La sua vita si tinge di giallo

di avelin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** una fervida immaginazione ***
Capitolo 2: *** Non ha ancora messo gli occhiali ***



Capitolo 1
*** una fervida immaginazione ***


Non si vedeva mai bella. Mai. Si guardava allo specchio e si vedeva delusa. Quindi aveva deciso con sua mamma di andare da una dietologa. Alice era entusiasta. Andava in seconda superiore, al classico, e non aveva mai avuto un fidanzato in tutta la sua vita. In generale poteva non sembrare una cosa così assurda, ma aveva compagni di classe che avevano probabilmente già scopato. Insomma di per se era molto carina ma voleva di più, voleva essere perfetta, come le sue compagne di classe che d'altronde non erano così invidiabili. Alice era di una simpatia e positività immane ma sapeva che di quei tempi ormai la maggior parte dei ragazzi pensava soprattutto al corpo. E lei aveva un corpo che non era apprezzato, e per questo in passato era stata sempre presa di mira. Ora fortunatamente non le dicevano più 'cicciona' in faccia prendendola in giro e facendola sentire lo zimbello della scuola, ma lei era sicura che lo pensassero. E anche se non lo pensavano, sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in lei, ed essendo certa della sua bellezza interiore, il problema non poteva che essere esteriore. Non è che volesse seguire la massa, voleva solo sentirsi accettata. E per farlo doveva entrare in quei maledettissimi jeans senza fermare la circolazione. Era da circa una settimana che andava dalla dietologa, che in quel periodo aspettava un figlio. 
Suo padre non era a casa in quei giorni per lavoro, ma sua madre si. Alice era abbonata alla palestra del suo quartiere ma era già qualche giorno che non ci andava, e decisa a perdere peso, non avendo comunque troppa volgia di andare in palestra, aveva deciso di andare a fare una corsetta. Stava per uscire quando sua madre stava dando da mangiare al gatto, poi si ricordò che aveva dimenticato le cuffie in camera. così corse indietro a prenderle. Se aveva anche solo un minuto di relax Alice ascoltava la musica. Oh la musica. Per lei era droga. Pop-Rock era il suo genere. Ma suo padre, che lavorava nel campo della musica classica, ogni volta che la vedeva ascoltare altro le ricordava di avere dei cd, che lei non aveva mai neanche toccato. Adorava anche la musica classica, infatti studiava violino in conservatorio, ma niente le trasmetteva delle emozioni come i suoi idoli. Ascoltare le loro canzoni spesso la faceva piangere. Li amava. E loro erano una delle poche ragioni per cui andava avanti.
Erano le cinque del pomeriggio ma faceva già buio pesto; era dicembre.
Prese le cuffie stava per sbattere la porta quando gridò:
"Mamma! Devi uscire?"
"Si ma più tardi, aspetto che tu torni" 
Avuta la conferma del suo stazionamento in casa sino al suo ritorno, chiuse la porta, consapevole di aver lasciato dentro le chiavi.
Uscita dal palazzo, andò su una strada cuntinua, in modo da andare e tornare senza perdersi. Si infilò gli auricolari nelle orecchie e cominciò a fare una leggera corsetta. Dopo venti minuti, con un crampo alla milza si sedette ansimante sulla seggiolina di una di quelle fermate dell'autobus coperte, con un tettuccio. Passato il dolore, si avviò per il ritorno e a metà strada lo incontrò. Era in motorino e quando vide Alice rallentò e guidò alla velocità della sua corsa, con le ruote del veicolo che quasi toccavano il marciapiede sul quale lei correva. Cominciò a batterle il cuore più forte di quanto già non facesse per la corsa. Dopo averla riconosciuta, si stacco dal maciapiede e cominciò a guidare più veloce. Subito lei si rattristì pensando che lui se ne fosse andato e che per molto altro tempo non l'avrebbe più rivisto. Invece lui fece solo una decina di metri avanti, così da posizionare la moto in un angolino che probabilmente non era un parcheggio. Si tolse il casco e lo appoggiò sul sellino, poi corse da lei, che interruppe la corsa. Si guardarono.
"ciao." Alice non riuscì a rispondergli.
"Cosa fai qui con questo buio? Si gela."
"I..io stavo tornando a casa"
"Perchè correvi?" e si incamminarono verso casa di Alice.
"Niente, non è importante"
"Dai, su! Dimmelo!" così dicendo sorrise in un modo che fece rassicurare Alice.
"Stavo correndo perchè devo dimagrire"
"Cosa? Dimagrire? perchè?"
"Non voglio più parlare ora..."
"Non sei grassa. Sei bellissima, non hai bisogno di dimagrire"
"Questa è la stronzata più colossale che ab..." Lui si fermò e la bloccò afferrandola per un braccio.
"Smettila." si guardavano. Lui era decisamente più alto. Con la mano destra avvolse la sua schiena e la avvicinò a lui. Con l'altra le toccò il collo. La baciò. Pur avendo corso lei si stava congelando e lui l'aveva decisamente riscaldata. Era stato un bacio bellissimo. Quello che lei aveva sempre sognato. Dal ragazzo che aveva sempre sognato. 
Poi lui insistette per andare a casa di Alice che però non voleva. Quindi lui sarebbe solo salito in ascensore con lei e poi sarebbe tornato a casa col suo motorino. Entrati in ascensore si strinsero l'un l'altra baciandosi e rimanendo in apnea per tutto il 'viaggio'. Arrivati al piano giusto Alice lo salutò mentre scendeva le scale. Era più triste che mai.
'Bel film mentale' disse tra se e se.
Se lo era immaginato. Ed era stata più felice dello scoiattolo de " l'era glaciale " quando era riuscito finalmente a raggiungere la ghianda. Ma era tutto finito. Lui non c'era. non era sulla moto verso casa. Semplicemente non c'era. Cioè si, esisteva, Alice lo conosceva, era un suo compagno di classe delle medie che non vedeva da mesi. 
Una lacrima rigò il viso di Alice, disperata perchè credeva che quel sogno ad occhi aperti non si sarebbe mai realizzato.
Si asciugò la lacrima e suonò il campanello. Nessuno apriva. Riprovò. Ancora niente. Sua madre le aveva detto che c'era in casa. Eppure niente. Sentiva solo il gatto miagolare. Pensando che sua madre fosse uscita dimenticandosi che doveva rimanere in casa sino al ritorno di Alice, questa abbassò la testa in segno di rassgnazione. E grazie a quasto movimento del capò potè notare qualcosa che prima non aveva notato. Da sotto il portone di casa usciva qualcosa. Un liquido scuro.
Era sangue.

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Capitolo 2
*** Non ha ancora messo gli occhiali ***


Era spaurita. Non sapeva cosa fare.  Alice entrò in panico. Fece finta di dimenticare tutto e riprovò a citofonare. Non poteva essere vero, era un altro sogno ad occhi aperti, non poteva star succedendo davvero. Riprovò ancora e ancora a citofonare senza risultato. Ormai sicura che non se lo stava immaginando si bloccò. Era allibita. Non aveva la minima idea di cosa fare. Guardò un punto fisso che allo stesso tempo era il vuoto. Era paralizzata. Cominciò ad avere uno dei sui attacchi. Cominciò a respirare in modo pesante e forzato ma continuava a non riuscire a muoversi. Dopo almeno sette minuti di questo stato di totale panico si lasciò cadere a terra in un pianto disperato. Non sapeva cosa c’era dietro quella porta. Ma certo non si aspettava il meglio. Di solito il gatto miagolava sempre quando sentiva la presenza di qualcuno, specialmente se non lo vedeva, anche se questo, essendo fuori dal portone, non aveva ancora suonato il campanello. Il gatto di Alice non miagolava. E questo la angosciava ancora di più. D’improvviso si sfogò in un esplosione di lacrime. Si raggomitolò in un angolo a dondolarsi chiedendosi cosa doveva fare. Non aveva mai affrontato una situazione simile. Era sola. Suo padre non c’era. Dopo un intero quarto d’ora disperazione ebbe un’idea abbastanza razionale considerato il suo stato di shock. Si rialzò, si asciugò le lacrime e si fiondò giù dalle scale. Aveva toppa energia nelle vene per prendere l’ascensore. Uscita dal palazzo corse il più in fretta che potesse. Corse e corse. Non sapendo bene dove andare. Abitava solo da tre anni in quella città e anche se possono non sembrare così pochi, a lei non erano bastati per conoscere bene il posto. Cercava una stazione di polizia. Correva. Non si fermò a chiedere indicazioni sul dove si trovasse la più vicina. Non era neanche sicura che sarebbe riuscita tranquillamente a parlare con il poliziotto tra i singhiozzi e i blocchi. Correva. Di sicuro quella corsa sarebbe significata parecchio per la sua dieta. Ma questo ora era l’ultimo dei suoi pensieri. Correva. Vide una “P” come insegna di locale o un negozio, ma solo dopo si accorse che era una “T” di un tabacchino. doveva mettere gli occhiali. Solo da poco era andata dall’oculista e scoperto che avrebbe dovuti metterli. Ma non li aveva. Continuò a correre sinché vide una sfocata scritta blu piuttosto luminosa. Era una stazione di polizia.
Entrando vide come prima cosa un bambino su una sedia. Aspettava. Probabilmente neanche lui sapeva esattamente cosa stesse aspettando. Come entrò il bambino la guardò e lei notò una lacrima piccola che gli rigava il viso. La sua espressione invece era impassibile, senza emozioni. Ma i suoi occhi esprimevano, pur considerando la tenera età, tanta sofferenza. Alice si fermò un istante a guardarlo, commossa da questa sofferenza che vedeva in lui. Ma lei aveva delle priorità. La stanza dove stava il bambino, quella in cui si entrava una volta varcata la soglia dell’edificio, dava l’impressione di una sala d’aspetto. C’erano tante sedie tutte intorno, e al centro un tavolino con sopra solo un pacchetto di sigari e un posacenere decisamente pieno, ma non c’era assolutamente puzza di fumo. C’erano luci al neon. Rendevano tutti i colori finti e verdastri.  Alice stette lì ferma qualche minuto, per ragionare e fare il punto della situazione. Dall’unica porta che non fosse quella di entrata uscì improvvisamente un omone evidentemente amante della palestra non tanto quanto del cibo. Aveva la divisa da poliziotto. Alice si illuminò. Lui stava per addentare un enorme ciambella, e così facendo si sarebbe probabilmente anche sporcato gli adorabili baffetti. Vide Alice e allontanò quella delizia dalla sua bocca. Poi guardò il bambino.
«Fred, Steve ti ha dato notizie?»
«Chi è Steve?» chiese il bambino con voce quasi assente.
«E’ quell’altro poliziotto. Quello magro, alto, con due enormi basette!»
«Aaah si, ora ricordo. No, non è tornato e sono qui da un sacco di tempo ad aspettare»
«Quel coglione… come minimo dorme! Ma ora lo vado a svegliare io. Tranquillo Fred, troveremo i tuoi genitori. Non ti preoccupare. Sono sicuro che sono molto preoccupati per te e ti stanno cercando. Tu stai qui e continua ad aspettare. Abbi pazienza.» disse il poliziotto ciccione, e fece per uscire dalla stanza per tornare in quella da cui era venuto.
Ma prontamente Alice gli si avvicinò.
«Scusi, ho bisogno di aiuto al più presto»
«Sveglio Steve e sono subito da te»
Così uscì dalla stanza potendo finalmente addentare la sua bella ciambella. Dalla sala d’aspetto si sentivano solo urla e qualche imprecazione qua e là. Dopo poco il poliziotto ciccione tornò portandosi dietro Steve, esattamente identico alla descrizione di poco prima.
Steve cominciò a parlare col bambino dell’improvviso smarrimento, fece delle telefonate, e ogni tanto l’altro poliziotto, attento alla conversazione, interveniva.
Alice non ce la fece più ad aspettare ed assistere a quella scena che sembrava essere infinita, quindi gridò:
«Sono uscita di casa, non portandomi dietro le chiavi, e al mio ritorno da sotto il portone di casa c’era del sangue e nessuno mi apriva la porta. Ho bisogno di aiuto. Ora.»
Al poliziotto ciccione cadde la ciambella dalla bocca, che rimase aperta, all’altro si drizzarono i peli delle basette e inarcò un sopracciglio in segno di stupore. Il bambino cambiò finalmente espressione con una che sembrava semplicemente dire “oh cazzo”.
I due poliziotti poi si guardarono, si scambiarono qualche parola, poi Steve prese il bambino e lo portò nell’altra stanza, mentre quello ciccione si avvicinò ad Alice.

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