Alterius non sit qui suus esse potest

di Remeny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Accidere ex una scintilla incendia passim ***
Capitolo 2: *** Acta est fabula. ***
Capitolo 3: *** Gutta cavat lapidem. ***
Capitolo 4: *** 4. Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris. ***
Capitolo 5: *** You go your way and I'll go my way. ***



Capitolo 1
*** Accidere ex una scintilla incendia passim ***


Accidere ex una scintilla incendia passim.
A volte da una sola scintilla scoppia un incendio.


Quella mattina Aron si svegliò e, stiracchiandosi, si rese conto di essere particolarmente indifferente a ciò che lo circondava.
Si alzò svogliatamente recuperando il pacchetto di Malboro rosse che aveva lasciato al loro destino, in un angolo remoto del comodino. Nel prenderle, sfiorò quella foto con l’indice e, nulla, non provò nulla; non il classico senso di vuoto che lo attanagliava ogni volta che i suoi occhi si soffermavano su quelle due facce sorridenti, non l’odio nei confronti del mondo che lo coglieva subito, né il senso di vomito che seguiva tutto ciò, impedendogli di fare colazione.
Nulla.
Deciso a non rovinarsi quella giornata di, seppur strana, pace, si vestì pigramente e ficcò nella borsa tutto il necessario.
Era una piacevole mattina di settembre a Phoenix e per lui era iniziato da qualche giorno l’ultimo anno di scuola, il suo tanto agognato senior year.
Aron Dust era una presenza costante alla Phoenix High, un’ombra onnipresente, temuta e rispettata da tutti. Forse, ripensandoci, c’era stata una sola persona che aveva avuto il coraggio di mettersi al suo stesso livello, ma quella era decisamente un’altra storia.
<< Ari farai tardi, vieni a fare colazione >>, urlò Helena Bright dai piani inferiori.
Sua madre era una donna alta e magra, dai capelli neri come l’ebano e gli occhi di un verde prato fuorviante.
Aron, o Ari, come lo chiamava lei, era praticamente la sua versione maschile, cosa di cui andava particolarmente fiero.
Il padre, Lucas Dust, era morto quando Aron aveva solo undici anni e questo aveva avvicinato madre e figlio, nonostante entrambi lo negassero strenuamente.
Quando il ragazzo scese ai piani inferiori- jeans stretti a fasciargli le cosce longilinee, felpa gialla e converse azzurre- la madre, sorvolando sul suo abbigliamento discutibile, lo guardò orgogliosa, come faceva da diciassette anni a quella parte.
Aron odiava quello sguardo e in certi momenti avrebbe voluto confessare tutto alla madre, giusto per vederlo scomparire dal suo viso senza una parola, così come arrivava.
”Sapessi quello che ho fatto e che faccio-si disse- mi odieresti”, ma si tenne bene dall’esprimere quel pensiero.
Prese un toast e ci spalmò sopra del burro, poi si versò del caffè e finalmente accese il telefono.
Se c’era una cosa che Aron odiava ancor più di se stesso, era probabilmente essere svegliato da chiamate o messaggi nel cuore della notte, forse perché questo era successo la notte in cui suo padre morì.
Ecco perché lo spegneva, non avrebbe sopportato un altro colpo del genere.
Non appena lo accese, venne inondato dal fastidiosissimo beep che indicava la presenza di nuovi messaggi e chiamate senza risposta.
“Come volevasi dimostrare”, pensò mentre distrattamente controllava chi l’aveva cercato.
Robert, Sam, Vanessa, Lyn… cazzo.
Aprì di corsa il messaggio di Lyn, era l’unica ragazza che riusciva a metterlo in crisi, o comunque a riuscire a fargli cambiare umore, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

“Torno domani sera, fai in modo di essere disponibile. Chiaro ,moccioso?”

Sbuffò, si aspettava di peggio. Poi guardò il messaggio, era stato mandato alle 10:15 pm della sera prima, il che voleva dire che sarebbe arrivata proprio quella sera.
Rispose con un breve “Ti aspetto” e si voltò a guardare sua madre che, indaffarata, stava preparando la sua cartella da lavoro.
<< Lyn torna stasera >>, disse semplicemente e Helena si bloccò, o meglio, si congelò sul posto. Non che non amasse sua figlia, è chiaro, ma Lyn Dust aveva vent’anni e un carattere ingestibile, che era peggiorato dopo la morte del padre.
<< Oh, quindi ci sarà anche lei >>, constatò sovrappensiero, più parlando a se stessa che al figlio.
<< Per cosa? >>, chiese Aron sollevando gli occhi dal cellulare per rivolgerle uno sguardo curioso.
<< Mh? Oggi pomeriggio dovrebbero consegnarmi delle foto per il lavoro del signor Thunder ma io non ci sarò. Ti lascio cento dollari sul tavolo, occupatene tu per favore >>, rispose cambiando argomento. Non voleva pensare a ciò che avrebbe detto ai figli da lì a poco, era di vitale importanza non pensarci, altrimenti non sarebbe riuscita a spiccicare parola.
<< Come vuoi. Devo andare adesso o farò tardi >>, disse con noncuranza, prendendo la borsa e afferrando le chiavi della macchina.
Stava per uscire quando sua madre lo richiamò.
<< Ari, tesoro, stasera viene a cena Phil. Sai, quel mio collega di cui ti ho tanto parlato >>, iniziò non sapendo bene come concludere.
<< Si, mamma, te lo scopi da circa sei mesi >>, sussurrò con voce atona, uscendo di casa prima di sentire le sue parole.

Quando Aron Dust fece il suo ingresso alla Phoenix High, non sapeva bene il perché ma era cosciente del fatto che sarebbe stato un giorno di merda e, con suo dispiacere, si rese conto che non ci sarebbe entrato nulla l’improvviso rientro della sorella. Ne era sicuro.
Micheal lo intercettò e gli corse incontro, battendogli una pacca sulla spalla; tempo due minuti arrivarono Bradley e Josh, poi si accodò Lena, quella mattina senza Bandit, la sua gemella.
Iniziarono a parlare del più e del meno, di com’erano state quelle vacanze in cui si erano visti poco e non mancarono battutine sul povero Josh, che aveva passato l’intera estate a Jacksonville, dai nonni.
Ad un tratto, mentre ancora ridevano, Aron si scontrò con Justin, un carissimo ragazzo del terzo anno dai capelli biondo grano e dal fisico muscoloso con cui aveva avuto dei contatti abbastanza intimi l’anno prima.
Quello scontro da un lato l’eccitò, dall’altro l’indispose oltremodo, ed essere indisposto significava, per forza di cose, essere di cattivo umore, e per non essere di cattivo umore c’era solo una cosa da fare.
<< Justin, verresti un secondo con me? >>, gli chiese solamente e l’altro capì ogni cosa.
<< Buon giorno anche a te >>, rispose ghignando e lo seguì.
Entrarono in bagno e Aron lo spinse velocemente contro il muro di una delle varie cabine, iniziando a torturagli il collo con la lingua.
<< Eh no caro mio >>, replicò l’altro, afferrandolo da quei suoi capelli così soffici per portarlo alla sua altezza e baciarlo con foga. Aron rise sulle sue labbra e ricambiò il bacio con la stessa veemenza, per poi far scorrere una mano sul petto dell’altro, percorrendo il profilo dei suoi addominali.
Dio, era eccitato come un bambino davanti ad un negozio di caramelle.
Nel frattempo, la mano libera di Justin era scesa fino ai jeans di Aron e aveva preso a massaggiargli la prepotente erezione sa sopra la stoffa.
Il ragazzo gemette sulle sue labbra e gli tolse la maglietta, facendo lo stesso con la sua felpa e l’altro fece combaciare le loro erezioni, facendo letteralmente ringhiare Aron, che si disse di dover fare qualcosa. Così spinse il biondo ad inginocchiarsi e, mentre quello prendeva a sbottonargli i jeans, Aron pensava a come se lo sarebbe potuto scopare meglio sul suo letto invece che nel bagno della scuola.
I suoi pensieri furono interrotti da qualcosa di sicuramente più piacevole, ovvero la lingua di Justin che percorreva il suo membro in tutta la sua lunghezza e poi lo prendeva in bocca. Aron assecondò i movimento del compagno con una mano e allargò le gambe, mentre Justin lo stava facendo impazzire.
Prese a gemere rumorosamente e c’era quasi, riusciva già a pregustare la sensazione stravolgente che era l’orgasmo e gemette sempre più forte, come un’attrice di film porno di seconda categoria quando qualcosa, o meglio qualcuno, li distrasse.
<< Dust, Forhill, fuori di qui immediatamente >>, sbraitò il professor Grant, quello di lettere, mentre batteva le nocche sulla porta della cabina, che Aron non ricordava peraltro di aver chiuso.
<< Cazzo >>, dissero in coro i due e si rivestirono in fretta e furia.
Uscirono fuori da quel cubicolo che Justin era ancora eccitato e Aron insoddisfatto, sotto lo sguardo truce e allo stesso tempo indignato del professore.
Chi, quale bastardo ha osato denunciarci al professore?Quale fottutissimo figlio di cagna?, pensava fuori di sé, non badando nemmeno all'uomo che li fissava.
<< Non ho parole >>, iniziò guardandoli entrambi negli occhi.
<< E allora non dica nulla e ci lasci tornare al nostro impiego, c’ero quasi >>, sibilò Aron frustrato, infischiandosene del colore del viso del professore, che da rosso diventò viola, e poi di nuovo rosso.
<< Non. Una. Parola, Dust. Non una parola. Vi voglio in presidenza tra meno di mezz'ora, nel frattempo sbarazzatevi del problema >>, riferendosi alle erezioni dei due.
<< Ognuno per i conti propri >>, aggiunse quando si accorse che Aron stava per riportare Justin nella cabina con lui.
Era un gran casino, davvero un grande, enorme casino, ma al ragazzo venne da ridere, perché aveva avuto ragione ancora una volta, quella sarebbe stata una gran giornata di merda.

Ecco, quando pensava questo, ancora non aveva quantificato la merda che avrebbe riempito quel giorno. No, decisamente non l’aveva fatto.
I due ragazzi erano stati strigliati dal preside in persona e, seppure avevano ottenuto che i genitori non venissero informati dello scabroso accaduto, erano stati immediatamente spediti a casa, sospesi per il resto della giornata.
Col senno di poi, Aron si maledì per ciò che aveva fatto e per essere stato a casa alle undici, quando il campanello aveva suonato.
Stava guardando Queer as Folk,la versione americana naturalmente, quella inglese era una specie di mezza sega (che umorismo, eh?) quando si accorse che qualcuno aveva proprio voglia di disturbarlo durante una delle sue scene preferite.
Mise in pausa e, alterato, si recò alla porta, la aprì e rimase inebetito per cinque minuti buoni.
Davanti a lui c’era un ragazzo che poteva avere al massimo diciott’anni, alto, ben impostato, con occhi neri e capelli rossicci e, Dio, era identico a Justin!*
Il ragazzo rimase lì imbambolato immaginando di farlo accomodare, offrirgli un caffè magari e poi farlo salire in camera sua, chiudere la porta e... era proprio frustrato.
<< Questa è casa Bright? >>, chiese con una voce che avrebbero fatto meglio a dichiarare illegale.
“No. Dust, questa è casa Dust”, voleva rispondere ma non lo fece, gonfiando le guance per impedirsi di esternare quel pensiero.
<< Si >>, rispose invece mestamente.
<< Bene, allora questa è tua >>, disse abbozzando un sorriso e porgendogli una busta gialla su cui era scritto Bright a caratteri cubitali.
Nel prenderla, le loro mani si sfiorarono per un attimo e si ritrasse immediatamente,come attraversato da una scarica elettrica.
<< Quanto viene? >>, chiese subito per non pensare troppo a quel contatto che era stato accidentale.
<< Ottanta dollari >>, rispose e Aron scomparì sussurrando un lieve Aspetta qui che si perse nell’aria.
Quando tornò e gli passò i soldi, le loro mani s’incontrarono ancora e, Aron avrebbe potuto giurarlo, stavolta era stato il rossiccio a cercare il contatto, ma non fiatò.
<< Bene, allora io vado >>, indugiò.
Che volesse entrare in casa?
Ma per fare cosa, poi?,si domandò e subito delle immagini ben precise lo travolsero come un fiume in piena.
Sono solo un diciassettenne arrapato, si disse e stava per chiudere la porta, dopo avergli mormorato un Ok distratto, ma qualcosa lo trattenne.
<< Non mi inviti ad entrare? >>, domandò quella voce calda ed improvvisamente, invece che provare eccitazione, Aron si sentì punto nel vivo, come se tutto il fastidio che aveva accumulato quel giorno fosse pronto ad uscire.
Era casa sua e quel tono così strafottente non gli andava per nulla a genio.
<< Dovrei per qualche motivo? >>, gli chiese di rimando con tono parecchio seccato.
<< Per fare un bene alla comunità? Sono assetato e la prossima consegna è a circa due chilometri da qui >>, rispose e Aron non se la sentì di chiudergli la porta in faccia.
<< Entra >>, gli disse solamente e lo portò direttamente in cucina, dove aprì il frigo e gli passò una bottiglia d’acqua.
<< Puoi tenerla >>, disse scrollando le spalle; le uniche due cose che in quella casa non mancavano mai erano sigarette e acqua.
<< Grazie, sei un moccioso simpatico >>, rispose ridendo.
<< Ho quasi diciotto anni >>, sibilò l’altro.
<< Io ne ho appena fatti diciassette >>, sussurrò con voce fintamente sconvolta.
<< Sto per toglierti l’acqua, ti avviso >>, disse incazzato avvicinandosi con due grandi falcate ed erano già così vicini.
Il rossiccio assunse un’espressione terrorizzata.
Oh, uno a zero.
<< No, l’acqua no! E poi ormai c’è la mia saliva >>, cercò di convincerlo.
<< Credi che questo sia un problema? Ho condiviso la mia saliva con molte più persone di quante tu possa immaginare, una in più non mi fa alcun effetto >>, disse quasi fieramente e, ragionandoci sopra, individuò in quello l’istante in cui si tradì.
Il ragazzo annullò la scarsa distanza che c’era tra i due e poggiò le sue labbra su quelle di Aron, schiudendole dopo poco per approfondire il bacio.
Aron sorpreso da quel contatto, si staccò immediatamente.
<< Che cazzo fai? >>, gli urlò contro e l’altro ghignò.
<< Non credevo che per te la mia saliva facesse differenza >>.
<< No, infatti >>, si riprese immediatamente, celando uno sguardo imbarazzato. << Semplicemente non me l’aspettavo >>, concluse.
<< Se ti dicessi che sto per baciarti di nuovo cosa faresti? >>, chiese il ragazzo a bruciapelo, lasciando Aron con un’espressione da ebete in faccia.
Lo guardò avvicinarsi sempre di più, fino a sfiorare leggermente le sue labbra,quasi impercettibilmente.
<< Devo andare, grazie per l’acqua >>, disse di corsa e uscì da quella casa sotto lo sguardo sconvolto di Aron.
Ma che cazzo gli stava prendendo?
Non è possibile, preso per il culo da un ragazzino , pensò sconsolato.
E ancora non è arrivata Lyn, continuò stendendosi a letto, pensando a quella sera in cui, non solo sarebbe tornata sua sorella, ma avrebbe anche conosciuto il nuovo fidanzato della madre.


Note finali!

*Con quel Justin non mi riferisco al compagno di Aron, ma a Justin Taylor, uno dei protagonisti di Queer as Folk che, peraltro, vi consiglio di guardare se non lo avete già fatto! *--*
Allora, passando alle cose serie (AHAHAHAHAHAH)
No, ok, niente cose serie. Semplicemente ho partorito questa storia tra un delirio e l’altro dovuto alla febbre e spero che piaccia.
Si è praticamente scritta da sé, quindi gli aggiornamenti arriveranno in tempi relativamente brevi (come se a qualcuno importasse!). I capitoli dovrebbero essere tutti di questa lunghezza ma potrebbe variare in base anche ai contenuti, logicamente, e, cosa importante, la mia storia non è solo sesso e parolacce, avverto prima così da non scoraggiarvi!
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci conto!

Alla prossima,
Remèny

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Capitolo 2
*** Acta est fabula. ***


Acta est fabula
Lo spettacolo è finito.



Lyn era arrivata da neanche due ore e aveva già messo a soqquadro la casa, svuotato il frigo e fatto raggiungere al fratello la soglia dell’esaurimento nervoso due volte.
E tutto questo, ripeto, in meno di due ore.
In quel momento, comunque, un tranquillo e leggero silenzio regnava in casa Dust, era il momento delle coccole; Aron lo odiava perché era stato suo padre ad inaugurarlo ufficialmente ma Lyn lo adorava per lo stesso motivo, quindi la tradizione era perdurata nel tempo.
Erano tutti e tre nel salone, rannicchiati nello stesso divano. Helena e Aron seduti ai due lati e Lyn praticamente sdraiata sopra ad entrambi, a godersi le carezze della madre mentre raccontava di una delle tante tappe del suo viaggio.
Aron la guardò di sottecchi e, pur non volendolo ammettere, si rese conto di quanto gli fosse mancata sua sorella e di quanto bella, se possibile ancora più di prima, fosse diventata.
Il caschetto biondo cenere che prima faceva da contorno al suo viso rotondo, a quei grandi occhi azzurri e a quelle labbra piene e rosee, aveva lasciato posto ad una chioma fluente, di un rosso acceso. Il suo fisico, pienotto un po’ per costituzione, un po’ per le sue abitudini alimentari, si era raffinato e dunque, in definitiva, Allyn Dust era diventata bellissima.
Aron era convinto che se suo padre avesse potuto vederla, sarebbe stato tremendamente orgoglioso di lei.
Ah, quanto gli era mancata.
<< Riro, ti sei forse incantato? >>, gli chiese proprio Lyn con un sorriso.
Riro.
Quel soprannome lo faceva impazzire.
Da piccolo era divertente sentirglielo pronunciare ma adesso era quasi fastidioso. E pensare che era nato perché la grande ed erudita Lyn non riusciva a pronunciare correttamente il nome del fratello.
<< Stavo pensando che mi sei proprio mancata in questi mesi >>, le disse sinceramente, aprendosi in un sorriso.
<< Anche voi siete mancati a me, parecchio. Ma se tu solo vedessi, Riro, se tu solo vedessi quello che c’è al di fuori di questa città. Ho visto delle albe che ricorderò per sempre, dei tramonti che neanche la migliore macchina fotografica riuscirebbe a cogliere appieno. Ho vissuto alla giornata, ho lavorato, ho fatto persino la fame e ho girato vari night club per pagarmi la tappa successiva del mio viaggio. E… poi sono arrivata in India, Riro. E ho conosciuto alcuni monaci buddhisti che, non appena ho raccontato loro del mio lungo viaggio, mi hanno chiesto perché ho iniziato a girare il mondo. E sai cosa, Riro? Non ho saputo rispondergli. Sono rimasta con loro un mese, mi hanno totalmente aperto la mente e mi hanno insegnato: Vivi per te stesso. Allora sono andata via, ho continuato a viaggiare e sono arrivata a Berlino e poi a Parigi. Ah, Parigi. Ci sono rimasta due mesi. Ho visto la Gioconda e sono scoppiata a ridere in mezzo a tutta quella gente, perché era davvero, davvero piccola. E sono entrata nei sotterranei della città, sai quei tombini che non si fila mai nessuno? Da lì si arriva ad una specie di mondo sotterraneo. Ho visto Notre Dame, sono salita a dare un saluto ad Emanuelle, la campana più grande della cattedrale, ho visto la città da lì su, l’Eliseo, il Pantheon e, dopo due mesi stavo per piangere dalla commozione, Parigi è stupenda. Poi sono stata a Londra per un po’ e ogni giorno andavo ad assistere al cambio della guardia reale. Imitavo così bene quei soldati impettiti che qualche passante, scambiandomi per un’artista di strada, mi ha regalato dei soldi. Pensa che ho persino incontrato un russo che non parlava inglese e continuavo a ripetergli “Do svidanjia”, arrivederci, l’unica cosa che so di russo. Ho riso come una matta quel giorno! Poi sono stata a New York e ho conosciuto Brian, un fotografo eccezionale, un giramondo come me. Non ci siamo scambiati alcun numero, solo la promessa di rivederci un giorno in qualche parte sperduta del mondo. Sapessi Riro, sapessi quante cose non sto raccontando , quante emozioni non riesco ad esprimere e… >>, stava raccontando e i due la ascoltavano rapiti, estasiati da quel racconto, quando il campanello suonò, spezzando impunemente quella bolla di magia che si era venuta a creare su un divano bianco dell’Ikea da trecento dollari.
<< Oh, è Phil! >>, esordì Helena alzandosi dal divano e andando ad aprire.
Lyn si voltò piano verso il fratello come a voler chiedere delucidazioni e Aron le mimò in risposta un gesto, decisamente poco cavalleresco, con cui riproduceva il fenomeno della penetrazione.
Lyn scoppiò a ridere e si alzò, raggiungendo la madre. Il ragazzo sentì chiaramente una voce possente pronunciare il nome della sorella e subito Helena chiamò a raccolta anche lui, che decise di dare inizio allo show.
Entrando in cucina, tuttavia, ogni cosa si sarebbe aspettato tranne che quella.
Phil- un uomo alto, dai capelli castani e occhi neri- era accompagnato da lui, quel ragazzino impertinente di poche ore prima, che adesso lo guardava con un ghigno stampato in viso.
<< Tu >>, riuscì a sussurrare, ignorando bellamente il saluto caloroso dell’uomo e beccandosi un gomitata tra le costole da parte della madre.
<< Oh, vi conoscete già? >>, chiese Phil.
<< Non proprio >>, rispose quello sorridendogli.
Brutto figlio di cagna, eccome se mi conosci, pensò Aron.
<< Aron, lui è Colin, mio figlio >>, lo presentò fieramente Phil, battendogli una mano sulla spalla con un sorrisone.
<< Piacere di conoscerti, Aron >>, disse quello tendendogli una mano che prontamente il ragazzo afferrò e, poté constatare, era estremamente soffice.
<< Il piacere è tutto mio, Colin >>, gli rispose serio, provocando un attacco di ridarella nel rossiccio, che aveva colto al volo il doppio senso in quella frase.
“Perspicace”, si disse mentalmente Aron.
<< Bene, vogliamo accomodarci a tavola? >>, chiese a quel punto Helena e tutti presero posto a tavola mentre Aron si promise di non girarsi mai, nemmeno una volta a guardare Colin, perché sarebbe stato come simpatizzare con il nemico.
La cena era abbondante e sua madre, questo glielo doveva riconoscere, era una cuoca straordinaria.
<< Quindi, Lyn, tua madre mi ha detto che viaggi spesso >>, cercò di iniziare una discussione Phil.
<< Si, adoro viaggiare >>, convenne la ragazza con tono cordiale.
Se Aron conosceva Allyn come la conosceva, sapeva che in quel momento la sorella stava studiando Phil, cercando di capire quando attaccare con battutine velenose e frecciatine di ogni sorta. Il ragazzo trepidava per l’arrivo di quel momento, perché anche lui non vedeva l’ora di farlo andare via da quella casa.
Sei mesi erano già troppi, aveva usato abbastanza sua madre.
<< Anche al ragazzetto qui- e indicò Colin- piace parecchio >>, aggiunse.
<< Oh, davvero? Sapessi in quanti posti sono stata, dammi il tempo di scaricare le foto e te le farò vedere >>, affermò la ragazza gongolando, felice di aver trovato qualcuno con i suoi stessi interessi.
No, Lyn no. Ricorda l’obiettivo, punta Phil, iniziò a supplicarla mentalmente Aron, sperando davvero che tutte quelle stronzate sulla connessione tra fratelli fossero vere.
<< Ne sarei davvero felice! Per adesso ho avuto l’occasione di visitare la Repubblica Ceca e sono stato a Sarajevo, mi sono letteralmente innamorato di quella città, è magica, ti rapisce ed è… >>
<< Una fiaba senza fine >>, completò Lyn per lui con gli occhi a cuoricino.
Cazzo, ho perso Lyn, ho perso Lyn. Non va bene
<< Scusateci un attimo solo >>, s’intromise Aron, tirando Lyn per un braccio.
Appena fu sicuro che nessuno nell’altra stanza potesse sentirli, si voltò a guardarla con l’espressione più arrabbiata che aveva.
<< Cosa stai facendo, Lyn? >>
<< Conoscenza, forse? >>
<< Conoscenza, Lyn? Conoscenza? Quel tipo si sbatte tua madre da sei mesi, Lyn. Credo che la conoscenza che ha di lui valga per tutti e tre >>, sbottò adirato.
<< Stai esagerando, Aron. Phil non mi sembra una cattiva persona >>.
<< Vuoi forse dirmi che Mike ti sembrava una cattiva persona, Lyn? >>, chiese non contendendo le parole e la vide sbarrare gli occhi.
<< Non lo sembrano mai delle cattive persone, mai. E poi guarda come vanno a finire le cose. Lui non ha niente di diverso da Mike, o da Justin o da qualunque altro uomo che la mamma ha portato a casa! >>, concluse.
<< … Non sono papà >>, sussurrò flebilmente.
<< Come prego? >>
<< Nessuno di loro è papà, è questo il loro unico problema >>, ripeté guardandolo negli occhi.
<< A me Phil piace e anche alla mamma, non lo vedi forse? Aron, la mamma sta ridendo! >>
<< Ma.. >>, cercò di ribattere.
<< Fottiti Riro. Io adesso vado di la e cercherò di fare conoscenza con loro, perché tanto ci toccherà farlo comunque >>, e concluse così la discussione, tornando in cucina e lasciandolo inebetito a fissare il punto in cui prima c’era lei.
Ritornò dopo poco, riprendendo il posto accanto alla sorella, giusto in tempo per il dolce. Ma le chiacchiere non erano ancora finite.
<< E per quanto riguarda te, Aron? Tua madre mi ha detto che sei all’ultimo anno, cosa farai dopo? >>, chiese cordiale anche a lui.
<< Sicuramente me ne andrò di qui, tranquillo, avrete casa libera prima di quanto speri >>, rispose acidamente, beccandosi una seconda gomitata nelle costole, stavolta da Lyn.
<< Credo tu abbia confuso le mie intenzioni >>, ribatté, portandosi una mano alla nuca, sorridendo imbarazzato.
<< No, sei tu che hai confuso le mie. Non sono nato ieri, so da quanto va avanti questa storia e sai che c’è? Stai con lei, tanto prima o poi l’abbandonerai, come hanno fatto tutti quelli prima di te >>, concluse arrabbiato e fece per alzarsi da tavola ma la madre lo bloccò, afferrandolo per un braccio.
<< Per questa scenata faremo i conti dopo, adesso io e Phil abbiamo una cosa da dirvi >>, sibilò gelida come il ghiaccio.
Scansandosi dalla sua stretta, si sedette nuovamente e, quando i due furono sicuro di avere tre paia di occhi addosso, Helena prese un grosso respiro.
<< Sono incinta >>, comunicò felicemente, come se la discussione precedente fosse stata spazzata via da quella notizia.
<< Mi prendi per il culo? >>, riuscì a chiedere Aron, l’incredulità stampata sul volto.
<< E’ la verità, Aron. E questo dovrebbe bastarti per comprendere le intenzioni che ho nei riguardi di tua madre >>, intervenne Phil.
<< Questo mi basta per capire che a diciott’anni uso meglio i preservativi di voi! >>, urlò in preda ad una furia incontenibile.
Il corpo di sua madre, da cui era nato grazie a suo padre, adesso avrebbe ospitato un altro essere, che sarebbe nato grazie a Phil.
E da lì sarebbe cominciata la rovina, se lo sentiva.
Avrebbero pranzato come una famiglia, non avrebbe più potuto fumare, Lyn non avrebbe più viaggiato, avrebbero festeggiato il Natale a casa dei genitori di Phil, e il Capodanno, e il primo compleanno dell’essere.
E da lì avrebbero dimenticato Lucas, non sarebbero più andati al cimitero, non avrebbero più passato il Natale con i loro nonni. Sarebbe stata la fine di quelle piccole abitudini che consentivano ad Aron di andare avanti.
Scappò via da quella cucina e per un solo secondo, si voltò a guardare Colin.
Il ragazzo era l’espressione del dolore, piccolo piccolo in quella sedia con gli occhi a fissare il sorriso di suo padre.
I loro sguardi non si sfiorarono, e Aron pensò che fosse meglio così, uscendo definitivamente da quella stanza.

La villa in cui abitavano, tra le altre cose, era dotata di un terrazzo abbastanza ampio, in cui Lucas Dust aveva fatto costruire una piccola serra per Aron.
Era fermo lì a pensare a tante di quelle cose che sentì la testa sul punto di scoppiargli.
Solo, si chiedeva perché, perché per tutti fosse così difficile capire.
Si chiedeva cosa fosse successo alla donna che, sette anni prima gli aveva giurato “io e te contro il mondo”, visto che il mondo non era ancora diventato buono e lui aveva un tale bisogno di non sentirsi più solo.
Certe volte pensava che sarebbe stato meglio seguire Lyn, partire con lei, mollare tutto e vivere alla giornata, che tanto lo sapeva fare. Poi si diceva che sarebbe stato un peso anche per lei, e allora rinunciava, ripromettendosi che un giorno avrebbe finalmente avuto una vita propria.
Solo.
Era la solitudine a terrorizzarlo.
Ad un tratto, qualcuno gli si sedette accanto e gli poggio la testa sulla spalla.
Dopo dei minuti che a lui parvero infiniti, decise di parlare, ma lui la bloccò.
<< Non dire nulla. Se ci tieni alla mia salute mentale, non dire nulla >>, sussurrò.
<< Alla fine sono riuscita a rispondergli, sai Riro? >>, disse invece quella, con un sorriso amaro in volto.
<< Mi dirai mai cosa hai detto loro? >>, chiese allora lui, ricordandosi di quel lungo racconto, e quei monaci che le avevano posto una domanda tanto spinosa quanto lecita.
<< Viaggio per scappare da qui, dal dolore che è legato alla mia casa >>, mormorò e le lacrime presero a scenderle sul viso, silenziose.
<< Ma poi torni >>, le fece notare Aron.
<< Tutti tornano, Aron >>.
<< Papà no >>.
<< Non serve a niente, sai? Viaggiare, intendo. Non si può dimenticare un dolore tanto grande, te lo trascini dietro dovunque tu vada. A volte mi sento uno stercorario, che si porta dietro i suoi chili di merda >>.
<< E allora perché continui? Perché ti allontani da noi, da me? >>
<< Non posso vederlo quel tuo sguardo, mi ha sempre fatto male. Se rimanessi a casa per troppo, finirei addirittura per volerti bene >>, sussurrò con un sorriso, tra le lacrime che non volevano saperne di smettere.
<< Non mi vorresti bene neanche tra cent’anni, Lyn >>, controbatté con tono neutrale.
<< Io ti voglio già sufficientemente bene, Riro >>, tagliò corto.
<< Phil è andato via, la mamma è sotto che ti aspetta, vorrebbe parlare con te >>, continuò scostandogli un ciuffo di quei capelli neri che gli copriva l’occhio destro.
<< Perché tu sei come lui e io no? >>, chiese all’improvviso.
<< Non lo so >>.
<< E perché hai tinto quei capelli? >>
<< Non lo so >>.
<< Perché non sai darmi risposte, Lyn? Perché non sei come tutte le sorelle normali che se ne sbattono dei propri fratelli? >>
<< Perché io non potrei mai fregarmene di te e di quel tuo sguardo di dolore perenne >>, scherzò.
<< Adesso vai da mamma >>.
<< Non voglio, non ho nulla da dirle >>, scrollò le spalle, rannicchiandosi in un angolo.
<< Prima o poi dovrai affrontarla >>, gli fece notare lei.
<< Facciamo poi, avrò più insulti da urlarle contro >>, sibilò acido.
Lyn si alzò, sospirando.
<< Allora dirò a mamma che sei scappato e ti sei rifugiato a casa di Melissa, aspetta che vada a dormire prima di rientrare, altrimenti ti beccherà e metterai in mezzo anche me >>, concluse rientrando in casa .
Mel è morta due mesi fa , avrebbe voluto dirle, ma non lo fece, perché non lo sapeva nessuno.
L’ho uccisa, pensò miseramente.Dovrei proprio andare da lei.
E con questi pensieri, si addormentò lì, nella serra, incurante della polmonite che avrebbe potuto coglierlo.


Note finali!

Salve a tutti!
Anche questo è finito. So che probabilmente sarete più incasinati che all’inizio ma non temete, le cose si chiariranno presto! (See, fidatevi pure! u.u)
Ringrazio le due meravigliose persone che mi hanno degnata di una recensione, love u girls <3
E allora, chi sarà mai questa Mel? Perchè Aron dice di averla uccisa? Avete ipotesi? Fatevi sentire.
Aspetto dei commenti e ci rileggiamo al prossimo capitolo!
Remèny.

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Capitolo 3
*** Gutta cavat lapidem. ***


Gutta cavat lapidem.
La goccia scava la pietra.

Quella notte Aron si svegliò perché dei rumori avevano richiamato la sua attenzione.
Dopo lo stordimento iniziale aveva capito che erano urla e, considerando che la madre era chissà dove con Phil, si disse che doveva per forza essere successo qualcosa a Lyn.
Si alzò così velocemente che per un secondo vide tutto nero ma, non curandosene, corse nella stanza della sorella, bloccandosi sulla porta.
Osservò la scena che gli si parava davanti senza fare una piega, avvicinandosi al letto e sedendovisi sopra.
Lyn era stesa a letto con gli occhi sbarrati e le mani a coprirsi le orecchie, urlando disperata, con il viso accaldato e gli occhi grondanti di lacrime.
<< Lyn >>, cercò di richiamarla al presente ma, lo sapeva già, non avrebbe mai funzionato.
<< Lyn >>, riprovò, ma niente. La sorella non sembrava neanche essersi accorta della sua presenza.
<< Allyn, sono qui >>, disse a voce più alta, prendendo ad accarezzarle il viso, per calmarla.
Dopo una ventina di minuti la situazione mutò, e la ragazza cadde priva di forze tra le braccia del fratello.
<< Aron >>, continuava a chiamarlo, come per accertarsi che fosse davvero lì con lei.
<< Sono qui >>, le rispondeva lui, cercando di addolcire il tono di voce.
<< Erano tutti lì, li vedevo >>, iniziò a singhiozzare lei, sempre più forte.
<< Chi c’era? >>, le domandò, cercando di farla parlare il più possibile, per non farla ricadere nelle fauci dell’attacco di panico di cui era appena stata vittima.
<< Tutti, erano tutti lì >>, singhiozzò, come se non riuscisse a dire altro.
<< Lyn, calmati. Non riesco a capirti >>, le rispose, cercando di farla tranquillizzare. Dopo una decina di minuti, la ragazza respirava meno affannosamente e aveva quasi smesso di tremare.
<< Chi c’era, Lyn? >>, domandò a quel punto, sperando di ottenere una risposta migliore.
<< Occhi. Erano occhi. E mi fissavano e poi mi sono venuti addosso. Ho avuto paura, Aron, paura di non svegliarmi >>, riuscì a spiegare tra un sussurro strozzato e un affanno.
Aron sospirò; era sempre la stessa storia.
Allyn Dust soffriva di attacchi di panico da quella fatidica notte e ormai solo lui sapeva come farla calmare, seppur minimamente.
<< Non erano reali >>, le disse a mo’ di consolazione, continuando ad accarezzarle i capelli.
<< Non lo sono mai >>, gli rispose lei. << Ma fanno paura ugualmente >>, concluse, nascondendo il viso nell’incavo del collo di Aron.
<< Lyn, Lyn, puoi scappare dove vuoi ma non te ne libererai mai >>, rifletté il ragazzo ad alta voce.
<< Mi perseguitano, Riro. Non posso più chiudere gli occhi >>, disse abbattuta.
<< Ma ci dev’essere qualcosa che t’impedisca di fare brutti sogni >>, replicò lui.
<< Non c’è. Ho provato di tutto, ma non c’è. La cosa peggiore comunque non sono gli incubi, per quanto possa sembrare assurdo, ma quelle cose che vengono dopo >>, sibilò lei.
<< Per quelle, in realtà.. >>, iniziò Aron.
<< Ci sono gli psico-farmaci. Ma non ho intenzione di diventarne dipendente a vent’anni, preferisco conviverci per tutta la vita, piuttosto >>.
<< Preferisci stare tanto male per il resto della tua vita? E’ assurdo >>, cercò di farla ragionare lui.
<< Un giorno ne uscirò, promesso >>, gli sussurrò abbozzando un sorriso.
<< Ma che diavolo di ore sono? >>, domandò Aron dopo qualche minuto di silenzio.
<< Le tre e mezza >>.
<< Mamma non è tornata, vero? >>
<< E’ con Phil >>, e scrollò le spalle.
<< Va bene. Lyn, io torno a dormire, mi hai interrotto sul più bello >>, disse e fece per alzarsi ma la ragazza lo trattenne per un braccio.
<< Posso dormire con te? Ho paura qui >>, domandò tenendo gli occhi bassi.
<< Questa stanza è diventata davvero così poco familiare per te? >>, gli chiese di rimando, con una punta di ironia nella voce.
<< Meno di quanto vorrei >>, gli rispose spiazzandolo.
<< Quindi, più di quanto io possa immaginare. Vieni dai, il letto si sta raffreddando sempre di più >>, concluse ed entrambi entrarono nella camera del ragazzo, che ancora Lyn non aveva visto, o almeno, non in quel modo.
Le pareti erano state dipinte di blu, abbandonando quel giallo canarino che Aron odiava a morte. Al centro c’era un letto ad una piazza e mezzo e di fronte ad esso una scrivania che il ragazzo era riuscito ad ottenere in regalo dai suoi nonni. Era particolarmente affezionato a quel “pezzo di legno”, come amava descriverlo bonariamente il nonno, in quanto era appartenuto al padre, e aveva fatto carte false pur di averlo. Accanto alla scrivania, c’era un armadio in legno, che era a sua volta vicino alla grande finestra che dava su un piccolo balconcino, da cui si poteva vedere il sole e, quando i lampioni dell’isolato non funzionavano e non c’erano nuvole all’orizzonte, un cielo fenomenale.
Le pareti erano interamente ricoperte di disegni e fotografie, attimi di vita a caso riportati in quelle mura. Era uno spazio così intimo che Lyn si sentì quasi un’ospite indesiderata in quella camera in cui aveva praticamente passato tutto il suo tempo libero, specialmente in assenza del fratello.
<< Hai cambiato tutto >>, disse con tono nostalgico e un sorriso ben stampato in viso.
<< Si, era ora di dire addio a Twinky >>, le rispose sghignazzando, facendo ridere anche lei. Twinky era il nome che avevano dato a quella camera per via di quel colore orribile, che ricordava loro un vecchio cartone animato che vedevano da bambini, il cui protagonista era proprio il canarino Twinky, odioso a tal punto da essere detestato da tutti.
Senza aggiungere altro, i due si ficcarono sotto le coperte e, dopo essersi dati la buonanotte, cercarono di prendere sonno. Tuttavia, per fortuna o disgrazia, Morfeo non voleva saperne di arrivare e i due erano stesi a pancia in su, con gli occhi rivolti al soffitto, entrambi persi nei loro pensieri.

Lascito fatale di una vecchia idropica
il bel fante di cuori e la regina di picche
chiacchierano sinistramente
dei loro amori defunti.

-C. Baudelaire.

<< Sei sveglio, Riro? >>
<< Stavo per farti la stessa domanda >>, sospirò.
<< Cosa c’è? Di solito dopo ogni attacco crolli nel giro di dieci minuti >>, continuò.
<< Non riesco a dimenticare Brian >>, se ne uscì all’improvviso, lasciando il ragazzo con un’espressione di terrore stampata in viso.
Cazzo,cazzo,cazzo. Argomento pericoloso in arrivo, neuroni non abbandonatemi adesso, stiamo sull’attenti , continuava a ripetersi mentre cercava qualcosa di intelligente, e al contempo il meno pericolosa possibile, da dire.
<< Il fotografo newyorkese? >>
<< Già.. >>, rispose lei lasciando incompleta la frase.
Ok, vuole che t’informi sul perché le manca. Non è difficile, fallo .
Aveva iniziato a parlare da solo. Ah, cosa fa il sonno!
<< Non pensavo ci fosse stata qualcosa tra voi >>, disse lui cautamente, sapendo che nel giro di dieci minuti avrebbe ricevuto un racconto dettagliato del profondo amore che li aveva uniti.
<< Era solo sesso, il nostro. Del buon sesso, aggiungerei, ma si sa come vanno queste cose, no? “Nessun coinvolgimento emotivo”, ci dicevamo, però alla fine ci sono cascata. Mi sono innamorata di Brian, e ora mi manca da morire, cazzo >>, concluse, lasciando Aron perplesso.
Si chiedeva chi dei due copiasse chi, e come facessero, pur abitando in posti diversi per la maggior parte del tempo, ad avere storie così simili.
<< Impara a rispettare le condizioni, Lyn. Niente coinvolgimento emotivo significa “non ti voglio tra i coglioni, a meno che tu non sia nuda e pronta a soddisfarmi”, è tanto facile >>, ironizzò lui.
<< Perché siete tutti così? Non avete cuore >>, ribatté lei.
<< Eh no, tesoro, ti sbagli. Non siamo noi a non avere cuore, al contrario, siete voi a volare troppo sulle ali della fantasia. Voglio dire, analizziamo la situazione, vuoi?- e quella annuì impercettibilmente- Se un ragazzo non vi chiama, pensate che vi odi, quando magari non ha avuto tempo per farlo. Se vi lancia uno sguardo significativo, credete che sia perdutamente innamorato di voi e organizzate un matrimonio in chiesa e una vita all’insegna dell’amore con cinque figli e due cani a cui badare, quando magari voleva solo farvi capire di avere voglia di fare sesso. Se vi dice “Non ti voglio”, iniziate a immaginare che sia timido o, peggio ancora, uno di quei bellocci che se la tira, ma non vi sfiora minimamente l’idea che non vi voglia davvero; e quando vi dice “niente coinvolgimento emotivo” voi che fate? V’innamorate.
No, decisamente non siamo noi a non avere cuore >>, concluse, fiero della sua arringa mentre la sorella lo scrutava con aria torva e interrogativa, quasi come se nel suo viso ci fossero le risposte al problemi del mondo.
<< Tu sei gay >>, disse all’improvviso, come colta da un’illuminazione.
<< Come prego? >>, chiese lui sbarrando gli occhi, sperando di aver sentito male.
<< Non farmi ripetere, hai capito! Ecco perché.. >>, iniziò a riflettere tra sé e sé.
<< Cosa? >>, chiese di nuovo, arrendendosi di fronte alla sua perspicacia, gliel’avrebbe detto comunque, tanto meglio se c’era arrivata da sola.
<< Colin. Lo guardavi in modo così strano >>.
<< Io non lo guardavo >>, balbettò.
Certo, è questo il momento di balbettare
<< Mi riferisco a quando eravamo nell’atrio, lo stavi spogliando con gli occhi >>.
<< Avrai sicuramente frainteso, Lyn >>, cercò di tirarsene fuori.
<< E la cosa era tristemente ricambiata! Che spreco, siete entrambi così belli >>, disse sovrappensiero.
<< Allyn! Non voglio sentire una parola di più su quest’argomento >>, sbottò lui.
<< .. C’è qualcosa che non mi stai dicendo, Aron, non è così? >>, chiese furbescamente.
<< N-nulla >>, balbettò mentre le sue guance s’imporporarono e la sua mente corse a quel bacio rubato.
<< Si che c’è. Sputa il rospo >>, ordinò perentoria.
Aron sbuffò pesantemente, sarebbe mai riuscito a mentirle?
<< Mi ha baciato >>, mormorò talmente piano che per un solo secondo sperò di non essere stato sentito. Insomma, avrebbe potuto usare la scusa del “le cose le ripeto una sola volta” e…
<< Cosa?! >>, gli urlò lei nell’orecchio.
.. Come non detto.
<< Hai capito >>.
<< E non dici nulla alla tua sorellina?! Brutto stronzo, racconta tutto! >>, disse euforica, prendendo a saltellare sul letto.
<< E’ passato stamattina a portare delle foto per un lavoro della mamma, e mi ha chiesto dell’acqua. Così l’ho fatto entrare e, in base a delle fortuite coincidenze che non sto qui ad esporti, mi ha baciato >>, spiegò sbuffando ad ogni frase.
<< ... Tu cosa ci facevi a casa stamattina? >>, chiese improvvisamente, allontanandosi dal tema centrale.
<< E’ un’altra storia, e la cosa simpatica è che mamma non deve conoscerla. Per quanto ne sa, il tipo delle consegne ha bussato alle cinque e mezza >>, scrollò le spalle.
<< Mh, avrai tempo per raccontarmi anche questa storia. E quindi.. ti ha baciato >>, disse soddisfatta, l’altro annuì.
<< E per quale cazzo di motivo stasera non gli hai parlato? >>, chiese stranita.
<< Perché, essendo il figlio di Phil, è automaticamente diventato il nemico, capisci Lyn? Il nemico. Se ripenso al fatto che avrei voluto farmelo mi faccio schifo da solo >>, sibilò frustrato.
In realtà, sapeva perfettamente che se in quel preciso istante se lo fosse ritrovato tra le coperte, non avrebbe esitato a farlo suo.
<< Fratellino, chi riuscirà a capirti meriterà tutto il mio rispetto. Adesso ho davvero sonno >>, sbadigliò.
<< I postumi dell’attacco sono giunti, finalmente >>, commentò Aron.
<< Si, ma non t’illudere, continueremo domani >>, sussurrò mentre la sua voce andava lentamente affievolendosi e la testa le ricadeva sul cuscino.
Sono fottuto, pensò prima di addormentarsi.

Quella mattina si alzò alle sei, nonostante la notte prima non avesse praticamente chiuso occhio, si vestì di tutto punto e uscì senza fare rumore, sua madre non era ancora rientrata.
Era il 12 Settembre e lui aveva una visita importantissima da fare, una visita che ogni volta l’emozionava e spaventava al tempo stesso.
Raggiunse i cancelli del cimitero alle sette e mezza e Jimmy, il guardiano di quel posto, gli rivolse un sorriso stanco.
Il poveretto aveva circa settant’anni e rimaneva lì giorno e notte, concedendosi raramente delle pause. Ad Aron stava simpatico, sentimento peraltro ricambiato, e tra di loro si era creato un tacito affetto.
Camminò tra le tombe indifferente finché non la trovò.

Lucas Dust
1958-2005
Con infinito amore.
Per sempre.

Si fermò ad accarezzare la lapide e ciò che c’era inciso sopra e poi si sedette lì, accanto a lui.
<< E’ passato un altro anno, eh papà? >>, chiese attendendo una risposta che, naturalmente, non arrivò.
<< Allyn è tornata ieri, è bellissima, sai papà? Saresti così orgoglioso di lei. Parla troppo, però, come al solito. Io papà.. >>, prese un grosso respiro.
<< Io credo di avere un problema. C’è questo ragazzo, Colin, che mi ossessiona. L’ho visto solo due volte, mi ha baciato, e stanotte l’ho sognato e, prima che tu me lo faccia capire, no, non c’entra nulla il fatto che ne stessimo parlando prima di andare a letto. E poi, papà, c’è Melissa. Anzi, c’era. Papà, io l’ho uccisa, capisci? Ok, non ho materialmente compiuto il gesto ma l’ho spinta ad uccidersi. E la mamma è.. la mamma è incinta. Di Phil. Ci ha traditi, ti rendi conto?
Ed è.. è tutto così difficile, papà, perché non ci sei? A volte avrei bisogno di una tua parola, un tuo abbraccio, e invece devo consolarmi guardando una tua foto. Quando sei uscito, quella sera, mi hai detto che saresti tornato presto quindi, quando hai intenzione di tornare, papà? Qui ti aspettiamo >>, sospirò alzandosi e lasciando un bacio su quel freddo pezzo di marmo.
Ormai non riusciva più a piangere, aveva esaurito tutte le lacrime tempo fa, oramai si limitava a parlargli.
Stava per tornare indietro quando una folata di vento lo colpì in pieno. Vi chiederete cosa mai ci sia di strano in questo, ma sarebbe impossibile da spiegare. Impossibile spiegarvi come, ma Aron capì che quella era per lui, che era un segno inviatogli da suo padre.
<< Si, hai ragione, vado subito >>, disse al vento e camminò ancora, fino a raggiungere una lapide all’ombra di un salice piangente.
E la guardò attentamente prima di parlarle.

Melissa Hawtorne
1994-2012
Nella mente, sulla bocca, nel cuore


<< Ciao Mel >>, disse finalmente, cominciando a sentire quel classico groppo formarglisi nella gola.
<< Mel io... mi dispiace. Da morire. Non ho saputo aiutarti e non sai quanto mi sia sentito un verme, io non volevo peggiorare le cose, giuro che non volevo. Io.. avrei dovuto immaginarlo, avrei dovuto capirlo e invece ti ho fatta stare solo più male. S-sono stato egoista, Mel, giuro che se avessi il coraggio adesso ti avrei già seguito ma non ce la faccio, mi capisci vero? Non posso andarmene adesso, Allyn ha bisogno di me. Per la prima volta, sento che qualcuno ha bisogno di Me e… cazzo Mel, mi dispiace >>, disse flebilmente, cadendo sulle ginocchia e iniziando a singhiozzare.
Si sentiva un’idiota, a parlare con una lapide, sapendo di essere il responsabile di quella morte.
Continuò a piangere fin quando non si sentì toccare una spalla, quindi alzò lo sguardo e lo vide.
<< Cosa ci fai qui? >>, riuscì a domandargli, ricomponendosi come meglio poteva.
<< Perché piangi? >>, chiese quello di rimando.
<< Non sono cosa che ti riguardano >>.
<< Melissa Hawtorne.. la conoscevo, si è suicidata due mesi fa, giusto? >>, chiese ancora con tono neutrale, come se fosse una conversazione sul tempo e lui non fosse in lacrime.
<< Si >>, rispose lapidario.
<< La conoscevi anche tu? >>
<< Ero il suo migliore amico, o meglio, avevo la presunzione di definirmi tale >>.
<< Perché? >>
<< Non hai sentito la sua storia in giro? >>
<< Si >>
<< E dunque? >>
<< Speravo non fosse vera >>, rispose sinceramente.
<< Soffriva di bipolarismo ed era bulimica. Nessuno ha potuto fare nulla per aiutarla, nemmeno io... >>, disse e ricominciò a piangere.
Colin lo fece sollevare e lo strinse in un abbraccio, sorprendendolo.
<< Perché piangi? >>, gli sussurrò nuovamente all’orecchio.
<< C’aveva provato a dirmelo che aveva dei problemi, ma io non l’ascoltavo. Ero sempre troppo ubriaco, o troppo impegnato a farmi qualcuno, o a dirle dei ragazzi che mi ero portato a letto e guarda che fine le è toccata? Non l’ho ascoltata, l’ho lasciata da sola >>,sibilò affranto, e ringraziò il cielo che fosse stretto nell’abbraccio di Colin altrimenti, lo sapeva, si sarebbe preso a pugni.
<< Non è colpa tua >>, gli disse.
<< Cosa puoi saperne tu.. >>
<< Mia madre soffre di bipolarismo, non è stato facile capirlo e non è facile affrontarlo >>, continuò.
<< Pensavo fosse.. >>, ma non ce la fece a continuare.
<< Morta? No, è solo ricoverata in un ospedale psichiatrico a Tucson. Un po’ distante, no? >>, cercò di scherzare.
<< Un po’ >>, convenne. << Ad ogni modo, perché sei qui? >>, continuò.
<< Mi piace questo posto, e in particolare quel salice. Riesco a concentrarmi e a disegnare >>, rispose mostrandosi un blocco da disegno che prima non aveva notato.
<< Usciamo da qui? >>, chiese Aron. << A meno che tu non preferisca rimanere >>, si affrettò ad aggiungere.
<< Vengo volentieri >>, disse Colin, regalandogli un sorriso killer.
<< Bene, ti porto a mangiare i migliori brownies della città >>.
<< Da Ollie’s , no? >>
<< Precisamente, come fai a conoscerlo? E’ poco frequentato! >>
<< Imparerai di me, caro ragazzo, che non sono un animale sociale >>.
<< Perfetto, a me piacciono gli animali domestici >>, disse ridacchiando della sua (pessima) battuta, coinvolgendo suo malgrado anche Colin.
All’improvviso si disse che avrebbe potuto provarci, che tanto non aveva nulla da perdere.
E sorrise. Finalmente sorrise.


Note finali!

Saaaaalve a tutteee!
Allora, siamo già al terzo? Madonnasanta, mi commuovo!
Che dire di questo capitolo? O meglio, cosa si PUO’ dire di questo capitolo?
Nulla, probabilmente, devo rassegnarmi a pensare che vi tedio oltremodo e che sta storiellina fa schifo a livelli atomici.
Ho deciso (AHAHAHAH come se l’avessi deciso io e non me l’avesse imposto lo studio, AHAHAHAHAH che simpaticona sono :’) ) che aggiornerò principalmente tra venerdì e domenica, per la vostra giuuoia :3
Avete capito chi era Melissa, mi dispiace Wakachan, nessuna ex fastidiosa , anche se l’avrei preferito t.t
Ho aggiunto Baudelaire perché, bè, lui sta dappertutto e boh, la loro discussione mi ha riportato alla mente questa poesia quindi… Oh, così è se vi pare, no?
E quuuiiiindiiii, Aron ride, Colin se lo spupazza, siamo tutti felici e no, che schifo, non può andare avanti così!
Vabbbene, tolgo il disturbo che già mi odiate t.t
Alla prossima,
Remèny.

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Capitolo 4
*** 4. Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris. ***


Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris.
Ricordati uomo che polvere sei e alla polvere ritornerai.


<< Quindi hai diciassette anni, eh moccioso? >>
<< Quindi verremo a vivere da voi >>, commentò ignorando quella domanda.
<< Così pare >>, rispose abbozzando un sorriso.
Erano da Ollie’s da circa mezz’ora a godersi il tepore di quel locale, mentre fuori gli alberi di quel lungo viale iniziavano a colorarsi di giallo e arancione; Colin mangiava dei brownies, ormai i suoi preferiti, mentre Aron sorseggiava una cioccolata calda, che tanto calda non era mica.
Ci tornavano ogni venerdì da un mese, ma solitamente non dicevano nulla: stavano lì a mangiucchiare qualcosa o a leggere un libro, senza dire una parola, ma insieme. Forse avevano troppo da dirsi e nessuno dei due sapeva da dove cominciare, o forse si erano già detti troppo per i loro standard.
Infatti, nonostante Aron avesse parecchi amici, non aveva mai parlato tanto con nessuno, neanche con Melissa, alla quale si limitava a raccontare le sue avventure di letto; Colin, al contrario, parlava, parlava e parlava, si, ma con se stesso e non era dunque abituato ad esternarsi troppo.
Se solo ripensava a quello che aveva detto ad Aron quella volta al cimitero gli veniva da piangere.
Tanto scoperto in così poco tempo.
Entrambi comunque, sebbene riuscissero ad evitarsi accuratamente per tutta la settimana, si ritrovavano il venerdì da Ollie’s, quasi fossero vecchi amici.
E, prima che chiunque lo possa pensare, no, non lo erano.
Ogni tanto Aron ripensava a quel bacio che Colin gli aveva rubato e si diceva che non era stato nulla, solo una “prova di forza” che il ragazzo aveva voluto dare. La cosa peggiore era che a pensarci veniva invaso da una strana tristezza, quasi si aspettasse che da un momento all’altro Colin gli si fiondasse tra le braccia declamando il suo amore per lui, in versi magari.
Quanto a Colin, ancora non riusciva a spiegarsi quel bacio. Non che non l’avesse voluto, ben inteso, ma proprio il pensiero di aver desiderato di baciare quelle labbra gli faceva montare dentro una strana sensazione, quasi fosse sul punto di scoprire un nuovo continente o giù di lì.
Quel venerdì, comunque, era di particolare tensione, ecco perché parlavano. Probabilmente a star zitti sarebbero scoppiati presto.
Infatti, a casa di Colin si era rotto l’intero impianto idrico (cosa un po’ bizzarra, pensava il ragazzo, visto che fino a quel momento aveva sempre funzionato ) e dunque Helena aveva deciso di invitarli a vivere con loro, almeno fino a quando il problema non fosse stato risolto.
D’altronde, casa loro era parecchio grande, dunque non ci sarebbero stati problemi.. o forse si?
Per Aron, il pensiero di ritrovarsi costantemente quel sorriso e quel corpo irraggiungibile davanti, era quasi straziante.
Era abituato ad avere tutto ciò che desiderava, ragazzi compresi, ma sapeva perfettamente che con lui non avrebbe funzionato. No, Colin non si sarebbe lasciato sedurre facilmente.
Doveva attuare una vera e propria strategia di guerra, questo l’aveva capito; l’unico punto da chiarire consisteva nel ” il gioco varrà la candela?”
<< Comunque è assurdo, la casa era perfetta un mese fa, per me c’è sotto qualcosa >>, disse ancora Colin.
Era inutile, non riuscivano a capacitarsi di quello che sarebbe successo giusto quella sera, perché avrebbe voluto significare una sola cosa: era tutto vero.
<< Non l’hai ancora capito, eh? Non vogliono perdersi di vista quei due >>, gli rispose Aron in un soffio, che sembrò quasi dissolversi nell’aria.
<< Sarà così >>, commentò sovrappensiero l’altro, ponendo fine alla discussione.

<< Aron aiuta Colin con gli scatoloni! >>, urlò Helena dal piano inferiore, facendo risvegliare il ragazzo dal torpore in cui era caduto.
Dopo averla maldetta mentalmente, si alzò di malavoglia e raggiunse gli altri, prendendo uno scatolone con su scritto Colin e portandolo nella camera accanto alla sua, ovvero quella in cui si sarebbe sistemato il figlio di Phil.
Si, da quel momento era il figlio di Phil, niente di più. Aveva meditato a lungo ed era giunto ad una conclusione: il gioco non valeva la candela. Insomma, lui non era fatto per le cose serie, quindi non sarebbe mai riuscito ad averlo. E dunque perché disperarsi inutilmente? Non ce n’era motivo alcuno.
Da quel momento Colin sarebbe stato il figlio di Phil e basta, niente di più.
Entrò in camera, dove Colin stava sistemando dei vestiti nell’armadio, e posò lo scatolone per terra. Nel farlo, vista anche la delicatezza con cui aveva eseguito l’operazione, questo si aprì per un secondo, mostrando ad Aron una foto che lo incuriosì, quindi riaprì lo scatolone e prese in mano la foto.
Sullo sfondo un parco e al centro Colin e un altro ragazzo che guardavano dritti in camera, sorridendo felici, il braccio del ragazzo intorno alle spalle di Colin.
Si rigirò la foto tra le mani e notò la dedica che c’era dietro: “Così potrai avermi con te dovunque vai”.
La stava ancora leggendo quando, in un attimo, la foto gli fu tolta dalle mani, e si ritrovò davanti lo sguardo furioso di Colin.
<< Nessuno ti ha mai detto che non si curiosa nelle cose altrui? >>
<< E quello chi sarebbe, il fidanzato? >>, chiese di rimando, sentendo uno strano prurito alle mani.
<< Non sono cose che ti riguardano >>, rispose semplicemente.
<< Non dirmi che te la sei presa, scherzavo! E’ carino, comunque, ottima scelta >>, commentò Aron.
<< Sei.. Non ho parole, sei un pervertito. Sparisci da questa stanza >>, urlò Colin, spingendolo fuori senza alcuna grazia, e chiudendosi la porta alle spalle.
<< Bene, la prossima volta gli scatoloni li sali su da solo >>, bofonchiò, rintanandosi nella sua camera.

Erano da poco passate le tre di notte.
Aron era sdraiato con gli occhi rivolti al soffitto, il sonno non accennava a volerlo cogliere. Lyn era da Sophie, Phil e sua madre si erano dati alla latitanza, e forse era meglio così, e Colin era ancora chiuso nella sua stanza.
Colin, già.
Quel ragazzo era diventato per Aron una vera e propria ossessione. Quella foto poi, la sua reazione.. era in crisi.
Non sapeva che fare. Era tornato a chiedersi se ne valesse la pena, senza trovare una valida risposta. Era diventato un’idiota all’improvviso, forse avrebbe dovuto sbattersi Justin e farsi meno domande.
Ecco perché non seguiva filosofia, lui non era fatto per gli enigmi. E Colin lo era.
Un tuono particolarmente forte lo riscosse dai proprio pensieri e si rannicchiò sotto le coperte, terrorizzato.. Non che ne avesse paura, ben inteso, ma i tuoi evocano ricordi spiacevoli.
Ricordi confusi di un telefono che squillando rompe il silenzio della cosa, addormentata; ricordi di urla, pianti, di corse in ospedale e mani penzoloni da una barella.
Ed eccolo. Un altro tuono nella sua testa.
NO.
<< Aron, tutto bene? >>, quella voce. Non era la sua, non poteva esserlo.
La stanza iniziò a girare e, come in un incubo, tornò a quella notte.
<< Tutto bene? >>, era Lyn a chiederglielo stavolta.
Erano seduti su delle scomodissime sedie verdi di un tristissimo ospedale, gli stava porgendo del caffè.
NO.
E le lacrime iniziavano a scendere, inarrestabili, non che avesse la voglia di fermarle. Urlava, chiedeva perché. Era disperato.
<< Che succede? >>, ancora quella voce, preoccupata.
L’abbraccio di Lyn in cui si era rifugiato stava iniziando a farsi stretto. Cercava di liberarsi ma, dimenandosi, non otteneva nulla.
<< Mamma >>, chiamava ma non c’era.
<< Papà >>, riprovava allora anche se, ormai era vero, non sarebbe più arrivato.
Urlava e urlava e le infermiere non sapevano come farlo calmare, si prendeva i polsi e li graffiava.
<< Calmati! >>, gli urlò quella voce.
<< Calmati! >>, gli diceva anche Lyn.
E gli mollarono uno schiaffo entrambi.
Si risvegliò da quella sorta di trance in cui era entrato.
Ricordi vecchi e nuovi, sovrapposti, gli affollavano la mente. Era così confuso, così stanco, ma aveva vinto.
Si era svegliato.
Si trovò davanti Colin che lo guardava atterrito, e si meravigliò di essere stretto nel suo abbraccio, ma non si scostò perché non ne aveva la forza.
Era sfinito, tremendamente sfinito, come se avesse lottato con un cinghiale ma, forse, la lotta che aveva appena vinto contro i ricordi era stata più spossante.
<< Aron >>, lo chiamò quello e il ragazzo si stupì quasi della musicalità che il suo nome riusciva ad assumere, se pronunciato dalle giuste labbra.
Aron non rispose, limitandosi a poggiare la testa nell’incavo del suo collo, prendendo a piagnucolare piano. A Colin sembrava quasi un lamento funebre ma si tenne ben lontano dal fare domande, qualcosa gli diceva che Aron non avrebbe più aperto bocca per quella sera.
<< E’ tutto ok, dormi ora >>, gli disse solamente e lo vide annuire, per poi rannicchiarsi in posizione fetale.
Lo coprì ed uscì dalla stanza.
Per quanto ancora avrebbe avuto a che fare con dei casi umani? Si chiedeva questo ma poi il sonno lo avvinse e negli incubi trovò la risposta che cercava.
<< Te lo meriti >>.

Nel frattempo, nel silenzio della sua stanza, Aron entrava in quello stato di torpore che, di solito, non raggiungeva mai.
Si addormentò dopo poco con le gambe ancora strette al petto, sperando di colmare la voragine che gli si era formata proprio lì.
Era stanco di sentirsi vuoto.

Note finali!

S-salv..NONONO, mettete via quei forconi!
Mi dispiace, so che avrei dovuto aggiornare prima ma proprio non ce l’ho fatta!
Comunque, questo capitolo credo sia uno dei miei preferiti fin ora, quindi spero vi piaccia e spero mi facciate sapere cosa ne pensate.
Cosa sarà successo al nostro Aron?
Il prossimo capitolo è interessante u-u, ne metto qui un’anteprima, e, si, arriverà presto, giuro!

Anteprima
<< Cosa leggi? >>, gli domandò allora.
<< Wilde, è interessante >>.
<< Oh, si, le lettere di un povero poeta al suo amato, un perditempo squattrinato che si diverte a scialacquare il patrimonio del suo amante, lasciandolo sul lastrico e facendolo finire in prigione con l’accusa di sodomia. Parecchio interessante, credo anch’io >>, commentò sarcastico.

Adesso scappo, buonanotte a tutti vista l’ora (le 00.55, visto che io sono trasgressivaH ) e alla prossima!
Remèny.

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Capitolo 5
*** You go your way and I'll go my way. ***


Turning slowly, looking back, see
No words, can save this, you're broken and I'm pissed
Run along like I'm supposed to, be the man I ought to
Rock and Roll, sent us insane, I hope someday that we will meet again
You go your way and I'll go my way
No words can save us, this lifestyle made us
Run along like I'm supposed to, be the man I ought to
Rock and Roll, sent us insane, I hope someday that we will meet again.

- Kasabian, Goodbye Kiss.



Il mattino dopo si svegliò con un forte mal di testa e, dopo circa dieci minuti di stordimento, I ricordi della notte precedente lo investirono come un fiume in piena. Non aveva idea di cosa gli fosse capitato, ma era sicuro che non gli fosse mai successo prima.
Gli attacchi di panico, i momenti nostalgici erano cose a cui era abituato ma quella… come definirla poi? Non aveva proprio una definizione adatta. Per un attimo, gli era sembrato di non poter muovere un muscolo, perso nei ricordi che gli si proiettavano davanti agli occhi come se li stesse rivivendo ancora e ancora, e quando aveva sentito la voce di Colin, aveva pensato fosse impossibile che fosse davvero lui, dal momento che neanche lo conosceva a undici anni.
Undici anni.
Vi siete mai chiesti come ci si sente a perdere tutto a undici fottutissimi anni?

Quella mattina non guardò la foto sul comodino, come faceva di solito, e decise che non sarebbe andato a scuola perché non ne aveva voglia. Scese al piano inferiore dove Helena, Phil e Colin facevano colazione, Lyn non era ancora rientrata.
Gli venne da vomitare per la visione di quel bel quadretto familiare. E, prima ancora di salutare tutti, lo fece, senza troppi preamboli.
Corse in bagno e rigettò... nulla. Il nulla che la sera prima aveva mangiato.
Tornò in cucina e si versò dell’acqua, ma lasciò il bicchiere lì sul piano cottura.
<< Buongiorno >>, gli disse Phil con un sorriso stampato sul viso.
<< Notizie da casa vostra? >>, gli chiese lui, senza neanche guardarlo negli occhi. Poi si accomodò accanto a Colin e cercò il suo sguardo, ma quello era occupato nella comprensione di un passo del De profundis.
<< Nulla di positivo, temo. Oltre alle tubature, abbiamo perso anche le fondamenta, per delle infiltrazioni >>, rispose Colin, continuando a leggere attento.
<< Cosa leggi? >>, gli domandò allora.
Come se non lo sapessi , gli fece notare la sua vocina interiore. In effetti, Wilde era stato uno dei suoi autori preferiti fino al mese precedente, gli aveva fatto capire tante cose riguardo la sua sessualità e gli aveva dimostrato che, nonostante tutte le avversità che un coming-out comporta, bisogna esternare ciò che si ha dentro.
Bè, lui in realtà esternava unicamente il contenuto dei suoi boxer, ma non era più o meno la stessa cosa?
<< Wilde, è interessante >>, gli rispose Colin, alzando per un secondo lo sguardo e puntandolo nel suo.
Le budella di Aron si mescolarono tra loro, fino a diventare qualcosa di indistinto. Aveva certi occhi, quello stupido idiota.
<< Oh, si, le lettere di un povero poeta al suo amato, un perditempo squattrinato che si diverte a scialacquare il patrimonio del suo amante, lasciandolo sul lastrico e facendolo finire in galera con l’accusa di sodomia. Parecchio interessante, lo credo anch’io >>, commentò sarcastico, facendo calare il silenzio nella stanza. Giusto per un secondo, però.
Si disse che avrebbe potuto fare di meglio.
<< Un povero poeta che si rende conto di essere stato ingannato dalla persona che più amava al mondo, a cui avrebbe venduto persino l’anima se avesse potuto, che sputtana pubblicamente il sopracitato perditempo squattrinato >>, ribatté Colin, alzando nuovamente lo sguardo e puntandolo nel suo per la seconda volta.
<< Sputtana pubblicamente? Non mi risulta, visto che il manoscritto venne immediatamente ritirato dalla circolazione per volere del padre di Douglas e fu pubblicato solo post mortem dell’autore.
Wilde ha avuto la sua vendetta in ritardo, era stato già divorato dai vermi e, forse, anche Douglas >>, concluse scrollando la spalle.
Quanto aveva amato Wilde e Douglas? Quante volte aveva pensato al loro come ad un rapporto malato ma incontrovertibile, un rapporto che legava con un doppio filo indissolubile la rovina di uno con la crescita dell’altro. E poi arrivava Colin, a mettere in discussione le sue posizioni.
<< Quindi conosci Wilde, eh? >>, gli chiese cambiando argomento.
<< Ho letto qualcosa di suo, si >>, si costrinse ad ammettere, nascondendo un leggero imbarazzo.
<< Mh, capisco. Comunque, de gustibus non disputandum est, giusto? >>
<< Conosci anche il latino? Ma che bravo >>, commentò sarcastico annuendo tra se e se.
<< Non c’è nulla che non conosca o che non sappia fare >>, s’intromise Helena con uno sguardo adorante.
E ad Aron tornò la voglia di vomitare.
<< I fatti miei. Non so proprio farmi i fatti miei >>, le rispose Colin.
<< Questo è vero >>, convenne Aron, guadagnando uno sguardo truce dal ragazzo.
<< Facciamo finta che un mio amico abbia un attacco di panico. Io accorrerò da lui e gli presterò aiuto, quando invece dovrei lasciarlo semplicemente crepare >>, disse alzandosi e uscendo da quella casa a passo di marcia.
<< Questa era cattiva >>, gli urlò dietro Aron, ma quello si era già chiuso la porta alle spalle.
<< Cosa gli sarà preso? >>, chiese Helena.
<< Avrà le sue cose >>, le rispose Aron e poi aggiunse: << Oggi niente scuola per me, torno a dormire >>, ignorando le proteste di sua madre.

Dopo circa due ore, sentì la porta di casa sbattere, segno che era finalmente solo. Scese a controllare , giusto in caso non fosse Lyn, ma scoprì di avere ragione.
Con un sorrisone salì nuovamente al piano superiore e si bloccò di fronte alla porta della camera di Colin.
<< Neanch’io so proprio farmi i fatti miei, sai? >>, chiese alla porta, immaginandosi di avercelo davanti. Entrò e si mise a curiosare qua e la.
Nulla di particolare, qualche foto con una ragazza, con alcuni amici, con un cane e con una donna, che Aron immaginò dovesse essere sua madre, vista la tremenda somiglianza tra i due.
Poi trovò la foto che non gli aveva fatto chiudere occhio la notte precedente, di quei due abbracciati e poco ci mancò che la strappasse. C’era un quaderno posato sul comodino; lo prese e lo aprì. Sfogliandolo trovò testi di canzoni e appunti di ogni tipo, c’era persino una frase scritta in quello che immaginò essere italiano, a cui aveva aggiunto la traduzione sotto.
Mi costringono a sognare ad occhi aperti e con la luce spenta.
They force me to dream with open eyes and switched light.

Era indubbiamente una bella frase, chissà come faceva a conoscere l’italiano, Phil non gli sembrava un così grande poliglotta.
Posò quel quaderno e alzò lo sguardo, dove su una mensola troneggiavano libri di ogni genere e ordinati in base all’autore. Era un grande lettore il ragazzino, da Dumas a Poe, Wilde, persino Freud e Jung, e ancora Bukowski, la Austen, Baudelaire, Goethe, Neruda.
Aveva proprio di tutto. Prese Le affinità elettive di Goethe, libro che da bambino aveva letteralmente divorato, e quando lo aprì trovò a fargli da segnalibro un pacchettino con al suo interno qualcosa che ben conosceva. Una polverina bianca con cui aveva un rapporto di amore/odio da un bel po’ di tempo.
Una polverina per il quale in passato aveva fatto delle cose non propriamente nobili.
Rimase a guardare quel contenitore di cellofan per parecchio tempo, poi posò il libro e uscì con il pacchettino in mano.
<< Guarda il ragazzino >>, iniziò a dire mentre entrava in camera sua.
<< Si sa anche drogare >>, continuò sarcastico. << Sono stupito >>, aggiunse ancora.
<< Bè.. certe occasioni non vanno sprecate, no? >>, e detto questo tornò in camera di Colin e si arrotolò quella polvere bianca, che di solito avrebbe inalato, non sapendo neanche cosa fosse. Erba certamente no, forse anfetamine? Ma le ricordava in pillole bianche. Che le avesse sbriciolate? O forse era cocaina?
Ma chi se ne fotte?
Accese la sigaretta e iniziò ad aspirare con una lentezza esasperante , godendosi ogni boccata. Dopo la prima arrivò la seconda, poi la terza e con essa una sensazione di leggero e caldo torpore, di felicità assoluta, che ben ricordava.
<< Di sicuro non ringrazierò quel bastardo per questo fumo. Prima sembra carino e coccoloso, mi fa innamorare e poi… >>, si riscosse improvvisamente, senza finire la frase.
Cos’è che aveva appena detto?
Da quando Aron Dust parlava d’amore?
Da quando, per essere precisi, lui provava amore?
E da quando, per essere pignoli, l’oggetto del suo amore era Colin Larson?... E da quando conosceva anche il suo cognome?!
Cristo, troppe domande.
Non era amore quello, non poteva esserlo. Lui non era fatto per i legami, aveva perso la capacità di provare un qualsivoglia sentimento, che non fosse attrazione, per qualcuno che non facesse parte della sua famiglia, da molto tempo ormai.
Ecco, forse era semplice e pura attrazione. D’altronde, da quanto lo voleva nel suo letto? Aveva perso il conto dei giorni.
Il suo corpo, magari quei suoi capelli che sembravano così morbidi, o forse i suoi occhi, la sua voce, magari quel sorriso sghembo che gli usciva fuori quando tentava di consolarlo, quel suo profumo di casa, la sua bravura in tutto, la sua capacità di sorprenderlo, forse la sensazione di calore che provava nel suo abbraccio o magari… NO.
Doveva smetterla. Ne parlava come se ne fosse innamorato, quando magari sarebbe bastato semplicemente farselo. Forse, se il Fato era dalla sua per una volta, Colin a letto era un imbranato e lui odiava gli inesperti, nonostante un tempo lo fosse stato a sua volta.
Ecco, magari sarebbe bastato provare com’era a letto e tutto sarebbe passato.
<< Si, farò così >>, annuì convinto, accendendosi la quarta- o forse quinta?- sigaretta.
In quello stesso istante entrò Colin con un’espressione stanca sul viso.
Ma quanto tempo è passato?, si chiese ma quello non diede segno di averlo visto; poggiò la borsa a terra, si allentò la camicia e solo in quel momento si rese conto della presenza che si era liberamente intrufolata in quella stanza.
Fece un balzo indietro, sbattendo contro la porta; di contro, Aron si alzò e, dondolando come un ubriaco, si avvicinò impercettibilmente a lui, dando un altro tiro alla sigaretta. Colin ci mise pochissimo tempo a realizzare ciò che era successo, e sul suo viso comparve un’espressione inebetita.
E’ anche intuitivo
<< Stai scherzando, vero? Sei fatto? Ti sei fatto la mia roba?! >>, strillò senza il minimo ritegno, mandando il suo orgoglio maschio a farsi benedire.
Aron sogghignò, avvicinandosi maggiormente.
<< Quante domande. E’ una storia simpatica, sai? In realtà l’ho trovata per caso… >>, iniziò ma quello non gli permise di finire.
<< Per caso? Per caso?! Era chiusa in un libro, cazzo! >>
Quindi si arrabbia anche lui?
<< Shh, non urlare Cole, non ce n’è bisogno >>, ridacchiò con tono vagamente civettuolo facendo l’ennesimo passo avanti, ormai erano davvero vicini.
Com’è che l’aveva chiamato? Ah, si, Cole. Perché l’aveva fatto? Non aveva tempo di spiegarselo, in ogni caso.
<< Non ci posso credere, davvero! >>, continuò quello con tono isterico, sembrava quasi che non lo stesse ascoltando.
E Aron odiava non essere ascoltato.
<< Su, Cole, calmati >>, biascicò parandoglisi davanti e intrappolandolo in un abbraccio.
Finalmente.
Quanto gli era mancato quel corpo?
Ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, per la miseria. Non ci sarebbe riuscito in ogni caso.
<< C-cosa fai, Aron? >>, gli chiese quello contro la sua spalla, impossibilitato a muoversi, con tono quasi impaurito.
<< Ah, vedi che hai smesso di urlare? Adesso ti farò calmare, vedrai >>, disse ancora e iniziò a baciarlo.
In realtà, non era un bacio, e Aron lo sapeva bene, era quasi una violenza che la lingua del ragazzo stava cercando di fare sulla bocca di Colin, che tuttavia rimaneva serrata.
<< Dai, cosa ti costa baciarmi? >>, gli chiese allora, vagamente infastidito.
<< Ti sei forse dimenticato del nostro primo bacio? >>, domandò ancora.
<< Aron, allontanati >>, gli rispose quello, con tono leggermente più deciso.
<< Non ci credo. Forse non ti vado bene? >>, e stavolta rideva sardonico.
<< Sei fatto, non sai quello che dici. Allontanati >>, gli ripeté di nuovo ma quello non lo ascoltava e aveva preso e carezzargli una guancia, con fare lascivo.
<< Sei bello, te l’hanno mai detto? >>, continuò.
<< Non lo ripeterò un’altra volta, allontanati >>.
Aron per tutta risposta grugnì e lo baciò di nuovo.
Era un bacio lento stavolta, non voleva forzarlo, voleva semplicemente averlo, se non il suo corpo, almeno la sua bocca. Voleva assaporare quelle labbra, giocare con la sua lingua, probabilmente voleva solo conoscerlo più a fondo.
In un primo momento, incredibilmente, sembrò quasi che quello ricambiasse, ma improvvisamente, quasi si fosse riscosso da uno stato di trance, lo scostò di colpo e lo spinse via.
<< Non ti avvicinare mai più, mi fai schifo, capito? Schifo! >>, gli urlò contro e, allontanandolo ulteriormente, riuscì a sbattergli la porta in faccia.
Mi fai schifo, capito? Schifo!
Mi fai schifo, capito? Schifo!
Mi fai schifo, capito? Schifo!

<< No, basta >>, sussurrò portandosi le mani alla testa, quelle parole che ancora gli riecheggiavano nella mente.
Si rintanò in camera sua, trovò il letto senza accendere alcuna luce e si stese lì, in posizione fetale.
<< Basta >>, continuò sussurrare, con una sola parola in mente: Schifo.
Che cos’è lo schifo?
Quando una persona arriva a dire che un’altra gli porta ribrezzo, ripugnanza, disgusto.
Quali sono le condizioni che spingono una persona a pronunciare una parola tanto grave?
Cosa gli aveva fatto?
<< Io… ho davvero?... >>, ma non riuscì a terminare la domanda.
Ho davvero cercato di costringerlo a stare con me?
E pianse. Tutte le lacrime che aveva in corpo, le gettò via una ad una.
Forse era la droga ad esser stata tagliata male.


Note finali!

Salve a tutti!
Chi non muore si rivede, eh?
Ok, sul serio, mi dispiace di questo aggiornamento ritardato ma non avevo ispirazione e non volevo farvi leggere qualcosa di orridamente schifoso.
Questo capitolo… a me piace.
Specialmente la parte finale, in cui Aron entra nella camera di Colin. Mentre lo scrivevo, ascoltavo i Kasabian con Goodbye Kiss, ascoltatela anche voi. A me ha dato un retrogusto amaro, quasi di antico, che ha reso la scena perfetta. Immaginavo Aron preso dal fumo, confuso, perso nel mondo di Colin.
Bah, chissà che non abbia fumato qualcosa anch’io, eh?
Per quanto riguarda la frase: Mi costringono a sognare ad occhi aperti e con la luce spenta, qualcuno sa di chi è? 
Alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate, perché in realtà queste poche recensioni mi deprimono un po’, ma ehi, si va avanti, no?
Alla prossima,
Rem.

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