Ricordi

di _LunaRossa_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ma tu non ci sei ***
Capitolo 2: *** Fin dal primo sguardo ***
Capitolo 3: *** In una giornata di sole ***
Capitolo 4: *** Prigioniera ***
Capitolo 5: *** Perfetto ***
Capitolo 6: *** Sola ***
Capitolo 7: *** Irraggiungibile ***
Capitolo 8: *** Speranza ***
Capitolo 9: *** La ragazza della Clara ***
Capitolo 10: *** Così maledettamente reale ***
Capitolo 11: *** Caro papà, ***
Capitolo 12: *** Fato, perché Sweety? Cuore, perché Clara? ***
Capitolo 13: *** Ricordo che sorridevi ***



Capitolo 1
*** Ma tu non ci sei ***


 Fuori è tornato il sole, tutti si preparano a festeggiare...

E io sono qui, a ripensare a te, alle cose che avrei potuto fare se tu ci fossi stata ancora, alle cose che non ti ho detto, all'amore che non ho potuto darti, a tutti i bei momenti trascorsi insieme, solo io e te, a come da timida e insicura ti sei trasformata in splendida e felice... a pensare che se ti avessi presa con me ora... saresti ancora viva.

Ho sbagliato tutto, ho sbagliato a non stare con te quanto più potevo, a non insistere fino a farmi odiare, a non dare tutta me stessa per te...

E io sono qui, con la mia cicatrice sul cuore che non sparirà mai e che ogni tanto, nei giorni come questi, si riapre e sanguina...

Vorrei averti qui con me, ora... vorrei poterti rendere felice come tu hai reso felice me...

Perchè è andata così? Non posso avere anche io il mio lieto fine?

Sembrava tutto così irreale all'inizio...un pomeriggio in canile come tanti altri...

Tre cagnoline...

E un nome...

Clara...

Clara, Clara, Clara

Per quanto provassi a pensare ad altro non mi usciva dalla testa... Pensavo davvero che dopo quel pomeriggio, dopo averti vista e dopo essermi innamorata di te, sarebbe finito tutto come nei film: il padre si convince, la mamma accetta e a Natale o al compleanno saresti arrivata tu, con un bel fiocco rosso attorno al collo, e saresti stata finalmente a casa. E ogni giorno aspettavo, ogni volta che suonava il citofono correvo alla finestra per vedere se mio padre ti aveva portata finalmente a casa, se mi aveva fatto una sopresa. Ma tu non sei mai arrivata. Ecco perchè la mia storia non è come quelle che si raccontano nei film. Perchè la realtà è crudele, distrugge i sogni e non ti lascia altro che una manciata di ricordi. E tu non puoi fare niente per cambiare le cose.

un nome...

Clara...

E da quel nome è cominciato tutto...da quel giorno mi hai rubato il cuore.  

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Capitolo 2
*** Fin dal primo sguardo ***


 

   

Pomeriggio in canile: io, ansiosa di vedere quali sorprese mi ha riservato Cristian, il volontario amico di famiglia che mi aggiorna su tutte le novità del canile, e mio padre, che spera solo che la passeggiata duri poco e di poter tornare a casa presto.

Era una giornata nuvolosa e Ray non aveva proprio voglia di camminare … era un cane enorme, nero, ma con due occhi di una dolcezza inimmaginabile, quasi inadeguati per un cagnolone così imponente. Tornammo al cancello presto, Ray venne accompagnato al suo box e mentre io stavo per andarmene sentii la voce di Cristin: “Giulia!!”. Mi voltai: “Ciao Cris, come va?” “Oh, non c’è male. E voi? A casa tutto bene?” Cristian e mio padre cominciarono a chiacchierare del più e del meno, io fingevo di ascoltare ma, come al solito, con la mente ero altrove …

Quando Cristian pronunciò il mio nome tornai alla realtà “Giulia, oggi sono arrivate tre cagnoline bellissime dalla Romania, sono ancora spaventate ma credo che tu le possa vederle. Ti va?” “Certo!!” risposi io curiosa, era una cosa rara poter entrare in canile a quell’ora. Seguii Cristian fino al secondo padiglione, primo box a destra … ed eccole: tre lupotte magre magre tutte tremanti. Erano splendide, una delle tre cagnoline aveva un pelo grigio argentato, sembrava proprio un lupo!

Mi accucciai davanti alla rete del box e porsi dei biscotti alle cucciole. Le prime due si avvicinarono scodinzolando, ma la terza cagnolina … mi guardava indecisa. Io ero sorpresa. D’un tratto si sedette e con un’espressione curiosa e dubbiosa allo stesso tempo inclinò la testa di lato. Io ridacchiai: “Ma cosa sta facendo?!”. “Lei è la più spaventata delle tre, l’abbiamo chiamata Clara” disse Cris sorridendo.

Quella cagnolina non era niente di speciale, se ne stava lì, immobile, senza fare un passo, era magra e spelacchiata, niente in confronto alla lupotta grigia! Eppure …


Clara ...


Ogni volta che ripensavo a quel pomeriggio mi ritornava in mente il suo nome e quegli occhi color nocciola …

Da quel giorno ogni volta che andai in canile chiesi sempre di lei, volevo sapere come stava, se si era ambientata, se usciva in passeggiata … non avevo motivo per farlo, eppure non riuscivo a farne a meno.


“Giulia! Una volontaria è fuori con Clara nel giardinetto interno, vuoi andare a salutarla?” Cris aveva capito dal primo momento che la piccola cagnolina con gli occhi nocciola mi aveva rubato il cuore, forse l’aveva capito ancora prima di me. Sorrisi a Cristian con gratitudine e corsi dentro al canile.

Girai l’angolo ed eccola, sdraiata nell’erba tra le gambe di una signora che la accarezzava sulla pancia. Appena mi accostai a loro Clara posò lo sguardo su di me. Mi guardava spaventatissima, si vedeva subito che se avesse potuto sarebbe scappata via all’istante. Io mi accucciai sulle ginocchia stando sempre distante per evitare di spaventarla. “Vieni, non avere paura!” mi disse la donna. “Posso davvero?” non ero spaventata, solo non volevo mettere la piccolina a disagio. Cercai di essere più lenta che potevo e mi misi davanti a lei. I suoi occhi parlavano: “Cosa mi vuoi fare?? Chi sei?? Perché mi guardi?? Perché ti sei avvicinata??” povera piccola, non sapeva più che fare. Avvicinai la mano perché lei la annusasse e quando ebbe finito di esaminarla la appoggiai sulla sua fronte. Lei si fece piccola piccola mentre guardava la donna per cercare aiuto. Era troppo spaventata, così decisi di andare via e lasciarla tranquilla. “Ciao piccola” dissi sorridendo. Come poteva quella cagnolina sapere che chiedevo sempre di lei, che mi preoccupavo, che speravo di poterla vedere camminare al mio fianco in passeggiata? Non potevo pretendere tanto …

Eppure piano piano, andando in canile tutte le settimane a facendomi vedere sempre, Clara si abituò alla mia presenza e non ebbe più problemi a farsi coccolare. Ma intanto cresceva anche il suo legame con la volontaria che la curava sempre … la invidiavo così tanto … sapevo che quel legame sarebbe stato la mia rovina.

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Capitolo 3
*** In una giornata di sole ***


“Chissà che sorpresa mi avrà riservato Cristian oggi”. Ero troppo ansiosa, poco prima Cris mi aveva chiamato per chiedermi se quel giorno sarei andata in canile e aveva detto che sarebbe stata una giornata speciale. Chissà …

Una volta arrivata corsi verso il cancello e mi piazzai davanti all’entrata in modo che Cris potesse vedermi. Eccolo! Sbucò dal secondo padiglione e mi fece segno con la mano di raggiungerlo. Il cuore mi batteva a mille, ero così felice. Quando gli fui vicina disse: “Allora Giulia, pronta per la passeggiata? Volevo provare a portare fuori Clara, visto che la volontaria che si occupa di lei oggi non può venire. Lei ti conosce già e sai che non puoi uscire sola con lei, così questa mattina sono stato nel suo box per un po’ e abbiamo avuto il tempo di conoscerci. Che dici, ci proviamo?”.

Rimasi spiazzata, con il sorriso stampato in faccia: stava succedendo davvero?? Cristian interpretò il mio silenzio come un sì e si incamminò verso il box di Clara. I minuti che passavano mi sembravano secoli … e poi eccola spuntare dal padiglione seguita da Cristian, che teneva in mano due guinzagli. Si guardava intorno, le orecchie abbassate, la coda tra le gambe. “Tipico” pensai sorridendo, e mi avvicinai. Lei si fiondò nell’erba e si accucciò, mi guardò con aria curiosa, non spaventata, e mi annusò la mano quando la avvicinai per salutarla. Visto che lei sembrava non avere la minima intenzione muoversi di lì, Cristian la prese delicatamente in braccio e insieme ci avviammo verso l’uscita.

Ci allontanammo di qualche passo dall’ingresso affollato prima di cominciare la passeggiata. Lei, poggiate le zampe per terra, si guardò un po’ intorno e fece i primi, insicuri passi. Più ci allontanavamo dalla gente più lei appariva tranquilla. Cristian mi passò il guinzaglio e Clara mi guardò dubbiosa, si vedeva che era un po’ a disagio.

Dopo qualche minuto ci fermammo in un bellissimo prato; Clara adorava l’erba e si sdraiò subito tra i ciuffi verdi. Io mi sedetti accanto a lei e cominciai ad accarezzarla mentre mi annusava. Cristian tirò fuori la macchina fotografica e cominciò a scattare qualche foto. “No, ti prego, sono orrenda!” dissi io ridendo. Lui si avvicinò e spostò Clara sulle mie gambe. Io strinsi le braccia intorno a lei. “Su Giulia, non fare la timida”. Ogni volta che riguardo quelle foto mi sembra di sentire ancora il sole sulla pelle, l’aria fresca e le zampe di Clara che si posavano sulle mie braccia. Credo di non aver mai sorriso così tanto.

La passeggiata volò in un attimo, Clara era tranquilla e rilassata, non l’avevo mai vista così. Pregai che quella fosse la prima di tante altre passeggiate insieme a lei … ma, come dicevo, la mia storia non è come quelle che si raccontano nei film.

 

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Capitolo 4
*** Prigioniera ***


La settimana successiva arrivò la notizia che aspettavo da molto tempo: la volontaria che stava sempre con Clara aveva deciso di adottarla. Viveva in una casa con un giardino enorme e aveva già tre cani: Clara avrebbe avuto spazio e compagnia. E’ così che iniziai a sentire un vuoto nel cuore, qualcosa che non avevo mai provato prima. Più pensavo a lei, alle giornate passate insieme, ai piccoli momenti felici, più il cuore faceva male, male da morire … e niente riusciva ad attenuare quel dolore.

Andai a trovare Clara per l’ultima volta. Era un sabato di giugno e pioveva. Cristian mi accompagnò al suo box per un saluto veloce. Quando entrai la sua reazione fu la solita: scodinzolava come una matta, sembrava che la sua coda potesse staccarsi da un momento all’altro, e si gettò a terra con le zampe all’aria per farsi coccolare. Io sorridevo, cercavo di non pensare che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei vista, non volevo che Clara o Cristian si accorgessero del mio dolore.

Rimasi qualche minuto ad accarezzarla, non riuscivo proprio ad andarmene via: lei era così felice di vedermi. E io non volevo lasciarla. Ma Cris mi fece segno che era ora di andare … “Non piangere Giulia, non piangere” cercai di farmi coraggio. La salutai con un sorriso e le stropicciai le orecchie. “Ciao Clara”.

Lei mi guardò andare via. Io non mi voltai indietro.


Salii in macchina senza dire nulla. Mio padre mise in moto e ci allontanammo. Io piansi. Piansi tanto. “Sei una stupida, proprio una stupida” pensai. Mio papà non mi chiese nulla. Arrivati a casa mia mamma (come al solito) si accorse subito che c’era qualcosa di strano: “Che c’è? E’ successo qualcosa?”. Ero tentata di risponderle ma non volevo parlare di Clara, non con mio padre presente. “No mamma, niente” risposi freddamente, come facevo quasi sempre. Mi chiusi in camera e chiudendo la porta creai una barriera incrollabile tra me e il resto del mondo.


Sola.


Volevo restare sola.


Era da una vita che litigavo con mio padre per convincerlo a prendere un cane. Questa volta la risposta non sarebbe stata diversa: NO. Irrevocabilmente NO. Mio padre è il classico dittatore: tu puoi dirgli quello che vuoi, far valere tutte le ragioni del mondo, mettergli davanti agli occhi un’innegabile verità, lui avrà sempre ragione. Mi ricorda tanto un cavallo con i paraocchi: sì, ti ascolta (meglio dire: ti sente), ma rimane fisso sulla sua idea, inutile tentare di fargliela cambiare. Tanto ha ragione lui.

Cosa avrei potuto fare? Litigare per l’ennesima volta? Sarebbe servito solo a ridurmi il fegato in un paté … le cose non sarebbero cambiate. “Un cane ha bisogno di spazio, non puoi tenerlo in un appartamento! Faresti soffrire una creatura per tuo egoismo!”. Bah, e allora tu, che tieni chiusa ME in quattro mura quando anche io desidererei essere all’aria aperta, non sei egoista? Obbligata a stare rinchiusa in casa propria, studio e computer, senza neanche aria per respirare: come in prigione. E’ così che mi sento, che mi sono sempre sentita: prigioniera.

Non sarebbe servito a niente. Ricordate il proverbio tentar non nuoce? Come no! Nuoce eccome! Alla mia povera salute mentale: come si fa a ragionare con un uomo che appena apri bocca comincia a scuotere la testa con aria di sufficienza? Hai già perso in partenza. Hai perso DI PRINCIPIO. E io non avevo proprio voglia di farmi venire mal di testa, di sprecare il mio tempo a parlare ai muri (mi avrebbero ascoltata più di lui). Ormai era finita.

Sul sito del canile, tra l’elenco degli ospiti, Clara non c’era più. Il mio cuore era definitivamente spezzato.

Sarebbe stata felice, sarebbe stata amata. Senza di me. Ora le giornate in canile sarebbero state vuote, ora non avrebbe più avuto senso attendere con ansia il sabato per poter andare da lei, ora … a cosa servivo?

“Ciao Clara”

Non piangere

“… appartamento!”

Non piangere

“E’ successo qualcosa?”

Non piangere!

“… egoismo”
 
 


 
Prigioniera

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Capitolo 5
*** Perfetto ***



Chiusi la portiera e corsi al cancello. Non aspettai neanche che Cris venisse a chiamarmi, mi diressi subito verso il box di Clara. Ed eccola. Appena mi vide cominciò ad abbaiare come una matta. “Aspetta … Clara … ABBAIA??!!”. Sembra strano ma era la prima volta che sentivo la sua voce, di solito non emetteva neanche il minimo suono! … Sorrisi.

Mi avvicinai alla rete. Lei uscì dal box tutta contenta, scodinzolava talmente tanto che le zampe posteriori non riuscivano a stare attaccate al suolo e faceva fatica a camminare. “Ma guarda che scema …” mi accucciai davanti alla box e appoggiai le dita sulla rete. Lei cominciò a leccarle freneticamente, non riusciva a stare ferma tanto era felice! “Ciao bellissima! Sì, sì, sono io!
Stai calma! Adesso aspetta due minuti che arriva Cristian e usciamo.”

E poi un rumore.

Passi pesanti, strofinio di una giacca di pelle ... Si avvicinava.

Era lui.

Pregai che Clara non l’avesse sentito ma ovviamente guardandomi aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Osservai mio padre avvicinarsi. Cercai Clara con lo sguardo ma lei era già corsa nel suo box, la coda tra le gambe, le orecchie basse, schiacciata contro l’angolo per farsi piccola piccola.

“Clara…”

Fulminai con lo sguardo mio padre e riuscii solo a pensare “Vattene, vattene, vattene. L’hai fatto apposta, l’hai fatto apposta, l’hai fatto apposta. Vattene via subito, subito, subito”. Non ci vidi più quando udii la sua voce: “CLARA!! CLARETTA!!”. Non lo disse con il suo solito tono di noncuranza, ma con una vocina acuta e da presa in giro, come quelle che fanno i comici per far innervosire la gente. I miei pensieri si trasformarono in parole: “Cosa ci fai qui?! Lo sai che ha paura! Smettila, smettila!!! Così la spaventi ancora di più!! Vattene papà, per favore, VIA!!!”. Risultato? Il solito: come se non avessi neanche parlato. Si fermò davanti al box e non mi degnò neanche di uno sguardo, continuò a sorridere con aria di sfida. Scommetto che pensava “Vediamo quanto resisti”.

Per fortuna vidi Cristian che ci raggiungeva, evitando così che io cominciassi con gli insulti. “Allora, pronta per la passeggiata?” mi disse con il suo solito tono dolce e allegro. La mia rabbia si attenuò e gli sorrisi. Gli corsi incontro e gli feci capire che prima saremmo usciti, meglio sarebbe stato. Lui guardò mio padre davanti al box e capì.

Entrammo nel box di Clara. Cercai di non pensare alla presenza di mio padre aldilà della rete. Le misi la pettorina (con estrema difficoltà visto che lei aveva conservato l’abitudine di sdraiarsi non appena mi vedeva) e finalmente uscimmo dal canile. Mentre ci allontanavamo la figura di mio padre si rimpiccioliva, e con essa anche la mia rabbia. Non volevo più pensarci: adesso eravamo solo io e lei, niente ci avrebbe più disturbate.

Quando girammo l’angolo dovetti ricredermi. Cavalli. “Perfetto! Oggi è proprio la mia giornata fortunata! Siamo fregate” pensai. Per fortuna Clara non li aveva ancora visti, così la condussi in un sentiero secondario per lasciar passare i cavalli e i loro padroni senza che lei si spaventasse troppo. Non appena Clara si accorse di loro iniziò a tirare e io, armata di tanta pazienza, cercai di trattenerla “Clara vieni qui, fai la brava. Non è niente, ora se ne vanno, stai tranquilla”. La piccolina si era accucciata tra l’erba e non dava il minimo segno di volersi alzare. Così avanzai verso di lei per prenderla in braccio, quando … “Non ci posso credere!” il mio piede era finito in una pozzanghera enorme e ora la mia scarpa era completamente fradicia! In quel momento mi accorsi che il prato era completamente allagato. “Perfetto! Ottimo posto per una sosta! Giulia: complimenti!! … E ora come faccio a tirati fuori di lì??”. Be, ormai … bagnata per bagnata! Tolsi Clara dall’acqua, non riuscii a prenderla bene in braccio vista la situazione, così ritornammo sulla strada principale, io fradicia dal ginocchio in giù e tenendo Clara sotto le zampe anteriori, lei in braccio a me con le zampe a penzoloni che quasi toccavano terra.

Meglio non descrivere la faccia di mia mamma quando tornai a casa. Quando le raccontai come avevo fatto a ridurmi così si mise a ridere, ormai era abituata alla mia solita fortuna. Ma ne era valsa la pena. Di solito sono una che si lamenta spesso: quella volta non dissi niente. L’avevo fatto per lei, era stato un pomeriggio fantastico e niente avrebbe potuto rovinarlo! Povera Clara, una volta tornata nel box era tutta bagnata! Ma ricompensò la mia pazienza con delle affettuose leccate sulla mano, anche se solo il fatto di stare insieme a lei per me era un regalo e valeva tutte le fatiche del mondo!

Andai in camera, pronta (be, parliamone … ) per studiare. Però prima di cominciare presi un post-it e appuntai: “Sabato prossimo: canile. Portare muta da sub e asciugamani”.

Perfetto

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Capitolo 6
*** Sola ***


Ed eccomi qui.

Sola.

Di nuovo.

Non sono mai stata brava con le parole, i miei pensieri scorrono a immagini, come in un film, come nei miei disegni. Come in quel disegno, di quella giornata, che non sono mai riuscita a fare. Non ne ho avuta la forza. Perché è difficile ricordare, fa male. Ora che tu non ci sei più, che senso ha avuto quello che ho fatto? A cosa è valso lottare, a cosa sono valsi i sacrifici, a cosa è valso l’impegno che ci ho messo?

Ed eccomi qui.

Davanti al computer; di sottofondo solo il ticchettio delle mie dita sulla tastiera. La mia mente torna alla realtà: ho tantissimi compiti da fare per domani … interrogazione di latino, di fisica, di filosofia, il tema di scienze … i pensieri sfumano e riemergi tu, impressa in modo indelebile nei miei ricordi. Gli altri pensano che mi sia dimenticata di te, sai? Pensano che tu sia stata un capriccio, l’oggetto del desiderio di una bambina troppo cresciuta … pensano che “mi sia passata” … o almeno è quello che si aspettavano.

Ed eccomi qui.

Ad affogare nei ricordi. E’ un dolore che non se ne va, che anche se penso di aver superato ritorna con la stessa intensità ogni volta che la tua immagine si ripresenta. Non mi piace parlare agli altri di ciò che mi fa star male. Quando sono triste mi isolo, chiudo fuori il mondo e ballo, disegno, sogno … Ma qualsiasi cosa faccia tu rimani lì, bellissima come mi hai lasciata, a guardarmi andare via.

Ed eccomi qui. Come una stupida.

 “E’ solo un cane”

Sono davvero stata stupida a innamorarmi di lei? E’ stata veramente solo un capriccio? Sarei veramente stata in grado di occuparmi di lei? … Sarebbe veramente stata felice, con me?

“E’ solo un cane”

No.

Non è vero.

Non era UN cane … era Clara … avete sentito bene?? CLARA. E lei era speciale. E io l’amavo.

E lei era tutto per me. E il mondo mi si è messo contro e io ho dovuto lottare per guadagnarmi ogni singolo momento insieme a lei. Io ho dovuto combattere per avere la possibilità di renderla felice.

Non era egoismo, Papà. Non l’ho fatto per me stessa … l’ho fatto per vedere i suoi occhi tristi riempirsi di luce. Quella luce mi scaldava il cuore, ora che non c’è più è rimasto il vuoto … Non l’ho fatto per me, Papà. Volevo solo essere di aiuto a una creatura che meritava tutto l’amore del mondo, non volevo deluderla, Lei che mi aveva scelta e che aveva riposto in me la sua totale fiducia. Non volevo abbandonarla come avevano fatto tutti gli altri. Non volevo essere uguale al resto del mondo. Almeno per lei, volevo essere speciale.

Ed eccomi qui.

Sola, con nient’altro che una manciata di ricordi tra le mani.

Sola.

Senza di te.

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Capitolo 7
*** Irraggiungibile ***


Eh sì. Forse adesso sono veramente sola.

Mi accorgo che alla fine non sono poi così importante, ne per gli amici ne per la famiglia.

Eppure. Forse per te lo ero.

Ti vedo, sai?

Sei sempre lì.

Ti vedo quando entro a casa, che mi corri incontro scodinzolando.

Ti vedo quando passeggio per strada, che cammini di fianco a me. Ogni tanto rivolgi lo sguardo verso di me, per vedere se ti seguo, come facevi sempre.

Ti vedo riposarti con me, io sul divano a guardare la tele, tu seduta vicino ai miei piedi.

Ti vedo quando sono all’oratorio, che corri insieme ai bambini. Vorresti tanto giocare con loro, lo capisco da come li guardi, ma loro non possono vederti, non si accorgono di te.

Ti vedo quando sto per addormentarmi, sdraiata sulle coperte, con gli occhi socchiusi. Vorrei tanto accarezzarti, ma non posso.

Ti vedo quando piango. Tu sei lì vicina a me, mi guardi, mi dici che andrà tutto bene, che tu sei lì con me e che non te ne andrai mai.

Stendo la mano verso di te. La tua immagine svanisce e io accarezzo il vuoto.

Così vicina, eppure … così irraggiungibile.

Irrealizzabile.

Ti vedo solo io. Mio papà non si accorge di te, dei nostri sguardi. Mia madre è troppo occupata con tutti i suoi impegni per accorgersene. Mio fratello, lui è piccolo, è troppo occupato a crescere per vederti.

E io ho paura di cambiare. Ho paura di essere diversa da come mi hai lasciata. E se tu non riuscirai più a riconoscermi un giorno? E se io non riuscirò più a vederti? A quel tempo sorridevo sempre … Mi sembra che siano passati anni, invece era solo la scorsa estate. Quanto facilmente il dolore cambia le persone!

Ma io non posso dimenticare. Non voglio.

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Capitolo 8
*** Speranza ***





Era un giorno come gli altri.

A scuola non era successo niente di speciale: lettura dei versi della Divina Commedia (= dormire), interrogazione di filosofia (= chiacchierare),  esercizi di inglese in vista della verifica (= disegnare), interrogazione di storia (= pregare che la campanella suoni presto).

Tornai a casa stanca ed annoiata. Subito dopo mangiato, come di routine, accesi il computer per controllare le mail e gli aggiornamenti di qualche sito … una giornata come le altre … almeno così pareva.
Ah ecco: il sito del canile. Lo aprii con un po’ di malinconia e diedi un’occhiata alla lista degli ospiti per vedere se era già stata aggiornata. “Ordine: data di ingresso in canile”. Feci scorrere la pagina fino alla fine per vedere i nuovi arrivati.

E

“… un attimo …”

No non poteva essere lei.

Risalii la lista velocemente. Quegli occhi, quel muso, non potevo aver visto male!

Mi bloccai.

Clara

Era lei, era sulla lista degli ospiti.

No, non poteva essere vero.

Non sapevo cosa pensare. Un errore del sito? Magari avevano sbagliato ad aggiornare la pagina e per sbaglio avevano reinserito Clara … E se era veramente tornata? No, Cristian me l’avrebbe detto prima! E poi la volontaria che l’aveva adottata le voleva troppo bene, non avrebbe di sicuro rinunciato a lei così facilmente … erano passati tre mesi ormai, tre mesi pieni di lacrime … Lacrime per cosa? Per un sogno infranto, per un vuoto nel cuore, per una promessa non mantenuta.

Scrissi immediatamente sulla pagina del canile per chiedere spiegazioni: “Scusate il disturbo, ho visto sul sito che tra gli ospiti avete aggiunto ancora Clara. Io ero rimasta che la avevano adottata: che è successo?”

Mentre aspettavo che qualcuno mi rispondesse continuai a camminare avanti e indietro, non riuscivo a stare ferma, non sapevo che spiegazione dare …

Poco dopo arrivò una risposta: “Sfortunatamente Clara è tornata in canile perché ha avuto dei problemi con le altre femmine della volontaria che l’aveva presa con sé. Ci dispiace perché è già la seconda volta che la sua adozione non va a buon fine e questi bruschi cambiamenti sono una vera mazzata per una cagnolina spaventata come lei … la prossima sarà quella buona!!!”

Lessi tutto senza staccare gli occhi dallo schermo. Il mio cuore si era fermato.

No, era impossibile …

Non …

I miei pensieri si bloccarono, le lacrime mi rigavano il volto e un sorriso enorme era spuntato sulle mie labbra. Per quanto mi sforzassi di recuperare l’autocontrollo e di riflettere su quello che era accaduto, non riuscivo a smettere di sorridere e di piangere. La mia mente era completamente vuota, riuscivo solo a sentire il calore delle lacrime sul mio viso e il vuoto nel mio cuore che piano piano scompariva.

Potevo tornare a sperare.

Quando ripresi il controllo delle mie azioni ragionai per mettere insieme i pezzi: “problemi con le femmine della volontaria”, certo, quella signora aveva già tre cani e Clara ha sempre dimostrato un carattere dominante, non si faceva mettere i piedi in testa dagli altri tanto facilmente. Successivamente scoprii che Clara era diventata possessiva con la sua nuova padrona, non permetteva agli altri cani di avvicinarsi a lei, non li faceva neanche entrare in casa! Però, bel caratterino! Magari avesse fatto così anche con mio padre … “è già la seconda volta che la sua adozione non va a buon fine”, è vero, era già stata adottata quando era appena arrivata in canile da una famiglia molto numerosa che la aveva riportata indietro dopo pochissimi giorni, chiusa in uno scatolone e con un asciugamano legato intorno, dicendo che aveva morso. Mi immagino il primo giorno nella nuova casa: grande festa per il cane appena arrivato, con amici e parenti, un baccano allucinante, tutti i bambini addosso a lei … e poi si sorprendono che ha morso. Era già spaventata quando era arrivata in canile, figuriamoci quando la hanno riportata! Di male in peggio … E questa volta tornò con il cuore spezzato.

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Capitolo 9
*** La ragazza della Clara ***


Non vedevo l’ora di sabato. Dopo tanto tempo, dopo tanto dolore, l’avrei rivista. E se non mi avesse riconosciuta? Se si fosse dimenticata di me? Non sapevo cosa aspettarmi … e se sarebbe stata un’altra pugnalata al mio cuore sanguinante?

Durante la strada verso il canile non dissi niente, nella mia testa mille pensieri scorrevano uno dietro l’altro, senza sosta, senza che io potessi fermarli.

Una volta parcheggiata la macchina non aspettai mio padre, il mio cuore era attratto da un richiamo sconosciuto (anzi, forse troppo familiare e desiderato da poterlo riconoscere di nuovo) e io non riuscivo a resistergli. Corsi al cancello. Cercai con lo sguardo Cristian, ma Mattia (un volontario giovane e molto gentile, che avevo avuto l’occasione di conoscere nei giorni precedenti) mi si avvicinò: “Ciao Giulia! Pronta per un altro pomeriggio in canile, dico bene?”. Ignorai la sua domanda, avevo la testa altrove. “Ciao Mattia, ho saputo che è tornata Clara …” Mattia mi guardò come se avesse già capito tutto: “Eh sì … povera piccola, è proprio triste … vuoi entrare a vederla? Lo so che non dovrei neanche chiedertelo, a quest’ora è vietato far entrare gente esterna, ma tu sei un’eccezione, no?” lo guardai con riconoscenza infinita. Mi aprì il cancello e io corsi verso il box di Clara. Non me ne importava niente se qualcuno mi avesse vista all’interno del canile, e ancora meno se qualcuno mi avrebbe giudicata pazza o infantile a correre in quel modo. Non aveva importanza. Corsi e basta. Corsi verso di lei, verso quel box che per tanto tempo avevo visto vuoto, verso quel richiamo che il mio cuore aveva a lungo bramato di ascoltare di nuovo. Ora sarebbe stato perfetto. Ora ci sarei stata solo io.

Mi fermai davanti al box e la cercai con lo sguardo.

Eccola

Lei mi guardò. Le sue orecchie si alzarono, sollevò il muso e la coda. Si alzò in piedi. Era indecisa se venire verso di me o meno, continuava a guardarsi in giro.

“Clara … Ciao bellissima. Vieni! … Sono io.”

Gli altri cani cominciarono ad abbaiare, lei si spaventò, distolse l’attenzione da me e si accucciò a terra, lo sguardo triste, le orecchie basse.
Mi inginocchiai davanti al box. Si era sdraiata, il muso appoggiato sulle zampe, gli occhi fissi a guardare davanti a lei. Non l’avevo mai vista così. Non era spaventata: era triste. Triste come non mai. A quel punto mi sentii egoista … fino a quel momento avevo pensato solo a me, a come ero felice perché lei era tornata e a come lo sarei stata avendola ancora con me. Solo allora mi resi conto che non sarebbe stata la stessa cosa. Lei era distrutta, aveva gli occhi spenti, sembrava non avere più la voglia di vivere.

Ricominciai a piangere. Le mie lacrime sapevano di gioia, di tristezza, di malinconia, di rassegnazione, di speranza.

Una volontaria mi passò accanto: “Ti sei innamorata di Clara, è?”. Risposi sorridendo, non curandomi del fatto che stavo piangendo: “Eh sì …”

Rimasi in ginocchio fino a quando le gambe cominciarono a farmi male. Mattia mi raggiunse: “Ehi, ti va di portarla fuori?”. Rimasi abbastanza shoccata dalla proposta. Me l’aveva chiesto davvero?! Già vederla era un regalo immenso, ma portarla a spasso! Ce l’avrei fatta? Dopo tutto questo tempo si sarebbe ancora fidata di me? Non mi sentivo in grado e poi lei era così triste! Non me la sentivo di farla uscire, anche se in fondo era la cosa che volevo di più al mondo. Mattia non accettò risposte negative: “Dai Giulia, non la vedi? Se la lasciamo lì dentro a deprimersi non ne usciremo più! Dobbiamo svegliarla un po’! E poi se non la porti fuori tu non la farà uscire nessuno!! Lei ti conosce già, quindi sei la persona più adatta per portarla a spasso in questo momento.”

Aveva ragione, non potevamo lasciarla lì da sola, dovevamo fare qualcosa anche se non le avrebbe fatto piacere. Doveva ricominciare a vivere.

Aspettai che Mattia le mettesse pettorina e guinzaglio. Ah, piccolo particolare: in passeggiata non potevo tenere io Clara non essendo maggiorenne. L’avrebbe tenuta al guinzaglio mio papà.

Quando lei uscì dal box mi rivolse solo un breve sguardo, poi si accucciò tra l’erba. Mattia, spazientito, la prese in braccio e ci accompagnò fuori dal cancello, lontano dalla folla. Poi cominciammo ad allontanarci soli con lei. Clara era spaventata, aveva gli occhi spalancati, si guardava freneticamente intorno e camminava distante da noi. Riuscimmo a farle fare qualche passo. Ci fermavamo ogni tanto, io mi avvicinavo a lei e la accarezzavo, cercavo di tranquillizzarla pur sapendo che non sarebbe servito a molto. Con mio papà nelle vicinanze era impossibile renderla tranquilla. Lui la chiamava con la solita vocina irritante e io lo imploravo di smettere. Dopo qualche minuto capì che la poveretta era già abbastanza tesa senza che lui complicasse le cose e non parlò più.

Fatto qualche passo in più arrivammo nei pressi di un prato enorme. Allarme erba!! Troppo tardi. Clara era già distesa sul soffice manto verde e aveva l’aria di non volersi più alzare. “Come se non ti conoscessi”. Sorrisi. “Papà, per favore, puoi andare a chiamare Mattia? Non credo che lei voglia andare oltre e io non me la sento di prenderla in braccio per riportarla indietro.”. Mentre mio padre si allontanava coccolai Clara. Sembrava più rilassata, anche se i suoi occhi non mi guardavano più come una volta.

Mattia arrivò presto: “Claretta, ma cosa mi combini! La Giulia è venuta qui apposta per te e tu ti fermi subito!”. Naturalmente scherzava, la passeggiata era durata più del previsto, era stata brava. La riportammo in canile insieme e Mattia ne approfittò per darmi qualche consiglio su come comportarmi quando lei si spaventava, su cosa fare per tranquillizzarla e per farla sentire a suo agio. Una volta entrata nel box lei si accucciò di nuovo nel suo angolino e appoggiò la testa sulle zampe.
Aveva ancora l’aria triste ma almeno qualcosa ero riuscita a fare!

Sentii la voce di Mattia: “Ciao Giulia, allora ti aspetto le prossime settimane per portarla fuori ancora!”. Lo salutai con la mano e risposi: “Certo, non mi perderò neanche un sabato!”. E così feci. Ogni settimana andava meglio: camminavamo ogni volta più lontano e lei era sempre bravissima. Clara usciva in passeggiata solo con me, non si fidava di altri. Imparai cosa voleva dire essere essenziali per qualcuno, cosa voleva dire amare senza riserve.

Da quel giorno diventai “la ragazza della Clara”. E non sarei potuta essere più felice.

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Capitolo 10
*** Così maledettamente reale ***


Se tu fossi ancora qui ti vorrei raccontare del sogno che ho fatto questa notte … c’eri tu, sai? Eri proprio bella, eri proprio te. Mi sembra strano parlare a una pagina bianca, anche se si colora delle mie emozioni mentre scrivo … rimane anonima e non può rispondermi, riesce solo a impregnarsi di tutti i sentimenti che ho nel cuore e liberarmi per un po’ dal peso che ho dentro. E tu mi sembri così lontana.

Nel sogno eri a casa con me, finalmente insieme, io e te. I miei genitori non erano entusiasti del fatto che ti avessimo adottata, ma sapevano che io tenevo a te più di ogni altra cosa e che mi sarei presa le mie responsabilità. Tu eri spaventata: era il primo giorno a casa. Ti lasciavi avvicinare solo da me, i miei genitori erano ancora degli estranei.  Anche se, da parte loro, non eri la benvenuta, avevano accettato di lasciarti stare nella loro camera per cominciare ad ambientarti, inoltre era il primo posto in cui ti eri nascosta e non volevano spaventarti troppo forzandoti ad uscire. Ogni volta che venivo a controllare se stavi bene tu mi leccavi con dolcezza, anche se eri spaventata intravedevo nei tuoi occhi felicità, perché sapevi di essere definitivamente a casa e che saresti stata con me. Sapevi che io c’ero e che ci sarei stata, sempre. Potevo accarezzarti e coccolarti, nessuno ci avrebbe più divise. Mi sembra di poter sentire anocra la tua pelliccia sotto le dita, quel sogno era così maledettamente reale.

La giornata trascorreva tranquilla, anche se tu non uscivi dalla stanza dei miei ero contenta perché sapevo che eri lì e che saresti stata bene. Quando siamo rimaste a casa da sole ti ho presa in braccio, mi sono seduta sul divano e tu ti sei sdraiata accanto a me con la testa appoggiata sulle mie gambe. Ti ho accarezzata delicatamente finché ti sei addormentata.

Poi ho aperto gli occhi. Il calore delle coperte mi avvolgeva, la luce fioca del mattino filtrava tra le tapparelle ancora abbassate. Ero incredula. Era stato … solo un sogno? Avevo voglia di piangere … volevo nascondermi sotto le coperte, estraniarmi dalla realtà e piangere fino a farmi mancare il fiato. Non so perché non l’ho fatto. Mi sono alzata impassibile come tutte le mattine, nessuno si è accorto di nulla.

Non so perché ti ho sognato. Sarà perché su Facebook in questi giorni vedo spesso un annuncio per l’adozione urgente di una cagnolina … è uguale a te, ha persino i tuoi stessi occhi. Lo ritrovo ogni giorno condiviso da una persona diversa. Tutte le volte che vedo la sua foto mi viene voglia di chiamare quel dannato numero scritto sull’annuncio e dire “Io” … “La porto a casa io”. Non so se farlo veramente potrebbe farmi stare meglio. Non voglio sostituirti, prendere una cagnolina uguale a te non vorrebbe dire fare finta che tu sia ancora viva. Ma almeno potrei estinguere il mio debito: renderei finalmente felice una cagnolina che, come te, meritava tutto l’amore del mondo. Sarebbe come se, attraverso di lei, potessi donare il mio amore anche a te. E mi chiedo perché no … perché non posso? Cosa me lo impedisce?! Perché ci sono tantissime persone che potrebbero farlo e io NO??!! Perché io, che ho tutto questo amore che voglio regalare, devo starmene zitta e abbassare la testa mentre gente che avrebbe la possibilità di rendere felice quei poveri animali si gira dall’altra parte e pensa solo a se stesso??!! Non capisco … non riesco proprio a capire.

Non lo so se tu ti sia mai resa conto di quanto contassi per me, di quanto ti ho voluto bene. Vorrei che lo sapessi … vorrei che sapessi che ti ho sognata, che ti penso sempre, che ho bisogno di sentirti vicina, che vorrei tanto che tu fossi ancora qui. Darei qualsiasi cosa perché tu fossi ancora viva, anche se fossi lontana da me, a casa di qualcun altro, potrei pensarti felice. Mi basterebbe.

Non capisco se tu ci sei, se sei qui con me. Sai, ho fatto fare un ciondolo con la tua foto e ora lo metto sempre. Ogni tanto porto la mano al collo per vedere se è ancora lì, per sentirti più vicina. E’ diventato un gesto spontaneo: quando ho paura, quando sono triste, arrabbiata, felice, ansiosa, quando ho bisogno di aiuto e di sentirti lì con me, la mia mano torna a cercarti.

Avrei tante cose da dire … a te, ai miei genitori, a me stessa, ai miei amici, al mondo intero. Ma mi accontento di farti sapere che ti voglio bene, anche adesso che non ci sei più, e che avrai sempre un posto speciale nel mio cuore. Promettimi che starai sempre vicino a me, non posso farcela da sola. Ho bisogno della tua luce.




P.S. Perdonami se mentre scrivevo ho pianto.

 

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Capitolo 11
*** Caro papà, ***


Papino mio,

oggi sono proprio contenta. Io e te siamo andati insieme al parco e c’erano tanti cagnolini che giocavano. Li guardavo correre da lontano, avevo un po’ paura ad avvicinarmi, io sono così piccola... Ma so che se sto vicino a te sono al sicuro, tu riesci a tenere a bada persino il lupo del nonno! Se ci sei tu so che niente può farmi del male.



Papà mio,

sto diventando più grande e la paura degli animali sta diminuendo piano piano, anzi ora mi piace coccolare i cani, tenere in mano i criceti che mi hai comprato alla fiera, osservare da vicino le piume colorate dei pappagalli del negozio.
Lo so che ti infastidisco quando ti chiedo continuamente di vedere i film con gli animali, lo so che sei stanco di vedere cani, delfini, orche, cavalli...mentre preferiresti guardare quei film con le pistole e i poliziotti che ci sono alla tv quando è sera tardi e io sono già a letto a dormire. Ma mi piacciono davvero un mondo.
Sai, vorrei tanto avere un cucciolo anche io... Te l’ho chiesto tante volte, lo so, ma sono testarda, ormai dovresti saperlo. Tu mi dici sempre che un cane ha bisogno di un giardino, con l’erba e l’aria fresca, che non più stare chiuso in casa, che ha bisogno di tante cure, che non è un giocattolo...
Sai papà, forse hai ragione...



Caro papà,

oggi, anche se era la tua festa, mi hai fatto un regalo bellissimo. Da come mi hai raccontato del coniglietto bianco che avevi visto al negozio ho capito subito che ti eri innamorato di lui! E quando siamo andati a vederlo... Non riuscivo a crederci quando mi hai detto che potevamo portarlo a casa subito! La mamma non era tanto convinta quando siamo entrati in casa con lo scatolone, ma non appena ha visto quel musetto peloso la sua espressione è cambiata subito, era contenta anche lei.
Però... sai, mi è venuto un dubbio... Penso che questo coniglietto sia un semplice sostituto.
Ti ricordi qualche giorno fa, quando quella signora è riuscita a convincere la mamma a prendere un cangolino? Lei sembrava contenta dell’idea... Avevamo già fatto tanti progetti, io, Andrea e mamma: passeggiate, vacanze, gite in montagna, giochi... Ma quando ti abbiamo chiesto conferma tu sei stato irremovibile. Niente cani in appartamento. Ti ho chiesto il perché tante di quelle volte, non saprei neanche dire quante.
Sai, papà... nonostante tutte le tue risposte, il motivo non l’ho ancora capito.
Io ormai sono grande, so distinguere un gioco da un impegno... So che non potrei farcela da sola, ma tu non mi negheresti mai un po’ d’aiuto...vero?



Caro papà,

ormai è da un po’ che frequentiamo il canile. Forse hai capito che non smetterò tanto facilmente di chiederti la possibilità di tenere un cane a casa, alla fine è per questo che andiamo lì tutti i sabati: meglio di niente.
Lo so che per te è un impegno portarmi fino al canile tutte le settimane e passeggiare per un’ora nei boschi, hai sempre tante cose da fare... Meno male che c’è Cristian, così ogni tanto posso stare con lui a curare i cani mentre tu fai le tue commissioni. Mi piace un mondo stare in mezzo a loro.
Però è strano... è come se fossero cani di tutti e di nessuno. Non si affezionano a qualcuno in particolare, si accontentano di una coccola ogni tanto. Ma stai tranquillo, non ho intenzione di affezionarmi a nessuno di loro, anche se è difficile... Non voglio piangere ancora per una cosa che non si potrà mai realizzare.



Papà,

oggi abbiamo litigato ancora. So che questa volta è stata quella definitiva, non ho intenzione di mangiarmi il fegato un'altra volta. D’ora in poi farò a modo mio, non ti chiederò più niente.
Odio discutere con te, non perché mi dici sempre di no, ma perché non mi ascolti neanche: a sentire te, hai sempre ragione, quello che dico non conta, tanto non cambierà mai il tuo punto di vista. Tutto quello che dico è inutile.
Ma c’è una cosa che odio ancora di più: il fatto che tu non mi prenda sul serio.

“Ma sì, anche io da giovane ero triste perché il nonno non mi comprava il motorino! Stavo male, piangevo, litigavo con lui... Io piangevo per il motorino, tu piangi per il cane! È la stessa cosa!”

Dopo che ti ho sentito dire queste parole me ne sono andata... come hai potuto paragonare un essere vivente, capace di amare e con il diritto di essere amato, a un motorino?! Credi che io sia una bambina?? Che questo sia solo un capriccio?? Dopo sedici anni ancora non mi conosci... Che delusione.



... ,

non so neanche come chiamarti.
È buffo, sai, che alla fine la persona che credevo potesse proteggermi da tutto e da tutti sia stata proprio quella che mi ha fatto soffrire di più. Sì, papà, è andata proprio così. Anche se fai finta di niente, anche se credi che sia tutto passato, anche se pensi di aver vinto tu.
Come al solito, non hai capito niente.
Forse hai vinto tu, ma non mi hai sconfitta, non mi hai spezzata, mi hai solo ridotta al silenzio. Adesso non ti faccio domande, evito di parlare con te, appena salta fuori l’argomento “cane” o “canile” me ne vado via o chiedo di cose che non c’entrano niente.
Aspetto.
Aspetto di essermene andata, di essere libera. E allora non mi potrai più dire niente, ti farò vedere che ti sbagliavi. Non mi sono arresa.
Anche la mamma pensa che io mi sia già dimenticata tutto, che lo abbia “superato”... Come se fosse una semplice tappa o qualcosa di passeggero.
Ma tu lo sai che non è tornato tutto come prima... Lo capisco dai tuoi silenzi quando siamo solo noi due, dai tuoi sguardi, dalle tue domande non fatte.
Forse ti dispiace. Forse non vorresti vivere tutto questo: io che non ti stimo più come una volta, che non ti guardo con gli stessi occhi, e i fatti che dimostrano che eri tu il problema, non io e il mio comportamento infantile.
Sai, un po’ mi dispiace per te, quando ti vedo cercare di iniziare un discorso con me, provare a interessarti a quello che faccio, ottenendo poco o niente; quando ti vedo, grande e grosso, avvicinarti alla cagnolina della zia per accarezzarla e ricevere solo ringhia e sguardi diffidenti; quando, sotto la tua aria indifferente e menefreghista, colgo una traccia di amarezza.
Ma non riesco a provare pietà per te: lo sapevi quanto ci tenevo, avresti dovuto capirlo, avresti dovuto capirmi.
La mamma mi ha detto che ogni tanto lei piange, la notte... Le dispiace per tutto quello che è successo.
Non so se tu fai lo stesso.
Io sì.
Piango per il mio sogno infranto,  per la mia solitudine, per i miei pensieri; e piango anche per te. Per il nostro rapporto ricucito in malo modo, ormai irrimediabilmente danneggiato; per quello che avremmo potuto essere se non fosse stato per il tuo orgoglio, per il mio orgoglio, per la nostra dannata somiglianza. Forse è per questo che siamo continuamente in guerra. Siamo troppo simili per far vincere l’altro.



Anche se tu non vuoi ammetterlo, hai pianto.

Anche se io non voglio ammetterlo, non riesco ad odiarti.



Anche se tu non vuoi ammetterlo, vorresti che fosse tutto come prima.

Anche se io non voglio ammetterlo, vorrei che fosse tutto come prima.

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Capitolo 12
*** Fato, perché Sweety? Cuore, perché Clara? ***


Una flebile speranza.
Una speranza che allora non c’era.
Ma allora era tutto diverso...

 
 
Occhi arancioni; sì: proprio arancioni. Del colore dei papaveri quando non sono ancora sbocciati, del miele vecchio nel barattolo dimenticato sulla mensola della cucina, del cielo quando il sole si nasconde alla vista della bellezza della luna.
Pelo lungo, da lupo. Mantello marroncino e muso nero, come i cani da pastore che si vedono in Tv.
Orecchie all’ingiù, che danno al muso lupesco una strana nota di simpatia.
Sweety. Il nome dice tutto.


Occhi marroni. Ma non un marrone normale, opaco, scontato. C’era una luce strana in quegli occhi, come se dentro avessero una stella che brillava solo per lei. Il colore delle castagne che mi portava il nonno sul far dell’autunno, della corteccia degli alberi quando piove, dei miei occhi.
Pelo lungo, da lupo. Mantello nero focato, di un colore indescrivibile; sul collo era color cenere. Due macchie chiare sopra gli occhi, una sul petto a forma di cuore e altre più chiare sulle zampe.
Clara. Solo Clara.





Una giornata speciale, unica. Scelta del cane nuovo per i nonni.
Finalmente un cane mio. Finalmente è arrivato il momento che sogno da 17 anni.
Ma... manca qualcosa. Ma cosa?
.... Ah.... già... Dovrei essere felice.
La candidata numero uno è Sweety. A lei servirebbe proprio una casa grande, con un giardino in cui correre e una cuccia calda in cui dormire la notte. E, se c’è, anche una bella scorta di coccole e giochi.
Io ho quello che serve a lei. E forse lei ha quello che serve a me.
Una cagnolina bellissima, quella che tutti vorrebbero.
La vedo nel box, con addosso una voglia matta di uscire. Non incrocio il suo sguardo, lei è troppo agitata.
Sarà lei?

Una giornata come tante, scontata. La solita rutine: scuola, pranzo, canile, compiti.
Eppure... Proprio quella volta Cristian mi portò a vedere di persona i cani appena arrivati. Tre cagnoline. Belle, sì, ma non più di altri. Ne osservo una in particolare... pelo lungo e arruffato, aria da cucciola spaventata, niente di speciale.
Uno sguardo. È bastato uno sguardo, con la sua aria ingenua e curiosa, e la sua immagine mi si è impressa nella mente. Non so come, non riuscivo a mandarla via.
Una cagnolina anonima, quella a cui passi accanto girando l’angolo della strada e che ignori.
La rivedo oltre la grata. Cuore, perché proprio lei? Niente di speciale, un cane come gli altri.
Eppure...
Sarà lei?




“Sono stanco”
Sembra una scena da film, di quelle in cui il vecchio, dopo aver vissuto la sua vita e aver sopportato l’ennesimo dolore, si arrende, confessa di non farcela più.
Perché ora? Perché proprio ora?
Rimango in silenzio. Cosa dovrei dire? Che tanto mi prenderò io cura del cane? Che ho aspettato 17 anni per questa occasione? Che mi sta spezzando il cuore senza neanche rendersene conto?
Sono egoista. Sì, lo so. Sto pensando ai miei interessi, senza guardare i sentimenti degli altri. Mi dispiace. Ma non lo faccio per me. Lo faccio per due occhi che mi pregano di liberarla, di quattro zampe che vogliono solo un po’ d’erba su cui correre, di un cuore che non aspetta altro che aprirsi a qualcuno.
Ma più di così cosa devo fare? Cosa posso fare?

Adottata. Due volte. 
La prima è stata straziante. La seconda, accettata con rammarico e rassegnazione. Ma lei era felice. Lo sarebbe stata davvero, anche se io non ci sarei stata.
“Clara è morta, l’abbiamo trovata questa mattina sulle sponde del torrente che scorre dietro casa mia”
Poche parole scritte su uno schermo freddo, inespressivo. Non una telefonata, non un messaggio. Una scritta anonima, rivolta a nessuno.
E il vuoto nel cuore si riapre, questa volta è incolmabile. La morte ha tolto anche la più remota speranza di un futuro insieme, di un futuro felice per lei. La morte ha cancellato tutto, come se i miei sforzi, le mie lacrime, il mio tempo, i miei discorsi preparati dopo ore di progettazione, non fossero serviti a niente.
Non è rimasto niente.

 

 


Basta. Il mio cuore non ne può più.
Sono stanca di sperare, stanca di mettere tutta me stessa in qualcosa che alla fine mi sarà tolto, di nuovo.
Stanca di promettere un futuro migliore, che non arriverà mai.
Stanca di illudermi, di affezionarmi, di sognare. 


Mi dispiace, Sweety. Sono sicura che sarai scelta da un’altra famiglia che ti saprà donare tanto e che renderai felice.
Non posso fare di più.

Perdonami, Clara. Non ho avuto scelta.
Non ho potuto fare di più.
 

Eppure vedo tanti occhi tristi... In canile, sugli annunci di Facebook, ovunque... Sembra quasi che mi chiamino. Occhi che desiderano solo essere amati, che chiedono solo un angolino del nostro cuore da poter riempire.
Se una flebile speranza ancora c’è, perché non uno di loro? Perché devo scegliere?
Se invece anche quest’ultima scintilla si è spenta, perché mi è stata negata? Perché devo rinunciare al mio sogno?
 

Fato, perché Sweety?                                                                                                                                                                                                                   Cuore, perché Clara?

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Capitolo 13
*** Ricordo che sorridevi ***


27 novembre 2011. Sembra così lontano, ora che ci penso. Un anno. È passato già un anno.
E allora perché sto male come se fosse ieri? Perché ricordo ancora ogni dettaglio, i colori di ogni foglia, la posizione di ogni oggetto, l’intensità di ogni sguardo?
Oggi piove, anzi: diluvia. Il girono perfetto per stare in casa a scrivere. Ma, anche se (rara cosa) il tempo c’è, mi manca la forza. Di scrivere. Di ricordare.
La prima cosa che mi torna in mente ripensando a quel giorno era che c’era il sole. Tutto sorrideva. Stavo per fare una cosa che contemporaneamente mi spaventava e mi emozionava. Non mi riconoscevo neanche: una ragazza timida e insicura, che poche settimane prima non faceva neanche un passo senza avere accanto i suoi amici o la sua famiglia, ora andava a chilometri di distanza da casa sua, da sola, per passare l’intero pomeriggio a casa di una ragazza di cui sapeva solo nome, cognome e indirizzo. Ma quel giorno non me ne importava. Per lei avrei fatto questo e altro, mi sarei spinta fino ai confini del mondo pur di rivederla.
Non so quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’avevo vista. In quel periodo in canile ero stata assunta ufficialmente come “volontaria apprendista” e non avevo più portato Clara a passeggiare. Uscivo con volontari più esperti e accompagnavo cani spaventati di cui si occupavano solo loro. Non so se mi portarono con loro solo per farmi imparare il “mestiere” o anche per tenermi lontano da Clara, per evitare in trauma del distacco... Sì, perché un’altra persona aveva messo gli occhi su quella splendida cagnolina: Ilaria, una ragazza sui vent’anni che viveva con la madre in una casa grande attrezzata di giardino e spazi aperti in cui correre. Proprio quello che a me mancava. Parlai per la prima volta con Ilaria quando ormai lei usciva con Clara da tempo. Era una ragazza simpatica, con grandi occhi verdi e capelli ribelli e rossi. Una persona affidabile e responsabile. La padrona perfetta.
 
Ma a me come scusa non bastava.
 
Non so quanto tempo trascorse prima che Clara venisse adottata. Forse poco più di un mese. A me parvero anni. I volontari pensavano che per me Clara fosse ormai il passato, i miei genitori che non esistesse più. Io ogni volta che potevo passavo davanti al suo box per controllare se c’era, prendevo ogni occasione per salutarla o almeno vederla. E gli sguardi compassionevoli che i volontari mi rivolgevano quando mi vedevano insieme a lei non facevano altro che farmi pesare il mio destino.
Fu letteralmente una pugnalata vedere Clara passeggiare a fianco di Ilaria. Anche se quella scema si fermò in mezzo alla strada solo per farmi le feste, vederla andare via con Ilaria, lasciarla andare via, fu la cosa più difficile del mondo. Forse fu lì, in quel momento, che si portò via il mio cuore.
E’ difficile esprimere a parole ciò che si prova nel vedere qualcuno che si ama nelle mani di un altro. E lo è ancora di più sopportarlo. Perciò non pretendo che comprendiate. Sappiate solo una cosa: sto facendo una fatica immensa a far muovere le mie mani sulla tastiera.
 
Non ricordo quando seppi che alla fine Ilaria aveva portato Clara a casa, non ricordo chi me lo disse, come reagii, cosa risposi. Ricordo solo che piansi. Tanto. Sinceramente non so neanche il perché.
Forse perché l’avevano portata lontano da me? Sei una bambina e questa è il pensiero più infantile che avresti potuto avere.
Perché avrei voluto che fosse venuta a casa con me? Non le avresti dato la vita che meritava; sarebbe stata costretta a vivere in un appartamento e le avresti negato la possibilità di stare all’aria aperta in un bel giardino.
Perché la amavo?
 
Se la ami davvero, lasciala andare.
 
Così feci. Sapevo che era la scelta giusta, lottare era ormai inutile. Sarebbe stata felice, amata e coccolata ogni giorno e ogni ora. Non so se la cosa che faceva più male fosse la lontananza o il fatto di non poterla più pensare come mia.
 
Egoista.
 
Ilaria mi teneva aggiornata su come stava Clara, mi scriveva una mail quasi ogni settimana: la piccola si era ambientata in fretta e era già la padrona di casa. Le sue parole mi rincuoravano, sapere che Clara era felice fu la consolazione più grande. Perché se lei era felice allora potevo esserlo anche io.
E finalmente l’invito che a lungo avevo sognato arrivò: concordammo come data il 27 novembre, una domenica pomeriggio; saremmo state solo io, Ilaria e Clara. Non sapevo cosa aspettarmi: mi avrebbe riconosciuta? Sarebbe stata felice di vedermi? Avremmo passato dei bei momenti? Sarebbe stato un bene o un male rivederla?
Troppe domande, nessuna risposta. Potevo solo aspettare.
La reazione dei miei genitori mi lasciò insieme sorpresa e delusa: apatia più assoluta. Poche domande puramente tecniche, nessun commento. Non capii se la cosa mi andasse bene o mi turbasse: nello stesso tempo volevo e non volevo che mi chiedessero altro. Era una cosa mia, solo mia. Ma, essendo i miei genitori, mi aspettavo più partecipazione...
Brava, nonostante tutte le esperienze passate non hai ancora capito la loro opinione su tutta questa faccenda. Ingenua.
Il viaggio in macchina fu veloce e carico di tensione. Non sapevo davvero cosa aspettarmi. Ora tutto questo mi sembra una cosa lontana, persino difficile da comprendere in tutte le sue sfumature e significati...
Una volta arrivata suonai il citofono di una grande ma semplice casa, con un giardino abbastanza grande che faceva da ingresso al cancello principale. Dopo lo schiocco sonoro della serratura che si apriva, salutai mio papà senza dilungarmi troppo ed entrai. Mi venne incontro Ilaria, sorridente ed apparentemente emozionata quanto me.
“Ciao!! Non sai come sono contenta che tu sia venuta, e sono sicura che lo sarà tanto anche Clara! A proposito, ho avuto un piccolo imprevisto... Un mio amico è venuto da me perché ha avuto un problema personale abbastanza serio e io... be, non potevo cacciarlo... Gli ho spiegato che saresti arrivata tu e ha detto che starà con noi solo per poco. Ti dispiace?” chiese con gentilezza.
“No, no, figurati!” risposi io, intontita da tutta la mia emozione.
“Grazie. Scusami davvero, ma è stata proprio una cosa imprevista. Se vuoi ora possiamo passeggiare un po’ nel bosco qui di fianco! Io vado a prepararmi. Intanto puoi andare a vedere Clara! Guarda, dovrebbe essere nella sua cuccia là in fondo”
La tensione teneva le mie labbra strette l’una sull’altra, avevo le mani gelide. Oltrepassai il cancello principale e fui raggiunta dal saluto di un ragazzo alto dall’aria scura. Ricambia distrattamente: la mia attenzione fu catturata da un rapido movimento in lontananza. Da dietro la casa era spuntata una figura nera... Clara... Sembrava più magra di quanto la ricordassi, probabilmente le avevano tagliato il pelo, ma era bella e in buona salute. Quando si accorse della mia presenza alzò velocemente le orecchie, ma il suo sguardo era concentrato sul ragazzo: come era prevedibile, aveva paura di lui. Corse subito nella cuccia.
“Clara, non fare la scema, vieni qui!” disse Ilaria in tono scherzoso.
Ci avvicinammo alla cuccia e ci inginocchiammo davanti all’entrata. Clara era rannicchiata contro la parete tutta tremante. Mi guardava spaventata.
Ecco. Non si ricorda di me. Non mi ha riconosciuta. Sono solo un’altra persona di cui avere paura.
“Dai, Giulia è venuta qui apposta per te! Paolo non ti fa niente. Andiamo, esci fuori... Claretta...!” ma sapevo già che ogni preghiera sarebbe stata vana. Non riuscii a trattenermi dall’allungare una mano per accarezzarla... Ma lei mi guardava come se non mi avesse mai vista prima.
“Niente da fare... Magari durante la passeggiata si sblocca. Meglio se tu e Paolo aspettate fuori” mi disse Ilaria con calma.
Io e il ragazzo restammo dal cancello mentre Ilaria metteva pettorina e guinzaglio a Clara. Non dissi una parola. Mi veniva solo da piangere.
“Eccoci qua” disse Ilaria in tono allegro quando ci raggiunse. Vedere Clara che rivolgeva lo stesso sguardo spaventato a me e al ragazzo senza alcuna distinzione mi fece sentire inutile... Pensai che quel pomeriggio non avrebbe fatto altro che farmi stare ancora più male.
Camminammo sul marciapiede per un po’, passammo accanto a una stazione e poi arrivammo all’entrata di un bosco. Per tutto il tragitto Ilaria mi parlò dei consigli che le volontarie le avevano dato su cosa fare i primi giorni, cosa controllare per capire se Clara stesse bene... Mi diede tutte le informazioni sul suo stato di salute e su come l’aveva gestita fino ad allora. Io ascoltai interessata, senza staccare gli occhi da Clara.
Una volta entrati nel bosco, intervallato qua e là da ampi spazi aperti, Ilaria mi passò il guinzaglio.
“Prendila tu. Fai come se noi non ci fossimo. Se vuoi allontanati, passeggia qui nei dintorni, fai come vuoi” disse lei gentilmente. Davvero non mia spettavo che me l’avrebbe permesso.
Rimasi sempre davanti a loro, lontana abbastanza da non sentire ciò di cui stavano parlando. Clara era più tranquilla e, cosa che notai con piacere, meno spaventata e più ubbidiente. Camminammo nell’erba, passammo vicino a un gruppo di persone senza che lei si agitasse, attraversammo un lago di foglie secche (mi arrivavano fino al ginocchio!)... Clara era curiosa e serena. Un po’ di felicità si fece largo nel mio cuore.
E poi, improvvisamente, un gesto. Il più bello che avessi mai visto. Uno di quelli che fissi nella mente e sai che non si muoveranno di lì qualunque cosa accada. Io guardai dolcemente Clara, che camminava tranquilla senza curarsi di me. Allungai distrattamente la mano, non so neanche io cosa volessi cercare. Come se l’avesse sentito, come se sapesse cosa stessi cercando, lei si girò verso di me senza preavviso e, senza darmi il tempo di reagire, appoggiò il muso tra le mie dita e mi guardò. La vidi sorridere. I suoi occhi si riempirono di luce. Costrinsi la mia mente a imprimere quell’immagine nella memoria. Quel momento bastò a ricompensarmi di tutto il tempo che le avevo dedicato, di tutta la rabbia, la tristezza, la nostalgia provata, di tutta la mia fatica e il mio impegno. Uno sguardo in cambio del mio cuore.
Ora ero veramente felice.
 
Mentre tronavamo a casa ero più serena, sapevo che, anche se non lo dava a vedere, Clara mi aveva riconosciuta. Sapeva chi ero. Questo mi bastava.
Per gli ultimi metri fu il ragazzo a tenere Clara, cosa che a lei non piacque più di tanto. Io ero preoccupata che lei potesse scappare via da un momento all’altro, ma non lo fece. Era proprio brava. Arrivati al cancello, un solo, crudele gesto fece crollare l’opinione che mi ero fatta di quell’apparentemente sensibile ventenne. Io oltrepassai per prima il cancello e, voltandomi, feci in tempo a vedere il ragazzo che dava un forte strattone al guinzaglio di Clara, che aveva osato provare ad entrare nel giardino prima di lui, la quale si accucciò con le orecchie basse, alzando gli occhi pieni di paura verso di lui. Se le leggi della fisica l’avessero permesso, il mio sguardo avrebbe dato fuoco al ragazzo nel giro di un istante. Ma non potevo dire niente. Concentrai tutto il mio odio e il mio disprezzo in un singolo, breve sguardo. Potevano farmi tutto, ma guai a chi toccava Clara.
La piccola fu liberata da guinzaglio e pettorina e ne approfittò per rifugiarsi dietro la casa, lontana dai nostri sguardi. Ilaria ci invitò a bere del tè in casa, dove conobbi sua madre, altrettanto simpatica e gentile. Fui presentata alla donna come “la madrina di Clara”, il che mi rese molto orgogliosa. Parlammo di tante cose: dei miei studi, della loro casa, del loro gatto (rimasto traumatizzato dopo l’arrivo di Clara)... Il tempo passava e io non vedevo l’ora di tornare giù con lei...
Dopo circa mezz’ora scendemmo di nuovo in giardino, Ilaria salutò il suo ospite inatteso e finalmente rimanemmo solo tra ragazze. Le cose cambiarono completamente. Clara ci raggiunse felice e scodinzolante, sembrava un altro cane. Ci riempì di leccate e feste, mi annusò dalla testa ai piedi, si sdraiò nell’erba per essere coccolata, era pazza di gioia. Clara mi riempiva di attenzioni, sembrava che cercasse in tutti i modi di farmi capire che era felice che io fossi lì, felice da impazzire.
“Non l’ho mai vista così” disse Ilaria felice. “E’ proprio contenta di vederti!”
Verso sera scendemmo nel garage per sfuggire al freddo autunnale. Se prima ero felice perché Clara si ricordava di me, nei minuti successivi capii quanto il legame tra lei e Ilaria fosse profondo. La ragazza ricevette una telefonata e uscì per un po’ dal garage. Per tutto il tempo Clara non fece altro che guardare la porta e aspettare con ansia che lei rientrasse. Io non sapevo cosa provare: ero triste perché capivo che per Clara Ilaria era più importante di me, ma anche felice perché Clara aveva trovato una persona che amava e da cui era ricambiata. Ma quella persona non ero io, o almeno non lo sarei stata per sempre.
Quando Ilaria rientrò ci furono di nuovo salti e feste, come se fosse Natale. Io ricordavo una cagnolina timida e pacata, in quel momento avevo di fronte un cane completamente trasformato, libero e veramente felice. Clara le corse incontro e le mise le zampe anteriori sul petto, allungando la testa verso il suo viso per leccarla. Con mia grande sorpresa e gioia, fece lo stesso con me. Sì, riservò le stesse attenzioni e lo stesso amore che rivolgeva ad Ilaria anche a me. E allora capii che entrambe eravamo importanti, anche se in modo diverso. Io ero il passato, Ilaria era il futuro; ma questo non voleva dire che io ero da dimenticare o da mettere in secondo piano. Il suo cuore era abbastanza grande da contenere entrambe. Lacrime di gioia bagnarono le mie guance. Ilaria rimase a guardarmi sorridendo.
Mio padre arrivò presto. Le uniche cose che disse furono “Ecco, qui si che sta bene!”, “è diventata proprio bella”, “Guarda Giulia, avresti voluto che vivesse chiusa nel nostro appartamento piuttosto che vederla in un bel giardino come questo?”
No, papà. NO. Ma non ho scelto io di vivere in appartamento.
Naturalmente non dissi niente, non volevo rovinare gli ultimi momenti con Clara. O almeno... Speravo che non sarebbero stati gli ultimi, Ilaria disse che in futuro sarei potuta venire lì quando volevo, anche senza avvisare, e avrei potuto portarla a passeggiare liberamente. Ero proprio felice.
Rimasi accanto a mio padre e Ilaria mentre chiacchieravano; non ascoltavo cosa stavano dicendo, guardavo Clara. A proposito: Clara appena vide mio papà abbaiò e gli ringhiò contro, quasi non lo fece entrare nel giardino. Brava Clara. Fagliela pagare, pensai orgogliosa. Ben gli stava.
Infine, arrivò il momento dei saluti. Abbracci con Ilaria, auguri e promesse per il futuro... Per ultima salutai Clara. Quella scema non appena mi mossi per avvicinarmi a lei, corse via pensando che volessi giocare e si fermò in fondo al giardino, con il petto abbassato, le zampe anteriori tese a terra e la coda alta che danzava.
“Ma Clara!” dissi io divertita. “Non possiamo giocare, devo andare! Dai, vieni qui!”
Alla fine dovetti raggiungerla io. La accarezzai e la baciai.
“Fai la brava, mi raccomando. Ci vediamo presto, ok?” le dissi sussurrando.
Non piangere.
Mi allontanai e mi diressi con mio papà verso la macchina.
“Ciao! A presto!!” gridò Ilaria. “Clara, andiamo? Clara?”
Quando mi voltai vidi che Clara mi stava seguendo. Arrivata alla fine del giardino si voltò indietro verso Ilaria e poi ancora verso di me. I suoi occhi parlavano: perché te ne vai?
Non posso restare Clara. Torna in casa.
Entrai in macchina con riluttanza. Clara mi guardava ancora. La seguii con lo sguardo finché potei: lei, vedendo che mi allontanavo, fece ancora qualche passo verso di me. Nella mia mente mi immaginai cosa successe dopo: Clara che torna riluttante in casa, Ilaria che chiude il cancello alle sue spalle e tutto torna come prima.
Non posso dire che sapevo che quelli sarebbero stati gli ultimi momenti insieme, mentirei. Eppure sentivo che c’era qualcosa che stava per rompersi. Ma non diedi troppo peso a quella strana sensazione. Volevo ripercorrere ogni momento, ogni istante di quel pomeriggio per imprimerlo nella memoria, per non dimenticare neanche i dettagli, i colori delle foglie, la posizione degli oggetti, l’intensità degli sguardi...

Ero certa che non mi sarei dimenticata in particolare di una cosa...

Ricordo che c’era il sole....

Ricordo che sorridevi.















-Angolo dell'autrice-


Non so se volevo scrivere questo capitolo, il mio ricordo più bello, in questo modo... Ma ho pensato che se non l'avessi scritto proprio il 27 novembre non l'avrei fatto mai più. E' stato difficile, veramente difficile ripercorrerequei momenti... Prima di cominciare ho legato attorno al polso la collana con la foto di Clara. Mi serviva la sua forza, il suo sostegno, da sola non ce l'avrei mai fatta. Ma dovevo arrivare fino in fondo. Lo dovevo a lei.
Grazie a lei sono cambiata tanto. Molti potranno vedermi come "l'eroina" che ha salvato un cane dalla solitudine... Be, si sbagliano. Perchè quella che è stata salvata sono io. Lei mi ha salvata dalla superficialità delle persone, da questo mondo corrotto, da me stessa. Mi ha fatto capire cosa voglio essere, chi voglio essere, e come diventarlo. Senza di lei, non avrei trovato la mia strada.
Sì, probabilmente senza il lavoro che ho fatto con Clara lei non sarebbe mai stata in grado di uscire dal suo guscio, e non sarebbe mai stata adottata...
Sì, forse se non fossi entrata nella sua vita sarebbe ancora viva.
Ma il mio amore non era sbagliato. Un amore così non può esserlo. Sono sbagliate le parole che usiamo, il comportamento che teniamo, ma l'amore non è mai sbagliato.
E sì, ho perdonato Ilaria: per non aver dato il 100% nella ricerca di Clara, per aver adottato un cane due settimane dopo la sua morte, per aver segregato il suo ricordo in un angolo ed essere andata avanti... Non posso giudicarla: lei non è me. Non posso pretendere che le altre persone facciano le scelte che avrei fatto io. L'unica cosa che mi è lecito fare è ringraziarla per tutta la sua gentilezza e per essersi presa cura di Clara fino a quando ha potuto.

Permettetemi ancora poche parole... Voglio fare una dedica speciale: a WING, che nella realtà conosco con un altro nome. A lei che mi è sempre rimasta vicino, che ha letto e risposto agli sms mandati alle tre di notte e che ha ascoltato le lacrime silenziose liberate in ogni momento di solitudine.
Senza di te, WING, non sarei riuscita ad arrivare a questo punto. Dici che sono una ragazza forte, ma la verità è che sono riuscita a sopportare tutto questo solo perché il suo peso l'ho condiviso con te.
Grazie.
Non riesco a dire altro.






You're gone, gone, gone away,
I watched you disappear.
All that's left is a ghost of you.
Now we're torn, torn, torn apart,
there's nothing we can do,
Just let me go, we'll meet again soon.

Now wait, wait, wait for me, please hang around
I'll see you when I fall asleep.


(-Little Talks, Of Monsters & Men-)







 

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