Fior di Ciliegio.

di Gwendin Luthol
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo. ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono. ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo. ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo. ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedicesimo. ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassettesimo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo. ***


~ Fior di Ciliegio
 Incidente

 

“Ei Tarō, come ti senti?” chiese il signor Nobu.
“Che domanda sciocca professore,sono stato appena investito da un pullman” gli rispose il ragazzo sforzando un sorriso ma i punti di sutura che portava vicino alla bocca gli permisero solo un ghigno dalle sembianze ambigue. Uno di quei ghigni presuntuosi che faceva prima che accadesse tutto..
 
Questa potrebbe essere considerata la fine di un lungo cammino della vita,vissuta da quattro occhi e sentita da un cuore. Ma chi sono io per assicurarvi che quest’amicizia indistruttibile sia giunta al capolinea? Di sicuro però,sarò io a raccontarvi questa storia che probabilmente prenderà una piega diversa ad ogni parola scritta..o forse no?
Sullo sfondo di un Giappone che sembra morire e risorgere in continuazione,la vita di un sedicenne presuntuoso e pieno di se si mescolerà all’esistenza tormentata di un professore di filosofia,odioso e puzzolente,creando un legame fantastico. Nella misteriosa misticità dell’amicizia che neanche la morte potrebbe mai spezzare.
 


 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo. ***


~ Fior di Ciliegio
 Lo Yin e lo Yang

“Silenzio!” tuonò l’uomo sedendosi dietro la cattedra.
Improvvisamente il brusio degli alunni si spense lasciando spazio al leggero canto di un passero giapponese,al di fuori della finestra. Dal fondo della classe una ragazza dal viso tondo,alzò la mano:
“Prego signorina Midoro”.
“Signor Hakurami,bisogna leggere dal quinto capitolo al..?”.
“Ventunesimo più recensione con vostro commento”.
“Che uomo ripugnante..”.
“Qualcosa non va,signorino Tarō? “ domandò Nobu Harukami.
“Assolutamente nulla signore..ho già letto quel capitolo,sono arrivato al venticinquesimo” rispose il ragazzo.
“Benissimo Tarō,continua fino a che puoi. Ma non a casa,nel mio ufficio stasera alle 18:25”.
 
Non era la prima volta che Tarō visitava l’ufficio del preside. Una volta per delle congratulazioni,una volta per dei premi oppure un’altra volta per una nota di merito. Ma da quando il prof. Nobu Harukami era diventato direttore,tutte le premiazioni erano svanite come incenso su di un altare.
“Vorrei tanto sapere,signorino Bekku Tarō, perché dalla sua bocca si alternano periodi degni del poeta Sengai a..frasi all’altezza di un allevatore di porci!” gridò l’uomo in faccia al ragazzo.
Vi fu un attimo di silenzio in cui l’ultimo pensiero detto ebbe il tempo di dissolversi nell’atmosfera fredda di quell’ufficio arredato all’occidentale.
Il prof. Harukami si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra.
“Non creda sia come il simbolo dello yin e dello yang?L’ alternanza di bene e di male?Insomma,lei insegna filosofia..dovrebbe saperlo” chiarii saggiamente Tarō.
“Se non avessi letto fino a quel ventunesimo capitolo non avresti risposto così” replicò l’uomo.
“Signore, mi conceda l’umile correzione del fatto che il capitolo che discute dello yin e dello yang, La Tenzone dei Mudra, è l’ultimo del libro”.
Di nuovo calò un silenzio di piombo sulla stanza. Si posò come brina mattutina su entrambi gli uomini e parve toglierli il potere di comunicare.
Tarō stava zitto. Aspettava che il professore parlasse anche se in realtà,voleva solamente andarsene da quell’opprimente stanza.
“ Signore,crede che potrei andarmene ora?” chiese sfacciatamente il ragazzo.
“Puoi uscire Tarō, ma domani ci rivedremo” e detto questo gli fece cenno di andarsene.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo. ***


~  Fior di Ciliegio
Bambole da manicomio

 

Quante volte ci meravigliamo di ciò che prima o poi ci accadrà?
Un giorno,quando Tarō era più piccolo vide all’angolo del strada un barbone moribondo.
“Carità!Pietà,aiutatemi!” gridava disperato mentre si dimenava sull’asfalto.
“Oh poverino, i demoni si saranno impossessati di lui” dicevano le signore avvolte nelle loro calde e morbide pellicce.
“Andiamo via. Non sono cose per bambini queste” disse la mamma a Tarō.
Era sotto Natale e quell’anno,l’inverno era particolarmente freddo.
Poche settimane dopo il Capodanno si seppe che quel clochard un po’ pazzo,Eda era morto congelato. La sua ultima sbandata fu quella che aveva ricevuto una benedizione dagli dei e l’onore di divulgare il messaggio che il mondo sarebbe finito entro il decennio.
Tarō da quel giorno,si promise che non avrebbe mai avuto a che fare con dei pazzi,malati o cose del genere.
 
Il destino non è nostro schiavo e di certo non è tenuto a soddisfare i nostri sogni e speranze.
“Tarō,corri figlio mio,corri!”.
“Su ragazzo,tua madre di chiama…va’ da lei,io sono stanca” disse con aria rassegnata la zia.
Tarō mise giù il libro che tanto lo aveva preso e si diresse verso le scale di legno.
“Sto arrivando mamma…”
Arrivati in cima vi si avevano davanti tre porte scorrevoli. Quella della camera da letto della madre era centrale e si riconosceva anche dai graffi che ferivano gli stipiti.
“Figlio mio,credo di aver perso la mia bambolina. Sai dov’è finita?” chiese la donna sbarrando stranita gli occhi.
“Mamma,è per terra accanto al tuo futon…” rispose Tarō come se stesse parlando con una persona assolutamente normale. Dalla situazione se n’era ormai fatto una ragione.
La madre allungò il suo gracile braccio per afferrare il giocattolo ma pur sforzandosi,necessitava d’aiuto.
Tarō fece una corsetta dall’altro lato della stanza e raccogliendo la bambolina,gliela porse.
“Grazie,ma tu chi sei?”.
“Sono Tarō” rispose tranquillamente il ragazzo mentre si sistemava le coperte.
“E io chi sono?” richiese la donna.
“Mia mamma” rispose nuovamente Tarō,senza neanche guardarla.
“Uhm,sei mio figlio!”-
Il ragazzo si alzò dal parquet e andò verso la porta scorrevole.
“Figliolo,dove vai?Non abbiamo ancora giocato con le tazzine da tè” indicando un ripiano alla parete su cui non si posava nessuna tazzina da tè.
“Mamma,adesso devo studiare. Tornerò.” replicò Tarō che senza neanche sentire la risposta della madre,sparii dietro la leggera porta scorrevole.




Oh,salve.
Ehm..niente.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto. ***


~   Fior di Ciliegio
Compagnie mancate
 

“Così,tua madre ha problemi mentali?” chiese il prof. Harukami.
“Signore,problemi mentali?Scambia il giorno con la notte. Gioca con le bambole e si scorda di essere madre. Durante il sonno si dimena come una farfalla che è stata presa per le ali,invocando nomi di persone che compaiono solo nelle sue assurde fantasie” chiarii Tarō con un percepibile tono di disperazione che si mixava con il terrore.
Vi fu silenzio nella stanza. Il classico silenzio di riflessione che spesso,calava fra i volti di quei due uomini. Poi l’insegnante parlò e quasi divertito disse:
“Tarō,sei disgustato?”.
“Signore,potrei mai essere disgustato da chi mi ha donato la vita? Dovrei esserlo con mio padre che la abbandonata per un’altra donna.  La conseguenza della pazzia di mia madre è proprio lui”.
“Anche tuo padre ti ha dato la vita,Tarō” fece notare l’uomo.
“Mio padre ha permesso il mio respiro ma ora,questa vita che mi ha donato se la sta perdendo giorno dopo giorno e … col passar di questo tempo mi accorgo di quanto poco sia indispensabile la sua presenza”.
“Non dire così,Tarō!”.
Il rimprovero di Nobu Harukami prese più una piega da amico che da professore. Stavano lì a parlare per il piacere di farlo e non lo sapevano nemmeno. Erano passati già tre pomeriggi così dalla lezione dello Yin e dello Yang,e tutto questo stava diventando molto più di un semplice rapporto professore-alunno.
“Professore,perché dice così?” chiese meravigliato Tarō.
“Un figlio ha bisogno di un padre quanto quest’ultimo ha bisogno del suo creato” affermò dirigendosi verso la finestra per aprirla.
“Ciò che ha detto ha a che fare con la sua esistenza,signore?” domandò incuriosito il ragazzo.
L’uomo si voltò e indugiò prima di rispondere,poi prese fiato e disse:
“Si è fatto tardi,Tarō. Vai ad accudire tua madre che ha bisogno della tua compagnia sicuramente più di me”.



Ringrazio chi si degna di recensire ma,
voi altri dove siete?

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto. ***


~  Fior di Ciliegio
Paure che sanno di tè


 

Il tempo scivola fra le nostre mani come le acque di un fiume scrosciano nel proprio letto,veloce. L’unica differenza è che un fiume si lascia alle spalle tutto ciò che incontra nel proprio cammino. Il tempo,invece,riporta ricordi senza preoccuparsi della situazione.
Possiamo ritrovarci davanti ad un libro e piangere senza nemmeno rendercene conto ma,poi fra le lacrime viene alla mente qualcosa. Brutti o belli,i ricordi esistono e non possiamo fare a meno di contrastarli. Siamo dei poveri,piccoli esseri umani e il tempo esiste già da molto e,che si voglia o no,l’esperienza ha parecchie possibilità di vincere.
Erano diverse settimane,mesi che Tarō si sedeva nell’ufficio del preside a discutere con lui. L’atmosfera era molto cambiata dalla prima volta,ovviamente. Adesso c’era il vapore del tè che si librava in aria a far loro compagnia. A volte si rideva, ma appena il professore percepiva la troppa confidenza si ritirava nel suo guscio come una tartarughina spaventata. Però Tarō lo sapeva,era fatto così quell’uomo e un giorno si permise di dirgli:
“Professore,lei ha paura del mondo”.
L’uomo posò la caraffa con cui gli stava per versare il tè e lo guardò bene.
“Sono io quello che ha paura del mondo?Oppure,è il ragazzo che ho seduto di fronte a me?” domandò sorridendo.
Tarō rimase a bocca aperta e abbassò lo sguardo sulla tazzina.
“Perché guardi lì? Non c’è niente. Il tè te lo stavo per mettere io”.
“Allora perché si è fermato,professore?”
“Rifletto sulla tua convinzione. Riflettendo ancora,abbiamo tutte e due del mondo” rispose l’uomo.
“No,signore. Io ho paura della vita,è ben diverso” obbiettò il ragazzo.
“Tarō,più ti parlo..più riesco ad avere un quadro generale del tuo essere. Siamo più simili di quanto si possa pensare” disse il professore riprendendo la caraffa.
“Che ne dici di uscire? Fare una passeggiata,intendo” continuò il signor Hurakami mentre versava il tè. Non badando alla domanda del professore ma piuttosto pensando al liquido che salendo si faceva sempre più bollente per le dita di Tarō che rispose un frettoloso e immeditato “sì”.
“Perfetto. Ragazzo,posa quella tazzina e andiamo” lo spronò energicamente l’uomo.
Cosa?Cosa?Cosa?Sto uscendo con il mio professore di filosofia? E’ impossibile,non sarebbe mai successo se non fossi stato qui ma,invece è successo. Santi gli dei,non so cosa fare. In realtà dovrei solo mettere la giacca e uscire.
Tarō si voltò pian piano sulla sedia e incrociò il sorriso di Nobu che già posava la mano sulla maniglia.
“Su,oggi mi sono lavato. Non puzzo così tanto come dite voi”.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto. ***


~ Fior di Ciliegio
Métro e lacrime non corrisposte


 

Le métro sono sempre state qualcosa che affascinavano Tarō. La velocità,la potenza,il riuscire ad aggirarsi al di sotto di ogni angolo di Tōkyo,lo eccitavano come un bambino che ha appena visto il suo super eroe preferito in tv.
“Dove mi porta,professore?” domandò il ragazzo.
“Goditi il viaggio” tagliò corto Nobu.
Scesi dalla stazione di Yostuya,camminarono lungo i binari che seguivano,in direzione di Ichigaya.
“La métro è qualcosa che stordisce un po’,non credi?” disse il signor Nobu,probabilmente per parlare di qualcosa.
“E’ questo quello che mi piace delle métro,professore. Ne esci fuori con gli occhi accecati come un piccola talpa esce dalla sua tana. A volte serve,non ti accorgi subito degli errori del mondo”.
“Che puoi trovare al di fuori della métro?I venditori di  ramen?Barboni?”  replicò l’uomo prendendosi gioco di Tarō.
Per una frazione di secondo,il ragazzo pensò ad Eda ma scosse la testa e riordinano i pensieri disse:
“In ogni cosa c’è male come c’è il bene,dipende come la si guarda. Purtroppo io trovo solo del male e le persone che vedo uscire ed entrare dalla métro sono la stupidità personificata”.
“Quanto ego Tarō,troppo ego e pessimismo” lo rimproverò il professore.
Il ragazzo non rispose,piuttosto,già dal primo scalino dell’uscita si accorse del soffice strato bianco che ricopriva il marciapiede.
“Sta nevicando,stupida neve..” disse irritato Tarō rivolgendosi a Nobu.
“Guarda il lato positivo: quando si scioglierà sarà tutto lindo e pulito e nessun volgare e schifoso spazzino non verrà a pulire” lo consolò l’uomo poggiandogli una mano sulla spalla.
 

 

Sdraiata sul tatami della sua piccola camera,Midori gustava uno dei suoi manga preferiti,‘Fullmetal Alchemist’. Sarà stata la quarta volta che lo leggeva ma ogni vignetta portava lo stesso magnifico sapore della prima volta. Divorava ogni pagina come un delizioso o-nigiri al salmone così da finire ore ed ore a leggere. Ma di colpo,in quell’attimo,si fermò. Alzò lo sguardo e la sua mente si annebbiò lasciando spazio solamente a uno dei suoi più importanti pensieri: Tarō.
Chiuse il giornalino e rotolò sul tatami fino a che non si ritrovò a pancia all’aria e con lo sguardo fisso al soffitto.
Che fai in questo momento,Tarō?
Perché tutte le volte che finiscono le lezioni sparisci nell’ufficio del preside e non mi lasci contemplare i tuoi bellissimi capelli dai riflessi blu al sole?
Tarō,non mi degni neanche di uno sguardo?
Perché non sei con me? Perché non sei mai stato con me?
Midori si pugnalò il cuore con questa onda di domande impossibili.
Le amiche,le conoscenti,le ragazze della sua età in generale avevano già assaggiato le labbra di qualcuno. Addirittura c’è chi aveva perso la verginità con qualche giochino erotico mentre lei rimaneva la piccola e ingenua Midori.
Sono brutta?Cosa c’è che non va in me? Sono forse troppo giapponese?*
Le sue domande disperate la soffocarono in un mare di interminabili punti interrogativi dall’opprimente color nero che la inghiottirono in silenzio. Indolore.
Si trascinò con fatica verso il futon e poco più accanto afferrò un quadernetto color carta da zucchero. Trovò una penna sotto ai libri di scuola poco vicino e con il viso rigato dalle  lacrime cominciò a scrivere.
Non aveva mai pianto pensando a Tarō.
E Tarō non aveva mai pianto pensando a qualcuno.
 



* Nel Giappone di oggi sono sempre di più i giovani che si sottopongono a chirurgie plastiche per assumere caratteri occidentali
(riducono labbra,abbassano gli zigomi,affinano il mento..)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo. ***


~ Fior di Ciliegio
Sfigato

L’ultima ora del venerdì pomeriggio era indubbiamente la più opprimente. Le pareti bianche di quell’odiosissima aula si stringevano sempre più ad ogni minuto,secondo che passava. Tarō si ritrovava sempre a guardarle e si perdeva nella loro immensità: persino un muro era più interessante di una lezione di igiene ed educazione fisica. Le parole dell’insegnante gli rimbalzavano contro lasciandogli solo dei lividi invisibili sulla pelle.
E poi era così invitante il canto libertino dei passeri al di fuori delle finestra,da far invidia agli alunni di quella scuola Media Superiore.
“ Ma che cazzo ci fanno fare qui? Cioè,a che serve? Non sarebbe meglio finire le Medie Inferiori e andare subito a lavorare? Dico,i ragazzi li prendono più facilmente a lavorare,costano poco e lavorano tanto!- suggeriva un ragazzone dal fondo della classe. Tarō non lo aveva mai notato se non per le sue continue D ai compiti in classe.
“Peccato che il signorino Segatsu puzzi ancora di latte e il verbo ‘lavorare’ non sa neanche scriverlo in ideogarmi!Un D,come sempre!Questo tema è uno schifo!” lo richiamava l’insegnante.
Ma in questa acida atmosfera scolastica,il tempo si faceva largo fra le parole e per qualcuno era arrivato il momento di dover dire qualcosa.
 
Gli alunni che frequentavano le medie Superiori e le Superiori in quella scuola,si ammaccavano fra di loro per raggiungere le scale del Paradiso. Questa scena sembrava una parodia di Stairway To Heaven, secondo Tarō.
Dopo circa tre o quattro rampe di scale ci si trovava in un ampio cortile con l’erbetta tagliata all’inglese. Ci sono panchine e tavolini in legno su cui Tarō si sedeva sempre a leggere fino a quando non cominciò ad andare da Nobu tutti i giorni,dopo le lezione.
Smaltita l’orda di studenti,il ragazzo aspettava qualche minuto prima di poter girare l’angolo per arrivare all’ufficio del preside. Arrivati in una piccola stanzina che ospitava macchinette per il caffè e cibarie varie,si saliva su per le scale e dopo due rampe si era lì.
Appena sentitosi sicuro da occhi indiscreti (poiché non volesse che tutti venissero a sapere della storia),Tarō si avviò per il lungo corridoio.
“Tarō!” chiamò una voce molto fragile,quasi tremolante.
Il ragazzo si voltò e dovette fare mente locale prima di capire chi fosse quella studentessa dalla divisa così pulita e ordinata.
Midori.
Non era tanto carina da poter esser guardata però forse non era così male ma, Tarō non si scomodò mai da vederla in viso. Il suo giudizio,assolutamente negativo,si era soffermato solo sulle sue cosce e sul suo sedere.
“Cosa c’è?” chiese Tarō occupandosi nel sistemare nuovamente i libri nella sacca. Non la guardò nemmeno.
“Senti..” cominciò con fatica Midori.
“Su coraggio,ho da fare e non campo cent’anni” la spronò malamente Tarō.
Midori prese l’interruzione quasi desiderata come una battuta e si sentii in dovere di ridere. Poi si accorse della serissima espressione del ragazzo e spengendo lentamente il suo sorriso che le illuminava la faccia,continuò:
“Avresti voglia di uscire sabato?Con me,intendo. Puoi passare sotto casa mia,non è lontano da qui..abito vicino al ristorante coreano”
“Ma Midori – sentendosi chiamare per nome la ragazza trasalì- non hai l’accortezza di calcolare che io di te non so neanche il cognome? Sìsì vabè,quello sfigato di Nobu Harukami lo ripete ogni tanto in classe ma ti pare che io ascolti uno sfigato del genere? Penso di non poter uscire con te. Ciao cara Midori,ci si vede in giro..per questi corridoi” e guardandosi intorno,sparii dietro l’angolo.
 
“Professore,noi domani usciamo di nuovo no? Come l’altra volta con la mètro che per riscaldarci dalla neve ci siamo presi la birra” ricordò entusiasta Tarō.
L’uomo sorseggiò il caffè e dopo averlo mandato giù si degnò di correggere il ragazzo.
“E come facciamo? Stasera parto”
“Che?Ma cosa dice? Scusi,ma dove va di tanto importante da lasciarmi da solo”
“Non sono cose che ti riguardano,Tarō” tentò di concludere.
“Ma per semplice curiosità me lo può dire! Almeno può dirmi quando torna?”
“Dipende. Potrei anche morire lì,chi lo sa. Siamo noi che cuciamo i fili del nostro destino?” disse Nobu ridendo.
“Ma che cavolo sta dicendo? Ci sono acidi dentro quel dannato caffè?” esclamò inorridito Tarō.
“Temo che dovrai uscire con quella ragazza domani...come si chiama? Ah sì,Midori. Ricordavo solo il cognome e mi sono dovuto sforzare per dire il nome…”
Nobu sorseggiò altro caffè godendosi la faccia indescrivibilmente assurda di Tarō.
“Ho sentito tutto. Questo professore sfigato ha trovato 2 yen sfigati per comprarsi uno sfigato caffè in una di quelle macchinette sfigate…dove tu maltrattavi Midori”.
Nobu rise di nuovo e si voltò sulla sedia girevole mille e mille volte ancora,bevendo un  caffè con gli stessi effetti di un bicchierino di sakè.
 
La lasciò con i libri di testo stretti al petto e con le lacrime fuori uscirle dagli occhi. Cadevano dolci sulle sue gote ma a lei potevano sembrare solo aghi che le trafiggevano con forza incredibile lo stomaco.
Che poteva fare? Eppure la situazione era di una stupidità…
Le rimaneva solo da camminare a piedi nudi sui pezzi infranti del suo cuore. Lasciandosi trafiggere le dita e sanguinare fino a che la sua anima ebbe trovato la pace in se stessa
.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo. ***


~  Fior di Ciliegio
Sembra diversa
 

Il continuo battere di Tarō con la penna sul prezioso tavolo in ciliegio del suo soggiorno,scandiva meccanicamente l’essenza di quel pacifico silenzio.
Dopo esser stato una quindicina di minuti ad osservare fuori dalla finestra,il ragazzo si voltò verso l’orologio che malinconicamente gli suggerì di cominciarsi a preparare per il fatidico appuntamento.
Ma devo per forza andare? Insomma,chi me lo fa fare? Vabè sì,l’ho promesso a Nobu però..
“Tarō,sei qui!”
“Si zia..” rispose riprendendo il filo della realtà.
“ Tua madre..” cominciò la donna.
“Ho sistemato le lenzuola,spolverato,riordinato la stanza,acceso l’incenso ma il vaso da notte non lo pulisco..anche perché devo uscire” si affrettò a rispondere prima che la zia potesse ordinare qualcos’altro. Piuttosto la donna rimase stupita da quest’improvviso cambiamento di routine e chiese : “E dove?”
“Dove corre il vento” buttò lì per lì Tarō senza rendendosi conto della frase assolutamente priva di senso che si dissolse nell’aria prima che lui potesse essere già fuori dalla porta.
 
“Pensavo non saresti venuto,sul serio” rivelò Midori con la testa bassa.
“Quanto pensi tu. Pensare fa male” rispose Tarō.
“Dici?” disse Midori alzando d’istinto lo sguardo.
“E che ne so io” tagliò corto il ragazzo guardando verso la mètro. Poi si fermò di scatto,prese Midori per il gomito e la trascinò lì dentro con lui,insieme a tutte quelle persone in giacca e cravatta.
“Perché qui?” domandò la ragazza dandosi una sistemata al giubotto.
“Perché mi va?! Io faccio solo quello che mi va,chiaro?” disse con prepotenza guardando il tabellone delle corse.
“Tarō..” lo chiamò Midori avvicinandosi pochino a lui.
“Dì”
“Oggi avevi voglia di uscire con me?” chiese con un tono di malizia ma la sua faccia si era fatta più rossa che mai.
“Uh sei talmente imbarazzata che ti si scambia per uno di quegli aquiloni tutti colorati che si fanno svolazzare per la Festa dei Ragazzi. L’anno scorso la mia era rossa come le tue guance” e detto questo si soffermò un pochino a guardarle: erano vellutate,tenere. Sembravano succosissime pesche di metà agosto.
 
“Quindi non ti piacciono i manga?” richiese Midori mandando giù una polpetta di polpo.
“Quando sarò scrittore mi spirerò a Chikamatsu,Saikoku,Kyōden oppure Samba. Dovresti dedurre che io non leggo quella roba che dici tu –vi fu una pausa- ma quanto cavolo mangi?”.
La ragazza mise giù le tagliatelle di soia e rispose: “Io mangio quanto voglio. Amo il cibo”.
“Scommetto che passi le tue giornate ad ingozzarti di patatine sul tuo futon con in mano roba tipo Death Note” disse sghignazzando Tarō.
“Tu hai di meglio da fare?Non hai neanche amici”.
Tarō scrutò Midori accarezzandosi il mento mentre lei continuò a mangiare senza pudore,poi disse: “ I libri. Non mi contraddicono,sono sempre con me e mi fanno viaggiare da una parte all’altra senza spendere troppo. Giusto quei pochi yen per la stampa e la rilegatura delle pagine”.
“ Scommetto che tu non leggi roba che non abbia più di trent’anni. Samba è ti un po’ di tempo fa eh”
Tarō annui bevendo giusto la coca-cola che aveva ordinato in quel putrido ristorantino.
“Ma non ti isolano troppo?” domandò la ragazza.
“E’ quello che cerco in loro” rispose Tarō.
Midori mise giù le bacchette e sospirò guardando il piatto quasi vuoto.
“Che hai?” chiese il ragazzo.
“Sono piena. Torniamo a casa”.
 
Cavolo,sembra diversa.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nono. ***


~  Fior di Ciliegio
Merda

“Io lo sapevo che ti ingozzavi di porcherie mentre leggi cose altrettanto degne di quello che mangi”
“Tarō ma..che ci fai qui?” chiese Midori con gli occhi sgranati.
“E’ la mia scuola,stupida. Non posso girare liberamente per questi corridoi?” domandò il ragazzo con le mani in tasca e con il solito sguardo perso nell’atmosfera.
Non è andato nell’ufficio del Preside.
“Vero” confessò Midori abbassando lo sguardo su Slam Dunk,uno dei nuovi manga che aveva comprato nel week-end.
“Be’,cos’hai fatto questo fine settimana?” chiese la ragazza.
“Ma hai tagliato i capelli?” domandò Tarō,ignorando del tutto la domanda di Midori.
“No…perchè?”
“Così,sembrava…comunque le ragazze con i capelli lunghi sono più belle” disse sedendosi sulla panchina,accanto alla ragazza. Era un po’ umidiccia per la pioggia di sabato ma era incantevole lo spettacolo dell’erbetta verde del cortile sotto i raggi del sole brillante.
Il silenzio si prolungò come fa l’ombra di un obelisco egizio sotto il sole di mezzogiorno.
“Ma i miei sono lunghi!” esclamò Midori toccandosi una ciocca dei capelli.
“Vediamo..no. Arrivano poco più della spalla,sono corti” e dopo averle fatto la diagnosi,sfoggiò uno dei sorrisi più bastardi che il mondo possa mai aver visto.
 
Comincia a far freddo sul serio.
Ma no Tarō,fa freddo come prima. Come qualche giorno fa.
Fa più freddo perché non c’è Nobu. Ma chissà che farà? Chissà dove sarà?

Tarō camminava per la via principale,piena di negozi,avvolto nella sua sciarpa beige.
Fra quelle insegne luminose dell’antica capitale Edo,se pur piena di donne,uomini e bambini,Tarō si sentiva veramente solo.
Si avvicinava alle vetrine e guardando il suo riflesso trovava l’immagine di un ragazzo malinconico.
Mise le mani nelle tasche del cappotto e con il freddo che gli pungeva la faccia,ricominciò a camminare prestando orecchio solo ai suoi pensieri.
Pensò a suo padre che faceva l’amore con un’altra donna,chissà quale bellissima europea dai capelli biondi e mossi.
Sua madre che si dimenava nel letto disegnandosi davanti agli occhi,immagini completamente surreali di elefanti che baciano topi.
Pensò a Nobu,immancabilmente,Nobu.
Perché era partito? Perché l’aveva lasciato solo? La causa doveva essere veramente importante oppure non gliene fregava assolutamente nulla.
Poi qualcosa si mise in mezzo ai pensieri di Tarō.
“Ho pestato una merda..fanculo!” esclamò disgustato.
Si guardò sotto la scarpa,l’odore era allucinante.
Una signore avanti a lui rise,Tarō la fulminò con lo sguardo. Si spostò in un angolo e cercò di grattarla via sopra la neve.
“Fermo ragazzo. Sai,in Italia dicono che porta fortuna”.
Quella voce calda e paterna.
Nobu era lì.


 

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo. ***


~ Fior di Ciliegio
Chanoyu-Cerimonia antica del thè.

  



Se ne stava completamente stravaccato sul letto,con la musica pompata nelle orecchie e mille pensieri per la testa.
Era praticamente passato un mese del ritorno di Nobu ma,Tarō non era ancora riuscito a scroccare un’informazione sul misterioso viaggio del professore. L’idea gli martellava il cervello da tempo poi qualcuno bussò alla porta.
“Tarō” chiamò la zia da dietro la porta.
Il ragazzo girò di scatto lo sguardo che teneva fisso verso il muro e si rivolse alla zia,ormai dentro alla sua stanza.
“Cosa c’è?La mamma sta male?”
“No Tarō,c’è una ragazza giù per te. Ha detto che deve darti una cosa” rivelò la donna stringendosi nelle spalle,forse per il freddo.
“Sarà Midori…” alzandosi sussurrò Tarō.
“Cosa?” domandò la zia curiosa,con gli stessi occhietti luccicanti di un topolino che si è appena accorto di un pezzettone di gorgonzola tutto per se.
“Nulla…scendo di sotto” e prendendo una felpa abbandonata sopra la sedia girevole,si diresse per le scale.
“Ciao Midori”
“Oh Tarō…” e arrossii,la ragazza avvolta nella sua sciarpa verde mela.
“Lo hai fatto apposta a metterti la sciarpa color verde mela?” domandò beffardo Tarō.
“Cosa? Ah,ehm..no! Non ci ho proprio pensato” ridacchiò timidamente Midori “anche se tutti sembra quasi pretendano che io mi vesta di verde,solo perché è il significato del mio nome”.
“Ok. Be,cosa volevi?” tornò al discorso,il ragazzo.
“Questo qua te lo volevo regalare…l’ho trovato nella mia soffitta. Penso ti piaccia,io non ci faccio nulla” e con la mano quasi tremante,gli porse il pacco.
Tarō la guardò e poi prese il regalo aprendolo delicatamente. Tolse lo scotch senza ferire l’incarto e dopo circa un minuto si ritrovò in mano un libro: la Montagna Incantata,Thomas Mann.
“Wow,fantastico!” esclamò Tarō sgranando gli occhi “come diavolo puoi dar via qualcosa del genere? E’ un piacere leggere certe meraviglie…”
“Quindi,lo hai già letto…?” domandò Midori ma,la sua domanda rimase sospesa a mezz’aria. Sostenuta da chissà quale strana magia.
 
L’aria era fredda abbastanza da condensare uno sbuffo di fiato che ogni tanto Tarō buttava via,così,per passare il tempo.
L’autobus non passava. “Tanto vale andare a piedi” pensò ma,l’idea di muovere le gambe lo deprimeva.
Finalmente dopo qualche minuto passò un autobus che portava direttamente al distretto dove abitava Nobu. Perfetto.
Salito sul bus semi vuoto,Tarō prese posto e nell’attesa di arrivare,giochicchiò un po’ con il suo iPhone.
Una fermata.
Due fermate.
Tre fermate. Così via fino a che, Tarō non si accorse del piccolo parco adiacente alla piccola casa di Nobu. Anzi,quella che aveva visto su Google Maps,perché di presenza non l’aveva mai vista. Si preparò per scendere,allacciandosi il giubotto fino alla bocca e tirando fuori da una tasca dei jeans,il numero civico dell’appartamento.
 
Scatole impacchettate,polvere che scendeva come neve. Sugli scaffali,il minimo indispensabile per non rendere quella casa abbandonata e triste. Tarō immaginava l’abitazione di Nobu come un rifugio dal mondo. Una grande libreria,poltrone rosse,un tavolinetto in ciliegio: tutto ciò che caratterizza la personalità di un uomo colto come quello. La cosa più accogliente e calda era solamente una striminzita stufetta vicino l’attaccapanni. Tarō vi appese il giubbotto e pensò chissà da quanto nessuno porse lo stesso in quella mezza scultura in stile minimalista,se non quello di Nobu.
“Pensavo che il mio viaggio durasse di più. Siediti sul futon che ho messo lì” gli indicò Nobu.
Ah,ma allora una stanzina in elegante arredamento giapponese in stile Shogun,c’è!
Il ragazzo si inginocchiò a terra e presa comodità si accorse dell’abito di Nobu e sgranò gli occhi.
“Signore,cosa ci fa con il hakama*?”
Nobu gli lanciò una lunga occhiata d’intesa ma sorridendo,si rese conto che Tarō non aveva afferrato il suo pensiero.
“Chiudi gli occhi. Sono il tuo maestro che ti conduce nel sentiero della rugiada,il roji”
Tarō avrebbe voluto riempirlo di domande ma per non rovinare quell’atmosfera così rilassata,tacce. Come se fossero stati trasportati a Kyoto,nel famoso tempio scintoista di Shinjuka.
Fluido e preciso,Nobu prestava attenzione a ogni singolo gesto per il chadō**. Trasportato da una corrente potente quanto delicata come quella del torrente Shirakawa,lavò con cura gli utensili per il te e dentro una ciotola ne buttò gli aromi e l’acqua bollente. Fra le mani girava gli strumenti come se danzassero ballerine shisho. Con naturalezza e armonia mescolò il maccha con la frusta di bambù e quando ormai la ciotola fu di un verde brillante e dalla consistenza spumeggiante,con un ampio sorriso lo porse a Tarō.
Il ragazzo rimase di stucco,con la sola capacità di contemplare il trasportante odore del te e di accorgersi che portava lo stesso colore della sciarpa di Midori.
 
 
E il sensei portò da sempre rispetto per il samurai.

* indumento di seta portato generalmente dagli uomini. Conformazione di una gonna-pantalone molto lunga.
** secondo nome per chiamare la cerimonia antica del thè,chanoyu.

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo. ***


~ Fior di Ciliegio
Ripetizioni

 

 

“Midori,vorresti uscire con noi nel pomeriggio? C’è un svendita di anime,io e Hiroko pensiamo di passarci” gridò una ragazza dal trucco pesante e i capelli voluminosi di una permanente.
Midori,dal fondo del corridoio del piano terra quello adiacente al cortile dell’entrata,sistemava i suoi libri nella borsa.
“Scusa Itsuko , ma nel pomeriggio ho ripetizioni e non credo sia il caso di saltarle” rispose la ragazza,in preda al volume di filosofia che non aveva nessuna intenzione di entrare dentro la sacca.
Itsuko fece spallucce e a malincuore,forse un po’ offesa, si diresse verso il cortile e sparì dietro una colonna dell’edificio.
“ Ma sei imbranata,eh”.
Midori inginocchiata sullo zaino,combatteva con la cerniera che si era incastrata con la stoffa della tasca superiore,quando un’ombra maschile la coprì direttamente dal sole fioco di quella giornata.
Tarō si abbassò verso di lei,le spostò delicatamente le mani da ciò che stava facendo e con un tocco le chiuse la borsa. La ragazza rimase a guardare lo zaino per un attimo,poi si accorse che Tarō la guardava. Le sorrise.
“Ripetizioni?” chiese in ragazzo imbracciando la sacca di Midori.
“Sì,ripetizioni di calcolo…” rispose lei con lo sguardo basso,alzandosi da terra.
“E’ facile,perché le ripetizioni? A che ora ce le hai?” domandò lui,sempre fissandola.
Ma cavolo,ha sentito tutto quello che ho detto con Itsuko?
“Alle 18:15. Ma hai origliato tutta la conversazione fra me e Itsuko?”
“Be’,quella tipa apre la bocca per due cose: per urlare e per prendere uccelli in bocca. E’ difficile non sentirla o…non notarla” rispose Tarō sorridendo beffardamente.
I due ragazzi camminavano lungo il corridoio che si spopolava di studenti sempre più. Si dirigevano anche loro verso il cortile,anche se era Tarō solamente che se ne andava per i fatti suoi. Midori lo seguiva senza sapere il perché ma poi disse:
“Diamine Tarō,dove stiamo andando? Io devo rimanere qui per le ripetizioni,tra venti minuti inizio il corso di riparazione” e detto questo cercò di riprendersi la borsa sulle spalle di Tarō.
Perché la porta lì,è così pesante! Mi sta facendo un favore?
“Ma che ti frega…” replicò il ragazzo.
“Mentre tu hai A in tutte le materie,io colleziono D con calcolo. E’ ovvio che mi frega! Ridammi lo zaino,immediatamente” e l’ultima frase tuonò come un ordine a cui Tarō rispose senza indugio.
“ Se vuoi ti aiuto io,in calcolo intendo…”
“COSA?” domandò scioccata la ragazza sistematosi la sacca sulle spalle.
“Siccome ho A in tutte le materie…” risposte Tarō,citandola.
Midori fece un sorriso di acconsentimento e il ragazzo le spettinò la frangia.
“Midori,ti stanno crescendo i capelli”
 
“Mamma,che hai?” domandò il ragazzo.
“Ho freddo,chiudi la finestra” disse la donna.
“Tarō,tutto accade per un preciso motivo” continuò dopo che il figlio avesse chiuso la corrente d’aria.
“I fiori non sbocciano per caso,ma perché la primavera deve arrivare”.
Tarō le se sedette accanto,con gli occhi lucidi.



Piccolo angolino del risentimento:
Perchè non ho più postato altri capitoli?
Per noia,per mancanza di tempo o perchè...non mi sentivo riempita.
L'idea di questa storia è stata un po' come una svolta dentro di me. Scrivevo i capitoli allegra e ogni quarto d'ora entravo su EFP 
per vedere se qualcuno condividesse il mio stesso entusiasmo. Non era così,anzi,non per far torno a chi mi ha sostenuto: non abbastanza direi.
Siccome so che non si scrive prettamente per se stessi,per le recensioni o altre cazzate,io continuo.
Chi è con me bene,chi legge,mette nei preferiti e non recensisce...vabè.
Era solo per sapere cosa vi faceva sentire :)


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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo. ***


Fior di Ciliegio
Terra che trema

 

16 marzo 2011.
Tokyo,Giappone.

 

 



Ho sentito i cigolii della casa
  e poi ho visto ondeggiare tutto.
Sembrava di stare in una casa di gomma. Io il terremoto non sapevo cosa fosse, adesso sì.
Sono cadute suppellettili varie, le coperture dei condizionatori e poi un intero armadio con i cassetti.”


Le luci si spengono improvvisamente.
La terra trema.
Si sente proprio che qualcosa al suo interno,per la noia o cos’altro, abbia voluto far crollare tutto.


“Nel momento in cui è iniziato, ero al lavoro. Il mio ufficio è al decimo piano di una torre molto alta, piuttosto nuova.
Quel che è stato più spaventoso è che ha cominciato a muoversi ma abbiamo, tra virgolette, l’abitudine al fatto che si muova.
Per cui, dato che era già accaduto il mese scorso, ci siamo detti che era una scossa normale ma man mano si amplificava.
I mobili hanno iniziato a muoversi. Tutto ciò che era sulle scrivanie ha iniziato a vibrare e a cadere.
I colleghi hanno iniziato a tenere gli schermi, a tenere i muri per evitare che tutto cadesse e progressivamente si è calmato. È stato abbastanza spaventoso. Era la prima volta che vibrava così tanto e non avevo mai vissuto una cosa simile. Ciò che è stato più impressionante è che la maggior parte delle vibrazioni generalmente sono…come dire…si bilanciano, tra virgolette, da una parte all’altra ma stavolta avevamo l’impressione che l’edificio saltasse su se stesso. Quando sei al decimo piano, ti domandi se hai il tempo di scendere da dove sei. Per cui ti chiedi di continuo ‘devo scendere?’ ma potrebbe essere troppo tardi ‘o è meglio se resto?’. È un sentimento strano, perché ti senti impotente e ti ritrovi a non sapere cosa fare”.


Le sirene dell’allarme attraversano con violenza tutti i corridoi bianchi di quella scuola;
penetrano nelle aule e si mescolano alle urla di terrore.
Tutto quanto diventa un alterato dipinto dai colori troppo incisivi e sgargianti.

«Oggi sono uscito per cercare un po’ di latte per la mia bambina,
ma negli unici negozi aperti erano rimaste solo riviste.
Siamo quasi senza cibo e davanti ai distributori di benzina c’è un chilometro di coda.
I collegamenti con il resto del Paese sono paralizzati: tutti vorrebbero scappare a Tokyo ma i treni non si muovono.”


Mantieni la calma,Tarō.
A volte il tuo cuore ha tremato peggio di tutto ciò.
Strano a dirsi,ma è così.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo. ***


Fior di Ciliegio
Incenso


La sala principale della casa sembrava una miniatura dentro una palla di vetro,di quelle con la neve. Distaccata completamente dal resto del mondo,era accorata da uno strano senso di malinconia che trascinava tutti i pensieri di Tarō,nell'oblio sua mente.
Teneva un libro dalla rilegatura rossa in mano,apparentemente sembrava leggerlo ma tutti i suoi nervi erano concentrati sulla voce della televisione che dalla cucina risuonava forte,ma non più forte di quel terremoto di magnitudo 9.0
“Tōhoku chihnō taihejō-oki jishin”,il tono della voce del giornalista era freddo e sprezzante,quasi impassabile ai 15.703 morti di quel giorni. Quel dannato terremoto –quarto per potenza in Giappone- il 10 marzo colpì la prefettura di Miyagi,nella regione di Tōhoku per poi accanirsi su Tōkyo,il 16 marzo.
Di un tratto la televisione tacque e si spense in un piccolo gemito dei cristalli liquidi che ne componevano lo schermo. La voce della zia si fece largo nella sala principale.
“Tarō,non so cosa dire…” e barcollò verso la poltrona più vicina. Le se storse una caviglia quel giorno che tentò di salvare sua sorella.
“Non è che ci sia tanto da dire,zia. E’ morta,come tante altre persone. Molta gente sarà rimasta vedova,senza casa,senza lavoro,senza soldi,senza un figlio…"
“…senza una madre.” concluse la zia,raccogliendo le parole di Tarō,cadute come panni stesi dopo una forte tirata di vento.
“Vedi ragazzo,per come stavano finendo le cose…è meglio così” continuò per poi concludere la donna,che alzandosi si diresse verso l’altare all’angolo della stanza.
Si levò l’incenso verso l’alto; la zia lo accese con cura. Annebbiava gran parte delle incisione sulle piccole lapidi del tempietto. L’odore acre e acerbo del fumo penetrò con forza nelle narici di Tarō,mescolandosi al sapore salato delle lacrime.





Non so che diavolo di piega stia prendendo questa storia.
*e se non lo sai tu?!*
Spero vi piaccia :3

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo. ***


Fior di Ciliegio


Tarō se ne stava seduto su una panchina umida del parco. Quella zona era adiacente alla casa di Nobu.
Non sapeva cosa fare.
Barcollava fra l’idea di andare a trovare il professore e quella di tornarsene a casa. Impregnandosi nuovamente le narici di quello che più che calce struzzo, era l’amaro e asfissiante sapore della perdita.
Quella logorante sensazione gli ostruiva il cuore, quasi a non volergli far provare alcun’altro sentimento. Doveva sfogarsi, per questo era lì.
Ma se avrebbe disturbato il signor Nobu? Se si fosse presentato di fronte a lui, e neanche ad accorgersene, fosse crollato fra le lacrime? Ultimamente era diventato bravo a piangere. La vita, sua vera maestra, gli aveva insegnato come fare.
Aveva sciolto la sua corazza di acciaio, denudandosi molte volte anche avanti a lui, magari allo specchio. Non aveva più alcun problema a disperarsi quando la mente gli riproponeva vecchie immagini di quel terremoto. Come un album di vecchie foto ingiallite, gli si presentava davanti a rispolverare tutte quelle scosse e quei momenti tragici offuscati dalle urla.
Ma Tarō, aveva ugualmente paura delle conseguenze di quel pianto. Di un pianto rotto, distrutto sotto gli occhi di qualcun altro. Però non uno qualunque, il signor Nobu, che di lui stava cominciando a capire molto. Sarebbe stata una fotografia del suo stato interiore.
Ma quel forte ragazzo aveva cominciato a padroneggiare l’arte del piangere. Che detto così, sembra come piagnucolarsi addosso, ma era molto di più: una scarica energetica di sentimenti. Così ogni volta che sentiva quello strano bruciore al centro del petto, ricacciava con più convinzione che poteva quel fuoco ardente di dolore.
Anche se era comunque difficile gestire quei momenti.
Dunque in tutto questo, se ne stava seduto su quella panchina di legno marcio con gli occhi chiusi, sentendosi scrosciare le foglie dei sakura nelle orecchie.
Quei ciliegi, nonostante la distruzione che li circondava, aveva deciso di fiorire anche quell’anno. Anzi, a dirla tutta odoravano ancora più forte e si ramificavano sino al cielo.
Erano l’esatto esempio di come nulla dentro quella nazione si ferma. E’ tutto così frenetico, così mosso. Senza paura, con l’orgoglio di un samurai che non demorde neanche di fronte alla fame, cresce e si sviluppa senza alcun timore.
Tirava un venticello fresco, che spettinava gentilmente i capelli di Tarō.
“Guardate quel ragazzo! Si sarà per caso addormentato?” gridò una ragazza, con poca non curanza ridacchiando divertita.
Un gruppo di adolescenti passavano di fronte la panchina di Tarō.
“Ma quello non è Ogawa Tarō? Del nostro stesso corso!” continuò un’ altra.
“Sì! Tarō!” chiamò una terza.
A quella voce familiare, il ragazzo aprii gli occhi di scatto e tutti i suoi pensieri volarono via.
Era Midori, corsa di fronte a lui.
Aveva un braccio fasciato e un’espressione felice dipinta in volto.
“Midori, cosa hai fatto lì?” chiese Tarō schiarendosi un po’ la voce.
“Oh, niente… mi sono fatta male aiutando mio padre a rimettere in ordine il suo giornalaio” rispose lei.
“Mh, mi dispiace” concluse lui, rivolendo i suoi occhi neri verso le punte delle sue scarpe.
“C’è stato di peggio…” continuò Midori.
“Midori!! Noi andiamo, raggiungici più tardi!” gridarono le sue amiche in lontananza.
“Dove dovreste andare?” domandò incuriosito Tarō.
“Il ristorante della madre di Naoko è interamente distrutto. Andavamo lì per dare una mano, per rendere le cose un po’ più semplici…” disse la ragazza, lasciando la frase in sospeso.
Un’altra ondata di vento fece danzare i fior di ciliegio, facendo scambiare un bacio fra i petali dei boccioli.
“Senti, tu una mano l’hai già data…- disse Tarō indicando con lo sguardo il braccio di Midori- non è che aiuti me…? A rendere le cose un po’ più semplici…?” confessò Tarō.
Quelle lacrime dovevano assolutamente riprendere forma.



Piccolo spazio per mettere in chiaro alcune cosuccie.
Eh, breve il titolo...
Comunque sì, sono sparita per mesi. Il problema è che ero indecisa se continuare o meno questa storia, però mi ero accorta
che i lettori aumentavano sempre più e anche se non è un buon motivo per aggiornare ancora... mi sembrava un peccato lasciar perdere.
Così, sono qui che posto questo apparentemente inutile capitolo.
Spero che la storia sia di vostro gradimento. Io l'ho presa molto a cuore, francamente.
Bè, non ho altro da dire anche se quello che pensavo mentre copiavo il capitolo sembra essere molto di più.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo. ***


Fior di Ciliegio


Quel pomeriggio aveva singhiozzato più forte degli altri, aggrappandosi ai vestiti caldi di Midori.
Tarō aveva a stento espresso ciò che gli accadeva dentro al cuore, la tempesta di dolore che gli inondava le membra. Ma Midori lo capiva, non aveva bisogno delle sue parole e continuava pazientemente ad accarezzargli i capelli, aspettando che quel pianto frenetico si spegnesse.
Intorno a quella panchina, il mondo era rimasto immobile per un tratto di tempo. Forse aveva smesso di girare per dare un attimo, dando calma alle persone di riprendersi.
“Non capisco il perché di tutta questa storia, questi pianti interminabili. Forse sono le lacrime di tanti anni, che escono fuori solamente adesso” diceva Tarō boccheggiando.
“Era tua madre, è normale. Se io avessi saputo subito di tutto quello che ti era successo, sarei corsa subito da te…” confessò la ragazza fissando un punto nel vuoto. 
Meccanicamente, continuava a sfiorargli delicatamente la testa.
Strano che si faccia toccare… forse è solamente per via della brutta situazione. Eh dolce ingenua Midori, non azzardati ad essere felice di questa conseguenza! Si lascia accarezzare fra le tue braccia solamente perché… sta così.

 
*



Era tornato in Giappone da poco più di due ore, e l’assordante rumore delle chiavi che sbattevano contro il piccolo mobile in ciliegio dell’ingresso, lo riportò veramente alla vita di sempre.
Si chiuse il portone alle spalle e stanco, trascinò il suo corpo verso la cucina. La sua mente era dall’altra parte del mondo, in Italia. Il suo cuore, era ormai fatto a pezzi e nel mondo ne vagavano le scheggie.
Pesante, ricadde su una sedia, carico del “niente” che aveva fatto durante quel viaggio.
Hai perso nuovamente del tempo, Nobu. Perché ti ostini a continuare? Cos’è che ti fa fare tutto questo?
Era arrivato fino a Milano per ricevere l’ennesimo, avvilente “no”.
“No papà, vattene! Sparisci dalla mi vita, non tornare mai più. Nessuno qui ti vuole, nessuno qui ti cerca! I tuoi nipoti pensano che tu sia morto, vattene! Basta, non cercarmi più in futuro!”
E gli chiuse la porta in faccia, quel ragazzo che tanto gli assomigliava. Stessi occhi bruni e grandi, stesso sorriso sbilenco… nient’altro che suo figlio.
E così, senza pensarci, Nobu si diresse verso l’aeroporto di Malpensa per ritornarsene a casa.
Era molto abbattuto.
Avrebbe voluto presentare la nuova persona che era, al suo amato Daisuke.
Erano passati molti anni e mano a mano, il tempo gli aveva modellato una nuova personalità. Un nuovo modo di vivere, aveva permesso lui di riconquistare la retta via.
Non era più il codardo che scappava lasciando la sua famiglia in miseria per un po’ di alcool e donne diverse ogni notte.
“Papà, ricordi le puttane che ti scopavi tutti i sabati sera? Bè, la mamma ha dovuto lavorare accanto a loro per mettermi del cibo e una casa in cui vivere. Per evitare che ci sfrattassero, addirittura. E nel contempo, la sua reputazione andava a pezzi. La sentivo singhiozzare tutte le notti che poteva permettersi di rimanere a casa, senza essere sbattuta per hotel e posti vari da squallidi uomini come te!”
Quelle parole facevano veramente male, bruciavano fortissimo.
Ma Daisuke non voleva più saperne di suo padre Nobu, e ogni volta che vedeva i suoi occhi riempirsi di tristezza e rabbia era uno schiaffo doloroso e sonoro alla sua coscienza.







Spazio autrice:
Un ringraziamento speciale a mamie, painAsura777 e smikra!
(visitateli, sono fantastici)
E a tutti quelli che leggono silenziosamente, e che probabimente recensiranno.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 16
*** Capitolo sedicesimo. ***


Fior di Ciliegio
Capitolo sedicesimo

In Aprile c’è una grande frenesia per le strade di Tokyo, o proprio quelle del Giappone in generale.
E’ l’inizio di un nuovo semestre scolastico e la primavera da una strana carica a tutte le cose che la circondano.
Il vialetto che precedeva l’entrata della scuola era tappezzato di dolci petali bianchi la quale estremità oscillava sul rosa.  Nel piccolo parco che anticipava il corridoio interno che dava sulle aule, le panchine e i tavoli erano impregnati di rugiada. L’aria mattutina era un po’ umida, come tutte le volte d’altronde.
Scocca l’orologio dell’edificio, attaccato su una grande colonna di pietra.
Però c’è da dire che il cielo non è molto azzurro.
Nuovamente, il vociare degli studenti riempie di vita quelle mura grigio fumo.
Le risate annullano quel senso di pesantezza dei giorni passati, sembra così strano che si sia già dimenticato tutto.
 
“Ei Tarō” salutò un ragazzone dalle spalle grosse.
“Oh, Akira. Tutto bene?” domandò con finto interesse Tarō, sistemando la sua sacca strabordante di libri.
“Bè, io sì… piuttosto tu, come stai?” chiese rammaricato Akira.
“Non c’è male, la solita vita” rispose Tarō sorridendo.
Sorrideva per nervosismo, per scollarselo di dosso, insomma lo imbarazzava averlo lì davanti.
Sta provando pena per me?
“Bè… Tarō, per qualsiasi cosa io ci sono. Buona lezione” e detto questo, con un cenno della mano, sparii dietro a un orda di studentesse che ridacchiavano per le solite stupidaggini.
Akira non mi sembra mi abbia dato mai tanto retta. Muore mia madre e comincia a corrermi dietro? Ora capisco tutto, l’ipocrisia delle persone.
“Ragazzi, vedete di andarvene dentro nelle vostre aule!” gridava un bidello a un gruppo di alunni che ancora non aveva ben capito che la prima ora era già iniziata.
Tarō si diresse verso le scale che lo avrebbero portato nel corridoio dove, prima delle vacanze primaverili, c’era la sua classe.
“Dovrebbero rimanere sempre le stesse aule”, pensò guardandosi le punte delle scarpe mentre camminava.
“Queste scarpe sono orribili, odio dover portare la divisa” pensò nuovamente.
Boom!
Non fece caso all’uomo che percorreva la sua stessa traiettoria.
E l’uomo non fece caso a Tarō che percorreva la sua stessa traiettoria.
“Signor Nobu!” gridò il ragazzo con gli occhi illuminati “da quanto tempo!”
“Signorino Bekku, cos’è tutto quest’entusiasmo? Cosa sono queste grida? Un po’ di silenzio!” lo rimproverò il professore non reggendo la sua parte da severo e arido maestro, crollando in una risata alla fine della frase.
Anche Tarō sorrise, dopo tanto tempo.
“Ancora sei qui? La prima ora è iniziata da un pezzo!” esclamò l’uomo guardando il ragazzo.
“Sono stato interrotto da un compagno, mi doveva parlare” si giustificò Tarō.
“Anche noi dobbiamo parlare, Tarō” disse Nobu tornando subito serio.
“Certo professore, non aspetto altro che questo” concluse il ragazzo.
 
La campanella suonò, stavolta per rintoccare la fine delle lezioni.
Tarō cominciò a correre verso l’uscita, ancora con i libri in mano.
Non desiderava incontrare nessuno, per il momento.
“Tarō, aspetta!”
Ecco, tutto quello che desideravo insomma…
Si voltò. Era Midori, ma lo aveva ugualmente capito udendo la sua voce.
“Ei…” disse lei facendosi sbocciare un lieve sorriso sulle labbra.
Però è carina quando sorride così.
“Ehm, mi chiedevo… come stavi, insomma…” continuò Midori.
“Sto come la scorsa volta, o forse meglio. Non lo so…” rispose Tarō, avvicinandosi un pochino a lei.
“Uh, bene… ehm, se vuoi un giorno usciamo”  disse lei imbarazzatissima.
“Sì boh, si può fare. E’ che ho molto da studiare, poi vedremo” rispose il ragazzo.
“Sì, giusto… non ci avevo pensato, hai ragione” lo assecondò tristemente Midori.
“Allora ci si vede, ciao Midori” la salutò Tarō, andandosene immediatamente, come se non avesse rimorsi.
“Sì, alla prossima Tarō” concluse lei.
Tarō, sei uno stupido.
Lo pensarono più o meno entrambi.



Spazio autrice/oquellascemaacuièvenutoinmentetuttoquestodelirio:
Ok, potete anche menarmi siccome avevo promesso di aggiornare con una certa regolarità, invece sono sparita per quasi un mese.
Il punto è che non trovavo mai un momento libero in cui sedermi e con penna e foglio, buttare giù il sedicesimo capitolo.
Poi qualche ora fa ho deciso che lo avrei scritto al computer, cosa che non amo particolarmente, però devo ammettere che mi sono piuttosto divertita.
Come potete notare ho cambiato un po' (ho totalmente stravolto), la grafica del capitolo. 
Ho deciso una cosa senza troppi fronzoli, anche perchè ogni volta ci mettevo sempre tantissimo a stilare il capitolo per l'HTML.
Odio le cose lunghe e agonizzanti, sìsì proprio così.
E poi tutto questo black molto minimalista, mi piace tanto.

Credo di aver detto tutto, basta con le note... anzi, sono state pure troppe!
ps. grazie ai lettori e alle (im)probabili recensioni!

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassettesimo. ***


Fior di Ciliegio
Capitolo diciassettesimo

“E tu sei un idiota che ancora ci speri!” le disse Naoko raccogliendo un altro pacco di riviste.
Entrambe le ragazze si affaticavano nuovamente per rimettere in sesto l’edicola del padre di una delle due.
“Non lo vedi? E’ fuori come un balcone, a quel tipetto è morta la madre. Poi, non che fosse l’unico, sai… ma tu che devi fare? Vuoi diventare la sua psicologa, eh? Midori?” continuò a rimproverarla senza prender fiato, l’amica.
Naoko aveva la permanente e i suoi finti riccioli le sbattevano di qua e di là mentre si agitava muovendo le mani, scaricando i giornali e continuando a parlare. Midori era quasi divertita da questa visione.
Perché quei boccoli? E’ ridicola…! Decisamente meglio al naturale, forse glielo dovrei dire appena smette di gridare come una matta.
“MIDORII?? CI SEI?” domandò istericamente Naoko.
“Sì, ci sono” rispose l’interpellata, stancamente.
“Mi hai capita? Dimmi se esagero eh, io penso che sia giusto così!” esclamò la ragazza riccia tirandosi su le maniche della felpa.
“Ma cosa giusto? E poi come potrei dirti che esageri, tanto continueresti ugualmente. E pure io, quindi smettila con queste considerazioni stupide” rispose Midori seccata dall’ennesima discussione riguardo la cosa.
Naoko la guardò storto, da sotto a sopra, sbuffando su uno dei riccetti che le finii sulla bocca.
“Sei fuori anche te, lo sei sempre stata” disse lentamente, spostando un’altra pila di manga di cui alcuni hentai.
Midori la fissò negli occhi per qualche minuto e pensò: lei matta? Tra di loro se l’erano sempre detto, ma questa volta c’era qualcosa di strano dietro. Non risultava uno scherzo, e perché sembrava così “cattivo”? La ragazza si rese conto che l’amica di fronte la scrutava interrogativamente, se così si può dire, dunque la fisso ancora più attentamente.
La voleva rendere capace di percepire tutto il suo dolore e la sua repressione, voleva metterla alla prova. Ti consideri la mia migliore amica? Di certo non si può essere amiche solamente per andare a fare shopping a Shibuya 109, ma si trattava anche di un’intensa, profonda, lettura di sentimenti reciproci.
Cos’è l’amicizia se non l’amore privo di passione?
Poi la ragazza si riprese dalla sua trance e lo stesso fece l’altra, ma la prima si accorse dei giornaletti per adulti appena spostati accanto ad altri scatoloni strabordanti di riviste.
Entrambe accantonarono la conversazione di prima, e Naoko notando lo sguardo di Midori che la trapassava arrivando sino alla copertina hard dell’hentai, si voltò dietro.
“E quelli? Spiegami. Tuo padre vende anche quelli?”
“E’ un’edicola, cosa pretendi? Praticamente con i giornaletti sporchi si fanno più affari che con il Asahi Shinbuno lo Japan Times!” esclamò la riccia.
“Sì… certo” l’assecondò Midori sogghignando nascondendosi fra i capelli.
Poi si accollò fra le braccia una buona dose di merce, ma appena si alzò in piedi si sentii picchiettare sul sedere.
“NAOKOO! Mi fai cadere tutto, deficiente!” gridò Midori riacquistando miracolosamente l’equilibrio.
“Fai attenzione, stupidina. Ti stanno riscendo i capelli da quel taglio orrendo che t’eri fatta tempo fa, ma io ti vedo ridere di nascosto allo stesso modo.” disse la ragazza con tono saccente, alzandosi anche lei.
“Ohoho, ma chi parla! Il barboncino di turno! Ti prego, ritorna ai soliti capelli lisci come l’olio, ti stanno decisamente meglio.” ribattè Midori con la stessa serietà della battuta precedente fatta dalla sua amica.
Poi si diressero entrambi verso il negozietto che pian piano riprendeva forma dopo la devastazione. Quelle riviste, quei libretti e addirittura gli hentai, donavano così tanta gioia seppur sulle copertine dei giornali si parlava solamente di continue scosse sotto il suolo.
“Però hai notato – cambiò discorso Midori – tutto il mondo ci sta aiutando”.
Poi posarono tutto il peso dell’informazione e dello svago su un piccolo tavolinetto che, temporaneamente avrebbe sostenuto tutto ciò che serviva per rimettere in sesto l’attività.
Entrambe cominciarono a camminare per il locale. Naoko tastava la differenza del tempo fra le nuove assi di legno rispetto a quelle vecchie.
Midori osservava i piccoli scaffali dalla quale fino a qualche mese fa, i giornali venivano esposti nelle loro più stravaganti copertine. Quanto colore! E in poco tempo tutto questo sarebbe potuto riessere vissuto.
Così presa dalla forza di volontà, saltellò allegramente verso le riviste posate sul tavolo.
“Naoko? E’ così interessante il muro?” domandò ridendo mentre si arrotolava le maniche della camicia fino ai gomiti massicci.
“Pensavo a volerti chiederti scusa, le venature del legno mi hanno suggerito di farlo” e detto questo si voltò verso l’amica, raccolse gli hentai dal tavolo e li porse sul primo scaffale accanto all’entrata dell’edicola.
Giusto, fanno più soldi del Japan Times.


  
* 




“Signor Nobu? Professore? Come diavolo devo chiamarla per farmi sentire?” domandò istericamente Tarō, correndo affannato per il corridoio.
Intanto l’uomo continuava a camminare indisturbato verso l’uscita dell’edificio.
La scuola era vuota, non c’erano né studenti né insegnanti.
Buia, dovevano essere le prime ore serali, ma a Tarō non importava: doveva parlare con il professore, se l’erano promesso.
“Professore, mi sente?!” gridò ancora più forte il ragazzo che correva sempre più veloce e, stranamente senza raggiungere l’uomo.
Quello intanto camminava a testa bassa per il corridoio, come guardandosi i piedi.
Un corridoio che ad un certo punto avrebbe dovuto finire.
Poi Tarō si rese conto che durante la corsa il pavimento dietro di lui spariva. Ne rimanevano solo le colonne portanti e le mura.
Cosa diamine succedeva? E perché nel millesimo di secondo in cui il ragazzo si rese conto della stranezza, il professore era scomparso?
Il corridoio era privo di porte, privo d’uscite.
Non poteva esser andato da nessuna parte, se non tornato indietro ma non passò minimamente di fronte a Tarō.
Così il giovane si voltò nuovamente verso il lato del corridoio che avrebbe dovuto portare lui e il signor Nobu all’uscita dell’edificio.
Ma poi qualcuno disse qualcosa.
“Tradimento”.
Da dove veniva?
“TRADIMENTO”
A Tarō batteva forte il cuore, soprattutto perché si ritrovò con i piedi pesanti come il piombo che gli impedirono di correre via.
Se li guardò e nel panico più totale cercò di alzarseli con le mani, tendando dei compiere dei passi.
Ma di fronte a lui apparvero altre scarpe. Nere, lucide e anonime.
Signor Nobu!
Alzò lo sguardo ma non vide altro che un mostro: corpo d’uomo, capo di un demone con le guance tagliate su entrambe i lati. Ma riconosceva gli occhi acquosi e tendenti al basso.
Il professor Nobu.
“TRADIMENTO!” gridò l’uomo.
“Professore, che succede?! Anzi, brutto mostro ripugnante, non ricordi nemmeno minimamente il mio professore! Ridatemi Nobu, io devo parlare con lui!” gridò disperatamente Tarō di fronte alla creatura viscida che continuava a urlargli la medesima parola.
Non posso scappare, perché non posso correre via? Che succede ai miei piedi?!
Poi la mano del demone afferrò il capo ragazzo, che sentii una fortissima pressione alle orecchie. Consecutivamente percepii il sangue caldo scorrergli per il naso, e la tensione sulla testa aumentò. Tarō si sentii morire.
La creatura gli stava contorcendo il cranio con la sola stretta della mano, e mentre il ragazzo urlava dal dolore implorando pietà, la bestia faceva sguisciare la lingua da fuori le guance divertitissimo da quello spettacolo.
“AAAAHHHHHH”, urla raccapriccianti da parte dello sventurato, mentre l’artefice dell’orribile gesto rideva all’impazzata.
“Tu non lo sai, tu non sai chi sono. Tu dovresti aver paura del Tradimeto. Dovresti sapere cosa ho detto, cosa ho fatto” disse il mostro fra una risata e l’altra.
“Perché? Che cosa hai fatto, che hai detto?” gridò il ragazzo in preda al dolore ancora resistente, nonostante entrambi le parti della testa completamente sfondate.
TRADIMENTO!
Poi Tarō si svegliò, sudato e scosso nel pieno della notte.
Tradimento? Ma tradimento di cosa?



Spazio per autricedemente
... Non credo di avere la faccia per potermi permettere di dire qualcosa.

Donne di EFP, grazie.
E non litigate troppo!



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