Intrecci

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


LONDRA

La ragazza sollevò il braccio dal bancone, la mano affusolata e distesa colpì l’uomo dietro di se, il quale si era avvicinato un po’ troppo e ghignando. L’uomo, sulla quarantina, si accasciò al suolo, privo di vita:l’osso del collo si era rotto in seguito al micidiale colpo della donna. Nel locale cadde il silenzio.
Un tempo era stato forse uno dei pub più frequentati, ma ora ne rimaneva solo un vecchio bancone, con dei vecchi tavolini e un vecchio angolo, riservato in passato ad una qualche band musicale.
Finì la sua bevanda e il rumore della tazza che si poggiava sul banco interruppe per un secondo il mutismo, quindi fece scivolare una banconota e disse al barman, senza guardarlo in viso, che poteva tenersi il resto. L’uomo assentì con un cenno del capo: era pietrificato. Delle volte, in tarda serata, quella donna gli si presentava al bancone, chiedendo del te con una goccia di latte, pagava e andava via. Sempre sola, senza mai dare corda a nessuno, neanche a coloro che le si avvicinavano con l’intento di chiudere la serata in un qualche squallido letto di motel o, peggio ancora, in un bagno con le pareti sudice e impregnate dell’odore di urina. Bella come una dea, quella sera si era rivelata anche mortale come una divinità.
La ragazza scese dallo sgabello, afferrò il cappotto che giaceva accanto ad essa e lo indossò prima di aprire la porta e abbandonare il locale. I presenti osservarono ogni suo movimento fino a quando non scomparve nel buio della notte.
Alzò gli occhi verdi al cielo: una, due, tre stelle…nubi, nubi e ancora nubi. In lontananza una saetta illuminò il cielo corvino. Una folata di vento e d’istinto si strinse nel caban nero. S’incamminò rasentando il muro a sinistra, le mani ben salde nelle tasche del cappotto, lo sguardo puntato davanti a se, fiero e orgoglioso. L’aria era densa di fumo, le industrie erano in attivo anche di notte. Una macchina sfrecciò nella carreggiata centrale, ma lei non vi badò. Aveva altro per la testa…o per lo meno si sforzava. Qualche anno prima un incidente l’aveva trattenuta nell’altro mondo per tre mesi circa e, al suo risveglio, la mente era completamente vuota. Nell’ospedale dove era rinvenuta, accanto al suo letto, quando aveva aperto gli occhi, non vi aveva trovato nessuno. Durante il periodo di riabilitazione una donna le si era presentata, di punto in bianco, sostenendo di essere sua sorella. Da quel momento una rabbia irrefrenabile l’aveva assalita, un odio profondo contro quella ragazza, di un paio di anni più piccola di lei. Tuttavia, dopo quell’incontro qualcosa le era tornata in mente: il suo nome e la sua professione. Nina Williams: assassina.
- Ehi, Barbie!- la voce roca e impastata di fumo e alcool si alzò alle sue spalle, l’uomo attese che la donna dai capelli chiari si voltasse prima di proseguire – Sei stata cattiva prima, hai ucciso uno dei miei amici- alzò l’indice scuotendolo mentre le labbra si allargavano in un sorriso cinico – Non si fa! La mamma non te l’ho ha inseg…-
Con un che di superficiale la giovane donna tornò a guardare davanti a se, proseguendo per la sua strada. L’espressione sul viso era completamente amorfa. I tacchi degli stivali presero a far echeggiare il consueto toc-toc toc-toc.
L’uomo grugnì rabbioso, si scaraventò su di essa, attanagliandole il collo e sbattendola contro il muro. Strinse ancora un po’, fissandola diritto negli occhi, quelli occhi privi di espressione ma meravigliosi, del colore del mare in agitazione.
Digrignò mostrando alla donna una sfilza di denti gialli e corrosi dal fumo. Aveva sopportato anche troppo. Sollevò di scatto il ginocchio destro, l’espressione dell’uomo mutò, gli occhi gli si riempirono di lacrime e si accasciò ai piedi della ragazza, le mani a coppa sui genitali. Nina lo oltrepassò, quando un fischio debole fu seguito da un altro, forzato, ma con maggiore vigore. Un rumore di catene inebriò l’aria.
L’atmosfera continuava ad essere intrisa del vapore emanato dalle grandi industrie. Questa volta la ragazza si arrestò di sua volontà e lanciò un’occhiata alle sue spalle. Un gruppo di omoni barbuti e tatuati aveva affiancato l’uomo, che adesso a stento riusciva a mettersi in piedi. Quanti ne erano? Cinque o sei? Il numero era fattibile! Un paio avanzarono, maneggiando una catena quello a destra e un manganello l’altro a sinistra. Nina ora si era voltata completamente verso gli omoni, inevitabilmente un sorriso sarcastico le incorniciò il bel viso dalla carnagione chiara. Con un gesto fulmineo si liberò dell’ingombrante cappotto, il quale scivolò ai suoi piedi. Una maglia nera a collo alto le aderiva all’addome e al seno, entrambi perfetti, mentre a coprire la parte inferiore, o per lo meno fin sopra il ginocchio, c’era una gonna scura, quindi delle calze dello stesso colore e un paio di stivali alti fino al polpaccio. Distese le braccia, allargò le gambe posizionando la destra leggermente più avanti di quella mancina. Bene, era in posizione di attacco, fece segno con le dita di avvicinarsi. I due ciclopi, con un urlo sovrumano, si fiondarono verso di lei. Nina deviò a sinistra, l’omone con il manganello si ritrovò ad abbracciare il vuoto, lei le passò un braccio intorno al collo, un tac e l’uomo barbuto si accasciò ai suoi piedi, privo di vita, con occhi spalancati e vuoti e la bocca contorta in una smorfia di dolore. L’altro omone guardò prima il suo amico disteso sul freddo e polveroso marciapiede, quindi sollevò fin sul capo la catena, emanò un urlo grottesco, molto più simile a quello di un animale che di un essere umano, e si tuffò contro la bella ragazza. Quest’ultima afferrò la catena con la mano destra prima ancora che potesse colpirla, l’uomo sembrò entrare in una specie di trance. Osservava la ragazza, era riuscita a bloccare la sua arma, lei approfittò della temporanea mancanza di attenzione e gli fu addosso: una serie di pugni nella bocca dello stomaco, quindi un calcio e fuori due. Il barbaro volò all’indietro atterrando sul cemento, sul quale una pozza di color carminio iniziava a distendersi. In lontananza i rintocchi di una campana: mezzanotte. Un <> si elevò nell’aria, era stato l’uomo che aveva dato inizio a tutto ciò.
Nina ipotizzò che dovesse essere il boss di quella banda di king kong, giacché con un solo suo gesto il resto della compagnia la circondò. Ad occhio e croce dovevano essere circa una decina, una dozzina massimo. Rimase dov’era, nella sua posizione di attacco/difesa.
Nata in Irlanda, la sua infanzia era stata una favola, fin quando…fin quando cosa? Possedeva solo pochi e disordinati ricordi della sua vita passata: l’odio verso la sorella era uno di questi.
Poi cosa più? Sapeva solo che i suoi genitori erano morti, era andata a visitare le lapidi, e che…qualcuno alle sue spalle tentò di coglierla di sorpresa. Non ci riuscì. La donna ventiquattrenne si abbassò, falciò le caviglie con un colpo di gamba e l’omone si ritrovò supino sbarrando gli occhi quando la donna che lo sovrastava estrasse, tirandosi leggermente su la mini dalla coscia sinistra, un pugnale, retto da una giarrettiera. Si chinò su di lui per colpirlo al cuore, ma questi rotolò di lato, evitando l’impatto mortale.
- Ehi!- il capo banda attirò l’attenzione su di se. Aveva il braccio proteso in avanti, nella mano la canna di una pistola puntata contro la donna. Le fece cenno di gettare il pugnale. Obbedì. Il boss avanzò lentamente, sogghignava.
Dietro di lei si stava aprendo un varco, mentre inesorabile indietreggiava. Ancora uno, due, tre passi e, la già fioca luce emanata dai lampioni che a stento restavano accesi, scemò. Si guardò furtivamente intorno, solo imponenti pareti macabre. Accidenti a lei! Era entrata in un vico! Inviò una fugace occhiata: oltre le spalle il buio. La voce dell’uomo che le stava con il fiato sul collo attirò quello sguardo gelido su di sé, sostenendo che quello era una via priva di uscita. Gli credeva. Arrestò il suo indietreggiare: era qualcosa che le nasceva da dentro, qualcuno molto probabilmente le aveva insegnato che scappare, dinnanzi al pericolo, equivaleva alla vigliaccheria e lei non peccava certo di ciò.
Assassina fredda e priva di coscienza aveva svolto diversi lavori sporchi, era entrata persino nella grazie dell’imprenditore più potente del mondo, il quale l’aveva contatta spesso per eseguire mansioni da lui dettate. Peccato che alcune non era riuscita a concluderle… Ma questa è tutt’altra storia! Uno scatto e fu di nuovo nella posizione di lotta, la canna puntata minacciosamente su di lei. Subitaneo un rombo, la canna dell’arma da fuoco fumante e un grido sommesso, intanto, moriva in fondo alla gola della donna. Nina era ginocchioni, la mano destra stretta sulla spalla sinistra, rivoli di sangue gocciolavano sul terreno, lungo l’arto. Il viso era contratto in una smorfia di dolore, la ragazza combatteva per non urlare. Il “re dei barbari” teneva un sorriso cinico che si nascondeva tra la barba, passò la pistola ad un compagno sulla sinistra, quindi avanzò, chinandosi a sua volta sulle gambe per poter guardare il viso candido, ora più che mai, della ragazza irlandese. Lei non contraccambiò lo sguardo, si ritrovò tuttavia ad osservarlo quando le afferrò il mento tra l’indice e il pollice, sollevandolo:
- Non avrei voluto tesoro, credimi, mi ci hai costretto. Io odio prendermela con le donne, non è così ragazzi? – risa e fischi generali tra gli spettatori, per la serie “tutto muscoli e virilità, senza cervello” - soprattutto se belle e ribelli, ma tu…- sospirò scuotendo il
capo a destra e a manca, fece per proseguire il discorso, quando qualcosa di vischioso gli si appiccicò sulla guancia mancina. La fissò, adesso il suo sguardo era mutato, dal cinismo era passato a collera pura. La ragazza dal canto suo lo guardava, anche i suoi occhi erano mutati, nel verde marino si rifletteva fierezza e non più il dolore di pocanzi. Sempre tenendola per la mascella la costrinse a mettersi in piedi, con un urlo animalesco la sospinse contro la parete, quella sulla destra. Si ripulì la guancia dalla saliva con il dorso della mano, poi un ceffone e la ragazza si puntellò sul muro, inviando uno strillo. La spalla gettava sempre più sangue. Iniziò ad avere il fiatone, il cuore prese a pulsarle come un pazzo. Di nuovo l’omone le afferrò il viso e la voltò verso di sé:
- Che c’è, puttana?! Le cose ti girano storte!- sollevò di nuovo il braccio, la ragazza serrò gli occhi, d’istinto, pronta a riceverne un altro, che mai giunse.
Sollevò la palpebre lentamente e attraverso un velo di appannamento, intravide una figura muscolosa trattenere il polso del boss, serrato in una mano. Con una spinta lo allontanò, posizionando gli arti come il suo stile di lotta prevedeva, per iniziare una battaglia.
Nina lo guardò per un ultima volta, il grido del capo barbaro che si lanciava contro la sagoma le giunse ovattata:
- Kazuja …- sibilò, prima di perdere i sensi.
Poi il buio.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


DA QUALCHE PARTE NEI BOSCHI INGLESI

La pioggia.
Di notte.
Quella notte.
Pioveva incessantemente da giorni ormai. Particolare minuzioso eppure se lo ricordava bene, lei amava la pioggia e la mestizia che metteva nell’animo umano.
Lei…ma lei chi?
Una bambina di soli otto anni quella sera non aveva avuto bisogno della favola di papà, ci aveva pensato la pioggia. Ma quella notte non udì solo lo scroscio dell’acqua, interrotto da…spari.
E poi…lacrime, qualcuno nel letto accanto al suo aveva preso a piangere.
Lo scorrere della pioggia…singhiozzi…pioggia…singhiozzi…pioggia…pioggia…non pioggia, acqua. Semplice acqua. Quel pensiero la destò dolcemente. Sollevò le palpebre, doloranti. Mugolò, aveva dolore dappertutto.
Allo scrosciare dell’acqua si aggiunse lo scricchiolare del fuoco. Mosse lentamente il capo sulla sinistra, un camino emanava calore. La legna ardeva e scoppiettò un paio di volte. Inevitabilmente ripensò al sogno e agli spari.
Che si fosse solo illusa? Che non fosse nessun frammento di ricordo?
Spostò l’attenzione e studiò scrupolosamente l’intera camera. La testa le doleva e la vista non era completamente nitida. Davanti il camino un dondolo in vimini, immobile, sito accanto ad una finestra.
Di fronte a lei la porta d’ingresso, sulla parete destra un cucinino vecchio stampo e un’altra porta, chiusa: il bagno.
Il getto d’acqua si arrestò. Lei era sdraiata in un letto a due piazze, coperta da un lenzuolo e da una coperta in lana, a quadri gialli e verdi. L’occhio si posò sul maglione che giaceva al suo fianco e il reggiseno scuro, d’istinto si guardò il corpo: aveva una fasciatura che partiva dalla spalla sinistra, passava per il seno e sotto l’ascella destra. Provò a muovere il braccio sinistro ma a stento trattenne un urlo. Le doleva e fu come se il dolore le riaffiorasse alla mente la notte precedente.
Kazuja Mishima!
Tra un po’ sarebbe uscito dalla toilette, doveva andar via. Non era persona da potersi fidare ad occhi chiusi e, conciata com’era, non ci avrebbe messo molto ad ucciderla. Mentre rifletteva si mise seduta e quando fece per alzarsi un tremendo capogiro l’assalì. Si puntellò al camino, respirando affannosamente mentre alla vista, già poco chiara, si sostituiva l’annebbiamento.
- Pessima idea- una voce maschile e forte riempì la stanza, coprendo lo strepitare della legna – vuoi del caffé?- chiese poi Kazuja accostandosi alla cucina e versando in una tazza del liquido nefasto e fumante.
Nessuna risposta. L’uomo sospirò, quindi riprese:
- Sei imbottita di analgesici, ti ho dovuto estrarre il proiettile dalla spalla. Se vuoi un consiglio, è meglio che ti fai vedere da un medico, potrebbe fare infezione, io…-
- Kazuja! Che vuoi?- la voce della ragazza lo interruppe, bruscamente. Non si mosse nella
posizione in cui era, già parlare non credeva le avrebbe richiesto tutta quella fatica, immaginiamoci a voltarsi, per vederlo in viso poi!
Tuttavia ci pensò lui a farsi vedere, raggiungendola.
I capelli corvini erano umidi, i muscoli dell’addome e della braccia messi in risalto perché nudi, al contrario della parte inferiore, dove indossava un paio di pantaloni da tuta. Gli occhi scuri, come i capelli parevano sogghignare.
Il viso di lui, dai tratti marcati, esprimeva sarcasmo puro; quello di lei bianco come un cencio era contratto in una smorfia di uno che trascina un masso enorme su per un pendio.
- Nina Williams…ti ho salvato la vita ieri notte e tutto ciò che sai dire è chiedermi cosa
voglio?- fece per avvicinarsi maggiormente - Siediti, restare in piedi non…- la ragazza si allontanò, evitando che la mano dell’uomo le sfiorasse la spalla destra.
Il solo pensiero che potesse toccarla la raccapricciava, se la ferita non avesse doluto tanto e le avrebbe permesso di eseguire i suoi colpi mortali senza rischiare di perdere completamente l’uso dell’arto sinistro…ma aveva ancora lo sguardo come arma e fissò i suoi occhi verdi su di lui.
Se le occhiatacce fossero armi, Nina avrebbe ucciso molte più persone di quanto non aveva fatto con armi da fuoco e a mani nude.
Lui ricambiò lo sguardo, abbozzando un sarcastico sorriso, la sua già espressione cinica del viso d’intensificò. Schiuse le labbra per parlare, ma le parole gli morirono in gola. Un’esplosione e la porta d’ingresso si frantumò in mille pezzi.
Tutto ciò che videro inizialmente fu solo del fumo grigio, oltre questo due sagome.
Un uomo e una donna per la precisione, nonostante l’atmosfera caliginosa il perimetro dei corpi era nitido.
Qualche secondo trascorse in assoluto silenzio, poi le sagome s’ingrandirono, fino a oltrepassare la coltre grigiastra e ad apparire allo sguardo dei presenti.
Kazuja si sistemò al meglio per difendersi o attaccare, dipendeva da come si sarebbe svolta la faccenda. La ragazza bionda di lui adesso vedeva solo le spalle, poi tornò a fissare gli ultimi arrivati.
La donna si portò le mani avanti e le scosse:
- No, no, aspetta. Non siamo venuti per combattere. Guardaci, siamo disarmati- aggiunse
sollevando le mani.
Il ragazzo che le era accanto non aprì bocca, se ne stava con le braccia conserte, il viso serio nonostante i lineamenti delicati. I capelli castano chiaro gli scendevano fino alla nuca e gli incorniciavano il viso, le punte ribelli.
Gli occhi color nocciola non esprimevano alcuno stato emozionale particolare e a lungo andare avrebbero imparato che quella era una sua caratteristica. Indossava una canottiera grigia, completata da un giubbotto corto in vita, nero, il collo in pelliccia brizzolata e i pantaloni scuri, adornati in vita da un trio di cinture in metallo, alle quali era attaccata una spada, dalla lama doppia e il manico corvino. Aveva l’aria di essere pesante, ma lui pareva non sentire il fardello.
Intanto la ragazza sembrava molto più preoccupata del suo accompagnatore a spiegare la situazione, ora era avanzata di qualche passo. Una delle sue peculiarità non era certo la bellezza, ma aveva comunque un suo fascino: fisico asciutto, il viso, forse troppo squadrato, era incorniciato da due ciocche di capelli color miele che le scendevano oltre le spalle, i lunghi capelli erano trattenuti sul capo.
Kazuja Mishima scrutò entrambi da capo a piedi. Si fermò al livello della vita e pensò “siamo disarmati? Idioti!”
- Disarmati, eh? Suppongo sia una spada giocattolo quella…- l'uomo con un cenno del capo indicò l’arma trasportata dal ragazzo.
La donna che gli era accanto si affaccio in avanti e scorse la spada, inviando poi un’occhiataccia al padrone dell’arma, aprì la bocca per replicare, si sarebbe arrampicata sugli specchi, data la situazione era inevitabile, ma doveva almeno provarci, altrimenti sarebbero passati al piano B.
Non ce ne fu bisogno: vide la ragazza bionda dietro l’uomo barcollare e istintivamente strillò il suo nome. Kazuja si voltò appena in tempo per afferrare la bella irlandese, prima che si accasciasse al suolo, rischiando per lo più di sbattere la testa o la spalla già malridotta.
Era ginocchioni con Nina adagiata sulle sue cosce quando la donna apparsa dal nulla si avvicinò, chinandosi a sua volta passò la mano sul viso madido di sudore della ragazza bionda.
Lui fece per dire qualcosa, ma lei lo anticipò:
- Ha la febbre molto alta. La ferita deve averle fatto infezione. Dobbiamo subito portarla al ritrovo-
- Conosci il suo nome!? Per chi lavorate? - accennò un ghigno – Ma è ovvio, Heihachi Mishima vi ha mandato ad uccidermi. Ditegli che suo figlio… -
- Squall, prendi Nina- le parole di Kazuja sembrarono disperdersi nell’aria.
Adesso la donna si era alzata e lo guardava dall’alto. Non fece resistenza quando il ragazzo con la spada, Squall, o per lo meno così era stato chiamato, prelevò Nina e si diresse oltre l’uscio , o quel che ne rimaneva.
Anche Kazuja adesso era in piedi, di fronte alla donna che non spiccicò parola se non dopo che Squall fosse uscito.
Si presentò con il nome di Quistis Trepe, senza abbassare lo sguardo dinnanzi a quel Kazuja Mishima che la sovrastava in altezza peso e stazza. 

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