Once Upon A Time...

di WilKia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP I ***
Capitolo 2: *** CAP II ***



Capitolo 1
*** CAP I ***


Once upon a Time…



CAPITOLO I







Il fuoco scoppiettava allegro nel grande camino della stanza, diffondendo una luce tenue e rilassante e bandendo il freddo dell’inverno ormai imminente.
Il grosso micio che dormiva beatamente sull’ampio letto drappeggiato di morbide coperte, sussultò indignato quando una bambina di cinque anni entrò spalancando violentemente le porte, e corse ridendo verso il letto in un turbinio di lunghi capelli biondi.
“Ehi ehi ehi, scricciolo. Cosa credi di fare? – la rimproverò la giovane donna che la seguiva – avanti, sul letto. Lo sai che non voglio che giri a piedi nudi in inverno. Altrimenti…”
“Altrimenti le dita dei piedi mi si congelano e poi cadono.”
Concluse la piccola roteando gli occhi annoiata, ma rivolgendole un sorriso sdentato.
“Su salta dentro.”
La invitò ricambiando il suo sorriso e sollevando un angolo delle coperte perché potesse intrufolarcisi.
La piccola si arrampicò sul grande letto, attardandosi a regalare una generosa grattata di orecchie al micione, che si era riacciambellato a dormire, prima di infilarsi sotto le coperte.
La giovane donna le rimboccò accuratamente le coperte e si chinò ad abbracciarla, posandole un lieve bacio sulla punta del nasino.
“Buona notte amore mio – sussurrò appoggiando la fronte contro la sua, mentre la bimba le avvolgeva le braccia intorno al collo, stringendola forte – fai tanti sogni belli.”
Concluse posandole un altro bacio sulla guancia paffuta e morbida.
“Mammina, mi racconti una storia?”
Domandò la piccola spalancando i suoi occhioni azzurri e imbronciando le labbra, sapendo bene che la madre non era capace di negarle nulla davanti a quell’espressione da cucciola.
“È molto tardi…”
Tentò debolmente di resistere.
“Ma io non ho sonno.”
Protestò la piccola sbadigliando sonoramente.
La donna ridacchiò e si sedette sul bordo del letto, sistemandole una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio ed approfittandone per donarle una carezza.
“Per favore?”
Insistette la bimba sporgendo ancora di più il labbro inferiore.
“E va bene – si arrese con un sospiro, sorridendo per la sua incapacità di resistere a quel musino adorabile – che storia ti piacerebbe sentire?”
“Voglio la storia più stupendissima che conosci.”
Trillò lei allegra, saltellando sul letto e mandando all’aria le coperte.
“Va bene, va bene piccolo grillo – rise la donna – non c’è bisogno di smontare tutto il letto.”
La fece risistemare, rimboccandole di nuovo le coperte e si mise più comoda, stendendosi accanto a lei e prendendola tra le braccia, poi iniziò a raccontare.


C’era una volta, in un paese lontano, un regno felice governato da un Re buono e saggio e da una bellissima e dolce Regina.
I due sovrani desideravano tanto un erede che potesse regnare dopo di loro e un bel giorno la Regina annunciò di essere in attesa di un bambino.


“Aveva visto una cicogna sulla torre del castello mamma?”
Domandò la bimba che pendeva dalle sue labbra.
Adorava ascoltare la sua voce calda e leggermente roca e non perdeva mai occasione di chiederle di raccontarle una favola o, meglio ancora, di cantare.
“Certamente – confermò la donna – una grande cicogna aveva fatto il nido sulla torre più alta del castello e tutto il regno festeggiò l’arrivo imminente dell’erede tanto atteso. Ma purtroppo i festeggiamenti durarono poco.”
“Perché?”


Purtroppo la Regina si ammalò.
Il Re fece chiamare tutti i medici del regno e anche quelli dei regni vicini, ma nessuno di loro riuscì a capire quale male affliggesse la Regina, né come curarla.
Un giorno, mentre il Re passeggiava nervosamente davanti alla porta della camera della Regina malata, una voce melodiosa attirò la sua attenzione.
Era una voce come non ne aveva mai sentite, eppure alla sua corte si erano presentati tutti i migliori menestrelli e cantastorie, tutte le migliori cantanti e attrici, gli artisti più disparati dai saltimbanchi ai migliori compositori e drammaturghi.
Ammaliato seguì quella voce attraverso i lunghi corridoi del castello e oltre le grandi sale, talvolta dovette fermarsi, poiché il suono rimbombante dei suoi passi nei saloni gli impediva di seguire quella voce misteriosa e dopo aver attraversato gran parte del castello inseguendo quella strana canzone, si ritrovò nel giardino del castello.
Ma la voce non si fermò, continuò a cantare, invitandolo a seguirla mentre si addentrava nel giardino, imboccando un labirinto di alte siepi, fitte e buie come una notte senza luna.
Dopo un lungo vagare tra i fiori in boccio, il Re si ritrovò al centro del grande labirinto.
Si guardò intorno confuso. Nessuno, fino a quel momento, era mai riuscito a raggiungere il centro del labirinto, perfino il miglior esploratore del regno aveva desistito dall’impresa.
La voce misteriosa si era fermata proprio nel momento in cui aveva varcato l’ultimo arco verde punteggiato di gigli che conduceva a quell’ampia radura.
Il Re prese a guardarsi intorno spaesato, tentando di capire quale strada prendere per ritornare a palazzo ed uscire da quel labirinto infernale, quando uno strano luccichio fluttuante attirò la sua attenzione.
Il Re osservò quella strana luminescenza dorata che sembrava balzare da un lato all’altro della radura, come un raggio di sole impazzito catturato dallo specchietto di un bambino dispettoso, e si sfregò gli occhi sbalordito nel tentativo di schiarirsi la vista.
Gli era sembrato infatti di scorgere una minuscola figura umana tra i bagliori di quella piccola luce.


“Era una fata!”
Trillò la piccola iniziando a saltellare eccitata sul letto.
“Era una fatina, vero mamma?!”
“Certo che era una fata.”
Sorrise la donna dandole con l’indice un colpetto sulla punta del nasino.


In effetti si trattava niente meno che della principessa della fate.
Devi sapere che la Regina del Regno Fatato si era un tempo innamorata di un mortale e da quell’amore era nata una figlia per metà fata e per metà umana.
Una volta cresciuta dovette scegliere se rimanere nel mondo degli umani con suo padre o se seguire la madre nel Regno Fatato. La fanciulla scelse di restare tra gli umani e poco tempo dopo l’erede del regno in cui viveva si innamorò di lei e ne fece la sua regina.


“Quindi – intervenne di nuovo la piccola, scrutandola con un’espressione seria e concentrata – la fatina è la sorella della Regina malata?”
“Proprio così.”
Confermò la madre facendole l’occhiolino.


Un raggio di sole si fermò sulla figura svolazzante della fatina, abbagliando per un istante il Re che dovette distogliere lo sguardo, e quando riuscì di nuovo a guardare, si trovò davanti una bellissima donna dai ridenti occhi azzurri e con lunghi capelli biondi, molto somigliante alla sua sposa.
“Chi sei tu?”
Domandò il Re sbalordito.
“Il mio nome è Holly – rispose la donna – e sono la principessa del Regno Fatato. Mia madre mi ha inviata qui da te, mossa dall’amore per mia sorella, poiché la notizia della sua malattia ha varcato anche il confine magico tra i nostri due regni.”
Il Re gioì sollevato.
“Quindi sei venuta a portarle una medicina? A compiere una magia che possa guarirla?”
“Ahimè non esiste medicina che la possa aiutare, né magia, non in questo mondo – rispose la fata mestamente – ma c’è un modo per salvarla.”
Aggiunse riportando subito la speranza nel cuore del re.
“Mia sorella dovrà fare ritorno con me nel Regno Fatato. Laggiù infatti non esistono vecchiaia e malattie e la morte non può oltrepassare i confini su cui regna mia madre. Laggiù il maleficio che ha causato la malattia di mia sorella non sarà più efficace e lei potrà dare alla luce la vostra bambina.”
Alla parola bambina il Re aveva iniziato a sorridere senza controllo per la notizia che avrebbe avuto una figlia, ma presto tronò ad adombrarsi.
“Hai detto maleficio?”
La fata annuì.
“È stato quello a causare la sua malattia.”
“Quindi dovranno rimanere nel Regno Fatato per sempre?”
Domandò triste.
“No – rispose la fata con un sorriso – non appena mia sorella e la vostra bambina saranno in forze, io stessa le riporterò da te.”
“Quando dovete partire?”
“Verrò a prendere mia sorella con una lettiga questa notte stessa, al sorgere della luna nuova.”
Spiegò Holly.
“Addio fino a questa notte, mio buon Re.”
Aggiunse infine, prima di sparire in un bagliore accecante.
Quando il Re riuscì di nuovo a vedere, si ritrovò seduto sulla sua poltrona davanti alla camera della Regina malata e si domandò se la fata Holly gli avesse davvero fatto visita o se fosse stato tutto solo un sogno.


“Ed era vero mamma?”
“Certo che era vero.”


Come promesso, la fata Holly fece ritorno quella notte stessa, accompagnata da una scorta di guardie del Regno Fatato, con una lettiga su cui fece adagiare amorevolmente sua sorella.
Prima di partire Holly consegnò al Re una bacinella d’argento, spiegandogli che se l’avesse riempita di acqua pura di fonte e vi avesse guardato dentro alla luce del chiaro di Luna, avrebbe potuto vedere la Regina anche a distanza.
Poi il corteo fatato partì e in pochi istanti sparì nel buio della notte.
Passarono cinque Lune e ogni sera il Re aveva osservato la bacinella d’argento sotto il chiaro di Luna e aveva visto la sua Regina tornare in forze, mentre la loro bimba cresceva dentro di lei.
Infine, in una notte di plenilunio, la Regina mise al mondo una bellissima bambina dagli occhi azzurri e i capelli biondi, con il più bel sorriso che il Re avesse mai visto.
I neogenitori chiesero alla fata Holly di essere la sua madrina e in base a questo onore, la fata chiamò la piccola Brittany.
Non appena l’immagine della sua bambina fu scomparsa dalla superficie dell’acqua incantata, il Re ordinò che tutte le campane suonassero a festa nel regno, e iniziò ad attendere con impazienza il ritorno della sua amata sposa e della loro piccola.
Trascorse un’altra Luna, durante la quale il Re organizzò un grande banchetto per accogliere la principessina Brittany e festeggiare il ritorno della sua Regina.
Tutto il regno era in festa. Le piazze erano decorate con festoni dei colori dell’arcobaleno, le campane suonavano a festa e tutti si riunivano a cantare e ballare.
Finalmente il Re ricevette un messaggio in cui la fata Holly gli annunciava che la seconda notte di Luna piena avrebbe accompagnato la Regina e la piccola principessa nella radura al centro del bosco, dove la famiglia Reale avrebbe finalmente potuto riunirsi.
La prima notte di Luna piena il Re non riuscì a dormire e si agitò per tutto il giorno seguente, impaziente che il Sole tramontasse.
Quando finalmente le prime stelle spuntarono nel cielo notturno, il Re poté correre incontro alle sue amate.
Rimase nel buio della radura, impaziente che la Luna facesse la sua comparsa, e proprio quando il primo raggio argentato oltrepassò la coltre degli alberi, la piccola luce della fata Holly avanzò nella radura, seguita da vicino dalla Regina, radiosa nella sua bellezza e ancora più bella agli occhi del Re per il piccolo fagotto rosa che stringeva tra le braccia.
I due sposi si corsero incontro e si strinsero felici in un forte abbraccio.
“Ecco, mio amato – sospirò felice la Regina – ti presento nostra figlia.”
Concluse porgendogli il fagottino rosa, che prese ad agitarsi e ad emettere piccoli gorgoglii e gridolini.
Il Re allungò le braccia incantato, felice di poter finalmente tenere in braccio la sua principessina, ma prima che potesse anche solo sfiorare la copertina rosa in cui era avvolta, si udì una risata gracchiante e una grossa nuvola nera oscurò la Luna.
Improvvisamente la fata Holly gridò e il Re estrasse la spada, voltandosi verso di lei e proteggendo la sua famiglia con il proprio corpo.
“Fuggite!”
Gridò Holly, ma prima che l’eco della sua voce si spegnesse, una fitta rete di rami si avviluppò agli alberi che delimitavano la radura, ostruendo qualsiasi via di fuga.
La Regina strinse più forte al petto al sua bambina, avvicinandosi al Re che puntò minaccioso la spada contro il buio che li fronteggiava.
“Chi è là?”
Gridò autoritario.
L’unica risposta che ottenne, fu di nuovo il risuonare di quella risata sinistra e poco dopo videro avvicinarsi la luce della fata.
Quando la luce fu abbastanza vicina, la Regina tremò e il Re strinse con più forza la sua spada.


“Perché mamma?”
Domandò la bambina, ormai completamente rapita dalla storia.
“Perché la fata era stata rinchiusa in una gabbia.”


"La strega dei boschi.”
Mormorò la regina spaventata.

“Chi è?”
“Un tempo era una fata – spiegò la donna rigirandosi una ciocca di capelli biondi tra le dita – ma ci fu una disputa tra lei e la madre di Holly e della Regina. La fata che a quel tempo governava sul Regno Fatato, dopo aver giudicato la loro controversia, la bandì. Quando poi la madre di Holly e della Regina salì al trono, cercò di riappacificarsi con lei, ma ormai era troppo tardi. La rabbia e la solitudine avevano avvelenato il suo cuore, trasformandola nella Strega dei boschi.”
“E che cosa voleva?”


“Bene, bene, bene. che cosa abbiamo qui?”
Sogghignò la strega avanzando lentamente nella radura, una mano protesa a sorreggere la gabbia in cui aveva intrappolato Holly e un cappuccio calcato in testa ad oscurarle il viso di cui erano visibili solo gli occhi, che brillavano sinistri illuminati dalla luce della fata.
“Che mi venga un colpo se non sono al cospetto della Regina mezzosangue e del suo consorte, nonché della folle lucciola salterina.”
Disse sarcastica scuotendo la gabbia in cui aveva imprigionato la fata.
“Non capita tutti i giorni di incontrare per caso entrambe le figlie della mia vecchia amica. Ma vedo che c’è qualcuno che non ho ancora conosciuto…”
Continuò scrutando il fagottino rosa stretto tra le braccia della Regina.
“Non ti avvicinare, Strega!”
Ringhiò il Re, frapponendosi tra lei e la regina.
Gli occhi chiari della strega si strinsero minacciosi.
“Tu osi dare ordini a me?! – sibilò infuriata – come ti permetti, bifolco insolente.”
La strega sollevò la mano libera e improvvisamente la spada volò via dalla stretta del Re, rigirandosi a mezz’aria per puntarsi contro il suo petto.
Il Re fissò la punta della lama, ma non indietreggiò di un passo, fissando la strega con occhi duri.
“Mi stai forse sfidando? Tua madre non ti ha insegnato che non si scherza con il fuoco?!”
A quelle parole, un getto di fiamme scaturì dalle sue dita protese, avvolgendosi in due anelli intorno al Re e alla Regina, separandoli.
La donna indietreggiò spaventata, cercando di tenersi il più lontana possibile dal fuoco.
Ad un tratto, il muro di fiamme davanti a lei si aprì e la strega avanzò verso di lei.
“Che cosa vuoi da me?”
Domandò la Regina.
“Oh è molto semplice, mia cara. Voglio mandare un messaggio, impartire una lezione.
Voglio che la tua cara mammina impari cosa significa perdere qualcosa a cui si tiene più della propria vita. E sarai tu a mostrarglielo per me.”
La strega mosse le dita e lunghe radici sbucarono dal terreno avviluppandosi intorno alle braccia della Regina, immobilizzandola, mentre altre fronde si avvolsero sulla bambina, strappandola al suo abbraccio e depositandola tra le braccia della strega.
“No! Brittany!”
Gridò la Regina tentando di divincolarsi.
“No! – esclamò Holly – lasciala. Ti prego, Sue. Prendi me, ma lascia la bambina.”
“Prendere te? E cosa potrei farmene di una lucciola troppo cresciuta? Non mi saresti utile nemmeno per illuminare i libri di incantesimi nelle notti senza Luna.”
“Ti prego non portarmi via la mia bambina – implorò la Regina piangendo disperata – ti prego!”
In quel momento il Re balzò oltre il muro di fiamme e si scagliò addosso alla strega, ma due lingue di fiamme gli si avvilupparono intorno ai polsi, trattenendolo, mentre gridava per il dolore.
“Molto eroico, ma ora sto iniziando ad annoiarmi. Addio, miei carissimi nemici.”
La strega lasciò cadere a terra la gabbia in cui era imprigionata Holly, poi ruotò su sé stessa, avvolgendosi nel suo mantello insieme alla bambina e scomparve con lei in uno sbuffo di fumo.
Come la strega se ne fu andata, anche le fiamme e le fronde incantate che tenevano prigionieri il Re e la Regina scomparvero e la fata Holly riuscì finalmente a liberarsi dalla sua gabbia.
Il Re accorse immediatamente al fianco della sua sposa, che si era accasciata a terra, singhiozzando disperata con le mani premute sul volto.
“La mia bambina.”
Singhiozzò la povera Regina, nascondendo il viso contro il petto del Re che la strinse tra le braccia, incurante del dolore lancinante ai polsi ustionati.
Holly sparse la sua polvere di fata sulle ferite del Re che si rimarginarono, lasciando solo delle brutte cicatrici, e con le lacrime agli occhi assunse la sua forma umana per potersi inginocchiare ad abbracciare la sorella.
“La troveremo – mormorò il Re con voce rotta – tenteremo anche l’impossibile finché non avremo ritrovato la nostra Brittany.”
“Non sarete soli, il Regno Fatato non avrà tregua finché non riabbracerete la vostra bambina.”
“Bisogna dare l’allarme.”
Sospirò il Re.
“Ci penso io.”
Si offrì Holly e in men che non si dica riassunse la sua forma fatata e volò via in cerca dei primi soccorsi.


“E sono riusciti a ritrovare la principessina?”
Domandò la piccola con gli occhioni azzurri spalancati e velati di qualche lacrima.
“Sia i sudditi del Regno che il Popolo Fatato cercarono in lungo e in largo, setacciando tutto il Reame, quelli confinanti e anche quelli più remoti, ma nessuno trovò traccia della piccola Brittany né della strega dei boschi.
Passarono lunghi anni e si avvicinava quello che sarebbe stato il diciottesimo compleanno della principessa Brittany e ormai il Re e la Regina continuavano a sperare solo grazie al Popolo Fatato che come promesso continuava a cercare la principessa perduta.”
“E dove l’aveva nascosta, mamma? In una prigione sottoterra? Dentro un albero? L’aveva trasformata in un fiore, o in un ranocchio?”
“Niente di tutto questo – sorrise lei – devi sapere che, nel folto del bosco, c’era una radura segreta, tenuta nascosta da un anello di alte montagne. L’unico modo per raggiungerla era attraverso una galleria talmente ben nascosta che solo chi sapeva esattamente dove cercarla l’avrebbe trovata.
E in mezzo alla radura si ergeva un’altissima torre, senza porte e con un’unica stanza sulla cima. Era lassù che la strega dei boschi aveva tenuto nascosta la principessa per tutti quegli anni e Brittany era cresciuta credendola sua madre.”
“Ma perché l’aveva tenuta lì?”
“Perché aveva scoperto un segreto.
La Regina, pur essendo per metà fata non aveva mai manifestato i poteri magici del popolo di sua madre. La magia sembrava invece essersi rivelata nella piccola Brittany, in un modo molto particolare.”
“Come?”
Domandò la piccola pendendo dalle sue labbra.
“I suoi capelli erano magici e la strega li usava per riottenere la magia che consumava nei suoi incantesimi. Le bastava spazzolare i lunghissimi capelli biondi di Brittany cantando un semplice incantesimo e la magia dei suoi capelli fluiva in lei.”
“E alla fine la fata Holly ritrova la principessa e la riporta alla sua mamma e al suo papà, vero?”
“Mmm, non proprio.”
“Quindi Brittany è rimasta per sempre nella torre?”
“Certo che no, ma non è stata la fata Holly a trovarla.”
“E chi allora?”
“L’ultima persona che ci si sarebbe aspettati.”
Rispose lei con un luccichio misterioso negli occhi.


Era una bella mattina di maggio e il sole primaverile splendeva nel cielo limpido.
Si avvicinava il diciottesimo compleanno della principessa Brittany e come ogni anno il Regno si preparava per festeggiarla, poiché anche se era perduta non era dimenticata.
Ogni anno, dopo il tramonto del sole nel giorno del suo compleanno, il Re e la Regina facevano volare una lanterna perché, ovunque fosse, la loro bambina potesse sapere che i suoi genitori la amavano e continuavano ad aspettare il suo ritorno, così come tutto il regno che seguendo l’esempio dei sovrani liberava centinaia di lanterne, dando vita ad un fiume di luci che, per una sola notte all’anno, invadeva il cielo.
Ma ancora mancava un giorno al compleanno della principessa e il giovane che si era arrampicato sul tetto del castello non era certo interessato alle lanterne, né tantomeno al panorama mozzafiato che si poteva godere da lassù.
Forse un po’ interessato al panorama lo era, infatti rimase incantato ad osservarlo finché un omone alto e dinoccolato non gli si avvicinò scoordinatamente, rischiando varie volte di inciampare, anche nei suoi stessi piedi.
“Cortez – chiamò aggrappandosi all’asta di una bandiera per sorreggersi – sbrigati, abbiamo un lavoro da fare.”
“Rilassati Hudson.”
Rispose il giovane voltandosi e lisciandosi i sottili baffetti prima di incrociare con noncuranza le braccia al petto.
“Stavo solo dando un’occhiata. Non ho dimenticato perché siamo qui.”
“Non si direbbe visto quanto te la stai prendendo comoda.”
“Allora voi due volete darvi una mossa?!”
Sibilò un terzo uomo rispuntando dalla botola in cui si era appena infilato, i suoi capelli rossi che quasi si mimetizzavano tra le tegole.
“Arriviamo, stecchino.”
Sbuffò il più piccolo, scocciato.
Tre uomini tanto diversi non si erano mai visti insieme.
Rick Nilson, detto stecchino, non tanto per il suo fisico smilzo, quanto per la sua abitudine di girare sempre con un bastoncino stretto tra i denti.
Finn Hudson alto e impacciato e con l’aria decisamente poco sveglia.
E infine Diego Cortez con il suo fascino esotico, sottolineato dalla sua pelle ambrata e dai misteriosi occhi, neri quanto i capelli che portava legati in un codino, e dal suo sorrisetto sarcastico sotto i baffi sottili e curati.
Un uomo sveglio ed intelligente come Diego Cortez non si sarebbe mai fatto vedere in giro con due trogloditi simili in circostanze normali.
Ma per quanto potesse sembrare strano, quei tre uomini avevano uno scopo comune.
“Sbrighiamoci. E vedete di non fare troppo baccano voi due.”
Sibilò Cortez intrufolandosi in un corridoio e percorrendolo silenziosamente, ruotando gli occhi scocciato ogni volta che uno dei due incapaci che lo seguivano riusciva a fare tanto rumore quanto un intero battaglione di guardie reali in marcia.
I tre si intrufolarono furtivamente in una stanza e Cortez sbirciò da una balconata .
“Centro!”
Sussurrò legandosi il capo di una corda intorno ai fianchi in un’imbragatura rudimentale.
“Avanti bestioni, vedete di rendervi utili.”
Sibilò gettando l’altro capo della corda al più alto dei due, alzando gli occhi al cielo in cerca di pazienza quando l’uomo mancò clamorosamente la presa.
Hudson e Nilson lo calarono oltre il balcone, esattamente sopra gli oggetti scintillanti che si trovavano sui tre piedistalli al centro del salone sottostante.
Cortez si guardò intorno, osservando divertito le guardie che davano le spalle alle tre corone reali, tenendo gli sguardi fissi sulle due arcate che davano accesso alla sala.
Prese delicatamente i tre gioielli, riponendoli con cautela nella borsa che aveva a tracolla, sogghignando quando vide una delle due guardie sbadigliare sonoramente.
“Eh già, immagino debba essere una vera noia starsene qui tutto il giorno, in attesa che accada qualcosa.”
“Oh, non ne hai idea…”
Rispose la guardia annoiata.
Prima che potesse rendersi conto di quello che era appena accaduto, Cortez si era già riarrampicato sulla balconata e quando il primo grido d’allarme echeggiò tra i corridoi del castello, i tre ladri stavano già fuggendo verso la foresta.
“CORTEZ!”
Urlò con rabbia una voce di donna.
“Oh, sembra che l’affascinante capitano delle guardie reali, abbia notato la mia firma in quest’impresa.”
“Non potevi tenere quella tua boccaccia chiusa?”
Ansimò Nilson alle sue spalle.
“Mi dispiace, non ho saputo resistere.”
Ghignò seguendo Hudson che aveva appena imboccato un sentiero.
“E adesso, genio della lampada?”
Borbottò, quando si trovarono davanti un’alta parete di roccia.
“Dannazione, dovevamo svoltare al primo sentiero a sinistra, non al primo a destra. Torniamo indietro.”
“Ceertooo, andiamo a tuffarci direttamente tra le braccia delle guardie reali. Gran bel piano Frankenstein.”
“Allora tu che proponi di fare? Eh, baffetto?”
“Stecchino sale sulle tue spalle, io sulle sue, scavalco, poi lo aiuto a salire e a quel punto tiriamo su anche te.”
I due energumeni si scambiarono uno sguardo ottuso.
“Benissimo – ringhiò il rosso – ma prima consegnami la borsa con le corone reali.”
“La vostra mancanza di fiducia nel mio onore mi offende profondamente.”
Borbottò lanciandogli la borsa contro il petto, con un’espressione scocciata dipinta in volto.
I due uomini si sistemarono l’uno sulle spalle dell’altro appoggiandosi contro la parete di roccia e Cortez prese la rincorsa arrampicandosi sulle loro spalle per poi gettarsi oltre la sommità della barriera che li ostacolava.
“Avanti, adesso aiutami a salire.”
Disse Nilson allungando la mano verso di lui, innervosito dal suono di passi in corsa che iniziava a sentirsi in lontananza.
“Oh, giusto. Avevamo detto che avremmo fatto così, vero?”
Domandò lui appoggiandosi un dito sul mento con aria pensosa.
“Già. Cosa stai aspettando?”
“Scusate ragazzi, ma ho appena ricordato di avere un impegno importante. Non mi posso proprio trattenere. E poi i vostri amici, che stanno arrivando, non vedono l’ora di abbracciarvi.”
Sogghignò indicando le guardie reali che erano appena entrate nel suo campo visivo in lontananza.
“Se non ci aiuti a salire – intervenne Hudson, con un filo di panico nella voce – le corone torneranno al loro posto e non avrai la tua parte di bottino.”
“Mmm parli per caso di queste corone?”
Sghignazzò sollevando la borsa che aveva abilmente sgraffignato, mentre si arrampicava sulle spalle dei due uomini.
“Ma che diavolo?”
Ringhiò il più piccolo dei due portandosi una mano al fianco nel punto in cui, fino a pochi istanti prima, pendeva la borsa con le corone.
“Ci si vede, ragazzi. Salutatemi tanto le guardie reali.”
Ghignò Cortez facendogli l’occhiolino, prima di voltarsi e fuggire via con uno scatto.
Si era allontanato solo di un centinaio di metri, quando una figura saettante sbucò da un cespuglio, in perfetta rotta di collisione con il suo corpo.
Un paio di braccia si strinsero intorno alla sua vita, mentre perdeva l’equilibrio e ruzzolava a terra.
In qualche modo riuscì a divincolarsi dal corpo avvinghiato al suo e a rialzarsi, ritrovandosi a fissare un paio di occhi verdi, freddi e determinati, sormontati da un elmetto di ferro lucente.
“Capitano Fabray – salutò con un elegante mezzo inchino – è sempre un piacere rivederti.”
“Vediamo di farla facile, Cortez – replicò la donna non lasciandosi incantare nemmeno un secondo dai suoi modi affascinanti – restituiscimi le corone e forse non ti prenderò a calci nel tragitto fino alle segrete.”
“Andiamo Fabray, quante volte ci siamo trovati in questa situazione?”
“Troppe per i miei gusti.”
“E quante volte io me ne sono andato tranquillamente e tu sei tornata in città a mani vuote?”
“Levati dalla faccia quel sorrisetto autocompiacente, l’ho visto talmente tante volte che mi da il voltastomaco.”
Cortez si portò una mano all’altezza del cuore, dipingendosi un’espressione ferita sul volto.
“E io che pensavo che il tuo continuo accanimento fosse una dimostrazione del tuo trasporto nei miei confronti.”
“Ho per te lo stesso trasporto che potrei avere per lo sterco di cavallo.”
Replicò la guardia reale.
“Stai ferendo i miei sentimenti.”
“Ferirò ben altro che i tuoi sentimenti se non mi consegni immediatamente quelle corone.”
Ringhiò lei minacciosa sguainando la spada dal fodero.
“Perché vuoi mettermi in difficoltà? Lo sai che combattere con le donne è contro i miei princi…”
Non fece in tempo a finire la frase che la guardia reale gli si scagliò contro, menando un forte fendente che il ladro riuscì a schivare gettandosi a terra.
Mentre ruzzolava raccolse un lungo ramo che usò per parare il fendente successivo, un attimo prima che raggiungesse il suo collo.
“Arrenditi Cortez!”
Ordinò la donna tra un affondo e una parata.
“Solo se tu ammetterai che darmi la caccia ti diverte quanto a me diverte essere la tua spina nel fianco.”
“Mi dispiace, ma non ammetterei mai di avere sentimenti positivi per una spina nel fianco.”
“Però stai ammettendo che effettivamente io sono la tua spina nel fianco – sorrise Cortez – e che hai dei sentimenti di qualche tipo per me, la cosa si fa interessante…”
Continuò fintando un affondo.
“Dimmi, quante notti hai sognato di potermi mettere le manette ai polsi?”
Concluse sollevando allusivamente le sopracciglia.
La guardia reale non riuscì a trattenersi dal roteare gli occhi annoiata e tanto bastò al ladro per compiere un rapido movimento di polso con cui riuscì a sottrarle di mano la spada che dopo un aggraziato volteggio in aria atterrò con precisione nel suo palmo proteso.
Cortez ridacchiò e gettò la spada lontano tra i cespugli solo per sentirsi piombare di nuovo addosso il corpo atletico della donna, che lo fece sbilanciare.
I due rotolarono per terra per alcuni istanti, mentre il capitano delle guardie tentava di strappare il bastone dalla presa del ladro, ma alla fine si ritrovò con il ramo premuto contro le spalle e gli occhi irridenti di Cortez puntati dritti nei suoi, mentre l’uomo la immobilizzava a terra mettendosi a cavalcioni dei suoi fianchi.
Strinse con forza i pugni intorno al bastone, iniziando a spingervi contro con tutta la forza che aveva per scrollarsi il ladro di dosso.
I due si fissarono a lungo, una luce determinata negli occhi verdi della guardia reale e una divertita di sfida in quelli neri del ladro.
“Arrenditi Cortez!”
Sibilò la donna tentando di divincolarsi dalla sua presa.
“Non mi sembra che tu sia nella posizione di ordinarmi qualcosa, Quinn.”
Sogghignò il ladro, sapendo bene quanto la irritasse quando la chiamava per nome.
Poi sembrò ripensarci e il suo sguardo penetrante assunse un tono di malizia.
“Beh certo, se fossimo senza vestiti, potresti darmi tutti gli ordini che vuoi…”
Soffiò abbassando la voce ad un tono roco e sensuale, mentre si sistemava meglio sui suoi fianchi, ma mantenendo una, se così si poteva definire, rispettosa distanza da lei.
“Preferirei entrare nuda in un formicaio!”
Ringhiò facendo scattare minacciosamente la testa in avanti.
Cortez colse il movimento e le andò incontro, premendo con forza le labbra sulle sue.
Quinn spalancò gli occhi indignata, ma contro ogni sua volontà, si ritrovò a pensare di non aver mai baciato delle labbra tanto piene e morbide.
Non si sarebbe mai aspettata che un uomo potesse avere delle labbra così.
Come? Ma che cosa cavolo mi sta passando per la testa?! Sveglia Quinn. Questo tizio è il ricercato n°1 del regno.
Si separò dal bacio con un movimento stizzito, fissando uno sguardo inceneritore in quegli occhi neri.
Cortez si passò languidamente l’indice sinistro sul labbro inferiore, rivolgendole un sorriso seducente, prima di dipingersi un’aria greve sul volto.
“Lo so è stato bello anche per me, ma tra noi non potrà mai funzionare – mormorò con tono melodrammatico – scusa tesoro, non è colpa tua, sono io che non sono affatto adatto a te. Tu credi di conoscermi, ma in realtà non sono come sembro.”
E detto questo le premette un altro rapido bacio sulle labbra, prima di alzarsi velocemente e correre via.
“Addio!”
Gridò.
Quinn rimase un attimo interdetta a fissare il tetto di foglie sopra di lei, poi diede un colpo di addominali nel tentativo di sollevarsi, solo per ritrovarsi di nuovo schiacciata a terra trattenuta dal bastone che il ladro le aveva lasciato addosso.
Si voltò a guardare le due estremità del bastone e ne trovò una incastrata sotto una radice, mentre l’altra era in qualche modo stata fissata ad una grossa pietra.
“Maledetto farabutto, figlio di…”
Ringhiò, iniziando a strisciare sulla schiena per scivolare via da sotto il ramo.
Si rialzò, scuotendosi di dosso le foglie secche e la polvere che le erano rimasti addosso e si risistemò l’elmetto sui corti capelli biondi.
“CORTEZ!”
Gridò, ripartendo all’inseguimento.
“Ti prenderò! Fosse anche l’ultima cosa che faccio.”


“Ma mamma… – interruppe la bambina – cosa c’entra questo ladro? Che fine ha fatto la principessa Brittany? Credevo che questa fosse la sua storia.”
“Certo, ma ti assicuro che quel ladro è molto importante per la storia della principessa Brittany. Vedrai.”
Sorrise lei.
“Sei sicura?”
Domandò la piccola incrociando le braccia sul petto e guardandola seria.
“Sicuro che sono sicura.”
Rispose, avvicinandosi a mordicchiarle il nasino, facendola ridere.
“Va bene, allora andiamo avanti.”


Mancavano un paio d’ore al mezzogiorno della vigilia del suo compleanno e Brittany si era svegliata presto quella mattina.
Aveva già riordinato la sua casa lì in cima alla torre, e fatto le pulizie. Appena finito aveva fatto il bagnetto a Lord Tubbington, il micio che un giorno sua madre le aveva portato, dopo che le aveva detto più volte di sentirsi sola.
Negli ultimi quattro anni Lord Tubbington era stato il suo unico amico.
“Lo so, Tubb – mormorò massaggiandogli il pelo con le mani insaponate, mentre il micio puntava su di lei uno sguardo a metà tra l’indignato e il supplicante – abbi pazienza, lo sai che è per una buona causa.”
Concluse avvolgendolo in un asciugamano e stringendolo al petto, mentre lo strofinava per asciugarlo.
“Abbiamo una missione importante da portare a termine e dobbiamo essere al meglio.”
Gli spiegò dandogli un bacino sul naso prima di lasciarlo andare.
Quindi prese la spazzola e iniziò a pettinare i suoi lunghissimi capelli.
Aveva appena finito e riposto la spazzola con uno sbuffo, quando sentì la familiare voce della madre chiamarla da sotto la torre.
“Brittany sciogli i capelli.”
La ragazza corse alla finestra e fece passare i capelli in un gancio attaccato sopra l’apertura per poi lasciarli cadere lungo la torre.
“Avanti, pelandrona – disse secca la donna dopo aver afferrato la lunga e spessa ciocca bionda – issa.”
Brittany iniziò a sollevarla, ritirando i suoi capelli dentro la stanza, strattonandoli a forza di braccia al ritmo impartito dagli ordini secchi di sua madre.
Non appena mise piede nella stanza, la donna controllò la piccola clessidra che portava appesa al collo.
“Un minuto e ventotto secondi – scandì – hai migliorato la tua media, ma so che puoi fare ancora meglio.”
“Buongiorno madre.”
Rispose lei diligente.
Sue si guardò intorno aggrottando le sopracciglia davanti all’ordine e alla pulizia che regnavano nella torre solitamente caotica e invasa dalle matite e pastelli colorati e dai fogli ricoperti dei disegni, solitamente ritratti di Lord Tubbington, che Brittany produceva costantemente.
Alla fine mise da parte l’ordine insolito con un’alzata di spalle.
“Madre – esordì Brittany titubante ed eccitata allo stesso tempo – c’è una cosa di cui ti vorrei parlare.”
“Non ora, Brittany. Stanotte ho lavorato molto ed ho consumato molta magia. Sono stremata.”
Brittany colse il messaggio e si affrettò a sistemare la poltrona e lo sgabello su cui sedevano, quando Sue ricaricava le sue energie magiche dai suoi capelli. La spinse frettolosamente sulla poltrona piazzandole la spazzola in mano ed iniziò a cantare l’incantesimo talmente in fretta che Sue riuscì a malapena a passarle un paio di volte la spazzola tra i capelli, prima di essere investita da un’ondata di magia tanto rapida e forte da farle girare la testa per un minuto buono.
“Insomma, si può sapere che ti prende stamattina?”
Brittany colse la palla al balzo.
“Ecco madre… vedi domani è il mio compleanno e…”
“Mi sembra di ricordare che il tuo compleanno sia già stato l’anno scorso.”
La interruppe Sue alzandosi.
“Beh, sai com’è madre, i compleanni hanno il vizio di tornare ogni anno.”
“Non necessariamente – esclamò la donna con convinzione – il mio ha smesso di arrivare dopo il ventinovesimo e questo è successo più di vent’anni fa.”
Brittany ci pensò su un minuto prima di annuire.
Dopotutto chi era lei per decidere come avrebbe dovuto comportarsi un compleanno, sarebbe arrivato se e quando avesse voluto lui.
Questo, naturalmente, non cambiava il fatto che il suo compleanno sarebbe arrivato l’indomani, quindi ritornò all’attacco.
“Dunque, come stavo dicendo, domani sarà il mio compleanno e c’è una cosa che vorrei chiederti come regalo.”
“E che cosa sarebbe?”
Domandò Sue annoiata.
“Vorrei andare a vedere il fiume di luci.”
Disse tutto d’un fiato.
La donna si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo confuso.
“Il che?”
“Il fiume di luci che volano in cielo.”
Spiegò lei con fare ovvio.
“Cioè le stelle?”
“No – la corresse – le stelle sono sempre lì, tutte le notti. Il fiume di luci, invece, compare una sola notte all’anno e sempre per il mio compleanno.”
Le labbra di Sue si assottigliarono in un’espressione di disappunto e Brittany si fece piccola sotto il suo sguardo severo.
“Pensavo che, magari, visto che ormai ho diciotto anni, potrei uscire ed andarlo a vedere da vicino…”
“Uscire?”
Domandò la donna con voce contrariata.
“Pensavo che avessimo discusso l’argomento abbastanza approfonditamente ormai. Sai bene come la penso in merito.”
Brittany abbassò la testa delusa, preparandosi a sorbire di nuovo la solita ramanzina su quanto il mondo fosse brutto e pericoloso, pieno di animali feroci, malattie e criminali senza scrupoli pronti a…
“…pronti a rapirti, imprigionarti o addirittura ucciderti per impadronirsi della magia dei tuoi capelli, o per venderla a persone ancora più senza scrupoli di loro.
Solo qui sei al sicuro – concluse la donna con un sospiro e addolcendo lievemente la voce – sei la persona più dolce ed innocente che esista, Brittany. Non voglio che il mondo ti contamini.”
Brittany lasciò cadere le spalle sconfitta.
Sapeva bene che sarebbe stato inutile insistere e che continuare il discorso avrebbe portato solo ad una spiacevole discussione.
Sue l’abbracciò posandole un bacio sulla fronte.
“Bene. Discorso chiuso – disse poi sbrigativa, sciogliendosi bruscamente dall’abbraccio – e togliti quel broncio dalla faccia, ti da un’aria da tonta.”
Brittany si sforzò di accontentarla, ma la sua espressione rimase triste e delusa.
“Ora fammi scendere, così posso andare a recuperare qualcosa per il pranzo. Hai qualche richiesta?”
Domandò sporgendosi oltre la finestra, già stringendo una ciocca di capelli tra le mani.
“Sorprendimi.”
Rispose Brittany in tono triste, mentre già la stava calando dalla torre.
“Torno presto.”
Gridò Sue allontanandosi e rivolgendole un gesto vago della mano, senza nemmeno voltarsi.
“Non preoccuparti, non vado da nessuna parte…”
Rispose mestamente, quando la vide scomparire nell’ombra della galleria.

Cortez sfrecciava per la foresta saltando le rocce e le radici che trovava sul suo percorso.
Quell’inseguimento lo stava sfiancando, il capitano Fabray non era mai stata tanto determinata. Probabilmente la sua determinazione era dovuta anche al loro piccolo incontro ravvicinato di poco prima, pensò con un ghigno.
In un paio di circostanze, Quinn l’aveva quasi raggiunto e Cortez si era dovuto inventare un espediente per depistarla.
Il suo cuore di furfante aveva pianto di disperazione quando, per distrarre Quinn, aveva dovuto gettare una delle tre corone tra i cespugli, in modo che rinunciasse ad inseguirlo per recuperare il prezioso oggetto.
Questo, tuttavia, non le aveva impedito di rimettersi alle sue calcagna, non appena raccolta la corona, costringendolo a gettarsene un’altra alle spalle quando la guardia si era di nuovo avvicinata troppo a lui.
Cortez si fermò in mezzo ad una radura, poggiando i palmi delle mani sulle ginocchia, respirando affannosamente.
Quell’inseguimento stava durando decisamente troppo per i suoi gusti e gli era già costato i due terzi del suo prezioso bottino.
Doveva escogitare qualcosa se non voleva rinunciarvi completamente ed evitare la galera.
“CORTEZ!”
L’urlo di Quinn alle sue spalle era decisamente troppo vicino.
Si risollevò e si rimise a correre, ma fatti solo pochi passi sentì i troppo familiari latrati dei segugi reali, proprio davanti a lui.
“¡Maldicìon!”
Ringhiò.
Era in trappola.
Indietreggiò verso una parete di roccia ricoperta di edera, guardandosi intorno in cerca di una via di fuga, mentre si premeva contro le pietre alle sue spalle.
Ma non appena la sua schiena poggiò contro la parete, quella che credeva essere solida roccia cedette sotto il suo peso, mentre le fronde di edera si aprivano, facendolo cadere all’indietro.
Cortez riuscì a stento a soffocare un grido di sorpresa.
Non appena le fronde d’edera si richiusero sulla cavità che l’aveva inghiottito, i passi affrettati del capitano Fabray risuonarono nella radura, seguiti poco dopo da quelli pesanti e ritmati di altri soldati.
“Capitano – chiamò una delle guardie – dov’è finito quel farabutto?”
Cortez sogghignò.
“Lo stavo inseguendo – spiegò Quinn disorientata – l’ho perso di vista solo pochi istanti quando ha abbandonato la corona della regina, prima di entrare in questa radura.”
Concluse sollevando i due monili che aveva recuperato.
Il ladro digrignò i denti contrariato.
“I cani hanno fiutato il suo odore, non può essere lontano.”
“Allora fateli cercare!”
Ringhiò Quinn.
Cortez si guardò intorno e decise che il posto più sicuro fosse quello più lontano possibile da Quinn e dalle sue guardie reali.
Osservò la galleria scura che si trovava davanti a lui, indeciso se proseguire o meno, quando un ordine perentorio di Quinn verso i soldati cancellò ogni suo dubbio, spingendolo ad avanzare nell’oscurità.
Dopo vari minuti, una tenue luce comparve davanti a lui e infine la galleria lo condusse di nuovo all’aperto.
Batté varie volte le palpebre nel tentativo di riabituare gli occhi alla luce accecante del sole e, non appena riuscì a guardarsi intorno, la sua bocca si spalancò per lo stupore.
Si trovava in una bellissima piccola valle, piena di fiori colorati che impreziosivano l’erba verde e rigogliosa. I monti la circondavano completamente, sembravano quasi stringerla in un tenero abbraccio protettivo.
E proprio al centro della valle, si ergeva una torre altissima, più alta perfino della torre di guardia del castello da cui era appena fuggito col suo bottino.
Cortez si avvicinò curioso e fece il giro dell’edificio in cerca di un accesso, ma non ne trovò alcuno.
“Scommetto che c’è un panorama fantastico da lassù.”
Mormorò tra sé e sé con un sorrisetto, notando una finestra solitaria quasi sulla cima.
Senza pensarci troppo, estrasse i due pugnali che aveva sempre con sé celati all’interno degli stivali e, conficcandoli nelle fessure tra le pietre con cui era costruita la torre, iniziò la sua lenta scalata.
Arrivato alla finestra, gettò i pugnali all’interno, in modo da potersi aggrappare al davanzale di legno e si issò faticosamente dentro la stanza.
Si chinò esausto sul davanzale, inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante e pulita, mentre il suo sguardo vagava sul paesaggio sottostante.
Un sorriso soddisfatto gli incurvò le labbra piene.
“Non mi sbagliavo. Un panorama da mozzare…”
Prima che potesse finire la frase ci fu uno strano suono metallico, come l’echeggiare di una campana rotta, mentre un dolore acuto gli esplodeva nella testa.
Poi tutto divenne buio.

Lord Tubbington si avvicinò cautamente al corpo steso prono sul pavimento di legno, iniziando ad annusarlo sospettoso.
“Attento Tubb, potrebbe essere un mostro mangiagatti, pronto a strapparti la pelliccia per farsi un cappello.”
Bisbigliò Brittany, stringendo convulsamente il manico della padella con cui aveva stordito quello sconosciuto spuntato dal nulla.
Lord Tubbington non si scompose e continuò la sua ispezione.
Finito di annusare accuratamente il nuovo arrivato, sembrò decidere che fosse innocuo e si sistemò comodamente nella curva alla base della sua schiena, appoggiando il mento su una natica soda per poi mettersi tranquillamente a dormire.
Brittany inclinò la testa, osservando la scena perplessa, prima di azzardarsi ad avvicinarsi un po’ di più.
Dopotutto, l’istinto di Lord Tubbington non sbagliava mai.
Si avvicinò cautamente all’uomo privo di sensi e si accucciò al suo fianco curiosa.
Era la prima volta che vedeva un’altra persona che non fosse sua madre, e la curiosità la stava divorando.
Titubante, protese l’indice a sfiorare i suoi capelli neri. Era la prima volta che vedeva dei capelli neri e non poteva non chiedersi se anche al tatto fossero diversi dai suoi.
La sorprese trovarli così morbidi e setosi e si ritrovò ad accarezzarli piano, godendo di quella sensazione morbida sul palmo della mano.
“Sono quasi più morbidi del tuo pelo, sai Tubb?!”
Mormorò con un piccolo sorriso all’indirizzo del gattone addormentato.
Con estrema cautela spostò una ciocca ribelle che copriva il volto dell’intruso, sistemandogliela dietro l’orecchio.
Appena il suo volto fu scoperto lasciò andare un sospiro che non si era nemmeno accorta di aver trattenuto.
Osservò attentamente quei lineamenti sconosciuti, stranamente attratta da quella pelle ambrata, leggermente imperlata di sudore, e il suo sguardo si perse per un momento sulle labbra piene, atteggiate in un piccolo broncio a metà tra la sorpresa e l’indignazione.
“Ehi, Tubb – ridacchiò – hai visto? Anche lui ha i baffi, come te.”
Il micio si limitò a rivolgerle uno sguardo di traverso, prima di sistemarsi più comodamente, sollevandosi sulle zampe per stiracchiarsi un po’.
Nella procedura allungò una zampa, sguainando gli artigli per stiracchiarsi meglio, conficcandoli nel gluteo dello sconosciuto.
“Ahi!”
Si lamentò battendo le palpebre.
Brittany agì d’istinto e prima che il poveretto fosse del tutto vigile, gli assestò una seconda padellata sulla testa, spedendolo di nuovo nel mondo dei sogni.
“Ops.”
Mormorò all’indirizzo di Lord Tubbington che era saltato via spaventato.
“E ora che ne facciamo di lui Tubb?”
Domandò perplessa, ottenendo solo uno sguardo serio dal gattone.







Angolo della pazza

Ehm, salve… *si nasconde dietro un ombrello gigante, prestatole dal suo fedele amico Wile E. Coyote per ripararsi dai pomodori marci volanti*

Allora come avrete notato mi sono molto liberamente ispirata al cartone della Disney “Rapunzel”, ovviamente tratto dalla storia dei fratelli Grimm.

L’idea mi girava in testa già da un po’ e all’inizio pensavo di fare semplicemente una shot, ma dato che 1 stava già venendo lungherrima, 2 mi stava impiegando un sacco di tempo, ho pensato di dividerla in 3 – 4 capitoli e vedere voi cosa ne pensate, se l’idea vi piace vado avanti a scrivere anche le parti successive, in caso contrario la finisco qui e accantono l’intero progetto.
Però ho bisogno del vostro feedback, quindi commentate, insultatemi, datemi della pazza, qui o su Twitter , però fatemi sapere qualcosa.

Nel frattempo io continuo a lavorare anche agli altri miei progetti, quelli storici che ormai conoscete e qualcosina di nuovo bolle in pentola…

Chiudo qui, non so se e quando arriverà il seguito di… sta cosa qua, il suo destino è nelle vostre dita, perciò RECENSITE ;)

WilKia, chiude. >.<


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Capitolo 2
*** CAP II ***


CAPITOLO II

 
 
 
Il micione sollevò la testa infastidito, puntando uno sguardo indignato sulla bambina che rideva a crepapelle agitando le gambe sotto le coperte e stringendosi con le braccia l’addome dolorante per le troppe risate.
“Ti sembra molto divertente, vero?!”
Domandò la madre inarcando le sopracciglia.
“Vorrei proprio vedere se continueresti a ridere al posto del povero Cortez. Pensa che mal di testa.”
La rimproverò, ma con un sorriso giocoso dipinto sulle labbra.
“Ahahahah! L’ha preso a padellateeee. Ahahahah!”
Continuò a ridere la piccola rotolandosi tra le coltri.
“Allora, hai finito di ridere delle disgrazie di quel povero, onesto ladro? Posso continuare con la storia?”
Domandò la madre risistemando il letto e dando una breve carezza al gatto, perché si rimettesse a dormire tranquillo.
Finalmente le risa si spensero lentamente e la bambina si girò in modo da poterla osservare, mentre riprendeva il racconto.

 
“Ahi!”
Protestò Cortez avvertendo cinque artigli sottili ed affilati conficcarglisi nel polpaccio.
Si riscosse lentamente dal torpore che lo avvolgeva, scuotendo piano la testa dolorante.
“¡Ah, mi pobra cabeza!”
Borbottò contrariato.
Batté le palpebre nel tentativo di schiarirsi la vista e si guardò intorno spaesato, non riconoscendo il luogo in cui si trovava, mentre in lui si faceva strada la consapevolezza che qualcosa non andasse.
Infatti non riusciva a muovere né braccia né gambe, e sentiva anche una certa costrizione al petto che gli rendeva difficile respirare.
“Dove sono?”
Si guardò intorno, mentre lentamente ricordava la fuga.
“Poi ho scalato la torre e stavo guardando il panorama quando…”
“Non ti muovere!”
Ordinò una voce tremolante.
Cortez si guardò intorno, notando una figura nascosta nella penombra.
“O-ogni tentativo di liberarti è inutile.”
Disse ancora quella voce di ragazza.
Provò a divincolarsi, trovando che, effettivamente, era molto ben legato.
Abbassò lo sguardo sui vincoli che lo trattenevano e aggrottò le sopracciglia perplesso.
“Ma che razza di…? Queste non sono corde – affermò tra sé e sé – capelli? Mi hai legato con dei capelli?”
Domandò incredulo alla figura nascosta nell’ombra.
Provò a divincolarsi di nuovo, non riuscendo a credere di essere veramente avvolto da lunghissime ciocche bionde.
Avvertì dei passi leggeri avvicinarsi e sollevò lo sguardo appena in tempo per vedere la ragazza più bella che avesse mai incontrato in vita sua uscire dall’ombra. Il suo sguardo risalì lungo la sua figura slanciata, doveva essere almeno un paio di centimetri più alta di lui. Avanzava insicura e con un leggero tremolio, tenendo una padella sollevata minacciosamente nella sua direzione.
Si soffermò a lungo sulle lentiggini che le punteggiavano il naso, dopo essersi attardato sulle labbra, atteggiate in un broncio che trovò assolutamente adorabile. Ma quando la luce del sole colpì i suoi occhi, dovette seriamente sforzarsi per impedire che la sua bocca si spalancasse. Solo nel cielo della primavera aveva visto un azzurro tanto intenso.
“Chi sei? – domandò la ragazza con voce un po’ più sicura – e come hai trovato la torre?”
Ancora incantato dalla sua bellezza, Cortez ci mise alcuni istanti a registrare le parole che gli aveva rivolto.
Chi era quella ragazza? E che cosa ci faceva in cima ad una torre senza porte nel bel mezzo della foresta?
Una cosa era certa, non si era sbagliato a pensare che da lassù avrebbe goduto di una vista meravigliosa.
Si schiarì la voce, fissando i suoi occhi neri in quelli azzurri della ragazza.
“Non so come ho trovato la torre – spiegò con il suo tono di voce più roco e sensuale – e non ho idea di chi tu sia. Ma c’è qualcosa che vorrei dirti…
Wow ragazza, sei un vero schianto!”
Esclamò con tono ammiccante, inarcando le sopracciglia.
“Sono Diego Cortez, e sono pronto a realizzare ogni tuo più nascosto desiderio.”
La ragazza lo osservò per alcuni istanti, battendo le ciglia confusa dal suo atteggiamento. Poi, improvvisamente, strinse gli occhi in due sottili fessure, puntandogli la padella sotto il naso.
“Non mi incanti! – esclamò seria – cosa volevi farci con i miei capelli, eh? Venderli? O ti ha mandato qualcuno perché glieli consegnassi?”
Cortez sgranò gli occhi confuso e sollevò le mani, per quanto gli fosse possibile con i polsi legati alla sedia, in un gesto difensivo.
“Ehi, rallenta biondina…”
“Brittany.”
Lo corresse lei.
“Oh, ma che bel nome.”
Rispose roteando gli occhi per la mancanza di fantasia della madre della ragazza. Almeno la metà delle fanciulle del regno erano state chiamate così in onore della principessina, scomparsa quando lui era così piccolo da non saper ancora camminare.
“Comunque, non ci voglio fare nulla con i tuoi capelli…”
“E perché mai saresti qui, se non per i miei capelli?!”
Chiese lei in tono d’accusa.
“Senti, bellezza. Ero in una situazione complicata e mi serviva un posto in cui nascondermi in attesa che si calmassero le acque, d’accordo? Sono capitato per caso nei dintorni, ho visto la torre e l’ho scalata. Fine della storia.”
Gli occhi azzurri di Brittany si spalancarono sorpresi.
“Davvero non sei qui per i miei capelli?”
Domandò meravigliata.
“Perché mai dovrei interessarmi ai tuoi capelli?”
Chiese con fare ovvio.
“Oh!”
Esclamò Brittany abbassando finalmente la sua padella.
“Al momento tutto ciò che voglio dai tuoi capelli è che tu me li tolga di dosso.”
Brittany scambiò uno sguardo con il gatto che per tutto il tempo l’aveva scrutato con sguardo indagatore, Cortez l’aveva trovato vagamente inquietante.
“Va bene – decretò – ti libererò, ma ad una condizione…”
“Senti, biondina – la interruppe – vorrei tanto continuare a chiacchierare con te, ma ho degli affari che mi attendono e…
Un momento! Dov’è la mia borsa?”
Domandò nervosamente.
“L’ho nascosta – spiegò Brittany – dove non riuscirai a trovarla.”
Cortez si guardò intorno con aria critica, era bravo a trovare i nascondigli delle cose preziose, non per nulla era il ladro più ricercato del regno.
“È  dentro quella scatola di colori, vero?”
L’unica risposta che ottenne, fu il clangore della padella di Brittany che, per la terza volta impattava con il suo cranio, spedendolo nell’incoscienza.

 
“Ma povero Diego! – rise la bimba per poi nascondersi dietro le manine – chissà che bernoccolo gli sarà venuto in testa.”
“Già, un bernoccolo enorme – confermò la madre con un sorriso – alto quanto la torre di Brittany.”
 

“Come avrà fatto a scoprirlo?”
Domandò Brittany all’indirizzo di lord Tubbington, mentre si affrettava a cercare un nuovo nascondiglio per la borsa del suo prigioniero.
Un sorriso le incurvò le labbra, quando trovò il luogo perfetto.
“Che ne pensi di lui, Tubb?”
Chiese poi, ricevendo uno sguardo serio dal micione.
“Lo so, non convince del tutto neanche me, ma che scelta abbiamo?”
Sospirò ricordando il litigio che aveva avuto poco prima, al ritorno di sua madre, quando aveva tentato di convincerla di essere in grado di badare a sé stessa mostrandole l’intruso che aveva chiuso in un armadio, privo di conoscenza. Ma prima ancora che Brittany potesse aprire le ante dell’armadio, Sue aveva messo bene in chiaro che non le avrebbe mai permesso di lasciare la torre e che vi sarebbe rimasta rinchiusa per il resto dei suoi giorni.
Così Brittany aveva escogitato un modo per realizzare comunque il proprio desiderio, senza che la madre sapesse mai che le aveva disobbedito.
Le aveva chiesto in dono dei colori molto rari, che Sue avrebbe potuto procurarsi solo affrontando un lungo viaggio di almeno tre giorni.
Alla fine la donna aveva ceduto, pur di far cadere l’argomento “uscire dalla torre”.
Con la partenza di sua madre il primo ostacolo era stato superato, ora non le restava che trovare il modo di andare a vedere il suo “fiume di luci” e ritornare il più in fretta possibile, prima del rientro di Sue.
Per questo le serviva una guida.
“Ahi! Basta!”
Protestò Cortez, quando Lord Tubbington gli affondò gli artigli nell’altro polpaccio, per svegliarlo.
“Non sono un dannatissimo puntaspilli.”
Ringhiò.
“Ho una proposta da farti – iniziò Brittany osservandolo scrollare la testa, ancora stordito – domani, esattamente dopo il tramonto, il cielo sarà invaso da un fiume di luci fluttuanti…”
“Parli della festa delle lanterne?”
La interruppe Cortez scuotendo la testa dolorante.
“Lanterne – mormorò Brittany tra sé e sé – ecco cosa sono!”
Si schiarì la voce.
“Esattamente. Ecco la mia proposta, tu mi farai da guida. Mi accompagnerai a vedere le lanterne e poi mi riporterai qui e a quel punto io ti restituirò la tua borsa.”
Cortez la osservò con aria critica.
“Spiacente, biondina…”
“Brittany.”
Lo corresse di nuovo lei.
“D’accordo, Brittany. Ho affari urgenti da sbrigare, inoltre, da quelle parti non sono esattamente popolare, diciamo pure che per me marciare trionfalmente attraverso le porte della città sarebbe una sorta di suicidio. In parole povere, Brittany, se vuoi vedere le lanterne vacci da sola.”
Concluse con un’espressione indolente dipinta in viso.
“Ho bisogno di andare e tornare entro tre giorni al massimo, prima che rientri mia madre. Non ce la farò mai senza una guida, non conosco la strada e ci metterei troppo tempo.”
Quasi implorò lei.
“Ah, lo stai facendo di nascosto dalla mamma eh… spiacente, non è un problema mio.”
“Ma prima hai detto che sei qui per realizzare ogni mio desiderio…”
Insisté lei imbronciandosi.
“Quando? Cos… ah!”
Balbettò, finché non gli tornò alla mente la conversazione avuta con lei prima che lo stordisse con quella padella infernale. In effetti era ancora un po' offeso per il modo in cui la ragazza aveva ignorato il suo approccio.
“Era solo un modo di dire.”
Bofonchiò con una scrollata di spalle, dipingendosi un’espressione indolente sul volto.
Gli occhioni azzurri di Brittany si strinsero di nuovo in due fessure, mentre un’espressione determinata le si dipingeva in volto.
“Ma quella borsa è un problema tuo e ti assicuro che puoi anche radere al suolo la torre pezzo per pezzo, ma non riuscirai mai più a trovarla senza che io ti indichi il suo nascondiglio. Mai.”
Cortez osservò a lungo quegli occhi determinati, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente alla ricerca del modo per uscire da quella situazione.

 
“E alla fine che ha fatto, mamma? Ha accompagnato Brittany a vedere le lanterne?”
“Certo che l’ha accompagnata, ma non è stato un viaggio facile. Hanno dovuto affrontare molte prove.”
“Che prove? – chiese la piccola sgranando i suoi occhioni azzurri – animali feroci? Banditi? I soldati che volevano arrestare Diego?”
La donna sorrise.
“Oh, si. Ma andiamo con ordine, perché la vera prova per Cortez è iniziata nel preciso momento in cui ha accettato la proposta di Brittany.”
“Davvero? E che prova era?”
Ridacchiò.
“Avere pazienza.”

 
Cortez sbuffò e diede un calcio ad un sassolino, prima di voltarsi verso la grande quercia che si ergeva a sinistra del sentiero che stavano seguendo.
Brittany era rannicchiata tra le radici, le ginocchia raggomitolate al petto e il volto nascosto dai suoi capelli assurdamente lunghi. Lord… qualchecosa, non ricordava come si chiamava quel maledettissimo gatto, né capiva perché se lo fosse voluto portare dietro, era seduto al suo fianco e di tanto in tanto sfregava il suo testone peloso contro il braccio della ragazza.
Era da quando avevano lasciato la torre che Brittany alternava momenti di grande eccitazione in cui saltellava e danzava in giro per la foresta, ridendo ed osservando ogni più piccolo fiore o foglia o… qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, con i suoi occhioni azzurri sgranati e tutto il volto atteggiato in un’espressione di meraviglia, ad altri momenti di profondo sconforto, passati ad autocommiserarsi in una sfilza di sensi di colpa verso sua madre e la sua disobbedienza all’unica ferrea regola che le avesse mai imposto, quella di non uscire mai dalla torre.
Quando la sentì lasciarsi sfuggire un piccolo singhiozzo sospirò pesantemente e si passò una mano sulla nuca in un gesto nervoso, avvicinandosi.
Si chinò sulle ginocchia di fronte a lei e si schiarì la voce, ma Brittany non diede alcun segno di averlo sentito.
Lanciò uno sguardo inceneritore al gatto che lo fissava sospettoso e si schiarì di nuovo la voce, tanto per essere sicuro.
“Sai, mi sembra di notare che tu sia impegnata in una seria lotta con te stessa.”
Iniziò.
Brittany sollevò la testa e lo fissò asciugandosi una lacrima. Per un momento Cortez si sentì una persona veramente orribile davanti a quegli occhi arrossati dal pianto e a quel broncio triste, ma ehi, era un furfante dopo tutto.
“Sai, capisco bene la situazione, tua madre a quanto pare è una vecchia frigida fissata con le regole e terrorizzata dal mondo direi, dato il modo in cui ti ha rinchiusa – proseguì, inghiottendo quella sensazione spiacevole – quanti anni hai? 17?”
Domandò, ricevendo un cenno d’assenso.
“Ne compio 18 domani.”
Mormorò Brittany tirando su con il naso.
“Vedi, ormai sei una donna, è ora che lasci il nido lassù sulla tua torre e impari a camminare con le tue gambe.”
“Ma quello lo so fare da quando avevo 10 mesi…”
Mormorò Brittany battendo le palpebre confusa.
“Ehm, wow, complimenti. Io ho imparato solo ad un anno e tre mesi, ma non è questo quello che intendevo – si riprese scuotendo la testa – quello che volevo dire è che è ora che cominci a fare le cose senza il permesso di mammina. Un po’ di ribellione è più che normale. Ti farà solo bene.”
“Tu-tu credi?”
Domandò Brittany rasserenandosi un poco.
“Certo, e poi abbiamo detto che ti riporterò alla torre prima del suo ritorno, quindi ciò che non sa non le farà del male.”
Esclamò allegramente alzandosi e voltandole le spalle.
“F-farle del male?”
“Beh, sai com’è… A nessuna madre piace che la propria figlia se ne vada a zonzo per i boschi con il primo tizio conosciuto. Se lo venisse a scoprire sarebbe un’autentica pugnalata per lei.”
“P-pu-pugnalata?!”
Osservò con la coda dell’occhio la sua espressione sempre più traumatizzata, chiaro segno che fosse pronta a ricevere il suo affondo finale.
“Eeeeh già. Il distacco tra madre e figlia alla fine è inevitabile – sospirò con aria melodrammatica – ed è sempre un momento doloroso. Soprattutto quando è improvviso ed anche così imprevisto. Ma non temere, alla fine se ne farà una ragione. Certo, all’inizio soffrirà per i primi 5-10 anni, forse più, forse meno.”
Concluse voltandosi, finalmente, ad osservare la sua espressine sconvolta.
“Lo so, capisco il tuo tormento interiore. È una decisione difficile da prendere, forse hai bisogno di più tempo. Così è tutto troppo improvviso, lo capisco.”
Si fermò per una pausa ad effetto e la guardò con un’espressione falsamente pensosa.
“Sai, non è mia abitudine fare questo, ma tu mi sei simpatica, biondina. Perciò dall’alto della mia bontà, ho deciso di scioglierti dal nostro patto.”
“C-come?”
Domandò Brittany confusa.
“Lo so, non c’è bisogno che mi ringrazi – continuò imperterrito, chinandosi a raccogliere il gatto ed avviandosi lungo il sentiero, nella direzione da cui erano appena arrivati – forza, andiamo. Ti riaccompagno alla tua torre. Io recupero la mia borsa e tu recuperi il rapporto basato sulla fiducia reciproca che hai con tua madre. Tutti vincono.”
Concluse allegramente.
“Ahi! ¡Maldita bestia!”
Esclamò lasciando andare il gatto che gli aveva morso una mano.
Non appena toccò terra, il felino si accucciò ai piedi di Brittany, schiacciandosi al suolo con gli occhi socchiusi e le orecchie basse sulla testa, mentre apriva le fauci mostrandogli i denti in un soffio minaccioso.
Stava ancora fissando il gatto con uno sguardo di sfida, quando si trovò davanti gli occhi azzurri di Brittany, di nuovo stretti in quello sguardo determinato.
“Tu non hai il diritto di sciogliere nessun accordo. Sono io che ho la tua borsa e non intendo restituirtela finché non avrò visto quelle lanterne. Fossi in te mi assicurerei che io arrivi a vederle e poi mi riaccompagnerei alla torre entro il tramonto del terzo giorno, se davvero ci tieni a riaverla.”
Cortez fissò per un attimo quegli occhi determinati, accorgendosi solo in seguito di avere la padella che Brittany brandiva puntata direttamente sotto al mento.
Stava cercando un modo adatto per ribattere, quando il cespuglio alle sue spalle iniziò a muoversi frusciando e l’atteggiamento di Brittany cambiò repentinamente.
Prima di potersi rendere conto di quello che accadeva, Cortez si trovò voltato a fronteggiare il cespuglio, con Brittany che si riparava dietro di lui, tenendo la padella protesa davanti a loro passando da sotto il suo braccio.
“C-che cos’è? – squittì con voce tremante – banditi? Assassini? Un branco di mostri assetati di sangue?”
Improvvisamente le fronde del cespuglio si aprirono lasciando libero il passaggio ad un gruppo di animali.
“Quack!”
“Attenta – bisbigliò Cortez sarcastico – se interrompi il contatto visivo potrebbero anche attaccarti.”
“Oh! – esclamò Brittany imbarazzata, per poi ridacchiare nervosamente davanti a mamma anatra e alla sua nidiata di anatroccoli – forse sono un tantino nervosa.”
Concluse lasciando da parte la sua padella per poi inginocchiarsi tra i pulcini che le si disposero intorno curiosi.
“Ehi, tienila a portata di mano quella, potrebbe sempre servire per cucinare la cena.”
Commentò Cortez sollevando un sopracciglio ed osservando lo sguardo avido di Lord Tubbington. Era probabilmente la prima volta che lui e il gatto erano d’accordo su qualcosa.
Ma Brittany sembrò non aver neppure sentito ciò che aveva detto, troppo intenta a giocare con gli anatroccoli che le si arrampicavano addosso.
Cortez sbuffò seccato per come la ragazza l’avesse incastrato e per come ora lo stesse ignorando completamente per un branco starnazzante di pennuti.
Si schiarì la voce un paio di volte, ma Brittany sembrava essere completamente rapita dagli anatroccoli che le zampettavano attorno impacciati.
“Credevo avessimo fretta.”
Sbottò infine, irritato.
“Fretta?”
Domandò Brittany.
Cortez la fissò incredulo.
“Le lanterne? Abbiamo una scadenza da rispettare, o sbaglio?!”
Esclamò esasperato.
“Ma sono così carini.”
Trillò Brittany sollevando delicatamente una paperella fino a sventolargliela sotto i baffi.
“Sono delle bestiacce piumate e pigolanti – sbottò piccato incrociando le braccia sul petto – e ci stanno facendo perdere tempo prezioso.”
“Sono dolci e teneri.”
Insisté Brittany, coccolando l’anatroccolo che aveva tra le mani.
“Teneri sicuramente. Ma li preferisco salati, arrosto e su un letto di patate al forno.”
“Avanti, fagli una carezza. È morbido come una nuvola.”
“No!”
Si rifiutò stringendo con ancora più forza le braccia sul petto.
“Avanti…”
Lo invitò Brittany insistente.
“Ho detto di no!”
Ribadì spostando lo sguardo su un sasso accanto a dove era seduta la ragazza.
“Per favore?”
Continuò lei, imbronciando lievemente le labbra e sgranando i suoi occhi azzurri.
Cortez si impegnò a mantenere il suo atteggiamento scocciato, ma quando con la coda dell’occhio colse il piccolo broncio in cui erano atteggiate le labbra di Brittany sospirò pesantemente lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
“D’accordo – esalò – ma solo a patto che poi saluti questi dannatissimi pennuti e ci rimettiamo in marcia.”
Borbottò scontroso.
“Affare fatto.”
Trillò lei allegra, porgendogli di nuovo l’anatroccolo.
Cortez lo osservò corrucciato, mentre il pulcino lo studiava curioso, con la testolina inclinata di lato.
Dopo alcuni istanti di silenzio, protese l’indice sinistro e lo strofinò brevemente sul becco piatto dell’anatroccolo per poi incrociare di nuovo le braccia al petto.
“Ecco fatto. Contenta? Ora possiamo andare?”
“E quella la chiami carezza? – domandò Brittany aggrottando le sopracciglia – sono sicura che puoi impegnarti di più.”
Prima che Cortez potesse protestare, Brittany gli aveva già afferrato una mano e vi aveva depositato sopra l’anatroccolo, per poi prendergli l’altra e guidarla in un’ampia carezza sulle sue piume soffici.
“Ecco, così va meglio. Non era difficile, no?! – trillò Brittany allegra – oh, guarda! Sembra che tu gli piaccia.”
Sospirò osservando l’anatroccolo che si era sistemato comodamente nel palmo della sua mano, nascondendo la testolina sotto l’ala per farsi un sonnellino.
Cortez osservò per un momento l’anatroccolo accoccolato nella sua mano e, prima che potesse controllarsi, le sue labbra si incurvarono leggermente in un sorriso.
“Beh, a me non piace lui! – borbottò non appena si accorse del movimento involontario delle proprie labbra – quindi restituiscilo a sua madre, prima che decida di trasformarlo nella mia cena. Comincio ad essere affamato.”
Concluse lasciandole cadere il pulcino nella mano, per poi riavviarsi rapidamente sul sentiero che stavano seguendo prima di quella sosta indesiderata.
Brittany scosse la testa sorridendo e posò delicatamente l’anatroccolo tra i suoi fratellini, quindi diede un’ultima carezza a tutti e salutò mamma anatra prima di alzarsi ed inseguire Cortez.
“Andiamo Tubb.”
Chiamò mentre si allontanava rapidamente.
Lord Tubbington lanciò un ultimo sguardo avido alla nidiata di pennuti, mugolando il suo dissenso quando si sentì chiamare di nuovo da Brittany.
Mosse nervosamente la coda, osservando l’atteggiamento minacciosamente guardingo di mamma anatra, poi si voltò altezzoso e si affrettò ad inseguire i due umani.
“Sai, anche io comincio ad avere una certa fame.”
Esclamò Brittany non appena ebbe raggiunto Cortez.
“Beh, mi dispiace, ma temo tu abbia appena finito di coccolare la nostra cena.”
Borbottò sventolando una mano in aria con fare annoiato.
Brittany gli afferrò la mano e la osservò attentamente.
“Hai le mani piccole.”
Esclamò.
Cortez si rimpossessò della propria mano con uno strattone.
“Questo perché le mie non sono semplici mani. Sono delicati e precisissimi strumenti da furto – spiegò serio sventolandole le mani sotto al naso con orgoglio – sono in grado di sottrarre qualsiasi oggetto prezioso dalla tasca più nascosta, senza che il proprietario se ne accorga.”
E tanto per dimostrare la propria affermazione le sventolò sotto al naso il nastro celeste che aveva avvolto in vita come cintura e il braccialetto di conchiglie che fino ad un attimo prima era assicurato attorno al suo polso.
Brittany sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo ad osservare il proprio abito che non più trattenuto dal nastro le si gonfiava largo intorno alla vita.
“Accidenti… forse è davvero il caso che ti porti a mangiare qualcosa – ragionò Cortez riannodandole il nastro intorno ai fianchi, prima di riprendere il cammino – sei talmente magra che se dovessi saltare un pasto rischieresti di sparire.”
Esclamò lanciandole il suo braccialetto da sopra la spalla sinistra.
Brittany lo afferrò e rimase alcuni istanti pensosa, spostando lo sguardo tra il braccialetto e il ragazzo che continuava ad allontanarsi, poi gli saltellò dietro entusiasta.
“Conosci un buon posto?”
Domandò riprendendo il discorso sul problema della cena.
“Oh, sì. Il migliore del circondario – rispose, mentre un’idea iniziava a formarsi nella sua mente – toglimi una curiosità. Mi è parso di capire che banditi e delinquenti siano da evitare, vero?”
“Sarebbe meglio, sì.”
“Benissimo. Allora sono sicuro che saprai apprezzare ‘La Prima Stella a Sinistra’ la locanda più rinomata dei dintorni.”
Esclamò allegramente precedendola sul sentiero e sogghignando sotto i baffi.
“La prima stella a sinistra? – domandò Brittany incuriosita – il nome promette bene.”
“Oh, sì. Sono sicuro che ti piacerà.”
“È lontano da qui?”
“Non ricordo esattamente dove si trova. Ma basterà seguire l’odore.”
“Per via dei manicaretti che ci preparano?”
“Eeeehmm… già! – esclamò Cortez dopo un attimo di esitazione – proprio per quello.”
Rispose con un ghigno sempre più ampio.

 
“Non mi fido di quel Cortez.”
Borbottò la piccola con espressione seria.
La madre inarcò le sopracciglia sorpresa.
“Perché no, tesoro?”
“È troppo misterioso. Sembra che nasconda un segreto.”
“Tu dici, eh?”
Domandò la donna osservandola con aria solenne.
“È così, vero? – si entusiasmò la bambina – nasconde un segreto!”
“Oh, sì. Un grande segreto.”
Rispose, misteriosa.

 
“Oh! Ma che bel posto.”
Trillò Brittany, osservando rapita l’edificio in legno e pietra che si ergeva davanti a loro.
La locanda aveva indubbiamente un aspetto accogliente con il suo tetto di legno e paglia e il fumo denso che usciva dal comignolo in pietra.
Una grossa stella dipinta in una brillante tinta di giallo svettava su un insegna posta all’inizio del vialetto che conduceva all’ingresso.
“Pronta ad entrare?”
Domano Cortez.
“Sì, muoviamoci! – esclamò saltellando – sto morendo di fame!”
“Allora, prego. Accomodati.”
La invitò aprendo galantemente la porta, permettendole di entrare per prima.
Brittany fece qualche passo saltellante nella locanda, prima di bloccarsi in mezzo alla stanza ad occhi sgranati.
Ovunque volgesse lo sguardo, decine di brutti ceffi la fissavano come se avesse tre braccia.
Istintivamente sollevò la padella davanti a sé, iniziando ad indietreggiare, ma si trovò premuta contro Cortez che, prendendola per le spalle, la spinse in avanti, facendola addentrare ancora di più nella folla di delinquenti patentati che popolava la locanda.
“Aaaah senti qui che odore! Tipico aroma di uomo sudato. Non ti senti già ritemprata?”
Domandò Cortez sogghignando.
“Diego – bisbigliò Brittany da sopra la spalla, mentre raccoglieva i propri capelli in un ammasso informe che si strinse al petto – questo posto è pieno di banditi.”
“Sono solo onesti briganti.”
Spiegò lui continuando a farla avanzare.
Improvvisamente si trovarono la strada sbarrata da un uomo dal fisico massiccio e muscoloso, un uncino a sostituirgli la mano sinistra e una cresta che spiccava fiera  al centro della sua testa rasata.
“Io ti conosco.”
Esclamò squadrando Cortez con sguardo indagatore, mentre la mano destra accarezzava pigramente la curva del suo uncino.
Cortez lo osservò arricciando le labbra, lo sguardo che si puntò automaticamente sullo scintillio sinistro del suo uncino.
“No – esclamò poi – ricorderei sicuramente il tuo fantastico sorriso. Ora se vuoi scusarci…”
Concluse aggirandolo.
“Ehi, eccolo qui! È Diego Cortez.”
Squittì un tizio con piccoli occhi da topo e una massa informe di ispidi ricci sulla testa.
‘Faccia da topo’ corse verso l’uomo con l’uncino, sventolando un foglio che aveva appena strappato dalla parete.
“La sua taglia vale un sacco di soldi, Puck. Guarda!”
Squittì servile, mentre l’uomo gli strappava di mano il manifesto, ghermendolo con il suo uncino.
“A quanto sono quotato?”
Domandò Cortez sporgendosi sopra la spalla di Brittany per sbirciare il bando.
Improvvisamente una mano forte si strinse alla base del suo collo, sollevandolo da terra. Strinse i denti, quando la sua schiena impattò contro la parete di legno.
“Un bel po’ – rispose l’uomo con un ghigno, puntandogli l’uncino alla gola – a quanto pare qualcuno non è molto simpatico alla corona.”
“Oh, ti assicuro che l’antipatia provata per me dai reali è nulla paragonata a quella del capitano Fabray.”
Sogghignò Cortez, non perdendo il suo atteggiamento strafottente, nonostante tutto.
“Allora immagino mi sarà molto riconoscente, quando ti consegnerò direttamente nelle sue mani…”
“Ehi, lascialo!”
Esclamò Brittany agganciandosi al suo braccio nel tentativo di liberare Cortez dalla sua presa, ma l’uomo se la scrollò di dosso con un semplice gesto.
“Allora, ragazzi. Chi ha voglia di fare un po’ di soldi facili?”
Urlò l’uomo alzando in alto il suo uncino e scatenando un grido di assenso da parte della marmaglia che lo circondava.
L’acclamazione si spense, quando la padella di Brittany impattò, col suo tipico rimbombo metallico, sul cranio crestato dell’uomo.
La presa sul collo di Cortez sparì improvvisamente, lasciandolo cadere al suolo con un tonfo sordo, mentre il suo aggressore si voltava verso Brittany. Così come tutti i presenti.
Brittany indietreggiò, tenendo la padella ben ferma e minacciosa davanti a sé, stupita del fatto che l’uomo fosse ancora in piedi e ben sveglio, nonostante il suo colpo.
“Sentite, voi non lo potete far arrestare – quasi implorò – ho bisogno di lui per andare a vedere le lanterne e realizzare il mio più grande sogno.”
Esclamò fissando i suoi occhioni azzurri in quelli grigio-verdi dell’uomo, che continuava ad avanzare minaccioso verso di lei.
“Voi non avete mai avuto un sogno?”
Continuò, la sua voce che iniziava ad assumere un tono disperato.
“Noah!”
Chiamò una voce femminile, in tono autoritario.
L’uomo si bloccò immediatamente e sollevò lo sguardo oltre Brittany, emettendo uno sbuffo lievemente contrariato.
Brittany si voltò verso la balconata che sovrastava il salone della locanda dove, appoggiata alla balaustra, una giovane donna puntava i suoi occhi castani sull’uomo con l’uncino, rivolgendogli uno sguardo fiammeggiante.
Tutti gli occhi si puntarono su di lei, mentre percorreva la balconata, diretta verso le scale che scendevano nel salone. I fianchi ondeggianti nella sua lunga gonna nera, che presentava uno spacco che non era sufficiente definire vertiginoso ed offriva così alla vista di tutti il panorama delle sue gambe incredibilmente lunghe e toniche.
I lunghi capelli castani erano raccolti in una treccia che le cadeva morbidamente sulla spalla, sottolineando l’ampia scollatura del corpetto amaranto dell’abito che indossava. I passanti più alti dell’allacciatura del vestito erano liberi, i laccetti che pendevano pigramente sul busto, concedendo così alla vista di tutti una generosa porzione di pelle abbronzata.
La nuova arrivata squadrò brevemente Brittany prima di puntare uno sguardo severo sull’uomo con l’uncino, che abbassò lo sguardo con aria da cane bastonato, mentre lei lo superava.
“Bene bene, ma guarda un po’ chi si ripresenta strisciante alla mia porta.”
Sorrise la giovane donna, fermandosi proprio davanti a Cortez, che la osservò con un ghigno mettendosi più comodo a terra. Allungò le gambe, incrociando le caviglie ed intrecciando le mani sul ventre.
“Io non striscio mai, mia carissima nanerottola sexy.”
Ammiccò lasciando scorrere lo sguardo sulla sua figura, attardandosi sullo spacco più che generoso della sua gonna.
“Vedo che indossi ancora la giarrettiera che ti ho regalato anni fa – sorrise sornione – credevo che ormai te ne fossi disfatta.”
“Io odio gli sprechi.”
Rispose lei con aria altezzosa.
“Perché non dici la verità ed ammetti che la tieni in mio ricordo…”
La provocò lui in tono allusivo.
“Ed esattamente cosa dovrei ricordare?”
Domandò lei ancora più altezzosa.
“Oh, penso che tu sappia molto bene a cosa mi riferisco, Fragolina di bosco.
Ammiccò facendole l’occhiolino.
La ragazza arrossì lievemente ed abbassò per un istante lo sguardo, mentre il ghigno si ampliava sulle labbra piene di Cortez.
Brittany avvertì una sensazione spiacevole ribollirle dentro, allo sguardo malizioso che la giovane donna rivolse a Cortez quando risollevò gli occhi.
“No! Non mi sovviene nulla.”
Esclamò lei infine, ma il sorrisetto compiaciuto non abbandonò il viso di Cortez.
“Magari potremmo andare a parlarne di sopra, così potrei… rinfrescarti la memoria.”
Suggerì lui sollevandosi a sedere.
“Nessuno ti ha dato il permesso di alzarti.”
Ringhiò l’uomo con l’uncino facendo un passo verso di lui con aria torva.
“Buono Puckerman – esclamò autoritaria, sollevando una mano davanti a lui – lo so gestire benissimo da sola.”
“Si, Puckuccio. Stai a cuccia.”
Sogghignò velenosamente Cortez.
“Attento, microbo!”
Ringhiò di nuovo lui sollevando minaccioso l’uncino.
“Noah – lo ammonì severa la ragazza – ti ho già detto che me ne posso occupare da sola.”
“Ma Rachel io…”
“Tu te ne starai qui buono, mentre io conferirò di sopra con Diego – lo interrupe lei – e ti comporterai da perfetto gentil uomo con la nostra ospite.”
Concluse ferma indicando Brittany con un cenno della testa.
“Ma…”
Provò di nuovo a protestare.
“Mettiti pure comoda…”
“Brittany.”
Si presentò.
“Io sono Rachel – le sorrise la ragazza – e quello zuccone accanto a te è Noah.”
“Chiamami Puck.”
Si intromise lui scocciato.
“Non preoccuparti: è grande e grosso, ringhia tanto, ma non morde.”
Continuò imperterrita Rachel, ignorando le proteste di Puck.
“Mettiti pure comoda, Brittany – la invitò di nuovo – se hai fame o sete o ti serve qualsiasi cosa, chiedi pure a Noah.”
Prima che Brittany potesse rispondere, Rachel si voltò facendo ondeggiare la lunga gonna e si avviò di sopra.
Subito Cortez si rimise in piedi con un balzo e la seguì, rivolgendo un ghigno allusivo a Puck quando gli passò accanto.
Ridacchiò compiaciuto sentendo il suo ringhio infuriato e corse su per gli scalini di legno, rallentando solo quando fu direttamente dietro a Rachel, in modo da potersi godere il panorama del suo fondoschiena perfetto sotto le pieghe ondeggianti della gonna.
Non si risparmiò un ultimo sguardo vittorioso al cipiglio di Puck, prima di entrare nella stanza in cui era appena sparita Rachel, ma uno strano senso di disagio lo investì, quando, chiudendo la porta, scorse un barlume degli occhi azzurri di Brittany puntati nella sua direzione.

 
“Gli piace! – affermò entusiasta la bambina, sollevando i piccoli pugni sopra la testa in segno di trionfo – Brittany gli piace!”
“Certo che gli piace. A chi potrebbe non piacere?!
Ma Cortez non è il tipo da lasciarsi ostacolare da questo genere di cose – continuò seria – quando vuole qualcosa, non si ferma davanti a nulla.”
“E anche a Brittany piace Cortez, vero mamma?”
La interrogò la piccola, ignorando la sua affermazione.
“Tu dici?”
Domandò con un piccolo sorriso.
“Sono sicura che è così!”
“Può essere, ma non è certo l’unica…”

 
Cortez scrollò le spalle e si lasciò scivolare via di dosso quella sensazione sgradevole, mentre si voltava verso Rachel.
“Ma quel tizio… capitan crestino, fa sul serio?”
Domandò indicando la porta alle sue spalle con il pollice.
Rachel ridacchiò.
“Ho come la sensazione – continuò lui avvicinandosi lentamente e puntando uno sguardo languido nei suoi occhi castani – che voglia infilarsi sotto la tua gonna indecente.”
Concluse fermandosi a pochissimi centimetri dal suo volto ed appoggiando le mani al muro dietro di lei, ai lati delle sue spalle.
“Beh, non sarebbe il primo.”
Mormorò Rachel ricambiando il suo sguardo sensuale.
“Ti riferisci a qualcuno in particolare?”
“Forse…”
Ammiccò lei con un sorrisetto scaltro.
“Ed è riuscito a raggiungere il suo scopo?”
Domandò Cortez facendosi ancora più vicino, tanto che le loro labbra ormai quasi si sfioravano.
“Lo sai che ho gusti molto esigenti.”
Sorrise lei.
“Oh, sì – soffiò sulle sue labbra – me lo ricordo molto bene!”
Esclamò annullando ogni distanza.
Rachel avvolse le braccia intorno al suo collo, attirandolo più vicino ed approfondendo il bacio.
Le mani di Cortez scivolarono lungo la sua schiena, fino ad avvolgersi sui suoi fianchi attirandola contro il proprio corpo.
Rachel sospirò lasciando scivolare le dita sul suo collo, risalendo sulle sue guance, fino a sfiorargli gli angoli della bocca.
Avvertì i suoi polpastrelli sfiorargli i baffetti e un attimo dopo le labbra di Rachel si staccarono dalle sue e un dolore acuto e bruciante gli esplose sotto il naso, quando Rachel gli strappò via i baffi con un colpo secco.
“AHI! – gridò in un moto d’indignazione con una voce molto diversa dal solito, una voce decisamente femminile – mi hai fatto malissimo!”
 

“È una ragazza?! – esclamò la bambina ad occhi sgranati per la sorpresa – Cortez è una ragazza?”
“Proprio così. Il ladro più ricercato del regno altro non era che una ragazza.”
Confermò la madre con uno scintillio negli occhi neri.

 
Rachel ridacchiò sventolandogli davanti agli occhi i suoi baffi finti.
“Ecco, così va molto meglio. Sei molto più bella  senza questi cosi.”
Sorrise lanciandoli via, incurante di dove finivano.
“Se volevi che li togliessi, bastava…”
Le sue proteste furono ridotte al silenzio dalle labbra di Rachel che si chiusero prepotentemente sulle sue.
“Questo è il tuo modo per dirmi che ti sono mancata?”
“È stato un inverno molto lungo e freddo.”
Mormorò Rachel accarezzandole la pelle arrossata sotto al naso, mentre con la destra le sbottonava lentamente la camicia.
Entrambe chinarono lo sguardo ad osservare il suo lento procedere, che aveva ora scoperto una fascia bianca avvolta strettamente intorno al torace di Cortez.
Rachel alzò un momento lo sguardo ad incontrare i suoi occhi neri, in una silenziosa richiesta di permesso, che ottenne sottoforma di un lieve bacio sulla punta del naso.
Le sorrise dolcemente e si rimise al lavoro, sciogliendo delicatamente la stretta fasciatura, liberando il seno florido che celava al mondo.
Rachel si morse il labbro inferiore, corrucciata davanti ai segni rossi che deturpavano quella pelle ambrata.
Risollevò lo sguardo al sospiro di sollievo che le investì il volto, mentre sfiorava appena quei segni rossi con la punta delle dita.
“Da quanto tempo non la toglievi?”
Le domandò con un tono di rimprovero nella voce.
“Ero impegnata in un lavoro importante…”
Si difese.
“E ti sembra una ragione valida a giustificare questo scempio?”
“Parliamo dei gioielli della corona!”
Insisté.
“E dove sono ora questi favolosi gioielli della corona?”
Indagò Rachel sollevando le sopracciglia inquisitoria.
“Eeeehmm ci sto…”
“Ci stai lavorando.”
Concluse Rachel con lei.
“Allora c’è anche una buona memoria dietro quella proboscide che ti porti in giro appuntata sulla faccia.”
Rachel la spintonò, per poi incrociare le braccia al petto con aria offesa, facendola ridacchiare.
“Vedo che oltre al tuo corpo da urlo, anche il tuo caratterino non è cambiato.”
Commentò riavvicinandosi solo per ricevere un altro spintone.
“Proprio come i tuoi modi insolenti! – ringhiò offesa – e io che continuo a preoccuparmi per te…”
Concluse voltandole le spalle con un piccolo scatto altezzoso, che fece ondeggiare la sua lunga treccia.
Le si avvicinò ridacchiando, ma il suo atteggiamento cambiò non appena le fu vicina.
Le mise le mani sulle spalle e iniziò a massaggiarle sensualmente.
“Lo sai che non resisto mai alla tentazione di… stuzzicarti.”
Le sussurrò all’orecchio, compiacendosi della pelle d’oca che le vide nascere lungo il collo, sulla scia seguita dal suo respiro caldo.
“Non è divertente – borbottò Rachel – sono stufa di te che ti diverti con il mio naso e la mia statura.”
Rachel tentò di rimanere ferma sulla sua posizione indignata, ma quelle carezze e quel respiro caldo la stavano già sciogliendo. Quando poi quelle labbra piene si posarono delicate sul suo collo, Rachel capì che ormai non c’era modo di non cedere.
Si voltò di nuovo verso di lei, affondando le mani nei suoi capelli per attirarla in un bacio, quando un trambusto improvviso al piano di sotto fece voltare entrambe verso la porta.
“Hai sentito anche tu?”
Rachel annuì.
“Aspetta un momento.”
Rachel corse alla porta e osservò per alcuni istanti da uno spioncino.
“Meglio che tu faccia ricomparire Diego Cortez – bisbigliò voltandosi di nuovo verso di lei, con un’espressione di preoccupata urgenza dipinta sul volto – ed è meglio che tu lo faccia ricomparire in fretta. Ci sono guai in vista.”
La raggiunse velocemente e sbirciò per un attimo dallo spioncino, avvertendo un misto di eccitazione e senso di pericolo attanagliarle lo stomaco alla vista della figura familiare del capitano Fabray che entrava marciando nella locanda.
“Aiutami a ricompormi.”
 

 
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
 
Ta-dà!!! Colpo di scena, il nostro Diego Cortez si è rivelato non essere ciò che sembrava, ma scommetto che l’avevate già capito tutti, vero?
E scommetto anche che avete capito chi è la misteriosa ragazza che si cela sotto le sembianze di questo impavido ed affascinante ladro.
 
Allora, nuovi personaggi sono comparsi, l’idea del nostro Puckzilla in versione uncinata mi piaceva un sacco, così come l’idea che fosse così incredibilmente wipped da ubbidire ad ogni ordine di Rachel XD
 
Lo so che è passata una vita dal primo capitolo, ma scrivere questa… roba qui, ancora non so bene come definirla, è risultato molto più complicato del previsto.
Soprattutto, nel momento in cui mi è arrivata la richiesta specifica, da parte della mia sorellina, di inserire anche il famoso “Sguardo che Conquista” presente nella scena della torre nel Cartone della Disney.
Io ci ho provato, Fratella. Giuro che ci ho provato, ho riscritto quella scena almeno una dozzina di volte, ma proprio non sono riuscita a renderla in modo da rispettare lo spirito comico che aveva nel cartone.
(Anche perché quando penso allo “Sguardo che Conquista” della signorina camuffata da Diego Cortez decisamente non mi viene da ridere, ma solo da strapparmi via le mut…) EEEHHHMMM meglio che la chiuda qui, l’ora tarda e l’eccesso di caffeina mi stanno facendo sproloquiare a vanvera.
Comunque alla fine, non riuscendo a rendere quella scena come desideravo l’ho eliminata del tutto, anche se a malincuore. L’ho presa come un’autentica sconfitta personale.
 
Lo so, l’ultima parte forse è un po’ troppo spinta per un racconto ad una bambina, ma che ci posso fare, quelle due insieme mi fanno troppo sbav, si sono impossessate del mio cervello e mi hanno costretta a scrivere. Soo, beccatevela così.
 
Bene, spero che ancora ci sia qualcuno interessato a questo delirio.
Fatemelo sapere, ormai la prassi la conoscete e se proprio il riquadrino delle recensioni vi è antipatico potete sempre contattarmi su ->  Twitter   
WilKia chiude. >.<
 
P.S. forse ancora non lo sapete, ma io e la mia socia ManuKaikan abbiamo aperto una paginetta dove buttiamo tutte le nostre creazioni comuni.
Per ora c’è solo una shottina, ma in ogni caso, voi fateci un salto ^.^  -> _WilKaikan

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