Falling to pieces.

di Glykeria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A shot in the dark. ***
Capitolo 2: *** First words. ***



Capitolo 1
*** A shot in the dark. ***


Uno sparo nel buio
Un passato, perso nello spazio.
Da dove posso iniziare?
Il passato e la caccia,
Tu sei andato via
come un lupo, un predatore,
mentre io mi sento come un cervo nella luce.

Il tuo amore in quel periodo congelato,
affamato della mia carne,
ma non posso competere con la belva che mi ha messo in ginocchio.
Cosa riesci a vedere in quegli occhi gialli?
Perché sto cadendo a pezzi.

 

 

 

 

 

 

 

Un colpo nell’aria.

Non so cosa fosse: uno sparo,uno schianto,un incidente stradale.

Eppure,era troppo acuto per essere qualsiasi cosa citata sopra.

Sapevo,però,che mi avrebbe cambiato la vita.

 

 

 

 

 

 

« Sembrerebbe che soffra di un malfunzionamento a livello epatico.»

 

La guardo nervosa. E’ pur sempre mia madre,ma diamine,quando ci si mette,riesce a incutermi timore con i suoi dotti termini medici.

 

« Per non parlare della sua carnagione! Guarda che pelle grigiastra. Segui una corretta alimentazione,vero? » chiede,preoccupata,tastandole il polso,mordendosi nervosamente le labbra screpolate.

 

Eppure,non le rispondeva: la guardava dall’alto,da quei suoi quanti saranno stati,185 centimetri?,con uno sguardo colmo di freddezza.

Per un momento mi guardò,abbassando di poco le palpebre,e coprendo appena,con quella pelle secca e rovinata,quel suo difetto genetico.

 

 

 

« Probabilmente soffre di una malattia genetica chiamata ‘di Gilbert’,Adél. » mi spiegò,poco dopo,verso le 11 di sera,mentre si sfiorava nervosamente le nocchie della mano destra,posando poi lo sguardo sui miei occhi neri e stanchi quanto confusi.

« Dovresti smetterla di fare la crocerossina,sai? Anche da piccola facevi così,prendevi i cuccioli di gatti che trovavi per strada e lì portavi in casa,così,nella speranza che un giorno sarebbero tutti stati tuoi. » sospirò,scuotendo appena la testa,lasciando andare al venticello caldo presente in quella casa i suoi lunghi capelli biondi,che stonavano completamente con i miei,corvini.

 

 

« Mamma,cosa dovevo fare? Lasciarla sotto la pioggia torrenziale a morire assiderata? » domandai,acidamente,bevendo con nervosismo la mia tazza di cappuccino « Sei una dottoressa,dannazione,pensavo che avresti potuto aiutarla. Mi sembrava una cosa giusta. »

 

« A te sembra tutto giusto,amore. Ma devi capire che non puoi essere sempre tu quella che si occupa degli altri. Cerca di occuparti anche di te stessa,per una volta buona,che a volte ci si rimette pure. »

 

Dall’altra stanza si sentii un mugolio.

 

« Nemmeno è ungherese,secondo me. » sbuffò,con un leggero tono razzista « scommetto che è rumena. I rumeni sono sempre così… bleah. »

Fece una faccia disgustata,come se il sapore del suo caffè fosse mutato drasticamente in quello di una medicina aspra.

 

 

« Per me potrebbe essere pure turca,spagnola,tedesca,italiana,francese. Lei sta male,è questo quel che conta. Anche se non capisce quel che dico… penso che conosca l’inglese. Cioè,lo spero. »

Concludo il mio discorso,insieme alla mia tazza,che lascio lì,sporca,sul tavolo,smettendo di degnare quella santa donna delle mie parole,andando nella camera degli ospiti,dove quella misteriosa ragazza avrebbe alloggiato. Perlomeno per quella notte.

O così credevo.

 

 




Inauguro questo account di EFP con una bella fanfiction originale yuri,perchè si sa,yuri&yaoi sono cose buone e giuste.
Diciamo che questo è un prologo fatto un po' malaccio,ma mi vagava in mente così tanto che non ho resistito,e ho deciso di scriverlo,lasciando un po' tutto al caso,nella vana speranza di attrarre qualcuno.
Penso si sia perfettamente intuito che questa fanfic è stata ispirata dalla canzone 'She Wolf' di David Guetta.
Ah,sì,lo so,ogni tanto cambio il tempo dei verbi,passando dal presente al passato remoto come se nulla fosse,ma la considero licenza poetica. (Che mi provoca voti bassi nei temi)
Spero vi sia piaciuto questo inizio (con tanto di Missing Moments,cioè!),e ringrazio già chiunque si sia minimamente interessato ad aprire questa fanfiction.

Glykeria.



 

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Capitolo 2
*** First words. ***


Passò quanto, una settimana…? Sì, diciamo.

Una settimana intera prima che quella sconosciuta dai capelli come i miei aprì la bocca per parlare.

 

Almeno avevo avuto la conferma che non era ungherese.

Era una domenica mattina, e come nella settimana precedente la pioggia non faceva altro che venire giù come se il diluvio universale stesse per arrivare.

Mi ero riparata sotto una coperta pesante di pile e me ne stavo seduta sul divano, con le gambe strette al petto e tenute saldamente dalle mie braccia che le circondavano.

Il mio mento era posato sulle ginocchia coperte dalla tuta, mentre cercavo di non andarmene nel mondo dei sogni.

Era stata una settimana pesante a scuola, poi dover badare ad una perfetta sconosciuta silenziosa non era il massimo.

Non voleva mangiare quasi nulla se non la carne, non dormiva quasi mai e rimaneva chiusa nella mia stanza, seduta per terra e la schiena appoggiata al muro, lasciando uscire da quelle labbra screpolate una canzoncina che ripeteva sempre alla stessa ora… Ogni tantissimo giorno.

Solo poche volte mi permetteva di entrare nella mia stessa stanza, e la mattina, quando dovevo prepararmi per uscire, stava lì, a fissarmi. Persino quando mi vestivo.

Nemmeno avevo il fegato di cacciarla, di dirle ‘Ehi, almeno quando mi metto l’intimo concedimi della privacy!’.

Non potevo resisterle.

Aveva uno sguardo spento, acromatico. Sembrava un burattino dalle labbra increspate in una smorfia mogia.

Quindi restava lì, sempre seduta per terra, ad osservarmi mentre sceglievo che felpa indossare.

 

 

Quel giorno in cui mi degnò per la prima volta di una frase formulata e non di qualche mugolio insensato la pioggia colpiva la finestra con una tale insistenza e precisione da non sembrare nemmeno il frutto della natura che evidentemente ce l’aveva con me.

Sarà che ogni volta che c’era la pioggia io mi intristivo, mi chiudevo in casa… Oppure mi succedevano cose brutte.

 

Beh, quella domenica fu un’eccezione.

Sentire la voce di una persona con cui ormai ‘convivi’ da una settimana o poco meno per la prima volta dopo un incessante periodo di monotono silenzio è davvero un fulmine a ciel sereno.

Anche se fu un fulmine positivo.

 

Fissavo lo schermo della tv con un’apatia da far invidia ad un ciocco di legno.

Ormai l’unico rumore presente in zona era il ticchettio fin troppo violento contro tutti i vetri della porta, accompagnato però da qualche mio sospiro annoiato.

Poi, ecco qualche rumore.

Un passo, due passi, un colpo di tosse.

Qualche altra dozzina di passi ed ecco che la ‘sconosciuta’ era accanto al divano dove ero comodamente appollaiata.

Sorpresa la osservo, e lei osserva me.

Uno scambio di sguardi che dura fin troppo, per i miei gusti.

Scosto lo sguardo insieme ad una ciocca di capelli che al contrario di quello sbuffo a vuoto finisce dietro all’orecchio, anche se invano: ecco che ritorna come prima, sempre ad impicciare.

 

 

« Haj. »

 

 

 

Aggrotto le sopracciglia. Che lingua era?

 

 

 

« Che hai detto? »

 

 

 

Okay, ora era lei quella che mi guardava male.

Ma era lei quella che parlava una lingua sconosciuta!

Continuiamo a guardarci con fare torvo per una dozzina di secondi, fino a quando non mi scosto un po’ per farle spazio sul divano.

Non le parlo, tanto è inutile: nemmeno mi comprende.

 

Anche con l’assenza di linguaggio ci mette un po’ a capire, ed eccola che si siede fin troppo vicino a me.

Mai avuti così tanti contatti umani in un giorno.

Le passo un lembo della coperta che subito rifiuta: era da 7 giorni che ormai girava per casa in canotta.

Ma che temperatura corporea aveva?!

 

Tossicchia di nuovo mentre passa le unghie contro la propria pelle diafana (fin troppo diafana!) per grattarsi.

 

 

 

« Adél. »

 

 

Wow, almeno il mio nome lo sapeva.

Annuisco un po’, lasciando andare un mugolio che conferma quella sua unica parola.

 

 

« Dao mu nom? »

 

 

La guardo male, non comprendendo quelle uniche tre parole.

Continuo a fissarla, senza comprenderla.

Ci rimane un po’ male: evidentemente pensava d’esser ben compresa.

 

 

Passa così tutto il pomeriggio, nel tentativo di farsi comprendere.

Quanto parlò, madre, quanto parlò!

Tutte le parole che non disse per una settimana intera le sputò senza timore nel giro di tre ore.

Ovviamente in quel suo linguaggio incomprensibile che non capirò mai.


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E con enorme ritardo ecco il secondo capitolo, che per giunta è pure osceno!
Per un attimo mi era balenata l'idea di continuare la storia e avevo tutto scritto in mente.
Poi sono andata a cena, tempo di mangiare un po' di pollo ed ecco che mi scordo tutto.
Quindi questo è il risultato.
Abbiate pietà di me.

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