Nemici per la vita

di La Mutaforma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non può piovere per sempre ***
Capitolo 2: *** Caos d'amore ***
Capitolo 3: *** Il sadico amore di un carceriere ***
Capitolo 4: *** Pugni sotto le stelle ***
Capitolo 5: *** Ad est, dove sorge il sole ***



Capitolo 1
*** Non può piovere per sempre ***


Let the sky fall, when it crumbles

We will stand tall

Face it all together 

-Adele, Skyfall-

 

 

Bouchart è morto.

La gente mormorava di questo per le strade Kyrenia. Maria Thorpe sorrideva sotto il cappuccio, e attendeva al molo l’arrivo della sua nave.

“Brutto tempo vero per salpare?”

Altair comparve accanto a lei come se si fosse magicamente materializzato al suo fianco.

“Dannato Assassino! La smetti di comparire così all’improvviso?”

Il siriano prese qualche passo sul pontile; le assi di legno scricchiolarono sotto i suoi passi. “Io non partirei oggi. Il cielo è pesante”

“La mia nave non è la tua nave” precisò Maria. L’altro fece una bassa risata, e si voltò verso di lei, gli occhi scuri che sembravano indagare tra i suoi pensieri.

“Hai atteso a lungo, aspettare un altro giorno non sarà così insopportabile”

“Non vedo l’ora di non vedere più il tuo brutto ghigno, assassino. È quasi più spaventoso della tua lama”

Altair non rispose e le voltò le spalle, allontanandosi nell’aria salata.

Maria sospirò, poi si arrese e lo seguì a testa bassa. Anche ora, pur non essendo legata, non poteva staccarsi da quell’uomo.

Chiuse gli occhi, per non vedere il suo disonore, e si lasciò guidare dai passi di Altair.

 

Pensò acremente che con la morte di Bouchart non c’era più nessun legame con i templari, né per necessità né per vendetta.

Con un sospiro, Maria pensò che ancora una volta nella sua vita non conosceva il suo posto nel mondo.

“Sei silenziosa” osservò Altair, assente, senza fermarsi né voltarsi indietro per incontrare i suoi occhi.

“Deve essere la tua presenza a farmi quest’effetto”

“Prego?”

“Non ho nulla da dirti, Assassino” tagliò corto la giovane donna, sputando quelle parole come veleno. Un veleno a cui Altair sembrava essere immune.

Eppure Maria notò una lieve variazione della sua andatura, come se improvvisamente avesse accelerato il passo.

“A volte vorrei colmare il silenzio…” sussurrò lui, a testa bassa, senza motivo.

“Non credevo che il silenzio ti infastidisse”

Non ci fu più nulla da replicare.

Maria rivolse una pigra occhiata alla città: Kyrenia era come tutti i giorni, non più grigia del solito. Il cielo era gravoso, tristo. Del colore del piombo e delle spade.

Il cielo perfetto per una battaglia. O per un timido e disinteressato duello verbale.

“Però ogni tanto comunicare non sarebbe male” rifletté lei. Odiava i silenzi lunghi e inutili. Ad Altair sfuggì un breve sorriso.

“Per cominciare potresti rallentare il passo. Hai vergogna di farti vedere accanto ad una donna che non è la tua schiava?” lo provocò lei, ironizzante.

Forse non del tutto.

L’assassino si fermò per strada e voltò il capo verso di lei. Maria lo sorprese con in volto un sorriso lieve, non di scherno o di cattiveria.

Era quasi come se stesse sorridendo; anzi, stava sorridendo per davvero, abilità che fino ad allora la templare non credeva avrebbe mai riscontrato in lui.

Il siriano attese che lo raggiungesse, poi riprese a camminare al suo fianco.

“Ah, sono contro la schiavitù, dovresti saperlo”

A Maria quasi sfuggì una battutaccia, ma si morse la lingua.

Era stufa di litigare se vinceva sempre lui. Era stufa di perdere.

“…Stupido moralismo da assassino” biascicò. Altair non diede segno di ascoltarla.

 

La pioggia li colse stanchi e impreparati. Altair fece un rapido scatto e cominciò a correre, sotto l’ombra dei letti sporgenti, dove la pioggia non lo bagnava; poi, si lanciò nella prima porta divelta che trovo; un umido fienile. Maria, correndo alla cieca alle sue spalle, si bagnò dalla testa ai piedi, come l’assassino poté notare dopo averla vista entrare nel fienile. La sua tunica bianca completamente zuppa aderiva al corpo snello e tonico, e Altair finse di non notarlo, voltando lo sguardo.

Maria bestemmiò nella sua lingua, e sciolse la treccia stretta a crocchia intorno alla testa, lasciando ricadere sulla schiena una cascata di riccioli castani.

“Ecco perché ti considero l’essere vivente più inutile sulla Terra! Potevo partire e prendere quella dannata nave. Adesso non sarei qui bloccata dalla pioggia insieme a te” disse lei, rabbiosa.

Altair strisciò silenziosamente al suo fianco, sulla paglia.

“In alternativa puoi uscire e andare dove ti pare, se ti infastidisce la mia presenza”

“…Sei peggio di un ragazzino capriccioso” concluse Maria, smuovendo la lunga chioma e massaggiandosi le tempie “Smettila di osservarmi. Mi da sui nervi. Terribilmente!”

Era vero, Altair la osservava spesso. Ma non per studiarla. Semplicemente per guardarla, per comprendere i suoi motivi.

La bellezza caotica di quella donna non era oggetto di studio; di contemplazione.

Maria avvertiva quella pesantezza e se ne crucciava, voltando gli occhi per non vedere quanto la stesse fissando.

“Sei bagnata” mormorò con voce ferma l’assassino.

“I miei vestiti si asciugheranno”

“Togliteli” disse, con tono autoritario.

“Non mi spoglio davanti a te. Scordatelo” gli rispose lei, scandendo lentamente ogni sillaba della parola. 

Evidentemente, non era stato così autoritario.

Altair rimase in silenzio, poi si slacciò la cintura di cuoio e la fascia in vita. Infine, con movimenti decisi, sotto gli occhi increduli di Maria, si sfilò la lunga tunica bianca e gliela porse.

“Spogliati. E mettiti questa”

La ragazza lo fissò con disprezzo, poi gli tirò la tunica dalla mano con malagrazia, e gli ordinò di voltarsi di spalle, anche se Altair l’aveva già fatto. La luce di un lampo illuminò la schiena muscolosa dell’assassino.

E nonostante le buone intenzioni, il siriano non poté fare a meno di trattenere gli occhi, e il muto sguardo si posò indietro, nascosto nell’ombra, a contemplare il grigio pallore delle spalle di Maria mentre si infilava la sua tunica.

“E’ larga”

“E’ asciutta”

“E tu?” fece un sarcastico sorriso “Gelerai”

“Un assassino deve esercitare il proprio corpo al caldo e al gelo. Sono abituato”

“Anche i templari lo fanno. Mi hai dato la tunica perché sono una fragile donnina” masticò quelle parole con una cattiveria che non poteva che essere femminile “oppure per galanteria? Le persone come te in Inghilterra le chiamiamo gentleman. O idiot”

“Non sei una fragile donnina” detto da Altair sembrava più dolce, più pacato “Ma qui se ti ammali, muori. Non siamo in Inghilterra”

Maria avrebbe con piacere ribattuto, ma la bloccò un grosso colpo di tosse.

Dopo ciò, replicare sarebbe stato inutile e patetico.

“Un templare in meno ti farebbe comodo, no?”

Ci fu un lungo silenzio, poi Altair si stese nella paglia, con un sospiro. “Durerà a lungo. Dormi, e riposati”

Maria non rispose.

“Partirò” pensò tra sé e sé “E andrò lontano. Non importa dove. Andrò lontano, e fuggirò da qui, come un uccello senza ali. In tutti i modi possibili, me ne andrò. Da questo e da qualunque altro paese”

Si sdraiò lontano da lui, dandogli le spalle.

Perché devi fuggire, se ti ricorderai di lui tutta la vita?

Prima di crollare nel sonno, tra la paglia e l’umidità, osservò la fragile porta di legno sbattuta dalla pioggia e dal vento.

Non può piovere per sempre.

Sognò Altair che la osservava.

Forse sogno non era.

 

Quando riaprì gli occhi, Altair era seduto nella paglia esattamente dove lo aveva lasciato la notte prima. Riconobbe prima la schiena bruna e massiccia, poi i capelli neri e corti che aveva solo intravisto la notte prima. 

“Aspettavi che mi svegliassi?”

Altair aveva lo sguardo perso, distante. “Mi beatificavo della quiete dopo la pioggia. E del tuo silenzio”

La donna brontolò qualcosa in inglese. Poi gli ordinò di non voltarsi, fin quando non gli lanciò sulle spalle la tunica bianca.

“…Immagino che questo sia il tuo modo tutto inglese per ringraziarmi” osservò il siriano, incominciando a vestirsi.

“Vai a fanculo”

Altair rise. “Lo sospettavo”

Quando furono di nuovo faccia a faccia, Maria aveva annodato i lunghi capelli in una treccia confusa, poco ordinata. L’assassino la guardò con una punta di tenerezza, e fece un mezzo sorriso.

“Bene. Adesso andiamo a mangiare. Ah, e stai bene senza cappuccio. Sembri quasi umano” disse Maria, incisiva. L’altro quasi rise, accarezzandosi la barba ruvida sul mento che spuntava dall’ombra che il cappuccio gli gettava sul viso.

“Lo prendo per un complimento”

“E nonostante tutto ti sei coperto il volto. Hai qualche problema con la luce?” Maria non poteva vivere se non ironizzava sulle sue tradizioni da assassino. Non poteva sconfiggerlo in combattimento; in alternativa lo prendeva in giro, fin quando Altair non le avrebbe mozzato la lingua con la lama celata. “Per caso sei timido?”

“Se ti farà sentire più a tuo agio” disse lui, senza smuoversi minimamente, nonostante le sue provocazioni "Cercherò di stare a viso scoperto il più possibile. Lo prometto”

Si allontanarono nella luce del mattino, camminando distanti come due sconosciuti.  

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Capitolo 2
*** Caos d'amore ***


Al tocco dell'amore, tutti diventano poeti

-Platone

 

 

Maria lo sorprese con una serie di pergamene sul tavolo, nella stanza dove soleva chiudersi per fare-chissà-cosa. Pensare, probabilmente. Anche se lo faceva spesso.

Quando arrivò sulla porta si chiese cosa l’avesse condotta fin lì, perché si trovasse davanti a quella porta di legno.

Sospirando, si disse che era troppo tardi per tornare indietro.

Non è troppo tardi. Sei ancora fuori.

Spinse la porta con leggerezza e tranquillità, e gettando uno sguardo dentro la stanza ebbe il tempo di vedere l’assassino che si voltava verso la porta. I suoi occhi turbati si accesero di una vaga consapevolezza quando la vide sulla soglia.

“Problemi?”

Ecco, ora è troppo tardi.

Maria sussultò, ma cercò di mantenere un certo contegno; prese un grosso respiro, così grosso che quasi si strozzò, e Altair se ne accorse. Un sorrisino si dipinse sul suo volto scoperto.

Scoperto.

S c o p e r t o.

Aveva dei begli occhi, dal taglio lievemente obliquo, ma grandi e scuri. Inespressivi.

“Oh, non sapevo fossi qui” mormorò lei in risposta. Si maledisse per il tono limpido, e la voce sconnessa; sembrava si stesse scusando.

“Tranquilla” disse. Senza infierire. Avrebbe potuto umiliarla. Era una brava persona “Dai, entra”

Forse non era esattamente una brava persona.

Disgraziato.

“Mi dicesti che avevi letto qualcosa di filosofia”

“Sì”

Quando il mio istruttore mi reputava ancora meritevole per capirla. Allora era diverso.

Altair le mostrò con un mezzo sorriso trionfante le varie pergamene. Sembravano antiche e consumate, e puzzavano. Di muffa. Terribilmente.

Forse lui era troppo soddisfatto per rendersene conto.

“Me le ha vendute un mercante per pochi soldi. Sai cosa sono?”

“Non capisco questa lingua. Cos’è?” chiese Maria, sporgendosi sulla sua spalla, per vedere meglio. Ebbe un vago senso di vertigine, e non seppe dire con certezza se fosse per la sua vicinanza o l’odore di vecchio.

“Greco. Sono degli scritti di Platone”

Chissà perché la sua voce era orgogliosa e ammirata. Quelle carte vecchie dovevano avere un grande valore per lui.

“Sembrano interessanti” disse, paradossalmente con disinteresse.

“Lo sono”

“Non conosco il greco, e non so chi sia Platone” pronunciò la donna, apparentemente senza vergogna  “Ma..”

“Puoi restare lo stesso” disse, secco.

Lei fece per replicare, poi sorrise, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Corro il rischio di imparare qualcosa?” fece lei, ironica, sedendosi con leggerezza su una sedia di legno scricchiolante. Gli strappò un sorrisino, mentre metteva ordine tra le sue pergamene.

“Solo se decidi di aprire la tua mente” disse “O il tuo cuore”

Maria sgranò gli occhi. “Il mio cuore?”

Lui annuì, sorridendo al suo smarrimento, e scivolò dalla mano leggera di Maria poggiata sulla sua spalla, spostandosi verso la scrivania.

“Vuoi che legga?”

“Sentiamo”

Altair fece scorrere rapidamente gli occhi sulla pergamena ingiallita, poi sorrise.

Così, incomprensibilmente.

“Questo è un brano del Fedro”

Maria esitò. “E’ molto difficile da tradurre?”

“No, non molto. Parla dell’amore”

Lei sbuffò, annoiata, e incrociò le braccia. “Ne so più di tutti i tuoi amati filosofi. Passa avanti”

“Dubito che la nostra idea di amore sia simile a quella degli antichi. Nella tua immensa saggezza ti renderai conto che sapere qualcosa in più potrebbe essere utile. Chissà, magari lo troverai interessante”

Maria aprì la bocca per ribattere, ma l’assassino non attese il suo permesso, perché ebbe cura di cominciare a leggere subito. Il greco su quelle labbra non sembrava una lingua strana. Era quasi dolce, musicale.

Aveva un bel suono. Altair doveva aver studiato molto.

“Tu sai che non ho capito niente, vero?”

“Sei impaziente, noto” ridacchiò il siriano “Forse conviene compiacere non coloro che chiedono con insistenza, ma coloro che sono maggiormente in grado di contraccambiare il favore; e non coloro che si limitano a chiederlo, ma coloro che ne sono degni; non quanti godranno della tua giovinezza, ma quanti ti renderanno partecipe dei loro beni quando sarai diventato vecchio ; non coloro che, raggiunto lo scopo, se ne vanteranno con gli altri, ma coloro che, per pudore, non faranno parola con nessuno; non quelli che si curano di te per poco tempo, ma quelli che ti saranno amici allo stesso modo per tutta la vita; non coloro che, una volta appagato il desiderio, cercheranno un pretesto per litigare, ma coloro che, quando sarà sfiorita la tua giovinezza, proprio allora ti mostreranno il loro valore. Ricordati quindi di quanto ti ho detto e rifletti sul fatto che, mentre gli amici rimproverano gli innamorati pensando che il loro sia un comportamento negativo, al contrario mai nessuno dei familiari critica coloro che non sono innamorati dicendo che a causa della loro condizione curano male i propri interessi”

Seguì un attimo di silenzio, come se la stanza stessa volesse assimilare meglio quelle parole. Anche Maria taceva, sia per incomprensione sia per stupore. Altair aveva una bella voce, e sapeva parlare, come chi comprende le parole che pronuncia.

“Come ti sembra?”

“Gli antichi avevano una strana idea dell’amore” commentò sarcastica la templare.

“Non credo. Non è molto diverso da come lo intendiamo. Dopotutto ha scritto delle cose molto chiare e accettabili. L’idea di fondo è che l’amore esista solo tra le anime”

Maria sbuffò, e le sue mani si contrassero sulla tunica bianca, fino a farsi sbiancare le nocche.

“Un amore così non esiste”

Era una sentenza pesante, non buttata lì per caso. Altair pensò che dentro di essa vi fossero un po’ riassunte le sue motivazioni, il suo modo di essere.

Il siriano cercò di non guardarla, per metterla in disagio.

“Hai ragione. Forse un amore non esiste. Però esistono le persone”

“Le persone fanno schifo”

Lui rise leggermente. “Probabile. Ma la vita mi ha insegnato che le persone sono difficili, e dobbiamo comprendere i loro motivi. I loro perché. Sono sicuro che molti templari sono entrati nell’ordine perché credevano davvero in quello che facevano, non per malvagità, come mi hanno insegnato. Converrai anche tu che non tutti gli assassini sono così male”

Sbuffò ancora, sprezzante.

“Non entriamo in questi discorsi, assassino”

“Speravo che dopo tanto tempo, avrei ottenuto l’onore di essere chiamato per nome”

 “Non conosco altri assassini. Solo il peggiore” Maria sorrise.

“Come puoi dirlo?”

“Hai ucciso Robert”

Era la prima volta che Altair si vergognava, pur non provando rimorso per quello che aveva fatto. Agiva nel giusto. Era sicuro di sé.

Un giorno anche lei avrebbe capito.  

“Lo amavi molto?”

“A chi ti riferisci?”

“A Di Sable” precisò Altair. La sua voce tremò nel pronunciare quel nome.

Anche lei sussultò, ma per ben altre ragioni. Abbassò gli occhi. “No. Non l’ho mai amato. Non ho mai amato nessuno. Però avevo uno strano legame con lui. Pensavo che mi avrebbe fatta sentire migliore di quello che sono” sul suo bel viso si materializzò una maschera di amarezza “Come avrebbe potuto lui farmi diventare migliore?”

“Penso che tu abbia ragione”

Maria sorrise lievemente, e lo guardò negli occhi. “Tu invece hai mai amato qualcuno?”

Rifletté. Pensò che non valeva la pena di mentire. “Sì, una volta. Fu molto tempo fa. Si chiamava Adha”

“Ti ha piantato quando ha scoperto che sei un assassino?”

Altair respirò forte. “E’ morta”

A quelle parole la ragazza deglutì rumorosamente; avrebbe voluto darsi della stupida, e prendersi a schiaffi.

“Perdonami. Non volevo deriderti”

“Tranquilla. E’ passato molto tempo”

Gli sorrise dolcemente, e fece scivolare una mano tra le sue. “Questo non vuol dire che io ti possa sbeffeggiare. Scusami”

Le sue dita erano infreddolite, sottili e affusolate. Ma erano dure, abituate alla violenza, e non all’affetto. Qualcosa di quella mano però lo fece sussultare, e non ebbe il coraggio di stringerla tra le sue. Avrebbe potuto restare a guardarla a lungo, e a perdonarla molte altre volte per il suo atteggiamento poco rispettoso.

Fuori, su Kyrenia aveva ricominciato a piovere. Maria accolse il ticchettio della pioggia con un moto di stizza, e si sollevò per andare alla finestra.

“Maledizione”

“Cosa c’è? La pioggia ti infastidisce? Dicono che in Inghilterra piova molto”

“La pioggia mi infastidisce quando devo partire. Non prenderò mai quella nave…” sospirò la ragazza, poggiando i gomiti al davanzale. E sembrava così bella, così poetica, con quegli occhi intensi e il viso corrucciato.

Guardava la pioggia e aspettava sul davanzale che tornasse il sole. Sembrava un dipinto.

“Altair” cominciò lei, titubante.

“Dimmi, Maria”

Il suo cuore ebbe una convulsione. Lo aveva chiamato per nome. E detto da lei aveva un bel suono. Meno duro, meno diretto. Sembrava fluttuare su quelle labbra, per giungere al suo udito come una carezza, come un bacio.

“Desideri mai fuggire?”

Lui indugiò, chiudendo gli occhi. “Dipende da cosa fuggire”

“Fuggire dal mondo” precisò.

Nella stanza umida si condensò un sospiro. Di entrambi.

Altair aprì gli occhi scuri come la notte. “Continuamente”

 

Quella notte, Maria stava seduta nel suo letto, tremante sotto la camicia di lino che aveva comprato al mercato sul porto per poche monete in vista della partenza.

Si strinse le mani in grembo; sull’anulare, dove l’anello pulsava e bruciava dolorosamente, pur non essendo più lì.

Si chinò verso il pavimento, dove aveva ammucchiato i suoi vestiti, e trasse dai calzoni quel dono, l’ultimo anello che la legava alla catena dei templari.

Si vergognò di sé stessa, e di tutte le sue aspettative passate.

Lo lanciò con rabbia verso la finestra.

Non lo rivide mai più.

 

Maria non era la sola a non dormire. L’assassino nella stanza di fianco stava sdraiato nelle lenzuola, gli occhi aperti a scrutare il buio.

Si sollevò piano, stancamente, con un mormorio confuso, ma abbastanza silenzioso da non far rumore.

Si sedette alla scrivania e accese una candela, dicendosi che avrebbe tradotto qualche altra pergamena. La filosofia avrebbe occupato la sua mente, avrebbe coperto quella parte lesa dei suoi pensieri. Sarebbe stato più sereno.

Come da sempre, per stare meglio studiava. Il mondo nelle parole dei filosofi sembrava meno pesante. E sufficientemente complicato a livello metafisico per dimenticare tutto il resto.

Prese un foglio e intinse la penna nell’inchiostro, ma non fu per scrivere. Fece prima lo schizzo di un corpo, aggraziato, morbido. Un corpo di donna.

Sorrise, pensando che era la sua mano a desiderarla, mentre con la penna accarezzava quel corpo leggiadro, quelle spalle coperte dai lunghi capelli lisci, che terminavano a volte in alcuni boccoli sciolti, spontanei.

E lui la desiderava. Desiderava essere parte di quel disordine, di quel caos, che vedeva dentro di lei, dentro i suoi occhi.  

Quando terminò di disegnarle il viso, le fece un piccolo sorriso; poco veritiero, in base a ciò che sapeva di Maria.

Quanto avrebbe dato per un sorriso…

Gli occhi, rivolti verso di lui, sembravano osservarlo dolcemente. Maria sorrideva. 

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Capitolo 3
*** Il sadico amore di un carceriere ***


Di nuovo mi assilla Eros,

che scioglie le membra

dolceamara, invincibile creatura

-Saffo, frammento 130

 

 

Passarono altri due giorni.

Umidi, freddi giorni ventosi. La nave attraccò e ripartì, ma Maria ritornava ogni volta a casa, come se avesse solo fatto una passeggiata al mercato.

E forse l’aveva fatta davvero, ma Altair capiva quanto mentiva. Perché la immaginava al porto, con i gomiti piantati nelle gambe per appoggiare il mento sulle mani, e guardare lontano, con quello sguardo prigioniero che già le aveva visto quel giorno di pioggia, sul davanzale della sua finestra.

E allora taceva e si chiedeva per quanto ancora sarebbe durato.

A quel punto ogni istante era prezioso.

Ogni sguardo era l’ultimo. Ogni parola prima che sgusciasse dalla porta era un addio.

Altair si prese il viso in una mano, e sospirando stancamente si chiese come sarebbe stata la vita senza vedere più i suoi occhi.

L’avrebbe vista inerme allontanarsi sulla sua nave, quando sarebbe stato troppo tardi per amarla.

Troppo tardi per capire di averla persa per sempre.

 

“Oggi parto”

Quella dichiarazione fu accolta con silenzio. Altair strinse le labbra, pensando che in fondo non aveva nessun diritto su di lei. Era una donna libera.

“Buon viaggio”

“Non ho detto adesso parto

“Non ha molta importanza”

Maria fece un sorrisino, e si sedette sullo scranno di legno dove stava scrivendo. Altair ebbe solo il tempo di trattenere un gemito sorpreso, spostando i suoi scritti.

“Spero di non aver urtato la tua sensibilità da assassino” fece lei, provocatoria.

“Anche se lo avessi fatto, non lo avrei dato a vedere” rispose il siriano, con un’innaturale distacco, come se la cose davvero non gli importasse. Maria sorrise.

“Però in questo modo non saprei se l’avessi fatto o meno”

“La cosa continua a non avere alcuna importanza” borbottò l’uomo, scuro in volto. Maria dondolò le gambe davanti a sé, e pensò a quando era bambina, e giocava nel grigiore della sua casa, in Inghilterra.

A volte le succedeva. Succede un po’ a tutti di ripensare alla propria casa. Anche se quella non era mai stata casa per lei. A distanza di anni, Maria continuava a pensare a quel luogo come il teatro dei suoi fallimenti.

“Ho sentito che faranno una festa in città”

Altair non rispose.

“Penso che andrò lì prima di partire”

La sua voce si ancorò al medesimo silenzio.

“Forse dovresti venire anche tu. Insomma, sei stato tu a liberare Cipro dai templari, isn’t it?”

Ancora una volta l’assassino rimase in silenzio, con la voce che gli si era raggomitolata in qualche angolo buio tra le corde vocali.

Per quanto fosse stato contrario, Altair non emise un suono, né mutò espressione; non davanti agli occhi azzurri di Maria.

 

La templare aveva ragione, la città era in festa.

Era la prima volta che Maria gli camminava davanti, e lui la seguiva quasi a stento, per non perderla di vista nella folla, gli occhi puntati sulla crocchia color castano intenso sul capo. Per le strade tutti cantavano, ognuno nella sua lingua; alcuni in arabo, altri in greco, molti in dialetto cipriota.

La folla si era riunita davanti la chiesa. C’era musica, le donne ballavano.

Maria le guardava con occhi estasiati.

“Sai” disse, poggiandogli la mano sul braccio “Quando ero bambina non mi piaceva ballare. Le danze inglesi sono noiose, si ripetono sempre negli stessi movimenti. Il giorno del mio matrimonio” pronunciò quella parola con un’infinta amarezza “Mi sentivo soffocare. Non potevo sopportarlo”

I suoi occhi seguirono i movimenti di una bella cortigiana vestita di porpora. Altair provò ad immaginare quel giorno, ma non disse nulla.

“Adesso resterei qui a fissarli per ore, mentre ballano. Sono felici” rifletté “Si può essere felici, Altair?” chiese poi, con smarrimento quasi infantile.

Lui sorrise, con pari amarezza. “Si può provare, Maria”

Alcune danzatrici si avvicinarono all’assassino, che d’impulso si ritrasse, nascondendo il viso nel cappuccio. Si accorse rapidamente che l’obbiettivo non era lui, ma la templare, che trascinarono via in un turbinio di gonne e di veli trasparenti orlati di monete e corallini. Maria sussultò, e si voltò istintivamente verso Altair, alla ricerca dei suoi occhi, della sua mano che la aiutasse.

Ma lui sorrise, quasi beffardo. E lei, presa da un’incontenibile frenesia, cominciò a ballare, nella cerchia delle danzatrici.

Saltava, e ballava con gli occhi chiusi, stretti, con un tiepido sorriso sulle labbra. Perché sentiva che la folla cantava, che la gente batteva le mani, e Altair la guardava sogghignando leggermente.

Sentiva che il popolo era felice, e questo le metteva gioia.

Danzava, e probabilmente in modo sgraziato e scoordinato, ma lei non lo vedeva e non le importava. Non importava a nessuno. Avrebbe davvero potuto non smettere.

 

Fu un tuono. I ciprioti alzarono gli occhi al cielo, e quando la pioggia cominciò a cadere, la folla si disperse come uno stormo di piccioni spaventati. Improvvisamente in piazza, sotto un cielo sempre più livido, rimasero solo Maria, che ancora danzava sotto la pioggia, e Altair.

Lei rise, e oscillò verso di lui, priva di equilibrio, e si mantenne sulla sua spalla. Il siriano, statuario, la bloccò per un braccio e l’aiuto a reggersi in piedi.

“Credevo che non avrei più smesso, assassino”

Il sorriso le morì sulle labbra, e si liberò dalla sua mano, voltandogli le spalle, con rabbia. Maria era strana, imprevedibile. Volubile come il mare.

Il mare. Una tempesta.

“Maria”

La ragazza si gettò sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le dita.

“Maria, andiamo a casa, sta piovendo a dirotto” disse lui, prendendole delicatamente una spalla. Invece la ragazza si liberò della sua stretta, e afferrò un sasso da terra, per scagliarlo contro di lui.

Altair non si spostò nemmeno, e la pietra colpì con un sibilo un’abitazione poco distante. La cosa dovette darle un vago senso di soddisfazione, perché prese un’altra pietra, e stavolta la lanciò verso l’alto.

E poi un’altra, e un’altra ancora. Come se volesse lapidare il cielo.

Altair cercò di avvicinarsi con cautela, e strinse le labbra, non riuscendo a capire se stesse piangendo, o se fosse solo la pioggia che le bagnava il viso. Le scivolò alle spalle, e la avvolse tra le sue braccia, sussurrandole all’orecchio per calmarla. Lei gridava, rabbiosa, disperata.

E piangeva. Anche se entrambi avrebbero preferito non saperlo.

La voltò tra le sue braccia per guardarla negli occhi, stringendole le mani sulle spalle per immobilizzarla.

“Maria” cominciò lui, con voce ferma ma non severa “Maria calmati, sta calma”

Un lampo le illuminò per un istante il viso; riprese a respirare.

La luce le diede tregua. O forse fu solo l’acqua che le colava dai vestiti, il freddo che la faceva rabbrividire, oppure la stanchezza di tutto quel continuo gridare.

Altair la riaccompagnò a casa sorreggendola per le spalle; per tutto il tragitto non smise di piovere, né Maria riuscì a smettere di piangere.

 

Altair aprì con violenza la porta dell’abitazione, e la spinse delicatamente al coperto.

L’acqua gocciolò fitta dai loro vestiti; ai suoi piedi si formò una larga pozzanghera scura. Avrebbe potuto chinarsi e osservare il suo riflesso distorto.

Nell’acqua e negli occhi di Maria.  

L’assassino tacque, e poggiò la schiena alla porta; fuori la pioggia batteva con violenza sulle pietre del lastricato della strada, come se non volesse smettere, come se ormai fosse tardi per sperare di vedere il sole.

Maria sembrava frustrata, pur non piangendo, e si slacciò gli stivali con una violenza tale da farsi male. Si sciolse il mantello, lasciandolo affogare nel lago che si era creato ai suoi piedi, poi la cintura in vita e i calzoni scuri.

Altair provò a ribattere, chiedendole almeno di andare nella sua stanza. Maria gli lanciò contro la cintura, soffocando un mezzo grido di stizza. Lui non fece altro che afferrarla prontamente con la mano.

La fibbia gli colpì il moncherino, ma faceva più male guardarla soffrire in quel modo. Come un gabbiano che si dibatteva, a cui avevano tagliato le ali.

Non meritava quel dolore.

“Cosa c’è, Assassino? Non hai mai visto le gambe di una signora? La cosa ti imbarazza?!”

Lo mandò al diavolo prima che potesse anche solo considerare l’idea di rispondere, mentre la vedeva voltargli le spalle e sbattere la porta della sua stanza.

Dentro, l’assassino la sentì gridare, lamentarsi, bestemmiare, e tirare calci al letto.

Con un sospiro, ripensò a quando era bambino, quando catturava i colombi bianchi sulle mura di Masyaf. E li teneva tra le mani, stretti, mentre si dimenavano per liberarsi.

Maria non era molto diversa.

Cercò di scacciare quel pensiero, mentre si slacciava la cintura e si sfilava la lunga tunica grondante d’acqua.

Aveva paura di stringere troppo la presa e farla soffocare tra le sue dita.

 

A che prezzo posso tenerti con me? Come posso amarti se sono la causa del tuo soffrire?

 

Esitò sulla porta, poi bussò educatamente con le nocche sulla porta.

Preferì mostrarsi con un contegno deciso; magari avrebbe dato sicurezza anche a lei.

Spinse la porta.

“Maria”

La ragazza era seduta su una sponda del letto, e gli dava le spalle. Altair trattenne il fiato; avrebbe potuto giurare di riuscire a contare la miriade di gocce d’acqua sulle spalle e tra i lunghi capelli scuri.

“Maria. Ti ho portato qualcosa con cui asciugarti”

“Mettilo da qualche parte” rispose lei, senza voltarsi. Altair strinse tra le dita il panno di lino, incerto, poi si avvicinò cautamente, come avrebbe fatto un gatto. I suoi passi non fecero rumore, nemmeno quando si inginocchiò davanti a lei e le scostò i capelli al viso, asciugandole le guance.

Sperò che non fossero davvero lacrime. Non poteva vantare molta esperienza sul campo consolatorio; non avrebbe potuto fare nulla per farla star bene.

“Maria”

Le accarezzò il viso pallido con il lino, asciugandole la tempia.

“Non dire nulla. Non sopporto che tu mi veda così” fece lei, scostando il viso di lato, per non incontrare i suoi occhi scuri che sembravano vedere ogni cosa.

“Anche io non lo sopporto”

Le asciugò il collo e la spalla con delicatezza, ma non senza strapparle qualche gemito pieno di rabbia.

“Vai via Altair, sei l’ultima persona che vorrei vedere in questo momento”

L’assassino la scrutò in viso, e si sentì quasi affogare in quegli occhi cristallini in cui non scorgeva sincerità.

Si alzò e lasciò la stanza in silenzio, come solo un assassino avrebbe potuto fare.

 

Ora dormiva.

Era già successo altre volte che entrasse nella sua stanza; la sera, quando il mondo era più calmo, e meno caotico.

Solo i pensieri non trovavano pace, vorticandogli intorno e materializzandosi in mille immagini. Silenziosi come spine, riuscivano a tenerlo agitato, quando invece c’erano tante cose a cui pensare.

Allora è proprio vero che gli innamorati non dormono? Che i loro occhi ciechi non sanno chiudersi? Che il loro cuore non conosce riposo?

Scivolò senza far rumore dietro la porta, strisciando nelle ombre accanto al suo letto.

Maria lasciava sempre una candela accesa, e sotto quella tenue luce, l’assassino riusciva a vedere i suoi lineamenti morbidi, quel viso imbronciato anche nel sonno. Era sicuro che stesse sognando, e avrebbe voluto sapere a cosa pensasse.

Avrebbe voluto maledirsi, perché ogni volta si riprometteva che sarebbe stata l’ultima.

Invece tornava, silenzioso come un incubo, e avrebbe potuto guardarla tutta la notte; lei, i suoi lunghi capelli color della terra, le sue mani che stringevano il lenzuolo.

E allora si sentiva il cuore caldo, e stringeva con rabbia le labbra, per convincersi che quello non era solo il semplice capriccio di ragazzino alla prima cotta.

Allungò le dita verso il suo viso, senza riuscire a trattenerle. La sua guancia era morbida, liscia e calda. Pensò che se Maria lo avesse saputo, si sarebbe arrabbiata.

Molto.

Eppure quella consapevolezza non fu sufficiente ad allontanarlo.

Altair lasciò vagare i polpastrelli sulla candida pelle della ragazza, scivolando sulla piega del collo. Avvertì il suo respiro caldo, regolare, tranquillo, e si morse il labbro, come a volersi infliggere una nuova cicatrice.

Sono davvero… questo? Un folle e disperato carceriere che si rallegra del dolore della sua prigioniera? Da dove nasce questa follia? Da dove nasce questo sadismo?

Maria si voltò verso di lui, e i suoi occhi brillarono nella luce della candela.

Da lei? Da …me? Dai miei sentimenti?

Lui tirò indietro la mano, come se avesse sfiorato una lingua di fuoco.

“Maria!”

Lei non sembrava stupefatta.

“Ho freddo. Vieni qui” mormorò lei, facendogli spazio nel letto. Altair rimase interdetto per alcuni istanti, poi si sollevò dal pavimento e si sedette accanto a lei.

“Levati le scarpe idiot! Spero sinceramente che ti sia lavato le mani” fece la donna, stizzita ma con voce assonnata, voltandogli le spalle. Se prima era stato indeciso sulla sua identità, adesso non stentava a riconoscerla, e questo gli strappò un sorriso. Era lei, era Maria.

Cosa c’è di puro nell’amore se si ama in questo modo? Invece di elevarci al cielo questo sentimento ci fa soffrire, ci fa disperare. Ci fa perdere la ragione.

L’amore è davvero un dono degli dei? Oppure è l’espressione del caos nella nostra vita?  

Rimase immobile, come in attesa, poi cominciò a slacciarsi le fibbie degli stivali.

Non aveva addosso nient’altro se non un paio di calzoni che aveva trovato in una cassa, l’unica cosa asciutta che potesse indossare.

Non disse altre parole, e scivolò sotto le lenzuola, stringendo delicatamente la ragazza a sé.

“Dimmi che non mi ami e che saremo nemici per sempre” sussurrò lei, tra i capelli e il guanciale. L’assassino la avvolse tra le sue braccia con più convinzione e le poggiò la guancia asciutta sulla spalla.

“Per te, Maria, qualsiasi cosa”

“Allora dillo. Me ne convincerei”

“Sognalo. E fa finta che lo abbia detto per davvero”

Era la prima volta per Maria che divideva il letto con un uomo per dormire.

 


 

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Capitolo 4
*** Pugni sotto le stelle ***


Ecco, tutta la long fic è nata da questo capitolo. Il mio preferito, per la precisione. L'ho letto e l'ho riletto fino allo svenimento, ma non è importante. Avevo detto a blazethecat31 che ci sarebbe una scena lemon. Me duele, il momento era perfetto così come l'avevo immaginato lungo la strada per andare a scuola.

Non è la conclusione di niente, ma è la parte di rilievo di tutta 'sta storia. La conclusione, a mio parere, ha meno spessore, ma anche questo non è importante. Ci sono Altair e Maria. Già questo basta per farmi luccicare gli occhi.

Saluti, e join the brotherhood.

_mutata 

 



Dov’è amore, è dolore.

-Plauto

 

 

La mattina dopo Altair si svegliò da solo. Le braccia allargate nel letto, piene di sogni. Era così solo che pensò di aver sognato tutto.

Si convinse del contrario quando vide che la stanza che aveva rinchiuso i suoi desideri la notte precedente era quella di Maria.

L’assassino si sollevò dal letto, ancora confuso, e uscì dalla stanza, giusto in tempo per vedere Maria entrare dalla porta d’ingresso, con un cartoccio tra le mani.

“Oh, ti ho svegliato?”

Altair la guardò, assente, e indicò quello che aveva tra le dita. Lei sorrise e gli mostrò una forma di pane ancora fumante.

“Dovresti tenere più al sicuro le tue monete” disse la templare, con un sorriso scaltro. Lui si prese un pezzo di pane senza chiedere il permesso. Era morbido, si spezzava ma senza sbriciolarsi.

“E’ ancora caldo”

Maria lo assaggiò, e gli sorrise. “E’ buono”

Attesero, come se avessero dovuto riprendere a parlare da un momento all’altro, con il pane tra i denti e le parole a fior di labbra.

Quando i loro sguardi si incontrarono e videro il riflesso della consapevolezza del ricordo, di quel ricordo, abbassarono gli occhi, e si dileguarono in direzioni diverse senza proferir parola.   

 

Maria rimase inquieta per il resto della giornata. Anche quando il sole era ormai alto nel cielo, e mangiò da sola in silenzio, seduta su una sedia scricchiolante.

E rimase seduta lì anche quando non c’era più nulla da mangiare, fissando il vuoto.

Cercò di non pensare; era molto difficile.

Altair non era più uscito dalla sua stanza. Era chiuso lì, a scrivere chissà cosa. Con tutta probabilità traduceva, e magari non ricordava nulla di quello che si erano detti, di come si erano toccati.

Ti ricordi di me, assassino?

Ricordava che aveva intrecciato le dita alle sue, e lui l’aveva stretta forte, senza mai essere invasivo.

La cosa che più la terrorizzava era che avrebbe potuto farlo entrare nel suo cuore con la stessa facilità con cui l’aveva lasciato entrare nel suo letto.

Ma lui avrebbe potuto amarla come l’aveva rispettata nei suoi ricordi?

Maria non avrebbe mai permesso che lui sgusciasse fuori dai suoi pensieri come un’ombra, come un maledetto assassino.

Lo avrebbe odiato per tutta la vita.

Avrei preferito la tua lama nel collo, piuttosto che un dardo velenoso nel petto.

Se capisci cosa intendo.

Fece strisciare la sedia sul pavimento, e con passi belligeranti si diresse verso la sua porta. Aveva uno sguardo duro, i pugni stretti, le labbra serrate, ma quando aprì la porta si sentì improvvisamente svuotata di tutta quella sicurezza iniziale.

Era seduto alla scrivania, con una penna tra le dita. Esattamente come aveva immaginato. Quando si voltò verso di lei appurò che non era meno inespressivo del solito.

“Sei silenzioso, assassino”

Come sempre, d’altronde.

“Mi aspettavi?”

“Gli assassini non mangiano forse?” lo apostrofò lei, provocatoria.

“Non ho molta fame. Non credevo ti fossi abituata a mangiare con me” si accorse troppo tardi della cattiveria che aveva pronunciato, e mormorò un tiepido “scusami”

Le sue scuse era affrettate, e poco sincere. Le montò dentro una rabbia che vacillò rapida in frustrazione, e la costrinse a stringere i pugni più forte mentre si avvicinava allo scranno di legno, per osservare i suoi fogli.

Tra quelli, notò un disegno. Ed era strano come un foglio tra altri fogli potesse attirare l’attenzione.

Ma non è forse così che funziona l’amore? È una persona tra le persone. E tu la ami. Pur non essendo questa diversa dalle altre persone.

Maria lo tirò lievemente, e lo tenne tra le mani. L’assassino trattenne il fiato.

“Sei bravo. È la donna che ami?”

“Sì” rispose lui, conciso.

“Non mi avevi detto che Adha fosse una guerriera”

“Non è Adha”

Un freddo silenzio calò tra di loro. Poi tutto fu chiaro, come un lampo.  

“Ti odio” disse la donna, con una voce così chiara e precisa che non si sarebbe mai potuto sbagliare sul significato di quelle parole. 

“Maria…”

“No! Non voglio essere la tua schiava, né la tua concubina” affermò duramente la templare, glaciale, rimettendo il foglio sul tavolo.

L’espressione dell’assassino si indurì.

“Non mi sembra di averti mai trattata come tale”

“Smettila!” poi quasi lo sussurrò “Preferirei morire sotto la tua lama”

L’assassino la fissò con gli occhi sgranati. Lei indicò il suo braccio con un cenno del capo.

“Uccidimi, piuttosto. So che puoi farlo senza farmi soffrire”

“Smettila Maria” biascicò lui, mal celando un cupo rancore.

“Preferisci farmi vivere nella vergogna? Nel ricordo di quello che è successo ieri notte?”

Le parole le uscirono così, di bocca, senza ragione. Come spesso accadeva.

Le era capitato altre volte di parlare in preda alla rabbia, ma era la prima volta che diceva la verità. Qualcosa di velenoso, offensivo.

Altair strinse improvvisamente i pugni, irritato. “Cos’è successo?! Non è successo nulla di cui nessuno di noi due dovrebbe vergognarsi!”

Allora ricordi?

Respirava forte. Non era da lui irritarsi in quel modo.

“Sì invece” l’espressione di Maria era strana, enigmatica, i suoi occhi non riflettevano la battagliera vivacità che li aveva sempre caratterizzati. Il giovane siriano era senza parole, e non capì se per stupore o per rabbia. “Quella notte ti ho amato Altair. Ora me ne pento. Non avrei mai dovuto toccarti. La pelle degli assassini è viscida, e ora non riuscirò più a liberarmi di te”

L’espressione che ne risultò in Altair la fece vergognare per davvero: era quello il viso di un assassino ferito?

Altair si alzò dalla sedia, spingendola indietro.

Era la prima volta che si muoveva facendo rumore. Era strano da accettare.

Si avvicinò a lei e la afferrò con violenza per le spalle; pensò davvero che l’avrebbe uccisa. E forse aveva ragione. Non lo avrebbe biasimato.  

“Io ti amo, Maria. Da sempre. Ma non me ne vergogno”

La tirò a sé quasi con violenza e la baciò. E lei ebbe solo il tempo di spalancare gli occhi, prima di essere invasa dalla sensazione di quelle labbra umide, calde. Era una disperata passione, un’urgenza irrefrenabile, che forse davvero le aveva celato da sempre, fino a diventare il suo tormento.

Staccò con rabbia le labbra dalle sue e si allontanò, con la foga di non vedere i suoi occhi, stringendo i pugni e senza voltarsi indietro.

Maria osservò la sua schiena allontanarsi, e ricadde in ginocchio sul pavimento.

Urlò che lo odiava. Con quanto fiato aveva in gola.

Sperò sinceramente che non l’avesse sentita.

 

Per alcuni minuti lo odiò, come si può odiare solo chi si ama.

Era un rancore che si riversava dentro di lei, e la lacerava dentro, mentre stava seduta sul pavimento, con le ginocchia piegate contro il petto.

Lo odiava mentre piangeva, mentre non pensava che a lui, mentre si maldiceva, mentre gli augurava di morire. Mentre, contro ogni sua volontà, lo amava. Perché non riusciva ad odiarlo come aveva odiato i suoi genitori, suo marito, gli altri templari.

La pioggia.

Lo odiava più della sua stessa vita, da molto prima che lo invitasse nel suo cuore.

Tirò su con il naso, come quando era bambina, e andò verso la porta. Tirò verso di sé la maniglia e si sorprese di quanto fosse stato facile guardare fuori.

Era quasi sera, e per strada non c’era quasi nessuno. Il cielo era di un azzurro cupo, quel colore che tanto le piaceva, dopo il tramonto.

L’ultima luce per le strade, prima che diventasse tutto buio.

So dove sei.

Maria sgusciò dalla porta, richiudendola alle sue spalle. Quando realizzò di essere fuori fu troppo tardi; stava già correndo da lui.

 

Altair era seduto di spalle sulla punta del campanile. Da lì si poteva vedere ogni cosa, ogni particolare. Dove toccavi il cielo se ti mettevi in piedi la luce durava più a lungo, ed avevi un po’ gli occhi di Dio, guardando di sotto.

Maria lo raggiunse quando il cielo era già lucido di stelle.

Cielo d’oriente, che meraviglia. Si ingioiellava solo per gli amanti, e i cospiratori che si incontravano a tarda notte per tessere le loro trame.

Maria aveva rischiato più di una volta di cadere mentre si arrampicava lungo la fiancata della chiesa e poi lungo il campanile.

Solo per vederlo, e odiare il suo profilo color piombo sotto la luna.

“Sapevo di trovarti qui” disse, cercando di parlare il più lentamente possibile. Non voleva che capisse quanto fosse senza fiato per la corsa e la scalata. Non voleva che immaginasse la foga di arrivare da lui, il proposito di odiarlo mentre lo guardava in faccia.

“Perché sei venuta?” disse, alzandosi in piedi. Non sembrava temere il vuoto, camminava con notevole facilità su quella trave che sporgeva dal parapetto.

La raggiunse.

I suoi occhi erano scuri come l’acciaio, come la cattiveria.

“Ti odio” mormorò lei, più con rabbia che con sicurezza.

Altair rise leggermente, con tono beffardo. “Tutto qui?”

Non poté tollerarlo. Caricò un pugno all’indietro che gli colpì la spalla, e la sensazione di beatificazione che risultò da quel gesto la spinse a non fermarsi. Continuò a tempestargli il petto di pugni, gli tirò un calcio sul ginocchio, e lo picchiò piangendo. Sperando di fargli male. Molto male. 

Lo spinse in modo da fargli perdere l’equilibrio, si sedette su di lui strattonandolo per la tunica e riempendogli di pugni il petto.

“Ti odio! Ti odio! Odio quello che mi fai diventare! Odio quello che mi fai sentire! Odio quello che sei e come ti comporti con me!”

Il suo grido spezzò la notte, finché non cadde in singhiozzi sulla sua spalla. L’assassino non disse una parola, ma la strinse delicatamente a sé e le accarezzò la schiena.

“Va meglio?”

“Ti odio”

“Sì, ho afferrato il concetto”

Maria scivolò dalle sue braccia, scivolando di lato sulla nuda pietra. In alto, da qualche parte, brillava una falce di luna.

Rimasero in silenzio finché non ebbero il coraggio di voltarsi sulla schiena e di guardare in alto. Lui le cercò la mano, stringendogliela dolcemente.

La ragazza sussultò, in un singhiozzo.

“Stiamo prendendo la strada sbagliata Altair”

Non la guardò. “Non esistono strade sbagliate. Solo vie più difficili”

“Tu non parli” disse amaramente “Tu sembri sputare veleno”

Per quanto pensasse sinceramente quelle parole, gli strinse la mano, per sentirlo vicino e, strano a dirsi, per non lasciarlo più andare via.

“Mi dispiace” ammise lui, chiudendo gli occhi.

“Sai Altair” cominciò Maria, che non desiderava davvero le sue scuse “A volte credo di conoscerti, e penso di amarti, che potrei davvero donarti il mio cuore. Altre volte mi chiedo cosa ci sia sotto quel cappuccio, e ti odio, ti odio, ti odio di un odio così lacerante che devo smettere di odiarti, altrimenti potrei distruggermi” deglutì. La sua voce era un misto di rabbia, frustrazione, amarezza. Tutte figlie dell’amore. “Non sono stata una buona figlia, né una buona moglie, né una buona templare. Nemmeno una degna avversaria”

Altair si voltò su un fianco, deciso ad affrontare l’animo ferito di quella donna coraggiosa, battagliera, ma fragile e indecisa. Volubile come le onde, abbattuta come la curva di sabbia della baia. 

“Dovremmo esserlo?”

“Siamo nemici. Per nascita e per scelta”

“Tu ti sei allontanata dai templari” la corresse lui.

“Non puoi chiedermi di cambiare”

“Non lo farò. Non potrei mai. E non mi aspetto che tu lo faccia”

Maria sospirò. “Siamo destinati ad essere nemici”

“Siamo persone, Maria. E le persone si amano” sussurrò lui. Nel vento denso di profumi e di oriente, le sembrarono delle parole molto sagge.  

“Credi che sia lecito?”

Tutto è lecito. Le leggi degli uomini e i moralismi non possono regolare una cosa divina come l’amore, Maria”

Le venne da sorridere. Quell’uomo non si stancava mai di risponderle, di spiegarle. Si disse che era stata troppo dura con lui. Dopo tante bugie, Maria valutò che avrebbe voluto dire la verità. Una volta per tutte.  

E si stupì per come, a volte, dire la verità sia così semplice.

“Ho paura di essermi innamorata come una stupida”

Altair tacque, e osservò il cielo. “Nessuno si innamora in modo intelligente”

Si strinsero le mani e si abbracciarono sotto le stelle.

A quell’ora amarsi era quasi necessario. E i sensi di colpa erano distanti miglia e miglia; lì, ad un passo dal cielo, in un angolo di purezza e di candore, i loro tormenti non li avrebbero mai raggiunti.

Lo amò tutta la notte, e si addormentò sperando di amarlo ancora al suo risveglio.

 

 

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Capitolo 5
*** Ad est, dove sorge il sole ***


Non importa che mi amiate,

manderete un soldato incontro alla morte con un dolce ricordo.

-Rhett, Via col Vento-

 

 

Quando il sole aveva mostrato il suo volto, Maria era già al porto, con un misero bagaglio tra le mani, avvolta in un mantello lacero.

Aveva scucito con rabbia e foga la croce dei templari rossa del sangue di tutti gli innocenti che il suo ordine aveva ucciso. Adesso non si sentiva meglio, ma aveva detto addio a quel lato della sua storia.

Si volta pagina. Come per ogni cosa. Bisogna voltare pagina.

Aveva dato i suoi ultimi saluti anche ad Altair. Sperava sinceramente di non rivederlo al molo, anche se voltava gli occhi verso i vicoli, sperando di vedere comparire la sua tunica bianca.

“Parto Altair. Domani”

Aveva capito che lo avrebbe fatto davvero, stavolta.

“E dove vai?”

“Lontano”

La sua espressione era stata un misto di frustrazione e di offesa. Eppure non aveva osato trattenerla. Altair era un buon uomo, in fondo. E l’amava come nessuno aveva mai fatto, senza cercare di cambiarla.

“Fai buon viaggio”

L’era dispiaciuto averlo trattato in quel modo. Non meritava quell’addio senz’amore, senza sorriso.

Solo le sue parole, fredde, piatte. Per non mostrare quanto in realtà avrebbe sofferto la sua mancanza.

Si disse che un giorno sarebbe tornata a Cipro.

Ma quel giorno non sarai qui, vero amore mio?

 

“E tu che farai dopo la mia partenza?”

“Me ne andrò. Non c’è più nulla che mi trattenga a Cipro”

“E dove andrai?”

“Tornerò a Masyaf. Ma forse la vita non mi ha ancora dato abbastanza”

Le loro strade si erano intrecciate, ma solo per casualità, probabilmente. Come accadevano tante cose. Ma non avrebbe sopportato una vita di casualità.

Forse un giorno si sarebbero rincontrati di nuovo, per caso, tra le strade di Kyrenia, per scoprire che non avevano fatto altro che rincorrersi, cercarsi.

Ricordarsi.

Ma lei era abbastanza decisa.

“E’ una bella giornata per partire, non trovi?”

La sua mano sulla sua spalla la fece trasalire, improvvisamente, rompendo i suoi pensieri.

“Altair! Che ci fai qui?”

Lui sollevò le spalle.

“Camminavo”

“Kyrenia è grande”

Lui la fissò con sguardo cupo. “Il mondo lo è anche di più”

Maria capì a cosa si riferisse e voltò gli occhi lontano. L’equipaggio sulla nave era quasi pronto, i marinai barbuti, grossi e odorosi di alghe stavano trasportando delle pesanti giare nelle stive.

Manca poco.

“Non mi dici dove andrai?”

“No” disse lei, chiaramente, ma senza guardarlo “Potresti venire a cercarmi”

“Sarebbe difficile”

“Sarà più difficile se non lo saprai”

Altair la guardava; il suo solito sguardo cupo, ferito, ma arrendevole come non lo era mai stato.

“Attendo tue notizie quando arriverai in India”

Si voltò verso di lui. “Come fai a sapere dove sono diretta?”

L’assassino si fece scappare un sorrisetto. “Sapevo che non me lo avresti detto. Ho chiesto ad un marinaio lì intorno. Mi sei costata tre monete”

Il suo sorriso le scaldò il cuore. Era una brava persona, e non meritava quella sofferenza, non meritava di vederla partire, andare via.

E poi tornare. Perché sarebbe tornata. Ma nessuno dei due sapeva quando.

Meritava una donna che lo amava al punto tale da rinunciare all’orgoglio, alla libertà, al desiderio di fuggire e andare via.  

D’impulso gli volle bene, più dell’amore, più dell’odio, più della rabbia, e lo abbracciò, per affondare il viso nella sua spalla, in quella sua tunica bianca che aveva l’odore amaro del sangue e dell’acciaio, della tristezza.   

Lui le accarezzò le spalle con la solita delicatezza, e la strinse a sé.

“Forse siamo stati noi a imporci i divieti. Questo mondo è troppo caotico per pensare a noi, per darci ordini, per imporci cosa provare”

Maria si allontanò quanto bastava per incontrare i suoi occhi.

“Sei una persona saggia. Non ti ho mai considerato abbastanza”

“Mi hai considerato quanto basta” la corresse lui, stringendole la mano e portandosela alle labbra.

È questo il nostro ultimo bacio, il nostro addio, amore mio?

La ragazza si morse con violenza le labbra, imponendosi di non piangere, di non parlare.

Quello che voleva dire era troppo impegnativo, difficile anche pronunciarlo.

“Devo andare adesso. Non trattenermi”

Lui la accompagnò fino alla pedana, e solo lì si decise a lasciarle le dita.

“Addio”

“Fai buon viaggio” fece l’assassino, rassicurante che vedeva il suo smarrimento, la nausea che non dipendeva dalla marea, ma dal solo pensiero di non sfiorare più le sue mani.

Altair sorrise. “Andrà tutto bene. Sei libera Maria”

Parlò troppo velocemente. O troppo forte. O parlò semplicemente troppo.

“Non dimenticarmi Altair!” Lo gridò, come se non potesse fare altrimenti. L’assassino tacque, poi sorrise, pur non avendo nulla da dirle. Era commosso dalla maldestra tenerezza che gli dimostrava.

Maria era ormai sulla nave e gli tendeva la mano, come se qualcosa la stessa trascinando via.

Sei tu, Maria. Sei tu che ti allontani.

“Ti sarò sempre vicino” disse lui, con voce ferma, prima di voltarle le spalle e andare via.

Nella loro ostinatezza, non potevano fare a meno di amarsi ostinatamente.

 

Si impose con durezza di non piangere davanti a quegli uomini loschi, quella gente strana e violenta. Si allontanò verso la prua, i muscoli del viso tesi per imporsi di non piangere.

Si sporse dal parapetto di legno, osservando il mare che la inghiottiva sotto di lei.

Pensò che la libertà non era fuggire come una profuga. Dire addio come se non si potesse più tornare indietro.

La libertà è scegliere.

E nel bene o nel male, aveva scelto.

Una mano la afferrò per la spalla e un’altra che chiuse amorevolmente la bocca. Non ebbe nemmeno la possibilità di immaginare che la stessero aggredendo.

Chiuse gli occhi, sentendo quel corpo accanto al suo.

“A est, Maria. Dove sorge il sole. Cominceremo da là”

La loro ombra contro il sole era più lunga, toccava i confini dei loro pensieri.

Sotto la sua mano, quella con tutte e cinque le dita, Maria ebbe il coraggio di sorridere e di abbandonarsi contro la sua spalla.

Un gabbiano volò nel cielo che sfumava, ma lei sorrideva ancora.

Ora capiva.

Ora aveva imparato anche lei a volare. 

 


 

Orbene, siamo giunti alla fine. Quando presi in considerazione l'idea di scrivere una long fic su Altair e Maria con serietà non avrei mai immaginato di riuscire a completarla davvero. E anche se questa è una storia breve, sono soddisfatta del mio operato, nonostante il poco tempo a disposizione e la scarsa esperienza con le long. Fino a poco tempo fa ero convinta che non l'avrei mai completata (come tanti lavori iniziati e mai finiti). Quando ho trovato il finale perfetto e ho scritto l'ultima parola della storia ho capito quanto possa essere soddisfacente scrivere fino all'esaurimento, dannarsi e maledirsi per non avere idee geniali e nonostante tutto non staccare le mani dalla tastiera.

Un grazie particolare va alle mie amiche Najmee e Akefia_Hilal, per essermi state accanto mentre in testa mi vorticavano le idee da tradurre in parole. Abbiamo chiacchierato al punto tale da infettarvi con l'efpinismo. Molto grave, spero mi perdonerete e troveremo il modo di completare anche L'ALTRA LONG.  

Grazie a blazethecat31 che è stata la prima persona a leggere la storia e a darmi consigli. 

Inoltre ringrazio di tutto cuore Volpotto, che nonostante i disastri dell'adsl ha seguito la storia (come sempre, d'altronde). I tuoi commenti sono sempre graditi e molto utili, mi baso sulle tue recensioni per migliorare me stessa. 

Immagino che questa sarà la mia ultima storia su Altair e Maria (basta, non voglio friggermi il cervello e non voglio friggerlo a nessun altro) ma prima o poi tornerò con qualche altra one shot fluffosissima. 

Dopotutto, lo faccio sempre. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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