Like a silly dream

di ChandersonLover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


-Betta ti prego, non puoi…-
-Ti prego.. è tutta colpa mia. Svegliati-
-Gr..?-
-Si, sono qui. Ti prego, dimmi che stai bene…-
-Grant..-
-Si. Dio Mio, Si! Perdonami. Ti prego.-
-Io. ..-
-Betta? No. Guardami apri gli occhi. Apri gli occhi, cazzo!-
 
Se non fosse che io sia distesa per terra, nel bel mezzo di un’autostrada, ricoperta di sangue e con la vista annebbiata, nel punto più vicino alla morte di quanto io non abbia mai raggiunto, potrei persino essere felice.
Lui.
La persona per la quale io per ben 4 anni sono stata ossessionata.
Colui per il quale non ho quasi avuto vita sociale, se non tramite manufatti elettronici. Colui che ha reso la mia adolescenza un vero delirio…
E’ qui, mi tiene la testa, cercando di fermare il fiume di sangue che parte dalla mia tempia e… Sta piangendo.
Lui sta piangendo per me.
 
Grant Gustin.
 
Grant sta piangendo per me.
 
...Ma andiamo per ordine.
 
 
Tutto è cominciato circa tre settimane fa. Quando durante una lezione universitaria il mio cellulare ha iniziato a vibrare.
Guardavo distrattamente lo schermo, cercando intanto di prendere intermittenti appunti sul pensiero Kantiano.
 
-Notifiche di Twitter.-
 
“Possono aspettare” pensai, leggendo quale altro sconosciuto mi stesse scrivendo. Era divertente scambiare semplici battute con chi, dall’altra parte dello schermo, neanche lontanamente avrebbe potuto immaginare quanto la mia vita fosse complicata e quasi incomprensibile.
Poi mentre scorrevo le varie notizie, scrivendo distrattamente  i nessi dell’Estetica e dell’Analitica Trascendentale, mi resi conto che avevo ricevuto un messaggio privato.
 
-Grant Gustin ti h inviato un Direct Message-
 
“Ok sarà qualche altra esaltata che ha come nickname il suo nome”. Pensai sorridendo.
Poi abbassai lo sguardo, non avrei dovuto giudicare : anche io all’età di 16 anni, non facevo altro che parlare di lui. Costantemente e incessantemente.  
Aprii curiosa e quasi col cuore che usciva dal petto mi cadde la penna che stringevo tra le dita e mi iniziarono a tremare le mani.
 
Era lui.
 
Grant Gustin in persona mi aveva mandato un messaggio, dopo che saranno stati almeno 2 mesi che non gli scrivevo.
 
Per chi non lo sapesse, Grant Gustin, quattro anni fa ha iniziato con una piccola parte in Glee. Per poi passare a qualche episodio di CSI e Cold Case. Arrivando a 90210.
Dopo un anno di gavetta, è praticamente diventato un’icona.
E’ il protagonista di due serie televisive, portate al successo grazie a lui e nei suoi splendidi 24 anni è anche un modello di biancheria intima, seguito in tutto il mondo.
Io lo venero da quando avevo 16 anni e praticamente soltanto chi seguiva, al tempo, il famosissimo Glee, sapeva chi lui fosse.
 
Guardai la mia compagna di corso, scrutarmi con apprensione. Stavo guardando il cellulare da almeno 3 minuti senza rendermi conto di avere un’espressione ambigua.
La mia bocca era semi aperta, i miei occhi lacrimanti per non aver battuto ciglio e il cellulare nella mia mano, rischiava di cadere per quanto stessi tremando.
 
“Ciao Stalker” lessi e rilessi almeno 12 volte.
Scriveva in inglese ma, grazie a Dio, avevo preso due 30 in lingua e letteratura Britannica e riuscivo a non rendermi ridicola quando gli scrivevo di tanto in tanto, o meglio, ogni giorno, qualcosa.
O almeno fino a 2 mesi fa, quando da un giorno all’altro, compiendo i miei complicati 20 anni, decisi di darci un taglio.
Ero adulta. Frequentavo il secondo anno di università. Non avevo bisogno di racchiudermi, ancora, in un sogno.
Quella follia doveva finire.
 
Con mia sorpresa il messaggio non comprendeva soltanto quelle due parole. Continuava, ed era anche lungo abbastanza da farmi pensare che non sarei arrivata alla fine.   Forse, sarei svenuta prima.
Iniziai a pensare di essere in uno dei miei soliti stupidi sogni, ma quando la mia amica mi diede una gomitata, per farmi rendere conto che il professore di Filosofia stava guardando proprio nella mia direzione, conclusi di essere sveglia.
Abbassai lo sguardo per non farmi beccare col cellulare in bella vista tra le mani, presi un’enorme respiro e iniziai a leggere.
 
 
“Ciao Stalker.
So che questo mio messaggio ti potrà sembrare al quanto strano.
Non credere che io non mi sia reso conto di tutti i tuoi messaggi nel corso degli anni.
Mi segui da sempre, e mi ricordo di te.
Come saprai non ho tempo di rispondere nemmeno a mia madre, quindi ti chiedo scusa se non ti abbia quasi mai potuto dare una seppur piccola e veloce risposta.
Vorrei farmi perdonare. Ma non so come, anzi sono qui, da perfetto idiota, a chiederti un favore.
So che sei italiana. Lo leggo, nelle strane ma quasi sempre corrette forme in cui mi scrivi.
Bhè io sto venendo in Italia, per la settimana della moda di Milano.
Sei l’unica ragazza che può aiutarmi.
Potresti far girare questa voce, ai miei fan più affezionati?
Mi piacerebbe incontravi tutti.
Sento davvero il bisogno di dover ringraziarvi uno per uno.
Sono a Milano dal 12 al 26 giugno.
So che ti ho dato poco preavviso, ma non ero sicuro di poter restare tutto questo tempo, quindi non avevo intenzione di chiederti questo favore.
Che tu lo faccia o no, ti ringrazio di cuore per il supporto che mi hai sempre dato.
Tuo
Grant.”
 
Lessi e rilessi questa e-mail in un numero smisurato di volte.
Tornai all’idea del sogno ma non ero credibile.
Dopo, credo, la ventesima volta che rilessi quel Tuo Grant, mi sentii strattonare dalla mia amica Ludovica.
“Betta su!! Ma cosa diavolo ti succede oggi? Sono già usciti tutti e tu sei seduta in quest’aula da sola, come se non ti fossi accorta che sta già cominciando la lezione di Francese in aula 2.”
“Io…. Cosa?” alzai lo sguardo e sgranai gli occhi.
L’aula era deserta.
Diedi un’occhiata alla mia amica. Aveva il fiatone. Ero certa avesse corso per tornare in aula 6 a prendermi.
Non mi ero accorta di nulla.
Io e il mio cellulare erano le uniche cose che riuscivo a vedere.
Il mondo esterno era sparito e ancora non mi rendevo conto di quanto fosse accaduto.
“Oddio Betta. Svegliati. Vieni in classe o no?” quasi urlò Ludovica.
Era esasperata. E aveva ragione. Continuavo a fissare lo schermo e non accennavo a muovermi.
Riuscii soltanto a scuotere leggermente la testa, facendole capire che non sarei potuta andare a lezione.
“Ma, chi ti capisce amica mia!” urlò sorridendo. E mi lasciò sola.
 
-Devo rispondergli?
Cosa posso dirgli?
Chi posso contattare?
Oh cazzo devo partire per Milano.-
 
Furono alcuni dei miei innumerevoli pensieri che iniziarono a riempirmi il cervello.
 
Una cosa alla volta, pensai.
Avrei voluto rispondergli dicendo che sarei partita seduta stante per incontralo.
Che ogni cosa avrebbe avuto senso nel momento preciso in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati.
Che ogni istante della mia vita lo avevo vissuto aspettando questo momento.
Ma desistetti.
La vecchia Betta, ragazzina insicura e abitante del paese delle meraviglie, avrebbe sicuramente risposto così.
Ma la nuova Betta, no.
Lei era adulta. Lei sapeva farsi rispettare.
Seppur da uno dei ragazzi più belli e famosi di questo ingarbugliato pianeta.
La nuova Betta avrebbe rischiato, pur di non sottomettersi ancora a quello stupido sogno.
 
“Ok  non preoccuparti. Farò il possibile. Avviserò chi conosco.”
 
Risposi cercando di fare la forte.
 
Risposta fredda. Decisa. Di un’adulta.
Se aveva chiesto a me questo favore è perché sapeva che non ero più la ragazzina adorante, ai suoi piedi.
Sapeva anche lui, che erano passati 4 anni. Non potevo essere una ragazzina. Non più.
 
 
Tornai a casa. Non sarei riuscita a concentrarmi su nulla. Né sul Francese, né su nient’altro.
 
Restai distesa sul divanetto della mia stanza in affitto a Perugia, fissando il vuoto.
Sarei dovuta partire?
La risposta era ovvia : No.
Sarebbe stato uno spreco di soldi inutili.
Il mio lavoro al pub non mi avrebbe certo dato un via libera di due settimane.
Il weekend è sacro e sicuramente non sarebbero stati contenti se mi fossi assentata.
Avrei forse perso il lavoro per cosa?
Per uno stupido sogno?
Senza considerare che il 1 luglio iniziavano le sessioni di esame e io non potevo permettermi di saltarne nemmeno uno. L’università costava cara e io non potevo, non dovevo restare indietro.
No. Non sarei partita.
Avrei reclutato le sue vecchie fan, nonché mie amiche.
Gli avrei detto della settimana della moda di Milano e poi avrei spento completamente il cellulare.
Non potevo permettermi ancora di sognare.
 
 
Tornata a casa dopo il mio turno infrasettimanale al pub, presi distrattamente il cellulare dal mio letto, per spegnerlo.
 
Notifiche di Twitter.
 
Grant Gustin ti ha inviato un Direct Message.
 
Di nuovo il cuore in panne.
Di nuovo la sudorazione a mille.
Di nuovo tremavo dai capelli alle unghia.
 
“Ti ringrazio. Sapevo di poter contare su di te. Ma tra i miei fan intendevo anche te.
Ci sarai? “
 
Ok. Questa assurda giornata aveva raggiunto il limite.
 
Grant che mi invitata a conoscerlo.
 
Grant che voleva conoscermi.
 
Grant che aveva intenzione di vedermi.
 
Spensi il cellulare.
Sospirai, buttandomi sul letto.
Dopo aver riflettuto a lungo, trassi una conclusione. La più ovvia. La più ponderata :
 
Non sarei partita.





ANGOLO DELLA "SCRITTRICE"

OK. Iniziamo col dire che non sono affatto esperta di fanfiction. Cioè amo leggerle e scriverle ma non sono capace a pubblicarle. Infatti ci ho messo tipo 15 ore per capire se io abbia o non abbia segnalato gli avvertimenti giusti e se l'abbia messa nella sezione giusta. Se non fosse così, prego qualche anima pia di aiutarmi a segnalare la storia come si deve. Allora. Questa storia nasce così dal nulla. Sembra scontato e banale come presupposto ma vi giuro che è così. La protagonista Betta, in realtà è una ragazza che ho conosciuto soltanto pochi giorni fa su twitter. Abbiamo iniziato a sclerare su Grant e su una porchissima ff che pubblicava a pezzetti sul suo Twitter, tra Hunter e Sebastian( chi segue Glee saprà) e le chiesi di scrivermi una CrissColfer. Lei mi disse che al momento non poteva perchè ne aveva tante già da scrivere, su richiesta, tra cui una BRANT. Io le chiesi. Brant cosa? E lei mi spiegò : Ovviamente, Betta (lei) e Grant. Andai a dormire e la mattina mi svegliai con questo pensiero. Le inviai un messaggio twitteriano dicendole. HO deciso scrivo una Brant hot per te. Le parole hanno inziato a scorrermi sotto le dita, a lei è piaciuta, ed eccola qui per voi. Grazie a chi leggerà. A chi commenterà e a chi non lo farà. Baci Vale.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


                                                                                Capitolo 2
 
 
 
La mattina seguente mi svegliai con un enorme mal di testa. In realtà non credo che “svegliarsi” sia la giusta definizione. Non avevo chiuso occhio.
Appena le mie palpebre, cercando di alleviare la mia stanchezza, provavano ad abbassarsi, iniziavo a vederlo come se fosse lì, davanti a me.
I suoi occhi. Il suo sorriso. Sentivo persino la sua voce. Era tutto troppo strano e troppo reale, tenendo conto che, in realtà, oltre a tanti video e fotografie, io non so come lui sia.
Ma la sua voce rimbombava nitida nella mia testa ripetendo “Ci sarai? Ci sarai? Ci sarai?”
 
Ero certa di aver preso la giusta decisione. Non avevo abbastanza fondi da affrontare un viaggio del genere, per poi riuscire ad arrivare a fine mese. Era tutto troppo sbagliato, ma non riuscivo a non pensare ‘Stai perdendo l’occasione della tua vita’.
Mi alzai di malavoglia riprendendo il mio cellulare e aprendo automaticamente twitter. Quei messaggi erano ancora lì. Oramai non potevo più convincermi che fosse tutto frutto della mia immaginazione.
Aprii la nostra conversazione scrivendo, cancellando, riscrivendo e ricancellando ciò che avrei voluto dirgli.
Non sapevo come iniziare. La mia mente era convinta io dovessi rispondergli: “Ciao Grant. No, non vengo perché la tua ragazzina innamorata è sepolta nel mio passato”. Il mio cuore invece era puntato sul “Sto arrivando. Preparati perché non ti lascerò scappare facilmente”
Ovviamente nessuna delle due risposte mi sembrava sensata.
Dopo aver passato almeno 10 minuti a spremermi le meningi, puntai su qualcosa di semplice. “Magari potessi. Ho da lavorare. :( ” risposi, tremando leggermente.
Stavo davvero sprecando l’occasione della mia vita, ma mi ero riproposta di essere responsabile. Non sarei mai andata dai miei genitori dicendo: “Ehy, vorrei andare due settimane a Milano, pedinando l’uomo dei miei sogni. Potreste supportarmi?”
 
No. Non era possibile.
 
“Betta?” mi chiamò Ludovica, bussando alla mia porta.
“Hey! Arrivo!” risposi, vestendomi in fretta e correndo al bagno.
“Non sei ancora pronta??” mi rimproverò, prima che io potessi sbatterle le porta del bagno, praticamente sul naso.
“Scusa!! Ho dormito troppo” mentii, provando a darmi una sistemata, il più velocemente possibile.
Uscii e la trovai appoggiata al muro a braccia conserte. La guardai scuotendo leggermente la testa, con aria interrogativa.
“Cosa c’è?” chiesi con un pizzico di fastidio.
“Cosa c’è? Me lo chiedi pure? E’ da ieri che sei strana. E non vuoi dirmi il perché. Sono o non sono la tua migliore amica? Che diavolo è successo durante la lezione di filosofia?” ascoltai il suo interrogatorio, sbuffai e cercai di superarla, rispondendole “Faremo tardi” ma lei, cocciuta, mi trattenne per un braccio e mi riguardò arrabbiata.
“Eh no, carina! Quando vuoi salti le lezioni e pretendi che io segua i tuoi improvvisi attacchi d’ipnosi? Ora parli o giuro che chiudo la porta d’ingresso a chiavi e le butto dalla finestra!!” sorrisi per un attimo, pensando a quanto fosse uguale a me. Quando Ludovica si mette una cosa in testa, nessuno può farle cambiare idea.
“Ok.” Sbuffai, prendendo il cellulare. Arrivai ai messaggi di Twitter e glielo porsi senza fiatare. Guardò la mia mano trasparendo i suoi pensieri. “E’ pazza” avrà sicuramente pensato, ma senza parlare lo prese e iniziò a leggere. I suoi occhi si sbarrarono in un solo colpo e rimasero così per circa due minuti, mentre leggeva i suoi messaggi e le mie risposte.  Dopo poco, alzò lo sguardo con un ghigno sulle labbra, da mettere i brividi.
La guardai stringendo le palpebre in aria di sfida. Sapevo già a cosa stavo andando incontro.
“Tu sei pazza!!” urlò prima del previsto. “Non ci vai? Cioè, tu non ci vai??” chiese sbraitando.
“No, non ci vado!” le risposi, prendendomi il cellulare e sorridendo incondizionatamente, come ogni volta che leggevo il nome del mittente della mia conversazione.
“Allora non sei soltanto pazza! Sei una masochista senza perdono! Ti rendi conto che sono più di quattro anni che non fai altro che parlarmi di questo Grustin?”
“Gustin” la corressi, beccandomi un’occhiataccia.
“E’ uguale.”disse di rimando.
 La guardai ridendo. Da quattro anni chiamava Grant, ‘Grustin’ ed ancora non era riuscita ad imparare il suo nome.
“Senti. Sai che non sono il tipo da seguire un cantante o chiunque sia, alla follia, come hai fatto tu. Ma … cazzo, questo ti ha scritto! Ti ha praticamente implorato di andarlo a conoscere!!” continuò, guardandomi con aria di chi sa di avere un caso perso davanti agli occhi. Aveva ragione. Lei è l’unica con la quale, a parte vari social network, ho parlato di Grant, durante tutto questo tempo. Aveva sorbito per anni i miei monologhi e adesso che avevo Grant su un piatto d’argento e non volevo approfittarne, Ludo avrà davvero pensato di avere un’amica senza cervello.
“Non mi ha implorato. Ha soltanto fatto il gentiluomo. Mi ha chiesto un favore, non poteva non invitarmi, sarebbe stato scortese. E’ il suo lavoro essere gentile con le persone. Sta soltanto eseguendo il suo dovere” risposi, col cuore in mano. Sapevo benissimo che mi aveva chiesto di andare, soltanto per gentilezza. Figuriamoci se io avessi fatto la differenza con Grant Gustin.
Una Betta vale l’altra.
Ha contattato me perché l’ho perseguitato per anni e non aveva altra scelta.  Sono certa che nessuno su questo mondo l’abbia venerato come avevo fatto io, tempo fa.
“Betta stai dicendo un mare di cazzate!! Non sto dicendo che questo tipo si sia innamorato ‘telematicamente’ di te, sarebbe assurdo. E non ti sto dicendo che andando da lui, scatterà la scintilla fatale, come in uno stupido film d’amore e vi sposerete a Las Vegas, 24 ore dopo.
Sto soltanto dicendo che da un anno a questa parte non fai altro che studiare e lavorare, lavorare e studiare. Dovresti prendere la palla al balzo e divertirti, una volta tanto.” Disse tutto d’un fiato, scrutando ogni mia mossa.
La guardai sospirando. Aveva ragione, ancora. Ne avevo bisogno. Avevo davvero bisogno di una pausa e includerci l’uomo dei miei sogni, non avrebbe fatto altro che renderla più piacevole. Ma… c’era sempre quel ma. Non potevo. Non potevo precipitarmi lì, senza pensare allo studio, al lavoro, a tutto.
“Cosa pensi?” chiese, vedendo il mio sguardo posarsi sul pavimento.
“Che sei un’amica fantastica. E che hai ragione. Ma Ludo, non posso andarci! Vorrei tanto, ma non posso. Non ho abbastanza soldi e perderei troppi giorni di studio. Siamo quasi alla prima sessione degli esami e non posso essere bocciata o andrò fuori corso. E tu sai che se vado fuori corso mi aumentano le tasse e lì davvero dovrò tornare a casa perché se non pago le tasse non posso frequentare, ma se pago le tasse non posso pagare l’affit..”
“BETTA FERMATI!!” Urlò stringendo le mie spalle, scuotendomi come per farmi svegliare da un momento di trance.  La guardai leggermente affannata. Avevo parlato troppo in fretta, senza prendere fiato.  
“Calmati… Prendi un bel respiro e non pensare a nulla. La tua amica risolverà tutto. E non provarci con la scusa dello studio. Sono certa che tu abbia superato il programma raggiunto dai professori, per quanto stai studiando. Quindi, ora rilassati, andiamo a lezione e ne riparliamo, con estrema calma, questa sera.”
Annuii, il silenzio, stringendo le labbra.
Ludovica sapeva sempre come farmi stare meglio. Stavo esagerando con le paranoie.
Forse mi serviva davvero quella pausa. Forse avrei dovuto chiudere i libri per un attimo e pensare a me, se ci  tenevo alla mia salute fisica e mentale.
 
 
La giornata passò molto lentamente. Non è affatto piacevole provare a concentrarsi sulla Linguistica Tedesca, che sembra sia un’enorme, infinita equazione matematica, mentre la tua mente è completamente sconnessa. O almeno è connessa ma non col mondo che ti circonda.  Per tutto il giorno non feci altro che pensare alle parole di Ludovica. Avrei davvero dovuto prendere la palla al balzo? Avrei davvero potuto godermi quell’attimo di follia, lasciando lo stress alle spalle per qualche giorno?
 
Ero talmente soprappensiero da non accorgermi che, tra stanchezza e confusione, la mia testa se ne stava accasciata sui libri, poggiati sulla mia scrivania, da più di un’ora e tra pensieri e piccoli momenti di riposo, non avevo ancora iniziato il capitolo 4 dell’Amleto.
Saltai sulla sedia, quando il mio cellulare vibrò. Oramai ogni volta che suonava, il mio cuore iniziava a battere all’impazzata, speranzoso. 
Lo presi al volo e lessi prendendo un forte respiro.  Era lui.
 
“Hai spezzato il mio cuoricino, con queste semplici parole, lo sai?
Avrei tanto voluto conoscere la mia folle Stalker italiana. Ma hai ragione. Il lavoro prima di tutto. Sei davvero una persona responsabile.  Ci saranno altre occasioni, spero.
Tuo Grant.”
 
Sorrisi come mai avevo fatto prima, nella mia vita.  Tornai al pensiero della gentilezza, dettata dal lavoro, ma desistetti.  Non avrebbe avuto bisogno di rispondermi. Poteva semplicemente starsene zitto o rispondere con un “che peccato”, in quel caso sarebbe stato dettato dalle buone maniere. Ma, scherzare sul cuoricino spezzato, sperare in altre occasioni… sembrava qualcosa di più.
Aveva voluto farmi sorridere apposta, anche quando non era indispensabile.
“Ecco perché sono pazza di lui”, pensai maledicendomi. Chiusi gli occhi, respirai e tornai ai miei pensieri da ventenne responsabile: “Betta, non puoi essere innamorata di qualcuno che non conosci. Un semplice messaggio non è una dichiarazione di matrimonio. Torna alla realtà e inizia a studiare quel maledetto Amleto” .Dando retta ai miei pensieri, posai a malincuore il cellulare sulla scrivania e puntai gli occhi a quel librone che, tempo prima, sembrava amassi ma ora stavo iniziando ad odiarlo perché era  uno dei tanti fattori che mi spingevano a vivere la pura realtà.
 
 
Stavo studiando da circa un’ora, scacciando il moscerino Grant, che mi ronzava nelle orecchie, concentrando tutta me stessa sulla traduzione di quella complicata storia di Shakespeare, quando sobbalzai sentendo la porta aprirsi di colpo.
Impaurita mi voltai e trovai Ludovica sulla porta con un sorriso smagliante sulle labbra. Mi guardava con lo sguardo da pazza e io allargai le braccia per chiederle “Che diavolo…?”
 
Andiamo a Milano.  Ecco i biglietti”




Angolo di Follia

Eccomi qui. Il secondo capitolo è andato. Ovviamente è veloce perchè è di passaggio, quindi Betta non morire e preparati al prossimo, ci sarà da divertirsi lol
Spero ti stia piacendo il modo in cui ti vedo e cerco di descriverti.
Grazie agli altri che hanno letto.
Baci
vale

 

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


                                                        Capitolo 3
 
 
“Non se ne parla.” Fu l’unica cosa che dissi, prima di tornare a studiare.
 
Restai per qualche minuto, in silenzio, fingendo di concentrarmi sull’Amleto, sentendo gli occhi di Ludovica fissi su di me.
Sapevo perfettamente come sarebbe andata a finire: non avrebbe smesso di fissarmi, finché non avrei ceduto.
Tamburellai con le dita sulla scrivania, innervosendomi.
Non potevo cedere.
 Non adesso che la mia vita stava prendendo la giusta piega. Andare a Milano per… cosa? Inseguire uno stupido sogno? Inoltre, se nel caso fossi riuscita ad incontrare quel sogno, cosa avrei potuto dirgli?
Ciao sono io la tua stalker, grazie per aver reso la mia vita un’enorme sfera di follia?”
 
Certo, per lui di stalker, impazzite ai suoi piedi, ce ne saranno tante, io non sono stata né la prima, né l’ultima, ma di certo non ero  più una ragazzina. Non potevo correre a Milano per scodinzolare al suo cospetto. Ne valeva la mia salute mentale e un pizzico di quell’autostima che mi sono creata, provando a dare un senso alla mia vita.
Io non sono una delle sue tante ragazzine, pronte ad uccidere per un suo sorriso.
L’ho supportato. Ho urlato contro il mondo, quando qualcuno offendeva la sua musica. Ho passato notti insonni, sperando di riuscire a parlarci su quel dannato computer. Ho lasciato che la mia fantasia volasse per anni, ma ne avevo abbastanza.
Non mi serviva un altro idiota pronto a deridermi.
Non volevo andare a Milano e fare un buco nell’acqua, per avere un ridicolo saluto dal suo piedistallo. Avrebbe soltanto rovinato ciò che ho provato a creare di me e sapevo di avere troppa poca stima di me stessa, per non caderci.  Sapevo già che andando a Milano e ricevendo, come giusto che sia, una porta in faccia, sarebbe stato soltanto deleterio per la poca considerazione che ho di me stessa.
 
Sentii Ludovica sbuffare e sapevo che non mi avrebbe lasciato in pace, facilmente.
Mi voltai alzando le braccia, interrogativa.
 Mi guardava a braccia conserte, come se volesse uccidermi. E l’avrebbe fatto.
Anche io, se avessi sopportato i miei anni di sproloqui, su  Grant, dall’esterno, ora vorrei uccidermi. Non esiste che passi la vita a parlare costantemente  di qualcuno che sembra riempirti le giornate e quando ti si presenta, su di un piatto d’argento, tu fingi di non averne più interesse. E’ da stupidi e da lunatici. Ma in fondo, è parte di me:
Un giorno ti amo, l’altro decido di cancellarti.
Ed è quello che ho deciso di fare due mesi fa, al mio compleanno. Ed ora… Ora che ci ero riuscita, ora che la mia vita stava prendendo una piega normale, questo dannato ragazzo mi stava mandando al manicomio, di nuovo. 
 
“Ludo ti prego, non guardarmi così. Ti ringrazio. Grazie per essere corsa in mio aiuto. Grazie per aver preso questi biglietti. Davvero. Grazie.
Ma… credimi. Io non posso venirci. Non posso! Non ho idea di cosa potrei fare, arrivata a Milano… Lo guardo dimenarsi su una passerella? Mi faccio firmare un autografo e… poi?”
 
“E poi accompagni la tua migliore amica alla settimana della moda. Sai che voglio specializzarmi in “lingue per moda e marketing”, questa settimana potrebbe soltanto giovare alla mia, nostra, carriera. Anche tu hai detto che avresti voluto intraprendere la specializzazione in “moda giornalistica estera”… Quindi, se si tratta di studio, stai soltanto prendendo due piccioni con una fava. Per la prima volta, ci buttiamo a capofitto nel nostro futuro e se questo porterà ad una parola con la tua ossessione adolescenziale, ben venga!”
 
Respirai a fondo sapendo che avrebbe avuto sempre la risposta pronta. Non avevo scampo. Effettivamente la moda giornalistica estera è il mio sogno.
Sogno me, redattrice di un “Cosmopolitan” magari a Londra o Vienna, ma… ovviamente è soltanto un sogno. Sono ancora al secondo anno, non so nemmeno se prenderò la prima laurea, figuriamoci se inizio col sognare nella mia specialistica. Però, in ogni caso, se davvero avessi voluto crederci, almeno un istante, la settimana della moda, sarebbe stato un ottimo esempio di vita futura.
Se avessi voluto davvero intraprendere questa carriera, a Milano ci avrei dovuto passare ogni settimana della moda, nei prossimi quarant’ anni … quindi, perché non provare?
Dopo aver riflettuto a lungo, guardai Ludovica, che scrutava la mia espressione accigliata e dissi: “Non abbiamo dove dormire…” sottovoce.
“E’ un si?” urlò, iniziando a saltellare verso di me.
“E’ un –non abbiamo dove dormire-“
“E se ti dicessi che mia cugina abita in un appartamento in comune con due ragazze, e ha una stanza completamente libera?
 Ok dovremmo stringerci, c’è solo un letto singolo, compriamo un sacco a pelo, ovviamente tu dormirai a terra, ma è gratis e …”
Non finì la frase, perché vide la mia testa annuire e le mie labbra accennare un sorriso.
Senza parlare ci capimmo al volo e mi saltò al collo.
Iniziammo a saltare per la mia stanza, pensando a quanto questa settimana sarebbe stata un sogno.
 
Milano.
La settimana della moda.
Grant Gustin.
Cosa avrei potuto desiderare di più?
 
Ed eccomi lì, guardando chissà cosa, fuori dal finestrino del mio Intercity, affrontando un viaggio di oltre sei ore, pensando all’enorme cazzata che stavo facendo, ma a quanto io fossi eccitata nel farlo.
Ludovica, nella settimana seguente, quella precedente alla partenza, non fece altro che fare shopping per entrambe, per prepararci ad essere al meglio. Effettivamente se non mi avesse comprato qualcosa di decente, nemmeno mi ci avrebbero fatto entrare in fiera. Erano anni che, pur di risparmiare, non compravo nulla di nuovo, uscendo trasandata e con vecchi vestiti, ma lei, la mia migliore amica… sapeva sempre cosa fare. La sua famiglia è benestante e comunque il suo lavoro di Hostess, nei centri commerciali, è ben pagato, quindi rispetto a me, può concedersi qualche piccolo lusso ogni tanto.
 
Di tanto, in tanto,  mi voltavo e la guardavo ridendo. Era eccitatissima. Ci conosciamo da quasi 15 anni e mai ho acconsentito ad una follia del genere. Ma in fondo… ne valeva anche la mia carriera, no?
Oltre che, finalmente, dopo quattro anni, anche solo per un attimo, avrei potuto specchiarmi in quei dannati occhi verdi, che avrei riconosciuto tra mille, seppur io non li avessi mai visti davvero.
Quegli occhi verdi che, per me, non hanno rivali.
Quegli occhi verdi che sanno di verità.
Sanno di lui.
Sanno di me.
Sanno di quella pazzia che… col senno di poi, rifarei all’infinito.
 
Arrivate a Milano, l’11 giugno, ci recammo a casa di sua cugina, non avendo idea di come, quelle due settimane, avrebbero potuto essere.
Sapevo soltanto che il giorno dopo, sarei andata in fiera e un certo sogno avrebbe finalmente potuto realizzarsi. Anche un solo sorriso… mi sarebbe bastato quello e poi, finalmente, avrei potuto dedicare il mio tempo al mio sogno: La moda.
Avrei preso appunti per la mia tesi di laurea.
Avevo già tutto impresso nella mente, seppur mancasse un anno: Sarebbe stato un vero magazine, con foto di modelle, articoli su spettacoli teatrali e rigorosamente scritto in inglese. Avrei riportato la mia esperienza Milanese nell’introduzione, come una vera redattrice e … Avrei stupito l’intera commissione.
 
O almeno…. Era quello il piano.
 
 
 
                                                          ***
 
 
12 giugno
 
 
Dopo aver fatto una fila chilometrica ed essere riuscite ad avere i Pass per entrambe le settimane, essendo studenti di Lingue e Comunicazioni, ci sedemmo nelle prime file, essendo arrivate in largo anticipo.
Ludovica era splendida, sembrava dovesse partecipare ad un galà, nel suo vestitino blu notte e nei suoi capelli raccolti.
Io, dal canto mio… avevo optato per la semplicità:  tailleur nero (giacca e gonna) e camicia bianca. Almeno, sembrava fossi lì davvero per  una futura professione.
Questo volevo che credessero.
Di certo non mi sarei abbassata a fare la fan impazzita, lì per un cenno di mano, dalla star.
Si perché della star c’era già lo zampino ed era fin troppo evidente.
Cartelloni di Dolce e Gabbana, con lui in biancheria intima erano ovunque, sia nella fiera, sia nelle strade milanesi ed io, non facevo che sussultare ogni volta che vedevo quello sguardo serio, guardarmi da quei dannati cartelloni.
Ovviamente, non mi ero presa la briga di dirgli che sarei andata anch’io a Milano.
Se dovevo giocare, lo avrei fatto a modo mio. Avrei visto la sua reazione. Se mi avesse trattato come una ragazzina urlante, come le centinaia che si erano presentate, avrei decisamente cambiato strada e sarei tornata nel mio appartamento, scrivendo la mia tesi.
Senza rancori.
 
“Hai visto quante ragazze sono venute? Le hai chiamate tutte tu?” mi chiese Ludo, guardandosi intorno stupita.
“Io? Sinceramente non avevo voglia di fare la capo fan impazzita. L’ho detto a qualche amica, ma non so come la voce si sia sparsa così velocemente.” Le risposi, sussurrando.
E’ vero mi aveva chiesto quel favore e glielo avevo fatto, ma di certo dirlo ad una decina di persone, non pensavo portasse quest’affluenza.
“L’avrà chiesto a qualcun altro” supposi ad alta voce, sospirando.
Ludo si voltò di scatto, notando il mio disappunto. E, da vera amica, mi prese la mano.
“Peggio per lui.” Disse, applaudendo all’inizio della sfilata.
 
La giornata passò in fretta e quasi non pensai a lui. Presi appunti, feci foto e ci divertimmo tanto a giudicare ogni vestito come se fossimo una giuria. Stavo vivendo davvero un’esperienza indimenticabile e tutto questo era grazie alla mia migliore amica e alla sua intraprendenza.
Ogni tanto mi voltavo e guardavo gli occhi sognatori del gruppetto di ragazzine impazzite, pensando che forse… un annetto fa, sarei potuta essere anche io tra loro. In prima fila, con quella stupida maglietta, col suo volto stampato sopra.
 
Stavo prendendo appunti sulla presentazione del nuovo profumo Hugo Boss e le sue fragranze quando una voce dal palco mi fece sobbalzare.
 
“Sono le 17.00, questo vuol dire che la nostra prima giornata sta volgendo al termine e, come da tradizione… A chiudere la sfilata sarà il nostro ospite speciale, che ci farà compagnia per tutti i giorni di questa fantastica avventura!” annunciò Cristina Chiabotto, presentatrice ufficiale della fiera.
 
Mi misi a sedere dritta, consapevole che la giornata era arrivata al termine con troppa fretta. Ero talmente impegnata a fingere di non essere nervosa, che non avevo visto l’ora.
Ludo, capendo la mia ansia, mi prese, di nuovo, la mano sorridendo felice.
 
“Signori e signori… Presentiamo con piacere, la nuova collezione intimo, uomo e donna, D&G e il nostro fantastico ospite… Grant Gustin”
 
Attimi.
Quegli attimi talmente lunghi che sembra che tu non stia più respirando.
Urla, da stordirsi. Testa nel pallone e voglia di scappare.
Ecco cosa pensai in quel momento:
Volevo scappare.
Avevo aspettato quell’istante tutta la vita e alle 17 di quel maledetto 12 giugno io pensai soltanto che volevo scappare.
Paura. Ansia. Stupidità. Non so cosa mi prese, ma non ero pronta.
Non avevo idea di cosa mi avrebbe portato guardarlo da così vicino.
Forse avevo soltanto paura che, dopo 4 anni, mi ero talmente illusa che fosse l’uomo perfetto e invece, a pochi passi da me, sarebbe potuto cadere quel mito.
Forse pensai che era tutta mia fantasia e lui non era altro che un ragazzo normale, con una bellezza leggermente superiore e una voce da fare invidia. Nulla più.
E fu così, che la musica partì, decine di bellezze superiori, sfilarono in biancheria intima. Ragazze perfette. Ragazzi perfetti. Ma io non stavo guardando.
Ero nel buio più totale. Non mi ero nemmeno accorta che la mano di Ludo che stringeva la mia, mi stava strattonando, capendo il mio momentaneo stato di trance, dovuto all’ansia.
Forse mi strattonò troppo forte. Mi cadde il taccuino e io tornai alla realtà.
Mi abbassai in fretta, imprecando. Avevo preso appunti tutto il giorno, non volevo che si rovinasse. Doveva arrivare intatto a casa, dove avrei ripreso il mio studio.
 
Lo presi, da terra e lo ripulii, ancora abbassata. E, come in un film, urla impazzite ritornarono a rimbombarmi nella mente, in un semplice attimo.
Mi alzai di scatto, quasi cascando dalla sedia e sentii solo la mano di Ludo, stringere il mio braccio.
 
Fu l’ultima cosa che sentii.
 
Non c’erano più urla.
Non c’era più la musica.
Non c’erano più decine di modelle super sexy su quel palco.
C’era soltanto lui.
 Una canotta nera che traspariva ogni muscolo dei suoi bicipiti e uno stretto slip in tinta, con una piccola scritta “Dolce e Gabbana” sull’elastico.
Espressione seria, professionale… da vero attore.
Ed io ero in prima fila, guardando quello spettacolo che, ai miei occhi, risultò pura… perfezione.
Me ne stavo lì a bocca aperta con Ludovica che mi sussurrava parole per me incomprensibili.
Forse mi stava dicendo soltanto di fingere che non fossi una statua e muovermi perché proprio in quell’istante, un quasi impercettibile movimento del suo viso, sembrò fosse rivolto a me.
 
Abbassò lo sguardo per guardare la sua folla ed io ero lì, stringendo un piccolo quaderno, incapace di respirare. E… per un attimo, forse folle, forse immaginario, sembrò davvero che avesse accennato un sorriso a me.
 
E fu lì che persi il senno.
 
Mi alzai di scatto, prendendo velocemente la mia borsa e senza guardare ancora verso quella passerella, me ne andai.
L’unica cosa che riuscii a sentire furono i passi veloci, sui tacchi di Ludo, ancora urla impazzite e quella voce che in un’orribile italiano diceva:
“Grazie a tutti. Ci vediamo domani!”
 
 
Corsi fuori col cuore a mille. Mi era bastato guardarlo negli occhi per capire che avevo fatto un’enorme cavolata ad andare a Milano.
Non ero pronta. Non sapevo come comportarmi. Non sapevo cosa dire e, a quel punto, ero certa che mai e poi mai avrei avuto la forza di avvicinarmi a lui.
A quegli occhi. A quel sorriso. A quella perfezione.
Di una cosa ero certa… In tutti questi anni non mi ero sbagliata: Lui era perfetto, troppo perfetto ed io ero soltanto fuori luogo.
Non ero più dietro uno schermo e una stupida foto, venuta bene, grazie alla fortuna del momento. Adesso c’ero io, in tutta la mia semplicità, in tutta la mia sbadataggine, in ogni mia piccola follia. E nessun computer avrebbe potuto nascondermi o proteggermi da tutto questo.
 
“Betta, fermati!! Dove scappi?” mi urlò Ludo, correndomi dietro.
Mi fermai, respirando l’aria fresca del pomeriggio milanese, riprendendo padronanza del mio corpo.
Scrollai le spalle e mi voltai verso di lei, fingendo di sorridere.
“Andiamo a casa” dissi semplicemente, avviandomi alla metro.
“Ma…?”
“Ma nulla Ludo. La giornata era finita, non c’era più nulla da vedere” tagliai corto.
Come sempre, da grande amica, non disse nulla. Incassò e mi seguì in silenzio, aspettando che prima o poi, sarei stata io a parlarle.
 
Seduta in metro, mi calmai ma… quegl’occhi, quel sorriso accennato, non avevano intenzione di lasciarmi. Era come se fosse ancora lì, davanti a me, mezzo nudo e non ci fosse nessun altro.
 
Ludo, che stava aspettando una mia spiegazione, giocherellava col cellulare, fingendo di non darmi corda. Sorrisi, pensando che la sua mente stesse scoppiando di domande.
Io avevo Grant Gustin davanti ed ero scappata e lei, evidentemente, non ne capiva il perché.
“Non ho retto.” Buttai lì, sapendo che avrebbe capito.
Sobbalzò dalle mie improvvise parole e si voltò verso di me, interrogativa.
“Ti ha notata…” disse, facendomi tremare.
Scossi la testa.
“Eravamo in prima fila, avrebbe guardato chiunque”
“No Betta. Anche io ero in prima fila… non ha guardato chiunque.”
“Ma come? Non sa nemmeno chi sono. Quasi non somiglio a quella foto…” dissi, provando a convincermi che io e Ludo ci fossimo inventate tutto.
“Ma dai!! Sa che sei tu. L’ha sempre saputo. Ti avrà studiata bene, prima di contattarmi. Quelli come lui non si fanno sfuggire nulla!” disse facendomi tremare, ancora.
E se fosse stato vero? Se, quando mi ha scritto era andato a studiare il mio profilo?
No. Grant Gustin non ne avrebbe avuto il tempo. Avrebbe avuto di meglio da fare, che guardare mie stupide foto.
Ah dannato twitter, dannato Grant, dannata vita! Maledico il giorno che mi sono iscritta a questi stupidi social network, soltanto per seguire ogni sua mossa.
 
Tornammo a casa e, stanche morte, mangiammo un panino in fretta e ci chiudemmo in camera.
Aveva mantenuto la promessa: lei sul letto ed io a terra sopra un sacco a pelo.
Non avevo nemmeno provato a ribellarmi, in fondo… eravamo lì grazie a lei ed io dovevo accontentarmi del pavimento.
Mi fece la linguaccia, chiedendo “La moquette è comoda?”
“Comodissima…” risposi, facendole il verso.
 
Erano l’1 di notte e da poco ero riuscita a trovare una posizione che non mi facesse impazzire, quando il cellulare vibrò ed io sussultai, prendendolo, imprecando dalla scrivania.
Chi diavolo era a quell’ora della notte?
 
 
“Ok forse a volte metto in soggezione le persone. Ma nessuno prima d’ora era scappato.
Dove sei finita? :( “
 

 
Ed eccomi qui, col 3 capitolo per te. Ovviamente è d'istallo. Dal prossimo inzia la vera avventura.
Spero davvero ti piaccia.
Ti voglio bene
Vale ♥

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


Bene, eccoci arrivati al 4 capitolo.
In realtà questa storia era iniziata soltanto per lei...Betta, che ora mi implora ogni giorno di continuarla. Ma devo anche ringraziare chi la sta leggendo e seguendo. So che può sembrare noioso, quando i protagonisti non sono entrambi famosi o non siamo noi stessi e invece ci sono delle persone che la stanno leggendo e a noi fa tanto piacere. Grazie.

Buona Lettura :)




                                                                                                Capitolo 4
 
 
Eravamo soltanto al secondo giorno di quella follia e già ne ero profondamente pentita.
 
Quella mattina sembravo uno zombie.
Ovviamente.
Dopo un messaggio del genere dal tuo… come definirlo? Idolo? Ragazzo dei sogni? Principe Azzurro? Maledetta Illusione? Qualsiasi cosa lui sia… dopo un messaggio così, non puoi affatto dormire. Sfido chiunque a chiudere gli occhi dopo che il tuo sogno ti sta praticamente confessando di averti visto e che avrebbe voluto vedere di più.
 
Prevedibilmente, aggiungendola ad un’altra delle mie ultime e continue cazzate, non risposi.
Restai lì, sul “comodissimo” pavimento di quella stanza di Milano, fissando quel messaggio, sperando di riuscire a dormire e svegliarmi direttamente sul treno di ritorno.
 
Purtroppo per me, la mattina seguente arrivò ed anche troppo in fretta.
 
Ludo si svegliò e, tutta felice, corse in doccia per prepararsi al meglio per la seconda giornata di fiera. Oggi avremmo potuto interagire con gli indossatori e lei non aspettava altro.
“Che ne dici? Quel perfetto modello biondo di Armani, che ieri ho praticamente mangiato con gli occhi, potrebbe accorgersi di me con… questa?” chiese mostrandomi una mini gonna nera… Molto mini, in effetti.
“Nessuno non potrebbe non notarti con quella. Fai prima a non metterla!” scherzai, cercando anch’io qualcosa da indossare.
“Allora è quella giusta!!llora è quella giusta.si cosa.
davvero gettato dalla finestra. angiato con gli occhi, potrebbe accorgersi di me con...e di pi+Sei tu che sei troppo pudica e… Molla quei Jeans o te li lancio dal balcone!!” urlò vedendomi recuperare dalla valigia dei Jeans a mio parere molto carini.
“Perché?” le chiesi, scappando dalla sua presa. Se li avesse recuperati, li avrebbe davvero gettati dal 4° piano. Da Ludo, ormai, mi aspettavo qualsiasi cosa.
“Perché oggi Tu parlerai con Lui e di questo non si discute! Quindi, se non vuoi fare la figura della pallosa ragazza di campagna, quale sei… (senza offesa), prendi quel dannato vestito nero che ti ho comprato e mettilo!!” mi urlò gettandomi addosso il vestito di cui parlava, strappandomi dalle mani i Jeans che avevo intenzione di indossare.
 
“Allora, partiamo dal presupposto che Io non parlerò proprio con Nessuno, perché noi oggi non resteremo fino alla fine. Non ho intenzione di rendermi ridicola, ancora. Non dopo quel mes..” mi bloccai, capendo che stavo per darle soltanto filo da torcere, se le avessi detto del messaggio.
“Dopo quel…? Ti ha mandato un altro messaggio? Dammi qua!!” urlò prendendomi il cellulare dalle mani con un gesto felino.  “Come diavolo si fa ad usare sto coso?” imprecò cercando l’applicazione di twitter.
Provai a prenderglielo un paio di volte, ma lei era più alta di me, quindi decisi di arrendermi, mentre lei aveva già letto tutto e mi stava guardando di nuovo col suo sguardo assassino.
“Non voglio nemmeno parlarne! Betta ti giuro che se non ti metti quel dannato vestito, io oggi scatenerò la mia ira su di te. Inizierò a parlare tutto il tempo di ‘Cento Vetrine’ e sai che lo faccio!!” urlò sfidandomi, con un ghigno divertito sul volto.
“No ‘Cento Vetrine’ no!” urlai disperata. Odiavo quelle stupide soap opera italiane e quando Ludo iniziava a parlarmene, raccontandomi ogni minimo dettaglio di ridicoli intrecci amorosi tra fratelli, cugini e cognati… iniziava a prendermi un odioso mal di testa, che mi trascinavo fino alla mattina dopo.
Sconfitta, presi quel dannato vestito e corsi in doccia.
Sistemai i capelli in modo semplice e uscii dal bagno con Ludo che mi aspettava sulla porta, con due paia di sandali, con tacco vertiginoso, tra le mani.
“Sei impazzita? Io non li metto quelli! Dove sono le mie ballerine?” chiesi, cercandole in stanza.
“Allora… da dove posso iniziare? Mirko Locci sta uscendo con Miriam che…” iniziò a raccontare sapendo che avrei ceduto subito e infatti le presi le scarpe dalle mani e sbuffando le indossai.
 
A fine giornata avrei avuto i piedi gonfi e un grosso mal di testa, di questo ne ero certa.
 
 
Dopo svariati inciampi e grosse figuracce per quei dannati tacchi, che non ero abituata ad indossare, eccoci di nuovo lì, sedute nelle prime file, attendendo che la giornata avesse inizio.
Feci alcune foto che credevo mi sarebbero potute servire per la mia tesi, lasciando Ludo fare amicizia con alcuni degli organizzatori, dandomi un’occhiata in giro.
Era tutto davvero organizzato alla perfezione. Il cibo, gli opuscoli, i vari campioni dei capi che avrebbero mostrato. Approvai il tutto e segnai passo, passo ogni cosa che, se avessi organizzato io, un evento del genere, avrei cambiato o… evitato.
Per esempio: Io avrei sicuramente evitato tutti quei maledetti cartelloni del maledettissimo ospite d’onore. Insomma, gli spettatori non sono stupidi. Hanno già annunciato la Grande Star, perché continuare a tenere questi cartelloni con lui che indossava quei dannati slip che non lasciavano nulla all’immaginazione?
Sorrisi pensando a quanto fossi ridicola. Ero solamente attratta inesorabilmente da quei cartelloni e la cosa mi mandava in bestia. Odiavo il fatto che una semplice stupida fotografia facesse quello strano effetto su di me.
Sentivo ancora i suoi occhi puntati su di me, proprio come il pomeriggio precedente e riuscivo soltanto a rabbrividire.
Rendendomi conto di essermi imbambolata davanti a quel dannato cartellone, scossi la testa e tornai al mio posto.
 
“Betta!” Mi urlò una voce familiare alle mie spalle. Mi voltai e trovai Elena, una vecchia amica conosciuta ad un raduno per Lui, organizzato rigorosamente da Me, qualche anno prima.
“Elena! Come stai?” la salutai abbracciandola.
“Benissimo ma… che ci fai qui? Ieri non ti ho vista, pensavo non saresti venuta. Me lo hai detto tu che non saresti venuta o l’ho sognato?” chiese facendomi ridere.
“No, avevo deciso che non sarei venuta. Poi la mia amica mi ha convinto e questa fiera mi serve per la tesi di laurea…”
“E poi c’è Grant” concluse lei allusiva. La guardai, scrollando le spalle.
“Si c’è Grant, ma sinceramente sono qui per me, non per lui.” Risposi, mentendo più a me stessa che a lei.
“Davvero? Forse perché ancora non lo hai conosciuto. E’ davvero una persona fantastica!” disse tutta eccitata.
Mi resi conto che il mio battito cambiò.
Era davvero rimasto a salutare i suoi fan.
Fingendo calma le chiesi “Perché tu lo hai conosciuto?”
“Oh si! Ieri dopo la sfilata si è fermato nel parcheggio a parlare con noi. Era emozionato per la fila di persone che erano accorse per lui. Non credeva di avere tutti questi fan italiani. E’ stato davvero dolce e ha detto che, basandosi sui vari impegni, proverà a fermarsi ogni giorno di tutte e due le settimane!” raccontò con gli occhi che le brillavano.
 
Forse, se ieri non fossi scappata, avrei potuto anche io avere quel sorriso sulle labbra.
Ma, sinceramente, non ne avevo bisogno.
Non mi sarebbe servita a nulla una parola o un sorriso di sfuggita in mezzo ad altre cento persone. Avrebbe soltanto portato un altro vuoto dentro me. Non avevo bisogno di un suo cenno d’assenso, per sentirmi meglio.
La mia vita avrebbe continuato a fare schifo. Ed io sarei stata rintanata ancora in un sogno che, secondo il mio parere, era più semplice che rimanesse tale, perché, già soltanto qualche messaggio e uno sguardo da lontano, mi stavano confondendo troppo e la mia vita era già abbastanza confusa di suo.
 
La salutai promettendole che ci saremmo viste dopo, tornando alla mia postazione. Sorrisi vedendo Ludo tenere banco con due bellissimi ragazzi. Indossatori, provai ad indovinare.
Mi avvicinai e mi accorsi che stavano parlando in inglese.
Appena mi sentì arrivare si voltò fiera e mi presentò. Non capii nemmeno i loro nomi e nemmeno m’interessava. Pensavo soltanto al fatto che ieri Grant avesse passato del tempo con alcune delle ragazze che io stessa avevo chiamato. Pensai a quanto fosse gentile, proprio come lo avevo immaginato e pensai che forse avrei dovuto darmi una chance. In fondo dare un viso … reale a ciò che hai sognato per così tanto tempo, avrebbe soltanto aiutato la mia salute mentale.
 
“Allora Betta?” mi chiese Ludo, portandomi alla realtà.
“Cosa?” chiesi, guardandomi intorno. I due ragazzi erano andati via.
“Ti ho chiesto se sono carini..”
“Oh certo.”
“Bene! Perché stasera usciamo con loro!” esclamò, voltandosi dall’altra parte per non guardami.
“Ma tu sei pazza!! Semmai tu esci con loro!! Urlai, prendendola di forza e facendola voltare.
“E dai Betta! Mark, quello carino, ha detto che sei una bella ragazza. E Liam, l’altro carino ha detto che lo sono io. Che male c’è? Un’uscita a quattro, totalmente innocente….” Disse, unendo le mani in segno di preghiera.
“No! E per come li guardavi non sarà nulla d’ innocente. Non ci pensare nemmeno!! Io non vengo! E poi dì a quel Mark che si trovasse un’altra stupida civetta da accalappiare, perché a me non interessa!!” le urlai offesa. Come aveva potuto prendere una decisione del genere senza consultarmi? Ero già abbastanza nervosa. Non mi avrebbe aiutato passare una serata muta come un pesce a guardare lei flirtare con uno dei due…o entrambi.
 
“Letizia, l’ex moglie di Mirko Locci quando aveva deciso di riprovarci, iniziò però a scopare con uno dei suoi dipendenti, non sapendo che era anche un suo lontano nipote…” iniziò a raccontare seria. Non so nemmeno se la metà delle cazzate che racconta su quella soap siano vere. Insomma: è assurdo!
Sbuffai provando a non ascoltarla, ma stavo già avvertendo un formicolio alle tempie.
Mi voltai verso la passerella, visto che la giornata stava per iniziare.
“Intanto Maddalena, che aveva passato almeno due giorni a scopare col suo ex marito…”
“BASTA!” urlai frustrata. Sapeva che odiavo quella parola. Non che io sia una specie di suora di clausura ma, usare quella parola non era nel mio stile. Avevo avuto soltanto due ragazzi, in quel senso, ed entrambi erano stati importanti. Quindi io non scopavo con qualcuno, io se volevo facevo l’amore con qualcuno. Quella parola la odiavo e lei lo sapeva. Mi metteva a disagio.
“Lo sai che non la smetterò! Sai che Omar si è riscoperto gay e ha scopa…”
“Ok ok! Ci vengo! Ma smettila!!!” le urlai, mentre lei si apprestava a mostrarmi il suo ghigno fiero.
“Ad una condizione!” le dissi però, facendole smettere di sorridere.
“Qualsiasi cosa!” rispose, prendendomi le mani.
”Metterò i jeans e oggi alle 4 ce ne andiamo!” dissi, in tono autoritario.
La serata sarebbe stata un inferno… almeno avrei evitato di incontrare quegl’occhi di nuovo, evitando di passare anche un’altra notte insonne.
“Ma sono  due condizioni!!” sbuffò, ma vedendo il mio viso fermo, accettò senza controbattere.
 
 
 
 
                                                       ****
 
 
Non avrei mai immaginato di passare soltanto due giorni a Milano prima  di trovarmi nel locale più In della città.
Mi ero fatta trascinare in questa stupida serata, per evitare un esaurimento nervoso dovuto a Ludo e ai suoi racconti sulle scopate di quella ridicola Soap Opera.
Devo ammettere però che avevo giudicato male quei due ragazzi. Come immaginavo erano indossatori, ma entrambi lo facevano per pagarsi gli studi del college ad Oxford.
Mark, il ragazzo che sembrava spavaldo ma, invece, era più timido di me, studiava architettura. Liam invece, leggermente più audace, appunto adatto a Ludovica, studiava Ingegneria. Entrambi al secondo anno.
Nella mia mente ero convinta che la serata sarebbe stata orribile e invece… mi stavo addirittura divertendo. Ogni tanto Ludo m’inviava occhiatacce per indicarmi di parlare.
Ma ero troppo stanca e troppo poco motivata per mantenere banco. Mi limitavo ad ascoltare gli esilaranti racconti sulle serate da nudi e ubriachi al campus di Liam e, perché no, a ridere ogni tanto.
Il locale dove ci avevano portate era stupendo. Il Millenium. Il classico locale dove o ci entravano dei Vip o i figli di papà. E la cosa non mi dispiaceva. Di certo era meglio che passare la serata in uno di quei bar con la musica ad alto volume da farti scoppiare i timpani, mentre sciocchi ragazzini, scorazzavano di qua e di là in cerca di qualche ochetta da portarsi a letto.
Il mio telefono mi vibrò dalla tasca dei Jeans e mi accorsi che era mia madre.
Uscii di corsa per la troppa confusione. Non volevo che sapesse che non ero a Milano, soltanto per “studiare”, o avrebbe iniziato a sproloquiare e non ne avevo voglia.
 
Uscii nel fresco della sera, godendomi un attimo di relax e risposi.
“Mamma ciao! Come stai?”
Parlammo qualche minuto, mentre mi chiedeva sui due giorni passati lì, quando una macchina nera attirò la mia attenzione.
Mi sembrava di averla già vista, ma non ricordavo dove. Stessi colori. Stessi vetri fumè. Addirittura aveva una targa che mi sembrava familiare.
Scossi la testa pensando che ero soltanto da due giorni a Milano. Forse mi stavo immaginando tutto.
Continuavo a parlare distrattamente con mia madre, stringendo le braccia al petto, mentre guardavo curiosa. Di sicuro da quella macchina sarebbe uscito un pezzo grosso.
In fondo, era il Millenium, no?
 
Poi fu un attimo.
E il mio cuore si fermò.
 
Aveva soltanto messo il piede fuori dalla macchina e capii tutto. Quello era il macchinone al quale mi ero appoggiata il giorno prima, quando ero scappata dalla sfilata.
Non ci avevo nemmeno fatto tanto caso, forse. Ma ricordo di averla guardata e di aver pensato : “Magari è la sua. O del suo autista.” E… non mi sbagliavo.
 
Senza pensarci due volte. Riattaccai e mi nascosi dietro un’enorme pianta, al lato delle scale d’ingresso.
Aspettai che uscisse dalla macchina, prima di rendermi conto che stavo tremando talmente tanto che forse non avrei retto.
Era lui.
Lui era lì. Davanti a me. Nello stesso locale. Nella stessa serata.
Cos’era quello? Un fottuto scherzo del destino o una prova alla mia sanità mentale?
 
Scese, avvicinandosi al locale accompagnato da due ragazzi. Ricordo di averli visti alla sfilata, insieme a lui. Parlavano tra loro, scherzando come tre ragazzi normali. C’era poca gente quella sera, quindi per ora nessuno li notò. Ma in fondo la gente che poteva permettersi di mangiare in un locale simile, in ogni caso, ci era abituata.
 
Stava avanzando verso l’ingresso e io mi accucciai in modo da non farmi vedere.
Sembravo una stupida ragazzina che giocava a nascondino ma, come il giorno prima, non
ero pronta per le presentazioni.
 
Forse non lo sarei mai stata.
 
Si fermarono prima di entrare perché Lui ricevette una chiamata al cellulare.
Imprecavo in silenzio, essendo in trappola. Una sola mossa e mi avrebbero notata.
Eravamo a pochi passi…
Io, di nuovo, ero a pochi passi da Lui.
Stava parlando al telefono con qualcuno che dedussi era il suo agente, abbastanza accigliato, quando mi sentii chiamare dall’ingresso.
“Betta?” mi chiamò Mark con quel suo accento inglese, inconfondibile.
Mi stava cercando. Quell’idiota non aveva fiatato tutta la sera e ora mi stava cercando?
In un attimo Grant si voltò verso la voce di Mark e in fretta riattaccò il telefono.
Riuscii solo a capire “Mark?” e l’idiota rispose “Grant?” e tra risate e abbracci, anche con gli altri due, iniziarono a parlare, ignari del fatto che partecipavano tutti allo stesso avvenimento.
Da come si parlavano sembravano amici di vecchia data, cosa che non mi spiego, visto che Grant non è inglese.
Provando a recepire le loro chiacchiere e sentendo le gambe oramai pesanti, per essere stata troppo a lungo accucciata in ginocchio, riuscii solo a risentire il mio nome.
Mark gli stava spiegando che era venuto a cercare una ragazza di nome Betta.
“Betta?” domandò Grant, incredulo.
 
Cazzo.
 
In quell’istante quel mio nome così particolare lo odiai al punto che avrei chiamato mia mamma per imprecarle contro. Non potevano scegliere un nome più comune? Anna? Maria? Genoveffa?
Proprio Betta?
L’unica cosa che realmente Grant sapeva di me.
Il mio nome.
Si sorprese al tal punto che disse: “Bhè presentamela!”
Presa dal panico, mi sedetti in terra, provando a non fare rumore e non riuscivo più a vedere nulla.
So solo che il mio telefono squillò.
 
Cazzo. Di nuovo.
 
Ero in trappola. Non avrebbero potuto non sentirlo. Guardai il mittente di cui non conoscevo il numero. Ero certa che Ludovica avesse dato il mio numero a Mark, magari anche stesso quella mattina, in fiera.
Ed ero certa che Ludovica non sarebbe arrivata a fine serata.
L’avrei uccisa prima.
 
E infatti tutte le mie supposizioni si mostrarono veritiere quando Mark seguì la scia degli squilli del mio telefono, che presa dal panico, non avevo messo in silenzioso e mi ritrovò lì, seduta in terra, come un’emerita idiota.
 
Mi diedi da sola uno schiaffo alla fronte.
“Cosa ci fai qui? Ti stavo cercando! Sei sparita!” disse, piano per farmi capire, porgendomi una mano. Non sapeva che io avessi finto di non capire un cavolo d’inglese, soltanto per togliermi lui e l’amico indossatore dalle scatole.
“Ero al telefono…” risposi, facendomi aiutare ad alzarmi. Era gentile e premuroso, ma in quell’istante lo odiai.  Provando a nascondermi il viso tra i capelli mi avviai verso l’interno del Millenium, quasi in corsa quando Mark disse: “Betta aspetta, ti presento un amico”.
 
Cazzo. Alla terza.
 
Ma questo cavolo di Mark non poteva restarsene muto altri 15 giorni oppure tornarsene  da Oxford, Londra, Parigi, Congo o da dove diavolo veniva?
Mi voltai piano, sapendo di avere tutti gli occhi puntati su di me e scossi la testa, provando a fargli capire che non fosse il caso, ma lui stava già dicendo “Lui è Grant… Grant Gustin! Non dirmi che non lo conosci!” Lo guardai maledicendolo con gli occhi invocando un fulmine che speravo prendesse lui e me… prima di voltarmi quasi a rallentatore.
Ormai ero lì. A due centimetri da lui. Non c’erano urla isteriche o luci da palcoscenico a dividerci. Eravamo fuori ad un locale come due ragazzi normali…  ed io non potevo scappare. Però mi resi conto che lo avrei fatto, nell’istante in cui mi voltai e lui sbarrò gli occhi. I miei li chiusi, sperando di svenire e magari finire all’ospedale in un sonno riparatore.
Ovunque ma non lì.
Era perfetto nei suoi jeans chiari e nella sua maglia a collo largo grigia. Non aveva trucchi, né inganni. Era lì per passare una serata con i suoi amici. Nessun riflettore. Nessuna intervista. Era Grant Gustin il ragazzo di Norfolk. Non era il modello di D&G e il protagonista di “Freedom” un telefilm che stava spopolando in tutto il mondo.
Era Grant ed era lì per passare una semplice serata, proprio come me.
A differenza mia, però, che se mi avessero detto che mi sarei ritrovata nel locale più cool di Milano con due modelli, tre giorni fa, avrei riso sguaiatamente.
 
“Ciao…” disse in italiano, quasi perfettamente.
“Ciao” risposi col cuore a mille. Avrei voluto scappare, davvero. Ma le mie gambe non accennavano a muoversi, se non per tremare.
Poi allungò la mano verso di me, educatamente ed io quasi avessi paura di scottarmi gliela porsi piano… ed avevo ragione. Prendemmo la scossa entrambi e staccammo le mani in un attimo. Sorrise scuotendola. Io semplicemente, mi feci rossa come un pomodoro e questa volta sparii davvero dalle loro viste, lasciando lì un Mark decisamente confuso.
 
Corsi al nostro tavolo e presi Ludovica di peso, trascinandola al bagno.
 
“Andiamocene subito di qui!!” urlai come una pazza, non curante delle ragazze che erano in procinto di rifarsi il trucco.
“Cosa? Che diavolo?”
“Lui è qui!!” le dissi, iniziando ad iperventilare.
“Cosa chi? Lui? Lui???” chiese, con occhi sbarrati.
“Si, Ludo ti prego. Ci hanno presentati. Quell’idiota al quale hai dato il mio numero, per il quale ti ammazzerò, stanne certa, ci ha presentati perché sì, lo conosce e… perché diavolo stai ridendo?” sbraitai, guardandola sorridere come un’ebete. Poi feci mente locale e capii. “No!!! Lo sapevi! Ludo tu… lo sapevi? Ti prego dimmi di no! Ludo io ti giuro che se lo sapevi…”
“Non sapevo sarebbe venuto. Ma stamattina mi hanno detto che lo conoscevano… da tempo. Non te l’ho detto perché avresti pensato…”
“Cosa? Che hai fatto tutto questo per farmici incontrare e farci la figura dell’idiota come ho appena fatto? Questo avrei pensato? Cazzo Ludo!!! Io non ce la faccio più con te!
Non volevo venire a Milano e mi hai trascinata qui, usando la carta dell’amica bisognosa.  Non volevo conoscerlo e hai fatto tutto questo contro la mia volontà!! Ma quando inizierai a crescere e a provare ad ascoltarmi, ogni tanto??” le sputai contro, sapendo di starle facendo male. Tanto male.
 Ma lei aveva fatto male a me. Le avevo detto di non essere pronta e mi ha mentito pur di farmelo conoscere. Non stava a lei decidere. Ma a me. Ed io non volevo. Non adesso. Sapevo che avrei fatto la figura della stupida e così è stato.
“Io.. volevo..” provò a dire con le lacrime agl’occhi ma non la feci finire, uscendo di corsa dal bagno, sbattendo la porta. Corsi al tavolo a recuperare la mia borsa e senza nemmeno salutare Mark e Liam che mi guardarono come se fossi pazza, corsi fuori, con gli occhi che bruciavano.
Avevo bisogno di stare sola e di certo un locale pieno di gente con la puzza sotto il naso, non mi avrebbe visto piangere.
 
Arrivata all’esterno mi resi conto che non avevo idea di come tornare a casa.
Sospirai facendomi cullare dall’aria fresca della sera che soffiava sulle mie lacrime.
Lacrime di rabbia e di delusione. Ma anche di pentimento.
Mi ero subito accorta, appena uscita da quel bagno, che avevo esagerato.
Eravamo a Milano per me, non per lei. Eravamo in questo locale con due sconosciuti sempre per me e mai per Ludo. Stava facendo tutto questo per vedermi, per una volta, felice ed io le avevo urlato contro tutta la mia ira, non rendendomi conto che non era con lei che ce l’avessi ma con me stessa.
Perché dopo 4 dannati anni l’unica cosa che ero riuscita a dire a colui che mi ha riempito le giornate di speranze era stato soltanto Ciao. Un ciao talmente flebile che forse non aveva nemmeno sentito. Forse nemmeno l’avevo pronunciato e l’avevo solo immaginato. Ero talmente nel pallone che non avrei saputo dire se stessi realmente parlando o no.
 
Di nuovo le lacrime tornarono a farmi compagnia e senza pensarci, mi avviai verso la strada, sperando in un taxi. Fare l’autostop non era proprio nel mio stile.
Sarei dovuta tornare dentro e chiedere scusa a Ludo e forse anche a Mark e Liam, ma non ne avevo le forze. Volevo soltanto tornare a casa, piangere, sfogarmi e aspettare che arrivasse quel sonno tanto agognato che magari mi avrebbe dato consiglio.
 
Una cosa era certa:
Il giorno dopo, Ludovica o non, io me ne sarei andata.
Sarei tornata a Perugia con un carico di appunti per la mia tesi, tanta delusione, ma sicuramente tranquilla.
Perché restare a Milano non mi avrebbe sicuramente fatto stare tranquilla.
Una cosa era andare alle sfilate, scappare prima della fine, sapendo che sarebbe arrivato dopo le 5, in modo tale da non vederlo. Un’altra era avere la consapevolezza che me lo sarei potuto ritrovare ovunque e di certo non andava a mio favore.
Non sarei rimasta lì a fare la figura dell’idiota.
 
Il piano era già lì nella mia testa:
Tornare a Milano.
Cancellarmi da Twitter.
Dormire sei giorni.
E dimenticare quella serata.
 
Appunto. Era quello.
 
Stavo quasi per varcare il cancello d’ingresso del parcheggio quando quella scossa tornò ad invadermi. Questa volta non sentii la scossa  nella mia mano, ma sul mio polso che era stato prontamente stretto da una mano forte. Tanto forte.
Mi voltai piano, col cuore a mille. Talmente piano che pensai che forse prima di guardare chi mi stesse trattenendo, sarei potuta svenire. Perché era inutile che io guardassi. Io sapevo già chi mi avesse bloccato.
Alzai lo sguardo, puntandolo in quelle iridi verdi e lì cedetti.
Le mie gambe tremarono talmente forte che quasi, stavo per cadere, ma la sua stretta al mio polso non cambiò. Ero salda tra le sue mani. Non sarei caduta, se mi avesse ancora tenuta così.
 
 
“Eh no! Questa volta non scappi!”



Angolo della "scrittrice"

Allora... Com'era? u,u io se avessi incontrato Grant non sarei scappata, l'avrei stuprato lì sulle scale, davanti a tutti lol. Ma Betta è speciale. Lo sei vero?
Si perchè ti voglio bene piccina
Spero ti piaccia.
Baci
Vale

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ***


                                                                                             Capitolo 5
 
 
 
“Eh no, questa volta non scappi”
 
 
Per un’infinita manciata di secondi la mia mente ripeteva soltanto “Stai sognando, apri gli occhi e ti ritroverai sul pavimento della tua camera”.
 
“Ehy?” mi chiamò Grant, mollando la presa, guardandomi confuso.
Sbattei confusamente le palpebre, provando a mettere a fuoco lo spettacolo che mi si parava davanti e mi strinsi nelle gambe, provando a mantenermi in equilibrio.
Lo squadrai convincendomi che no, non era un sogno.  Solitamente nei miei sogni non era così vestito, al massimo gli lasciavo tenere i calzini.
Arrossii ai miei stupidi pensieri e alzai lo sguardo, riuscendo finalmente a puntarlo in quelli di Grant e mi sentii finalmente… bene.
 
Forse era stupido, forse stavo realmente sognando, ma incrociare il suo sguardo sembrò così naturale che mi resi conto che avevo smesso di tremare. Come se io fossi destinata a guardare quegl’occhi, prima o poi… e la cosa strana era che io sapevo che sarebbe successo. Doveva succedere. Avrei anche dovuto aspettare altri 20 anni, ma sarebbe successo.
 
“Hey” risposi scioccamente, rinsavendo.
“Dove stai andando?” chiese, come se fosse una domanda che mi avesse sempre rivolto.
“Mmm a casa, credo” risposi, improvvisamente tranquilla.
 
Cosa diavolo stava succedendo? Ero davanti Grant Gustin e improvvisamente mi sentivo… tranquilla?
 
Scossi la testa riconvincendomi che fosse soltanto uno stupido sogno, ancora… ma invece mi resi conto che mi stava guardando con quegl’occhi verdi e luminosi e mi stava scrutando, analizzandomi con attenzione. Ed io mi sentivo sicura sotto quello sguardo.
Come se lo conoscessi da sempre. Ed ecco perché mi sentivo tranquilla.
In un attimo analizzai ogni mia paura e risi di me stessa.
Insomma era un ragazzo come altri, okay più conosciuto di altri, ma era sempre una persona ed io mi ero comportata da stupida, insicura.
 
Io avevo paura di lui.
 
Avevo paura di un suo giudizio ed ero un idiota perché la prima cosa che ho amato di Grant era il fatto che lui non avesse mai né giudizi né pregiudizi.
Aveva svariati amici gay, la sua migliore amica non era né famosa, né perfetta, portava a spasso il cane almeno due volte al giorno, fregandosene di foto e paparazzi e amava passare il tempo con la sua famiglia. Insomma non era uno di quei soliti vip, pompato  e fortemente convinto della sua popolarità, semplicemente viveva la vita come qualsiasi altra persona sulla terra, con la differenza che era ricco sfondato, famoso e amato da mezzo mondo. Ma … questi sono dettagli.
 
“Così presto?” chiese, ancora accigliato provando a capire cosa mi passasse per la testa.
“Mmm si, sono stanca. Sai… la fiera è sempre lunga da morire.” Mentii ancora incredula di questa improvvisa chiacchierata faccia a faccia col mio sogno.
“Lunga? Lo sarebbe stata se fossi rimasta fino alla fine” disse in un inglese molto banale, per farmi capire bene a cosa stesse alludendo.
 
Lo aveva notato? Grant Gustin aveva notato la mia assenza?
 
“Perché stavi piangendo?” chiese improvvisamente, notando che io continuavo a stare lì ridicolamente in silenzio.
“Non stavo piangendo” dissi subito, sbarrando gli occhi.
 
Ok lì stava succedendo qualcosa di strano. Perché Grant continuava a parlarmi?
 
Aveva un locale pieno di sgualdrine pronte per lui e stava lì fuori a dire cose inutili… a me?
 
“Io… è meglio che vada.” Dissi poco sicura di ciò che volessi realmente dire.
“Ti faccio così paura?” chiese, stupendomi.
 
Annuii sinceramente, senza pensare che mi stessi rendendo ridicola.
 
Rise di gusto, facendomi sentire una perfetta idiota. Ma perché ero ancora lì, invece di scappare e rinchiudermi in un pozzo per il resto della mia vita?
 
“Dai, vieni con me, ti offro da bere. Te lo devo” disse, continuando a sorridere, prendendomi un braccio, facendomi tremare… di nuovo.
 
“Co-come?” chiesi incredula. Voleva entrare in quel locale… con me?
 
“Mi hai fatto un favore e io devo ricambiare. E il minimo che possa fare è offrirti un drink, o hai paura che c’infili qualcosa dentro per ucciderti?” scherzò prendendomi in giro, facendomi ridere, scuotendo la testa.
 
Non più convinta di voler andar via, lasciai semplicemente che mi trascinasse all’interno.
 
Passammo davanti al mio tavolo e si fermò a salutare Liam, visto che conosceva anche lui e Ludovica che aveva gli occhi rossi, mi squadrò, restando a bocca aperta davanti lo spettacolo che aveva avanti.
 
Aveva pianto, per colpa mia.
 
“Grant scusami un attimo, devo parlare con la mia amica” dissi, attirando uno sguardo accusatore da Mark che mi fulminò come volesse dire “Sai parlare in inglese adesso?”.
 
“Ti aspetto qui” disse, sedendosi al mio posto di prima. Ludo guardò la scena e pensai che realmente stesse per cadere dalla sedia, così andai da lei  e in silenzio le presi la mano, trascinandola di nuovo in bagno.
 
Mi seguì in silenzio e appena arrivate, si voltò verso di me e notai le sue lacrime.
 
“Ludo, scusami… perdonami ti prego ho detto delle cose orribili.” Le sussurrai sentendo di nuovo le mie lacrime riaffiorare. Avevo fatto piangere la persona più solare e che più mi voleva bene sulla terra, senza alcun motivo valido.
Scosse la testa singhiozzando. “No scusami tu, ho fatto tutto di testa mia e non avrei dovuto ma avevo bisogno di vedere quella luce” sussurrò, prima di allontanarsi da me, smettendo di piangere.
“Luce?” chiesi, confusa.
“Si, quella che avevi adesso, quando eri vicino a Grant e per la cronaca, perché eri vicino a Grant? O mio Dio, tu eri vicino a Grant!!” urlò, improvvisamente impazzita di gioia.
Risi di gusto arrossendo. “Bhè stavo andando via, mi ha visto e l’idiota di Mark gli ha detto che mi chiamavo Betta… ha fatto due più due e mi ha fermata. Ora si è messo in testa che deve offrirmi un drink per ripagare il favore che gli ho fatto” dissi ancora incredula della mia stessa storia.
 
Ludo iniziò letteralmente a saltare per il bagno e corse al lavandino a sciacquarsi la faccia.
 
“Oddio allora. Io ora prendo i due modelli e me ne vado, dico a Liam di trovare un’amica per Mark, tu resterai sola e devi Per Forza farti accompagnare a casa da Gra..”
“Ehy calma!! Ha detto un drink, non ha detto, vieni e sposami! Non mollarmi qui o giuro che mi arrabbio sul serio!” urlai seriamente preoccupata.
Magari Grant si era già stufato di aspettare e se n’era già andato a farsi un giro con qualche modella carina, che sedeva al bancone del bar.
Ludo prima strinse le labbra delusa, poi annuì. “Si però se ti chiede di accompagnarlo tu ci vai ok?” mi ordinò estremamente seria.
Risi, pensando che fosse realmente  impazzita. Un solo invito ad un bar e già pensava che potessimo essere la coppia dell’anno.
“Aspetta” disse prima di tornare dentro. Mi accompagnò allo specchio e mi sistemò il trucco colato per il pianto.
“Ecco. Te l’avevo detto che dovevi metterti il vestito!” si arrabbiò guardando i miei jeans poco eleganti.
Ruotai gli occhi, dandole anche leggermente ragione. “Non sarebbe cambiato nulla. Gonna o jeans sono sempre io e credimi Grant non vede l’ora di sdebitarsi e mollarmi qui con l’idiota di Mark!”
“Dai non è così idiota. Sembra davvero interessato a te!” controbatté, uscendo dal bagno.
Si forse era davvero così ed era seriamente carino quel Mark, ma sinceramente un modello di costumi non m’interessava, in quel periodo.
 
A parte Grant ovvio.
 
Ma Grant non era soltanto un modello. Grant sapeva cantare, recitare e fingersi interessato ad avere un qualsiasi tipo di avvicinamento con me, soltanto per confermare la sua indole da bravo ragazzo, che si occupa del suo fandom. Insomma era quel Grant che a me piaceva e non solo perché girava quasi nudo su una passerella.
Anche se alla vista, avrei potuto asserire che mi sarebbe bastato quello… Ma no, io mi ero “innamorata” di lui per la sua voce e non per i suoi addominali. Almeno credevo.
 
Tornammo a braccetto al tavolo e notai una strana espressione in Mark.
 
Guardai al mio posto e… Grant non c’era.
 
Ovviamente.
 
Mark sbuffò, attirando la mia attenzione. E tornai subito a pensare che fosse un idiota.
 
“Ti aspetta al bar” disse semplicemente, indicando il bancone dall’altra parte della sala.
 
Guardai Mark, sentendomi seriamente in colpa, scusandomi con lo sguardo e rimangiandomi tutti gli “idiota” col quale lo avevo catalogato, prima di raggiungere Grant al bar.
 
Mi affiancai, stupendomi della mia stessa intraprendenza e soprattutto della tranquillità della situazione e si voltò sorridendomi.
 
“Un Martini per me e per la signorina…”
“Vodka. Alla fragola” dissi, al cameriere.
 
Mi guardò stupito, avrà pensato che fosse una specie di gioco in cui l’uno parlava inglese e l’altra in italiano.
 
“Allora, quanto resti qui?” chiese, passandomi il bicchiere. Per un attimo, mi allungai a prenderlo e le nostre dita si sovrapposero, facendomi imbambolare davanti a quella vista.
 
Il modo in cui le mie dita magre, si poggiavano su quelle decisamente più lunghe di Grant sembrò quasi come se gliele stessi stringendo. Come se stessi tenendo la mano a Grant Gustin.
 
Scossi la testa vergognandomi al solo pensiero della faccia ridicola che avevo fatto e ritirai la mano, lasciando che lui mi passasse il bicchiere fino all’altezza della mia.
 
“Dovrei restare qui per entrambe le settimane…” risposi, leggermente ansiosa. Avevo ancora intenzione di tornamene a casa, dopo che ero seduta al suo fianco?
 
Non ne avevo idea. In fondo io sapevo di essere strana e sicuramente avrei preso la decisione sbagliata.
 
“Ma?” infatti chiese subito Grant.
 
Lo fissai, non sapendo cosa rispondere. In fondo… cosa mai avrei potuto rispondere?
 
Ho pensato di andarmene perché avevo paura che tu mi guardassi, perché sono una ridicola insicura del cazzo e anche adesso sembra che io non sia sicura di essere seduta al tuo fianco, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo?”
 
Semplicemente mi strinsi nelle spalle, insicura sul da farsi.
 
“Non è ciò che ti aspettavi?” chiese, provando ad interpretarmi.
 
No, Grant. Non mi aspettavo che soltanto il giorno dopo della mia permanenza milanese, mi sarei trovata al tuo fianco, senza nessun motivo realmente valido. No. Non me l’aspettavo.
 
“Di che parli?” chiesi, sperando di non aver capito la domanda.
 
“Mmm non so. La fiera, magari t’interessa altro. Non sembra il tuo stile la moda” suppose, sorseggiando il suo whisky.
 
“No, in realtà la moda mi piace eccome. Io vorrei scrivere, diventare redattrice… E’ solo che forse ho fatto male i conti”
 
“In che senso?”
 
“Bhè non so… Ho visto già abbastanza per la mia tesi di laurea e stare chiusa due settimane in quel capannone forse non mi sembra più così allettante. Insomma, forse ho perso già interesse o forse dovevo immaginarlo. Io voglio scrivere, non voglio partecipare ad eventi che forse non mi serviranno a molto, a parte qualche appunto” risposi stringendomi nelle spalle.
 
In fondo ero lì solo per Grant, ma la realtà, del resto, era vera. Passare due settimane a rincorrere Ludo che a sua volta rincorreva bei modelli a torso nudo, non era proprio il mio genere di divertimento.
 
“Bhè sei a Milano, la città della moda, potresti magari… fare shopping”
 
Mi scappò una risata talmente rumorosa, che dovetti portarmi la mano alla bocca, per non fare figuracce. Mi guardò stupito, pensando che io fossi pazza o che il pazzo era stato lui ad invitarmi per quel drink.
 
“Oddio scusa. Ma … mi hai guardato bene? Io sono quella che è seduta coi jeans, in un locale sciccoso. Insomma, shopping? Sul serio?” dissi facendolo ridere.
 
Mi squadrò come se stesse notando il mio vestiario per la prima volta e mi sentii avvampare sotto quello sguardo.
Avevo decisamente sbagliato a non ascoltare Ludo e i suoi sproloqui sui vestiti da indossare.
 
“Mmm bhè se non ti piace assistere alle sfilate, potresti occupare il tempo facendomi da guida.”
 
“Cosa?” urlai sbarrando gli occhi, arrossendo per l’orrendo tono di voce che avevo utilizzato. Il mio cuore iniziò a tremare e pensai di essere destinata all’ospedale. Stavo letteralmente per morire.
 
“Sì, mi piace Milano, ma i miei amici l’hanno già vista e comunque sono impegnati in fiera tutto il giorno e da solo mi annoio. Sempre se non hai più paura di me. Come hai visto… non ti mangio” disse ridendo, parlando però seriamente.
 
Grant Gustin seriamente mi stava chiedendo di accompagnarlo a fare un giro per Milano.
 
 Lo guardai non riuscendo a dire assolutamente nulla. Stavo solo cercando di non sembrare troppo pallida, pronta ad uno svenimento repentino.
 
Mi guardò sbattendo le palpebre per un istante, prima di scuotere la testa, vedendo la mia espressione di completo panico.
 
“Scu-scusa ho esagerato. Insomma non mi conosci ed io ho sempre quest’idea che chi come te mi ha, sì insomma, seguito da tempo, possa fidarsi di me… Ma mi rendo conto che è un’idea assurda e faresti bene a non accettare perché in fondo non mi conosci ed io non conosco te, ma mi sembrava…”
 
“Va bene” dissi stupendo me stessa e lui in un solo colpo, bloccando il suo sproloquio.
Si stava preoccupando che io potessi aver timore di uscire con qualcuno che in realtà non conoscevo. E realmente io non conoscevo l’uomo seduto davanti a me e forse non conoscevo neppure me stessa. Dopo cinque anni, ero seduta al bancone con l’attore che mi ha fatto impazzire da ragazzina, causando pianti e inutili crisi adolescenziali, e addirittura lui stava trovando piacevole la mia compagnia, almeno al punto di non dover scappare, stare ancora al mio fianco e chiedermi di accompagnarlo per Milano. Ma poi, io che diavolo ne sapevo io di Milano?
 
“Va bene?” chiese, arcuando un sopracciglio.
 
Mi strinsi nelle spalle, e annuii subito prima che cambiasse idea e ritirasse l’invito.
 
“Ma sappi che sono una pessima guida. Non conosco Milano e potresti perderti in meno di cinque minuti” dissi ridendo di me stessa e della mia goffaggine. Avrei sicuramente fatto una figuraccia.
 
“Bhè correrò il rischio e poi se ci perdiamo in due, è più semplice ritrovare la strada no? Se mi perdo da solo, rischio di restare a dormire sotto qualche ponte non sapendo dire una sola parola d’italiano”
 
“No dai… Sai dire ‘Ciao’ e ‘Grazie a tutti’. Non è male come inizio.” Dissi prendendolo in giro, facendolo ridere.
 
Per un attimo, smisi di sorridere pensando che io stessi prendendo in giro, scherzando come se lo facessi da sempre, con… Lui. Era una sensazione appagante perché in fondo, sapevo che io e Grant ci saremmo trovati bene, in fondo. E’ alla mano e non mette in soggezione, anzi. E’ riuscito a farmi parlare più del belloccio che mi aveva rifilato Ludo, seduto prima al mio fianco.
Rabbrividii pensando che forse non mi ero sbagliata. Non avevo sognato.
 
Stavo vivendo un sogno ma era così giusto nella sua follia che mi resi conto che potevo smettere di aver paura e soprattutto di sperare.
 
Il mio sogno era iniziato, ma questa volta non mi sarei più svegliata. 



CORNER 

MI SCUSO PER IL RITARDO MA VEDETE LA PROTAGONISTA QUI PRESENTE E' IN PUNIZIONE E IO SENZA LA SUA PRESENZA NON RICEVO LA GIUSTA ISPIRAZIONE HAHAHA
MA MI FA PIACERE PERCHE' LA STORIA SEPPUR SIA STRETTAMENTE PERSONALE AD UNA PERSONA REALE COME BETTA, E' COMUNQUE SEGUITA DA ALTRE PERSONE E VI RINGRAZIO.
ATTENDO IL RITORNO DELLA PAZZA E POSTO IL PROSSIMO, SPERO PRIMA POSSIBILE.
INOLTRE MI SONO IMPELAGATA IN TRE FF, COMPRESO QUESTA, E NON HO TEMPO MATERIALE PER VIVERE, VISTO CHE LAVORO 8 ORE AL GIORNO HAHAHA
UN BACIO A TUTTI, GRAZIE PER LE SEGUITE, RICORDATE E PREFERITI E LE RECENSIONI 
BETTA THE BEST I LOVE YOU ♥
VALE

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 ***


                                                        Capitolo 6
 
 
 
 

E quelli, furono i cinque giorni più assurdi e strani che io avessi mai vissuto.
 
Chiunque si aspetterebbe che io ricordassi dei giorni da favola, magari col mio principe azzurro che mi teneva la mano, camminando, sorridendo, per le strade di Milano, indicandomi le persone più strane, o regalandomi fiori al nostro primo appuntamento.
 
 
 
Bhè, non è andata così.
 
 
 
Quella sera stessa, nella quale mi chiese di fargli da guida, Grant, mi riaccompagnò al tavolo e, con nostra sorpresa, Mark era andato via, lasciando soli, Ludovica e Liam, che sembravano essere diventati due ventose appiccicose. Non smettevano di divorarsi l’uno con l’altro, dando spettacolo in quel locale, noncuranti degli occhi curiosi che li stavano guardando.
 
Grant si sedette al posto di Mark, tossendo per attirare l’attenzione dei due piccioncini che erano diventati, improvvisamente, un tutt’uno, facendoli staccare finalmente l’uno dalle labbra dell’altro.
 
Rise alle loro facce stranite, quando si trovarono Grant Gustin che ghignava ai loro visi arrossati e al loro fiatone. “Ragazzi, bentornati” sogghignò, facendomi ridere di gusto.
 
“Piacere Grant, non ci siamo ancora presentati” disse a Ludovica, porgendogli la mano.
 
Ludo mi guardò in panico e vedendomi annuire, sorridente, si allungò per stringerla.
 
“Ludovica” rispose, ancora imbarazzata, con Liam che le teneva la mano.
 
Grant si voltò verso il suo amico ridendo, facendolo arrossire. “Amore a prima vista, eh?” chiese a Liam, che lo pregò con gli occhi di non fargli fare ulteriori figuracce, con la mia migliore amica.
 
Ludo, arrossì, mentre io mi sedevo al suo fianco, lasciando Grant solo dall’altro lato del tavolo.
 
Avevo bisogno di un attimo di distanza. Stava diventando tutto troppo strano e tropponaturale.
 
“Domattina io e Betta andiamo in giro per Milano…” introdusse, dal nulla, mentre Ludovica quasi non si spezzava il collo, per guardarmi con occhi sbarrati.
 
“Volete venire con noi?”
 
 
 
 
 
 
E da quella domanda, quello che credevo avrebbe dovuto essere il mio sogno, che si realizzava, diventò invece un completo girare in tondo, per una città che sì, mi piaceva, ma non riuscivo ad apprezzare, presa dal malumore e da tutti i miei sogni infranti.
 
Liam e Grant ogni mattina venivano a prenderci alle 10, per girare tra musei e negozi, mentre file di ragazzine sbavanti ci rincorrevano e si moltiplicavano alla loro vista.
 
Io e Ludo restavamo indietro, con i piedi in fiamme, mentre loro si facevano lodare e Liam si sentiva sempre più importante, essendo catalogato come il migliore amico di Grant Gustin.
 
Avevamo effettivamente capito che erano davvero molto amici, forse non come Liam con Mark che, per fortuna, era sparito dalla circolazione, ma si conoscevano da anni e non era la prima volta che giravano il mondo insieme.
 
 
Ludovica sembrava al settimo cielo, seppur distrutta per il continuo girare e girare, per la città.
 
Ogni sera il suo principe azzurro la portava in un ristorante di lusso, prima di riaccompagnarla a casa, per poi parlare al telefono per ore.
 
Forse Grant aveva ragione: per loro era scattato quel famoso amore a prima vista, quello che tutti sogniamo, ma sembra non arrivare mai.
Quello che mi rese felice, perché era capitato alla persona più importante, per me, in questo mondo: la mia migliore amica.
 
Ogni primo pomeriggio accompagnavamo i due ‘modelli’, in fiera, sedendoci vicino al palco, aspettando che finissero, per poi darci appuntamento per il giorno dopo.
 
La domenica, però, mi resi conto che avevamo oramai visitato Milano in cielo e in terra e che era inutile continuare a girare a vuoto, visto che mi ero persino stancata di vedere Grant ogni giorno e non scambiarci nemmeno una singola parola.
 
Era troppo preso dal suo ‘amico d’infanzia’ per rendersi conto che ero nei paraggi.
 
Ludovica continuava a spronarmi dicendo che comunque ogni giorno mi dava un appuntamento mattutino e che, se non gli fosse interessata la mia presenza, forse nemmeno mi avrebbe più invitato, ma a quel punto ero stanca.
 
Cinque giorni di completo nulla erano bastati a farmi capire.
 
Grant Gustin non mi piaceva.
 
 
Era troppo innamorato di se stesso e della sua fama e, anche se si era comportato come un gentiluomo e mi aveva invitato in quella folle settimana turistica, non riuscivo più a sentirmi lusingata come la prima sera.
 
Mi sentii invece presa in giro e forse un po’ delusa dal suo comportamento e … avevo capito. Si stava sdebitando con me e cinque giorni erano bastati.
 
Il giorno dopo sarebbe iniziata una nuova settimana ed io l’avrei passata da sola, tornando a fare ciò che mi ero prefissata sin dall’inizio: andare a quella dannata fiera e fare in modo che la settimana passasse in fretta per tornarmene a casa, in completa tranquillità.
 
 
 
Quella domenica pomeriggio decisi di restare in casa, poiché c’era un giorno di pausa agli stand e ne approfittai per riposare ed allontanarmi da quello che credevo fosse un sogno,  ma si stava tramutando invece in un vero e proprio incubo.
 
 
Grant era carino, ci offriva il pranzo e sorrideva alle battute di Liam e Ludovica. Ogni tanto aveva persino finto di guardarmi, chiedendosi magari perché tenessi quel muso lungo e non mi trovassi a mio agio con la situazione, ma stava di fatto che era troppo innamorato di se stesso per piacere ad una come me.
 
Non era il ragazzo che m’immaginavo.
 
Dolce ed educato sì, forse leggermente timido e riservato, ma la fama sicuramente era nelle sue priorità ed io non ero abituata a correre dietro a qualcuno, come un cagnolino, soprattutto se questo qualcuno amava fermarsi per ore a firmare stupidi autografi e scattare ridicole fotografie.
 
Okay, forse ad un occhio umano, distaccato dalla mia realtà, potrebbe sembrare semplicemente che Grant fosse un ragazzo gentile, che ci teneva a trattare bene i suoi ammiratori, ma, al mio occhio, stava semplicemente ignorando me, per accontentare il resto del mondo.
 
No, di certo, non era il sogno che mi aspettavo di vivere. Era forse iniziato come tale, ma era subito sfociato in un completo baratro di totali ripensamenti.
 
 
 
 
Me ne stavo distesa sul letto vuoto di Ludovica, quando il mio cellulare vibrò. Era lei.
 
“Hey che succede?” chiesi al cellulare, domandandomi perché mi stesse telefonando, invece di stare con la bocca appiccicata a quella del suo nuovo fidanzatino.
 
Hey, come stai?”
 
Saltai sul letto, sentendo una voce inconfondibile. Roca, maschile, accento americano. No, non apparteneva a Ludovica.
 
“Gr-Grant?” balbettai, facendo cadere ogni odio, iniziando a sentire il cuore battere come non mai.
 
“Sì, dove sei sparita oggi? Ti stavamo aspettando…” disse, mentre il mio cuore usciva dal petto.
 
“Io?” mormorai, cercando una scusa plausibile, che non mi facesse sembrare una totale idiota. “Sono stanca di Milano, sinceramente l’abbiamo già vista tutta, volevo riposare” dissi, quindi, sincera, oramai abituata a fingere di parlare, come se lui fosse una persona qualsiasi.
 
“Mmm quindi sei stanca?” chiese, con una voce leggermente strana.
 
Arcuai le sopracciglia, mordendomi le labbra, per quella domanda. Cosa stava cercando di dirmi?
 
“Un po’..” risposi, pensando che stavamo ritornando alla stranezza iniziale e che quella telefonata aveva sicuramente uno scopo che stavo ignorando.
 
“Sarai stanca anche tra due ore?” disse, formulandola come se quella domanda avesse senso.
 
“Co-come?” chiesi, sbattendo le palpebre.
 
“Ti porto a cena, vuoi?” disse tutto d’un fiato, facendomi perdere tutti i battiti del mio cuore, che era sull’orlo di fermarsi da un momento all’altro.
 
Restai a fissare il vuoto ad occhi sbarrati, mentre nella mia mente passava il tutto e il niente.
 
Non mi aveva quasi parlato per una settimana ed ora… mi stava invitando a cena?
 
Grant Gustin, quel Grant Gustin?
 
 
“Betta?” mi chiamò, mentre io restai forse per minuti troppo lunghi, in silenzio.
 
“Io…” sussurrai confusa.  Avevo già asserito che Grant non era il mio tipo. Era un ottimo attore e un gran cantante, ma avevo deciso che non avrei mai potuto innamorarmi di uno come lui.
 
E allora, perché stavo titubando sul dirgli semplicemente ‘no, grazie’?
 
“Stai bene?” mi chiese, con una voce imbarazzata. “Se-se sei stanca, possiamo rimandare” balbettò, confuso, facendomi deglutire a vuoto.
 
Grant Gustin stava balbettando… parlando con me.
 
E in quell’istante avrei voluto urlami contro per essere stata una stupida e aver dubitato della sua persona e avrei voluto urlargli contro, il sì, più forte che avessi potuto pronunciare, ma le parole scivolarono dalla mia bocca, partendo da sole. “Perché?” chiesi semplicemente, arrossendo per la mia stupida domanda.
 
“Perché?” chiese titubante, imitandomi, non riuscendo a capire la reale domanda.
 
“Perché voglio uscire con te…?” domandò, non formulandola proprio come una domanda, facendomi morire.   
“…Da soli?” continuò, portandomi direttamente all’infarto.
 
 
E forse avevo smesso davvero di respirare, perché dal grande specchio, posizionato di fronte al letto, sul quale ero seduta, vidi il mio viso diventare rosso fuoco e i miei occhi diventare lucidi.
 
“Okay, scusa. Non volevo metterti in imbarazzo, lascia perdere, ti passo…”
 
“NO!” urlai, forse a voce troppo alta, contro il telefono, rinsavendo. “Tra-tra due ore?” chiesi, sperando che confermasse ciò che avesse detto, sperando di non averlo semplicemente immaginato.  
 
Sentii un piccolo respiro rumoroso, dall’altra parte del telefono e mi resi conto che stava sorridendo come suo solito, tirando su col naso. “Sì, passo a prenderti io. Ti mando un messaggio” disse, passando il telefono a Ludovica.
 
 
 
“Sei ancora viva?” chiese lei ridendo, parlando velocemente in italiano, in modo che non capissero.
 
“Tu che dici?” le domandai, provando a rilassarmi, scherzando con la mia amica.
 
“Bhè io dico che è un miracolo che tu respiri ancora. Aspettami, sto tornando a casa!” disse, urlando, mentre io sentii un leggero schiocco, segno che stesse salutando Liam.
 
“Perché stai già tornando?” domandai, al vuoto, visto che aveva già riattaccato.
 
 
 
 
 
E fu così che, dopo due ore, mi trovai in un vestito nero, stretto da mancare il fiato, che mi aveva comprato, tornando a casa, in tacchi a spillo e con un trucco e parrucco, che proprio non rispecchiavano la mia personalità.
 
 
 
 
 “Ma Ludo, sono ridicola!” urlai, guardandomi allo specchio, per nulla convinta del mio aspetto. Il vestito era meraviglioso, come le scarpe e la borsa, che mi aveva comprato, ma non erano proprio nel mio stile ed inoltre ero certa che avrei fatto una figuraccia, cadendo da quei trampoli da un momento all’altro.
 
“Sei perfetta, e muoviti è già qui” disse, spingendomi verso la porta d’ingresso.
 
“Co-come, cosa? E’ qui?” chiesi in panico.
 
Okay stava andando tutto troppo in fretta, non ero pronta e, forse, non lo sarei stata mai.
 
“Il tuo cellulare, sta vibrando da dieci minuti. Ah… Avrai tempo per ringraziarmi dopo!” urlò, chiudendomi la porta alle spalle.
 
“Per cosa?” urlai, di rimando, alla porta senza riceverne risposta.
 
 
 
 
Presi l’ascensore sentendo un’irrefrenabile voglia di tornarmene indietro. Quelle due ore erano volate ed io non avevo avuto il tempo di riflettere.
 
Cosa stavo facendo? Stavo davvero per uscire con… Grant Gustin?
 
E perché stavo uscendo con Grant Gustin, se non era affatto il tipo di persona che immaginavo al mio fianco?
 
 
Ero convinta di voler tornare, con una scusa qualsiasi, al mio appartamento, fingendo un malore, quando la vista di Grant, che mi aspettava davanti l’ascensore, in un completo di taglio classico, con camicia bianca aperta sul collo, in giacca e pantalone nero, mi pietrificarono sul posto.
 
 
Era perfetto.
 
 
Restai nell’ascensore, fissandolo, deglutendo, completamente priva di salivazione.
 
Non ero pronta e dovevo aspettarmelo. Non si trattava di andare per negozi o di visitare musei. Non eravamo con altre due persone, che creavano distacco e silenzio tra noi.
 
Quella sera eravamo soli ed io mi sentii completamente fuori luogo non appena… mi sorrise.
 
Forse restai qualche istante di troppo, bloccata in piedi, in quell’ascensore, perché iniziò a richiudersi, ma Grant, istintivamente, passò una gamba, tra le porte, facendole riaprire.
 
 
“Ciao…” sussurrò, porgendomi la mano, che io fissai, aspettando che magari prendesse fuoco o iniziasse a cambiare colore.
 Non accennai a porgere la mia, ancora pietrificata sul posto, così Grant, entrò di qualche passo e strinse il mio polso, trascinandomi fuori.
 
 
Seguii semplicemente i suoi passi, lasciando che l’ennesima figuraccia, s’impadronisse di me, facendomi trascinare, mentre tremavo visibilmente, al semplice contatto delle sue dita sul mio polso.
 
“Betta, stai bene? Se-se ci hai ripensato, va bene, non ti preoccupare” balbettò, in imbarazzo, mentre io, decisi, finalmente, di alzare gli occhi al cielo, per puntarli nei suoi cristalli verdi.
 
Scossi la testa ancora incapace di parlare, prendendo un grosso respiro. “Sto-sto bene” mormorai, riuscendo finalmente a dire due parole, che bastarono a farlo sorridere, mentre allungando la mano, indicava l’esterno del palazzo.
 
 
Iniziai a camminare, aspettandomi chissà quale enorme bianca limousine fuori, che ci attendeva ed invece trovai una piccola cinquecento, proprio in stile Italy.  
 
 
Sbattei le palpebre, domandandomi dove fosse finito il macchinone e l’autista e, come se mi avesse letto nel pensiero, si avvicinò alla portiera del passeggero, aprendola, da perfetto gentiluomo.
 
 
“Quest’auto è più discreta” spiegò, mentre io, camminai verso la macchina ed entrai, seguendo la sua mano che richiudeva la portiera al mio lato.
 
 
Chiusi gli occhi pensando che mai nessuno aveva fatto un gesto tanto galante nei miei confronti, prima d’allora, e forse avevo sbagliato a giudicarlo male.
 
 
 
Entrò in auto, sorridendomi per un istante e stranamente mi sentii meno agitata, così risposi a quel sorriso, arcuando le labbra, ricambiando la cortesia.
 
Restammo svariati minuti in silenzio, mentre Grant, al posto di guida, guardava la strada, concentrato su dove dovesse andare.
 
Iniziai a contorcermi sul mio posto perché non avevo idea di dove mi stesse portando e del perché non stesse parlando.
 
Avevo imparato, in quei giorni, che era una persona abbastanza logorroica e, seppur io non lo avessi degnato di un solo sguardo, lui parlava, tenendo banco tutto il giorno, con Liam, Ludovica e me, trattando gli argomenti più assurdi e a volte più ridicoli, che io avessi mai sentito.
 
Il più delle volte riguardavano il suo peloso cane e la sua squadra del cuore di basketball.
 
E, in quell’istante, in cui avrei davvero voluto che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, pur di mettere fine a quel silenzio imbarazzante, non accennava né a parlare di cani, né di nessun altro animale esistente sulla terra.
 
Continuai a mordermi le labbra e a giocare col mio anello, sentendo le labbra pizzicare, perché la situazione stava iniziando a diventare davvero pesante ed eravamo in quell’auto da soli dieci minuti, così lasciai che le mie labbra si dischiudessero e gli posi quella domanda.
 
 
“Dove andiamo?”
 
 
Si voltò di scatto, ghignando, notando la mia postura eretta, immaginando, forse,  la mia curiosità, così si strinse nelle spalle, prima di tornare a fissare la strada con occhi furbi.
 
 
“E’ una sorpresa…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
BRANT CORNER
 
 
To: Betta
 
Eh si non appena sei tornata su twitter e hai scritto mezza parola allo spilungone… lui ti ha risposto -.-‘’
 
Ammetto di essere gelosa ma è così. BRANT IS ON ed io subito mi sono messa a scrivere il resto.
 
Come sempre non faccio nulla di normale e ho detto che Grant non ti piace, vediamo cosa fa per farti ricredere e soprattutto… se lo fa!
 
Ps ricorda. Sei vicina alla morte!
 
 
To other people:
Grazie a chi ha lasciato il commentino e ha messo nelle seguite. Kisses
 
Vale ♥

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 ***


                                                                   Capitolo 7
 
 
 
 
“Che diavolo di posto è questo?”
 
Il mio urlo partì in italiano, e riuscii a sentire Grant ridacchiare, non avendo forse capito una parola, o avendo capito forse tutto.
 
Dopo un’ora di tragitto, un’ora particolarmente estenuante, per il costante silenzio e i suoi ghigni alla mia impazienza, fermò l’auto in un vicolo cieco, uno di quelli bui da film horror, raggiungendo il mio sportello, dandomi il suo braccio sorreggendomi, visto che sarei potuta cadere, essendo quasi privi di luce.
 
Se fossi stata in un altro contesto, sarei credo svenuta. Stavo camminando a braccetto con Grant Gustin, ma, oramai, mi ero decisa a vivere quello stupido sogno, aspettando di risvegliarmi prima o poi, maledicendo la mia fantasia.
 
Dopo aver aperto, con delle chiavi, un piccolo portone, in fondo alla strada, dove c’era la sua macchina parcheggiata, mi guidò all’interno, sorreggendomi, camminando come se conoscesse quel posto alla perfezione.
 
Mi guardai intorno, aspettando che aprisse una seconda porta e mi conducesse all’interno.
 
Dopo aver urlato il mio stupore, rimasi esterrefatta da ciò che stavo guardando.
 
Era un piccolo appartamento, di quelli abbandonati, in piccole province, magari di montagna, ma era perfettamente arredato. Tutto intorno era di pietra. Sembrava quasi che stesse cadendo a pezzi e, invece, all’interno era completamente messo a nuovo.
 
C’era un salotto con una televisione che, a vista d’occhio, sarà stata almeno 52 pollici. Un bellissimo divano in pelle bianca, davanti ad essa e, al centro, un tavolino, di quelli che poggi i piedi, rilassandoti davanti la tv. Di lato, un caminetto, magari per gli inverni freddi, il tutto già illuminato, senza che lui accendesse nulla, da flebili luci, provenienti da piccoli lampioncini tutti intorno alla stanza.
 
Era perfetto.
 
Mi condusse in cucina e notai che era davvero una casetta piccola e si e no avrà avuto un’altra stanza, probabilmente da letto, e un bagno.
 
La cucina era splendida. Tutta in  pietra, come il resto della casa, con un arco che conduceva ai fornelli e al lavello e un’isola dietro la quale c’erano due sgabelli.
 
Era una casa per due persone. Un piccolo rifugio.
 
Notai che su quel bancone, al centro della cucina, c’erano già finemente apparecchiate due tovagliette, con del vino al centro e una rosa rossa su una delle due.
“L’ho comprata.” Spiegò, attirando la mia attenzione.
 
Mi voltai ad occhi sbarrati, guardandolo impietrita.
 
“Tu cosa?” Sussurrai, incredula.
 
“Ero ad un locale qui vicino, con Liam, qualche sera fa e abbiamo visto un cartello fuori questa strada. L’ho vista, mi è piaciuta e l’ho comprata.”
 
Deglutii, non capendo quasi nulla di ciò che stesse dicendo.
 
Cioè, avevo immaginato che fosse ricco sfondato, ma comprare ed arredare una casa in pochi giorni, era di certo oltre l’immaginabile, anche se dallo stato, in cui si trovavano quelle mura, e dalla strada nel quale ci trovavamo, non sarà sicuramente costata molto.
 
“Grant, dove siamo?” Chiesi, non avendo idea se ci trovassimo ancora a Milano o chissà dove.
 
“Credo si pronunci ‘Lumezzano’.” Disse sbagliando sicuramente pronuncia.  “Qui vicino abbiamo avuto una serata di lavoro. E’ davvero carino come posto e, visto che mi piace Milano, ho pensato che avrei dovuto procurarmi un luogo per venire più spesso, stando però non al centro della metropoli.” Spiegò stringendosi nelle spalle.
 
Si avvicinò al bancone e ritirò uno sgabello, facendomi segno di sedermi. “Quella è per te.” Disse indicando la rosa, facendomi mancare il fiato.
 
La presi, stringendo le labbra, col cuore a mille.
 
Sembrava davvero un appuntamento, seppur io volessi fingere il contrario. I suoi vestiti, i suoi modi, una rosa, del vino... Visto dall’esterno, sarebbe sicuramente sembrato un tentativo d’approccio. Ma non ci pensai. Non dovevo darmi false speranze o avrei continuato a sognare, aspettando che arrivasse la fine.
 
 
Aprì il frigorifero e n’estrasse dell’acqua e un vassoio con degli antipasti, prima di andare ad accendere i fornelli, dov’era poggiata una pentola con dell’acqua.
 
“Grant quando hai preparato tutto questo?” Chiesi, mentre mi serviva del pane e dei salumi.
 
“Prima. Mi ha aiutato Ludo. In realtà quando ti ho chiamata, stavamo tornando da qui.” Spiegò, facendomi mancare un battito.
 
Il fatto che Ludovica non avesse insistito sul farmi uscire quel giorno, il fatto che nessuno avesse controbattuto la mia assenza, li aveva portati ad organizzare quella serata.
 
Sì era ufficiale: La mia amica era la persona più speciale del pianeta.
 
Si sedette dall’altro lato, versando del vino ad entrambi, prima di indicare il mio bicchiere. “Bevi?” Chiese, iniziando a bere il suo.  
 
Annuii, alzando anche il mio, avvicinandolo alle labbra, godendo di quel sapore leggero, per fortuna, non reggendo al massimo l’alcool.
 
Mangiammo per qualche istante in silenzio, poi iniziò a chiedermi della mia università e della mia vita a Perugia, tanto per chiudere gli imbarazzanti sguardi al piatto che inviavo, per non guardarlo.
 
 
“E a Perugia hai un ragazzo?”Chiese improvvisamente, alzandosi per buttare la pasta, nell’acqua che bolliva.
 
 
E, alla sua domanda, mi stavo quasi per strozzare con del prosciutto, tossendo come un idiota, e lo sentii ridere, scuotendo la testa.
 
 
“Evidentemente sì.” Disse, tornando a sedersi con nonchalance, guardandomi divertito.
 
“No, invece. Nessun ragazzo.” Risposi, ruotando gli occhi al cielo, sentendo il viso infiammarsi sotto il suo sguardo.
 
Come solito di Grant, aveva poggiato entrambi i gomiti sul bancone, poggiando la testa sulle mani, guardandomi ghignando, mettendomi in imbarazzo, come faceva con ogni persona gli capitasse a tiro.
 
 
Effettivamente qualsiasi cosa avesse fatto uno come lui, avrebbe messo in imbarazzo una come me.
 
 
Non gli chiesi se lui avesse una ragazza. Io lo sapevo già. Lui aveva Hannah e non faceva altro che ricordarlo, inviandole amore pubblico sui social network.
 
 
“Sei sicura di stare bene? Sei più muta del solito.” Disse, servendomi dell’altro vino che accettai, per aiutare a scogliere quella tensione che mi stava attanagliando.
 
Annuii, poco sicura. “Perché mi hai portata qui?” Chiesi, avendo bisogno di saperlo, prima di iniziare a far girare mille film nella mia testa, senza sapere il reale motivo di quella ‘fuga’.
 
“Perché sono a Milano da una settimana e non mi hai dato modo di conoscerti.” Spiegò, dandomi una risposta poco utile, andando a scolare la pasta, pronunciando quella frase, come se fosse la cosa più naturale del mondo, non rendendosi conto che ogni sua parola era una lama al petto, che mi provocava così tante emozioni, da sentirmi davvero come se non riuscissi più a parlare.
 
 
Bevvi ancora, iniziando a sentire le guance calde, per il troppo vino, al quale non ero abituata e aspettai che si affaccendasse, in completo silenzio, per poi tornare con due piatti pieni di spaghetti e qualcosa di vagamente marrone.
 
Lo fissai, avendo paura del suo contenuto, prima che si stringesse nelle spalle, passandomi una scatoletta vuota di ‘Simmental’.
 
“Che tu ci creda o no, questa esiste anche in America.” Disse, indicando il mio piatto. “Ed è l’unico pasto mangiabile che riesco a cucinare.” Spiegò, ridacchiando, aspettando che ingurgitassi il primo boccone e, sorprendentemente, mi accorsi che era buono. Oltre alla carne in scatola, aveva aggiunto delle olive nere e ovviamente pezzettini di cipolla soffritta. La cottura era a puntino e mangiai tutto, stupendomi.
 
Era un piatto semplice, ma, uno come lui, sicuramente non aveva né tempo, né voglia di cucinare e già iniziare a non bruciare tutto, rendendo saporito un piatto del genere, era un passo avanti.
 
“E’ buona.” Dissi, provando a nascondere la mia sorpresa, con pochi risultati.
 
“Ti aspettavi che ti avrei lasciata digiuna?” Chiese, scuotendo la testa, prendendomi in giro.
 
“No, mi aspettavo una pizza e delle patatine, ma visto il buco nel nulla, dove ci troviamo... Penso che sia impossibile chiedere che ci portino qualcosa d’asporto qui.” Dissi, iniziando a sciogliermi forse per il vino o forse grazie a lui, ma stavo davvero iniziando a sentirmi a mio agio.
 
Dopo una settimana e un paio d’ore passate sola con lui, avevo smesso di vederlo come Grant Gustin, almeno un pochino e avevo iniziato a pensare che davanti ai miei occhi ci fosse una persona, non un idolo o cose del genere.
 
In fondo, si comportava come se la sua vita non fosse quella che io conoscevo. Non come se io potessi sentirmi presa in giro da un istante all’altro, non come se, da quella porta, fosse potuto entrare un presentatore di quegli stupidi programmi di Candid Camera ed io avrei potuto essere la loro cavia.
 
Semplicemente stava facendo conversazione, sorridendomi con quegl’occhi che brillavano e quei denti perfettamente bianchi.
 
Avevo sbagliato sul suo conto.
 
Non era pieno di sé, anzi. Non era affatto un narciso o avrebbe passato tutta la sera a parlare di lui e della sua carriera, magari del suo futuro o della sua perfetta ragazza. Invece, stava puntando a me, cercando forse davvero di conoscermi. Anche se non ne capivo il perché.
 
 
Dopo aver sparecchiato i piatti vuoti, andò a prendere qualcosa che sembrava stesse prendendo fuoco nel forno che aveva acceso, mentre cucinava la pasta, imprecando per il vassoio troppo caldo.
 
 
Tornò dopo poco, con due piatti con delle cotolette e mi passò una ciotola con dell’insalata.
 
 
“Queste le ha fatte Ludo” Spiegò, indicando i nostri piatti. “Io ho solo rischiato di bruciarle nel forno.”
 
 
Annuii, mangiando, lasciando che il silenzio ripiombasse tra noi.
 
 
“Cosa ti piacerebbe fare una volta laureata?” Chiese, tanto per fare conversazione.
 
“Bhè il mio sogno è diventare redattrice, magari a Londra o Parigi...”
 
“O Los Angeles” S’introdusse, facendomi arrossire, menzionando dove lui attualmente abitava.
 
“Nah, credo che punterò leggermente più in basso. Magari inizierò proprio da Milano.” Spiegai, stringendomi nelle spalle, prendendo i suoi piatti, andando a sciacquarli.
 
“Sai almeno come si usa?” Chiesi, mentre cercava, invano, di mettere in moto la lavastoviglie.
 
Scosse la testa, premendo qualsiasi cosa, quando mi abbassai al suo fianco, mettendola in funzione, sistemando ogni piatto all’interno.
 
“Perché prendi una casa, con una lavastoviglie, se non sai nemmeno usarla?” Chiesi ridendo.
 
“Bhè era compresa nella cucina e poi perché immaginavo di avere sempre qualcuno che mi aiutasse ad usarla...” Scherzò, dandomi la mano, aiutando ad alzarmi, mentre quasi stavo per cadere, piegata su quei dannati tacchi.
 
Una volta alzata ritirai la mano con così tanta fretta che rimase a fissare la sua ancora a mezz’aria tra i nostri corpi.
 
Quel contatto troppo ravvicinato mi stava facendo sentire come se stessi per prendere fuoco e avevo dovuto allontanarmi prima di diventare un peperone, per un gesto così stupido e banale, come porgere la mano, per cortesia.
 
“Cosa vuoi fare? Guardiamo un po’ di tv o vuoi uscire?” Chiese smorzando la tensione.
 
“Mmm la tv va bene.” Dissi, andando verso l’esterno della cucina, sedendomi poi sul divano.
 
Si sedette al mio fianco, iniziando a cercare chissà cosa, tra i canali tv italiani, e dopo aver fatto  zapping, per almeno dieci minuti, fermò su un episodio di NCIS, cambiando lingua, ponendola in inglese.
 
“Penso che dovrò mettere la tv, via cavo. Non capisco nulla della vostra lingua.” Mormorò, allungando un braccio, lungo la testiera del divano, avvicinandosi al mio fianco, sfiorando il mio corpo col suo.
 
Deglutii imponendo a me stessa di stare calma. Eravamo due semplici conoscenti che guardavano la tv, nulla di più, ma poi, quando la sua mano strisciò dal bracciolo del divano, arrivando alla mia spalla stringendola, in un gesto così familiare da farmi venire i brividi, andai completamente in tilt, saltando in piedi, correndo come un’idiota al bagno.
 
 
Chiusi la porta, guardandomi allo specchio, chiamando subito Ludovica, completamente in panico. “Cazzo-Rispondi-Cazzo.”  Mormorai, contro gli squilli del telefono, a ripetizione.
 
 
“Betta?”
 
“Ludo, ti prego, sono in panico. Aiutami.” Sussurrai, sperando che Grant non sentisse, seppur stessi parlando in italiano, quindi era probabile non capisse.
 
“Calma. Respira. Prendi un grosso respiro...” Disse, mentre, ubbidendo inspirai profondamente. “Che diavolo succede?” Chiese altrettanto in panico, mentre sentivo la voce di Liam, che le diceva qualcosa di dolce all’orecchio.
 
“Ho interrotto qualcosa?” Domandai, ad occhi sbarrati.
 
“Ehm...” Mormorò lei, in imbarazzo.
 
“Ma non vi stancate mai voi due? Bhè comunque tu mi hai messa in questo casino e tu devi tirarmene fuori!” Dissi a voce più alta, facendola ridere.
 
“Che hai combinato?” Chiese, ridacchiando a chissà quale scempiaggine perversa, che gli aveva sussurrato Liam.
 
“Nulla. Abbiamo cenato e ho avuto la brillante idea di scegliere la tv, come post-serata e mi ha tipo abbracciato sul divano e non appena mi ha toccato, sono scattata come una molla, correndo al bagno, come se fossi un’anziana incontinente!” Sbuffai frustrata, facendola ridere di gusto.
 
“Ti ha semplicemente abbracciato e sei scappata? Oddio Betta, ma come devo fare con te?”
 
“Sì Ludo, io non posso. Ma che diavolo sta succedendo? Perché mi ha portata qui?” Chiesi, sapendo che conosceva la risposta.
 
“Devi chiederlo a lui questo, vedi che saprà come risponderti. Ora, torna subito alla tv e smettila di fare l’idiota!” Urlò, sentendo Liam ridere, capendo forse la figuraccia che stavo facendo col suo amico.
 
Poi Grant bussò alla porta.
 
“Betta tutto bene?”
 
“S-sì arrivo!” Urlai, balbettando.
 
“Devo andare, e Ludo...”
 
“Si?”
 
“Se state facendo sesso sul mio amato tappeto, ti giuro che me la paghi!” Scherzai, smorzando la tensione.
 
“Ops...” Sussurrò prima di riattaccare, facendomi ruotare gli occhi al cielo. No, su quel tappeto non potevo più dormire.
 
 
Mi guardai ancora allo specchio, bagnandomi il viso con dell’acqua, prima di prendere un enorme coraggio e di uscire, trovandomelo sull’uscio.
 
 
“Hey.” Disse, sorridendo. “E’ successo qualcosa?”
 
Scossi la testa, sentendo il petto fermarsi. Okay ero in un sogno, ma oramai dovevo viverlo.
 
Ero lì, perché sprecare il mio angolo di paradiso?
 
“Grant.” Dissi, ancora sull’uscio del bagno.
 
La luce soffusa del corridoio, provocava un gioco di luci con i suoi occhi verdi, che quasi mi fecero dimenticare ciò che volevo dire.
 
“Si?” Chiese, restando a debita distanza. Forse aveva capito che ero scattata per la sua vicinanza di prima.
 
Trattenni il respiro, provando a dare forza a me stessa.
 
Io dovevo chiederglielo e lui doveva darmi una risposta più precisa, o non sarei mai potuta essere a mio agio, lì con lui.
 
Restai a fissare quelle due gemme verdi, perdendomi nel luccichio che avevano, ogni volta che li muoveva, studiando i miei occhi, aspettando forse che io dicessi qualcosa, visto che lo avevo chiamato e restavo lì in piedi come un ebete.
 
 
“Perché mi hai portata qui?” Chiesi di nuovo, con più convinzione, rispetto a prima.
 
Sgranò gli occhi un istante, arricciando poi la fronte, non capendo forse la domanda.
 
“Deve esserci un motivo?” Chiese stringendosi nelle spalle. “Tu invece perché continui a scappare da me, come se avessi paura?”
 
Sospirai. Era ovvia la domanda e prima o poi sarebbe arrivata, ma non mi tirai indietro, avanzai verso il salotto, aspettando che mi seguisse.
 
“Bhè perché sei Grant Gustin e non capisco perché continui ad inseguirmi, visto che io non sono tipo... nessuno?”
 
“Bhè non è vero che non sei nessuno, o non saresti qui, con me. Perché hai così tanta paura di lasciarti andare? Non lo vuoi?”
 
Alla sua domanda rabbrividii e lanciai uno sguardo attento al pavimento.
 
Non lo volevo? Certo che lo volevo, era il mio sogno, cazzo.
 
Ma come diavolo potevo viverlo, sapendo che prima o poi avrei dovuto seriamente svegliarmi? Come avrei potuto vivere dopo che io mi fossi risvegliata?
 
Era meglio preservarmi di soffrire dopo o concedermi, per una volta di vivere, lasciando che i pensieri arrivassero, poi?
 
 
Annuii incerta, non riuscendo a guardarlo negli occhi, ma lui decise che avrei dovuto farlo, così fregandosene del fatto che stessi tremando da capo a piedi, portò due dita al mio mento, alzandolo.
 
“Non ti sto chiedendo la mano. Ti ho solo portato a cena fuori... cioè tecnicamente a casa mia.” Disse, continuando a tenermi il mento, sussurrando così piano da farmi venire i brividi. “Ma non voglio che tu sia a disagio. Avevo capito che non riuscivi a starmi vicino, in un certo modo, e posso capirlo: metto in soggezione le persone, perché pensano a me come ‘quello che va in tv’, ma speravo che tu capissi che non sono solo quello. Però, ripeto, non voglio che tu non sia a tuo agio, quindi se vuoi ti riporto a cas-”
 
“NO”.
 
E lo urlai così forte che lo vidi sussultare, lasciando il mio mento per lo spavento.
 
Diventai rosso fuoco, guardando il basso per la figuraccia.
 
Il suo discorso mi stava destabilizzando e il fatto che stesse per gettare la spugna, mi aveva spaventato al punto, da urlargli di voler restare con lui.
 
“Vo-voglio restare.” Balbettai, sussurrando, guardando di nuovo il pavimento.
 
“Bene.” Disse, tornando al divano, trascinandomi per mano. “Non darai di matto se ti abbraccio?” Chiese, tornando alle posizioni che avevo interrotto, portando un braccio lungo la mia spalla, premendomi contro di lui.
 
Scossi la testa, fingendo di stare bene, ma ovviamente, soltanto essere inebriata dal suo profumo, così vicino al mio naso, mi stava facendo sentire così debole, da aver paura di svenire quanto prima, lì tra le sue braccia.
 
Guardammo distrattamente la tv, mentre io non facevo attenzione a cosa dicessero. Ero troppo impegnata a sentire la sua mano che saliva e scendeva, strusciando sulla mia spalla, accarezzandomi, per farlo.
 
Voltai leggermente la testa, e notai che stava ghignando al vuoto, pensando sicuramente a quanto fossi stupida, a tremare per così poco, poi lo vidi avvicinarsi con la bocca al mio orecchio e lì pensai che poteva arrivare la mia fine.
 
Respirò un attimo, quasi tentennando, mentre un tremolio attraversò tutto il mio corpo perché... Grant Gustin stava soffiando contro il mio orecchio ed io non avrei resistito a lungo.
 
Trattenni il respiro, aspettando che facesse qualsiasi cosa, combattendo contro l’istinto di scappare di nuovo, ma prima che potessi farlo, lui parlò.
 
 
“Non darai di matto nemmeno se ti bacio?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Brant (?) Corner.
 
Heylaaaa
 
 
Vi lascio un capitolino per augurarvi buona Pasqua e voi e alla pazza che è protagonista di questa storia.
Spero che un giorno la smetterà di flirtare su twitter con Grant davanti ai miei occhi (perché SI succede davvero), perché inizio seriamente ad essere gelosa u.u
 
Vorrei ringraziare chi sta seguendo questa storia leggera e un po’ pazza da parte di entrambe. Seppur sia una storia personale a qualcuno sta piacendo e noi ne siamo felici.
 
Con questo saluto quella piccola peste che m’ispira ogni volta che lei e Grant si punzecchiano (?) su twitter.
 
Buona Pasqua, Tesoro,  e spero che non mi ammazzerai per come ho finito il capitolo u.u
 
Al prossimo, auguri ancora a tutti
 
Kisses
Vale♥
 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 ***


Capitolo 8

 
 
 
 
 
E il fatto che non avesse aspettato nessuna risposta mi ha aiutato.
 
Mi ha aiutato a capire che lo voleva, che non era una richiesta buttata lì, tanto per controllare se riuscissi a tenere sotto controllo un imminente infarto.
Mi ha aiutato a sapere che Grant era lì, per me. Che voleva davvero baciarmi. Che voleva almeno provarci.
 
E lo ha fatto. Senza che io avessi possibilità di spostarmi o di ritirarmi.
 
Non lo avrei comunque mai fatto. Non ne avrei nemmeno avuto la forza o la lucidità.
 
Ma ... è successo.
 
 
Davvero.
 
 
“Non darai di matto nemmeno se ti bacio?”
 
 
Il mio viso, come controllato da una forza superiore, scattò verso di lui, per riuscire a guardare i suoi occhi. Avevo bisogno di sapere che non stessi sognando. Avevo bisogno di guardarlo.
 
E lo vidi.
 
Vidi ogni movimento delle sue labbra. Vidi come stava pasticciando con esse, mentre chiudeva gli occhi, avvicinandosi piano alle mie, non troppo lontane dalle sue, grazie alla posizione che occupavamo.
 
Ho sentito il suo respiro contro la mia bocca e ho stretto gli occhi, così forte, da farmi girare la testa. Non potevo lasciarli aperti. Non avrei avuto il coraggio.
 
Non potevo continuare a fissare il suo viso, la sua bocca, le sue guance, il suo sorriso. Non potevo più lasciarmi deconcentrare.
 
Perché stava accadendo. Un attimo e le sue labbra erano poggiate sulle mie.
 
“A volte, anche i sogni più incredibili, possono diventare realtà.”
 
L’ho letto in così tanti libri, che nemmeno ricordo, quali.
 
Come i giorni di pioggia, che danno lo spazio improvviso, ad un sole meraviglioso e ad un arcobaleno pieno di colori.
 
Ed è così che mi sentivo.
 
Sentivo come se nella mia vita, fatta di poco sole e tanta pioggia, finalmente stesse spuntando un arcobaleno.
 
Allungai istintivamente le mie labbra, dando forza a me stessa di vivere. Vivere quell’attimo, cercando di non restare immobile, godendo appieno di quel sogno che finalmente aveva avuto possibilità di realizzarsi.
 
Stavo baciando Grant Gustin.
 
Il mio idolo. Il mio amore adolescenziale. Il mio tutto.
 
Restammo semplicemente fermi, labbra contro labbra, qualche istante, lasciando tempo all’uno o all’altra, di staccarsi, presi, magari, da una voglia improvvisa di scappare.
 
Ma non accadde.
 
Io lo avrei fatto, se non fossi stata totalmente persa nelle sue labbra. Nel suo profumo. Nella sua essenza.
 
Se avessi avuto almeno un briciolo della mia solita razionalità, mi sarei staccata, dopo qualche istante, provando a scappare, pensando a tutto ciò a cui stavo andando incontro.
 
Stavo correndo come un treno, pronta a schiantarmi in una miriade di problemi.
 
C’erano troppi punti che non potevano essere cambiati. Troppi problemi che non avremmo potuto risolvere con un bacio. Troppi dilemmi che mi avrebbero presto fatto scoppiare il cervello.
 
 
Punto 1.Grant era una star.
Punto 2.Era in Italia soltanto per due settimane.
Punto 3. Io ero una semplice fan innamorata, senza speranza alcuna.
Punto 4. Era fidanzato.
Punto 5.Era fidanzato mentre mi stava baciando.
Punto 6.Era fidanzato e io mi stavo lasciando baciare.
 
 
E avrei potuto continuare all’infinito, ma quando la sua mano si spostò dal mio braccio, per accarezzarmi la nuca, stringendo i miei capelli nel suo palmo caldo, spensi, in un attimo, il cervello.
 
 
Dischiuse le labbra in una silenziosa richiesta, che venne subito accolta, non avendo alcuna possibilità di fare altrimenti e la sua lingua, arrivò a toccare la mia, accarezzandola così dolcemente, da farmi smettere di respirare.
 
Risposi al bacio piano, quasi passivamente. Volevo sentirmi viva, ma volevo anche che fosse lui a prendersi di me tutto ciò che voleva.
 
Senza che io glielo chiedessi.
 
Ero pronta per dargli il mio cuore, la mia anima, la mia adolescenza, vissuta tra la sua voce e il suo sorriso, ma doveva essere Grant a cogliere ciò che voleva ricevere.
 
Così mi baciò. Senza desiderio di andare oltre. Senza allontanare mai la sua mano, dalla mia nuca, accarezzandomi piano i capelli, mentre col palmo mi spingeva un po’ più verso di sé.
 
Ci conoscemmo un po’ di più, assaporando un po’ del corpo dell’altro, in quel bacio che sembrò, ai miei occhi, essere il più bello, più sincero, più desiderato, mai ricevuto.
 
Si allontanò, per riprendere fiato, riaprendo i suoi meravigliosi occhi verdi, studiando i miei che si dischiusero in quell’istante, per studiare i suoi.
 
Sentii un brivido attraversarmi tutto il corpo, quando i suoi occhi non furono né spaventati, né disgustati. Ma apparvero vivi, gioiosi, sorridenti, presenti.
 
Era ancora lì.
 
Non era pentito. Non era incredulo. Non aveva fatto uno sbaglio. I suoi occhi me lo dicevano. E i suoi occhi non mentivano.
 
 
 
E finalmente il mio mondo stava girando nel verso giusto.
 
 
“Scusami. No-non dovevo farlo.”
 
 
Ma poi, subito dopo, crollò.
 
 
 
Boccheggiai qualche istante, sbarrando gli occhi, iniziando a tremare. Non doveva farlo.
 
“Perché lo hai fatto?” Chiesi allora, tremante, sentendo un groppo in gola e una stretta al petto.
 
“Perché volevo.” Rispose subito, confondendomi ancora di più. “Ma... Ma non ti ho dato tempo di accettare. Io... io dovevo darti tempo di rispondere. Tu... avresti-”
 
E forse sembravo un’idiota colossale, ma scoppiai a ridere, sentendomi finalmente leggera. Non doveva farlo, perché pensava che io non volessi.
 
Un pensiero stupido, ovviamente.
 
“Grant. Fermati.” Lo bloccai, anche se stavo amando il modo in cui balbettava in inglese, mostrandosi per una volta lui, vulnerabile a me. “Va tutto bene. Credevi davvero che non volessi una cosa del genere?”
 
Grant mi guardò, pasticciando con le labbra, mordicchiandosi l’interno delle guance, non capendo seriamente a cosa mi riferivo.
 
“Grant, guardami.” Dissi, prendendo coscienza di me. “Io sono una persona qualunque e tu... Tu sei Grant Gustin. Pensavi davvero che avrei rifiutato?”
 
E finalmente sorrise.
 
Finalmente si riavvicinò e tornò a darmi un piccolo, leggero bacio, prima di guardarmi negli occhi così intensamente, da farmi sciogliere come neve al sole.
 
“Sei una persona qualunque...”Sussurrò contro le mie labbra, facendomi tremare, mentre il mio respiro si spezzava e il mio cuore si fermava.
 
“Ma sei una bellissima persona qualunque.”
 
E si fermava...
 
“E non parlo solo della bellezza fisica.”
 
...E si fermava
 
“Ma di te.”
 
E si fermava, ancora.
 
 
Forse non batteva proprio più.
 
O forse non aveva più intenzione di voler battere nel mio petto. Forse voleva semplicemente lasciarmi, per regalarsi totalmente, alla persona che mi stava regalando l’attimo più bello, importante e speciale della mia inutile vita.  
 
E fu così che decisi di non fare domande, di concedermi quello sprazzo di felicità che presto mi avrebbe abbandonato, quando Grant se ne sarebbe andato... ancora felicemente fidanzato, con un’altra donna, molto più bella, talentuosa ed elegante di me.
 
 
Perché il mio cuore ne aveva bisogno. Per una volta, aveva bisogno di regalarsi a qualcun altro, visto che a stento aveva imparato a battere per inerzia, soltanto per farmi sopravvivere e mai vivere sul serio.
 
Era una storia folle. Non sapevo nemmeno il perché Grant Gustin stesse provando interesse per una come me, ma era stato lui a cercarmi, lui a volermi e lui a trovarmi... Io semplicemente dovevo fare in modo che continuasse a tenermi con sé, fin quando, quel sogno idilliaco sarebbe finito.
 
Fin quando Grant si sarebbe reso conto che stava facendo una follia.
 
Per quanto ne sapevo, sarebbe potuto accadere anche quella sera stessa. O la mattina dopo.
 
Magari si sarebbe svegliato, trovandomi accovacciata su di lui, ancora su quel divano, essendoci addormentati, guardando un film, tra una carezza e l’altra, e avrebbe potuto avere un ripensamento, lasciandomi lì da sola, con un bigliettino di saluti.
 
Ma non accadde.
 
Ci addormentammo su quel divano. Mi svegliai da sola, come avevo previsto, ma, poco dopo, trovai Grant tornare dalla cucina, con del caffè pronto e delle piccole brioche calde che Dio solo sa, come fece a riscaldare, senza fare in modo che il microonde scoppiasse. O che l’intera casa prendesse fuoco.
 
“Buon giorno...” Sussurrò, sedendosi al mio fianco, lasciandomi un leggero bacio sulla guancia.
 
“Mmmh. ‘Giorno.” Mormorai, prendendo con uno scatto felino il cellulare, provando a specchiarmi, iniziando ad andare in panico.
 
“Oddio. Devo avere un aspetto orribile! Po-posso usare il bagno?” Balbettai, alzandomi di colpo, dirigendomi verso di esso.
 
Grant scoppiò a ridere, scuotendo la testa, divertito. “Devi chiedermi il permesso per farlo?” Urlò, prima che entrassi, mentre io lo guardavo da lontano, sentendo il cuore battere troppo velocemente alla sua risata radiosa e cristallina.
 
“E poi non sei affatto orribile. Sei bellissima, proprio come ieri sera.”
 
E mentre provavo a darmi una sistemata, per una volta, le sue parole mi fecero sentire meno aliena su questo mondo che proprio, fino a quel momento, non mi apparteneva.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Prima o poi a tutti arriva un attimo di felicità.
 
Quell’attimo che ti si scaraventa contro, come un tornado, inghiottendoti nel suo vortice pericoloso e impossibile da superare.
 
Perché se ti ha colpito, non hai possibilità di scappare.
 
Ed è meraviglioso, perché sai che mai potrai vivere un attimo così. Sai che tutto ciò che stai vivendo, non potrà ripetersi.
 
E’ quella felicità che cancella la tua razionalità. Quella che non ti fa pensare al futuro, vicino e doloroso. Quella che ti fa vivere il presente, come se fosse l’ultimo istante della tua vita. Come se non ci fosse un domani.
 
Ed era così che mi sentivo.
 
Era ciò che provavo quando, uscita da quel bagno, Grant era lì ad aspettarmi e mi fece segno di accoccolarmi sul suo petto, consumando insieme una colazione che sembrò la più buona mai mangiata in vita mia, seppur fossero soltanto semplici brioches confezionate e del caffè che, se bisogna essere sinceri, era troppo lungo e troppo Americano, per fingere che fosse leggermente bevibile.
 
Ma lo accettai, come tutto il resto. Accettai tutto di lui, di me, di noi.
 
Mi feci trascinare nel suo vortice, andando incontro alla vita di Grant Gustin.
 
Una vita fatta di sfilate, ragazzine urlanti, cellulari che suonavano impazziti e amici che, seppur fosse a milioni di chilometri da casa, spuntavano ovunque, non lasciandoci nemmeno spazio per respirare.
 
Però poi arrivavano quei momenti. Quelli di noi, chiusi nel suo appartamento, dove passammo ogni sera, imparando a conoscerci.
 
Come quella sera, che, mentre divorava la sua seconda pizza – non ho mai capito come faccia a mangiare tanto e restare così dannatamente asciutto e muscoloso – mi chiese tanto di me, forse troppo, da mettermi in imbarazzo.
 
“Betta è un nome comune qui?”
 
Scoppiai a ridere, perché ancora lo pronunciava così male, da farlo sembrare un Beth con una a quasi sputata nel finale.
 
Scossi la testa. “No, per nulla. E non è un nome, è un soprannome.”
 
“In che senso?”
 
“Che mi chiamo Benedetta, ma tutti mi chiamano Betta, da quando ero bambina.”
 
“Ben... Bened.. Okay è difficile. Meglio Betta.” Disse, facendomi scoppiare a ridere.
 
“E tu?”
 
“Io cosa?”
 
“Ti chiami proprio Grant?” Domandai, forse scioccamente.
 
“Mmmh, si. Ma in realtà, a casa mia, mi chiamano tutti Thomas. E’ quello il mio primo nome.”
 
“Lo so.” Dissi, mangiandomi subito la lingua, per essermi mostrata, di nuovo, una fangirl ossessionata.
 
Ma lui, non ci fece caso. E sorrise. Lo faceva sempre, quando notava qualcosa di lui, che sembrava già mia.
 
 
Poi c’erano quei momenti in cui era costretto ad alzarsi e a rispondere al cellulare. Quelli in cui, almeno una volta al giorno, non poteva fingere di non aver sentito.
 
 
“Hey babe?... Mmmh si, sto bene tu? No, sono solo... Tu? Come stai?... Torno tra qualche giorno... Non preoccuparti...”
 
 
E poi arrivavano quegli “anch’io” che mi spezzavano ogni giorno, un pezzettino di cuore. Ma era inutile fingere che non esistesse.
 
Hannah c’era.Era un essere umano. Anche se era distante, la sua presenza si sentiva, fin troppo, ed io potevo soltanto fingere che non fosse così, fin quando, qualche volta, mi rintanavo a casa della cugina di Ludo, scoppiando a piangere le prime lacrime, quelle che sarebbero seguite a fiumi, quando tutto quel sogno sarebbe finito.
 
Ma, poi tornavo sempre da lui. Non avrei potuto fare altrimenti.
 
Lo andavo a prendere dopo le giornate di lavoro in fiera - alla quale avevo oramai smesso di partecipare - e riusciva ad asciugare ogni lacrima versata, con un suo bacio.
 
O con una notte insieme.
 
Perché era successo.
 
Avevamo fatto l’amore, dopo una serata soli, nel suo appartamento, pochi giorni prima che sarebbe dovuto partire.
 
Mi ero lasciata andare. Lo volevo con tutta me stessa. Volevo tutto di lui e volevo dargli tutto di me.
 
E successe. Nel modo più semplice e naturale che avessi potuto desiderare.
 
Luiche chiedeva “Posso?”, ogni volta che mi toglieva un indumento. Io che provavo a gemere in silenzio, avendo paura di fare una figuraccia. Lui che entrava dentro di me, scalfendo anche in silenzio la mia anima. Io che gli dicevo “mi sto innamorando di te”, seppur in silenzio, senza confessarglielo sul serio, baciandolo mentre gemeva il mio nome, raggiungendo l’orgasmo.
 
E noi che ci svegliammo aggrovigliati, sorridendo, perché sembrava davvero un momento perfetto.
 
E lo era.
 
 
 
Ma poi, proprio come i tornado che iniziano, devastando ogni cosa che incontrano, finiscono, lasciando comunque impressa la loro presenza; la felicità inizia, per poi abbandonarti, lasciandoti quel vuoto, che mai nulla e nessuno potrà colmare, soprattutto se, l’unica persona che potrebbe farlo, è proprio la causa del tuo male.
 
 
Stavo andando da lui.
 
Ieri, era la penultima sera insieme e mi aveva mandato un’auto, in ritardo, perché mi stava preparando una sorpresa.
 
Io sapevo che era così.
 
Lo vedevo dal modo in cui aveva scalpitato tutto il giorno, non vedendo l’ora di lasciarmi a Milano, per correre da solo a casa e iniziare a preparare qualcosa di speciale.
Lo vedevo quando sorrideva come un ebete, mandando messaggi, coprendo lo schermo del cellulare, per fare in modo che non guardassi.
Lo vedevo per il modo assurdo in cui mi fissava.
 
Aveva insistito che lo accompagnassi a quell’ultimo giorno di fiera. Mi ha fatto sedere nel backstage e non ha lasciato il mio sguardo un attimo.
 
Quel “Grazie Italia”, che ha accompagnato i suoi saluti finali, era rivolto a me. Me lo aveva fatto capire, voltandosi verso di me, sorridendomi con quel suo modo assurdo, capace di far diventare il mio corpo gelatina.
 
E mi aveva lasciato a casa, raccomandandosi con Ludo di non farmi muovere da lì fino alle otto di sera.
 
Ludo che appoggiava ogni scelta di Grant, ovviamente. Ludo che era totalmente pro-Grant e mai pro-Betta. Ludo che aveva davvero avuto un colpo di fulmine con Liam, oramai inseparabili, ma che ancora pensava a me ed era al settimo cielo, sprecando del tempo ad appoggiare qualche piccola follia di Grant, invece di passare gli ultimi attimi col ragazzo per il quale aveva perso la testa.
 
Ludo che era un’amica fantastica.
 
 
Poi finalmente quella macchina era arrivata e quel viaggio verso Lumezzano non mi era sembrato mai così lungo. Senza Grant che parlava del suo cane, di football e di basket e ancora di football, facendomi amare uno sport del quale non conoscevo nemmeno le regole, e forse nemmeno m’interessavano, quel viaggio era estenuante.
 
Ma, poi, avevo notato il traffico e la lancetta che si allontanava dalle nove, così tanto... arrivando alle dieci, ma Grant non chiamava. Di solito se facevo una decina di minuti di ritardo, si preoccupava e mi telefonava, facendomi compagnia per il resto del viaggio.
 
Ma non era successo.
 
Non chiamava ed io non ho pensato a chiamarlo, avendo paura di disturbare i preparativi della sua sorpresa.
 
Poi finalmente sono arrivata e l’auto mi ha lasciato fuori la sua porta.
 
Il buio era l’unica cosa intorno a quella casa.
 
No. Non solo il buio.
 
C’erano delle urla. Tante. Così sembrava.
 
Ma, non me n’ero accorta fin quando non avevo inserito la chiave nella toppa, socchiudendo la porta, iniziando a sentire il rumore assordate che proveniva da quella casa.
 
Eh sì. Erano proprio urla.
 
Una donna urlava. Un uomo urlava.
 
Granturlava.
 
Urlava: “Stai dicendo un mare di cazzate!”
 
La donna urlava: “Ah sì? E perché questa puttanella ti sta sempre vicino in queste foto?”
 
Ed è così che ho capito.
 
Era Hannah.
 
Hannah era lì e stavano parlando di...
 
“Lei è Betta è una mia fan!” Urlava ancora Grant, cercando di giustificarsi.
 
...Stavano parlando di me.
 
E Grant provava a nascondermi, ovviamente. E mi stava bene. Non avrei mai chiesto il contrario.
 
Ma poi, ha iniziato a fare male, troppo.
 
“E’ una tua fan? Dillo che te la scopi!”
 
“NO!”
 
“Come se non ti conoscessi!” Urlava Hannah così forte, da farmi capire ogni parola, anche se strillava come un’oca, col suo ridicolo accento studiato e stridulo. 
 
“In ogni città in cui sei obbligato a stare per qualche tempo, hai questo modo assurdo, di trovarti un passatempo. Come hai fatto stavolta? Che scusa hai usato? Le hai chiesto di radunare dei fan, giusto? Hai usato la carta dell’idolo buono, che vuole passare del tempo con i suoi seguaci? E’ sempre la stessa scusa, no?”
 
Oh.
 
Era sempre la stessa scusa.
 
Quindi... l’aveva già usata. In un’altra città, con un'altra fan, con un’altra stupida che c’è cascata.
 
Quindi non sono speciale.
 
Quindi quella sorpresa era soltanto per salutarmi in modo gentile, qualunque essa fosse.
 
Quindi sono un idiota.
 
 
 
E poi, mentre le lacrime mi travolgevano e la vista mi si appannava, ho sentito dei passi di tacchi a spillo 15, arrivare verso di me e ho iniziato a correre.
 
 
Ho corso perché quello non era il mio posto.
 
Ho corso perché quella non era la mia vita.
 
Ho corso perché ho lasciato che accadesse.
 
Ho corso perché sapevo che sarebbe successo.
 
Ho corso perché Grant Gustin mi aveva spezzato il cuore.
 
Ho corso perché era ora di tornare alla realtà.
 
 
E non ho avuto i riflessi pronti.
 
 
Le lacrime avevano riempito i miei occhi, facendoli bruciare, portandomi a non vedere.
 
La delusione aveva riempito il mio cervello, facendolo spegnere, portandomi a non esitare.
 
Ho attraversato quella superstrada, vedendo ancora l’auto che mi ha accompagnato, fare retromarcia dall’altra parte, per tornare a Milano e volendo a tutti i costi fermarla, sono corsa verso di essa, senza prima aspettare.
 
 
E nemmeno quell’auto che andava a 120 chilometri orari ha aspettato.
 
 
Mi si è scaraventata addosso, fermandosi giusto in tempo, prima di passarmi sopra, schiacciandomi.
 
Ma non così in tempo, prima che volassi sul ciglio della strada, sbattendo la testa contro il marciapiede.
 
 
 
 Non così in tempo, da darmi un’altra possibilità.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
BRANT CORNER 
 
Ti ho scritto questo capitolo in mezza giornata. Le parole volavano e volavano e volavano.
Ti avevo promesso per fine mese ed è già qui, perché mi sentivo ispirata. Vorrei postare più spesso ma tra il lavoro e le due long a parte, non riesco.
 
Mi dispiace che tu sia in fin di vita, ma spero che prima di ti sia goduta il resto LOOL
 
Come avrai capito siamo quasi alla fine doveva essere di 10 cap e forse ci riesco al massimo 11.
 
Spero ti sia piaciuto, mi piace quando scleri.
 
Ah ringrazia mony ( su tw @_zucca ) che ha betato il capitolo e uh... le è piaciuto tanto, quindi abbiamo una fan.
 
E Grazie da parte Nostra agli altri che seguono.
 
Non so chi ha richiesto questa storia su fb ma era un profilo privato e non potevo rispondere, e l’ha fatto Betta per me.
 
Grazie anche a te chiunque tu sia.
 
Un bacino.
 
Ps Betta Ti adoro.
 
#Brantison
 
Vale ♥

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 9 ***


A te che ne hai passate tante.
A te che sai che sono qui per te.
Ti voglio bene, Betta.
Buona lettura
Vale.
 
 
 
 
 
 
Capitolo 9

 
 
 
 
 
 
“Betta ti prego, non puoi… Ti prego. è tutta colpa mia. Svegliati!”
“Gr..?”
“Si, sono qui. Ti prego, dimmi che stai bene…”
“Grant...”
“Si! Dio Mio, Si! Perdonami. Ti prego.”
“Io...”
“Betta? No. Guardami! Apri gli occhi. Apri gli occhi, cazzo!”
 
 
 
Se non fosse che io sia distesa per terra, nel bel mezzo di un’autostrada, ricoperta di sangue e con la vista annebbiata, nel punto più vicino alla morte di quanto io non abbia mai raggiunto, potrei persino essere felice.


Lui.


La persona per la quale io per ben 4 anni sono stata ossessionata.


Colui per il quale non ho quasi avuto vita sociale, se non tramite manufatti elettronici.
 
Colui che ha reso la mia adolescenza un vero delirio…


E’ qui, mi tiene la testa, cercando di fermare il fiume di sangue che parte dalla mia tempia e… Sta piangendo.


Lui sta piangendo per me.
 
Grant Gustin.
 
Grant sta piangendo per me.
 
 
 
 
 
E lo vorrei davvero.
 
 
Vorrei davvero riuscire ad aprire i miei occhi, per concedermi per l’ultima volta di guardare i suoi.
 
Qui piccoli cristalli verdi che, in quest’istante, ne sono certa, saranno ancora più lucenti a causa delle piccole e luccicanti lacrime, che li stanno riempiendo.
 
Vorrei davvero potermi concedere quegli ultimi istanti di vita ad ammirarli.
 
Ma non riesco.
 
Non riesco a tenere i miei occhi aperti e non riesco a mandare segnali al mio cuore di battere.
 
Non ho nemmeno paura. Mi sento... bene.
 
Seppur la testa stia pulsando, io non me ne rendo conto.
 
Perché lui è qui.
 
La sta tenendo tra le sue mani e sta provando a fermare litri di sangue che sto perdendo da essa.
 
Dovrei essere incosciente e forse lo sono.
 
Ma lo sento.
 
Sento che è qui e sento che questo potrebbe essere l’ultimo istante di vita in cui posso avere la fortuna di stargli vicino.
 
Così, piano, con uno sforzo abnorme per la mia testa, apro gli occhi sbattendo le palpebre vedendo tutto maledettamente sfuocato.
 
 
“Grant sei...sei qui?”
 
 
E, anche se non riesco a vedere tutto. Anche se sono prossima ad un altro svenimento.
 
L’ho visto.
 
Ho visto come il suo respiro si sia regolarizzato, quasi come se lo avesse trattenuto per tutto questo tempo.
 
Ho visto come i suoi occhi, pieni di lacrime, si siano sbarrati e come la sua bocca si sia aperta, provando a sorridere.
 
 
“Sì! Sì! Sono qui! Betta ti prego, resisti! L’ambulanza arriverà presto. Te lo prometto! Ma tu... resisti! Io... io non me lo perdonerei mai!”
 
 
Ed è ora che riesco a rendermi conto di riuscire ancora a piangere. E non per il dolore.
 
Quello è talmente tanto che oramai mi sembra di non sentirlo più.
 
Sto piangendo per lui.
 
Perché, anche se mi ha appena spezzato il cuore. Anche se mi ha fatto sentire una nullità. Anche se non riuscirò più a rialzarmi, io sarò consapevole che lui, in ogni caso, è stato qui.
 
Con me.
 
 
“Gra-Grant. Ti... Ti prego resta con me.”
 
 
 
 
 
 
 
 
___________
 
 
 
 
 
 
 
 
E non è come in quei dannati telefilm, in cui sembra che tu stia vedendo la luce, cercando di restare ancorato alla terra, prima di ritrovarti in una sottospecie di paradiso, provando a tornare giù, cercando qualcuno che ti dia la giusta spinta, per tornare sulla terra.
 
No, non è affatto così.
 
E’ una serie di vuoti.
 
Una serie di urla.
 
Una serie di “non ce la farà.”
 
Una serie di “prova a parlarle.”
 
Una serie di “non credo si sveglierà.”
 
E’ una serie di visite ipocrite che ti trovano interessante, soltanto per essere distesa su un cazzo di letto di ospedale.
 
E’ una serie di pianti isterici di persone che forse nemmeno sapevano tu dove ti trovavi in quell’istante, quando hai rischiato di morire e ti sei trovata incosciente chissà da quanto, lottando tra vita e morte su una scomoda branda ospedaliera.
 
E’ una serie di guerre contro te stessa, provando a superare anche questa, anche se sai che questa volta sarà piuttosto difficile riuscirci.
 
Davvero difficile.
 
Ed è una serie di sorrisi inconsapevoli di quando lui è con te, anche se avrebbe dovuto essere in America.
 
Lui è ancora con te e non ha intenzione di andare.
 
Per senso di colpa, per affetto, per paura.
 
Per qualsiasi cosaha scelto te e non la fuga.
 
Anche sa sarebbe stato più facile fuggire. Anche se avrebbe potuto farlo, non l’ha fatto.
 
E’ con te e ci resterebbe per il resto della vita, fin quando non riaprirai quegli occhi.
 
 
E poi lo senti.
 
 
Senti la sua voce. Le sue mani su di te. Le sue labbra sulla tua fronte.
 
Il suo respiro, i suoi pianti, la sua aria.
 
Senti tutto di lui e riesci a capire che forse non è finita. Forse lui potrebbe essere la sua salvezza.
 
E poi senti delle voci.
 
Voci confuse, come se fossero lontane, tanto lontane... ma riesci comunque a sentire.  
 
 
 
“Cosa... Cosa facevi per lei?”
 
“Io... non lo so. Non so nemmeno perché le piacevo così tanto, a questo punto.”
 
“Bhè, prova a cantare. Mi ha sempre detto che la tua voce la calmava.”
 
 
 
E sorridi.
 
 
Sorridi perché la tua amica sa di cosa hai bisogno.
 
Sa che l’unica cosa che potrebbe aiutarti è quella voce, quella che anche se sei incosciente, attaccata ad un respiratore e piena di lividi, potrebbe aiutarti.
 
Perché quella voce è tutto e tu ancora una volta, potrai riuscire a stare meglio.
 
 
 
Oh baby, give me one more chance


To show you that I love you


Won't you please let me back in your heart


Oh darlin', I was blind to let you go


Let you go, baby


But now since I've seen you it is on


I want you back.
 


 
 
 
 
E nella tua incoscienza provi a pensare.
 
E’ una canzone che conosci, ma non nel ritmo che ricordavi.
 
Adesso è lento, triste, caldo.
 
E’ quel ritmo che soltanto una persona che sta soffrendo può raggiungere, quando invece la canzone ne prevedeva di ben più veloci.
 
Ma le parole. Quelle sono rimaste. E sono perfette.
 
 
 
 
 
Oh baby, dammi un’altra possibilità.

Per dimostrarti che ti amo

Mi farai per favore tornare nel tuo cuore?

Oh tesoro, ero sicuro di lasciarti andare

Lasciarti andare.

Ma ora, da quando ti ho rivisto


Io ti rivoglio.
 
 
 
 
 
 
Ed è così che sei costretta a combattere.
 
Perché non puoi.
 
Non puoi resistere all’impulso di lottare contro te stessa, quando quella voce sta cantando per te.
 
Non puoi abbandonarti per sempre, quando sai che al tuo fianco  c’è quella persona che stavi aspettando da sempre.
 
Non puoi lasciarti andare, quando per la prima volta hai possibilità di vivere, sul serio.
 
Perché è questo che Grant ha sempre dato alla mia inutile esistenza: vita.
 
Mi ha dato modo di vivere, di crescere, di risollevarmi.
 
Mi ha dato possibilità di riuscire sempre a rialzarmi dopo una forte caduta, grazie a tutto ciò che la sua voce, i suoi occhi, il suo sorriso e, a volte - quando sono stata fortunata - una sua parola rivolta a me e a me soltanto, su twitter, sono riusciti a donarmi.
 
Grazie a tutto ciò, io ho continuato a vivere, o forse soltanto a sopravvivere.
 
Ma ce l’ho fatta.
 
Sono cresciuta e ho fatto un passo avanti, trasferendomi lontano da casa, per riuscire ad imparare a vivere con le mie forze.
 
E lui, anche se non lo saprà mai, mi ha sempre accompagnata.
 
Ha sempre avuto quel piccolo posto nel mio cuore, quello che mi diceva: “Forza Betta, vai avanti perché un giorno anche tu sarai felice. E un giorno Grant saprà che tu lo sei, anche grazie a lui.”
 
 
Ma non avevo idea che, tutto a un tratto, quella felicità, che sembrava soltanto un riflesso del mio immaginario, si sarebbe trasformata in reale felicità.
Quella che nessun sogno avrebbe potuto darmi. Nessuna fantasia che mi portavo dietro dalla mia giovane età adolescenziale. Nulla di tutto ciò.
 
Soltanto lui in persona avrebbe potuto darmi quel pizzico di felicità, che ancora adesso, riesce a tenermi in vita, seppur io non riesca ad aprire gli occhi.
 
Ma resisterò perché lui, ancora una volta, mi ha dato possibilità di farlo.
 
 
 
 
 
E tutti pensano che tu sia incosciente, che non tu non riesca a capire nulla di ciò che stanno dicendo, convinti tu sia diventata oramai un vegetale col cervello sconnesso.
 
Ma non è così.
 
E sei lì a sentire la tua migliore amica, piangere per te. I tuoi genitori pregare. E Grant cantare.
 
Sono tutti lì che stanno aspettando soltanto un tuo segno, ma, in realtà sono tutti già sicuri del fatto che tu non tornerai.
 
E ci provi.
 
Provi a lottare per aprire quegli occhi e mostrare a tutti che questa volta sarai tu quella a stupire tutti.
 
Sarai tu quella che per una volta si mostrerà forte e coraggiosa agli occhi di chi, in fondo, anche se ti vuole bene, non crede in te al punto di aspettarsi un tuo miglioramento, una tua vincita.
 
 
E stai lì ad ascoltare.
 
 
Ascolti tua mamma e le sue stupide preghiere.
 
Come se chiedere a qualcuno d’invisibile un aiuto, in questo momento, potesse servire a qualcosa.
 
Stai lì a provare a stringere la mano di colui che è stato la tua rovina, ma che ti ha anche regalato gli unici veri giorni di vita, della tua esistenza.
 
Stai lì che vorresti abbracciare la tua migliore amica, l’unica che forse davvero si aspetta che tu apra quei fottuti occhi e che riesca a rialzarti, come hai sempre fatto.
 
E stai lì a sentire.
 
Senti urla. Senti pianti. Senti telefoni che squillano.
 
Senti l’uomo dei tuoi sogni urlare contro qualcuno e, anche se sei incosciente, non hai dubbi: sta litigando con la ragazza al quale è legato.
 
 
“Hannah, ti ho già detto di smetterla di chiamarmi.”
 
 
O forse non sono più così legati.
 
 
“Cosa vuoi, ancora? Io da qui non mi muovo!”
 
 
O forse sono semplicemente in fase di stallo.
 
 
“Per favore. E’ tutta colpa tua e della tua stupida gelosia!”
 
 
Oh, no. Decisamente non è una fase di stallo.
 
 
“Ora lasciami in pace e se non vuoi che io cambi ancora numero, smettila di tormentarmi. E Hannah... Se non fosse ancora chiaro... Io e te abbiamo chiuso.”
 
 
 
 
Poi sei lì che vorresti sentire come il tuo cuore inizi a scoppiare, grazie alla sua vicinanza, ma devi accontentarti soltanto del ricordo di com’era meraviglioso avere le farfalle allo stomaco, quando potevi permetterti di percepirle, davvero.
 
 
“Hey piccola... scusami.
Io so che mi hai sentito. So che stai sentendo ogni cosa che diciamo io e i tuoi amici in questa stanza.
Perché credo in te. E so che ci stupirai tutti, svegliandoti tra poco. Ma mi dispiace.
Mi dispiace che tu debba assistere, anche se non in prima fila, a tutto questo.
So che se tu fossi qui con me adesso, ti staresti odiando perché credi che io abbia mandato all’aria una storia di cinque anni a causa tua.
Ma non è così.
L’ho mandata all’aria non per te, ma grazie a te.
Perché ero stanco delle sue accuse. Della sua gelosia. Della sua ossessività. Sono stanco che mi faccia seguire. Sono stanco di tutto.
Sai cosa ho scoperto? Che lei sapeva che tu eri dietro di lei. Lo sapeva.
Mi ha fatto tenere d’occhio e ha costretto Mark a parlare. Sapeva che quell’idiota aveva una cotta per te e l’ha fatto ubriacare e lui le ha sputtanato tutta la tua storia...
Nostrastoria.
Le ha raccontato come ci siamo conosciuti e le ha anche detto che sono stato io a volerti. E lei, sapendo che tu stavi arrivando e avresti sentito tutto, ha inventato tutta l’assurda storia che io faccio cose simili con tutte.
Ora... vuoi sapere se ho mai tradito Hannah, prima? Sì. L’ho fatto. Sarei un ipocrita e bugiardo se fingessi. Ma l’ho fatto perché lei mi ha legato.
Ha voluto che le chiedessi di sposarla e le ho promesso che l’avrei fatto. Ma mi ha legato nel modo sbagliato. E’ cambiata. Non è la stessa Hannah che era come me, semplice, dolce, gentile, di anni fa. E’ una Hannah diversa. E ha deciso di farmi totalmente impazzire.
Così ho iniziato a tradirla, se capitava, ma ti giuro Betta, che non è quasi mai capitato con una fan e soprattutto non è mai durata più di una notte... o due ore. Ti giuro che io non...”
 
 
E finalmente l’hai sentito. Hai sentito i battiti del tuo cuore, accelerare come se stessero reagendo a quelle parole. A quelle lacrime. A quella pausa che Grant ha dovuto prendere per poggiare la testa sul suo grembo e lasciarsi andare ad un pianto liberatorio, mentre stringe la tua mano, aspettando soltanto che tu la stringa di rimando.
 
 
 
“Io... Betta, ti giuro che non ho mai voluto che tutto questo accadesse. E’ vero ti ho cercata ed è vero che forse, per trovarti, ho usato una scusa, anche leggermente stupida.
Ma volevo conoscerti. Perché forse non lo sai... Ma io ho avuto spesso bisogno di te. Mi facevi sempre sorridere e, anche se non ti avevo conosciuta, qualcosa mi diceva che tu ed io avevamo un piccolo legame.
Così, non appena ho avuto possibilità di fermarmi qualche tempo in Italia, ho deciso di provarci.
E credimi non avrei mai creduto che sarebbe successo tutto questo. Pensavo che tra noi sarebbe potuta nascere una bella amicizia. Un bel rapporto che andasse oltre la soglia di “persona famosa e fan”, perché di certo – e tu lo sai – io non mi sento questa grande celebrità.
Ma non credevo che il fatto che tu mi sfuggissi, il fatto che avevi paura a toccarmi, il fatto che io volevo comunque continuare a conoscerti, mi avrebbe portato ad altro.
Ma è successo.
Ho iniziato a provare qualcosa. E questo qualcosa mi stava spingendo verso di te.
E credimi ci ho provato.
Ho provato a resistere. A fermarmi.
Ricordi i primi giorni? Quasi non ti parlavo.
Uscivamo con Ludo e Liam e provavo ad ignorarti, convinto che prima o poi mi sarebbe passata.
Ma non è andata così.
Poi il tuo angelo custode, quella testa calda di Ludo, mi ha convinto a lasciarmi andare. Lei sapeva che tu avevi paura, ma avendo conosciuto me e conoscendo bene te, sapeva che forse le cose sarebbero potute andare bene.
Ed è stato così.
E’ stata una delle settimane più spensierate, dolci e belle, degli ultimi anni. E lo è stata grazie a te.
Mi hai fatto credere che posso ancora essere salvato. Che non sono del tutto quello stronzo senza cuore, quello che Hannah ti ha fatto credere che fossi e per il quale... tu stai rischiando la tua vita, distesa su questo dannato letto.
Mi hai fatto pensare che dentro di me ci fosse ancora qualcosa di buono.
Per come mi guardavi, per come avevi paura a farti toccare, per come avevi paura a farti amare.
Fare l’amore con te mi ha cambiato. E nessuno mi ha mai fatto sentire così.
Ogni donna che ho avuto, ha sempre voluto puntare dritta al sodo, per cercare di portarsi a casa una sottospecie di trofeo.
E tu invece? Tu hai tremato. Mi hai accarezzato e mi hai sussurrato parole che non dimenticherò mai e non hai mai avanzato richieste. Sei stata lì, dolce e bellissima come sempre, lasciando che io ti toccassi, senza cercare alcun tipo di vittoria.
Ed è lì che ho capito che il mio cuore forse aveva ancora possibilità di battere, sul serio. Non meccanicamente. Forse anche lui può ancora essere salvato.
Ed è grazie a te.
Ma ora ti prego, Betta. Svegliati.
Fammi sentire che ci sei.
Io non me ne andrò, te lo prometto. Ti mostrerò che non sono quello stronzo che Hannah ha voluto farti credere.
Non sono perfetto e presto lo scoprirai.
Ho tradito e l’ho fatto, quasi sempre, consapevolmente. Ma questa volta non l’ho fatto per ripicca o per sentirmi, anche se solo per cinque minuti, libero.
Questa volta ho tradito quella che credevo fosse la donna della mia vita, con la donna che forse, finalmente, mi cambierà la vita.
E non ti sto giurando di amarti e di renderti felice per il resto della vita.
Ti sto giurando di restare qui con te, fin quando non aprirai quegli occhi e mi perdonerai. Fin quando non sarai qui con me e mi prometterai di dimostrarti che sei perfetta nella tua imperfezione.
Perfetta per me.
E forse sono un idiota perché sto parlando in inglese e tu non stai capendo una parola di ciò che sto dicendo, ma imparerò anche a dirtelo in italiano o in spagnolo, persino in cinese, se servirà...”
 
 
E ti trovi a sorridere e questa volta sai che non è soltanto un riflesso incondizionato. Stai sorridendo e lui ancora non se n’è accorto.
 
 
“Ma tu svegliati, presto...”
 
 
E finalmente uno sprazzo di luce abbaglia i tuoi occhi, dandoti il fastidio più bello e doloroso che hai mai provato in vita tua.
 
La luce filtra tra le tue palpebre che finalmente si stanno schiudendo e tu finalmente stai avendo la forza di far sì che avvenga.
 
 
 
 
“Ti prego, piccola. Dammi un segnale. Fammi sentire che sei con me, perché non ce la faccio più a vederti così indifesa e incoscient-”
 
“Gra... Grant.”
 
 
E, anche se è ancora tutto sfuocato, riesci a vedere la sua testa alzarsi, per puntare ai tuoi occhi semiaperti.
 
E riesci a vedere il luccichio delle sue lacrime. La sua bocca sbarrata. Il suo respiro fermato.
 
 
“Betta?”
 
 
E puoi vedere come i suoi occhi stiano brillando, anche se hai un mal di testa, così dannatamente forte, che credi che ti ucciderà.
 
Puoi vedere come sta continuando a fissarti ad occhi e bocca sbarrata, come se fosse convinto di essere in un sogno ad occhi aperti.
 
Puoi finalmente vedere che è davvero ancora lì e che non stavi sognando tutto.
 
E puoi finalmente provare a sorridergli sul serio.
 
 
“Gr...Grant io...”
 
 
“Betta. Piccola sei... Sei sveglia.”
 
 
 
 
 
 
*** 
 
 
 
 
 
 
Brant Corner
 
 
 
Ti avevo promesso l’happy ending e lo avrai.
 
Hai visto che Grant non è uno stronzo ma è la CessaH che è tanto CessaH?
 
Forza che manca un capitolo e avrai il tuo lieto fine!
 
Spero che tu stia meglio, non voglio vederti giù.
 
 
Grazie a Mony per aver letto E NON BETATO nulla .-. ma grazie :*
 
 
La dedica l’hai avuta all’inizio, è inutile dirti cosa penso.
 
Al prossimo.
 
Ti adoro!!
 
Vale

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 10 ***


Capitolo 10
Epilogo
 
 
 
 
 
 
 
 
A volte le cose non vanno come vorresti.
 
A volte semplicemente non vanno e basta.
 
E a volte l’unica cosa che puoi fare è arrenderti.
 
 
 
 
 
 
 
“Sei-Sei sicura? Io voglio restare. Io posso-”
 
“Grant sto bene. Sono passati due mesi ed io sono stanca di vederti soffrire. Ti manca la tua famiglia ed io non voglio che resti ancorato qui per tutta l’estate o la vita. Tu... Tu devi andare.”
 
 
 
 
Lasciarsi andare alla persona che ami, a volte può essere estremamente difficile.
 
Puoi pensare di non farcela. Puoi avere dubbi sulla tua stessa possibilità di riuscita.
 
Hai paura di soffrire. Hai paura di restare sola col cuore spezzato. Hai paura che odierai l’istante in cui hai permesso che accadesse e spesso preferisci scappare piuttosto che provare ad essere felice, almeno per un istante.
 
Ma poi, quando l’amore chiama, è difficile non rispondere.
 
E senza nemmeno saperlo, lo fai... Rispondi.
 
 Ed è totalizzante.
 
L’amore ti prende, t’innalza verso il cielo, lasciandoti in bilico in ogni istante.
 
Hai sempre paura di cadere, ma preferiresti morire, pur di restare in quel piccolo angolo di paradiso, che ti sei creato al fianco della persona, al quale hai donato il tuo cuore.
 
E potrai cadere un giorno, ma la realtà è che non t’importa.
 
Perché quando cadi, se il tuo cuore batte nel modo giusto, puoi provare a rialzarti.
 
Sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
“Betta. Piccola sei... Sei sveglia.”
 
 
 
 
 
 
 
Aprire gli occhi.
 
Mettere a fuoco un’anonima bianca camera d’ospedale. Inalarne ogni minimo dettaglio. Imparare di nuovo a guardare.
 
Credevo che quello fosse stato il momento più indimenticabile della mia vita.
 
Ma mi sbagliavo.
 
Voltarmi col volto spiaccicato e pallido contro il cuscino, dall’altro lato, per trovare due meravigliosi occhi colmi di lacrime di gioia... Quello è stato il momento più incredibile, meraviglioso e indimenticabile della mia vita.
 
 
“Sei svegli-... Oh cazzo devo chiamare un dottore.”
 
“A-Aspetta.”
 
 
E prima che avesse potuto correre fuori per chiamare un medico, l’ho bloccato a mezz’aria tra la sedia e l’essere in piedi, avendo bisogno di un altro istante per guardarlo.
 
 
“Ti-ti senti bene? Betta de-devo chiamar-”
 
“Sei rimasto.”
 
E guardarlo tirare un sospiro di sollievo, mentre si risiede, portando la sedia più vicino possibile al mio letto, mi ha aperto il cuore.
 
Non avevo sognato.
 
Non era tutto dovuto agli antidolorifici, al coma e al fatto che avessi battuto la testa e fossi stata scaraventata sul ciglio di un’autostrada a 130 chilometri orari.
 
Era rimasto davvero.
 
Grant era rimasto. Per me.
 
 
Annuì, prendendo con cura e delicatezza la mia mano, massaggiandone il dorso come se avesse paura che avrebbe potuto rompersi da un istante all’altro.
 
“Non potevo lasciarti sola... I-io... Non potevo. Eri... tu eri...”
 
E vedere di nuovo i suoi meravigliosi occhi, riempirsi di lacrime, ha iniziato ad inondare anche i miei, consapevoli finalmente di ciò che mi si parava davanti...
 
Un miracolo.
 
Avevo davanti un meraviglioso miracolo, fatto di occhi verdi, occhiaie e una scia interminabile di lacrime versate una ad una, soltanto per me.
 
 
 
“Tu... Tu Potevi morire a causa mia. Io... Ti prego perdonami.”
 
 
“Non è colpa tua.”
 
 
Quattro parole.
 
Quattro semplici parole che forse, riusciranno a salvare l’anima di una persona.
 
L’anima di una persona logorata, fatta a pezzi da un errore che avrebbe rischiato di lasciargli un orribile peso sul petto che mai, mai nella vita avrebbe potuto cancellare.
 
L’anima di quella persona che senza volerlo, avrebbe rischiato di uccidere anche se stesso, se avesse continuato a pensare che ogni cosa era andata a pezzi a causa sua.
 
Ma non è stato così.
 
Lo avevo capito nell’istante esatto in cui i suoi occhi avevano brillato di felicità del vedermi sveglia.
 
Lo avevo capito sentendo la sua voce cantare.
 
Lo avevo capito dal primo istante in cui l’ho sentito implorare, su quella strada, di restare con lui.
 
 
Non viva. Semplicemente... Con lui.
 
 
“Sì che è colpa mia! Tu... Io ti ho convinto a stare con me, sapendo di cos’era capace. Non pensavo che fosse pericolosa e anche se la odio da morire, non credo che volesse questo. Voleva soltanto... spezzarti il cuore e c’è riuscita.
Ma io... Io volevo il tuo cuore e lei me l’ha portato via.
Perdonami, Betta. Non... Io non avrei dovuto metterti in gioco. Non ne valeva la pena ed invece? Come sempre ho pensato a me stesso e ho fatto di tutto per avert-”
 
 
 
E la tua testa pulsava così forte, da avere soltanto voglia di tornare a dormire. Le sue parole colpivano il tuo petto, rischiando di farti venire un infarto, accompagnato dallo stato semi-cosciente del post-coma nel quale ti trovavi.
 
E avresti voluto chiudere gli occhi, provando a cacciar via quel dolore che, senza l’aiuto di un medico, non sarebbe scomparso così facilmente.
 
Ma hai resistito, perché nulla poteva essere più importante che far parlare finalmente il tuo cuore.
 
 
Non è mai troppo tardi per aprire il tuo cuore.
 
 
Ma, avrebbe potuto essere troppo tardi. Avresti potuto lasciare che le parole restassero al suo interno, lì su quell’autostrada, scappando via dall’unico istante di felicità che ha accompagnato la tua vita.
 
Ma non l’hai fatto.
 
Hai lottato per continuare a vivere quell’istante, perché a volte... Il seguito di una favola, è anche meglio della fine.
 
Così lo hai fatto.
 
Hai lasciato che la tua testa pulsasse. Hai lasciato che il tuo cuore andasse in tachicardia. Hai lasciato che il tuo respiro ti mancasse... e non t’importava.
 
L’importante in quell’istante era donargli il tuo amore. Prima che fosse di nuovo troppo tardi.
 
“Tu lo hai.”
 
“C-come?”
 
“Il mio cuore. Non l’hai perso. Lo hai.”
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
E passano i giorni, settimane e senza rendertene conto mesi.
 
E, grazie a Dio, sei viva, più viva che mai.
 
Vedere la morte da così vicino riesce a darti quella scarica di vita che non credevi avresti mai avuto in tutta la tua esistenza.
 
E vivere quell’adrenalina nel riuscire a rialzarti e sorridere al fianco di qualcuno che non aspettava altro... è ciò che ti farà ringraziare per sempre, di avere avuto la tua personale seconda chance.
 
 
Questi due mesi al fianco di Grant sono stati, senza alcun dubbio, i più belli, dolorosi e meravigliosi mai vissuti.
 
Alzarmi dalla sedia a rotelle è stato facile. Camminare sulle mie gambe non lo è stato così tanto.
 
Il coma ha portato ad uno scoordinamento iniziale, nel quale non riuscivo a camminare per più di trenta minuti soltanto con l’ausilio del bastone. Dopo, avrei avuto bisogno di qualcuno e il mio salvatore era sempre lì, a sorreggermi.
 
Non ha mai voluto dirmi se avesse disdetto impegni lavorativi, i quali sono certa lo stessero aspettando. Non ha mai menzionato al fatto di voler lasciare l’Italia. Non mi ha mai chiesto se avessi bisogno di lui.
 
Semplicemente c’è stato e semplicemente ha fatto in modo che io... m’innamorassi di lui.
 
Nel vero, puro e semplice senso della parola.
 
Non di una persona famosa. Non di quel tipo che ucciderebbe chiunque col suo sguardo penetrante e con una voce da far sciogliere ogni iceberg.
 
Semplicemente... di Grant.
 
Mi sono innamorata del sorriso che portava sul volto, quel primo periodo d’ospedale, dopo che finalmente mi avevano dichiarata stabile e in via di guarigione.
 
Mi sono innamorata di quando fischiettava sottovoce, non volendo che la sua voce desse fastidio alle frequenti fitte iniziali alla mia testa, avendo però bisogno di produrre musica in qualche modo.
 
Mi sono innamorata delle sue mani che sempre erano pronte a tenermi, evitando una sicura caduta.
 
Mi sono innamorata, di nuovo, dei suoi occhi perché... quando hanno iniziato a guardare soltanto me, se possibile, sono diventati ancora più meravigliosi.
 
E mi sono innamorata del suo cuore.
 
Ha un cuore immenso, un cuore pronto a donarsi agli altri, senza aver bisogno di battere per se stesso.
 
Batte soltanto per spirito di sopravvivenza ma io so che, da quando ha deciso di regalarlo a me... non ha fatto altro che pulsare, ogni istante, per me.
 
E da allora sono convinta che quello al quale ho assisto non è stato un miracolo.
 
E’ stato semplicemente Lui.
 
 
Lui che aveva paura di aprirmi il suo cuore. Lui che non mi avrebbe nemmeno baciato, di nuovo, se non glielo avessi chiesto. Lui che avrebbe ucciso pur di vedermi di nuovo sveglia. Lui che ha lasciato ogni cosa all’altro capo del mondo, soltanto per essere sicuro che io resti viva.
 
Lui che si è preso il mio cuore nell’istante esatto in cui ha capito che poteva prenderselo.
 
E mi sta bene.
 
Non ho bisogno del mio cuore, quando ne ho avuto in cambio uno migliore.
 
Anche se non ci sarà più. Anche se cadrò... Non importa.
 
Avrò sempre il ricordo di quest’attimo di pura, incredibile e impossibile felicità, che mi ricorderà che è successo.
 
 
 
Lasciarsi andare alla persona che ami, a volte può essere estremamente difficile, è vero.
 
Ma a volte lasciarla andare è anche peggio.
 
 
 
 
“Tu... Tu devi andare.”
 
“Perché vuoi che me ne vada? I-io credevo che stessimo bene, insieme. Stai... Stai appena iniziando a camminare senza bisogno del bastone. Io voglio aiutart-”
 
“Ti amo.”
 
E guardare i suoi occhi risplendere di una bellezza esasperante alle parole che mai prima d’ora avevo avuto il coraggio di dire, mi porta davvero ad aver bisogno di un supporto. E non sono le gambe a cedere. Ma è lui a farmi cedere.
 
 
Non so perché l’ho detto. Non so nemmeno come sia riuscito a farlo ma... Era giusto.
 
Sono ore che cerco di convincerlo di accettare il biglietto che i miei gli hanno regalato per il suo compleanno.
 
American Airlines. Solo andata. Milano Linate - Los Angeles.
 
E’ stata la mia unica richiesta.
 
So che hanno speso molto ma non ce la facevo più a vederlo in questo stato.
 
Sembra felice ma io... Lo vedo.
 
Vedo come guarda i suoi colleghi in tv, pronti per la prossima sfilata. Lo vedo quando sente i suoi amici “usignoli”, con i quali passa le giornate, quando è casa. E vedo quanto stia soffrendo per questo periodo di stallo.
 
Non è così famoso in Italia. Non troverà lavoro così presto e intanto resta qui a fare l’infermiere. E... non mi sta bene.
 
Odio che debba andare via ma... Non può restare. Mi fa male vederlo così ed io non posso vederlo spegnersi a causa mia.
 
 
 
 
Si blocca guardandomi a bocca spalancata, fissandomi come se non avesse mai visto nient’altro prima d’ora in vita sua.
 
Poi mi bacia.
 
Senza parole, non ne ho bisogno.
 
So già cosa prova per me, non ho bisogno che lo dica ad alta voce, ma...
 
 
“Ti amo anch’io.”
 
 
... Ma sentirlo dire, ancora, è meraviglioso.
 
 
La prima volta è successo in ospedale. L’ha detto in un momento di frustrazione, di stanchezza e di voglia di ricominciare. L’ha detto perché lo pensava, ma io... stavo dormendo.
 
Mi ha sussurrato all’orecchio, convinto che non avrei mai ricordato, che non aveva mai capito i suoi amici che s’innamoravano così in fretta, che aveva sempre riso di loro e poi? Era successo anche a lui.
 
E se n’era accorto soltanto quando io stavo per andare.
 
Poi...?
 
Poi qualche giorno fa, finalmente, abbiamo rifatto l’amore e quando credeva che mi fossi addormentata me l’ha sussurrato tra i capelli, tra un bacio e l’altro e sono stata così stupida, da fingere che non sia successo, soltanto perché avevo paura di ricambiare.
 
E invece?
 
Quelle due parole hanno preso il sopravvento di me come una bomba ad orologeria e sono uscite da sole dalla mia bocca, senza nemmeno provare a pronunciarle.
 
E lui?
 
Anche se non avevo bisogno che lo facesse, ha ricambiato.
 
Può sembrare impossibile.
 
Magari è tutto come in un meraviglioso sogno... Come in uno stupido sogno, da ragazzina, ma è cosi.
 
Grant mi ama ed io... non ho fatto nulla, per far sì che accadesse.
 
 
Ci stacchiamo dopo lunghi minuti dal bacio più meraviglioso e vero che mi avesse mai dato. Fatto di cuori, di bocche di anima. Fatto di noi. Fatto di consapevolezza. Fatto d’amore.
 
“Mi ami sul serio?”
 
Sospiro, compressa contro la sua fronte, riprendendo fiato, annuendo ad occhi chiusi.
 
“Sì. Per questo voglio che tu te ne vada... Non posso più vederti così.”
 
Annuisce, sbuffando, allungandosi per catturare di nuovo velocemente le mie labbra.
 
“Ma starò comunque male senza di te. Sono tre mesi che vivo solo di te e ora...”
 
“Ora devi pensare alla tua carriera. Hai fatto tanto per arrivare dove sei e... Se io non avessi avuto quell’incidente-”
 
“Sarei tornato a prenderti.”
 
Sbarro gli occhi, allontanandomi per fissarlo completamente basita nei suoi. “Cosa?”
 
“Sì. Avevo un piano. Sarei tornato per passare l’estate qui, dopo aver lasciato... bhè lo sai, e se le cose fossero andate bene tra noi... Ti-ti avrei chiesto di stare con me.”
 
Abbasso lo sguardo immaginando la mia felicità nel vederlo tornare soltanto per me. Nell’implorarmi di andare via con lui. Nel lasciare tutto soltanto per lui.
 
Lo avrei fatto? Non lo so.
 
“Ve-Verresti?”
 
Lo farei?
 
“Con... Con te?”
 
“Sì. Puoi studiare moda in America. Sai a Los Angeles quante scuole di giornalismo ci sono? Centinaia. Tu... Tu potresti diplomarti lì ed io ho conoscenze e potrei farti avere un lavoro part-time e potresti vivere da me, se vuoi o dormire in un dormitori-”
 
Ascolto il suo delirio ad occhi completamente sbarrati, pensando seriamente che sia impazzito.
 
Ma in fondo l’amore è folle e a volte bisogna soltanto avere il coraggio di afferrarlo.
 
Ma la realtà è che, a volte non è poi così semplice.
 
 
“Grant, fermati. Ti prego.” Lo blocco, prendendogli la mano, baciandone il dorso per calmarlo. “Mi manca soltanto un anno. Uno e sarò via da questo posto. Io... non posso mollare adesso.”
 
Guardo i suoi occhi che stavano vibrando di un fuoco meraviglioso, spegnersi all’istante, scalfendo un pezzo del mio cuore, sentendolo spezzarsi a poco a poco.
 
E non posso permetterlo. Non voglio più vederlo triste a causa mia.
 
“... Però poi avrò bisogno di un lavoro e il Cosmo di Los Angeles è una delle sedi più grandi...”
 
“Quindi... Verrai?”
 
E... .
 
E’ quella la luce che voglio nei suoi occhi, sempre. E’ di quella luce che oramai vivo e non potrei più farne a meno.
 
 
 
“Soltanto se tu prometti che in quest’anno tornerai da me.”
 
“Sempre Betta. Tornerò sempre da te.”
 
 
 
Forse io e Grant non staremo insieme. Forse invece sì. Forse troverà qualcun altro che gli ruberà il cuore o forse resterà fedele alla sua promessa.
 
Forse semplicemente se siamo destinati, oggi, tra un anno o tra dieci, staremo insieme... ma per ora...
 
E’ il presente che conta. Ed è il presente più bello che avessi mai potuto desiderare.
 
 
 
 
 
 
 
A volte le cose non vanno come vorresti.
 
A volte semplicemente non vanno e basta.
 
E a volte l’unica cosa che puoi fare è arrenderti.
 
 
 
 
Ma se cerchi di resistere forse... Vanno anche meglio.
 
 
 
 
 
 
 
 
Fine
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed eccoci qua.
 
Probabilmente non era ciò che ti aspettavi.
 
Anzi, sicuramente non è ciò che ti aspettavi.
 
Quasi un anno fa, ti dissi: “E se scrivessi una Brant Hot?”
 
Bhè di Hot non ne è uscito nulla, perché mi è venuta in mente questa trama, mentre iniziavo il prologo e la storia ha preso tutta un’altra piega, ma sai cosa? Sono contenta.
 
Perché non c’è stato smut. C’è stata soltanto una storia che può sembrare impossibile, ma credimi... Non lo è.
 
Lui sa che esisti, io So che lo sa.
 
Mi dispiace per Hannah perché sembra una brava ragazza e mi dispiace di averle fatto fare la parte della stronza, ma... Lo meritava, almeno nella storia. Perché eri tu la sua anima gemella.
 
Tu che sei permalosa, lunatica e autoironica come lui. Tu che vivresti di lui, se solo te ne desse la possibilità e ... lo vedremo.
 
Perché un giorno, quando sarà un famoso attore e indossatore come in questa ff... tu lo incontrerai e lì... Li cambierà tutto.
 
Sperando solo che tu non rischi di morire come qui, però. :P
 
E’ impossibile ciò che ho scritto? Forse.
 
Ma Grant stesso ci ha insegnato che nulla è impossibile.
 
Credeva di non farcela e ha girato un film ed ha fatto parte di Glee. Pensava di non uscire da Norfolk e invece? Invece è a Los Angeles cercando il suo posto che io sono certa troverà.
 
Ti adoro e sono strafelice... E’ il nostro anno questo.
 
Ne abbiamo passato uno ad imparare a conoscersi e a volerci bene, ora dobbiamo soltanto continuare a farlo.
 
E mi dispiace se forse non è ciò che volevi, ma credimi... quando inizio a scrivere non ho il potere, sono le mie mani a farlo.
 
Spero che questo piccolo viaggio, ti sia piaciuto... A me è piaciuto raccontarti.
 
Grazie a Monica per aver non-betato e grazie a chi Inaspettatamente si è aggiunto a questa storia, seguendola, seppur sia totalmente personale e fuori-tema Glee.
 
E grazie a te per avermi ispirato.
 
 
Ti voglio bene Betta.
 
Vale <3

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