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Come
ogni mattina, HershelLayton
aprì la porta del suo studio all’Università Gressenheller e si sedette dietro alla sua scrivania
incasinata. Posò la cartella di pelle dove riponeva i vari documenti e le
lezioni che utilizzava giornalmente e prese il foglio con
su scritto il nome della nuova assistente che sarebbe arrivata entro
poco. Lisa Simon… aveva un nome dolce e simpatico, tutto sommato.
Girò
la poltrona rossa su cui sedeva e guardò fuori dalla finestra: era solo da un
pezzo, ormai. Anche se non se ne faceva un problema, negli ultimi dodici mesi si
era sentito tremendamente triste. Un po’ per la partenza di Luke, certo, ma
soprattutto perché dopo il loro ultimo caso il ricordo di Claire si era
cementato nella sua mente, rendendolo nostalgico e solitario più del normale. E
questo non andava bene.
Sospirò e scosse la testa: doveva riprendersi, altrimenti non
sarebbe stato accogliente quando fosse arrivata la nuova assistente, e questo
non si addiceva a un gentiluomo. Si stampò in faccia uno dei suoi soliti sorrisi
gentili e attese la ragazza.
Un
paio d’ore dopo, quando aveva già discusso una tesina con una studentessa e
aveva fotocopiato gli appunti da distribuire agli studenti quel pomeriggio,
sentì bussare alla sua porta.
“Avanti” disse. Quella si aprì leggermente e una ragazzina si
affacciò timidamente.
“Questo è lo studio del professor Layton?” chiese in un sussurro.
“Certo. Di cosa ha bisogno, cara?”
s’informò. La giovane entrò e tenne lo sguardo basso.
“I-io sono Lisa. Lisa Simon” spiegò. L’uomo non riuscì a trattenere lo
stupore: vista l’ultima assistente che il preside gli aveva mandato, si
aspettava un’altra EmmyAltava, mentre lei sembrava così piccola e timida.
“Quindi lei è la mia nuova collaboratrice?” domandò. Lei
annuì.
Il
professore sorrise gentilmente e si alzò.
“Piacere, signorina Simon. Io sono HershelLayton” si presentò,
porgendole la mano. Lei lo guardò con i suoi grandi occhi color nocciola
e la strinse lievemente.
“Pi-piacere mio, professore” rispose, per poi abbassare
nuovamente il braccio e mettersi a giocare con le dita, nervosa.
“La
prego, non sia così intimidita da me” le disse.
“Non è
lei che mi intimidisce” ribatté lei, piuttosto a disagio. L’uomo capì che la
ragazza non voleva parlare della sua timidezza, così decise di cambiare
discorso.
“D’accordo, signorina Simon, allora le va di sedersi e parlare di
quelle che saranno le sue mansioni? Se non mi sbaglio
lei dovrebbe aver incontrato Emmy, prima di venire
qui” la invitò, accomodandosi sul divano. Notò il disagio di Lisa nel
mettersi vicina a lui e le indicò una sedie davanti al
tavolino di legno su cui era posato il servizio da tè. Sospirando di sollievo,
si sedette più tranquilla, poi si ricordò di annuire.
“Ah, sì, sì. La signorina Altava mi
ha già detto quali sono i miei compiti: devo tenerle gli appuntamenti, pulire il
suo studio, aiutarla nelle indagini (se ce ne saranno) ed essere a disposizione
se avesse bisogno di qualcosa. È… è giusto?” domandò
titubante. Layton sorrise e annuì.
“Certamente, signorina Simon. Aggiungo che
spero che la nostra collaborazione sia piacevole per entrambi” disse.
Lisa arrossì.
“C-ci spero anche io, professore” ammise.
Furono
interrotti dall’arrivo di uno studente che voleva chiarimenti su una lezione che
aveva capito poco.
“Se
potesse rispiegarmelo le sarei infinitamente grato”
“Certamente, Charles, non preoccuparti. Signorina Simon, per
oggi resterà qui a guardare come funziona il mio lavoro, quali sono i miei orari
e com’è strutturata la giornata, così da domani potrai iniziare a lavorare per
bene. Le va bene?” le propose. I suoi modi gentili e
galanti la fecero arrossire ancora di più, e annuì senza dire nulla.
“Perfetto. Adesso sono tutto per te,
Charles” disse Layton, mettendosi a parlare col
ragazzo.
A quel
punto l’attenzione del professore fu completamente incentrata su di lui, così
Lisa poté finalmente sospirare di sollievo e calmarsi un po’. Non poteva farci
niente, quel lavoro l’aveva messa in ansia sin da quando ne aveva avuto la
comunicazione: la sua timidezza unita al rispetto che provava per lui e
mescolata con una buona dose di bassa autostima l’avevano portata a sentirsi
inadeguata e incapace per quel compito. Però non poteva rinunciare a fare da
assistente al famoso professor Layton, soprattutto
perché aveva sempre sognato di poter diventare, un giorno, anche lei
un’insegnante. Così, adesso era seduta in quello studio disordinato e
confusionale, col cuore in tumulto per il nervoso. Aveva voglia di tornare a
casa e nascondersi nel suo pigiama enorme, souvenir di suo fratello maggiore,
per concentrarsi solo sui mille libri che ancora doveva leggere. Al solo
pensiero del fratello le salirono le lacrime agli occhi, ma si riprese per
evitare di destare sospetti: se il professore avesse capito qualcosa, sarebbe
andato tutto a monte.
Si
mise ad ascoltare ciò che lui stava dicendo al ragazzo. Forse avrebbe dovuto
prendere appunti.
Passò
le due ore successive a controllare attentamente dove fossero i fogli delle
lezioni, i taccuini con gli appunti, le bustine de tè (erano quasi più
importanti del resto, per quanto aveva capito) e tutto le
cose che servivano al suo capo.
In
tutta la giornata arrivarono a chiedere al professore spiegazioni e aiuti vari
più di dieci studenti diversi, dei quali otto erano ragazze. Lisa si chiese se
quella fosse una causalità o no, ma ne dubitava fortemente. Sapeva che l’uomo
era molto amato dalle studentesse, quando frequentava le sue lezioni spesso
sentiva i discorsi delle sue compagne su di lui, anche se non avrebbe saputo
dire cosa era a renderlo così affascinante: forse il cappello a tuba che non si
toglieva mai, o forse il fatto che ogni tanto sparisse per seguire delle
indagini misteriose e strane in tutto il mondo. Comunque era sicuramente molto
ricercato. In realtà sapeva di essere diventata antipatica a tante
universitarie, una volta che la sua nomina ad assistente era stata confermata,
ma non poteva farci niente se era la più brava del corso e aveva bisogno di quel
tirocinio. Se le altre la guardavano male, era un problema loro, anche se questo
non le serviva certamente ad accrescere la sua autostima, anzi se possibile la
faceva sentire ancora più piccola e insignificante.
A fine giornata il professore le sorrise gentilmente.
“La vedo un po’ stanca, signorina Simon. Sicura di non voler
andare a casa, per oggi? Tanto qui non c’è più nulla da fare,
appena ho finito di compilare questi fogli vado via anche io” le propose.
Scosse la testa sicura.
“Voglio stare qui” rispose. Poi arrossì e abbassò lo
sguardo.
“Cioè,
sempre se non disturbo” si affrettò ad aggiungere. L’uomo annuì.
“Affatto, anzi mi fa piacere se rimane con me. Se vuole del tè, può servirselo senza problemi” le offrì, chinandosi
di nuovo sulla scrivania.
“No,
grazie” sussurrò.
Sentiva il ticchettio dell’orologio rimbombarle nelle orecchie
mentre il pennino del professore scorreva veloce sul foglio di carta.
La
testa le stava diventando pesante, ma resistette all’impulso di chiudere gli
occhi e rimase seduta sul divano per tutto il tempo in cui l’uomo compilò i
fogli. Così faceva una buona assistente.
“Ecco fatto, questo era l’ultimo. Ho
finito” annunciò lui infine. Lisa si sentì tremendamente sollevata e si
alzò velocemente, pronta ad andarsene.
Layton notò la sua fretta e sorrise.
“Per oggi direi che può bastare, dico bene? Si è sforzata più
del previsto e capisco che rimanere ferma su un divano per tutte queste ore
possa essere snervante. Le prometto che da domani il lavoro
sarà più divertente”le
disse.
“M-ma non mi sono annoiata, giuro” si affrettò a ribattere
lei.
“Mi è
piaciuto vedere come lavora, ho imparato tanto” spiegò. Era arrossita di nuovo e
si rese conto di dover sembrare terribilmente stupida in quel modo.
“Mi fa
piacere che lo pensi, signorina Simon. Quindi ci vediamo domani?” le chiese, aprendole galantemente la
porta.
Lisa
annuì e recuperò la borsa dalla sedia.
“S-sì, a domani” lo salutò timidamente. Quando gli passò
accanto, Layton mosse il cappello in segno di saluto,
proprio come facevano i gentiluomini, e le sorrise.
“Passi
una bella serata” la congedò. “Magari –avrebbe voluto rispondere- invece me ne
starò sul divano a piangere come una stupida perché mi sono fatta convincere a
venire qui e a fare questo sporco lavoro ” ma rimase zitta e uscì dalla stanza
in silenzio e velocemente, cercando di non far passare la sua fretta per una
fuga. Una volta nell’aria grigia e fredda di Londra, le sue guance finalmente
ripresero un colorito più naturale, facendola tornare un essere umano e non un
pomodoro gigante.
“Dannata timidezza” si disse.
Si
diresse verso la fermata dell’autobus e cercò di non dare ascolto alla voce
nella sua testa che le diceva che non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare fino in
fondo al suo incarico: in qualche modo ce l’avrebbe fatta, costasse quel che
costasse.
Quando
arrivò a casa, il telefono stava squillando insistentemente già da un po’ e
dovette correre per riuscire a rispondere prima che cadesse la linea.
“Pronto?” chiese col fiatone.
“Com’è andato il tuo primo giorno di lavoro,
piccola Lisa?” rabbrividì a sentire quella voce. La odiava.
“Cosa te ne importa? Non è affar tuo”
rispose. Dalla cornetta arrivò una risata gelida e divertita.
“Lo è, invece, da quando sono
qua. Comunque non importa, volevo solo essere sicuro che non fossi
fuggita… di nuovo”
rispose.
“Non
lo farò. Sai che non posso farlo”
“Meglio essere sicuri, non
credi? Va bene, ti lascio
andare a fare le tue cose. Immagino che dopo la prima giornata tu sia stanca,
quindi devi riposarti. Non vorrei che la stanchezza ti facesse
perdere di vista il tuo compito” le mani di
Lisa tremarono leggermente mentre stringevano il telefono.
“Non
accadrà”
“Meglio così. Allora ci risentiamo. Ciao, ciao”
Quando
attaccò si sentì prosciugata di tutte le sue forze e si accasciò a terra. Si
mise a piangere senza sapere come fare.
“Avevamo tanti... progetti per il
futuro. Non lo dimenticherai, vero? Il nostro passato insieme e il nostro...
futuro perduto”
“Claire aspetta! Non puoi andartene! Non
voglio dirti addio un’altra volta, non posso farlo e non lo
farò!”
“Io ti conosco e so che saprai essere
forte. Dopo tutto...così fa un gentiluomo. Ora devo andare, Hershel. Grazie di
tutto”
“Claire no…
CLAIRE!”
“CLAIRE!” si tirò a sedere all’improvviso, spaventato e col
fiatone.
“Di
nuovo” sussurrò. Si asciugò la fronte imperlata di sudore e strinse le lenzuola
bianche, tremando. Ormai erano passati dodici mesi da quando l’aveva salutata di
nuovo, ma non riusciva a darsi pace, non riusciva a tranquillizzarsi. Non
avrebbe dovuto lasciarla andare, non avrebbe dovuto permettere che scomparisse
di nuovo, ma non poteva nemmeno trattenerla. Tutto ciò che aveva potuto fare era
vederla sparire dietro quell’angolo per tornare al momento dell’esplosione e far
sì che ciò che sarebbe dovuto avvenire anni prima avvenisse davvero. Ma non lo
accettava, non riusciva a farlo, anche se razionalmente sapeva che era stato
giusto così, che i morti non andrebbero tolti al loro destino. Eppure si sentiva
ancora terribilmente disperato e solo.
Quell’avventura nella Londra sottoterra lo aveva sul serio messo
a dura prova: non solo aveva dovuto affrontare ricordi dolorosi e terribili che
lo avevano fatto stare male per giorni e giorni, ma si era anche imbattuto nella
sua ex ragazza morta. Anche per lui, che era la razionalità fatta persona, tutto
ciò era stato troppo da affrontare e ora si ritrovava pieno di incubi ogni
notte. Anzi no, perché il suo non era un incubo, era un ricordo… il ricordo del
loro addio definitivo.
“Claire” sussurrò, asciugandosi una lacrima. Non piangeva mai,
non si addiceva a un gentiluomo piangere, ma pensarla gli faceva male e non
riusciva a trattenersi.
Si
alzò dal letto e si mise la vestaglia marrone con le rifiniture rosse che teneva
sulla poltrona, per poi andare a prendere un bicchiere d’acqua. Doveva
tranquillizzarsi, non poteva passare un’altra notte in bianco. Ormai non
riusciva più a contare le ore passate seduto sul divano a leggere per far
velocizzare anche solo un po’ il passare del tempo, tutte le albe viste da
quella casa in cui non riusciva a prendere sonno. Semplicemente andava avanti
fingendo che tutto andasse bene e cercando di non dover affrontare di nuovo il
passato.
Certo,
il fatto che Flora fosse andata a vivere da sola e che Luke si fosse trasferito
non lo aiutavano, visto che era rimasto solo nel suo appartamento, ma era felice
per loro. Era il loro mentore, ma desiderava che camminassero sulle proprie
gambe. Questo faceva un gentiluomo e questo avrebbe fatto lui.
Si
accasciò sul divano con in mano il bicchiere dell’acqua e si mise una mano sugli
occhi. Certo, questo faceva un gentiluomo… ma non era sempre semplice seguire le
regole.
Il
mattino dopo arrivò in ufficio pensieroso e piuttosto distratto, e non vide il
piccolo caschetto marrone che si muoveva verso di lui fin quando non ci sbatté
contro.
“Ma
cosa…?” abbassò lo sguardo e vide Lisa ferma davanti al suo petto con il viso
rosso. In confronto a lui era obbiettivamente piccola.
Le
sorrise e si alzò lievemente il cappello.
“Mi
scusi, signorina Simon, dovevo essere distratto e non l’ho vista arrivare” le
disse dispiaciuto. Lei rimase ferma a fissare la sua camicia arancione e non
disse nulla. Semplicemente arrossì ancora di più.
“Tutto
bene?” le chiese titubante. Lisa annuì in fretta, come ricordandosi di dovergli
rispondere, poi si spostò di lato.
“S-scusi, non l’avevo vista. Stavo andando a fare delle
fotocopie dei suoi appunti per gli studenti” spiegò imbarazzata. In effetti,
sparsi a terra c’erano decine di fogli, e lei si abbassò velocemente, cercando
di rimetterli in ordine.
“Lasci
che l’aiuti” si offrì il professore, inginocchiandosi vicino a lei.
“Non
serve, posso fare da sola” disse Lisa.
“Un
gentiluomo non lascia mai una fanciulla in difficoltà” ribatté Layton
sorridendo. La ragazza capì che non avrebbe potuto dissuaderlo dal darle una
mano nemmeno implorandolo, così accettò suo malgrado il suo aiuto.
“E
questo cos’è?” domandò l’uomo, prendendo un foglio rosa. Lei alzò gli occhi e
arrossì.
“No,
fermo, me lo restituisca!” si infiammò, strappandogli di mano la pagina. Lui
rimase confuso e stupito da quello scatto.
“Mi
scusi, non volevo essere invadente” le disse. Col cuore in tumulto Lisa piegò il
foglio e se lo mise in tasca.
“N-no,
mi scusi lei, ma… questa è una cosa privata e… non voglio che lei lo veda”
balbettò impacciata.
“Ma
certo, non deve giustificarsi, la capisco benissimo” la rassicurò. Si alzò
finendo di raccogliere gli appunti sparsi a terra e le porse una mano per farla
mettere in piedi.
“Ecco
a lei. L’aspetto nel mio ufficio non appena avrà fotocopiato tutto quanto, a tra
poco” la salutò, proseguendo verso il suo studio.
In
realtà, anche se il suo “codice da gentiluomo” gli aveva suggerito di non
indagare oltre su quel foglio rosa, adesso Layton si era incuriosito molto.
Aveva di sfuggita letto solo un paio di parole, e non aveva potuto capire niente
del contenuto, ma il suo “famoso sesto senso”, come si divertiva a chiamarlo
Luke, si era appena attivato.
Fu
distolto dai suoi pensieri da uno studente che entrò a chiedergli aiuto e si
concentrò su di lui per l’ora successiva.
“Uff,
che fatica” stava dicendo Lisa, piena di fotocopie. Ne aveva almeno un centinaio
appoggiate sul tavolo e altrettante strette in mano.
“Mi sa
che dovrò fare due viaggi” si lamentò. Aprì la porta e si avviò verso l’ufficio
del professore, camminando piuttosto impacciata. Non vedeva bene ciò che aveva
davanti e faticava a mantenere l’equilibrio. Alla fine, giunta davanti allo
studio, si rese conto che non sapeva come aprire l’uscio.
“Ehm…
professore?” chiamò. Sentiva delle voci provenire da dentro e dedusse che fosse
con uno studente, così attese per un po’.
Dopo
qualche minuto, provò di nuovo a chiamarlo.
“Scusi, professor Layton, mi sente?” disse un po’ più forte.
Evidentemente no.
Sospirò sconsolata, arrendendosi all’idea di rimanere lì fin
quando chiunque fosse l’ospite del professore non se ne fosse andato e si
appoggiò alla porta.
“Mi
fanno male le braccia” si lamentò. Non era mai stata particolarmente forte e la
sua soglia del dolore era piuttosto bassa.
In
quell’istante qualcuno aprì la porta e lei cadde improvvisamente
all’indietro.
“Ah!”
esclamò. Si aspettava di schiantarsi a terra, di farsi male in qualsiasi modo,
invece si ritrovò sorretta da un paio di braccia piuttosto forti. Alzò lo
sguardo e vide Layton che le sorrideva.
“Tutto
bene?” le chiese divertito. Era la seconda volta che gli finiva addosso.
Si
affrettò a ricomporsi e annuì.
“E-ero
tornata dalla fotocopiatrice e… insomma, non riuscivo ad arrivare alla maniglia
con tutti questi fogli in mano, così… m-mi dispiace” disse mortificata.
“Nessun problema, signorina Simon, non si preoccupi.
L’importante è che lei stia bene” la tranquillizzò.
“O-ok”
Appoggiò le fotocopie che aveva portato e corse velocemente
fuori dalla stanza per recuperare le altre, con il cuore in tumulto e la voglia
matta di mettersi a piangere. “Sono una frana. Non sono adatta a questo compito”
pensò disperata.
Era
sempre stata un’imbranata cronica e non riusciva a non fare qualche danno, ma
non era mai stato un problema. Gli altri ridevano con lei, quando cadeva o
inciampava, non DÌ lei, così quella era una delle poche cose di cui non si era
mai preoccupata. Ma adesso le cose erano cambiate.
Avrebbe dovuto essere più attenta e circospetta se non voleva
farsi scoprire. Prese il foglio rosa e lo rilesse per la ventesima volta,
sentendosi sopraffare dalla disperazione.
"Non piangere" si impose. Doveva essere forte e
decisa, non c’era possibilità di errore per lei.
“Ecco,
questi sono gli ultimi” disse, posando sulla scrivania del professore gli ultimi
appunti. Aveva le braccia doloranti e intirizzite, ma ce l’aveva fatta a portare
tutto senza farsi male.
“Grazie mille, mi ha dato un grandissimo aiuto” la ringraziò
Layton sorridente. Ma sorrideva sempre, quell’uomo?
“Fa…
ehm, fa solo parte dei miei compiti. In fondo sono la sua assistente, giusto?”
ribatté imbarazzata.
“Certo, ha ragione” annuì lui.
“C’è
altro da fare?” domandò la ragazza. Il professore ci pensò su, poi scosse la
testa.
“Può
preparare un po’ di tè, se vuole” le rispose.
“D’accordo”
Si
mise a far bollire l’acqua sul fornelletto che c’era nella stanza accanto e nel
frattempo mise in infusione le foglie di earl grey tea.
Si
affacciò timidamente e sbirciò l’uomo mentre lavorava sui suoi appunti: era
molto concentrato, ma anche in quel modo manteneva un contegno e un’eleganza che
lei non aveva mai visto a nessun altro. Si rattristò pensando a ciò che gli
stava facendo, ma non poteva comportarsi diversamente.
“Ecco
a lei” disse, posando il vassoio con le tazzee il bollitore sul tavolino di
legno.
“Ah,
grazie mille cara” rispose lui, alzando lo sguardo dagli appunti e invitandola a
sedersi sul divano rosso. Lei si accomodò e fu raggiunta subito da Layton, il
quale si mise sulla poltrona ricordando il suo disagio del giorno precedente
quando le aveva detto di mettersi vicina a lui.
“Non
c’è niente di meglio di un buon tè per rilassarsi, non pensa?” le chiese,
sorseggiando la bevanda rossastra che c’era nella tazza.
“Già”
ammise Lisa. Osservò fuori dalla finestra, rapita dal panorama londinese: la
città le era sempre piaciuta.
“C’è
qualcosa che non va?” s’informò il professore, vedendola assente. La ragazza
sobbalzò, presa alla sprovvista, e arrossì.
"N-no, no, si figuri! Stavo solo ammirando Londra"
spiegò ridendo imbarazzata. Layton avrebbe voluto chiederle come mai diventava
rossa con tanta facilità, ma si impose di trattenersi: un gentiluomo non fa
domande scomode, soprattutto alle fanciulle.
“Eh,
già, la nostra amata Londra è meravigliosa, vero?” annuì, orgoglioso.
“Sì,
beh… la vostra amata Londra lo è“
ribatté Lisa, senza pensare. Il professore incrociò le braccia, confuso.
“Che
affermazione curiosa. Non è inglese?” s’informò.
“No,
non lo sono. Io sono italiana” rispose lei.
“Davvero? Sa che non me n’ero accorto? Ha un accento perfetto”
si congratulò.
“Grazie, ho studiato l’inglese con molto impegno. Ho sempre
desiderato venire a stare qua” spiegò, guardandolo con un sorriso.
“Capisco” concluse Layton.
Finirono di bere il tè in silenzio, senza sentirsi
imbarazzati.
“Si è
già fatta ora di pranzo! Dovremmo andare a mangiare qualcosa, non pensa?”
propose il professore, alzandosi dalla poltrona.
“Mi
spiace, ma devo tornare a casa per pranzo” rifiutò Lisa.
“Posso
chiederle come mai? Sempre se non sono indiscreto” domandò. La ragazza esitò e
distolse lo sguardo, poi fece spallucce.
“Semplicemente non posso permettermi di pranzare fuori” rispose
semplicemente.
“Se è
un problema posso offrire io” si offrì l’uomo. Lei arrossì e scosse velocemente
la testa.
“Non
le permetterei mai di fare una cosa del genere, professore, ma la ringrazio. Ora
mi scusi, devo andare. Ci vediamo nel pomeriggio” lo salutò.
Una
volta fuori dall’ufficio controllò l’orologio: rischiava di arrivare in ritardo
e non fare in tempo a rispondere alla telefonata. Si mise a correre, col cuore
in gola.
Layton
era sul divano di casa sua che leggeva un libro. Era notte fonda e non riusciva
a dormire. Di nuovo. Così aveva preso uno dei suoi gialli e si era messo a
sfogliarlo, sperando di farsi venire almeno un po’ di sonno, mentre invece
riuscì ad avere l’effetto completamente inverso: la sua mente si svegliò più che
mai e iniziò a ragionare su quella mattina e sullo strano comportamento di Lisa.
In realtà in quei due giorni di lavoro l’aveva un po’ studiata e aveva capito
molto poco della sua vita: era una ragazza riservata e piuttosto timida, e
arrossiva spesso; balbettava quando si trovava in imbarazzo, anche se il
professore aveva l’idea che fosse solo perché aveva paura a dire qualcosa di
sbagliato; nonostante fosse piuttosto imbranata, era una ragazza sveglia e
intelligente, che aveva subito capito quali fossero i suoi compiti e cosa
dovesse fare per aiutarlo nel suo lavoro.
Comunque, oltre alle cose evidenti, c’era sicuramente
dell’altro. Quella mattina il fatto che gli avesse strappato di mano il foglio
rosa con tanta velocità e forza lo aveva lasciato perplesso. Era stato lì che il
suo “famoso sesto senso” si era attivato ed aveva capito che c’era molto di più
di ciò che appariva dietro alla piccola Lisa Simon. Forse, dopo un anno, era
finalmente arrivato un altro caso per Hershel Layton. Sorrise divertito: una
sfida era giusto quello di cui aveva bisogno in quel momento.
Per
tutta la settimana successiva la ragazza fu abbastanza tranquilla. Svolgeva il
suo lavoro con precisione e attenzione, e lui era convinto che le piacesse stare
lì. Anche se era sempre piuttosto imbranata e nervosa, si vedeva che ci metteva
tutta sé stessa per fare meglio che poteva.
Il
venerdì sera, quando uscirono dall’università per il finesettimana, Lisa sospirò
sollevata.
“La
vedo piuttosto provata, signorina Simon” commentò.
“Sono
solo stanca. Non sono abituata particolarmente ai ritmi lavorativi, questa è la
prima volta in vita mia che ho un lavoro serio” spiegò imbarazzata.
“Capisco. Che ne dice di venire con me a prendere una bella
tazza di tè in un bar? Mi interesserebbe conoscere le sue impressioni sulla vita
come mia assistente. Sempre se non la disturba” le propose gentilmente. Lisa
rimase incredula, a bocca spalancata. Il suo cervello si dimenticò perfino di
farla arrossire da quanto era stupita.
“Certo. Chi altri, sennò? Allora, le va?” domandò di nuovo. Lei
annuì in trance e seguì il professore in metropolitana.
“Il
posto non è molto lontano. Non ti dispiace se prendiamo il treno, vero?” si
preoccupò di domandarle. Lisa si affrettò a scuotere la testa.
“Si
figuri” rispose.
In
verità lei, se possibile, preferiva evitare la metropolitana: piccola com’era e
sempre a testa bassa, ogni volta veniva schiacciata e spintonata dalle persone
che non la notavano, così che tornava a casa con fatica e sempre dolorante. Però
non se la sentiva di dire di no al professore, soprattutto vista la sua
gentilezza e vista la sua inaspettata felicità di fronte a una tale
proposta.
Così,
lo seguì senza dire nulla, cercando di nascondere il suo malessere nello stare
là sotto.
Quando
furono seduti sulle panchine in attesa del treno, Layton incrociò le braccia e
sorrise.
“Allora, signorina Simon, mi dica qualche impressione su questa
settimana di lavoro. Le piace stare in ufficio a farmi da assistente?” indagò.
Lisa annuì.
“Mi
diverte, e posso imparare molto da lei” rispose nervosamente. Si guardava
attorno circospetta, e ogni volta che entrava qualcuno sobbalzava: c’era già
troppa gente in quel posto, e sicuramente ne sarebbe stata soffocata.
“C’è
qualche problema?” domandò il professore, premuroso. La ragazza strinse i pugni
e scosse la testa, anche se dentro di sé avrebbe voluto fuggire di lì prima
possibile.
“Ha un
colorito piuttosto pallido. È sicura di stare bene?” si preoccupò. Le fece
voltare la faccia verso di sé e la controllò accuratamente, facendola
arrossire.
“S-sì,
tutto ok. Mi gira solamente un po’ la testa” rispose con un filo di voce.
“D’accordo, se ne è sicura” acconsentì l’uomo, lasciandola. In
quel momento arrivò il treno, e tutti quelli che erano in attesa si
precipitarono verso le porte. “Ho paura” pensò lei, alzandosi.
Il
professore la precedette, facendosi spazio tra la folla, ma Lisa lo perse subito
di vista e si ritrovò trascinata da tutta quella gente senza sapere come fare.
“Aiuto!” gridò internamente.
La
metropolitana partì con un grande scossone, e questo la portò a sbilanciarsi
indietro. Non aveva qualcosa a cui reggersi, così fece forza sulle gambe per non
cadere, riuscendoci. Sorrise orgogliosa: per una volta non era inciampata.
Questo, però non la faceva uscire di lì. A causa delle curve e delle frenate
improvvise, le persone intorno a lei venivano scosse senza rendersene conto,
così lei si ritrovava in mezzo. Schivò per un pelo una gomitata in una costola e
sentì le lacrime salirle agli occhi. “Non dovevo entrarci, qua dentro!” pensò.
All’improvviso il treno frenò violentemente e un signore che aveva davanti si
sbilanciò paurosamente verso di lei. “Oh, no!” chiuse gli occhi, senza avere la
forza per spostarsi.
“Attenta!” fu strattonata per un braccio e si ritrovò qualche
centimetro più a destra di dov’era prima. Nessuno le era caduto addosso,
fortunatamente.
“Ti
sei fatta male?” le domandò Layton. Sospirò di sollievo e si aggrappò alla sua
camicia.
“No,
sto bene” rispose, sentendosi più sicura. L’uomo sorrise.
“Meglio così. Alla prossima fermata scendiamo, siamo arrivati”
annunciò. Lisa non riuscì a trattenere delle lacrime di gioia.
“Potevi dirmi che la metropolitana ti spaventava. Avremmo preso
l’autobus” disse il professore, una volta che furono davanti a una tazza di tè
caldo. La ragazza tirò su col naso e si asciugò gli occhi.
“Lo
so, m-ma non.. non volevo sembrare più… patetica di quello che già non sono”
spiegò, sentendosi stupida.
“Io
non ti considero patetica” le assicurò l’uomo.
“Anzi,
penso che tu sia una ragazza intelligente e molto capace” ammise sorridendo. Lei
lo guardò piena di riconoscenza, senza sapere cosa ribattere. In quel momento il
peso del compito che le era stato assegnato divenne quasi insostenibile.
“Ecco
a voi la torta di frutta della casa” annunciò la cameriera, sorridente. Era una
ragazza carina, con un lungo vestito color pesca addosso e un grembiule bianco
sopra. Aveva grandi occhi neri e dolci capelli marroni. Sembrava una bambolina e
Lisa rimase estasiata dalla sua semplice bellezza.
“Ciao
Flora! Ti trovo bene!” la salutò il professore. Evidentemente si
conoscevano.
“Salve
professore! Si, qui mi trovo davvero a mio agio, sono tutti così carini con me!
Inoltre, la padrona mi ha dato la possibilità di soggiornare in una stanza a
casa sua, così pago un affitto più basso del dovuto! Mi sento davvero felice”
rispose lei.
“Oh,
ma che sgarbato, perdonatemi! Flora, questa è Lisa, la mia nuova assistente.
Lisa, lei è Flora, una mia vecchia amica” le presentò. Lei tese la mano a Flora,
che la strinse allegramente.
“Molto
piacere, Lisa! Sono felice che il professore abbia una nuova collaboratrice,
dopo che Luke se n’è andato!” disse.
“L-Luke?” chiese confusa.
“Flora” l’ammonì Layton. La cameriera rise divertita e recuperò
il vassoio.
“Scusatemi, ma ho altri clienti da servire. Ci vediamo presto,
professore!” si congedò, salutandoli con la mano e scomparendo nell’altra
sala.
L’uomo
sorrise affettuoso.
“Scusa
la sua esuberanza, ma tutto questo è nuovo per lei. Sai, ha vissuto per
vent’anni in un paese escluso dal mondo, senza mai uscire di lì e senza vedere
nient’altro che la sua casa. Quando è venuta ad abitare da me, qui a Londra, ha
iniziato a vivere di nuovo e ora sta facendo il suo primo lavoro con grande
dedizione e impegno. Sono felice per lei” disse, prendendo un sorso di tè.
“Capisco. E voi come vi siete conosciuti?” chiese
incuriosita.
“Beh,
ero stato chiamato dalla sua… chiamiamola tutrice, che doveva risolvere il
problema dell’eredità lasciata dal padre di Flora, il barone Rehinolds. Non
sapevano quale fosse o dove si trovasse, così mi contattarono per venire a capo
di quel mistero. Là ho scoperto ciò che in realtà si celava dietro a
Sàint-Mystére: il villaggio di Flora altro non era che un grosso teatro pieno di
robot. Dal cuoco alla vecchia signora della locanda erano tutte macchine
costruite per proteggere la giovane erede del barone” spiegò.
“Che
altri non era che Flora” comprese Lisa. Layton sorrise soddisfatto.
“Esattamente. A quel punto davanti a lei si sono aperte due
opzioni: lasciare che il villaggio morisse lentamente recuperando il tesoro dei
Rehinolds oppure andarsene da lì e visitare il mondo”
“E ha
deciso di seguire lei, professore” concluse la ragazza.
“Già.
Ha vissuto con me e con il mio aiutante dell’epoca, ma dopo il nostro ultimo
caso ha deciso che era arrivato il momento di cavarsela da sola, e così adesso
vive qua” disse.
“Che
bella storia. Chissà come deve essere stato frustrante per lei vivere da sola in
quel villaggio pieno di robot” considerò Lisa.
“Io
penso di no. In qualche modo tutti coloro che abitavano nel paese avevano
sviluppato la capacità di amare e si erano presi cura di lei. Li considerava
come parte integrante della sua famiglia, per questo ha deciso di non farli
spegnere” la contraddisse. La ragazza arrossì e abbassò gli occhi.
“Mi
scusi” disse.
“Per
cosa?” sorrise il professore divertito.
“Uhm…
non lo so” rispose lei. Aveva l’abitudine di scusarsi spesso e le era
semplicemente venuto spontaneo.
Rimasero entrambi in silenzio a bere il tè, fin quando fuori non
fu buio.
“Forse
sarebbe meglio se ti riaccompagnassi a casa, Lisa. Un gentiluomo non lascia che
una fanciulla cammini per le strade di Londra da sola” le propose Layton.
“Non
si preoccupi, professore, non importa. Non abito molto lontana, sono solo tre
fermate con l’autobus” minimizzò lei.
“Ti
prego, insisto. Mi sentirei in colpa se ti succedesse qualcosa. In fondo, ho
visto prima come te la cavi con la metropolitana e non vorrei che accadesse
ancora” provò di nuovo lui. La ragazza avrebbe dovuto ascoltare il buonsenso e
negare di aver bisogno della scorta, ma da tanti mesi a quella parte si sentiva
finalmente coccolata…
“Va
bene, se per lei non è un disturbo, accetto volentieri” concesse.
“Mi fa
molto piacere” ammise il professore, sorridendole. E, per la prima volta, Lisa
si rese conto di quanto il suo sorriso fosse bello.
Ogni
tanto il buonsenso andrebbe seguito, questo Lisa lo sapeva. E sapeva anche che,
in una condizione come la sua, era meglio evitare il contatto con persone al di
fuori di tutta la faccenda in cui si era invischiata per proteggere suo
fratello. Nonostante ciò si era portata dietro il professore, pur sapendo che
quella sera doveva arrivare lui per
parlare dei suoi prossimi compiti, e la cosa più assurda era che ne era
felice.
“Alla
fine mi sono dimenticato di chiederle come si trova a lavorare come mia
assistente” si ricordò Layton. Lisa lo guardò, poi sorrise.
“Mi
piace molto. Anche se al momento non posso dire di aver fatto grandi cose, sono
sicura che imparerò molto da quest’esperienza” rispose sinceramente.
“Ne
sono molto felice” ammise l’uomo.
Scesero dall’autobus e in lontananza Lisa vide che lui era in piedi sulla porta di casa che
l’aspettava. Si paralizzò, impaurita , e il professore se ne accorse.
“Qualcosa non va?” le chiese.
“N-no,
ma possiamo salutarci qui” disse. Aveva lo sguardo incollato su di lui e non riusciva a staccarlo, così
anche Layton lo vide.
“C’è
qualcuno che ti spaventa?” dedusse. Non poteva farglielo capire, così scosse la
testa.
“No,
non… non è questo” sorrise e lo guardò.
“Lo
vede quel ragazzo là? È mio fratello” spiegò.
“Davvero?” domandò lui, scettico.
“Sì,
davvero. Non lo aspettavo, così sono solo stupita” affermò cercando di essere
più convincente possibile.
Il
professore sorrise e annuì.
“Allora non ti trattengo oltre. Spero che passerai una bella
serata” le augurò.
“Anche
lei” lo salutò. Lui si voltò e fece per andarsene, mentre Lisa lo guardava andar
via. Poi ci ripensò.
“Ah,
aspetti!” lo richiamò la ragazza.
“Sì?”
“Mi è
venuto in mente solo ora” ammise imbarazzata.
“Dimmi
pure” la incoraggiò, disponibile come sempre. Lei si mise a giocare con una
ciocca di capelli, arrossendo.
“N-nulla, era solo una curiosità, ma… ho notato che mi da del…
del tu e mi chiedevo come mai fosse passato dal lei al tu senza preavviso”
confessò. Sentiva le guance in fiamme e si stava torturando i capelli. Ci furono
dieci secondi di silenzio, in cui sentiva il cuore scoppiare nel petto.
“M-mi
scusi, non volevo essere sgarbata o invadente” disse infine. Sentì la risata del
professore e alzò lievemente lo sguardo.
“Non
lo sei stata affatto, anzi mi fa piacere che tu me l’abbia chiesto” la
tranquillizzò.
“La
risposta alla tua domanda è che semplicemente mi piace avere un rapporto
amichevole con i miei assistenti. Li considero amici e, anche se loro mi danno
del lei a causa del mio titolo di insegnante, preferisco passare al tu prima che
posso” spiegò.
“Però
se ti da fastidio la smetto” aggiunse. Lisa scosse la testa con forza.
“No,
anzi mi fa piacere!” rispose in fretta.
“Meglio così, allora. Passa una buona serata” le augurò,
andandosene davvero stavolta.
Rimase
a vederlo salire sul pullman fin quando non fu sparito all’orizzonte, poi sentì
una mano posarsi sulla sua spalla.
“Ti
aspettavo ore fa. Dov’eri?” le disse una voce gelida. Si sentì riportare alla
realtà in modo brusco e inaspettato e si voltò a guardare il suo
interlocutore.
“Scusami, ho avuto da fare” rispose in un sussurro.
“Ho
notato. Lo sai che non puoi permetterti di sgarrare,vero?” le domandò,
prendendola con forza per il mento e alzandola fino alla sua altezza. Lisa si
mise a tremare.
“L-lo
so! Giuro che non ho detto nulla!” ribatté.
“Sarà
meglio per te che sia vero, altrimenti sai già cosa aspetta tuo fratello.
Allora, hai trovato ciò che cerchiamo?” s’informò.
“Non
ancora, ma ci sono vicina. Gli appunti che ha sparsi nello studio sono piuttosto
confusionali e non mi è molto facile capirci qualcosa, però ammetto che il
lavoro di assistente mi aiuta molto” spiegò.
“Meglio così. Il capo non è molto felice di aspettare, lo sai
benissimo” le ricordò.
!Sì,
lo so molto bene” ammise la ragazza, entrando in casa. Si mise in piedi sulla
porta e lo guardò.
“Ma
come, non mi fai entrare?” domandò sarcastico.
“No,
mi spiace ma sono stanca. Tu hai fatto il tuo lavoro, giusto? Adesso lasciami in
pace” ribatté. Più che una richiesta, suonò come un’implorazione, ma se
funzionava non aveva nessuna importanza: bastava che se ne andasse.
“Mh,
d’accordo, ma ricordati che ti teniamo d’occhio. E non fare più tardi come
l’altro giorno, altrimenti…” lasciò la frase a mezzo e si voltò.
“Ci
vedremo presto, piccola Lisa” la salutò. La ragazza si chiuse a chiave in casa e
aspettò che lui non fosse più fuori
dalla porta, poi si lasciò cadere sul divano. Aiuto. Aveva bisogno di aiuto.
Layton
ricevette una lettera da Luke un paio di giorni dopo.
Sorrise felice e l’aprì: annunciava un suo rientro in
Inghilterra quel sabato. Il professore fu molto contento di questa notizia,
soprattutto perché aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile per venire a capo
della situazione con Lisa. Ormai era certo che nascondesse qualcosa, il
comportamento che aveva avuto quando erano arrivati davanti al suo appartamento
non era di stupore, ma di terrore. Adesso era più sicuro che mai che ci fosse
qualcosa che la spaventava e che quel qualcosa la stava tenendo in pugno, ma non
poteva aiutarla se lei non lo chiedeva di sua spontanea volontà. Non poteva di
certo invadere la sua privacy, giusto? Però era triste nel pensare di non poter
fare qualcosa.
Mise
la lettera in un cassetto e prese la sua tuba marrone. Doveva andare da una
persona.
“Davvero? Luke torna a casa?”
“Vieni
con me a prenderlo al porto, Flora?” le propose. La ragazza lo strinse forte al
collo, riconoscente.
“Certo
che vengo! Non potrei essere più felice di così, Luke mi manca talmente tanto!”
rispose. Layton rise di quella reazione, divertito, e si aggiustò il
cappello.
“Allora è deciso: sabato mattina alle nove veniamo a prenderti e
andiamo al porto” disse. Lei annuì, poi lo fissò incuriosita.
“Veniamo? Non sarà da solo?” domandò.
“Beh,
direi che Lisa dovrà venire con me. Come mia nuova assistente, credo sia giusto
che lo conosca. Inoltre, Emmy era solita seguirmi ovunque, quando mi spostavo,
per cui verrà anche lei” spiegò con la sua solita gentilezza. Flora sorrise.
“Ho
capito, professore. Allora ci vediamo sabato” lo salutò.
Quando
Lisa venne a conoscenza del piano per il finesettimana, sgranò gli occhi.
“Io?
Accompagnare lei e la signorina Flora a prendere un vostro amico? Perché?”
chiese stupita. Layton le sorrise.
“Come
mia assistente avrò bisogno del tuo aiuto. Quando sono insieme a Luke capita
sovente che ci imbattiamo nei misteri e nei casi più disparati, e un cervello in
più è sempre utile. E poi, mi farebbe piacere personalmente se venissi con noi”
rispose. La ragazza sentì il cuore battere forte in petto, poi si voltò per non
far vedere che era arrossita di nuovo e fece finta di versare il tè nelle
tazze.
“V-va
bene, verrò con voi” accettò.
“Bene,
ne sono felice” disse il professore.
Lisa
si sentì un verme: lui la stava trattando con tanto affetto e calore e lei lo
stava spiando. Che persona era?
“Ah,
senti cara, a te piacciono gli enigmi?” le chiese Layton, distogliendola dai
suoi pensieri. Presa alla sprovvista, lo guardò senza capire.
“Enigmi?” ripeté.
“Sì,
enigmi”
“Non…
non saprei, non ne ho mai provati” ammise imbarazzata.
“Ti
andrebbe di provarne uno?” le propose. Lisa annuì, incuriosita.
Il
professore prese un foglio e ci disegnò sopra una serie di simboli:
“Ok, vedi queste forme?” domandò.
“Certo: una emme, un cuore, un otto e… quello è un ombrello?” il
professore rise e scosse la testa.
“Vedi, cara, questi quattro simboli sono un codice. Se guardati
nel verso giusto ti renderai conto di cosa sono realmente. Puoi pensarci tutto
il tempo che vuoi, non c’è fretta” disse, lasciandole il foglio e tornando a
sedersi sulla scrivania.
Lisa si mise a pensare: avevano delle forme strane, certo, ma
familiari. “Mmmh… vediamo… se guardati nel verso giusto capirò ciò che sono”
iniziò a riflettere. Guardati nel modo giusto significava che non erano stati
disegnati per ciò che erano realmente. Quindi doveva cambiare qualcosa nella
loro struttura per far venire fuori la loro natura.
Passarono un paio di minuti, nei quali il silenzio regnò
sovrano.
“Uno, due, tre, quattro” disse infine la ragazza. Il professore
sorrise e alzò gli occhi dai fogli che aveva in mano.
“Come?” chiese. Lisa sorrise felice.
“Sono dei numeri raddoppiati: uno, due, tre e quattro. Ma sono
disegnati in modo sbagliato” notò.
“Ah sì?” domandò lui, divertito.
“Il quattro è stato raddoppiato a sinistra invece che a destra,
vede? È un errore” gli spiegò.
“Ne sei sicura?” la interrogò Layton. Lo guardò.
“Credo… credo di sì” balbettò in risposta.
“In realtà l’ho fatto apposta, cara. Ecco, abituata ai primi tre
numeri la nostra mente è portata a pensare al quarto nello stesso modo,
ingannandoci. Se non guardiamo oltre a ciò che ci appare e non diamo niente per
scontato, allora possiamo risolvere anche l’enigma più difficile, altrimenti
pensiamo che tutto sia un errore e che non vada bene” disse. Lisa annuì
ammirata.
“Ho capito, professore” rispose.
“Comunque ti faccio i miei complimenti: hai capito il trucco
quasi subito. Non tutti ci sono riusciti” la adulò. La ragazza arrossì e abbassò
lo sguardo.
“Era una cosa semplice, non era così difficile” minimizzò.
“Anche se tu lo pensi, non importa. L’importante è riuscire a
risolvere anche il più piccolo enigma. Delle volte le cose più importanti stanno
proprio nelle piccolezze della vita” spiegò, sorridendole. Di nuovo. E di nuovo
a lei venne il batticuore. Questo non andava bene.
“Comunque mi piacciono i suoi enigmi. Se in futuro ne avrà altri
da propormi, sarò felice di risolverli” concluse, tornando a mettere per bene
gli appunti delle lezioni.
“Con vero piacere, Lisa” accettò lui.
La nave attraccò puntuale e loro erano già lì pronti per
accogliere il ritorno di Luke. Flora non stava più nella pelle dall’emozione e
continuava a saltellare per vedere se riusciva a scorgerlo da sopra la
folla.
“Controllati, Flora. Una ragazza non dovrebbe comportarsi così”
la riprese il professore, severo.
“Mi scusi” rispose lei, tornando con i piedi per terra ma
continuando a fremere dall’impazienza. Lisa li guardava dalla macchina,
sentendosi di troppo. Era una gioia di cui non si sentiva partecipe, quella, e
inoltre non riusciva a fare altro che pensare al foglio che aveva in casa e che
aveva rubato dallo studio di Layton. Era un’idiota, non poteva considerarsi
altrimenti, ma che altro poteva fare? Sentì di nuovo le lacrime salirle agli
occhi e si premette i palmi forte sulle palpebre. “Non posso farcela” pensò
triste.
“Eccolo là!” esclamò Flora in quel momento. Si voltò anche lei a
guardare il punto verso cui la ragazza stava indicando.
“Luke! Siamo qua!” gridò, sbracciandosi. Un ragazzino con un
cappello celeste in testa e un maglione dello stesso colore si voltò e sorrise
felice quando li vide. Corse loro incontro e si gettò tra le braccia del
professore, stringendolo forte.
“Professore, finalmente!” esclamò tra le lacrime.
“Ahah, Luke bentornato” lo accolse lui, ridendo. Quando si
staccò, Flora lo abbracciò a sua volta, felice.
“Sei qui!” gli disse felice. Sembravano una famiglia felice e
Lisa si sentì anche peggio: lei non aveva più una famiglia felice,
purtroppo.
Li osservò in silenzio, cercando di capire come mai Layton
l’avesse voluta lì.
“E tu chi sei?” le domandò una voce simpatica. Sobbalzò, presa
alla sprovvista, e vide che il ragazzino vestito in blu di prima la stava
osservando dal finestrino.
“Luke, ti sei dimenticato tutto ciò che ti ho insegnato? Un
gentiluomo deve…”
“..Essere gentile con le donne, lo so. Mi scusi professore”
disse ridendo imbarazzato. Si voltò di nuovo verso Lisa.
“Ehm, perdonami anche tu. Cioè, lei. Insomma…” il ragazzo
balbettò frasi senza senso nel tentativo di rimediare, ma si perse dopo un paio
di parole e arrossì.
“Oh, uffa!” si lamentò. Flora e Layton risero e anche Lisa fu
contagiata dalla sua allegria, così che si unì alla risata.
“Puoi darmi del tu, se vuoi. Io mi chiamo Lisa, comunque, e tu?”
si presentò.
“Io sono Luke e sono l’apprendista del professore!” rispose lui,
orgoglioso.
“Piacere, Luke” disse lei.
“Luke, questa è la mia nuova assistente al posto tuo e di Emmy.
Sii gentile con lei, mi raccomando” lo ragguagliò.
“Non si preoccupi, sarò un perfetto gentiluomo!” promise.
“Bene, che ne dite di andare a mangiare? Io inizio ad avere
fame” propose Flora, salendo vicino a Lisa sul sedile posteriore.
“Penso che sia una buona idea” annuì la ragazza, sentendo lo
stomaco brontolare.
“D’accordo, allora andiamo”
“E poi ho conosciuto tanti nuovi ragazzi, ma nessuno di loro era
al mio livello di preparazione per quanto riguarda la risoluzione degli enigmi.
Tutto merito suo, professore”
Il ragazzino non aveva fatto altro che parlare, parlare e
parlare ininterrottamente da quando si erano seduti, facendo ridere tutti
quanti.
Aveva raccontato loro della sua nuova casa e di come, per i
primi tempi, non aveva fatto altro che parlare a tutti delle fantastiche
avventure di Hershel Layton e del fatto che lui fosse il suo apprendista numero
uno. Poi aveva detto del nuovo lavoro di suo padre e di come mancasse a tutti la
loro vecchia cittadina, Misthallery. Così avevano deciso di rientrare in
Inghilterra in pianta stabile.
“Papà ha detto che non ce ne andremo più di qui” concluse
soddisfatto.
“Davvero rimarrai qui con noi?” gli chiese Flora.
“Sì!” rispose entusiasta.
“Che bello! Potremo stare di nuovo insieme e… oh, che sbadata,
tu non sai l’ultima novità” disse lei, dandosi un colpo sulla testa.
“Che novità?”
“Ho trovato un nuovo lavoro! Adesso non abito più con il
professore, ho un appartamento mio in centro” gli spiegò orgogliosa.
“Che? Davvero? Che bello!” esclamò Luke.
Lisa, in tutto quel tempo, se ne era rimasta in silenzio da una
parte e aveva sorriso pensando a quanto fosse divertente stare con tutti loro.
Per un po’ il senso di colpa era sparito senza problemi.
“Tu, invece, come ti trovi con noi?” chiese il ragazzo.
Distratta, lei non rispose.
“Ehi, va tutto bene?” s’informò, passandole una mano davanti agli
occhi.
“Come? Parlavi con me?” sobbalzò. Lui rise.
“Certo, con chi altri?” rispose. Lei arrossì e abbassò lo
sguardo sulle sue gambe.
“Scusami, non ti stavo ascoltando. Cosa mi hai chiesto?”
“Volevo sapere se ti trovi bene col professore. Essere la sua
assistente è un privilegio mica da tutti” spiegò Luke. Lo sapeva. Lo sapeva
benissimo e ci stava male ogni volta che ci pensava.
“Io… i-io… sì, mi trovo bene all’università, è divertente… e…”
le parole le morirono in bocca, soffocate dai singhiozzi che iniziarono a
scuoterla. Luke si spaventò.
“Scusami, non pensavo di renderti triste! Non rispondere, se non
vuoi!” le disse, cercando di rimediare.
“N-no, non è questo… è solo che… v-voi siete tutti così gentili
con me, mentre io… non…”
"Shh, cara non piangere. Non ti preoccupare se non ti
senti ancora a tuo agio, prima o poi riuscirai a fare l’abitudine alla tua nuova
vita. Ti aiuteremo noi" la tranquillizzò Layton, mettendole una mano
sulla spalla. “Ti aiuteremo noi” come avrebbe voluto che quelle parole fossero
vere.
“S-scusatemi, non mi sento troppo bene. Forse è meglio che io
torni a casa prima di rovinarvi la giornata” disse alzandosi. Scappò via
piangendo, correndo più veloce che poteva.
Non era vero che non si era integrata, anzi tutto il contrario:
con loro, soprattutto col professore, si sentiva talmente a suo agio da non
rendersi conto della situazione in cui si trovava. E questo non andava bene, non
poteva permetterselo. Doveva stare allerta, rimanere vigile e trovare quella
maledetta spilla per restituirla a loro. Per questo era stata mandata lì,
in fin dei conti.
Si rifugiò sotto un porticato, incapace di proseguire, e si
sedette con la schiena appoggiata al muro.
“Scusatemi, scusatemi tutti” disse ad alta voce. Era colpa sua
ed era giusto che pagasse per i suoi errori, in fin dei conti.
Da
piccola le piaceva tantissimo giocare nelle grotte sul mare che aveva vicino
casa. Si sentiva un’esploratrice come i protagonisti dei suoi libri preferiti e
si avventurava al buio fin quando non iniziava a sentir fame. A quel punto
rientrava in casa e sua madre al sgridava sempre perché era tutta sporca e si
faceva male. “Prima o poi rischi di incappare in qualche guaio. Come faremmo,
poi, io e tuo padre?” le diceva, ma a lei non importava. Le bastava potersi
immedesimare in quegli eroi solo per qualche ora. E poi, che problemi avrebbe
mai potuto trovare? Le grotte erano in piano e piuttosto luminose. Escludendo
qualche graffio sulle ginocchia, non c’era possibilità che succedesse altro. O
almeno, così credeva.
Quando
era più grande, a quindici anni, ogni tanto continuava ad andare a fare qualche
escursione con suo fratello maggiore. Anche a lui erano sempre piaciute quelle
caverne e gli faceva piacere accompagnarla. Certo, non cercavano più l’avventura
come quando avevano otto anni, però si divertivano lo
stesso.
Quella
sera avevano deciso di fare un picnic sotto le stelle per poi rientrare nella
grotta dopo cena.
“Sicura
di non avere troppa paura, sorellina?” l’aveva presa in giro
lui.
“Mpf,
figurati. Sei tu ad essere terrorizzato dal buio, Logan” aveva risposto lei,
facendogli la linguaccia.
“Ehi, lo
senti anche tu?” aveva poi chiesto suo fratello, facendole segno di stare
zitta.
“Cosa?”
dalla caverna venivano dei suoni strani, quasi come dei canti messali. Erano
inquietanti e alquanto lugubri.
“Andiamo
a vedere!” aveva sussurrato Lisa, emozionata. Si era alzata ed era corsa
all’interno prima che lui potesse fermarla, e l’unica cosa che aveva potuto fare
fu seguirla.
“Non
accendere la torcia. Se fossero dei malintenzionati e ci vedessero, finiremmo in
un bel guaio” le aveva consigliato.
“Giusto,
hai ragione” aveva annuito, riponendo la lampada nello zaino.
Con
calma avevano seguito i suoni fino ad arrivare nella cavità più ampia della
grotta, una stanza circolare con le pareti levigate dal mare. L’alta marea aveva
lavorato per secoli sulla roccia, rendendola liscia e splendente, di colore blu,
come il cielo illuminato dalla luna. Era un colore piuttosto stravagante per
l’interno di una grotta, tutto sommato, e Lisa sapeva anche che c’erano delle
leggende su quel luogo, ma non se ne era mai curata. In fin dei conti, lei
faceva solo l’esploratrice, mica l’archeologa.
“Vedo
delle luci là in fondo” aveva sussurrato, avvicinandosi con
cautela…
“Eccoti qua” disse una voce sopra di lei.
Sobbalzò e alzò gli occhi: Layton la guardava con un sorriso gentile e
affettuoso.
“Tutto a posto? Sei fuggita via come un fulmine
e ci siamo preoccupati” le chiese, inginocchiandosi alla sua altezza. Si asciugò
la faccia e cercò di sembrare decente, anche se non le riuscì molto
bene.
“Sì, è tutto a posto. Non volevo creare
disturbo a nessuno” rispose mesta.
“Come mai te ne sei andata così bruscamente?
Abbiamo detto per caso qualcosa che non andava?” si preoccupò l’uomo. Perché
doveva essere così tremendamente gentile con lei? Perché non poteva essere come
tutti gli altri, freddo e indifferente? Perché di mostrava tanto dolce? Stava
compromettendo tutto, stava facendo un disastro per colpa sua!
“N-no, voi non avete fatto niente… siete stati
fin troppo carini con me” disse tristemente.
“Non capisco il problema, quindi. Cosa c’è che
non va? Posso aiutarti in qualche modo?” le chiese. Lisa perse le staffe e lo
guardò arrabbiata.
“Perché deve fare il gentile? Perché non mi
ignora semplicemente?” gli gridò contro. Si mise le mani sul viso e si mise a
singhiozzare.
“Perché non mi odiate tutti, come faccio io?”
sussurrò disperata.
“Lisa…” la chiamò Layton. Lei non disse nulla,
rimase ferma in quella posizione, con le ginocchia strette al petto e la faccia
nascosta dalle mani.
“La prego, mi lasci sola. Non voglio che vi
avviciniate di nuovo a me, nessuno di voi” disse.
“Sai che non posso farlo. Un gentiluomo non
abbandona mai qualcuno in difficoltà”
“Ma io non sono qualcuno in difficoltà. Io sono
solo… io. E voi, se ci tenete alla vostra salvezza, dovete starmi lontani” gli
suggerì. Si scoprì lentamente gli occhi.
“Lisa, c’entra qualcosa con quel ragazzo che
l’altro giorno ti aspettava davanti casa?” indagò il professore. Lei si mise a
tremare, poi si rese conto che era sabato.
“Oh mio Dio, che ore sono?” domandò
impaurita.
“Sono le due. Perché?”
“No! No, no, no!” esclamò. Si alzò e se ne andò
di nuovo, salendo sul primo autobus che passava, per tornare a casa.
Layton la guardò scomparire e strinse le labbra
in segno di frustrazione: stava succedendo qualcosa che nemmeno lui riusciva
ancora a capire. Chi era veramente Lisa Simon?
“Eccomi… s-sono qui” rispose al telefono. Aveva
il fiatone e le gambe che tremavano, ma era riuscita ad arrivare nel tempo
limite che le avevano dato per rispondere.
“Ormai
quasi non ci speravo più. Credevo che avremmo dovuto cercarti come l’altra
volta” disse l’uomo all’altro capo del
telefono.
“Scusami, io ero… a pranzo fuori con il
professore e i suoi amici. Ho pensato che, magari, inserendomi nel loro
giro…”
“Tu non
devi pensare! Devi solo agire ed eseguire il compito che ti è stato assegnato.
Hai trovato ciò che cerchiamo?” quella domanda la
faceva sempre stare male, ma stavolta il peso dell’appunto trovato nello studio
di Layton pesò sul suo stomaco, facendole venire la nausea.
“Ho… ho un indizio sulla spilla” rispose a
malincuore.
“Non ci
serve un indizio, noi abbiamo bisogno della spilla vera e propria! Trovala! Hai
solo un mese di tempo, oltre lo scadere di quel termine tuo fratello farà una
brutta fine”
“NO! Aspetta!” gridò alla cornetta, ma in
risposta ebbe solo il suono della linea chiusa. “Tuo fratello farà una brutta
fine”… Logan…
Prese il foglio con sopra l’appunto e lo
lesse.
“La
leggenda dice che questo cimelio, la Spilla di Venere, sia un dono del padre
Nettuno. Quando nacque la Dea Venere dalla spuma di mare, Nettuno decise di
regalarle questa spilla in segno di bellezza e prosperità. All’interno della
spilla si narra siano conservate le gocce di spuma di mare rimaste sul corpo
della giovane Dea appena nata. Da esse può essere ricreata la vita e anche la
ferita più profonda può essere rimarginata. Alcune fonti dicono che all’epoca
della caccia alle streghe una setta, chiama L’occhio di Venere, recuperò il
gioiello per nasconderlo in un posto segreto lontano da tutti, ma esso fu perso
durante una perquisizione della Curia, alla ricerca di eretici. L’occhio di
Venere si sciolse: i suoi membri furono giustiziati per crimini contro la chiesa
e culto di dei pagani, e la spilla non fu mai
ritrovata.
Un paio
di secoli dopo, alcune notizie del cimelio riappaiono in tavolette di pietra
ritrovate nel mar Caspio. Comunque, la leggenda della Spilla di Venere narra che
chiunque ne venga in possesso possa manovrare sia la vita che la morte, potendo
restituire l’una e potendo infliggere l’altra”
“Dannazione, non dice niente sulla sua
ubicazione!” gridò Lisa, gettando il foglio a terra, frustrata.
“Non ho in mano nulla che possa aiutarmi con
questa stupida spilla! Cosa posso fare?!” si chiese. Stava urlando, ma non se ne
curava più di tanto.
“Accidenti a me, a quella maledetta grotta, a
tutti loro e anche a questa spilla!” disse. Sentì la testa girarle in maniera
vorticosa e si sdraiò sul divano con un braccio sugli occhi a piangere. Sarebbe
dovuta tornare all’Università, il lunedì mattina, e avrebbe dovuto vederlo di
nuovo, parlarci, conviverci… e dopo la figura fatta poco prima quell’idea non
faceva che farla stare peggio. Perché doveva essere sempre così imbranata?
Perché doveva sempre combinare dei pasticci? “Prima o poi rischi di incappare in qualche
guaio. Come faremmo, poi, io e tuo padre?” le parole di sua madre le
risuonarono in testa.
“Mamma, papà… scusatemi” sussurrò. Non avrebbe
mai voluto che per colpa sua tutti finissero in quella situazione
assurda.
Si asciugò le lacrime e tirò su col naso:
doveva combattere, non poteva tirarsi indietro.
“Professore, che succede? La vedo pensieroso”
Luke lo richiamò alla realtà con la sua voce allegra. Lui lo guardò e scosse la
testa.
“Mh? Scusami, Luke, stavo solo riflettendo su
una cosa” rispose. Il ragazzino sorrise.
“Scommetto che stava pensando a Lisa, vero?”
dedusse.
“Indovinato. Ci sono delle cose che non riesco
a chiarire, ma non saprei dire cosa di preciso. Tu che impressione hai avuto di
lei?” gli chiese. Lui ci pensò un attimo.
“Mi sembra una ragazza simpatica. Magari un po’
timida, ma piuttosto carina. Anche se, ora che ci penso bene…” lasciò la frase a
metà e si mise a riflettere. Layton non disse nulla, ma sorrise: in fin dei
conti, anche dopo un anno, era sempre lo stesso.
“Forse c’è qualcosa che la disturba. Non saprei
spiegarlo, ma il modo in cui è fuggita via prima mi ha messo un po’ in
agitazione” disse infine. L’uomo annuì serio.
“Anche io la penso come te. Sono certo che la
signorina Simon nasconda qualcosa a tutti noi”
“E lei non ha ancora fatto niente, professore?”
s’infiammò subito Luke.
“Che cosa ti ho sempre detto? Un gentiluomo non
forza le cose. Non posso parlarle se è lei a non voler parlare con me, la
costringerei e questa è una cosa che non si fa” lo riprese. Il ragazzino chinò
il capo, mortificato.
“Ha ragione, mi scusi” rispose.
“Comunque sono certo che questa storia celi
molto più segreti di quanti possiamo immaginare, Luke. A proposito di segreti,
nella tua lettera mi parlavi di qualcosa di importante. Cos’è?” si
ricordò.
“Ah, giusto! Guardi cosa ho trovato
nell’archivio cittadino poco prima del mio ritorno” disse, passandogli un
foglio. C’erano sopra delle lettere alternate a numeri che componeva un codice
preciso.
“Cos’è?”
“Non lo so, per questo l’ho portato a lei. Pare
che si tratti dell’ubicazione di un qualche manufatto particolare. La conchiglia di Venere… uhm, no,
aspetti… forse La spilla di Nettuno,
o…”
“La
Spilla di Venere?!” domandò Layton, stupito. Il ragazzino si
illuminò.
“Sì, esatto! Lo conosce?” si stupì. Il
professore s’incupì e annuì.
“Sì. Si tratta di una vecchia storia che
pensavo vecchia e sepolta. Come mai ti sei interessato a questo manufatto?” gli
chiese. Nel frattempo si era alzato dalla scrivania e aveva iniziato a camminare
in su e giù per lo studio, con una mano sul mento, riflettendo.
“Mentre eravamo nella nuova città si sono
verificate un paio di sparizioni. Secondo un signore che abitava là, erano
ricollegabili a questa spilla, così mi sono documentato un po’ ed ho trovato
questo foglio. Purtroppo, però, non sono riuscito a tradurlo” rispose
mesto.
Layton studiò per qualche minuto l’appunto, poi
sorrise.
“Non era poi così difficile, Luke. Anche se ciò
che c’è scritto mi fa pensare molto a una cosa, ma per ora non te ne parlerò.
Intanto che ne dici di bere una bella tazza di tè e poi andare a dormire? Si è
fatto tardi e tu sarai stanco” gli propose. Il ragazzo scosse la
testa.
“Affatto! Sono più sveglio che mai! La prego,
mi dica qualcosa!” ribatté. Il professore rise.
“Non aggiungiamo altra carne al fuoco. Su,
forza: andiamo a letto” ripeté. Sconsolato, l’altro annuì.
“Va bene, non dirò altro” accettò.
Quando si fu chiuso nella sua stanza, l’uomo
perse il suo sorriso e si rabbuiò. Si mise a cercare una vecchia lettera di
quando era solo uno studente. Era sicuro di averla tra gli appunti
dell’Università, l’aveva vista per caso un paio di giorni prima. “Che strano,
qua non c’è” si disse. Eppure era convinto di averla portata a casa con tutto il
resto delle lezioni. Poi un pensiero orrendo si affacciò alla sua testa e
sbiancò. Non era possibile che fosse stata Lisa… anche se si era occupata
proprio lei di rimettere a posto tutta quella montagna di fogli. L’aveva rubato
lei? “Se fosse così,allora siamo
tutti nei guai” pensò. Chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi, ma l’ansia
che lo aveva attanagliato non sembrava voler diminuire.
Lisa sentiva il cuore battere forte, così tanto da
rimbombarle nelle orecchie e farle venire il mal di testa. Mise una mano sulla
maniglia della porta e deglutì. “Forza, dobbiamo entrare!” si
disse.
“Buongiorno” la salutò il professore da dietro.
Sobbalzò spaventata.
“Oh, B-buongiorno…” ricambiò, arrossendo. Non
riusciva nemmeno a sostenere il suo sguardo, tanto era
nervosa.
“Stamani ti senti meglio?” le chiese, entrando nel
suo ufficio. Lei annuì, in silenzio.
“Bene, questo mi fa piacere. Mi ero preoccupato,
sabato, dopo che ti avevo vista fuggire in quel modo”
ammise.
“M-mi scusi, non mi sono comportata affatto bene
con… con tutti voi, in realtà. Volevo… volevo chiedere scusa anche a Luke e
Flora se… se possibile” disse imbarazzata. Layton sorrise.
“Sei fortunata: più tardi verranno qua a farmi
visita. In realtà, Luke voleva venire con me anche stamattina, ma suo padre l’ha
chiamato per dirgli di andare un attimo a casa e quindi non mi ha potuto
seguire” raccontò.
“O-ok”
Lisa si mise a raccogliere i vari fogli che
servivano quel giorno al professore, cercando di non pensare alla
spilla.
“Senti, posso chiederti un favore?” le chiese
Layton.
“Certo, professore. Di cosa ha
bisogno?”
“Ce la fai a decifrare questo messaggio per me?”
disse, passandole il foglio che gli aveva dato il ragazzo.
“Che cos’è?” s’informò la ragazza, incuriosita.
L’uomo si alzò e si mise a passeggiare per la stanza, con una mano sul
mento.
“Sono quasi certo che si tratti di un indizio
lasciatoci per ritrovare un gioiello antico. Me l’ha portato Luke dal suo
viaggio, perché nel nuovo paese dove ha vissuto ci sono state delle sparizioni
ultimamente. Pare che alcuni studiosi di filosofia della Harvard University
siano stati rapiti. I loro studi erano incentrati sull’antica Grecia e sulla
mitologia romana. Hai mai sentito parlare della Spilla di Venere?” domandò. Lei sbiancò
visibilmente, e dentro di sé il professore esultò: aveva avuto
ragione.
“N-no, mai” negò.
“Si tratta di un cimelio antichissimo. La leggenda
dice che sia un dono di Nettuno alla neonata Venere. Al suo interno si celano le
gocce di acqua che la
Dea aveva sul corpo subito dopo la sua nascita e si narra che
possano rigenerare la vita” le spiegò, ma Lisa tutto questo lo sapeva
bene.
“Ciò che non si sente mai nominare nei libri, quei
pochi che riportano delle informazioni su questo gioiello, almeno, è la
maledizione che sembra sia stata scagliata su chiunque ne entri in possesso”
aggiunse. Quella frase attirò l’attenzione della ragazza, che lo
guardò.
“Con il passare del tempo quel cimelio è stato
rubato più e più volte, sia per motivi materiali che per motivi spirituali.
Quello che avrebbe dovuto essere un dono di prosperità e fortuna, era diventato
un motivo di problemi e di lotte tra le persone. Per questo un sacerdote, uno
dei pochi sacerdoti pagani dell’epoca, nel medioevo scagliò una maledizione
sulla spilla: chiunque ne fosse entrato in possesso avrebbe sì potuto decidere
di restituire la vita, ma solo pagandola con la propria. Secondo alcune fonti,
la maledizione si è avverata negli anni successivi; secondo altre, la spilla non
è mai stata magica e quindi non aveva senso la maledizione del sacerdote;
infine, altre ancora dicono che a causa della minaccia di quell’uomo la spilla
sia stata nascosta da qualche parte, per paura che le sue parole fossero vere e
portassero solo disgrazie nel mondo” le spiegò. Lisa deglutì, incapace di
parlare.
“E… e lei che ne… pensa, professore?” chiese
infine, con un filo di voce. Lui ci pensò, poi la guardò un
attimo.
“Io sono convinto che non ci sia nessuna
maledizione, su quella spilla, e che anche la leggenda delle gocce che
porterebbero la vita sia completamente inventata” rispose. Non aggiunse del suo
incontro con il gioiello, né della perdita del suo amico, ma era meglio non
farlo al momento.
“Capisco” disse la ragazza. Guardò il foglio che
aveva in mano.
“E questo?” domandò poi.
“Nell’appunto che hai in mano, e che è stato
ritrovato da Luke in una biblioteca pubblica, c’è scritta l’ubicazione della
spilla. Puoi decifrarlo per me?” la invitò gentilmente.
Le sue mani tremarono leggermente, poi
annuì.
“Posso provarci” rispose.
Guardò il foglio: c’erano delle lettere,
intervallate da alcuni numeri.
Le venne il mal di testa solo a dare un’occhiata a
quei simboli. Non ci capiva niente, assolutamente.
“Professore, è sicuro che sia un indizio? Io vedo
solo tanti numeri messi a caso, intervallati dalle lettere” osservò. Layton
sorrise e si avvicinò a lei.
“Guarda le cose con una prospettiva diversa” le
suggerì. Si mise alle sue spalle e poi le allungò le braccia in avanti,
circondandola con le proprie. La ragazza arrossì e sentì il fiato mozzarsi in
gola.
“Ecco, adesso vedi il trucco?” le domandò. Avrebbe
voluto rispondere che no, non vedeva nulla perché aveva la testa annebbiata dai
battiti del suo cuore, ma si contenne e strinse gli occhi per concentrarsi
meglio. “Trova il trucco” si disse. E poi, come se fossero colorate in modo
diverso, le lettere si staccarono dal foglio e si unirono davanti a lei,
formando parole ben precise, una frase sensata e intera. Cercò di focalizzarla
ancora meglio, escludendo i numeri da quella serie.
“Sulle… sulle coste di madre… patria”> iniziò a
sillabare. Prese un foglio e ci scrisse sopra il messaggio. Alla fine guardò la
frase.
“Sulle coste di madre patria, nelle grotte
nascoste dal mare, si trova la
Spilla di Venere” lesse. Layton si staccò da lei e sorrise
compiaciuto.
“Brava, ti faccio i miei piùsentiti complimenti” si congratulò. Lisa
lo guardò e sorrise a sua volta.
“Grazie!” rispose. Quando sorrideva era
carina.
Si fissarono per un momento, poi la ragazza si
riscosse.
“Comunque non significa nulla questa frase”
commentò.
“Ne sei sicura?” le chiese incrociando le
braccia.
“Sì. Non da un luogo preciso. Madre patria può
significare qualsiasi cosa” spiegò. Il professore si mise a camminare per lo
studio. Lisa aveva notato che era un suo comportamento frequente, come quello di
incrociare le braccia e portare una mano sotto al mento per
pensare.
“Io non penso. Sono convinto che chi ha scritto
questo appunto ci volesse indicare un luogo preciso. Pensiamoci un attimo, ti
va?” le propose. La ragazza si sedette sul divano rosso e lo ascoltò,
interessata.
“Sappiamo che la Spilla di Venere richiama la mitologia
romana, giusto?”
“Perché non quella greca?”
“Nella mitologia greca Venere si chiamava
Afrodite, la Dea
della bellezza” le spiegò.
“Ha ragione, è vero” ammise
lei.
“Quindi possiamo dedurne che parliamo dell’antica
Roma. Ora, la madre patria per Venere può essere solo un posto” le disse. A quel
punto, Lisa iniziò a capire. E si sentì male.
“L’Italia” sussurrò. Casa
sua.
“Esattamente. Le coste di madre patria sono
evidentemente un richiamo alle spiagge italiane, con molta probabilità quelle
situate nei pressi di Roma” spiegò. La ragazza avrebbe voluto
piangere.
“E… e quindi?” chiese
infine.
“Luke mi ha chiesto una mano per venire a capo di
questo mistero, perché suo padre era amico dei filosofi scomparsi. Adesso
dobbiamo solo decidere una data” rispose.
“U-una data?” squittì lei. Nella sua mente già
sapeva la risposta, purtroppo, ma non voleva ammetterla.
“Dobbiamo andare in Italia per aiutare quelle
persone. Come mia assistente, tu devi venire con noi” spiegò. Lisa chiuse gli
occhi per fermare le lacrime, tentata di fermarsi un secondo. Ma il suo respiro
affannoso fece sì che la testa le girasse. Riuscì a risvegliarsi solo un paio
d’ore dopo.
“Papà… mamma… PAPA’! MAMMA!” gridò. Si svegliò col
respiro affannoso e il cuore che batteva a mille, senza sapere cosa fosse
successo o dove si trovasse.
“Ferma, non muoverti” le sussurrò la voce di
Layton, dolcemente. Si voltò a guardarlo.
“P-professore… dove sono?” gli chiese,
disorientata.
“Ti ho portata a casa. Ti sei sentita male nel mio
studio e ho pensato fosse meglio riportarti nel tuo appartamento” le spiegò. Le
mise una pezza bagnata sulla fronte e poi si sedette su una
sedia.
“Siamo… siamo a casa mia? Come mi ci ha portata
qua?” domandò. La voce le tremava ancora un po’.
“Ma che domande! Con la Laytonmobile!” rise lui, in
risposta. A Lisa venne da ridere, ma si trattenne.
“Ho capito”
Rimasero in silenzio e la ragazza iniziò a
sentirsi un po’ in imbarazzo: erano soli, nel suo appartamento, nella sua camera
da letto.
“Quanto tempo è passato?”
“Da cosa, cara?”
“Da quando sono svenuta”
“Non più di un paio d’ore, in verità. Appena Luke
e Flora sono arrivati nel mio studio mi sono fatto aiutare a trasportarti sulla
macchina, così ti ho potuta portare qui. In realtà, il fatto che tu sia piccola
ci ha aiutati molto” spiegò.
Lei rimase zitta, arrossendo: si era ricordata il
motivo per il quale era svenuta. E non le faceva piacere.
“Posso farti una domanda?” disse Layton. Lei
annuì.
“Tu hai detto di essere italiana, giusto? Da dove
vieni?” indagò.
“Io vengo dal mare. Abitavo vicino Roma, in un
paesino sperduto sulle coste tirreniche”
“Lisa, io non ti ho chiesto per caso di venire con
me in Italia” ammise infine. Si alzò e si mise di nuovo a girare per la stanza,
come faceva sempre.
“I-in che senso?” balbettò
lei.
“Il punto è che io conoscevo benissimo
la Spilla di
Venere anche prima che me ne parlasse Luke. Avevo degli appunti, in ufficio, ma
devo averli persi” iniziò. La ragazza deglutì: erano quelli che aveva lei,
nascosti nel cassetto dei maglioni.
“E quindi?” lo spronò.
“Devi sapere che molti anni fa feci un viaggio in
Italia, proprio dalle parti di Roma. Un mio vecchio amico viveva là e mi aveva
chiamato per chiedermi aiuto su una questione delicata. Incuriosito, mi recai là
per vedere se c’era qualcosa che potevo fare. Quando arrivai, lui mi accolse con
tanto calore e mi portò a casa sua, dove sua moglie e i suoi figli ci stavano
aspettando. Una volta che i bambini furono fuori portata di orecchio, il suo
sguardo s’incupì. Mi disse di essere incappato in un problema mille volte più
grande di ciò che avrebbe mai potuto affrontare e di non sapere come fare per
venirne fuori” ricordò. Aveva lo sguardo concentrato,
perso nel vuoto.
“Durante un’escursione, lui e sua moglie si erano
imbattuti in una setta, L’Occhio di
Venere, e avevano visto cose che non avrebbero dovuto vedere: i membri di
questo gruppo avevano rapito un uomo per costringerlo a trovare la Spilla di Venere. Quel nome
non era nuovo al mio amico, ma inizialmente non ci fece caso. Una volta tornato
a casa, gli venne in mente: suo padre, un vecchio minatore, aveva parlato a lui
e al fratello del gioiello quando erano piccoli. A quel punto, l’unica cosa che
poteva fare era ritrovare il diario del padre e sperare che qualcosa fosse
scritto lì” raccontò.
Fece una pausa e i suoi occhi si
incupirono.
“Io fui chiamato solo per aiutarlo a decodificare
ciò che c’era riportato nel quaderno, niente più, ma capii subito che c’era
qualcos’altro che disturbava il mio amico. Alla fine, mi disse che era quasi
sicuro che l’Occhio di Venere fosse a
conoscenza del fatto che loro due avevano visto tutto e che temeva per i suoi
figli” Layton si interruppe, malinconico.
“Io dovetti ripartire e non potei aiutarlo in
alcun modo, nonostante sentissi che aveva bisogno di me. L’anno dopo mi arrivò
la notizia che lui e la moglie erano scomparsi, e i due figli erano stati
adottati da un uomo poco raccomandabile” sospirò. Si sentiva in colpa e si
capiva benissimo, ma Lisa continuò a stare zitta, con la paura di interrompere
un momento importante.
“Sapevo benissimo che tu venivi dallo stesso paese
di quel mio amico. L’ho immaginato quando mi hai detto di essere italiana e ne
ho avuto la conferma prima, quando sei svenuta. Quindi ho bisogno del tuo aiuto”
ammise infine.
“I-il mio… aiuto?” chiese lei,
confusa.
“Sì. Ho bisogno che tu mi aiuti a ritrovare quei
due fratelli. Devo parlare con loro della spilla” spiegò.
La ragazza fissò il soffitto un secondo, poi
annuì.
“D’accordo, le darò una mano” decise infine. E i
sensi di colpa che provava nei confronti del professore si moltiplicarono in
maniera esponenziale.
“Tu sai benissimo chi è, l’hai già
conosciuto. Te ne ricordi? È venuto a trovarvi anni fa”
“Non mi ricordo, lo
giuro!”
“Non importa, te lo ricorderai a tempo
debito. Sappi solo che lui è il tuo prossimo obbiettivo. Sa molte cose riguardo
alla spilla e sono certo che, se spronato debitamente, sarà pronto a dire tutto
alla sua assistente. Basta saper creare il momento giusto”
“Di che stai parlando?”
“Lo capirai, non preoccuparti. Adesso vai,
devi inserirti in quella scuola come studentessa, prima di poter lavorare con
lui e per lui”
Lisa fissava
nostalgica fuori dalla finestra. Erano passati ben quattordici anni da quando
aveva conosciuto per la prima volta il professore, alla fine se ne era
ricordata. Era appena un’adolescente quando era andato da loro, ma sembrava una
bambina, per quello lui non aveva collegato le due cose. Era sempre stata molto
piccola, minuta e con i tratti del viso un po’ infantili. Per altro, fin quando
non aveva visto una sua vecchia foto, nemmeno lei l’aveva riconosciuto: dato che
all’epoca non portava ancora la tuba e la giacca marrone, non era riuscita a
collegare il giovane studente della Gressenheller col docente famosissimo di
archeologia che era diventato. Sembravano due persone completamente diverse ma,
nonostante questo, provava affetto e stima per entrambe le sue versioni.
Il telefono
squillò e lei alzò la testa sconsolata.
“Pronto?”
rispose.
“Allora? Che novità ci sono?” le chiese
lui. Avrebbe potuto mentire e dire
che non ce ne erano, che non aveva trovato indizi e che non sapeva nulla;
avrebbe potuto attaccare e ignorarlo, chiedere aiuto a Layton e uscire
finalmente da quel vortice di bugie in cui era entrata. Avrebbe potuto farlo,
certo, ma non lo fece. Il pensiero di Logan la bloccò.
“La spilla è
in Italia. Il professore si è ricordato di noi, anche se non mi ha ricollegata
alla bambina che ha conosciuto anni e anni fa, e ha deciso di venire in Italia a
cercarci” spiegò. Rise amaramente.
“Che
situazione comica, no?” disse poi.
“Sapevo che questa storia lo avrebbe portato
qua. O, almeno, ci speravo. Tu verrai con loro, vero?”
“Certo”
“Perfetto, mi servirai per farlo cadere in
trappola. Ti faccio i miei complimenti per il tuo splendido lavoro, sapevo che
saresti stata un’ottima complice” si congratulò. Lisa strinse i denti.
“Io non sono
tua complice, sono stata chiara?” ringhiò nella cornetta.
“Tu mi stai
ricattando, tieni mio fratello prigioniero, mi costringi a fare cose che non
vorrei fare… non sono tua complice, io sono tua prigioniera!” dall’altro lato
del telefono risuonò una risata gelida, che la fece rabbrividire.
“Dì come vuoi, a me sta bene. Arrivederci,
piccola Lisa” la salutò, riattaccando.
Lei sbatté la
cornetta sulla base, infuriata.
“Maledetto!
Maledetto tu e tutti quelli che stanno con te!” gridò esasperata.
“Non puoi rapire due persone innocenti solo
per i tuoi comodi!”
“Vorresti impedirmelo tu? Ma non farmi
ridere! Sei solo una stupida ragazzi buona a nulla!”
“A che scopo mettere a rischio due uomini
che non c’entrano niente? Dimmelo!”
“Ma è logico, no? Il piccolo assistente di
Layton si metterà di gran lena, cercando di risalire ai colpevoli, e
casualmente troverà un uomo che lo
indirizzerà verso la Spilla di Venere. Quando si accorgerà che non può farcela da
solo, chiamerà il suo mentore, il quale inizierà a indagare” le spiegò. Rimase
paralizzata, incapace di aprire bocca.
“Sei una persona orribile” sussurrò. Lui le
alzò il mento e sorrise.
“Grazie, troppo gentile”
Il suono del
campanello la fece sobbalzare: non aspettava nessuno.
“Chi è?”
domandò.
“Lisa? Siamo
Flora e Luke!” risposero, all’unisono, i due ragazzi. Lei sorrise e aprì la
porta.
“Buonasera!”
la salutarono.
“Buonasera.
Cosa ci fate qua?” chiese facendoli entrare.
“Io sono qui
per aiutarti a fare le valigie. Tra donne dobbiamo darci una mano” spiegò Flora,
sorridendo complice.
“Il
professore mi ha mandato qui per fare da scorta a lei. Un gentiluomo non lascia
mai che una fanciulla vada in giro da sola di notte” recitò a memoria Luke. Lei
rise e li fece sedere sul divano.
“Non ti
disturbiamo, vero?” si preoccupò la ragazza.
“Ma no,
figurati. Ero qui che pensavo e non facevo niente di particolare, mi fa piacere
che siate venuti” li tranquillizzò.
“Volete del
tè?” offrì.
“Sì,
grazie”
Andò a
preparare le tazze e il bollitore mentre gli altri due guardavano divertiti la
sua casa.
“Qui è tutto
così grazioso!” esclamò Flora.
“E tutto
molto ordinato. Ho capito come mai sei stata scelta per fare da assistente al
professore!” commentò Luke, ridendo. Lei si affacciò dalla cucina e lo guardò
incuriosita.
“In che
senso?” domandò.
“Beh, non so
se te ne sei accorta, ma lo studio del professore è piuttosto confusionale. Non
è mai stato un tipo molto preciso, né ha mai cercato di esserlo, quindi è un
bene che ci sia tu a dargli una mano a trovare le sue cose. Pensa che l’altro
giorno, cercando un appunto importante sul caso che stiamo seguendo, si è reso
conto di averlo perso!” raccontò. Lisa si sentì morire: non l’aveva perso, ce
l’aveva lei!
Tornò ad
occuparsi del tè con le mani tremanti. Allora se n’era accorto, aveva solo fatto
finta di niente. Cosa sarebbe successo se avesse capito che era stata lei a
toglierlo dal suo ufficio? L’avrebbe odiata per sempre, non avrebbe più voluto
vederla e…
“AH!” gridò,
spostando la mano. Si era versata il tè su palmo e la pelle stava diventando
rossissima.
“Che
succede?” domandò Luke, arrivando di corsa.
Con le
lacrime agli occhi, la ragazza si chinò a terra a raccogliere i frammenti della
teiera che aveva appena rotto.
“N-niente,
non ti preoccupare” rispose. Appena tese la mano bruciata, però, mugolò dal
dolore.
“Ti sei
ferita” constatò Flora, inginocchiandosi vicina a lei.
“No, non è…
non è niente…” provò a ribattere, ma il rossore era ormai evidente e non
riusciva nemmeno a piegare le dita, altrimenti la pelle bruciava.
“Luke, chiama
il professore” ordinò la ragazza, mettendosi a togliere i frammenti di ceramica
da terra. Lisa scosse la testa.
“No, sul
serio non è niente, non preoccupatevi” assicurò. L’occhiataccia che le spedì
Flora fu abbastanza per zittirla.
“Luke, vai!
Lui saprà come fare” ripeté, buttando nel cestino i pezzi di teiera.
“Ah, sì!”
rispose lui, riscuotendosi. Uscì dalla stanza e si diresse verso il telefono,
lasciandole sole.
“Ti fa tanto
male?” si preoccupò la ragazza, prendendole la mano.
“Ti ho detto
che sto bene!” s’infuriò Lisa.
“Ma se hai
tutto il palmo bruciato! Deve fare male rovesciarsi il tè bollente sulla pelle,
non vorrei essere al tuo posto” commentò senza pensare. Poi arrossì.
“Scusami,
sono troppo invadente? Il professore me lo dice sempre che dovrei essere più
calma, ma proprio non ci riesco. Perdonami” disse, sorridendo imbarazzata.
“Figurati”
rispose l’altra, distogliendo lo sguardo.
“Davvero, mi
dispiace. Se non vuoi che Luke chiami il professore, forse facciamo in tempo a
fermarlo”
“N-no, va
bene… va bene così” assicurò lei, sentendo che non riusciva più a trattenere il
pianto. Le lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance senza che se ne rendesse
conto e Flora si spaventò.
“Oddio, ti fa
così male? Vieni, mettiamolo sotto l’acqua ghiaccia” disse, facendola alzare di
terra.
Lisa la seguì
senza parlare, ubbidendole docile come un cagnolino. Spiegarle come mai stava
piangendo sarebbe stato peggio che farle credere che fosse la bruciatura a farle
male.
Layton arrivò
qualche minuto dopo, di corsa.
“Cos’è
successo?” chiese preoccupato.
“Luke mi ha
detto che Lisa si è ferita, cosa si è fatta?” domandò. Aveva il cuore a mille
dall’ansia. Flora sorrise.
“Niente di
grave. Il tè è uscito dalla teiera e Lisa si è bruciata il palmo della mano”
spiegò, indicando la fasciatura della ragazza. Il professore sospirò di
sollievo.
“Mi ero
immaginato il peggio. Fatemi vedere” disse, avvicinandosi. Prese tra le sue
dita, con dolcezza e cura, la sua mano, togliendole con gentilezza le bende.
“Dimmi se ti
faccio male” si raccomandò, cercando di essere più lieve possibile con i tocchi.
Lei annuì, continuando a piangere ininterrottamente.
Grazie
all’acqua fredda, il rossore era diminuito, ma la bruciatura era evidente: la
pelle era tirata e lievemente rialzata, tipico delle ferite causate dalle alte
temperature.
“Dovrai
metterci una pomata. Se aspetti qualche minuto, io e Luke andiamo a prendertela”
le disse sorridendo. Lasciò andare la sua mano e Lisa sentì quella mancanza in
maniera evidente e dolorosa.
L’uomo,
seguito dal suo apprendista, scomparve oltre la porta, lasciando sole le due
ragazze.
“Senti, posso
farti una domanda piuttosto indiscreta?” chiese Flora, che l’aveva studiata per
tutto il tempo in cui Layton era rimasto con loro.
“Mh? Certo”
rispose, tornando con i piedi per terra.
“Ti sei
innamorata del professore?” domandò. La ragazza s’immobilizzò, senza sapere che
rispondere.
Layton
stava riflettendo e non si rese conto di Luke che parlava.
“Professore, ma mi sta ascoltando?” lo chiamò il ragazzino. Lui
sobbalzò e lo guardò.
“Come?”
chiese, preso alla sprovvista.
“Le ho
chiesto se questa pomata va bene” ripeté il piccolo, indicando la scatola che
aveva in mano.
“Sì,
penso di sì” rispose, continuando a non ascoltarlo veramente. Aveva sentito il
bisogno di staccarsi rapidamente da Lisa, ma non avrebbe saputo spiegare come
mai. Claire… aveva pensato a lei nell’esatto istante in cui aveva sfiorato le
dita della ragazza. Si era sentito un verme, un traditore, anche se tutto ciò
che stava facendo era solo controllare una ferita. Che stava
succedendo?
“Ecco
fatto, ho pagato. Torniamo da Lisa?” domandò Luke, tornando dalla cassa con in
mano il sacchetto con la pomata.
“Sì,
andiamo” annuì lui.
Erano a
due passi dalla casa e andarono a piedi, rinfrescandosi nell’aria frizzante di
Londra. A Layton quel clima piaceva, gli era sempre piaciuto, e non avrebbe
potuto desiderare di meglio per pensare un po’.
“Senti,
tu va’ avanti, io ho da fare una cosa” esordì, fermandosi a metà strada. Il
ragazzino lo guardò, ma non disse nulla: annuì solamente. Aveva imparato che
quando il professore aveva un problema di cui non voleva parlare non valeva la
pena provare ad insistere, tanto non avrebbe sortito alcun effetto.
Scomparve
dietro l’angolo ed entrò in casa, lasciando l’uomo da solo con i suoi
pensieri.
Layton si
aggiustò la tuba e poi mise le mani in tasca per ripararle dal freddo. A testa
bassa iniziò a camminare senza una meta, cercando di capire i suoi sentimenti di
poco prima. Perché aveva pensato a Claire? E dire che, da quando Lisa era
arrivata, i suoi incubi erano diminuiti notevolmente e l’aveva ricordata sempre
meno. Ma forse era proprio quello il problema: forse proprio il fatto che,
quando pensava, aveva davanti solo le immagini di Lisa e non quelle di Claire lo
faceva sentire in colpa. Ci aveva fatto caso in metropolitana, quando lei si era
strinta a lui dal sollievo di averlo trovato dopo essere stata risucchiata dalla
folla: non solo era carina, era anche molto simpatica, divertente e piacevole. E
lui rischiava di rimanerci fregato.
La verità
era che non accettava l’idea di avere accanto a sé un’altra donna perché Claire
era l’unica. Lo era sempre stata e sempre sarebbe rimasta, non c’era possibilità
che qualcuna la rimpiazzasse. Soprattutto una ragazza giovane come era Lisa.
Certo, otto anni non erano poi così tanti, ma erano comunque abbastanza.
Sospirò: poteva trovare mille scuse, poteva nascondersi dietro qualsiasi bugia,
ma rimaneva il fatto che per lei provava qualcosa di più di quello che riusciva
ad accettare al momento e questo lo spaventava. Con Emmy non era stato così
difficile, perché con lei invece lo era?
Decise
che l’unico posto in cui poteva andare era quello in cui c’era la persona che
l’aveva fatto stare così male. Alzò gli occhi e fissò per qualche secondo
l’edificio grigio che aveva davanti.
“Allora?
Non mi hai risposto. Ti sei innamorata del professore?” ripeté Flora. Lisa
rimase zitta. Aveva anche smesso di piangere, tanta era stata la sorpresa di
quella domanda.
Fissò il
pavimento e ci pensò. Se ne era innamorata? Quasi certamente sì, ormai l’aveva
accettato da sola. Però ammetterlo a voce alta significava arrivare al punto di
non ritorno e lei stava già abbastanza male così, senza complicazioni
sentimentali. Mentire a tutti loro in questa situazione era difficile anche se
non ammetteva di provare un sentimento intimo per Layton.
“N-no, io
non… non ne sono innamorata” negò. Quelle parole furono come un cazzotto nello
stomaco e la cosa peggiore fu che le aveva dette di sua spontanea volontà. Si
sentì orribile.
“Ne sei
sicura?” si accertò Flora, sporgendosi verso di lei sorridendo. Le stava
chiedendo di ripeterlo un’altra volta? Quella ragazza era una iena!
Lisa la
fissò e poi scosse la testa.
“No, non
ne sono sicura!” ammise. Lei rise soddisfatta e batté le mani.
“Lo
sapevo!” esultò felice.
“Smettila” le disse l’altra, sconsolata.
“Perché?
Sono felice che qualcuno provi un sentimento così bello per il professore!”
spiegò, senza smettere di sorridere.
“Sì, ma
io non sono felice affatto” la bloccò Lisa, disperata.
“Non
capisco” ammise Flora, mettendosi un dito su una guancia.
“Se sei
innamorata, dovresti esserne felice. Sentire le farfalle nello stomaco, i
brividi se ti sfiora, il sorriso allargarsi non appena lo vedi” elencò. La
ragazza strinse le mani e rifletté.
“I-io…
diciamo che non posso permettermi l’amore, adesso” spiegò infine.
“Inoltre
conosco qualcosa del passato del professor Layton e so della sua vecchia
ragazza, Claire” ammise infine. Flora trattenne il respiro al ricordo
dell’ultimo caso affrontato e si rattristò.
“Quanto
sai di quella storia?” le domandò.
“So che
lei è morta. Non ho voluto sapere altro” rispose. In parte era la verità, anche
se omise di dire che sapeva COME era morta.
La
ragazzina esitò e si guardò le mani.
“Lisa,
senti forse dovresti sapere ciò che è successo davvero…” iniziò a dirle, ma il
campanello suonò e loro furono interrotte.
“Probabilmente sono Luke e il professore, vado io ad aprire” disse
Flora, andando alla porta. Lei sentì i rumori del chiavistello girare e della
serratura scattare e attese di vedere i due entrare in salotto. Fu sorpresa di
scorgere solo il più piccolo togliersi il giacchetto nell’ingresso.
“Dov’è il
professore?” chiese Flora.
“Ha detto
che aveva qualcosa da fare e se n’è andato” spiegò Luke. Corse da Lisa e le
passò la pomata.
“Però
abbiamo preso questo per te. Te la devi mettere sulla bruciatura e poi lasciarla
senza fasciature per un paio di giorni. Il farmacista mi ha detto anche di fare
in modo di non mettere sulla ferita qualsiasi tessuto irritante” le disse. Lei
sorrise.
“Grazie,
piccolo” rispose, prendendo la scatola e aprendola.
“Perché è
venuto qui?”
“Volevo
vedere come stavi”
“Ne è
sicuro?”
“Certo.
Non avrei avuto altri motivi, no?”
“Professore, la conosco abbastanza bene da vedere che c’è qualcosa
che non va in lei. Non lo dice sempre? Un gentiluomo non racconta
bugie”
Layton
fissò il ragazzo davanti a sé e sospirò. Perché era andato lì?
“Ho solo
sentito il bisogno di venire qua. Non so spiegarmi meglio” rispose.
“Ho
capito. Però ciò che non capisco è: perché proprio qui? Perché proprio da me?”
domandò lui. Dire la verità o mentire di nuovo?
“Perché
sei la cosa che più mi ricorda Claire in questo momento” ammise
infine.
Clive si
sporse verso il vetro della sala in cui i detenuti parlavano con i visitatori e
lo fissò straniato.
“Claire?
Io le ricordo Claire? Mi scusi, ma non credo di seguirla”
“Clive,
il punto è che non saprei spiegarti niente di quello che sto provando. Ho
sentito il bisogno di venire qui per parlarti e per stare un po’ con te. In
fondo, nell’ultimo anno sono venuto più volte, non è così strano” gli fece
presente.
“Non è il
fatto che lei sia qui ad essere strano. È lei che è strano” spiegò il
ragazzo.
“Lo so”
sospirò Layton.
“Non
credo che mi dirà come mai si sente così giù, quindi cambierò domanda. Da cosa
sta scappando?” chiese. L’uomo rimase in silenzio, sentendo la risposta
rimbombare in testa e non riuscendo a pronunciarlo ad alta voce.
“Non deve
per forza dirlo a me, non mi permetterei mai tanta arroganza. Però si risponda e
cerchi di capire come mai sta così” suggerì. In quel momento il secondino che lo
aveva in custodia lo chiamò e lui si alzò.
“Mi fa
sempre piacere parlare con lei, professor Layton. Spero di rivederla presto” lo
salutò.
“Ciao
Clive. Tornerò, te lo prometto” ricambiò.
“Lo
so”
Lisa si
era addormentata sul divano. Flora e Luke si erano messi ad armeggiare in cucina
e l’avevano lasciata lì a mettersi la pomata. I suoi occhi, già provati dalle
lacrime, si erano chiusi lentamente, senza che se ne rendesse conto.
“Secondo
te quanto ci vorrà ancora al professore? Io inizio ad avere fame” disse il
ragazzo, sedendosi su una poltrona.
“Non
saprei. Non so dove sia andato, per cui non ti posso rispondere” ribatté Flora.
Sospirarono entrambi.
“Facciamo
qualcosa, ti va? Ho visto che in cucina c’è un blocco notes, sfidiamoci a una
gara di enigmi!” propose Luke. Flora batté le mani entusiasta.
“Andiamo”
accettò.
Si
chiusero in cucina e si misero a parlare, lasciandola lì da sola.
Poco dopo
Layton entrò in corridoio.
“Scusate
se entro senza permesso, la porta era aperta” si annunciò, affacciandosi in
salotto.
“C’è
nessuno?” chiamò a bassa voce. Un gentiluomo non grida mai.
Non ebbe
risposta e vide che la stanza era completamente vuota.
“Ma se ne
sono andati?” si chiese. Fu a quel punto che la vide: una ragazza stesa sul
divano che dormiva. Lisa.
In
qualche modo il suo cuore si mise a battere forte e subito la sensazione di
tradimento lo attaccò alle spalle. Maledetto senso di colpa.
“Mamma…
papà…” sussurrò lei, iniziando a respirare più velocemente. Era così piccola e
indifesa stesa lì sopra che lui si inginocchiò per essere alla sua
altezza.
“Lisa,
svegliati” la chiamò dolcemente. La ragazza, in risposta, lo afferrò per il
polso.
“Non
andartene” implorò. Aveva le lacrime agli occhi anche mentre dormiva, notò
Layton. Le asciugò una guancia, sorridendo dolcemente. Era carina, niente poteva
negarlo.
Le sue
mani fredde la fecero sobbalzare e si ritrovò faccia a faccia con
lui.
“P-professore” sussurrò. Il suo cervello analizzò quella situazione
con un secondo di ritardo.
“Professore!” esclamò, sedendosi velocemente e arrossendo. L’uomo
rise divertito.
“Tranquilla, sono solo io. Come va la mano?” s’informò.
“La… la
mano?” domandò Lisa, confusa. Poi si ricordò della bruciatura.
“Ah, la
mano. Bene, non mi fa male” rispose. Il suo cuore batteva all’impazzata, non
riusciva nemmeno a respirare.
“Che
succede, qualche problema?” chiese Flora, affacciandosi dalla cucina.
“Ah, è
tornato!” esultò quando vide l’uomo inginocchiato a terra.
“Sì,
scusate l’attesa. Dovevo visitare un posto” spiegò.
“Non
importa. Venga, Luke è in cucina. Stavamo aspettando lei per metterci a tavola”
lo invitò. A quelle parole lui si sentì male, ma sorrise.
“Grazie,
ma non serviva aspettarmi”
“Si
figuri, l’abbiamo fatto con piacere” minimizzò la ragazza, scortandolo a tavola.
Lisa li seguì con la testa pesante.
“Ah
professore, è arrivato” esclamò Luke, felice. Si sedette vicino a lui
preoccupato, mentre Flora metteva il cibo davanti a loro e Lisa si posizionò
davanti al ragazzino.
“Chi ha
cucinato?” chiese Layton in un sussurrò al suo assistente.
“Ci ho
pensato io, non tema” gli assicurò ridendo.
“Buon
appetito!” esclamarono le ragazze all’unisono e iniziando a mangiare, seguite a
ruota dagli altri due.
Quella
sera Flora rimase a dormire da Lisa, sia per aiutarla in caso di bisogno vista
la mano fasciata sia perché il mattino dopo sarebbero partiti per andare in
Italia. Quel pensiero la fece tremare e si rigirò nel letto, nervosa.
Era stata
una serata spossante per lei: prima aveva scoperto che il professore sapeva che
mancava un appunto sulla spilla, poi si era bruciata; subito dopo Layton le
aveva preso la mano e il suo cuore si era messo a battere così forte da
scoppiarle quasi; aveva praticamente rischiato di ammettere ad alta voce di
essersi innamorata del professore; infine, come se tutto ciò non bastasse, se lo
era ritrovato a quanto? due centimetri di distanza dal viso?
“Rabbia”
disse, voltandosi a guardare il soffitto. Aveva talmente tanti pensieri in testa
che di dormire non se ne parlava, ma cosa poteva fare? L’indomani avrebbe dovuto
essere sveglia e attiva, non poteva presentarsi al porto con le occhiaie, però
stare ferma lì era snervante.
Decise di
andare a farsi una tazza di tè per tranquillizzarsi.
“Vediamo,
dove ho messo la teiera di riserva” ragionò, aprendola credenza. Ne aveva sempre una di
scorta perché, conoscendosi, sapeva che, imbranata com’era, come minimo ne
avrebbe rotte almeno un paio. In realtà, ciò che l’aveva stupita era il fatto
che quella teiera era vissuta per i tre anni in cui aveva vissuto a
Londra.
Un
pensiero orrendo si affacciò nella sua testa: sarebbe potuta tornare lì, dopo
che l’Occhio avesse completato il suo piano? La verità era che già da un pezzo
aveva capito una cosa, anche se sperava di riuscire a salvare almeno Logan: una
volta che loro due non fossero serviti più sarebbero stati eliminati. Sapevano
entrambi troppe cose scomode per l’Occhio e non potevano permettersi di lasciare
altri testimoni, ecco qual era la realtà. Nonostante sapesse questo, comunque,
Lisa continuava a sperare di riuscire a far fuggire Logan prima di finire tra le
grinfie dei membri. Non aveva idee per salvarlo, ma doveva inventarsi
qualcosa.
“Che stai
facendo?” sobbalzò quando sentì la voce di Flora, ancora mezza addormentata,
parlarle.
“Mi hai
fatto paura! Che ci fai sveglia?” le domandò. La ragazzina sbadigliò.
“Ho
sentito dei rumori e sono venuta a vedere” spiegò. Si sedette su una sedia e la
guardò.
“Tu cosa
ci fai in piedi all’una del mattino?” chiese.
“Non
riuscivo a dormire, così sono venutaa farmi un tè. Ne vuoi?” le offrì, allungandosi a prendere le
tazze.
“Sì,
grazie” accettò la più piccola.
Rimasero
in silenzio mentre Lisa preparava da bere per entrambe.
Una volta
che ebbero tutte e due la bevanda davanti, Flora si schiarì la voce.
“Senti,
io… vorrei parlarti di una cosa” esordì un po’ imbarazzata. L’altra la guardò
sorridendo incoraggiante.
“Dimmi
tutto” rispose. Lei si mise a giocare con un lembo della vestaglia color pesca
che aveva addosso.
“Riguarda
il discorso di oggi. Sul professore e su… su Claire” ammise. Lisa strinse le
labbra, contrariata: quello era un argomento poco piacevole.
“Senti,
se vuoi parlarmi di quello che ti ho confessato, non importa, io…”
“No!” la
bloccò Flora, scuotendo la testa.
“No?”
“No, non
è di quello. Tu hai detto di sapere che Claire è morta, ma penso che dovresti
venire a conoscenza di quello che è successo prima, durante e dopo la sua morte”
spiegò. La ragazza non parlò, ma la fissò incuriosita.
“Ecco, il
fatto è questo. Circa dieci, forse undici anni fa, non so di preciso le date, il
professore era fidanzato con Claire. Lui era appena stato promosso e aveva
appena ricevuto la cattedra quando lei, durante un esperimento andato male nel
laboratorio in cui lavorava, scomparve” iniziò.
“Morì?”
chiese Lisa.
“Potremmo
dire così, anche se non è del tutto vero” le rispose Flora, criptica.
“Non
credo di aver capito”
“Ci fu
un’esplosione e tutto nel raggio di un centinaio di metri fu raso al suolo: il
laboratorio, le case vicine… morirono anche delle persone innocenti e tutto
perché Bill Hawks, il primo ministro, voleva vendere a tutti i costi il brevetto
della macchina del tempo”
“Macchina
del tempo?”
“Già.
Lui, Claire e Dimitri Allen stavano lavorando a un prototipo di macchina del
tempo. Quando decisero di fare l’esperimento per vedere se funzionava, Allen si
oppose: alcuni calcoli erano sbagliati e rischiavano di distruggere ogni cosa,
ma Bill non volle ascoltarlo. In quell’esplosione, Claire rimase uccisa” le
raccontò. Lisa si mise a ruotare la tazza che aveva in mano, assente.
“Tu hai
detto che non è del tutto vero che è morta” le fece presente. Flora rimase
zitta, sapendo che dirle quello che era successo dopo significava invadere la
privacy di Layton. Si chiese se continuare il racconto, poi decise che era
giusto così. Prese un bel respiro.
“Un anno
fa Luke e il professore sono stati contattati da un ragazzo che diceva di
provenire dal futuro. Dieci anni dopo rispetto al loro presente, per essere
precisi. Con una scusa, li fece andare a MidlandRoad e lì, grazie a un ascensore di
dimensioni enormi, li portò in una città costruita nel sottosuolo”
“Conosco
questo pezzo di storia, ne hanno parlato i giornali. Si tratta dello stesso
pazzo che ha tentato di distruggere Londra con una sottospecie di arma gigante?”
chiese Lisa, ricordando il fatto.
“Sì e no.
Clive, così si chiamava quel ragazzo, lavorava con Dimitri Allen. Aveva fatto in
modo che lui si rimettesse a lavorare sul progetto della macchina del tempo per
nascondere gli studi che stava facendo su delle nuove armi di distruzione di
massa e aveva acconsentito a portare il professore nel sottosuolo per
assecondare Dimitri. Quando il professore e Luke li hanno scoperti, Allen si è
arreso mentre Clive ha tentato di proseguire nel suo piano”
“Doveva
essere un pazzo” commentò la ragazza. Flora scosse la testa.
“No.
Anche io l’avevo pensato all’inizio, poi ho saputo la sua storia. Quando c’era
stata l’esplosione nel laboratorio di Claire, i genitori di Clive rimasero
uccisi. I media non pubblicizzarono la cosa perché Bill Hawks riuscì a mettere
tutto a tacere e anche chi cercava di farsi giustizia fu costretto a lasciar
perdere l’idea. Il professore aveva provato a cercare delle prove, ma fu
assalito e i suoi appunti furono strappati” le spiegò. Lisa si sentì
triste.
“Comunque, il piano di Clive era semplice: distruggere Londra per
crearne un’altra senza corruzione”
“Come ha
fatto a fallire? Aveva un gigantesco robot da combattimento alto ottanta metri,
era quasi impossibile che sbagliasse” osservò la ragazza.
“Luke e
il professore si erano messi in moto per salvarmi. Ero stata rapita da Clive e
portata in cima a quella fortezza, così entrarono nel suo robot per recuperarmi.
Nel frattempo una ragazza, Celeste, che diceva di essere la sorella di Claire,
si era offerta di aiutarci. Non aveva fornito spiegazioni, aveva solo detto di
voler fare luce sulla morte di sua sorella. Grazie a lei, quell’arma infernale
fu spenta e Clive è stato assicurato alla giustizia. Sempre che di giustizia si
possa parlare, certo” rispose.
“Capisco.
Ma tutto questo cosa c’entra col professore e con la sua ragazza?”
“Adesso
ci arrivo. Quando riuscirono ad uscire tutti indenni da quell’affare, Allen
volle parlare con il professore. Anche Celeste si avvicinò a loro e così si
scoprì la verità: la macchina del tempo, un attimo prima di esplodere, aveva
funzionato. Non esisteva nessuna sorella, Celeste era Claire. Immagina la
reazione del professore: ci aveva messo dieci anni per accettare la scomparsa
della donna che amava e adesso ce l’aveva davanti” disse Flora. Lisa iniziò a
sentirsi male: non poteva competere con un amore così
indistruttibile.
“Quindi
Claire è viva” concluse.
“No,
purtroppo no” negò l’altra.
“Ma tu
hai detto che…”
“Aspetta,
ascolta la storia fino in fondo. Dimitri e Claire spiegarono al professore che
sì, la macchina aveva funzionato, ma l’errore di calcolo aveva fatto sì che le
molecole di Claire non si fossero stabilizzate. In pratica, il suo corpo stava
cercando di ritornare al proprio tempo, al momento, cioè, dell’esplosione. A
quel punto, il professore ha potuto solo dirle addio per sempre. Luke mi ha
detto che non avrebbe voluto lasciarla andare, che avrebbe preferito tenerla con
sé per sempre, ma è stata lei stessa a chiedergli di non fermarla: non avrebbe
potuto nemmeno volendo. Alla fine è scomparsa, lasciandolo solo in un vicolo di
Londra. Credo che sia stata l’unica volta in cui lo abbiamo visto piangere”
concluse. Lisa, senza rendersene conto, si era messa a piangere in
silenzio.
“Tutto
questo è così ingiusto” commentò infine. Flora sorrise tristemente.
“Non ti
ho raccontato tutto questo per farti stare male. So che nutri profondo affetto
per il professore e ho voluto che tu sapessi di Claire perché… ecco, io penso
che adesso sarebbe in grado di darsi un’altra possibilità. Non aveva accettato
la morte della sua ragazza perché non era riuscito a far luce su quello che era
successo e, soprattutto, non aveva potuto dirle addio per l’ultima volta. Un
anno fa, invece, ha potuto fare entrambe le cose, ha lasciato andare il ricordo
che aveva di lei per liberarsi, finalmente, dai fantasmi del suo passato. Sono
sicura che, se si rendesse conto dei sentimenti che provi per lui, avrebbe la
forza di ricominciare ad amare. Io voglio aiutarti nel tuo intento” le spiegò.
Lisa rimase zitta, poi distolse lo sguardo.
“Sai,
Flora, non pensavo che tu fossi tanto matura. Sono felice delle tue parole,
davvero, però… ecco, quello che mi hai raccontato non fa altro che cementarmi
ancora di più sulle mie decisioni. Io non posso sperare che lui si renda conto
dei miei sentimenti perché io stessa non oserei mai confessarglieli. Claire è e
sarà sempre la sua ragazza, lui l’ha amata per tanto tempo e sono cerca che non
la lascerà andare via perché una ragazzina arrogante pensa di poter sanare il
suo cuore spezzato” rispose. Sorrise e si asciugò gli occhi.
“Non
voglio che lui la dimentichi” ammise. Flora rimase spiazzata e allungò una mano
sul tavolo per toccare la sua.
“Ma tu
provi dei sentimenti così forti per lui, che sono sicura che ti ricambierebbe”
insisté. Lisa rise amaramente.
“Sei così
piccola che mi rendo conto che non puoi capire. Io non voglio che mi ricambi,
non posso pretendere di portarlo nella mia vita, farlo convivere con i miei
fantasmi” le spiegò.
“I… i
tuoi fantasmi?”
“Ci sono
delle cose che non voglio ricordare e altre che devo affrontare da sola. Se
anche fosse come dici tu, se anche mi ricambiasse, lo farei cadere in un baratro
infinito da cui nemmeno io riesco ad uscire. Io ti ringrazio, sono felice delle
tue parole, ma questo non mi farà cambiare idea su quello che devo fare”
concluse alzandosi.
“Ma
io…”
“Buonanotte, Flora. Dormi bene” si congedò Lisa, chiudendosi in
camera.
Una volta
da sola si mise a piangere disperata.
Per una
volta, però, quelle lacrime le servirono: durante tutto il tempo in cui pianse
un piano iniziò a formarsi nella sua testa, delineandosi sempre di più fino ad
essere completamente definito. All’alba si asciugò le guance e si alzò da terra,
sentendosi per la prima volta sicura delle proprie scelte.
Il viaggio sarebbe stato diviso in due parti: per
la prima metà avrebbero preso la nave, poi sarebbero andati in treno fino a
Roma. In totale avrebbero viaggiato per due
giorni.
Per
quanto riguardò la parte in nave, non ci furono problemi: partendo al mattino
presto ed essendo con una notte insonne sulle spalle, Lisa dormì per tutta la
durata della traversata, risvegliandosi quasi in Francia. Scesi dalla barca,
attesero solo un paio di ore prima di prendere il treno.
“Ecco,
questa è la nostra cabina. Com’è spaziosa! Certo, non è il Molentary Express, ma
mi piace” commentò Luke, felice.
“Luke,
non fare paragoni” lo sgridò il professore.
“Cos’è il
Molentary Express?” chiese Lisa, sistemando la valigia sopra le loro
teste.
“Davvero
non lo sai? È il treno di lusso più famoso di tutta l’Inghilterra. Noi abbiamo
conosciuto il proprietario, qualche tempo fa” le spiegò il ragazzo, sedendosi.
Avevano una cuccetta tutta per loro, con quattro letti, e tutta la privacy di
cui avevano bisogno.
“Noi
ragazze ci sistemiamo da questa parte, voi vi mettete di là. Avete un telo per
separare la cabina in due?” iniziò a ragionare Flora. Layton si mise a discutere
con lei e Luke della divisione dei posti letto e Lisa riuscì a sgattaiolare via
da lì. Stare con loro, benché la mettesse di buonumore, la soffocava. Dopo le
ultime scoperte aveva capito che doveva avere meno contatti possibili con il
professore. Non c’era possibilità che lui la notasse e, inoltre, lei non aveva
fatto altro che mentire loro per tutto quel tempo. Decisamente non c’erano le
possibilità di una relazione amorosa.
Si
sedette ad un tavolo nella carrozza ristorante e si mise ad osservare il
panorama. Recuperò da una tasca la lettera rosa che il professore aveva trovato
tra i suoi appunti qualche tempo prima e la rilesse per l’ennesima volta. Era
stata quella a darle l’idea per il suo piano, ma non aveva ancora avuto il tempo
di iniziare a scrivere.
Prese un
blocco notes dalla borsa e una penna e si mise a pensare a quello che poteva
scrivergli per chiedergli perdono.
“Ecco
fatto. Pensi che così possa andare?” disse Luke, guardando la coperta che aveva
attaccato al tettuccio del treno. Così la cabina era perfettamente divisa in
due.
“Sì,
credo che vada bene adesso” sorrise Flora. Adesso le donne avevano la propria
privacy.
“Tu che
ne dici, Lisa?” domandò la ragazza. Si guardò intorno, spiazzata.
“Dov’è
Lisa?” chiese, accorgendosi solo adesso che non c’era più. Anche Luke se ne rese
conto in quel momento.
“Non so,
prima era qui” rispose confuso. Layton era preoccupato, ma sorrise.
“È uscita
prima. Sarà andata a prendere una boccata d’aria” disse loro. Entrambi sorrisero
a tornarono alla disposizione della cabina, lasciando il professore ai suoi
pensieri.
Si era
accorto che c’era qualcosa che non andava nello sguardo di Lisa, ma non voleva
dirle nulla. Un gentiluomo non si impiccia degli affari altrui se nessuno glielo
chiede. Però c’era qualcosa a disturbarlo, non poteva negarlo a sé stesso. Il
suo “famoso sesto senso” era attivo e non succedeva mai niente di buono quando
questo accadeva. Nelle ultime tre volte, per la precisione, si era ritrovato in
un paese di robot, in una città fantasma e in una Londra falsa. Stavolta cosa
sarebbe successo? Ma la cosa più importante era: Lisa ci avrebbe rimesso
qualcosa? Avrebbe rischiato la vita?
“Sentite,
io vado a controllare il treno. Voi venite?” propose infine. Flora, da ragazza
qual era, vide subito la possibilità per il professore di rimanere solo con Lisa
e scosse la testa.
“No,
finiamo qua” rispose per entrambi.
“Cosa? Ma
io volevo vedere…” Luke sentì una gomitata nello stomaco che gli mozzò il
respiro e si portò al ventre una mano.
“Ahia! Ma
che fai?” esclamò dolorante.
“Vada
pure, professore. Vi aspettiamo qui” assicurò Flora, salutandolo con la
mano.
Layton,
che dal canto suo non aveva capito niente di tutto quello che era successo, uscì
dalla cabina con piacere. Stare solo era la cosa migliore.
Come suo
solito, decise di osservare il treno e i suoi passeggeri: c’era una signora
simpatica con un buffo cappellino rosa in testa che gli chiese se le dava una
mano ad aprire un barattolo di biscotti alla crusca; un bambino con un
leccalecca che gli regalò un puzzle; un uomo distinto ed elegante che gli fece
passare dieci minuti in compagnia di un gioco di scacchi particolare. Viaggiare
per lui era un divertimento perché ogni volta incontrava qualcuno di
interessante e gli piaceva studiare i comportamenti che avevano, i caratteri
sempre diversi anche se simili. Era semplicemente una cosa che amava fare, anche
se non c’era un motivo preciso.
Alla fine
arrivò nel vagone ristorante.
“Buonasera signore, vuole un tavolo?” lo accolse un
cameriere.
“Sì, per
favore” rispose sorridendo.
“Mi dice
la sua cabina e il suo nome, per favore? Così posso vedere sulla lista degli
invitati”
“Cabina
quattro, vagone due. Mi chiamo Hershel Layton”
L’uomo
controllò il foglio che aveva in mano e poi annuì.
“Sì, per
di qua” disse, indicando il fondo della sala. Il suo sguardo attento la notò
subito e il suo cuore perse un battito.
“Ecco, il
tavolo riservato a voi”
Lisa
sobbalzò quando vide i due uomini sopra di sé, poi si tranquillizzò.
“Se avete
bisogno di qualcosa, chiamatemi” si congedò il cameriere, con un
inchino.
“Posso
sedermi?” chiese Layton, galante. La ragazza annuì, arrossendo. Era un po’ che
non le succedeva, buon segno.
Tornò a
fissare il paesaggio fuori dal finestrino, nostalgica.
“Qualche
problema?” domandò lui, preoccupato.
“No, non
si preoccupi. Sono vecchie faccende” rispose lei, sorridendo.
“Se hai
bisogno di aiuto hai solo da chiederlo, lo sai?”
“S-sì, lo
so. Infatti è proprio per questo il motivo per cui non ve lo chiedo” spiegò.
Quella risposta lo lasciò pensieroso. Quella ragazza era un enigma vivente,
niente da fare.
“Non
credo di aver capito” ammise infine.
“Professore, lei crede nel perdono?” domandò, invece di
rispondere.
“Sì,
certo. Perché?”
“Quindi…
se per puro caso qualcuno avesse dovuto fare delle… delle azioni e queste
fossero state tutte sbagliate, lei… lo perdonerebbe?” evitava di rispondere alle
domande, notò Layton, ma non glielo fece notare
“Penso di
sì. Le azioni sono state dettate dalla coscienza o costrette dalla
forza?”
“Mettiamo
che siano state compiute per forza. Qualcuno ha costretto qualcun altro a
prendere delle decisioni e a compere delle azioni che non avrebbe voluto fare”
ipotizzò. L’uomo sorrise.
“Allora
penso che non ci sia nemmeno da pensarci: non mi arrabbierei mai con una persona
che è stata obbligata a fare cose che non voleva. Se non aveva altra scelta
credo che non potrei mai prendermela con lei” rispose. Gli occhi di Lisa
iniziarono a lacrimare, anche se la sua voce rimase ferma.
“Anche se
ciò che ha fatto è orrendo?” domandò. Il professore la guardò serio.
“Che cosa
sta succedendo?” le chiese preoccupato.
La
ragazza si mise una mano in tasca e ne tirò fuori un foglio bianco, piegato come
il precedente foglio rosa che lui aveva trovato a terra con i suoi appunti.
Iniziò a giocarci un pochino, tirando su col naso.
“Mi
ascolti, io devo… farle una richiesta” ammise infine.
“Certo,
dimmi pure” concesse Layton. Lei gli passò la pagina senza guardarlo.
“Questo
è… molto importante. Prima o poi verrà il momento in cui capirà che deve
leggerla, ma non adesso. Quando l’aprirà voglio che pensi a ciò che ci siamo
detti ora, perché con tutta probabilità mi odierà” spiegò. Il professore prese
il foglio e se lo mise in tasca.
“Sei
sicura che questo per te vada bene? Non posso fare altro per aiutarti? Io vedo
che tu… stai male” osservò. Quella frase andava contro i suoi principi di
gentiluomo.
“Mi
piacerebbe tanto, ma non penso” rispose lei, triste.
“D’accordo, se ne sei convinta” accettò Layton controvoglia. Poi la
ragazza ci ripensò.
“Sì, una
cosa può farla per me” rifletté. Lui sorrise.
“Ne sarei
molto felce”
“Ogni
tanto posso darle del tu? Per me… conterebbe molto” ammise, arrossendo
violentemente. Il professore rimase un po’ stranito da quella richiesta, ma
annuì.
“Va bene,
se questo ti può far piacere” accettò. Lisa sorrise.
“Grazie,
Hershel”
Quando
tornarono in cabina, Flora e Luke stavano dormendo.
“Ma è
così tardi?” chiese la ragazza, stupita. L’uomo guardò l’orologio.
“Sono le
undici. Non mi ero reso conto del tempo che passava” ammise
imbarazzato.
“Nemmeno
io” lo supportò lei. Andò verso la coperta che funzionava da divisori tra i due
lati della cuccetta, poi si immobilizzò.
“Senta,
secondo lei anche chi compie cattive azioni può provare sentimenti?” domandò
all’improvviso. Layton annuì.
“Ho le
prove che ciò accade” rispose.
“Sta
parlando di Clive?” lo interrogò Lisa. Lui rimase piacevolmente stupito dalla
sua arguzia e annuì.
“Sì. Lo
conosci?”
“Conosco
la sua storia e il modo in cui vi siete conosciuti, ma non l’ho mai visto
personalmente” spiegò.
“Perché
mi fai queste domande, Lisa? Cosa ti succede?” le chiese,
avvicinandosi.
“Giuro,
non posso parlarle di questo. Non posso dirle… non posso dirti quello che sto
passando, posso solo sperare che, prima o poi, tu mi possa perdonare” disse lei,
arretrando più che poteva. Il poco spazio che c’era nella cabina le concesse di
muoversi solo di un passo mentre l’altro si avvicinò ancora.
“Perché?
Non ti fidi di noi?” continuò a interrogarla.
“Sbaglio
o questo va oltre i doveri di un gentiluomo?” lo freddò la ragazza. Si morse la
lingua quando vide lo sguardo ferito di Layton, ma se era servito a zittirlo
probabilmente andava bene così.
“Non
importa” minimizzò lei, scostando la coperta.
“Buonanotte” lo salutò. Mosse un piede, ma il suo polso fu bloccato
dalla mano del professore. Sgranò gli occhi quando capì che l’aveva fermata per
non farla andare via.
“Lisa,
aspetta” la richiamò. Si fermò, colpito da un orrendo senso di dejà vu, ma non
la lasciò.
“I-io
penso che tu… che tu debba confidarti con qualcuno” disse infine. Lei non si
voltò.
“Non
posso. Non posso farlo”
“Perché
te lo impedisce qualcuno? Sei minacciata? Io posso aiutarti”
assicurò.
“Lo so,
te l’ho già detto oggi. Sono consapevole del fatto che voi tre potete aiutarmi,
ma sono io a non volere aiuto. Non voglio… non voglio mettervi in pericolo”
singhiozzò.
“Nemmeno
se fossimo noi i primi a volerci muovere per darti una mano?”
“No, non
posso permetterlo” negò. Si staccò dalla sua presa e scomparve dietro la
coperta, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
Perché si
era sentito impotente? Aveva avuto una sensazione orrenda di dejà vu, come se
quella scena si fosse già presentata ai suoi occhi tempo addietro.
Claire. Lui aveva lasciato andare Claire perché
non poteva fare altrimenti. Se avesse potuto l’avrebbe stretta ancora mille anni
pur di non farla morire in quel modo, ma la vita aveva fatto il suo corso e
nemmeno lui poteva impedire la morte di qualcuno. “Se togliamo i morti al proprio destino il
mondo cadrebbe nel caos” queste erano state le sue parole, le parole di
Claire, quando Dimitri gli spiegava della macchina del tempo. Era vero, i morti
non si potevano sottrarre al proprio corso, era una cosa che andava contro
natura. Però Lisa non era morta. Lisa era lì, a un metro
di distanza da lui, poteva ancora salvarla. I morti non potevano essere
riportati in vita, ma i vivi potevano essere protetti.
Non si
addormentò fino a tarda notte e rifletté su come fare per darle una mano. Alla
fine, andando contro tutti i suoi principi e andando contro il suo essere
gentiluomo, Layton prese dalla sua tasca il foglio che lei gli aveva dato quel
pomeriggio.
“Se qualcosa va storto sarà tuo
fratello a rimetterci”
“Ma io non so cosa… cosa devo
fare, io non posso…”
“Sono certo che ti arrangerai in
qualche modo. Logan rimarrà con noi, mentre tu ti lavorerai Hershel Layton. Lui
sa, lui può aiutarci e, un giorno, riusciremo a portare a termine la nostra
missione: donare la vita ai morti!”
“I morti vanno lasciati dove
sono! Non possiamo resuscitarli, altrimenti l’intera esistenza umana ne sarebbe
provata! Vi prego, siete ancora in tempo, lasciateci andare. Vi prometto che
non racconteremo niente, noi…” lo schiaffo che le arrivo in volto la zittì.
“Voi non potete sapere ciò che è
giusto e ciò che è sbagliato! Dovete solo eseguire gli ordini di Zeus, senza
controbattere. Ricordati che è solo colpa tua se siete in questa situazione.
Che sfortuna inciampare e cadere in quel momento, vero?” le ricordò. Lisa si
mise a piangere silenziosamente, sentendosi una nullità, e abbassò la testa.
“D’accordo, farò come volete. Ma
salvate almeno Logan” accettò.
“Brava, vedo che cominci a capire
qual è la tua posizione”
Si svegliò di soprassalto, sudata. Guardò fuori dal finestrino: ormai
dovevano essere quasi arrivati. Il suo cuore prese a battere forte. “Logan”
pensò. Suo fratello era stato nella sua mente sin da quando si era trasferita a
Londra, ma non aveva potuto mai parlarci. Non sapeva nemmeno se era ancora
vivo, anche se lo sperava con tutta sé stessa. Se fosse morto per causa sua,
non avrebbe mai potuto continuare a esistere. Già due persone se n’erano andate
per la sua stupidità e altre due erano state rapite solo per attirare il
professore in trappola. Tutta quella storia si era trasformata in una
carneficina.
Scese dalla branda e si vestì in silenzio, lasciando che Flora
riposasse ancora un po’. Invidiava la sua innocenza e la sua semplicità. Alla
sua età lei viveva con un uomo che odiava lei e il fratello e che li aveva
costretti a stare in casa a guardia dei segreti dell’Occhio. Da quando aveva
quindici anni la sua vita non aveva fatto che andare in peggiorando, ma era
stata solo colpa sua. Se solo non fosse caduta in quella stupida grotta, se
solo i membri non l’avessero vista, lei non avrebbe dovuto vedere i suoi
genitori scomparire.
“Già sveglia?” la salutò Layton quando arrivò nella carrozza
ristorante. Stava sorseggiando un tè con qualche pasticcino.
“Buongiorno” ricambiò, sedendosi in silenzio.
Erano entrambi piuttosto imbarazzati, ma non proferirono parola per
tutta la durata della colazione.
“Sappiamo quanto manca all’arrivo?” chiese infine Lisa.
“Poco. Credo circa un’ora” le rispose il professore, controllando
l’orologio.
“Allora sarà meglio che vada a svegliare Luke e Flora” decise lei,
alzandosi.
“Vengo con te” decise lui, seguendola.
Camminarono fianco a fianco, continuando a non parlarsi. Nessuno dei
due aveva voglia di discutere di quello che era accaduto la sera prima, ma
tutti e due avrebbero voluto dirsi delle cose che non riuscivano ad ammettere
nemmeno a sé stessi per il momento.
La ragazza vide dal finestrino del treno le sue colline, i suoi
paesaggi e il suo cuore si mise a battere. Era quasi arrivato il momento della
verità, di lì a poco il suo piano sarebbe scattato e poi… poi tutto sarebbe
stato rimesso alla fortuna. Non aveva più molto tempo per stare con loro.
Layton aprì la porta della cabina ed entrò sorridente.
“Svegliatevi, ragazzi. Tra poco dobbiamo scendere” disse. Luke aprì un
occhio sbadigliando.
“Professore? Ma che ore sono?”
“Sono le sette e mezzo. È il momento di alzarsi” rispose, aprendo le
tende delle finestre. Anche Flora alzò la testa e si guardò intorno, spaesata.
“Dove siamo?” domandò con la voce impastata.
“Praticamente siamo già arrivati. Forza, giù dal letto!” li spronò.
Entrambi i ragazzi scesero dalle brande, stiracchiandosi.
“Vestitevi, avete venti minuti di tempo” disse il professore.
La cabina era piccola e lo spazio era relativo, così Lisa decise di
uscire in corridoio per dare loro lo spazio sufficiente per prepararsi.
Il suo cuore, in qualche modo, si sentì a casa quando vide la pianura e
poi… poi il mare. Dio, quando le era mancato quel posto, quanto aveva sentito
nostalgia di casa. Le piaceva l’Inghilterra, ma non poteva negare a sé stessa
che lei apparteneva a quei lidi dorati. Lì c’era la sua vita, la sua nascita…
suo fratello.
“Avvisiamo i signori passeggeri che tra dieci minuti arriveremo in
stazione. Preghiamo tutti di controllare di non lasciare sul treno nessun
oggetto personale. Vi ringraziamo di aver viaggiato con noi” disse la voce
metallica dell’altoparlante. Dieci minuti era il tempo che le era rimasto prima
di rinunciare a tutto. Quel pensiero le fece male.
“Tu sei nata qui? In questo posto? Ma è… è meraviglioso!” commentò
Flora, guardando intorno a sé. Lisa rise di gusto.
“Lo so. Io abito qua vicino, possiamo andare prima in albergo e poi
andare da me” propose.
“Preferirei fare il contrario, se per te non è un problema” commentò
Layton, incrociando le braccia. Lei rimase confusa e stupita da quella richiesta
e sgranò gli occhi.
“Ma io voglio posare le valigie” si lamentò Flora. Il professore esitò
un attimo.
“Luke, ascolta tu e Flora andate in hotel e aspettateci là, ok? Noi
dobbiamo fare una cosa urgente” disse infine. Il ragazzino si infiammò.
“Voglio venire anche io!” ribatté. L’uomo si aspettava quella reazione
e sospirò.
“Sapevo che avresti detto così. Vieni, parliamo un attimo” lo prese da
una parte, allontanandosi dalle altre due. La più piccola si arrabbiò.
“Ecco, è tornato Luke e io sono finita di nuovo in secondo piano. Con
loro due succede sempre così: mi escludono da tutto quello che fanno! Non è
giusto” si lamentò con Lisa. Lei le accarezzò la testa e le sorrise.
“Secondo me lo fanno solo per proteggerti” osservò.
“Ma se io non volessi essere protetta?” ribatté l’altra.
“Ok, vedila così. Se tu fossi nei guai e sapessi che l’unico modo per
venirne fuori è pericoloso e stupido, li metteresti in mezzo o faresti di tutto
per proteggerli?” ipotizzò.
“Beh, io…”
“Se il rischio che corrono fosse quello di morire o essere feriti
gravemente, vorresti tenerli con te mentre agisci o cercheresti di convincerli
a stare da una parte per evitare che si facessero male?” le domandò. Flora
s’imbronciò, capendo che aveva ragione, e incrociò le braccia.
“Vedi che hai capito?” rise Lisa, facendole una carezza su una guancia.
“Loro ti vogliono così bene che non posso permettere che ti accada
nulla. Cercano di salvarti. Senza di te, probabilmente, morirebbero di dolore”
le fece presente. La ragazzina tornò seria, poi si intristì.
“Anche io, se li perdessi, morirei” ammise. Lei la strinse forte.
“Non li perderai” le promise.
“Ma ogni volta vanno in missioni assurde e pericolose e non so mai se e
quando torneranno. Voglio stare con loro perché voglio proteggerli come loro
fanno sempre con me” le spiegò.
“Ascoltami, io te lo giuro su ciò che ho di più caro: non li perderai.
Nessuno dei due si farà male, d’accordo?” si guardarono negli occhi
intensamente e Flora annuì.
“Va bene. Allora io rimarrò con Luke” accettò. In quel momento i due si
riavvicinarono e il ragazzino prese le valigie di tutti quanti.
“Andiamo?” chiese alla giovane. Lei annuì, asciugandosi gli occhi
umidi.
Scomparvero dietro l’angolo, lasciando soli Layton e Lisa.
“Perché vuoi rimanere con me e venire a casa mia?” domandò la ragazza
senza guardarlo.
“Penso che tu lo abbia già capito, dico bene?” ribatté l’uomo. Lei
annuì.
“Sì, non sono una stupida. Hai semplicemente fatto due più due. In fin
dei conti è questo il motivo della tua grande fama, no? Sei un tipo arguto e
intelligente e nessuno può nasconderti nulla” commentò. Si voltò a fissarlo.
“Casa mia… anzi no, ormai non è più casa mia. La mia vecchia abitazione
è vicino alla spiaggia, dobbiamo andare per di là” disse, indicando il mare. Il
professore annuì.
“Va bene, ti seguo. Anche se mi ricordo piuttosto bene dove abitavi”
Gli accordi erano chiari: porta Layton in casa e fa’ in modo che
rimanga solo per qualche minuto. Al resto pensiamo noi. Quando varcarono la
porta della sua vecchia abitazione, Lisa sentì nell’aria quell’odore di buono e
di dolce che aleggiava sempre nelle stanze quando i suoi genitori erano vivi.
“Aspetta” la richiamò il professore prima di entrare. La ragazza si
voltò verso di lui, incuriosita.
“Sì?” chiese incoraggiante. L’uomo sospirò.
“Senti, io credo che tu possa ancora rinunciare” ammise infine.
“A cosa?”
“A stare dalla loro parte. Fermati adesso, finché sei in tempo” le
suggerì. Lisa sgranò gli occhi: lui sapeva? Si girò di spalle, evitando di
incrociare il suo sguardo, e finse una risata.
“Di che parli? La loro parte di chi?” domandò. Sentì le sue mani
appoggiarsi sulle sue spalle e iniziò a tremare leggermente.
“Lo sai bene. Ti prego” rispose lui con la voce bassa. Lei rimase
zitta, senza sapere che rispondere.
“Lisa, ti scongiuro. È tutto troppo pericoloso per te” ripeté. La fece
voltare verso di sé per guardarla, ma quando i loro sguardi si incrociarono non
riuscirono a proferire parola. Rimasero entrambi zitti, rapiti l’uno
dall’altro.
“He… Hershel, io... ah!” sentì una puntura sulla base del collo e la
testa iniziò a girarle. Anche Layton sentì la stessa puntura ed entrambi
caddero a terra, addormentati.
“Flora, il professore mi ha detto che, non appena fossimo stati pronti,
dovevamo raggiungere questo posto” disse Luke, passando un foglio alla ragazza.
Sopra c’era disegnata una mappa molto contorta, fatta di un susseguirsi di X e
O.
“Spero che tu abbia già risolto quest’enigma, perché io non ci capisco
niente” commentò lei, confusa.
“Purtroppo no, è risultato difficile anche a me. Forse non sono più
degno di essere considerato l’apprendista del professore” sospirò sconsolato.
“Non dire così! Se ti ha lasciato un rompicapo così difficile significa
che si fida delle tue capacità, per cui non arrendiamoci!” lo spronò lei,
sorridendo. Luke rimase colpito dalle sue parole, ma annuì e si asciugò gli
occhi lucidi.
“D’accordo, allora aiutami a decodificare le informazioni” le invitò,
spostandosi un po’ di lato per lasciarle posto per sedersi sul letto.
Iniziarono a escludere tutte le possibilità impossibili, ragionando.
“Dov’è che il professore vorrebbe che andassimo per aiutarlo?” chiese
Flora. Il ragazzo ebbe l’illuminazione.
“Ma certo! Aspetta, guarda” prese una penna e iniziò a unire le X. Ne
venne fuori una linea serpeggiante che passava per la parte in alto a sinistra
del foglio.
“Ora faccio lo stesso con le O” spiegò. Cambiò il colore della penna,
utilizzando il rosso. Stavolta una lnea dritta si formò sovrapposta all’altra,
andando a creare una specie di croce stondata.
“Ecco fatto!” esclamò soddisfatto. La figura che era apparsa sulla
mappa indicava la spiaggia.
“Mi sembra un’indicazione piuttosto ampia” commentò Flora, sconsolata.
“La spiaggia ha un raggio di un chilometro e mezzo, ci metteremo ore
per trovarlo” gli fece presente. Luke rimase zitto e si mise una mano sul mento
come faceva sempre anche Layton.
“Non penso” la contraddisse. Chiuse gli occhi e pensò . Non era
possibile che il professore gli avesse dato informazioni ampie, era sempre
molto meticoloso in ciò ce faceva.
“Comunque, questa croce è strana. Sembra una x, ma disegnata male”
osservò la ragazza, ridendo divertita. Una x disegnata male? No, non aveva
senso!
“Non è una x!” esclamò Luke.
“Ah no?” chiese Flora, riguardando il foglio. Il ragazzo voltò la mappa
e si mise a scrivere qualcosa.
“Ecco, guarda. Questo è l’alfabeto” le spiegò. Lei lo fissò, ma scosse
la testa.
“No che non lo è” ribatté.
“Sì, invece. È l’alfabeto greco antico, con le lettere che venivano
utilizzate all’epoca. Alfa, beta e via dicendo fino a omega. Questa non è una
croce, è la lettera chi in antico
greco” disse.
“E questo come ci aiuta?” domandò Flora. Lui prese la cartina che
Layton gli aveva fatto vedere prima di partire e indicò le varie grotte che si
trovavano sulla spiaggia.
“Vedi? Hanno tutte nomi di lettere greche, dall’alfa all’omega. Quindi
questo significa che…”
“…Che appena troviamo la grotta chi
troviamo il professore!” capì la ragazza.
Quando Lisa aprì gli occhi la prima cosa che vide fu il professore
incatenato a un muro.
“No!” esclamò, alzandosi in piedi.
“Ferma lì, tu” la richiamò una voce, tirandola indietro per un polso e
facendola cadere a terra. Sbatté la gamba su una roccia, tagliandosi.
“Ah! Ma che diavolo…?” alzò lo sguardo, incrociandolo con quello di lui.
“Bentornata a casa” la accolse, sorridendo maligno. I suoi occhi, non
l’aveva mai notato, sembravano spenti. Erano gelidi, certo, ma non avevano
profondità.
“Bentornata lo vedremo. Che cavolo stai facendo con Layton?” lo
aggredì, ignorando il sangue che scendeva dal taglio.
“Ti avevo detto che ci serviva, ma non collaborerebbe mai se fosse
libero di andarsene. I suoi principi sono molto diversi dai nostri” le spiegò.
Le allungò una mano, invitandola ad alzarsi.
“Vieni, devi medicarti” disse. Lisa non accettò il suo aiuto e si
puntellò sulle braccia da sola.
“Non puoi farcela senza di me” le fece presente. Continuando a
ignorarlo, riuscì a fare forza sulla gamba sana e si alzò.
“Chi te lo dice?” lo sfidò, lanciandogli un’occhiata che lo zittì.
“Io ho fatto la mia parte. Dì a Zeus che adesso voglio vedere Logan”
ordinò, appoggiandosi al muro. Lui
annuì.
“D’accordo, come ti pare. Vieni con me, ha detto che voleva parlarti
appena tu ti fossi svegliata, comunque” rispose. Lisa scosse la testa.
“Ti sembro nelle condizioni di muovermi?” ribatté, indicandosi la
gamba.
“Fossi in te tirerei meno la corda. Mi sembra che passare del tempo con
quella gente ti abbia risvegliato un’arroganza che non ti porterà da punte
parti. Devo ricordarti che abbiamo Logan?”
“Non sto tirando troppo la corda, sto dicendo un dato di fatto. Non
posso camminare” sostenne il suo sguardo cercando di apparire meno aggressiva
di come si sentiva. Alla fine, lui si
arrese.
“D’accordo, come ti pare. Aspetta qui” accettò. Scomparve in uno dei
cubicoli della grotta, lasciandola sola. Lisa attese che il suono dei suoi
passi scomparve, poi si precipitò dal professore, cercando di non fare caso al
dolore.
“Maledizione, non avrebbero dovuto imprigionarla! Non era questo il
piano” sussurrò, osservando le manette. In quel momento l’uomo mugolò e aprì
gli occhi.
“Dove sono?” chiese.
“Non fare confusione, altrimenti ci sentiranno. Qui rimbomba anche il
minimo rumore e si sente qualsiasi cosa da fuori” lo istruì la ragazza,
continuando ad armeggiare con la serratura.
“Lisa? Ma cosa… che succede?” domandò, recuperando la sua lucidità.
“Siamo prigionieri dell’Occhio di Venere. Almeno, lei lo è, io no. Mi
dispiace, non volevo che arrivassimo fino a questo punto, non credevo che
l’avrebbero incatenata al muro. Sono una frana se si tratta di ideare piani,
io…”
“Lo so” la interruppe, sorridendole incoraggiante. La ragazza lo guardò
confusa.
“In che senso?” s’informò.
“Ho letto la tua lettera, sul treno. So già tutto” spiegò, arrossendo
leggermente.
“Avevo espressamente detto che andava aperta solo al momento opportuno”
lo sgridò, tornando alle manette.
“Quello era il momento opportuno, a mio avviso” fece presente. Lei
scosse la testa, sconsolata.
“Discutere di qualsiasi cosa con te è pressoché inutile, quindi non mi
ci impegno nemmeno. Adesso apro questi cosi, ma devo chiederti di rimanere qua
finché non avrò liberato Logan. Non so dove sia, ho bisogno di tempo, inoltre,
se Zeus vedesse che te ne sei andato, non ti darebbe più tregua. Dopo
andatevene, tutti e tre: prendi Flora e Luke e vai via di qui, torna a Londra e
cerca di dimenticarti qualsiasi cosa sulla spilla” ordinò.
“Lisa…”
“Ah, e dimenticatevi… dimenticatevi di me, per favore. Io rimarrò qua,
devo proteggere ciò che mi è caro anche a costo della vita”
“Lisa…”
“Anche se questo mi fa male, voi dovete…”
“LISA!” la chiamò Layton. Lei si immobilizzò.
“Sì?”
“Ti dirò due cose: la prima, le manette sono aperte” iniziò. La ragazza
tolse le mani dalle catene e vide che aveva ragione.
“Oh, è vero” commentò.
“La seconda: non abbiamo intenzione di abbandonarti” concluse,
abbracciandola di slancio. Quel gesto improvviso tolse il respiro a Lisa, che
sentì il calore invaderle tutto il corpo.
“N-non mi pare il caso di…”
“Senti, farò come mi hai detto solo a metà, va bene? Non ti lasceremo
qua, ti daremo una mano”
“No, non voglio. Questa è la mia lotta” ribatté lei, cercando di
scostarsi. La fece spostare solo di qualche centimetro.
“Io devo dirti una cosa” ammise infine, guardandola intensamente.
“Sì?”
Si sentì un rumore di passi rimbombare nella grotta, e entrambi
sobbalzarono.
“Dannazione, rimettiti al muro e chiudi gli occhi. Io li terrò occupati
per un po’” ordinò, zoppicando verso il lato opposto della grotta.
Fecero appena in tempo a riposizionarsi, che lui tornò, seguito dall’uomo in maschera che aveva fatto da tutore
a Lisa per tanto tempo. Il solo vederlo le fece crescere dentro una rabbia
gigantesca.
“Bentornata a casa, piccola Lisa” la salutò sorridendo.
“Questa non è più casa mia” ribatté arrabbiata.
“Comunque bentornata. Cosa ne dici, ti piace il posto in cui ho deciso
di portare a termine il mio piano?” le domandò.
“No, affatto. Mi pare una cosa sadica e senza senso” quell’uomo rise e
le si avvicinò.
“Non importa. Adesso ti starai chiedendo quando ti farò vedere Logan,
giusto?” suppose.
“Bravo, sei arguto. Dov’è mio fratello?”
Lui si mise a passeggiare su e giù per la grotta.
“Ti ricordi la prima volta che sei venuta qui?” domandò, invece di
risponderle.
“Certo che me la ricordo, mi avete rovinato la vita” rispose velenosa.
“Noi? Sei tu che ti sei fatta scoprire. Pensa un po’, se tu non fossi
inciampata in quel sasso, non avremmo mai saputo che tu e Logan eravate là a
spiarci e i tuoi non sarebbero mai spariti. Le casualità della vita, non
trovi?” si prese gioco di lei. Quello fu un colpo difficile da ammortizzare e
Lisa chiuse gli occhi, sperando di fermare le lacrime.
“Siete degli schifosi, ma tu sai già cosa penso di te, Zeus” commentò
la ragazza.
“Sì, lo so” ammise lui. Si avvicinò a Layton, osservandolo colpito.
“Me lo ricordavo più giovane, più… diverso. Quando venne dai tuoi
genitori, quattordici anni fa, non portava la tuba e non aveva
quest’impermeabile marrone. Era vestito sempre di rosso, all’epoca” ricordò.
“Ma sicuramente è lui. Non dimenticherò mai il suo viso” disse poi,
sorridendo.
“Sai, devo ringraziarti per averlo portato qua. Quando ci siamo resi
conto che ti eri innamorata di lui, abbiamo temuto che ci lasciassi e invece il
tuo amore per Logan ha superato quello per il professore” le raccontò. Distolse
lo sguardo da Layton e lo puntò di nuovo su Lisa, che era rimasta ferma a
fissarlo.
“Voglio. Vedere. Mio. Fratello” scandì, iniziando a sudare freddo. Se
tergiversava così, significava che era successo qualcosa a Logan.
“Ogni cosa a suo tempo. Adesso aspetterai con noi che lui si risvegli,
poi, quando ci dirà dove si trova la spilla, andrai a prenderla” le rispose,
sedendosi su una roccia.
Solo a quel punto la ragazza capì: non aveva mai avuto intenzione di
restituirle suo fratello. Avrebbe continuato a ricattarla fin quando non fosse
stata inutile e, a quel punto, l’avrebbe uccisa. Forse il piano di far fuggire
almeno loro servendosi di sé stessa come esca non poteva riuscirle, in fondo.
Sentì il mugolio del professore e alzò lo sguardo per vederlo: anche
attraverso le lacrime gli sembrava bellissimo.
“Buongiorno, Hershel Layton! Finalmente ti sei svegliato” commentò
Zeus, sorridendo.
“Chi sei tu?” domandò lui, ancora intorpidito. Lisa considerò quanto
bravo fosse a mentire.
“Mi chiamo Zeus, sono a capo dell’Occhio di Venere. Hai già sentito
parlare di noi, credo” rispose, andandogli incontro.
“Sì, siete gli stessi che hanno ucciso i genitori di Lisa quattordici anni
fa”
“Bravo, vedo che sei ancora molto intelligente. Sai dirmi anche perché
sei qui?”
“Tu vuoi la spilla, giusto?”
“Esattamente”
“Io non ce l’ho e non so dove sia” negò l’uomo, scuotendo la testa.
Zeus strinse le labbra e lo guardò male.
“Sì che lo sai. Conosco la storia, so cosa vi siete detti prima che i
genitori di Lisa morissero e so che ti ha dato l’ubicazione della spilla. Era
nella sua lettera!” ribatté infuriato.
“Di quale lettera stai parlando? Io non ho nessuna lettera” si stupì
Layton, sinceramente confuso.
“NON MENTIRE! Sua madre ti ha spedito una lettera rosa, prima di
andarsene! Lì sopra c’era scritta l’ubicazione della spilla” gridò. Il
professore ricordò quella lettera, ma non era lui ad averla. Incrociò per un
istante gli occhi spaesati di Lisa: era più stupita di lui e comprese che non
ne sapeva niente. Quel foglio che le aveva trovato qualche tempo prima le era
caro per altri motivi, ma non aveva idea di ciò che c’era scritto sopra.
“D’accordo, ammettiamo che tu abbia ragione. Posso darti la lettera se
liberi Lisa e Logan” propose. Zeus lo guardò, pensandoci.
“Va bene, li libererò. Prima, però, tu dimmi dove è la spilla” accettò.
“Devi togliermi le manette, altrimenti non posso aiutarti” gli fece
presente. In un momento in cui non l’aveva visto, le aveva richiuse per fare in
modo che la ragazza non passasse guai.
Lui aprì le catene, lasciandolo libero, poi si allontanò.
“Forza, mio caro Layton. Parlami della spilla” lo spronò. Il professore
si mise una mano sotto al mento e si mise a camminare per la grotta. Si
avvicinò a Lisa e, senza farsi vedere, le tese una mano aperta per farsi
passare il foglio.
“La verità è che io non ho mai decodificato le coordinate del luogo in
cui si trova la spilla. Non ho mai pensato che in quella lettera ci fosse
scritto qualcosa di importante, così non ho fatto molta attenzione al
contenuto, quindi mi ci vorrà un po’ per capirne il senso” ammise.
“Ti do dieci minuti, poi la ragazza scomparirà” concesse Zeus.
Layton si sentì messo alle strette, ma non si perdette d’animo e iniziò
a ragionare. Aprì il foglio che Lisa gli aveva appena passato e si mise a
studiarlo, concentrandosi più che poteva per capire ciò che c’era scritto. In
verità, nemmeno per lui era semplice, ma se voleva salvarla doveva collaborare.
Per ora.
“Cinque minuti” disse Zeus, controllando l’orologio.
Dove si tiene una spilla? È piccola, sta in un palmo di mano, quindi
può essere nascosta ovunque. Il fatto stava nel capire quanto fosse grande.
Poteva essere grossa come una targhetta o minuscola come un ciondolo.
Come un ciondolo… a quel punto, Layton comprese.
“Trenta secondi”
La risposta gli era sempre stata davanti, ma il problema era riuscire a
salvarla rivelando l’ubicazione del gioiello. Doveva farcela.
“Tempo scaduto, professore. Allora, dove si trova?” gli chiese l’uomo,
ghignando.
Layton guardò Lisa, stupito di non essersene accorto prima. Era chiaro
come il sole, era sempre stato evidente, ma la sua cecità non gli aveva
rivelato la verità.
“Tua madre è stata molto furba, sai? Non avevo capito fin da subito
l’ubicazione della spilla, ma devo ammettere che era logico che l’avesse
nascosta nel luogo che più le stava a cuore” iniziò a spiegare, sorridendo.
Zeus rise e si mise comodo.
“Sapevo che utilizzare te mi sarebbe tornato utile. Forza, consegnami
quell’oggetto” disse maligno.
“Prima di svelarvi il mistero, voglio che tutti quanti leggiate questa
lettera. So che può sembrare una perdita di tempo, ma è tutto scritto qua”
rispose, passando il foglio alla ragazza.
“Puoi pensarci tu, per favore?” le chiese, facendole capire con gli
occhi che aveva la situazione sotto controllo. Lei annuì e afferrò quel pezzo
di carta che negli ultimi quattordici anni le aveva tenuto compagnia mentre
piangeva, da sola, la sera. Le tremava un po’ la voce per l’emozione, ma cercò
di non cedere alle lacrime.
“Scusami se ti disturbo proprio
adesso, so che sei impegnato e mi rendo conto che non mi devi niente. Tu e mio
marito siete sempre stati ottimi amici e, adesso che siamo entrambi in pericolo
di vita, ho bisogno del tuo aiuto. Quando sei venuto da noi ti abbiamo parlato
della Spilla di Venere, ricordi? Ti avevamo detto che non ne conoscevamo
l’ubicazione ma che dovevamo scoprirne di più a causa della setta dell’Occhio
di Venere. Beh, siamo riusciti a saperne un po’ di più, anche se non voglio
rivelarti qui dove si trova quell’oggetto. La verità è che i membri dell’Occhio
ci hanno scoperto. So per certo che conoscono la nostra identità e che anche
Lisa e Logan stanno rischiando a causa delle nostre investigazioni, ma non è
giusto che continuino a fare come vogliono, mettendo in pericolo la vita di
persone innocenti, solo per i propri fini. È per questo che ti chiedo, ti
imploro di proteggere i miei due bambini. Lisa è una ragazza impulsiva e le
piace esplorare le grotte, per questo sono preoccupata. Prima o poi
utilizzeranno la sua curiosità per avvicinarla, ne sono sicura.
Passando alle informazioni sulla
spilla, devi sapere che l’enigma che abbiamo trovato nella grotta chi è piuttosto chiaro. Sono sicura che anche
tu capirai la soluzione non appena leggerai queste parole e sono certa che tu
sia la persona migliore che esista per mantenere questo segreto.
Sai, anche se Venere era una Dea
molto impulsiva e libera da schemi e regole, era sempre la dea della bellezza e
madre di Cupido, il dio dell’amore. Dentro di lei scorreva il sangue di un
genitore e di un figlio, così nella sua spilla non c’era solo acqua di mare, ma
anche i suoi sentimenti di affetto per il padre, la madre e per il suo bambino.
Quando nacque Cupido, regalò a lui il gioiello, nella speranza che gli
ricordasse per sempre il bene e l’amore che sua madre provava per lui. La
soluzione sta vicino al cuore.
Adesso devo andare, mio marito
non sa che ti sto scrivendo, né voglio che lo venga a sapere. Spero che questa
lettera ti arrivi prima che sia troppo tardi. Ripongo in te tutta la mia
fiducia e spero che riuscirai a rendere Lisa e Logan felici quando noi non ci
saremo più. A loro va tutto il mio affetto e a te la mia riconoscenza”
La ragazza aveva letto tutto fino in fondo senza versare una lacrima.
Alla fine si strinse il foglio al petto e respirò profondamente. Adesso quelle
parole, che fino a quel momento erano state per lei incomprensibili, iniziavano
ad acquisire un senso. Non aveva mai saputo a chi fosse destinata la lettera,
non c’erano nomi o indirizzi. L’aveva trovata una mattina sopra il tavolo nella
camera dei suoi genitori e l’aveva presa, incuriosita. Quella stessa sera i
poliziotti erano andati a casa sua per dire a lei e a Logan che i signori Simon
erano scomparsi durante una gita in una delle grotte. Aveva scoperto solo dopo
che era stato l’Occhio a farli sparire e che il loro nuovo tutore, Zeus, ne era
a capo.
“Cosa diavolo significa tutto questo, Layton?” lo aggredì l’uomo,
ringhiando.
“Vedi, la signora Simon ha espresso in questa lettera tutto il suo
amore per i figli. Lei e il marito erano così preoccupati per la loro
incolumità da chiedere a me, che vivevo a migliaia di chilometri di distanza,
di prendermi cura di loro. Questo perché l’affetto che un genitore prova per i
figli è incalcolabile” iniziò a spiegare. Si avvicinò a Lisa e le fissò il
ciondolo che aveva al collo.
“Dice anche che Venere regalò la spilla a Cupido, suo figlio, proprio
per dimostrargli il suo amore. Questo non ti dice niente?” domandò a Zeus,
serio. Lui rimase folgorato da quella rivelazione e fissò a sua volta la
ragazza, che iniziò a sentirsi a disagio.
“Esatto, vedo che hai capito. La Spilla di Venere altro non è se non un
regalo pieno di amore. I signori Simon avevano trovato il gioiello e, senza
sapere come fare per nasconderlo, l’hanno dato alla persona per il quale
provavano più affetto” spiegò.
“Sua figlia” esultò l’uomo, avvicinandosi a lei.
Lisa si guardò il ciondolo: era un semplice cuore che sua madre le
aveva dato un paio di giorni prima della sua scomparsa. Era piccolo, con una
catenina molto lunga.
“La soluzione sta vicino al cuore. La corda di questa collana pende
vicino al cuore” le disse, sorridendole.
“Mamma” sussurrò la ragazza, accarezzandosi il pendente. Aveva riposto
in lei il segreto della spilla, aveva voluto regalarle quel simbolo di amore
materno anche a costo della propria vita. Si mise a piangere.
“Già” concluse Layton. Zeus sbuffò, stanco di tutti quei
sentimentalismi, e strattonò la ragazza per un polso, avvicinandosela.
“Dammi quella spilla!” esclamò, cercando di strapparle la catenina dal
collo.
“No! Non voglio!” si ribellò Lisa, lottando con tutte le forze. Il
professore cercò di avvicinarsi a lei per proteggerla, ma lui si mise in mezzo, impedendogli di muoversi.
“Mi dispiace, ma quell’oggetto ci serve” si scusò, sorridendo.
“Fermo, è mio! Non puoi averlo!” continuava a gridare la ragazza,
sperando di riuscire ad evitare che lo rompesse.
“Stai zitta, stupida! Tu non capisci, nessuno capisce! Mi serve!” urlò
Zeus. Si attaccò al ciondolo e lo tirò verso di sé. La catenina si ruppe,
scivolando via dal collo di lei.
“NO!” esclamò, cercando di recuperarlo. Ma era troppo tardi, ormai
l’uomo si era allontanato di qualche passo.
Guardò l’oggetto che aveva in mano con sguardo sorpreso e sollevato.
“Finalmente è mio. Finalmente potrò controllare la vita e la morte!”
esultò. Si voltò verso l’uscita, correndo via.
“Vieni con me, mi servi” gridò a lui.
Come ipnotizzato, il ragazzo lasciò andare Layton e lo seguì. Come ipnotizzato…
“Lisa, come si chiama quel ragazzo?” domandò il professore. Non ebbe
risposta e si voltò verso di lei: era inginocchiata a terra, la gamba ferita si
era arrossata e gonfiata, e tremava.
“Mamma... Mamma…” continuava a ripetere, come in trance. Si toccava il
collo nudo e aveva gli occhi vacui.
“Lisa? Lisa!” la chiamò di nuovo, ma lei non rispose. Era sotto shock.
“Dannazione, abbiamo bisogno di aiuto” ragionò, inginocchiandosi vicino
a lei. Le sfiorò una spalla, ma non parve sentirlo. Semplicemente continuò a
ripetere “mamma” come un’automa.
“Siamo qui, professore. Abbiamo fatto come ci ha chiesto, abbiamo
attaccato una cimice al mantello di quell’uomo prima che se ne andasse. Ma qua
che cosa è successo?” chiese Luke, apparendo da dietro un pilastro.
“Le domande a dopo, ragazzo mio. Dobbiamo riportarla in albergo, ha
bisogno di riposarsi”
Dopo una ventina di minuti, davanti a una tazza di tè caldo, Lisa si
sentì meglio. Aveva ancora la testa annebbiata, ma adesso riusciva a
comprendere ciò che le succedeva intorno.
“D’accordo, penso che adesso abbiamo bisogno di una spiegazione
generale. Mi sembra d’obbligo anche per Luke e Flora, che ne pensi?” le propose
Layton, incrociando le braccia. Lei annuì.
“Sì, delle spiegazioni e… e le mie scuse” ammise.
“Spiegazioni? Scuse? Ma di che state parlando?” domandò Flora, confusa.
“Stiamo parlando del fatto che io ho lavorato con l’Occhio per tutto
questo tempo” le rispose la ragazza, intristendosi.
“COSA?!” esclamarono i due ragazzini, strabuzzando gli occhi.
“Aspettate, fatela parlare” lo ammonì il professore, severo.
“Quattordici anni fa io ero solo una bambina, ancora. Avevo quindici
anni e non mi rendevo conto di ciò che mi succedeva intorno. Da un po’ di tempo
i miei genitori erano diventati più protettivi con me e con mio fratello Logan.
Se prima avevamo la libertà di esplorare le grotte e di divertirci sulla
spiaggia, adesso ci proibivano quasi di uscire di casa. Non capivo questo loro
comportamento e, da adolescente qual ero, non volli dare loro ascolto. Così,
una sera, io e mio fratello uscimmo e decidemmo di fare un’esplorazione
notturna della grotta chi. Poco prima
di entrare nella caverna, sentimmo delle voci. Incuriositi, ci avvicinammo e
vedemmo degli uomini, saranno stati cinque o sei, che stavano minacciando con
un coltello due prigionieri. Sono sempre stata un’imbranata e la paura, quella
sera, mi fece lo sgambetto: mentre cercavamo di arretrare di soppiatto,
inciampai in una roccia, cadendo e facendo rumore. Quelle persone ci sentirono
e si avvicinarono, ma noi fummo più veloci e scappammo via. Ci riconobbero. Io
e Logan promettemmo di non parlarne con mamma e papà, altrimenti ci avrebbero
punito a vita, ma fu un errore: un paio di giorni dopo i nostri genitori
morirono in un incidente” iniziò a raccontare. Si alzò e si mise alla finestra
a fissare il mare.
“Ero distrutta. Eravamo rimasti soli così piccoli. Non potevamo
cavarcela, per legge eravamo ancora minorenni, così fummo affidati ai servizi
sociali. Alla fine qualcuno venne ad adottarci, tutti e due. Ero così felice di
non dovermi separare da mio fratello che non notai lo sguardo che l’uomo ci
lanciò, ma una volta a casa fu chiaro come mai aveva adottato la coppia: era il
capo delle persone che avevamo visto nella grotta. Ricordo ancora come la paura
mi paralizzò quando compresi in che mani fossimo finiti e la consapevolezza del
fatto che ci avevano rapiti per causa mia mi fece immobilizzare. Fu lì che
cominciai a parlare poco e, quel poco che dicevo, lo balbettavo. Furono anni
tremendi: andavamo a scuola e al ritorno eravamo costretti a studiare
archeologia e mitologia greca per aiutare l’Occhio nei suoi scopi. Ma questo,
in fondo, non mi spaventava” ammise sorridendo amaramente.
“Avevo sedici anni, nel giro di soli ventiquattro mesi sarei stata
maggiorenne. Logan se ne sarebbe andato anche prima, così saremmo tornati
liberi entro pochissimo tempo. Che illusa” si disse.
“Non appena mio fratello divenne autonomo per la legge, scomparve. Una
mattina mi svegliai e non era nel suo letto. Zeus venne da me, sorridendo malvagio,
per dirmi che l’avevano portato in un posto consono al suo scopo. L’ansia, la
paura, l’angoscia che provai quel giorno mi paralizzarono: stetti due ore in
stato catatonico a fissare fuori dalla finestra, sperando di vederlo tornare.
Ma non arrivò, né quel giorno né quelli successivi. Zeus continuava a ripetermi
che, se fossi stata brava, prima o poi Logan sarebbe tornato da me, che
l’avrebbe liberato. Alla fine, accettai di collaborare” sospirò.
“Mi parlò della spilla, un oggetto magico capace di riportare in vita i
morti e di dare la morte ai vivi. Era una follia, pensai, una pura follia.
Nessuno può controllare la vita e la morte, è da pazzi, ma loro non la
pensavano così. Fu in quei mesi che arrivò lui:
non sapevo come si chiamava, era lì per controllarmi. Mi stava appresso, mi
controllava ogni volta che mi spostavo anche solo dal salotto alla cucina, per
essere sicuri che non fuggissi. Zeus mi spiegò come avrei dovuto fare per
trovare la spilla: un uomo, che anni addietro era venuto da noi per parlare con
i miei di quel gioiello, aveva le risposte che stavamo cercando. Si chiamava
Hershel Layton ed insegnava alla Gressenheller University a Londra. Tutto
questo è accaduto circa dieci anni fa. A quel punto ho dovuto fare un corso
intensivo di inglese: per tre anni ho studiato la lingua in modo ossessivo.
Secondo loro dovevo essere perfetta, non dovevo sbagliare nemmeno un vocabolo
per poter studiare e laurearmi col massimo dei voti. Una volta finiti i corsi,
loro avrebbero pensato a farmi diventare l’assistente del professore” raccontò.
Si voltò a guardarli.
“Ma col tempo i membri dell’occhio si sono diradati. Da sei rimasero
solo due, Zeus e lui. Nonostante
questo, il loro piano malato e folle non si fermò e, sotto il ricatto di Logan,
fui costretta a continuare a stare ai loro comandi. Così, sei anni fa, mi sono
iscritta alla Gressenheller e l’anno scorso mi sono laureata col massimo dei
voti” concluse.
“Il resto lo sapete: sono riusciti davvero a farmi avere il posto di
assistente del professore ed io sono qui con voi adesso solo a causa loro. Come
sen on bastasse hanno trovato ciò che cercavano” disse arrabbiata.
“Lisa, non è colpa tua” la consolò Layton, serio.
“Sì che lo è. Non avrei mai dovuto dare loro retta, era chiaro sin
dall’inizio che mio fratello non sarebbe stato lasciato libero. Adesso che
hanno la spilla lo uccideranno… sempre ammesso che sia ancora vivo” ragionò
disperata.
Si sedette sfinita e li guardò: Luke sembrava infuriato e Flora
orripilata. Si sentiva un verme e si preparò ai loro attacchi.
“Che crudeli che sono stati! Ricattarti per farti stare ai loro ordini!
Sono dei viscidi” esclamò la ragazza.
“Giusto! Dobbiamo fermarli a tutti i costi e liberare tuo fratello”
annuì l’altro. Il professore sorrise.
“Sono d’accordo, dobbiamo andare da loro. Luke, hai dietro il monitor
con su segnate le loro coordinate?” domandò.
“Certo! Sono ancora sulla spiaggia, vede?” rispose il ragazzino,
sorridendo. Lisa era stupita: davvero volevano mettersi contro l’occhio? Era da
matti! Lei certo non aveva niente da perdere, ma loro… prese una decisione in
modo veloce.
“Scusatemi, esco un secondo di qui” disse, alzandosi dal tavolo.
Entrò in corridoio e si voltò verso la porta: aveva le chiavi della
stanza in tasca.
“Scusatemi” sussurrò, dispiaciuta. Fece fare alla chiave due giri e poi
se ne andò correndo. Non era una battaglia che loro tre dovevano combattere.
“Cos’è stato quel rumore?” chiese Flora, guardandosi intorno.
“Di che rumore parli?” s’informò Luke, senza capire.
“Ho sentito come una chiave che girava” spiegò la ragazzina confusa. Layton si sentì gelare.
“No…” sussurrò, alzandosi da tavolo. Andò alla porta e cercò di
aprirla: chiusa.
“Che succede, professore?” domandò il più piccolo.
“Ci ha chiusi dentro” rispose, appoggiando un pugno chiuso al legno
freddo dell’uscio.
“Che cosa? Come ha potuto?” s’infervorò subito il ragazzino.
“Luke, cosa ti dico sempre? Devi stare calmo. Probabilmente avrà
pensato che questa fosse solo una questione sua e non ci ha voluti mettere in
pericolo” gli spiegò l’uomo. Mantenne una certa calma, visto da fuori, ma
all’internò si sentiva terribilmente arrabbiato: non doveva lasciarlo così.
“Mi scusi professore, ha ragione. Come facciamo a uscire?” gli chiese,
avvicinandosi. Anche Flora si accostò a loro.
“Dobbiamo trovare qualcosa che funga da grimaldello. Avete qualche
idea?”
Si guardarono tutti intorno nella speranza di avere un qualche oggetto
in camera da poter usare, ma non videro niente.
“Forse un paio di forbici. Potrebbero andare?” propose Luke.
“Sì, andrebbero bene, ma non ne abbiamo. Temo che esista solo una
possibilità” ragionò Layton. Stava fissando la
finestra già da un po’ e la sua testa aveva già elaborato un piano. Il problema
stava nell’attuarlo.
“Ci dica, professore!” esclamò Flora.
Senza proferire parola, l’uomo si avvicinò al davanzale: erano solo al
primo piano, potevano farcela.
“Voi due soffrite di vertigini?”
Lisa sapeva che il rito con la Spilla andava fatto nella grotta chi. Era lì che loro si ritrovavano
sempre, quindi era lì che sarebbero stati.
Arrivò di fronte all’entrata e sentì le loro voci. Il suo cuore si mise
a battere all’impazzata e la paura la paralizzò per un istante: essere lì da
sola non la aiutava.
“Metti quel pezzo nell’incavatura tonda, poi siamo apposto” udì.
Avevano quasi finito, doveva fermarli finché era in tempo.
Entrò nella grotta facendo meno rumore possibile.
“Così va bene, Zeus?” chiese lui.
“Perfetto. Adesso siamo pronti” rispose l’uomo, soddisfatto. Al
contrario di prima, adesso una specie di teca di cristallo era stata portata al
centro dello spazio all’interno della caverna. Lisa non vide cosa c’era dentro,
ma in qualche modo se lo immaginò. E tante cose iniziarono ad avere un senso.
“Dammi la spilla” disse Zeus, parando la mano. Lui gliela passò e l’uomo la fissò.
“Finalmente… finalmente questo momento è arrivato. Oh, Crystal, alla
fine potremo di nuovo stare insieme” sussurrò. La ragazza si sentì rabbrividire
e si avvicinò rimanendo bassa.
“E adesso, che anche gli Dei si prostrino ai miei piedi! Ecco a voi, il
miracolo della resurrezione!” esclamò, alzando la spilla davanti ai suoi occhi
e infilandola, poi, dentro una cavità nella roccia.
Lisa trattenne il fiato e si rese conto di dover essere più svelta.
“Accendi il macchinario” ordinò Zeus. Lui ubbidì e premette un pulsante. Ma la ragazza riuscì ad arrivare
al filo elettrico prima di lui, staccandolo dalla spina.
Sospirò soddisfatta quando la macchina non partì e cercò di
allontanarsi di lì senza fare rumore.
“Cosa succede? Perché non funziona?” esclamò l’uomo, arrabbiato.
“Non lo so, qui è tutto a posto” rispose il ragazzo, confuso. Lo spostò
in malo modo e premette di nuovo il pulsante, senza sortire nessun effetto.
“Non è possibile che non funzioni!” ringhiò, infuriato.
Distratta da quei discorsi, Lisa mise un piede in fallo, scivolando.
Quel rumore fece voltare sia Zeus che lui.
“TU!” gridò l’uomo, avvicinandosi minaccioso. Lei indietreggiò fino
alla parete, sentendosi messa alle strette.
“Che cosa hai fatto alla mia macchina?!” le domandò, prendendola per il
bavero della maglietta e tirandola su. La ragazza sentì un dolore lancinante
alla gola dove le sue dita premevano e il fiato iniziò a mancarle nei polmoni.
“Rispondimi!” le intimò, sbattendola con la schiena alla roccia.
Le lacrime annebbiarono la sua vista e la voce non usciva.
“Io ti ammazzo. Sì, io ti ammazzo” decise, stringendo la mano sul suo
collo. “Dio mio, mi sta strozzando!” pensò disperata. Guardò lui in cerca di aiuto, ma comprese
subito che non le sarebbe servito a niente: stava lì, fermo, a guardarla come
se non la vedesse.
Per un attimo rimpianse di non aver aspettato Layton,
Luke e Flora. Forse, con loro vicini, non l’avrebbe uccisa. Chiuse gli occhi.
“Lisa, verrà un giorno in cui noi
due non potremo più stare insieme, lo sai?”
“Sì, lo so. Ma non voglio
pensarci ora”
“Invece dobbiamo pensarci adesso.
Tra una settimana io compirò diciotto anni e potrò andarmene di qui. Se
riuscirò ad adottarti legalmente, ti prometto che ti porterò via e ti darò una
vita migliore”
“Logan…”
“Però, nel frattempo,noi staremo separati. I servizi sociali mi
hanno già convocato per il colloquio, quindi voglio lasciarti una cosa. Ti
ricordi quanto ti piaceva il mio bracciale, quando eravamo piccoli?”
“Sì, quello di pelle marrone.
Profumava di te e quando non c’eri perché andavi con papà a pesca lo tenevo in
mano finché non dormivo. Perché?”
“Tienilo tu, ok? Fin quando non
ci rivedremo, non togliertelo mai. Io, anche tra trent’anni, lo vedrò e ti
riconoscerò”
“Ma, Logan è tuo… non posso…”
“Invece sì, devi. Prendilo e
tienilo sempre con te, così mi penserai”
“Logan, ti voglio bene”
“Non piangere, Lisa. Anche io te
ne voglio”
Perché proprio adesso le veniva in mente quel discorso? Era avvenuto
anni addietro, non si ricordava nemmeno più quando di preciso, eppure era un
ricordo tornato prepotentemente nella sua mente. Strano, quel braccialetto non
lo aveva nemmeno più. Lo aveva perso in casa, un giorno, e non lo aveva più
ritrovato.
“L-Logan…” sussurrò, cercando di staccare le mani di Zeus dalla sua
gola.
“Stai zitta, maledetta. Per colpa tua la mia macchina non funziona!”
urlò l’uomo, stringendo ancora di più.
“Ggh…” mugolò. Era finita davvero?
“LISA!” si sentì chiamare dalla voce più bella che in quel momento
potesse chiamarla.
Fu strattonata e le dita che poco prima erano chiuse sul suo collo si
aprirono. Le graffiarono la pelle, ma non le interessava: adesso poteva respirare
di nuovo.
Un braccio le stringeva la vita mentre l’aria le passava sul volto. Che
stava succedendo? Aprì gli occhi, ritrovandosi a circa due metri da terra.
“C-che succede?” domandò con voce roca.
Fu posta a terra, con la testa che girava vorticosamente a causa della
prolungata apnea. Era come se fosse rimasta sott’acqua per tanto tempo.
“Come ti senti, Lisa?” le domandò Flora, andandole vicino.
“S-sto bene” rispose, sorridendo. I graffi le bruciarono, facendola
gemere.
“Tenetela qui, io vado da Zeus” disse il professore. La ragazza lo
fermò, tenendolo per un lembo della camicia.
“Che succede? Non ti senti bene?” le chiese preoccupato.
“No, ora sto bene. Ma voglio venire anche io” disse, cercando di
sedersi.
“Non mi sembra il caso. Sei debole” protestò Layton.
“No, sto benissimo. Voglio solo aiutarti” ribatté, alzandosi sulle
gambe.
“Lisa…” disse, contrariato.
“No, Hershel. Questa storia mi riguarda” lo
zittì. I suoi occhi erano più che eloquenti e il professore capì che non
l’avrebbe convinta a stare lì.
“Va bene, vieni con me. Luke, Flora, voi sapete cosa fare, vero?”
chiese ai ragazzi. Loro annuirono seri.
“Bene. Allora andiamo” decise. Porse una mano a Lisa, che l’afferrò.
“Sei pronta?” domandò. Lei annuì, poi si guardò intorno: erano su un
piano rialzato rispetto alla base della grotta.
“Aspetta, come siamo arrivati qui?” s’informò.
“Volando” le rispose.
“Volando?!” esclamò, impaurita. Solo a quel punto notò una corda che
pendeva dal soffitto e alla quale l’uomo era aggrappato.
“Mi hai portata via in stile Tarzan?” squittì.
“Quante storie” considerò Layton.
“Ok, hai ragione. Ora sono pronta!” annunciò. L’uomo la strinse a sé,
prendendola per la vita.
“Andiamo”
Si buttò nel vuoto e Lisa sentì il cuore passarle direttamente in gola,
ma saperlo accanto a sé che la stringeva la fece sentire protetta.
“Zeus, quassù!” lo chiamò. Lui alzò gli occhi e la vide arrivare solo
un secondo prima che lei si staccasse dal professore, scivolandogli via dalle
braccia e atterrando sopra l’uomo. Sentì le mani scontrarsi contro la roccia, e
il bruciore la fece quasi piangere.
“Quella è matta” esclamò il professore, tenendosi la tuba. Si appoggiò
ad un sasso, fermandosi sulle punte dei piedi ma riuscendo a mantenere
l’equilibrio perfettamente.
“Maledetta! Tu hai rotto la mia macchina!” gridò Zeus, cercando di
togliersela di dosso.
“Tu hai ucciso i miei genitori!” ribatté Lisa, stringendo le gambe per
tenerlo fermo e bloccandogli i polsi. Aveva gli occhi infiammati, ma si
trattenne.
“Perché? Adesso voglio sapere perché!” gli chiese.
“Non te lo dico!” si rifiutò l’uomo. Lei gli tirò uno schiaffo,
piangendo.
“Voglio sapere cosa ti abbiamo fatto! Perché ti sei accanito su di noi,
perché hai ucciso i miei genitori e… e mio fratello? Cosa vuoi da me?!” urlò.
“Io non ho ucciso tuo fratello” negò Zeus.
“E ALLORA DOV’ È?” gridò.
“Lisa, lui è sempre stato qui” la chiamò Layton,
togliendola gentilmente da sopra di lui.
“Lasciami! Voglio sapere! Voglio delle spiegazioni!” si ribellò. L’uomo
a terra, la fissò con odio.
“Sei una stupida! Potevamo resuscitare tutti quanti, se tu non avessi
tagliato quel filo!” le disse. Lei cercò di liberarsi dalla stretta del
professore e lo fulminò.
“Non si può! Non hai ancora capito? Quella macchina non avrebbe
funzionato nemmeno se il filo fosse stato inserito! I morti sono morti, non
possiamo toglierli al loro destino!” lo contraddisse. Layton
trattenne il fiato: erano le stesse parole che aveva detto Claire.
“Sì, possiamo… noi possiamo…” iniziò a ripetere Zeus, inginocchiandosi
vicino alla bara.
“Vero che possiamo, Crystal? Diglielo tu, riapri gli occhi… Crystal…”
A quella scena Lisa si tranquillizzò: nello sguardo di quell’uomo
c’erano dolore e sofferenza. Perché adesso provava pietà?
“Crystal, svegliati, forza. Non puoi dormire per sempre…” continuava a dire.
“Che sta succedendo, Hershel?” chiese la
ragazza.
“Questa non è la storia di un mostro, Lisa. Questa è la storia di un
marito straziato dal dolore”
“Quella dentro la teca è la moglie di Zeus. Ventidue anni fa è morta
per colpa di una malattia, lasciandolo solo. Nonostante avesse provato in mille
modi a curarla, alla fine le se n’era andata, lasciandolo so. A quel punto, lui
è impazzito di dolore. Questa specie di bara di vetro è una vasca di
contenimento: dentro la temperatura è molto fredda, così i corpi si conservano
anche dopo molto tempo per il principio di congelamento” iniziò a spiegare
Layton.
“Da quel giorno, ha iniziato a cercare un modo per far tornare in vita
Crystal. Fu a quel punto che incappò nella leggenda della Spilla di Venere.
Quell’idea iniziò a torturarlo giorno e notte, facendolo quasi ammattire, fin
quando, un giorno, decise che l’avrebbe trovata a tutti i costi” raccontò.
Zeus, che era rimasto zitto, annuì sconsolato.
“La mia Crystal. Avevo trovato il modo di farla tornare in vita e tu me
l’hai portato via!” accusò Lisa. La ragazza si sentì in colpa solo per un
istante, ma sorresse il suo sguardo.
“Se ci fosse il modo di far tornare vivi i morti, il mondo sarebbe un
caos totale! E tu, per seguire un’idea utopica, hai ucciso tutta la mia
famiglia!”
“No, non tutta” la contraddisse Layton. La ragazza lo guardò
stralunata.
“C-che significa?” chiese.
“Zeus, dov’è Logan?” interrogò l’uomo. Lui non rispose, ma i suoi occhi
andarono in direzione di lui. In
tutto quel tempo il ragazzo era stato immobile a fissare un punto sulla parete,
senza dare segno di comprendere ciò che gli capitava intorno.
“Come pensavo” annuì il professore.
“Ma di che parli?”
“Lisa, tu hai un modo per riconoscere tuo fratello?” le domandò.
“Beh, sì. Mi aveva dato un braccialetto, poco prima di separarci, che
avrebbe utilizzato per ritrovarmi, diceva lui” rispose confusa.
“Come quello?” le indicò il polso del ragazzo. Lei seguì il suo indice
e il suo cuore si fermò un attimo: sì, era il suo bracciale.
“Logan?” chiese. Layton annuì.
“Già, proprio lui. Posso dedurre che Zeus abbia utilizzato l’ipnosi per
sottometterlo al proprio volere e fare in modo di farlo agire a suo piacimento.
Colorando i suoi capelli e mettendogli un paio di lenti a contatto, Logan ha
cambiato completamente connotati, ed è diventato questo ragazzo qua. Non è
cosciente da ormai dodici anni, giusto?” domandò conferma. Zeus strinse i
pugni, arrabbiato.
“Sì, è giusto” ammise infine.
“L’unico modo che avevo per tenere Lisa con me fino alla fine era avere
suo fratello in ostaggio. Ma lui è troppo intelligente, avrebbe trovato un modo
per fuggire prima o poi, così, grazie alle mie doti ipnotiche, l’ho sottomesso
alla mia volontà. Avendolo con me, dalla mia parte, avrei potuto ricattare lei
e tenermi lui. Un giorno, però, si è risvegliato. Ha iniziato a gridare e
spaccare tutto, facendo scappare gli altri membri dell’Occhio. Hanno detto che
si stava rivelando una situazione troppo pericolosa, che non potevo andare
ancora avanti così, e se ne sono andati. Ma io non ho smesso di ipnotizzarlo,
anche dopo che aveva rubato a Lisa il bracciale. Sperava che lei capisse che le
era accanto, anche se lei non l’ha mai capito” raccontò. La ragazza si avvicinò
al fratello, accarezzandogli una guancia.
“Logan, mi senti?” lo chiamò. Lui non parve ascoltarla.
“Non ti risponderà. Finché non glielo dirò io non si risveglierà” la
informò Zeus.
“Allora diglielo!” gridò lei, infuriata. L’uomo rimase zitto a fissare
la bara.
“DILLO!” ordinò di nuovo. Layton le mise una mano sulla spalla per
farla calmare.
“Lisa, se glielo chiedi così non ti ascolterà”
“Voglio indietro mio fratello” disse lei, disperata.
“Lo so. Zeus, io posso capire il tuo dolore più di qualsiasi altra
persona. Un amore che muore è terribile, è una sofferenza che non augurerei a
nessuno, ma questa non è la prima volta che vedo qualcuno tentare di riportare
i morti alla vita. Tutte le volte le persone si sono ricredute, hanno capito
che la morte è una cosa naturale e, per quanto dolorosa, dobbiamo accettarla e
andare avanti” gli spiegò. Quelle parole, lo capiva mentre parlava, erano anche
sue. Andare avanti, darsi un’altra possibilità…
“Lo so, l’ho capito” ammise l’uomo, tristemente.
“Allora libera Logan” rispose. Lui annuì e si avvicinò al ragazzo.
“Adesso guardami” gli ordinò. Quello ubbidì.
“Svegliati” batté le mani davanti ai suoi occhi e poi si allontanò.
Per qualche secondo trattennero tutti il respiro: Luke e Flora dal
piano di sopra; Lisa e Layton da lì davanti; perfino Zeus, che non sapeva se
sarebbe funzionato.
“Ti prego, ti prego” sussurrò la ragazza, incrociando le mani in
preghiera.
Alla fine, lui sbatté le palpebre. Una… due… tre volte di seguito,
confuso.
“Dove mi trovo?” domandò spaesato. Lei si avvicinò cauta.
“Logan?” lo chiamò. “Fa che si tornato” pensò.
“Lisa? Che succede, io…” non riuscì a finire la frase, lei si gettò tra
le sue braccia piangendo.
“Logan! Logan sei tornato, sei ancora qui! Oddio, come sono felice”
esclamò. Anche lui la strinse, sorridendo.
“Te l’avevo promesso, no?” le rispose.
Layton si asciugò una lacrima che era sfuggita al suo controllo: un
gentiluomo si da sempre un tono, non può lasciarsi andare a simili
esternazioni. Sentì dal piano di sopra anche Luke e Flora piangere di gioia e
rise divertito.
“Quindi è tutto finito” comprese Zeus, accasciandosi a terra. Il
professore si avvicinò.
“Io capisco i tuoi motivi. Fidati, posso comprendere più di chiunque
altro il perché delle tue azioni. Ma arrivare ad uccidere per i tuoi scopi è
una cosa spregevole e meschina, e non credo che tu sia mai stato davvero
convinto della causa che portavi avanti. Dico bene?”
“Lo so. Ho sempre saputo che la spilla era solo una leggenda, che in
verità non aveva poteri, ma era l’unica cosa a cui potevo aggrapparmi.
Cos’altro potevo fare? La mia Crystal se n ‘era andata e con lei la mia ragione
di vivere” rispose.
Layton rimase stupito da quella confessione e delle domande iniziarono
a formarsi nella sua testa: lui voleva vivere così? Sempre col ricordo di
Claire che moriva, strappata via da un destino crudele e ingiusto? Senza mai
darsi un’altra possibilità di amare, di vivere… di svegliarsi la mattina col
sorriso? Era quella la vita che voleva?
Lisa rimase con Logan in Italia. Avevano deciso che dovevano recuperare
tutti gli anni persi, così non ripartì con il professore, Luke e Flora per
Londra.
“Mi mancherai!” la salutò il ragazzino, abbracciandola.
“Anche tu” rispose.
“Sei sicura di questa tua decisione? Puoi ancora ripensarci, magari hai
una possibilità con…”
“Flora, no, è giusto così. Devo stare accanto a mio fratello per un
po’. Prima o poi tornerò, te lo prometto” la interruppe, stringendola forte.
“Abbi cura di te” si raccomandò lasciandola. Lei annuì e si asciugò gli
occhi.
“Anche tu” ribatté, sorridendo.
Li guardò salire sul treno e poi si voltò verso il professore.
“Quindi ci siamo” disse tristemente.
“Pare proprio di sì” annuì lui.
“Allora… arrivederci” lo salutò, tendendogli la mano. Layton si stupì
di quel gesto così freddo e distaccato, ma non disse niente. Semplicemente
strinse quelle dita calde, fissandola intensamente.
“Arrivederci, Lisa. Sii felice” le augurò, salendo il primo gradino.
Lei rimase a fissarlo, sentendo che non era giusto lasciarlo andare, che
avrebbe dovuto fermarlo.
“Hershel!” lo richiamò. Lui si girò prontamente.
“Senti, nella grotta tu… tu mi hai detto che dovevi dirmi qualcosa” gli
ricordò.
“Sì, lo so” ammise.
“Cos’era?” gli chiese. L’uomo esitò un secondo di troppo: la porta del
treno si chiuse, dividendoli.
“Ehi, fermi! Non potete partire adesso!” si ribellò la ragazza,
cercando di riaprirla.
Il professore corse ad uno dei finestrini della cabina, aprendolo.
“Lisa, ascoltami noi ci ritroveremo, capito? Prima o poi tu tornerai a
Londra, o io verrò a prenderti qui, in Italia, ma ti prometto che questo non è
un addio” le gridò mentre il treno fischiava.
“Cosa volevi dirmi?” domandò di nuovo lei, mettendosi a correre per
sentire la sua risposta.
“Te lo dirò! Quando ci vedremo di nuovo, prometto che te lo dirò!”
giurò, scomparendo in lontananza. La ragazza si fermò appena prima di cadere
sui binari e lo guardò andare via.
Era come se una parte di sé si fosse appena staccata dal suo corpo e
fosse partita insieme a lui, tornando a Londra.
“Sei pronta?” gli chiese Logan quando uscì fuori, nel sole mattutino di
Roma.
“Non ne sono sicura” ammise, sedendosi. Il fratello la guardò
incuriosito.
“Che succede?” s’informò, mettendosi accanto a lei. Aveva ripreso il
colore originale dei suoi capelli e si era tolto quelle odiose lenti a
contatto. Inoltre aveva ritrovato finalmente il suo sorriso cristallino, quello
che le riservava sempre nei momenti difficili, trasmettendole quel senso di
calore e di famiglia che per tanto tempo le era mancato.
“Nulla, penso. Mi sento… strana. Sono triste” rispose.
“Penso che sia normale, no? Hai lasciato andare l’uomo che ami senza
combattere” le fece presente. L’uomo che ami… davvero? Era così?
“Lisa, qual è il problema? Adesso che siamo liberi dall’organizzazione
possiamo fare ciò che vogliamo, niente ci può fermare. Perché non li hai
seguiti?”
“Voglio stare con te, voglio recuperare il tempo perduto”
“Ma tesoro, noi staremo sempre insieme. Ci siamo finalmente ritrovati,
siamo di nuovo uniti come prima, forse anche di più. Non pensi che rimanere qui
sia solo una scusa dietro cui nascondersi?” le domandò. Lei rimase in silenzio,
pensierosa.
“Beh, come vuoi. Sali in macchina, torniamo a casa” le ordinò,
alzandosi e prendendo di tasca le chiavi.
Casa… quella non era più casa sua, ormai. Era solo un lontano ricordo
sbiadito, un’ombra sul suo futuro.
“Logan, non credo di potere” esordì infine.
“Cosa?”
“Non penso di poter venire con te. Io devo andare con loro, devo… devo
seguire Hershel” comprese. Suo fratello sorrise e l’abbracciò.
“Lo so, ti capisco. Il prossimo treno c’è domani, il biglietto te l’ho
già comprato io” le confessò.
Per tutta la settimana seguente, Layton
rimase chiuso in studio, in silenzio. Non andò nemmeno a scuola, aveva troppi
pensieri per la testa.
Lasciar andare Claire ed accettare che si era innamorato di Lisa?
Oppure dimenticarsi di Lisa per rimanere fedele alla memoria di Claire? Qual
era la scelta giusta?
Passava intere nottate leggendo e bevendo tè, incapace di addormentarsi
per più di un’ora di seguito. Alla fine era distrutto, sia fisicamente che
psicologicamente.
Crollò una sera, mentre stava studiando un trattato sui manufatti
egizi. Si addormentò senza nemmeno rendersene conto e per un po’ i suoi sogni
furono popolati da antichi dei con la testa di falco e enormi piramidi.
Ma poi tutto il paesaggio mutò e ritornò quello dei suoi incubi.
“Avevamo tanti... progetti per il futuro. Non lo dimenticherai,
vero? Il nostro passato insieme e il nostro... futuro perduto”
“Claire, io…” la sua battuta
stavolta era differente. Non ce la faceva a fermarla, a dirle di non andarsene.
“Sai, Hershel,
io avrei tanto voluto rimanere con te. Avrei voluto invecchiare insieme ed
essere la persona con la quale avresti formato una famiglia. Ma non possiamo,
vero? Non potremo mai avere una vita unita come quella di tutte le persone
normali. Devo tornare al mio tempo, adesso, al momento dell’esplosione”
continuò a dire. Tutto quel sogno era sbagliato, tutte quelle battute non erano
giuste. Non era così che doveva andare!
“Claire, mi dispiace davvero
tanto. Anche io avrei voluto tenerti con me, proteggerti da tutto questo, ma
non ce l’ho fatta. Perdonami, sono un pessimo gentiluomo e un pessimo compagno”
rispose mesto. Lei sorrise tra le lacrime.
“Non è vero, Hershel.
Ho sempre pensato che tu fossi fin troppo perfetto per essere vero e proprio
per questo ti ho amato. Io ti amerò e proteggerò per sempre, voglio che tu lo
sappia. In fondo mi avevi fatto una promessa, giusto? E l’hai mantenuta, da
gentiluomo quale sei” gli fece presente. Lui non capì.
“Cosa intendi dire?”
“Ti avevo detto di andare avanti,
di essere felice. Tu sei forte, sapevo che ce l’avresti fatta anche senza di
me. Non attaccarti ad un ricordo, sii solo entusiasta della vita. Un giorno ci
ritroveremo, te lo prometto, ma adesso va’. È il momento” gli sorrise,
scomparendo piano, piano.
“Claire, è il momento per cosa?”
domandò Layton.
“Arrivederci, Hershel”
Sobbalzò sul divano e gli cadde di testa la tuba, che rotolò fino alla
gamba del tavolino.
“È stato solo un sogno” sussurrò, stropicciandosi gli occhi. Ma era
davvero così, in fondo?
Si alzò per recuperare il cappello: lo raccolse, lo spolverò e poi lo
ripose sulla cappelliera. Sorrise nel vederlo: era stata lei a regalarglielo,
molti anni prima. Lo stesso giorno in cui c’era stata l’esplosione…
Andò in camera per prepararsi per la notte, pensieroso. Stavolta il
sogno era stato diverso; stavolta Claire lo aveva salutato serena e felice;
stavolta lui non aveva tentato di fermarla.
“E’ arrivato il momento”
Sì, forse era davvero arrivato. Non avrebbe mai dimenticato tutto ciò
che c’era stato tra di loro, né l’avrebbe mai scordata. Nemmeno provandoci ci
sarebbe riuscito. Però poteva pensarla con gioia, ricordare i momenti passati
insieme e ringraziare di averli vissuti, cercando di crearsene di nuovi, più
felici e più recenti. Magari poteva provare ad accettare semplicemente i suoi
sentimenti per Lisa e rendersi conto che la felicità era più vicina di quello
che pensava.
Dopo aver dormito finalmente otto ore, Layton
tornò a scuola. I suoi studenti subito lo circondarono, chiedendogli aiuti e
ripetizioni per le lezioni e per le tesine, facendolo sorridere di cuore: gli
erano mancati.
“E poi stasera dobbiamo andare dall’ispettore Chelmey.
Dice che deve farle una domanda” stava elencando Luke, leggendo nel suo
quaderno gli appunti della giornata.
“Va bene, me ne ricorderò” rispose lui, andando verso la segreteria.
“Ciao Stacy, sono venuto a prendere gli
appunti per oggi” disse all’impiegata, sorridendole calorosamente.
“Buongiorno professore. I suoi appunti sono già nel suo studio” rispose
lei.
“Nel mio studio? E chi ce li ha portati?”
“La sua assistente”
“La mia… assistente?” chiese confuso.
“Già” asserì la donna. Lui incrociò le braccia, riflettendo.
“Può descrivermela?” domandò.
“Beh, è piccola e arrossisce facilmente. In verità, quella pila di fogli
quasi la sommergeva mentre camminava, ma ha detto di dover mettere tutto in
ordine prima del suo arrivo, così le ho dato una mano a portare gli appunti nel
suo studio” rispose. Piccola? Timida?
“Grazie, Stacy. A più tardi” si congedò con un
gesto della mano.
“Professore, qualcosa non va?” chiese Luke.
“No, tutto a posto. Ascoltami, posso chiederti un favore?”
“Tutto quello che vuole” sorrise il ragazzino.
“Ho bisogno di stare un po’ da solo. So che Flora oggi ha la giornata
libera, che ne dici di andare da lei a trovarla? Io devo sbrigare delle
faccende” gli propose. Il buonumore se ne andò dal piccolo, che si imbronciò.
“Ma non è giusto! Tra una cosa e un’altra da quando sono tornato non
siamo stati insieme quasi per niente!” si ribellò.
“Lo so e mi dispiace. Ma un gentiluomo lascia i propri spazi a chi ne ha
bisogno, ricordatelo” gli rispose sorridendo.
Luke annuì controvoglia.
“Va bene, me ne vado. Se ha bisogno, sa dove trovarmi” accettò, andando
verso l’uscita.
Layton lo guardò sparire oltre la porta, poi
si girò verso il proprio studio. Aveva il cuore a mille le mani sudate. Un
gentiluomo non suda!
“Bentornato, professore!” lo accolse la sua voce. Sgranò gli occhi,
felice: era lì davvero, sorridente e calorosa come sempre.
“Lisa…” sussurrò. Lei arrossì e inclinò la testa da una parte,
imbarazzata.
“Scusa se sono tornata senza preavviso. Il rettore Stone mi ha dato la
possibilità di rientrare al lavoro appena potevo, così sono subito venuta qui.
Tu non ci sei stato negli ultimi giorni, ma ho continuato a venire fin quando,
stamani, il rettore mi ha detto che saresti tornato. Per cui, eccomi qua”
spiegò. Senza dirle una parola, Layton si avvicinò e
l’abbracciò, percependo il calore del suo corpo, sentendosi bene nell’averla
tra le sue braccia.
“Pensavo volessi stare con Logan” le disse.
“Infatti l’idea era quella, ma poi ho capito che non potevo” rispose,
aggrappandosi alla sua camicia.
“Perché sei qui?” domandò il professore, allontanandola da sé quel tanto
che bastava a guardarla negli occhi.
“Mi hai fatto una promessa, no? Devi dirmi quella cosa” gli ricordò
ridendo. Lui sorrise e si avvicinò al suo viso.
“Non sono bravo con le parole, ma ci proverò. Il punto è che… insomma…
sì, io volevo dirti che…” iniziò a balbettare parole sconnesse tra di loro,
imbarazzato.
“Sì?” lo incitò Lisa, divertita.
“La verità è… è che tu sei importante. Per me” ammise, arrossendo
violentemente. Anche lei sentì le guance arrossarsi, ma per una volta ne fu
felice.
“I-io voglio che tu… voglio che tu resti con me” disse, distogliendo lo
sguardo. La ragazza lo guardò dolcemente, mettendo una mano sulla sua guancia e
facendolo voltare verso di sé.
“Anche io lo voglio, Hershel” rispose. Si alzò
sulla punta dei piedi e si avvicinò alle sue labbra. Quel contatto fu una
rinascita per entrambi: le vecchie ferite si rimarginarono, le ombre
scomparvero; i rimpianti e i giorni persi si sciolsero come neve al sole.
Era come se, dopo tanta pioggia, finalmente le nuvole fossero scomparse
dai loro cieli per lasciare spazio ad una luminosa giornata estiva.
Qualcuno bussò alla porta, rompendo quell’incantesimo. Si staccarono
velocemente e imbarazzati.
“A-avanti” disse Layton, con voce roca.
Uno studente apparve dall’uscio con in mano dei libri.
“Volevo chiederle una cosa sulla tesina” esordì. E Lisa, per qualche
motivo, si mise a ridere.
“Quindi adesso state insieme?” chiese Flora.
“Sì” annuì Lisa, felice.
“Oh, questa notizia mi rende così contenta! Non sai quanto ho pregato
per voi” si congratulò la ragazzina, abbracciandola.
“Grazie” rise l’altra, stringendola.
Erano tutti a cena a casa sua: i due uomini erano in salotto che
apparecchiavano e loro erano in cucina a fare la pasta.
“Pensi che sia la cosa giusto?” domandò la più piccola, scolando
l’acqua.
“Sì, penso di sì” ammise lei, correggendola dove sbagliava.
Quando si misero tutti a tavola, Lisa li guardò uno per uno: sorridevano
e si divertivano come se tutto quello che avevano passato non fosse mai
successo. Erano insieme e tanto gli bastava per riuscire a dimenticare le
vecchie ferite, per andare avanti e ricominciare a vivere.
Quel pensiero fece felice anche lei, che sorrise senza motivo.
“C’è qualche problema? Tutto ok?” le domandò Layton,
preoccupato, stringendole la mano. Lei sobbalzò, poi scosse la testa.
“No, va tutto bene. Adesso va davvero tutto bene” rispose. Lui le
sorrise a sua volta e tornò alla discussione con Luke, mantenendo la mano salda
alla sua.