Oh, my Rocket Queen...

di MargotRoux
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Camminava per le strade di Los Angeles ***
Capitolo 2: *** It's so easy... ***
Capitolo 3: *** Anything Goes... ***
Capitolo 4: *** Estranged ***
Capitolo 5: *** Foreigners ***
Capitolo 6: *** My Michelle ***
Capitolo 7: *** Should I Stay or Should I Go? ***
Capitolo 8: *** Coma ***
Capitolo 9: *** Rainbow ***
Capitolo 10: *** Saints of Los Angeles ***
Capitolo 11: *** Popcorn ***
Capitolo 12: *** Risvegli ***
Capitolo 13: *** Margot ***



Capitolo 1
*** Camminava per le strade di Los Angeles ***


Ecco la primissima parte della storia, spero vi piaccia...

Camminava per le strade di Los Angeles


Camminava per le strade di Los Angeles senza più preoccuparsi di come era vestita. Avevano già tentato di stuprarla, ma lei si sapeva difendere bene. Così sculettava leggermente nella sua gonna di pelle nera, e con passo deciso si avviava al locale dalla cima dei suoi tacchi dodici rossi e verniciati, infilati in piedi fasciati da sottili calze a rete.  Prima di uscire dal suo piccolo appartamento vicino al centro si era gettata sulle spalle la sua inseparabile giacca di pelle, nera anch’essa, a cui aveva attaccato recentemente la scritta “Rocket Queen”, in onore del gruppo che quella sera stessa andava a sentire. 
Sentì vagamente l’urlo di qualche ragazzo dal marciapiede opposto. Mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé alzò il mento e affrettò impercettibilmente il passo. “Stasera no” si disse “Stasera non posso permettermi di mancare per delle fottutissime teste di cazzo”. Tese le orecchie, ma non le parve di sentire nessun accenno di passi dietro di lei.

Era sempre stato difficile convivere con un corpo come il suo. Curve perfette, che aveva il gusto di saper accentuare meravigliosamente, fasciandole con i vestiti più sexy. Quando aveva dovuto andare al liceo, aveva cambiato decine di scuole, a causa del suo corpo. Gli insegnanti maschi della zona in cui era nata erano uno più stronzo e puttaniere dell’altro. Qualche volta non si era ribellata, alla promessa di non essere bocciata, qualche volta, bisognava agire nel proprio interesse, perché non c’era altro modo di uscirne. Scacciò via quei pensieri, e si concentrò su cosa doveva fare quella sera. Come se fosse poi tanto diverso, pensò con un ghigno. Come se il cantante di quella sera non avrebbe voluto scoparsela, come se fosse diverso dagli altri. Ci sarebbero state decine e decine di piccole troiette come lei, nel locale, quella sera, intenzionate a portrsi a letto almeno un membro della band. A lei  interessava solo il cantante.  Sapeva che avrebbe dovuto lottare per averlo. Che si prendesse anche tutto il locale a lei non interessava. A lei interessava che si scopasse lei.



Camminò ancora per qualche isolato, e finalmente arrivò al Jack’s, dove i Guns n’ Roses suonavano quella sera. Prima di entrare Erin si passò una mano fra i capelli neri e mossi, sciolti sulle spalle. Spinse la porta di legno, e le note di quella meravigliosa band l’avvolsero, accogliendola in un’ambiente pieno di fumo, sudore e desideri repressi che venivano soddisfatti. Erin sorrise di quell’ambiente familiare, tendendo le labbra dipinte di rosso scuro. Gli occhi verdi scrutavano la folla. Non si era sbagliata. C’erano soprattutto ragazze, che non erano certo venute lì per ascoltare buona musica. Trovò un tavolo libero in fondo al locale, e si sedette, ascoltando e assaporando le note di Welcome to the Jungle. Raramente riusciva a non scatenarsi mentre ascoltava quella canzone, ma quella sera fece un’eccezione. Vide alcune ragazze lanciare sguardi eloquenti al cantante, un rosso scatenato con una voce da paura. Erin si mise a guardarlo, cercando di studiarlo un po’.  I capelli rossi erano stati  trasformati in un groviglio dalla foga del concerto, e probabilmente anche la maglietta doveva esser stata persa durante qualche canzone. Erin si soffermò a guardarlo cantare, affascinata dalla sua energia. Una specie di onda magnetica, attraente e incredibilmente sexy, arrivava fino a lei. Non riusciva staccargli gli occhi di dosso, e allo stesso tempo si ripeteva che era come tutti gli altri, che aveva avuto la fortuna sfacciata di essere nato meravigliosamente bello.

Finalmente distolse lo sguardo, e gettò un’occhiata al resto del gruppo. Il chitarrista indossava un cilindro nero, in bilico su un cespuglio di ricci neri che non lasciavano intravvedere nemmeno la faccia. Figo però, si disse. Il suo sguardo cadde sul bassista, un biondone altissimo, con i tratti del viso che lo facevano somigliare a un felino. La seconda chitarra era occupata da un ragazzo con i capelli neri e un’espressione incredibilmente dolce sul viso. Il ragazzo alla batteria era un biondo scatenato che picchiava forte, e come! Forse, se avesse avuto l’immenso culo di ingraziarsi il cantante, sarebbe riuscita a fare un tour assieme a loro. Sarebbe stato divertente, con dei tipi come quelli.
Si alzò dalla sedia, e, con il suo solito passo lento ma deciso, si avviò nella folla esultante, facendosi largo a forza di gomitate, e arrivò vicino al palco. Non saltava al ritmo della musica, non urlava, né ballava come tutti gli altri. Stava ferma, in mezzo al casino, a guardare il cantante, aspettando che si accorgesse di lei, che potesse studiarla e desiderarla.


Axl cantava, drogato della sua stessa musica, esaltato dal suono delle sue stesse urla, scatenato come tutto il pubblico che lo stava guardando. E mentre cantava, il suo sguardo non mancava di osservare le ragazze che lo osannavano, sorridendo alla prospettiva di un’ altra notte di sesso sfrenato. E mentre godeva alla vista di tanti corpi senza volto, vide una ragazza, proprio sotto il palco, che lo guardava, immobile. Axl ricambiò lo sguardo, penetrando i suoi occhi verdi, che lo fissavano ancora, maliziosi. Poi la mora si girò e si allontanò suadente nella folla. Affascinato da quella visione, il rosso continuò a cantare, e contemporaneamente a cercare quegli occhi verdi, che l’avevano distolto persino dalla sua musica.








Ed ecco la fine del primo capitolo!  Spero che vi sia piaciuto... Fatemi sapere, recensite!

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Capitolo 2
*** It's so easy... ***


Ecco a voi il secondo capitolo...

It's so easy...



Allontanandosi, Erin sentì lo sguardo del cantante osservarle il corpo. Perfetto, aveva abboccato. Ora non restava che farsi trovare da lui dopo il concerto, e poi… poi veniva la parte più facile…

It’ so easy. Sorrise all’urlo ‘Fuck off!’ lanciato dal cantante. Era davvero così facile... Un altra sventolata di tette, ed era riuscita ad andare dietro al palco del locale. Aveva un bel daffare a cercarla tra la folla, mentre lei lo stava osservando cantare proprio dietro di lui. Erin si girò, volteggiando sui tacchi, e trovò uno specchio da usare per rimettersi il trucco. Schioccò le labbra rosse. Poteva andare. Aspettò la fine del concerto canzone dopo canzone, nascondendosi alla vista dei membri del gruppo, e osservandoli mentre, affamati di divertimenti, squadravano le altre ragazze come fossero carne al mercato. Erin fece una smorfia disgustata, mentre, alla fine dello spettacolo, cominciavano gli approcci delle ragazze. Principianti   si disse. Così vi scoperanno e basta. Le guardò meglio. O forse è questo ciò che vogliono? Farsi scopare e poi saluti e tante scuse. Lei era diversa?
Per la seconda volta in quella giornata, allontanò i pensieri negativi, per concentrarsi sul copione. Probabilmente Axl si sarebbe presentato con almeno due ragazze ai fianchi, pronte a qualsiasi cosa. Lei era da sola, ma sapeva di potergli offrire molto di più. E sapeva anche se lui se la ricordava, e che non aveva smesso di cercarla, offeso nel suo orgoglio perché non l’aveva aspettato. Aveva atteso abbastanza. Si guardò in giro. Non si sarebbero fermati qui, e quelle ragazze non sarebbero certo andate a casa sua, ovunque abitasse. Il che significava che gli avrebbero fatto qualcosa lì, e poi se ne sarebbero andate. Bene. Dalla tasca della giacca tirò fuori un pacchetto di Marlboro rosse, ancora nuovo, e lo posò sul tavolo.
Ripensandoci, lo aprì, tirando fuori una sigaretta, e infilò all’interno del pacchetto una piccola chiave argentata. Sopra la superficie della chiave, la scritta Rocket Queen era stampata nello stesso carattere della scritta sulla sua giacca. Uscì dal locale, badando a farsi vedere dal bel cantante.
Ma non andò lontano, limitandosi ad appoggiarsi al muro esterno del locale, fumando la Marlboro. Non aspettò ancora per molto. Vide uscire Axl, da solo, stranamente, che si guardava intorno con il pacchetto di sigarette in una mano e la chiave nell’altra. A quel punto camminò lentamente verso di lui, silenziosa, rimanendo sempre alle sue spalle.
Il locale si era lentamente svuotato, e ora restavano solamente le ragazze che Erin aveva avvistato prima. Le sentiva ridere dentro l’edificio. Il rosso si era fermato, acquisendo un’aria più sicura, probabilmente perché l’aveva sentita. Alla ragazza sembrò quasi di vedere il ghigno del rosso. Lei si fermò a un metro da lui, schiacciando la sigaretta ormai finita sotto la suola delle scarpe. Ora viene il bello, pensò.

“Come ti chiami?” disse il cantante, ancora girato.
“Ti interessa davvero?”
“Non te n’eri andata…” proseguì lui, ignorando la domanda della ragazza.
“No” rispose lei.
Axl si girò lentamente, il ghigno immaginato da Erin stampato in faccia.
“Se non te ne sei andata, allora vuoi qualcosa…”
Erin non rispose, limitandosi ad avvicinarsi, in modo da poter essere illuminata dalla luce del lampione sotto il quale c’era anche il ragazzo. Lui tornò a guardarla, e lei sentì il suo sguardo esitare sulla scollatura e sui fianchi, così si avvicinò ancora, arrivando a sfiorare il cantante, e gli sussurrò la risposta sulle labbra socchiuse.
“Non voglio niente che non voglia anche tu…”
“All’inizio dubitavo che potevi essere tu” le soffiò sul viso, tirando fuori la chiave. “Ma le altre non avrebbero pensato a tanto…”
Erin sorrise, avvicinando le labbra a quelle di lui “Le Marlboro rosse sono le tue preferite…”
Il rosso rise, e le posò le labbra sulle sue, senza fretta. Lei si staccò dolcemente da quel contatto, sorridendo a sua volta, e si voltò, camminando via nella notte.


Axl la guardava camminare, confuso ed estremamente incantato da lei, che era riuscita non solo a distrarlo dalla sua musica, ma anche, ora, a distrarlo da qualunque cosa gli girasse attorno.
“Dove stai andando?” urlò, seccato dall’essere stato abbandonato così presto e insieme divertito da quella strana ragazza.
Erin, sentendo le sue parole, rise, e si limitò a guardarlo maliziosamente prima di scomparire dietro a un angolo. Lui la vide sorridergli e incuriosito, trepidante e determinato a non farla fuggire via, la seguì, rincorrendola fra vicoli e stradine, tutte buie e deserte. La ragazza si manteneva a pochi metri da lui, senza girarsi mai, e sembrava danzare su quei tacchi vertiginosi, per le vie di L.A. .

“Allora, dove stiamo andando? Dove stiamo andando ora? Dove stiamo andando?”
Ma la ragazza sorrise, e si limitò a camminare.

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Capitolo 3
*** Anything Goes... ***


Eccoci di nuovo, a voi la lettura e i commenti...

Anything goes...



Improvvisamente, raggiunsero uno spiazzo di cemento, dove la ragazza si fermò di colpo. Davanti a lei, c’era il magazzino dove abitava il cantante con la sua band. Axl sorrise. Erin si voltò lentamente, lasciando ancora che il rosso la guardasse, che non si stufasse del suo continuo sfuggirgli. Quando fu esattamente davanti a lui, i suoi occhi gli dissero più di mille parole, e nello stesso istante il cantante l’afferrò per un fianco, e lei lasciò che il braccio le cingesse la vita. Con la stessa foga, la trascinò nel magazzino, dove gli altri membri del gruppo erano già tornati.
“Ehi Axl, dove diavolo eri andato? Non ti abbiamo… oh cazzo!”
L’interruzione che Slash aveva fatto appena l’aveva vista fece sorridere ancora Erin.
“Scusate, ragazzi…”
Axl biascicò la frase, disinteressato a qualunque novità.
La trascinò via dallo stanzone dove gli altri ragazzi si ‘riposavano’ insieme ad alcune ragazze. Ah! Sarebbero andate a casa sua, allora!   Si benedisse mentalmente di aver lasciato il pacchetto di sigarette sul tavolo insieme alla chiave.

Axl intanto l’aveva portata nella sua stanza, una camera quadrata, con i muri scarlatti e la moquette bordeaux. E ad un tratto il mondo si fermò.
La musica era fuori dalla porta appena superata, i due ragazzi dentro. Ora erano solo ragazzi, ed Erin lo sapeva. Axl credeva ancora di essere un cantante. Erin sapeva che non era così. In quel momento erano solo due ragazzi. Due ragazzi strani, che non si erano incontrati per amore, ancora. Sul volto di Erin un’espressione di amara rassegnazione prese il sopravvento, mischiandosi tristemente con il sorriso malizioso che non aveva ancora abbandonato.
Lo sguardo del ragazzo la setacciava, denudandola. Lo sguardo di lei assaporava la camera, trovandola non così tanto diversa dalla sua. Le siringhe e la droga erano nascoste male, anzi, forse non voleva nemmeno nasconderle. Perché nascondere una parte così importante della sua vita? Il letto era ovviamente matrimoniale, e sfatto. Ovviamente.

Si girò piano e guardò di nuovo il rosso negli occhi, accorgendosi con sorpresa che non le stavano guardando il corpo, ma che erano incatenati ai propri, senza nessun accenno a scendere. Si avvicinarono l’uno all’altra insieme, contemporaneamente, incontrandosi a metà strada.
Axl la prese, ancora, ma con più dolcezza. Insieme si attaccarono l’uno alle labbra dell’altra, prendendo a baciarsi con passione crescente.
Presto si diressero verso il letto, ed Erin lo guardò mentre si concedeva ancora pochi istanti per assaporarla, prima che contribuisse a inquinarle il corpo.
Nei suoi occhi lei vedeva solo fame, fame di quel corpo, fame della sua carne, e con tristezza si disse Non è diverso.




La mattina dopo Erin guardava fuori dalla finestra. Era l’11 novembre, pioveva.
Ripensò allo stesso giorno piovoso di dieci anni prima, e con questo, inevitabilmente, alla morte di sua madre, uccisa dalla violenza del marito. Erin aveva dieci anni. Cinque anni più tardi sarebbe scappata di casa con la sua migliore amica, lasciando lo stato per andare Los Angeles.
Né lei né la sua amica sapevano cosa avrebbero fatto, a L.A., ma tanto valeva provare: qualcosa avrebbero trovato, nella città degli angeli. Avevano preso in affitto un appartamento, lo stesso in cui sarebbe tornata tra poche ore, se l’avesse voluto.

 Lui dormiva. Disteso, nudo, sul letto della sua camera. Erin non l’aveva ancora lasciata, forse per paura dei commenti degli altri ragazzi. Si domandò perché non fosse ancora fuggita. Di solito lo faceva. Lui si addormentava, e lei scappava via, tornando poi per soddisfare le voglie di quella che sarebbe diventata una dipendenza. Lei. Lei era la dipendenza. Di questo, però, non se ne vantava. Perché creare dipendenze di quel genere non è esattamente cosa di cui andare fieri.  La pioggia creava sottili sentieri d’acqua sulla finestra, e si divertì a seguire con lo sguardo i contorni dei rivoletti, assaporando la calma che ancora regnava sovrana di quel magazzino. Niente urla, niente passi, niente rumori di piatti che si schiantano a terra o altro. Silenzio. Così restava seduta vicino alla finestra, accoccolata accanto alla finestra, a guardare fuori.


Il tempo passava, ma lei restava immobile, quasi impaurita che potesse rovinare il silenzio e l’insolita, quasi sacra tranquillità. La fronte calda era appoggiata sul vetro freddo, e gli occhi erano chiusi, a guardare ricordi troppo lontani per essere positivi. Sembrava quasi addormentata, così ferma. Ed era bella, molto bella. A parte il corpo, il viso dolce era un capolavoro. Gli ondulati capelli neri le incorniciavano l’ovale del volto, su cui spiccavano gli occhi verde chiaro, ora chiusi, che nascondevano un velo di amarezze e bugie.
Il naso, piccolo e dritto, annusava l’odore acre del fumo mescolato con droga e sesso da tutta una vita, e la bocca a cuore era rossa come le sue gote, quando aveva fatto sesso per soldi la prima volta. Quelle stesse labbra, che nella loro pienezza apparivano incredibilmente sensuali, avevano assaggiato mille altre labbra, fameliche e disgustose. Le sopracciglia nere e sottili della ragazza erano aggrottate, nel rievocare pensieri abbandonati ormai da tanto tempo.

Sospirò, stanca, e si rimise a guardare fuori, pensando a quanto le mancavano le cose che non aveva mai avuto.

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Capitolo 4
*** Estranged ***


Il quarto capitolo si intitola così perchè entrambi sono confusi, appartenenti a mondi diversi e insieme simili, e per la storia di Erin...

Estranged



Innamorata.
Da piccola quella parola l’aveva fatta sognare il suo meraviglioso principe azzurro, quando si tappava le orecchie per non sentire le urla di dolore della madre.
Col tempo, aveva imparato a considerare quello stesso stato d’animo come un’invenzione triste e tremendamente falsa. Lei non si era mai innamorata, se si accetta il significato reale della parola. Si era creduta tale, diciamo che si era infatuata, di quasi tutti quelli  che le dimostravano affetto, ma poi smascheravano presto i loro secondi fini, e lei rimaneva sola, abbandonata ad un senso totale di vuoto.
Non le faceva né bene né male. Era vuota. Priva di qualsiasi sentimento. E ora?

Volse la testa verso il letto. Il rosso dormiva ancora. Si mise ad osservarlo, era bello. I lunghi capelli ricadevano dolcemente sulla schiena, e il fisico era asciutto, muscoloso. Si concentrò sul suo viso. L’espressione era corrucciata, turbata. Improvvisamente si scoprì in pena per quel ragazzo che conosceva appena, e si chiese che cosa lo preoccupasse.
Quei pensieri la spaventarono, aveva capito perché non se ne era andata. Semplicemente non voleva lasciarlo, ma perché? Non lo conosceva nemmeno… non voleva pensarci più, e si volse nuovamente verso la finestra. D’altra parte niente dura per sempre. Forse era soltanto una cosa passeggera. Le sue dita accarezzarono il vetro, e sorridendo pensò Già, nulla dura per sempre, vero, Axl? Neppure la fredda pioggia di Novembre…

Rimase  a guardare fuori per un tempo indeterminato, incalcolabile, che le sembrò eterno. Richiuse gli occhi, e si lasciò cullare dal ritmo dei suoi pensieri.


A un tratto sentì un brivido sul collo, come una minuscola scarica elettrica. Spalancò gli occhi, e si girò di scatto. Axl era immobile, steso su un fianco, la testa appoggiata sulla mano. E gli occhi verdazzurri che la guardavano ancora. Non l’aveva sentito svegliarsi. Da quanto tempo era lì, che la guardava? E perché non distoglieva lo sguardo dai suoi occhi? D’un tratto fu travolta da un’onda di inquietudine.
Axl sorrideva, guardandola. Persino gli occhi ridevano, ma si ostinava a tacere, gli occhi incatenati ai suoi. Non voleva cedere. Lei era spaventata, chissà da cosa, poi. Sospirò, e chiuse quel gioco di sguardi, sapendo di aver già perso.

“Buongiorno, mia regina” le disse, alzandosi “Come stiamo, oggi?”
“Mia regina?!” chiese lei, confusa.
“Certo. Rocket Queen. Regina. Non mi hai ancora detto il tuo nome, quindi…”
“Oh! Sì, certo...” esclamò Erin, passandosi una mano sulla fronte “Sto bene, grazie. E per il fatto del nome, pensavo fosse chiaro che non ti interessasse”
“Non l’ho mai detto. E comunque se vuoi restare qui, dovrai dirmelo.”
“Restare? Perché dovrei?”
Axl, che stava dirigendosi verso la porta, si fermò di scatto, e si girò verso di lei, il sorriso malizioso stampato sulle labbra.
“Non te ne sei ancora andata, giusto?” e allargando il suo sorriso uscì dalla stanza.

Erin rimase interdetta, ancora in piedi, a riflettere su ciò che il cantante le aveva detto. Bene, si disse, sarebbe rimasta.

E sorridendo di quell’allettante decisione, prese una maglietta dall’armadio di Axl e uscì dalla camera per esplorare la sua nuova casa. Percorse un corridoio lungo e buio, le pareti dipinte male di grigio scuro. Arrivò in un ampio ambiente dalle pareti color sabbia e un grande divano contro un muro, dove era disteso, dormiente, il riccio moro della sera prima. Nessuna traccia delle ragazze. Fece spallucce ed entrò in cucina. Axl rovistava nel frigo, alla ricerca di qualcosa da mangiare.

“Erin” disse lei, cogliendolo di sorpresa.
“Come, scusa?” fece il rosso, voltandosi.
“Erin” ribadì la ragazza “è il mio nome. Dovevo dirtelo se avevo intenzione di rimanere, giusto?” Il ragazzo sorrise.
“Giusto. Allora, benvenuta nella tua nuova dimora!” concluse, indicando con un ampio gesto l’ambiente intorno a lui.
“Grazie…”
“Se vuoi fare colazione c’è della pizza avanzata da un po’ di sere fa, altrimenti devi andare a comprare qualcosa fuori.” La squadrò. “Complimenti, ragazza, ti sai vestire proprio bene.”
Erin si guardò la maglia, e sorrise, quando lesse la scritta “FUCK YOU, BITCH!” rossa sullo sfondo nero.
“E gli altri?”
“ Gli altri chi?”
“Gli altri membri del gruppo… dove sono?” fece lei, scrutando il cantante per vedere segni di gelosia. E in effetti c’erano, o quantomeno di confusione un po’ seccata. Erin si sentì insieme compiaciuta e spaventata, ma decise che era meglio essere soltanto compiaciuta, altrimenti il suo umore sarebbe peggiorato ancora di più. In fondo è anche bello…
“Boh… forse sono usciti, forse dormono ancora… quando piove nulla è certo.”
“Wow… ma riescono a vivere anche loro qui?”
“Sì dolcezza, c’è sempre abbastanza posto per tutti, anche per ospiti…” rispose, con aria maliziosa. Erin fece finta di niente, addentando la fetta di pizza che le era stata offerta.
“Gli altri Guns…” disse lui sorridendo, e guardandola negli occhi “Ti piaceranno, vedrai. Non quanto me, ma ti ci abituerai.” Adesso Erin gli sorrise di rimando con un’aria sarcastica come a dire “Sicuro?” poi abbandonò quella maschera e chiese, più malinconicamente:
“Perché mi hai lasciata restare?”
“Perché ti meriti un premio per le sigarette che mi hai portato ieri” rispose lui, ridendo.
“Per favore, Axl…”
Lui la guardò sorpreso, non si aspettava quella domanda, da una come lei. D’un tratto di rabbuiò.
“Poteva essere una buona giornata… la verità è che non lo so, contenta?”
Erin lo guardava, e aveva riacquistato tutta la fredda risolutezza della sera precedente, al locale.
Axl se ne accorse e si riscosse dalla cupezza in cui era caduto, mentre con un sorriso sexy diceva: “Non credo ci fosse altra scelta… comunque direi di essere stato piuttosto gentile, tu non credi? D’altra parte lo desideravi anche tu, altrimenti non avresti svelato il tuo nome, mia regina… e non sei una di quelle tante troiette che mi avvicinano a ogni concerto. Se tu non fossi anche minimamente differente non ti avrei chiesto il nome, e ora non so se mi ricorderei il tuo viso.” La guardò “E sarebbe un peccato…” concluse, baciandole le labbra.

Si sciolsero da quel contatto insieme, ma lei restava perplessa, e Axl confuso dalla confessione che le aveva fatto, senza sapere come o perché e da quel bacio casto che nessuno dei due aveva pensato di provare con l’altro. Un po’ imbarazzati, rimasero in silenzio per qualche minuto, poi lei cambiò totalmente discorso e gli chiese dei membri del gruppo, chi erano e cosa suonavano.

Lui non rispose subito e lei disse, cercando di essere più disinvolta possibile:
“Ehi, ci devo vivere, qui. Raccontami un po’ di voi, prima o poi dovrò conoscervi…” Parlava alla seconda persona plurale apposta, per fargli intendere quanto poco sapesse di lui, anche se non era del tutto vero… Poi concluse, alzando le sopracciglia e sorridendo: “Sai che sono curiosa…”

“ Curiosa… Sì, in effetti. Non so molto altro di te, in effetti. Ma se ci tieni tanto, potrei anche raccontarti di loro… Slash, il moro riccio, è il nostro chitarrista, Duff, il biondone ossigenato, è il nostro bassista. Steven, il biondo sorridente,  è il nostro batterista e Izzy, il moro con gli occhi neri, secondo chitarrista. Contenta?”
“Sì, mi saprò accontentare… “

Axl sorrise, e le porse una tazza di caffè.

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Capitolo 5
*** Foreigners ***


Eccolo! Scusate il ritardo, ma non sapevo come andare avanti...

Foreigners



Cominciarono a parlare, un po’ di nulla, un po’ di tutto.
Axl della sua musica, lei evitava tutto ciò che la riguardava. Non voleva che la conoscesse, non voleva che riuscisse a scoprirla, non voleva che fosse diverso. Anche se lo era. Anche lui non parlava veramente di sé, ma stavano bene, non ci pensavano.


Fu così che Slash li trovò, seduti al tavolo con la pizza fredda davanti, che un po’ ridevano, un po’ ascoltavano un po’ parlavano.
Erano lì così da tanto tempo che non riuscivano ad accorgersi di cosa gli accadeva attorno. Il chitarrista, con la mente impastata dal sonno e dalla confusione nel vedere che la ragazza da urlo che aveva visto la sera prima era ancora lì, che parlava con il cantante, rimase qualche istante in silenzio a guardarli, poi, dato che i due non l’avevano nemmeno visto, con
fare disinvolto arrivò fino al tavolo, si sedette e addentò una grande fetta di pizza.


A quel punto i due si accorsero della presenza che era arrivata in cucina, ammutolirono e lo guardarono.

Slash dal canto suo ricambiò lo sguardo, inghiottì, e disse: “ Buongiorno ragazzi.” E fissò Axl con uno sguardo tra lo sorpreso e il divertito.
Poi si alzò, andò verso il frigorifero, prese la bottiglia di latte e ne bevve un po’, per andare poi ad appoggiarsi al mobile.
Tutto ciò senza che gli altri due accennassero a rispondergli.

“Beh?” disse il moro “Non volevo disturbare, continuate, vi prego…”
A quel punto Axl si riscosse, e, voltando si verso Erin, disse: “Scusa, questo cespuglio di capelli crespi è Slash, il nostro chitarrista. Slash” e qui si voltò verso l’interessato “lei è Erin, e sarà la nostra nuova inquilina.”
“Finalmente so il tuo nome, dolcezza” rispose il riccio, sedendosi al tavolo. Poi si volse verso Axl “Nuova inquilina eh? Non dirmi che ti sei innamorato? Spero di no, altrimenti non potrò provarci con questo schianto di ragazza…”
Erin ridacchiò, e Axl disse: “Io innamorato? Slash, dovresti conoscermi…”


In quell’istante arrivò Duff, che con aria assonnata diede il buongiorno e si diresse verso il frigo per mangiare qualcosa, senza dar segno di aver visto Erin, mentre il chitarrista e il cantante continuavano a battibeccare, coinvolgendo a tratti anche la ragazza. Poi il biondo si accoccolò sulla sedia accanto a Erin e senza badare al cicaleccio dei due amici e le rivolse un sorriso smagliante, subito ricambiato.

“Piacere, dolcezza… io sono Duff, per servirla…”
“Io Erin, piacere… sono la nuova coinquilina”
Duff parve sorpreso. Si voltò verso Axl e sbottò: “Allora ti dai da fare quando non ci sei… ma che hai combinato ieri sera per convincerla a rimanere?”
A questo punto Erin scoppiò in una risata cristallina, poi esclamò: “Axl ma di solito cosa dici alle ragazze per farle fuggire da questa casa?”
“Io non dico niente. Di solito siamo entrambi tacitamente d’accordo che sarebbe meglio che la ragazza in questione non si fermasse ulteriormente. D’altra parte chi accetterebbe di vivere con questi zotici?” ridacchiò, indicando i due amici.

“Io.” Disse Erin.

Slash a quel punto cambiò discorso, forse pensando che sarebbe stato indelicato continuare e chiese qualcosa riguardo alle prove del gruppo. Erin non ci fece molto caso, così si alzò e tornò in camera, per rivestirsi. Ma che cazzo mi è preso?
Si infilò prima le calze, poi si sfilò la maglietta, allacciò il reggiseno, indossò la maglia e infine la gonna. Si infilò le scarpe e andò alla ricerca di un bagno.
Quando lo trovò si guardò nello specchio sopra il lavandino e ciò che vide non la sorprese troppo. Aveva lo stesso viso del giorno prima, gli stessi capelli, gli stessi occhi verdi, scrigni di segreti dolorosi. Senza trucco, le labbra rosee, gli occhi puliti.
Sospirando, guardò in fondo alle sue iridi, e stavolta si spaventò.
Non c’era nessun segno della notte trascorsa, nessuna vergogna, nessun rimpianto. Scoppiò a ridere. Prima debolmente, poi sempre più forte, tanto che dovette chiudere la porta perché non la udissero. Lacrime gioiose le solcavano il viso.
Finalmente. Finalmente ce l’ho fatta. Aveva lasciato dietro di sé tutto? Smise di ridere. No, non ce l’ho fatta. Si alzò da terra, dove era finita mentre rideva. Non aveva l’aria triste, anzi, sembrava serena. Così tornò in camera, si infilò la giacca e andò in cucina.

I tre stavano ancora parlando quando arrivò, vestita e pronta per uscire.


“Ehi, dove vai? Non rimani qui?”
“Certo che rimango, ma ho bisogno delle mie cose,  vestiti, scarpe, trucco…”
“Ah, certo… scusa, non ci ho pensato. A dopo!”
“A dopo…”



Uscì nell’aria fresca e si incamminò verso il vecchio appartamento, stanca, confusa, divertita e soddisfatta. Si era ingraziata il cantante. E meglio di quanto lei stessa sperasse… Ora cominciavano i giochi.








Per l'ultima parte, quando qualcuno le chiede dove va, non è importante chi, ma che glielo abbiano chiesto... Per questo non l'ho scritto...
 

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Capitolo 6
*** My Michelle ***


Ehy Girls! Sono viva! Finalmente ho riesumato un capitolo abbastanza lungo... Buona lettura!


Così camminava sotto il cielo grigio, senza trucco e con i vestiti sciupati, con i capelli in uno stato pietoso. Non aveva voluto sistemarli. In effetti non ne aveva nessuna voglia. Così camminando si ritrovò davanti al palazzo che ospitava il suo vecchio appartamento. Trafficando con le tasche della giacca per cercare le chiavi riuscì a tenere aperta la porta dell’edificio mentre il ragazzo della sua coinquilina usciva. Questo, dopo aver oltrepassato la soglia si fermò di colpo, si voltò indietro e fece appena in tempo a bloccare la porta e a urlare “Erin!” . La ragazza si fermò si colpo alzando lo sguardo. “Ancora non hai le chiavi? Vabbè dai, ti presto le mie…”
Immobile, Erin lo guardava. Entrarono in ascensore che lei ancora lo fissava. Arrivarono finalmente al quinto piano, ma lei lo fissava ancora. Lui le aprì la porta e lei entrò in casa tenendolo sempre d’occhio. Gli fece un cenno con il capo e poi chiuse la porta.
Aspettò che i passi di lui si fossero affievoliti, a indicare che fosse ben lontano, al che la ragazza si precipitò in cerca dell’amica.
“Michelle!!! Michelle, cazzo, dove sei?”
“Sono qui, Erin, che c’è?”
“Che c’è??? E tu mi chiedi che c’è?” rispose la mora, entrando nella camera dell’amica.
“E certo, cosa dovrei chiederti dopo che mi hai chiama… OH MIO DIO! Scusa, ok, allora? Com’è andata? Ce l’hai fatta, non sei stata tutta la notte da Jack a bere e basta, vero?”
“No, no, certo che no. L’ho preso, Michelle, l’ho preso!”
“Ahahahahahha!!! Sono veramente felice per te… ma dovresti dire che lui ha preso te…”
“Sì, hai ragione… in tutti i sensi…” le guance della ragazza si imporporarono.
“Oh, non fare la santarellina adesso, voglio sapere tutto!”
“Ok, ok, giuro. Bhè, ho fatto come sempre, mi sono fatta vedere e poi sono andata dietro le quinte. Ma stavolta ho lasciato un pacchetto di Marlboro rosse sul tavolo, aperto, a cui mancava una sigaretta. E ci ho messo dentro la chiave.”
“La chiave? Oh. L’hai data a lui? Cioè, sei sicura che la tenga?”
“No, in effetti non so nemmeno se ce l’ha ancora…”
“Cosa? O mio dio, ma è dannatamente importante per te quella chiave!”
“Lo so, ok? Lo so!”
“Ok, ok, vai avanti…”
“Ecco. Allora sono uscita, facendomi vedere da lui. E quando stavo per finire la sigaretta lui è arrivato con in mano il pacchetto e la chiave. Solo. E poi… Bhè, conosci bene il resto…”
“ Immagino di sì” disse Michelle, sorridendo. In realtà le sembrava strano, tutto questo. Erin non era così, non regalava cose così importanti al primo che capitava. Forse lui era speciale, ma non osava dirglielo. Non voleva che soffrisse…
“Cooosì… non l’hai mollato, eh?” esordì Erin, guardando la sua amica di sottecchi.
“Non ce la faccio! E poi, finchè continua a mantenermi, mi fa pure comodo…”
“Sì, ma non lo farà per molto. Fidati, è meglio se dai una chance a Jim e lasci perdere quell’ameba.”
“Uff, Erin, quanto sei poco romantica! Non sto dicendo che lui è quello per me, e sai che mi sono già stufata, ma è la mia prima relazione stabile, ed è difficile mollare tutto…”
“Ok, cercherò di essere comprensiva. Ma ti ricordi quando insieme andavamo nei locali a rimorchiare rockstar? Mi mancano quei tempi…”
“Oh, non so più se fa per me… forse io sono più da tavola calda, a prendere ordinazioni scherzando con i vecchi che ci vanno a mangiare ogni santissimo giorno. Erin, lui mi ama. Capisci, non posso più fare quello che facevo una volta con te. Ora, forse… forse voglio solo ricominciare, darmi una parvenza di vita normale, dimenticare il passato. Io… io… Lui mi ama. E io non posso fare altro che cercare di amarlo a mia volta.”
“Michelle, lui ha mollato il gruppo, mollerà anche te! Andrà a New York e non ti vorrà più sentire. Non lo capisci? Lui crede di amarti. Ma quando si accorgerà che tu non lo ami come lui ama te si stuferà, e capirà i suoi sentimenti. Fai la tua vita, non ti obbligo a fare la mia. Ma non con lui. Tu non sei felice.”
“Capisco che a te non piace, ma io… D’accordo, è vero, non lo amo. Ma forse non indispensabile, no? Voglio dire, almeno lui mi ama…”
Michelle chinò la testa, in preda ai ricordi dei suoi vecchi ragazzi. Lei quelli li aveva amati eccome, e loro invece non avevano amato lei. E ne era rimasta distrutta, finché non era arrivato Barrie. Barrie, che razza di nome. Ma l’aveva corteggiata in modo così carino… e lui non era tanto male… certo, non era nemmeno lontanamente bello come quelli cui era abituata, ma ci si poteva accontentare. Già, accontentare. Ma non era quello il punto.
“E allora dimmi qual è, perché se dici tu stessa che ti sei accontentata, non capisco perché non mi dai ragione!”
“Il punto è” sbottò Michelle, poi si fermò, respirò profondamente e sorridendo continuò “che tu ti sei scopata il fottutissimo Axl Rose! E bisogna festeggiare! Tira fuori una bottiglia di Jack Daniel’s, muoviti!”
“Ah, Dio Michelle, mai una volta che possiamo parlare decentemente di questo argomento… ma stavolta hai ragione… HO SCOPATO IL FOTTUTISSIMO AXL ROOOOSE!!!” urlò, correndo attraverso le stanze dell’appartamento. Finalmente giunse in cucina, e si mise a frugare negli armadi alla ricerca di una bottiglia di whiskey.
“Taci, scema, vuoi che lo sappia tutto il condominio?”
“Perché no?” rispose Erin, ammiccando. Aveva in mano la bottiglia di Jack e si stava accingendo a berne una grossa sorsata.
Bevve. E mentre beveva si ricordò della cosa più importante.
“Michelle, in effetti non ti ho raccontato tutto…”
“Passa la bottiglia. Bhè puoi star certa che non voglio i particolari…”
“Non è questo che intendevo. Vedi, Axl mi ha chiesto di andare a vivere con lui.”
“Stai scherzando.” Michelle la guardava con occhi così spalancati che sembravano volerle uscire dal cranio.
“No. E, vedi… mi sono fatta prendere, e potrebbe essere che io abbia accettato.”
L’amica le passò automaticamente la bottiglia di whiskey.
“Oh. Mio. Dio. Erin. Cazzo. CAZZO CAZZO CAZZO!!! Ahahahah!!! Te ne vai a vivere non con una, ma con cinque fottute rockstar! Mi pigli per il culo! Ti prego dimmi che mi prendi per il culo, sennò vengo anch’io. Giuro che vengo anch’io!”
“Cosa? Michelle, stai bene? Che fine ha fatto la ragazza che voleva un lavoro serio?”
“Fanculo! Erin… Erin. Sono cinque fottute rockstar. E non mi frega un cazzo se ho creduto di voler cambiare vita. Pensavo che non sarebbe mai successo.”
“Che andassi a vivere con Axl Rose?” Erin era sconcertata, non capiva che era successo all’amica. Ok essere sorpresi, ma lei rasentava l’isteria. E anche l’incoerenza. No, quella l’aveva già superata.
“Anche, ma più ciò che significa. Tu, Erin, hai dato a un quasi sconosciuto la chiave, e gli hai detto il tuo nome, e vai a vivere con lui. Non l’avevi mai fatto prima.”
Ora capiva dove voleva arrivare. “Ehi, ehi, ehi. Calma. Lui non è speciale. Chiaro? Il fatto che non sia…”
“No, cara. Tu non dici niente e prepari la roba. E mi prepari un appuntamento con loro. Può essere che accidentalmente finisca con uno di loro e debba lasciare Barrie.”
“Michelle?” Erin era definitivamente scioccata. “Ma se mi avevi praticamente fatto capire che te lo saresti sposato!” Michelle rise. “CHE CAZZO RIDI?”
“Scu… scusa… è che… Vedi, quando mi sono resa conto che con lui potevo avere una relazione, diciamo, seria, ero spaventata a morte. Pensavo che non avrei più fatto questa vita. E poi mi sono sentita meglio, perché ti vedevo, e mi dicevo che non sarei mai stata felice, e che non sarebbe cambiato nulla. Ma ero ancora impaurita, così ho deciso che se fosse cambiato qualcosa, io avrei lasciato Barrie, e ti avrei seguita. Ora mi odierai perché devi portarti questa palla al piede ovunque.”
Erin, che nel frattempo si era seduta sul tavolo della cucina la guardava frastornata. Passarono alcuni minuti e lei era lì che la guardava. Rifletteva. Forse aveva ragione. Oh, al Diavolo, aveva ragione sì! Si aprì in un sorriso disarmante e scattò in piedi.
“D’accordo sorella! Tu verrai con me al loro prossimo concerto. E ti giuro che lo mollerai, quell’ameba di Barrie!”


Vi è piaciuto? eh? Lo spero, presto aggiornerò il nuovo capitolo... :D Recensite, mi farete felice!

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Capitolo 7
*** Should I Stay or Should I Go? ***


Il settimo capitolo è servito, lettrici, spero sia di vostro gradimento...

 

Should I Stay or Should I Go?


Erin fissava la porta del magazzino.
Aveva una borsa caricata sulle spalle, tutto il necessario per vivere da loro. Beh, magari non tutto. Il resto sarebbe arrivato poco a poco. Ma ora non riusciva ad entrare. Sapeva, anzi, finalmente si era resa conto di ciò che sarebbe cambiato se fosse entrata in quella casa.

Dolore. Avrebbe affrontato il dolore. Non perché fossero dei maniaci compulsivi, o che la picchiassero. Niente di tutto ciò.
Ma aveva la certezza che se si fosse affezionata a quei ragazzi (e se entrava l’avrebbe fatto, si disse) poi, quando si sarebbero rivelati esattamente come gli altri lei avrebbe sofferto.
Odiava essere sé stessa a volte. A volte si ritrovava a immaginare come sarebbe stata la sua vita se fosse stata brutta.
Merda, sto divagando. Devo restare o devo andarmene?

Era lì da un bel po’, quando Slash aprì la porta.

“Ehi, dolcezza, hai intenzione di passare ancora molto lì fuori?”
“Eh?!” Erin lo guardava come chi si appena svegliato e non sa bene che cosa fare,  perché è finito lì. Slash ridacchiò.
“Va bene, bambina, Axl non c’è, è uscito a prendere le sigarette.”

Nessuna risposta.

“Ok, in realtà nessuno sa dove diavolo si sia cacciato. Come al suo solito è uscito senza dire niente a nessuno, abbiamo prove fra un’ora, e non si sa se arriverà o no.”
Mentre parlava aveva preso Erin per un braccio e l’aveva accompagnata dentro. Lei si sentiva abbastanza stupida. La sera prima era la bella e dannata, la donna del mistero, colei che aveva fatto distogliere il grande Axl Rose dalla sua musica, e oggi era una ragazza che aveva bisogno dell’accompagnatore per fare pochi passi. Aveva bisogno di recuperare la sua dignità.

“Così questa è la tua stanza. Cioè, tua e di Axl.”
Slash fermò il flusso di parole e si bloccò davanti alla stanza della sera prima.

Erin, che ancora non aveva detto una parola, entrò, buttò a terra il borsone, sorrise, si voltò e con il fare più angelico che potesse ottenere dal suo visino chiese: “Dove posso trovare un po’ di fottuto Jack Daniel’s?”
 


‘Ok. È ufficiale. Non ci capisco più un cazzo.’
Slash era semisdraiato sul divano del salotto e guardava Erin che, dopo essersi scolata buona parte della bottiglia del vecchio zio Jack suonava la sua chitarra. E la suonava bene, maledizione.

“Dieci anni fa volevo suonare come Joan Jett. Poi il sogno è degenerato.”
Slash sorrise. Gli piaceva quella ragazza, sembrava una tosta. E aveva qualcosa in più… Aveva stregato Axl. Perché quella mattina non era rimasta solo lei. Il rosso non era scappato come al solito.

Erin finì di suonare, appoggiò la chitarra e, chiacchierando di musica, si avviò in cucina a prendere due birre e qualcosa da mangiare.

Slash la seguì, continuando a pensare al suo amico. Si sedette, aspettò che lo facesse anche lei, e poi la zittì, dicendo: “Perché Axl ti ha
permesso di vivere qui?”

“Come?” sembrava che si aspettasse una domanda del genere, eppure non era pronta a rispondere.

“Io, quando stavo con la mia ex, ho dovuto lottare perché venisse a vivere qui. Non si è mai vista nessuna ragazza che lui si faceva, o con cui stava dormire qui più di una notte. Di solito era lui che andava a vivere da loro. E ora arrivi tu, passate una notte insieme e mi ritrovo a parlarti il giorno dopo sapendo che metà del tuo armadio è sistemato in camera di Axl. Che cazzo è successo?”
“Non lo so… Forse dovresti chiederlo a lui.”
“Sì, scusa, tu non potevi saperlo. Comunque sono contento che vieni a vivere con noi.”
Erin lo guardò sorridendo. Era felice che gliel’avesse detto. E poi, pensava a Michelle. Aveva sempre avuto un debole per i chitarristi.
 



 
Erin era in camera quando arrivò Axl, e non se ne accorse. D’altra parte, prima che lui potesse raggiungerla Slash l’aveva fermato.

“Ehy, man.”
“Ehy, Slash.”
“Com’è?”
“Bene. Mi devi chiedere qualcosa?”
“In effetti sì. Erin.”

Axl sorrise. 'Bene', pensò Slash, gli aveva fatto la domanda giusta. Quel giorno non gli andava un Axl scocciato, voleva capire cosa stava succedendo nella testa dell’amico.
“Non succede niente, è dannatamente brava a letto.”
“Ah-ah.”
“Ok, non è solo per questo che… non so perché è rimasta, lo sai, di solito se ne vanno tutte… Le mando via. Invece lei no. Poteva non dirmelo, il suo cazzo di nome.”
“Magari non è quello vero.”

“E che c’entra? Me l’ha detto, vero o falso che sia. In ogni caso, penso che sia principalmente per questo, voglio dire, perché è diversa.
Capisci, sapeva esattamente che non ci sarebbe stato nient’altro, le altre hanno sempre, boh, quel pensiero-ragnatela che ti ricopre di schifo.
Lei no, era molto più naturale. Anche come mi ha fatto capire che le interessavo. Le altre mi si sarebbero avvicinate con quell’aria da troiette con la bocca semiaperta e le gambe spalancate.
Lei si è fatta cacciare, cioè, trovare.”

“Ok man. Ho capito. Ma sappi che anche gli altri vorranno portare le loro ragazze qui, d’ora in poi.”

“E chi, Slash? Va bene Izzy, con Lucy, ma gli altri sono un po’ tutti soli ragazzo mio… a proposito, combinato niente ieri sera?” concluse Axl, ridacchiando ammiccante all’amico.
“Ahahah… ti piacerebbe essere l’unico Rose? No, bello, ci sono le solite troiette anche per noi, la sera, e a me quelle vanno benissimo!”

Axl gli diede una pacca sulla spalla e si diresse in camera. Non c’era bisogno di aggiungere altro.

 



Ok girls! Che ne pensate? Ah, il titolo è una canzone dei The Clash, e si riferisce preaticamente solo alla prima parte del capitolo, anche se la stessa domanda è ripresa più o meno in tutto il resto del capitolo... Baci, e recensite, vi supplico!

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Capitolo 8
*** Coma ***


Ok! Sono viva e ho scritto un nuovo capitolo! non è granchè ma tra pochissimo (giuro) ne metto un altro... Buona lettura!


Coma


Erin era in bagno quando Axl entrò in camera. Poteva sentire lo scrosciare dell’acqua calda attraverso la porta. Sorridendo malizioso, Axl cercò delicatamente di aprire la porta, trovandola con sua grande sorpresa chiusa a chiave.

“Ma che cazz…?! Erin?”

Nessuna risposta. Maledizione. Voleva solo fare la doccia insieme a lei…
Sbuffò violentemente. Che cazzo doveva fare adesso?

L’acqua smise di scrosciare. La chiave girò nella toppa e la porta sì aprì, facendo uscire dal piccolo bagno una nuvola di vapore, e lei.
I capelli ricadevano gocciolanti sulle spalle nude. Un asciugamano le copriva il corpo fino a metà gambe, il viso non era truccato ovviamente, era pulito e radioso. Gli rivolse un sorriso e si avviò all’armadio.

“Perché hai chiuso a chiave?” disse Axl, avvicinandosi da dietro “Potevamo fare la doccia insieme…” mormorò suadente al suo orecchio, mentre le mani le assaggiavano il corpo. Lei si scostò leggermente, fece cadere l’asciugamano, e indossò la biancheria prima che lui potesse fare qualcosa per fermarla.
“Dannazione, Erin!” era furioso. Non sopportava l’idea che potesse rifiutarlo. Lui era il fottuto Axl Rose! Se ne andò sbattendo violentemente la porta dietro di sé. Lei non fece una piega. Si aggiustò il reggiseno di pizzo nero e rosso, prese un vestito nero dall’armadio e finì di vestirsi. Prese l’inseparabile chiodo, nel quale nascose un po’ di soldi e uscì dalla stanza.

In cucina Axl aveva ribaltato una sedia, e ora, più calmo, era semisdraiato sul divano a bere Jack Daniel’s.

“Axl.”

“Erin.” Il tono era canzonatorio. “Hai cambiato idea?” concluse con un mezzo sorriso sarcastico, voltandosi per guardarla.

“Direi di no.”

“Allora fottiti.”

“Se avessi voluto fottere, avrei chiesto a te.”

“Ma che cazzo hai, si può sapere?”

“Niente. Scusa. Mangiamo qualcosa e poi usciamo, ti va?”

“Sssì, certo…” Non la capiva. Il giorno prima non era stata così acida, anzi...

La ragazza prese delle birre dal frigo e mangiarono un qualcosa rimasto dai giorni precedenti. Dopo un po’ si accodarono Slash e Duff, ma non c’era l’atmosfera allegra della mattina. Prima che uscissero, Slash la fermò.

“Ehy, baby. Non sono fatti miei del perché adesso sei così, ma stai attenta. Axl non è una persona molto tranquilla, e se avremo dei casini con la band solo per te…”

“Calma, Slash, scusami. Non avrete casini, d’accordo? Non per colpa mia. Anzi, al massimo vi do una mano per incidere il vostro primo album.”

“Ah, per quello ci vorrebbe un miracolo. No, dobbiamo ancora fare tanti concerti, e farci sentire, dicono che Zutaut sia interessato, ma alla fine chi può dirlo…”

“Slash! Placati e andiamo, altrimenti ciao serata!”

“Già, già.”

Finalmente uscirono e solo quando Erin si mise a camminare spedita che i tre si fecero venire in mente di chiederle DOVE sarebbero andati.


“Oh, è poco lontano, giusto due passi! È un bel posto, fidatevi!”


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“Eccoci qua, siamo arrivati!” Erin si voltò sorridendo ai ragazzi.

“Il Rainbow… Ragazza, sai da quanto tempo stiamo facendo la corte al proprietario per ottenere di fare una serata qui?”

“Oh, beh, avreste potuto venirci a bere un paio di volte… Comunque a questo problema penserò io… ah, così mantengo la parola, Slash!”

Il chitarrista la guardò confuso. E cosa c’entra questo con il primo album? Oooooooooooooh! Giusto, i concerti!
Entrarono ed Erin si fermò più volte a salutare la gente seduta.

‘E che è? Conosce tutta la parte maschile di Los Angeles?’ pensava Axl, mentre la guardava in cagnesco.

Arrivati al bancone del bar si sedettero sugli sgabelli e ordinarono da bere. La musica era assordante , proveniente dagli amplificatori della band sul palco. Sconosciuti. Axl schioccò la lingua sul palato dopo aver seccato il bicchiere di whiskey e si girò a guardarli. Mh, mancava energia, i testi erano banali e spenti, persino la musica sembrava già usata… Si sentì accarezzare il braccio e si girò. Erin era a pochi centimetri dal suo viso, e gli stava dicendo qualcosa.

“Baby, ripeti, non ho sentito un cazzo.”

“Vado un attimo a parlare con un amico, torno subito.”

“Ok, baby. A dopo.” La guardò camminare via, poi si girò verso i due amici al banco.

“Allora?”

“Allora che?” rispose Duff.

“Che ne dici di Erin?”

“Che è figa, amico… Come che è venuta a vivere con noi?”

“Oh, è successo stamattina… Comunque man, dobbiamo cercare qualcuno per te e Slash stasera!” disse, battendo la mano sulla schiena del chitarrista.


Bene, questo è quanto... è corto, lo so. Ed è di passaggio, dunque non so se si capisce qualcosa... Vabbè baci, vi supplico, recensite in tanti, ci tengo un sacco! A presto!

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Capitolo 9
*** Rainbow ***


Ed ecco a voi il nono capitolo di questa storia.


Rainbow


Michelle guardava la scena da poco lontano, in disparte.
Dopo che Erin era andata via, subito dopo pranzo, aveva telefonato a Barrie e gli aveva detto di farsi trovare al parco quello stesso pomeriggio.
Si erano parlati, e lei l’aveva lasciato.
Lui le aveva fatto una mezza scenata, della serie ti pentirai di avermi lasciato, tornerai strisciando. Lei l’aveva guardato con compassione e tenerezza e gli aveva detto addio. Doveva tornare alla sua vecchia vita, anche se aveva paura di essere un po' arrugginita.

E ora era lì, a guardare tre dei cinque fottuti Guns n’ Roses, per studiarli, e capire con quale si sarebbe trovata.
Qualcuno la riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, baciandola sulla guancia. Si girò di scatto. Era Erin.

“Erin, pensavo fosse un maniaco!”

“Eh, ti sarebbe piaciuto! Ahahaha, no, diavolo. Scusa, battuta orrenda.”

“Orrenda è dire poco. Che ti succede?”

“Non lo so, penso che abbia a che fare con Axl. In ogni caso… Che ne pensi del riccio?”

“Mh, è carino… Molto molto carino… è il chitarrista, giusto?”

“Sì, è proprio il chitarrista. Appena l’ho visto ho pensato a te…” rispose Erin, ridacchiando.

“E il biondone ossigenato?”

“Oh, lui è Duff, il bassista.”

“Mh. Eeeh beh, che gruppo di gnocchi.”

“Vero? Comunque baci piccola, dopo te lo presento in grande stile, ora vado a parlare col Jason.”

“Jason? Davvero?” chiese Michelle, stupita.

“Non è come pensi, devo chiedergli una cosa… per loro.” chiarì l’amica, indicando distrattamente il gruppo di musicisti, che stavano flirtando con un paio di ragazze in fondo al locale, per poi avviarsi tra la folla.

“Ah, Mich!” disse, voltandosi di scatto.

“Non cedere al moro dietro di te, ti tengo uno dei Guns!”

“Ma che cazzo?! Erin, primo, di che stai parlando e poi, andiamo, ti tengo uno della band, ma che significa?! Erin?” ma ormai stava parlando al nulla, così sbuffò seccata e si voltò per capire chi fosse il moro.

Ebbe appena il tempo di voltarsi che due occhi scuri la inchiodarono sul posto. Un ragazzo altissimo la guardava dall’alto con l’aria di non voler rassegnarsi a lasciarla andar via a breve.

“Posso offrirti un drink?”

“No, grazie. Sono astemia.” rispose la ragazza, gelida.

“Allora dovresti buttare il contenuto di quel bicchiere.”

Dannazione. Aveva il bicchiere di Jack Daniel’s in mano. Aveva davvero bisogno di rientrare nel giro, se non riusciva nemmeno a dire una balla per allontanare un tipo indesiderato. ‘Già, ma questo è tutto tranne che indesiderato.’

“Ma noi siamo i fottuti Guns n’ Roses, cazzo!” un urlo proveniente dall’altra parte del locale la riscosse. ‘I Guns! Pensa a Slash.’

“Dovresti aver capito che con me non attacca, dopo aver sentito una bugia tanto evidente per mandarti via.”

“Non credo. Anzi, credo che tu ti senta tanto attratta da me da non riuscire a raccontarla bene.”

“Oh, ti prego, piantala.”

“TOMMY! EHY, TOMMY, HANNO FINITO, TOCCA A NOI!” un tipetto biondo urlava da vicino al palco nella loro direzione.

“Beh, piccola, mi dispiace. Temo che dovrai aspettare la fine della serata per parlare un po’ con me.” disse il ragazzo, con aria desolata.

“Aspetterò la fine con ansia, Tommy.” rispose lei, sarcastica.

“Ah, chiamami T-Bone, dolcezza. Ci vediamo alla fine.” le mormorò all’orecchio prima di andarsene.
 
 
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Intanto Erin aveva trovato Jason, un’uomo di mezza età con una barba folta anni ’60 e capelli lunghi, con una gran camicia colorata e jeans attillati, che su di lui non facevano proprio nessuna figura. Un grosso paio di occhiali gli nascondeva parte del volto.

“Eddai, Jeizy… Me lo devi… è solo una serata, li ho sentiti suonare, sono fantastici…”

“Erin, se pensi che io ti deva qualcosa, dopo che mi hai usato per fare i tuoi porci comodi per poi scaricarmi quando questo posto stava andando a puttane? L’unico motivo per cui non ti sbatto fuori di qui sono le tue tette, che attirano un mucchio di clienti.
E poi non sopporto quel gruppo. Il cantante è uno squinternato, e potrebbe creare casini al locale.”

“E allora fallo in nome delle mie tette. Dai, abbiamo passato dei bei momenti io e te, vero?” disse, strusciandosi maliziosamente sull’uomo, che, suo malgrado, deglutì rumorosamente. Quando rispose, la sua voce era sospettosamente rauca.

“Risparmia queste scene per quando salirai sul palco con qualcuno… Aspetta! Ho trovato! Io farò suonare i Guns n’ Roses qui se tu accetti di fare un numero qui. Come ballerina.”

“Io non ballo, Jeizy. Lo sai.”

“Oh, ma come, non ricordi?” fece lui, appoggiandole una mano sul sedere.

“Ricordo perfettamente, ed è per questo che non ballo.” ringhiò la ragazza, il viso vicinissimo a quello dell’uomo. “E poi non hai mai fatto
spettacoli di questo genere qui.” concluse non curante allontanandosi leggermente.

“Attirano clienti, tesoro, e con un corpo come il tuo verrebbero a frotte, e non gli do torto…” finì la frase cercando di accarezzarla, ma lei si scrollò di dosso le mani sudicie del proprietario.
“In ogni caso, piccola” riprese lui, scocciato “o tu balli o i Guns rimangono a spasso.”

“Quando dovrei ballare?”

“Farai un numero ogni sera, dalle undici a mezzanotte.”

“Mh. E in cambio loro suoneranno tre sere, che loro stessi sceglieranno e che ti farò sapere. Se queste sere attireranno clienti,
aumenteranno.”

“Di quali sere parli, delle tue o delle loro?” ghignò il proprietario.

“Andata?” chiese Erin, ignorando la battuta.

“Andata.”



E la ragazza si rincamminò verso l’amica, notando in quel momento che la band che per prima aveva suonato aveva finito il concerto e ora
c’era un attimo di pausa. Trovò Michelle, che le raccontò del moro.

“Ecco, non dovevo lasciarti sola. Ahahah, dai, ti presento Slash, andiamo.”
"Com'è andata con Jason?"
"Ah, è sempre lo stesso porco arrivista di sempre. Però non gli dò torto, sono stata una stronza con lui. Muovi il culo, Mich!"



Questo è il nono grande capitolo! Yeeee! Se, vabbè. Spero vi sia piaciuto, sto lavorando all'altro... Sì, è una storia sui Guns, ma non potevo lasciare i Motley da parte... Non si fa. :D Ovviamente il titolo del capitolo è dedicato al locale... Ok, girl, see you!

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Capitolo 10
*** Saints of Los Angeles ***



Saints of Los Angeles



I ragazzi stavano parlando con due bionde sorridenti e alquanto prosperose, quando arrivarono. Perciò per ovvie ragioni non fu facile distogliere del tutto la loro attenzione. A parte quella di Axl, ovvio.

“Piccola, cominciavo a preoccuparmi…”
Axl salutò Erin mettendole un braccio attorno alle spalle per poi unire le loro labbra in un bacio. Si divisero dolcemente, sorridenti. Lei voltò la testa e indicò Michelle che se ne stava in disparte, confondendosi un po’ con la folla.

“Lei è Michelle, la mia migliore amica.” E si girò di nuovo verso il viso del rosso, per studiarne l’espressione.

“Mica male. Gran bel culo. Vuoi fare una cosa a tre?”

“No, cretino. A lei piacciono i chitarristi.”

“Slash?! Ma è sprecata… Comunque ho capito il concetto. Voi donne cercate sempre di sistemarvi a coppie.” Disse il cantante sospirando.

“Ehi! Lei e il suo ragazzo si sono appena lasciati. E poi non voglio sistemarla con Slash, voglio solo farti capire che non voglio una cosa a tre. E poi a qualcuno
dovevo pur presentarla…”

“Già, già… perché se ne sta in disparte? Dovrebbe attaccare e allontanarli dalle due bionde, o non la noteranno mai.”

“Abbiamo altri metodi…” rispose la mora, avvicinandosi al viso del ragazzo per baciarlo ancora, con passione crescente.

“E funzionano…” disse lui, quando si divisero. La ragazza sorrise, e tornò da Michelle.



“Ragazzi…”

“Ehy, Erin, ti avevamo persa!” disse distrattamente Slash, voltandosi appena.  “Ah, comunque ti presento… ehm… May?”

“Christine! Possibile che non riesci a ricordartelo? Ahahahaha!” disse la ragazza in questione, dimostrando che certamente l’aitante riccio l’aveva scelta per il suo intelletto. Com’è vero che il buon vecchio Alice Cooper canta opera lirica.

“Sì, giusto, Christine! Beh, mia bella Christine, lei è Erin, la nostra nuovissima coinquilina, ma non essere gelosa, tu sei mille volte meglio!” dicendo questo si girò verso Erin e mimò con la bocca un ‘no, assolutamente, baby, sei fantastica’.
Fu così che vide finalmente Michelle, in piedi appena dietro Erin, con un paio di calze a rete nere che scomparivano in un paio di shorts cortissimi borchiati, una canottiera piuttosto larga dei Led Zeppelin che le ingrandiva il seno (essenziale, secondo il chitarrista), e un paio di stivaletti di pelle nera tacco dodici. E rimase abbastanza incantato. Dopo pochi secondi colei che si faceva chiamare Christine reclamava la sua attenzione.

“Ehi, ricciolone! Ehi! Allora, non mi presenti all’altra tua amica?”

“Certo, honey… Vorrei tanto, ma ancora non ho il privilegio di conoscerla… posso sapere il suo nome, signorina?” fece quello, molto teatralmente, mentre si chinava a farle il baciamano.

“Slash, smettila di sbavare, le bagnerai la mano! Piacere bellezza, sono Duff.” si presentò il biondo, che come il riccio l’aveva notata solo pochi secondi prima.

“Piacere, io sono Michelle…” fece quella, fingendo una riservatezza che ben poco si addiceva al suo viso, truccato pesantemente.

“Oh, bene, my Michelle, e posso offrirle un drink?” fece il chitarrista.

“Ehi! Scusa, ma non ti dimentichi di qualcuno?” Ah, quella Christine era una vera palla al piede, e poi, con quel triste vestitino fucsia, faceva una ben magra
figura in confronto a Michelle…

“Purtroppo sì, my darlin’, ma non ti preoccupare, c’è qui Duff che ti consola… venite, ragazze, conosco un posto qui vicino dove si può stare seduti comodi a parlare senza che nessuno ci disturbi…” E il biondo, con grande spirito di sacrificio, alleviò Slash dal pesante fardello che era diventata Christine. Povera ragazza.

“Che ti dicevo? Non serviva allontanarle come fossero due cani… si sarebbe risolto tutto!” fece Erin ad Axl, quando tutti si furono allontanati. Nessuna risposta. Il rosso sembrava nemmeno averle prestato attenzione, tanto era preso dal quello che succedeva sul palco.

“Axl? Che c’è che… Oh mio Dio.” La ragazza seguì il suo sguardo e capì perché era tanto preso. I Motley Crue erano appena saliti sul palco. Erin era stata tanto presa dalla faccenda di Jason e poi di Michelle che non si era nemmeno accorta della musica. Ma ora la sentiva, la sentiva eccome. Vince Neil urlava sulle note di Saints of Los Angeles, e lei fu presa per un istante da ricordi non troppo lontani. Chiuse gli occhi, e si godette il suono di quella canzone.

Poi si riscosse e riprese a fissare Axl.

Lui dal canto suo sapeva perfettamente chi fossero quei cinque ragazzi sul palco. E pensava anche che lui era mille volte meglio del cantante in questione. Ma non era solo lui che analizzava. Tutto il gruppo aveva un’esperienza nel stare sul palco che a loro ancora mancava. Non che i Guns n’ Roses fossero carenti nel coinvolgere il pubblico, no, nemmeno per idea. I Motley avevano solo… esperienza in più. E un gran bel sound. Sarebbe stato bello fare un tour con loro. Ma ancora non li conosceva. Mh.

“Axl…”

“Eh?”

“Ho buone notizie…”

“Ah-ah.”

“Dico sul serio, potrete fare un concerto qui, anzi, avete tre serate di concerti e se va bene anche di più… Mi stai ascoltando?”

“Come vuoi, piccola. Faremo il concerto qui, ok.” Ripeté macchinosamente quello.

Passarono un paio di secondi. Lui si girò finalmente verso di lei e si mise a pensare a cosa gli aveva appena detto.

“CAZZO!” esplose “TU VUOI DIRE CHE QUEL FIGLIO DI PUTTANA CI FARA’ SUONARE QUI?!”

“Sì, rosso, e benvenuto nel mondo dei vivi.” Ma faticò a pronunciare tutta la frase, perché il ragazzo aveva violentemente attaccato le sue labbra a quelle di lei, e l’aveva sollevata, per dirigersi velocemente verso il corridoio buio che portava ai bagni.
 



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“Allora cosa prendi piccola?”

“Beh, dato che offri tu, decidi tu.” Rispose Michelle al riccio.

“Come desidera. Allora due tequila, qui, man.

Graaazie… Ed ecco a voi, signorina…” disse, porgendole il bicchiere.

“Grazie… Allora, da quanto sei nei mitici Guns n’ Roses?”

“Mitici, eh? Ah, finalmente qualcuno che lo capisce. Beh, provo con loro da un po’. Ma abbiamo un’intesa fantastica. Sembriamo fatti apposta per suonare
insieme. Siamo mitici, e poi io sono un dio con la chitarra… e non solo.”

“Ooooh… Il mitico Slash comincia a vantarsi… Attento, ancora non avete sfondato!”

“Ben detto, honey! Non ANCORA… ma tra poco sì. A proposito, Erin ha detto che forse riusciva a procurarci un concerto qui.”

“Ah, sì, tipico di Erin. Aspetta. Ecco perché parlava con Jeizy… Voleva chiedergli della vostra serata. Mh. Speriamo che non abbia fatto lo stronzo come ogni
volta…”

“Chi è sto tizio?”

“Il proprietario del locale, nonché un ex di Erin. Uno dei tanti, s’intende.”

“Uno dei tanti?”

“Beh, non crederai che una come lei sia ancora vergine, spero.”

“No, no, certo, era… così per dire.” La guardò. E lei, quanti ne aveva avuti? Sti cazzi, Hudson, non fare la checca. Ne avrà avuti quanti le andavano. “Raccontami un po’ di te, allora…”

“Mh? Oh, non c’è molto da dire… Vengo da un paesino dimenticato da Dio in mezzo al nulla, mi sono trasferita a L.A. con Erin, in cerca di fortuna. Che non ho ancora trovato. Ho un appartamento che dividevo con lei, e sono attualmente senza lavoro, dato che fino a oggi pomeriggio mi manteneva il mio ex. Perciò finora ho un po’ di soldi da parte… e vado avanti con quelli. Poi troverò qualcosa. Nel frattempo, mi diverto come posso…” concluse avvicinandosi al moro e sussurrandogli nell’orecchio. Anche lei ora era stufa di aspettare. Ma poi la musica le impedì di chiedergli di portarla casa e, prendendogli la mano, lo trascinò dolcemente verso la ressa di gente sotto al palco.

“Vieni a ballare…”

Andarono proprio sotto il palco, e cominciarono a muoversi, seguendo il vorticoso ritmo della musica… diavolo, il batterista ci sapeva fare… Michelle alzò gli occhi per vedere chi fosse e rimase spiazzata. Il tipo che poco prima ci aveva provato con lei ora era seduto alla batteria, picchiando come un dannato. A quel punto rise di gusto e si voltò verso Slash, che invece stava osservando ciò che faceva il chitarrista.
Lei gli mise le braccia intorno al collo, e muovendo il bacino contro quello di lui, avvicinò piano il viso al suo e cominciò a baciargli il collo. Lui di riflesso la strinse a sé, le sollevò il viso con una mano e la baciò. Dopo qualche istante lei si separò da quel contatto, cercando lo sguardo del moro.

“Andiamo?” se lo sussurrarono insieme. E anche se non si sentirono, a causa della musica che sovrastava ogni cosa, uscirono insieme dal locale, e si diressero verso il magazzino dei Guns.


Eccoci giunti alla fine del decimo capitolo, dunque! Il titolo forse non è molto azzeccato, ho voluto omaggiare i Motley Crue in questa parte del racconto. Ringrazio chi ha inserito questa storia fra le seguite e le preferite (sì, c'è ne veramente, grazie infinite!) e chi recensisce, sperando che aumentiate...
Baci,    Margot.

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Capitolo 11
*** Popcorn ***



Popcorn



Erin sollevò la testa. Si era appena svegliata, ed era ancora appoggiata al petto di Axl. Alzò gli occhi e li incrociò a quelli di lui. Sorrise sorniona, mentre i ricordi della notte passata le riaffioravano nella mente. Oh, il rosso ci sapeva fare, eccome!

Si sollevò sui gomiti e iniziò a baciargli il petto. Gli morse delicatamente il capezzolo e lui e prese la testa, attirandola alla sua. Le baciò le labbra e sorridendo le mormorò “Buongiorno mia regina…”

Erin ridacchiò e si alzò dal letto, per poi camminare verso il bagno, ancora completamente nuda.

Aprì la porta del bagno e rimase spiazzata a fissare un ragazzo dai capelli neri che si faceva la barba. Questo dal canto suo si girò con fare abbastanza scazzato verso di lei, la squadrò, le sorrise e riprese a farsi la barba.

“Izzy, lei è Erin.” Dietro la ragazza Axl se la rideva guardando la scena.

Erin, sul momento confusa e imbarazzata, al suono della voce di Axl si riscosse. Si avvicinò a Izzy, che nel frattempo aveva finito di radersi, gli accarezzò il viso sussurrandogli “Piacere…” nell’orecchio, curandosi che i suoi seni premessero contro il petto del  moro. Poi girò verso Axl, gli fece l’occhiolino e andò ad aprire l’acqua della doccia.
Izzy, senza comprendere del tutto la situazione, ma piuttosto sicuro che fosse meglio così, uscì dal bagno, mentre Axl si tolse i boxer e si avvicinò a Erin. E lei non fece altro che camminare soavemente attorno a lui, e facendosi seguire.

In breve Axl si ritrovò fuori dalla porta del bagno, nudo, con la porta del bagno chiusa davanti al suo naso da una Erin piuttosto divertita.

“Ma cazzo! Non due volte di fila!”

Risata da dietro la porta. Infame. Infame con un corpo da urlo. Che si fotta.

Si vestì velocemente, e andò verso la cucina.

“Ehi Jeff.”

“Ehi, man. Mi spieghi perché c’è una ragazza nuda nel tuo bagno e tu sei qui? E perché non è ancora scappata da questa casa?”

“Bah, è la nostra nuova coinquilina.” Disse quello, lasciandosi cadere sulla sedia.

“Ciò non spiega perché è nuda nel tuo bagno. E tu sei qui. Ancora qui. E non spiega neanche il modo in cui si è presentata, anche se
quello forse è facilmente intuibile.”

“Il fatto che sia nuda nel mio bagno e io sia qui, quando vorrei tanto stare con lei nel bagno, è dato dal fatto che suppongo si sia scocciata dal fatto che non le avevo detto che c’eri tu, nel mio bagno.”

“Oh. Beh, man, grazie di non averglielo detto. Gran bel paio di tette, comunque.”

“Lo so. C’è qualcosa da mangiare?”

“Nulla. E non abbiamo soldi per comprarci niente. A meno che non vendiamo un po’ di roba.”

“No, quella non la vendiamo. Erin ci ha procurato delle date al Rainbow… precisamente sono tre, quando cazzo vogliamo e se vanno bene ce le aumenta.”

Il rosso, che prima era di malumore, adesso rammentandosi la prospettiva dei concerti al locale della sera prima si era risollevato del tutto l’umore.

“Cosa? Will, dimmi che non mi prendi per il culo! Sono secoli che preghiamo quello scarto umano del proprietario, e adesso è fatta! E tutto grazie a Erica! Chi è poi?”

“Erin, coglione. E te l’ho presentata un attimo fa. Il gran bel paio di tette, ci sei?”

“Sì, ci sono stronzo. Da quando ti ricordi i nomi di quelle con cui scopi?”

“Da quando mi assicurano date di concerti.”

“Figlio di puttana! Io ti adoro, ti adoro, testa di cazzo!”

“Piano con i complimenti, Jeff, potrei arrossire.”

“Ma come diavolo ha fatto, scusa?”

Axl lo guardò. È vero. Come aveva fatto?

“Non lo so, ma chissene fotte, amico. Abbiamo i concerti, e possiamo farli quando cazzo ci pare. Presto, magari. Ho fame.”

“ ‘Giorno, ragazzi… c’è qualcosa da mangiare?”

“Mi dispiace, Popcorn, siamo senza cibo.”

“Oh, non di nuovo. Abbiamo soldi?”

“Dipende. Tu hai qualcosa?”

“Boh. Può essere.”

“Allora usciremo dopo.”

Izzy guardò Axl e poi Steven. “Ehy, Adler, abbiamo una coinquilina!”

“Che?” fece l’interessato, girandosi verso Izzy.

“Già, se vuoi sapere la storia chiedi ad Axl, sta con lui. L’ha appena chiuso fuori dal suo bagno, dopo essersi presentata a me
completamente nuda.”

“Oh-oh, Axl… Ora voglio proprio sapere!”

“L’ho incontrata, abbiamo scopato. Ora vive con noi. Non c’è altro.” Fece il rosso, fulminando Izzy con lo sguardo.

“Buongiorno… la preferivo con la mise di poco fa, signorina…”

“Buongiorno… Izzy, giusto? Tu sei il…” Rispose Erin, che intanto si era fatta la doccia e si era rivestita.

“Secondo chitarrista. Incantato.”

Steven fischiò ammirato. “Babe, io sono Steven, e tu sei uno spettacolo.”

“Giù le mani, orso. Sta con me.” Ghignò Axl a mezza voce.

“Steve… Il batterista, dunque!” Erin sorrideva compiaciuta, rendendosi conto di ciò che aveva detto il cantante. La voleva solo per sé…
Anche con lui stava funzionando allora.

“Sì, honey!”

“C’è da mangiare?”

“No, mi dispiace… Ma se vuoi andiamo fuori a far colazione…” disse Axl, cingendole i fianchi con le braccia.

“Ecco, bravo! Vedi che se ti impegni riesci a trovare una soluzione? Tuuutti a far colazione da Joe, muoviamoci!” fece Steven, andando a raccattare anche gli ultimi due membri rimasti della band.

“Duff, muovi il culo, stiamo andando a fare colazione!”

“Ehi, Popcorn! Cazzo, intendevo solo io e Erin!” Axl rincorreva il biondo per la casa, tentando di fargli cambiare idea. Ma per una volta il rosso non l’ebbe vinta.

“SLASH! Sveglia, si esce! Ehi, ma che… Oh, in dolce compagnia, vedo… piacere mademoiselle, sono felice di trovarla a letto col mio migliore amico, se non le dispiace ora lui viene con me, vero, cespuglio? Da bravo, andiamo a fare colazione…”

“Popcorn, porca puttana! Stavo dormendo così bene… Vattene da questa camera! Vattene!”

“Fa’ un po’ come vuoi. Ma sappi che da mangiare fuori non c’è, e se non vieni ora non ci sarà da mangiare neppure da Joe, dopo!”

“Fanculo!”

E la porta si richiuse, lasciando la nuova coppia di nuovo al buio.

“Michelle… mi dispiace, piccola, è fatto così.”

“Tranquillo, non è un problema…”

“Senti, ora io vado, che ho fame e…” lo sguardo cadde sui seni di lei “.. sì, insomma… oh, cristo, fanculo!” e ci gettò il viso, coprendoli di baci e di morsi.

“Ahahah Slash! Slash! Fermo, dai, Slash!”

“Scusa, piccola, ma sono fantastiche! E non puoi dire che non ti piace…” continuò, salendo fino ad arrivare all’altezza del viso di lei con la
bocca, per lasciarle un bacio sulle labbra.

“Slash…” Bacio. “Dai…” Bacio. “Ho fame anch’io…” Bacio. “Devi andare…” Bacio. “Andiamo insieme…” Bacio. “Slash…” La mano di li scivolò sotto il lenzuolo.

“NO! Dai, se no rimango qui ancora un altro secolo!” disse al quel punto Michelle, scattando in piedi e cominciando a vestirsi.

“Oh, piccola, così mi fai morire…”

“Mentre muori, vestiti e esci da questa stanza, che io vado in bagno. A proposito, dov’è?”

“La porta davanti a questa camera.” Rispose il riccio, ghignando.

“Graaaazie…”

“Figurati, è un piacere… A proposito, visto che anche tu hai fame, vieni anche tu a fare colazione da Joe, no?”

“Mmmh… si può fare…” e uscì dalla stanza.




Eccolo! Spero vi sia piaciuto... In realtà è un capitolo di passaggio, il prossimo sarà un po' più utile spero... Recensiteeeee... Recensiteeee....

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Capitolo 12
*** Risvegli ***


Ehilà! Salve a tutti! Sono risorta con un altro capitolo... A voi!

Risvegli



Intanto, Steven era andato a svegliare Duff. Spalancò anche stavolta la porta, ritrovandosi di fronte l’amico sepolto sotto i due corpi delle gallinelle della sera prima.

“Duff! Oh, ma che cazzo! Ieri sera avete scopato tutti tranne me?! Andiamo, muovi il culo! Si va a fare colazione da Joe! Signorine, sono incantato. Duff, muoviti.”

“Mpf… vattene Popcorn, arrivo… Christine, e anche tu gioia, salutate Popcorn e andatevene, da brave.”

“Mi chiamo May, stronzo.” Fece una delle due ragazze, sorridendo.

“Sono quasi sicuro che mi prendi per il culo, dolcezza.”

“No, sono seria, lei è Christine” rispose, alzandosi.

“Oh. Beh, May, è stato un vero piacere.”

“Oh, sì, anche per me… Appena trovo i vestiti ce ne andiamo… CHRISTINE! Sveglia, si va.”

“Mh? Ah, si, ora arrivo…” fece l’altra, cercando di alzarsi. “Cazzo, ho un mal di testa allucinante…”

“Sono desolato, Christine. Ma ora me ne vado. Addio, dolcezze.” E con questa frase raccolse i vestiti e andò a raggiungere gli altri. O meglio, ci provò. Andò
verso la porta, ma questa si aprì di scatto, rivelando proprio dietro la visione di Michelle in biancheria, convinta di aver aperto la porta del bagno.

“Piccola, sei già stufa di Slash?” ghignò Duff.

“No, beh, potrei…” rispose quella, ammiccando al corpo del biondo. Si riscosse. “Ma no. Mi sai dire dov’è il bagno? Veramente?”

“Certo, è la porta dopo.”

“Grazie…”

“è stato un piacere…”

Ammirò il culo della bionda e si diresse in cucina, rivestendosi.

“Buongiorno, stronzi!”

“A te, McKagan. Ora possiamo andare?” fece il rosso, sconsolato.

“Nope! Manca ancora Slash!”

“Occristo non ce la faremo mai!”

“Se non ti sta bene, vacci da solo!”

“Era appunto quello che volevo fare, Popcorn, se solo tu non ti fossi autoinvitato!”

Il biondo fece finta di non sentire, mentre sbatteva a ritmo due matite sul tavolo.

“ ’Giorno…”

“Oh, il cespuglio è sveglio! Muoviti, bestia, si va a mangiare…” fece Axl, alzandosi.

“No, aspetta, ho invitato anche Michelle, tra poco arriva anche lei e andiamo, right?” disse Slash.

“Eccomi, possiamo uscire!” fece l’interessata, uscendo dal bagno.


“Alleluja…”

 
*******************

 
 
“Ok, ragazzi, veniamo alle cose importanti.” Cominciò Axl, dopo che ebbero ordinato. “Abbiamo un concerto. E non in un posto qualunque. Al Rainbow, cazzoni!”

“Cosa?! Cosa hai fatto per fargli cambiare idea, rosso? Non dirmi che ti sei venduto…” fu la risposta di Steven.

“No, stronzo, abbiamo tre date al Rainbow, e non ho fatto proprio un bel niente, al vecchio. In effetti, ci ha parlato Erin. È vero, tesoro, come hai fatto? Quel tipo
ci odia!”

“Beh, mi doveva un favore…” rispose la ragazza, cercando di non dare troppa importanza alla cosa. Ci mancava che saltasse fuori che avrebbe cominciato a fare… la ballerina. Detta così sembrava che si dovesse infilare un tutù rosa e ballare danza classica. Ma purtroppo (o per fortuna, considerata la sua passione per la musica classica) il tutù che si sarebbe infilata (e poi, conoscendo Jason, sfilata) sarebbe stato molto più trasparente e striminzito.

Mentre pensava a queste cose Michelle la guardò. Aveva capito.

“Oh, cazzo! Erin, porca puttana, grazie! Tre sere al Rainbow! Cazzo, tre sere!” Slash era in adorazione, e non solo lui. I cinque ragazzi erano visibilmente gasati.

“Ma quando?” era stato Izzy a parlare.

“Quando volete, vi ha lasciati liberi per decidere le date… ah, e se le serate vanno bene ne farete altre!”


“AH! Se andranno bene! Honey, andranno bene di sicuro!”
 
 
*******************

“Michelle, vieni a fumare una sigaretta fuori, un attimo?” sussurrò Erin all’orecchio dell’amica.

“Certo, arrivo subito, prendo il pacchetto nella giacca!”

“Non serve, te la offro io, vieni.”

Le due amiche uscirono da casa Guns e andarono a sedersi su un muretto vicino. I ragazzi dentro provavano per i concerti.

“Allora, che c’è?”

“Ha a che fare con le serate dei ragazzi.” Rispose la mora.

“Chissà perché lo immaginavo. Erin, cosa ti ha chiesto Jason in cambio?” sembrava veramente preoccupata. Erin si voltò verso di lei sorridendo.

“Calmati, devo solo ballare un po’ di sere…”

“Ballare? Pensavo che tu non…”

“Infatti. Una volta da ubriaca ho ballato davanti a lui. E ora vuole che lo faccia. Praticamente è uno scambio. Io per loro.” concluse, accennando alla casa con un cenno.

“Mi dispiace. Ma se non è importante, cosa c’è?”

“Mh? oh, nulla. Mi chiedevo solo… Da sola ballare è triste.”

“No! Erin, no! Io non ballo! No! Cioè, ok, ballavo, ma ora basta!”

“Dai, Mich… solo per poche sere… tanto per non andare da sola… dai…” fece la mora, supplichevole.

“Ah-ah, Erin. Non fare così, non… Oh, uff. Sappi che sono una grande amica.”

“No, sei la migliore! La più bella ragazza di Los Angeles. La più buona e generosa del mondo! Allora, accetti?”

“Solo se continui con i complimenti.”

“Ahahaha, che scema che sei!”

“Massì, accetto! Solo per poche sere!”

“Sissignora! A , cominciamo oggi!”

“CHE? OGGI?”

“Sì, stasera…”

“Oh, cazzo… e vabbè, dai… Andiamoci…”

“Oh! Cazzo, Michelle, ti adoro! Grazie…”


“Non mi ringraziare, cammina. Dobbiamo cambiarci, e sta diventando tardi.”


Ok, questo capitolo non dice nulla, mi dispiace... Ma arriverà presto il prossimo e sarà più movimentato, prometto! Per il resto spero vi sia piaciuto...

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Capitolo 13
*** Margot ***


Ed eccoci con un nuovo fresco capitolo! Ok, ora mi eclisso e vi lascio leggere...

 
Margot


Guardava il pubblico da dietro il palco del locale. Le luci variavano dal blu al rosso, e l’ultimo brano prima del loro spettacolo stava finendo.

Erin indossava un corpetto nero e rosso decorato a spirali, a cui erano agganciate le calze nere decorate con pizzo bordeaux che richiamava il colore del corpetto. A piedi calzava lucide scarpine nere, tacco dieci. Suo malgrado, gli slip neri, pur essendo semplici, erano straordinariamente striminziti. Si maledisse per aver avuto un’idea così stupida.

Michelle invece portava un reggiseno nero in tessuto con inserti in pelle, e con piccole borchie a punta, e slip dello stesso stile.le scarpe
color oro, piuttosto pacchiane, completavano la mise.

“Io ti detesto, Erin.”

“Lo so, anch’io mi detesto.”

“Ragazze, siete uno splendore!” si girarono entrambe verso il proprietario di quella voce melensa e fastidiosa.

“Jason, vaffanculo.” Dissero in coro.

“Oh, un giorno mi ringrazierete. Comunque sono lieto che ti sei portata un’amica, ma non serviva, ti avevo già portato un po’ di
compagnia sul palco… Ragazze, vi presento Margot, la vostra nuova compagna di danze, e ora vi lascio vado a controllare il locale…" e così facendo assestò una gran pacca sul culo della ragazza in questione, che per tutta risposta trasalì violentemente e si avvicinò alle altre due.




***



Poche ore prima


“Non ce l’ho un lavoro per te, ragazzina, vai a trovarlo da un’altra parte.”

“La prego, la prego, sono senza un soldo, non ho più nemmeno una casa… so fare la cameriera, l’ho già fatto in altri locali, sono brava! La prego, anche se dovessi servire ai tavoli nuda!”

“Non fare proposte che non puoi mantenere, ragazzina… Quanti anni hai?” chiese alla fine Jason.

“21, 22 la prossima settimana!”

“Mh. e sai ballare?”

“Cosa? Io.. io sì, sì, so ballare!”

“Bene. Allora oggi è il tuo giorno fortunato, ragazzina. Proprio stasera inizia un’altra ragazza a ballare qui, e tu l’affiancherai. Se non ti sta bene, quella è la porta, potrei anche fare a meno di te. La paga sono 100 dollari a serata, ma tutto dipende da questa. Ok?”

“Ok, sì, perfetto! Grazie mille! Ah, mi chiamo Margot, comunque, la ringrazio infinitamente!”

“Lo so, lo so. Ora sparisci, ho da fare.” La liquidò Jeizy con un movimento brusco della mano e una faccia schifata. Non era da lui fare l’elemosina alle ragazzine. Ma quella aveva veramente un bel culo, anche se di tette purtroppo non era così dotata. Pazienza.
 


Cazzo, sì! Sìsìsìsìsìsì! Aveva un fottutissimo lavoro! La ragazza uscì dal locale e saltellò felice per la strada.
Qualche passante la guardò male, ma a lei non ne importava più nulla. L’avrebbero vista quella sera sul palco, se proprio volevano osservarla.
Cazzo, un lavoro. Ok, magari non il migliore sul mercato, ma almeno avrebbe potuto pagarsi l’affitto di un appartamento, e mangiare. Si bloccò di colpo. Poteva mangiare. Cominciò a ridere tantissimo. Cazzo, aveva un lavoro!


Prese a correre, tenendosi stretta la borsa con le mani aggraziate. Corse per qualche isolato, e quando arrivò era distrutta. Giunse davanti a una piccola palazzina di cemento, si riprese, e poi entrò con aria trionfante.

Salì velocemente le scale e aprì la porta rossa di un appartamento.

“Amore, sei tu?” sentì la voce di uomo che giungeva dalla cucina.

“Sì, brutto stronzo, sono io.”

“Brutta puttanella, devo ricordarti chi sono?” fece di nuovo l’uomo, uscendo dalla cucina e camminando verso di lei. Era grosso, semicalvo,
ma con peli neri che spuntavano persino dalla schiena. Indossava una canottiera bianca tutta macchiata e la pancia strabordava dalla cinta slacciata dei pantaloni luridi. In mano aveva un lattina di birra mezza vuota.

“No, non ne ho affatto bisogno, infame pezzo di merda.”

“Non ti azzardare, troietta! Ti ricordi cosa è successo l’altra volta perché sei stata poco gentile?” ribatté lui, con fare aggressivo. Lei si portò istintivamente una mano al collo.
Si ricordava quelle luride mani che lo afferravano con molta chiarezza.

“Brava, piccola. E ora non mi rompere più i coglioni, sto guardando la TV.”

“No! Io non ne posso più! Sai cosa ho fatto oggi? Mi sono trovata un lavoro! Non ho più bisogno di te e de tuoi sporchi soldi! Io me ne vado! Hai capito? Me ne vado!” e così facendo prese di fretta un borsone stracolmo di vestiti da un armadio già pronto, e fece per uscire dalla porta.

“NO! Brutta troia rotta in culo! Tu non te ne vai! Io ti ho salvato dalla strada, puttanella! Tu mi devi la vita!” l’uomo l’aggredì, cercando di toglierle di mano il borsone e di trattenerla dentro casa.

Ma la ragazzina si sapeva difendere, gli morse violentemente la mano che cercava di tapparle la bocca, si girò velocemente verso di lui approfittando della sua confusione e gli assestò un calcio fra le gambe. Lui represse un urlo e lei fuggì velocemente per le scale di quella palazzina, correndo di nuovo a perdifiato verso il locale.

Ce l’aveva fatta. O mio Dio. Ce l’aveva fatta. Arrivata davanti al Rainbow si guardò intorno. Il Sunset Strip… Finalmente realizzava il suo sogno, dunque. Adocchiò un piccolo albergo dismesso, e chiese la chiave della camera più economica.

Margot si lanciò sul letto, felice. Chiuse gli occhi, sorridendo, e si abbandonò alle lacrime. Finalmente, finalmente libera. L’avevano sempre chiamata ragazzina, anche se aveva 21 anni, per il suo fisico esile e l’espressione dolce. Aveva corti capelli castano chiaro, occhi verdi tendenti al giallo.
Sì, giallo. Tutti quelli che la guardavano per la prima volta negli occhi erano perplessi. Quasi impauriti.

In effetti, anche se la chiamavano così, non era proprio una ragazzina. Ormai era una bellissima giovane donna, dalla pelle pallida e il sorriso facile. E sì, era dolce e carina. Esile, apparentemente innocua. Ma se scavavi a fondo nei suoi occhi potevi trovare un’indole battagliera e forte che spiazzava spesso chi la conosceva.

Era stata insieme a quel tipo per tre anni. Tre anni, in cui non era mai riuscita a scappare. Non lo amava. Né lui amava lei. Le piaceva, e aveva il terrore di rimanere solo.
La picchiava. La violentava. Per alcuni periodi l’aveva costretta a rimanere relegata in casa, perché aveva paura che potesse fuggire.
Lei gli era rimasta accanto, all’inizio perché davvero non sapeva dove andare, i suoi genitori erano morti in un incidente stradale e le avevano lasciato un’eredità di debiti.
Lui l’aveva trovata che cercava di prostituirsi per pagare le spese, gliele aveva pagate e lei aveva pagato il debito con lui in tre anni di botte.
Poi era diventata paura, fino al giorno in cui si era resa conto che non aveva più nulla da perdere, e aveva cominciato a preparare la fuga.
 

Ma ora era finita, lei aveva un lavoro. Un lavoro. Sorrideva, guardando il soffitto.



Allora? Piaciuta la new entry? Spero di sì... Anche perchè porta il nome del mio nickname, presto scoprirete perchè.
Beh, che dire... Niente citazioni neanche in questo capitolo, tranne che quando lo scrivevo stavo ascoltando Paint it Black degli Stones e la porta dell'appartamento ha preso immediatamente il colore rosso, come vuole uno dei primi versi della canzone...
Bene, ci vediamo presto on un altro capitolo, ringrazio Tutti quelli che mettono la mia storia su preferito/seguito e che recensiscono, in particolare PJ per i suoi meravigliosi complimenti! A presto!

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