"Ti passo a prendere alle otto e mezza.

A più tardi

Marco"

 

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"Ma sei una scroccona del cazzo!"

"Ale!"

"Dico sul serio, cioè hai fatto la figura della scroccona ancora prima del primo appuntamento, ora sto tipo si aspetterà di dover pagare tutto lui se mai andrete fuori a cena"

"Alessa' hai il romanticismo sotto i piedi!"

"Sono realista, è diverso

 -l'enfasi sulla parola diverso, ammiccando, così da farla vergognare ancora di più-

hai il suo numero di cellulare?"

"No"

"Ele sei una frana stratosferica…mo col cavolo che ci fa un pensierino ad uscire con te.

cioè dico io:

lui ha fatto il passo base e te potevi anche ricambiare il favore,

del passo base più il caffè largamente scroccato, e fare il passo primo"

"Ale ma come parli? sembri uscito da un episodio di Ed, Edd e Eddy*!"

"Chi?"

"Niente, lascia stare,

hai solo lacune infantili gravi per non aver visto quel cartone animato.

Comunque, la prossima volta glielo chiedo"

"Sese! Pare vero"

"Uffa"

"Rassegnati hai perso la tua occasione, domani troverà una ragazza più disponibile, con meno complessi, e che viaggia di meno di te ed è andata, hai perso la tua occasione, Per Sempre"

Ovviamente enfatizzando anche il per sempre, perché è così che funzionava tra loro due:

Lui prendeva in giro lei in ogni istante, sempre e dovunque,

qualsiasi cosa lei faccesse.

E' fatto così Alessandro.

E la cosa bella tra quei due è che Eleonora non saprebbe stare senza il suo amico rompicoglioni, esattamente così come è.

 

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Alle otto e mezza in punto ero sotto casa sua, aspettandola, perché faceva sempre tardi, come ogni donna.

scese dal palazzo e mentre camminava verso la mia macchina la guardai attentamente:

Era vestita con un paio di jeans e degli stivali beige, il cappotto che portava non gliel'avevo mai visto addosso,

sarà stato un nuovo acquisto.

Poco truccata, semplice, non sembrava nemmeno lei.

Entrò in macchina e accennò un sorriso timido, guardò i miei occhi per un istante prima di rivolgere i suoi al tappetino dell'auto.

"Ciao" disse, palesemente imbarazzata.

"Ciao Fra" Mi avvicinai per darle un bacio sulla guancia, con dolcezza.

Lei cercò di nascondere l'imbarazzo,

tradita dal suono della sua voce, e dal suo sguardo ancora basso verso il tappetino.

Mi piaceva lei così, come non l'avevo mai vista.

Mi piaceva questa nuova Francesca.

 

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*Edd Ed ed Eddy è un cartone animato che facevano (o fanno non lo so) su cartoon network, non per far pubblicità ma mi piaceva il riferimento

             
Premetto che avrei voluto scrivere molte più cose in un capitolo solo,e invece li ho divisi in due (questo è perché mi soffermo troppo quando racconto e scrivo un sacco di particolari in più di quelli che magari inizialmente pensavo di scrivere)

Quindi si, cioè no XD

Il capitolo non si conclude, ma resta un po’ in sospeso,

e a dirvi la verità l'ho fatto anche per stimolare la vostra curiosità…

 

c'è un particolare in questo capitolo che rende l'intrigo ancora più interessante, un particolare che al momento non svelerò (mi raccomando, se credete di averlo capito non "svelatelo") XD.

 

Aspetto recensioni se avete seguito questa storia, se vi è piaciuta (potete dirmi anche che fa schifo non mi offendo (basta che la critica sia costruttiva ;)

Soprattutto se volete che continuo, stimolatemi a farlo..recensite così che io sappia che la state leggendo e continui ad aggiornare

Ditemi che ne pensate della storia e dei personaggi che son curiosissima di sentirlo :)

baci

Linus

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Capitolo 5
*** Odi et amo ***


Capitolo 5: Odi et Amo

 

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Mi aveva sorriso e mi aveva dato un bacio sulla guancia, mentre arrossivo e mi lasciavo trasportare dal suo immancabile entusiasmo.

Ma cosa mi stava succedendo?

Cosa?

Dove era andata Francesca?

Forse ero spaventata, forse.

Forse volevo solamente tornare ad avere 15 anni, ed essere felice, o perlomeno serena.

 

La serata proseguì sempre meglio, al ristorante mentre mi guardava negli occhi faceva il giullare e mi raccontava le sue disavventure all'università cercando di farmi ridere,

e ci stava riuscendo.

Mi ricordo che il calore di quel posticino con le luci soffuse, puzzolente di fritto mi travolse,

come mi travolse il suo umorismo e la sua parlantina senza né un senso né una fine precisa.

Era più di un anno ormai che non lo sentivo parlare così tanto e così in fretta, e che non cercava in quel modo così adorabile di farmi ridere,

più di un anno.

Che fine avevamo fatto in tutto quel tempo?

Nervosismo, problemi, lacrime, tutte quelle cose brutte che ci avevano allontanato, e che ci avevano messo paura in un attimo erano svanite.

Tornavo a sorridere timidamente,

finalmente.

 

Dopo cena lo portai al cinema a vedere una pessima commedia romantica, credevo fosse un bel film e invece,

mi ritrovai a distrarmi più volte durante la proiezione da qualche sua battuta triste o da qualche suo piccolo monologo strano.

 

Tutto quello, questa sera, mi stava riportando a com'era Marco in realtà, e non come era diventato negli ultimi mesi ma come era fatto, dentro, nel midollo.

Riuscivo quasi a ricordarmi il motivo per il quale avevo perso la testa per lui.

 

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Cacchio ma gli potevo chiedere il numero?

Eleonora Preziosi,

Cara Eleonora,

fattelo dire da qualcuno che ti conosce veramente:

Sei una cretina!

Non una cretina come tutte le altre, tipo, che ne so, quella rincoglionita della professoressa di disegno del liceo, che era talmente rincoglionita da non accorgersi che copiavo tutti i disegni dal mio compagno di banco ma visto che ero più carina di lui mi metteva un voto in più, no! Non un rincoglionimento di quel tipo,

cretina nel profondo, irrimediabilmente cretina! Incredibilmente cretina!

 

Stasera è una noia, penso che dovrei smetterla di insultarmi gratuitamente e fare qualcosa,qualsiasi cosa, di meno degradante,

tipo una puntata di "How I met your mother", che magari con un pizzico di fortuna sarei riuscita anche a trovare su youtube.

 

Ok lo ammetto, parlo da sola,

a volte,

spesso.

 

Eleonora parlava da sola come una schizofrenica a volte, e forse un po’ lo era davvero.

Parlava da sola perché la aiutava a riflettere, a concretizzare le sue emozioni, a dargli una forma, così da poterle visualizzare molto più chiaramente nella sua testa, che era un po’ visionaria.

 

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Prima che io scesi dalla macchina mi guardò mi sorrise e mi diede un altro bacio sulla guancia, sorrisi anche io cercando di manifestare quanto mi avesse fatto stare bene in quelle ore e quanto fossi grata a lui per questo.

Poi, per consolidare il ringraziamento, e anche perché mi andava, gli mandai un messaggio appena chiusi il portone di casa:

 

 

"è stato carino rivedersi,

ho passato una bella serata in tua compagnia,

domani lo rifacciamo?

Franci"

 

 

Mi avevano chiamato mentre ero via…

 

 

Roberto…

 

Era una delle rarissime volte in cui aveva chiamato lui, da quando lo conoscevo ero io ad assillarlo di telefonate, di messaggi, di affetto, lui se ne era sempre altamente fregato. Ma non mi soffermai sul perché aveva cambiato così repentinamente le sue abitudini facendo il primo passo invece di limitarsi a sparire, perché diedi subito la colpa al sesso, sarà stato in crisi di astinenza, senza nessun'altra ragazzina intorno che lo potesse soddisfare.

Buttai con rabbia il cellulare dentro la borsa e decisi che avrei ignorato la chiamata di quel bastardo, chiamata che non era altro che l'invito esplicito a spogliarmi ed infilarmi nel suo letto,

o forse dentro la doccia,

mah che importanza aveva? Voleva solo sbattermi ed io ero ferita.

Decisi che avrei controllato e letto l'eventuale risposta di Marco domani mattina, perché ero stanca e non volevo dare il tempo sufficiente ai brutti pensieri di prendere il sopravvento su quella serata così quasi perfetta.

 

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Marco era stordito e confuso in quella mattinata soleggiata di Novembre, sensazioni positive si facevano strada lungo quella nuvola grigia del suo radicato pessimismo,

pessimismo perché, in fondo, quello che stava vivendo era identico all'inizio di una storia che ormai aveva visto ripetersi troppe volte, e ogni volta con lo stesso finale: lei se ne andava, spesso tra le braccia di qualcun altro.

Per questo voleva mantenersi razionale e non farsi coinvolgere troppo, anche se gli riusciva impossibile evitare quell'ondata di entusiasmo che a poco a poco lo stava travolgendo.

Si sforzò a seguire le lezioni e a non far sfuggire lo sguardo oltre la finestra, e soprattutto, a non pensare a Francesca.

Durante la pausa pranzo vide Eleonora in difficoltà: aveva sicuramente troppe cose per le mani e stava combattendo contro la cerniera della borsa, con scarso successo;

un istante e capì cosa stava succedendo, ebbe un'anteprima di un futuro molto prossimo: tutte quelle cose a terra e un Eleonora piuttosto imbarazzata.

Fece un passo fulmineo verso di lei e riuscii ad evitare l'impossibile: afferrò la tracolla della borsa con una mano e prese al volo il quaderno con l'altra.

La concentrazione necessaria a compiere quell'impresa non gli consentiva di guardarla negli occhi.

"Ciao Ele" Disse alzando gli occhi verso i suoi e sorridendo ampiamente.

"Ciao, grazie"

"Ti hanno mai consigliato di fare una cosa per volta?"

"Ecco perché mamma me lo ripeteva sempre - Rise - mi diceva sempre anche di prendere le cose con due mani"

"Perle di saggezza"

"Soprattutto con un disastro di figlia così"

Marco la guardò interrogativo, pensando -perché un disastro? Non è mica così male-

"Mo non esagerare sei solo un po’ sbadata"

Eleonora sbuffò, esprimendo tutto il suo disappunto

"Ok,un po’ tanto" Sorrise spontaneamente pensando a quanto fosse spontanea Eleonora.

"Grazie mille comunque, ora chiudo la bors.. - con movimenti veloci mise le cose che teneva in mano dentro la tracolla e chiuse la lampo - ecco fatto, grazie"

"Di nulla"

Eleonora aveva qualcos'altro a cui pensare, qualcosa che le teneva la mente occupata, che probabilmente la distraeva, rendendola ancora più distratta del solito, Marco se ne accorse.

"Ele è tutto a posto?"

"Si, Perché?" lei era smarrita.

"Non so ti vedo un po’ strana…"

"Si, si,

tutto a posto"

Eleonora si stupì che qualcuno che conosceva da così poco tempo riusciva già a leggerle negli occhi.

"Sto scappando, ciao Ma"

"Ciao" Sorrise ampiamente di nuovo, cercando di trasmetterle un po’ della sua energia.

 

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Era (quasi) sempre stata una ragazza ottimista Eleonora ma aveva ragione Marco: qualcosa la stava angosciando.

Christian non era venuto all'università e lei non aveva modo di sapere niente,

non sapeva il perché non si era presentato, cosa stesse facendo,

non sapeva nulla di lui e questo le dava una certa agitazione.

 

E se fosse stato con un'altra?

Se fosse fidanzato?

 

Aveva impiegato questi ultimi due giorni a sorridere e a pensare a lui, continuamente.

No, non era giusto che si fosse rubato tutte le sue energie e le sue facoltà mentali per tutto quel tempo.

Che fine aveva fatto? Dov'era? C'era realmente bisogno di preoccuparsi?

Stava impazzendo Eleonora, continuava a pensare che avrebbe dovuto almeno chiedergli il numero.

 

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Marco sbirciò per un po’ Eleonora mentre si allontanava: quella ragazzina minuta l'aveva colpito dal primo momento, e poi era sveglia, simpatica, e loro due si capivano.

 

Si era scordato di rispondere a Francesca:

 

"Volentieri = )

ma facciamo dopo cena che sto diventando grasso ç.ç

Passo alle 9:30 "

 

Si riempì di orgoglio e iniziò a dirigersi verso la fermata dell'autobus.

 

Prese lo stesso autobus di sempre, si sedette nel solito posto, ma qualcosa durante quel solito viaggio passato con la musica nelle orecchie e lo sguardo fuori dal finestrino lo turbava.

C'era qualcosa di diverso, qualcosa di strano, come un energia negativa, verso di lui.

La percepiva distintamente, ma non riusciva a coglierne il motivo, la fonte.

 

La vide solo quando si alzò per uscire dal veicolo: Teresa, la ragazza che aveva conosciuto qualche giorno fa e a cui aveva promesso un incontro il giorno dopo su quello stesso autobus, incontro che mancò, dimenticandosene.

Non lo degnò di uno sguardo, si alzò e scese troppo velocemente per fermarla, aveva gli occhi bassi e un'espressione mista tra la rabbia, il dispiacere e la delusione.

In un attimo si sentì perso, mortificato: aveva deluso tutte le aspettative di quella ragazza che non solo non aveva fatto niente per meritarsi un tale atteggiamento ma in più gli era sempre piaciuta.

Era stata carina con lui dal primo momento, e per un po’ Marco aveva anche seriamente pensato di provarci con lei, e molto probabilmente l'avrebbe anche fatto se non fosse subentrata Francesca.

Iniziò a volare con la fantasia:

 

Era il giorno del matrimonio del cugino di Francesca.

Marco si era scomodato a mettersi in giacca e cravatta mentre lei indossava un abito blu lungo fin sotto le ginocchia, lasciava scoperte le spalle e Francesca aveva pudicamente rimediato con un giacchetto grigio.

Lui era estasiato da quell'immagine.

L'aveva vista in difficoltà, seduta su un muretto a riposare le gambe durante quei pochi minuti di pausa dal cerimoniale, gli unici che avrebbero avuto in tutta quella lunghissima giornata,

così la prese per mano e la portò via, appena furono fuori dalla vista degli invitati la prese in braccio, continuando ad allontanarsi da tutto quel chiasso, lei non disse una parola, acconsentendo.

Quando furono abbastanza lontani le sfilò le scarpe, si tolse il cappotto e lo posò sull'erba, si sarebbe sporcato e probabilmente avrebbe speso un po’ solo per portarlo in tintoria, ma non gli importava.

Si stesero entrambi sul quel minuscolo spazio, esausti.

Un brivido percorse il corpo di Francesca, e Marco con la scusa l'abbracciò ancora più forte, sentiva distintamente il suo respiro sul collo e il battito del suo cuore accelerare.

"Amore hai freddo?"

"Si,un po’,

ma non muoverti,

ho voglia di stare così, di stringerti forte"

Marco non poteva che essere d'accordo, sorrise, pensando che al mondo non ci fosse niente di più bello che tenere ciò che si ama stretto a se, in modo autoritario, deciso, forte, senza mai correre il rischio che possa sfuggire alla presa.

le baciò la fronte mentre la mano che non la stringeva a se le accarezzava i capelli dolcemente.

Il suo corpo ebbe la naturale, fisiologica reazione che la vicinanza di Francesca sempre gli suscitava: non poteva farne a meno, non perché fosse un pensiero costante quello di fare l'amore, non era dovuto al chiodo fisso che si dice che i giovani abbiano entro una certa età, no.

Era la costante e immancabile voglia di quel minimo contatto, del suo profumo, di lei.

"Marco?"

"Che c'è?" Immaginava già un piccolo rimprovero e una presa in giro per essersi rivelato tanto vulnerabile.

"Ti amo"

Scandì ogni singolo suono, e fissò l'immagine delle sue labbra pronunciare quella promessa d'amore nella mente, inconsapevole che vi sarebbe rimasta per il resto della sua vita.

Era la prima volta che sentiva Francesca pronunciare quelle parole,

sebbene lui gliel'avesse già detto tantissime volte che l'amava lei non l'aveva mai fatto, e non perché non l'amasse, di questo ne era fermamente convinto, ma perché non voleva,

non voleva esporsi perché aveva paura delle emozioni che provava.

Poi lei lo guardò, e nell'immensità dei suoi occhi verdi trovò l'amore che stava cercando, quello di cui aveva bisogno, e vi trovò anche tutte le sicurezze, che forse,

forse,

non meritava.

Un bacio sulle labbra, il sapore del vino bianco copriva tutti gli altri.

L'amore di Marco si percepiva anche in quel timido bacio.

Un bacio, poi un altro, poi un altro,

e la tentazione di resistere dall'andare oltre, e fare l'amore su quel prato, li, in quel momento,

resistere dal dichiararsi amore eterno inebriati dal vino, innamorati persi.

 

pensando a quel momento Marco si domandò se tutto quello che era successo potesse essere stato frutto di un inganno e si rispose immediatamente.

No, qualcosa di così bello e così sentito non poteva non essere vero, non poteva essere solo finzione,

no, non era possibile,

Francesca era li su quel prato a digli che l'amava, e ci aveva creduto veramente,

doveva essere così, doveva.

Per forza.

 

Conservava quella certezza come un tesoro raro, spesso quando non sapeva cosa pensare su Francesca, quando non capiva il motivo per il quale l'avesse trattato così male, spesso ripensava a quel momento.

No non poteva essere solo la sua immaginazione.

Eppure cose orribili erano successe: le promesse infrante, le cattiverie dalla sua stessa bocca, il tradimento.

Vedeva tutto questo Marco e si sentiva soffocare: amore o odio?

 

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.  

                                                             [Catullo]

 

Odio e amo. Come possa farlo forse ti chiedi.

Non so, ma questo sento e mi tormento.

 

Aveva tutta la voglia di piangere, e probabilmente ne aveva anche il diritto, considerando quello che stava passando in quel momento:

la voglia di tornare ad essere felici, il bisogno di avere Francesca al suo fianco contro la paura di tornare ad amarla per poi essere abbandonato di nuovo,

tutto questo lo rendeva instabile, soggetto ad emozioni che nemmeno concentrandosi al meglio delle sue capacità riusciva a controllare: non sapeva cos'era che stava succedendo ed era terrorizzato all'idea di fallire di nuovo, di cadere, di affogare.

 

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Rieccoci qui,

dopo un po’ che sono stata lontana dal pc torno ad aggiornare, spero che gradiate il capitolo (chiedetemi di continuare a scrivere se vi piace così mi motiverete ^^ )

Fatemi sapere che ne pensate della storia e di come la sto sviluppando,

potete darmi qualche dritta se vi va =) sono un po’ smarrita >_<

baci

Linus

 

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