And then I've found you

di madeforharold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


And then I've found you


Capitolo I


«Sono 24 euro e 50, grazie» disse il tassista guardando Aveline dallo specchietto retrovisore, la quale si tolse frettolosamente le cuffie dalle orecchie, prese il portafoglio e pagò. Scese dall’auto, era il momento. «Eccoci, Aveline, ci siamo.» sospirò tra sé e sé. Era sola, davanti all’ingresso dell’aeroporto di Milano Malpensa. Faceva un freddo tremendo, Natale era appena passato e il gelo cominciava a farsi davvero sentire…  Percepiva il vento sul viso, era lieve, ma questo bastava a darle l’impressione che le stesse tagliando la faccia. Nonostante fossero già le otto di sera l’aeroporto traboccava di gente, o, forse, era solo una sua impressione: aveva viaggiato in aereo solo una volta ed era molto piccola, questa sarebbe stata la prima volta che avrebbe preso l’aereo da sola.

Sua madre stava traslocando dal suo nuovo compagno e, per non averla tra i piedi, l’aveva spedita a Londra da una ex collega di suo padre, che si era trasferita lì due anni prima. Il padre di Aveline era morto tre anni prima per un tumore ai polmoni, probabilmente provocato dal fumo e, adesso, sentirne anche solo l’odore la irritava. I genitori di Aveline erano separati da anni e, quando lei trascorreva i weekend da suo padre, si era molto affezionata a Gwen. 
Gwen era una di quelle persone sempre allegre, solari, con un sorriso capace di contagiare chiunque, e, forse, era proprio per questo che Aveline la stimava tanto. Inoltre, era una grande amica di suo padre ed averla accanto, in qualche modo, le avrebbe potuto dare la possibilità di sentirlo più vicino…

Varcato l’ingresso, Aveline fu travolta da un’onda di persone. C’era caos ovunque, ognuno si dirigeva in una direzione diversa e lei ebbe per un attimo l’impressione di svenire.
C’erano decorazioni natalizie appese ovunque, e, questo, in qualche modo, le dava sicurezza: amava il Natale, ma, da quando era morto suo padre gli ultimi quattro Natali erano diventati insignificanti, insipidi. Lui la portava sempre a pattinare sul ghiaccio, a visitare mercatini e a bere cioccolata, ma il momento più magico del periodo era la vigilia: era tradizione che lei passasse la vigilia di Natale con suo padre e il giorno seguente con la madre, e, per questo, era particolarmente legata al 24 dicembre: non era solo la vigilia di Natale,  ma era la loro giornata.
Suo padre era solito svegliarla puntualmente e prepararle la sua colazione preferita: i pancakes alla marmellata di mirtilli. In seguito, andavano insieme a fare la spesa per la cena; compravano davvero di tutto nonostante fossero solo in due, ma, appunto per questo, tutto doveva essere speciale.
 La sera, la portava a pattinare e, una volta rientrati, Aveline e suo padre attaccavano il puntale all’albero, esprimendo un desiderio.
Tutto questo le mancava terribilmente. D’altronde, da quando il tumore lo aveva portato via, non aveva senso festeggiare la vigilia di Natale…  non senza di lui, il suo papà, il suo magnifico papà.

La prima preoccupazione di Aveline era quella di dover imbarcare le valige, poi avrebbe fatto il check-in e forse avrebbe anche avuto il tempo di mangiare qualcosa.
Si diresse verso il suo sportello, che riconobbe dall’icona arancione ‘Easy Jet’, perché era la stessa che aveva sul biglietto. Fece imbarcare le valige e, una volta finito, si diresse subito verso il metal detector: non vedeva l’ora di imbarcarsi sull’aereo, aveva solo voglia di scappare, di cambiare aria. Prima avrebbe lasciato Milano, prima sarebbe stata meglio.
Passò anche il metal detector, e allora decise di andare a bere un cappuccino al bar. Stranamente non aveva fame e, nonostante non avesse toccato cibo dalla mattina, il suo stomaco era chiuso.
Comprò una rivista e si accorse che era ora di imbarcarsi, finalmente.
Salita sull’aereo, raggiunse la sua fila e si sedette al posto che le era stato assegnato, accanto al finestrino.
Aveline era agitata, insomma, andare a Londra, da sola… aveva paura di sentirsi smarrita e sola, ma il pensiero di Gwen che la aspettava all’aeroporto la tranquillizzò.
Adesso aveva solo voglia di riposarsi, chiudere gli occhi e ascoltare musica. L’aereo cominciò a muoversi e Aveline, senza badare alle istruzioni della hostess sulle solite procedure da prendere in caso di complicazioni, tirò fuori le cuffie dalla borsa, le infilò e chiuse gli occhi.
Quando capì che l’aereo era decollato, aprì gli occhi, tirò un sospiro di sollievo e guardò fuori dal finestrino. Finalmente era partita. Finalmente stava salutando per un po’ la sua Milano.
 
 

Aveline fu svegliata dal signore seduto di fianco a lei, che le sfiorò delicatamente il braccio. Lei trasalì, fece appena in tempo a togliersi le cuffie che lui le sussurrò: «Signorina, stiamo per atterrare»
Aveline gli accennò un mezzo sorriso. «Di già?» pensò tra sé. Aveva dormito per quasi due ore, il tempo era davvero volato, ed ora era il momento di incontrare Gwen.
Scesa dall’aereo, Aveline si diresse, quasi di corsa, a ritirare la sua valigia. Era davvero impaziente di rivedere Gwen. Non la vedeva da due anni, e, da allora, ne erano cambiate di cose…
Aveva solo voglia di gettarsi tra le sue braccia e raccontarle tutto; aveva una grande confidenza con lei, era una delle poche persone che la avevano fatta davvero sentire amata e protetta.

Una volta uscita dal gate di arrivo, Aveline si trovò di fronte un enorme ammasso di persone: chi esponeva un cartello con scritto il nome di chi aspettava, chi si guardava intorno, chi salutava con le braccia alzate, chi la fissava nella speranza di riconoscere nel suo il viso della persona attesa.
Aveline aveva l’impressione di avere una crisi di panico da un momento all’altro: c’era un chiasso assordante, gente ovunque e, cosa più importante, non riusciva a trovare Gwen.
«Aveline? Aveline, tesoro! »  sentì urlare alle sue spalle. «…Gwen!» sussurò Aveline con aria di sollievo alla vista della donna, che si dirigeva correndo verso di lei. Sul viso di Aveline esplose un sorriso a trentadue denti, quasi avesse visto un angelo volare verso di lei, il che era praticamente la stessa cosa.
«Oh tesoro, come stai? Com’è andato il viaggio? Hai perso qualcosa?» disse Gwen stringendola stretta a sé.  «B-bene, tutto bene» sussurrò timidamente Aveline: si era dimenticata di quanto Gwen fosse una donna ansiosa e premurosa, il che la rassicurò: si era preoccupata per lei, ed era una cosa che, ultimamente, le era capitato di rado.
«Sarai esausta dal viaggio, gioia. Adesso andiamo subito a casa. Vuoi mangiare qualcosa, prima?»
«No, grazie, sono a posto così..»
Nonostante avesse dormito per due buone ore, Aveline aveva solo voglia di andare a letto. Sebbene andare per la prima volta a casa di Gwen la rendesse particolarmente nervosa, adesso voleva solo infilarsi sotto le coperte, farsi una bella dormita, svegliarsi e realizzare che quello non era un sogno.
Era lontana da casa, in una città nuova tutta da scoprire, gente nuova, aria nuova, amici nuovi... Era davvero così? La vita le stava dando davvero la possibilità di ricominciare da capo?


 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

«Eccoci qui cara, siamo arrivate» disse Gwen frenando davanti a una graziosa villetta bianca. Era la tipica casa londinese: una villetta a schiera molto sviluppata in altezza, con alti finestroni tripartiti e un portone verde scuro a due ante, al quale si accedeva con alcuni scalini color mattone. Inoltre, la casa era separata dalla strada da una bassa recinzione nera, che, a sua volta, separava il giardino dal marciapiede.
«Okay Aveline, salta giù, ti prendo io la valigia». Alla vista della casa di Gwen, ad Aveline era totalmente passata la voglia di andare a letto: era entusiasta, e la casa, vista da fuori, le piaceva già molto.


Gwen tirò fuori le chiavi dalla tasca e aprì il cancello, poi salì gli scalini e aprì il portone. Dopodichè fece strada ad Aveline nel piccolo ingresso che dava accesso a tutte le stanze del piano terra. «Bene, eccoci qua, tramanderei il tour della casa a domani perché mi sembri esausta, comunque, come puoi vedere, qui c’è la cucina, che non è un granchè, ma basta e avanza per una persona sola» ridacchiò Gwen «mentre da questa parte c’è il salotto e di qui il bagno del piano terra. Oh cielo, tesoro, togli pure la giacca! Che sbadata, scusami. Appendila pure lì» disse a Aveline indicandole l’attaccapanni nell’ingresso.
«Bene, ora ti mostro la tua stanza, vieni pure.» Salite le scale si accedeva al primo piano, dove c’erano la stanza di Gwen, un altro bagno e la cabina armadio. «Ancora una rampa di scale e poi ti potrai riposare». Arrivarono dunque nella mansarda, che Gwen aveva fatto sistemare per l’arrivo di Aveline. Era una camera enorme, che, in verità, a Gwen non era mai servita, infatti la usava come stanza d’appoggio per stirare, dipingere ecc.. Per l’arrivo della ragazza aveva fatto imbiancare le pareti color pervinca, sulle quali aveva appeso qualche quadro con praterie inglesi; aveva inoltre comprato un armadio, una scrivania e un letto. La camera era semplice, ma molto carina e accogliente, d’altronde, Gwen aveva sempre avuto uno splendido gusto in fatto di arredamento.
«Okay, questa è la tua camera» disse Gwen, rompendo il silenzio che si era creato nella stanza  «ti piace?» «E’ davvero perfetta, e.. adoro il pervinca» rispose Aveline accennandole un sorriso. «Sono davvero felice che ti piaccia. Bene, allora io vado, la camera l’hai vista, il bagno pure, se ti serve qualcosa non esitare a chiedere» sorrise la donna. «Grazie mille Gwen, è bellissimo essere qui con te» disse Aveline abbracciandola. Finalmente era felice: era a Londra, con una delle poche persone care che le erano rimaste, si sentiva finalmente al sicuro.
Gwen diede un bacio sulla fronte ad Aveline e le augurò la buonanotte, dopodichè scese le scale e andò a dormire.
Aveline allorà svuotò la valigia, si mise il pigiama e s’infilò sotto le coperte, ancora incredula della situazione in cui si trovava: si sarebbe goduta il suo soggiorno a Londra al meglio, non vedeva l’ora di uscire e scoprire al meglio quella città meravigliosa. Con questo pensiero in testa, si addormentò in pochi minuti.
 
Dovevano ancora suonare le campane delle otto quando Aveline si svegliò, forse dall’entusiasmo del suo primo giorno a Londra, o forse dall’enorme fame che le era venuta durante la notte.
Fu allora che si diresse in cucina, dove trovò Gwen che cucinava i pancakes. «Oh, buongiorno Aveline, già in piedi?» le chiese Gwen stupita. «Sto facendo i pancakes che, se ben ricordo, ti piacciono tanto… hai fame?» «A dire la verità, un po’ si..» «Perfetto! Ci siamo quasi allora, un’altra rigirata e sono pronti. Che marmellata preferisci sopra? Ribes o mirtilli?» «Mirtilli, grazie» «E mirtilli sia!» le sorrise.
Aveline divorò i suoi pancakes come se non mangiasse da un secolo, poi andò a farsi una doccia e a vestirsi. Una volta pronta, scese in salotto, dove Gwen la stava aspettando.
«Sei pronta?» «Si, possiamo andare» «Perfetto, qui siamo a pochi minuti dal centro, quindi prenderemo la metro. Adesso ti faccio vedere la stazione più vicina, così poi puoi essere indipendente e andare dove vuoi, perché io lavorerò un po’ da casa in questi giorni.»
Così si incamminarono verso la stazione più vicina, che distava a pochissimi minuti dalla casa di Gwen.  Solo cinque fermate e Aveline avrebbe visto per la prima volta il centro di Londra, dal vivo.
Sulla metro, Aveline ebbe l’impressione che lì la gente fosse più calma e tranquilla: chi sfogliava il giornale sorseggiando un caffè, chi ascoltava la musica e chi parlava al telefono, era tutto come a Milano, ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, non c’era il solito caos tipico della metropolitana, la gente era di fretta, si, ma quasi non lo dava a vedere… o forse era solo una sua impressione, magari era così abbagliata dal fascino della capitale che vedeva tutto in modo diverso.
Arrivò il momento di scendere e Gwen e Aveline si diressero verso l’uscita. Una volta salite le scale, ad Aveline sembrava di sognare. Sarà stato anche un po’  per il clima natalizio che si sentiva nell’aria, d’altronde, le feste non erano ancora finite e capodanno si stava avvicinando, ma ad Aveline sembrava tutto incredibile, stupefacente, magico.
«E’ bellissimo» fu tutto quello che riuscì a dire a Gwen. «Ero sicura che avresti avuto questa reazione, è la stessa che ebbi io la prima volta che arrivai qui» le sorrise Gwen, stringendola a sé con il braccio sinistro.
Cominciò a nevicare, il che rese l’atmosfera ancora più magica. «Dai, questo sicuramente lo conosci» si rivolse Gwen a Aveline indicandole il Big Ben. Aveline era paralizzata dall’emozione, e il massimo che riuscì a fare fu sorriderle con gli occhi lucidi. Allora aprì la borsa e prese la macchina fotografica, scattò una foto al celebre orologio e poi alzò la reflex in alto, la rivolse verso lei e Gwen e scattò un’altra foto. Per Aveline era uno di quei momenti  perfetti, unici e rari che vanno immortalati per sempre.
«Aspettami un secondo qui» disse Gwen. Aveline colse allora l’occasione per fotografare tutto quello che vedeva:  voleva raccogliere tutti gli attimi di quella giornata per poi riviverseli con calma.
Dopo qualche minuto, Gwen tornò con due bicchieri fumanti di Starbucks in mano, ne diede uno a Aveline e le disse «Un mocaccino macchiato tutto per te, ora sei proprio una vera inglese». Aveline le sorrise e la abbracciò dicendole: «Grazie mille Gwen, è bellissimo essere qui con te.»

 

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