Missing Moments

di IamShe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kaito & Aoko ***
Capitolo 2: *** Shinichi & Ran ***
Capitolo 3: *** Heiji & Kazuha ***



Capitolo 1
*** Kaito & Aoko ***


Premessa dell’autrice:
 
Eccola là! Lo so, vi starete chiedendo quando potrete togliervi
dalle scatole una rompiballe come me! Ed io, sono qui, per rincuorarvi
e per assicurarvi che dovrete farlo ancora per poco. Eh sì, perché
come avevo preannunciato nelle note dell’ultimo capitolo di “E se io vivessi d’odio?”,
la mia folle mente ha partorito la geniale idea di dedicare tre momenti,
e quindi, tre shots, alle coppie più belle di Detective Conan:
Shinichi e Ran, Kaito e Aoko ed Heiji e Kazuha.
Tre spin-off che prenderanno mosse dalla mia serie, ma comunque godibili
anche per chi non l’ha letta ^^. La prima, per volere di qualcuno *devil*,
vede protagonisti il ladro più figo del Giappone e consorte, subito dopo la
telefonata di Ran (quella dell’undicesimo capitolo).
Insomma, come l’avrà presa Aoko?

 

Kaito & Aoko
Spin-off


Dedicato ad Assunta

 
 
 
Aoko aprì gli occhi con lentezza, lasciandosi andare ad un rumoroso sbadiglio mattutino, che tirò via la stanchezza dai muscoli del suo viso. Si stropicciò le palpebre, e sorniona mandò un’occhiata alla sua destra: il letto era vuoto. Quello stupido di suo marito ultimamente non faceva che preoccuparla; era tornato ad essere misterioso, proprio come quando, anni prima, nei panni di Kaito Kid, le mentiva sulla sua vera identità.
Usciva spesso, e quando gli chiedeva dove fosse diretto faceva il vago; la notte rincasava tardi, e nelle giornate si mostrava sempre più stanco e ambiguo che mai.
Sebbene avesse voluto ignorare le sue fobie, nel suo cuore alleggiava la paura che qualche sua fan di troppo avesse scoperto il suo segreto, o peggio ancora, avesse ricominciato a travestirsi da gelataio per dimostrare a tutto il Giappone quanto bravo fosse come prestigiatore.
I suoi dubbi vennero repentinamente smorzati dal suono dell’acqua, che lontana, cadeva copiosamente a terra: Kaito era sotto la doccia. Mettendosi a sedere sul letto, meditò sul cosa fare; avrebbe potuto mostrarsi offesa ed ignorarlo per l’intera giornata, ma l’istinto le suggeriva di raggiungerlo ed abbandonarsi alle sue braccia e al dolce calore di una rinfrescata mattutina. La discussione, in fondo, poteva essere rimandata. Così, con un sorriso malizioso, poggiò i piedi al pavimento e lentamente si avviò verso il bagno, dal quale sentiva il marito fischiettare qualche strana ed allegra canzone. Ma i suoi passi si bloccarono, e repentinamente il suo corpo si voltò verso il cellulare di Kaito, che aveva preso, da qualche secondo, a squillare.
Aoko raggiunse l’apparecchio in un istante, e scrutò per un po’ il numero che ne appariva; il marito non l’aveva segnato nella rubrica, e quella sequenza di cifre non le sembrava in nessun modo familiare. Titubò un attimo prima di rispondere; non le sembrava giusto farlo senza avvisare Kaito, ma in fondo lasciar squillare quel cellulare così inutilmente poteva essere sbagliato: sarebbe potuta essere una chiamata importante! Così pigiò il verde, e con un tono abbastanza calmo, azzardò: “Pronto?”
Dovette aspettare qualche attimo prima di sentire la voce del suo interlocutore; che, per tutta sorpresa, si dimostrò essere una donna, ed anche abbastanza giovane, da quanto poteva dedurre dal tono.
- Ehm... Starei cercando Kaito Kuroba. E’ lì?-
Aoko strinse con forza il cellulare tra le mani, irritata. Repentinamente, decise di continuare la conversazione, stando attenta a non far trapelare troppo, dalle parole, il suo fastidio.
“E lei cosa vuole da mio marito?”
Effettivamente il tono era uscito più tenue del previsto, ma intorno a lei ardevano fuoco e fiamme, e i dubbi di qualche minuto prima tornarono ad affiorare la sua mente. E si alimentarono, nel momento in cui, la misteriosa donna che aveva chiamato titubasse a rispondere, o meglio evitasse di farlo. Aoko la sentiva, attraverso la cornetta, farfugliare qualcosa di incomprensibile, che portò alle stelle i suoi nervi. Cosa stava cercando, una scusa forse?
“Insomma!” La richiamò, con un tono molto più veemente del precedente. “Mi risponde?!” tuonò ancora, sentendo il sangue ribollirle nelle vene.
- Ehm... sono una collega. -
La donna, in evidente impaccio, azzardò una scusa, che però non fece altro che condurla in un vicolo buio, che Aoko illuminò con le fiamme della sua ira.
“Lei è una collega di mio marito?” chiese con stizza, ma anche con un pizzico d’ironia amara.
Probabilmente le sue parole scioccarono la giovane dall’altro capo del cellulare, tant’è che non la sentì fiatare più.
“Ma Aoko! Insomma! Dammi il cellulare!”
Già pronta a rincarare la dose - di possibili minacce e ricatti di ogni genere -, Aoko dovette bloccarsi nel sentire una mano sfiorarle l’orecchio, per poi afferrare il telefono, e strapparglielo con forza.
Giratasi verso il marito, la giovane arrossì debolmente alla sua vista; alcune goccioline gli percorrevano la pelle ancora umida e lucida per via della doccia, bloccandosi sui suoi pettorali scolpiti, per poi scivolare sugli addominali ed infrangersi sull’unica cosa che lo copriva: un asciugamano azzurro, come il colore dei suoi occhi. Una meravigliosa visione, che però si spezzò nel momento in cui il giovane portò il cellulare all’orecchio, nel tentativo di recuperare quella chiamata.
Inaridita, Aoko s’infiammò: “Kaito! Hai colleghe donne e non me l’hai detto?!”
Il Lupin del nuovo millennio sussultò, incredulo. Lui era un prestigiatore, ed anche rinomato, che avesse assistenti era normale; ma colleghe proprio no. La scena doveva dirigerla solo lui, e gli applausi dovevano rimbombare del suo nome.
Così, immediatamente, captò l’intera situazione, e chi fosse a causarla: Ran.
E con la sua indelebile faccia da poker, inventò alla moglie la miglior scusa che, in quell’istante, gli attraversò il cervello: “Macché, è un amico che si diverte a farmi gli scherzi.” Recitò con maestria, come era solito suo fare.
Ma Aoko non aveva intenzioni di demordere, ed ancora più stizzita, alimentò quella discussione.
“E’ la voce di una donna, idiota!” gli ricordò, facendolo cadere in fallo.
Tossicchiò, resosi conto del guaio combinato e azzardò ancora, incapace ad inventarsi altro.
“E si diverte anche a cambiare voce!” per poi aggiungere, e per sua sfortuna, un: “Mi lasci dedicare ad una cosa importante?”
La moglie grugnì, per nulla convinta, per poi cominciare ad allontanarsi dalla stanza, visibilmente arrabbiata.
“Tanto tutto è più importante di me!” sbottò poi, aprendo con violenza la porta della camera, e nascondendosi dietro alle mura, troppo curiosa di ascoltare ancora quella conversazione. Ma chi poteva essere? E poi, a quell’ora del mattino? Avvicinandosi con le orecchie, stette attenta a non farsi scoprire da suo marito, che intanto, senza curarsi minimamente di lei, proseguiva la telefonata, sorridente.
“Sei Ran vero?”
La giovane sussultò: chi era questa Ran? La conosceva bene per chiamarla per nome, e il suo tono confidenziale non presagiva nulla di buono! Drizzò ancor di più le orecchie, tentando di mantenere una calma pressoché invidiabile.
“Se conoscessi il mio vero lavoro sapresti di non poter essere una mia collega... Vuol dire che non mi conoscevi, ma avevi comunque il mio nome. Solo tu potevi essere.”
A quanto pare, allora, non era davvero una sua collega. Ma allora perché fingere? E poi, questo voleva significare che quella donna non conosceva Kaito in quanto prestigiatore, ma personalmente! E allora, perché mai suo marito non gliene aveva mai parlato?
“Ah, e scusa mia moglie, è un tantino gelosa.”
Aoko si ritrovò a mandare mille e più maledizioni: lei non era gelosa, le dava soltanto fastidio che suo marito non l’avvisasse di nulla! Così, rientrando in camera, ma uscendone subito dopo, decretò l’inizio delle torture di Kaito Kuroba, alias Kaito Kid.
“Io non sono gelosa, ladro da strapazzo!”
Peccato che, il suddetto ladro, si rese conto troppo tardi di che guaio avesse combinato.

#
 
Trascorse un’intera giornata, ma di Aoko nemmeno l’ombra. Sbuffando attraverso le labbra, Kaito aveva abbandonato il suo corpo al divano. Il palmo della mano a sorreggergli il viso, gli occhi leggermente chiusi, ed apparentemente attenti al programma che trasmettevano in tv, lasciavano sfuggire una certa preoccupazione. Non solo per l’amico, e per la situazione in cui si trovava, ma propriamente per la moglie, e il modo in cui aveva reagito; in fondo, se solo Aoko avesse saputo, lui non stava facendo nulla di male. Quindi, perché prendersela tanto?
Avvertii lo scricchiolio della porta, e la conseguente entrata della figlia dell’ispettore, un po’ troppo burrascosa. Era in momenti come questi che temeva che la sua amata potesse rivelare tutto al suo adorato papà, facendolo sbattere in gattabuia per la vita, sebbene sapesse che le sue intenzioni fossero nobili anche da Kaito Kid. E lei, sua amica d’infanzia, questo lo sapeva da sempre, ma non evitava a rinfacciarglielo ogni qualvolta avesse voluto offenderlo; il sostantivo “ladro” gli si addiceva alla perfezione, doveva riconoscerlo, ma lui, Kaito Kid in incognito, adorava esser apostrofato come “mago”, perché era quello che era. Un mago. Vestito o no di bianco, luminoso o no nelle notti di luna piena, lui rimaneva l’uomo che attraverso la fantasia era capace di meravigliare, stupire, lasciar senza parole; e non semplice inganno, ma pura magia.
E forse, era quello il momento di lasciare che gli occhi della sua Aoko risplendessero alla sua magia.
“E’ comodo il divano?” Gli arrivò la sua voce, pungente e alterata, ma che Kaito decise di sorvolare.
Le si avvicinò con gentilezza, e con un irresistibile sorriso stampato sul viso, che lei, però, in quel momento, ignorò.
“Bentornata...” la salutò poi, parandosi contro di lei, e tentando di stabilire un certo contatto fisico che lei, però, evitò.
“Ciao idiota.” Soffiò acida, dirigendosi verso le scale, stando attenta a non osservarlo troppo: avrebbe ceduto. Ma suo marito, in vena quel giorno, non aveva voglia di demordere; così la seguì, nel tentativo di infastidirla.
“Sei ancora arrabbiata per stamattina?”
“Certo che no.”
“E non vuoi sapere con chi parlavo a cellulare?”
“No.”
“Nemmeno perché mi ha chiamato?”
“No.”
Sospirò il mago, abbassando lo sguardo. Aveva senz’altro ereditato tutta quella cocciutaggine dal padre, che ad anni di distanza, ancora non si era arreso all’idea di catturarlo. Così, appoggiatosi allo stipite della porta, Kaito la vide entrare in camera da letto, e chiudere tende e finestre. Un’idea gli attraversò il cervello, ma lo sguardo truce e maligno della moglie la sbriciolò nel giro di qualche secondo. Così, riprovò a farsi avanti, circondandole con dolcezza la schiena, e facendola sussultare.
“Mi posso far perdonare almeno?” le chiese in un sussurro, facendo vacillare il suo autocontrollo.
“Ti ho trascurato un po’ in questo periodo...”
“Certo.” Annuii lei, sorridendogli. Scostandosi dalla sua presa, fece in modo che il ladro indietreggiasse di qualche passo, fino a ritrovarsi vicino alla porta della camera. Poi, staccandosi da lui, e dirigendosi verso il letto, cominciò a spogliarsi, lasciando che il marito rimanesse a guardarla. Dapprima tolse il maglioncino che le copriva il petto, per poi sfilarsi i pantaloni, e rimanere in intimo, rigorosamente rosa.
“Uh uh...” sentì lui mugugnare, malizioso. “Quel colore non ti si addice, perché non le facciamo volare?”
La giovane, però, non fiatò, ed attendendo che il suo mago si avvicinasse, lo aspettò accovacciata al letto, afferrando un cuscino. Giratasi verso di lui, glielo tirò contro, sorridente.
“Eh?”
Kaito si fermò qualche istante a contemplare il guanciale; perché gliel’aveva lanciato?
Ma prima che potesse pensare ancora, Aoko lo trascinò via dalla camera, spingendolo sino in corridoio.
“E comodo il divano?” Gli chiese ancora, ripetendo il sarcasmo di prima.
Lui annuii impercettibilmente, preparandosi al peggio.
“Bene, buonanotte!”
E quello che si ritrovò davanti non fu nient’altro che la porta in legno massiccio della sua camera, sbattuta con forza sul suo naso.
 “Avresti almeno potuto evitare di spogliarti davanti a me...”
Sospirò ancora, per l’ennesima volta in quella giornata.
Si preannunciava una meravigliosa nottata: lui, e il divano.
 
#
 
Aoko scese dal letto con flemma, indecisa se abbandonare o meno il caldo che le donavano le coperte. Le scostò, avviandosi verso la cucina, passando poi per il salone. Rallentò i suoi passi nell’affiancare il divano, sul quale era addormentato colui che da un po’ di tempo definiva marito. Kaito aveva braccia e gambe divaricate, respirava pesantemente e si rigirava più volte su se stesso, probabilmente incapace a trovare la posizione giusta.
Ad Aoko fece quasi tenerezza.
Rapita dalla sua immagine, si appoggiò allo schienale del salotto con i gomiti, dipingendosi un sorriso maligno sulle labbra. Gli occhi cristallini trasducevano ira, gettata sull’incosciente ladro, che con palpebre chiuse, e con un cuscino striminzito sotto il capo, tentava inutilmente di regalarsi un po’ di sonno riconciliatore.
La giovane si avvicinò ancora di più a lui, sforandogli l’orecchio. Si bloccò su di esso, ed inspirando tutta l’aria della stanza, donò al marito il più dolce dei risvegli.
“SVEGLIA IDIOTA!!!”
Al che, alle urla stridule della moglie, Kaito sobbalzò dal divano, issandosi all’in piedi con l’agilità di un trapezista al circo. Sveglio, ma parecchio intontito, si girò attorno spaesato, probabilmente chiedendosi chi fosse, come si chiamasse e dove si trovasse; recuperò comunque ben presto le facoltà mentali, nel ritrovarsi Aoko davanti, che con un ghigno maligno gli augurava il buongiorno.
Sbatté più volte le palpebre, per poi puntarle il dito contro.
“Ti pare il modo di svegliarmi?!?”
“Sono le otto idiota. Dovresti già essere bello e pronto.” Lo rimbeccò lei, ignorando le sue (seppur giuste) lamentele, ed avviandosi finalmente verso la cucina, con la sola intenzione di prepararsi un’abbondante colazione, che forse, avrebbe fatto partire la giornata col piede giusto.
Kaito la seguì, lasciandosi andare ad un sonoro sbadiglio.
“Io sono sempre bello e pronto. Soprattutto bello.” Tentò di ricordarle con fierezza, casomai l’avesse dimenticato.
Aoko azzardò un risata sarcastica, per poi assottigliare gli occhi, seccata: “Questo te l’hanno fatto credere tutte quelle galline che si considerano tue fan.”
L’uomo ridacchiò, poggiandosi alla tavola.
“Ah! Le mie fan... da quanto non vedono Kaito Kid! Saranno disperate, staranno piangendo, debbo aiutarle!” cominciò a recitare melodrammatico, alzando gli occhi al cielo.
“Anche quella Ran è tua fan?” lo bloccò poi la moglie, con una punta di gelosia. Kaito esitò qualche attimo prima di rispondere, intento a scrutarla per bene.
“Tu che ne sai di lei?”
“Allora?” chiese ancora, ma con un tono più insistente.
Il marito sospirò, afflitto, per poi avvicinarsi al suo corpo.
“No, è un’amica. La sto aiutando, è in difficoltà.”
“U-un’amica?” inceppò nelle parole, stentando a crederlo. “Non me l’hai mai presentata!”
“Lo so... è che è la moglie di un mio amico.” Riprovò poi, incrementando la sua curiosità.
“Quale amico?” chiese la giovane, stizzita. Tutte le sembrava una scusa.
“Ehm...” si grattò poi la testa Kaito, in difficoltà. “Non te l’ho mai presentato. E’ che... abbiamo un rapporto un po’ particolare noi due.” Azzardò poi, la sua spiegazione non sembrava convincere la moglie, che invece, appariva più agguerrita che mai.
“Ah sì?” si avvicinò al suo volto, facendolo sudare. “Rapporto particolare? Cos’è hai cambiato gusti?”
“Eh?” sbatté più volte le palpebre, incredulo. “Ma che vai a pensare?!?”
“Cosa dovrei pensare?!?”
L’uomo sbuffò, guardandola allibito. “Idiota! Credi mi piacciano gli uomini?!?”
“No, però vorrei mi dicessi la verità!” sbraitò poi lei, alimentando ancor di più la discussione.
“E’ la verità!” esclamò il mago bianco della notte, esausto.
“Kaito?” lo chiamò poi, guardandolo truce.
“Che c’è?!”
“Quante altre notti vuoi dormire sul divano?”
Al suono di quella minaccia, tanto travestita da domanda, Kaito sobbalzò. Non una sola ora in più su quei cuscini così scomodi e pungenti. La pelle gli era diventata carta vetrata quella nottata.
Ma come convincere Aoko che lui stesse raccontando il vero?
“Te lo giuro! Ti sto dicendo la verità!” la supplicò quasi di crederlo, congiungendo le mani.
“Ok.” Sospirò lei, poggiandosi al tavolo con i palmi delle mani. “E che genere di aiuto staresti dando?”
Kaito ci pensò su un attimo, ma con prontezza, pochi secondi dopo, rispose.
“Professionale...”
“Cioè!?!?” urlò nuovamente Aoko, allargando gli occhi. “Tu sei un ladro!”
“Sarei un mago veramente.” Ci tenne a sottolineare, fiero.
“Ovvero li aiuti a fare i trucchi con le carte?”
“Ti sembro il tipo di mago che fa giochetti con le carte?” ribatté lui, leggermente offeso.
“Con i conigli?” lo sfotté poi, sarcastica.
Lui assottigliò gli occhi, stizzito. “Io sono il mago dei travestimenti idiota!”
Al suono delle sue parole, Aoko sbatté le palpebre più volte, e rimase in silenzio per alcuni secondi, che a Kaito sembrarono interminabili. Lei lo fissava, e lui non aveva il coraggio di fiatare oltre, vista la situazione.
“COSA!?!?!” sbottò poi, strabuzzando le palpebre e stonandolo. “Tu li stai aiutando come Kaito Kid!?!”
“Eh?!? No, Aok...”
“Idiota! Mi avevi promesso che non ti saresti più travestito da lui! Me l’avevi promesso! Bugiardo! Bugiardo!” e con ripetuti pugni sul petto, si gettò verso di lui, quasi in lacrime. Non poteva sopportare l’idea che lui stesse continuando a mentirle, proprio come aveva fatto tempo prima, facendole odiare quel ladro, che tanti nervi dava a suo padre.
“No, Aoko!” Cercò di calmarla, afferrando i suoi polsi. “Non da Kaito Kid. Ma presto loro delle maschere... credimi, sono in un bel guaio.”
“Quindi non hai ricominciato a rubare?” gli chiese titubante, aggrappandosi alla sua maglia.
“Certo che no.”
“E non hai nemmeno ricominciato a tartassare mio padre?” continuò ancora, avvicinandosi ancor di più al suo volto.
“No” asserì lui, ridacchiando.
“Giurami che non ti travesti più da gelataio, che non l’hai mai fatto, e che non lo rifarai più!”
Lui titubò un po’, stranito. “Gelataio?”
“Giura!” rimbeccò lei, con i pugni contro il suo petto.
Kaito le sorrise, per poi avvicinare le labbra alle sue, donandole un dolce e tenero bacio.
“Giuro.”
Finalmente anche Aoko si lasciò andare, abbandonasi al corpo di suo marito, gli intrecciò le braccia intorno alla schiena, e permise che lui le sorreggesse il viso con le mani.
Inebriandosi del suo profumo dolce e penetrante allo stesso tempo, la figlia dell’ispettore sentì il caldo respiro di Kaito sulla sue labbra, mentre le loro lingue si intrecciavano con veemenza nella cavità orali. Si baciarono, e sebbene con passione, la dolcezza non li abbandonò, donando a quel tocco qualcosa di speciale, che mai avrebbero dimenticato.
Staccandosi dalla moglie, il giovane le sorrise.
“Dovremmo litigare più spesso, non trovi?”
Lei mugugnò, invitandolo a continuare.
“Se questo è il perdono...” proseguì lui, malizioso. “Sei terribilmente dolce dopo una litigata.”
“No no!” si staccò lei, indietreggiando di un passo. “Tu non sei stato ancora perdonato!”
“Ah no?”
“No.” Asserì, con convinzione. “Ci vuole ben altro.”
“Beh, allora...” cercò di afferrarla lui, per poi avvicinarsi, ma lei lo evitò. Furbetta, scivolò via dalla cucina, sorridendogli felice.
“Ci vediamo stasera!” completò lei la sua frase, maliziosa.
Kaito ridacchiò, osservandola uscire di casa, ed avviare la sua giornata lavorativa.
Buttò uno sguardo fuori dalla finestra.
Sorrise.
 
#
 
La donna tornò a casa verso le diciotto circa. Il Sole era tramontato da un’oretta, e il freddo pungente le drizzò i peli, facendola rabbrividire. Seppur primavera, il termometro non riusciva a superare i quindici grandi per colpa di una perturbazione che aveva colpito Tokyo nell’ultimo periodo e che non tendeva ad esaurirsi. La scelta migliore che si potesse fare era rintanarsi in casa e riscaldarsi, in qualsiasi modo possibile.
Entrando, Aoko si affrettò ad accendere le luci per fuggire dal buio che attanagliava il suo nido, incredibilmente silenzioso. Pensò, dunque, che Kaito non fosse in casa, e si avviò verso il salone, nel tentativo di riscaldarsi; per sua sorpresa, il fuoco ardeva già scoppiettante sul legno del camino di casa sua, innalzando la temperatura dell’ambiente.
La luce calda di quel fuoco illuminava la stanza, donandole un’atmosfera rilassante e romantica, che la giovane adorava.
“Ehi...” sentì una voce chiamarla, facendola girare. “Scusa, per caso stai aspettando qualcuno?”*
Quella frase, che tanti e troppi ricordi le rievocava, venne accompagnata dalla bellezza di una rosa rossa, che comparì magicamente dinanzi a lei, tra le mani dell’uomo che amava.
“Sì, ha mica visto mio marito?” domandò lei, ironica, stando al gioco.
Kaito mugugnò, per poi sfiorarle la schiena con un braccio.
“E’ per caso un uomo bello ed intelligente, con gli occhi azzurri e i capelli sbarazzini?”
“Forse.” Replicò lei, ridacchiando.
“Allora, mia signora, ce l’avete dinnanzi.”
E sussurrandole ciò, permise che Aoko scostasse il collo, in modo tale da baciarlo. Lasciò una scia così calda, quasi bollente, che la giovane desiderò non scomparisse più. Il suo corpo, a quel tocco, aveva già scordato il freddo esterno e quella perturbazione, che in quella stanza, sembrava proprio non essere mai passata. Appagato della sua reazione, Kaito fece scivolare le labbra dal collo alla guancia, per poi arrivare alla sua bocca, ed adularla.
Aiutandosi con le mani, il mago la strinse a sé, facendo aderire per bene i loro profili, e le loro ombre, create dalla luce soffusa del fuoco.
Aoko rispose al bacio del marito con tanto ardore quanto bruciava il legno nel fuoco, e permettendogli di sollevarla, Kaito decise di sdraiarla a terra, ma su un comodo tappeto che sostava maestoso davanti al fuoco arancio.
Strusciandosi contro di lei, il mago la liberò della maglia, gettandola al pavimento, poco distante da loro. Le accarezzò la pelle con le labbra, scendendo e risalendo dai seni. Sua moglie, emettendo un gemito, afferrò i bordi del suo maglioncino, sfilandoglielo, e portando allo scoperto il suo fisico. Kaito godeva di muscoli ben allenati e privi di qualsiasi imperfezione che potessero sfigurarlo; da un po’ di tempo, dovette ammettere a se stessa che quelle galline delle sue fan, così come le chiamava, non avevano proprio tutti i torti a sbavargli dietro. Kaito Kid, il suo Kaito Kid, era davvero magnifico.
Impaziente, Kaito l’attirò a sé, sbottonandole il reggiseno; posò quindi le mani sui suoi seni, cominciando a farla ansimare. Il respiro della sua donna sul suo orecchio era troppo da sopportare ancora; con foga decise di liberarla dei pantaloni, aspettando che anche lei facesse altrettanto.
Continuò poi a baciarla con passione, giocando con la sua lingua, e sottraendola quando volesse farle un dispetto; spazientita, ma pur sempre divertita, Aoko gli morse un labbro, caricandolo d’adrenalina.
Così, Kaito finì per liberarsi anche degli ultimi indumenti che potessero bloccarli. Si amarono come se fosse la prima volta; come se tempo non ne fosse passato, come se fosse il loro ultimo desiderio prima di morire.
Senza freni inibitori, senza ostacoli o bugie; tutto ciò che avevano da dirsi lo trasmisero i loro corpi, e le loro ombre, che li imitavano nella passione bruciante del fuoco.
Baciandole il viso, la sentì gemere.
Fu così che capì.
Non esisteva oro o diamante che potesse valere quanto un suo bacio, o un suo sussurro.
Quello che avevano loro, era molto più prezioso di qualsiasi altra gemma, di qualsiasi furto.
E decise di dirglielo, affinché non lo scordasse mai.
 “Sei il gioiello più bello che avessi mai potuto rubare.”
 
# Due settimane dopo
 
“Aoko?” la chiamò Kaito dalla porta, preoccupato. “Come stai?”
Dal bagno, ne fuoriuscì la moglie; visibilmente pallida, con delle occhiaie a contornarle gli occhi azzurri.
Eppure, anche in quello stato, lui la trovava meravigliosa.
“Adesso un po’ meglio.”
La donna si portò una mano allo stomaco, ancora in subbuglio per tutto ciò che aveva rigettato; ma decise di non pensarci, e velocemente si avviò in cucina. Scostò una sedia, e si mantenne la fronte con le mani, con il gomito appoggiato al tavolo, o meglio, ad un giornale.
“Sarà colpa di questo ladruncolo che hai dentro di te?” le chiese il marito, con dolcezza.
“Io dico che sarà un maghetto.” Ribatté lei, sorridente. “Un mago, proprio come il padre.”
“Se è come il padre, allora sarà un rubacuori.” La stuzzicò lui, appoggiandosi allo stipite della porta.
Aoko lo ignorò di proposito, lasciandosi sfuggire solo un piccolo risolino. Attenta, posò lo sguardo sul giornale che aveva sotto il gomito.
Sbatté più volte le palpebre, incredula.
Prima pagina, testata centrale.
Lesse e rilesse, sentendo l’ira crescerle dentro.
Il marito la imitò, e nel giro di qualche secondo capì la ragione del suo stupore; solo una cosa poteva, e d’altronde, dopo anni d’esperienza, sapeva fare: scappare.
“KAITOOOOOO!?!?!??!” lo richiamò, inseguendolo per tutta la casa.
Che la figlia dell’ispettore avesse più fortuna del padre nel prendere il famoso ladro?
“CHE SIGNIFICA CHE KID E’ RIAPPARSO A NIIGATA!?!?!?”

 
 

 
*Magic Kaito Volume 4, Black Star
 
 

The end

 
 
 

*
Next spin-off:
Shinichi & Ran
*

 
 

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Capitolo 2
*** Shinichi & Ran ***


Allora... eccomi qui!
Prima di tutto volevo ringraziare Delia23, LunaRebirth_, shinichi e ran amore, aoko_90, _AlChiaroDiLuna_, Nana Kudo, Martins, _Vevi edIl Cavaliere Nero per aver recensito la prima shot!
E allo stesso modo, vorrei ringraziare aoko_90, Il Cavaliere Nero,  Martins, Nana Kudo, shinichi e ran amore, e _AlChiaroDiLuna_ per aver già inserito la raccolta tra le preferite,
ciccio fino per averla inserita tra le ricordate;
arianna20331, Audrey5, beautiful mind, ChibiRoby, LunaRebirth_, ciachan e kilamya per averla inserita tra le seguite!
Ci tenevo ad iniziare con i ringraziamenti, e proprio su questa scia, ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno letto, recensito o seguito “E se io vivessi d’odio?”.
Grazie, grazie, grazie.
Adesso, però... passiamo alla shot! xD
Quanti di voi la stanno aspettando? Lo spin-off dei piccioncini per eccellenza: Shinichi & Ran! Chi si ricorda come è finita la mia long? xD
Pensiate che riescano nel loro intento... adesso? Non vi resta che... leggere, e divertirvi :D

 
 
 

Shinichi & Ran
Spin-off

 

 Un ringraziamento ad Assu che mi ha sostenuta nella stesura di questa vera e propria pazzia XD 

  
 
Sottile venticello, aria calda e rassicurante, piccole foglie rosate che cadono sulla strada, ornandola di meraviglia e bellezza: tempo di Sakura in fiore, per Tokyo e per la sua gente.
Vetrine luminose e appariscenti, viali alberati di dolcezza, atmosfera idilliaca.
Non c’era nulla da fare: la stagione dei ciliegi era da sempre la sua preferita.
“Che belli.”
Emise il suo stupore in un soffio, che le uscii spontaneo. Aveva trent’anni, eppure quello spettacolo non avrebbe mai smesso di mozzarle il fiato e di incantarle lo sguardo cristallino.
Quanta potenza c’era nella debolezza di un fiore? Ne raccolse uno, tra i tanti, caduto a terra.
Così vellutato da poter fare invidia alla seta, o magari alla Sua pelle.
Sfiorandolo, sorrise.
No, quella non aveva paragoni.
 
***
 
“Sono tornata...”
Rincasò con la solita stanchezza che la contraddistingueva negli ultimi giorni. Le pratiche, le visite, le spiegazioni, le lamentele, le voci in più della gente: tutto non era teso a scemare, nemmeno un mese dopo che Shinichi Kudo avesse dato l’annuncio della sua - per così dire - resurrezione.
Fan accanite sotto casa, clienti affezionati in ufficio, paparazzi in incognito, poliziotti in lacrime alla centrale; tutti in visibilio per l’evento del secolo, quello che, definivano i giornalisti, sarebbe rimasto nella storia del Giappone. E tutti pretendevano dettagli, nomi, indirizzi, luoghi e tempi.
Sbuffò seccata, osservando la casa vuota ed il silenzio a dominarla.
Anche se l’avessero cercato, di tempo non vi era. Tralasciando il fugace ed invano tentativo di dedicarsi un po’ a loro qualche pomeriggio prima, distrutto dall’altrettanta repentina entrata di Conan ed amica, Shinichi e Ran non avevano avuto il tempo di scambiarsi nemmeno più un’occhiata.
Il lavoro era ricominciato, ed era anche ingente.
Ran sospettò che tutti i mariti, mogli, amanti e fidanzati del Giappone volessero una consulenza proprio da lui. E che tutti i misteri, delitti, suicidi e furti dovessero avvenire proprio lì, a Tokyo.
E sebbene fosse convinta che anche il marito provasse il forte desiderio di stare un po’ con lei, dovette ricredersi nel vederlo entusiasta e gioioso, nel riprendere la sua tanto amata, ed agognata, attività di investigatore privato. Salì le scale velocemente, intenzionata a rinfrescarsi sotto la doccia. A quel pensiero ridacchiò, mentre l’immagine di Conan che le chiedeva e scopriva cosa fosse “rinfrescarsi la memoria” le si proiettò avanti.
Ma in quel momento, raggelarsi consisteva proprio nel sentire l’acqua scorrerle addosso e rianimarla, facendole abbandonare per un attimo la realtà.
Arrivò in camera, e liberandosi della scarpe, camminò a piedi scalzi sul tappeto. S’intravide tra gli specchi, e facendosi aiutare da essi, aprì la cerniera che le manteneva il vestitino, dietro la schiena. Rimase in intimo: rigorosamente di pizzo, nero, provocante.
Sospirò; il periodo da femme fatale era servito a qualcosa, ma come poteva attuare ciò che aveva imparato, se lui mancava ad ogni momento libero della giornata?
Un altro sbuffo, ancora più seccato.
Incamminandosi verso il bagno, si scontrò, senza neanche accorgersene, contro qualcosa, che le si parò improvvisamente davanti. Alzando un po’ gli occhi, s’immerse nello sguardo azzurro di suo marito, che l’osservava con leggera sorpresa.
“Che ci fai qui?”                               
Ran non rispose subito, sebbene non sapesse che dirgli: Shinichi era in accappatoio, di un blu così profondo da metter ancora più in risalto i suoi occhi cristallini, debolmente annodato alla vita. Il cappuccio gli copriva i capelli corvini, che fuoriuscivano ribelli e bagnati dalla stoffa, appiccicandosi sulla fronte umida. In un ripiego, il tessuto blu notte dell’accappatoio lasciava scoperto il petto e i muscoli dell’uomo: ancor più evidenziati, a causa della pelle lucida e leggermente bagnata.
“S-Shinichi!” riuscì solo a chiamarlo, rapita dalla sua immagine, dal suo viso, dai suoi muscoli.
Ma ripresasi, sbatté le palpebre: perché era lì, lui?
“No, piuttosto che ci fai tu qui!”
“Ho... finito...” tentò di spiegarle, inutilmente, fissando con gli occhi il suo corpo. “...Un...po’...prima...”
Rialzandoli su di lei, le sorrise malizioso, indicandole con un dito il bagno, alle sue spalle: “Doccia?”
E domandaglielo, si avvicinò a lei; le mani fredde ed umide le presero le cosce, tirandola su dal terreno.
“Ma tu non ti sei già lavato?” lo canzonò lei, ridacchiando.
“Fa un po’ caldo oggi.”
Ran portò le braccia intorno al suo collo, e affondando le dita nei capelli, lasciò cadere il cappuccio. In un attimo, le loro labbra si scontrarono, e con veemenza si assaporarono, facendo entrare in gioco anche le loro lingue, assetate d’amore. Shinichi la trascinò in bagno, mentre con le mani sorreggeva e stringeva il corpo della moglie al suo.
Le slacciò il reggiseno, mentre lei lo liberava dell’accappatoio, svincolandosi con le mani, leggermente tremanti. Il cuore in palpitazione, ogni volta che suo marito la toccava, andava in tachicardia, nel ritrovarsi nuda di fronte a lui. Abilmente, il detective liberò Ran dell’ultimo intralcio, e fiondandosi con lei in doccia, lasciò cadere l’acqua sui loro corpi, già bollenti di passione.
Il getto gelido si insinuò tra i capelli, e tra i loro muscoli, che si sfregavano con veemenza gli uni contro gli altri.
“Dovremmo dirlo a Shin-chan.”
Una voce, familiare, solare, e neanche troppo lontana, arrivò alle orecchie dei due amanti, che si ritrovarono a guardarsi negli occhi, allibiti.
E dopo poco udirono qualcos’altro, dal tono diverso, ma pur sempre conosciuto.
“Ran ne sarà felicissima.”
Staccandosi, sbiancarono.
“MIA MAMMA E TUA MAMMA!” sbottò la karateka, strabuzzando le palpebre.
“Abbassa la voce!” la intimò il marito, portandosi l’indice sopra le labbra. “Ma come hanno fatto ad entrare?!”
“Tua mamma ha le chiavi! Gliele diedi io per ogni evenienza quando fingesti di morire!” lo rimbeccò, come a dargli la colpa di ogni cosa.
“Che?!?”
“Ma non sono in casa?”
Intanto, le voci della baronessa e dell’avvocatessa si fecero sempre più vicine, e più pericolose, decisamente. Probabilmente avevano già salito tutti gli scalini, e si accingevano ad entrare in camera.
“Esci, esci, esci subito!” la mandò fuori dalla doccia il marito, cominciando ad arrossire.
“Io?!” si lamentò la donna, seppur in sottovoce. “E che mi invento?!”
“Ran, Shinichi?”
Girando l’angolo, Yukiko si ritrovò di fronte sua nuora: leggermente rossa in viso, capelli e corpo inzuppati, visibilmente agitata. Eri osservò la figlia in un accappatoio blu, che le andava decisamente largo; dedusse, proprio come la consuocera, che fosse di Shinichi. La karateka osservò allibita le due per qualche secondo, riuscendo a chiudere la porta del bagno dietro di sé, e cercare di nascondere l’ilare verità alle due donne.
“M-mam-ma-ma! Y-Yuki-ko-ko!” balbettò, l’imbarazzo le mozzava le parole. “C-come v-va?”
“Tutto bene tesoro.” Recitò la madre, sbattendo le palpebre. Ma il discorso lo continuò la suocera, maliziosa: “Piuttosto a te, cosa ti è successo?”
“A-a m-me?” chiese conferma, nel tentativo di prendere tempo.
“E perché indossi un accappatoio da uomo?” ingranò la marcia Eri, curiosa.
“I-io?” domandò ancora, arrossendo. “B-beh, ho s-sbagliato a p-prenderlo...” e guardandosi, si finse ignara, e improvvisò una recitazione: “Uh, è q-quello di Shinichi, è vero!”
“Ma c’è qualcuno in bagno?” chiese ancora Yukiko, puntando lo sguardo verso il basso, imitando l’amica. Ran si ritrovò gli occhi in puntini, e il viso paonazzo. Indietreggiando ed attaccandosi alla porta, rise, nel tentativo di sviarle: “No... perché?”
“Hai lasciato la luce accesa allora, ti conviene spegnerla.”
“Eh?” emise un soffio, per poi guardare in basso anche lei. Dall’insenatura della porta, si intravedeva la luce del bagno, che andava a contrastarsi con il pavimento più scuro. Riportando l’attenzione a loro, quasi le maledisse: perché dovevano essere così intuitive?
“S-sì. A-avete ragione. C-che sbadata!” Ma alle parole non seguirono i fatti; Ran rimase sostanzialmente ferma, in attesa della prossima mossa delle due donne.
“Non preoccuparti, la spengo io, devo andare un attimo in bagno...” enunciò Eri, afferrando quasi la maniglia della porta, e preparandosi ad aprirla.
“NO!!!” si fiondò su di essa, facendo da scudo all’entrata. Le due la guardarono stranite, con occhi curiosi, e sopracciglia incurvate.
“Che c’è?”
“E’... è che qui il bagno è... è in disordine. Vai... vai nell’altro mamma. Q-Quello al piano terra.”
Eri sussultò, per poi annuire, seppur non soddisfatta. “Ok tesoro. Ma c’è qualcosa che non va?”
“No, tutto benissimo. Vieni, ti accompagno.”
Ed afferrandole il braccio, l’allontanò dal bagno, e la trascinò, nella speranza di averla finalmente convinta.
“Comunque, avevamo pensato di festeggiare il piccolo Conan...” la informò la madre, staccandosi dalla presa.
“Per i suoi otto anni?” s’interessò Ran, nel tentativo di sviare l’attenzione da quel bagno.
Ma aveva dimenticato Yukiko: la baronessa della notte, moglie di Yusaku Kudo, e madre dell’investigatore più conosciuto al mondo. Ma prima d’ogni cosa, donna anche lei.
Ridacchiando e fischiettando, l’attrice le seguì, dando un’ultima occhiata a quella porta.
“Puoi uscire adesso... Shin-chan!”
 
***
 
“Shinichi?”
Ran avanzò, aprendo lentamente la porta della dependance, che portava all’ufficio di suo marito. Era corsa da lui appena le due donne avevano lasciato l’abitazione, portando via con loro le varie idee strambe riguardo il compleanno del piccolo Conan. La karateka sapeva perfettamente che il figlio non era un tipo mondano, ma non poteva fare nulla contro la furia travolgente di sua suocera; così, aveva acconsentito: l’indomani, suo figlio avrebbe festeggiato i suoi otto anni. Con tali pensieri, entrò silenziosamente nella dependance, ma non ebbe modo di vedere Shinichi.
“Shinichi sei qui?”
Al secondo richiamo, dalla porta laterale dell’ufficio, balzò l’interpellato, con un paio di scartoffie in mano. Incuriosito, si avvicinò a lei.
“Che ci fai qui?”
“E’ tardi, ti sono venuta a cercare.” Lo rimbeccò, mantenendosi i fianchi con le mani.
“Scusa, ma sono dovuto scappare da mia madre! Cosa volevano?”
Ran sbuffò, e superandolo, si abbandonò alla poltrona dinanzi alla scrivania, dove Shinichi era solito ricevere i clienti.
“Mia mamma si è fatta convincere da tua madre ad organizzare una festa a sorpresa a Conan per domani.” Lo informò poi, sbuffando. Suo marito la raggiunse, prendendo posto sulla scrivania davanti a lei, lanciando lo sguardo sui fogli che aveva tra le mani.
“Immagino il mostriciattolo come ne sarà contento.” Continuò ironico, ridacchiando.
“Ho provato a spiegare loro che a Conan non piacciono queste cose, ma nulla, non mi hanno dato retta!” sbottò, allargando le braccia.
“Mia madre non dà mai retta a nessuno, rassegnati.” Le ricordò, sorridendo meschino al di là dei fogli.
Lei lo osservò con palpebre assottigliate, ed un sorriso canzonatorio disegnato sulle labbra.
“Devo rassegnarmi a tutto, allora?” gli chiese, allusiva.
Shinichi alzò lo sguardo dai suoi fascicoli, ghignando. Balzò dalla scrivania, ed afferrandole il polso, riuscì ad attrarla al suo corpo.
“Io e te abbiamo una questione in sospeso...” le bisbigliò all’orecchio, circondandole la schiena con un braccio, e sfiorandole le labbra con un dito.
Ran annuì, sorridendogli, ed aggrappandosi al suo collo. Shinichi non esitò, anzi; la sorresse per le gambe, e velocemente l’adagiò alla scrivania. La karateka sentì il marmo duro e freddo sotto la sua schiena, ma non ci badò: aveva un unico pensiero in quel momento,  dedicarsi a lui, a loro. Il detective la sovrastò, mantenendosi con le ginocchia e i gomiti, mentre le dita andavano a perdersi tra i capelli della sua bella, scombinandoli in più direzioni.
I baci divennero fin da subito ardenti di passione, per troppo tempo repressa: Shinichi prese possesso delle sue labbra, e con tanta maestria, anche della sua lingua, che scontrandosi, fecero accrescere quel desiderio a dismisura, facendolo poi scoppiare, come in vulcano in eruzione.
“E’ tardi per i clienti, giusto?” Gli domandò lei in un sussurro, mentre con le mani svincolava, nel tentativo di afferrare i bordi della sua maglia. Gliela sfilò con non curanza, e con estrema velocità, per poi gettarla a terra, ai piedi della sedia.
“Beh, ce ne ho un’ultima qui sotto di me. Ed è anche bellissima.”
Ran gli accarezzò la schiena, sorridendogli. “E sono anche la sua preferita, vero? Detective?”
Shinichi avvicinò le labbra al suo orecchio, per poi scroccarle un bacio ed un sussurro.
“Da sempre.”
Il lieve scricchiolio di una porta, quella della dependance, e l’entrata improvvisa di Kogoro e Yusaku, spezzarono la magia e l’atmosfera creatasi.
Mouri si ritrovò davanti suo genero, sopra sua figlia, senza maglietta, e sdraiato insieme a lei sulla scrivania, in evidente affanno.
Un moccioso, addosso alla sua bambina, senza maglietta, intento a baciarla.
Un moccioso addosso alla sua bambina.
“TU!!”
Shinichi lo guardò arrivare, con un pugno svolazzante nell’ambiente, che presto o tardi avrebbe assaggiato sul viso; e cominciò a sudare.
Ran rimase immobile, incapace ad alzarsi; sentì solo scoppiarle il fuoco in faccia, e la vergogna mangiarle l’anima, e divorarla nell’osservare Yusaku, poco distante, con occhi e bocca spalancati.
“P-papà!” tentò poi di fermarlo, richiamarlo, attrarre anche solamente la sua attenzione, e salvare la vita al marito.
Shinichi, caduto a terra, dopo esserci stato scaraventato dalla moglie, si apprestava a ripararsi o fuggire dalle torture imminenti che il suocero avrebbe voluto fargli provare seduta stante, per aver semplicemente tentato di sfiorare la sua bambina; perché, per Kogoro, Ran sarebbe rimasta per sempre la sua piccola ed intoccabile figlia. La povera karateka, si ritrovò così a rincorrere il padre per la stanza, che a sua volta correva dietro Shinichi, che cercava riparo dietro Yusaku che, nel frattempo, assisteva allibito ad una delle scene più comiche della sua vita.
“Papà, lascialo!”
“TU NON DEVI TOCCARE LA MIA BAMBINA!!”
Finalmente,  Ran riuscì ad interporsi tra suo marito e Kogoro, ed a fargli scudo con il corpo e le braccia; quasi come a volerlo difendere dal più crudele degli assassini.
“BASTA PAPA’! TUTTO QUESTO E’ RIDICOLO! SONO MOGLIE E MADRE DI UN BAMBINO, COME CREDI L’ABBIA CONCEPITO?!?!”
Shinichi non azzardò nemmeno a parlare, la situazione avrebbe potuto degenerare!
Suo suocero, invece, alle parole della figlia, riuscì a sedare la sua furia omicida, e a tentare, per quanto ci riuscisse, di ragionare.
Yusaku osservò il tutto con degli occhi ridotti a puntini, sebbene stentasse a trattenere un risolino; meglio non far arrabbiare ancor di più Kogoro, però.
“Sarebbe potuto entrare chiunque, e trovarvi così! Non è professionale da parte tua, moccioso!” riuscì a replicare poi, dando la colpa alla superficialità di Shinichi nel scegliere i luoghi delle sue romanticherie.
“Papà, ragiona. Sono le nove. L’ufficio è chiuso a quest’ora!”
“Appunto! E voi a quest’ora dovreste essere a casa con vostro figlio, anziché fare queste porcherie qui!” Continuò ancora, lanciando occhiate infiammate a colui che, definiva da un po’, suo genero.
“Conan è a studiare da Sophie. Lo stavamo andando a prendere, infatti.”
“Lo... stavate... andando... a... prendere?” tentennò nel chiederlo Kogoro, come a voler sottolineare quanto l’eventualità fosse improbabile e ridicola.
“E dove l’avete lasciato... alle Hawaii, che avete bisogno di spogliarvi?”
Ran arrossì ancora di più, tramutando anche i suoi occhi in puntini, un po’ come suo marito e suo suocero, che osservavano il tutto con un certo imbarazzo.
Nel tentativo di romperlo, Yusaku tossicchiò, leggermente arrossito.
“Piuttosto,” cominciò, portando l’attenzione dei presenti su di lui. “Vorremmo chiedervi che regalo farete al piccolo, cosicché da non copiarci.”
“Ehm...” titubò Ran, nell’osservare Shinichi rimettersi la maglia, e tentare di seppellire, quell’ennesimo tentativo, nella sfera più oscura della memoria. “Noi già abbiamo provveduto a comperarlo, voi che avete intenzione di fargli?”
“Dei genitori nuovi.” Sbottò Kogoro, guardando suo genero di traverso che, alla milionesima occhiata, sobbalzò.  Ran, a sua volta, ne dedicò una al padre, che distolse lo sguardo, irritato.
“Ehm...” ridacchiò Yusaku, divertito quasi. “Io e Yukiko avevamo pensato di regalargli l’intera collezione di Agatha Christie, e se Kogoro avesse voluto partecipare...”
“Ha già letto tutti i libri.” Lo bloccò Shinichi, sorridendo fiero. “E poi, l’intera collezione della Christie, già ce l’ho io.”
“Agatha chi...?” chiese il Detective Dormiente, osservando i presenti con titubanza.
“Ha già letto tutti i libri?!” sbottò Yusaku, sorpreso. “...E di Doyle?” indagò poi, curioso.
“Secondo te!?” ribatté Shinichi, sfottendolo.
“...Poe?”
Suo figlio annuì, con braccia incrociate.
“...Queen?”
Stessa risposta: leggero accenno col capo.
Al che, Yusaku, afflitto, sbuffò un ironico: “...Kudo?!”
Shinichi e Ran sogghignarono, ma fu il detective a prendere parola: “Se può consolarti, i tuoi sono stati quelli che ha letto per primi.”
“Ma chi so ‘sti tizi...?” continuò a chiedersi Kogoro, intanto, con perplessità.
“Va beh, a quanto pare, dobbiamo scartare l’idea libri.” Sospirò Yusaku, cominciando a pensare. Cosa regalare ad un bambino di otto anni, dall’intelligenza acuta ed dall’incredibile curiosità?
“Papà su... suo padre è un detective e suo nonno uno scrittore di gialli. Come pensi che non abbia già letto tutto ciò che concerne l’ambiente?” lo rimbeccò Shinichi, sorridendogli.
“Sì, ma cosa regaliamo a questo bambino? Ha praticamente tutto!”
“Beh, veramente...” obiettò l’investigatore, osservando dapprima sua moglie, e poi i due uomini. “Ci sarebbe una cosa...”
Ran sorrise, intuendo all’istante: effettivamente, era qualcosa che il piccolo Conan desiderava da tempo, ma che loro, per un motivo o un altro, non erano mai riusciti a regalare.
Yusaku si apprestò ad ascoltare, ma fu il Detective Dormiente a rompere il silenzio.
E non solo quello.
“Basta che non costi troppo!”
 
***
 
Raggi fievoli e dorati si posarono sul viso del piccolo Kudo, abbandonato in luogo di Morfeo, dove il Sole cominciava a spuntare, e la notte lasciava spazio ad una nuova giornata, forse più speciale delle altre: il suo ottavo compleanno.
Shinichi e Ran camminarono in punta di piedi sul parquet, nel tentativo di non fare rumore e di non svegliare Conan, che dormiva beato nella sua camera, al caldo, sotto le coperte.
Ma il passo della donna risultava un po’ troppo pesante per il marito che, in quanto ad apparire invisibile, poteva dare vere lezioni.
“Non fare casino!” La intimò sottovoce,  guardandola truce.
La karateka sobbalzò, irritata.
“Non l’ho fatto apposta!” Rispose di botto, sussurrando.
“Dove la mettiamo?” chiese la moglie, osservandolo dimenarsi nella stanza del piccolo alla ricerca di un posto per sostare il loro regalo.
“Ma che state facendo?”
Una voce bianca li riportò al concreto, costringendoli ad alzare gli occhi, e a fissare il loro bambino che, per quanto piccolo, era già sveglio e bell’incuriosito per il trambusto creato.
Shinichi si parò dinanzi al regalo, mentre Ran avanzò verso Conan, per poi abbracciarlo, e stringerlo forte a sé.
“Tanti auguri a te, tanti auguri a te...” cominciò a canticchiare la madre, guadagnandosi smorfie facciali da parte del marito e del figlio, contrariati.
“Mamma sei stonatissima!” Ribatté il piccolo, scostando le coperte ed apprestarsi a scendere dal letto, per scoprire cosa suo padre nascondesse dietro di sé.
“Mai quanto tuo padre.”
Shinichi la guardò truce, sentendosi offeso. “Che c’entro io adesso?”
“Che nascondi qui dietro?” chiese il piccolo, con curiosità, interrompendoli.
“Ah, ah!” lo distanziò Shinichi, prendendolo in braccio, e posandogli una mano sugli occhi, nel tentativo di offuscargli la vista.
“Dai papà!” provò a dimenarsi Conan, mentre Ran, con la complicità di suo marito, poggiava sul regalo una bustina bianca, dalla forma rettangolare. La karateka fece segno a Shinichi di poterlo lasciare, affinché potesse soddisfare la sua curiosità: il suo regalo era completo.
“Ecco, ecco, ti lascio!”
Lo liberò poi, permettendogli di balzare a terra, ed osservare ciò che affiancava sua madre: una bicicletta rossa fiammante, dai particolari neri, e con una scritta argentea sopra, che l’abbelliva ancora di più.
“Ma... ma... è bellissima!” esclamò, mentre i suoi occhi risplendevano vivaci nel riflettere quella bici, col suo nome inciso sopra. Si fiondò su di essa, sfiorandola, girandoci intorno un paio di volte entusiasta, fin quando non notò sul sedile scuro una busta bianca.
“Cos’è questa?” chiese con curiosità, distogliendo l’attenzione dalla bici.
“Questo è il vero regalo!” Lo informò la mamma, osservando Shinichi, sorridente.
“Davvero?!” Esclamando felice, Conan scorticò la carta della busta. Essendo essa ben incollata, ci impiegò qualche secondo prima d’aprirla: stufo, ricorse all’uso dei denti, che presto tagliuzzarono la carta. Da essa ne fuoriuscirono tre biglietti azzurrini, con alcune stampe sopra. Nell’averli tra le mani, il piccolo sentì mozzarsi il fiato.
“Non ci credo!!!” sbottò, alzandoli al cielo con felicità. “Andiamo a Londra!! Andiamo a Londra!!”
Shinichi e Ran si scambiarono un’occhiata complice: la loro idea era stata sopraffina. Conan, proprio come il padre, adorava Londra, ma non avevano avuto opportunità di andarci fino ad allora; e loro, beh, loro ci mancavano da parecchio.
“Grazie mamma!! Grazie papà!!” Conan abbracciò la madre, dandole un bacio sulla guancia, facendola sorridere.
“A me niente bacio mostriciattolo?” lo riprese il padre, fingendosi arrabbiato. Conan non se lo fece ripetere due volte: corse da Shinichi e l’abbracciò, aggrappandosi al suo collo, e schiamazzando, dovette sopportare il solletico che il padre gli infliggeva, facendolo ridere a crepapelle. Ran si perse nell’immensità di quel momento: sì intenerì nell’osservare Conan e suo padre scherzare tra di loro, giocare e prendersi in giro; le sembrò di raggiungere il Paradiso dopo aver sofferto l’Inferno, quello che aveva loro inferto Kemerl e Cikage, e che adesso, appariva più lontano che mai.
“L-lasciami... papà!!” lo pregò Conan, tra le risate e le lacrime che gli fuoriuscivano dalle palpebre, ed il solletico che gli infastidiva il corpo. Finalmente, Shinichi decise a lasciargli tregua: si allontanò un po’ dal piccolo,  cosicché da farlo riprendere a sospirare. Suo figlio, di tutta risposta, gli mostrò la linguaccia, per poi indietreggiare, e tentare di sfuggire al padre.
Fu Ran a salvarlo, spazientita, ma allo stesso tempo divertita, gli fece l’occhiolino: “Conan, perché non vai a provare la bici in giardino?”
“Vado!!” esclamò afferrandola, e fuggendo via dalla stanza, ridacchiò nell’osservare il padre.
“Tu vuoi muoverti a vestirti? O vuoi restare per tutta la giornata in pigiama? Ricorda che stasera c’è la festa! E Conan non deve sapere nulla!”
Lo rimbeccò la moglie, parlandogli con velocità, per poi afferrargli il polso e trascinarlo in camera da letto, dove i due si sarebbero cambiati.
“Ehi... calma, calma!”
Ran si avvicinò all’armadio, ed aprendolo, rimase qualche minuto ad osservarlo, perplessa.
“Non ho niente da mettermi!”
“Ma se hai un armadio pieno...”
La karateka continuò a guardarlo, mantenendosi l’indice. Poi squittì: notò un abito nero, attillato, che le era sempre piaciuto, ma che aveva buttato nel dimenticatoio dopo la faccenda con Richard. Entusiasta, lo raccolse dall’armadio e lo gettò sul letto.
Senza pensarci, si liberò della maglia del pigiama, rimanendo in canottiera. Aveva intenzione di provarlo quanto prima, anche perché non era sicura gli andasse ancora perfettamente: aveva messo su due chili nell’ultimo periodo, e non era certo una buona notizia.
Shinichi la osservò spogliarsi e porsi il vestito sul petto, guardandosi più volte allo specchio. Quella canottiera, bianca e così attillata, metteva in evidenzia le sue curve, e non lasciava alcun spazio all’immaginazione. Così, mentre l’adrenalina cresceva nel suo corpo, socchiuse la porta della camera, attirando l’attenzione di Ran, che sobbalzò.
“Che fai?”
Ma lui non le rispose: semplicemente la abbracciò da dietro, e dolcemente le baciò il collo, facendola sospirare, e cominciare a godere. Ma la karateka si ritrasse dalla sua presa, non convinta.
“Shinichi, no... c’è Conan, e verremmo interrotti...” lo avvisò, amara. “...nuovamente!”
Lui la zittì con un tocco effimero sulle labbra, che delicatamente disintegrò le paure della moglie: Ran si abbandonò al suo corpo, ed aggrappandosi a lui, si ritrovò sdraiata sul loro letto, con ancora le coperte in disordine. Shinichi la sovrastò, e muovendosi con veemenza sopra di lei, permise che la karateka potesse sfilargli la maglia del pigiama. Imitandola, lui la liberò del pantalone della tuta da notte precedentemente indossata: portò fuori le sue gambe snelle e slanciate, ed adulandole con le mani, fece scivolare il suo tocco dal ginocchio ai fianchi, fino a salire lungo i seni.
Il silenzio dominava l’ambiente, spezzato soltanto da alcuni uccellini, che squittivano felici sui rami di un albero del giardino.
 
“Ciao Conan!!”
Una voce adulta e femminile richiamò il piccolo, intento a giocare con la bici sul prato di casa: giratosi, scorse il volto di sua zia Sonoko, che lo salutava entusiasta oltre il cancello della villa. Il ragazzino sorrise, ed avvicinandosi alla donna, permise che potesse entrare. A fianco all’amica della mamma, comparve un uomo dalla carnagione scura e dagli occhi chiari, nel quale Conan riconobbe il marito della donna, Makoto Kyogoku.  Anch’egli salutò il bambino con gentilezza, per poi richiudere il cancello alle sue spalle. Sonoko si avviò verso casa, seguita da Conan, che curioso, s’informò circa la sua venuta.
“Mi è giunta notizia che oggi è il compleanno di un Kudo. Spero tanto sia tu, perché per tuo padre non ho regali!” esclamò ironica, entrando in casa, sotto guida del bambino, che lasciò la porta aperta a Makoto, intento ad osservare il giardino dei Kudo, abbellito da mille e più fiori colorati: un vero spettacolo.
“E’ mio, è mio” sorrise il piccolo, leggermente imbarazzato, mentre cominciava a chiedersi dove fossero finiti i suoi genitori e perché non fossero ancora scesi.
“Allora questo è per te.” Sonoko porse al bambino uno scatolino colorato, con un fiocco dorato sopra, ed un piccolo biglietto che enunciava il suo nome. Makoto prese posto sul salotto insieme a sua moglie che, d’altronde, sembrava insospettita e ricercava qualcosa di indefinito nella casa che, Conan, intuì al volo.
“Se cerchi mamma è di sopra, con papà.”
L’ereditiera sorrise, gioiosa: “Allora la vado a salutare. Dopo tutto quello che vi è successo non sono riuscita a vederla nemmeno una volta, causa lavoro e convegni.” Spiegò al piccolo, issandosi dal divano.
Poi, osservando il marito, si congedò: “Conan, fammi sapere se ti piace. Aspettami che torno subito.”
La donna salì le scale rapidamente, con un sorriso indelebile ad ornarle il viso. Kazuha le aveva raccontato ciò che era successo, ma tutti gli appuntamenti, viaggi e convegni della Suzuki Corporation le avevano mozzato il tempo. Finalmente, dopo mesi, poteva rivedere la sua amica, sana e salva, scampata per l’ennesima volta alla morte; e allo stesso modo, poteva rivedere quel Shinichi che tanto fingeva d’odiare, ma che la notizia di morte l’aveva sconvolta ed amareggiata, pietrificata. Percorse il corridoio velocemente, passando innanzi alla camera del piccolo, dove i due, non c’erano. Il bagno era libero, così avanzò, ritrovandosi di fronte alla camera da letto, con la porta socchiusa.
Con gioia, decise di spalancarla.
“Ehi, amica!”
 
Shinichi continuò ad assaporare le labbra morbide della moglie, mentre con una mano le accarezzava i fianchi, massaggiandoli con dolcezza. Ran si lasciò cullare in quella sensazione meravigliosa, fin quando le sue mani non andarono a liberare suo marito anche del pantalone del pigiama, per buttarlo dall’altra parte del letto.
Con solo l’intimo a coprirli, sentì le mani del detective afferrare la canotta ed alzarla lentamente, nel tentativo di sfilargliela.
Ma fu nuovamente la porta ad interrompere il tutto, e ad enunciare loro una voce conosciuta, che mai in quel momento avrebbero voluto sentire.
“Ehi, amica!”
Sonoko sbarrò le palpebre nel guardarli: Shinichi era in boxer sopra Ran in intimo, e la mano dell’amico, quella destra - poté notare -, sorreggeva la canotta di lei. Per terra e sul letto strascichi di vestiti un po’ ovunque, e loro, in imbarazzo e in affanno, fissi ad osservare lei, sulla soglia della porta.
“S-Sono-no-ko??!?!” sbottò la karateka, arrossendo fino alla punta dei capelli, dimenandosi con le mani per allontanare Shinichi da sé, atterrito. “Che-che ci fai q-qui?!”
La karateka si mise a sedere sul letto, portandosi le coperte all’altezza del petto nel tentativo di nascondere qualcosa: forse, per prima, la sua vergogna.
Ma un pensiero non poté fare a meno di attraversarle la mente: ma c’era una maledizione che si abbatteva su loro due, appena provassero a stare un po’ soli?
L’ereditiera, intanto, ripresasi dallo shock, assottigliò le palpebre, ed azzardò un sorrisetto.
“Ma guarda, guarda... mogliettina  e maritino non perdono un secondo... e bravi, bravi.”
“Sonoko!” la richiamò l’amica, paonazza.
“Arrivo a casa tutta preoccupata per la salute della mia amica, che ha dovuto subire le pazzie di maniaci assassini...” cominciò la donna, melodrammatica. “Il vostro pargolo mi informa che siete di sopra... ma non aveva specificato che l’aveste cacciato fuori di camera, il giorno del suo compleanno, per fare i vostri comodi.”
“Sonoko...? Piantala! Non è come pensi!”
“Ah, no?”
Ran si ritrovò con gli occhi ridotti a puntini. “No, però...”
“Non ti hanno insegnato a bussare prima d’entrare?” continuò la frase della moglie Shinichi, sbuffando irritato.
Aveva i muscoli del viso contratti, e le labbra storte in una smorfia disgustata: quella situazione cominciava a divenire pesante.
“Scusatemi se avevo intenzione di salutare e strapazzare di coccole i miei amici dopo tutto quello che hanno passato!” obiettò lei, sorridente.
“Le coccole puoi tenerle anche per te.” Replicò Shinichi con tono pungente, afferrando i pantaloni gettati a terra.
“Kudo non avevo alcuna intenzione di coccolare te!” Continuò l’ereditiera, con le braccia incrociate al petto. “Anche perché, a quanto noto, Ran ti coccola abbastanza...”
“Sonoko!” la riprese l’amica, imbarazzata.
“...O almeno ci prova.” La corresse lui, ghignando.
“Shinichi!” sbottò ancora la karateka, paonazza.
“Cosa? Cosa? Avete problemi?!” s’informò nell’immediato l’ereditiera, curiosa.
“Sì.” Annuì il detective, osservandola truce. “Uno: tu.”
“Io sarei il vostro problema? Che è colpa mia che lo fate...”
“... nella nostra camera da letto?” ribatté stizzito il detective, dagli occhi assottigliati.
“Possiamo cambiare discorso!?!”  provò Ran in imbarazzo, facendosi notare dal letto.
Suo marito emise un grugnito seccato, per poi abbandonare la stanza con incredibile velocità. Le due donne restarono a guardarlo andarsene, un po’ spiazzate e perplesse.
“Si è arrabbiato?” chiese Sonoko, leggermente intimorita, buttando lo sguardo sulle scale. “Se avessi saputo che...”
Ma non poté completare che si ritrovò circondata da due braccia nude e molto esili, e stretta ad un corpo altrettanto magro; l’amica le aveva cinto il collo, ed addolcita, aveva buttato il suo capo nell’incavo della spalla.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu, Ran...” Le sussurrò dalla voce rotta e tenera. “Anche tu...”
 
***
 
Festoni colorati e palloncini d’ogni misura ornavano la libreria di villa Kudo, animando il corso di un’atmosfera festosa e giovale, del quale il piccolo Conan avrebbe volentieri fatto a meno. Mancavano circa quattro ore al suo compleanno, ma la precedente casa del detective, adiacente a quella del professore, era sotto le dure direttive della baronessa e dell’avvocato Kisaki, impegnate ad organizzare l’evento per il meglio, ed attente ad ogni piccolo particolare. Per l’occasione, la nonna aveva usufruito dei servigi del catering più famoso della città, e dell’animazione più rinomata di Tokyo.
Shinichi e Ran osservarono il tutto con aria sospetta e sinistra, quasi scettica.
“Conan ci ucciderà!” Dedusse la donna, amareggiata. Il piccolo, conoscendolo, non avrebbe di certo gradito tutto quel chiasso: non amava le feste, né tantomeno essere al centro dell’attenzione. Su questo, si differiva completamente dal padre. Era molto più riservato ed introverso del genitore, avendo ereditato timidezza ed umiltà dalla mamma, a dispetto della voglia di esibizionismo dell’investigatore.
“Daremo tutta la colpa a mia madre, è lei che ha messo su tutto questo!”
In effetti, Yukiko, si stava dando parecchio da fare: gironzolava avanti e indietro per la casa, seguita da Eri, che appariva incredibilmente gioiosa nel festeggiare il nipotino: per l’occasione, aveva indossato un bellissimo abito rosa, ornato da un foulard grigio, che andava ad intonarsi con le scarpe.
“Manco fossimo ad un matrimonio!” sbottò la karateka, attonita.
Dalla stanza, un grosso vociferare, che faceva da sottofondo ad un assordante rumore di piatti, bicchieri e passi:
“Ehi voi! Quelle bibite non su quel tavolo! Ma sull’altro! Sull’altro!”
“Insomma: vi ho detto che le luci bisogna posizionarle più in alto, sennò danno fastidio!”
“Le sedie! Mancano le sedie, ce ne sono solo trenta!”
I due sposi, allibiti di fronte a tanta maestosità, sentirono un gocciolone cadere sul loro capo, ed una mano che andò a posarsi sulla spalla dell’investigatore, facendolo sussultare.
“Shin-chan!!” esclamò entusiasta Yukiko, balzando verso il figlio. “Hai visto che bello?! Vedrai che stasera sarà un successone!”
“Mamma?! Conan è un bambino di otto anni, ma che hai combinato?!”
“Perché... non ti piace?” fece la donna, leggermente arrabbiata.
“Non... mi... piace?!” replicò il figlio, dal sopracciglio tremante. “A me piuttosto che una festa sembra l’incoronazione del re d’Inghilterra!”
“Staresti insinuando che è pacchiano?! Che non ho bei gusti!? Io mi sono impegnata corpo ed anima per realizzare tutto in modo perfetto, e tu, figlio degenere, mi smonti così?!”
“Signora Kudo?” la richiamò l’addetto al catering, con in spalla alcune sedie ripiegate, bloccandola. “Dove le posiamo queste?”
Yukiko distolse l’attenzione dal figlio, che tirò un sospiro di sollievo, per affrettarsi a raggiungere l’uomo , e portarlo in fondo alla sala. Ran sbuffò, seccata. Stress e tensione accumulati,
adesso aveva anche il compito di spiegare al piccolo che tutto quel teatrino era stato messo su solo per lui, e che non era affatto una brutta cosa; certo, forse solo un po’ pacchiana...
“Ehi...” la richiamò il marito con una carezza sulla guancia, osservandola pensierosa. “Mi segui ad una parte?”
“Dove?”
Shinichi le si avvicinò, facendola rabbrividire; abbassò il capo fino al suo orecchio, e con le braccia le cinse il bacino, dolcemente.
“In cantina...”
Ran ridacchiò, incuriosendosi.
“In cantina?”
“Sì... sai quel posto dove teniamo i vini e le cose più assurde ed impolverate della casa?”
“So cos’è una cantina Shin... non so perché tu voglia andarci.”
Il marito la guardò allusivo e malizioso, al che, lei scoppiò a ridere.
“No, ma sei impazzito?”
“Ma Ran... ragiona. Vino non ne devono prendere perché è una festa di compleanno, il catering è indaffarato nei preparativi, e poi...” ritrasse la mano, per poi mostrargliela a pugno, richiusa.
“Non mi sembra una buona idea...” ribatté lei, bloccandolo ed osservandolo, sebbene non riuscisse a non sorridere. Certo l’idea non era buona, semplicemente intrigante...
“Dai Ran sono più di due mesi che non...”
“Non è colpa mia!”!” replicò la karateka in un botto, repentina, tentando di nascondere una certa titubanza: non avrebbe voluto ammetterlo, ma il pensiero di quell’esperienza l’attraeva.
Shinichi la tenne ancora più stretta a sé, e baciandole il capo, affondando le labbra tra i capelli, le mostrò il pugno ancora chiuso.
“Ho la chiave...” le rivelò, mostrandogliela. “Non verranno a disturbarci...”
La giovane esitò, osservandola: cosa fare? dare ascolto agli impulsi o alla ragione?
Deglutì, affogando nel nervosismo. Buttò uno sguardo un po’ ovunque: tutto le sembrò così lontano, sfuggente. L’unico respiro che avvertiva era quello di suo marito sulla sua pelle, vicino,
indissolubile come il loro legame.
Sospirando, le scappò una risata nervosa, che tentava di mascherare l’imbarazzo che provava.
“Solo perché ho voglia di un po’ di vino!”
 
Porta chiusa a chiave, Shinichi si apprestò ad accendere la luce, ma l’interruttore non dava alcun segno di vita: probabilmente, la lampadina si era fulminata.
“E se ci sentissero?” cominciò a preoccuparsi Ran, intimidita dalla situazione.
“Non senti che chiasso stanno facendo loro? Possono mai sentire noi?”
Effettivamente, dalla porta che divideva la cantina sottoterra, alla scala che portava al piano rialzato, si udivano mille e più voci: ma se il silenzio che non dominava l’ambiente esterno, avrebbe sortito qualcosa nella buia e deserta cantina?
“Shinichi?” lo chiamò la moglie, titubante.
“Che c’è?”
“Ho paura!”
“E di che?!”
“Qui è tutto buio, non si vede un accidente!”
La karateka, in evidente disagio, non riusciva nemmeno a distinguere il profilo dell’investigatore da quello degli scaffali che ospitavano il vino; sentì un fruscio passarle vicino, che la fece sobbalzare.
“Ti... ti sei mosso tu?”
“No, un fantasma.” La prese in giro il marito, sogghignando.
“Non fare lo spiritoso!” si dimenò con le braccia in avanti, nel tentativo di aggrapparsi a lui. Ma non lo trovò facilmente: cercò, piuttosto, di seguire il rumore che proveniva dalla sua destra.
“Shinichi?”
“Eh?”
“Che stai facendo?”
“Sto cercando qualcosa che possa farci luce, visto che la lampadina è fuori uso.”
Ran si strinse nelle spalle, timorosa. L’oscurità li avvolgeva, e rendeva l’atmosfera tutto fuorché che romantica: non le erano mai piaciuti i posti bui...
“Shinichi?”
“Eh?!” sbottò, irritandosi all’ennesimo richiamo.
“Torniamo su?”
E mentre lo diceva, cercò di tornare verso la porta, che avevano precedentemente chiuso.
Ma, senza volerlo stavolta, andò a sbattere contro il corpo del marito, che l’accolse in un braccio, circondandole la schiena.
“Oh, mi hai trovato!” la schernì, ridacchiando di lei.
“Non allontanarti mai più!” lo sgridò, stringendosi a lui, e poggiando la testa sul suo petto.
“No, no...” continuò lui, sfiorandole l’orecchio. “Mai più...”
Presto comunque, l’investigatore s’inebriò del profumo della sua signora, facendolo distrarre dalla sua ricerca. Alzò il capo a Ran con le dita, ed avvicinando le loro labbra, le strappò un primo bacio. Quel tocco sembrava ancora più profondo nel sostanziale buio dell’ambiente, dove gli occhi non potevano nulla e le sensazioni arrivavano ancor più violente, senza alcun preavviso: potevano sentire solo i loro corpi incatenati, ma non potevano vedersi. La karateka riuscì così a sciogliere i nervi: quasi dimenticò di trovarsi nell’oscurità, e traendo forza da essa, dove tutto si può e nulla si nega, circondò il collo di suo marito con le braccia, e spingendosi su di lui, cominciò a baciarlo.
Shinichi, dapprima sorpreso, l’accolse tra le sue braccia, ed affidandosi al solo intuito, si fece spazio nell’ambiente scuro della cantina. Raggiungendo il muro, spinse Ran contro esso, facendola sorridere.
Un sorriso di gioia, privo di tensione: solo lui poteva disintegrarle la sua paura più grande.
“Ma come ci riesci?” gli domandò, in un sussurro a fior di labbra.
“A fare cosa?”
“A rendermi ogni giorno un po’ migliore...”
Shinichi sorrise, e con foga ritornò a baciarla: i loro ansimi oppressero il freddo buio e il tormentante silenzio, trasportandoli in un aldilà, dove, paure non esistevano.
 
“Signora Kudo, abbiamo un problema.” Enunciò l’uomo responsabile del catering, avvicinandosi alla baronessa e all’avvocato Eri, poco più distante.
“Che succede?”
“I tavoli non bastano per tutte le cibarie che avete ordinato. Ne servirebbe almeno un altro!”
Yukiko ci pensò su, strofinandosi il mento, con espressione riflessiva.
“Mi sembra, mi sembra...” cominciò la padrona di casa, osservando il vuoto. “Che ci sia un tavolino di legno in cantina, ma è piccolo, e sarà tutto impolverato.”
“Andrà bene, non preoccupatevi.” Si fece disponibile l’uomo, inchinandosi alla donna. Fattosi spiegare dove si trovava la cantina, scese le scale, ritrovandosi di fronte alla porta.
Provò ad aprirla, ma si rese ben presto conto che fosse chiusa.
“Signora Kudo?” la chiamò da lì, per poi risalire nuovamente le scale ed avvicinarsi alla donna. La sua voce, senza volerlo, era giunta ai due amanti...
“Che c’è?!”
“La cantina è chiusa a chiave, come ci entro?”
“Che significa è chiusa a chiave?” obiettò Yukiko, stranita.
“Sì, la porta, non si apre!”
“Strano... va beh, ho la...” cominciò la baronessa, fermandosi nel rendersi conto che le avevano privato della chiave per aprire lo scantinato.
Sbatté più volte le palpebre, perplessa. Era convinta le avesse con sé!
Cominciò a pensare, strofinandosi il mento pensierosa. “Come facciamo con il tavolo adesso?”
“Non preoccupatevi.” Una voce la interruppe, facendola voltare.
Yusaku si avvicinò a loro repentinamente, con un sorriso stampato sul volto. “Ho la chiave di riserva!”
 
Le loro lingue intrecciate, e i loro respiri ansanti, fecero accrescere vertiginosamente l’ eccitazione: Shinichi afferrò la maglia di Ran, e sfilandogliela, portò le mani sul suo seno, coperto solo dall’intimo. La karateka tremò  nell’avvertire il suo tocco, ma non volle fermarsi.
Il suono smorzato della maniglia li disturbò, facendoli sussultare: qualcuno stava provando ad entrare.
“Signora Kudo?” udirono poi una voce troppo vicina per poter provenire dal piano rialzato, che però presto tese a scemare. Il cameriere si era reso conto di esser sprovvisto di chiavi...
“Shinichi?” Bloccò il marito Ran, preoccupata.
Il detective continuò a baciarla, zittendola. La karateka si fece trasportare, ma quella voce l’aveva messa in allarme.
“Shinichi...” lo chiamò, distanziandolo un po’ da lei.
“Non preoccuparti...” la rassicurò lui, ed afferrandola per i fianchi, la trascinò sul suo corpo, a terra.
A cavalcioni su suo marito, Ran si lasciò andare ad i suoi impulsi, ignorando del tutto i suoi timori; era come se si trovasse su un mondo diverso, abitato solo da Lei e da Lui.
Il detective portò le mani sulla sua schiena, slacciandole il reggiseno e gettandolo con non curanza a terra; dopodiché, massaggiò con delicatezza i suoi seni, continuandola a baciare con foga.
Ma ancora una volta, il suono della maniglia, e questa volta, anche della serratura, li interruppe.
Resosi presto conto del tutto, Shinichi tentò di alzarsi insieme a Ran: ma l’oscurità si prese gioco di loro due, e li fece cadere a terra  su se stessi, mentre la porta andava ad aprirsi.
Da essa, apparve l’uomo del catering, che, con una torcia in mano, illuminò i loro corpi.
“E... e voi chi siete?!?!” sbottò, allarmandosi, nel notare due individui, di cui non riconosceva bene neppure i volti, all’oscuro nella cantina.
Pensò, così, che fossero dei ladri, e repentino, provò ad urlare: “SIGNORA KU-?!”
Ma non poté completare la frase che una mano gli si posò sulla bocca: alzando gli occhi, si ritrovò l’investigatore davanti a tenergli coperte le labbra, affinché non potesse gridare.
“Stai zitto! Siamo i genitori del bambino, non chiamare nessuno!”
Shinichi lo lasciò andare, ma l’espressione dell’uomo non cambiò: palpebre strabuzzanti e sbattenti, bocca aperta.
“Voi...” cominciò, perplesso. “Sareste i genitori del bambino?”
La domanda sembrava ridicola; velocemente l’uomo si chiese cosa ci facessero due persone adulte al buio in una cantina deserta, mentre sopra vi era i preparativi per la festa del loro bambino?
Incuriosito, l’uomo lanciò lo sguardo più lontano, ritrovandosi di fronte ad una bellissima donna in topless, dalla carnagione chiara e dai capelli neri. Rapito, spostò il raggio della torcia su di lei, illuminandola.
Al che, Ran tentò di coprirsi con le mani, ma Shinichi fu più veloce di lei: stizzito, si mise davanti, facendole ombra col suo corpo.
“Oh!?!??! Ma che guardi?!?!?” richiamò l’uomo, innervosito; e girandosi verso Ran, le urlò contro. “E tu copriti dannazione!”
“Ehm... mi scusi signore!” provò ad obiettare quello, sebbene il suo sguardo cadesse sempre verso la ragazza. “Ma... cosa stavate facendo?”
“E a te cosa importa scusa?!” continuò, visibilmente irritato il detective, mentre, alle sue spalle, la moglie provava a rivestirsi: come un pomodoro, ricercò la maglia e il reggiseno, tentando di non pensare al fatto che un uomo sconosciuto l’aveva appena vista nuda e che, per l’ennesima volta, i loro piani siano stati distrutti da qualcuno.
“Questo sono tutte le maledizioni di Cikage!” sbottò Ran, tra sarcasmo e tensione.
Shinichi avrebbe voluto ridere, ma proprio non ci riusciva: anche lui, non sopportava più tutte quelle interruzioni...
“Dovrei prendere quel tavolo, posso?”
L’uomo li disturbò ancora, illuminando l’oggetto con la torcia, facendo luce anche su Ran, che si trovava alla destra di esso.
Ran, ancora in biancheria, portata alla luce.
Nuovamente, Shinichi sbottò, stizzito. “Se non spegni quella torcia te la faccio mangiare!”
“Signore, devo prendere il tavolo!”
Il detective mugugnò qualcosa di strano, che nessuno riuscì a captare. Poi, incamminandosi verso la moglie, la tolse dalla prospettiva dell’addetto a catering.
“Te lo prendo io, il tavolo!”
“Ti vuoi rivestire?!” le bisbigliò quando le fu vicino, osservandola truce.
“Non mi dovevo preoccupare eh? La cantina è chiusa a chiave eh?” Lo schernì lei, irritata.
“Signori...” s’intromise ancora l’uomo, facendosi notare. Poi, con schiettezza, suggerì loro: “Comunque io ora me ne esco... voi continuate come se non fosse successo nulla.”
Alla proposta, il detective osservò Ran, finalmente vestita; ma lei lo ripagò con un’occhiata sinistra e stizzita. Come poteva pensare che rimanesse ancora lì, dopotutto?
“Ran...”
“Fottiti!”
E con passi pesanti superò il cameriere, risalendo le scale e risorgendo alla luce. Shinichi rimase nella cantina con l’uomo, osservandola andarsene.
Sospirò afflitto, risedendosi a terra: cosa doveva fare di più?
“Comunque...” interruppe il silenzio l’uomo, prendendo il tavolo sotto braccio. “Fate i complimenti alla signora per il decolté!”
Lo sguardo truce e assassino dell’investigatore divenne l’incubo delle sue notti.
 
***
 
“Si può sapere che ci facciamo a casa dei nonni?”
Il Sole era tramontato da un po’, lasciando al suo posto un manto blu stellato, che faceva da cielo a quella serata. Il piccolo Conan fu portato, con l’inganno, nella villa storica ed occidentale dei Kudo, dove tutto era ormai pronto per festeggiarlo. Ignaro di ciò che lo aspettava, superò il cancello d’entrata con i suoi genitori, osservando la casa. Un silenzio martoriante e le luci rigorosamente spente la dominavo, e ciò non faceva presagire nulla di buono; lo stesso Shinichi si stupì di quanto le nonne si fossero impegnate per rendere tutto nei minimi particolari, e non tralasciare nulla al caso: se non l’avesse visto già, mai avrebbe pensato che la villa racchiudeva la festa del secolo. Ridacchiò, osservando il figlio camminare lungo il viale. Sperò solo che Conan riuscisse a contenere tutto il suo poco entusiasmo nell’imbattersi in quel covo di gente, che altro non aspettavano che la sua entrata.
“Te l’ho già detto tesoro...” finse Ran, cercando di mantenere un tono serio. “I nonni vogliono darti il regalo.”
Il piccolo mugugnò qualcosa di strano, seriamente non convinto: c’era sotto qualcosa, ci avrebbe scommesso!
Aspettò che suo padre giunse alla porta, e con le chiavi l’aprisse, permettendogli d’entrare. Varcando la soglia, s’imbatté in un silenzio ancora più penetrante e sospetto di quello avvertito da fuori. Ma fu Shinichi a spezzarlo, e a fingersi ignaro.
“Saranno in libreria...” azzardò, strozzando una risatina che gli nacque sul volto nel guardare suo figlio.
La famiglia raggiunse la porta che li separava dalla festa; fu Conan stesso ad aprirla, curioso di scoprire che fine avessero fatto i suoi nonni. Ed appena varcò il confine, si ritrovò abbagliato da mille e più luci che lo puntavano, e da un paio di palloncini che finirono miseramente al soffitto. Si ritrovò assordato dagli applausi e della grida di coloro che partecipavano all’evento, investito dai volti di persone che conosceva bene, come suo zio Heiji, ed altre un po’ meno.
Con il sopracciglio tremante, ed occhi assottigliati, fece qualche passo indietro.
“Io me ne vado.”
Ma un abbaio lo richiamò, portandolo a fissare il centro della libreria. Un cucciolo di pastore, con un fiocchetto in testa azzurro, scodinzolava allegro nella sala, infondendo l’ambiente d’allegria. Conan adorava i cani, e da sempre ne aveva richiesto uno ai suoi genitori: vederlo lì, piccolo e indifeso, lo entusiasmò. Gli occhi gli brillavano felici, fin quando non cercò di attrarre il cane a sé.
Il cucciolo fuggì verso di lui, e cominciò a giocare con il piccolo, leccandogli il viso e saltandogli addosso.
Fu la nonna paterna, la prima, ad avvicinarsi: sorridente, nel suo vestito blu, gli scompigliò i capelli con dolcezza.
Sotto consiglio di Shinichi, quel regalo era stato davvero un successo!
“Bisogna dare un nome a questo cucciolo.” Lo informò la nonna, addolcita. “Come lo chiamiamo?”
Conan titubò un attimo, incerto.
Lanciando uno sguardo al padre, dietro di lui, sorrise: non poteva dargli nome diverso.
“Arthur!!”
 
La festa proseguì bene, meglio di quanto potessero sperare Shinichi e Ran; il piccolo, sebbene sormontato da regali d’ogni genere, ed oppresso dagli auguri di compagni, parenti, amici stretti e no, restò vicino al cucciolo per tutta la durata del compleanno. Insieme ad Arthur, Conan appariva ancor più gioioso e sorridente di quanto fosse normalmente.
I suoi genitori tirarono un sospiro di sollievo, finalmente sereni. Certo, quei due giorni non erano stati proprio fonte di relax e godimento, ma osservare Conan così felice fece capire loro che, in fondo, ne era valsa la pena. Il catering aveva fatto un lavoro davvero eccezionale: tutte le cibarie poste egregiamente sui tavoli, adornati di piccoli particolari azzurrini, rendevano l’atmosfera ancora più invitante. Vi erano piatti di tutti i gusti, e bibite per ogni palato: anche alcolici. In fondo, alla festa, era stata invitata anche metà della questura di Tokyo.
“Shinichi?” richiamò il marito Ran, correndo nella sala freneticamente.
“Che c’è?”
“Hai visto Conan? Tra poco apriremo la torta, e non lo trovo!”
Il detective sussultò, ed intrepido lasciò andare la discussione che stava avendo con Heiji. Si scusò, e velocemente s’impegnò a cercarlo.
“Io guardo fuori” le disse, dirigendosi verso l’esterno della villa. “Tu vai nelle stanze.”
Ran annuì, e muovendosi, cominciò a percorrere le scale. Lo chiamò per nome, scuotendo il capo in più direzioni nel tentativo di scorgerlo; entrò dapprima nella camera da letto dei suoi suoceri, seguì il bagno, lo sgabuzzino, ed infine, la cameretta di Shinichi.
“Dove si sarà cacciato...”
Entrò nella precedente stanza di suo marito, dove tutto appariva come se tempo non ne fosse passato; il letto ancora nella stessa posizione, il computer su quella scrivania, e la piccola libreria dove teneva i suoi trofei calcistici. Qualche foto qua e là, che lo immortalava nel meglio della gioventù: alcune con il completino da calcio, altre con degli amici. Sorrise nell’immergersi in quei ricordi sereni e spensierati, tipici dell’adolescenza. A fianco, una fototessera di Conan Edogawa, quel bambino occhialuto sotuttoio che abitò per un po’ di tempo a casa sua, e che riuscì a sconfiggere una delle organizzazioni più potenti del pianeta.
Un passato che non puoi dimenticare ma soltanto accettare; ricordi e lezioni da cui imparare, che ti segnano e ti spronano ad andare avanti, con ogni giorno un po’ di forza in più.
“Ran...?” sentì la voce di Shinichi richiamarla dal corridoio, ed i suoi passi avvicinarsi. Il silenzio che governava il piano superiore era talmente tanto da mettere i brividi: sembrava di stare in una botola, isolati dal mondo.
Dalla porta apparve suo marito, che le comunicò velocemente: “Ran... Conan era in giardino, giocava con Arthur insieme a Sophie.”
“Capito.” Annuì la karateka, riposando l’immagine del piccolo Edogawa sulla mensola della libreria.
Shinichi le si avvicinò, curioso di scoprire cosa stesse facendo. Buttò un’occhiata sugli scaffali, dove intravide le sue foto d’adolescente  e da bambino, e qualche trofeo vinto a calcio.
“Com’eri piccolo...” soffiò la moglie con dolcezza, fissando quegli scatti.
“Mi stai dicendo che sono un vecchio?”
“No.” Rise Ran, divertita. Poi riprese in mano la foto di Conan Edogawa, mostrandogliela: “Ma pensa che qui avevi più o meno la stessa età di tuo figlio.”
“Veramente avevo diciassette anni lì.” Obiettò lui, contrariato. Quel periodo avrebbe tanto voluto dimenticarlo...
“Te li portavi bene!” lo derise lei, ridendo. “Un po’ nano per essere adolescente, eh?”
“Come siamo spiritose...”
Shinichi si fiondò su di lei, intento a zittirla. Con le braccia le impedì di muoversi, mentre con le dita le solleticava i fianchi, facendola ridere ancora di più. La karateka tentò di strapparsi alla presa, ma ogni resistenza fu inutile: suo marito aveva molta più forza di lei, e poteva giostrarle i movimenti come desiderava. Con i soli arti che aveva liberi, Ran provò a dimenarsi con le gambe, per far forza su quelle di Shinichi, nel tentativo di allontanarlo. Ma il riso non le permetteva di essere lucida, ed invece di colpire l’investigatore, inciampò con i tacchi nel tappeto sotto il letto. Cadendo, trasportò il detective con sé, atterrando insieme sul materasso della stanza, faccia a faccia. Osservandolo, Ran si perse negli occhi cristallini di Shinichi; la Luna sembrava evidenziarli ancora di più, illuminandogli parte del viso di una luce argentea, che andava ad esaltare i lineamenti del suo viso: scevro di qualsiasi imperfezione.
“Sei bellissimo...” si lasciò sfuggire, in un soffio che le uscì spontaneo. L’investigatore arrossì leggermente a quel complimento così diretto; guidato da un istinto indomabile  che ormai faceva tutto da sé, avvicinò le sue labbra a quelle della moglie, baciandole. Dapprima le sfiorò solamente, adulandole e accarezzandole con la sua bocca; ma ben presto sentì la voglia di riassaggiare il gusto della sua lingua, impregnata dell’odore del vino: dolce e penetrante allo stesso tempo, quel profumo gli fece girare la testa, facendogli perdere la ragione.
Socchiuse gli occhi, ed aprendole la bocca, diede inizio alla lussuria: Ran sentì il cuore accelerare i battiti, e le mani tremare per insediarsi nei suoi capelli corvini e ribelli. Facendosi trasportare dalla passione, sussultò nell’osservarlo scansarsi e rialzarsi dal letto: Shinichi arrivò velocemente alla porta, e con forza la chiuse, girando la chiave un paio di volte.
“Tre mandate, alla faccia vostra.”
Ran ridacchiò, ben coscia della pazzia che stavano per fare. Ma l’aveva capito tempo prima: con Shinichi, non esistevano regole o inibizioni, alcuna paura e nessun timore; con Shinichi, esistevano solo loro.
Il detective tornò repentino al materasso, dove sua moglie lo aspettava con impazienza; vedendolo avvicinarsi, Ran si fiondò su di lui, ed attraendolo a lei, gli sfilò la giacca, facendola cadere al pavimento. Il marito le accarezzò la schiena, fino a giungere alla cerniera che manteneva il suo vestito nero: aprendola, lo allargò, e permise alla karateka di poterlo togliere. Partendo dalle spalline, l’investigatore dimenò con foga le mani nel tentativo di sfilarglielo con più delicatezza possibile. Ran continuava a baciarlo con profondità, mentre le dita gli stropicciavano la camicia, e sbottonandola, fece sì che il marito rimasse a petto nudo.
Si posò così sui suoi pettorali, e li accarezzò, scendendo fino agli addominali; il detective godeva ancora di un fisico mozzafiato, che avrebbe fatto girare la testa anche alla più bella delle donne. Ansante, Shinichi fece scivolare il vestito della karateka a terra, facendola rimanere in intimo. Insieme, poi, si sdraiarono sul letto, ansimando e godendosi la pace di quel momento, che forse, avrebbe potuto essere interrotto da lì a poco. Ma in quel momento, i due amanti non ci pensarono: si abbandonarono ai loro istinti, e giocando con le dita, definivano i profili dei loro corpi, bollenti d’eccitazione.
Ran, imitando il marito, gli sbottonò i pantaloni, permettendo che rimanesse in boxer.
“Ho voglia di te...” le sussurrò all’orecchio, mentre una scossa di brividi andò ad attraversarle la schiena.
Si scrutarono per un po’, rallentando il ritmo: Shinichi osservava Ran e Ran osservava Shinichi, presi nella passione, rapiti dalle loro immagini. Ben presto, comunque, continuarono per le loro intenzioni: Ran fu privata del reggiseno, che volò miseramente sulla libreria vicino alle foto. Il detective le baciò il collo, e dolcemente scese sino al seno scoperto, facendola gemere, nell’istante in cui la lingua prese il posto della bocca in quella lussuria.
“Ran...”
Quell’ansimo come risposta, scosse d’adrenalina l’investigatore, che afferrò l’ultimo indumento che andava a coprirli, e liberò dalle barriere materiali i loro corpi, che altro non aspettavano che ricongiungersi, dopo tanto, troppo, tempo.
“Ran...” continuò a bisbigliare il suo nome, ansante.
“Shinichi...” sussurrò lei, con la voce rotta dai gemiti.
“Ran... ti amo Ran...”
E mentre fuori scoppiavano gli applausi e le urla per il soffio delle candeline, in quella stanza separata dal resto del mondo, Shinichi e Ran si amarono con la dolcezza di un fiore che dal vento viene trasportato via, attraversando cieli e tempeste, ma proteggendo per sempre la sua bellezza dalle intemperie. In quella stanza dove, tra i loro ansimi, cadevano fiori di ciliegio.
“Ti amo Shinichi...”
 
Mille e più complimenti avvolsero il piccolo Kudo, che imbarazzato, tentò di annuire e ringraziare tutti per la presenza. Gli invitati si susseguirono in una fila interminabile, che pian piano svaniva al di là del cancello d’entrata. La nonna paterna, ancora più entusiasta per la serata, raggiunse il bambino, accarezzando il cucciolo che gli avevano regalato. 
“Nonna...” la chiamò, girandosi intorno preoccupato. Yukiko lo guardò, invitandolo a continuare. “...Sai dove sono mamma e papà?”
La baronessa restò qualche secondo perplessa, ripensando a tutto ciò che era successo in quegl’ultimi due giorni; Ran inzuppata, la cantina chiusa a chiave.
Così, alzando il capo verso il piano superiore, scorse la porta della stanza di suo figlio chiusa.
Tossicchiando, e resasi conto di tutto, si abbassò all’altezza del piccolo.
“Che ne dici se per stasera... ti accompagniamo noi, a casa?”

 
 

The End



*
Next Spin-off:
Heiji & Kazuha
*

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Capitolo 3
*** Heiji & Kazuha ***


Ce l’ho fatta!!! è____é
*Esulta da sola come un’idiota*
Sì, ce l’ho fatta XD Ehm… xD
Scusate l’immenso ritardo, davvero, scusatemi!
Sono imperdonabile, lo so ç__ç Ma l’uni è iniziata, tempo non ce n’è stato, questa shot mi ha dato alcuni problemi xD... insomma, non sono proprio riuscita ad aggiornare subito.
Va beh, tralasciando ciò, sono riuscita comunque a concludere anche il terzo spin-off.
*Qualcuno qui dovrebbe mantenere una promessa... vero, cavy?* :D
Dicevo XD Ho completato la shot!
Quella completamente dedicato alla coppia che scoppia del Kansai: Kazuha ed Heiji! :D
Bene, la loro shot si rifà al decimo e all’ultimo capitolo della mia long.
Ricordate cosa accadde?
 
Mille e più ringraziamenti ad aoko_90, Il Cavaliere Nero, Delia23, Kaori_, _AlChiaroDiLuna_, HoshiKudo, Nana Kudo, Martins, _Vevi, LunaRebirth_, e shinichi e ran amore e Arya_drottningu per aver commentato la seconda shot!
Grazie anche a Kaori_, Delia23, kilamya, totta1412, Fedethebest99 e R i n _ per aver inserito la raccolta tra le preferite!

E a _Vevi, Arya_drottningu e cicchetta per averla inserita tra le seguite ^^
Siete un amore! <3 <3 <3
 
Spero che anche quest’ultima shot vi piaccia.
Grazie anche a chi ha solo letto le tre storie!
Grazie a tutti!
Bye :*
 
N.B.
Per chi non ha letto la mia fan fiction, questo capitolo può sembrare un po’ strano. Vi spiego un po’ cosa è accaduto, per introdurvi: Ran bacia Heiji in preda alla disperazione, dopo esser stata quasi violentata, e credendo Shinichi morto, lo identifica con il suo migliore amico. Heiji la respinge al momento, ma Shinichi li vede impercettibilmente, arrabbiandosi.
Shinichi ed Heiji fanno pace, ma non tutto sembra andare per il verso giusto...
Le vicende, qui, partono dall’ultimo capitolo, a Niigata. Kazuha scoprirà cos’è successo? E come reagirà?
(Il lasso temporale è precedente alla shot di Shinichi e Ran)

 

Heiji & Kazuha

Spin-off

 

Attraversò velocemente la hall dell’albergo, sprofondando lo sguardo nella bellezza sopraffina del design dell’ambiente. Le luci verso il soffitto, i colori caldi ed accoglienti, l’arredamento moderno: tutto donava un’incredibile atmosfera di quiete, e dolcemente sprigionava nell’aria i ricordi che aveva legati a quel luogo.
Niigata, in fondo, era importante anche per lei; per loro.
Legata alla sua mano, quella più piccola di una bambina di sei anni; Sophie si dondolava con il corpo, seguendo la madre con entusiasmo e felicità: dopo tanti, troppi, giorni, aveva rivisto il suo papà! Non aveva capito né perché né dove fosse andato, ma aveva sperato ogni sera che la mattina dopo potesse ributtarsi tra le sue braccia, scherzando a soffocarlo per poi donargli mille e più baci. E con lei, Kazuha.
La madre raggiunse la reception, poggiando le mani sul bancone in legno dinanzi a lei; ticchettò un po’ le dita, aspettando che l’uomo le rivolgesse l’attenzione necessaria.
Nel frattempo, continuò ad osservare quell’albergo: tutto era identico a sette anni prima.
“Desidera?” Sentì poi una voce richiamarla, costringendola a sobbalzare. Kazuha balbettò qualcosa prima di riuscire a comporre parole sensate con la bocca, ma in poco spiegò all’uomo cosa volesse: tre camere per cinque adulti e due bambini.
D’altronde, aveva suggerito a Ran di passare un po’ di tempo con Shinichi, nella loro Niigata, ma l’idea valeva anche per lei e quell’idiota - così, amava definirlo - di suo marito.
Sorridendo, diede i nominativi all’uomo.
“Eh?!” sbottò la piccola tra le sue dita, spalancando le palpebre. “Perché io non dormo con te e papà?!”
“Sophie!” cercò di zittirla la madre, colorandosi di rosso. Si affrettò ad allontanarsi dall’uomo, che cominciava a mandarle occhiate sinistre, trascinando la piccola verso l’esterno dell’albergo, che strattonava il maglione della sua genitrice, con una forza sorprendente.
“Mamma perché?!”
“Ehm...” balbettò ancora la più grande, guardandola con la coda dell’occhio. Cosa e come inventarsi una scusa? Convincente, poi.
“Tesoro... non c’erano camere per tre, e poi... dormirai con Conan e Yukiko! Vi divertirete!” esclamò entusiasta la Toyama, assumendo un’espressione che cercasse di persuadere sua figlia. Raggiunta l’entrata dell’albergo, le due si scontrarono proprio con i due diretti interessati, seguiti da suo marito, poco più distante. La bambina piagnucolò, e staccandosi dalla mano della madre, si fiondò verso il padre. Heiji sorrise, e divaricò le braccia per trascinarla a sé; ma una volta sollevata, la piccola si aggrappò al collo del poliziotto, nascondendo il volto nell’incavo della spalla.
“Papà!! Mamma non vuole farmi dormire con voi!”
L’uomo aggrottò la pelle della fronte, ed incurvò un sopracciglio, assumendo un’espressione stranita. Accarezzò con debolezza la schiena della piccola Hattori, dedicando un sorrisetto curioso alla moglie, che, intanto, agli sguardi perplessi e indagatori dei Kudo lì presenti, arrossì.
“Ma no tesoro... la mamma vuole...” cercò di inventarsi, domandando col solo sguardo alla consorte cosa avesse in mente. Al che, la donna, esasperata dall’ottusità in campo del marito, sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo. Atteggiamento che non sfuggì alla baronessa, che lanciando occhiate qua e là, mascherò una risatina sotto le dita.
“Allora dormo con voi! Nel lettone a tre... come facevamo a casa!” e con entusiasmo fece brillare i suoi occhi, che sembravano sorridere da soli. Heiji, ignorando le intenzioni della moglie, e dimentico di quanto gli fosse mancata in quel trambusto, accennò un lieve movimento del capo, che venne interrotto dalla voce di Yukiko, ridente.
“Sophie... stanotte ci divertiremo tantissimo io tu e Conan! Aspetteremo che sorga l’alba! Che ne dici?” la incitò l’attrice con grande maestria, avvicinandosi a lei, ed invitandola a saltare nelle sue braccia, già aperte per accoglierla. La bimba titubò un po’, anche perché davvero aveva voglia di stare col suo papà, ma l’alba era qualcosa che non aveva mai visto! Si voltò verso la donna più grande, sbattendo le palpebre, indecisa.
“L’alba dite?” cercò conferma, ingrossando le iridi verdi che ben presto divennero sempre più splendenti, brillando alla luce lunare. “E alba sia!”
 
***
 
La luce del mattino penetrò fievolmente oltre le tende arancio della camera d’albergo, rischiarendo l’ambiente caldo e silenzioso, espandendosi sugli arredi, e lentamente, illuminando il profilo del letto matrimoniale. I corpi nudi, nascosti dalle coperte, seguivano un ritmo di respiri regolari e sereni; Kazuha poggiava la testa sul petto del compagno, cingendogli il ventre con le braccia esili ed intrecciando le gambe a quelle del poliziotto. Quando il raggio di Sole si inchiodò sulle sue palpebre, la giovane donna le sgualcì, simulando una smorfia con le labbra. Fu costretta a sbattere gli occhi più volte prima d’aprirli, in modo d’abituarsi alla luce che si propagava velocemente dal buio della stanza e che cominciava a darle un crescente fastidio.
“La prossima volta ricordami di tirare le tende.”
Una voce ovattata ed anche un po’ impastata le giunse vicina, sorprendendola. Alzò il capo verso il marito, e sorrise nel ritrovarlo sveglio, con un braccio a mantenergli la nuca, e l’altro a sorreggere il corpo di lei. Anche lui sorrideva, senza alcun pensiero ad affollargli il cervello: missione compiuta, aveva potuto finalmente ritrovare i ritmi di un tempo, e dedicarsi a quelle cose così piccole ed apparentemente inutili della vita che adesso lo rendevano l’uomo più felice al mondo; mai qualche mese prima avrebbe creduto di poterlo essere di nuovo.
“L’alba” soffiò fuori lei, lanciando lo sguardo oltre la finestra. Il Sole, splendente di una luce acerba e fredda, si issava lentamente nel cielo, illuminando i profili degli edifici, delle case, del mare. Si intraveda già qualcuno nei vicoli, ed alcune macchine sfrecciare sulle strade deserte di una Niigata primaverile.
“Alla fine l’abbiamo vista comunque...” azzardò un sorrisetto lui, che contagiò la moglie, divertita.
“Quindi Sophie poteva benissimo dormire con noi... eh?” lo schernì lei, alzandosi di qualche centimetro per poterlo guardare negli occhi. Il marito guizzò, sorridente. Le attorcigliò un braccio al collo e con forza la spinse verso di lui, facendola ricadere sul suo corpo nudo. Con una leggera pressione riuscì a baciarla, mentre con l’altra mano accarezzò i fianchi della sua donna. Rimasero per qualche minuto così, in silenzio: unici rumori lo scontro tra le loro labbra e lo sfregarsi dei corpi sotto le lenzuola candide.
“Mi sei mancato davvero.”
Suo marito sorrise, sereno. La guardò con occhi riposati e splendenti, che non lasciavano trasparire nessuna paura o alcuna preoccupazione: l’unico suo pensiero era lei, era Sophie, era la sua famiglia.
“Anche tu.” La trascinò di nuovo a sé e prendendole il viso con le mani la baciò ripetutamente, facendo schioccare le loro bocche.
“Mmh...e queste labbra...” Mugugnò lui, sorridente. “Sai, le tue... sono più morbide di quelle di...”
Si fermò all’improvviso, come colto da un fulmine; le iridi verdi strabuzzanti si specchiavano in quelle altrettanto divaricate di sua moglie, il fiato quasi si bloccò: Kazuha aveva assunto un’espressione strana.
“Quelle di…?!” cominciò a domandargli, dalla voce rivestita di calma apparente, di quiete prima della tempesta.
“Eh?”
“Che stavi dicendo Heiji?!”
“Io?” si puntò un dito contro lui, fingendosi ignaro, o quantomeno, innocente.
“Sì, tu!” replicò velocemente la moglie, mentre i toni andavano sempre più surriscaldandosi. Quasi non poteva credere a quello che aveva sentito...
Ma il poliziotto non si azzardava a rispondere, e la pazienza andava diminuendo secondo dopo secondo.
“Hai baciato qualcun’altra, Heiji?!” Prese di nuovo parola lei, issandosi dal letto. Si mise a cavalcioni sul materasso, distante dal corpo del suo uomo, nudo come il suo.
“No” replicò semplicemente lui, sebbene usando un tono che non convinse nessuno dei due. Spiegare la verità a Kazuha era difficile, quasi impossibile: aveva già litigato con Shinichi, e il pensiero di dover ripetere l’esperienza con sua moglie non gli andava giù. Ma la consorte, adirata, aveva deciso di mettersi all’in piedi, tirando con sé le lenzuola, in modo da coprirsi. Quasi le sembrò che così facendo potesse commettere un torto nei suoi confronti.
“Chi è Heiji!?”
L’interessato la imitò sedendosi ai bordi del materasso, cercando di avvicinarsi a lei, comunque mantenendo una certa distanza: Kazuha gelosa era un tantino pericolosa.
Sbuffò, portandosi le mani nei capelli, e tornare a guardarla negli occhi smeraldo: erano già lucidi.
“Kazuha per favore...” la supplicò, intenerito: non voleva soffrisse a causa sua, ma come spiegarle tutto?
“Ti assicuro che non è stato nulla di importante.”
Ma riuscì a trovare le parole meno adatte, per farlo.
“EH?!??!” sbottò, indietreggiando. “SEI ANDATO A LETTO CON UN’ALTRA HEIJI!?!”
“No no!!” si affrettò a rispondere, sventolando le mani. “Non intendevo questo!”
“E COSA INTENDEVI?! SENTIAMO!!” urlò, incredula.
“Che... insomma... cioè... vedi... ” balbettò poi, ma si perse nella sua immagine: sua moglie sembrava stesse piangendo e forse lo stava facendo davvero.
“Kazuha...”
“Mi fai schifo! La missione, eh? Kemerl, eh? E l’organizzazione, e la vendetta di Shinichi! Tutte balle!!”
“Ma che dici! Shinichi per noi era morto per davvero, sia io che Ran volevamo...” provò a spiegarsi, ma la moglie lo interruppe, parandogli una mano di fronte, intimandogli di fermarsi.
“Tu e...” ragionò ad alta voce, rivolgendosi a lui. Poi strabuzzò le palpebre, sconcertata. “Ran!”
Il marito sbiancò.
“Ran!!” ripeté ancora, quasi per convincersene. “E’ lei!”
“Kazuha...” la richiamò ancora il marito, ma la donna aveva già preso un’altra strada: velocemente, si era diretta ai piedi del letto, dove giacevano inermi i vestiti della sera prima. Ed altrettanto repentinamente cominciò ad indossarli, sebbene l’agitazione le facesse inceppare i tessuti con i gomiti o, peggio ancora, con i capelli.
“Kazuha, fermati un secondo! Dove cacchio vai?!” cercò di intimarla afferrandogli un polso, ma la consorte lo scacciò via con altrettanta forza, donandogli un’occhiata truce.
“STAI ZITTO!” lo ammutolì, tornando ad indossare la felpa. “Devi stare zitto!!”
“Kazuha!” provò ancora, ma stavolta la moglie non si limitò a cacciarlo via: lanciando lo sguardo altrove, aguzzò gli occhi su una scarpa, e con violenza l’afferrò, lanciandogliela contro.
“TI SEI SCOPATO LA MIA MIGLIORE AMICA?!?”
Heiji però, intuendo le intenzioni della moglie, la schivò.
“Ma che dici?!?! Lasciami parlare, dannazione!!” provò ancora, dopo essersi rialzato, ma non riuscì nell’intento; si ritrovò i suoi jeans, con tanto di cintura e fibbia di ferro appresso, dritti in faccia.
“Ti donano...” lo sfotté, col tono dispregiativo e pungente. “Magari rimarranno lì più tempo di quanto tu non li abbia indossati...”
“KAZUHA!” la richiamò, ma stavolta non poté fare altro: sua moglie era già fuori dalla camera, e dalla violenza con cui aveva sbattuto la porta, le sue intenzioni non sembravano essere delle migliori.
 
*
 
“NON CI POSSO CREDERE!” urlò tra sé e sé, sebbene riuscissero a sentirla ovunque: nelle stanze, negli ascensori e sui balconi. Il Sole si era alzato al cielo e qualcuno dall’aura malefica ed inquietante si aggirava nei corridoi dell’albergo, alla ricerca di qualcosa, o qualcuno.
“QUELLA STRONZA!!! AH, IO LO DICEVO CHE SOTTO SOTTO CI PROVAVA!!”
I dubbi di un tempo si ripresentarono nella sua testa come chiodi fissi ad un muro; le tornarono in mente le immagini della notte prima, semplicemente magica, ma stavolta distorte.
Al suo viso, la sua mente, sostituiva quello di Ran.
Lei ed Heiji si erano trascinati a tentoni in stanza, senza nemmeno guardare dove fosse il letto, guidati dal semplice istinto e dalla foga della passione. Desiderosi solo di ritrovarsi, di amarsi, di perdersi l’uno nell’altro, si erano liberati dei loro abiti attraverso tremolanti e veloci movimenti delle mani; le loro bocche erano occupate ad adularsi ed i loro ansimi a riempire l’intera camera. Non smisero un momento di cercarsi: Heiji accarezzava il corpo della moglie, esplorandolo e baciandolo, dolcemente, senza mai smettere.
Si ritrovarono e sentirono di non potersi perdere mai più, come se fossero un’unica, sola, anima. Un unico, solo, corpo.
Ma quei ricordi si impressero nella mente di Kazuha così violentemente disturbati dall’immagine di Ran, da non poter più risentire con delicatezza quelle emozioni. E mentre il suo inconscio la beffeggiava, sostituendo al suo viso ansante quello dell’amica karateka, donandole un senso indomabile di nausea e voltastomaco, la donna si ritrovò dritta a destinazione, dove le sue paure presero il sopravvento.
Ran ed Heiji. Heiji e Ran.
“EH NO!”
Di fronte alla camera dei coniugi Kudo, la Hattori non ebbe un dubbio: cominciò a bussare con violenza sulla porta, richiamando la sua amica, o quella che presto sarebbe diventata pasto per cani se non fosse uscita immediatamente dalla stanza.
“RAN!!!”
E alle grida si unirono i pugni, e i calci, e gli spintoni a quella porta che, presto o tardi, non avrebbe più retto.
“RAN!!!”
“Signorina, cosa succede?”
Un uomo sulla trentina, probabilmente uno dei camerieri, si azzardò ad avvicinarsi alla giovane: si tenne comunque distante, un po’ preoccupato per la forza che quella donna mostrava; ma aveva deciso di intervenire, prima che i danni fossero irreparabili, per l’albergo, e per qualcun altro. Kazuha gli lanciò un’occhiata sinistra, che lo fulminò all’istante.
“T-Tutto b-bene?” riprovò, inquieto.
La donna cercò dunque di riprendere un certo contegno, e si rimise in posizione eretta, mandando giù un gran sospiro.
“Mi sa dire dov’è la coppia di questa stanza?” e con l’indice puntò la porta, quasi ammaccata.
“A colazione signorina, giù al piano terra: sala ristorante.”
Stette attento a darle più informazioni possibili, incominciava a provare sempre più paura.
Al che, la giovane, annuì con il capo, dileguandosi per le scale.
Che la rabbia non la facesse ragionare, era certo; ma comunque sperò di non incontrare mai più quell’uomo in tutta la sua vita.
 
*
 
Cornetti, crepes, succhi, latte, spremute e biscottini d’ogni tipo ornavano il buffet mattutino dell’hotel a cinque stelle dove i ragazzi alloggiavano: una vera delizia. Con la faccenda dell’organizzazione, Ran aveva quasi dimenticato cosa significasse far colazione: sedersi a tavola e dimenticare per qualche minuto tutti i pensieri, concedendosi al caldo di una tazza di latte o alla rinfrescante energia di una spremuta, sembrava ormai un’utopia.
Ed accanto a lei Shinichi, più stanco, stressato e seccato del solito, o di quello che avrebbe dovuto essere, s’apprestava a riempire il piatto di ogni cibaria che potesse contenere il suo stomaco.
“Fai prima se porti i piatti interi a tavola, sai?”
Lui la osservò truce, sbuffando.
“Adesso non posso nemmeno mangiare? Con te non posso fare nulla?” le chiese ironico, ma con un sarcasmo che causò un leggero fastidio alla sua consorte...
“Stai forse alludendo a qualcosa?”
“Assolutamente.” Si finse ignaro, continuando a dedicare attenzione al cibo.
“E lascia qualcosa ad Heiji e a Kazuha!” lo rimbeccò, infastidita. “Che avranno fatto anche le ore piccole stanotte...”  aggiunse, maliziosa.
“Beati loro.” Sospirò lui, afflitto.
Ran gli lanciò un’occhiata sinistra, esausta.
“Non ricominciare, per favore!”
E pregandolo quasi, afferrò la spremuta e la poggiò sul piattino, aiutandosi col vassoio a trasportare il tutto a tavola: intanto, aveva pensato anche al suo piccolo, conservandogli un cornetto giusto per lui.
“Io vorrei cominciare.”
“Shinichi? Hai intenzione di assillarmi per tutto il mese?”
“Perché no.” Affermò, deciso. “So essere molto convincente.” Continuò malizioso, cercando di afferrarla per i fianchi e stringerla a sé.
“Non mi convincerai mai!” si spostò lei, velocemente. “Scordatelo!”
“Tutto questo è ingiusto!” Piagnucolò, come aveva imparato a fare bene da Conan. “Io che ho fatto di tutto per proteggervi e non mettervi in pericolo sono costretto a punizioni severe, meschine, e per nulla meritate.”
Un’altra occhiata, stavolta più truce.
“Non è colpa mia se mio marito si finge morto e va in giro travestito da assassino seriale, provando ad uccidere con una pistola me e mio figlio.” Specificò velocemente, quasi sarcastica.
“Heiji è stato magnifico: ha protetto me, Conan, è riuscito ad arrestare Cikage e a mettere fine a tut...”
“AH, HEIJI E’ STATO MAGNIFICO EH?”
Si girarono sia Shinichi che Ran, entrambi con un sopracciglio incurvato e l’aria curiosa. Ruotarono un po’ il busto verso lo schienale della sedia, attratti da quella voce terribilmente familiare e terribilmente seria. Osservarono, spiazzati e sorpresi, una Kazuha all’in piedi, dietro di loro, con degli occhi spaventosamente fitti, il viso tirato, le braccia incrociate al petto. Le palpebre spalancate, le sopracciglia verso l’alto, lo sguardo fisso sulla karateka e le labbra contratte in una smorfia strana, non facevano presagire nulla di buono. Ma i due ignorarono e diedero fin troppo poco peso alla giovane, che spruzzava rabbia da tutti i pori della pelle.
“Kazu! Finalmente!” la accolse gioiosa la sua amica, con un sorriso stampato sulla faccia.
“Come... è... andata...” provò a domandare, ma il fiato quasi le morì in gola. La Hattori continuava a fissarla sprezzante, e non azzardava alcun passo o movimento. Faceva impressione.
“Kazuha... tutto bene?”
“Ah... neppure Hattori si sarà divertito stanotte...” commentò sarcastico il detective, tenendo gli occhi bassi ed immersi nella tazza di latte. Ironia che gli regalò un altro paio di occhiatacce da Ran.
“Heiji... è stato magnifico, eh?” ripeté, riprendendo parola, la giovane. Lo stesso tono, ma leggermente più tagliente e pungente. Lo stesso sguardo infuocato.
Ran quasi tentò di indietreggiare, insicura. “Sì, ma... Kazu, non confond...”
Ma non poté ultimare la sua frase, che la sua amica, così dolce e gentile, le tirò in faccia uno schiaffo violentissimo, che fece arrossire di colpo sia la mano che il viso della karateka. Shinichi strabuzzò li occhi, ed incredulo, si parò tra le due donne, tentando di fare da scudo a sua moglie.
“Kazuha?!” la richiamò Ran, massaggiandosi il volto con il palmo di una mano. Si issò, e si svincolò dal corpo di Shinichi, intenta ad un confronto diretto.
“COME HAI POTUTO!?”
“Eh?!”
“SEI ANDATA A LETTO CON MIO MARITO!”
Un attimo di smarrimento colse sia Shinichi che Ran, che sbatterono le palpebre all’unisono. Il detective sbiancò di colpo per poi tornare a riprendere un certo colorito pallido, e fissare scioccato sua moglie, al suo fianco. La suddetta, aveva invece inarcato un sopracciglio e deformato i muscoli del viso in una smorfia, arrossata ancora dallo schiaffo.
“Che cavolo sta dicendo?!” domandò inquieto Kudo, mentre il cuore cominciò a martellargli il petto. No, non poteva essere vero. Non poteva assolutamente.
“Non so di cosa stia parlando, Shinichi.” Rispose altrettanto scioccata sua moglie, osservando l’amica.
“AH?!?! NON LO SAI!??!” sbottò ancora Kazuha, avanzando di qualche passo fino ad afferrare con forza le spalle dell’amica. “BUGIARDA  E MESCHINA!”
“Kazuha... giuro che non so di cosa tu stia parlando!” fece Ran, indietreggiando di qualche passo e liberandosi dalla sua presa.
“Ed io invece lo vorrei sapere.” Specificò ancora Shinichi, con le mani strette in pugni, e le vene pulsanti sul corpo.
“Te lo dico io: mentre io e te non c’eravamo, loro due si divertivano, insieme.” Sputò fuori, respirando con affanno. “...Sta stronza...”
Il detective ritornò a fissare sua moglie, incredulo.
“Io non mi sono divertita con nessuno Kazuha! Ma cosa ti inventi!?” le domandò, per poi guardare suo marito, ansiosa. “Shinichi... sai benissimo che non è vero!”
“No, ma infatti non può essere vero, anche perché sennò presto Hattori finirebbe all’altro mondo.” Commentò irritato e di getto lui, incrociando le braccia.
“Me l’ha confessato lui, è inutile che fai la finta tonta!” replicò la donna ancora, convinta. “Ah! Io lo sapevo, lo sapevo!”
“C-cosa...?” chiese in un sbuffo lui, esterrefatto.
“E’ impossibile!” sbottò la karateka, riavvicinandosi ai due, dai quali si avvertiva un certo nervosismo alimentarsi nell’aria fredda del mattino.
“Quante volte eh, Ran?! Quante volte?! Dillo al tuo maritino che ti sei consolata per benino durante la sua assenza!” la sfotté sarcastica la Hattori, sebbene la frase nascondesse un senso molto più amaro e triste.
Shinichi osservò di sbieco la moglie, con le labbra leggermente dischiuse, e le palpebre che a stento sbattevano. Ran sussultò, presa alla sprovvista.
“Shinichi... Non. È. Vero!” Specificò lentamente, cercando di mantenere la calma. “Kazuha... non so cosa t’abbia detto Heiji, ma io posso assicurarti che non è successo assolutamente nulla. Nulla.” Marcò più profondamente l’ultima parola, nel vano tentativo di convincerla.
“Mi fai schifo...” continuò a sputarle contro, mentre dai suoi occhi cominciavano a scendere copiosamente delle lacrime. Lacrime che protestavano e volevo farsi vedere, lacrime amare, lacrime di un cielo che ti cade addosso, lacrime di un mondo che si frantuma. “Io ti consideravo un’amica...”
“Ran...” la chiamò attonito il marito, quando una fitta gli attraversò il cuore. Heiji e la sua Ran? Già quel bacio era stata una caramella troppo grossa da ingoiare, troppo amara da digerire ed ignorare. Eppure aveva capito, aveva messo da parte gelosia ed orgoglio. Ma come potevano essere andati oltre?
Dei passi pesanti echeggiarono nella stanza, interrompendo il silenzio. Sia Shinichi, che Ran, che Kazuha, si voltarono.
Di fronte loro, un Heiji in affanno, piegato su se stesso, ansante.
Tutti lo guardarono, ognuno con un’espressione.
 Amareggiata, delusa, incredula. Facce ed occhi che riflettevano pensieri e timori.
“Oh eccolo il bastardo...”
“Hattori...? Che cazzo succede?!?!”
“Heiji ma...?”
Ma lui non diede loro il tempo di reagire, né di parlare oltre.
Pompò la voce.
Portò le mani avanti.
“E’ TUTTO... UN’ENORME... E-Q-U-I-V-O-C-O!”
 
***
  
“Ed io dovrei crederti?” chiese con serietà Kazuha all’amica, seduta comodamente su un divanetto dell’albergo. A fianco a lei, suo marito, con il mento poggiato sul pugno delle mani, e i gomiti alle ginocchia. Di fronte, all’in piedi, Ran. Seccato, seduto su un’altra poltrona, e finalmente con un colorito più vicino al roseo, Shinichi.
“Te lo giuro.” Riconfermò la versione la karateka, sospirando afflitta.
“E’ successo tutto in un attimo, è tutta colpa mia. Gin mi aveva quasi violentata, Kemerl era sempre più strano, Shinichi per me era morto... stavo malissimo, Kazu. L’ho fatto di getto, senza neanche pensare che lui fosse Heiji... non so cosa m’abbia preso. Davvero.”
La Hattori sbuffò, fissando il pavimento. Suo marito arrossì, in imbarazzo, lanciando lo sguardo fuori, verso il mare, e stando ben attento a non incrociare quello di Shinichi, inquietante. Il detective, infatti, mandava occhiate snervanti all’amico e alla moglie, annuendo fiero alla rabbia dell’amica, ancora indecisa.
“Comunque non riesco a capirlo.” Decretò, mordendosi un labbro.
“Mi dispiace Kazuha, davvero.” Cercò di scusarmi, per l’ennesima volta, Ran. “Ma è stato un tocco effimero di labbra...”
Alla frase, Shinichi cambiò posizione, irritato. Non gli piaceva ricordare quel momento, per nulla.
Già collegare “tocco” a “labbra” ed “Heiji” a “Ran” era tremendo.
Kazuha continuò a fissare il pavimento e a mordicchiarsi con i denti. Nemmeno a lei piaceva immaginarlo. Ran fissò sia l’amica che il marito, ed infine Heiji. Erano tutti in imbarazzo, tutti leggermente irritati.
“Un bacetto innocente...” rincarò la dose il marito, riuscendo ad alzare gli occhi.
Forse per la frase, forse per il modo, forse per il tempo, forse per la gelosia, forse per la rabbia, forse per l’orgoglio, forse per vendetta, o forse per nessun motivo valido di questi, a Kazuha balzò un’idea in mente, che quasi le fece tornare il buon’umore.
Come si diceva? Render pan per focaccia?
Ridacchiò, fissando Heiji e Ran negli occhi.
“Ok.” Decretò, rasserenandosi d’un colpo. “Ma ad una condizione.”
I presenti ingrandirono le orecchie, interessati.
“Il tocco effimero di labbra...” cominciò, pungente, guardando l’amica ed emulando il suo tono di voce. “Il bacetto innocente...” continuò, rivolgendosi a suo marito, imitando.
“Lo avrò anche io... ma con Shinichi.”
In qualche secondo tutti si ritrovarono a strabuzzare gli occhi, increduli.
Il detective, arrossì di botto, buttando uno sguardo su Ran, ma fu la reazione degli altri due che divertì maggiormente Kazuha.
Entrambi si alzarono dai rispettivi salottini in un attimo, quasi zompando, avvicinandola minacciosi.
“COSA!??!?!”
“EH!??!?!”
Farfugliarono qualcosa di insensato probabilmente, ma Kazuha rise ancora di più.
“Che c’è? Perché tutte ‘ste moine?” continuò con sicurezza, sorridente.
“NON SE NE PARLA PROPRIO!” urlarono all’unisono, dal viso rosso fuoco.
“Ah sì?” replicò la giovane, osservandoli. “Allora tu prepara le valigie,” si riferì al poliziotto, indicandolo. “E tu scordati la mia amicizia.” Stavolta alla karateka.
“Kazuha, cerchiamo di ragionare, eh.” Mantenne una certa calma Heiji, sebbene non ci riuscisse pienamente. “Sei per caso impazzita?!?!”
“Questo è un atteggiamento infantile e deplorevole! Shinichi?!?” replicò e lo chiamò Ran, girandosi verso di lui. “Dici anche tu qualcosa!”
Lui ridusse i suoi occhi in puntini piccoli, neri, e mutò la carnagione del suo viso in porpora, in rosso, in rosa, e poi ancora in porpora. Ma non fiatò.
Gli occhi di tutti guizzarono su di lui, ancora immobilizzato.
“KUDO, NON TI AZZARDARE A METTERE LE TUE MANI SU MIA MOG...”
Ma la frase di Heiji - che avrebbe dovuto essere minacciosa -, non spaventò né l’amico né la moglie, che filò dritto verso l’Holmes del nuovo millennio, sbattendo con una spalla l’amica.
“Così siamo pari!” continuò ad affermare Kazuha, quasi gioiosa.
Shinichi buttò uno sguardo su Ran, che bruciava di gelosia, e sull’amico, che cominciava a divenire ancor più nero di quanto già fosse. La situazione poteva divenire pericolosa.
“Tu sei d’accordo, giusto, Shin?” utilizzò il diminutivo di proposito la Hattori, marcandolo con l’accento, con l’intento di far imbestialire ancora di più i suoi cari dietro di lei.
L’investigatore ritornò a guardare quei due, i loro corpi sembravano lanciare fuoco e fiamme...
Proprio d’accordo non era.
“Ehm...” titubò, ma si vide in un attimo avvicinarsi Kazuha, e le sue labbra.
Render pane per focaccia? In fondo, poteva essere la cosa più giusta.
“Così sapranno cosa significa...” gli sussurrò lei, mentre quel fiato caldo andò a sbattere sulla sua bocca, seccata dal freddo.
Ma prima che le loro labbra potessero incrociarsi, Shinichi pose un dito su quelle dell’amica, sorridendo. L’indice la bloccò a mezz’aria, facendola arrossire improvvisamente.
“Ma...” tentò di replicare sorpresa, mentre Heiji e Ran sbucavano alle spalle di Kazuha.
“Saremmo solo due bambini che cercano una stupida ed inutile vendetta. Te ne pentiresti e me ne pentirei.”
Un sospiro di sollievo fu rilasciato dai due dietro, che si sedettero sul divanetto, esausti. Kazuha annuì, d’accordo, ma comunque in imbarazzo. Ritornò al suo posto, e si sedette vicino suo marito.
La gelosia le dava alla testa. Decisamente.
Strofinò le mani, ricominciò a mordicchiarsi il labbro. Osservò Ran ed Heiji, arrossendo.
Altri minuti di silenzio li coinvolsero. Furono decisamente lunghi, snervanti.
E quando tornarono a guardarsi, tutti e quattro, scoppiarono a ridere.
Tutti e quattro, come una volta.
 
***
 
“Casa dolce casa!”
Kazuha alzò le mani al cielo, entusiasta. Dopo un viaggio di tre ore e mezza, finalmente, dinanzi a lei aveva la sua villa, il suo giardino, la sua staccionata e la sua auto.
L’erba seccata, le piante rovinate dal vento, qualche tegola caduta, e un po’ di polvere in giro.
Infine, sua figlia e suo marito.
Più semplicemente, la sua vita. Ma mai più nessuno gliel’avrebbe privata.
Si girò ad osservare Heiji, che le si stava avvicinando con flemma. Era bello, era intelligente, era un eroe; sì, forse anche un po’ idiota, ma era suo. Solo suo.
Che sciocca pensare il contrario.
Sospirò, finalmente serena. Serena, ed un po’ maligna...
Perché Hattori Heiji non poteva certo sperare di farla franca così.
 
Quasi contemporaneamente, avvertì il telefonino vibrare: un messaggio. Era da parte di Shinichi.
 
Privalo dei tuoi baci, e vedrai come si scorderà quello di Ran.
 
Ridacchiò, divertita.
L’avrebbe dimenticato, ne era sicura.
 
...e mica solo dei baci...
 
Beh, almeno, si sarebbero confortati a vicenda.
Menomale che esistono, gli amici.
 


The End

 


 


Tonia vi aspetta con una nuova fan fiction, prossimamente sui vostri schermi.
Sayonara!

 
 

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