Come era in passato???

di Winry4ever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- L'arrivo nella villa ***
Capitolo 2: *** 2- Il primo giorno ***
Capitolo 3: *** 3- Il pranzo clandestino ***
Capitolo 4: *** 4- La chiesa e la dichiarazione ***
Capitolo 5: *** 5- La punizione colosale ***
Capitolo 6: *** 6- La gonna bruciata ***
Capitolo 7: *** 7- Una grave perdita ***
Capitolo 8: *** 8- In guerra ***
Capitolo 9: *** 9- Il ricordo di suicidio ***
Capitolo 10: *** 10- Ritorno nel presente ***



Capitolo 1
*** 1- L'arrivo nella villa ***


L’ARRIVO NELLA VILLA

Le nuvole nere si allargava su nel cielo, quando la carrozza entrava nella città. I fulmini che rompevano la quiete che c’era. Iniziò a cadere un pioggia leggera, subito dopo, il diluvio. Una valanga d’acqua colpi i vetri del veicolo.
All’interno della carrozza, c’era seduto un ragazzino, tranquillo e serio per la sua età. Aveva i capelli corvini che gli cadevano leggermente sulla fronte. Gli occhi sempre scuri, con una luce piena di convinzione e coraggio. Le labbra serrate formavano una specie di smorfia di disgusto.
“Odio la pioggia…”
Il mezzo si fermò davanti ad una grandissima casa, con un giardino pieno di meli. La casa aveva tre piani, le serrande delle finestre, erano chiuse e tutte rovinate. Una grande porta si apriva sul giardino, doveva essere l’entrata per la grande villa.
Il ragazzo uscì dalla carrozza con l’unico suo bagaglio, una piccola valigetta, bagnandosi tutto fino all’osso. La carrozza lo abbandonò, lasciandolo solo sotto quella pioggia incessante. Strinse a se la valigetta e corse fino al portone della casa.
Bussò una volta, troppo piano per farsi sentire, visto che il portone era di legno massiccio. Bussò di nuovo più forte, facendosi male alla mano.
La porta venne aperta da un uomo alto e robusto. Aveva capelli e la barba grigia, anche se su alcuni punti si intravedeva il capello biondo. Gli occhi piccoli e marroni, nascosti dietro le lenti di occhiali. Mi invitò dentro la casa senza sorridere, come avrebbe fatto qualcun altro ad un bambino come lui.
- La tua camera è al secondo piano, è quella con la scritta “Allievo”.- disse scortese, per poi prendere quella pipa di legno ed andarsela a fumare in un’altra stanza.
Il ragazzo lo guardò perplesso e con il passo lento salì le scale contando i gradini mentalmente.
“…dieci, undici…”
Teneva nella mano la valigia, tormentando la maniglia grattandola con un’unghia un po’ più lunga delle altre. Quando salì al secondo piano, si fermò imbambolato. Non sapeva a che parte andare, perché sia a sinistra che a destra si estendeva un lunghissimo corridoio. Il piano era completamente buio, senza alcuna luce. Cercò il contattore, ma inutilmente, visto che non c’era nessuna lampada.
Il ragazzo buttò un occhio dietro di se come se per pensare di tornare indietro e cercare l’uomo che ha incontrato poco fa. Ma lo escluse, visto che egli non gli sembrava tanto cordiale e amichevole.
“E quello là sarebbe il mio maestro?…”
Decise allora di vedere tutte le stanze una ad una. Dopo un periodo, che sembrava un’eternità, trovò finalmente la camera. Sulla porta di legno, c’era un foglietto di carta attaccato su un chiodo con scritto sopra la parola “Allievo”, appunto.
Il ragazzo premette la maniglia fino in fondo ed aprì la porta cautamente, come se sì aspettasse che ci fosse qualcuno nella stanza. Era buia. Con una mano cercò nel buio l’arredamento. Trovò il letto, sbattendo una gamba contro di esso, procurandosi un livido bello e grosso. Con la mano trovò una scrivania e finalmente anche una fonte di luce, una lampada, anche se non illuminava un granché. Si sedette sul letto tutto contento, anche se non c’era niente da essere felici, poggiò una mano sul lenzuolo grigio. Sotto la mano sentì qualcosa di morbido e peloso. Lo accarezzò senza guardare, ma lo sentì fremere sotto il suo tatto, solo a quel punto guardò la cosa. Vide una cosa abbastanza grande, era su per giù come un gatto, il muso spuntò dal sotto il pelo, rivelando i denti aguzzi e dei batti lunghi.
Il ragazzo venne morso da quel topo in formato gigante, per poi sguazzare via dalla camera, lasciandolo solo con la mano insanguinata. Per poco non si mise a piangere, tenendo la ferita stretta in un pugno. Con un gesto veloce aprì bagaglio e tirò un fazzoletto bianco e se lo legò, bloccando il sangue.
Dopo essersi calmato, si cambiò in pigiama e scostò quelle rigide e grigie coperte. Un’altra sorpresa lo attendeva. Quando sposò le lenzuola, vide delle piccole creature che si muovevano.
“No… i scarafaggi… che schifo…”
Al ragazzo passò subito la voglia di riposare, così si sedette sulla sedia della scrivania, che cigolò sotto il peso di lui. Si appoggiò il mento su una mano e pensò a quello che poteva fare. Cosa fare in una notte del genere se non dormire?
I suoi occhi guizzavano a destra e a sinistra, cercando una risposta valida, una soluzione alla sua insonnia falsa. Alla fine decise di andare a fare un girò per la casa. Si rivestì velocemente, lasciando i vestiti bagnati sulla sedia. Sulla scrivania trovò un porta candela e dentro un cassetto una candela. Uscì piano dalla stanza, facendo scricchiolare il pavimento camminò per molto tempo, provando ad entrare nelle stanze, che la maggioranza erano chiuse a chiave. Salì al terzo piano. Questo era diverso. Al contrario di quello dove lui aveva la stanza, i corridoi avevano le lampade ed era tutto ordinato e pulito. Sempre con la sua candela accesa, avanzava a passi lenti e tremanti.
In lontananza intravide un movimento e alla luce del fulmine qualcuno che si nascondeva. Aveva paura, ma allo stesso tempo era curioso di quello che avrebbe scoperto. Che cos’era? Chi era?
Al suo stupore però, quando giunse in quel luogo, non vide niente. Nessuno. Decise così di tornare nella sua camera. Si sentiva più sicuro, anche se era infestata da insetti e topi giganti.

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Capitolo 2
*** 2- Il primo giorno ***


IL PRIMO GIORNO

Roy, quella notte non ebbe coraggio di scacciare quelle tremende bestiacce ed infilarsi sotto le coperte, allora dormì seduto, appoggiato alla scrivania.
Quando si svegliò, anzi quando venne svegliato dall’uomo, si sentiva tutto a pezzi. Gli faceva male il collo e sulla guancia aveva l’impronta della sua manica della camicia.
L’uomo piombò nella sua camera non preoccupandosi se ragazzo dormiva o meno. Spalancò solo la porta e urlò di svegliarsi. Quello che fece lui. Egli si presentò come il suo maestro e gli ha detto di chiamarlo Maestro o Signor Hawkeye, poi gli diede un foglio e se ne andò via. Roy, ancora assonnato, prese il foglio da terra e lesse.
Era una lista di libri, i cui doveva cercare nella biblioteca della casa e poi doveva pure…
“…studiare tutti questi libri!!!”
Stando in silenzio, si accorse di un piccolo particolare. Non pioveva più. Spalancò subito la finestra, che si trovava accanto al letto e si affacciò da esso. Il sole splendeva in altro, illuminando tutto il giardino, facendolo rivivere. Dagli alberi cadevano ancora le gocce d’acqua e l’aria sapeva di terra bagnata, come in campagna. Chiuse un attimo gli occhi e curvò le labbra in un piccolo sorriso soddisfacente.Il vento gli spettinò leggermente i capelli, facendoli solletico. Alle orecchie gli giunse una risata, era piena di gioia.
Aprì subito gli occhi e salì sulla finestra, sporgendosi. Vide una ragazza, aveva circa la sua età. Ella era molto graziosa, correva e saltava sull’erba bagnata. Sorrise vedendola così felice.
Aveva capelli biondi, d’oro, legati in una freccia. Sulla fronte le scendeva la frangetta, che era spettinata. Portava un vestitino fino al ginocchio.
“Che cari…”
I suoi pensieri vennero interrotti dal suo maestro che piombò nel giardino e con un gesto brusco la portò dentro la casa, gridandole che c’erano gli ospiti in casa e che non poteva comportarsi così.
Roy dispiaciuto uscì dalla stanza, quasi correndo, sperava di incontrarla. Infatti si trovò davanti a lei, mentre saliva le scale. Il suo volto era serio, senza sorriso, senza felicità.
Il ragazzo le fecce un mezzo sorriso, come per tirarla su di morale. Lei non rispose al suo gesto.
Aveva gli occhi chiari, che lo squadrarono, poi sussurrando disse:
- Ciao…-
Roy voleva avvicinarsi a lei, ma non fece in tempo che lei incominciò a salire le scale e sentì solo il scricchiolio delle scale. Si scosse dai suoi pensieri e incominciò ad incorrerla.
- Aspetta!- disse fermandosi sulle scale, anche lei si fermò per guardarlo - Come ti chiami?-
Riza lo guardò con quei suoi occhi nocciola chiaro, facendolo arrossire. Roy abbassò la testa ed aspettò la risposta dalla bionda.
La ragazza appoggiò una mano sulla ringhiera sentendo lo strato liscio e scivoloso. Non sapeva se rispondere e disobbedire al suo padre o dirgli come si chiama e diventare l’amica di lui.
- Io…- aveva timore che suo padre la punisse, le ha proibito di parlare con lui, di ogni cosa. - …non posso dirtelo, adesso devo andare.-
Roy la prese per un braccio e la fermò.
- Perché non lo vuoi dire?-
- Mio padre mi ha proibito di parlare con te.- disse lei liberandosi dalla stretta.
- Ma perché?- lui non capiva il motivo, non sapeva.
La ragazza non rispose, si girò a malincuore e salì le scale di fretta facendo un rumore. Lui rimase gli imbambolato, pensando ancora a lei. Si chiedeva molte cose. Perché non può parlare con me? Come si chiama?
Queste domande lo tormentavano per tutta la giornata. Alla fine decise di prendere la lista e scendere giù in biblioteca della casa, per cercare i libri che vi erano scritti sul foglio.
Entrò con cautela nella grande stanza. Gli mancò il fiato, vedendo la grandezza della stanza. Era piena di scaffali, su sui c’erano un’infinità di libri.
Cercò con una mano il contatto per accendere la luce. Tutto s’illuminò, facendo vedere la polvere che volteggiava nell’aria. Per terra era tutto sporco, si vedeva che nessuno da molto non ci entrava. Passò su quella polvere lasciando le sue impronte. Toccò i scaffali sporcandosi la mano e sentendolo nella manco si disgustò. Odiava la sporcizia.
Dopo una mezz’ora trovò tutte i libri, che gli posò sul tavolo vicino alla finestra. Si sedette sulla sedia, spolverandola prima con una mano.
Roy studiava senza fermarsi, incredibile ma vero. Era calata la sera, è venuta la notte oscurando la notte. Le palpebre del ragazzo non resistevano a quell’invito per dormire. Si chiusero piano, mentre la testa scivolava lungo il braccio per poi appoggiarsi su un libro dell’alchimia.
Riza era nascosta dietro un scaffale e lo osservava con un sguardo dolce.
“Come è carino… ma cosa sto pensando…”
Nelle mani, aveva una coperta rossa, morbida e calda, su un braccio teneva il cesto con il cibo all’interno. È venuta a trovarlo e portarli da mangiare, visto che era tutto il giorno che non usciva da quella stanza. Si avvicinò piano al tavolo e posò il cesto su una sedia, prese la coperta e con un gesto abbastanza elegante per la sua età, lo coprì.
Lui sentendo una presenza vicino a lui, alzò velocemente la testa e la guardò con gli occhi stanchi. - Ciao…- disse posando di nuovo la testa sul libro guardandola con gli occhi semichiusi - …perché sei tornata?-
- Volevi conoscermi, giusto?- disse aprendo il cesto attirando l’attenzione di Roy - Ti ho portato qualcosa da mangiare.- disse spostando i libri con una freddezza e dolcezza nello stesso momento e mettendoli un piatto davanti.
- Ho una fame- disse scacciando via la coperta dalle spalle e avvicinando il piatto. - Ma non mi hai risposto ancora… come ti chiami?-
- Riza… Riza Hawkeye.-
Roy sorrise. Il suo primo sorriso di conquista, seducente. Era contento di aver spezzato quel muro tra loro.
- Roy Mustang.- disse alzandosi in piedi e facendo un mezzo inchino, come per fare colpo, ma lei rimase a fissarlo senza sorridere.
- Mangia, se no si raffredda.- detto questo si sedette vicino a lui e lo guardò, facendoli alcune domande. Al contrario, lui non ha osato di indagare sul suo passato non voleva scoprire perché gli occhi di quella ragazza erano spenti e tristi.

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Capitolo 3
*** 3- Il pranzo clandestino ***


IL PRANZO CLANDESTINO

Erano passate molte settimane dal arrivo del piccolo Mustang. I due ragazzi sono diventati amici, da non credere. Riza vegliava su Roy ogni giorno, avvertendolo quando arrivava il padre, mentre lui dormiva. Ogni giorno gli portava il cibo. Lo costringeva a mangiare le mele e gli altri frutti, anche se gli odiava. Quasi sempre quando gli dava una mela, lui faceva una faccia disgustata e diceva che non aveva intenzione di mangiarle, ma lei alla fine lo convinceva in qualche modo.
Roy entrò nella biblioteca ormai pulita. Il ragazzo, una volta, ha ricevuto la punizione di pulire tutto il primo piano, perché il padre lo ha scoperto a sonnecchiare al posto di studiare.
Sul tavolo trovò un libro, era un romanzo che leggeva Riza. Da quando lui ha dovuto studiare l‘alchimia nella biblioteca, lei si dedicò a leggere dei libri lasciati da sua madre, alla quale piacevano molto. Riza capì perché sua madre era così appassionata di queste letture.
Roy aprì il libro con una mano, sapendo già cosa vi avrebbe trovato all’interno, infatti c’era un foglio.
Lesse il contenuto scritto sulla carta: “Per pranzo, in giardino dietro la casa… ore 13 in punto. Riza.”
Gli piaceva ricevere i biglietti scritti con quella grafia sottile e precisa, rappresentava perfettamente Riza. Prese il foglietto e se lo mise dentro la tasca dei pantaloni, per nasconderlo dai occhi indiscreti, cioè dal suo maestro.
Arrivata l’ora del appuntamento, Roy lasciò tutti i libri sul tavolo ed uscì dalla porta di retro della casa, tutto contento di rivedere la sua amica.
Il giardino era verde, crescevano un’infinità di fiori e i meli erano pieni di frutti.
Roy poggiò i piedi su quell’erba fresca che profumava di vento e vide la ragazza che stava seduta sotto un melo con un cesto. Lo aspettava come ogni giorno per quei clandestini incontri.
Il ragazzo corse verso di lei e si sedette accanto, sorridendole amichevolmente.
- Come andata oggi?- chiese lei dandoli una ciotola piena di riso. -Spero che non hai dormito.-
- No, non ho dormito…- disse lui incominciando a mangiare. Lei non potè fare altro che sorridere.
- Tu non mangi con me oggi?- chiese lui fermandosi ad osservare la ragazza un po’ deluso. Solo un po’… era sul orlo della disperazione.
- No, mi dispiace. Oggi ho dovuto mangiare con mio padre, ma una mela me la concedo con te dopo.-
Roy sbuffò sentendo la parola “mela”. Riza lo guardò severa. Alcune volte era per lui come una madre. Gli dava sempre molti consigli, gli diceva quello che poteva e non poteva fare nella casa Hawkeye, perché se no suo padre si infuriava con lui, e lei non lo voleva.
- Non fare bambino, sei ormai grande!- disse lei alzandosi in piedi.
- Ed ora dove vai?- chiese lui curioso. Non voleva restare solo.
- Voglio prendere due mele per dopo.- disse appoggiando una mano sulla corteccia dell’albero sentendola tutta ruvida e polverosa.
Roy protestò come sempre ed alla fine la convinse che avrebbe preso lui le mele per loro.
Si aggrappò ad un ramo principale per non cadere e con estrema cautela incominciò a salire. Arrivato sull’albero, si sedette su un ramo e tutto contento di aver raggiunto obbiettivo mostrò quel sorriso strafottente.
- Potevo fare anche da sola.- disse lei guardandolo da sotto. Riza era seduta per terra con le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia. Aspettava che scendesse, così potevano continuare a parlare e finalmente avrebbero mangiato il frutto.
Roy si alzò leggermente sulle gambe, appoggiandosi ad un ramoscello abbastanza sottile. Voleva raggiungere due mele più carine, quelle che stavano in cima e che lanciavano il loro riflesso attirando la sua attenzione. Mancava poco, ancora un po’, ancora piccolo sforzo. Eccole! Le prese, ma per sua sfortuna il ramoscello si spezzò. Riza si alzò velocemente e si avviò nel posto dove sarebbe caduto Roy, infatti lo prese al volo o meglio lui le cadde addosso con le mele in mano.
- Stai bene?- chiese lui premendo le braccia per terra, non voleva farle male.
- Non ti preoccupare, va tutto bene.- disse lei mentendo, visto che sentiva un leggero dolore alla gamba, ma non lo fece vedere. Si alzò come se non fosse successo niente. Piuttosto gli occhi di Riza caddero sulla ferita che si era procurato lui. Un taglio non profondo ma abbastanza esteso su un polpaccio.
- Roy, ma sei ferito!- disse lei avventurandosi contro di lui e facendolo sedere. Subito cercò un qualcosa per medicare la ferita e alla fine, visto che non trovò niente, strappò la sua camicia e gli fece la fascia. - Riza ma che fai…-
Lei gli fece segno di stare zitto e continuò suo lavoro.
- Devi stare più attento!- lo rimproverò alzandosi.
Roy fece il broncio. Odiava essere sgridato, specialmente da lei, perché se veniva sgridato da suo maestro, la ragazza lo consolava, invece se veniva rimproverato da lei, si sentiva un verme.
- Va bene.- disse piano, poi con la stessa faccia se ne tornò dentro lasciandola sola.
Riza non potè più resistere, la sua gamba le faceva un male tremendo. Si sedette per terra ed alzò i pantaloncini. Si aveva fatto una mora abbastanza grande, ma niente di rotto per sua fortuna.

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Capitolo 4
*** 4- La chiesa e la dichiarazione ***


LA CHIESA E LA DICHIARAZIONE

Era ancora il mattino. L’orologio batteva le cinque e mezza. Tutta la casa dormiva circondata dalla oscurità, ma ancora per poco.
Era domenica e come sempre Riza si ostinava ad andare in chiesa anche se suo padre era contrario, visto che lui era un’alchimista e non credeva ad un essere superiore di tutti gli uomini.
- Riza, piccola mia, secondo me non dovresti andare, ma se lo vuoi proprio ti faccio accompagnare…- disse il padre arrendendosi alla testardaggine della ragazza. In ogni modo era stupito che sua figlia rimanesse così tranquilla e fredda alla sua risposta. Era diversa dalle altre bambine e lui lo sapeva, anche sua moglie era così.
“Ha preso tutto da lei, anche la bellezza…”

Riza salì piano le scale, appoggiandosi alla ringhiera. Salì con calma al secondo piano e camminò nel lungo corridoio, su quel tappeto non lavato da anni. Osservò i quadri che vi erano sulle pareti. Innumerevoli e tutti rappresentavano le persone della famiglia Hawkeye.
Bussò ad una porta ed entrò senza aspettare la risposta. Trovò Roy che ancora dormiva nel suo letto al calduccio con i topi che scorrazzavano liberi nella stanza e i ragni che facevano passeggiate sulle mura sporche. Riza non credeva che questo piano fosse così trascurato. Non ci è stata mai su esso perché sempre c’era qualche ospite e quindi il piano venne proibito alla ragazza.
- Roy svegliati!- disse lei piano per non fargli prendere paura. Si sedette sul bordo del letto, facendolo cigolare e poggiò una mano sulla testa del ragazzo. Sentiva tra le dita scorrere i capelli di lui, che erano morbidi e profumati. Lo accarezzò piano sussurrandoli: - Svegliati, Roy… Roy?-
I ragazzo aprì piano gli occhi osservando quella nitida presenza che c’era vicino a lui. Si stropicciò gli occhi e localizzò che era Riza. Le sorrise ancora intontito.
- Sai, ho fatto un bel sogno…- disse lui sedendosi sul letto toccando il pavimento freddo della stanza. Rabbrividì al contatto. Era scalzo e non trovava le ciabatte.
- Hai visto le mie ciabatte?- chiese lui chiudendo gli occhi.
Riza si alzò e cercò tra l’oscurità l’obbiettivo. Trovate! Erano sotto la scrivano tutte impolverate. La ragazza le prese e le pulì con una mano.
- Ecco tieni!-
- perché mi hai svegliato così preso, lo sai che sono andato a dormire molto tardi…- disse sbadigliando come un leone.
- Lo so, scusami, ma volevo chiederti se volevi andare con me in un posto.-
Lui la guardò incredulo. Non ci credeva. Lei gli proponeva di uscire da questa casa. Roy da quando era arrivato, cioè da sette mesi, non aveva mai messo piede al di fuori del giardino.
- E dove vuoi andare?- chiese curioso.
- In chiesa…- disse sorridendo.
Cosa? In chiesa? Lei gli aveva chiesto di andare in chiesa? Roy la guardò cercando le spiegazioni nei suoi occhi, poi si sedette sul letto prendendosi il viso tra le mani.
- Non vuoi venire?- chiese lei un po’ delusa.
- Io sono un’alchimista, io non…-
- …non ci cedi in Dio!!!- gli interrompe la ragazza, parlando con quel tono tranquillo ma molto più gelido. Roy alzò la testa e la guardò con quei due occhi che sembravano due pezzi di carbone.
- Sì, ma…- guardò la ragazza capendo che era delusa e arrabbiata, anche se non si direbbe - … ci vengo.-
Era da poco che si conoscevano, ma bastava guardasi negli occhi e i due si capivano al volo. Hanno imparato a leggere i sentimenti, i pensieri, le sensazioni negli occhi, perché i due non facevano notare le loro sensibilità. Mai.

Erano le nove, dopo la colazione abbondante, i due uscirono dalla porta principale, hanno attraversato il vialetto e sono usciti dal cancello che si aprì subito su strada.
Le vie erano uniformi e con delle crepe profonde. Le case avevano i buchi nel tetti e molte erano crollate o per metà, lasciando le macerie sulle strade. La gente, nonostante tutte queste perdite, era abbastanza sorridente.
I due passarono nella via dove vi era il mercato. Molta gente si lamentava che tutto costava troppo. C’erano dei manifestati contro la guerra e contro i militari dello stato, cioè gli alchimisti.
- Riza, ma perché fanno così?- disse indicando un gruppo di rivoluzionari.
- Devi sapere che gli alchimisti non sono molto amati, perché secondo il popolo hanno dato le loro anime al demonio…- disse Riza camminando al fianco di lui.
Roy non fece più domande. Presto arrivarono in chiesa. Era tutta distrutta. Il tetto non c’era per metà, al portico mancava una parte. Il rosone era tutto rotto, mentre alle finestre bifore e trifore mancavano alcune colonne. L’unica parte della chiesa che era intatta era la cupola. Essa era veramente bella, era a costoni, all’interno tutta decorata. Quando si entrava nella chiesa la copertura era a doppio spiovente, abbastanza semplice. L’altare era rialzato su tre gradini. Ci si sentiva piccolissimi quando si entrava nell’edificio. Le panchine all’interno erano poche e rovinate. In fondo alla chiesa, c’era la campana abbattuta da uno dei bombardamenti.
I due ragazzi si sedettero in fondo. Nella fila erano soli, molta gente non andava a quell’ora in chiesa, di solito andavano prima la mattina presto.
Roy osservava tutto, non era mai stato in chiesa visto che proviene da una famiglia d’alchimisti.
- Riza, cosa è per te la chiesa?- sussurrò distratto.
- Per me la chiesa è una comunità dove i fedeli professano la religione. È un edificio sacro in cui si svolgono gli atti di culto della religione…- disse distratta anche lei - …la chiesa è un luogo dove le persone possono riunirsi e sentirsi come una grande famiglia.-
- E’ assurdo… invece il Dio, lui chi è per te?-
Riza non capiva perché tutte queste domande, ma rispose ugualmente.
- In un libro ho letto che Dio significa “luminoso” ed è una identificazione della divinità con la luce è caratteristica ricorrente presso molti popoli… ma secondo me è un consolazione per un popolo perduto che cerca conforto in esso.-
- E tu cerchi conforto in esso?- chiese un’altra volta questa volta guardandola.
- Sì, perché ho paura…- disse talmente piano che anche Roy la sentì a malapena.
Roy le sorrise. Era un sorriso rassegnato e forse anche per consolarla, come per dirle “Io ci sarò sempre con te e ti aiuterò…”.
Le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò:
- Cos’è per te l’alchimia?-
- E’ un principio con il quale i scienziati o l’alchimisti spiegano i segreti della natura e della umanità… ma non ho capito perché vuoi sapere tutto questo?!-
- Aspetta, un’ultima domanda… cos’è per te l’amicizia?- pose Roy un’ultima domanda. Lei lo guardò rassegnata.
- E’ un legame tra due o più persone basato su…- si fermò per trovare una risposta a quelle domande che faceva il ragazzo - …su affinità di sentimenti, schiettezza e reciproca stima…-
- Tu provi questo per me?- disse aspettando la risposta, molto curioso.
- Sì… e tu?- disse lei arrossendo.
- Anch’io…- disse sorridendole dolcemente.

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Capitolo 5
*** 5- La punizione colosale ***


LA PUNIZIONE COLOSALE

- Roy, ma come hai fatto a ricevere di nuovo una punizione del genere?- chiese Riza sedendosi vicino a lui.
- Ero troppo stanco… - si giustificò il ragazzo guardandola triste.
Roy è stato di nuovo scoperto di aver dormito, mentre doveva in verità studiare. Il Signor Hawkeye si arrabbiò come non mai. Gli ha dato una punizione che non si sarebbe mai aspettato nessuno.
- Cosa devi fare questa volta?- chiese lei con le braccia incrociate.
- Devo pulire…- non osava finire, si vergognava -… devo pulire tutta la casa e il giardino.- disse abbassando la testa.
- COSA?!?! Non è possibile… cos’altro hai combinato?- disse lei inginocchiandosi vicino a lui e mettendoli una mano sul ginocchio.
- E’ arrabbiato perché…- disse alzando il volto -…ci vediamo, cioè siamo diventati amici…-
Riza sospirò.
- E’ il solito di mio padre… pensa che ho bisogno di una protezione notte e giorno.- disse sorridendoli dolcemente - Ti aiuterò… in fondo è anche colpa mia.-
Roy le sorrise e i due amici come i compagni di lavoro andarono al primo piano, piano terra, e si intrufolarono nella stanza dove c’era tutto il necessario per fare le pulizie.
La stanza era piccola, senza finestre, con muri tutti unti. Lì trovarono le scope, i secchi, i stracci, le spugne e altro. Tirarono tutto fuori, mettendosi un grembiule.
- Incominciamo?- chiese lei tutta sorridente.
“Non capisco cosa ha da sorridere tanto… ma è carina quando lo fa… Roy ma cosa pensi…”
- Sì, certo.-

Erano passate ore, era già il pomeriggio. I due hanno saltato il pranzo e la colazione per non perdere tempo e finire prima il lavoro. Hanno già pulito tutto il giardino, un impresa da campioni visto che è gigantesco, e il piano terra. I pavimenti brillavano, come del resto i vetri e i specchi. Hanno riordinato anche i libri nella biblioteca e pulito tutti i piatti che erano veramente molti. Nel giardino hanno tagliato l’erba ed annaffiato i fiori.
- Riza, ci manca solo il primo e secondo piano…- disse sedendosi sulle scale, mentre Riza, paziente e instancabile, con un straccetto che in passato era giallo, puliva la ringhiera rendendola lucida come uno specchio. Roy stette lì ancora un po’, poi prese anche lui uno straccetto e incominciò di pulire i gradini delle scale.
- Riza, lo sapevi che in questa casa c’è un’infinità di topi e insetti di ogni tipo?- chiese lui uccidendo un ragno che gli disturbava nella pulizia dello scalino.
- Sì, ma non si può fare niente. La casa è molto vecchia e poi e circondata dal giardino.- disse lei rassegnata.
I due hanno pulito stanza per stanza, l’angolo per l’angolo, finestra per finestra, scalino per scalino. Che tortura!
- Non sento il mio corpo…- disse sedendosi sul letto della ragazza. Erano arrivati nella sua stanza con le pulizie, era l’ultima e per fortuna non c’era niente da pulire visto che era molto ordinata.
- Ne anch’io.- disse sbuffando e buttandosi di fianco a lui.

Ormai i due erano destinati a essere amici per sempre. Lei gli aiutava in tutte le situazioni e lo salvava in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. La loro era un’amicizia forte e salda, nessuno non poteva spezzarla, proprio nessuno, neanche il padre della ragazza.
Erano due alleati, si coprivano a vicenda, si proteggevano… ma non sapevano che in futuro ci sarebbe stata qualche modifica.

Ragazzi mancano pochi capitoli.... XD

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Capitolo 6
*** 6- La gonna bruciata ***


LA GONNA BRUCIATA

Da qualche giorno, Roy si era sistemato in una stanza molto più grande, perché aveva finito di studiare la teoria ed adesso è passato alla pratica.
Il Signor Hawkeye gli diede dei guanti un po’ troppo grandi per le sue mani, con i cerchi alchemici disegnati su di essi. Le prime volte, provava nel giardino. Roy era un disastro all’inizio, ma pian piano imparò a controllare quel maledetto fuoco. Sapeva mirre nelle direzioni che voleva e regolare la potenza della fiamma, tutto questo in una sola settimana.
Nella casa puzzava di bruciato. Roy oggi si allenava all‘interno, visto che fuori pioveva a dirotto.
- Papà, come va a Roy?- disse lei prendendo un vassoio e mettendo tutto il necessario per il pranzo che doveva portare al ragazzo.
- Ah… meglio. Ci riesce a mirare agli oggetti.- disse sorridendole. Non voleva mostrare alla figlia di essere preoccupato. Odiava che qualcuno si avvicinasse alla sua piccola figliola, che in verità non era più così piccola.
- Papà ma Roy entrerà nell’esercito?- chiese lei alzando il vassoio dal tavolo.
- Non lo so, chiediglielo.-
“Glielo chiederò.”
Riza salì piano le scale lucenti, facendo attenzione di non rovesciare niente. Oggi era veramente bella. Indossava un gonna rosa, la quale le venne regalata dalla sua madre. Alla gonna vi era abbinata una canottiera bianca con dei fiori ricamati su di essa.
Percorse il corridoio buio e con il gomito premette la maniglia fino al fondo.
Nello stesso momento dall’altra parte della porta, Roy mirava verso l’entrata della stanza.
“Proviamo così…”
I guanti ben messi sulle mani del piccolo alchimista. Sguardo fisso sul punto dove doveva andare il fuoco. Le dita pronte per schioccare. I due diti scivolarono contro il pollice, producendo le scintille in quell’atmosfera calda. Il fuoco si avviò verso la porta, mentre essa si spalancò e nel ingresso comparì Riza con il vassoio nelle mani. Il fuoco le assalì la gonna facendola bruciare ai lati per poi salire sempre più in altro. La ragazza spalancò gli occhi e buttò per terra quello che aveva tra le mani, sentendo il calore che la circondava. Roy prese la bottiglia piena d’acqua che stava sulla sua scrivania, la buttò su di lei, spegnendo quel piccolo incendio.
Riza si fermò e guardò quello che rimaneva della sua gonna preferita. Gli occhi si riempirono di lacrime che rigarono il volto candido della ragazza.
- SEI UNO STUPIDO!!!!!!-
Riza corse fuori dalla stanza lasciando il ragazzo, ancora lì fermo che la osservava spaurito.
- Non volevo mirare a te…cioè miravo alla porta.- si giustificò lui balbettando sottovoce, ma lei non lo sentì perché era ormai alla fine del corridoio.
Riza era arrabbiata. Quella gonna le ha regalato sua madre. Era l’unico ricordo del suo genitore che l’ha abbandonato a tenera età. La madre di Riza se ne andò quando ella aveva solo cinque anni. Al funerale della madre, lei non pianse, perché lo aveva promesso. La madre le ha fatto promettere che non avrebbe mai pianto per nessun motivo, perché non voleva che la sua unica figlia soffrisse.
Era infuriata, non si era mai sentita così in vita sua. Si fermò sulle scale e ripensò alla madre, si accorse di non aver mantenuto la promessa. Si fece rigida e fredda. Si asciugò le lacrime e il suo respirò tornò normale.
“Stupido!” pensava mentre saliva le scale. Roy la vedeva lasciare il suo piano, poi senti la porta che sbatteva.
“E’ arrabbiata… troppo…”
Riza si chiuse dentro la sua camera e si sedette sul letto, osservando quella gonna ormai da buttare. Sentì dentro di se la rabbia che saliva.
Per resto della giornata, non uscì dalla stanza, se sarebbe uscita avrebbe spaccato quella testaccia nera che si ritrovava Roy Mustang, il bambino brontolone.
Roy, invece, stava nella stessa stanza a riprovare e riprovare, fino che la stanchezza giungesse, far uscire quel fuoco.
“Come faccio a perdonarmi? Come faccio?…” abbassò la testa “Sono uno stupido… dovevo chiudere la porta…”
Il Signor Hawkeye piombò nella stanza con un vassoio tra le mani, mettendoli due coppe di gelato. Era diventato gentile con lui e lo trattava molto bene, quasi come un figlio. L’uomo era diventato sacro per Roy, infatti si promette che non avrebbe mai toccato Riza.
Il maestro gli diede le due coppe e disse di andarsi a scusare, perché questa volta aveva combinata veramente grossa.
- Grazie…- disse Roy uscendo dalla camera e salendo piano le scale. Era ormai tardi ed era possibile che trovasse Riza già addormentata. Bussò. Non rispose nessuno, nonostante le luce che filtrava sotto la porta.
- Ti prego Riza, posso entrare?- la supplicò. Non voleva perdere un’amicizia così importante.
- Vieni…- disse lei piano. La ragazza era seduta sul letto. Vestiva un’altra gonna, molto diversa da quella che portava prima.
- Sono venuto a scusarmi e ti ho portato il gelato…- disse lui sedendosi vicino a lei - …io non sapevo che tu saresti entrata nella mia stanza, scusa… ti prometto che…-
- Sei perdonato…- disse lei sorridendo, anche se era un sorriso diverso, era glaciale e triste.

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Capitolo 7
*** 7- Una grave perdita ***


UNA GRAVE PERDITA

- Adesso so il modo per farmi perdonare.- disse Roy scherzando. Era una ora molto tarda e quando avevano finito il gelato, hanno parlato per lungo.
- Cosa vorrai fare dopo?- disse lei sdraiandosi sul letto sulla pancia. Roy stava vicino a lei sdraiato sulla schiena, tenendosi la pancia con una mano. Aveva esagerato con il gelato.
- Voglio entrare nell’esercito.- disse semplicemente sorridendo all’aria. Quel soffitto bianco gli metteva una sonnolenza tremenda, poi le coperte di Riza erano così soffici e profumate.
- Tu cosa vorrai fare?- chiese il ragazzo girando la testa verso di lei.
Riza stava per rispondere, quando nell’aria si sentì un sparo. L’eco echeggiò per tutta la casa, facendo venire i brividi ai due amici.
- PAPA’!!!- urlò Riza scendendo le scale di corse con al seguito Roy che era preoccupato come non mai.
I due ragazzi si trovarono davanti ad una scena poco piacevole. L’uomo che era sdraiato per terra era proprio il padre di Riza.
Il corpo era immobile, circondato da un immensa pozzanghera di sangue. Il colore del liquido era molto scuro e lucente, che scorreva dalla testa della vittima. Le mani rilassate accarezzavano delicatamente il pavimento lucido. In una di esse, stretta una pistola, una calibro 29, veloce e molto comoda. Gli occhi spalancati con le pupille dilatate e rivolte verso l’altro, al plenilunio. La bocca leggermente aperta, le labbra ormai diventate di un colore non umano, scuro, colore viola. I capelli grigi sporchi da quel rosso terrificante.
Riza sgranò gli occhi e la spalancò la bocca a quel vedere, ma subito dopo ritornò come prima. Chiuse gli occhi per poi riaprirli di nuovo dopo una breve pausa. Si avvicinò al corpo, inginocchiandosi vicino. Posò una mano sulla fronte del suo padre e la fece scorrere fino a che non chiuse le palpebre.
- Riposa in pace e… salutami mamma.- disse rialzandosi e con una calma disumana disse a Roy di chiamare i soccorsi.
Riza esplorò i dintorni e quando accese la luce, trovò un biglietto che riposava accanto al cadavere. Nel foglio c’era scritto di non preoccuparsi e di andare avanti e non badare a quello che è successo…
“…non potevo più vivere in quel modo, anche se mi è costato molto lasciarti sola. Mi dispiace piccola Riza di averti abbandonato. Spero che un giorno mi perdonerai per quello che ho fatto. Con affetto… tuo padre.”
Era proprio la sua scrittura, assomigliava tanto alla sua, eccetto quella “a” che la scriveva in modo più complicato e corsivo.

- Riza, mi dispiace tanto…-
Suo zio, l’unico fratello di suo padre, era venuto al funerale. Tutti si trovavano al cimitero, la cerimonia funebre non era ancora iniziata.
- Non è colpa tua… non ti devi scusare…- sembrava che Riza si fosse arresa e avesse capito che era destinata a rimanere da sola, senza genitori, l’orfana.
Il suo zio era anche un ex militare. Era specializzato in armi da fuoco. Era uscito dall’incarico da qualche anno. - Riza, ho pensato di prenderti a casa mia…che ne pensi?- le propose l’uomo.
- Zio, vorrei imparare a maneggiare le armi… ti prego…- era una supplica vuota, senza entusiasmo ne voglia, ma lui capì perché la fatta.
- Va bene…- rispose senza riflettere molto.

Il funerale si è svolto in una giornata di pioggia, come se il cielo piangesse per lui. Le nuvole erano scure e in alcuni punti si intravedeva i fulmini silenziosi. Ogni cosa piangeva per quella perdita, era una perdita veramente grave.
Alla cerimonia si presentarono molti amici e conoscenti di lui, ci fu anche un gruppo di militari. Tutte le persone si riunirono intorno alla barra. Da una parte c’erano i militari dritti e con la mano alla fronte, come per salutarlo per un ultima volta. Portavano sempre quella divisa color blu, che spiccava tra gli altri colori.
Dall’altra parte, invece, gli amici e conoscenti, vestiti tutti di nero con i fazzoletti bianchi tra le mani. La pioggia copriva la sofferenza delle persone, che piangevano per quel uomo che non sarebbe più tornato da loro. Riza era vicino al suo zio, insieme a Roy, tutti e due vestiti di nero, partecipavano a quel addio, ma senza piangere, tanto il cielo lo faceva al posto di loro.
- Siamo riuniti qui oggi per dare…-
Le parole erano vuote per Riza, non le ascoltava. Pensava cosa avrebbe fatto dopo. Si era già rassegnata alla perdita dei suoi genitori. No che non le dispiacesse, ma aveva promesso che non avrebbe più pianto, aveva promesso che sarebbe stata capace di andare avanti, anche con gli ostacoli più grandi di lei, ed eccolo uno.

Da quel giorno, i due ragazzi non si videro per due anni.
Riza era andata da suo zio. Lì, in campagna, si era esercitata fino a che non posso con le armi da fuoco. Le aveva scelte perché non procurano dolore e sono istantanee. Era diventata veramente brava a maneggiare la pistola, ma non solo perché si era esercitata. Riza aveva una vista straordinaria e la precisione ancora meglio. Poteva sparare a qualcuno o qualcosa da una distanza incredibile. Era diventata un cecchino perfetto in tutti i sensi.
Roy era tornata a casa, dai suoi genitori. Si esercitò molto con l’alchimia. Lesse molti libri e migliorò le sue tecniche. Grazie alle conoscenze di suo padre, il ragazzo entrò nell’esercito molto presto e lì, con la sua grande sorpresa, incontrò una vecchia conoscenza, anzi molto giovane.
ho deciso di scrivere qlk capitolo in più...

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Capitolo 8
*** 8- In guerra ***


IN GUERRA

Erano passati quattro anni da quando i due entrarono a far parte dei militari. Ormai portavano le divise blu come gli altri. Roy Mustang si è fatto una carriera in quel mondo diventando un Colonnello, mentre Riza Hawkeye era la sua fedele sottoposta, un tenete colonnello. Il compito di Hawkeye era proteggere il suo colonnello e aiutarlo in tutti i modi. Erano diventati una coppia perfetta in lavoro, ma solo in questo.
Tra loro regnava una formalità molto profonda. Si davano dei lei e nessuno dei due osava di chiedere qualcosa dell’altro. Quanta riservatezza.

-Colonnello… è sicuro che è giusto agire così?- chiese lei a Mustang. Erano a combattere quella guerra che sembrava non cessare mai. I militari erano intervenuti nella guerra civile che si è incominciata tra gli alchimisti e gli Ishibeliani. Una guerra piena di sangue, paure e crudeltà.
I due erano nascosti dietro un muro crollato. Le scarpe e la divisa erano tutte impolverate e sulle scarpe è rimasto il fango secco dei giorni precedenti. Gli insetti gli torturavano, pungendoli dappertutto. Hawkeye stringeva tra le mani la sua amata calibro 28, la stessa con la cui il padre si è suicidato. Nella cintura, i proiettili pronti per essere caricati nella pistola. La donna aveva i capelli legati sempre con quella frangetta insopportabile, che andava sugli occhi. Mustang con le medaglie sul petto e i guanti infilati da sempre, era pronto a far esplodere tutto quello che avrebbe dato segno di vita.
La guerra mutava gli uomini. Gli trasformava in mostri pronti a distruggere tutto quello che trovavano davanti a se.
- Si tenente, non si preoccupi… io adesso avanzo, lei mi copra le spalle.-
Mustang uscì dal nascondiglio ed avanzò pian piano verso la casa dove si nascondevano i fuggitivi. Aveva ordine di uccidere. Che crudeltà, ma era sempre un ordine da eseguire.
Era sera, il cielo era di un rosso sangue, nessuna nuvola nel cielo. L’aria secca aumentava i poteri del colonnello.
Mustang si mosse silenziosamente tra i ruderi delle case. Arrivò sotto la finestra dell’edificio dove si nascondevano i loro nemici. Si appoggiò con la schiena contro il muro, facendo un respiro profondo. Guardò Hawkeye, poi con passi molto veloci si diresse verso la porta, la buttò giù con un calcio. Ci fu un esplosione provocata dall’uomo. Aveva obbedito, aveva compiuto la missione.
Nell’aria c’era la puzza della carne bruciata che si mischiava alla polvere. Di quello che prima era la casa non rimase che macerie con sangue.
Mustang tornò dal tenente. Nei suoi occhi si vedeva ancora le facce degli uomini che vi erano all’interno della casa. Quelle facce spaventate e pietose.
- Andiamo tenente-. Disse alzandosi dal suolo.

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Capitolo 9
*** 9- Il ricordo di suicidio ***


IL RICORDO DI SUICIDIO

Mustang ricevette un ordine troppo crudele, ma dovette obbedire. Doveva fare ciò che gli venne ordinato, del resto lui era solo un colonnello.
“ Devi uccidere i Rockbell…” si ripeteva nella mente che non voleva reagire.
Entrò in quella casa. I due si trovavano in una ampia stanza. Era abbastanza scura e la finestra era chiusa impedendo alla luce di entrare. Era una stanza per curare i malati, aveva un armadio di legno pieno di medicinali, i letti, una tenda, scrivania un paio di sedie.
Lì vi erano curati i malati di guerra, sia Ishibeliani che gli Alchimisti. Era questo che ha infuriato i gradi superiori dell’esercito. Non lo tolleravano che i nemici avessero la possibilità di vivere.
- Non possiamo tollerare questa cosa… i nostri nemici che vengono guariti tornano e uccidono i nostri uomini…- questa frase la pronunciò il comandante.

La pistola ancora racchiusa tra le mani tremante. I colpi sono ormai partiti e hanno fatto quel che dovevano fare.
La giovane coppi distesa per terra in una enorme pozzanghera di sangue. La donna fu prima a morire aggrappandosi alla scrivania e buttando tutti i documenti per terra per poi cadere senza vita. Il suo marito fu il prossimo a morire sotto la mira tremante del colonnello Mustang, cadendo addosso alla donna. Morirono.
Il sangue sparso perla stanza, ha sporcato i muri con i schizzi. I fogli volavano ancora per la stanza per poi atterrare vicino a loro. Il sgabello della scrivania si rovesciò durante la caduta del primo.
Davanti a loro, un uomo giovane, tremante e al orlo di piangere, impugnava ancora la pistola, ancora ed ancora.
Mustang aveva uno sguardo ingiusto e terrorizzato.
“Cosa ho fatto?! Cosa ho fatto?!” si ripeteva guardando le sue vittime. Era terribile aver ucciso le persone che non si potevano difendere in nessun modo. Nessun modo.
Le gocce di sudore gli calavano lungo il viso, mentre digrignava i denti, mostrandoli leggermente. Le labbra tremante come il resto del corpo, si ripetevano quella domanda ancora una volta.
L’uomo ucciso, stringeva in una mano, una cornice con dentro una foto. Era foto della loro figlia, lasciata dalla nonna in quel periodo tanto temibile.

I corpi vennero rimossi, il sangue mandato via, lasciando una macchia disgustosa sul pavimento. Come si dice… gli assassini tornato sempre nel luogo del delitto, infatti lui tornò in compagnia di una bottiglia di un alcolico molto pesante e portò di nuovo quella pistola con un solo colpo. Uno solo per se stesso.
Si scolò il liquido contenuto nella bottiglia di vetro, facendola dopo cadere pesantemente per terra facendo un rumore. La bottiglia rotolò sulla macchia rimanente. Mustang stava ad osservare quel posto facendosi tornare le immagini e le colpe di quel giorno. Era terribile. Non sopportava quel ordine. Lo odiava con tutto il se stesso.
Gli occhi che si chiusero per poi aprirsi velocemente. Aveva un sguardo pieno di terrore e colpa. Tutto sudato, afferrò la pistola dalla cintura. La strinse tra le mani e se la piazzò al mento, chiudendo gli occhi neri. Fece per sparare quando una voce dietro di lui lo fermò. Era disperata ed incredula. Lui scostò la pistola da mento abbassandola. Si girò con cautela e fissò la persona con gli occhi pieni di dolore. Si aspettava qualcun altro, invece era lei, lì con quel capello biondo che lo fissava delusa e triste.
Mustang non sembrava essere se stesso. Aveva le borse sotto gli occhi scuri, le labbra seccate e i capelli tutti sporchi che gli ricadevano sul viso, pur essendo corti.
Il superiore non aveva coraggio di guardarla negli occhi, non osava.
- Cosa devo fare?- chiese con voce tremante, tornando con lo sguardo sulla macchia. Alzò finalmente lo sguardo, non c’era nessuno. L’ha immaginata. L’ha immaginata che lo fermava. Lei lo avrebbe del resto fatto. Gli avrebbe detto che deve andare avanti nonostante gli atti compiuti, cercando di migliorare se stessi e gli altri.
“Riza mi hai salvato di nuovo…”
penso che scriverò un ultimo capitolo... qnd Roy e Riza sono nell'ufficio e lavorano per poi ricordarsi di alcuni episodi senza dirli ad altro... cmq... grazie x commenti

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Capitolo 10
*** 10- Ritorno nel presente ***


RITORNO NEL PRESENTE

Ancora una volta, come per molti anni, i due stavano seduti nello stesso ufficio a compilare i documenti.
Riza era cambiata moltissimo da quando era morto suo padre. È entrata a fare parte dell’esercito anche se non lo avrebbe mai immaginato. Unica cosa che non è cambiato, erano quei piccoli vizietti che ha acquistato con arrivo di Mustang nella sua vita. Mentre era in ufficio, sotto la cattedra sulle gambe, aveva sempre appoggiato un romanzo rosa, gli leggeva ancora come in passato. Era rimasto il suo passatempo preferito. Ancora tutte le volte che poteva mangiava le mele dandone anche al suo colonnello sperando che si fosse ricordato di quei bei momenti.
- Colonnello… gli va una mela?- chiese lei alzandosi per andare a tirare dalla sua borsa due succulenti mele.
- Mh… non mi sono mai piaciute le mele, anche da piccolo…- si fermò rendendosi conto di ricordare ancora quei bei momenti trascorsi insieme alla sua sottoposta.
Riza lo fissava felice, anche se non si notava, incurvò leggermente le labbra.
-…te lo ricordi Riza?- l’aveva chiamata per nome, dopo tutti questi anni, l’aveva chiamata per nome.
- Di cosa colonnello?- chiese lei facendo finta di niente.
- Di noi da piccoli…- disse alzandosi, buttando la penna sulla scrivania tra i documenti.
- Come non mi potrei ricordare, signore.- disse sempre seria, aspettando la sua risposta.
Roy si appoggiò alla scrivania e la guardò con quei occhi scuri e affascinanti. Sorrise.
- Ti ricordi quando ho ricevuto quella punizione di pulire tutta la casa?- disse lui non usando più la formalità, non gli fregava niente. Lui voleva che tutto tornasse come prima o forse anche qualcosa di più.
- Sì, lo bagnata con l’acqua sporca perché mi aveva buttato un scarafaggio sulla testa. Non mi potrei mai…- la donna si fermò accorgendosi di ridere come una ragazzina. - E’ meglio che torniamo al lavoro colonnello.-
Riza si avviò verso la scrivania, ma non ci arrivò perché venne bloccata dal uomo.
- Riza, perché fai così?- l’aveva presa per una mano e la tirò verso di se.
- Perché siamo al lavoro e non dovremmo…- si fermò un attimo, fissando quegli occhi stupendi -… non dovremo parlare di queste cose.-
- E se non parliamo qui, dove potremmo? Non ci vediamo mai fuori… vuoi venire oggi a cena con me?-
- Cosa? Ma colonnello se ci vedono…-
- Andremo al ristorante come due amici normali… ti verrò a prendere fra un’ora a casa tua.- detto questo prese il soprabito ed uscì dall’ufficio tutto contento. Non ci credeva, finalmente era successo.
Riza rimase gli ancora imbambolata per qualche secondo, poi uscì anche lei, andando a casa per cambiarsi.

Era una sera indimenticabile per loro. Hanno parlato tutta la sera, ricordato quei ricordi così fantastici e pieni di sentimenti.
Roy fissava la donna, come se non l’avesse mai vista.
Indossava un lungo vestito bianco senza maniche. Era bellissima. Aveva sciolto i capelli e gli aveva arricciati leggermente. Irresistibile.
Roy indossava pantaloni scuri con una camicia bianca. I primi due bottoni slacciati. La giacca dello stesso colore dei pantaloni stava sulla sedia.
- Riza… ti ricordi come era in passato?-

FINE

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