La Clessidra

di NotFadeAway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessuna linea all'orizzonte ***
Capitolo 2: *** St.Margaret's Orphanage ***
Capitolo 3: *** Piano A, piano B ***
Capitolo 4: *** La culla di Tom Riddle ***
Capitolo 5: *** Casa ***
Capitolo 6: *** Vecchi ricordi ***
Capitolo 7: *** Racconto di cose che non sono mai successe ***
Capitolo 8: *** Ricominciare daccapo. ***
Capitolo 9: *** Nella notte ***
Capitolo 10: *** L'ONPA ***
Capitolo 11: *** Spinner's End ***
Capitolo 12: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 13: *** Buona e cattiva nuova ***
Capitolo 14: *** Vita continua. Vita finisce. ***
Capitolo 15: *** Il fumo di una barca sull'orizzonte ***
Capitolo 16: *** Halloween ***
Capitolo 17: *** Let it snow! ***
Capitolo 18: *** S.Mungo ***
Capitolo 19: *** La verità ***
Capitolo 20: *** Come un romanzo ***
Capitolo 21: *** One. ***
Capitolo 22: *** Hogwarts ***
Capitolo 23: *** Lily ***
Capitolo 24: *** Shine like a burning star ***



Capitolo 1
*** Nessuna linea all'orizzonte ***


Severus si svegliò di soprassalto, scattando a sedere. Ansimando, si guardò attorno. Provò la fastidiosa sensazione di stare fissando il sole a occhio nudo, a circondarlo c’era infatti una luce bianca ed accecante. Solo riparandosi la fronte con la mano e strizzando gli occhi, poté rendersi conto che, in effetti, non c’era nient’altro da vedere, neanche la linea dell’orizzonte.
Nella sua testa, Severus lavorava velocemente, cercando di capire cosa fosse accaduto. La risposta che gli parve più ovvia fu che in realtà si trovasse in un sogno, in uno di quelli in cui sei cosciente che stai sognando.
Cercò di alzarsi, facendo leva sulle braccia, e in quel momento si accorse di essere nudo. Si sentì profondamente vulnerabile, avrebbe preferito avere qualcosa in dosso, anche se non c’era nessun altro.
In quell’istante accaddero tre cose: Severus si ritrovò vestito, attorno a lui iniziarono a disegnarsi, nella luce,  i contorni di alberi e cespugli, a pochi passi da lui, apparve una figura.
Quest’ultima si confondeva quasi con la luce, era candida quanto il suo nome e avanzava verso l’uomo ancora per terra.
-Silente?- disse Severus, incredulo.
-Severus! Vieni qui!- fece lui, indossando il suo solito sorriso semplice e gioviale.
Diede all’uomo davanti a lui a stento il tempo di alzarsi, poi lo abbracciò.
Severus, che non era molto a suo agio in quell’abbraccio, stava iniziando a fare due più due. Ma doveva ancora togliersi un dubbio.
-Silente… sto sognando? – chiese appena lui i scostò.
Il vecchio lo guardò, grave, per un istante, poi disse, calmo:
-No.-
All’udire quella risposta, la mano dell’uomo andò d’istinto alla propria gola. Severus senti la pelle lacerata al contatto con le sue dita, ma nessun dolore.
-Sono morto. – mormorò, prevalentemente a se stesso.
-Sì.- rispose compito Silente, ma Severus non stava ascoltando.
Non sapeva se essere spaventato o felice di  quella scoperta. Certo, era strano essere morto e potere effettivamente pensare di esserlo, era quasi una contraddizione, eppure era così. Una parte di lui era morta, forse il suo corpo, ma l’altra parte di lui era ancora viva, in qualche modo. Lui pensava, quindi in un certo senso esisteva ancora.
-Sei confuso, non è così?- chiese Silente, dopo un po’, come se gli avesse lasciato il tempo per quei pensieri. – Be’, ti svelerò un trucco. Non cercare di far quadrare le cose, non ragionarci su, ragazzo mio, perché è impossibile venirne a capo seguendo le logiche con cui sei stato abituati sin ora.-
-Probabilmente hai ragione. – disse, rimandando la cosa solo a più tardi – Allora, sei venuto a prendermi per portarmi da Dio o cosa?- fece lui, sardonico.
-Oh, ci sarà tempo anche per quello, se vorrai, Severus. Ma prima, vieni qui, sediamoci. Ho una cosa da dirti.-
Severus stava per puntualizzare che, a meno che non volesse sedersi per terra, non c’era niente attorno a loro, quando notò che una panchina era comparsa vicino ad uno degli alberi. Andando vicino ad essa, Severus si prese un momento per guardarsi ancora una volta attorno: adesso, delineati nella luce, c’erano alberi, cespugli, staccionate lontane, un paio di panchine e un’altalena.
L’uomo non poté fare a meno di sussultare alla vista del parco giochi dove aveva trascorso tanto tempo con quella che era una bambina dai capelli rossi e gli occhi verdi.
Quando furono seduti, Severus aprì la bocca per parlare, ma Silente lo bloccò con un cenno della mano.
-Prima che tu mi chieda qualsiasi cosa, lascia che sia io a parlare. Se non avrò soddisfatto le tue curiosità, allora potrai farmi tutte le domande che vuoi.-
L’uomo annuì, senza discutere.
-Questo posto, Severus, è una sorta di limbo, la ragione per cui ti sto trattenendo qui non è per chiederti se tu voglia o meno tornare indietro come fantasma. Se tu l’avessi voluto, non saresti nemmeno mai arrivato qui, saresti già ad Hogwarts a girovagare bellamente tra i corridoi. No, il punto è un altro, voglio offrirti una possibilità e, al tempo stesso, chiederti aiuto – fece una brevissima pausa, l’uomo davanti a lui era più attento che mai – La vedi questa – e gli mostrò un aggeggio dorato e contorto – questa è una sorta… diciamo così, di Giratempo, il cui meccanismo, assai più complesso ed efficace, fa al caso nostro. Questa Clessidra, questo è il nome con cui è conosciuta, dona la possibilità di cambiare il passato e di riscrivere il futuro.-
-Vuoi dire che…  -
-Che con la Clessidra un uomo può tornare indietro nel tempo e, nel nostro caso … -
-Uccidere il Signore Oscuro. – Severus aveva risposto quasi automaticamente, come se quella potesse essere l’unico possibile completamento della frase di Silente.
Il vecchio fece un sorriso indeciso – Vedo che hai colto subito il punto, quindi sarò breve. Severus, adesso tu sei libero, libero di andare avanti, di là c’è qualcosa che ti aspetta, potresti rivedere chi hai perso e chiudere qua la tua partita con il mondo. Hai giù dato tanto, hai sofferto, adesso di meriti un po’ di pace. Oppure potresti scegliere di aiutare me. -
Si fermò un istante, guardava l’uomo davanti a lui cercando di capire quale fossero le sue reazioni a quelle parole. Ma Severus era impassibile come sempre.
-Se tu scegliesti questa seconda opzione, allora questo sarebbe ciò che accadrebbe: dovresti tornare al tempo in cui Lord Voldemort era ancora il piccolo Tom Riddle e ucciderlo; una volta compiuto ciò, grazie alla Clessidra, torneresti nel futuro che Voldemort non ha mai martoriato, esattamente a un anno prima da oggi, il 2 maggio 1997. A quel punto avresti un anno di tempo per decidere se far tornare tutto come prima o se lasciare che questa “realtà alternativa” o “parallela” diventi anche la nostra. Tutto, dunque, dovrebbe accadere entro il 2 maggio 1998. – si fermò.
La tentazione di accettare la prima proposta inizialmente fu forte in lui: Severus era stanco, non voleva tornare a vivere, non la sua vita vuota e solitaria, non ne sentiva alcuna mancanza. E poi sapeva che in qualche modo Lily era lì ad aspettarlo, ora poteva raggiungerla. Sarebbe stato facile lasciare perdere. Ma quando Silente gli spiegò meglio la seconda possibilità, un nuovo disegno si fece spazio nella sua mente: se Voldemort non fosse mai esistito, allora di certo non avrebbe mai potuto desiderare di diventare un Mangiamorte e quindi, forse, il suo rapporto con Lily era salvo! Quella che gli stava venendo offerta era una seconda possibilità! Quella che aveva sempre desiderato avere, per tutto il corso della sua vita, ma che aveva sempre ritenuto stupida e irrealizzabile. Ora era lì. Come poteva rifiutarla?
-Accetto. – disse – accetto la seconda proposta. Sono sempre stato quello delle seconde possibilità, mi vengono meglio. –
Silente ridacchiò, stupito nel vederlo improvvisamente più leggero.
-C’è un rischio, tuttavia. È assai remoto, ma devo comunque mettertene a parte, Severus. –
-Quale?-
-Uccidendo Voldemort, andresti ad alterare il tempo in maniera profonda ed imprevedibile, c’è dunque la possibilità che venga compromessa l’esistenza di non poche persone. Anche la tua esistenza. Basterebbe una sciocchezza e tu, a quel punto , non saresti mai esistito. –
Albus si fermò, Severus rimase in silenzio, pareva ponderare attentamente la situazione. Dopo un po’ parlò.
-E in quel caso, si potrebbe tornare… indietro?-
Silente chiuse un istante gli occhi, si passò la lingua sulle labbra ad inumidirle.
-No. –
-Quindi cosa accadrebbe? Tornerei qui o cosa? -
-Nessuno può dirlo. Ma è probabile di no. È probabile che tu improvvisamente cessi di esistere. –
Pausa.
Come si era già detto, non aveva niente da perdere, non sentiva la mancanza della sua vita. Non esistendo si sarebbe risparmiato tutta la miseria e la sofferenza che erano state tanto generose con lui in quegli ultimi 38 anni. E poi aveva passato anni a fare il doppio gioco e a rischiare la vita, cosa sarebbe cambiato adesso?
Pensò questo e così si convinse.
Forse in fondo sapeva che tra giocarsi la vita e l’esistenza c’era un abisso intero, ma non volle pensarci.
-Accetto. – disse alla fine.
-Bene – sorrise Silente – Ti sei sempre dimostrato coraggioso al di là di ogni logica e  aspettativa, ragazzo mio, e ancora una volta posso ritrovare in te questa preziosa dote.
Comunque, tornando al punto, se tutto andrà come io spero, e cioè non succederà alcuna catastrofe e tu esisterai ancora, ti ritroverai al 2 maggio del 1997 nella tua “vita alternativa”, ma sia tu che io conserveremo memoria di quanto è accaduto nella vita che abbiamo trascorso qui. –
Severus annuì, ma rispose con una domanda:
-Posso chiederti una cosa, Silente?  Perché hai aspettato me? Non potevi farlo da solo? Non mi farai credere che tu hai bisogno del mio aiuto. –
-Domanda dovuta, ragazzo mio, ma sì, in effetti è così, ho bisogno del tuo aiuto. Vedi, quello della Clessidra è un incantesimo estremamente complesso, che, sebbene io riesca a gestire da solo, è preferibile praticare in coppia, di modo che un mago sia il Suggello e l’altro sia l’Autore. Il Suggello è colui che non può  agire per cambiare il corso del tempo, ma rimane comunque cosciente della situazione, senza che la sua memoria venga modificata. L’Autore, invece, è il braccio, l’unico che può effettivamente influire sul corso degli eventi. Inoltre, nel mio caso, non posso agire in solitaria, poiché, essendo già andato avanti, non posso più ricoprire il ruolo di Autore, cosa che, invece, tu che sei ancora nel Limbo, puoi fare. –
-Fammi capire bene, quindi quale sarebbe il tuo compito? -
-Il ruolo del Suggello non è fondamentale, Severus. Come ti ho detto, teoricamente una persona sola può essere sia Suggello che Autore al tempo stesso, ma è considerata una scelta pericolosa, che pochi osano fare. E’ il Suggello che, infatti, ha pieno controllo sulla Clessidra, che, dunque, ha il compito di farla scattare ove mai le cose andassero per il verso sbagliato, ed è lui che ha l’ultima parola sulla scelta finale, se restare nella nuova realtà o tornare alla precedente. Il Suggello, infatti, di solito si mantiene più lucido, spesso l’Autore si lascia trascinare dal corso degli eventi e non è portato a fare la scelta migliore, per questo gli si affida un minimo controllo sulla Clessidra. –
-Quindi sarai tu a decidere alla fine? –
-Se la nostra decisione sarà la medesima non ci saranno problemi –
Severus esitò – Capisco. -
Detestava l’idea di non essere autonomo in quella scelta in particolare, ma a quanto pare non aveva alternative. – Va bene, facciamolo. –
-Perfetto. – e iniziò ad armeggiare con la Clessidra, mormorando lunghi mantra di parole mentre faceva scattare e girare gli anelli di metallo. L’uomo lo guardò con attenzione, poi, conclusa quella parte dell’operazione, il vecchio si rivolse nuovamente a lui.
-Non ci resta che scegliere la data. Tom Riddle è nato il 31 dicembre 1926 e ritengo opportuno che quanto devi fare, tu lo faccia prima che Voldemort vada ad Hogwarts, quindi prima dell’estate 1938. Adesso dimmi tu, puoi scegliere quando preferisci… farlo… - esitò sul finire della frase.
La situazione era alquanto paradossale: era seduto con Albus Silente nel suo vecchio parco giochi che in realtà era un limbo post-mortem e stavano discutendo su quale fosse l’età più adatta per uccidere il futuro Mago Oscuro più potente di tutti i tempi.
-Non m’importa l’età, Silente. Potrà anche avere tre anni, ma sarà sempre l’uomo che ha ucciso… Lily. – l’asprezza con cui aveva iniziato la frase sparì al suono dell’ultima di quelle parole. Solo dopo so ricordò di aggiungere: – E me. –
Silente sospirò, non doveva essere bello per lui vederlo di nuovo così pieno di rancore, ma alla fine era lui che gli aveva fatto quella proposta e, in fondo, anche lui desiderava che Voldemort morisse, aveva lottato buona parte della sua vita per raggiungere esattamente questo scopo. Ma forse stava iniziando a trovare fastidiosa l’idea di uccidere un bambino per le sue colpe di adulto.
-Va bene, allora credo sia meglio farlo il prima possibile, prima che… diventi cosciente della morte –
Severus annuì.
-Allora, torniamo al 2 maggio 1929. Tre anni non sono abbastanza perché cresca in lui già tutto il disprezzo e l’amarezza che aveva quando l’ho conosciuto io. Se ne andrà più felice, spero. –
L’uomo fece un secondo cenno di assenso, ma fu infastidito dal comportamento di Silente. Il vecchio sembrava, infatti, voler cercare di mostrarsi risentito all’idea dell’omicidio, che lui stesso, però, gli aveva proposto e stava progettando. Per Severus quel comportamento era da vigliacchi, avevano preso quella decisione a sangue freddo, nessuno li aveva costretti,e dovevano agire di conseguenza. Era sciocco mostrare un rimorso che, in realtà, nessuno dei due aveva, bisognava avere il coraggio di restare coerenti con le proprie scelte e stabilire le proprie priorità; la scelta di Severus al momento era quella, la sua priorità era salvare Lily e la propria possibilità di vivere la loro vita assieme; stava andando a uccidere un bambino di tre anni e non aveva alcun problema a farlo, ma soprattutto era abbastanza onesto da ammetterlo. Sarebbe stato più corretto e nobile da parte di Silente smetterla di girarci tanto intorno e ridurre il tutto all’essenziale.
- Un’altra delle caratteristiche che distingue la Clessidra da un qualsiasi Giratempo è che ti premette di muoverti anche nello spazio. Per questo ti farò trovare davanti all’orfanotrofio di Tom Riddle, quando quest’ultimo avrà poco più di tre anni. Non ti dirò come agire, credo tu sappia meglio di me come si fanno certe cose, Severus, solo lascia meno tracce possibili e falla sembrare una morte naturale, di modo che non vi capiti di mezzo qualche innocente. –
-Va bene. – disse – Quindi, è come se tornassi… vivo? –
-In un certo senso sì, perché, quando si viaggia nel tempo, non contano date di nascita o di morte. Inoltre, se uccidiamo Voldemort, lui non potrà mai uccidere te oggi, né mai io ti obbligherò mai a uccidere me, quindi con ogni probabilità, tu ed io saremo di nuovo in vita. A meno che non scegliamo di riportare le cose a prima, in quel caso, no, tornerai al 2 maggio 1997 di questa realtà, quindi si ripeterà tutto come è già stato, e il 2 maggio del ’98 morirai di nuovo. –
-Capisco – fece lui – Potrò tornare ad usare la magia, giusto? –
-Ovviamente. –
-Perfetto. Sono pronto a partire. –
A quel punto, Silente sganciò un paio di ingranaggi della Clessidra e la diede all’uomo davanti a lui: non appena avrebbe  terminato il suo compito, avrebbe semplicemente dovuto far scattare tre volta quell’aggeggio e sarebbe stato trasportato nella nuova realtà. Quindi lo coinvolse in una serie di complicati incantesimi in lingue sconosciute a ormai qualsiasi essere ancora in vita, poi fece cigolare uno degli ingranaggi e Severus si ritrovò avvolto da un vortice di colori confusi.

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Capitolo 2
*** St.Margaret's Orphanage ***


Era una sensazione stranissima, lontana dall’oppressione che provocava la Materializzazione o dall’amo all’ombelico della Passaporta. Per primo, fu alzato da terra, poi vide scorrere cose confuse, velocissime davanti a lui, mentre sentiva l’aria attorno comprimersi e dilatarsi, riscaldarsi e congelare. Il tutto durò poco più di una manciata di secondi, poi Severus si ritrovò sbattuto al suolo,  su un inzaccherato marciapiede di pietra. Appena toccò il terra, si sentì mancare l’aria, boccheggiò in cerca di ossigeno, poi qualcosa gli entrò, con forza, nel petto e lui riprese a respirare. Il cuore ricominciò a battergli e sentì il sangue sfrecciargli di nuovo nelle vene. Le sue mani ripresero repentinamente colore sotto i suoi occhi, così come percepì tornare il calore in tutto il suo corpo. D’istinto mosse la mano alla gola, la pelle lacerata dal morso del serpente era integra. Era appena tornato in vita.
A quel punto, iniziò a guardarsi attorno: era in una stradina laterale, dove non v’era anima viva, il cielo grigio, i colori cupi del circondario descrissero subito nella sua menta la sua Inghilterra.
A quel punto si alzò in piedi, e non fu stupido di ricordare ancora perfettamente come si facesse a vivere, in fondo lui era morto solo poche ore prima. Si tolse il fango dalla tunica e si affacciò sulla strada dove dava il vicolo, l’orfanotrofio di Riddle era chiaramente visibile anche da lì, in tutto il suo squallore: era un edificio decadente, imbottito di finestre piccole e inquietanti, aveva il colore di qualcosa andato a male e l’aspetto di una prigione. Per qualche strano motivo, quella vista gli riportò alla mente Spinner’s End, per questo la trovò disturbante.
L’uomo scacciò il pensiero e indugiò ancora sulla soglia del vicoletto, cercando di mettere assieme i fatti: si ritrovava nella Londra del 1929, non aveva un’identità, non aveva un alloggio, non aveva denaro, ma soprattutto non aveva un piano. Pensò subito di andarsi a sedere ad un bar, per elaborare quanto sapeva, ma si rese presto conto che quello che sapeva era pressoché zero, in più non poteva andare in giro con i suoi abiti da mago, avrebbe dato troppo nell’occhio. Dunque la prima cosa da fare era procurarsi dei vestiti Babbani.
Uscì dal vicolo, sentendosi immediatamente una calaminta per gli sguardi sbigottiti o anche solo curiosi dei passanti, e si mosse in fretta in cerca di un negozio di abbigliamento maschile. Per sua fortuna, ne trovò uno poco lontano, era angusto, polveroso e affatto invitante, ma faceva al caso suo.
Ci s’infilò dentro, facendo suonare il campanellino sulla porta, e si trovò in un luogo illuminato da una lampadina ad incandescenza che emetteva una luce fastidiosa agli occhi, che sottraeva alle tenebre la bottega imbottita di naftalina; era un ambiente unico e affollato di scaffali, c’era un bancone a lato, delle pile di maglioni e camicie disposte ordinatamente dietro di esso, e, dal lato opposto vi erano giacche  e pantaloni appesi per colore e per taglia. Si mosse più verso l’interno, quando la voce di una donna lo fermò:
-Salve… ehm… signore – disse, lanciando anche lei un’occhiata stupita alla vista dell’abbigliamento del nuovo cliente – Posso aiutarla? –
L’uomo esitò a voltarsi e, quando si decise a farlo, lo fece molto lentamente, valutando, in quel frangente diverse ipotesi: esclusa a priori la possibilità di proseguire rispettando le norme del buon vivere civile, nonché la legge,  pensò di Confondere e Immobilizzare la commessa con la magia e di prendere, così, il necessario indisturbato. Ma forse quella era una misura un po’ drastica, sarebbe bastato, probabilmente, farsi aiutare, portare nel camerino i vestiti, indossarli e Smaterializzarsi con essi. Sì, era una buona idea, avrebbe fatto così.
-Sì, cerco un completo da giorno. – Buttò lì, sperando che quanto aveva appena detto avesse un senso.
Fortunatamente la commessa sembrò capire.
-Bene. Preferisce solo una giacca o anche un gilet sopra la camicia? –
-Solo la giacca andrà bene. –
-E qual è la sua taglia, signore? –
-Ehm… - esitò, non ne aveva la minima idea. Non conosceva le taglie Babbane, era entrato in un negozio di vestiario solo una volta: aveva preso la prima tunica nera che aveva visto e, una volta a casa, ne aveva fatto delle copie e aggiustato la taglia. Questa era la sua unica esperienza in materia.
-Non lo so. – si ritrovò costretto ad ammettere, dovendo assistere ad una nuova occhiata stranita e divertita  della donna. Improvvisamente trovò l’ipotesi del Confundus molto allettante.
-Ah, non si preoccupi… non è un grosso problema… vediamo… - e prese  a squadrarlo, nel tentativo di capirne la taglia. Severus la fissò con uno sguardo di fuoco. – Sì, be’,  se magari… ecco, la cosa, la… la tunica – fece un mezzo sorrisetto, che non migliorò affatto la situazione – se la stringesse un po’ sui fianchi… così cerco di capire… - e si avvicinò con le mani per aiutarlo.
Ci fu un sibilo e un tonfo sordo e la commessa era a terra, priva di sensi.
Un Severus furibondo,mandato al diavolo ogni buon proposito, sigillò la porta e mise il cartello “Chiuso” ben in vista, poi afferrò una giacca, una camicia e un pantalone a caso e prese la via dei camerini. Si tolse la sua tunica informe e il grosso mantello nero, e si infilò i nuovi vestiti, che gli cascavano letteralmente di dosso. Con la bacchetta aggiustò la misura, quindi si rimise gli stivali e tornò nella stanza di prima.
Si avvicinò alla cassa e ne prese parte del contenuto, quindi prese una valigetta tra gli scaffali, la sottopose ad un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile e vi gettò dentro i suoi vestiti ed il denaro. Poi fece lo stesso con  una delle tasche del pantalone e vi mise dentro la sua bacchetta. Prima di uscire, si chinò sulla commessa, la Reinnervò  e le modificò la memoria.
Tornato in strada, non attirava più l’attenzione dei passanti, così decise di andare in cerca di un bar, dove poter pensare alle sue prossime mosse.
Se era stato facile trovare un negozio di abbigliamento maschile, tanto più lo era stato trovare un bar nel giro di un isolato, era più che altro una bettola affollata di gente e di tarli, ma Severus era abituato ad ambienti peggiori.
Fece cigolare la porta ed entrò nel bar, che gli diede il benvenuto, investendolo di un pesante tanfo di alcool e fumo. Severus si avvicinò al bancone, si concedette una birra e se la portò ad uno dei tavoli in fondo al locale.
Tra un sorso e l’altro, progettò il da farsi: per prima cosa doveva capire come raggiungere Riddle, dunque doveva sapere com’era strutturato l’orfanotrofio, quanto controllo c’era e dove si trovava il bambino. Per fare questo doveva entrare in qualche modo all’interno della struttura e studiarla attentamente,perché questo sarebbe stato fondamentale per le successive mosse del suo piano. Inoltre non aveva ancora un’idea su come uccidere il bambino, doveva architettare qualcosa di sottile e astuto, perché i bambini non muoiono, così, da un momento all’altro, senza un motivo, e quello non doveva affatto sembrare un omicidio.
Rimandò a dopo la decisione su come assassinare Riddle e proseguì nel suo piano per infiltrarsi tra quelle mura. Ritenne poco pratico Materializzarsi, non sapeva dove sarebbe riapparso, e questa incognita non era accettabile, poteva scatenare il panico tra i Babbani e attirare l’attenzione su di sé. L’idea che ritenne più praticabile, fu quella di farsi passare un ispettore dell’igiene o un assistente sociale, in questo modo sarebbe riuscito ad entrare, poi avrebbe lanciato un Imperius sulla sua guida, che l’avrebbe così condotto da Riddle.
Passò rapidamente in rassegna l’eventualità di dover cambiare i connotati della sua faccia, ma la bollò presto come idea superflua, dato che in quell’epoca lui ancora non esisteva. L’unico problema poteva essere costituito dalla lunghezza dei suoi capelli, che in quell’epoca era inusuale quasi quanto tunica e mantello; così fu costretto ad entrare nei cubicoli che osavano anche chiamare bagni, dall’odore nauseabondo, nel tentativo di accorciarsi i capelli in un taglio più classico con la bacchetta.
Si preparò meglio, invece, sulla sua identità fittizia, sarebbe stato il Signor John Stewart, assistente sociale, venuto lì per un’ispezione a sorpresa per verificare la qualità della vita dei bambini. Ovviamente la cosa avrebbe retto solo se l’addetto non gli avesse chiesto un tesserino o un documento di riconoscimento, a quel punto avrebbe abbandonato la sua copertura e agito non più così raso terra.
Ritenuto tutto pronto, uscì dal bar e attraversò la strada, diretto all’orfanotrofio. Il cancello esterno era socchiuso e lui vi entrò senza alcun problema, non visto e non pensato, e attraversò il cortile che lo separava dall’entrata dell’edificio. Nel giardino v’era solo erba rada e melmosa, e un cartello impiantato del terreno che recitava: “St.Margart’s Orphanage, since 1856”.
Severus passò oltre e bussò ad un fatiscente portone di legno, che tempo addietro doveva essere stato di un rosso lucente. Qualcuno mosse dei passi al di là della soglia, fece scattare la serratura e la porta si aprì.
-Salve, come posso aiutarla?-
A parlare era stata una donna sulla cinquantina, scheletrica, con gli occhi grandi e i capelli pallidi legati sulla nuca.
-Salve, sono John Stewart, dei servizi sociali, sono qui per un’ispezione – disse prontamente Severus.
Il sorriso della donna barcollò, ma miracolosamente lei riuscì a mantenerlo su, forzandolo visibilmente.
-Ah – fece – Non siamo stati avvertiti di una vostra visita. –
-Si tratta di un’ispezione a sorpresa, signora. Ora la prego di lasciarmi entrare. –
-Posso prima vedere il suo tesserino, signor Stewart? –
A quella richiesta, come previsto, Severus dovette passare alle maniere forti. Con un movimento fulmineo afferrò la bacchetta e la agitò, pensando “Imperio!”.
L’effetto fu immediato e la donna aprì la porta, facendo un  ampio gesto con la mano: - Prego, si accomodi.–
I due attraversarono un piccolo ingresso ed entrarono in una stanza più grande, ma sempre deserta.
Senza che Severus avesse bisogno di dire altro, la donna continuò: - Lasci che la porti dai bambini. –
L’uomo non le rispose e la seguì per un corridoio stretto e su per due rampe di scale. Sul quel piano c’era assai più movimento, c’erano  bambini tra i corridoi e assistenti e suore che supervisionavano questi ultimi, con sguardi torvi e attenti. Le donne notarono subito l’intruso, così Severus decise di far sembrare il tutto il  più normale possibile.
-Al primo piano teniamo i bambini dai zero ai cinque anni, adesso sono le 11, quindi è il momento della ricreazione, presto torneranno nelle loro stanze, suddivisi per età. -  iniziò a spiegare lei, per ordine di lui.
-Capisco. Potrei visionare una delle stanze? – disse, facendole, in realtà, passare l’ordine di portarlo in quella di Tom Riddle.
-Ma certamente, mi segua. –
L’assistente superò due porte, poi ne aprì una sulla loro sinistra e fece cenno all’uomo di precederla.
Si trattava di un enorme stanzone, affollato da un numero di lettini con le sbarre incredibili, addossati gli uni agli altri, c’erano solo due finestre e, in un angolo, un letto da adulti, dove, presumibilmente, dormiva un supervisore. Al momento, la stanza era semivuota, si contavano solo una suora e cinque o sei bambini tra le culle.
La donna si addentrò in una delle file formate dai lettini e lo portò davanti ad uno di questi.-
-E questo è un esempio di culla-
Severus la fissò e vide  che sulla testiera c’era un bigliettino attaccato in maniera posticcia, con su scritto “Tom O. Riddle”. Tra le sbarre arrugginite, lo fissava torvo un bambino.
Provò una fitta d’odio a quella vista e le immagini dell’ultima volta che si erano salutati gli affollarono la mente: lui non aveva neanche avuto il fegato di affrontarlo direttamente, gli aveva scagliato il suo fottuto serpente alla gola e poi era uscito dalla stanza, con un “Mi spiace”. I ricordi continuavano ad affluire, uno peggiore dell’altro, quando sentì che l’istinto stava per prendere il sopravvento sulla ragione, rimise mano all’Occlumanzia e si calmò. In poco tempo avrebbe comunque avuto la sua vendetta.
A quel punto la donna parlò di nuovo:
-Bene, andiamo avanti.-
La guida proseguì nella loro visita all’orfanotrofio, che  durò una buona mezz’ora. Era fondamentale che gli altri colleghi di lei non si insospettissero, non poteva interrompere da un momento all’altro ispezione. Almeno, nel frattempo, riuscì a ricavare altre informazioni utili, come ad esempio quando i bambini erano fuori dalle stanze perché a mensa, o quanta sorveglianza c’era di giorno e di notte.
Quando finalmente si avviarono verso l’atrio, Severus tolse la maledizione e modificò la memoria della donna. Prima che potesse rendersi conto di cosa fosse accaduto, l’uomo era già scomparso.

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Capitolo 3
*** Piano A, piano B ***


Severus si Materializzò a Diagon Alley, pochi istanti dopo, vicino alla Gringott. Gli occorreva un alloggio, ma per ottenerlo, doveva prima cambiare quel denaro Babbano  in soldi magici.
Così, dopo essersi riempito la ventiquattrore di Galeoni, Falci e Zellini, imboccò la via che portava a Nocturn Alley, se voleva progettare un omicidio, lì sarebbe stato certamente indisturbato, girovagare con ingredienti velenosi o macchie di sangue sui vestiti lì era considerato se non un obbligo, almeno nella noma.
Si fermò davanti ad una locanda fatiscente e mal frequentata allora, come lo sarebbe stato cinquant’anni dopo: “La Serpe decapitata”. Severus entrò, l’ambiente era buio, c’erano solo un paio di candele nella stanza, dove vi erano cinque o sei divani pulciosi e assai più corpi maleodoranti stravaccati su di essi, il bancone della reception era in fondo.
-Cazzo, la luce! Chiudi quella fottuta porta! – gridò uno degli inquilini dei divani, palesemente ubriaco.
Severus soffiò dal naso, cercando di mantenere la calma e la chiuse. Quindi mosse sicuro i passi verso il bancone, respirando un gradevolissimo olezzo di umido e sudore.
-Che cosa ci fai con quei pantaloncini? – disse un altro alle sue spalle. –Ehi, Dave, guarda che è entrato un Babbano! – gridò e rise, insieme ad un coro di altre voci.
-E come diavolo ci è arrivato qua? – disse una voce scettica in risposta, da una stanza celata da una tenda dietro il bancone.
Gli occhi di Severus lampeggiarono e si irrigidì sulla schiena, ma non si fermò. Arrivò davanti al tavolo e fece suonare il campanello.
Sentì dei mormorii provenienti da dietro di lui, poi altre risa.
-Dave, avanti. Vai dai Babbano, il signore ha bisogno di te. –
-Sì, arrivo, arrivo! – E un uomo basso, sulla sessantina, uscì dalla stanza, roteando gli occhi.
Quando vide Severus, lo squadrò con un misto tra disgusto e sorpresa e, appena parlò, esibì un tono divertito: - Ah… ehm… posso aiutarla… signore? –
Severus serrò i denti e inspirò, prima di parlare.
-Ho bisogno di una stanza.-
-Ahahah! Divertente, figliolo. Senti, questo non è posto per te. Perché non provi a Trafalgar Square? – la battuta riscosse successo e buona parte dei presenti rise fragorosamente.
-Vattene a casa, sporco Babbano. – disse un uomo alto, ma malfermo sulle gambe, traballando verso di loro.
Severus, che stava facendo appello a tutte le sue forze per non reagire come avrebbe voluto, si girò di nuovo verso il proprietario dell’osteria e ripeté: -Vorrei una stanza.-
-Ehi, sei sordo? Mi hai sentito? – ringhiò il tipo di prima, ma l’uomo continuava ad ignorarlo, furibondo e allerta.  –Vediamo se questo ti aiuta a essere più attento. – aggiunse, e Severus lo vide con la coda dell’occhio tirare fuori la bacchetta.
A quel punto successe tutto molto in fretta: non appena l’uomo iniziò a dire: - Impedim… - Severus si girò, già la bacchetta in mano, parò la fattura e, in un attimo, l’uomo era a mezz’aria a penzolare per una caviglia, disarmato.
-Vediamo se questo ti aiuta a essere più attento… quando scegli con chi avere a che fare, bastardo. – sibilò.
L’uomo rosso in viso per l’eccessivo alcool e per l’umiliazione, strinse gli occhi e si divincolò. Severus stiracchiò un sorriso maligno, poi tornò a rivolgersi al tipo che si chiamava Dave, che aveva assistito alla sceneggiata con fare quasi abituato. Aveva già delle chiavi in mano.
-Ecco a lei le chiavi. Stanza numero 9, primo piano a sinistra. –
Severus le prese e si avviò verso la tromba delle scale, prima di scomparire dietro la soglia, agitò di nuovo la bacchetta e si udì un tonfo e un grido di dolore. Neanche un secondo dopo, dei passi rombanti si mossero in sua direzione: l’uomo, liberato, aveva preso la bacchetta e stava correndo di nuovo in sua direzione. Severus, ora palesemente divertito dalla situazione, si voltò a fronteggiare di nuovo il suo avversario. Ancora una volta, l’uomo tentò di lanciare un incantesimo, ma Severus lo bloccò e, con un leggero svolazzo della bacchetta lo fece inciampare e cadere a terra, immobilizzandolo e disarmandolo di nuovo.
-Se ci riprovi, ti appendo per aria un’altra volta e ti posso giurare che, poi, per scendere, ti dovrai solo tagliare un piade. –
Gli riservò un’ultima occhiata sprezzante, poi attraversò la soglia e sparì su per le scale.
La stanza era un cubicolo buio e lercio, ma gli concedeva lo spazio e la calma necessari per lavorare , quindi andava bene. C’erano un letto, una scrivania e una sedia, il bagno doveva essere in comune; l’unica finestra era coperta da una tenda nera spessissima, che non lasciava passare neanche un rivolo di luce.
Severus poggiò la ventiquattrore sul letto, si rimise i suoi abiti di sempre e si fece ricrescere i capelli, quindi si sedette alla scrivania, era tempo di decidere cosa fare. Uccidere quel bambino sarebbe stato facilissimo, aveva centinaia di possibilità, ma più difficile era trovarne una che non destasse sospetti e che non portasse la cosa troppo le lunghe.  Riddle doveva morire il più naturalmente, per quanto naturale fosse morire a tre anni, e il più velocemente possibile. 
Dopo quasi mezz’ora di attenta selezione delle ipotesi, l’uomo arrivò a essere indeciso tra due: la Maledizione Aritmica e la Bevanda del Giullare.
La prima era un complicato incantesimo per produceva un’aritmia cardiaca, provocando il rallentamento dei battiti del cuore, fino a portare progressivamente l’individuo in uno stato di shock, che avrebbe causato la morte. Era una soluzione molto rapida, ma presentava alcune lacune: innanzitutto agiva fin troppo velocemente, doveva operare di nascosto se avesse scelto questa seconda opzione, altresì sarebbe stato scoperto; inoltre teoricamente, se si agiva in tempo, si poteva prevenire lo stato di shock e quindi salvare la vita alla vittima, dunque, doveva procedere in un momento in cui, non solo nessuno avrebbe badato a lui, ma non avrebbero pensato nemmeno al bambino.
La seconda opzione richiedeva tempi più lunghi, ma di certo garantiva un esito più sicuro. La Bevanda del Giullare era un veleno che riproduceva esattamente gli stessi sintomi del tetano, tra cui anche lo spasmo dei muscoli facciali, che producevano il “sorriso sardonico” che dava poi il nome anche alla pozione. Il tetano era una malattia che, a quanto ricordava, veniva difficilmente trattata a quel tempo e che agiva nell’arco minimo di cinque o sei giorni. In pratica, se contava i due giorni necessari a preparare la Bevanda, doveva battezzare ancora una settimana lì. Certo, con un paio di trucchetti avrebbe potuto accelerare il corso della malattia, ma sempre senza eccedere, non doveva destare alcun sospetto, anche se le sbarre arrugginite delle cullette erano un punto a favore di quest’ultima chance.
Alla fine, decise di andare sul sicuro e di provarle entrambe: avrebbe iniziato a preparare la Bevanda del Giullare, poi, in attesa che fermentasse avrebbe provato ad infiltrarsi al St. Margaret’s, tentando la sorte con la Maledizione Aritmica. Guardò l’orologio, era l’una e mezza, fino a quando avesse comprato tutti gli ingredienti necessari  e iniziato la pozione, se ne sarebbe andata via tutta la notte: la Bevanda del Giullare richiedeva una preparazione non troppo lunga, ma di certo frenetica e attentissima, bisognava aggiungere gli ingredienti al tempo giusto, con una precisione al secondo. Ci avrebbe impiegato come minimo 12 ore, quindi la Maledizione Aritmica era rimandata alla notte successiva.
Uscì poco dopo, e si recò nella Farmacia di Diagon Alley per acquistare il necessario, usando il vecchio trucco di aggiungere ingredienti superflui per evitare che il farmacista capisse cosa aveva in mente. Poi entrò da Potage’s: Il calderone, per procurarsi un calderone in argento, una bilancia, delle fialette, diversi coltelli e misurini e un Metronomo.
Tornò all’ostello quasi due ore più tardi e, passando indisturbato nell’atrio, fece rientro in camera sua, per mettersi subito al lavoro.
Trascorse tutto il pomeriggio e tutta la notte su quella pozione, senza potersi concedere un istante di riposo, doveva prestare grande attenzione ai battiti del Metronomo, perché uno in più o uno in meno, gli avrebbero fatto perdere tutto il lavoro fatto. Passava veloce dal lato del tavolo dove teneva gli ingredienti preparati, a quello dove aveva il calderone, sempre contando tra sé “Uno, due, tre, quattro…”, di tanto in tanto prendeva la bacchetta e faceva alzare o abbassare la fiamma, oppure faceva volare una polvere di radici finemente tagliate nel calderone. Sembra una strana danza.
Alle 8.30 di mattina, Severus crollò, sfinito sul letto, mentre la Bevanda del Giullare, della perfetta sfumatura giallo paglierino richiesta a quello stadio, fermentava sulla scrivania. Si addormentò in un istante.
Aveva lanciato un incantesimo all’orologio, perché fungesse anche da sveglia e lo destasse 5 ore più tardi, mezz’ora prima del dovuto, perché dovesse riprendere a danzare sulle note della Bevanda. Quando trillò, diligente, ma ancora stanchissimo, Severus si mise a sedere sul letto, nel tentativo di riprendere la lucidità necessaria per continuare il veleno.
Dovette sgobbare per altre 9 ore, prima che la pozione potesse essere lasciata nuovamente a fermentare, per una sola ora quella volta, e lui potesse essere libero di andare all’orfanotrofio.
 Aveva i tempi strettissimi, per cui doveva agire in maniera rapida e a colpo sicuro. Serrò la porta della stanza con un incantesimo, quindi ve ne lanciò un altro per evitare che qualcuno si Materializzasse lì e sparì.
Severus riapparve nel giardino del St. Margaert’s Orphanage pochi istanti dopo. Si guardò intorno e si accorse di essere troppo esposto lì, così si andò ad appostare dietro ad un gruppo di cespugli lì vicino. La situazione, purtroppo, non era delle migliori, i primi tre piani avevano le luci accese e c’era un andirivieni di gente visibile chiaramente anche da lì, inoltre non aveva calcolato la gabbietta del custode, che, però, dato il numero di bottiglie che si intravedevano, non avrebbe costituito un intralcio.
All’inizio, decise di aspettare, per vedere le se acque si fossero calmate, magari c’era stato solo un piccolo incidente, che aveva svegliato tutti i bambini; poi, però, dopo quasi mezz’ora che le cose non erano cambiate, decise di cercare di capire cos’era successo, se la cosa non si fosse risolta presto, sarebbe tornato la notte dopo, con la doppia carta anche della Bevanda del Giullare. Passò in rassegna tutti gli incantesimi che conosceva, cercandone uno che potesse fargli origliare cosa dicessero oltre le mura, quando ne trovò uno, andò di filato sotto una delle finestre e si accovacciò. Era completamente esposto lì, ma del custode non c’era traccia, era evidentemente in qualche bar a rifornirsi di qualche vino di bassa qualità, così decise di tentare.
Mormorò la formula e stette in ascolto:
“Christine, presto, portami altra acqua fredda!” “Dove sei finita, Caroll, mi serve quella bacinella!” “Sorella, sorella! Anche David sta male” “No, Rachael, resta qui! Non ti muovere” “Lo so che è fredda, piccolo, ma ti aiuterà” “Perché non  me l’hai detto prima!” “No, aspetta, Simon, non lì…” “Qualcuno mi può portare delle fasce?!” “Ma non c’è nessuno che mi ascolti?!” “Puoi resistere ancora un momento Margaret?” “Suor Julia, anche Christian ha vomitato!”
Interruppe l’incantesimo, evidentemente c’era stata un epidemia di influenza ed erano tutti indaffarati a combattere con mal di stomaco, mal di pancia e febbre. Non aveva nessuna possibilità di entrare indisturbato. Spazientito,  si alzò, stava per andare via, quando:
-Che diavolo ci fai tu lì?- gridò una voce: il custode – Che cazzo stai facendo, eh? Vuoi fregarmi? – e senza il benché minimo preavviso, tirò fuori una pistola e sparò.
Il proiettile sfrecciò nell’aria e penetrò nella coscia dell’uomo, che crollò a terra.
“E no, cazzo, non muoio due volte in due giorni, no!” pensò Severus, che, ignorando il dolore, afferrò la bacchetta e, con un guizzo, disarmò il custode e lo Schiantò.
A quel punto si soffermò a vedere la ferita: il proiettile aveva lasciato un foro nella tunica, dal quale usciva, copioso, il sangue. Una vertigine gli annebbiò la vista per un istante, ma lui strinse i denti. Prese il mantello e ne strappò una lunga striscia con la bacchetta, poi si alzò la tunica e esaminò la lesione: fortunatamente la pallottola non gli aveva trapassato la gamba da parte a parte, ma questo significava che ce l’aveva ancora nella carne. Lasciò a dopo il compito di rimuoverla e fasciò la ferita per interrompere l’emorragia. A quel punto si guardò attorno: fortunatamente il caos causato dall’epidemia non aveva attirato l’attenzione di nessuno dentro l’orfanotrofio sullo sparo. Facendo leva sulle braccia e stringendo i denti, si alzò, doveva stare in piedi per Smaterializzarsi. Sperò di essere capace di risolvere quel problema da solo e, facendo un goffo giro su se stesso, sparì.
Non si era mai Materializzato con una ferita simile addosso e si ripromise di non farlo mai più, quando ebbe la tipica sensazione di essere compresso in un tubo, il dolore si acuì fino all’insostenibile e dovette lottare per rimanere lucido. Riapparve sul pianerottolo davanti alla sua stanza, ma quando arrivò sulle sue gambe, quella ferita gli cedette e cadde a terra, lasciandosi scappare un urlo. Un tipo ancora in giro, che stava passando, lo notò.
-Che diavolo vuoi?! – lo raggelò Severus, facendolo filare via.
Più veloce che poté, aprì la porta della stanza e vi entrò dentro zoppicando. In quel momento si ricordò della Bevanda: non aveva tempo da perdere! Dimentico del dolore, si fiondò sulla scrivania e fu sollevato dallo scoprire che ce l’aveva fatta giusto in tempo. Riprese a lavorare, il Metronomo ripartì, ma la sua resistenza non era come quella di prima, iniziava a sentire le mani formicolare, aveva le vertigini ed era costretto a sbattere gli occhi per mettere a fuoco quanto aveva proprio davanti agli occhi. Dopo venti minuti dovette dare forfait, perché le mani gli tremavano visibilmente e la ferita gli aveva inzuppato completamente le gambe e la veste di sangue.
Era andata. La pozione ormai era da buttare. 

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Capitolo 4
*** La culla di Tom Riddle ***


Cacciò un grido di frustrazione e, sbuffando, si mise a sedere sul letto, decidendosi a trattare quella ferita. Strappò un lembo della camicia che aveva comprato il giorno prima e se lo mise tra i denti, quindi, bacchetta alla mano, pensò: “Accio proiettile”. La pallottola sfrecciò fuori dalla sua carne, seguita da un fiotto di sangue. Severus rimase per alcuni istanti fulminato dal dolore, poi sputò il pezzo di stoffa e iniziò a pronunciare un mantra di parole, dopo un poco la ferita smise di sanguinare, quindi si richiuse. L’uomo si ripulì dal sangue e fece sparire la benda inzuppata, imprecando: non ci aveva messo niente a risolvere la situazione, se solo fosse arrivato pochi minuti prima, non avrebbe dovuto gettare al vento la sua Bevanda del Giullare.
Ma era inutile stare lì a piangersi addosso, così decise di abbandonare quel profilo d’azione. Al diavolo l’incognito, aveva un nuovo piano, molto più semplice, molto più veloce, molto più efficace.
Quel mattino c’era un bel sole su Londra, le nuvole erano rade e faceva quasi caldo. Tutte quelle cose erano perfettamente indifferenti a Severus. L’uomo, ancora infuriato per l’attentato fallito di quella notte, era pronto ad agire. Bacchetta già alla mano, si Smaterializzò.
Con un “crak” ricomparve nella stanza dove al St. Margaret’s tenevano i bambini di tre anni e anche lì era piena mattinata. Severus si guardò attorno, in cerca del bersaglio, i bambini erano tutti fuori dalle cullette, e giocavano, strillando e ridacchiando tra loro. Una donna gridò, spaventata e sorpresa, dal nuovo arrivato. L’uomo non le badò, ma procedette attraverso le file di cullette.
-Chi è lei? Che sta facendo? Come ci è arrivato qui?- strillava la donna.
Severus contava  i lettini.
-Cosa vuole? – iniziò a inseguirlo.
Severus si fermò davanti ad una delle poche cullette piene.
– Che ci fa qui? – diceva, ormai l’aveva quasi raggiunto.
L’uomo alzò la bacchetta.
-Cosa vuole da Tom? Aiuto. Che sta facendo con quella cosa? – adesso gli era praticamente affianco.
L’uomo non la guardò, bensì fissò il bambino, che ricambiava il suo sguardo: non gridava, non piangeva, non sorrideva, lo guardava e basta.
-Avada Kedavra! –
Ci fu il consueto lampo di luce verde e il bambino crollò all’indietro nella culletta, morto.
L’assistente urlò, sconvolta.
-Che cosa ha fatto? Che cosa ha fatto? Oddio! – guardava terrorizzata l’uomo, poi si lanciò sul corpo senza vita del bambino, sempre gridando.
Severus non volle vedere oltre, fece scattare l’ingranaggio della Clessidra e scomparve.

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Capitolo 5
*** Casa ***


                                                         2 maggio 1997

L’uomo si ritrovò steso,  con gli occhi chiusi, in una stanza buia. Ci mise qualche secondo per ottenere la completa percezione del suo corpo, sentiva gli arti distanti, come se non ne avesse il controllo. Dopo un po’, quando mani e piedi smisero di formicolare, riuscì ad aprire gli occhi e a mettersi seduto. Una vertigine lo fece oscillare vistosamente, ma lui mantenne l’equilibrio e, mettendo a fuoco a fatica, si guardò attorno.
La porta era socchiusa, quindi proveniva un po’ di luce da oltre quest’ultima, grazie alla quale poté capire tre cose: si trovava in una camera da letto, era con ogni probabilità notte ed era solo. Il petto gli si afflosciò e fu subito colto da una sensazione di sconforto, al pensiero che, anche se Voldemort non aveva mai attraversato il suo cammino, lui era comunque destinato a trascorrere la sua vita da solo.
Ma non poteva permettersi di piangersi addosso, doveva capire dove si trovava.  Si mise a cercare la bacchetta e la trovò sul suo comodino, la mosse appena e il lampadario si accese, abbagliandolo.
La luce cambiò tutto. Gli mostrò la vera natura di quella stanza: a meno che non fosse diventato gay, in quella camera c’era, senza alcun dubbio, la mano di una donna. Rimase cauto con i pensieri e continuò ad osservare le pareti color pesca, dipinte ad arte, le finestre con le tendine bianche ricamate, fermate a metà con dei nastri abbinati alla vernice dei muri, i fiori sul davanzale, le foto disposte ordinatamente su dei centrini bianchi sul mobile davanti … ma certo, le foto! Ecco la risposta che cercava!
Si alzò di scatto e sfrecciò verso la cassettiera, ma a metà strada gli occhi gli caddero su un piccolo particolare: l’anulare della sua mano sinistra era cinto da una sottile semplice fascia d’oro: una fede.
Non ebbe mai neanche un dubbio e, quando alla fine afferrò la cornice, sapeva già chi ci sarebbe stato in quella foto. L’unica donna che aveva mai amato era avvolta da un abito da sposa e il velo bianco le incorniciava il viso, senza però coprirglielo. Il cuore dell’uomo iniziò a battere all’impazzata, quando notò che, effettivamente, l’altra figura nella foto era lui: il ragazzo dai capelli corvini, lunghi fino alle spalle, si trovava dietro la sposa, aveva le braccia avvolte attorno a lei, all’altezza dei fianchi, sorridevano entrambi alla foto, poi lei rideva, si girava e lo baciava. Nel frattempo, il Severus dall’altra parte della cornice, fissava quell’immagine incredulo, spiazzato dalle sue stesse emozioni.
Prima che potesse guardare altre foto, sentì dei passi alle sue spalle, si voltò e Lily varcò la soglia.
-Amore, sei ancora sveglio? Ma cos…? –
L’uomo aveva lasciato cadere la foto e il vetro era andato in frantumi per terra.
Lily, veloce, gli andò vicino, prendendogli la faccia tra le mani.
-Tesoro, ti senti bene? –
Severus non riuscì a spiccicar parola.
-Ma stai piangendo? – disse allarmata, arrestando con il pollice il corso di una lacrima – E’ successo qualcosa? –
Severus, a quel punto, smise di pensare, dichiarò la sua resa di fronte a quelle rivelazioni, si gettò tra le braccia di Lily, senza risponderle, e iniziò a piangere.
Se la donna fu sorpresa dal comportamento del marito, non lo diede a vedere e lo abbracciò più forte che poté. Solo quando il petto dell’uomo smise di sussultare e il battito del suo cuore diminuì, si staccò per guardarlo meglio in faccia.
-Che cosa è successo, Sev? –
Severus sorrise tra sé quando gli occhi di lei si agganciarono ai suoi; l’ultima volta che ne aveva visto un paio come quelli, erano di Potter e lui stava morendo. Era pura follia che adesso fosse lì.
-E’ successa una cosa incredibile, Lily. Ti devo parlare. –
Le avrebbe detto subito come stavano le cose, perché conosceva bene Lily, lei era l’unica persona che riusciva a vedere chi era veramente Severus Piton e l’avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava.
Lily, confusa, si sedette sul letto, fissandolo. Severus le si mise davanti, ma non disse niente per un po’, il petto che si gonfiava e si afflosciava, rapido, tradiva la sua eccitazione di trovarsi lì.
-Avanti, non tenermi sulle spine! Dimmi che è successo! – lo spronò Lily, curiosa e preoccupata.
-Sì, scusa. E’ solo che non posso credere di rivederti. –
-Ma se abbiamo cenato assieme stasera! Sei sicuro di stare bene? Non è che qualcuno ti ha Confuso o ti ha lanciato qualche fattura? Non è che hai la febbre? – fece lei, un po’allarmata, un po’ divertita.
-No, Lily, nessuna fattura, ma c’è comunque di mezzo la magia. – si fermò, assistette all’occhiata interrogativa della moglie, con tanto di sopracciglio alzato, poi riprese – Saprai sicuramente che è possibile viaggiare nel tempo, no? -  la donna annuì, cauta – In genere, però, regola ferrea è quella di non interferire con il corso delle cose, perché non si conoscono le conseguenze. Ebbene Silente … conosci Silente, non è vero? – un altro cenno di assenso – Ha scoperto un modo … diciamo … più sicuro per influenzare il passato e cambiare gli eventi senza sconvolgere in maniera irreversibile presente e futuro. –
-Severus, così mi spaventi. Dove vuoi arrivare? –
-Silente ha offerto a me la possibilità di tornare indietro nel tempo per evitare che qualcosa di terribile accadesse a tutti noi.-
Lily approfittò della pausa per intervenire un’altra volta.
-Quindi mi stai dicendo che devi partire per una missione nel passato e salvare il mondo? – chiese, scettica. – Okkey, hai la febbre! Fammi sentire… – Allungò la mano per toccargli la fronte.
-No. – rispose Severus, abbassandole la mano – Lily, non sto scherzando, sono serio. Quello che ti voglio dire è che io sono già stato nel passato a cambiare le cose. Io vengo dalla realtà sulla quale si è abbattuta questa “piaga” e adesso, proprio cinque minuti fa, mi sono risvegliato qui, nella realtà che ho contribuito a creare eliminando il problema. –
-Sì, va bene. Rispiegamelo lentamente, mentre io vado a prendere il termometro. – e si alzò, ma Severus  la prese per un polso e la fece risedere. 
-No, Lily. Devi credermi! Le cose sono andate così, davvero! – e si lanciò in una spiegazione più chiara dell’avvenuto.
Lily, alla fine, dovette convincersi che quella del marito, per quanto folle sembrasse,era la verità, dato che difficilmente c’era qualcuno in grado di Confondere Severus Piton fino a quel punto. Eppure se ne convinse solo dopo che lui le aveva lasciato sentire che veramente non aveva la febbre.
-Ma quindi, se tu vieni da un’altra realtà, questo vuol dire che non conosci niente di questa? –
Severus abbassò lo sguardo:  - No. –
-Non ti ricordi niente? – Lily lo guardò con gli occhi supplicanti, sperando di ottenere la risposta opposta a quella che sapeva avrebbe avuto.
-No. –
Rimase spiazzata per un attimo, ma Lily era una persona forte, una grande donna.
-Mi dispiace, amore mio. Mi dispiace tantissimo … - poi continuò - E com’era la tua realtà? Qual era la piaga di cui parli? –
All’uomo non andava di tirare in ballo di nuovo tutto il passato, ma gli era difficile dire di no a Lily, e poi lei doveva sapere.
-Allora, conoscerai Gellert Grindelwald, no? Be’, nella realtà in cui io ho vissuto fino ad ora, c’è stato un altro mago oscuro, più potente di Grindelwald stesso, che si è spinto ben al di là di qualsiasi altro essere umano nella Magia Oscura. Il suo nome era… - esitò.
-Era? – Lily poggiò la sua mano su quella di lui.
-Era Lord Voldemort. I suoi obiettivi erano quelli comuni a molti: immortalità e potere, ma lui aveva fatto di tutto per ottenerli. Ha ucciso innumerevoli persone, ha creato schiere di seguaci, non ha guardato in faccia a nessuno. Eravamo in guerra, lo era tutto il nostro paese, ma era una guerra meschina, non c’erano combattimenti aperti, ma rapimenti, omicidi, sotterfugi, che lasciavano tutti solo più spiazzati. Voldemort era furbo, molti cittadini non erano nemmeno al corrente di essere in guerra, eppure lui aveva preso il posto di Ministro della Magia, dietro ad una marionetta, ovviamente. Era un clima terribile, insostenibile,dal quale non si poteva fuggire.–
Lily lo guardò sconvolta, evidentemente quelli, per lei, erano sempre stato solo lontani racconti di guerra, non poteva immaginare che il suo stesso marito vi si fosse trovato coinvolto in prima persona.
-E alla fine è stato sconfitto?  – Sembrava una bambina che cercava di scoprire in anticipo il finale di una fiaba.
Severus aprì la bocca per risponderle e, nello stesso momento, si rese conto di non conoscere la riposta.
-Non lo so. – ammise.
Lily sbatté le palpebre perplessa.
-Non lo sai?-
-Quando sono tornato indietro nel tempo, era scoppiata una battaglia, in cui Voldemort è stato coinvolto il prima persona. Chissà, forse poteva essere quella decisiva in un senso o nell’altro, ma io non posso saperlo, ho … abbandonato il campo prima del suo termine per venire qui. –
Lily annuì, piano, poi si prese la faccia tra le mani.
-Che hai? – chiese subito lui.
La donna scosse la testa – Niente, è solo che è tutto così strano per me … esco di casa ieri sera, sapendo tutto di te, poi torno e all’improvviso non ti conosco più … tu sei vissuto in guerra e non ricordi più niente di noi … è … triste … - stava combattendo con le lacrime.
Severus, esitando, le mise una mano sulla spalla, divenendo subito rosso in viso. Combattendo l’imbarazzo, cercò di ricordare come si facevano quelle cose.
-Lily, lo so che è strano, che è folle, forse è anche sbagliato. Probabilmente sono stato un egoista a volerci provare, io sono tornato indietro per uccidere Voldemort e avere la possibilità di stare con te, però, in realtà, sto solo sconvolgendo la tua vita. Non ci avevo pensato, scusa. Non avevo pensato alle conseguenze, ma la Clessidra serve a questo, posso andarmene se vuoi, così per te tornerà tutto come prima. - e le mostrò gli ingranaggi dorati che aveva ancora al collo.
Lily alzò lo sguardo e lo guardò dritto negli occhi: erano ancora rossi per il pianto di prima.
-Severus Piton, tu sei mio marito e io non ti abbandonerò. Non ti lascerò tornare nella tua realtà, non in un posto dove sarai coinvolto in qualche battaglia, mentre io me ne starò mi a lavorare a maglia.  Mi dispiace di aver detto quello che ho detto, io lo vedo adesso, tu non sei cambiato, sei sempre tu! Avrai trascorso gli ultimi trentasette anni della tua vita in un’altra realtà, ma, dietro questi occhi, sei sempre lo stesso. Ce la faremo assieme, ti aiuterò io, amore mio. -
Severus sorrise – Grazie. –
E Lily lo baciò. Severus rimase per un istante di stucco, con gli occhi aperti, poi rispose al bacio con un’enfasi incredibile. Mentre i battiti del suo cuore aumentarono, la donna si strinse a lui, passandogli le mani dietro al collo. Rimasero così fino a quando non mancò loro il respiro.
Quando Lily si staccò, fissò per un attimo il marito: aveva il petto che si muoveva frenetico e il respiro accelerato, ma abbassò lo sguardo, arrossendo.
Rise: - Non cambi mai. Lo dicevo io, che sei sempre lo stesso. –
Si alzò, poi, bacchetta alla mano, riparò la cornice con un gesto veloce. Lui non poteva credere di aver davvero baciato Lily Evans, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, voleva fare l’amore con lei, voleva stringerla forte e baciarla ancora.
Ma Lily prese un'altra foto e tornò a sedersi vicino a lui.
-Se non ricordi niente, dovremo provvedere subito. Ho pensato che domani potrei procurarmi un Pensatoio al Ministero, così da farti vedere direttamente gli eventi più importanti. Ma nel frattempo, mi sa che è meglio se ti dico le cose fondamentali. -
Girò la cornice e la mise in mezzo tra loro due: c’erano ritratte quattro persone.
-E’ una foto di tre anni fa, ma va bene lo stesso per cominciare. – disse – Qui ci siamo noi due – e indicò una figura con  i capelli neri e un’altra con i capelli rossi – Questa, invece, è Jordan. - e mise il dito sulla figura di una bambina. Doveva avere sette o otto anni, era seduta sulle spalle dell’uomo con i capelli neri e si teneva stretta a quest’ultimo. Aveva una folta chioma rossa e due intensi occhi neri – Adesso ha quasi undici anni, deve andare ad Hogwarts a settembre, o almeno dovrebbe, non ha ancora mostrato nessuna traccia di magia. E’ un po’ che si apre solamente con te. – fece una piccola pausa, poi spostò il dito, e questa volta lo mise su una bambina più piccola sulla destra, che stava in braccio alla madre, somigliava moltissimo a lui, aveva i capelli e gli occhi neri come i suoi- Questa è Alison. Nella foto aveva due anni, ora ne ha cinque. Anche lei ti adora, giocate sempre ad acchiappa la piuma e tu finisci sempre per appenderla a testa in giù. Lei ha già dato segni di magia, il che non aiuta la situazione di Jordan.-
Severus non disse niente e si soffermò a guardare quella foto. Stava cercando di capire cosa provasse davanti a quelle facce. Tutto era successo all’improvviso per lui: pochi giorni prima, era l’uomo chiuso in una torre di Hogwarts, che trascorreva la maggior parte del tempo da solo, tra libri e ricordi, ora si era ritrovato marito e padre nel giro di pochi minuti. Non era un ripensamento quello, ma solo timore di non essere all’altezza di quel compito, lui non sapeva come si giocava ad acchiappa la piuma o come parlare con una bambina di dieci anni. Il marito di Lily e il padre di quelle due bambine aveva un trascorso completamente diverso dal suo, lui non era abituato alle relazioni, aveva passato gli ultimi vent’anni ad affogare tra rimorso e amarezza, come poteva questo conciliarsi con la figura di un buon padre? Sarebbe stato capace, da un momento all’altro, di dare gioia e speranza a quelle creature? La sua vita passata non gli aveva riservato granché, non aveva i presupposti per poter essere una persona ottimista e fiduciosa, eppure la vita (o magari la morte) gli aveva dato quella secondo possibilità, quindi, forse, ci sarebbe potuto riuscire. Decise di provarci, se non altro per non seguire le orme suo padre.
-E’ bella la nostra famiglia,non è vero? –
Severus lanciò un ultimo sguardo a quelle facce felici.
-Sì. Bella davvero. –
-Ti dirò giusto le ultime cose essenziali. Adesso viviamo ad ovest di Londra, nella zona di Hammersmith. Io lavoro al Ministero come Auror, tu lavori nella Organizzazione Nazionale Pozionisti Avanzati. Abbiamo deciso che sarebbe stato meglio per Jojo e Ali frequentare le elementari come tutti i bambini, Jojo ha quasi finito, Ali inizierà a settembre, per ora sta ancora alla scuola materna.
Poi ti farò vedere dove si trovano le loro scuole e dov’è il tuo ufficio, non dista molto dal Ministero della Magia a dire il vero. Anche se io direi che è meglio se domani ti prendi un permesso. Sarebbe un po’ strano se tu andassi là e non ricordassi i nomi dei tuoi colleghi…-
-Ho capito. Sono d’accordo. –
-Giusto, controlliamo se magari non avevi qualche incontro o scadenza importante. Non ti caccerebbero mai, sei il migliore lì dentro, ma è sempre prudente controllare, non vorrei che per un giorno di assenza, poi devi buttare via una pozione che prepari da mesi … -
Allungò una mano verso il comodino del marito e prese un’agendina in pelle bordeaux.
-Vediamo … 2 maggio … no, non hai annotato niente di importante.-
Aveva messo l’agendina tra di loro, come la foto prima, ora le loro teste quasi si sfioravano, Severus sentiva di nuovo l’odore di lei entrargli nel petto.
-Bene, domani mattina invieremo un gufo sia da te che da me. Prenderò anche io un giorno di permesso, così sistemiamo questa faccenda, va bene, amore? –
Adesso si era girata verso di lui, la punta del naso di lei a toccare quella di Severus, alzò la mano e accarezzò la guancia del marito,poi la fece scivolare sulla mano di lui. Mosse la bacchetta, la luce si spense, inclinò il capo per baciarlo, ma in quel momento un’ombra si proiettò dalla soglia su di loro. Una figura minuta stava davanti alla porta aperta, illuminata alle spalle dalla luce accesa del corridoio.
I due si scostarono velocemente e Lily riaccese la luce. Alison era entrata nella stanza. Piangeva.
La donna le andò subito incontro: - Amore della mamma, che è successo? Hai fatto un brutto sogno? –cercò di abbracciarla, ma la bambina non le rispose e, con i lacrimoni, la scansò e corse verso il padre. Si gettò tra le braccia di un Severus sorpreso, che, riluttante, la strinse a sé.
Lily, che si era chinata per abbracciare Alison, assistette alla scena, poi si alzò e venne in aiuto al marito.
-Ali, hai fatto un incubo,cucciola? –
Questa volta la piccola mosse la testa affondata nel petto del padre in un cenno di assenso.
-Povera bimba mia – le accarezzò i capelli – Che hai sognato, amore? Dillo alla mamma tua. –
La bimba, ancora tra i singhiozzi, prese a spiegare: - C’era un serpente … un serpente grandissimo … e mordeva … mordeva a papà … e poi papà … cade a terra … e moriva –
Severus si irrigidì.
-Ma no, Ali. Era solo un sogno. Non è successo niente a papà. Vedi? Sta bene – fece Lily senza smettere di strofinare la testa della figlia.  Lanciò un’occhiata al marito, che capì che doveva dire qualcosa anche lui.
-Sì, Ali … sto bene … papà sta bene … non è successo niente – aveva ripetuto le stesse parole di Lily, preso alla sprovvista, ma alla piccola sembrò bastare. Sentì il cuoricino rallentare e il respiro diminuire la sua frequenza. Ali alzò la testa e con gli occhi neri neri, ancora bagnati, guardò il padre, toccando con le manine la sua faccia, come per controllare che fosse vero quello che le avevano detto i suoi genitori. Alla fine, rassicurata, sorrise e gli abbracciò il collo.
-Visto, amore di mamma? Dai, rimani a dormire nel lettone con noi, stanotte. – intervenne nuovamente Lily battendo il palmo della mano sul letto.
Detto questo uscì per andare a controllare che Jordan stesse ancora dormendo, quando tornò, pochi minuti dopo, padre e figlia già dormivano abbracciati l’uno all’altra.

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Capitolo 6
*** Vecchi ricordi ***


                                                         2 maggio 1997

Severus e Lily erano seduti in una stanza luminosa, c’era un’ampia porta-finestra che dava su un giardino verde e  che portava luce nella cucina eletta anche a sala da pranzo da un tavolo al centro dell’ambiente. I due erano seduti davanti ad un bacile di pietra, poggiato su di esso.
-Sev, tornando qui mi sono resa conto che io non so niente della tua vita passata. Sì, è vero, mi hai detto che eri in guerra, ma non so altro. Se io adesso ti racconto della nostra vita, allora tu mi devi dire cosa è successo nella tua realtà, magari potrò aiutarti meglio ad ambientarti qui. –
Severus non voleva parlare della sua vita nell’altra realtà, stava cercando solo di dimenticarla, di resettare tutto e di far finta che nulla fosse mai successo, ma Lily aveva ragione, probabilmente lui si sarebbe comportato in maniera diversa dal solito, e, se lei avesse saputo di più sulla sua vita passata, avrebbe potuto capirlo e aiutarlo meglio.
-Non è una bella storia, ma va bene. –
-Grazie. Allora, cominciamo! La prima volta che ci siamo incontrati è stato…
Nel parco giochi di Riverside Road – dissero assieme.
-Allora questo non è diverso! – fece sorpresa Lily.
-No,questo no. Credo che le cose inizieranno a differire presto, però.  Vai avanti. –
-Sì, quindi non c’è bisogno che ti ripeta questa parte? –
-Non me lo dimenticherò mai, fidati. Procedi. –
-Bene. Allora, prima di iniziare a vedere i ricordi nel Pensatoio, ti voglio raccontare come ci siamo ritrovati assieme! Quando siamo andati ad Hogwarts, nonostante io sia stata Smistata a Grifondoro  e tu a Serpeverde, il nostro rapporto di amicizia è rimasto molto forte, siamo presto diventati migliori amici e passavamo sempre più tempo assieme. Ci aiutavamo a vicenda, tu mi davi una mano in Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure, io in Storia della Magia, che non hai mai sopportato, né mai cercato di seguire. –
-Molto vero. – ammise lui.
-Ma, potrà sembrarti strano, o forse magari no, io non mi sono mai resa conto che tu provavi qualcosa per me, non ai primi tempi almeno. – sorrise, vedendo il marito abbassare lo sguardo, arrossendo – Per  me eri solo un ottimo amico e ritenevo che tu pensassi lo stesso di me. Poi, alla fine del terzo anni, mi si aprirono gli occhi: notai la differenza di trattamento che avevi nei miei confronti e con gli altri tuoi amici, tutte le volte che ancora arrossivi in mia presenza, come ti infastidiva se qualche altro ragazzo era troppo espansivo con me…-
E ancora una volta parlarono assieme e dissero un nome: -Potter! –
Lily rise, facendo sciogliere anche la tensione che quella parola aveva provocato in Severus.
-Sì, lui. Bravo. A partire dal quarto anno iniziò a farmi spudoratamente la corte, chiedendomi di uscire con lui, ma io rifiutavo sempre e, ogni volta, vedevo un fuoco pericoloso accendersi nei tuoi occhi.
Comunque, se vuoi saperlo, è a lui che devi il fatto che io stia qui con te, oggi … -
Severus aggrottò la fronte, sperando che non rimettesse in mezzo l’episodio del Platano Picchiatore, in cui tutti credevano che Potter gli avesse salvato la vita.
-Non fare quella faccia. Diciamo che ha fatto una cosa che mi ha fatto ammettere che anche tu piacevi a me. Ora ti spiego: eravamo al quinto anno, era San Valentino ed io avevo ricevuto un bigliettino anonimo, con su scritto un’ora ed un posto. Incuriosita accettai l’invito, tuttavia, quando vidi che sotto la quercia non c’eri tu, ma Potter, mi riscoprii delusa. Così capii che era con te che volevo stare, ma tu non osavi farti avanti. – concluse in tono polemico, ma scherzoso.
Severus fece un sorriso timido e scrollò le spalle, facendo alzare gli occhi al cielo alla donna.
-Non so perché, vuoi per principio, vuoi per attenermi alle sane regole della tradizione, avevo deciso con me stessa che dovevi essere tu a fare la prima mossa. Ne avrei aspettato di tempo, che, tuttavia, mi rese solo più sicura nei miei sentimenti verso di te; e poi eri così tenero nei tuoi tentativi impacciati! –
L’uomo arrossì ancora di più.
-Comunque, alla fine, il coraggio l’hai trovato … molto alla fine … - si sporse verso il Pensatoio e invitò il marito a fare altrettanto – Era l’otto agosto del 1978. Chi se lo scorda più quel giorno! –
E si tuffarono. In una pioggia di colori, atterrarono in un viale di periferia e entrambi ben noto: era il numero nove di Spinner’s End.
Una Lily appena diciottenne si era Materializzata davanti all’ingresso e  stava suonando alla porta. Una donna filiforme le aprì.
-Mamma… - mormorò il Severus adulto, la voce piegata da un velo di malinconia.
-Ciao, Lily. Ti chiamo Severus? – chiese la donna.
-Sì, grazie, signora Piton! –
Eileen scomparve alla loro vista e, poco dopo, la soglia fu nuovamente occupata da qualcuno, questa volta era un ragazzo, molto simile alla donna di prima.
-Lily! Ciao! Hai avuto novità … ? – chiese, raggiante alla sua vista.
-Sì! – rispose lei, eccitata, mettendogli davanti al naso una pergamena – E’ un certificato di ammissione! Mi hanno accettata alla Scuola di Auror di Londra! –
-Davvero? – fece lui, non era l’esatta rappresentazione dell’entusiasmo. Prese la pergamena e la lesse velocemente – Che bello, Lily. –
Si abbracciarono, poi lui le ridiede il certificato.
-Parto la settimana prossima per l’orientamento. –
-Bene. –
-Andrò a vivere a Londra, almeno per i prossimi tre anni. –
-Lo immaginavo. –
Lily sembrava un po’ infastidita adesso.
-Be’, non mi dici nient’altro? –
-E cosa ti devo dire? Brava … -
Lily sbuffò.
-Sei sempre il solito, Severus. Ciao. – fece un girò su se stessa e scomparve.
Ora si trovavano nel loro vecchio parco giochi, Lily si era appena Materializzata lì. Stava andando verso una delle altalene, ma una voce alle sue spalle la fermò.
-Lily, aspetta! –
Si voltò, Severus era a pochi centimetri da lei, così vicino che per poco non si spaventò.
-Che vuoi? Vattene! –
Ma lui non l’ascoltò.
-Sì, Lily, ti devo dire un’altra cosa, hai ragione tu. –
L’espressione torva della ragazza si sciolse.
-Io … io mi sono … mi sono innamorato di te. –
I due Severus, il grande e il piccolo, arrossirono furiosamente.
La ragazza dai capelli rossi sorrise e si avvicinò ancora di più, con una mano scostò i capelli neri dal viso di lui.
-Era ora che lo dicessi, Severus Piton. –
E lui la baciò.
Il Severus adulto distolse lo sguardo e sentì ridere accanto a lui.
-Immaginavo che avresti fatto così. Non ti preoccupare, usciamo. – e Lily lo tirò via, fuori dal Pensatoio.
I due erano di nuovo seduti al tavolo della loro casa di Londra.
-Be’, le cose sono andate così – disse Lily.
-Bene … - disse lui, schiarendosi la voce, si era sentito molto imbarazzato a vedere quella scena.
-Come potrai immaginare, da quel giorno abbiamo iniziato ad uscire. Poco dopo, verso fine agosto, è arrivata anche a te un certificato di ammissione, sia per l’Associazione Irlandese Veleni e Antiveleni che per l’Organizzazione Nazionale Pozionisti Avanzati. L’O.N.P.A era a Londra, ma l’A.I.V.A era il tuo sogno, al quale tu avresti rinunciato per stare con me, ma io ti ci ho spedito a calci. A settembre, quindi, ci siamo ritrovati tu in Irlanda e io in Inghilterra, dopo che avevamo passato praticamente gli ultimi dieci anni sempre assieme. Ma per noi non fu un problema, ci vedevamo comunque ogni volta che i nostri orari ce lo permettevano, ora a Dublino, ora a Londra, ora a metà strada. Non è stato facile, non era nemmeno bello stare tanto tempo separati, ma ce l’abbiamo fatta.
Il prossimo ricordo che ti volevo fare vedere riguarda la nostra prima volta. – Lily prese la bacchetta e iniziò ad armeggiare con il Pensatoio. Severus ebbe l’impressione che improvvisamente nella stanza facesse molto più caldo. – Ma vista la tua reazione al nostro primo bacio, mi pare non sia il caso di farti vedere questo. Ti racconterò com’è andata, però. – A quel punto, tolse un filo argenteo dal Pensatoio e se lo rimise in testa. – Erano passati due anni dal nostro primo bacio, e io ti avevo trascinato a Cokeworth per il compleanno di mia madre. Pranzammo lì, poi uscimmo a fare una passeggiata lungo il fiume. Ci fermammo al nostro boschetto ed è stato lì che abbiamo fatto l’amore assieme per la prima volta. E’ stato bellissimo. – lanciò un’occhiata al marito, che non sembrava aver voglia di dire niente, così riprese.
-Va bene, andiamo avanti. Il prossimo ricordo che ti vorrei fare vedere risale al 13 luglio 1985, quando a Londra si tenne il più grande concerto dopo Woodstock: il Live Aid. –
Non aggiunse altro e infilò la testa nel bacile, seguita dal marito. Ora erano entrambi stipati in una massa di corpi sudati che saltavano e battevano le mani a tempo di musica, cantando come se da quella musica dipendesse la loro vita. Ad uno sguardo più attento, Severus notò, che tra quei corpi c’erano effettivamente due giovanissimi Severus e Lily, che come tutti gli altri cantavano e seguivano il ritmo. Non si era mai visto così spensierato, non si era mai lasciato andare in quel modo, allora ci si sentiva così ad essere felici! Si facevano questo genere di cose!
Un uomo, non sapeva chi fosse, stava cantando “Let it be, let it be, there will be an answer, let it be!”. Notò che il sé più giovane conosceva quella canzone: stava seguendo quel tipo, abbracciato a Lily, oscillando a tempo di musica.
Poi la canzone finì, dopo qualche minuto di attesa, entrò un’enorme folla di gente, che portava in trionfo uno dei cantanti. Dopo un breve discorso di quest’ultimo, iniziarono a cantare, tutti assieme, una canzone:
It's Christmas time, and there's no need to be afraid
At Christmas time, we let in light and we banish shade”
 A quel punto, Severus vide se stesso frugare nella giacca e prendere qualcosa in mano. 
“And there won't be snow in Africa this Christmas time
The greatest gift they'll get this year is life”
Il ragazzo richiamò l’attenzione di Lily, facendola girare nella sua direzione, poi si inginocchiò.
-Lily, vuoi sposarmi?-
“Do they know it's Christmas time at all?”
Lily guardò con gli occhi che le brillavano Severus inginocchiato davanti a lei.
-O mio Dio, amore, sì! -
Il ragazzo le mise l’anello al dito, poi si alzò e Lily lo abbracciò forte, lanciandosi in un bacio appassionato.
 “Feed the world
Feed the world”
Il gesto di Severus aveva nel frattempo attirato l’attenzione di alcuni dei presenti, che inziarono a fischiare e a battere le mani per i nuovi fidanzati, mentre sul palco continuavano tutti a cantare: 
“Feed the world, let them know it's Christmas time…”
Stavano ancora tutti cantando, ma Lily lo riportò fuori, nella realtà di dodici anni dopo.
-È andata così. È così che mi hai chiesto di sposarti.-
-Quel posto era incredibile! Sei sicura che io ci sia stato? -
-Ti ho trascinato io, a dire il vero, ma alla fine ti sei adeguato anche tu al clima. –

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Capitolo 7
*** Racconto di cose che non sono mai successe ***


                                                         2 maggio 1997

La mattinata passò così, Lily gli mostrò alcuni stralci del loro matrimonio, poi i primi tempi dopo la nascita di Jordan e, infine, l’arrivo di Alison. Alla fine, gli disse:
-Ora tocca te. Io ho finito, non credo di aver dimenticato qualcosa di fondamentale. –
Severus la guardò, nei suoi occhi leggeva una curiosità, mista ad entusiasmo.
-Lily, davvero, non è una bella storia da sentire. Le cose sono andate in maniera completamente diversa nella mia realtà, non so se sia veramente il caso di… -
-Oh, stai zitto e parla! Non vorrai mica che mi impossessi dei tuoi ricordi con la forza …? –
-Starei volentieri a guardarti tentare e fallire provandoci, ma, dato che insisti, ti racconterò qualcosa… -
-Sei qui da un giorno e già alzi la cresta? Ottimo inizio direi! - scherzò lei – Vai, comincia che è meglio! –
Severus si aggiustò sulla sedia e le raccontò di come fossero stati migliori amici ai primi tempi e di come lui avesse rovinato tutto con il suo interesse per le Arti Oscure; le disse dei suoi piani di diventare Mangiamorte, e di come poi ci fosse riuscito, e del suo rapporto con James Potter e di come poi l’avesse sposato. Poi arrivò la parte difficile.
-Te l’ho detto, a quel punto eravamo in guerra, io ero molto abile in Occlumanzia, quindi fui mandato avanti come spia, e un giorno, alla Testa di Porco, origliai una conversazione tra Silente e un’aspirante professoressa di Divinazione, Sibilla Cooman. Era un normale colloquio di lavoro, fino a quando la Cooman non mutò tono di voce e non pronunciò quella profezia. È da quel momento in poi che tutto è iniziato ad andare storto. Quella profezia sembrava importante, parlava di un mago nato alla fine di luglio che avrebbe avuto il potere di sconfiggere Voldemort. Così io la riferii al mio padrone e lui, alla fine, arrivò alla conclusione che l’Oggetto di quella profezia era tuo figlio, Harry Potter. Chiesi subito aiuto a Silente, ti avevo messo, senza volerlo, in pericolo e avrei fatto di tutto per proteggerti. – Lily ascoltava, presa, quella che sembrava un’appassionante storia da romanzo – Silente accettò di aiutarmi, ma nemmeno i suoi sforzi furono sufficienti … il Signore Osc… Volemort vi trovò lo stesso, uccise James Potter e poi … - esitò, quel ricordo gli faceva ancora male, anche se ora Lily era lì, viva, davanti a lui – e poi uccise anche te. – chiuse gli occhi, inspirando, non riusciva a sopportare quel pensiero. Quando li riaprì, Lily lo guardava triste, non per se stessa, ma per lui.
-Sono morta a… - esitò, non sapeva cosa dire.
-Ventuno anni. Per colpa mia. Sì. – Severus strinse gli occhi, chinando la testa.
-Ehi, no. Non fare così. Ehi … ehi … - Lily lo seguì con il capo e, dolcemente, con la mano lo fece tornare a guardarla in faccia. – Va tutto bene, adesso. Te lo ricordi? Questo non è mai successo. Mai. –
Severus annuì e riprese in fretta il controllo di sé, poi proseguì. Le disse che suo figlio si era inspiegabilmente salvato,  parlandole poi della sua promessa di proteggerlo e di tutti gli anni che seguirono. Non le disse di come si svolgevano le sue lezioni in presenza di Potter, o della morte di Silente. E, alla fine, arrivò alla battaglia che sarebbe scoppiata ad Hogwarts  di lì ad un anno, ma in tutta un’altra realtà; non le disse  perché non ne conosceva l’esito finale.
Parlò per quasi un quarto d’ora, senza fermarsi mai, senza che Lily lo interrompesse. Quando si ammutolì, Lily lo guardò in viso: era chiaramente sconvolta, ma stava cercando di nasconderlo. Stette per un po’ in silenzio, come se quelle parole le stessero ancora rimbombando nella testa, poi deglutì e parlò:
-Amore mio, mi dispiace tanto! Mi dispiace che si sia dovuto vivere in un posto come quello che mi hai raccontato … ecco io … -
-L’hai detto tu, Lily. Questo non è mai successo adesso. – la interruppe lui.
-No, non è vero, Sev. Questo non è mai successo per me. Io non sono stata mai uccisa a ventuno anni, ma tu lì c’eri, non intendevo liquidare la faccenda così, scusami. Non posso capire cosa è stato, ma ti voglio comunque essere vicina! – gli prese le mani.
-Non importa, non ti scusare. Se anche tutto questo è successo, adesso appartiene al passato. Non pensarci più. –
La donna fece un cenno di assenso con la testa, titubante.
-Va bene, non ne parliamo più, ma prima … prima parlami almeno di qualcosa di bello! La tua famiglia! Eri felice? Oddio, non dirmi che hai dovuto lasciare i tuoi figli per venire … -
Severus la fermò alzando una mano.
-Lily, io non avevo una famiglia. –
Lily ammutolì.
-Oh. Capisco. Ma almeno avrai avuto qualcuno? Una donna … una moglie … - in quel momento si poteva vedere bene tutta la grandezza di Lily: pur di sentirsi dire che il marito era stato felice, era disposta anche ad accettare la presenza di un’altra donna. Severus si sentì la coda di paglia, perché lui difficilmente riusciva a pensare questo, quando vedeva James Potter.
-No, Lily. Non avevo nessuna donna. Non ho mai avuto una donna, perché non saresti stata tu.-

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Capitolo 8
*** Ricominciare daccapo. ***


-Papà! Papà! Sei già a casa! – disse Alison, entrando nella stanza raggiante. –Che bello! – aggiunse, abbracciandolo. – Giochiamo assieme? – lo guardò, implorante.
Lily entrò in casa poco dopo la figlia, erano le cinque del pomeriggio e la piccola era appena tornata da scuola. La donna guardò il marito che a sua volta le restituiva un’occhiata spaesata.
-Amore, non dovresti imparare la poesia che ti ha dato la maestra prima?  Dai, vieni che mamma ti dà una mano! – disse, posando le chiavi della macchina in una ciotola di porcellana su un tavolino e attaccando il giubbino all’appendiabiti.
-No! Dopo. Papà ha detto che vuole giocare con me! – rispose la bambina , impettendosi, sulle ginocchia del padre.
-Ah sì? A me sembra tanto una scusa! - fece Lily, entrando nella cucina dove stavano gli altri due.
-No. Non  è vero. Papà, diciglielo tu! –
-Si, dice “diglielo”, Ali. Adesso andiamo che papà è stanco. – e le porse la mano per farla scendere.
In tutto questo, Severus aveva osservato zitto la scena, se non altro perché non sapere cosa fare o dire. Guardava Lily, sperando che, come la notte prima, glielo dicesse, ma lei non gli mandò alcun segnale.
Così la donna si portò Alison nell’altra stanza e lui rimase solo in cucina, ma non per molto. Dopo poco, infatti, qualcuno bussò alla porta.
Lily chiamò dall’altra stanza: - Puoi andare tu, amore? –
-Va bene! – rispose, alzandosi ed andando ad aprire.
La porta cigolò e lasciò spazio alla figura di una bambina più grande di quella di prima, dai capelli rossi e il colorito leggermente tendente al giallo. Era Jordan.
-Papà? Che ci fai qua? –
-Ehm … - adesso che Lily era di là, occupata con Alison, doveva cavarsela da solo – Sono tornato prima. –
-Capito. – rispose e si fece strada nell’ingresso.
Ci fu una pausa di silenzio troppo lunga, come se la bambina si aspettasse di sentirsi rivolgere qualche domanda. Severus passò velocemente in rassegna tutto il repertorio di frasi che si era sempre sentito rivolgere da bambino da Eileen, non era molto vasto e la maggior parte di questo riguardava lo stato di pulizia dei suoi capelli, quindi lo scartò. Alla fine ovviò per la prima cosa che gli venne in mente.
-Allora … sì… come è andata la tua giornata a…scuola? –
Jordan lasciò cadere la cartella ai piedi dell’attaccapanni, poi si diresse nel salotto, verso le scale.
-Bene… - disse.
-Non ti vedo convinta. –
-Niente, papà. Le solite storie! – tagliò corto, salendo i primi gradini.
Severus si sentì inspiegabilmente attratto da quella bambina, non sapeva spiegarlo, ma  sentiva che c’era qualcosa di profondo tra loro due. La seguì su per le scale e disse:
-E raccontamele di nuovo queste “solite storie”. –
Si sentiva veramente come un elefante in una cristalliera, non sapeva come muoversi, si sentiva impacciato; stava solo cercando di seguire il suo istinto, e il suo istinto gli diceva che Jordan ,sotto un certo aspetto, gli somigliava molto, quindi forse alla fine poteva farcela.
La bambina entrò nella sua camera. Severus non l’aveva vista prima, non era molto grande, era anche abbastanza buia, non perché non vi fosse luce a sufficienza, ma piuttosto perché, evidentemente, la sua  inquilina aveva scelto di non farla entrare. C’erano un letto accostato ad una parete, una libreria con uno spesso strato di libri, una scrivania, un armadio e pochi altri oggetti sparsi qua e là. Gli ricordò molto la camera di quand’era ragazzo.
-Te l’ho detto, sono le solite storie. – si mise a sedere pesantemente sul letto. – Simonette mi ha dato di nuovo fastidio con la storia della magia. Chris ha paragonato il colore della mai pelle a quello del vomito di gatto. E poi la maestra mi ha dato una A in matematica sulle frazioni. – disse.
Severus notò che, anche se di mala voglia, si era aperta con lui. Doveva essere stato un buon padre se era riuscito a fare aprire la versione femminile e in miniatura di se stesso! Peccato che adesso lui non era quel padre. Che dire? Lui non aveva la minima idea di chi fosse Simonette o Chris! Così pensò di iniziare dal voto in matematica, che era semplice. Si sedette affianco a lei.
-Una A? Brava! –
-Grazie! – disse, mogia.
Mossa sbagliata, non era di quello che voleva parlare.
-Senti, e cosa ti ha fatto Simonette? –
-Lo sai come fa! Se n’è venuta vicino a me, stamattina, dicendomi che ieri aveva trasformato il suo gatto in un girino di proposito! La odio! – rispose, stringendo gli occhi.
-Un gatto in un girino? Direi che suona abbastanza improbabile. Soprattutto il fatto che l’abbia fatto di sua volontà. Non darle ascolto, sta mentendo. –
-Davvero? Lo sai con la Legilimanzia? L’hai visto, papà? Non è vero, allora? – chiese lei, illuminandosi.
Severus esitò per un attimo, ma solo per un attimo.
-Certo. È tutta una montatura. Non è per niente vero! – le rispose. – E coso… volevo dire Carl ha davvero detto questo della tua pelle? Come si … -
-Chris, papà! – rise.
-Sì, Chris… non devi… -
-Ah, non fa niente. Tanto non mi interessa. Ho quasi finito il libro che mi hai dato! – disse, accentuando le ultime parole con grande entusiasmo.
A quel punto Severus si trovò ancora più in difficoltà, non sapeva che libro le aveva prestato!
-Ah sì…? E fammi vedere! – buttò lì.
Jordan annuì, si alzò dal letto e alzò il materasso, facendone uscire un vecchio tomo, dalla pelle nera e scorticata.
-Guarda! Mi mancano le ultime venti pagine! Non mi dire cosa succede! – si premette le mani sulle orecchie, dopo avergli consegnato il volume.
Severus lo prese, il titolo recitava “Il viaggio del giovane Tom nella Magia Oscura”. Il titolo suonava al tempo stesso inquietante e ridicolo per lui che attribuiva una persona in particolare al nome di “Tom”.
-Mamma non l’ha visto, non ti preoccupare. – sussurrò poi la bambina.
-Brava che non ti sei fatta scoprire. – disse, immaginando che Lily non fosse molto d’accordo con quel genere di letture.  –Dove… ehm … dove sei arrivata? –
-Ah sì. Tom ha appena trovato il libro con il segreto delle Maledizione Sprizzasangue!  Ora sta per fare ritorno a casa! – sorrise.
-Bene. Ora nascondilo di nuovo, prima che Lily entri nella stanza e lo veda. –
E la bambina lo rimise al posto di prima.
In quel momento, qualcuno bussò di nuovo alla porta.
-Severus. Scusami, potresti andare tu di nuovo? – gridò nuovamente Lily dalla stanza di Alison.
-Sì. –
Ridiscese le scale e tornò nell’ingresso, stavolta dietro la porta non c’era una bambina, ma un vecchio. Un vecchio dalla barba lunga e gli occhi di un azzurro acceso in parte celati da degli occhiali a mezzaluna. Era…
-Silente? Che ci fai qua? – chiese stupito l’uomo oltre la soglia.
-Severus! – gridò invece il vecchio canuto entrando in casa. –E così eccoti qua! Ti trovo bene, ragazzo mio!-
Severus incassò il solito abbraccio dell’anziano mago, poi gli chiese:
-Come hai fatto a sapere dov’ero? –
-Oh, giusto un paio di ricerche… non è stato poi così difficile! Sei molto famoso nel nostro ambiente per le tue eccellenti capacità di Pozionista! Guarda!  – disse quindi, alzando la mano destra davanti al naso di Severus – Niente mano nera e scheletrita! Sto bene!- L’uomo dalla chioma scura alzò un angolo della bocca come unica risposta, mentre entrambi entravano in cucina.
-Ti posso offrire qualcosa, Silente? Non so cosa abbiamo, ma … -
-Ah no, grazie, ragazzo mio. Quando arrivi alla mia età, la vescica diventa minuscola e noi abbiamo cose troppo importanti di cui parlare, perché io corra al bagno ogni punto e virgola! – rispose, poi si fece più serio – Allora, come hai risolto la faccenda? –
Severus gli disse del suo piano di utilizzare la Maledizione Aritmica o di sfruttare la Bevanda del Giullare, quindi gli raccontò di come entrambi avessero fallito, per lasciare il posto al buon vecchio  Avada Kedavra.
-Ah. Quindi alla fine hai abbandonato l’incognito? – fece il vecchio.
-Sì, Silente. Ero stanco e furioso, ma ora non importa più. Se mai abbiamo corso un pericolo, adesso siamo qui,quindi è tutto scongiurato. –
-Sì, sì. Non mi preoccupavo di quello. Spero solo che non abbiamo messo in galera qualche innocente… -
Di nuovo quel senso di colpa che veniva a galla. Ma non aveva senso entrare festeggiando la propria rinnovata salute, e poi dispiacersi per l’assassinio di un bambino che aveva reso la prima cosa possibile!
-Non credo che daranno così tanto peso all’omicidio di un orfano, Silente. A maggior ragione perché, se la tutrice dovesse rivelare cosa in realtà è successo, la prenderebbero per pazza. Non le crederebbero mai. –
-Sì, è anche quello che mi preoccupa. – disse, pensieroso.
Severus, seccato, non gli diede ulteriormente corda e cambiò argomento:
-Allora, c’è qualcosa che devo sapere adesso che sono qui? –
-Non molto di più di quanto non ti abbia già detto. A partire da oggi, avrai esattamente un anno per scegliere se tornare o meno alla vecchia realtà. Potresti far tornare tutto come prima anche in questo preciso momento, se lo volessi, ma ricordati che il termine ultimo è il 2 maggio 1998. –
Severus annuì.
-Ma avrai comunque sempre bisogno del mio aiuto per azionare la Clessidra, quando farai scattare gli ingranaggi … dov’è? Ce l’hai? –
-Certo, ce l’ho qui. – cacciò la catenella con parte della Clessidra appesa  da sotto la veste e la diede a Silente, con cautela.
-Ecco, vedi, per tornare devi fare scattare quattro volte questo ingranaggio in senso antiorario, poi ripetere la manovra per quest’altra piccola ruota qui, ma in senso orario. A quel punto, dovunque io mi trovi, mi arriverà un segnale dalla Clessidra, sarò infatti a dare l’okay per l’operazione o ad abortirla. Perché solo io posso fare scattare definitivamente la Clessidra. –
Severus si riprese la sua parte.
-Bene, Silente. Grazie dell’informazione, ma non credo mi servirà mai. Io non voglio tornare. –
- Come vuoi tu. Solo non affrettare le tue decisioni. È per questo che la Clessidra concede un anno di tempo per decidere, conosce gli uomini e la complessità dei loro pensieri e vite… -
-La  mia decisione è già presa, Silente. Ma vedila come vuoi tu, a me non interessa -
-Va bene. Un’ultima cosa… -
Si sentirono dei passi affrettarsi giù dalle scale.
-Papà! Papà! Ho imparato la poesia! – era Ali, che si era precipitata al piano di sotto, verso di loro. Era seguita da Lily.
Appena entrò in cucina, notò subito l’uomo e gli andò vicino.
-Ciao. Sono Alison. Chi sei? –
Silente rise benevolmente di fronte a quella visione gaia.
-Mi chiamo Albus. Sono un amico di Severus. –
-Albus? Albus Silente? Preside! Cosa ci fa qui? Non la vedevo dai tempi di Hogwarts! – disse Lily, sorpresa, quando riuscì a raggiungere gli altri nella stanza.
-Mia cara Lily, è una gioia per me vederti dopo tutto questo tempo! –
Lily fece per stringergli la mano, ma lui la abbracciò anche lei.
Alison, nel frattempo si era arrampicata su una sedia.  Si schiarì la gola.
-Oh, sì. Facciamo silenzio. – fece Silente, prestando attenzione alla bambina.
-Stelle senza nome – iniziò a declamare – I nomi delle stelle sono belli: Sirio, Andromeda, l’Orsa, i due Gemelli. Chi mai potrebbe dirli tutti in fila? Sono più di cento volte centomila. – aveva il tipico tono di ogni bambino che recita una poesia, cantilenava quella parole, con le mani strette tra loro dietro la schiena, e ondeggiava sul posto- E in fondo al cielo, non so dove e come, c’è un milione di stelle senza nome: stelle comuni, nessuno le cura, ma per loro la notte è meno scura.[1] – si fermò e i tre adulti si lanciarono in un applauso.
La bambina si finse imbarazzata e scese dalla sedia, andandosi a sedere in braccio al padre.
-Ti è piaciuta, papà? Sono stata brava? –
Severus si trovò a sorridere.
-Sì, Ali. Bravissima! –
-Allora, professore, perché è venuto a trovarci? Sta annunciando porta a porta una rimpatriata di vecchi studenti di Hogwarts? – chiese Lily.
-Oh, non esattamente … - rispose lui, vago, lanciando un’occhiata a Severus, in cerca di aiuto.
-Oh, non preoccuparti, Silente. Sa tutto. È venuto a vedere come andavano le cose. – disse poi rivolgendosi alla moglie.
-Ah, bene. Mi fa piacere che vi siate parlati. Però magari non spargere oltre la voce, sai non vorrei che si interessassero troppo al nostro congegno. –
-Ti sembro il tipo che va a parlare dei fatti proprio alla gente? – fece Severus, ironico, alzando un sopracciglio.
Silente rise. –Sì, hai ragione. Va bene, sarà meglio che vada. Vi auguro una buona serata. –
Si alzò e gli altri fecero altrettanto.
-Ti accompagno. – si offrì Severus, mentre Lily si prendeva Alison in braccio.
I due sparirono nell’ingresso. Vicino alla porta Silente abbassò la voce e sussurrò: - Ora capisco perché non vuoi andare via.  – sorrise. – Tutto questo è fantastico,ragazzo mio. Non sai quanto sono contento per te! –
-Grazie, Silente.  Non mi devi dire nient’altro? –
Momento di esitazione, poi rispose: - No, non hai bisogno di sapere altro. – aveva gli occhi bagnati - Ciao, Severus –
-Ciao, Silente –
Il vecchio si voltò e si Smaterializzò.


[1] Gianni Rodari “I cinque libri” 

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Capitolo 9
*** Nella notte ***


2 maggio 1997

 
Severus era seduto sul letto e stava sfogliando la sua agenda. L’indomani sarebbe con ogni probabilità dovuto tornare a lavorare, quindi stava cercando di farsi un’idea di quello a cui andava incontro. Temeva di non essere all’altezza di se stesso, anche se suonava strano il pensiero; il Severus di quella realtà aveva fatto esperienze ben diverse dalle sue. Fortunatamente si rese conto di conoscere e di essere in grado di preparare la maggior parte delle Pozioni che erano appuntate tra quelle pagine, quindi si rassicurò. L’ultima che aveva preparato era un antidoto per un particolare tipo di fungo magico, complesso, sì, ma non impossibile. Andò avanti con le pagine, 4 maggio … 5 maggio … 6 maggio … ecco sul 6 teneva segnata un’altra scadenza: la Pozione Anticoagulante terminava il suo stadio di ebollizione di quattro settimane e doveva riprenderne la preparazione. Quella era già più complicata, ma non lo preoccupava più di tanto. Forse l’unica nota positiva di aver lavorato per Voldemort era che aveva imparato preparati e veleni la cui efficacia, potenza e complessità erano impensabili e in equiparabili. In pratica, dopo di quello aveva visto tutto; nulla l’avrebbe più spaventato. Sfogliò ancora oltre, ma in quel momento sentì la porta chiudersi alle sue spalle: Lily era entrata nella stanza.
Appena l’uomo si voltò, rimase fulminato dalla sua bellezza: aveva una vestaglia di seta blu notte che le scivolava  dolcemente sul corpo e che era fermata in vita da un cintura, ad evidenziarle le forme dei fianchi.
-Le bambine si sono addormentate. – disse, muovendo qualche passo sinuoso verso di lui.
Severus si alzò per rimettere la sua agenda a posto, Lily lo fermò davanti a lei.
-Stavo pensando … tu hai detto che non hai mai avuto una donna … se questo è vero, allora … non hai mai fatto l’amore … Ma, soprattutto … - lo guardò - Non hai mai fatto l’amore con me … – sussurrò, vicinissima.
Severus non rispose, sentendo la temperatura alzarsi drasticamente nella stanza. Ma quella non era una domanda. Lily si slacciò la cintura e lasciò che la vestaglia le lasciasse le spalle scoperte, poi se la tolse, rivelando una camicia da notte bianca sotto di essa.
Poi senza aggiungere altro, la donna si chinò e sfilò lentamente la veste dell’uomo. Severus sentì il tocco caldo delle sue mani, mentre gli sfioravano la pelle attraverso il tessuto, il cuore iniziò a battere sempre più forte, mentre lei era così bella. Le mani salirono fino al viso del marito, lei lo prese tra di esse e lo baciò fugacemente. Poi tornarono sul corpo di lei, abbassarono prima una spallina, poi l’altra, la camicia da notte scivolò sul pavimento e lei fu nuda.
A quel punto, Lily mosse un passo in avanti e prese le mani di Severus tra le sue, fermandosi un istante a giocare con le sue dita, poi le mosse verso il proprio corpo e le poggiò sui suoi fianchi. Appena l’uomo toccò la pelle nuda di lei, sentì come una scintilla, che generò calore in tutto il suo corpo, ma le lasciò ferme, non le mosse, gli bastava anche solo toccarla. Nel frattempo anche le mani della donna andarono sul corpo di lui, scivolarono sulla sua schiena e anche lui fu  nudo.
E Lily lo baciò, premendosi forte verso di lui, passando le mani su, verso le spalle e tra i capelli. Questo diede coraggio all’uomo, che rispose al bacio e immerse a sua volta le mani nei capelli di lei, sentendo il contatto del seno contro la sua pelle.
La donna si staccò, affondando la testa nel collo di lui e baciandoglielo delicatamente, al tempo stesso gli prese una mano, e la guidò, facendola passare sul proprio collo fino ad arrivare al petto. Per un attimo, l’uomo sembrò quasi volerla ritrarre, come se fosse stato colto di sorpresa, ma Lily glielo impedì.
I due erano a pochi passi dal letto ormai, Lily tornò a baciarlo sulle labbra e i due vi ricaddero sopra. Le luci si spensero e Severus affondò nel suo profumo.
Fecero l’amore tre volte, fino a notte fonda, poi si addormentarono, stretti l’una all’altro, ancora nudi sotto il lenzuolo.

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Capitolo 10
*** L'ONPA ***


 
Severus fu svegliato di soprassalto da Lily, che era scattata a sedere nel letto all’improvviso.
-I vestiti! – si era alzata di corsa e si stava affannando a cercare qualcosa da mettersi addosso. La luce del sole la illuminò e si rifletté sulla sua pelle bianca, mozzando il fiato all’uomo ancora steso tra le lenzuola.
In quel momento la donna si accorse che il marito si era destato.
-Amore, i vestiti! Vestiti anche tu, presto, prima che le bambine ci trovino così! – Aveva una palla di vestiti sotto un braccio e con una mano sola stava cercando di infilarsi un paio di slip. Severus osservò divertito e incantato la scena, poi si alzò e si coprì anche lui, gettandosi poco dopo di nuovo sul letto, assonnato. Qualche istante dopo  fu seguito da Lily, che, con una maglietta e un pantaloncino ormai addosso, si era data pace.
La donna si stese su un fianco e guardò l’uomo che amava. Aveva i raggi del sole mattutino che le si riflettevano dritti negli occhi, conferendole uno sguardo strabiliante.
-E’ stato bellissimo. È stato come tornare a farlo per la prima volta. – disse, regalandogli un grande sorriso.
Severus non era affatto a suo agio a parlare di quelle cose con lei, quindi riuscì solo ad arrossire e a risponderle con un sorriso timido.
Lily ridacchiò.
-Cosa ti è parso del tuo primo giorno qui? – chiese.
-E’ stato il giorno più bello della mia vita fino ad ora. – sussurrò.
-E Ali e Jojo? Come va il primo impatto? –
-Sono … fantastiche! Tu sai che … no, forse non lo sai, ma io e i bambini non siamo mai andati d’accordo… credo mi odiassero tutti ad Hogwarts … e poco mi importava. Ma con loro è diverso, come se ci fosse una scintilla tra di noi … non so spiegarlo … -
-Ma è normale, amore – rispose la donna, guardandolo fisso in viso – Sono le tue figlie! C’è un legame unico tra genitori e figli. Tu questo prima non potevi saperlo, ma ora lo scoprirai! Non è come essere un insegnante, tu sei loro padre! È un rapporto incredibilmente diverso! –
-Ieri ho parlato con Jordan. Mi ha detto cosa le era successo a scuola. Ha parlato di una ragazza … - si strofinò la fronte con una mano per cercare di ricordare il nome, ma Lily gli venne in soccorso.
-Simonette. –
-Sì, lei. Che l’ha presa in giro per la questione della magia. Potresti spiegarmi un po’ meglio la situazione? Se  mi parla ancora di questo, non saprò cosa dirle. – anche da fuori, si poteva vedere che gli interessava veramente di quella bambina.
-Sì, certamente, Sev! Devi sapere che Simonette è una strega che sta in classe sua. Qualche anno fa è venuta a sapere che anche Jordan aveva dei genitori maghi, quindi sono diventate migliori amiche. Poi, in terza elementare, Simonette ha dimostrato le prime tracce di magia, nostra figlia no. Da allora i rapporti si sono iniziati ad incrinare, fino ad arrivare a questo punto.
JoJo ne soffre tantissimo, perché teneva moltissimo a quella amicizia, anche se noi due ci avevamo visto giusto su Simonette, l’avevamo capito da subito che non era una bella persona. In più sente il peso di dover diventare una strega, la pressione che si sente sulle spalle è aumentata drasticamente quando l’anno scorso Ali ha fatto lievitare quel bicchiere. Noi glielo diciamo che non ci importa se è o meno una strega, ma ovviamente non basta. Le cose peggioreranno di giorno in giorno, visto che se non succede qualcosa al più presto, non potrà andare ad Hogwarts quest’anno, sarebbe un colpo durissimo per lei! –
-Ho capito. – annuì Severus – Ma se lei mi dice qualcosa in proposito, io che devo fare? –
-Agisci d’istinto. Parla come se parlassi a te stesso. Vi somigliate più di quanto sia lecito! A volte mi domando se sia anche mia figlia, o se te la sei dipinta addosso da solo! –
Severus inclinò un labbro alla battuta, ma non si sentì rassicurato. Come si parla ad una bambina di dieci anni?
-E Alison? Che mi dici di lei? –
Severus ci pensò su un momento.
-Lei mi è sembrata l’opposto di Jordan. –
-Beh, sì.  Lei ha solo cinque anni, quando sono così piccoli le cose sono ancora più semplici. E poi, non potevano somigliare tutte a te! –
-Però mi lascia ancora più spiazzato. Non so come comportarmi con lei! – Severus si stupì di come stava parlando: era davvero lui quello? Da quando si apriva così con qualcun altro? Ma quel qualcun altro era Lily, quindi non faceva testo, probabilmente.
- Con Ali è semplice. Non devi pensare nemmeno qua. Cerca di entrare nella mente di un bambino, non è facile, ma è divertente. Torni a meravigliarti delle cose più banali, a divertirti con niente, a fantasticare con le storie nella tua testa. Per stare bene con Alison devi immedesimarti nella sua persona, a quel punto non solo si divertirà lei, ma starai bene anche tu. E questo è fondamentale. – disse Lily, con entusiasmo.
Severus ascoltò perplesso.
-Sei sicura che io sia mai riuscito a fare questo? – chiese, esitante.
Lily rise. – No, proprio questo no. Questo è quello che faccio io e che ti ho detto di fare ora, siccome tu mi stai chiedendo aiuto. Tu avevi un modo tutto tuo di interagire con Ali. Fin da quando era più piccola vi capivate al volo, eri di poche parole, ma eri riuscito ad instaurare un legame profondo con lei. Non so come tu abbia fatto, quindi non chiedermi di spiegartelo. –
-Bene. – fece ironico.
-Se ci sei riuscito una volta, puoi farcela di nuovo, amore. – rispose Lily, con un’ondata di ottimismo.
L’uomo pensò che il Severus che ci era riuscito la prima volta era un Severus immensamente diverso da quello che si sarebbe dovuto accingere a provarci una seconda. Ma non lo disse, perché non voleva coinvolgerla in quelle cose. Aveva ancora i ricordi dei tempi passati a ronzargli per la testa e trovava difficile scacciarli via.
-Dannazione, sono le sette e venti! Dobbiamo alzarci, dobbiamo svegliare le bambine! –
Da quando Lily pronunciò tali parole, in quella casa non si capì più niente: c’erano panni che volavano da una parte all’altra della stanza, scarpe che roteavano per i lacci, impronte bagnate sulla moquette lasciate da un’Ali che fuggiva dalla doccia, grida di “Ti devi alzare adesso, Jordan!”, cereali ovunque sul pavimento della cucina, latte che colava in canuti rivoletti giù dal tavolo, quaderni e fotocopie che formavano una scia di carta verso la porta d’entrata, altre urla di “JORDAN EILEEN PITON SCENDI DAL LETTO ORA!”, pastelli sparsi per il corridoio a fungere da trappola mortale per chiunque avesse la sfortuna di mettervi il piede sopra e una Lily furiosa che seguiva le tracce lasciate da una bambina in accappatoio. Era il caos.
In tutto questo, Severus vagava spaesato per la casa, cercando di stare dietro agli ritmi frenetici della moglie, evidentemente abituata a tutto questo.
“Acchiappa Alison! No aspetta, mettile i libri in cartella!” “Sev, sveglia Jordan, è tardi!” “Hai riscaldato il latte?”  “Ecco, l’ho presa. Mettile tu le scarpe, per favore!” 
Alle otto e cinque, Lily era sulla soglia, con una bambina per ogni mano.
-Amore, allora io scappo, che siamo già in ritardo. –
-Un momento, Lily. Potresti venire un attimo di là? –
Lily esitò un attimo, pensando evidentemente  a quanto tardi fosse, ma poi lo seguì in cucina.
-Dimmi, Sev. Che c’è? –
-Come ci arrivo a lavoro? – sussurrò, per non farsi sentire dalle figlie.
-Ah. Giustamente … come ci arrivi? – ripeté Lily, mordendosi un labbro, mentre cercava una soluzione. – Facciamo così, vieni con me. Accompagniamo le bambine a scuola, poi ti faccio vedere dove sta l’Organizzazione, va bene? –
E così fecero. Una volta portata Ali alla scuola materna “Daily happiness” e Jordan alla scuola elementare MLK, in memoria di Martin Luther King, Lily invertì il senso di marcia e lo portò sul suo posto di lavoro. Durante il viaggio di una ventina di minuti, ebbe il tempo di elencare e descrivere alla bell’e meglio alcuni dei suoi colleghi, per evitare che facesse scena muta di fronte ad una persona che conosceva da dieci anni.
Alla fine arrivarono di fronte ad una farmacia.
-Eccoci arrivati – fece Lily – E’ facile entrare nell’ONPA, basta entrare nella farmacia e sfiorare con la bacchetta la quinta mensola del primo scaffale sulla sinistra, pensando “Potior”. Il proprietario è un Magonò che ci ha offerto questa copertura, quindi non preoccuparti di lui. –
-Ho capito. – rispose, aprendo la portiera.
-Sei sicuro di riuscire a trovare l’entrata da solo? – gli chiese la moglie, sporgendosi verso il marito ormai sul marciapiede.
-Non ti preoccupare. Vai.–
Stava per andarsene, quando notò che la donna si era sporta verso di lui, chiudendo gli occhi e pronunciando le labbra. Severus, impacciato, si piegò e le diede un bacio.
-Buona giornata, amore! – lo salutò lei, mettendo in moto.
-Buona giornata, Lily –
 
L’ONPA era un posto meraviglioso, il sogno di qualsiasi pozionista. Poteva vantare di grandi qualità, prima fra tutte quella di essere quasi del tutto sottoterra; si snodava in corridoi intricati sui quali affacciavano decine e decine di porte. C’erano diverse rampe di scale che portavano ai piani inferiori  e una che portava invece ad uno superiore. Lily gli aveva detto che il suo ufficio era al terzo piano interrato ed era il numero 394. Fortunatamente notò che c’era una piantina con su segnato il piano d’evacuazione dell’intera struttura, grazie alla quale riuscì a trovare la via più veloce per il suo ufficio. Notò anche diverse altre stanze: c’era una serra esposta alla luce del sole ed una sotto terra (per le piante che necessitavano di crescere di notte), stesso discorso valeva per i due orti; c’era perfino una terza serra, enorme anche questa, dov’era possibile regolare temperatura, luminosità e umidità. Vide poi che anche la stanza che veniva indicata dalla legenda come magazzino era di dimensioni improponibili. Scorrendo ancora con gli occhi notò una sala conferenze, una sala ospiti, una sala fermentazione, un deposito di calderoni di ogni taglia e dimensione. Insomma c’era qualsiasi cosa di cui potesse avere bisogno! Quel posto era un paradiso.
Alla fine imboccò la via del suo ufficio e, diverse rampe di scale più sotto, e dopo un bel numero di porte, lo trovò. Aveva notato con piacere che i corridoi di quel piano, a differenza di quelli superiori, che erano chiassosi ed affollati, erano deserti. Pace, solitudine e silenzio, un trittico fondamentale per quando ci si dedicava a distillare pozioni.
Stava quasi per entrare nel suo ufficio, aveva già la mano sulla maniglia, quando notò la prima pecca in quella perfezione. Un uomo gli venne incontro, poggiando un piede dopo l’altro, baldanzoso e spavaldo, aveva una pancia pronunciata, i capelli brizzolati, la pelle afflosciata sotto il mento  e la faccia da topo: era Codaliscia. Quando vide quel volto fu come se un violino avesse stonato all’interno di una perfetta esecuzione orchestrale, stridendo orrendamente e interrompendo la dolce melodia. Sentì subito il sangue ribollire nelle vene e pulsargli sulle tempie e sul collo.
-Severus, vecchio mio! Buongiorno! – lo salutò, alzando una mano, come se volesse schiacciare il cinque.
Severus guardò quella faccia tristemente nota, poi fissò la mano, quindi si girò e prese la bacchetta per aprire la porta. Quando sentì il legno nella sua mano, dovette sforzarsi di non commettere nessuna violenza nei confronti di quel mostriciattolo: in fondo in quella realtà non aveva fatto niente. “Sì, ma solo perché non ne aveva avuto l’occasione” si disse “Se fosse accaduto di nuovo, non avrebbe esitato a tradirli neanche in quel mondo, lo sapeva”. “Ma chi gliel’ha data la possibilità di tradire Lily?” s’intromise di nuovo la malefica voce del rimorso, che lo aveva fatto diventare matto in tutti quegli anni. Stava per rispondersi o quantomeno per mettersi a tacere, ma Codaliscia parlò di nuovo.
-Non mi rispondi? Va bene, amico mio, vorrà dire che scambierò un paio di parole con la Whitehall… - disse, in modo provocatorio.
Chi diavolo era ora la Whitehall? E che diamine ci faceva Codaliscia lì?! Lily non gliene aveva parlato! Rimandò a dopo la questione, ma continuò ad ignorare l’uomo dall’aspetto di un roditore, aprì la porta e se la sbatté alle spalle. Non gliene importava niente delle conseguenze, non avrebbe mai ceduto a quel bastardo traditore.
Si appoggiò con le spalle alla porta  e lasciò che il cuore gli rallentasse un poco, solo quando  la vena sulla tempia scomparve, iniziò a guardarsi veramente attorno: anche quell’ufficio, come tutto nell’ONPA, era enorme.  Era almeno tre volte quello che aveva ad Hogwarts, grande praticamente quanto l’aula di Pozioni. C’era tutto l’occorrente: c’erano due tavoli, uno lungo almeno  due metri e mezzo per la preparazione degli ingredienti e un altro con cinque fornelli per la cottura; dietro al primo di questi, una ventina di coltelli di ogni dimensione e fattura erano disposti ordinatamente, accanto, su una serie di mensole, stavano  decine e decine di contenitori diversi, impilati l’uno nell’altro. Se poi voltava lo sguardo sulla sua destra, poteva vedere un paio di dispense chiuse, dove dovevano essere conservati ingredienti e preparati; incassato nel muro, c’era una sorta di montacarichi con una specie di megafono in ottone montato sul muro, sì, Lily gli aveva detto che cos’era: serviva per chiedere o consegnare ingredienti e pozioni. Ancora, più infondo, c’erano cinque o sei calderoni lucidi come fossero di nuova fattura, ordinati vicino al muro, un divano in pelle nera, un tavolinetto, una scrivania e diversi altri utensili. Con sua grande gioia, notò che anche in quella realtà aveva una collezione abbastanza numerosa di non-più-esseri-viventi galleggianti in distillati vari.
Mosse alcuni passi nel suo ufficio, sentendolo perfettamente suo: era ordinato, buio e non troppo pulito, così come lo era quello di Hogwarts. Vide che sulla scrivania c’era un biglietto, lo lesse:
“DATA: 3 maggio 1997
DESTINATARIO: Severus Piton
ORDINE: Antidoto mutilazioni da Inferius
SCADENZA: 25 giugno 1997”
Con sollievo, apprese che, quello che era ufficiosamente era il suo primo incarico alla ONPA, era di semplice preparazione per lui. Rimise il pezzo di pergamena di nuovo sulla scrivania e si stese per un momento sul divano.
Aveva ancora per la testa quella notte, se ci ripensava il cuore tornava a palpitare. Era tutto così incredibile, che gli sembrava di avere l’impressione di stare sognando e di doversi svegliare da un momento all’altro. Chiuse gli occhi, sentiva ancora le labbra di Lily premute sulle sue, il corpo di lei fregarsi contro il suo, le mani che scivolavano sulla sua pelle, sinuose e delicate. Il profumo della donna gli riempì di nuovo il petto, i suoi capelli gli accarezzarono di nuovo la faccia, il respiro di lei si mescolò di nuovo al suo.
Aprì gli occhi, sentiva caldo adesso, quindi si slacciò il mantello e lo appese (c’era anche un attaccapanni. C’era tutto!) e iniziò a concentrarsi sulla pozione, anche se gli fu molto difficile: se non pensava a Lily, vedeva Alison recitare la sua poesia, o gli appariva Jordan con il suo libro sulle Arti Oscure. Sì, gli fu davvero molto difficile.

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Capitolo 11
*** Spinner's End ***


6 maggio 1997
 
Era una giornata nuvolosa, il cielo era bianco e fastidioso agli occhi, faceva freddo per essere maggio, il vento soffiava tra le fronde degli alberi e tra i capelli dell’uomo, che stava in piedi fuori ad un vialetto di ghiaia.
-Lily – aveva detto la sera prima, quando si era sentito pronto – Dov’è mia madre? –
La figura in nero iniziò a percorrere quel viale.
Lily l’aveva fissato per un istante, poi aveva risposto: - Nella stessa casa di sempre, Sev. –
L’erbaccia era riuscita a crescere anche tra la ghiaia, il giardino, come anche la casa, era in degrado.
Sulla faccia di Severus si allungò un sorriso. –E’ viva… - disse a se stesso, in un mormorio.
Si fermò davanti ad una porta di legno e vetro.
Lily s’intristì. – Che cos’è successo a tua madre, Sev? –
Allungò la mano e fece risuonare sul legno due colpi.
Severus la guardò, imperturbabile adesso:- E’ morta quando avevo vent’anni. –
-Mamma! – esclamò, quando una donna dai capelli bianchi le aprì la porta.
-Severus! – gridò Eileen. Mosse un passo malfermo fuori la soglia e lo abbracciò.
Dopo quasi diciotto anni, sua madre era di nuovo là e lui poteva abbracciarla di nuovo. Gli era sempre mancata, in poco più di un anno aveva perso lei e Lily e in lui si era creato un vuoto enorme. Era incredibile poter rivedere anche lei!
Eileen si staccò, gli prese la faccia tra le mani: - Figlio mio, come sei bello! – gli diede due schiaffetti amichevoli sulle guance – Vieni dentro, che fa freddo fuori, oggi! – aveva le lacrime agli occhi.
Severus entrò, la casa era esattamente come l’aveva definita Lily: la stessa di sempre. Non era diversa da come se la ricordava anche nella sua realtà, forse era solo leggermente più pulita …
Eileen si diresse in cucina, il figlio la seguì. A quel punto gli era sorto un dubbio: perché Eileen aveva reagito così? Era lui quello che non la vedeva da due decenni! Si disse che doveva essere successo qualcosa, quindi glielo chiese.
-Ehm … mamma, tutto bene? –
-Sì, tutto apposto. – si soffiò il naso con un fazzoletto di stoffa che aveva tirato fuori da una delle tasche della veste.
Nel frattempo erano arrivati in cucina, Severus la fermò, mettendole una mano sulla spalla, e la fece voltare.
-Stai piangendo. Perché? –
-No, no. Non sto piangendo. E’ solo un sogno che ho fatto che … - si asciugò gli occhi. –Niente, niente. Visto? E’ tutto apposto. - Si girò verso i fornelli. – Allora, vuoi un tè? Hai fame? –
-No,  voglio sapere perché stai piangendo. Di quale sogno stai parlando? –
-E’ solo una cosa stupida, tesoro. Ora sei qui – gli toccò di nuovo la guancia con le nocche della mano destra – stai bene … e non importa più. –
Nella testa gli balenò un nome: Alison. Ma certo! Il sogno di Alison!
-Hai sognato che morivo? – gli chiese, pacato.
La vecchia signora sbarrò gli occhi, che furono nuovamente inondati di lacrime.
-Come fai a saperlo? Che sta succedendo, Severus? –
Il figlio chiuse gli occhi e inspirò: anche lei aveva dato “una sbirciata” nella sua realtà.
-Niente, mamma, non sta succedendo niente. E’ stato solo un sogno. –
-Non mi hai risposto, Severus Piton. Come fai a saperlo? – lo guardò negli occhi.
Già, come faceva  a saperlo? 
-Ho tirato a indovinare. Ho pensato che quello poteva essere un buon motivo perché tu … -
-Non raccontarmi fesserie, Severus. – alzò un dito inquisitore – Stai mentendo. – si fece più vicina e lo scrutò in viso, agganciandogli gli occhi nerissimi con i propri altrettanto scuri. – E’ successo davvero. – mormorò tra sé – Oh mio dio, o mio dio. E’ successo davvero. – si portò una mano davanti alla bocca e le gambe per poco non le cedettero.
-Attenta! – scattò Severus, afferrandola in tempo e portandola a sedere su una delle sedie vicino al tavolo, lui si sedette sui talloni accanto a lei.
La donna aveva continuato a mormorare “E’ successo davvero, è successo davvero” .
-Mamma! Mamma, mi ascolti?! – le disse Severus, schioccandole le dita ad un palmo dal naso, per ottenere la sua attenzione. – Che stai dicendo? Come fa ad essere successo davvero? Io sono qua. Sono vivo. Sto bene. –
La madre s’interruppe a quelle parole, ma non lo guardò in faccia, i suoi occhi erano fissi sul vuoto e si muovevano velocemente da una parte all’altra, come se seguissero il ritmo dei suoi pensieri.
-Non lo so. – ammise in fine. – Ma è successo veramente. Te lo leggo in faccia, Severus Piton. Ce l’hai segnato negli occhi. –
A quel punto Severus dovette ammettere che quella era una partita persa, se aveva potuto nasconderlo a Lily, o se era riuscito a convincere una bambina di cinque anni, non ci sarebbe riuscito con sua madre.
L’uomo soffiò dal naso, si alzò e si sedette anche lui sulla sedia.
-Hai ragione. – le concesse – E’ successo davvero . –
La donna singhiozzò.
-Ma allora … anche gli altri sogni erano veri – aggiunse dopo un po’.
Gli altri sogni? Quanti altri ne aveva fatti? Quanto sapeva lei della sua vita nell’altra realtà?
-Non lo so, mamma, non so di che sogni stai parlando … - ma sapeva che molto probabilmente erano veri.
-Figlio mio, che cosa terribile! Perché? Non ci posso credere! –
-Mamma, adesso calmati, dai. Sto bene adesso. –
-Non è vero, no che non stai bene! Tutte quelle cose che ho sognato … tutte vere … lo sapevo ... tutte terribile … oh dio santo … Vieni, abbracciami di nuovo, che non ci vediamo da tanto tempo … - lo invitò con le braccia.
-Mamma, non voglio parlarne più. – disse il figlio, strozzato dall’abbraccio della madre.
-No, Severus, va bene, non ne parliamo se non vuoi. Sì, non ne parliamo più. – disse, dopo essersi separata, alzandosi. – Adesso ti faccio un tè, così ci calmiamo tutti e due e non ne parliamo più. Già, non ne parliamo più, no. – aveva parlato con un sorriso sulla faccia, ma le mani le tremavano mentre versava l’acqua nella teiera, e qualche lacrima ancora le scendeva sulla pelle.
Da quel momento calò il silenzio, silenzio che fu interrotto solo dal fischio della teiera. Dopo pochi minuti erano seduti vicini davanti ad una tazza di tè. Severus bevve un sorso della sua, era quello che gli faceva sempre da piccolo: al limone, della marca più economica (per non dire scadente) che vi fosse. Non sapeva quasi di niente, solo d’infanzia. Quando il tè caldo gli scese giù per la gola, sentì un grande senso di inquietudine farsi spazio dentro di lui.
-E’ stato terribile. – mormorò, fissando il tè fumare nella sua tazza.
Eileen deglutì e posò la sua sul tavolo. Lo guardò, senza parlare.
-Senza di te, senza di Lily. Sono vissuto da solo. Sono morto da solo. -
Il tè vorticava vicino alle pareti di porcellana.
-Ho ucciso un uomo. No, di più; più di un uomo … Ho ucciso più di un uomo. –
Alcuni detriti vennero a galla nella tazza.
-In quella casa diroccata, sono stato attaccato da quel serpente. Faceva male, c’era pochissima luce. –
Sulla superficie gialla del tè, c’era un velo di schiuma bianca.
-Ho sbagliato tutto. –
Avvicinò di nuovo la tazza alla bocca e fece per bere un sorso, ma fu colto, senza volerlo da un singulto, e non ci riuscì. Con il viso affondato nella tazza, iniziò a piangere.
A quel punto, intervenne Eileen, con la mano gliela scostò dal volto e la accompagnò sul tavolo. Poi si alzò e gli venne in soccorso con la sua spalla. Severus la accettò, come aveva fatto solo quando era veramente molto piccolo. Non vedeva suo figlio piangere da quando aveva sei anni, ben altra cose era, invece, l’ultima volta che l’aveva sentito piangere.
Era tutto lì, era ancora tutto lì. Per quanto Severus avesse cercato di negarlo a se stesso e agli altri, il suo passato era ancora tutto lì e gli stava ripiombando addosso come un incubo, come uno di quei sogni. Si era detto che non aveva più senso stare a lamentarsi di quanto era successo nella sua vecchia realtà, eppure ora era tornato tutto a galla, senza che lui potesse impedirlo.
La donna gli accarezzò i capelli sul capo.
-Grazie che ne hai parlato con me. – sussurrò. – Bisogna parlare con gli altri in questi casi, tesoro, non bisogna tenersi tutto dentro, lo sai? Adesso stai un po’ meglio? –
Severus lasciò la casa mezz’ora dopo, quando varcò la soglia era calmo,era più sereno, era più libero.
-Potrai sempre parlare con me, Severus. – sorrise la madre, con le rughe le incorniciarono le labbra – Non dimenticartelo. –
L’uomo annuì e in uno svolazzo nero, si Smaterializzò.

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Capitolo 12
*** Vecchie conoscenze ***



 
28 maggio 1997
 
L’ingresso fu invaso da un’improvvisa folata di vento e Severus si Materializzò nella stanza. Erano le cinque del pomeriggio e lui non metteva piede in casa dal mattino del giorno prima: aveva passato la notte all’Organizzazione per finire una pozione in scadenza. Quasi barcollando dalla stanchezza si tolse il mantello e lo appese all’attaccapanni, poi  varcò la soglia della cucina e fu allora che gli si parò davanti uno spettacolo orrendo.
Severus rimase scioccato sulla porta, si paralizzò e sentì subito montare la rabbia, nonché la quantità di sangue pompata al minuto, dentro di sé: seduto al tavolo, con un sorriso sbarazzino, i capelli lunghi ben oltre le spalle e la barba ben curata, c’era Sirius Black.
Lo shock di trovarselo di nuovo davanti fu quasi insostenibile. Strinse i pugni e ridusse gli occhi ad una fessura. Era stato quasi bello quando aveva saputo della sua morte e ora era di nuovo lì. Tirò dentro l’aria e si chiese se fosse meglio fare il giro per il salotto, ma anche prima che Sirius lo notasse, entrò Lily nella stanza:
-Allora, dicevi, Sirius? Ah, amore, sei tornato! – la donna fece un grande sorriso e sfiorò le labbra di lui con le sue.
-Sì, ho finito ora con la Pozione Antivirale… - rispose, lanciando occhiate furtive al terzo uomo nella stanza, che nel frattempo si era alzato.
-Severus! Vecchio mio! Hai fatto una nottataccia, eh? – esordì e batté una pacca sulla spalla ad un Severus sempre più sconvolto. “Vecchio mio”? “Severus”? Da quando Black gli parlava in quel modo? Che casino aveva combinato in quella realtà?! Cosa diavolo aveva fatto perché entrassero in confidenza?!
L’uomo non rispose, ma seguì con il disgusto disegnato in faccia la mano di Sirius avvicinarsi e poi allontanarsi dalla sua persona. Si trattenne dal rispondergli qualsiasi cosa, perché il suddetto “qualsiasi cosa” non sarebbe stato giudicato né civile, né tantomeno ai limiti della decenza. Rivolse semplicemente lo sguardo di nuovo verso di Lily e disse:
-Lily, vieni un secondo di là. Ti devo dire una cosa. – e Severus si diresse verso il salotto, tirando per un braccio la moglie.
Lily scambiò con Sirius un’occhiata interrogativa, poi sparì nell’altra stanza.
-Che cazzo ci fa Black in casa nostra?! – esordì, furioso, sbigottito, incredulo.
Lily rivolse anche a lui uno sguardo confuso.
-Che vuoi dire? Siamo amici, ci è venuto a trovare. – rispose.
Severus sgranò gli occhi.
-Noi siamo cosa? – ripeté – Non è possibile. – mormorò poi a se stesso.
-Sev, cosa c’è che non va? Voi due siete amici da una vita! –
-Cosa c’è che non va? Io lo odio! E che lui odia me… cioè, che lui odiava me…nella mia realtà, intendo… - rispose, la voce era un sibilo pericoloso.
Lily si massaggiò la fronte con una mano.
-Bene… benissimo, direi. – conosceva il marito e sapeva che la cosa non sarebbe stata facile – E si può sapere quale sarebbe il motivo di tutto quest’odio? –
-Vuoi che ti elenchi tutto quello che mi ha fatto patire, assieme a Potter, ai tempi di Hogwarts? – fece lui, con tono sardonico.
-Aah! Ancora pensi a quelle faccende di scuola? Ma le avete archiviate tempo fa! – fece Lily, quasi sollevata che fosse quella l’origine del problema.
-Vuoi dirmi che dopo tutto quello che ho passato, ho accettato di diventare amico suo? – ripeté Severus sconvolto. Avrebbe voluto incontrare quell’altro sé, per chiedergli dove aveva trovato la forza, ma soprattutto la volontà di superare il passato. – Anche dopo che ha cercato di uccidermi? –
-Che cosa?! – fu il turno di Lily di rimanerci di sasso.
-Ah-ah, ecco spiegato tutto. – fece l’uomo, soddisfatto di aver trovato il bandolo.
-Che stai dicendo? Mica ha cercato di ucciderti? Non dire sciocchezze! –
Lui non aveva voglia di rimettere in mezzo la discussione sul cosiddetto “scherzo” di Black e Potter, perché avevano litigato fin troppo volte per quel motivo, e non voleva che accadesse di nuovo,  non ora che poteva evitarlo. Ma adesso doveva risponderle, così restò sul vago e alleggerì la situazione.
-Diciamo che mi ha fatto uno scherzo, che includeva un Lupo Mannaro completamente trasformato e che si sarebbe concluso con la mia morte. Fortunatamente per me, gli è andata male. –
Lily rimase attonita.
-E’ un bel problema… - forse doveva dirgli la verità, ma in quel momento fu chiamata dalla figlia più piccola.
-Mamma! Jordan mi ha fatto male con le costruzioni! – gridò tra i piagnistei, scendendo le scale.
-Che cosa? Vieni qua, fammi vedere. – si girò verso Severus – Né parliamo dopo. – e salì le scale con la bambina in braccio.
-No, aspetta e io cosa dovrei fare con quello?! – le gridò dietro, ma non ottenne risposta.
La gola gli ardeva per la sete, così si vide costretto a tornare in cucina.
Entrò in silenzio nella stanza e si diresse verso il frigorifero.
-Allora, Mocciosus,ho sentito tua figlia piangere. La stavi forse torturando con i tuoi giochetti di Magia Oscura? – si sentì dire alle spalle.
Per un secondo, ci rimase di stucco, poi ne ebbe solo un altro per afferrare la bacchetta e bloccare la fattura che quel vigliacco di Black gli aveva lanciato alle spalle.
Si voltò, le fiamme negli occhi.
-Cosa è successo? Adesso hai anche il fegato di attaccarmi quando sei da solo? – sibilò, sarcastico – Ah già, dimenticavo che ero di spalle.  Adesso si spiega tutto. – si rivolse di nuovo verso il frigorifero, con un sorrisetto maligno sulle labbra. Potrebbe sembrare triste, ma era contento che nulla fosse cambiato, che Black era sempre lui. Ma allora perché Lily gli aveva detto che  erano amici? Che fosse solo una facciata davanti a lei?
Il commento pungente fece infuriare anche Sirius, che smise di dondolarsi sulle gambe posteriori della sedia. Per un momento, Severus si rivide a Grimmaul Place alle riunioni dell’Ordine, con lui che lanciava continue allusioni al fatto che Black stesse rintanato in casa, mentre lui era fuori a rischiare la pelle.
-Ah, quello era il tuo sedere? Davvero? Scusami, non avevo notato la differenza! –
-Ti consiglio di essere meno narcisista! Se non passassi diciotto ore al giorno davanti ad uno specchio, sapresti che non tutte le facce sono da culo come la tua, e non faresti queste confusioni – gli regalò un sorriso sgradevole.
-E’ bello sentire te parlare di specchi, è come sentire una foca parlare di ingegneria aerospaziale! Fa uno strano effetto! –
-Wow, che parola difficile, Black! “Ingegneria aerospaziale”! Dove l’hai letta, sull’abbecedario? E comunque cosa diavolo ci fai in casa mia? –
-Volevo farmi tua moglie. – disse, ironico – Non sono fatti che ti riguardano, Mocciosus! – aggiunse poi, serio e scontroso.
Severus si avvicinò al tavolo e sbatté le mani sul legno.
-Non osare mai più dire una cosa del genere su di lei! –
-Che c’è? È lei che lo vuole. evidentemente non riesce a togliersi dalla testa la volta in cui ci siamo baciati! Io sono irresistibile! – disse, impettendosi – E tu devi fare davvero schifo in queste cose! – ghignò.
-Di cosa diavolo stai parlando?! – la voce, che era scesa sempre di più prima, ora si era alzata a tal punto che si poteva sentire in tutta la casa. – Non dire cazzate! E adesso vattene  da casa mia! –
Sirius non si degnò di ascoltarlo, bensì rimise i piedi sul tavolo e tornò a dondolarsi sulle gambe posteriori della sedia.
-Ah, lo sai benissimo di cosa sto parlando, Mocciosus. È inutile che fai tutte queste scenate. –
La vena sulla tempia dell’uomo sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro, la mano stava tornando alla bacchetta, ma in quel istante si sentì la voce di una Lily che correva giù per le scale.
-Che sta succedendo? – chiese, austera, ma un po’ preoccupata. Si mise sulla soglia con le mani poggiate sui fianchi e un cipiglio autoritario in viso. – Sirius! I piedi! –
-Ah sì, scusa! – e li tolse. –Comunque niente di che, stavo raccontando a Severus di un fatto assurdo successo a lavoro oggi, e lui non ci voleva credere… -
Lily lanciò un’occhiata al marito che stava dall’altro lato del tavolo: respirava pericolosamente e aveva la bacchetta così stretta nelle sue mani, da avere le nocche bianche.
-Come dici tu… -
-Senti, Lily, ora sarà meglio che vada, Lois deve finire i suoi compiti. –
-Va bene. Te la vado a chiamare. – si propose la donna.
-Vengo con te, si è fatta un po’ capricciosa negli ultimi tempi. – e se ne uscì dalla stanza con Lily, mettendole una mano sulle spalle e lanciando un’occhiata a Severus, che approfittò della scusa del primo gradino, per lanciargli una fattura e farlo inciampare.
Ridiscesero giù cinque minuti più tardi, Sirius aveva in braccio una bambina di sette otto anni, cappelli biondi, occhi azzurri e un sorriso spavaldo uguale a quello del padre.
-Saluta Severus, Lois. –
-Ciao, Mocciosus! – fece la bimba agitando una mano.
Sirius rise, escalmando: - Questa è la mia bambina! Degna figlia di tuo padre! –
Lily fece una risata tirata, lanciando sguardi tesi al marito. Severus strinse i pugni, cercando di trattenersi dal lanciare un’altra fattura a quell’uomo.
Per sua fortuna, non fu detto altro. Si salutarono e pochi secondi dopo furono fuori la porta.
Lily e Severus erano rimasti nell’ingresso da soli.
-Non è andata molto bene, eh? –
-Usa pure quest’eufemismo, se vuoi. Ma io direi che è andata una merda. – rispose l’uomo, ancora alterato. – Non è per niente vero che siamo diventati amici, mi ha lanciato una fattura appena te ne sei andata tu, e poi ha ripreso ad insultarmi come ha sempre fatto! –
-E tu hai risposto. – puntualizzò la donna.
-Ah, magari avessi potuto rispondere come volevo… sarebbe stata avviata una pratica di adozione per quella bambina stasera stessa! –
-Severus! – protestò Lily – Non voglio vederti così, lo sai! È vero, ti ho mentito quando ti ho detto che eravate amici. Non lo siete, ma, almeno in mia presenza, siccome sapete quanto io tenga ad entrambi, voi vi comportate civilmente! Ora questo non potevi saperlo e non ti sto incolpando. Ho sperato che dicendoti che eravate in confidenza, saresti potuto partire con uno spirito diverso, ma evidentemente per te è impossibile! Prima però tra voi c’era una sorta di complicità, di rapporto amore-odio, come se alla fine foste arrivati a volervi bene in qualche modo. Mi rendo conto che le cose sono diverse adesso, quindi ti rispetterò, solo non esagerare. –
Severus inspirò ed espirò – E va bene. Ci proverò. –
-Bene così, amore. Vedrai che ti sentirai meglio. Non lasciare che la sua presenza ti faccia rodere il fegato, ne andrà della tua salute. Troppo odio non fa bene a nessuno. Cogli il lato “divertente” della cosa, non ti sei sempre divertito a punzecchiare le persone? –
In effetti aveva ragione, si era lasciato sopraffare dalla rabbia, gli sarebbe bastato solo un po’ più di autocontrollo e sarebbe potuto tornare alle vecchie abitudini, in fondo la cosa non gli dispiaceva. E poi come mai aveva perso il controllo? Di solito Black non riusciva a provocarlo fino a quel punto. Si era forse disabituato a queste cose? Poi si ricordò la risposta: Lily, aveva parlato di un bacio con Lily.
-A cosa diavolo alludeva quando ha detto che vi siete baciati?–
Lily abbassò le spalle, mentre espirava.
-Ancora con questa storia… ma è giusto, non puoi sapere nemmeno questo. – rispose – Sì, aveva ragione. Una volta, ci siamo baciati. Eravamo all’ultimo anno ed io ero stanca di aspettarti, stavo in Sala Comune ad imprecare contro di te con lui, che è sempre stato un mio grande amico, anche se tu non lo sopportavi, e allora mi si è seduto vicino e ha iniziato a consolarmi. Lo sai com’è, ci sa fare lui con le ragazze … quella sera ero distrutta ed ero stanca e l’ho baciato. Era solo una ripicca nei tuoi confronti, infatti la cosa finì lì. Io scappai nel dormitorio, imbarazzata e il giorno dopo gli dissi che era tutto un grandissimo sbaglio. Per mia fortuna, e forse per tua sfortuna, questo non ha rovinato la nostra amicizia. Tutto qui. –
Non era una bella rivelazione per Severus. Ma dalla realtà da cui veniva lui era successo ben altro. Decise che era inutile litigare per una cosa accaduta vent’anni prima, anche perché lui detestava discutere con Lily.
Stiracchiò un sorriso sulla faccia.
-Non importa. – cacciò quelle parole fuori con la forza, ma furono abbastanza convincenti da portare Lily a sorridere a sua volta e ad abbracciarlo.
-Grazie,amore, che non ti sei arrabbiato. Puoi capirmi, vero? –
Severus non avrebbe mai avuto il coraggio di puntualizzare che lui l’aveva aspettata tutta la vita, senza mai sfiorare un’altra donna, così annuì.
-Di chi è la bambina? – cambiò argomento.
-Chi? Lois? È sua! –
-Sì, questo l’avevo capito. Ma con chi l’ha avuta?–
-Ah, non credo che lo sappia. Non con precisione almeno. Una mattina si è trovato davanti alla porta di casa un fagotto con questa neonata e un biglietto anonimo su cui c’era scritto solamente “E’ tua figlia. Sei un bastardo.”  -
Severus sghignazzò.
-Prevedibile. –
Tornarono in cucina e Lily mise mano a bacchetta e fornelli.
-E Potter? – chiese all’improvviso l’uomo, senza sapere nemmeno perché.
-Potter? James Potter? – ripeté Lily – E chi lo sa che fine ha fatto! So solo che si è sposato una decina di anni fa con una strega russa. È andato a vivere nel paese di lei, non so nemmeno dove, molto tempo fa. È praticamente sparito dalla circolazione appena abbiamo lasciato Hogwarts. – rispose lei, con totale non curanza.
La prima reazione di Severus fu di sollievo: non avrebbe mai più rivisto Potter! Né mai lui avrebbe potuto rappresentare un ostacolo tra se stesso e Lily! Ma poi provò una strana sensazione di fastidio: Potter si era rifatto una vita, quando non era riuscito a conquistare Lily! Avrebbe voluto ucciderlo con le sue mani: gli aveva portato via Lily praticamente senza motivo! Lui si era consolato, non era rimasto fedele a lei!
Fortunatamente Lily interruppe il suo ciclo di pensieri prima che degenerassero.
-Ti dispiacerebbe aiutare Jojo con la matematica? Stanno facendo le frazioni e io non mi ricordi più nulla…-
Il sorriso della donna che amava, che ora era sua, gli fece affastellare tutto. “Ora non importa più” si disse. E salì di sopra, stanco, ma sereno, ad aiutare Jordan con le frazioni.

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Capitolo 13
*** Buona e cattiva nuova ***


18 luglio 1997 Il 18 luglio del 1997 si fece latore di due nuove, la classica coppia di buona e cattiva notizia, che va sempre a braccetto per non far esaltare o sconfortare troppo l’essere umano. Quel giorno la felice coppietta bussò alla porta di casa Piton, riempendola, nel giro di poche ore, di luci e ombre. Severus era tornato a lavorare dopo una settimana trascorsa con tutta la famiglia a sud dell’Inghilterra, nel tentativo di captare una temperatura più alta di 20° gradi. Nonostante Severus (e Jordan) si fossero rivelati immuni all’azione dei raggi solari, l’uomo aveva goduto, per la prima volta dopo anni, di un periodo di assoluta pace e tranquillità. Aveva trascorso quei sette giorni a ripararsi dal sole, discutere con Jojo sul nuovo libro che le aveva prestato, togliersi la sabbia che Alison gli lanciava addosso e ingaggiare discussioni con Lily perché non si voleva mettere in costume. Era stato davvero meraviglioso per lui che non si era mai permesso cose simili. Era ormai da un paio d’ore avvolto nelle profondità dell’ONPA, nell’ambiente umido e ombroso del suo ufficio, quando giù per il montacarichi, scivolò una lettera. “Severus ti devo parlare urgentemente, Lily” Quel biglietto aveva un accento decisamente allarmante. Era successo qualcosa a qualcuno? No, sembrava più che avesse scoperto qualcosa, aveva un tono preoccupato o quasi arrabbiato. Che cosa era venuta a sapere? Severus valutò l’entità di quell’ “urgentemente” e si disse che se si fosse trattato solo che aveva scoperto le “letture propedeutiche” che proponeva a Jordan, non gli avrebbe mandato un messaggio simile a lavoro. Si affrettò a concludere alla svelta quello che stava facendo e lasciò la pozione a riposare sul tavolo da lavoro. Mentre stava ripulendo velocemente (e maniacalmente) quest’ultimo, un’altra lettera si poggiò sul fondo del montacarichi. “Raggiungimi al St. Peter Hospital. Ti aspetto all’entrata.” Diamine, un ospedale? Cosa stava succedendo? Cerco di rassicurarsi, ripensando al tono tutto sommato calmo delle lettere, ma fu inutile. Afferrò il mantello e si Smateriallizzò. L’entrata del St. Peter era affollata di gente, c’era un andirivieni continuo di persone in camici di ogni colore: verdi, bianchi o azzurri; giravano vecchietti in camicia da notte e signore ben vestite, c’era persino un gruppo di bambini in giardino, tutti in veste da ospedale, che giocavano con una coppia di clown. In mezzo a tutta quella baraonda, riconobbe comunque all’istante Lily, era sempre molto facile: gli bastava guardarsi in giro e appena gli si mozzava il fiato, sapeva di averla trovata. La donna gli si fece vicino. -Ho scoperto una cosa. – Non lo aveva salutato nemmeno, aveva detto direttamente “Ho scoperto una cosa”. Severus le restituì lo stesso sguardo allarmato. -Cosa? – esitò. -Vieni con me. – disse la donna, e come risposta lo iniziò a far scivolare tra la folla. Lo portò davanti a quei grandi cassoni che salgono e che scendono, inventati dai Babbani come rimedio per la loro pigrizia, chiamati “ascensori”, premette il bottone e la porta si aprì. Entrarono in quella stanza di ferro mobile e sentirono per quattro volte la voce elettronica chiamare il piano, alla quinta scesero. -Dove stiamo andando, Lily. Chi è finito in ospedale? – chiese per quella che doveva essere almeno la terza volta, ma, come per le precedenti, non ricevette risposta. Lily fece scorrere diverse porte, alcune chiuse, alcune aperte, nido di altri vespai di persone, prima di fermarsi. La stanza prescelta era semivuota, c’erano solo poche persone attorno ad uno dei due letti, mentre l’altro era vuoto. La moglie gli fece cenno con la testa di entrare. Un Severus molto esitante obbedì, calamitandosi subito addosso gli sguardi di tutti i presenti nella stanza a causa del suo vestire per loro inusuale. Si chiese perché Lily l’avesse portato lì, non conosceva nessuna di quelle persone, quindi difficilmente avrebbe conosciuto l’uomo o la donna stesi su quel letto. Aspettò che si aprisse uno spiraglio e le sue tesi si riconfermarono: la cartella clinica diceva “Norman Jones”, lui non conosceva nessun Norman Jones. Doveva, forse? Si voltò verso di Lily con una faccia interrogativa, ma questa gli fece prima cenno di no con la testa, poi gli indicò il secondo letto. Ad uno sguardo più attento, si poteva vedere che quest’ultimo apparteneva, in effetti, a qualcuno, perché le coperte erano tutte scombinate sul materasso. Si fece più vicino per leggere il nome sulla cartella clinica, mise a fuoco le lettere e per poco non gli prese un colpo. -No. – disse a se stesso, ma ad alta voce. Si voltò, spaesato, arrabbiato, e lui gli fu di nuovo davanti agli occhi. Tobias Piton era uscito dalla porta del bagno ed era lui il proprietario di quel letto. Era quasi irriconoscibile: era curvo, appoggiato all’asta di una flebo, aveva la pelle grigia, quasi trasparente, che gli pendeva sul viso, i capelli gli erano caduti e le sopracciglia stesse stavano scomparendo. Svaniva dentro la veste d’ospedale. I due si lanciarono uno sguardo, poi Severus si voltò, in preda alla furia, e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. -Perché diavolo mi hai portato qui, Lily?! – Lily fece una faccia strana: sembrava al tempo stesso triste per Tobias, in pena per il marito e arrabbiata per la sua reazione fredda. -Perché è tuo padre, Sev. – fece, parlando con voce dolce, calma, che fece alterare ancora di più il marito. -No, quello è solo un uomo che ha rovinato la vita a me e a mia madre! – gridò. Lily soffiò tra i denti per fargli abbassare la voce, dato che tutti già si giravano a guardarli per i loro mantelli. -E’ malato, Sev. Sta male, non hai visto? – -E’ perfettamente in grado di camminare, quindi può fare l’unica cosa che deve: andarsene a fanculo! – sbottò e si avviò verso gli ascensori. -Aspetta, amore. Non puoi andartene così! – cercò di fermarlo Lily, ma il marito si liberò dalla sua presa e andò avanti. Lily fu costretta a corrergli dietro; solo davanti agli ascensori, quando fu obbligato a fermarsi, la ascoltò. – Sev, lo so che tra te e tuo padre c’è una ferita profonda, so tutto quanto. Ma adesso lui ha bisogno di te, perché ripagarlo con le sue stesse carte? – -Non me ne importa un accidente che sta male! Forse sono un bastardo come lui, va bene? – Le porte dell’ascensore si aprirono, ma stavolta Lily fu più decisa e gli impedì di salire. Si richiusero davanti ai loro occhi. -No, Severus, tu non sei come lui. Sei diverso. – -No, lo sono. Perché, la vuoi sapere una cosa?, se non fossi stato arrabbiato che mi avevi portato da lui, avrei provato piacere nel vederlo in quello stato. – sibilò. -Non la fai a me, Severus Piton. Lo so che è quello che credi avresti provato, ma non l’hai fatto. Ora non sei felice perché lui è là, sei infuriato. La rabbia probabilmente cela anche la tua frustrazione nel vederlo ridotto così … - -Non è così, Lily. Fidati. – le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo, questa volta Lily non gli impedì di salire. L’uomo entrò dentro e poi si voltò a guardarla. -Sono incinta. – disse Lily. Severus fu come colpito da un fulmine, una scarica elettrica gli entrò nelle vene e gli spedì la pressione a mille. Doveva aver fatto una faccia molto buffa, perché Lily rise, prima che le porte si richiudessero. La rabbia che era montata in lui per la vista del padre e la discussione avuta con Lily, si era sciolta all’istante, era andata in fumo, facendo posto ad una sensazione di confusione ed euforia. Si gettò fuori dall’ascensore appena si fermò, due piani più sotto, e si caracollò su per le scale, di nuovo al quinto piano. -Vedo che sei tornato. – puntualizzò la donna, appena il marito schizzò fuori dalla tromba delle scale. L’uomo non accolse la provocazione, ma la abbracciò forte e la baciò. Lily lo assecondò a lungo, perché sapeva che aveva fatto un bel azzardo portandolo lì quella mattina, e mostrandogli il padre a tradimento. Lasciò che fosse lui a staccarsi. – Sei felice? – gli chiese. -Certo che sono felice – era anche spaventato all’idea di un altro figlio con cui avrebbe dovuto costruire da zero un rapporto, ma non lo disse, non era quello il momento. Lily approfittò della ritrovata calma del marito. -Non vuoi tornare da Tobias? – Severus s’irrigidì. -No. – rispose – Come diavolo hai fatto a sapere che era qui? – chiese. -Sono venuta a ritirare le analisi del test di gravidanza, che mia madre mi ha costretto a venire a fare in un ospedale Babbano, lo sai che è ancora diffidente per certi aspetti con la magia, e l’ho visto. Mi è passato davanti, steso su una barella. Non l’ho riconosciuto subito, fino a quando un infermiere non ha detto il suo nome. – -Sei venuta a fare il test qui? Ma è sicuro? Ti sei fatta mettere le mani addosso da dei “medici”? – fece Severus, scandalizzato. -Amore, calmati. Era solo un esame del sangue, non mi sono fatta visitare da nessuno. – rispose Lily, divertita. -Ma sono sicure queste analisi? Non li vedo molto promettenti i loro congegni elettronici. – disse, diffidente. -Sì, non preoccuparti. Mamma mi ha fatto venire qua anche quando è stato per Jojo e Ali. Questo lo sanno fare. – sorrise e non disse altro, come fosse in attesa di qualcosa, che non avvenne. – E non mi chiedi niente di tuo padre, Sev? Non vuoi sapere che cos’ha? Perché è qui? Da quanto tempo è qui? – -Se mi interessasse, te lo chiederei. – Lily non gli prestò ascolto. -Ha un tumore. Sta qui da tre settimane e le sue condizioni peggiorano di giorno in giorno. Tu adesso torni lì dentro e ci parli! – disse perentoria, indicando con il braccio in direzione della stanza di Tobias. -Sì, in un’altra vita. – rispose sarcastico, prendendo la via opposta di quella in cui puntava il dito di Lily. La donna lo arrestò, lo fece girare e lo guardò negli occhi. -Severus, sta per morire e questo tu lo sai. – insistette – Vai a parlarci. – concluse, aveva un tono dolce adesso, non più di comando. La notizia non allietò Severus come avrebbe creduto, ma lo turbò. Il che lo fece andare ancora più su tutte le furie perché dimostrava che forse provava ancora qualcosa per il padre, anche se Tobias non si meritava più niente da lui. Si disse che quei tre mesi nella nuova realtà lo avevano tanto indebolito, perché alla fine cedette allo sguardo di Lily e acconsentì a tornare indietro. La stanza era vuota adesso, non c’erano più i parenti che affollavano il letto di Norman Jones, e nemmeno lui era più là. C’era solo un vecchio raggrinzito e rantolante disteso sul letto più vicino alla vetrata. Il padre si voltò verso la porta appena il figlio entrò, lo guardò di sfuggita, poi rivolse lo sguardo altrove. Anche lui era furioso. “Troppo orgoglioso anche per la pietà di un figlio” pensò Severus, alzando un labbro, sprezzante. Si avvicinò e restò in piedi, statuario, accanto al letto. Da lì poté rendersi conto delle effettive condizioni di quell’uomo che si diceva essere suo padre: aveva il respiro pesante e affaticato, la pelle che disegnava il profilo delle ossa, le guance incavate e gli occhi sporgenti e velati di grigio; non aveva più un capello in capo o sul viso, le mani gli tremavano. Non era un bello spettacolo, Severus non avrebbe raggiunto un tale livello di sadismo; non ci riesci più dopo che hai trascorso tre mesi con una bambina di cinque anni. Ma non disse niente, ostinato: doveva essere il padre a parlare per primo, era lui che gli stava facendo un favore, presentandosi lì nonostante tutto. -Che diamine ci fai qua? Puoi anche andartene per me! – sbottò il vecchio, sentendosi osservato e compatito. – Sei contento che sto così? Hai avuto la tua vendetta alla fine, bastardo di un figlio! – -Non ho deciso io di venire, Lily mi ha portato qui, sperando in qualche sorta di riconciliazione strappalacrime prima della tua morte. Non ero d’accordo, ma ci ho provato. – disse lui, altero – Tu sei sempre il solito pezzo di merda, quindi non cambierà mai niente, a quanto pare. Io ti saluto, non credo ci vedremo al tuo funerale. Vaffanculo. – girò i tacchi e se ne andò. Il padre non lo chiamò, rimase zitto a fissare il soffitto, con le rughe della fronte che formavano una “v”, in assenza delle sopracciglia.

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Capitolo 14
*** Vita continua. Vita finisce. ***


 
18 luglio 1997
-Mi dispiace per la scenata di stamattina, Lily –
Lily era stesa affianco a lui, nel letto, le luci spente. Si sentì un rumore di coperte, poi una luce si accese: la donna si era girata su un fianco a guardare il marito, che fissa va il soffitto, nella penombra.
-Ti senti bene, Sev? Mi stai chiedendo scusa? – fece lei, stupita e divertita.
L’uomo non le rispose, continuò a non distogliere lo sguardo, si sentì il rumore della lingua che si stacca dal palato, prima che parlasse di nuovo.
-Non guarirà, vero? –
Lily fu colpita da quella domanda, fece leva sul gomito e si sporse verso di lui, per guardarlo meglio in faccia, ma come al solito non era quella la dimora delle sue emozioni.
-No – rispose, cauta – Ho parlato con uno di quei medici, hanno detto che il cancro è ormai andato troppo oltre le loro capacità di curarlo … - aggiunse, lanciando occhiate furtive al marito, nel vano tentativo di catturarne una reazione.
-E noi possiamo fare qualcosa? Noi possiamo curarlo? –
Lily esitò.
-Non lo so – rispose.
Ci fu silenzio.
-Andrai da lui? Sev, lo andrai a trovare? –
Severus non rispose nemmeno a questa domanda, ma si rigirò nel letto, si tirò la coperta fin sopra la testa  e mormorò un “Buonanotte”.
 
19 luglio 1997
Severus batté il pugno sul legno, si udirono dei passi e la porta si aprì.
La vecchia signora si illuminò alla vista del figlio; lo abbracciò, lo salutò, poi lo fece entrare.
Poco dopo, seduti al tavolo della cucina, l’uomo parlò:
-Lily aspetta un bambino – disse, cercando di caricare quelle parole di una gioia che faticava a trovare nel disordine dei pensieri che gli affollavano la testa in quel momento.
-Un altro bambino! Ma è fantastico, amore! – Eileen, invece, non ebbe difficoltà a rallegrarsi.  Abbracciò un’altra volta il figlio.
-Papà ha un tumore – aggiunse, guardandola negli occhi, per studiarne le reazioni.
Il sorriso della vecchia signora si congelò e si sciolse, le rughe lo seguirono, gli occhi si spensero.
-Lily lo ha visto all’ospedale, quando è andata a ritirare le analisi del test di gravidanza. Ha detto che morirà.-
Eileen era chiaramente intenta a combattere una battaglia interiore, la stessa che stava affrontando il figlio in quel momento. Il rancore, i brutti ricordi, le sofferenze, che loro collegavano a quell’uomo, stavano incrociando la lama con l’affetto (o l’amore, nel caso di Eileen)che pur c’era stato. Ma, sebbene l’affetto secondo i nobili principi della morale, sia notoriamente più forte del rancore, quest’ultimo aveva avuto lunghi anni per crescere e fortificarsi, mentre il primo si era solo perso e indebolito con il tempo. Ma c’è una terza figura, una terza persona che spesso si intromette in queste cose: la compassione. Non è una figura nobile di per sé, perché molte volte prende il posto dell’amore, molte volte si confonde persino con esso, eppure è utile. In questi casi ci si accontenta del buon vecchio “meglio di niente” e sia chi dà, sia chi riceve sa benissimo di non essere oggetto di amore, ma di compassione, di non stare amando l’altro, ma di compatirlo. Poi, certo, a volte l’affetto torna sui suoi passi, si incrocia a metà strada con la pietà e subentra ad essa, ma non sempre. Solo a volte.
 
18 agosto 1997
 
Fu  la compassione a portare Eileen e Severus al capezzale del moribondo Tobias Piton, fu unicamente questa a spingerli a passare le notti in ospedale per un uomo nei confronti del quale provavano solo acredine. Lo stesso Tobias si sentiva  a disagio in loro presenza, soprattutto ai primi tempi, quando ancora riusciva  a leggere nei loro occhi la vera ragione che li aveva portati lì. Poi le cose migliorarono, se così si può dire, perché l’uomo fu progressivamente sempre più imbottito di farmaci, al punto da  arrivare ad avere una scarsa percezione delle circostanze e un pressoché nullo controllo di sé.
Severus si era già informato al S.Mungo, aveva chiesto se per un Guaritore il caso di Tobias fosse curabile, ma  anche quella volta aveva ricevuto una risposta negativa: nemmeno la magia poteva fermare un cancro in uno stato così avanzato.
Così Severus era lì, la notte del 18 agosto del 1997. Stava seduto su una sedia, accanto al padre steso sulla schiena, immobile, che assomigliava sempre di più ad uno scheletro che non ad una persona. Era la prima notte che si trovavano veramente da soli: Norman Jones non c’era più, un arresto cardiaco se l’era portato via poche ore prima, quel pomeriggio. Ora il suo letto era vuoto.
La luna era particolarmente luminosa quella sera, anche se non si poteva vedere da Londra, poiché il cielo era coperto da un velo di nubi,  ma sua luce riusciva comunque a penetrarlo e ad entrare nella stanza.
L’uomo sulla sedia, stava con un libro in mano, cercando di leggere, ma le palpebre si facevano sempre più pesanti; stava iniziando a considerare allettante il letto vuoto al suo fianco. Non fece in tempo a finire quel pensiero, che gli occhi gli si chiusero per un istante, facendogli ondeggiare la testa in avanti.
Tobias iniziò a piangere.
Il suono dei singhiozzi non arrivò subito al figlio, che aveva la mente annebbiata dal sonno, così ci mise un po’ prima di capire che stava veramente piangendo.
Si alzò e si sporse in avanti. Il vecchio aveva la faccia contratta e le lacrime gli scendevano lente sul viso, incanalandosi nei solchi delle rughe e andando a bagnare il cuscino.
-Stai bene? – chiese l’uomo – Vado a chiamare qualcuno? – senza aspettare risposta, si mosse verso la porta.
-No! – guaì il vecchio.
Severus si arrestò e tornò indietro.
-Sei sicuro? –
La risposta fu un altro singulto.
Severus si rimise a sedere.
Il vecchio ansimante si girò faticosamente su di un fianco, con uno sforzo tese la mano e andò in cerca di quella del figlio. Perplesso, questi gliela porse. Con una stretta più salda di quella che ci si potesse aspettare, Tobias gliela ghermì, tremando.
-Ascolta, mi dispiace. Mi dispiace per quello … che ho fatto a te … a Eileen … sono stato un bastardo … - mugolò, aveva una smorfia strana in viso.
Severus lo squadrò come se ci fosse una lastra di vetro a separarli. Troppe volte l’aveva visto così da bambino, quando tornava a casa completamente ubriaco, e stringeva freneticamente lui o la madre, piagnucolando che aveva sbagliato e lo sapeva, che era un pessimo marito e un pessimo padre, che non avrebbe più toccato alcool, che sarebbe cambiato. Ma, chissà perché, arrivava sempre la sera, presto o tardi, in cui quelle promesse erano buttate al vento, e il suo rientro, sbronzo, a casa non era così pacifico. Non gli credeva più ormai, quel vecchio aveva solo paura, perché si era visto morire il povero Norman Jones davanti agli occhi, contorcendosi  a mezzo metro da lui per la mancanza d’aria, e si era ricordato cosa lo aspettava. Probabilmente non era nemmeno più lui a parlare, ma, come l’alcool in tempi passati, ora a suggerirgli quelle parole era il cocktail di farmaci che si era scolato poche ore prima.
-Ho sbagliato tutto … perdonami, Severus … perdonami … - lo guardò, supplichevole, stringendo così forte la mano, da trasmettere il proprio tremolio anche al braccio del figlio.
Severus distolse lo sguardo e liberò la presa.
-Vado a chiamarti qualcuno – si alzò e uscì dalla stanza.
 
30 agosto 1997
 
Il compleanno di Jordan arrivò, puntuale, alla fine dell’estate. Quel giorno compiva undici anni, età seconda per importanza solo al diciassettesimo compleanno per i giovani maghi, ma Jordan non rientrava in questo gruppo. Non aveva dimostrato tracce di magia, nemmeno una, per tutta l’estate. Non era arrivata nessuna lettera per Hogwarts, né il giorno dopo sua figlia avrebbe attraversato quella barriera, salendo sull’ Hogwarts Express.
Jordan non aveva nessuna voglia di festeggiare. E nemmeno Severus.
Il telefono squillò nella notte. Lily era scattata in piedi ed era corsa a rispondere, poi era tornata nella stanza ansante.
La festa di Jojo era affollata di gente che Severus non conosceva: c’erano soprattutto bambini, dell’età della figlia, o più piccoli, che scorrazzavano da una parte all’altri; poi c’erano diversi adulti dalle facce del tutto sconosciute, che dovevano essere i genitori,e infine qualche persona qua e là, più vecchia, o più giovane, che riconobbe come collega o parente suo o di Lily. Petunia non c’era, come era auspicabile. Sua madre c’era ed era seduta in un angolo.
Lily l’aveva svegliato, trafelata, dicendo che Eileen aveva chiamato dall’ospedale,dicendo che Tobias stava malissimo.
Severus si lanciò nella mischia in giardino, abbandonò la casa, e si divincolò tra le persone, non visto, non udito. Fu fermato da una prozia che non ricordava di aver mai visto, poi prese un bicchiere di vino e si sedette ad un tavolo.
L’uomo, mosso da un qualcosa d’altro che la volontà, era schizzato fuori dalle coperte, e si era Smaterializzato così come stava, all’istante.
Osservava con sguardo spento la festa, vedeva le persone e i bambini passargli davanti come macchie di colore sfocate, che sfrecciavano davanti ai suoi occhi. Sentiva le urla lontane.
Si era Materializzato fuori dalle scale, aveva percorso la via che ormai gli era tristemente nota, ed si era precipitato nella stanza numero 478.
Bevve un sorso del contenuto del suo bicchiere, sentì il tocco invitante del vino sulla sua lingua.
Il letto era avviluppato da quattro o cinque figure in bianco, che armeggiavano con strani macchinari e che gridavano ordini. Eileen era seduta sul termosifone, aveva le lacrime agli occhi.
 -Papà, papà! – gridò Alison, adocchiandolo da lontano.  – Sei arrivato! Vieni a giocare!  Vieni a giocare! – iniziò a cantilenare, sbattendo le manine sulle ginocchia del padre.
Severus non trovò subito la voce per risponderle.
Eileen si lanciò incontro al figlio, non appena questi calcò il pavimento della stanza. Lui la strinse a sé, preso dalla concitazione del clima.
-Cosa è successo? – domandò.
-Non … non lo so … devi chiedere a loro … io ero lì … lui ha iniziato a gridare e a dire che non respirava … - singhiozzò la madre.
Alison aveva smesso di agitarsi, adesso, ed era riuscita a fare alzare il padre, tirandolo per la mano. Senza opporre resistenza, questi si lasciò trascinare.
Aveva posto la stessa domanda ai medici, ma loro lo ignorarono. Dopo un po’, arrivò una barella e se lo portarono fuori. 
-Ali, tesoro. Perché non lasci stare papà, che è stanco, e vai a giocare con i tuoi amichetti? – intervenne Lily, appena si accorse della manovra di accalappiamento compiuta dalla figlia.
Eileen e Severus rimasero lì, appoggiati al letto, in silenzio.
L a bambina alla fine si era rassegnata e aveva lasciato andare la mano del padre, tornando dal suo gruppetto di amici. Severus aveva ringraziato Lily con lo sguardo ed era tornato a sedersi.
Un’infermiera riportò indietro quella barella quasi due ore dopo. Sopra, Tobias era solo semicosciente.
La donna lo distese sul letto, poi chiamò in disparte Severus.
Infondo perché doveva stare là a piangere la morte? Lui stesso era già morto. Lui stesso sapeva cosa si provava, sapeva cosa c’era oltre quella vita. Non aveva alcun senso.
L’infermiera parlò chiaro con lui, gli disse che se gli fosse andata bene, Tobias avrebbe visto l’alba. Se ne andò.
Riversò il resto del vino nella sua bocca.
Tobias non l’avrebbe vista l’alba. Eileen e Severus erano seduti accanto a lui, praticamente ad aspettare che morisse. Entrambi iniziavano a sentire l’inquietudine crescere dentro di loro.
Morì due ore dopo, senza riuscire a parlare, senza che potesse scegliere le sue ultime parole. Lanciò solo un ultimo sguardo a quella che un tempo era stata la sua famiglia. Per la prima volta era veramente pentito. Quanto valeva il pentimento di un moribondo? Dipende da quanto lo si vuol far valere. Severus era quello delle seconde possibilità. Quindi la risposta è “molto”.
Il sole scese sull’orizzonte e le luci del giardino si accesero automaticamente. Gli occhi dei presenti si abituarono lentamente alla penombra.
-Ti perdono – mormorò, combattendo contro l’orgoglio.
Il padre morì praticamente in quello stesso istante, non era nemmeno sicuro che avesse sentito quelle parole.
Arrivò il momento della torta e del brindisi in onore della festeggiata. Severus si alzò solo allora dal tavolo, spostandosi accanto a Jordan e levando, assieme a tutti i presenti, il bicchiere.
-Auguri a Jordan! – dissero tutti in coro.
I bicchieri tintinnarono.
Severus non pianse. Tobias spirò e Severus non pianse. Eileen sì, lei stava già piangendo da molto prima.
L’uomo rimase immobile, rigido su quella sedia per un po’, ascoltando solo i mugolii della madre.
Il giardino si svuotò e il porcile che lo ricopriva rimase. Lily tirò fuori la bacchetta e iniziò a riordinare. Severus prese la sua e si unì a lei, senza che questa se ne accorgesse subito.
-Sev, amore, vai, non ti preoccupare. Non ci metto niente  a finire. – disse, esortandolo con un gesto a rientrare in casa, appena lo notò
 -No, va bene. Ti do una mano –
Lily si avvicinò,riponendo la bacchetta.
-Come stai? – sussurrò.
-Ho passato momenti peggiori – rispose, evasivo.
-Amore, va bene se sei triste per quello che è successo. Non c’è niente di male -
-Cosa si prova a morire? – chiese a un certo punto la madre.
Severus alzò lo sguardo, stupito da quella domanda.
-E’ meglio che rimanere – rispose, ma quella era la risposta di un uomo che, morendo, aveva lasciato una vita che non voleva più vivere da tempo.
-C’è qualcosa di là? –
Severus annuì.
L’uomo si scostò da lei.
-Sto bene. Non ti preoccupare. Ora però vado dentro, hai ragione –
Se ne andò.
-Quindi tutto questo non ha senso, piangere per la morte di qualcuno … - fece Eileen. Era una domanda o un’osservazione?
-Forse no – concluse il figlio.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Il fumo di una barca sull'orizzonte ***


30 agosto 1997
 
Severus varcò la soglia di casa, prima che Lily potesse fermarlo ancora, e s’inerpicò su per le scale.
Gradino dopo gradino, arrivò al piano di sopra. Da oltre la porta sulla sua sinistra, proveniva della musica. Era la stanza di Jordan.
Senza un motivo ben preciso, si avvicinò ad essa e aguzzò le orecchie: era Jojo che stava suonando una chitarra. Non l’aveva mai sentita suonare prima, non sapeva nemmeno che suonasse, ma era decisamente brava. Poi la piccola iniziò a cantare, molto a bassa voce, quindi non riusciva a distinguerne le parole, ma non poteva fraintendere il tono. Anche lei era molto triste.
Abbassò la maniglia ed entrò, ma appena Jordan lo vide, s’interruppe.
-Papà – disse, non stava protestando per la sua invasione, stava solo evidenziando la sua entrata nella stanza.
Severus sapeva che anche Jordan aveva bisogno di aiuto, non aveva mai accettato il fatto che la scuola dove si sarebbe diretta l’indomani, non era Hogwarts. Lui non aveva voglia di parlare, ma, da quando era lì, aveva imparato che non sempre i propri bisogno corrispondono con le priorità.
-Ti ho sentito suonare, sei brava – disse.
-Lo so, me lo dici sempre – rispose lei, giocando con le corde della chitarra.
Ci fu del silenzio.
-Come stai? – non era stato Severus a parlare, ma Jordan.
L’uomo fu fulminato dalla domanda, ci mise un attimo di troppo perché la risposta sembrasse credibile
-Bene. Perché me lo chiedi, Jojo? –
-Perché il tuo papà è morto – disse lei, secca, con la vocina caricata di tristezza, gli occhi sulle corde.
Sentirsi dire quelle parole era meno bello di quanto avrebbe mai creduto.
-Chi te l’ha detto? –
-L’ho capito da sola. –
-Ah – fece lui – Ma non devi preoccuparti. Sto bene. –
-Ho sognato che morivi, una volta. – disse, come se non avesse nemmeno ascoltato la risposta del padre. –E’ stato bruttissimo! Quando mi sono svegliata, sono scoppiata  a piangere. Ho pensato che anche tu stavi così … -
In quel momento si rese conto di quanto diversa fosse sua figlia da lui, non perché aveva pianto per un sogno, aveva perso il conto di tutte le volte che era capitato a lui in quegli ultimi vent’anni, ma perché in quel momento, non stava pensando al fatto che non sarebbe andata ad Hogwarts, ma alla sofferenza del padre. Così piccola, e aveva già un cuore così grande. No, non era vero che era uguale a lui, era tutta sua madre.
Severus si doveva essere distratto per un per più di un istante, perché quando tornò a prestare attenzione, notò di non essersi accordo che Jordan si era alzata, per abbracciarlo. Ora gli cingeva la vita con le braccia e le manine erano aggrappate alla sua tunica. La scena gli strappò un mezzo sorriso. Si chinò e se prese in braccio.
Fu solo allora, con la testa nell’incavo del collo del padre, che la piccola iniziò a piangere. L’uomo capì che era arrivato il momento di affrontare la situazione, ma lui non aveva idea di cosa poteva mai consolarla.
Si sedette, con lei ancora in braccio, non sapendo cosa avrebbe fatto. Come sempre, fu Lily a salvarlo. Si affacciò sulla soglia, silenziosa, e vide la scena.
-Amore mio – disse, quando entrò. Si sedette sui talloni, mettendo la propria testa all’altezza di quella di Jordan – Non piangere, piccola. Vuoi venire da mamma? – la bambina scosse la testa, nella spalla del padre. – E allora, ascoltami. Non devi piang … mi guardi? Jojo, mi guardi un secondo? –  Jordan si girò in direzione della madre, riluttante, mentre Severus osservava il maestro al lavoro. Lily si sedette sul letto.
-Jojo, posso capire che sei delusa, ma ora sei una bimba grande. Hai undici anni e queste cose sei in grado di capirle. Non è colpa tua, né nostra, né di nessun altro se non hai mostrato segni di magia. È successo e basta. Mi stai capendo? – la bambina annuì e si protese verso la madre. La donna la accolse  a sé e se la mise seduta sulle gambe, in modo che potessero guardarsi in faccia – A volte capitano delle cose brutte, anche molto più brutte di questa – le asciugò una lacrima che le scendeva giù per la guancia – E noi non possiamo fare altro che accettarle e reagire. Piangere non servirà a niente, cucciola mia, purtroppo. È giusto che tu sappia questo, non vogliamo raccontarti bugie – Jordan annuì, senza riuscire, però, a fermare i lacrimoni – Ehi, no, non devi fare così! Se ti è successo questo, ci sarà un motivo! - Prese la chitarra per un manico – Chissà, magari sei destinata a diventare una rock star! Si sa, il rock Babbano è tutta un’altra cosa! Sarà che non hanno le chitarre elettriche, ma i maghi quel rock non lo sanno decisamente fare! – la bambina s’illuminò un poco, e le scappò da ridere – Anzi, diciamolo, sono proprio delle schiappe! – sussurrò Lily, giocosa.
-E’ vero – ridacchiò Jordan.
-Hai visto? Ti è tornato il sorriso! Come sei bella così! Allora vada per la rock star? – fece l’occhiolino – Mi raccomando, non ti dimenticare dei tuoi genitori, quando diventi famosa! Mi prenoto già un autografo! – scherzò la donna.
-Va bene –
-Anzi, ho un’idea! Perché non prendiamo anche un maestro di chitarra? Così diventerai proprio bravissima! Domani io e papà andiamo subito in cerca di uno! – fece, propositiva.
-Sì! – esclamò Jordan, entusiasta – Sì, ti prego! –
-Non c’è bisogno che mi preghi, te l’ho già promesso! Anzi facciamo un giuramento ufficiale! – le porse la mano – A fare fatto? Accetti? –
-Accetto! – s’impettì Jordan.
-Bene, ora vado a finire di togliere i tavoli dal giardino, non fate tardi! -
Lily uscì.
Severus non smetteva mai di sbalordirsi di fronte alla sconfinata maestria di quella donna. C’era riuscita! Era riuscita a calmare Jordan!
Nel frattempo la bambina aveva imbracciato di nuovo la chitarra.
-Vuoi sentire una canzone? –
Severus si scosse.
-Sì – fece, cercando anche lui di mettervi un po’ d’entusiasmo.
-Questa me l’ha fatta sentire mamma, però so solo il ritornello –
-Come si chiama? – chiese.
-Comfortably numb – rispose.
Si raddrizzò a sedere, impugnò meglio la chitarra, poi fece cadere il plettro sulle corde e iniziò a suonare. La musica riempì lo spazio che c’era tra loro. Due, tre accordi, poi prese a seguire la melodia con la voce: non sapeva esattamente cantare, aveva una voce timida, un po’ roca, la voce di un qualsiasi altro comune mortale, eppure a Severus parve molto bella.
Le parole raggiunsero l’uomo:
 
There is no pain, you are receding 
 A distant ship's smoke on the horizon 
You are only coming through in waves 
Your lips move 
But I can't hear what you're saying
 

Ogni singola lo colpì dritto in faccia.
 
I can't explain 
You would not understand 
This is not how I am 
I... Have become comfortably numb 

 
-Ecco, so suonare fino a qui – fece la bambina, interrompendo bruscamente il motivo.
Severus si ritrovò per la terza volta in ritardo sulla risposta. Le parole che aveva cantato Jordan ridondavano nella sua testa, come il rintocco cupo di una campana.
-E’ bella – disse, automaticamente, sentendo il suono della sua stessa voce attutito, oscurato dalla canzone ancora nella sua mente.
 
Lily non tornò a letto prima di un’altra mezz’ora. Severus era steso da solo, tra le coperte.
 
Non c’è dolore, ma ti stai allontanando
Come il fumo di una nave distante sull’orizzonte
Arrivi solo ad ondate
Le tue labbra si muovono
Ma non riesco a sentire cosa stai dicendo
Non riesco a spiegarmi
Io non sono così
Sono diventato piacevolmente impassibile.
 
E suonava ancora e ancora, come un giradischi rotto, come un carillon senza una fine.30 agosto 1997
 
Severus varcò la soglia di casa, prima che Lily potesse fermarlo ancora, e s’inerpicò su per le scale.
Gradino dopo gradino, arrivò al piano di sopra. Da oltre la porta sulla sua sinistra, proveniva della musica. Era la stanza di Jordan.
Senza un motivo ben preciso, si avvicinò ad essa e aguzzò le orecchie: era Jojo che stava suonando una chitarra. Non l’aveva mai sentita suonare prima, non sapeva nemmeno che suonasse, ma era decisamente brava. Poi la piccola iniziò a cantare, molto a bassa voce, quindi non riusciva a distinguerne le parole, ma non poteva fraintendere il tono. Anche lei era molto triste.
Abbassò la maniglia ed entrò, ma appena Jordan lo vide, s’interruppe.
-Papà – disse, non stava protestando per la sua invasione, stava solo evidenziando la sua entrata nella stanza.
Severus sapeva che anche Jordan aveva bisogno di aiuto, non aveva mai accettato il fatto che la scuola dove si sarebbe diretta l’indomani, non era Hogwarts. Lui non aveva voglia di parlare, ma, da quando era lì, aveva imparato che non sempre i propri bisogno corrispondono con le priorità.
-Ti ho sentito suonare, sei brava – disse.
-Lo so, me lo dici sempre – rispose lei, giocando con le corde della chitarra.
Ci fu del silenzio.
-Come stai? – non era stato Severus a parlare, ma Jordan.
L’uomo fu fulminato dalla domanda, ci mise un attimo di troppo perché la risposta sembrasse credibile
-Bene. Perché me lo chiedi, Jojo? –
-Perché il tuo papà è morto – disse lei, secca, con la vocina caricata di tristezza, gli occhi sulle corde.
Sentirsi dire quelle parole era meno bello di quanto avrebbe mai creduto.
-Chi te l’ha detto? –
-L’ho capito da sola. –
-Ah – fece lui – Ma non devi preoccuparti. Sto bene. –
-Ho sognato che morivi, una volta. – disse, come se non avesse nemmeno ascoltato la risposta del padre. –E’ stato bruttissimo! Quando mi sono svegliata, sono scoppiata  a piangere. Ho pensato che anche tu stavi così … -
In quel momento si rese conto di quanto diversa fosse sua figlia da lui, non perché aveva pianto per un sogno, aveva perso il conto di tutte le volte che era capitato a lui in quegli ultimi vent’anni, ma perché in quel momento, non stava pensando al fatto che non sarebbe andata ad Hogwarts, ma alla sofferenza del padre. Così piccola, e aveva già un cuore così grande. No, non era vero che era uguale a lui, era tutta sua madre.
Severus si doveva essere distratto per un per più di un istante, perché quando tornò a prestare attenzione, notò di non essersi accordo che Jordan si era alzata, per abbracciarlo. Ora gli cingeva la vita con le braccia e le manine erano aggrappate alla sua tunica. La scena gli strappò un mezzo sorriso. Si chinò e se prese in braccio.
Fu solo allora, con la testa nell’incavo del collo del padre, che la piccola iniziò a piangere. L’uomo capì che era arrivato il momento di affrontare la situazione, ma lui non aveva idea di cosa poteva mai consolarla.
Si sedette, con lei ancora in braccio, non sapendo cosa avrebbe fatto. Come sempre, fu Lily a salvarlo. Si affacciò sulla soglia, silenziosa, e vide la scena.
-Amore mio – disse, quando entrò. Si sedette sui talloni, mettendo la propria testa all’altezza di quella di Jordan – Non piangere, piccola. Vuoi venire da mamma? – la bambina scosse la testa, nella spalla del padre. – E allora, ascoltami. Non devi piang … mi guardi? Jojo, mi guardi un secondo? –  Jordan si girò in direzione della madre, riluttante, mentre Severus osservava il maestro al lavoro. Lily si sedette sul letto.
-Jojo, posso capire che sei delusa, ma ora sei una bimba grande. Hai undici anni e queste cose sei in grado di capirle. Non è colpa tua, né nostra, né di nessun altro se non hai mostrato segni di magia. È successo e basta. Mi stai capendo? – la bambina annuì e si protese verso la madre. La donna la accolse  a sé e se la mise seduta sulle gambe, in modo che potessero guardarsi in faccia – A volte capitano delle cose brutte, anche molto più brutte di questa – le asciugò una lacrima che le scendeva giù per la guancia – E noi non possiamo fare altro che accettarle e reagire. Piangere non servirà a niente, cucciola mia, purtroppo. È giusto che tu sappia questo, non vogliamo raccontarti bugie – Jordan annuì, senza riuscire, però, a fermare i lacrimoni – Ehi, no, non devi fare così! Se ti è successo questo, ci sarà un motivo! - Prese la chitarra per un manico – Chissà, magari sei destinata a diventare una rock star! Si sa, il rock Babbano è tutta un’altra cosa! Sarà che non hanno le chitarre elettriche, ma i maghi quel rock non lo sanno decisamente fare! – la bambina s’illuminò un poco, e le scappò da ridere – Anzi, diciamolo, sono proprio delle schiappe! – sussurrò Lily, giocosa.
-E’ vero – ridacchiò Jordan.
-Hai visto? Ti è tornato il sorriso! Come sei bella così! Allora vada per la rock star? – fece l’occhiolino – Mi raccomando, non ti dimenticare dei tuoi genitori, quando diventi famosa! Mi prenoto già un autografo! – scherzò la donna.
-Va bene –
-Anzi, ho un’idea! Perché non prendiamo anche un maestro di chitarra? Così diventerai proprio bravissima! Domani io e papà andiamo subito in cerca di uno! – fece, propositiva.
-Sì! – esclamò Jordan, entusiasta – Sì, ti prego! –
-Non c’è bisogno che mi preghi, te l’ho già promesso! Anzi facciamo un giuramento ufficiale! – le porse la mano – A fare fatto? Accetti? –
-Accetto! – s’impettì Jordan.
-Bene, ora vado a finire di togliere i tavoli dal giardino, non fate tardi! -
Lily uscì.
Severus non smetteva mai di sbalordirsi di fronte alla sconfinata maestria di quella donna. C’era riuscita! Era riuscita a calmare Jordan!
Nel frattempo la bambina aveva imbracciato di nuovo la chitarra.
-Vuoi sentire una canzone? –
Severus si scosse.
-Sì – fece, cercando anche lui di mettervi un po’ d’entusiasmo.
-Questa me l’ha fatta sentire mamma, però so solo il ritornello –
-Come si chiama? – chiese.
-Comfortably numb – rispose.
Si raddrizzò a sedere, impugnò meglio la chitarra, poi fece cadere il plettro sulle corde e iniziò a suonare. La musica riempì lo spazio che c’era tra loro. Due, tre accordi, poi prese a seguire la melodia con la voce: non sapeva esattamente cantare, aveva una voce timida, un po’ roca, la voce di un qualsiasi altro comune mortale, eppure a Severus parve molto bella.
Le parole raggiunsero l’uomo:
 
There is no pain, you are receding 
 A distant ship's smoke on the horizon 
You are only coming through in waves 
Your lips move 
But I can't hear what you're saying
 

Ogni singola lo colpì dritto in faccia.
 
I can't explain 
You would not understand 
This is not how I am 
I... Have become comfortably numb 

 
-Ecco, so suonare fino a qui – fece la bambina, interrompendo bruscamente il motivo.
Severus si ritrovò per la terza volta in ritardo sulla risposta. Le parole che aveva cantato Jordan ridondavano nella sua testa, come il rintocco cupo di una campana.
-E’ bella – disse, automaticamente, sentendo il suono della sua stessa voce attutito, oscurato dalla canzone ancora nella sua mente.
 
Lily non tornò a letto prima di un’altra mezz’ora. Severus era steso da solo, tra le coperte.
 
Non c’è dolore, ma ti stai allontanando
Come il fumo di una nave distante sull’orizzonte
Arrivi solo ad ondate
Le tue labbra si muovono
Ma non riesco a sentire cosa stai dicendo
Non riesco a spiegarmi
Io non sono così
Sono diventato piacevolmente impassibile.
 
Tobias spirò e Severus non pianse. 
E suonava ancora e ancora, come un giradischi rotto, come un carillon senza una fine.

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Capitolo 16
*** Halloween ***


31 ottobre 1997
 
-Papà, sei pronto? – chiese la vocina di Alison da oltre la porta.
-Mi stai dicendo che dovrei indossare questa roba? – sibilò Severus.
-No, amore, cinque minuti e arriva! – fece Lily, ad alta voce, rispondendo prima alla bambina – Lo fai ogni Halloween! – disse poi, rivolta al marito.
La donna stava reggendo una gruccia con appesi una calzamaglia celeste e un panciotto dorato.
-Stai scherzando, spero! – protestò, orripilato a quella vista.
-Dai, Sev, sono seria! Fallo per Ali, se lo aspetta da te! Devi fare il suo principe come ogni anno! –
-Ma come ti è saltato in mente di mettere in mezzo una tradizione simile?! –
-E’ stato per convincerla ad uscire come tutti gli altri bambini. Quando era piccola aveva sviluppato una strana fobia, non voleva quasi più andare fuori di casa, così abbiamo approfittato di Halloween per trascinarla all'aperto, con la scusa del travestimento. Adesso sta bene, come puoi vedere, ma è rimasta molto legata a questa tradizione … - rispose Lily, mordendosi un labbro e porgendo di nuovo i vestiti a Severus.
-Papà! Insomma! E’ tardi! –
-Non potresti farlo tu? – chiese il marito, implorante.
La donna gli rispose con un’occhiata molto più che eloquente.
-Ma non posso farmi vedere in giro con questi cosi addosso! –
-A parte che lo hai già fatto – puntualizzò Lily – Ma poi cosa ti importa! Vedrai che ti diverti! –
-Hai una visione distorta e malata del concetto di divertimento– rispose Severus, strappandole di mano i vestiti.
-Be’, io mi diverto!  – rise Lily.
Severus la guardò, torvo.
-Ahahah! Non dimenticare di cambiarti il colore di capelli! Ali non ti vuole, se non sei un bel principe dai capelli biondi! – concluse, uscendo dalla stanza.
 
Severus si presentò sul pianerottolo, al cospetto della figlia, dieci minuti dopo, con un’espressione tutt’altro che gioviale in viso. Lily, che lo stava malvagiamente aspettando sulla soglia, si fece scappare da ridere, appena vide il marito, sempre serio e vestito in nero, imbellettato in un panciotto luccicante.
-Ecco a voi il vostro cappello e la vostra spada, messere – fece, porgendogli quanto detto, cercando, con scarsi risultati, di rimanere seria.
Alison, che a sua volta indossava un abito principesco, si avvicinò al padre e, con il cestino pronto ad accogliere caramelle e dolciumi in una mano, lo prese sotto braccio.
-Jojo, sei pronta? – chiamò Lily.
-Sì, arrivo! –
Dalla stanza affianco, uscì un’altra bambina, più grande, che sembrava essere diretta ad un concerto rock degli anni ottanta: aveva un pantalone e uno smanicato di pelle, i capelli neri tutti scompigliati sul capo e trucco pesante su occhi e labbra.
-Sei fantastica! – fece la madre – Ma non dimenticare la chitarra! –
-Giusto! La vado a prendere. -
Quando Jordan ebbe recuperato la sua chitarra,furono finalmente pronti ad inoltrarsi per strada.
-Tu non vieni? – sibilò Severus.
-Qualcuno deve pur accogliere i bambini che verranno a bussare qui – fece lei, scrollando le spalle.
-Hai detto bene, “bambini”, perché tali dovrebbero essere quelli che vanno in giro per le case, travestiti, ad Halloween! –
-Ah, non fare sempre il brontolone, Severus Piton!  Vedila così, siccome tu non sei mai stato bambino, stai recuperando! – gli fece l’occhiolino e lo baciò – Vai, andate, prima che sia troppo tardi e le caramelle finiscano! – disse, salutandoli sulla soglia.
Il tour dell’intero vicinato durò due ore, nelle quali riuscirono a coprire ogni singola zona del quartiere, assicurandosi che nemmeno una casa mancasse di osservare le calzamaglie turchine di Severus. Alison era a capo della spedizione e strattonava il padre da una parte all’altra, trascinandolo, assieme alla sorella, da una porta all’altra. Non mancarono i complimenti per la bellezza della piccola, o le volte in cui fu chiesto a Jojo di intonare un pezzo alla chitarra, così come furono inevitabili sguardi, risolini e battute marcate da uno spiccato livello di degrado mentale sulle condizioni di Severus. Molte vite furono risparmiate solo grazie alla saggezza di Lily, che aveva tassativamente proibito al marito di portare la bacchetta con sé.
Alle dieci e mezza, approdarono sull’ultima soglia: quella di casa loro. I cestino a forma di zucca delle due bambine erano ricolmi di dolciumi, che avevano entrambe già iniziato a sgranocchiare sulla strada del ritorno.
-Chi è? –
-Siamo noi, mamma! – rispose Alison.
-Ah, eccovi tornati! – li accolse – Com’è andata? Avete accumulato un bel bottino? –
-Sì, guarda! – entrambe le figlie le mostrarono il risultato delle loro fatiche.
La madre si mostrò stupita ed estatica di fronte all’enorme ammontare di caramelle, poi entrarono tutti in casa.
-Sirius! – gridò Alison, appena attraversò l’ingresso e vide l’uomo nella cucina.
-Ali! Ciao, come stai? – fece lui, andandole in contro di filato e prendendola in braccio – Ma che bella principessa che sei! Ehi, ciao Jojo! – e salutò anche l’altra bambina, che sembrava molto meno entusiasta di vederlo.
Jordan, infatti, gli rispose con un “ciao” vitale quanto una foglia morta e si defilò su per le scale.
Severus, paralizzato sulla soglia, era stato colto da un profondo moto di orgoglio per la figlia più grande, nonché da uno spiccato desiderio di poterla imitare e  sparire prima che Black potesse  vederlo.
-Sirius, Lois dov’è? – chiese Ali.
-Nel salotto, a riempirsi la pancia di caramelle –
Senza dire altro, la bambina andò dove indicato, lasciando libera l’attenzione di Sirius, che si andò così a posare su un Severus che aveva silenziosamente attuato una manovra di defilamento.
-Mocciosus! Vedo che la calzamaglia non manca mai! – disse, più ad alta voce del necessario – Com’è andata la caccia di dolcetti? Hai fatto man bassa? –
L’uomo gli regalò un sorriso sprezzante, ma fu Lily a protestare al posto suo.
-Sirius, non incominciare! Almeno non con me davanti! State proprio peggiorando, ragazzi, prima riuscivate a tenere meglio il gioco! –
-Mi stavo solo complimentando per il travestimento! Mi piace molto la tinta di biondo che ha scelto quest’anno, ha un non so che di affascinante, non trovi anche tu? –
-Io trovo che sarà affascinante osservare la scientifica tentare di risalire alle cause del tuo decesso, una volta che avrò finito con te, se non stai zitto –
-Ah, andiamo subito sul pesante, stasera, Mocciosus? Siamo di cattivo umore? La fata turchina ti ha abbandonato nel bosco da solo? –
-Sì, infatti, la stavo cercando e, guarda un po’, credo di averla appena ritrovata? Perché te ne sei andata? – disse, indirizzandosi sempre a Sirius.
-Severus e Sirius, adesso basta. Direi che si è fatto tardi, quindi è meglio che tu e Lois andiate … -
-Sì, meglio così – disse a denti stretti, andando a recuperare la figlia – Ma non finisce qui, caro il mio Principe Mezzosangue …  -
 
-Sono fiera di te – disse Lily.
Era entrata nella loro camera da letto, richiudendosi la porta alle spalle.
Severus aveva ammassato i vestiti da principe sul letto e ora stava armeggiando con la bacchetta per tornare al proprio colore di capelli originale.
La donna gli si avvicinò e gli diede un bacio.
-Stai bene, lo sai, con i capelli biondi? – scherzò – Ti danno un’aria più allegra, tienili così un altro po’! –
-Sì, assieme al cappello con la piuma, magari! – rispose, sardonico.
-Sempre il solito! Sembri già vecchio, è bello cambiare qualche volta! – affermò, mettendo mano al gomitolo di abiti che stava sul letto – Non ti piacerebbe  se io mi tingessi i capelli di biondo? O se mi facessi castana? – disse, in tono provocatorio.
-Non ci provare nemmeno! – fece lui con forza, mentre aveva successo e riusciva a togliersi quel terribile colore dorato dalla testa.
Lily sbuffò – Ah, sei noioso! Almeno ti sei divertito, stasera? –  disse, infilandosi sotto le coperte.
-Ho fatto divertire gli altri, è diverso –
-Probabile –
Severus non rispose, ma si soffermò per un attimo di troppo davanti allo specchio, quindi posò la bacchetta e la seguì a letto.
-E’ stato comunque il miglior Halloween che io ricordi – mormorò.
Lily lo guardò, incredula.
-Stai dicendo sul serio? Non ti è mai piaciuto molto Halloween, soprattutto da tre anni a questa parte. O almeno non lo avevi mai ammesso prima … –
-Sì, ma io non ho passato gli ultimi Halloween da queste parti, lo sai. Nella mia realtà, lo odiavo. –
Lily si girò su un fianco – Addirittura! Perché? –
-Brutti ricordi … - rispose, vago, spegnendo la luce.

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Capitolo 17
*** Let it snow! ***


25 dicembre 1997
 
La finestra della stanza era ricoperta da una sottile patina di ghiaccio, che brillava, attraversata dai tenui raggi del sole d’inverno. Era mattino presto, le otto e mezza al massimo, ma a casa Piton non c’era un’anima che dormisse.
-Mamma! Papà! I regali! È arrivato Babbo Natale? È arrivato Babbo Natale? – stava gridando una bambina dai capelli neri, prendendo a manate la spessa coperta del letto dei due malcapitati genitori. –Andiamo! Andiamo! –lato del letto, si era lasciata prendere anche lei da un raro momento di entusiasmo e stava cercando di scoprire la madre, tirando a sé il piumone.
-Sì! I regali! I regali! – stava civettando anche lei.
Dopo cinque minuti di inutili e vane proteste, i due si alzarono, Alison cacciò nelle loro mani i berretti natalizi e scappò eccitata giù per le scale.
-Aspetta, Ali! – sbadigliò Lily, infilandosi le pantofole – Tutti assieme! Torna qui! –
Se la bolgia mattutina, a cui Severus si era ormai assuefatto, era considerata da manicomio, allora il momento dell’apertura dei regali di Natale avrebbe fatto impallidire il caos primordiale. Da quando scortarono le due figlie nella stanza, facendo aprire loro gli occhi, non si capì più nulla: Alison si scagliò sul primo dei pacchi regalo come fosse una fiera famelica e iniziò a scartare qualsiasi cosa le capitasse per le mani; Jordan intanto le stava dietro, cercando di afferrare più pacchetti possibile, prima che capitassero tra le grinfie della sorella. Ben presto ebbero inizio i litigi e le urla di “Quello è mio! Perché lo hai aperto tu?”, placati dal pronto intervento di Lily, con la minaccia di far Evanescere tutto. Lei e Severus intanto facevano le iene della situazione, raccoglievano i resti e le carcasse e cercavano di ritrovare i regali destinati a loro in quel marasma. Presto si aggiunsero suoni di giocattoli, la chitarra collegata al nuovo amplificatore di Jordan, le bamboline con la voce inquietante di Ali e le musichette natalizie delle lucine di Natale.
Lily si andò a sedere sul divano, vicino a Severus. Aveva un pacchetto in mano, era ancora integro, evidentemente era sfuggito allo scanner di Ali.
-Buon Natale,amore – glielo porse.
Severus sorrise, in particolare dentro: negli ultimi vent’anni, gli unici regali di Natale che aveva ricevuto erano quelli di Silente.
Lo scartò: era un kit di sedici provette e misurini in cristallo purificato. Era incredibile!
-Lily, come hai fatto a trovarle? Grazie! – disse, entusiasta – Aspetta, ho anche io qualcosa per te … solo che … era lì sotto … - indicò preoccupato l’albero di Natale.
-Ah, giustamente non potevi saperlo … sono anni che non mettiamo più i nostri due regali là sotto, abbiamo rinunciato da tempo ad avere il diritto di avvicinarci lì …  Vieni, dai,vediamo se riusciamo a trovarlo … -
Perché lo ritracciassero, Severus dovette Appellarlo; solo perdizione era dov’erano passate Ali e Jojo.
Per quel regalo, Severus si era messo d’impegno: aveva scovato una vecchia formula che permette di distillare un pietra cristallina dell’esatto colore desiderato. Gli era bastato procurarsi una lacrima di Lily e ne aveva prodotta una esattamente del verde dei suoi occhi. Quella pietra ora, agganciata ad una collana, era al collo di Lily, che stava ringraziato commossa il marito, con un bacio.
Quando l’assalto era ormai finito da ore e l’appetito iniziava ad avere la meglio sull’interesse per i nuovi giocattoli, arrivarono Sirius e Loise e il pranzo poté cominciare.
Tralasciando il regalo volutamente provocatorio (un reggiseno e un tanga di pizzo) di Sirius a Lily, qualche tagliente scambio di opinioni tra questo e Severus e la parte di capelli di Sirius che prese fuoco in seguito alla consegna dei doni, andò tutto bene. Severus e Jordan passarono la maggior parte del tempo a lanciare occhiate di fuoco all’uomo dai capelli neri (e in parte carbonizzati) e a scambiarsi sguardi di complice disprezzo; Lily e Sirius chiacchierarono tranquillamente per tutto il pranzo; Loise si concentrò prevalentemente sul cibo e Alison non lasciò perdere una singola occasione per non dare aria alla bocca, bruciando all’istante ogni singola caloria che immetteva, a furia di muoversi e scappare qua e là.
Verso le quattro i tre adulti erano ancora tutti a tavola, mentre per i bambini erano state sciolte le righe.
Severus fu salvato dieci minuti più tardi dal campanello.
-Vado io – si affrettò a dire, alzandosi prima ancora di aver finito di parlare.
Tessendo le lodi del beneamato visitatore aprì la porta: - Silente! –
-Severus! Da quanto tempo! Buon Natale, ragazzo mio! – e per fare qualcosa di nuovo, lo abbracciò.
-Cosa ti porta da queste parti? – disse lui, facendogli spazio per farlo entrare.
-Solo il desiderio di augurare a tutti voi un buon Natale,  e poi volevo sapere come stavano andando le cose, Severus –
-Bene, Silente, vieni, sediamoci in salotto un minuto – disse, portandolo lontano dalla porta della cucina.
Lasciò che i vecchio si sedesse sul divano, mentre lui si mise sulla poltrona di fronte, poi si sentì chiedere.
-Allora, come va? –
-Va tutto benissimo – era bello poterlo dire della propria vita, non aveva mai provato quest’ebbrezza, lui. – E’ incredibile stare qui, Silente. –
-Come sono andati questi mesi? –
-Bene. Insomma, le mie figlie stanno bene, anche se Jordan non ha dimostrato tracce di magia, Lily è incinta, mio padre è morto, mia madre è viva –
Silente si trovò messo davanti ad un tale numero di notizie, così differenti tra loro, che non seppe cosa rispondere su due piedi.
-Non ti devi preoccupare per Jordan, non c’è nulla di male! –
-Lo so questo, ma ovviamente lei ha dovuto incassare un brutto colpo –
-E mi dispiace per tuo padre, ma sono contento che tua madre sia viva – sorrise, un sorriso bilanciato, che potesse andare d’accordo con entrambe le frasi che aveva appena detto. – Ma hai detto che Lily aspetta un bambino! È fantastico! Vieni qua, fatti abbracciare un’altra volta! –
-Sì, è un maschietto – disse la voce di una donna, era Lily che era entrata nella stanza, assieme al suo pancione e a Sirius.
Si scambiarono i convenevoli, davanti ad un Severus recante in faccia un’espressione di disappunto più puro, poi Lily continuò.
-Siamo pensando di chiamarlo Paul. Almeno io voglio chiamarlo Paul, Severus vorrebbe chiamarlo David, Jordan Robert e Alison Paperino. Sarà una dura lotta. –
Tutti risero.
-Perché non Albus, a me sembra un bel nome! – propose il vecchio, scherzando.
-Ecco, Lily, lui non è tanto lontano dalla retta via – intervenne Sirius – Sono convinto che, in qualità di futuro padrino, si necessario che si chiami Sirius Piton – disse, sottolineando con perfidia l’ultima parola, lanciando uno sguardo provocatorio a Severus.
-Non ti immischiare, Black. Piuttosto, perché non vai a farti un giro del vicinato e pensi ai tuoi di figli, chissà quanti ce ne saranno sparsi un po’ ovunque! –
-Potrei fare una battuta molto cattiva, adesso, Mocciosus, ma è Natale e mi sento buono, quindi starò zitto … - sorrise.
Severus respirò pericolosamente.
-Ecco, bravo, Sirius, non farla, perché tanto lo sai che non è vero. Amore, tu calmati, adesso. La vuoi una camomilla? Avanti, ha ragione, è Natale oggi! –
-E’ bello vedere che certe cose non cambiano mai! – fece Silente, ricevendo le occhiate confuse di Sirius e Lily e quella consapevole di Severus.
-Va bene, noi vi lasciamo soli … andiamo, Sirius – e se lo tirò via.
-Allora, mi dovevi dire qualcosa in particolare? –
Il vecchio esitò, sembrò pensarci su.
-Oh no, solo volevo sapere: nessun ripensamento? –
-Hai una domanda meno stupida di riserva a cui posso rispondere, oppure sono obbligato a dare una risposta  a questa? – fece, mellifluo.
-Okay, ho capito – disse lui, facendo un sorriso complice.
Si alzò e disse che doveva andare, aveva ancora molti auguri da fare e il tempo era poco. Andarono alla porta e Silente si Smaterializzò, lasciandogli il solito pacchetto regalo, con la carta rossa decorata con tanti piccoli baffi di Babbo Natale.
-Non aprire il biglietto – aveva detto.

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Capitolo 18
*** S.Mungo ***


25 dicembre 1997
Severus non aprì il biglietto.
Ma quella non era stata una scelta dettata dalla volontà, bensì dalla necessità: ebbe a stento il tempo di scartare il pacco regalo (un libro e un paio di calzini di lana), che da sopra s’udì un’esplosione.
Ci fu un attimo di silenzio in tutta la casa, attimo in cui tutti rimasero paralizzati, poi Severus scaraventò tutto quanto aveva in mano e si caracollò di sopra. Dietro di lui sentiva i passi affrettati di Sirius e Lily. Sopra di lui sentiva qualcuno piangere e gridare.
Spalancò la porta della stanza dove stavano giocando tutte e tre le bambine e fu investito dal fumo. Con un movimento fulmineo della bacchetta lo fece sparire, riuscendo a vedere chiaramente cosa fosse successo: l’amplificatore di Jordan era esploso per qualche strano motivo e le tre bambine erano state investite dalla deflagrazione. Jordan era stesa sul pavimento, priva di sensi, con il volto e le membra bruciate e i vestiti ancora fumanti, Ali, che era la più lontana, era seduta  a terra, spalle a muro, e piangeva, guardandosi le mani escoriate dal calore, Loise era stesa sul pavimento, non lontano dal punto dell’esplosione, aveva il petto che sussultava e stava singhiozzando.
Lily gridò alle sue spalle, la sentì iniziare a piangere, ma lui mantenne la calma e non perse di lucidità. Si lanciò su Jordan, che era chiaramente quella che aveva bisogno di un soccorso più immediato, poi ordinò, senza gridare: - Lily, prendi Alison. Black, prendi tua figlia. Ci vediamo al S.Mungo. –
Non finì di parlare che si Smaterializzò.
Tenendo la figlia in braccio, apparve nella hall dell’ospedale e si precipitò verso il banco accettazione.
-Dov’è il pronto soccorso? –
-Continuando alla sua sinistra – rispose repentina l’impiegata, indicandogli la direzione da seguire.
L’uomo si fiondò oltre la porta, con Lily e Sirius ormai alle calcagna. Fortunatamente un Guaritore li intercettò in pochi istanti, Appellò tre barelle e le spedì in due direzioni diverse. Mandò una Guaritrice a seguire Ali e Loise, mentre lui andò dietro a Jordan.
-Cosa è successo? – chiese quello, mentre a passo spedito percorreva il corridoio con il padre della bambina.
-Stava suonando la chitarra ed è esploso l’amplificatore –
Il Guaritore non sembrò sorpreso dalla storia singolare, ma borbottò qualcosa contro “i maledetti inaffidabili aggeggi Babbani”.
Arrivarono davanti ad una porta con la targhetta “Rianimazione”. L’uomo entrò, dicendo a Severus di aspettare là. Si chiuse la porta alle spalle.
Severus si scaraventò su una delle sedie messe lì davanti, imprecando. Adesso che l’adrenalina stava calando, iniziavano a sopraggiungere l’inquietudine e i pensieri. Si prese la faccia tra le mani e si concentrò al massimo, facendo appello a tutte le sue capacità di Occlumante.
 Fu inutile.
Non era come fare il doppio gioco con Voldemort. Non si trattava di nascondere informazioni o piani strategici. Qui si trattava delle sue bambine.
Non c’era traccia di Lily, evidentemente era rimasta con Alison, a consolarla. Ebbe l’egoistico pensiero di aver più bisogno lui di lei, che non la figlia. Lo cancellò, perché era un pensiero marcio, che gli seccava anche solo aver avuto per la mente. Eppure avrebbe desiderato non stare da solo lì ad aspettare.
Il vetro della sala in cui avevano portato Jojo era opaco, non si vedevano persone, ma ombre, che si muovevano freneticamente da una parte all’altra della stanza. Non si sentiva nulla.
E così a Severus non restò che aspettare. Da solo. Briglie del panico alle mani, aspettava.
-Ehi, Piton – chiamò una voce disgustosa dalla sua destra – Lily mi ha mandato a cercarti. Come sta Jordan?-
L’uomo si arrestò immediatamente sopra di lui.
Severus si massaggiò la fronte con due dita.
-I cazzi tuoi mai, Black? – sibilò.
-Guarda che Lily vuole saperlo. E anche io, in verità. Scusa se mi sono interessato a tua figlia. –
-Come sta Ali? – disse, come se non avesse sentito una parola di quello che aveva detto Sirius.
-Sta bene. Anche Loise non si è fatta niente, grazie per l’interessamento – fece sarcastico – Adesso Lily le ha portate a comprare dei dolci –
Severus sentì una piccola parte del peso che aveva dentro volatilizzarsi. Ma il resto era ancora tutto lì.
-Allora, cosa le devo dire? – chiese, iniziando a spazientirsi.
-Di venire qua –
-Come vuoi tu, Mocciosus – concluse e se ne andò.
La figura di una donna in dolce attesa, con i capelli rossi, attraversò il corridoio cinque minuti più tardi.
Severus si alzò, le andò in contro e la abbracciò.
-Sev, dov’è Jordan? Come sta? – disse, con la voce tremante, nella sua spalla.
-Non lo so come sta, Lily. È lì dentro. – e indicò la stanza “Rianimazione”.
La donna seguì il dito dell’uomo, poi tornò a guardare spaventata il marito.
-Vuoi dire che non si è ancora svegliata? –
-Non lo so –
Gli occhi verdi di lei erano lucidi e le lacrime tornarono a scendere sulle guancie già salate.
-Come diavolo fai a stare così calmo?! Voglio sapere come sta! – si avventò sulla porta e bussò forte. Severus le fermò il braccio.
-Lily, potresti disturbarli. Stai ferma. –
-Non mi interessa! Voglio sapere se la mia bambina sta bene! – gridò, facendosi prendere dal panico.
-Calmati, adesso. Vieni a sederti con me. Possiamo solo aspettare. –
-Non dirmi di stare calma, o ferma o quello che diavolo vuoi tu! È di Jordan che stiamo parlando! – sbraitò, sbracciandosi.
-E cosa otterresti sapendo come sta? Se fossero già in grado di dircelo, tu credi che non l’avrebbero fatto? –
-Non mi importa! –
-Lily, devi solo rilassarti, vedrai che non è niente. Sediamoci –
La donna incontrò lo sguardo profondo del marito. Severus cercò di reggerlo con quanta più sicurezza possibile. Tese un sorriso sulla faccia. Ma a quel punto i nervi di Lily cedettero, le lacrime non scendevano più silenziose sul viso, iniziò proprio a singhiozzare. L’uomo la cinse con le braccia e la strinse a sé.
Faceva più caldo così.
La portò a sedere e aspettarono assieme. Abbracciati. In silenzio.
 
La porta cigolò venti minuti dopo, ne uscì il Guaritore di prima.
Fulminei, come se si fossero Materializzati, Severus e Lily gli furono davanti.
-Come sta? – dissero all’unisono.
L’attimo di tensione sospesa tra la domanda e la risposta, si sciolse nel sorriso dell’uomo in camice.
-Vostra figlia sta bene. Si è ripresa cinque minuti fa, ma abbiamo fatto dei controlli di sicurezza –
I due tornarono finalmente a respirare, abbracciandosi più stretti che mai.
-Aveva sbattuto forte la testa e vi era un’emorragia cerebrale in atto, perché questo abbiamo impiegato più tempo, si trattava di un’operazione piuttosto delicata. Abbiamo curato anche le ustioni e controllato i livelli del sangue. E’ tutto normale. Domani potrà uscire e sarà come nuova! –
-Quindi sta bene? Non avrà problemi? – chiese Lily, sollevata.
-No, signora, la settimana prossima potrà tornare tranquillamente ad Hogwarts – sorrise.
-Oh, non mi riferivo a quello, nostra figlia è una Maganò –
-Davvero? Strano, perché secondo le nostre analisi i livelli di magia sono esattamente nella norma–
Severus e Lily guardarono sbalorditi il Guaritore.
-Ne è certo? – fece l’uomo.
-I numeri non mentono – fece l’occhiolino – Ora scusatemi devo andare. Vostra figlia è nella stanza ventisette, in fondo al corridoio a destra – detto questo, se ne andò.
I due seguirono le indicazioni del Guaritore e dopo poco trovarono la stanza di Jordan.
-Jojo! – esclamò Lily, varcando la soglia e fiondandosi ad abbracciare la figlia.
La piccola era stesa su un classico letto d’ospedale, ma sembrava in perfetta forma.
-Mamma! –
-Jojo, come ti senti? – chiese il padre.
-Bene, papà – rispose, tendendo le braccia per stringere anche lui.
Severus abbracciò anche lei più forte che poté, pensando a quanto era stato tremendo il pensiero di perderla e a quanto fosse bello averla di nuovo lì. Si riscoprì ad amarla.
-Jordan, ti ricordi cosa è successo, amore? – chiese Lily.
-Non lo so, non l’ho capito bene. Stavo suonando, ma non mi riusciva l’intro di Back in black. Mi sono infuriata e poi c’è stata un’esplosione… -
L’uomo e la donna si lanciarono un’occhiata complice.
-Amore, ti dobbiamo dire una cosa. Ce l’ha detta il Guaritore…-
-Larry? –
-Sì, credo si chiami così. Hai tracce di magia nel sangue. Amore, sei una strega! –
Severus si chiese se la notizia non avesse scioccato Jordan al punto di farle venire un attacco di cuore. Quella, infatti, era rimasta paralizzata per un momento, poi era scoppiata a piangere e a ridere al tempo stesso.
-Allora, come vanno le cose,qui? – proruppe la voce maschile di Sirius. Era arrivato anche lui, con le due bambine al seguito, cariche di dolciumi.
-La vuoi una Gelatina, papà? – chiese Alison, avvicinandosi al padre, il viso coperto di cioccolato.
Severus tentò la sorte e ne prese una (Cactus), poi aiutò la bambina a salirgli sulle gambe.
-Jojo, come stai? – chiese la piccola.
-Io sto bene, tu? –
-Bene – rispose, scartando l’ennesima Cioccorana.
-E beh, a mamma e a Jordan non si offre? – fece Lily, incrociando le braccia.
La bambina esitò, poi recuperò le Gelatine Tutti i Gusti + 1 e le porse loro.
-Sono contento che tu stia bene, Ali – mormorò Severus, all’orecchio della figlia. Aveva capito quanto importante fosse anche lei per lui.
Era una situazione molto surreale, quella. Severus, Ali, Lily e Jojo tutti seduti su un letto d’ospedale, con la neve che cadeva, un lontano Jingle Bells e una montagna di caramelle. Persino Sirius non riusciva a rovinare la magia di quel momento.

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Capitolo 19
*** La verità ***


3 marzo 1998
Severus sonnecchiava steso sul divano, nell’ambiente scuro del suo ufficio. Aveva lavorato dalle cinque del mattino alle tre del pomeriggio sul Siero Antifiamma, e ora si era concesso un attimo di riposo, mentre la pozione completava i suoi trentacinque minuti di congelamento.
Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Più volte. L’uomo si accorse del rumore solo dopo un po’, poi sbloccò la porta con un gesto pigro della bacchetta e mormorò:
-Avanti –
Da oltre la soglia s’affacciò un uomo: era Bill Cashton, l’addetto alla portineria. Sembrava essere arrivato lì di corsa.
-Signor Piton, c’è sua moglie di sopra. Ha detto di raggiungerla subito, perché sta partorendo! –
-Oh merda! –fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Si alzò dal divano, mentre i battiti del cuore iniziavano ad obnubilargli la mente. Si diresse all’attaccapanni, afferrò il mantello, poi fece due giri a vuoto per la stanza, per qualche oscuro motivo, quindi filò fuori la porta e si precipitò su per le scale.
-Grazie! – gridò a un Bill Cashton ormai troppo lontano per sentirlo.
Iniziò a salire le rampe di gradini a quattro a quattro, poi si ricordò che sapeva volare e filò a un metro da terra per gli ultimi due piani. S’infilò nel passaggio per la farmacia e si scaraventò in strada, chiedendosi dove fosse Lily.
Sentì un clacson e la vide: era in macchina, alla guida e lo stava incitando a raggiungerla.
-Lily! Cashton mi ha detto che stai partorendo, è vero? –
-Certo che è vero, Sev. Ora sali in macchina, non vorrai che nostro figlio nasca qui? –
-Che cosa?! Mica puoi guidare? Ci Materializziamo! –-Non  posso Materializzarmi, è VIETATO durante il travaglio! Te l’ho già detto. Ora vieni! – si sporse e gli aprì lo sportello – Sali! –
-Ma non puoi…guido io magari … - si ostinò, completamente nel pallone.
-Severus, tesoro, tu non sai guidare. Adesso fai come ti ho detto, di grazia –
Rassegnato, il marito salì.
Era una situazione paradossale, si erano improvvisamente invertite le parti: Severus, che era sempre la persona distaccata e lucida, aveva completamente perso il lume della ragione. Aveva potuto mantenere i nervi saldi davanti al Signore Oscuro in persona, ma era bastato, poi, la notizia dell’imminente parto della moglie a farlo crollare. Lily, invece, era perfettamente calma e  razionale, evidentemente sapeva che non c’era spazio in quell’auto per due persone in agitazione (o, nel caso di Severus, sarebbe stato meglio parlare di vero e proprio di panico).
Con un colpo deciso di acceleratore, la donna fece partire la macchina e sfrecciò verso l’ospedale più vicino, che era a un quarto d’ora da lì.
-Allora, come ti senti? – non era stato Severus a parlare, ma Lily, ovviamente.
L’uomo rispose con un “Mm” preoccupato.
Lily ridacchiò.
-Non fare così. Vedrai che va tutto bene, tanto il lavoro sporco lo devo fare io! – disse – Uomini! Sembra sempre che debbano partorire loro! – fece un cenno con la testa – Guarda dentro allo scompartimento davanti a te, ti ho portato un libro (il primo che sono riuscita ad afferrare) e un goccio di Whiskey Incendiario. Non si sa mai… -
Severus aprì il cassetto indicato e trovò quanto detto. Avrebbe voluto benedire quella donna. Svitò il tappo della fiaschetta e bevve un sorso, sentendo il calore tornargli nelle ossa.
Poi, a pochi isolati dall’ospedale, arrivò: una contrazione colse di soprassalto Lily, facendole cacciare un urlo.
-Non è niente – aggiunse subito,  lanciando un’occhiata al marito, che la guardava sconvolto, come se fosse potuto venire meno da un momento all’altro – Tutto bene. Vedi di non sentirti male adesso,amore, se devi svenire aspetta almeno che arriviamo all’ospedale. –
Stringendo i denti, la donna portò l’auto fino all’entrata del pronto soccorso, poi uscì, sorretta dal marito, con il pancione tra le mani, e entrò nell’ospedale.
Un paramedico li intercettò all’istante.
-Deve partorire, signora? –
-Sì, gradirei tanto, grazie –
Allora l’uomo le fece una serie di domande su liquidi usciti da parti del corpo dei quali Severus avrebbe preferito non sapere mai niente, poi la fece sedere su una sedia a rotelle e la portò in una stanza vuota poco lontano.
La donna fu sistemata su uno dei letti, poi ebbe inizio un via vai di infermieri e ostetriche che la cosparsero di gel, la collegarono a strani macchinari, la fecero vestire con un camice troppo corto e misero mani in posti che resero molto difficile a Severus il compito di mantenere la calma.
Dopo mezz’ora, li lasciarono soli, con la notizia che sarebbero tornati dopo tre ore per portare Lily in sala parto. Se avessero avuto bisogno,bastava schiacciare il bottone alla destra del letto della donna.
Il colorito dell’uomo, in tale arco di tempo, passò da bianco latte cagliato, durante le prime fasi di contrazioni, a verdognolo, non appena queste aumentarono, a rossiccio, quando il livello di alcool nel suo sangue salì progressivamente, con l’avvicinarsi del momento fatidico.
Quando fuori era ormai buio, si presentarono due ostetriche e misero Lily su una barella, poi si avviarono verso la sala parto, seguiti dall’uomo in nero.
-Vuole entrare con noi, signore? – chiese una delle infermiere.
-No, meglio che stai qui, amore. Non mi pare il caso che tu venga… -
Severus era lieto che gli fosse stato detto ciò, ma rispose comunque: - Sei sicura? –
-Certo –
Severus si avvicinò e le diede un bacio.
-Non continuare a bere, non vorrai mica farti trovare ubriaco da tuo figlio? –
-Va bene … - disse, per nulla convinto.
Lily gli fece l’occhiolino e svanì.
 
Rassegnato all’attesa da compiere, l’uomo si andò a sedere davanti alla sala parto e tentò di effettuare un Incantesimo di Rabbocco sul Whiskey, ma non successe nulla. Doveva essere stata Lily, previdente come sempre, a mettere una protezione contro di esso, per evitare che si ubriacasse per i nervi. Guardò triste l’ultimo goccio di alcool rimasto e decise di conservarselo per dopo, se ve ne fosse stato bisogno, nel frattempo si sarebbe calmato con il libro che gli aveva portato Lily.
Aprì la busta e notò che era proprio quello che gli aveva regalato Silente, non l’aveva più visto da Natale, da quando l’aveva scaraventato chissà dove, all’udire dell’esplosione al piano di sopra. Rilesse il titolo: “L’arcano della Mano della Glora”, era un romanzo. Non era proprio il suo genere di libro, ma in quel momento avrebbe letto anche l’elenco delle presunte streghe mandate al rogo nel XIII secolo.
Sfogliò le prime pagine e subito qualcosa cadde da esse. Una lettera. Era il biglietto di Silente.
Il vecchio gli aveva detto di non leggerlo, per questo lo aprì.
 
Caro Severus,
 
buon Natale! Spero apprezzerai il mio regalo. È un libro molto interessante che ho scoperto pochi mesi fa, spulciando le librerie di Diagon Alley. Goditelo.
Ma non è un’attenta recensione de “L’arcano della Mano della Gloria” che è contenuta in queste righe, bensì il più grande atto di vigliaccheria che potrò mai fare nei tuoi confronti.
Perdonami, già da adesso, perché non ti ho detto tutta la verità sulla Clessidra.
Dal momento che sono stato già abbastanza meschino da non dirtelo in faccia, almeno arriverò subito al punto: non puoi scegliere, alla fine di quest’anno dovrai tornare indietro.
Prima che tu dia alle fiamme questa lettera, lasciami spiegare, soprattutto il motivo per cui ti ho mentito, poi potrai venire a cercarmi ed io affronterò la tua dovuta ira.
La Clessidra in realtà non dà la possibilità di rendere permanente una nuova realtà, non esiste artefatto magico così potente, che permetta di influire a tal punto sul tempo senza causare catastrofi. Però concede al viaggiatore di trascorrere un periodo nella realtà alternativa. Molti storici maghi l’hanno adoperata per verificare le effettive conseguenze di un’epidemia o di un conflitto sulla storia dell’uomo.
Quando mi è capitata tra le mani, ho fatto lo stesso anche io, ho cambiato un paio di cose e sono tornato indietro nella realtà alternativa; così ho pensato che sarebbe potuto essere un grande regalo anche per te.
Perché non ti ho detto subito della vera natura della Clessidra? Io ero triste, sai, ero felice, ma triste, non avevo la spensieratezza che avrei vissuto per sempre in quella realtà, sapevo che dovevo tornare, che tutto quello non era per sempre. Non volevo dare questo peso anche a te. Allora perché te lo sto dicendo ora? Perché, anche se questi mesi non li vivrai con la spensieratezza di prima, voglio che tu li viva con più sapore, proprio perché, ahimè, saranno gli ultimi.
Il 2 maggio 1998 l’incantesimo scatterà, che tu lo voglia o meno, e tutti e due torneremo al 2 maggio 1997. A quel punto la storia si ripeterà, senza che nessuno di noi potrà fare niente per cambiarla. Sarà tutto come prima.
Mi dispiace.
Spero che tu sia comunque felice di aver avuto questa possibilità. Io lo sono stato.
Un abbraccio,
Silente
 
Severus finì di leggere la lettera, tutta d’un fiato, poi poggiò lo sguardo su quelle righe, la vista gli si sfocò e così rimase, come se si fosse addormentato.
Restò così per mezz’ora e anche di più. Non sentiva niente. Non voleva sentire niente.
La porta della sala parto si aprì, uscì una delle ostetriche, aveva il camice macchiato di sangue scuro.
-Signore, vuole venire a vedere suo figlio? – lo invitò dentro.
Severus alzò gli occhi dalla lettera, e tornò alla realtà dalla quale si era estraniato per quei lunghi minuti.
-Sì, arrivo – rispose.
Sbatté le palpebre, era come se un velo gli si fosse calato davanti agli occhi. Di nuovo.
Adesso che si era alzato, sentiva le emozioni fluire dentro di sé, accrescersi come fiumi fomentati dalla pioggia. Sentì l’odio per Silente accendersi come paglia, la malinconia sgorgare come acqua da rocce. Le implicazioni di quanto aveva letto iniziavano a farsi chiare e lineari come formule matematiche: non avrebbe mai visto suo figlio crescere, né Jordan e Alison andare ad Hogwarts, avrebbe perso Lily ancora una volta, sarebbe tornato nel letamaio che qualcuno aveva osato definire “vita” e poi avrebbe vissuto di nuovo tutto quanto, e, alla fine, sarebbe morto.
Non sapeva nemmeno lui cosa lo trattenesse dal piangere, dall’urlare, dal distruggere tutto quanto avesse attorno. Non lo sapeva. Eppure lui l’avrebbe fatto, l’avrebbe voluto fare. Ma non lo fece.
Invece, fece un respiro profondo, uno di quelli che ti dicono di fare da bambino, quando vai vicino al mare, afferrò la fiaschetta di Whiskey e la finì in un sorso, quindi s’incamminò verso la sala parto.
Nulla era successo.
Spinse la porta e s’infilò dentro, più luminosa che mai, Lily era al centro di quell’ambiente verdognolo. Era molto pallida, aveva la fronte ancora imperlata di qualche goccia di sudore, era per metà ancora coperta da un lenzuolo e c’era sangue un po’ ovunque, ma era bellissima.
E poi c’era il bambino. Non ne aveva mai visto uno così piccolo: era un esserino minuscolo, dava l’impressione di poter entrare in una mano, aveva la pelle raggrinzita e scura, gli occhi chiusi, i pugni serrati, ma, come la madre, era incantevole.
-Amore, guarda quanto è bello nostro figlio! – lo chiamò Lily.
Con grande stupore da parte di Severus stesso, un sorriso gli si disegnò naturalmente sulla faccia.
-Come stai? Come state? –
-Benissimo! Il piccolo è sano come un pesce! – anche lei sorrise –Tieni, prendilo in braccio –
Il marito si avvicinò, in un’altra vita non sarebbe stato mai capace di prendere tra le mani una creatura talmente piccola da sembrare quasi friabile tra le dita, ma in questa lui lo era e lo fece. Con delicatezza, mise una mano sotto la testa e una sotto al corpo, e lo prese tra le sue braccia. Il bambino si divincolò e aprì gli occhi, gli stessi di sua madre, e lo fissò come se fosse la cosa più interessante al mondo.
Severus fu scosso da quella visione, per un attimo temette che potesse mandare a monte tutte le sue difese, ma lui era forte.
-Ha i tuoi occhi – fu l’unica cosa che si lasciò sfuggire.
-E cosa volevi, che avessero tutti quelle tue palle nere? – scherzò Lily – Allora, è tempo di decidere il nome, no? –
-Giusto –
-Senti, ci ho pensato. Noi abbiamo scelto come secondo nome di Jordan “Lily”, quindi penso che dovrebbe avere “Severus” come secondo nome –
-Non devi farlo per me, non m’importa … - fece lui.
-Ma io lo faccio con piacere, Sev, e poi importa a me -
-E come primo nome? – domando Severus.
-Possiamo chiamarlo David, se vuoi … - disse, con fare volutamente dispiaciuto – O Robert … -
-O Paul – aggiunse il marito, ottenendo il sorriso della moglie.
-Sì, non sarebbe affatto male … Paul Severus … suona bene, eh? –
-Paul Severus Robert … non vorrai incorrere nel disappunto di Jordan? – precisò Severus.
-Sì, ma non lo chiameremo Paperino! Ali imparerà che c’è un limite alla decenza –
I due risero.  A volte una risata può essere molto meno allegra di quanto si pensi.

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Capitolo 20
*** Come un romanzo ***


 
4 marzo 1998
 
Il rumore della Materializzazione di Severus spezzò la quiete delle prime ore del mattino, era riapparso nel vestibolo di casa propria, con un complesso contorcersi di stoffa nera.
Mise piede silenzioso nel salotto, le luci erano tutte spente e la figura stravaccata di un uomo si confondeva con la tappezzeria nell’oscurità. La sua vena di bontà al momento era in secca, così prese la bacchetta e fu ben lieto di dare il buono giorno a Sirius con un Incantesimo Pungolo.
Il dormiente fece un salto ed emise un grido, massaggiandosi il sedere come se fosse stato punto da qualcosa di particolarmente affilato.
-Vedo che sei sveglio. Sono tornato. Vattene. – esordì Severus, iniziando a prendere la via delle scale, mentre ancora parlava.
Sirius si lanciò in una serie di improperi, cercando freneticamente la propria bacchetta, ma, suo malgrado, la trovò troppo tardi, quando l’uomo in nero era già lontano.
Severus aveva la sensazione di essere stato sedato, come se qualcuno avesse costruito un argine, che impediva ai suoi pensieri di scorrere. Entrò nelle stanze delle bambine, per controllare che stessero bene, poi si assicurò che Black e Loise si fossero chiusi la porta alle spalle e filò in camera sua.
Fu quando affondò nel cuscino che la pressione ruppe la diga e ogni cosa gli rovinò addosso. Si sentì soffocare, schiacciato dalla foga con cui tutto gli si stava rovesciando nel petto. Continuavano a rifluire i nomi delle persone che avrebbe perso, una volta e per sempre. Si urlò contro che era stato uno stupido a fidarsi di Silente, che era stato un ingenuo a credere veramente che un semplice congegno poteva cambiare ogni cosa. Adesso gli sembrava tutto così ovvio e lineare, perché non ci era arrivato prima?
il suono del campanello lo fece tremare di rabbia: chi diavolo era alle cinque del mattino?
Si alzò quasi ringhiando, sull’orlo di una crisi di nervi, giurando a se stesso che quella era la volta buona che avrebbe ucciso Black.
Ma non era Black. Era Silente.
La vista della pacata figura in bianco fu come una doccia fredda per l’uomo in nero. Lo fissò, impalato, per un istante, poi gli sbatté la porta in faccia, rivolgendosi di nuovo verso le scale, i pugni così stretti, che le nocche erano ormai bianco latte.
Sentì un “Crack” alle sue spalle e vide con la coda dell’occhio che il vecchio era entrato nella stanza. Questi non disse nulla, rimase fermo al centro dell’ingresso, con le mani l’una sull’altra, poggiate sulla pancia.
Severus si fermò. In fondo voleva sapere cosa aveva da dire, quali folli scuse avrebbe messo su per giustificare lo sgarro più grande che avrebbe mai potuto tendergli. Ma Silente non parlava, continuava a stare zitto. Dopo cinque minuti di silenzio, la cosa divenne insostenibile.
In un ultimo sprizzo di lucidità, Severus lanciò un Muffliato verso le scale, poi si voltò.
-Come hai potuto?! – fu freddo, diretto e glaciale.
Silente ricambiò il suo sguardo, ma non a lungo.
-Lascia che ti spieghi… hai letto la lettera … -
-Non mi importa un accidente della lettera. Come-hai-potuto? – il tono della voce si alzò. Scandì le ultime parole, come se ognuna di esse fosse un’occasione per sputargli addosso.
-Scusami, hai ragione ad essere arrabbiato. Sono qui per questo … -
-Se hai qualcosa da dire, bene. Se no vattene. Immediatamente – lo guardò, truce.
-Tu ascoltami, me ne andrò appena tu lo vorrai. –
L’uomo non disse niente, Silente lo prese come un cenno di assenso.
-Ho scoperto la Clessidra in uno dei miei ultimi viaggi, neanche un anno prima che morissi. – iniziò – Era un oggetto rarissimo, del quale persino io avevo solo sentito alcune voci, molti pensavano addirittura che fosse solo una leggenda. Così mi misi all’opera e alla fine scoprii come funzionava: cambi una cosa nel passato e vedi le sue conseguenze nel futuro. Generi una nuova realtà, contemporanea a quella precedente, nella quale tu puoi vivere come facente parte di essa, senza creare paradossi temporali o distruzioni cosmiche. Era molto usata nel Medioevo, ma da allora se ne erano perse le tracce.
Quando venni in possesso di questo particolare esemplare e fui finalmente in grado di usarlo, seppi subito dove andare: tornai al tempo in cui ero giovane, pochi giorni prima della morte di mia sorella e impedii le circostanze che  causarono la sua prematura dipartita. Poi feci ritorno al 1996 e per un anno ho vissuto in quella nuova realtà. Ariana era ancora viva, aveva avuto dei figli, che avevano avuto a loro volta dei figli. Io avevo dei nipoti. E avevo un uomo. Si chiamava Gilbert, non l’avevo mai conosciuto in questa realtà, ma in quella, lo amavo – Severus non poté fare a meno di notare che stava iniziando a piangere – Poi è scoccata l’ora e io sono dovuto tornare.
È stato probabilmente uno degli anni più felici che io ricordi, ma non il più felice, perché io sapevo che presto sarebbe finito. Capisci cosa sto dicendo? Ero sempre moderato nelle mie gioie, nelle mie emozioni, come se stessi leggendo un romanzo, che sai che, dopo qualche centinaio di pagine, finisce e la vita continua. Non mi sono lasciato prendere, o almeno ci ho provato. Alla fine forse il distacco è stato più facile, ma solo perché non ho vissuto tutto con l’intensità che avrei voluto. – fece una pausa – Non volevo trasmettere questo peso a te, Severus. Anche tu hai avuto il tuo bel casino di vita, nell’altra realtà, e siccome potevo evitarti questo pensiero superfluo, l’ho fatto.–
-Così hai pensato che illudermi fosse una soluzione migliore – sibilò.
-No, ho pensato che siccome prima o poi il sogno sarebbe finito lo stesso, tanto valeva che almeno una parte di esso lo vivessi con l’intensità che meritava – rispose il vecchio.
Severus si guardò attorno confuso, come se non riuscisse a venire a capo della situazione, per quanto sapeva che una parte di ragione era di Silente, non riusciva a sopportare l’idea di esser stato preso in giro in quel modo.
-Ti sbagli, se avessi saputo tutto dall’inizio,adesso non mi troverei in questa situazione e avrei vissuto tutto a maggior ragione con più intensità, proprio perché doveva finire! – ribatté, la calma tolse il disturbo.
-E’ quello che credevo anche io! Ma fidati, inizialmente è così, ma dopo uno, due mesi, tutto cambia. Stai continuamente sul chi va là, facendo attenzione a non lasciarti coinvolgere troppo, perché sai che farà solo più male, dopo e … -
-E non hai pensato che, non dicendomelo, io mi SONO lasciato coinvolgere?! Non hai pensato a cosa sarà di me, quando dovremo tornare?! – sbraitò.
-Non capisci, Severus. Ha fatto malissimo lo stesso, anche sapendo la verità dall’inizio –
-No! Non è la stessa cosa! Eri preparato! –
-Non si è mai veramente pronti per una cosa del genere – rispose grave.
-E allora perché me l’hai proposto?! – stavolta gridò, perdendo completamente le staffe.
-Non dirmi che avresti preferito che non fosse mai accaduto, perché non ci crederò mai! –stavolta a parlare freddamente fu Silente.
-Non mi serviva altro dolore, Silente! –
-Stare male perché qualcosa di bello è successo ed è finito, è sempre meglio che stare meno male, perché qualcosa di bello non è mai cominciato – ribatté Silente.
-Vallo a raccontare ai cioccolatini! Cosa me ne dovrei fare di una risposta del genere, secondo te?! –
-Severus, perché non ci sediamo e ne parliamo con più calma. La rabbia non ti porterà da nessuna parte. – fece un passo per avvicinarsi all’uomo in nero.
-Tu non lo sai cosa mi aspetta, quando torno! – gridò – Per te è facile,morirai neanche due mesi più tardi! E io, non solo dovrò ucciderti, dopo stanotte con immenso piacere, ma dovrò passare un anno di merda! E poi morire di nuovo! –
Silente sospirò.
-Hai ragione, non ti aspetta nulla di facile. Non si può cambiare niente di quello che è già successo, temo. Ma non ne è valsa forse la pena? –
La risposta era “sì”, quindi non disse niente.
-Silente, io non voglio tornare in quel posto. Perché, dopo tutto questo, dovrei tornare in una realtà nella quale già so che devo morire?! Tanto vale che mi uccida il 1 maggio in questa realtà. Sarebbe la stessa cosa. Anzi, me lo faresti questo grande favore? Vorresti uccidermi tu? – disse, in tono provocatorio, ma tutto sommato non stava scherzando.
-Ecco, questa è l’ultima cosa che devi fare. Non puoi ucciderti, perché se tu morissi allora accadrebbero due cose: il fatidico equilibrio spazio-temporale verrebbe a saltare e i tuoi figli rimarrebbero senza un padre, così come Lily senza un marito – rispose.
-Perché cosa cambierebbe se io me ne andassi? Accadrebbe la stessa cosa. Rimarrebbero comunque senza … - poi parve avere la risposta – E invece no – disse quasi solo a se stesso – Per loro non cambierebbe nulla. “Io” esistevo prima di venire qui, ed esisterò anche dopo che me ne sarò andato. Tranne che non sarò più io… -
Silente fece un’espressione triste.
-Ahimè,  hai colto il punto, Severus. Adesso è come se la tua coscienza di fosse impiantata nel corpo del Severus Piton di questa realtà alternativa, il due maggio tu, e per te intendo solo la tua coscienza, tornerai nella tua realtà, mentre il Severus Piton di questa tornerà a essere quello di prima. È avvenuto solo uno scambio di coscienze. Per chi rimane qui non cambierà niente, non noteranno il cambiamento, a  meno che tu non decida di dirglielo. –
Il respiro di Severus diminuì di botto, come se tutta la rabbia si fosse aggiogata a quella rivelazione. Non ci aveva riflettuto prima su cosa sarebbe accaduto per chi restava in quella realtà, ma ora che avevano posto l’accento su quell’argomento, si era reso conto che aveva sempre creduto che, andandosene, anche la sua famiglia avrebbe perso lui. Ma così non era. Era tutto suo il problema.
-Ma quindi questa realtà esiste, Silente. Non è un’illusione –
-No, non lo è. Esiste da qualche parte in qualche unità temporale. Ma non può essere la nostra. –
-Ho capito. Devi dirmi altro, Silente? – chiese, tornando all’impassibilità di sempre.
-Non credo. Se non vi saranno inconvenienti, mi vedrai solo quando sarà strettamente necessario. Ti verrò a prendere qui la notte del due maggio – concluse – Ciao, Severus. Mi dispiace. –
Severus non si mosse per salutarlo, perfettamente immobile dove stava, disse semplicemente: - Ciao – e gli voltò le spalle, prima ancora che si Smaterializzasse.
L’uomo era tornato solo. 

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Capitolo 21
*** One. ***


Lily rientrò dalla clinica pochi giorni dopo, con un piccolo Paul di tre chili e otto e tutto parve tornare alla normalità.
Severus aveva deciso di non dirle niente. Non ve n’era alcun bisogno.
Ogni cosa fu interamente stravolta dall’arrivo del bambino, che assorbì buona parte delle energie dei due genitori, che con gli ultimi spasimi dovevano dedicarsi alle figlie più grandi, di cui Ali già stava mostrando i primi evidenti segni di gelosia.
Tuttavia, dopo aver passato una giornata tra lavoro e pannolini, c’era sempre quel momento in cui Severus si sedeva sul letto di Jojo e le raccontava di Hogwarts e passava ore a descriverle ogni singolo anfratto di quella che per lunghi anni era stata la sua unica casa. Oppure capitava che fosse Ali la prima ad intercettarlo, al suo rientro, e allora la partita ad Acchiappa la Piuma era d’obbligo. O ancora, capitava spesso che Lily chiedesse al marito di badare a Paul, mentre lei andava a stendersi un po’ sul letto, e allora lui girava per casa, molleggiando sulle gambe, con quell’esserino fra le braccia; e anche se non sapeva come relazionarsi con lui e non ci parlava perché si sentiva stupido nel farlo, sentiva che quei pomeriggi a fargli da tassista per la casa avevano stabilito un legame tra loro. E poi arrivava la sera, quando due stanchissimi Severus e Lily si mettevano finalmente sotto le coperte; a volte non riuscivano a scambiare nemmeno una parola, ché uno dei due già era piombato nel sonno, ma era comunque il momento più bello della giornata, quando si addormentavano vicini.
Nelle settimane che seguirono, Severus aveva seppellito nella sua mente quanto gli era stato rivelato. Era un eccellente Occlumante e a volte riusciva persino a dimenticarlo, ma per la maggior parte del tempo quel pensiero era sempre lì, nel suo subconscio, a punzecchiarlo e a dirgli di non lasciarsi trascinare dagli eventi, perché tutto sarebbe finito. Era esattamente come gli aveva detto Silente, suo malgrado, il vecchio aveva avuto ragione ancora una volta.
Ma se durante il mese di marzo la cosa sembrava ancora lontana, la situazione iniziò a diventare insostenibile quando aprile prese a scorrergli per le mani.
Due, tre, cinque, dieci, dodici aprile. Solo tre settimane. Cominciò a tornare prima dal lavoro e a rifiutare i compiti più complessi.
Tredici, quindici, sedici, diciannove, venti aprile. Due settimane. I pomeriggi a casa non gli bastavano più, ora voleva passare ancora più tempo con la sua famiglia, iniziò a saltare i giorni di lavoro. Invitò sua madre a casa più di una volta.
Ventidue, ventitré, venticinque, ventisei aprile. Una settimana. Non metteva piede all’ONPA da giorni, coglieva ogni occasione per stare con i bambini, cercava di fermasi a parlare con Lily ogni volta che ne aveva l’occasione, tentava di tenerla sveglia quando si faceva notte solo per scambiare un’altra parola con lei.
Ventisette aprile. Ventotto aprile. Ventinove aprile. Trenta aprile.
Primo maggio.
Mattina presto.
Severus si svegliò prima del solito e fu accolto al nuovo giorno con la dolce innocenza del risveglio, quando nessun pensiero ti affligge ancora la mente. Aprì piano le palpebre, perché c’era già troppa luce nella stanza e gettò un’occhiata a Paul, che dormiva tranquillamente nella culletta vicino al letto. Sentì la mano calda di Lily sul suo collo e qualche filo rosso glielo solleticò. Poi arrivò la consapevolezza e iniziò a piangere.
Non voleva svegliare Lily o Paul, quindi lo fece in silenzio, come tutto si sarebbe svolto quella notte, senza che nessuno se accorgesse. Ma la cosa presto gli sfuggì di mano e dovette iniziare a soffocare i singhiozzi con una mano.
-Amore! – disse Lily, sconvolta – Stai piangendo? –
Alla fine si era svegliata, forse per il sussultare del petto del marito. Adesso era girata su di un fianco, poggiata sul gomito, e si protendeva verso di lui. Severus aprì gli occhi, come un bambino colto con le mani nel barattolo di marmellata.
Cercò di arrestare i singhiozzi, ma fu inutile. Cercò di parlare, ma fu inutile.
Lily si fece più vicina.
-Sev, che è successo? –
No, lei non doveva saperlo, dannazione! Non doveva coinvolgerla! Ma ora era riuscito tutto all’ultimo momento, era crollato proprio ora che era quasi fatta.
Strinse i pugni e si asciugò gli occhi con la manica. Poi prese la bacchetta sul comodino e la agitò, da un cassetto volò fuori un biglietto di auguri di Natale, che finì dritto nelle mani di Lily.
La donna lo guardò senza capire.
-Non volevo che lo sapessi. Non era necessario. Mi dispiace –
Lily aprì la lettera  e fece passare gli occhi su quelle linee scritte da Silente mesi addietro. Prima ancora che finisse, bagnò la pergamena, poi tornò a guardare il marito, sconvolta.
-Non…non può essere – mormorò Lily.
-Invece lo è –
-Ma non è possibile! Non puoi tornare a vivere quella vita che mi hai raccontato! Non lo permetterò! – disse, scordandosi per un momento di tenere bassa la voce per via di Paul.
-Lily, non essere sciocca, lo sai che non dipende da nessuno di noi – rispose Severus, cercando una sicurezza nel tono che in realtà non aveva, men che mai in quel momento – E poi non sarà per molto –
-Che vuoi dire? –
-Che tra un anno morirò – si lasciò sfuggire, mordendosi la lingua subito dopo.
Lily ebbe uno scatto, come se avesse appena incassato un pugno nello stomaco. Sbatté le palpebre, incredula, mentre le labbra andavano a disegnarle una smorfia sulla faccia.
-Perché dici questo? –
-Perché è la verità –
-Il  sogno! – esclamò di soprassalto. Gli occhi di lei inorridivano mentre, chiaramente, le scene di quell’incubo le scorrevano di nuovo davanti. –Oh mio dio … non è possibile … -
Aveva saputo molto più di quando Severus avesse mai voluto, adesso le lacrime scendevano sempre più copiose sul volto della donna e lui detestava l’idea che fosse per colpa sua. Cos’aveva quella mattina?! Perché non riusciva a controllare la lingua?!
Ma, nonostante Lily fosse scioccata da quelle rivelazioni, cercò di contenersi, perché sapeva che non era lei quella da consolare.
-Non c’è niente che io possa fare? Sei sicuro? – lo guardò, con gli occhi supplichevoli.
-No, Lily, dopo stanotte tornerà il vecchio Severus, quello che hai sempre conosciuto, e io me ne andrò. Tutto sarà come prima –
Lily stava per ribattere, come per dire che non era vero, che non sarebbe tornato tutto come prima, non per lui, ma in quel momento Paul fece un primo guaito, si agitò e scoppiò a piangere.
Tirando su col naso, la donna si diresse verso la culla, mentre Severus si defilò, andandosi a sciacquare il viso.
 
Quel giorno niente lavoro, niente scuola, era la festa dei lavoratori.
-Andiamo al parco! – propose Lily, quando furono di sotto, lei seduta ad allattare Paul, Alison davanti ad una ciotola di cereali e Jordan ancora di sopra a dormire. –Oppure possiamo fare una scampagnata! Potremmo fare un salto a Dublino, oppure … -
-Lily, sul serio, non c’è bisogno che ti affanni. Per me va bene restare anche a casa. –
-Ma … -
-Davvero, per me va benissimo stare qui –
E così fecero. Severus trascorse quell’ultimo giorno lì, come tutti gli altri, perché in fondo era questo che desiderava, un ultimo giorno nella normalità di quella vita. Passò la mattina a giocare con Ali, poi fu coinvolto da Jojo in una discussione sull’ultimo libro che le aveva prestato, quindi fece il bagnetto a Paul, riparò il mobile della credenza rotto involontariamente da un attacco di risa di Ali, ascoltò Jordan suonare One (di un gruppo aveva detto chiamarsi “Anche tu” o “Voi due”, non aveva afferrato bene il nome), sterilizzò un paio di tettarelle e alla fine qualcuno bussò alla porta.
Era sua madre, l’aveva invitata lui con una scusa, perché avesse l’occasione di rivederla un’ultima volta. Cenarono assieme, e quanto più sentiva le ore usurarsi, tanto più lui stirava il sorriso, perché voleva davvero assaporarli fino all’ultimo, quei momenti.
Dopo cena, Lily insistette perché chiedessero ad Eileen di rimanere con i bambini, mentre lei e Severus sarebbero andati a fare quattro passi. La vecchia signora accettò, ma mentre Lily era in salotto, sul divano, ad allattare Paul, questa intercettò Severus.
-E allora, neanche mi saluti? –
-Mamma, stiamo andando solo a fare una passeggiata, torniamo tra un’oretta al massimo – rispose Severus, ostinato a non voler tirare dentro  anche con lei.
-Guarda che io lo so che te ne vai –
Per la prima volta, da quella mattina, l’espressione serena di Severus vacillò.
-Allora, andiamo? – fece Lily, qualche minuto più tardi, entrando nella stanza. –Oh … - fu l’unica cosa che disse quando trovò madre e figlio abbracciati nel vestibolo.
Severus le dava le spalle, Eileen la vide arrivare e le fece l’occhiolino. Poi si separarono e i due s’avviarono fuori la porta, salutando nonna e nipote.
Iniziarono a camminare in silenzio, per i viali londinesi. Era una serata non molto fredda, ma il cielo minacciava pioggia.
Severus sentiva che tutto gli si stava ormai sgretolando nelle mani, iniziava a sentire la disperazione incombere. Lily era al cosciente di cosa stava succedendo dentro al marito, ma come al solito lei sapeva sempre cosa fare.
-Prendimi la mano – disse.
-Perché? –
-Tu prendila e basta! –
Fece quanto detto e si ritrovò risucchiato nel vortice della Materializzazione. I due riapparvero pochi istanti dopo sul greto di un fiume, la ciminiera fatiscente designava con chiarezza quel luogo come “Spinner’s End”.
Si sedettero sull’erba, subito prima della ghiaia, e fecero l’amore.
Severus assaporò ogni istante, si strinse a lei come mai aveva fatto, sentiva il bisogno della pelle di lei sotto le sue dita. Si mossero sinuosi sotto le gocce di pioggia che piombavano su di loro come proiettili e scivolarono sull’erba bagnata, una cosa sola.
Well, it's too late, tonight, to drag the past out into the light.
One love.
One blood.
One life.

Silente li aspettava in salotto, quando tornarono, infradiciati. Fu accolto dalle espressioni di terrore di entrambi, quindi subito si lanciò in una spiegazione.
-Non vi preoccupate, non è arrivato ancora il momento.  Tornerò qui domani mattina, alle cinque. Allora dovremo andare. Volevo solo dirvi questo, per non cogliervi di sorpresa –
I due coniugi annuirono.
-Severus, puoi portare qualcosa con te se vuoi. Solo una cosa, ma puoi portarla. Detto questo, io vado, non c’entro nulla qui –
E se ne andò.
 
L’aurora schiarì il cielo, erano le quattro e mezza del mattino. Severus e Lily erano ancora svegli, sul letto. L’uomo stringeva tra le mani l’oggetto che aveva deciso di portare con sé: era una foto del compleanno di Ali. C’erano tutti. Severus teneva in braccio la bambina che soffiava sulle sei candeline della torta, accanto c’era Lily con il piccolo Paul, mentre Jojo era dall’altro lato, con Eileen.
-Lo sai che non mi dimenticherò di te, vero? –
-Ma io non me ne andrò mai veramente, per te, Lily –
-Sì, che te ne andrai. Quello che tornerà tra poco qui sarà sempre Severus Piton, ma non sarai tu. Non è la stessa cosa –
-Sì, ma così come tu ti sei abituata a me in quest’anno, tornerai ad abituarti alla sua presenza qui, e io … -
-Severus, non mi dimenticherò mai di questo te, allora. Anche se amerò in egual modo l’uomo che tornerà qui  fra poco, questo non cambierà il mio amore per te! –
Severus non ne era convinto, sapeva che era sincera, ma ora parlava così, ma anche solo nel giro di un anno cosa sarebbe successo? Che te ne frega? Tu ne giro di un anno sarai morto! Gli sputò una voce dentro. Sentì la disperazione dilagare, l’avvilimento prendere a falciate la sua anima.
Non voleva piangere, ma fu più forte di lui.
Lily lo baciò e lo strinse, sapendo che non c’era altro da fare, che nulla l’avrebbe consolato. Poi i due si alzarono. Mancava solo un quarto d’ora.
L’uomo si chinò sulla culletta e prese fra le sue braccia il piccolo, questi miracolosamente non si svegliò. Severus lo strinse a sé.
Poi uscì, entrò nella stanza di Ali, si sedette sul letto e la strinse a sé. Nemmeno lei si svegliò.
Varcò la soglia della camera di Jojo, si voltò verso il cuscino, ma lei non c’era, non stava dormendo. Era seduta a terra a suonare. Era sempre One.
-Che ci fai sveglio? – chiese lei.
-Non riuscivo a dormire – rispose automaticamente.
-Nemmeno io. È come se sentissi che qualcosa non va – fece lei.
Senza dire altro, Severus si chinò, lei scostò la chitarra e lui la strinse a sé.
Assieme a Lily, scesero le scale. Eileen aveva dormito lì. Il figlio le andò incontro. Lei lo strinse a sé.
Albus apparve nella stanza.
-Dobbiamo andare – disse, grave.
-Lo so –
E Severus abbracciò Lily un’ultima volta. E la baciò.
Silente cacciò fuori la Clessidra. Fece scattare alcuni ingranaggi. Con le mani che gli tremarono Severus fece altrettanto. Poi ci fu l’ultimo “clack”.
Le figure delle due donne si fecero sfocate, la casa non c’era più, poi anche queste furono spazzate via da un vortice di colori e tutto piombò nell’oscurità.
Un amore.
Un sangue.
Una vita.
One.

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Capitolo 22
*** Hogwarts ***


2 maggio 1997
 
Severus sentì gli arti paralizzarsi, poi riapparve una luce e con essa tornarono i colori; con gli occhi socchiusi riuscì a distinguere lo studio del Preside che vorticava attorno a lui, poi tutto smise all’improvviso di girare e lui impattò con il pavimento di pietra.
Rimase immobile, sentiva il corpo ancora lontano e aveva le vertigini, ma soprattutto sentiva un grande vuoto in petto. Restò con il viso per terra, a respirare il freddo odore di pietra, mentre il sangue tornava a irrigargli vene e arterie. Altri versi vicino a lui gli fecero capire che anche Silente era lì. Mise meglio a fuoco e lo vide davanti a sé, anche lui ancora sul pavimento, la mano di nuovo nera e putrefatta, come fosse già morta. Aveva difficoltà ad alzarsi.
Severus si mise in piedi, mentre l’altro ancora arrancava, drizzandosi a fatica, ma l’uomo in nero non disse niente, si voltò e imboccò le scale che portavano di sotto.
Era mattina presto ad Hogwarts, neanche i fantasmi si vedevano in giro, l’aria era frizzante, il silenzio era micidiale.
Una, due, tre rampe di scale, altrettanti corridoi, diverse altre svolte e gradini e fu davanti alla porta della sua stanza. La spalancò, senza esitare, affrontando di petto il vuoto che sapeva essere lì dentro, si tolse il mantello con un gesto di stizza, poi si accasciò sul letto. La bomba fu sganciata ed esplose.
Pianse.  Le lacrime gli uscirono dagli occhi come fossero aria dai polmoni, pensava a niente, solo al suo dolore. Poi, più tardi, insorsero i ricordi, le emozioni, tutto quello che aveva vissuto e provato in quell’ultimo anno  continuava a calare la scure, accanendosi su di un uomo che non aveva altro sangue da versare.
Il sapore di Lily. La chitarra di Jordan. Il profumo della testolina di Paul. I giocattoli di Alison. Il pancione tondo nascosto sotto la veste larga di Lily. Le discussioni con Jojo. I pannolini di Paul. Le poesie di Ali. Le mani di Lily. Il viso di Jordan. Gli occhi di Paul. I sorriso di Ali.
Tutto questo non l’avrebbe vissuto mai più, tutto questo per lui non esisteva, non gli sarebbe mai appartenuto. A lui spettava altro.
Qualcuno bussò alla porta, un’ora più tardi.
-Severus … - Silente era entrato, facendosi strada da solo, stavolta l’uomo non si sforzò di apparire come in realtà non stava, rimase steso sul letto, a fissare il soffitto, devastato dentro dal dolore – Salterò inutili convenevoli, perché sarebbero vuoti e privi di senso, ora più che mai, e arriverò al punto: devi andare a lavoro oggi –
-No – disse semplicemente.
-Non te lo stavo chiedendo, Severus, né te lo stavo ordinando, ti sto solo avvisando che accadrà – fece quello – Vedi, quando si usa la Clessidra e poi si ritorna nel proprio tempo, non si è più liberi come prima. Ti spiego: quando sei da solo, nei tuoi momenti liberi, puoi fare ciò che vuoi, come hai sempre fatto, ma qualsiasi cosa che riguardi anche solo un’altra persona, come presentarsi in classe, al banchetto o ad una riunione, sono cose che non puoi evitare, perché sono già accadute –
Severus non rispose, ascoltava  allerta e allibito l’ennesima sorpresina di Silente.
-Quindi, anche se non vorrai fare qualcosa, se è necessario che questa accada, allora la farai, come se qualcun altro prendesse il controllo di te, del tuo corpo e della tua bocca. Farai esattamente gli stessi gesti, dirai esattamente le stesse cose, non farai un passo che sia diverso da come deve essere. Potrai approfittare,però, di tutte le volte che sei rimasto chiuso qui dentro, ad esempio, come spazi di libertà, per fare ciò che desideri. Non sarà facile, credimi, non lo è stato nemmeno per me. Ma, in fondo, non è forse valsa la pena? –
A Severus filò per la mente il pensiero che il numero di svantaggi comportati dalla Clessidra avesse ormai di gran lunga superato i suo lati positivi, ma tenne la cosa per sé, forse perché non ne era del tutto convinto.
-Va bene, allora io vado, mi aspetta una giornata non facile. Ciao, Severus –
Silente uscì e, quel giorno, tutto avvenne come aveva detto:  ad un certo orario, qualche forza maggiore, disse a Severus di alzarsi e di presentarsi al tavolo per la colazione, poi lo scarrozzò fino all’aula di Difesa contro le Arti Oscure e lo riportò in Sala Grande per il pranzo, gli fece fare lo stesso tragitto avanti e indietro per le lezioni pomeridiane e per la cena, poi, finalmente, lo liberò.
L’uomo si avviò a testa bassa per i corridoi, con il capo che gli pulsava e le lacrime di nuovo agli occhi. Era stata una giornata terribile, e lo atterriva il solo pensiero di quello che gli sarebbe aspettato per il prossimo anno. Si era sentito come una marionetta, la bocca gli si apriva senza che lui lo volesse, le mani si muovevano per conto loro, ma, quel che era peggio, era che nel frattempo lui restava cosciente: poteva estraniarsi completamente dal proprio corpo e vagare tra i pensieri. Era come chiuso in una scatola, non aveva via d’uscita, non gli restava che fare il conto alla rovescia perché quell’anno finisse, e con esso anche la sua miserabile vita.
Arrivò di nuovo davanti alla porta della sua stanza e la aprì che ormai già sentiva il liquido salmastro bagnargli la lingua, ma appena varcò la soglia, fu investito da una ventata dolciastra.
Con la mente da un’altra parte, appese il mantello all’attaccapanni, poi, mentre si stava slacciando la tunica, collegò.
-Lily! – era il suo odore.
Si voltò. Lily era nella stanza. 

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Capitolo 23
*** Lily ***


2 maggio 1997
 
Lily si lanciò tra le braccia di Severus, urlando il suo nome, l’uomo la accolse in totale confusione.
Che avesse iniziato a dare segni di pazzia? Com’era possibile che fosse là?
La donna notò subito che c’era qualcosa che non andava, che il marito non aveva risposto all’abbraccio, quasi fosse timoroso di lasciarsi andare. Si staccò.
-Amore, non sei contento di rivedermi? – chiese.
Severus esitò sul rispondere, anche perché in quel momento fu catturato da alcuni particolari del corpo di lei: aveva qualche filo bianco tra i capelli, sul volto c’era qualche ruga in più; che cosa stava succedendo?
Glielo chiese.
-Non lo sai? Silente non te l’ha detto? – rispose lei – Scusami, allora, se sono piombata qui così! Ti spiegherò tutto! Sediamoci. –
Si sistemarono uno davanti all’altra, seduti sul bordo del letto di Severus, poi Lily iniziò a parlare.
-Pochi istanti prima che ve ne andaste, Silente mi ha consegnato questa – gli fece vedere una busta da lettera, logora.
-Ci ha preso l’abitudine, vedo! – fece Severus, sarcastico.
-A quanto pare sì – rise, ma subito tornò seria  – Qui dentro mi ha lasciato tutte le indicazioni per trovare e adoperare la Clessidra. Quando un uomo usa la Clessidra, ha detto, per cambiare un evento del passato e “riscrivere” il futuro, va a vivere nella realtà alternativa da esso “creata”, ma quando l’anno finisce e lui ritorna nella propria, lascia aperto un passaggio, una sorta di ponte tra le due realtà, ed è grazie a questo che io qua io adesso. –
Severus la guardò stupefatto, gli occhi che gli brillavano. Tutto era così logico, la Clessidra non funzionava solo per lui, poteva usarla anche Lily. E lei l’aveva fatto.
-Tu hai usato la Clessidra per venire da me? –
-Sì, amore. E  non è stato per niente facile! Anche se Silente mi aveva detto dove aveva trovato lui la Clessidra nella vostra realtà, io ho dovuto cercarla per più di tre anni prima di riuscire a rintracciarla e recuperarla. Inoltre, come dice nella lettera, quella di scrivermi il procedimento per venire qui è stata un’idea dell’ultimo minuto, quindi ha avuto il tempo solo di buttare giù i nomi delle formule necessarie, non l’intero incantesimo. Tu non hai idea di quanto siano complicate! Ci ho messo anni per rintracciarle tutte, per destreggiarmi tra quelle strane lingue e per essere in grado di adoperarle. Ma anche quando era tutto pronto, non potevo partire: il Ponte che permette di collegarsi alla realtà dell’Autore in questione si apre una volta ogni dieci anni. Così ho dovuto aspettare altri nove anni, cercando freneticamente di non dimenticare quanto avevo imparato, prima che arrivasse il 2 maggio del 2018. E così ora, finalmente, sono qui! –
Severus la guardò incredulo: quella donna non avrebbe mai smesso di stupirlo! Aveva appena passato vent’anni a cercare di trovare un modo di tornare da lui. Aveva mantenuto la promessa, lei non l’aveva dimenticato.
-Ma esattamente tra un anno, questo stesso giorno, dovrò tornare a casa, amore. Anche con il Ponte non posso restare più di un anno – fece triste.
-Non ti preoccupare, tra un anno io sarò morto – rispose lui, con tranquillità, magari una volta che si fosse ritrovato nuovamente nel Limbo avrebbe potuto accettare di nuovo la proposta di Silente e tornare a vivere quell’anno ancora una volta! Così avrebbe avuto non più solo uno, ma due anni di vita con Lily! E poi chissà, lei avrebbe potuto fare lo stesso…
Il flusso dei suo pensieri si interruppe nel momento in cui notò che qualche lacrima stava rigando le guance di Lily.
-No, Lily, non piangere. Non ho più paura di morire, l’ho già fatto una volta. Io avevo paura di passare un anno qui da solo, senza di te. Ma ora che tu sei qui, neanche questo può spaventarmi! – disse.
-La affronteremo assieme questa cosa, non ti preoccupare, amore – insisté lei.
-Non voglio parlarne adesso, Lily, non serve –
Lily annuì, asciugandosi gli occhi.
-Sì, hai ragione -
La donna si calmò e prese così a spiegargli che avrebbe voluto portare anche i bambini con lei, ma che non era possibile, con il Ponte poteva viaggiare solo una persona. Gli disse che neanche un giorno aveva smesso di pensare a lui, non aveva passato un momento senza che gli mancasse terribilmente. Infine si scusò, ché sapeva di essere invecchiata, e di non essere più come lui la ricordava, ma Severus prese le sue scuse quasi come un insulto personale e la baciò.
-Grazie di non aver abbandonato – mormorò lui, prima che si addormentassero, vicini, nel vecchio letto di Severus.
 
I giorni iniziarono a passare. Lily si era sistemata a Spinner’s End e si vedeva con Severus non appena lui aveva un momento libero e veniva liberato dal burattinaio che lo muoveva e parlava per lui. Inoltre avevano deciso, sotto consiglio di Silente, che la donna non si sarebbe mostrata ad Harry: lei non lo conosceva e ad Harry stesso non avrebbe fatto piacere incontrare una donna che non sapeva di essere sua madre.
17 giugno 1997
 
Il diciassette giugno Severus si Materializzò a Spinner’s End, non visto e non udito, come aveva sempre fatto. Ma stavolta Lily non lo vide venirgli incontro con un sorriso, da due, tre giorni si era incupito.
-Che cos’hai? – gli accarezzò una guancia.
-Meglio che tu non lo sappia – si scansò e andò nel soggiorno.
-Non puoi darmi una risposta simile e credere che io me ne stia zitta, Severus Piton. Cosa c’è che ti turba così? –
Severus si era fermato davanti alla finestra, ma le tende erano chiuse e stava fissando il tessuto eroso dal tempo.
-Stanotte ucciderò un uomo. –
L’uomo non vide la reazione della donna, ma il silenzio fu un ottimo schermo per la sua immaginazione.
Lily, in effetti, annaspò con il fiato, colta completamente di sorpresa da quella rivelazione.
-Che cosa? Perché dovresti farlo,amore? Perché dovresti uccidere qualcuno? –
-Perché l’ho già fatto due anni fa, e dovrò farlo per forza un’altra volta – disse, senza scomporsi, trovava che, in queste situazioni, abbandonarsi alle emozioni favorisse il vittimismo e nient’altro.
-E perché hai già ucciso un uomo, Sev? – il tono di Lily era sempre più sconvolto.
-Perché siamo in guerra, Lily – sotto la muffa si riuscivano ancora a vedere i ghirigori che un tempo avevano costituito la fantasia verde e bordeaux della tenda – E così mi è stato ordinato –
-Ma … ma … chi è? Chi devi uccidere? Chi te l’ha ordinato? Perché? –
-Silente – c’erano anche delle righine scure che si alternavano ai circoletti verdi e bordeaux di prima.
-Che cosa significa “Silente”? Che vuoi dire? –
-Che “Silente” è la risposta alle domande che mi hai fatto. Devo uccidere Silente, perché me l’ha ordinato Silente – i colori della tenda si illuminarono, evidentemente un raggio di sole si era riflesso nel vetro della finestra.
Lily non fiatò.
-Non dici niente? – chiese dopo un po’ l’uomo in nero,  in lampo di stizza. Si voltò e glielo richiese, più ad alta voce.
La donna provò a parlare, ma inciampo sulla lingua.
-Perfetto! Adesso anche tu pensi che io sia un mostro! – sbraitò, prendendo la via della porta.
Lily vede quel gesto e si riprese.
-No! Amore, come puoi dire una cosa del genere! – lo inseguì – Non è affatto … vero -
Severus si era già Smaterializzato.
 
18 giugno 1997
 
Il rumore di una Materializzazione svegliò Lily. Sentì dei passi e poi qualcuno soffocare dei singhiozzi.
La donna si precipitò giù per le scale e si lanciò verso un Severus cadaverico, che giaceva accasciato sulla poltrona. Sentì una stretta al cuore nel vederlo in quelle condizioni.
-Sev! –
Appena l’uomo si accorse della presenza della donna, rivolse il volto dall’altra parte, come per nascondere il suo stato.
-Cosa vuoi? Vai via! – la cacciò, ma la donna non gli prestò alcun ascolto. –L’ho fatto. Ho ucciso quell’uomo. Adesso ti disgusto. Vattene! – c’era un dolore profondo in quella voce.
Lily capì quanto male gli aveva fatto, reagendo in quel modo poche ore prima. Lui aveva cercato un sostegno in lei, gliene aveva parlato, voleva che gli stesse vicino, ma non l’aveva fatto, non si era nemmeno degnata di capire che non stava per uccidere qualcuno per divertimento.
-Amore, scusami, scusami per ieri! Mi hai colto di sorpresa, non volevo che tu capissi questo! – si sedette sui talloni, cercando con la mano di farsi guardare in faccia. – Io ti amo e non potrei mai smettere di farlo per una cosa del genere! –
Severus non la guardava, respirava appena.
Lily smise di cercare di forzarlo a girarsi e si sedette sul pavimento. Stette in silenzio per un po’, iniziò a pensare a come doveva essere stato, vide il dramma in quella situazione, il dramma di un uomo che era stato costretto a uccidere l’unica persona che aveva avuto fiducia in lui, l’unica che si era mai avvicinata a essere un amico nei suoi confronti, il dramma di un uomo che era stato costretto a fare una cosa simile due volte.
-E’ stato terribile, vero? –
Inaspettatamente Severus questa volta si girò e le rispose.
-Sì, lo è stato. Come l’altra volta – poi ci ripensò – No, è stato ancora peggio – aveva la voce roca – Potevo solo vedere le cose avvenire attorno a me, è stato come guardare la scena e esserci dentro al tempo stesso, senza poter fare niente – poi continuò, così a bassa voce che Lily a stento lo sentì – Le stesse parole … gli stessi gesti … la maledizione che mi passava per il braccio e usciva dalla punta della bacchetta … -
Lily si lanciò ad abbracciarlo, senza che lui la fermasse.
-E’ passato, amore, adesso. È finita –
-No, Lily, è appena cominciata –
 
E Severus aveva ragione, la vera battaglia era appena cominciata. Per molti il peggio doveva ancora arrivare.
Lui lasciò Hogwarts e per quasi due mesi intraprese un’opera di spionaggio per Voldemort  sempre più complessa, avendo sempre meno occasioni di vedersi con Lily. Poi a fine agosto, tornò al castello, come Preside, e respirò ancora una volta il clima cupo e freddo che aveva provato due anni prima. Ma stavolta era diverso, stavolta appena voleva, poteva andare da Lily, stavolta non era solo.
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Shine like a burning star ***


 
30 aprile 1998
Spinner’s End
Notte
 
Severus si rigirò nel letto per l’ennesima volta e alla fine si arrese e aprì gli occhi.
Sul soffitto si proiettavano le ombre degli oggetti illuminati dalla luce bluastra che proveniva da fuori.
Sentiva Lily respirare nel sonno accanto a lui.
Non riusciva a dormire.
Il giorno dopo sarebbe dovuto andare con le proprie gambe al patibolo e, stavolta, lo avrebbe fatto consapevolmente, e, anche se continuava a ripetersi che non aveva senso avere paura della morte, questo non cambiava di molto le cose. Lui era comunque atterrito dall’idea di soffrire, e sapere di dover soffrire è mille volte peggio che soffrire e basta.
Se l’idea del post mortem non lo spaventava più, il ricordo del dolore accecante che gli aveva pervaso tutto il suo  corpo quando Nagini lo aveva morso gli faceva venire i brividi. Ebbe un flash e s’immaginò se stesso, la notte seguente, nell’ormai familiare condizione di impotenza sul suo corpo, davanti a Voldemort e a quel serpente, quando avrebbe urlato, ma non sarebbe potuto scappare.
Si rigirò nelle coperte, cercando di scacciare quel pensiero, e si voltò verso Lily.
Anche nel buio della stanza si poteva vedere che non aveva più trentotto anni, ma la parte più bella di lei non era cambiata: gli occhi erano quelli di sempre.
Il seno le si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro, aveva una spalla lasciata scoperta dalla camicia da notte.
Ma non sarebbe finita così per loro, Severus non aveva ancora confidato a Lily il suo piano, ma non aveva ancora abbandonato l’intenzione di chiedere a Silente, una volta giunto nel Limbo, di ripetere l’esperienza della Clessidra tutta daccapo. Certo, avrebbe vissuto di nuovo il 1997, per la quarta volta in totale, ma non gli importava, non era pronto a perdere di nuovo Lily e non poteva sopportare l’idea di non rivedere mai più i suoi figli.
Sorrise, si ricordò Lily che gli raccontava di Jojo, che era diventata un’Auror provetta, come sua madre, ma che ancora cantava ai matrimoni di quando in quando; e poi c’era Ali, che si era specializzata in Magia per lo Sviluppo, e Paul che stava frequentando la Scuola per Guaritori. Jordan si era sposata un paio d’anni prima, aveva continuato Lily, adesso aspettava un bambino, una femminuccia. Anche Ali aveva un compagno e una bambina di due anni. Severus era persino nonno.
Avrebbe dato qualunque cosa per vederli cresciuti, per vedere i suoi nipoti, per vedere se stesso invecchiare con Lily, ma non poteva: lui era vincolato al 1997, perché, nel suo mondo, la sua vita finiva lì!
Poi l’idea geniale: il Ponte! Se Lily era venuta dal 2018 al 1997, allora lui forse poteva fare il contrario e seguirla nel 2017! Perché non ci aveva pensato prima!
Gliel’avrebbe detto l’indomani, avrebbe avuto tutto il tempo di dirle il suo piano, quando si sarebbero rivisti nel bosco  della montagna che avvallava Hogsmead, dove lui si era rifugiato due anni prima, quando aveva lasciato il Castello, dopo lo scontro con Minerva.
Il pensiero lo fece calmare un po’, le immagini di Nagini si sbiadirono e lui, alla fine di addormentò.
 
1 maggio 1998
2 maggio 1998
Notte
 
La figura nera dell’uomo quasi non si distingueva, mentre si librava nel cielo, era solo una macchia un po’ più scura rispetto al buio del firmamento.
Continuò a volare, fino a quando il Castello di Hogwarts non fu lontano, sorvolò il villaggio di Hogsmead, quindi arrivò sui boschi che lo circondavano. Il burattinaio gli disse dove atterrare e lui fu libero.
-Lily … - chiamò – Sono arrivato … -
La donna, che aveva seguito la voce, si mostrò all’uomo in nero.
-Sono qui – disse e iniziò ad avvicinarsi a lui, prima molto piano, poi correndogli incontro. Si abbracciarono, poi per un lungo istante non dissero niente, il cuore di Severus iniziò a battere così forte che quasi spezzava il silenzio.
-Come ti senti? – mormorò Lily.
Severus aprì la bocca per risponderle, ma non riuscì ad articolare la parola “Bene”, sembrava priva di senso in quel contesto. Infatti gli uscì: - Ho paura –
Lily lo fissò con uno sguardo carico di una cosa che Severus non avrebbe mai creduto di sopportare prima di allora: compassione.
Lo abbracciò di nuovo.
-Mi dispiace…
-Ti voglio dare una cosa – aggiunse sempre lei, poco dopo, tirando fuori dalla veste un foglio piegato in quattro parti – Lo porto sempre con me, ho pensato che fosse meglio che lo avessi tu – glielo porse.
Severus se lo rigirò in mano e lo aprì: era un disegno di un bambino, c’erano sei persone, ciascuna indicata con una freccetta: una diceva Paul, un’altra mamma, un’altra ancora Jojo, poi c’era quella di Ali e poi c’erano due figure pressoché identiche, entrambe indicate con “Papà”. Era firmato “Paul”.
L’uomo guardò la moglie, senza capire.
-L’ha fatto Paul, quando aveva quattro anni. Gli era stato chiesto di disegnare la sua famiglia. –
-Gliel’hai detto? – chiese, stupito.
- E’ questo il punto: no! Non so come sia possibile, ma nemmeno lui ti ha dimenticato –
Severus s’impedì di piangere, in nome di una dignità che doveva ancora esserci, da qualche parte. Poi ripiegò il disegno e se lo mise sotto la veste. Nel farlo si ricordò cosa stava andando a fare alla Stamberga e si rese conto di quanto inutile fosse dare quel foglio a lui: di lì a un’ora, quel disegno sarebbe stato sono un pezzo di carta nella tasca di un cadavere freddo e coperto di sangue.
-Lily,non serve che lo dai a me – disse, ripescandolo – Tienilo tu – lo porse di nuovo a lei, ma questa gli spinse via la mano.
-No, voglio che lo conservi … tu … - si spense sul finale della frase, aveva capito, guardando in faccia il marito, cosa intendeva. Parve ripensarci per un attimo, ma poi insistette – Non importa, tienilo tu! –
L’uomo si arrese, poiché non aveva voglia di discutere, e lo tenne con sé.
-Ho un piano – disse poi.
-Che cosa vuoi dire? –
Severus glielo disse. Le spiegò che aveva intenzione di tornare indietro un’altra volta con la Clessidra da loro, nel 1997, oppure che l’avrebbe seguita, attraverso il Ponte. L’uomo parlò ininterrotto fino alla fine, colto dall’entusiasmo di quell’idea; in quel momento la morte era più lontana.
-E poi potresti fare lo stesso anche tu un’altra volta. Potremo ancora passare anni assieme, in questo modo!-
L’eccitazione dell’uomo fu messa  a dura prova dalla reazione della moglie: Lily l’aveva ascoltato in silenzio,e ora, mentre lo fissava, stava iniziando a piangere, senza emettere un suono.
-Amore …  non … non si può fare … - disse, come se stesse cacciando quelle parole a fatica fuori dalla sua bocca.
-Che cosa?  Certo che si può fare! Basta che … -
-Non si può tornare nella stessa realtà più di una volta –
-Ma … cosa … il Ponte però … -
-Lo stesso vale anche per il Ponte, Sev. Me l’ha … me l’ha spiegato Silente in quella lettera, e poi l’ho letto anche io, quando studiavo per attivare la Clessidra. Non è possibile. Mi dispiace – Si aggrappò un’altra volta a lui, le mani strette alla tunica, il viso nel suo petto. Severus le mise una mano sui capelli, una sulla schiena e rimase così.
Allora era finita, niente più sotterfugi, niente più scappatoie, quella era veramente la fine. Per la prima volta sentì il peso della morte schiacciarlo, comprimergli i polmoni e impedirgli di respirare.
Lily lo stava abbracciando, ma lui non sentiva più il suo calore. I capelli di lei erano lì, vicino al suo viso, ma perché avrebbe dovuto sentirne l’odore? Riusciva solo a sentire lei che piangeva, tutto il resto era lontano.
 
L’ambiente della Stamberga Strillante era scuro, le pareti erano scrostate, il pavimento era sporco, tutto era al suo posto: i mobili, le scale, il baule, il Signore Oscuro, Nagini, lui stesso. Tutto era come ricordava.
Adesso Voldemort parlava, stava già parlando da un po’, e quello che tirava i fili di Severus gli faceva rispondere; Nagini fluttuava.
-Ho cercato una terza bacchetta, Severus. La Bacchetta di Sambuco, la Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte. L’ho presa al suo precedente proprietario. L’ho presa dalla tomba di Silente – aveva appena detto Voldemort, quando qualcuno gli fece ribattere, inutilmente:
-Mio Signore … lasciatemi andare dal ragazzo … -
-E’ l’una, Lily, tra poco devo andare – mormorò, con una stretta al cuore.
-No, ti prego, resta qui ancora un po’. Non te ne andare –
-Lo sai che non posso –
-Posso venire con te, allora? – fece, con tono implorante.
“Certo, non vorrei altro” avrebbe voluto risponderle, sapeva che con lei vicino sarebbe stato tutto più facile. Invece disse:
-No, non ti lascerò … vedere … una cosa del genere! –
-Quello che mi lascerai fare tu, non i interessa, Severus Piton. Io vengo lo stesso! –
Severus espirò, sentiva che i suoi nervi stavano per cedere.
-Lily,ascolta, anche se tu venissi, non potresti intervenire. Inoltre, io no farò nient’altro che non abbia già fatto l’ultima volta … tu non c’eri, quindi non potrei … interagire con te … non avrebbe senso … -
-Ma io non voglio abbandonarti! – insisté.
-Tu hai già fatto abbastanza per me, Lily. Sei venuta fin qui, sei stata con me l’ultimo anno della mia vita, è quanto di meglio avessi mai potuto sperare. Non mi hai abbandonato –
- … E credo di avere la risposta. Forse la conosci già? Sei un uomo intelligente, dopo tutto, Severus. Sei stato un servitore bravo e fedele e mi dolgo di ciò che deve accadere –
-Mio Signore … -
Loro parlavano, ma, nel frattempo, lui non li stava ascoltando. Ali stava recitando una filastrocca.
“Era una bella giornata di sole
Sembrava che con le mani
Potevamo toccare il cielo. Tutti.
Adulti e piccini. Grandi e bambini…”
-La Bacchetta di Sambuco non può servirmi in modo adeguato, Severus, perché non sono io il suo vero padrone. La Bacchetta di Sambuco appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario. Tu hai ucciso Albus Silente. Finché tu vivi, Severus, la Bacchetta di Sambuco non può essere davvero mia –
-Mio Signore! – rispose, poi il burattinaio tirò un filo e lui alzò la bacchetta.
Ecco. C’erano quasi. Era arrivato il momento. La voce di Ali si fece sempre più flebile e lontana, fino a quando non riuscì ad udirla più. Il cuore picchiava nel petto, era l’unica cosa che gli giungeva alle orecchie, ormai.
-Non può essere altrimenti. Devo dominare la Bacchetta, Severus. Se domino la Bacchetta, finalmente dominerò Potter –
Ci fu un attimo in cui credé di non essere più in grado di respirare, poi, nello steso momento, Voldemort sferzò l’aria, Jordan le corde di una chitarra.
Severus urlò, mentre veniva ingabbiato un’altra volta in quella sfera maledetta, e poi attaccò, Jojo a cantare, Nagini la sua gola.
Il dolore fu così forte da assordarlo, non sentiva più niente, aveva coperto anche la voce di Jordan, era insostenibile.  Il serpente si accanì e continuò a perforargli la pelle, mentre già sentiva i fiotti di sangue scorrergli lungo il corpo, caldi.
Ebbe una vertigine, le gambe persero di ogni vigore e crollò sul pavimento.
Voldemort parlò ancora, ma era una voce lontana per lui, riusciva solo a sentire le pulsazioni della ferita in cui Nagini continuava a rigirare le zanne. Sembrò passare un secolo prima che la ritirasse, la gabbia incantata volò via da lui e Severus si accasciò a terra, mentre una mano si mosse alla gola, nel tentativo di arrestare l’emorragia.
Il sangue aveva già formato una pozza sul pavimento e lui sentiva la voce della sua coscienza sempre più flebile, come se stesse per crollare in un sonno profondo. Jordan, però, aveva ripreso a cantare, ma era lontana, non ne distingueva le parole.
Severus si aggrappò a quella voce per cercare di mantenersi cosciente, ma il sangue non si fermava. In quel momento, finalmente, Potter arrivò.
Una mano gli fu mossa e la bocca gli fu aperta.
-Prendi … prendi … -
E i ricordi fluirono.
Il sangue doveva essere arrivato dove aveva nascosto il disegno di Paul.
-Vuoi fare l’amore con me? – chiese Lily, con gli occhi bagnati.
-Devo andare –
-No, non è vero, c’è tempo! – lo trattenne, gli si fece vicinissima, schiacciandosi a lui.
-No, Lily. E’ finita. Devo andare – disse, evitando il suo sguardo e cercando di scostarla.
-Non dire così. Non è finito niente! Siamo ancora qui! Baciami, voglio fare l’amore con te –
-E’ inutile discuterne adesso. È tardi –
Stava lottando per rimanere sveglio, sentiva freddo, sentiva tutto sempre più lontano.
Parlò per l’ultima volta, ma non ci fu bisogno del burattinaio.
-Guar .. da … mi … - sussurrò.
-Ti chiedo solo un’ultima cosa, Lily. Guardami –
Potter lo guardò. Ebbe solo un istante per vedere quegli occhi. Jordan non aveva smesso un secondo di cantare.
“Brilliamo,
 come una stella infuocata,
che sta cadendo dal cielo,
stanotte.”
Jordan cantava.

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