Night Trial

di cartacciabianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte: L'anello ***
Capitolo 2: *** Seconda parte: La prugna ***
Capitolo 3: *** Terza parte: Il cappello ***



Capitolo 1
*** Prima parte: L'anello ***


_Prima parte

L'anello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il suono delle onde che si aprivano per lasciare passare il grande scafo bianco era una melodia senza tempo; il mare una macchia d’inchiostro, lucido e nero, e la luna crescente, quasi piena, vi si specchiava con vanità. Qualche asse scricchiolante, le vele che catturavano anche la più impercettibile corrente d’aria e, persa nel vento, la voce di little Danny che cantava Sayiling with the Siren dall’alto della coffa, mentre intagliava pigramente un vecchio ciocco di legno.

- Che notte meravigliosa, eh, capitano? -

Connor ebbe l’impressione di essersi svegliato d’un tratto con il timone nelle mani, quando la voce crocidante di Robert Faulkner lo strappò ai pensieri. Il vecchio lupo di mare, instancabilmente al suo fianco anche dopo quelle lunghe ore di navigazione notturna, aveva il naso all’insù e guardava le stelle come un bambino.

- Sì, ma non quanto sperassi, - rispose il nativo. - Se ci fosse più vento… temo che di questo passo non raggiungeremo la Welcome in tempo. -

Faulkner si sistemò con le spalle alla prua, sedendosi sulla balaustra per concedere un po’ di riposo alle vecchie ossa. - Mi sembra di sentire quello iettatore di tuo padre, che per poco oggi non ci ha tirato addosso anche una tempesta. A proposito del nostro ospite… -

- Non voglio parlarne, Robert. -

- Sissignore. -

Lo sguardo di Ratonhnhaké:ton attraversò il ponte, scavalcando l'albero maestro e perdendosi nell'oscurità all'orizzonte, mentre la presa sui pioli diventava sempre più stretta…

Aveva portato l'Aquila tutto il giorno senza allontanarsi dal timone neanche per mangiare, bere o urinare. Faulkner era stato i suoi occhi e le sue orecchie, mandato più volte sottocoperta a controllare dove fosse e cosa stesse facendo, e tutte le volte la risposta era sempre la stessa.

- Legge, capitano. Nella sua cabina. -

- Cosa legge? -

- Una commedia. -

- E dove l'ha trovata una commedia? Non ne abbiamo a bordo. -

- Lo credevo anch'io. -

- Va bene così, Robert, non m'interessa. L'importante è che faccia meno danni possibili… -

- Connor… - cominciò ad un tratto il suo primo ufficiale, abbandonando le formalità. - Non per appropriarmi del ruolo sbagliato, ma forse dovresti staccare un po' i piedi da quelle assi. Ormai hanno la forma del tuo tacco. -

Il nativo si accigliò.

- E cos'altro potrei fare per ingannare l'insonnia, secondo te? -

Robert si strinse nelle spalle. - Bhé, dipende dal tipo di insonnia, capitano. Ce n'è una piuttosto comune tra gli uomini che si combatte con una buona bottiglia. -

- Quella roba non fa per me e lo sai, - replicò il nativo con una risata.

- E non hai neanche una donna… ti stai allontanando dal Paradiso, ragazzo, - lo canzonò.

Con un sospiro forzato Ratonhnhaké:ton allentò la presa sul timone, e lentamente vi si separò cedendolo a Faulkner, che prese il suo posto con naturalezza mentre il sorriso gli si allargava a tal punto da sfoltirgli i baffi.

- Saggia decisione, capitano. -

Scrocchiandosi le mani nei pugni, Connor andò ad affacciarsi sul boccaporto che conduceva sottocoperta. Le risate dei suoi marinai salivano fin lì dalla stiva. Pensò che un po' della loro compagnia avrebbe potuto distrarlo come gli serviva, ma sceso il primo gradino si fermò, tornò sui suoi passi e Robert gli scoccò un'occhiataccia, ma lui puntò verso la propria cabina, che aveva il suo piccolo ingresso sotto la postazione del timone, ed entrò.

La canna della pistola a pietra focaia lo procedette, tendendosi verso il fondo della stanza dove il chiarore di una lampada, tenuta appositamente con la fiamma bassa, disegnava una sagoma appena più grande delle altre.

- Allontanati subito da là, - ringhiò Connor; il dito attorno al grilletto.

Con il ritardo della sorpresa, la sagoma si allungò ad alzare il lume e subito la stanza fu illuminata a giorno.

- Hai intenzione di maritarti? - chiese Haytham. L'amuleto del Capitano Kidd delicatamente stretto tra il pollice e l'indice.

Connor avanzò di un passo dentro la cabina, arrivando a mettere la canna dell'arma quasi nel naso di suo padre.

- Mettilo giù, - scandì.

- Almeno sai cos'è? - replicò il Templare inarcando un sopracciglio sotto al cappello.

- Ovviamente, - mentì.

- Allora perché mi punti addosso un'arma? -

Connor tirò il grilletto.

- Non funziona sempre. -

Non se ne separava mai, ma proprio quella mattina, appena imbarcati e forse con troppa leggerezza, se l'era sfilato perché lo aveva assalito l'impressione che la tensione di avere suo padre a bordo dell'Aquila lo avesse gonfiato senza ritegno, dita comprese.

Aveva raccolto i pezzi di una mappa stracciata e rischiato di diventare cibo per lupi solo per arrivare a quella clamorosa scoperta… che il leggendario tesoro del Capitano Kidd consisteva in un piccolo gingillo dall'origine sconosciuta. Ma una cosa l'aveva appresa con l'esperienza: chiunque lo indossasse aveva la capacità di muovere gli oggetti a distanza con appena un gesto della mano.

Al contrario Haytham sapeva benissimo che apparteneva alla Prima Civilizzazione. La numerazione incisavi esternamente non era una sequenza casuale e avrebbe barattato volentieri un braccio pur di apprenderne il significato, ma il tempo non gli era stato sufficiente neppure per leggere l'intera sequenza.

- E tenteresti così sfacciatamente la sorte? - ironizzò il vecchio Kenway. - Hai un colpo solo, per diamine. -

- Ma due pistole. E ti assicuro che arrivo a puntarti anche l'altra prima che tu riesca ad infilartelo. Volevi rubarlo? -

- Cosa… ?! - si stupì Haytham piegandosi in avanti. - Sono un Templare, non un banalissimo ladro! - obbiettò, visibilmente offeso.

- Bhé, ai Templari potrebbe sempre fare comodo una cosa come quella. -

- Sono contento che ne riconosci quantomeno il valore, - borbottò.

- Già, perciò rimettilo a posto e dimmi cosa ci facevi qui. -

- Come vuoi. Ma per la miseria abbassa quell'arma. Siamo tra gentiluomini. -

Connor aspettò di veder tornare l'anello tra le carte e gli strumenti per la navigazione abbandonati sul tavolo, e solo allora, anche se con una leggera titubanza, rinfoderò la pistola nella fondina.

- Parla. -

- Il ponte era ancora bagnato dopo la pioggerella di questa mattina e avevo solo voglia di fare due passi, - spiegò Haytham lasciandosi cadere sulla sedia imbottita dietro la scrivania.

- A quest'ora e negli ambienti vietati agli ospiti? Qual è il problema, cammini nel sonno o proprio non riesci a dormire? - gli chiese Connor, domandandosi se anche suo padre, come lui, non fosse angosciato da quella coesistenza forzata. Prima di allora non avevano mai condiviso neppure la stessa città per più di pochi giorni, e adesso si trovavano a dover dividere lo spazio dell'Aquila, improvvisamente mai stata così… piccola.

Di tutta risposta Haytham si guardò attorno, trovando subito dopo un pretesto privo di fantasia per sfuggire alla sua domanda.

- È una bella nave, - commentò. - Da quanto tempo la porti? -

Ormai senza più l'intenzione di continuare quella conversazione, Ratonhnhaké:ton avanzò fino a sovrastarlo. - Da abbastanza tempo per ordinarti di uscire dalla cabina del capitano. -

Haytham si alzò all'istante con un'espressione indecifrabile e aggirò la scrivania senza un fiato, puntando verso la porta.

- Peccato. Ero quasi certo che mi avresti chiesto di raccontarti una favola prima di andare a dormire, - ridacchiò passandogli accanto.

- Non dormirò, stanotte, - ringhiò Connor.

- Oh, ne sono certo. -

Haytham giunse le mani dietro la schiena, sotto al mantello, e uscì. Salutò Faulkner sollevandosi appena il cappello dalla testa e poi si allontanò a passeggiare sul ponte, guardando le stelle.

Little Danny aveva smesso di cantare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’Autrice

 

Dunque.

Mentre pubblicavo su Deviantart il mio fumetto illustrato riguardo a questa storia, mi sono chiesta: perché non metterlo anche su EFP? Perciò eccoci qui.

Amando questa coppia, non ho resisto al desiderio di tributarle un po’ della mia mano e del mio tempo. La Welcome è la nave dell’ex Templare Benjamin Church, a cui Haytham e Connor, adesso e brevemente insieme, stanno dando la caccia. Mi sono divertita ad ipotizzare cosa fosse accaduto durante quell’unica notte di traversata sul mare. Anche se entrambi troppo orgogliosi per ammetterlo, né Haytham né Connor riuscirebbero a chiudere occhio per l’inconscio sospetto che uno possa uccidere l’altro nel sonno. Ho scelto uno stile volutamente essenziale per rendere quanto più fedelmente l’immediatezza dei dialoghi. Vi linko subito il fumetto sopra citato http://fav.me/d5mv8wv e aspetto commenti.

:)

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Capitolo 2
*** Seconda parte: La prugna ***


_Seconda parte

La prugna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faceva ruotare l'anello di Kidd sopra l'Isola di Saint John, nell'arcipelago caraibico, e ritmicamente, ogni due giri, lo tamburellava sul tavolo, diffondendo nella stanza un tintinnio metallico soffocato dalla carta della mappa.

A quella sensazione che gli comprimeva il petto da ore non sapeva dare un nome, mentre sperava con tutto se stesso di scorgere finalmente la Welcome oltre la prua, che fissava dalla poltrona della sua cabina attraversando con lo sguardo l'uscio della porta spalancata e il ponte intero inghiottito dalle tenebre. Voleva liberarsene al più presto, di quella sensazione, e tornare da George Washington con il carico rubato all'Esercito Continentale, i cui membri lo avrebbero accolto come un eroe ringraziandolo per aver riportato la speranza nei loro occhi e il pane tra i loro denti. Ma non era solo Benjamin Church a frapporsi tra lui e la sua causa, perché prima o poi lo scontro sarebbe stato inevitabile… proprio come era accaduto poco prima: nonostante avesse cercato di evitarlo tutto il giorno, Haytham aveva avuto la faccia tosta di venire a ficcare il naso tra i suoi appunti, tra le sue rotte, tra i suoi piani, e questo lo aveva fatto imbestialire senza ritegno. Era stata una sensazione a fargli sfondare la porta della cabina con il dito già attorno al grilletto della flintlock, forse la stessa sensazione che lo tormentava anche adesso e che non gli aveva fatto scollare le mani dal timone per tutta la giornata.

E la causa scatenante non poteva che essere una.

D'un tratto strinse l'anello e si alzò, scostando rumorosamente la sedia e buttando all'aria qualche cartina. Quindi volò fuori dalla cabina e approdò contro la balaustra dove finalmente poté liberarsi. Quell'azione improvvisa aveva suscitato un leggero sconcerto in Robert Faulkner, che dal pianerottolo, con le mani sul timone, alzò gli occhi al cielo.

- E pensa come te la facevi nei pantaloni se ti offrivo da bere! -

- Zitto e guida. -

- Sì, capitano. -

 

Sapeva come arrivare a Church, ma il tempo per raggiungerlo sembrava essersi dilatato nell'attesa di mettergli le mani intorno al collo e rinfacciargli il suo tradimento come il peggiore dei delitti, punibile solo con la peggiore delle pene… E come il tempo si allargava, così la tensione tra lui e suo figlio cresceva, nel rischio di spezzare il filo di una pace fin troppo instabile. Aveva dovuto accettare quel compromesso con se stesso prima di sottoporlo al sangue del suo sangue, e proprio adesso che Connor gli aveva messo a disposizione una nave e garantito una rotta, la sua bussola ruotava di nuovo impazzita come quando aveva conosciuto Ziio

- Ehi, faccia di burro. -

Dalle calze sporche di polvere capì che si trattava di un cannoniere e dalla bottiglia mezza vuota che era ubriaco.

- Sì, dico a te col fiocchetto. Sei stato tu, vero? - gli chiese a tono il marinaio, e strascicando anche qualche vocale.

Haytham alzò gli occhi al cielo e si costrinse ad ignorarlo, tornando a guardare la cresta del mare fuori dal boccaporto del cannone su cui era seduto.

- Sei stato tu a chiedere al capitano di partire subito… - singhiozzò il cannoniere avvicinandosi ancora. - Dio, New York mi piaceva! Avevo trovato certe signore irlandesi… con delle teeeeeeette così! - ma nell'aggiungervi anche una mimica, tanto per rendere l'idea, si rovesciò addosso l'ultimo goccio della bottiglia. Quindi imprecò e se ne andò, inveendo contro suo padre e quella brava femmina di sua madre.

Haytham sospirò.

E sarebbe questa la rispettabile ciurma degli Assassini?

Ma non passò neanche un minuto prima che un gran chiasso salisse improvvisamente fin lì dalla sottocoperta di poppa. Grida e risate si mescolavano al fragore di vetri in frantumi, stoviglie rovesciate e tavoli malamente spostati.

- Per l'amor di Dio, mi era sembrato innocuo…  - borbottò Haytham alzandosi dal cannone e attraversando il locale a grandi passi. Quando vi entrò, notò subito un largo cerchio di folla e i due sfidanti al centro della stanza. Uno era il suo cannoniere che stava a mala pena in piedi, l'altro un colosso con la camicia a righe alto quasi due metri che gli aveva già fatto sanguinare il naso e regalato un bell'occhio nero.

- Basta. È più che sufficiente, - intervenne Haytham senza pensarci troppo e i curiosi accorsi ad assistere lo lasciarono passare. - Qualunque cosa vi abbia detto per scatenare la vostra collera, buon uomo, da adesso vi conviene cercare un'altra maniera per risolvere la controversia. Sempre che non abbiate intenzione di ucciderlo. -

Ma il colosso lo ignorò e assestò un pugno nello stomaco del suo sfortunato sfidante, che piegandosi in avanti urtò una cassa di corde e un attimo dopo inciampava inevitabilmente, rovinando a terra tra le risate dei compagni.

- Con questo cane fradicio, signore, funziona solo il bastone, - gli spiegò il colosso girando attorno alla sua preda come un avvoltoio. - Chiedetelo al resto della ciurma, o al capitano: entrambi ve lo confermeranno. - Sollevò il cannoniere dal pavimento e lo colpì ancora un paio di volte.

- Perché al capitano non lo chiedete voi, signor Beckett? -

Haytham si voltò, mentre alle sue spalle la ciurma dell'Aquila, il colosso e il cannoniere trattenevano il fiato.

Connor superò suo padre e raggiunse il centro della stanza accompagnato dal suono dei suoi tacchi sulle assi. - Sapete che non tollero niente di tutto ciò, - mormorò a bassa voce.

- Sì, capitano, - la risposta dell'irlandese, che mollò la camicia del cannoniere con uno strattone.

- E non sta bene davanti al nostro ospite. -

- Sì, capitano. -

- Dopo che avrete chiesto scusa a entrambi, - disse Connor alludendo anche ad Haytham dietro di sé, - condurrete il signor Barclay in infermeria e lì gli terrete la mano mentre il dottore gli tampona quel naso. -

Risate.

Il marinaio rivolse ad Haytham un cenno col capo e si caricò il cannoniere sulle spalle come un sacco di patate, suscitando altre fragorose risate mentre lasciava la poppa fischiettando. Quindi la folla si disperse e le chiacchiere ripresero di sottofondo al canto del mare.

L'ordine era ristabilito.

- Ne ho visti di ammutinamenti, ma fortunatamente lo spirito dei tuoi uomini li precede, - commentò il Templare, ma prima che potesse allontanarsi, Connor si allungò a sfiorargli un braccio.

- Posso parlarti? -

Haytham lo guardò dritto negli occhi.

- Certamente. -

Ratonhnhaké:ton gli fece strada fino nella cambusa e, una volta entrato dopo di lui, si richiuse la porta alle spalle e si tolse il cappello da capitano.

- Perché ho come l'impressione, padre, che tu mi stia… studiando? - domandò nella penombra.

- Sei mio figlio, - disse Haytham andando ad alzare la fiamma dell'unica lanterna che penzolava sulla colonna al centro della stanza. - E non so nulla di te. A parte, forse, che sembri andare piuttosto… fiero dei simboli che indossi. -

In quel momento l'insegna spezzata sul bracciale di suo padre fu ben visibile, e anzi brillò. Connor non poté che fissarla e quando Haytham se ne accorse, giunse le mani dietro la schiena come faceva di solito, con la differenza che quella volta non aveva risposto ai comandi della sua personalità… quanto piuttosto al dolore dei ricordi, che gli avevano irrigidito la mascella e svuotato gli occhi.

- Commettiamo tutti degli errori, - cominciò il Templare con apparente tranquillità. - Il mio è stato quello di prendere in considerazione la vostra causa, che col tempo ho capito essere infantile, grezza, artificiosa; cagionevole come una vecchia inferma, presuntuosa come una bambina viziata e così dannatamente idealizzata da far impallidire la leggenda di Re Artù e la Tavola Rotonda. -

- Risparmia il fiato per chi avrà davvero voglia di ascoltare i tuoi rammarichi, - sbottò Connor puntandogli il cappello come se fosse un arma. - Non hai il diritto di criticare le mie scelte. Almeno non più. -

- Perché ti ostini a non capire? Se fossi rimasto con tua madre avrei potuto salvarti dall’ignoranza, proteggerti, darti uno scopo migliore per cui combattere. E forse le tue azioni risulterebbero davvero utili e sarebbero ricordate. Così, invece, ti perderai nel vento offuscato dalla scia di qualcun altro e di te non resterà niente. Niente! -

Connor fece schioccare la lingua. - Vedi? È proprio questo il motivo per cui non rimpiango il tuo abbandono. Ti sbagli, perché le mie azioni vivranno molto più a lungo delle tue e di quelle di chiunque altro la pensi come te, a partire da Charles Lee. -

Haytham rubò una prugna da una cassa delle provviste e cominciò a passeggiare avanti e indietro sulle assi, inseguito dallo sguardo di Connor che nel frattempo torturava un orlo del cappello.

- Era questo di cui volevi parlarmi? -

- No. -

- E allora cosa c'è? -

- Speravo… -

- Cosa? Speravi cosa!? - ruggì Haytham.

- Di avere delle scuse. -

- Sei impazzito? Delle scuse per cosa? -

Con un lampo negli occhi, Connor vi incatenò quelli di suo padre. - Per essere rimasto a guardare, mentre Lee, Johnson, Church e Hickey bruciavano il mio villaggio per te. -

- Ti ho già detto di non aver mai dato quell'ordine. -

- E non ti dispiace neanche un po' che sia successo lo stesso? -

Haytham tacque.

- Ricordo i suoi occhi… - sibilò Connor, sempre più sottile e fatale come la lama del suo tomhawk quando lo affilava. - Pieni di crudeltà, ferocia… E li ho rivisti molte volte nei miei incubi, avvolti dalle fiamme e dalle grida della mia gente. Lui non aveva niente, lì. Tu, avevi mia madre. -

- Non puoi capire. -

Senza un fiato Connor si voltò, afferrando la maniglia della porta come si afferra una cima che il vento rende sfuggente. E, come il vento, Ratonhnhaké:ton lasciò la cambusa.

- Non puoi capire cosa sia accettare il sacrificio delle persone che ami per un bene superiore, - gli ringhiò dietro Haytham, inseguendolo. - Perché di questo si tratta, e se ancora non lo capisci, non lo capirai mai. -

Connor non rispose e si rimise il cappello, puntando verso il boccaporto per il ponte, ma d'un tratto Haytham si fermò, in mezzo al corridoio della sottocoperta e con addosso lo sguardo allibito di due marinai che passavano lì per caso, e lo lasciò andare. Tornò a sedersi sul suo cannone. In mano aveva ancora la prugna e dopo averla fatta saltellare due volte, la scagliò fuoribordo con rabbia.

Un gabbiano venne subito a prendersela.

Terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'Autrice

 

Ormai è palese che i collegamenti tra questa fan fiction e il mio fumetto su DeviantArt sono del tutto superati. Night Trial ha preso una direzione completamente nuova che mi piace molto, nella mia errante modestia, e mi soddisfa decisamente di più. I cambiamenti maggiori toccano lo stile e la strategia narrativa, senza contare il coinvolgimento della ciurma dell'Aquila al completo e di cui nel gioco sappiamo ben poco. Little Danny e i signori Backett e Barclay sono perciò di mia invenzione e spero che l'ispirazione mi presenti al più presto occasione di conoscerli meglio. Dopotutto una volta le traversate marine non duravano il tempo di un caricamento e quando il tuo miglior nemico vive sotto il tuo stesso tetto (?si potrà dire in nave?) c'è ben poco da fare: o ci convivi o lo ammazzi. E nella maggior parte dei casi la prima è la conseguenza della seconda.

Ci tengo particolarmente a ringraziare di cuore la cara micho, che mi ha assistita in questo e quell'altro capitolo come beta reader. Non è la prima volta che interagiamo in questo senso, poiché in sede unita stiamo pubblicando proprio qui, sotto al vostro naso, una fan fiction-biografia su Yusuf Tazim. Si intitola La Neve e la Sabbia e vi invito sentitamente a leggerla perché, lo ammetto… vedere tutti quei capitoli senza recensioni comincia a demoralizzarmi un po', soprattutto dopo otto mesi quasi di stesura che ci ha portato via tempo, sangue e passione.

Ohibò, tralasciando questo specchietto di pubblicità clandestina, vi do appuntamento a prestissimo con quella che dovrebbe essere la parte conclusiva di questa flash-fic che, spero sia chiaro, racconta di fatti che NON sono avvenuti nel gioco, ma di cui io sola e di mia iniziativa e fantasia mi sono assunta il ruolo di speculatrice.

Credo di non avere altro da aggiungere, se non l'augurio che siate già passati sul mio profilo DeviantArt (il link lo trovate nella descrizione della mia pagina :) a spulciare il sopracitato fumetto (da cui, lo ripeto, da ora in avanti non sarà più possibile attingere spoiler riguardo a questa fiction! Muhahaha!) e che non vi siate lasciati sfuggire la versione aggiornata, ampliata e corretta del capitolo precedente in caso l'avesse letto agli esordi.
Al fine ringrazio i tre eroi che hanno recensito il primo passo di Night Trial, micho, Dark Dream e Aleca92.

 

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Capitolo 3
*** Terza parte: Il cappello ***


_Terza parte

Il cappello










 













Eravamo a Kingston, senza più né cibo né acqua da due settimane. Dopo un viaggio transoceanico di due fottutissimi mesi, la nostra nave dei rifornimenti era stata predata e affondata dai pirati a nord dell'Isola della Sentinella, a neanche una lega di mare dal forte, e la corrente aveva trasportato i detriti fin sulla spiaggia, sotto ai nostri occhi. Due di noi si erano buttati in mare il giorno seguente con una piccola vela per raggiungere le Isole Vergini, e lì supplicare la colonia madre di aiutarci, ma non avevano fatto più ritorno. Succhiavamo le palme, da due settimane, e mangiavamo le loro foglie pur di non sbranarci a vicenda. Una notte che ero di ronda approdò sulla spiaggia una scialuppa. Diedi subito l'allarme ed io e alcuni dei miei ci precipitammo giù dalla scogliera. Erano un gruppo di ufficiali inglesi, sfuggiti ad un assalto dei pirati al largo di George Town. Avevano vogato tutta la notte dopo aver costeggiato metà del nostro arcipelago e ci chiesero asilo politico. Quando, dopo averli condotti al forte, spiegammo loro la nostra situazione in quanto a provviste, si spaventarono a tal punto che la notte stessa due di loro si impiccarono. Il terzo lo trovammo la mattina dopo, riverso sulla spiaggia e con un buco in testa. Poveretti, se solo non avessero avuto tanta fretta di andarsene… Quel pomeriggio una fregata inglese comparve all'orizzonte e rispose alle nostre segnalazioni di soccorso. I corpi dei tre ufficiali furono caricati sulla Elisabeth e a Fort George noi vivi fummo trattati peggio di loro, dato che eravamo stati incolpati ingiustamente della loro morte. Passammo ben tre notti in cella come prigionieri di guerra e poi ci divisero. Alcuni ai mercati di schiavi, altri ai lavori forzati: fatto sta che gli inglesi non buttano niente. Per quanto mi riguarda seppi di essere stato comprato dal capitano di una mercantile indipendente che stava mettendo insieme una ciurma…
 

- Costui era Robert Faulkner, venuto a raccogliere la mia anima con la paletta. Devo tutto a quell'uomo. -

- Ancora racconti questa storia, Pinn? - commentò qualcuno.

- Sei sempre il solito guastafeste, Anson! - ribatté un altro. - Io l'ascolterei mille volte. È anche la storia di metà di noi, qui dentro. -

- Già, e l'altra metà, Davidson? Che fine ha fatto te lo ricordi, sì? -

Il nostromo Delroy Davidson, uomo tutto d'un pezzo, si alzò all'improvviso dalla cassa di corde e balzò a tanto così dal compagno, stringendo i pugni. - Cristo Santo, sono passati quasi otto anni, Bernard. Se hai ancora dei rimorsi, vai a sbattere la tua ingratitudine in faccia a qualcun altro. Al capitano, magari, ma scommetto che non hai le pall… -

- Zitto, Delroy. C'è la principessa, - lo ammonì un quarto uomo.

Il corridoio ripiombò nel silenzio quando Haytham lo attraversò, quasi di corsa, senza incrociare gli occhi dei marinai e puntando dritto al boccaporto per il ponte. Ma non dovette neppure salire metà scala prima di scontrarsi con suo figlio che la scendeva con altrettanta fretta.

- Devo controllare un vecchio acciacco nelle paratie di poppa, - disse il nativo. - Fammi passare. -

- Da quando in qua il Capitano fa su e giù per la nave? Perché non lo chiedi a qualcuno di quegli scansafatiche di controllare le paratie? Sempre che tu non vada predicando l'uguaglianza, il libero arbitrio e la totale anarchia anche tra queste mura. -

- Scusami tanto se non sono come te, - disse Connor unendovi un sorriso esagerato.

- Al timone? -

- Faulkner. -

- Ed è decisamente un sollievo. L'idea che un appena ventenne portasse trenta tonnellate di legno sull'acqua con me dentro cominciava a… -

Connor lo superò, scostandolo bruscamente per continuare la discesa.

- Perdonami, - obbiettò Haytham, inseguendolo. - Forse me lo sono immaginato, ma… mi hai appena dato una spallata? -

- Sì, - rispose Connor senza voltarsi. - E te lo sei meritato. -

- Ohohoho! Ma sentilo! Tu non istighi la mia collera. Tu la implori! E ti avverto: non l'avrò anche fatto per vent'anni, ma posso diventare benissimo il genitore cattivo che mi stai chiedendo di essere. -

- Certo, perché comandare a bacchetta e pretendere di poterlo fare su di me anche adesso ti farebbe sentire davvero importante! -

- E immagino che comportarti in questa maniera a te faccia sentire più grande! Alla tua età avevo il doppio delle tue responsabilità e le gestivo con la metà della fatica e molto più dignitosamente. -

Avendo attraversato il corridoio della sottocoperta gridando come dei matti, sotto lo sguardo ammutolito dei membri della ciurma che si scambiavano occhiate eloquenti, qualcuno aveva già aperto le scommesse.

- Ah! - se la rise Connor istericamente, facendo irruzione nella cantina di poppa in cui trafficavano due marinai che appena li videro scattarono come trappole, e intanto lui continuava, come un fiume in piena, a correre verso la foce: - Tutto quello che ti ho chiesto era di mostrare un po' di rispetto per mia madre, che si è fidata di te a tal punto da… - ma si interruppe, scuotendo la testa per scacciare un pensiero. - E adesso mi parli di dignità e di rispetto, quando probabilmente anche questa nave, - batté con violenza una mano sul legno, - ne ha più di te. -

- Per me va bene, - disse Haytham allargando le braccia. - Anche qui, subito. Che problema c'è? Non siamo mica nel bel mezzo di una Guerra Civile, e non siamo assolutamente sulla rotta di una pericolosa mina vagante per i nostri scopi. Noooo! Già, che fretta c'è? Sediamoci, parliamone! Vuoi che ti racconti di tua madre? Di quant'era bella e dolce? Di come ci siamo conosciuti? Credo che tu lo sappia già. Oppure vuoi la favola che ti avevo promesso? Su, avanti! Scegli il libro dallo scaffale mentre ti sprimaccio il cuscino! -

Suo padre aveva perso le staffe.

Ma al bicchiere mancava ancora una goccia.

- Impugni le armi, porti una nave e ogni tanto ti esce anche una bella parola, ma sei rimasto un bambino, figlio, e il tuo atteggiamento con me ne è la prova inconfutabile. -

Eccola.

Di colpo Connor si tolse il capello e lo lanciò da una parte. Poi slacciò le cinghie, una ad una, e si sfilò la giacca, che raggiunse il cappello insieme alle armi e al resto dell'equipaggiamento. Infine, scrocchiandosi le nocche al centro della stanza, aspettò che suo padre accettasse l'invito, perché adesso quella sensazione aveva tanta voglia di buttarla fuori dalla sua nave a calci nel sedere.

Haytham lo fissò, a lungo e con la bocca aperta come se l'ennesima replica gli fosse morta in gola, sembrando non capire, ma una folla di spettatori autoinvitati si stava già lentamente e inesorabilmente radunando, disponendosi in religioso silenzio attorno a loro.

- Mi stai… sfidando? - domandò il Templare in appena un sussurro.

Connor sogghignò. - Keegan, - chiamò.

- Sì, capitano! - rispose un membro della ciurma facendosi avanti.

- Qual era quella cosa che odiano gli inglesi? -

- Le dita dell'arciere, capitano! -

Il nativo sollevò la mano destra, con il dorso nella direzione di suo padre e le due dita alzate.

Da qualche parte volò un fischio.

Haytham rise. - E quello come lo conosci? -

- Esperienza personale. -

- Sai cosa significa? -

- Perché non vieni a dirmelo più da vicino? -

Fioccarono le prime risate di visibilio e qualche altro fischio.

Le dita dell'arciere erano un gesto provocatorio di borgata ma molto diffuso in patria e adesso anche nelle colonie. Traeva spunto dalle antiche guerre medievali tra francesi e inglesi, quando i primi, spaventati dalla bravura degli arcieri anglosassoni, usavano tagliare quelle due dita ai prigionieri affinché non potessero più usarle per scoccare.

L'attesa di poter ufficializzare l'incontro si era protratta abbastanza, e la tensione era al massimo quando Haytham, lentamente, si tolse il cappello.

- Vuoi proprio che ti dia una lezione… -

- Chiamala come ti pare, ma io non ce la facevo più, - disse Connor scaldandosi le spalle.

- IL CAPITANO FA A BOOOOOOOOTTE! - gridò Barclay con ancora i tamponi nel naso ma in preda all'euforia.

E la ciurma al completo rispose: - YEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEH! -
 

- Per tutte le sirene! -

Quando Faulkner sentì arrivare quell'ovazione sovraumana non poté trattenere un sobbalzo e per un attimo il timone gli scivolò dalle mani. Lo riacciuffò senza conseguenze, ma il suo vecchio cuore aveva perso almeno un paio d'anni.

- Little Danny! - chiamò, poiché si era accorto solo ora e forse troppo tardi di essere rimasto con soli tre uomini sul ponte. - Ehi, Danny! Little Danny! -

- Eccomi, signore! - rispose il ragazzo affacciandosi dalla coffa.

- Fa' scivolare le tue chiappe da bambino giù per l'albero maestro e va' a vedere che diavolo sta succedendo sottocoperta! -

- Ma io non ho sentito niente, signore! -

- Fa' come ti dico, ragazzo! -
 

Non lo deviò in tempo e il pugno di suo padre gli arrivò in faccia, facendolo piegare da un lato, e subito dopo Haytham lo raddrizzò con un calcio allo stomaco e poi lo colpì di nuovo alla testa nell'attimo di un respiro, sbilanciandolo all'indietro. Connor cadde su un gruppo di casse e il marinaio Davidson gli si inginocchiò accanto.

- Tutto bene, capitano? - chiese asciugandogli il sudore sulle tempie con una pezzetta tirata fuori dal taschino del panciotto.

- Oh, sta benone, - intervenne Haytham attendendo che il suo sfidante si rimettesse in piedi, - lo stile del vostro capitano è rozzo e prevedibile a tal punto da riuscire a respingerlo senza fargli troppo male. Ma qualcosa mi dice che non ne ha avuto abbastanza. -

Connor gli scoccò un'occhiata di braci tamponandosi il labbro spaccato con due dita. Alla vista del sangue strinse i denti, si alzò serrando i pugni e scansò Delroy Devidson per raggiungere suo padre in due falcate e mezza di gambe. Haytham sollevò la guardia attorno al volto, preparandosi a deviare il colpo, ma non poté nulla quando suo figlio gli si scagliò addosso con la potenza di un toro, circondandogli la vita con le braccia. Dietro di loro la folla si aprì con un'ovazione per lasciarli passare e insieme i due sfidanti affondarono in un gruppo di casse vuote che implosero in centinaia di pezzi.

- Questa l'ho sentita, - digrignò Haytham, scansandosi qualche frammetto di legno dalle spalle dopo che Connor l'ebbe liberato. - Ma non sapevo che avessi cambiato le regole, - commentò con una nota amara e rimettendosi in posizione.

- Regole, padre? - chiese il nativo allargando le braccia. - Non ricordo di averle mai stabilite! -

Chiassose risate rimbombarono nella sottocoperta e ben oltre.

- Se avevi in mente una rissa da locanda bastava dirlo. -

- Volevo che fosse una sorpresa! -

Connor tentò di sfondare la sua guardia, ma Haytham fu doppiamente rapido nello schivare e poi nel rispondere puntando al fianco scoperto dell'altro, che si era banalmente esposto a quel colpo da manuale.

- Almeno tieni a mente, figlio, che io ho intenzione di giocare anche con le regole. -

Haytham partì all'attacco subito dopo, ma questa volta il ragazzo lo placcò in tempo, prendendo il controllo del suo braccio e colpendolo alla mascella con il pugno libero all'andata e il gomito dello stesso braccio al ritorno. Haytham barcollò e questo gli presentò l'occasione d'oro per intraprendere una sequenza inarrestabile, che terminava con una ginocchiata alta… ma suo padre sembrò risvegliarsi all'improvviso dal torpore dei sensi e riuscì ad imprigionargli la gamba nella propria, per poi mandarlo disteso sulle assi del pavimento con un semplice sgambetto.

Un'ovazione di stupore attraversò la stiva.

Connor si rialzò una frazione di secondo più tardi e come vide arrivare le nocche di suo padre si scansò, per poi afferrargli il braccio nuovamente senza deviarne la traiettoria, usarlo come una leva e finalmente, dopo aver costretto il Templare a piegarsi, assestargli all'altezza dello sterno quella ginocchiata che gli era stata negata.

La ciurma esultò.

Infine accompagnò il corpo di Haytham a terra con una capriola e solo allora il capitano lo liberò, rimettendosi in piedi per ammirare la sua opera, riprendere fiato e forze.

- Ben fatto, comandante! - strillò il cannoniere Rowan Beckett.

- Spettacolare, signor Kenway! Davvero degno del vostro rango, - si congratulò il fedele nostromo.

- Signor Davidson, a chi vi state riferendo? Anche l'altro sfidante è un signor Kenway, - bofonchiò Connor, diffondendo tra la ciurma una risata contagiosa.

- Suonategliele ancora, capitano! - chiese Barclay, sgolandosi e con la solita bottiglia in mano.

Connor riscaldò un altro po' le giunture.

Haytham nel frattempo si era sfilato anche il panciotto, che lo aveva rallentato a sufficienza, rimanendo solo in camicia di cotone, pantaloni e stivali. - Hai sentito? Dobbiamo tenere vivo l'interesse, - sghignazzò arrotolandosi le maniche sopra i gomiti.

- Penso che da quando sei su questa nave, padre, quello non si sia mai abbassato. -

- Non dirmelo! - fece con finto stupore. - Forse perché metà della tua ciurma non viene pagata abbastanza per spaccarsi la schiena dall'alba al tramonto senza neppure uno spettacolino serale! -

- Non azzardarti a dare a quest'uomini dei mercenari! - ruggì Connor. - Ciascuno di loro ha scelto dignitosamente di seguire un grande uomo che ha scelto a sua volta di seguire me! Sei tu quello che preferisce circondarsi di pecore come Hickey o Church, a quanto pare, assuefatti dal puzzo del denaro e di ciò che può offrire, facilmente tentati dal voltarti le spalle per il miglior offerente! Perciò non hai motivo di essere sorpreso del trad… -

Haytham dimezzò la distanza tra loro in un battito di ciglia e lo colpì dritto in faccia con un gancio destro poderoso. Connor barcollò vertiginosamente, e mentre qualcuno alle sue spalle lo afferrava sotto le ascelle per accompagnarlo a terra, Haytham avanzò fino ad inglobarlo nella propria ombra, sovrastandolo con tutta la sua figura.

- Non ti ho offerto questa tregua per sentirti incriminare i miei uomini, - cominciò il Templare sedendo sui talloni. - Thomas era una testa calda, parlava spesso a sproposito e non era certo un filosofo, ma credeva nella gloria che gli avevo promesso e ne assaporava un pezzetto ogni qual volta portasse a termine un incarico. -

Connor si trascinò indietro su un gomito sfuggendo al suo sguardo, ma Haytham gli prese il mento tra le dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

- Adesso sei tu, figliolo, a non avere rispetto per i morti. -

- Me l'ha detto lui. -

Haytham lo lasciò.

- Chi? -

Sentendosi l'occhio sinistro gonfio come un pallone, Connor si alzò in piedi.

- Hickey. Me l'ha detto lui che di tutti i grandiosi progetti dei Templari non gli è mai importato niente. Sono state le sue ultime parole: donne e buon bere. Quell'uomo era un contenitore, padre, un oggetto, la prova che ai Templari piace ingaggiare guerrieri bendati che spargono sangue senza distinzione, senza morale, e solo perché sono facili da controllare. -

La ciurma tratteneva il fiato e il silenzio si era fatto pesante quando un volto sbarbato si affacciò nella sala.

- Ehi, c'è little Danny! - esultò Barclay.

- Capitano, - si presentò il ragazzino, avanzando verso di lui. - Mastro Faulkner mi ha mandato a domandare cosa sta succ… -

La nave si inclinò bruscamente e metà dei presenti ruzzolò a terra, ma solo perché la metà di quella metà si era aggrappata alla prima cosa che gli era capitata a tiro, compresi braccia e teste vicine, generando un esilarante domino umano.

Haytham rotolò su un fianco e Connor gli scivolò addosso, finendo per spiaccicarlo a sua volta come una sardina contro delle vecchie casse.
 

Una raffica di vento li aveva investiti all'improvviso e lo scafo si era inclinato vertiginosamente. Robert dovette appellarsi a tutta la sua forza per tenere l'Aquila sulla rotta ed evitare gli scogli, che alla pallida luce dell'alba diventavano un tutt'uno coi riflessi e la spuma delle onde. Si stavano addentrando in quella risaia di pietra e sabbia che era l'Antinferno in mare per chiunque dovesse spostarsi da un capo all'altro delle Isole Vergini. Lì la colonia danese era ben attrezzata e più abile che mai, con i suoi vascelletti ad un albero e mezzo, ma se l'Aquila fosse finita contro quegli scogli, ai compatrioti di Pinn Lundberg non sarebbe certo dispiaciuto vedersi arrivare le loro provviste portate dalla marea.

- Oh, dannazione! - imprecò Faulkner. - Danny, chiama gli altri uomini! - gridò, ma non era certo che il ragazzino l'avesse sentito.

- Fox, Harold! Siamo solo noi tre, signorine! Ammainate quelle vele del diavolo e reggetevi forte! -

- Ma io sono un cannoniere, signore! - obbiettò uno dei due.

- Preferisci venire qui a tenere il timone e affrontare la collera del capitano quando saprà chi è stato a schiantare la sua nave contro quelle bocche di lupo, Harold? Fox, portati sù questo pisciasotto, per mille diavoli! -
 

- Nostromo! - urlò Connor, sovrastando il boato del vento e il sinistro gracidio del fasciame per farsi sentire, mentre Haytham scioglieva i loro corpi come un nodo inglese.

- Sì, capitano! - rispose Delroy Davidson emergendo da una calca di corpi.

- Conducete gli uomini sul ponte e riportateci in piedi, dannazione! -

- Sissignore! - esultò il marinaio, e dopo aver ritrovato il suo cappello, svuotò i polmoni nel fischietto di ottone che portava appeso al collo. - Avete sentito il capitano, razza di ubriaconi?! Lo spettacolo è finito! Al lavoro! -

La ciurma si riversò sul ponte come un'inondazione. Il piccolo Danny, alla testa della mandria, per non rimanerne travolto si arrampicò sul sartiame e tornò sulla sua coffa. Faulkner non poté che tirare un sospiro di sollievo, e in pochi minuti le sue manovre maestre e il fischietto di Davidson riportarono l'Aquila a vele spiegate e sulla giusta rotta.
 

Haytham appoggiò la schiena ad una colonna portante e scivolò a terra con un ginocchio piegato, deponendo sulla coscia stesa il gomito indolenzito che suo figlio gli aveva quasi storto e che ancora mandava qualche fitta, mentre lasciava cadere la testa un po' all'indietro, rilassava il collo e si permetteva di chiudere gli occhi.

Connor, dall'altra parte della stanza, si rannicchiò le ginocchia al petto seduto su un cono di cordame.

Sopra le loro teste, l'unica lanterna accesa in quell'ala della sottocoperta dondolava ancora dopo la brusca virata di Faulkner per raddrizzare la nave, e così illuminava ora il volto del padre, ora quello del figlio.

- Perché non vai di sopra ad assumerti le tue responsabilità e a mantenere le tue promesse? - lo canzonò Haytham nel silenzio della poppa, improvvisamente troppo larga senza più tutti quei marinai a scaldarla con le alzate di mano, i fischi e il tiro alle scommesse. - Abbiamo una nave da raggiungere. Un traditore da punire. Una Guerra… da vincere… - mormorò, poiché anche la voce di un bambino sarebbe stata fuori luogo in quella strana quiete.

Ma l'altro non rispose.

Haytham sospirò e riaprì gli occhi, incontrando quelli di suo figlio che lo aveva fissato fino ad allora attraverso la stanza.

- Sai, quand'ero piccolo venivo picchiato spesso… - cominciò il Templare. - Mio padre era molto severo e nelle famiglie nobili è tutt'ora uso comune imporre il proprio ego sui figli. -

- E la chiamate civiltà. -

- Oh, avanti, Connor! Due schiaffi raddrizzano le ossa, fanno sempre bene. Te li avrà dati anche tua madre, immagino. -

- No. -

- Ecco dove ha sbagliato, allora. Ad ogni modo… Al dolore quelli come noi si abituano in fretta e quando la pelle diventa d'acciaio, è fatta: ti senti invincibile, puoi ribellarti a chiunque… - disse guardandosi le mani.

- Mio nonno era un Assassino? -

Haytham sostenne il suo sguardo.

- Sì. -

E anche tu lo sei stato. Pensò Connor guardando per la seconda volta in un giorno l'insegna spezzata sul suo bracciale. Ma poi cos'è cambiato, padre? E perché?

- I tuoi pugni mi avranno pure fatto barcollare un po', ma li ho sentiti come pizzichi, te lo garantisco, - decantò Haytham.

- Pizzichi che ti hanno gonfiato un po' la faccia e fatto qualche livido, - lo schernì Connor alludendo subito dopo al gomito indolenzito dell'altro.

- Neanche il tuo occhio ha un bel colorito, se è per questo. Sai cosa sono i panda? -

Connor si strinse nelle spalle e scosse la testa.

L'inglese aggrottò le sopracciglia e la sua fronte si riempì di tante nuove rughe.

- Bel modo di presentarci a Church, ora che ci penso. -

Ratonhnhaké:ton accennò ad un sorriso.

- Ma non gli daremo il tempo di criticare le nostre facce… - mormorò Haytham stringendo i pugni e guardando a terra. Prima di averne una due volte peggiore.

- Hai intenzione di ucciderlo? -

Il Templare tornò a guardarlo come sorpreso da quella domanda. - Tu faresti lo stesso se i segreti del tuo Ordine fossero a rischio come lo sono adesso quelli del mio. Ma no, non lo ucciderò… non subito, almeno. Vivrà il tempo necessario per rimpiangere il suo tradimento. Ma tu, invece? Se dovesse scappare come è successo con quell'ufficiale, cosa… -

- Lo terrei lontano da te, questo è sicuro. -

Haytham scacciò l'argomento con un gesto della mano.

- Ma se Church non è più un Templare… - cominciò Connor guardandosi i palmi aperti. - Non lo so, - disse chiudendoli ben stretti da far sbiancare le nocche. - Voglio solo quei rifornimenti. -

- E li avrai, te lo prometto, - proferì Haytham con una nota velata nella voce più calda. - Chi ti ha addestrato? - gli chiese ad un tratto, tirandosi un po' su con la schiena contro la colonna.

Connor rise.

- Al tuo posto, padre, preferirei non saperlo, - gli suggerì mentre sfilacciava distrattamente un vecchio pezzo di corda.

- Perché poi dovresti uccidermi? - disse Haytham lasciandosi sfuggire un sorriso nella penombra.

"…dovrai ucciderli tutti."

Di nuovo Ratonhnhaké:ton non rispose, chiudendosi in un silenzio rigido come l'inverno, che gli aveva ghiacciato il volto ma, soprattutto, gli occhi.

"Anche tuo padre."

I loro sguardi s'incrociarono.

- L'hai sentito anche tu? - domandò il ragazzo.

Haytham aggrottò le sopracciglia. - Cosa? -

L'urlo di little Danny arrivò fin lì dalla coffa.

- Naaaaave in vistaaaaaaa! -

Connor gettò a terra il pezzo di corda e un attimo dopo lui ed Haytham attraversavano la sottocoperta quasi di corsa, rivestendosi con tanto di cappello e riallacciandosi le armi.
 

Il sole della tarda mattinata irradiava la baia caraibica le cui acque splendevano come una lastra di zaffiro. Un gruppo di gabbiani faceva placidamente il bagno sul pelo dell'acqua quando lo scafo dell'Aquila li costrinse ad abbandonare quella zona di corrente calda. A bordo la ciurma era operosa come un formicaio in estate.

Attraverso la lente del cannocchiale poteva vederlo chiaramente: nascosta dietro le moltitudini di banchine di scogli e strisce di terra, c'era la poppa di un vascello britannico.

- È la Welcome? - chiese Haytham.

Connor allontanò di colpo il cannocchiale dal viso e lo ripiegò con uno scatto secco. Si voltò e tornò verso il timone a grandi passi.

- Le insegne sono inglesi, ma è troppo lontana. -

- E cosa stai aspettando, che si aprano le acque? Fa' correre questa tinozza. Adesso! - sbraitò suo padre.

Mordendosi il labbro pur di non replicare, Connor salì alla postazione di comando due gradini alla volta. Faulkner si fece da parte per lasciargli il timone ed Haytham si sistemò come un gufo sulla sua spalla destra.

- Vi consiglio di tenervi ben saldo, signor Kenway, - lo ammonì Robert con il solito tono allegro. - L'Aquila non è una nave per il mare aperto e ha faticato molto per portarci fin qua; ma adesso, con tutto il vento che spira tra queste isolette, la vedrete volare. -

Haytham scoppiò in una fragorosa risata. - Mastro Faulkner, tra i marinai della Corona era diffuso un detto: conosci il capitano, e conoscerai le massime potenzialità della sua nave! Ed io diffido seriamente delle massime potenzialità di mio figlio, ora. -

- A tutte vele! - gridò Connor.

Robert Faulkner ripeté il comando e con una campanella Delroy Davidson celebrò la messa delle vele, che si gonfiarono con uno schiocco facendo spiccare il volo al rapace di mare.

Haytham dovette aggrapparsi alla balaustra con le unghie pur di non cadere all'indietro, ma il cappello non tardò a scivolargli via dalla testa. Fu il cannoniere Dorian Barclay ad afferrarlo al volo e a riportarglielo prima che finisse in acqua.

- Allora, capitano: come hai intenzione di portarci fin laggiù tutti interi? - domandò Haytham dopo aver ringraziato il cannoniere, spolverato il cappello ed esserselo rimesso in testa.

Una raffica di vento da domare impedì a Connor di rispondere e Robert Faulkner lo fece per lui:

- La via più rapida è uno stretto canale naturale proprio dall'altra parte di quell'isola, signor Kenway. -

- Ma così allungheremo la rotta e perderemo di vista la Welcome! -

- Temo che non abbiamo scelta, signore. -

- Connor, dimmi che c'è un'altra via. -

Ratonhnhaké:ton strinse i denti e le mani sul timone.

- No, padre, non c'è. Voglio le mezze vele! -

- A mezze vele, uomini! - ripeté il suo primo ufficiale.













 

























Angolo dell'Autrice
 

Quest'avventura termina ufficialmente qui.

Vi lascio senza grandi giri di parole, (Haytham e Connor ne hanno fatti abbastanza) ma con niente popo' di meno che la colonna sonora ufficiale della scena di combattimento tra padre e figlio.

http://www.youtube.com/watch?v=_dsA5jiukog&list=PL7kkLzWvoe9cJ-0dvPSS4FQyTBzDelp5i&index=21

E invece, per chi volesse struggersi per bene con le atmosfere del ponte, ecco il brano che mi ha fatto amare AC III fin dai primi respiri con Haytham <3

http://www.youtube.com/watch?v=f05GRPzSCtk



Ora, brevemente, volevo chiarire alcuni punti.

I due generi scelti per questa storia sono: comico e introspettivo.

Bene. Sul comico avrei qualcosa da ridire per il semplice fatto che quando ho pensato a questa fan fiction volevo sforare nell'introspettivo solo all'ultimo atto, e non prima, quando invece avrebbero dovuto fioccare le risate. Qualche episodio esilarante c'è stato, quello dell'anello di Kidd, la scazzottata e poi i vari pizzichi che si sono dati padre e figlio nel corso della narrazione.

Ma parlare di analisi interiore con Connor, mi rendo conto, è come chiedere ad un trapezista di sostituire l'uomo cannone giusto per una serata, perché si sente poco bene e il circo non può mancare quell'esibizione.

Un rischio. 
Lo abbiamo visto tutti: è impulsivo, suscettibile, prepotente e anche così poco modesto da sembrare arrogante, in alcuni momenti. Israel Putnam aveva capito tutto, di lui.

"Voi siete matto come la lepre marzolina, amico." (cit. I. Putnam - Bunkerhill's Battle memory. )

La Ubisoft ci aveva avvertito su questo nuovo protagonista fuori dagli schemi, che si sarebbe allontanato in grande misura dal riflessivo Altair medievale e il sentimentale Ezio rinascimentale. Nella sua ingenuità, (e qui riporto le conclusioni tratte da un'approfondita analisi comportamentale fatta con micho) Connor è decisamente moderno, rispetto ai suoi avi, per modo di agire, certo, ma anche di pensare. Saltare alle conclusioni e entrare subito in azione per lui è un modo di limitare le conseguenze, già innescate, delle proprie come delle azioni di un altro. Durante il gioco ho vissuto il suo ruolo nella Rivoluzione un po' come un tampone, che è sempre lì a limitare le perdite coprendo una ritirata oppure proteggendo una nave alleata. Ma gli eventi sembrano scorrergli inesorabilmente addosso, nonostante i suoi sforzi per arginare la piena. Anche la sua storia personale è ricca di questi eventi concatenati e inarrestabili, e Connor fa la parte della vittima intrappolata nel vortice, chiedendosi come e perché solo quando è già troppo tardi.

C'è stato un momento, durante la stesura di questa storia ma anche prima, in cui mi piaceva domandarmi cosa sarebbe successo se Connor lo avesse risparmiato e cosa, invece, se Haytham avesse prevalso, e questo perché io insieme a tutti i membri della setta degli Assassini non riusciamo a rispondere ad una semplice domanda: "E dopo che i Templari saranno sconfitti?"

Trovare una risposta a questa domanda sarebbe come riuscire a vedere dopo la morte, perché gli obbiettivi, nel cammino di una vita e anche oltre, ti si prospettano man mano che gli sei prossimo. È impossibile guardare così lontano e una volta qualcuno ha detto: "Quando realizzi un sogno, trovatene subito un altro. "(?RapunzeL?)
    Ebbene, Assassini, non struggetevi: completato un obiettivo, ne troverete un altro.

Ciononostante ho voluto esplorare l'interiorità di un personaggio che è esattamente come appare, ma l'ho fatto attraverso un acceso dialogo con suo padre. Il dibattito sulla persona di Hickey, il malcostume nella tradizione inglese (per la scoperta del gestaccio delle dita dell'arciere ringrazio sempre micho <3) e l'indagine sul passato di Haytham… mi hanno solo offerto l'occasione di ricostruire con le parole i sentimenti di Connor.

Adesso basta.

Doveva essere una cosa breve! :)

Un ringraziamento particolare a renault, resuscitata anche lei dalla tomba per correre a recensire e a segnalare per le scelte questa storia. Le ho chiesto di sposarmi, come ringraziamento, e sto ancora aspettando la sua risposta <3

A micho, mia beta-reader ufficiale per questa flash-fic, con cui brindo alle lunghe avventure e notti insonni per La Neve e la Sabbia, la nostra fan fiction a 4 su Yusuf Tazim (un altro po' di pubblicità clandestina non ha mai ucciso nessuno! ) e ovviamente vi invito anche a dare un'occhiata alle sue opere spettacolari, che vi faranno tornare su questa storia pensando che io scriva da cane. <3

Ad Aleca92 per l'apprezzamento e le recensioni costanti che mi hanno scaldata il cuore ricordandomi cos'era a darmi felicità in questo sito <3

A JediKnightMarina55, per i complimenti sul mio buon gusto. (finalmente conosco il significato di "mary sue"!!! )

E ovviamente al mio carissimo amico Manu, alias Dark Dream, che ho trascinato in quest'avventura quasi di peso ma che riesce sempre a riempirmi di gioia con una recensione o un complimento ai miei disegni, soprattutto quando dice di averli beccati su tumbrl!!!!

Spero di poter leggere presto i vostri commenti. :)
  

Alla prossima,

cartacciabianca


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