In a land of make believe, they don't believe in me.

di Panda_Ellie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** American Idiot. ***
Capitolo 2: *** Jesus of Suburbia (pt. 1) ***
Capitolo 3: *** City of the damned. (pt. 2) ***



Capitolo 1
*** American Idiot. ***


  American Idiot 

Con la televisione accesa incessantemente da ore, era difficile anche solo pensare. Non che Jimmy lo facesse più del necessario, eh.  
 Quel ronzio meccanico in sottofondo bruciava i neuroni: per non parlare della voce acuta delle conduttrici televisive che faceva venire il voltastomaco tanto suonava stupida.  
Jimmy se ne era sempre stato  lì come tutta la sua famiglia, su quel divano verde, a fissare il piccolo schermo.
E, come gli altri americani medi, si beveva ogni giorno le migliaia di cazzate che politici, giornalisti e semplici puttane vomitavano ogni giorno davanti alle telecamere.
Tra un panino di Mc Donald’s (che poi gli Americani non mangiano mica sempre al fast food, ma perché dovremmo essere politicamente corretti? Generalizziamo pure) e un sorso di Coca- Cola light per tenere sotto controllo il lardo incombente, quando si facevano le tre del pomeriggio suo padre faceva scivolare pietosamente un dito sul telecomando e si sparava un paio d’ore di telefilm demenziali imbottiti di risate finte pre-registrate.
Quando queste partivano, anche lui rideva meccanicamente contorcendo la bocca in una smorfia che assomigliava di più a un ghigno, e poi tornava subito serio.
Sua madre, invece, passava il suo tempo a leggere le riviste per casalinghe dove trovava un sacco di ricette che però non le riuscivano mai bene.

Jimmy era un bravo ragazzo.
Che diamine, era americano. Non si drogava, non uccideva e non rubava. Ogni tanto accompagnava persino sua madre in chiesa.
I suoi genitori erano piuttosto soddisfatti di questo figlio normale.
Jimmy era anche grigio: tutto in lui rispecchiava quel colore, tranne i suoi audaci occhi verdi che riflettevano quella rabbia in lui che non si poteva nascondere. Rabbia apparentemente immotivata, che aveva ereditato da suo padre, ma che in realtà aveva radici profonde.
Era grigio, e non avrebbe potuto essere altro, essendo figlio della rabbia nera di suo padre e dell’amore bianco di sua madre.
Poi, l’estate dei suoi diciott’anni, qualcosa gli era piombato addosso come una secchiata d’acqua gelata.  Aprì gli occhi, anzi, li spalancò come se stesse vedendo il mondo per la prima volta.
Ed era una merda.

All’improvviso comprese tutto il cinismo, l’ipocrisia, il finto buonismo e il moralismo che straripavano su ogni canale televisivo, sulle pagine dei giornali che non servivano più a diffondere le notizie ma a tenere sotto controllo il pensiero della massa. Comprendeva i segreti e gli inganni che il governo costruiva per non permettere alle persone di ribellarsi a quella schiavitù mediatica, i messaggi subliminali che  fottevano il cervello alla società del consumo: una società artificiosa e malata, creata appositamente per comprare oggetti inutili prodotti nei Paesi del Terzo Mondo con un costo di manodopera ridicolo.
Tutto ciò gli creò un profondo scompiglio interiore, e Jimmy per la prima volta in vita sua non aveva certezze.
“Ma come?! Eppure parlavano di libertà, di democrazia, di diritti! La politica di questo Paese non è forse incentrata sul rispetto e sull’equità? Devo davvero pensare che tutto ciò era … solamente una bugia?” Si infervorò sempre di più, mentre grondava sudore tanta era la rabbia che cresceva in lui.
“Una bandiera a stelle e strisce non basta da sola a tutelare una Nazione? Non è forse questo ciò che chiamano orgoglio di una nazione? NON VOGLIO ESSERE UN ALTRO IDIOTA AMERICANO!” Urlò il ragazzo, spegnendo la tv con un calcio e mandando in frantumi lo schermo.

O meglio, così avrebbe voluto reagire.
Tutto quello che fece fu borbottare queste parole a mezza bocca, mentre sua madre sollevava confusa gli occhi dai carciofi che stava friggendo.
“Tesoro, cosa dici?” fece dolcemente la donna, accarezzandogli una guancia.
Jimmy allontanò fermamente la mano della madre, distogliendo lo sguardo altrove, mentre andava a chiudersi in camera sua.
“Sai, mamma…” mormorò prima di chiudere la porta.
“L’ultima volta che ho letto un passo della Bibbia si parlava di un Gesù che predicava il bene e amava gli umili e i deboli, perdonava le prostitute e i peccatori e se veniva picchiato non reagiva. Io non predico il bene, ma non predico nemmeno il male. Non amo gli umili e i deboli, ma sono uno di loro.
Perdono le prostitute e i peccatori, o meglio, non mi interessa ciò che fanno finché non riguarda me. E se vengo picchiato non reagisco neanch’io, sennò mi picchiano il doppio più forte.  Mi sento una versione di Gesù distorta e sformata. Più debole, ma anche più umana. Forse sono il Gesù di periferia.”




La parola a chi ha scritto la roBBBa sopra: 
Ciao cari, grazie per aver letto fin qui e che la pace sia con voi. 
Adorando i Green Day non potevo non fare una fanfiction su American Idiot, che è uno dei miei album preferiti perché un pò mi rispecchia. Se mi lasciate una recensione mi fa piacere! Specie se questo primo capitolo vi ha fatto abbastanza cagare ditelo, così magari i prossimi saranno un pò meglio. 
Detto ciò la smetto di scrivere minchiate!
Un abbraccione!
-- Ellie-chan -- 

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Capitolo 2
*** Jesus of Suburbia (pt. 1) ***


Jesus of Suburbia
 
JIMMY:
Forse è già giorno da un pezzo.
Apro un pò gli occhi: non tanto, quanto mi basta per guardare Sidney, la ragazza bionda seduta davanti a me.
E' carina.
Il vecchio muro ricoperto di graffiti alle sue spalle non si addice ad una creatura dall'aspetto così dolce ma allo stesso tempo crudele. Non le si addice nemmeno il ragazzo che sta dormendo vicino a lei.
Geloso, io? Beh, perchè mai? Non è mica la mia ragazza. E anche se lo fosse non mi importerebbe più di tanto. 
Ha i capelli scompigliati e fradici di birra, ed è mezza nuda. Sta dormendo con un'espressione talmente innocente e tenera da sembrare finta, una perfetta bambolina cocainomane. 
Richiudo gli occhi gonfi e stanchi, con le palpebre che pesano come il piombo. 
No, un'altra notte come quella appena passata non la reggo, giuro.
Questa è l'ultima volta che prendo parte a queste 'nottate tra amici' dove al mattino ti senti già morto.
Con la testa che scoppia, le voci dei miei amici in sottofondo suonano ovattate , e mi rimbombano in ogni angolo del cervello.
Mi ci vuole un pò per capire che in realtà non sta parlando nessuno.
Vorrei sdraiarmi e dormire un pò...
Mi viene da vomitare e ho tutte le ossa doloranti, e come se non bastasse sono sdraiato per terra sul cemento freddo e duro.
"Che ore sono?" domando con una voce che non è la mia.
Girando gli occhi intorno, vedo che anche gli altri sono nel mio stesso pietoso stato. 
Oltre ai miei amici c' è altra gente che non ho mai visto prima: quanti saremo, una ventina? 
Una ventina di adolescenti buttati per terra sotto un ponte da qualche parte in questa città soffocante.
Ieri notte si moriva dal caldo, eppure ora mi trema la mascella dal freddo.
Cerco in giro i miei vestiti (perché mi sono spogliato? speriamo che fra nove mesi non mi ritrovi padre di due gemelli) e li trovo completamente zuppi sotto un cumulo di lattine di birra gocciolanti. Li strizzo alla bell'e meglio e, infilandomi le Converse nere, tento di rianimare i miei compagni di nottata che giacciono ancora sul cemento più morti che vivi.
 
Passano un paio d'ore di agonia. Forse ho dormito , e ho anche sognato un pò.                                                     Cammino a passo svelto, senza incrociare gli sguardi delle svariate persone che incontro lì, sotto quel ponte di periferia per evitare di prendere le botte proprio oggi che mi sento così a pezzi.
Sidney è  seduta scompostamente su una vecchia poltrona in cuoio abbandonata, e sembra aspettarsi che le dica qualcosa. Dio, questa donna è pazza. 
"Ti ho visto con lui" esordisco, avvicinandomi con espressione neutra. 
Mi chino sopra di lei, fissandola negli occhi.
Sono grigi e grandi, e molto luminosi, anche  se sono ricoperti da palettate di trucco nero che le conferiscono un'aria volgare (il che è anche corretto, in effetti).
"Chi hai visto, scusa?" chiede retoricamente. 
"Non prendermi per il culo. " continuo sullo stesso tono, guardandola senza espressione.
E' così? Sono stato 'tradito'? Immagino che dovrei incazzarmi di più, anche se non stavamo ufficialmente insieme.
"Che vuoi da me, Jimmy? Me lo porto a letto, e allora?" sussurra la ragazza, sfrontata. Sembra davvero decisa.
"Cos'è lui per te? Cos'ero io per te?" 
Lei ride, sarcasticamente infastidita dalla mia domanda. 
Scuote la testa, come a rifiutare ciò che sta pensando.
"Cosa cazzo è per te?!" urlo, avvicinandomi di più.
Lei non sembra affatto spaventata, ne ha passate di peggiori. Continua a guardarmi negli occhi senza tremare, totalmente priva di qualsiasi esitazione. Per certi versi quasi la ammiro. 
"Un amico: qualcuno che amavo."
Aggrotto un sopracciglio con espressione sorpresa.
"E un ricordo."          
Un pò di orgoglio subentra prepotentemente nelle mie parole. 
"Beh, senti un pò una cosa, allora. Io non  ti amo. Tu non sarai nemmeno un ricordo."     
Lei si avvicina provocatoria al mio viso, sfiorando il mio naso con il suo,.
"Bel tatuaggio." sussurra allontanandosi leggermente, riferendosi a quello raffigurato sul mio collo.
Le mordo le labbra con irruenza per un istante, poi mi allontano a passo svelto guardandola con aria di sfida.
Lei scatta dalla poltrona, mentre la rabbia le esplode dentro. Raccoglie un sasso dal suolo, lo scaglia con violenza verso il muro. Trema dal nervoso, e sembra davvero sul punto di crollare. 
"Vaffanculo!" urla, rivolgendosi a me.
Poi anche lei fa per andarsene, esausta.
Vedendola in quello stato, come un idiota non posso fare a meno di correrle dietro, mentre lei singhiozza sommessamente.
"Che ci sarà dopo di me?" 
La sbatto al muro con un gesto deciso, reprimendo i suoi tentativi di divincolarsi dalla mia stretta.
Piange nervosamente e cerca di allontanarmi. 
"Tu." le dico, puntandole un dito sulla fronte.
"Tu sei solo un paio di tette. E' quello che sei sempre stata per me." 
Lei, agitata, comincia ad ansimare e con uno spintone mi allontana, per poi accasciarsi a terra. 
Stavolta me ne vado davvero. 
 
 
 
 
Cammino, anzi, corro.
Corro senza guardare in faccia quella massa di 'gioventù bruciata', come la definiscono i vecchi, che come me è in questo luogo senza un preciso motivo, perché non c'è nessuno che ci proponga un'alternativa migliore. 
 
 
 

L'autrice racconta (?): 
Ciao a tutti e grazie per aver letto fin qui! 'Jesus of Suburbia', la seconda traccia di American Idiot, come forse sapete è divisa in cinque parti. Ho scelto di analizzare ognuna di esse separatamente, perché sono piuttosto diverse tra loro. In questa prima parte mi sono ispirata anche al video ufficiale di Jesus of Suburbia (tutto ciò non è raccontato nel testo della canzone, che si limita a dare un'idea di come era l'ambiente in cui viveva Jimmy). Spero che vi sia piaciuta, e mi farebbe piacere ricevere le vostre recensioni! 
Un bacione, 
-- Ellie-chan -- 

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Capitolo 3
*** City of the damned. (pt. 2) ***


City of the damned:

Saranno state le tre di mattina, e stavano tutti ballando e bevendo a volontà.
Nel locale c’era, come ogni sera, un gran casino, ed era impossibile anche solo camminare per la folla che c’era ammassata tra quattro mura.
Jimmy stava male.
Aveva anche lui trascorso la prima parte della sua serata a ridere in maniera impersonale e a muoversi rigidamente con la musica assordante ingurgitando quantità esorbitanti di alcool.
Ora stava davvero male.
Ma non era solo la nausea causata dagli alcoolici. Certo, voleva vomitare. Ma non era solo questo.
Avrebbe voluto vomitare anche tutto ciò che lo circondava e che lo stava uccidendo dentro.  Forse era già morto da un pezzo.                                                                                                                                                                 Sentiva un peso all’altezza dello stomaco, che non era causato solo dalla vodka.
Ad un certo punto, sentiva che questo vuoto avrebbe finito per inghiottirlo, come un buco nero.
E così fece l’unica cosa idiota che poteva fare.
Si chiuse in bagno, forse aspettando di essere salvato. Ma da chi? Davvero importa a qualcuno dei problemi degli altri?
Era una stanzetta piccola e malconcia, con i muri scalcinati e imbrattati di graffiti.
In quel momento, si adattava perfettamente al suo stato d’animo.
Sbatté violentemente la porta, e si sedette per terra con la testa tra le mani.
Doveva cercare di riacquistare un minimo di capacità intellettive, anche se sotto l’effetto dell’alcool  la cosa non era così semplice.
Chi c’era stata la scorsa notte nel suo letto?
Jamie… Jackie… qualcosa del genere.
O forse, con lei aveva fatto sesso due notti fa.
Ma del resto, cosa importa?
Si ricordava solo i suoi capelli biondi e quella sensazione di calore che aveva provato sulla sua pelle: un calore che trasmetteva molte sensazioni diverse, alcune anche molto belle. Però si raffreddava facilmente, e in fretta.
Appena Jimmy riaprì gli occhi, faceva di nuovo freddo.
Jamie (o Jackie…) si era rivestita in fretta e, dopo una passata di rossetto, se n’era andata.
-Non sono mai abbastanza. Qualsiasi cosa io faccia o sia, sono sempre questo idiota- pensò, guardando la sua immagine riflessa nello specchio scheggiato.
D’impulso estrasse un grosso pennarello nero, indelebile.
Cominciò, con un misto d’isteria e disperazione, a disegnare il suo autoritratto sullo specchio, ricalcando il suo riflesso rendendolo tuttavia quasi una caricatura.
Era così, lui? Pensò, guardando il risultato. Davvero appariva così agli occhi degli altri?
Beh, forse in 4D. Ma la sostanza era quella.
Guardandosi, vedeva quei capelli neri sparati in aria.
E quegli occhi verdi, cerchiati di nero anch’essi.
Jimmy era solo, immerso nel suo nero, in quella città di dannati. In quella maledettissima città della morte.
Dove quando nasci hai già un destino segnato, e sai  già quale sarà la tua fine. Altro che cattive amicizie e brutte compagnie. La verità, che nessuno voleva ammettere, era che chi nasceva in quella Sodoma del nuovo millennio era già predestinato a tutto questo.
I condannati a morte che abitavano quel luogo posto alla fine di un’altra autostrada dispersa non avrebbero mai potuto salvarlo, Jimmy lo sapeva.
Avrebbe dovuto salvarsi da solo, avrebbe dovuto uscire di lì esclusivamente con le proprie forze.
Li vedeva, i dodicenni in giro per le strade alle quattro del mattino con le bottiglie di superalcolici in mano. Le tredicenni si prostituivano nei bagni delle scuole in cambio di qualche pasticca.                                                                        I quattordicenni pieni di lividi e graffi dopo aver cercato la lite con qualcuno più forte di loro.
Quelle facce di bambini persi nel vuoto, induriti e incattiviti da quella vita straziante che conducevano.  Le facce che dovrebbero raccontare la spensieratezza dei primi anni dell’adolescenza, guardavano invece la gente con rabbia unita ad una celata richiesta di aiuto.
Ma a nessuno sembra importare davvero.
DEAD”.  Scrisse Jimmy sul muro di quel bagno.
Lo scrisse grande, in modo che tutti potessero sapere cosa li attendeva in quella città.
Che stupido.
Avvisava gli altri, quando il primo a perdersi era lui.
Il volume della musica di là era persino aumentato. Meglio, pensò Jimmy.
Urlò fino a perdere il fiato, finché i polmoni avvizziti dalla nicotina non sembrarono sul punto di scoppiare.
Urlava per non piangere come una ragazzina, urlava per cercare una liberazione da qualche parte.
Forse urlava anche per fare in modo che qualcuno lo sentisse.
Il suo omonimo del cielo sembrava ignorarlo.
Così al Gesù della Periferia non restava che urlare.
 
 


MESSAGGIO DELL’AUTRICE:
Boh, questo capitolo è un po’ moscio forse. C’è solo la depressione di Jimmy xD Tuttavia volevo dedicare almeno un capitolo a ciò che ha dentro questo ragazzo… Come sempre se il capitolo vi è piaciuto recensite, se non vi è piaciuto recensite ugualmente!
Un bacione e a presto!
-- Ellie-chan -- 

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