Unfortunate choice di Eliza (/viewuser.php?uid=21491)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Atto primo,1 ***
Capitolo 3: *** atto primo,2 ***
Capitolo 4: *** atto secondo, 1 ***
Capitolo 5: *** atto secondo, 2 ***
Capitolo 6: *** Atto terzo, 1 ***
Capitolo 7: *** Atto terzo, 2 ***
Capitolo 8: *** Atto quarto, 1 ***
Capitolo 9: *** Atto quarto, 2 ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** prologo ***
Episodio 2
Episodio 2
(seconda stagione virtuale) Storia originale:http://www3.sympatico.ca/maril.swan/qosvs/Uchoice1.htm
Prologo
"Tessa,
penso che ci servirà lo zucchero. Dobbiamo fare la marmellata con un po' della
frutta che Don Ricardo ci ha promesso."
Tessa non
riusciva a staccare gli occhi da qualsiasi cosa stesse guardando attraverso la
finestra del negozietto. "Fai come credi, Marta." udì distrattamente che la
donna stava confermando l'ordinazione per il rifornimento mensile, quando la
carrozza da Monterrey rallentò fino a fermarsi. Si spostò nel portico coperto
del negozio, per avere una visuale migliore.
"Cosa c'è di così
affascinante?" chiese Marta, affacciandosi dalla sua spalla.
Tessa si voltò
con un sorrisetto di scusa. "Guarda la carrozza. Non pensavo che sarebbe
riuscita ad attraversare la piazza senza ribaltarsi." Il mezzo era carico di
bauli e scatole, borse e oggetti attentamente incartati. C'era anche una specie
di enorme tappeto. Tessa diede di gomito all'amica e indicò la piazza con la
testa. "Andiamo."
Colse il sorriso
indulgente di Marta con la coda dell'occhio, prima che questa la seguisse. Un
nuovo arrivato nel piccolo pueblo era sempre un evento, e il proprietario di una
tale quantità di bagagli doveva essere più di un visitatore casuale. Tessa si
concesse di speculare un po', il tempo di avvicinarsi alla carrozza. Un mercante
avrebbe posseduto un proprio carro, non si sarebbe servito della corriera. Forse
un nuovo residente, ma Tessa non ricordava la vendita di una delle case in città
o di una hacienda. Un parente di una delle famiglie locali, allora.
Alla vista di una
signora che emergeva dalla portiera, i sospetti di Tessa furono confermati. Era
una donna benestante ed evidentemente era arrivata da poco dalla Spagna. Esibiva
la stessa espressione condiscendente e delusa che la maggior parte dei nuovi
arrivati assumeva appena posato piede nella piazza polverosa. Tessa sorrise tra
sé. Quella donna avrebbe facilmente imparato ad amare la sua terra e dopo appena
un anno si sarebbe domandata come avesse mai potuto vivere altrove.
"Buenas tardes,
Senorita. Benvenuta a Santa Elena. Sono Tessa Alvarado. Qualcuno deve venire a
prendervi?"
Gli occhi castani
che osservarono Tessa furono, per un attimo, duri e giudicanti, ma il sorriso
che subito apparve sui lineamenti delicati riuscì ad addolcirne l'espressione.
"Grazie per il gentile benvenuto, Senorita Alvarado." gli occhi della signora
iniziarono a vagare e Tessa si sentì come se fosse stata sommariamente messa da
parte, finché la donna continuò, "No, il mio arrivo non è stato annunciato. Se
potete indicarmi la residenza del governatore militare, darò disposizioni di
rimuovere queste macerie dalla piazza." fece un gesto casuale in direzione della
crescente pila di bagagli scaricati dalla carrozza. I suoi modi rilassati nei
confronti dei propri possedimenti non si estesero al modo in cui continuava a
scrutare ansiosamente la piazza, come in cerca di qualcuno.
Tessa dubitava
che Montoya sarebbe stato felice di doversi occupare dei bagagli mentre la
signora contattava chiunque avrebbe dovuto essere il suo ospitante. Con questo
pensiero divertito in mente, Tessa indicò il grande edificio che dominava un
lato della piazza. "Quello è l'ufficio del Colonnello, Senorita..." si
interruppe, attendendo che l'altra si presentasse.
Il sorriso della
donna crebbe ulteriormente alla vista della struttura imponente e per la prima
volta concentrò l'attenzione direttamente su Tessa. "E' Senora, in realtà...Senora
Montoya."
Note: questo è il seguito di "Mirror, mirror" by Maril Swan,
precedentemente pubblicata su questo sito, ma può anche essere letta come una
storia a sé.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Atto primo,1 ***
Scena 1
Scena 1
"Voglio che il
colpevole sia catturato, Grisham. Può sembrare una cosa da niente adesso, ma questo
tipo di comportamento porta solo a crimini peggiori. Non lascerò che le donne
della comunità siano trattate in questa maniera."
"Sono soltanto
spariti dei guanti, signore."
"Sono *sette*
paia di guanti, e l'ultimo è scomparso dal comodino di Dona Juanita. Il ladro
sta diventando più audace. Chi sa cosa sparirà la prossima volta?" Montoya
guardò il suo capitano e si abbandonò ad un sospiro drammatico. Grisham sapeva
che era dipeso dal proprio ampio sorriso, ma non era riuscito a resistere. Tutta
questa faccenda dei guanti stuzzicava il suo senso dell'umorismo.
I due uscirono
dal cortile delle rose, diretti in piazza, mentre il Colonnello consultava i
rapporti che si era portato dietro. Grisham, in attesa di ricevere ordini, ne
approfittò per guardarsi intorno. Un facchino stava scaricando un'incredibile
quantità di bagagli da una carrozza e il capitano non riconobbe la donna che parlava con Tessa
Alvarado. Forse era una sua amica. Questo gli avrebbe reso ancora più difficile
corteggiarla: ora aveva delle scuse reali per non passare del tempo con lui. Si
rivolse a Montoya. "Signore, voi sapevate che qualcuno verrà ospitato alla hacienda Alvarado?"
"La Senorita
Alvarado non mi informa di..." ma il commento di Montoya gli morì in gola, quando questi alzò
gli occhi per prendere nota del nuovo arrivo. Strinse le labbra in una linea
sottilissima, chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Quando li riaprì per
fissarli sulla donna misteriosa, lo sguardo che le lanciò avrebbe potuto
ucciderla sul colpo. Riprese a respirare, accompagnando il tutto con una serie
di imprecazioni, alcune delle quali erano sconosciute anche ad un soldato di
carriera quale era Grisham.
Chiunque fosse
capace di produrre una tale reazione nel Colonnello meritava la sua attenzione.
"Chi è quella?" chiese cautamente il capitano.
"Mia moglie."
Era l'ultima cosa
che Grisham si sarebbe aspettato di sentire.
Nel breve tempo
che gli occorse per raggiungere la donna, il capitano vide Montoya trasformarsi
dal rude soldato cui era abituato, al raffinato gentiluomo che il resto del
pueblo conosceva. "Sabina. Che sorpresa inaspettata." Montoya prese la mano di
sua moglie, la baciò velocemente, e la lasciò andare senza indugio.
Sabina fece una
rapida ispezione del marito e, a giudicare dalla sua espressione, Grisham
avrebbe detto che era stata superata per un soffio. "Luis. Ti trovo bene."
"Devo fare le
presentazioni?" domandò Montoya, accennando a Tessa.
"Mi sono presa la
libertà di presentarmi alla Senora Montoya," spiegò lei, che
tratteneva a stento l'eccitazione per questa scoperta inaspettata. "Non sapevo
che foste sposato, Colonnello. Non avete mai menzionato una moglie."
Grisham quasi
fece una smorfia al commento malizioso di Tessa, ma , in effetti, lei non aveva
potuto assistere alla reazione iniziale del Colonnello. Come al solito, Montoya
rispose con falsa naturalezza, "A volte, quando qualcuno è separato dalla
famiglia, è meno doloroso non parlarne. Solo il ricordo è spesso causa di
patimento." A parte Montoya stesso, Grisham fu il solo a notare il piccolo
sorrisetto malvagio che apparve sulle labbra della Senora in risposta al suo
commento.
"Mi occupo dei
bagagli, Colonnello," annunciò Grisham, che preferiva essere fuori tiro quando
la bomba sarebbe stata innescata. Poteva già vedere la miccia accendersi dopo il
primo, breve scambio di opinioni.
Montoya annuì.
"Ottima idea, Grisham. Sabina, posso presentarti il Capitano delle guardie,
Marcus Grisham?Capitano, Dona Sabina Ortiz Montoya."
Grisham chinò la
testa sulla mano della donna, e lei rispose con un cenno educato. Poi, il
capitano si allontanò e chiamò un paio di soldati che trasportassero
effettivamente le valigie, mentre lui continuava ad ascoltare l'interessante
conversazione.
"Se mi avessi
informato dei tuoi piani, avrei dato disposizioni per il tuo arrivo. Scoprirai
che io vivo in modo molto spartano."
Grisham
intercettò gli occhi di Tessa ed entrambi sollevarono le sopracciglia. Poi, con un
sorriso, la ragazza interruppe il momento di condivisione e si girò a parlare
con Marta. Sabina, intanto, si era messa sottobraccio al marito e si stava
dirigendo al suo alloggio.
"Ho deciso
velocemente, non c'è stato il tempo di scrivere. Per quanto riguarda la
sistemazione, sono sicura che posso renderla accettabile."
Scena 2
Sabina Montoya
era un mistero troppo interessante per non essere investigato, quindi Tessa
aveva convinto Marta a tornare da sola a casa con i rifornimenti. Era sicura
che avrebbe trovato un passaggio per tornare all'hacienda più tardi. E, nella
peggiore delle ipotesi, Grisham avrebbe colto al volo la possibilità di restare
solo con lei. Finora, Tessa era riuscita ad evitare i suoi numerosi tentativi di
corteggiarla, ma il capitano era tenace e stava diventando impaziente. Una
piccola concessione da parte sua era d'obbligo a questo punto. Era disperata
quando gli aveva dato il permesso di corteggiarla e adesso non riusciva a
trovare il modo di revocarlo senza che lui si arrabbiasse...o sospettasse
qualcosa.
Tessa sapeva
esattamente dove iniziare a cercare informazioni e Vera era al suo solito tavolo
nel patio coperto della Cantina. "Tessa, non mi aspettavo di vedervi oggi.
Unitevi a me." Quando Tessa sedette, si rese conto di venire studiata molto
attentamente. Infatti, appena si mise comoda, l'altra si avvicinò, "Ditemi. Secondo
me morite dalla voglia di condividere qualche segreto."
Tessa sorrise. Se
c'era qualcuno che poteva avere informazioni sulla Senora Montoya, quel qualcuno
era Vera. "In effetti, Vera, speravo che voi poteste dire qualcosa a me."
Vera tornò a ad
appoggiarsi allo schienale e strinse gli occhi con sospetto. "Riguardo a cosa?"
"Voi eravate a
Santa Elena quando arrivò il Colonnello, no?"
Evidentemente non
era quello che la Senora si aspettava di sentire, perchè sbatté le palpebre un paio
di volte, prima di ricomporsi, e rispose con un sorriso. "In realtà no. Io e
Gaspar abbiamo viaggiato sulla nave seguente, appena dopo le nozze. Gaspar ha
conosciuto il colonnello pochi giorni prima che lasciasse la Spagna, tramite
conoscenti comuni. Perchè vi interessa?E' stato più di quattro anni fa."
"Ha mai
menzionato il fatto di avere una moglie in tutto questo tempo?"
Vera sollevò le
sopracciglia. "Non che io ricordi, ma forse Gaspar ne sa di più...No, me
l'avrebbe detto. Perchè mi domandate di una moglie?"
Tessa gongolò.
Era davvero stupido, ma si sentiva come se avesse vinto un premio per sapere
qualcosa prima di Vera. "L'ho appena incontrata."
"No!" Vera
si avvicinò di nuovo, gli occhi azzurri che danzavano alla prospettiva dello
scandalo. "Dove è successo?Non è possibile che ha vissuto in California tutto
questo tempo senza che nessuno lo scoprisse. E perchè la segretezza?"
"Credo sia
rimasta in Spagna, almeno a giudicare dalla sua reazione nei confronti del
paese." Vera annuì. Anche lei avrebbe riconosciuto quell'espressione di
disprezzo che Tessa aveva notato. "E per la segretezza, beh...Diciamo che il
loro primo incontro è stato...controllato."
Vera sollevò un
sopracciglio e la sua bocca si piegò in un sorrisetto compiaciuto. "Non tutti i
matrimoni sono come il mio. E cinque anni di separazione sono molti. Com'è?"
"Non le ho
parlato abbastanza da formare un'opinione. Montoya l'ha presentata come Dona
Sabina e mi è sembrata una vera nobildonna. E' una bella signora, poco più bassa
di voi, capelli e occhi scuri, pelle chiara--non deve aver passato molto tempo
sul ponte della nave. Sono sicura che la vedrete presto di persona, Vera."
Tessa era così
concentrata nella conversazione che l'intrusione di una voce maschile la fece
sobbalzare. "Forse domani, Senora, se convincerete il vostro stimato marito
ad accettare il mio invito a cena." Il Colonnello Montoya si inchinò ad entrambe
e poi spiegò. "Mia moglie è stanca del viaggio, ma so che la società di Santa
Elena è difficile da trattenere quando si tratta di fare le presentazioni."
Sorrise a Tessa, e lei abbassò gli occhi alla menzione del suo comportamento
poco adeguato. "Quindi sto preparando una festa per domani sera. Spero che
possiate partecipare."
L'imbarazzo di
Tessa non durò a lungo. "E' un invito generoso, Colonnello, grazie, sarò felice
di accettare."
"Io e Gaspar ci
saremo," rispose Vera, con la sicurezza di una moglie viziata.
"Molto bene. A
domani, Senora. Senorita."
Le donne attesero
che Montoya si allontanasse prima di avvicinare di nuovo le teste.
"Tessa, devo
andare a casa. Mi serve qualcosa da indossare e devo dare a Gaspar la notizia."
Vera stava raccogliendo velocemente le sue cose. "Non vorrà crederci." e prima
che Tessa avesse il tempo di salutarla, era uscita dalla cantina e stava
attraversando la piazza.
Leggermente
stordita, cosa che le accadeva spesso dopo un incontro con Vera, Tessa decise di
restare e finire il vino che la Senora le aveva versato. Doveva pensare a come
affrontare il capitano per quel passaggio a casa, senza incoraggiarlo troppo.
"Vi trovo di
nuovo a bere da sola, Tessa. Sapete che non è più necessario." Marcus Grisham
sedette di fronte a lei, dopo una richiesta appena accennata, e senza aspettare
la sua risposta.
"Non ero sola,
Capitano. Almeno non da molto. E' piuttosto strano, ma all'improvviso la Senora
Hidalgo ha sentito un irresistibile desiderio di tornare a casa dal marito."
Appena queste parole lasciarono le sue labbra, Tessa capì che era la cosa
sbagliata da dire, perchè Vera era l'unica cosa che poteva frammettersi tra lei
e un tentativo di corteggiamento del capitano.
Fortunatamente,
Grisham conosceva Vera molto bene. "Doveva spargere la voce che la moglie di
Montoya l'ha finalmente raggiunto, no?Venite alla festa, domani?"
Non era una vera
e propria domanda, Montoya stava trasmettendo le sue brutte abitudini al
capitano. Giustamente, lei rispose con una frase che non era proprio una
risposta. "Sono stata invitata."
Grisham esibì per l'occasione i suoi modi più affascinanti e le prese la mano. La guardò
negli occhi mentre la baciava, un po' troppo ardentemente per un luogo pubblico
e per i gusti di Tessa. "Mi concedete l'onore di accompagnarvi?"
Il primo istinto
di Tessa fu di rifiutare, ma questa poteva essere l'occasione che stava
aspettando. Ci sarebbero state poche persone, quindi se ne sarebbero accorti
subito se
Grisham avesse tentato di restare solo con lei. Vera sarebbe stata presente, e
questo lo avrebbe esortato a comportarsi bene (aveva già fatto arrabbiare la sua
amante abbastanza nell'ultimo mese). E poi, poteva avere quel passaggio. "Vorrei
pensarci, Marcus. Il tempo di arrivare a casa dovrebbe essere sufficiente e, se
mi accompagnate, potrete avere la risposta il più presto possibile." e gli
indirizzò un sorriso dolce, come indizio della risposta.
"Torno subito,"
disse lui, posandole un'altro bacio veloce sulla mano, prima di andar via
praticamente di corsa. Tessa sorrise tra sé. Forse avere un corteggiatore non
era così male dopotutto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** atto primo,2 ***
Scena 3
Scena 3
C'erano modi
peggiori di passare un pomeriggio, che accompagnare a casa la Senorita Alvarado,
decise Grisham. Anche se Tessa continuava ad essere civettuola, evitando di
nuovo i suoi tentativi di baciarla come si deve, aveva accettato di andare
insieme alla cena di Montoya. Questa poteva essere l'opportunità che stava
aspettando. Era sicuro che, sotto la maschera di decorosa aristocratica, Tessa
nascondeva una passione pronta ad esplodere, l'aveva sperimentato di persona.
Tutto ciò che doveva fare era sfruttarla, e la ragazza sarebbe stata come creta
nelle sue mani. L'avrebbe sposata, diventando padrone della hacienda, e allora
Vera non avrebbe più potuto trattarlo come un semplice soldato.
Ma stava correndo
troppo. Doveva prima sopravvivere alla serata e qualcosa gli diceva che il
colonnello non sarebbe stato del suo umore migliore. Non avevano ancora finito
il rapporto giornaliero, quindi Grisham salì le scale dell'ufficio per riferire,
nel caso il colonnello avesse voluto continuare. La risposta al suo leggero
bussare gli sembrò civile, anche se lievemente distratta.
Montoya sedeva
dietro la sua scrivania e sollevò appena lo sguardo dalla pila di fogli davanti
a lui, quando Grisham entrò. "Capitano, vi siete goduto la gita in
campagna?Sicuramente la Senorita Alvarado è una deliziosa compagnia, ma non paga
il vostro stipendio."
"Non ancora
almeno." Grisham non riuscì a trattenere il commento soddisfatto.
Questo sembrò
catturare l'interesse di Montoya, che finalmente abbandonò i fogli e si appoggiò
allo schienale. "Siete riuscito a conquistarla, allora?"
"Mi accompagna
alla cena di domani."
"Ah. Un successo
molto limitato," osservò Montoya compiaciuto, e tornò a concentrarsi sui
dispacci. A Grisham sembrò che la pila fosse più alta del solito. Il colonnello
doveva aver notato il suo interesse, perchè spiegò, "Il nuovo Vicere è arrivato
e, con lui, un'enorme quantità di documenti. Crede che se scriverà abbastanza
riuscirà a lasciare un'impronta permanente."
Montoya sembrò
sul punto di aggiungere qualcosa, ma aggrottò la fronte, si alzò in piedi ed
scelse un foglio da quelli sulla scrivania. Di nuovo, Grisham assistette a una
lezione di imprecazioni spagnole davvero molto creative. "Che idiota!Vedete cosa
ha fatto, Grisham?Ha istituito una tassa sulla persona: una tassa fissa su ogni
persona di questa colonia, senza considerare minimamente le rispettive
proprietà. C'è già abbastanza fermento nell'aria, senza incitare ulteriormente
il popolo." Grisham si congratulò con se stesso nel riuscire a tenere per sé
l'incredulità, ma Montoya interruppe la sua diatriba per guardarlo con gli occhi
socchiusi. "Stiamo giocando col fuoco qui. Ci vuole arguzia per capire quanto la
gente riesca a sopportare. Questo *burocrate*," Montoya sputò la parola,
"rischia di compromettere l'equilibrio."
Ora Grisham
capiva il problema. Le tasse che erano state istituite da Montoya in nome dello
Stato, stavano per essere usurpate da...lo Stato. Revocarne alcune avrebbe
suscitato domande sul perchè erano state istituite in primo luogo.
Montoya tornò a
rovistare tra le carte ed estrasse un annuncio ripiegato. "Almeno hanno avuto il
buon senso di mandare una nota ufficiale. Grisham, appendetelo in piazza. E fate
in modo che si legga la firma del Vicere. Voglio allontanare la colpa da me, per
quanto è possibile."
Sollevato nell'
essere congedato tanto rapidamente, Grisham prese il foglio e annuì senza dire
nulla. Aveva imparato a sue spese che, quando Montoya era di cattivo umore, era
meglio non mettere in dubbio la sua autorità. Ma naturalmente non doveva nemmeno
comportarsi troppo formalmente, o si sarebbe accorto che qualcosa non andava.
Si, Grisham iniziava finalmente a conoscere il suo comandante.
***
Montoya notò
appena che Grisham aveva aperto la porta, ma attirarono la sua attenzione l'
inchino e un educato, "Senora", mentre si faceva da parte per far entrare
Sabina. Il colonnello incrociò lo sguardo di Grisham sopra la testa della moglie
e vi lesse una scintilla di compassione. Si meravigliò del fatto che il capitano
avesse capito la situazione, più che irritarsi di essere compatito.
Appena la porta
venne chiusa, l'espressione placida di Sabina fu sostituita da un sorriso
condiscendente, caratteristica cui Montoya era molto familiare. "L'hai
addestrato bene," disse lei.
"E' un soldato,
sa qual'è il suo posto. Tu sei la moglie di un soldato..." non sentì la
necessità di finire la frase. Era una discussione che portavano avanti da molto
tempo.
"Sono anche la
figlia di un nobile e ho il diritto di aspettarmi un certo tenore di vita. Fu
stipulato un patto al tempo del nostro fidanzamento."
"Un patto che fu
stupidamente proposto...e accettato. La tua scusa può essere che eri giovane ed
influenzabile. Mio padre non aveva tale giustificazione. Questo non significa
che devo seguirlo alla cieca. E' una follia."
"Follia?E' così
che chiami tutto il lavoro che ho fatto per *noi*?!"
Montoya sospirò
rumorosamente, interrompendo sul nascere la discussione. "Sei anni di
lontananza, e ancora litighiamo sullo stesso argomento."
Lei sorrise. Un
vero sorriso, come quello che aveva usato durante la loro prima notte di nozze,
dieci anni prima. "Luis, non ce n'è più bisogno. Questa è una nuova terra.
Possiamo ottenere rispetto, ricchezza e potere, qui." Lanciò un'occhiata alle
carte sulla scrivania e il suo sorriso si allargò. "Vedi. Con Agustin a
Monterrey, possiamo avere il mondo ai nostri piedi. Ha già messo in atto il mio
primo suggerimento."
Montoya sentì una
fastidiosa contrazione allo stomaco. Prese la nota ufficiale della nuova tassa e
gliela passò. "Tu hai organizzato questa...idiozia?"
"Idiozia?" Il suo
sorriso scomparve. "L'ho fatto per noi, Luis. La Spagna non riuscirà a
controllare quest'area remota ancora a lungo, dobbiamo prenderci il più
possibile prima di tornare. E' così che i ricchi e potenti diventano ricchi e
potenti, sfruttando ogni opportunità. Come hai fatto a sopravvivere tanto a
lungo senza di me?"
Montoya si calò
nel suo io più affascinante. Il cugino di sua moglie, Agustin Ortiz, il nuovo
Vicere, l'aveva già seguita come un cagnolino e sarebbe stato facile per lei
controllarlo. Avrebbe potuto essere un ottimo cambiamento, se solo Montoya
avesse avuto la minima fiducia che Sabina si sarebbe fatta guidare. Valeva la
pena di provarci. "Hai dimenticato di considerare un'opzione, Sabina. E se io
non volessi tornare in Spagna?Se il mio piano fosse di consolidare il mio potere
qui, in California?Questo tipo di comportamento può essere dannoso, nel caso io
abbia bisogno dell'appoggio della popolazione."
"Che cosa stai
farneticando, Luis?" Montoya riconobbe immediatamente la testardaggine nel tono
della sua voce. "Certo che torneremo in Spagna. A cosa serve uno status senza
una vera società e senza la considerazione del re?L'idea di restare qui è
ridicola. Nessuno sceglierebbe volontariamente di vivere ai confini del mondo.
Come al solito, Luis, non capisci cosa è davvero importante." I suoi occhi si
indurirono. "E se continui a contraddirmi, farò in modo che Agustin ti
promuova...suo assistente. So quanto ti piace la sua compagnia."
Le
mogli!Conoscono tutti i tuoi punti deboli. Montoya avrebbe preferito tagliarsi
la gola con le proprie mani, piuttosto che essere alle dipendenze di quel
pomposo cretino. Per il momento, tutto ciò cui riuscì a pensare fu serrare i
denti e sperare che Sabina non avesse altre brillanti idee, almeno per un po'.
Note: Grazie ad IceWarrior e a Vale per recensioni. In effetti queste
fanfictions sono state create proprio per essere la seconda stagione che il
telefilm non ha mai avuto (purtroppo!). E per rispondere alla domanda che mi era
stata posta riguardo al primo episodio, il titolo "Mirror,mirror" viene dalla
fiaba di Biancaneve.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** atto secondo, 1 ***
Scena 1
Scena 1
"Champagne.
Cognac. Vecchio madeira. Ecco perchè non riesci a concentrarti. Sei diventato un
ubriacone, Luis?"
//Non ancora, ma
ci sto facendo un pensierino.// Montoya non si stava affatto godendo la
giornata, soprattutto perchè la prima persona che aveva incontrato appena
mattina era stata Sabina, tutta impegnata a rovistare tra i suoi documenti. Per
fortuna, aveva trovato solo quelli ufficiali.
"Bisogna fare
buona impressione sulla nobiltà locale. Me l'hai insegnato tu, mi corazon."
La moglie alzò la
testa per fissarlo e lui quasi sorrise--sapeva quanto lei odiasse i
vezzeggiativi. "Anche l'ampiezza della libreria accresce la tua influenza?E' una
collezione notevole e dev'essere stato difficile e costoso ottenerla, in questo
posto isolato. Trattati di guerra e storia. Lavori scientifici--Bacon, Newton,
Galileo. Dante. Shakespeare. Una prima edizione del 'Don Chishotte'." Sabina
pronunciò quest'ultimo quasi fosse un'accusa, come il simbolo di tutte le sue
inadeguatezze. Non lo conosceva per niente.
"E' un regalo,"
rispose Montoya calmo.
"Hai amici
generosi," ribatté lei sospettosamente.
"Uno o due." Non
aveva intenzione di aggiungere altro a riguardo--meglio lasciarla immaginare.
Inoltre, non voleva lasciarle credere che non era capace di gestire i suoi
affari. "Ho trovato la maggior parte di quei libri nelle haciendas abbandonate,
o in quelle requisite dallo Stato. Non tutte le persone che tornano in Spagna
hanno la voglia, o la possibilità di portarsi via tutto. Faccio loro un favore
conservando tali oggetti."
"Ed ecco che
arriviamo alla terra."
"Cosa desideri
sapere?Non ho segreti per la mia amata consorte."
Sabina lo guardò
male, in risposta al sarcasmo, ma non si distrasse. "Dove hai la testa, Beata
Vergine!Stai sprecando tempo con i terreni. Non ci hai fatto niente."
"Al contrario, li
ho conservati in nome della corona, com'è mio dovere fare. Potrei chiedere a
Monterrey i fondi per far fruttare la proprietà, ma hanno difficoltà anche a
pagare i loro stessi lavoratori. Non voglio aggravare la situazione."
Soprattutto, Montoya non voleva attirare l'attenzione sulle sue acquisizioni. I
minerali, i diritti sull'acqua, ogni cosa che potesse essere trasformata in
denaro liquido stava già dando i suoi frutti. I contadini affittuari erano
rimasti a lavorare come prima, quindi non c'era niente che indicasse cambi di
proprietari, e una rendita regolare veniva spedita a Monterrey--anche se si
trattava di appena un terzo del reale guadagno. Naturalmente, Montoya aveva
capito cosa stava suggerendo Sabina, ma non era questo in momento di rivelarsi.
Quella donna non era mai stata paziente.
"Con Agustin come
Vicere, questo non sarà più un problema. Abbozzerò domani una lettera per
riferirgli delle tue...preoccupazioni, e chiedere dei fondi per le migliorie.
Dovremmo riuscire ad ottenere una buona percentuale sui profitti, come custodi
di una così ampia fetta di terra della corona."
"Hai limitato i
tuoi obbiettivi, vedo. Adesso ti accontenti di gestire una terra, invece di
possederla?"
"Possedere un
terreno qui!Perchè dovrei desiderare un mucchio di sabbia e cactus?Lo devi alla
mia famiglia che i nostri figli abbiano tutti i vantaggi che il mio status
comporta."
Il colonnello
girò la testa e finse di tossire, dato che alle parole 'i nostri figli'
rischiavano di riderle in faccia. Le poche volte che Sabina era rimasta incinta
durante i loro primi anni di matrimonio, le gravidanze erano terminate prima che
i segni fossero evidenti. Se La sua costituzione si era rafforzata dopo la
ventina, ma Montoya non le aveva dato la possibilità di verificarlo. E ora non
si fidava di lei abbastanza neanche per pensare soltanto di riprovarci.
Sabina strinse
gli occhi e continuò ad apporre le sue ragioni. "Zio Gregorio ti ha fatto un
enorme favore trovandoti una posizione così illustre, con il tuo passato..."
Montoya inclinò
leggermente la testa, mantenendo lo sguardo fisso in quello di sua moglie. Si
accertò di avere un tono di voce molto calmo. "Non l'ha fatto anche a *te* un
favore, allontanando un marito che si rifiutava di seguirti ciecamente attaccato
ad un guinzaglio?"
"Dovresti
mostrare più rispetto per le persone più importanti di te," lo rimproverò lei.
In passato questo
sbattergli in faccia il suo status sociale avrebbe comportato la sua sconfitta,
o il suo uscire dalla stanza per controllare la rabbia. Ora, invece, si rilassò
nella sedie e ridacchiò sotto i baffi nell'incontrare lo sguardo furioso della
moglie. L'esperienza in California gli aveva insegnato a giudicare il vero
valore delle persone. "Ma mia cara," rispose mellifluo, assicurandosi che lei
capisse dov'era collocata nella gerarchia del nuovo mondo. "Lo faccio."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** atto secondo, 2 ***
Scena 2
Scena 2
Suo malgrado,
Tessa scoprì di essere un pochino eccitata per quella serata. Era stata a molte
feste, molte cene, da quando era arrivata in Califoria, ma questa era la prima
volta che aveva un accompagnatore. Arrivare sotto braccio a un bel giovanotto
aggiungeva un certo fascino all'evento--anche se quell'uomo era Marcus Grisham.
Mentre
attraversavano il cancello del cortile delle rose, Tessa lo vide gonfiarsi come
un gallo, per tutta l'attenzione che stavano attirando. Fortunatamente, il
Colonnello Montoya era lì vicino e questo le impedì di cedere all'impulso di
pungere il capitano con uno spillone, per vedere se si fosse sgonfiato.
"Senorita
Alvarado, è un onore avervi con noi stasera." Montoya le baciò la mano
calorosamente, ma non troppo. Come al solito, i suoi modi erano perfetti. "Vedo
che il Capitano ha la fortuna di godere della vostra compagnia." Poi girò la
testa per attirare l'attenzione di Sabina. "Querida, sono arrivati degli
ospiti."
La donna
interruppe la conversazione con il Senor e la Senora Gervasio. Doveva aver
notato lo sguardo di apprezzamento di Tessa sul suo abbigliamento, perchè si
prese tutto il tempo per raggiungere il gruppo, permettendole una valutazione
completa. Il taglio alla moda dell'abito donava molto a Sabina e la seta viola
cupo accentuava la pelle chiara. Tessa vide che faceva uso di cosmetici, ma non
era un trucco pesante ed era applicato con una certa maestria. I capelli neri
erano raccolti elegantemente sul capo, tenuti insieme con un fermaglio di perle.
Una perla simile tratteneva la cravatta di Montoya. Quando il colore profondo
del vestito venne a contrastare il bianco, nero e grigio dell'abito del
colonnello, Tessa non poté che pensare che formavano proprio una bella coppia.
Poi, la gonna di Sabina si sollevò, lasciando scoperta la punta di una scarpa,
ben piantata sullo stivale lucidato di Montoya.
Tessa guardò
subito il colonnello, ma tutto ciò che riuscì a notare fu un lieve stringersi
della sua mascella e uno scintillio feroce negli occhi. La sua voce non
possedeva nessuna allusione al dolore che doveva sentire in quel momento, quando disse. "Permettimi di
presentarti *formalmente* una dei nostri più importanti possidenti, Dona Maria
Teresa Alvarado."
Sabina poi
monopolizzò l'attenzione di Tessa con la conversazione prudente che si era soliti
intrattenere durante eventi come quello. Abile come il marito nella diplomazia, sembrava davvero
contenta di vedere un volto familiare, come aveva sottolineato Montoya. Si erano
portati più al centro del cortile, ma l'occhio della Senora tornò subito
all'entrata. "Quello è il dottore, presumo." e Tessa annuì in risposta. "Avrei
voluto un numero pari di uomini e donne, ma Luis mi ha spiegato che è
praticamente impossibile. Non ci sono abbastanza donne in questa colonia. Sono
sorpresa che voi non siate ancora sposata, Senorita, una donna sola è una vera
rarità in una terra ostile." Dopo i saluti convenzionali, si allontanò per
salutare i nuovi arrivati.
Una risatina
nell'orecchio ricordò a Tessa che Grisham stava ancora in piedi al suo fianco.
Alzò gli occhi, con aria civettuola. "La vostra reazione implica che
convenite con l'affermazione della Senora, capitano?"
Stranamente, la
sua risposta evitò tutti i trabocchetti contenuti nella domanda. "Che siete una
rarità, Senorita?Certo, sono assolutamente d'accordo." Le offrì il braccio,
quando fu annunciato che la cena era pronta, e l'accompagnò al tavolo, che era
stato apparecchiato per una ventina di persone.
Tessa si ritrovò
sistemata non lontano da Sabina, che era a capotavola. A dividerle c'era Don Gaspar
e lei ricambiò il suo sorriso affettuoso, quando sedette. Don Ricardo era dall'altro
lato e la ragazza ne fu contenta perchè, dopo le accuse di omicidio rivoltegli da Don Alejandro,
avevano intrapreso una fruttuosa relazione d'affari, una sorta di baratto tra
lavoratori e prodotti(le orchidee del Don erano le migliori in tutta la
regione). Grisham era seduto dall'altra parte del tavolo, subito a destra di
Sabina, mentre Dona Juanita Gervasio era proprio davanti a Tessa. Sospirò
silenziosamente. Juanita non avrebbe fatto altro che parlare del suo
fidanzamento con un ricco giovanotto di Santa Monica. Suo zio si era occupato di
tutto e lei soggiornava alla sua hacienda fino al giorno del matrimonio.
Tessa si guardò
intorno e notò che Robert Helm aveva preso posto tra Montoya e Vera.
Considerando che quasi sicuramente era stato il colonnello a scegliere la
disposizione degli ospiti, si chiese cosa avesse combinato questa volta il
dottore per irritare Montoya. Ma forse questo era solo il risultato del suo
perverso senso dell'umorismo. Il ghigno che vide sulla faccia di Vera poco dopo,
confermò i suoi sospetti che Helm avrebbe avuto bisogno di un buon digestivo a
fine serata.
La cuoca del
colonnello aveva superato se stessa. Non solo il cibo era delizioso, come
sempre, ma anche la presentazione era impeccabile. Peperoni rossi arrosto, zuppa
decorata con una graziosa coroncina di erbe fresche, polenta, carne avvolta di
pasta come fosse stata una crostata, oltre alla miriade di piccoli dettagli che
decoravano la tavola.
La conversazione
era stranamente varia e vivace, Don Gaspar e Don Ricardo abbastanza educati
da coinvolgere Tessa nella conversazione, che riguardava l'organizzazione delle
loro haciendas. Anche se doveva essere cauta, la ragazza mostrò di essere
pratica a riguardo e ben presto i due uomini, se pur sorpresi, la incoraggiarono
a esprimere la sua opinione. Tessa tornò riluttante alla sua maschera di frivola
ignoranza, tuttavia, quando si passò a discutere di governo e finanza, cosa che
fu accettata con la tipica indulgenza degli uomini. Aveva senso che una donna
fosse capace di tenere in piedi una casa, anche se molto estesa, ma le decisioni
su larga scala esulavano dai suoi compiti.
L'argomento
successivo fu il matrimonio di Juanita e Tessa li vide scambiarsi occhiate
condiscendenti. Non capiva cosa avessero da lamentarsi, di certo non avevano
sentito quella storia tante volte quanto lei. Sabina non aveva ancora avuto
questo *piacere* e Juanita approfittò del suo interesse. Fu a questo punto che
le speranze di Tessa in un alleato contro Montoya andarono in fumo: aveva
creduto che l'influenza di una donna avrebbe mitigato il suo approccio con i
criminali, soprattutto quelli minori, ma vide invece che Sabina gli somigliava
molto, quando incoraggiò Juanita a non pagare la sarta.
"Se la sarta non
ha completato il lavoro nel tempo previsto e in modo completamente
soddisfacente, non deve ricevere un centavo, " la consigliò, "Non lasciate che
gli inferiori si approfittino di voi, Senorita, è' una cattiva abitudine che
rischia di compromettere la vostra famiglia. Chiedete rispetto e obbedienza, è
un vostro diritto."
Il flusso della
discussione cambiò ancora, ma i pensieri di Tessa rimasero concentrati sul tono
adamantino del consiglio di Sabina. Le dava abbastanza fastidio. Montoya era
sempre attento a mantenersi nei limiti della legge, ma lei non sembrava avere
tale restrizione, come se si considerasse al di sopra della legalità.
Dopo il dolce,
Montoya si alzò in piedi. "Signore e signori, grazie per averci concesso il
piacere della vostra compagnia, stasera. Mi riscalda il cuore vedere con quanta
generosità avete accolto la mia cara Sabina nel nostro angolo di paradiso..."
Tessa si sporse
per guardare Grisham e fu sorpresa di vedere che, nonostante il suo viso fosse
diretto verso Montoya, aveva spinto indietro la sedia per tenere d'occhio
Sabina. La sua espressione strana la spinse ad osservare attentamente la Senora
anche lei. Sabina sembrava serena, un sorrisetto sulle labbra, ma gli occhi,
posati sul marito, erano severi e freddi.
Un cambiamento
nel tono di voce di Montoya riportò l'attenzione di Tessa al suo discorso. "...spero
che vi unirete a noi in un giro di danza per rendere onore alla grazia della mia
amorevole moglie." Fece segno ai musicisti di iniziare, mentre lui raggiungeva
Sabina. Le offrì la mano con un inchino e lei accettò con un cenno del capo, poi
si mossero entrambi verso lo spazio dedicato al ballo. Tessa si chiese se gli
stivali del Colonnello sarebbero sopravvissuti all'esperienza.
A questo segnale,
la tavolata applaudì brevemente, sedie grattarono il pavimento, e un buon numero
di coppie si unirono ai Montoya sulla pista. Tessa salutò Don Ricardo quando
egli l'aiutò ad alzarsi. Sembrava proprio che l'uomo avesse intenzione di
dileguarsi al più presto con la scusa di una giumenta che stava per partorire:
era l'unica spiegazione che Montoya non avrebbe discusso. Gaspar si era già
affrettato ad invitare sua moglie e gli Hidalgo si erano aggiunti alle coppie
danzanti. Questo lasciava il Dottor Helm in piedi, da solo e in pace. Tessa
sorrise tra sé e si avvicinò a lui
"E' un piacere
trovarvi qui stasera, Dottore."
Tessa poté quasi
vederlo contrarre il viso, ma riuscì a nasconderlo bene. "Senorita Alvarado.
Vedo che avete un nuovo ammiratore."
"Si, il Capitano
mi ha riservato delle attenzioni di recente." Si guardò attorno e vide che
Grisham era immerso in una conversazione con Don Alonso e sua moglie, dall'altro
lato del cortile. "Ed è molto affascinante in divisa..."
"Come no,"
borbottò Helm, a stento udibile.
Lei quasi
ridacchiò, ma riuscì a rispondere in tono assolutamente innocente. "Chiedo
scusa, Dottore, avete detto qualcosa?"
"Pensavo che una
donna bella come voi puntasse più in alto e non che si accontentasse del primo
bel viso che incontri."
//Bella?Questa è
nuova...// Tessa si chiese cosa avesse causato quest'improvviso interesse nei
suoi confronti da parte del dottore e decise di testare la sua reazione. "Non
c'è molta scelta da queste parti. E una donna nella mia posizione deve stare
molto attenta ai cacciatori di fortune. Il capitano si è dimostrato molto
interessato al mio benessere." Tessa volse gli occhi a Grisham e si portò il
manico del ventaglio alle labbra. Il capitano incrociò il suo sguardo e rispose
con un cenno e un sorriso, ma Tessa non notò reazione al suo gesto allusivo.
Helm d'altra parte trattenne il fiato e lo lasciò andare con un leggero sbuffo
disgustato. La ragazza si concesse un sorrisetto, prima di girarsi nuovamente
verso il dottore. "Si, *molto* interessato. Se volete scusarmi, Dottore."
E credette di
sentire i suoi occhi sulla schiena, mentre raggiungeva Vera, la quale stava ora
in piedi accanto alla fontana. Le prime parole dell'amica rafforzarono
l'impressione. "Che avete detto al Dottor Helm?Era decisamente estasiato,
guardandovi andar via."
"Sono solo stata
un pochino maliziosa."
"Vi ho vista.
Flirtare con il Capitano in una stanza affollata...Tsk.Tsk. Sono certa che lui
apprezzerebbe la proposta di un bacio, ma non credo che conosca il linguaggio
del ventaglio."
"Lui no...ma il
Dottore si."
"Tessa!" Vera
ridacchiò. "Stavate davvero facendo la maliziosa. Quindi, avete finalmente
convinto il dottore che siete una donna e non una bambina. Non fate quella
faccia, Tessa. Chiunque si renderebbe conto del vostro interesse e del fatto che
lui vi aveva notata appena- fino a stasera."
"Non chiunque,
Vera, solo qualcuno con le vostre eccezionali abilità di osservazione."
Vera alzò un
sopracciglio e rispose con un sorriso appena accennato a questo modo elegante di
evitare l'argomento. Tessa si scusò e si diresse verso la casa, in cerca dei
servizi che Montoya metteva sempre a disposizione delle signore nelle sue feste.
Poteva essere un avido e malvagio assassino, ma era un ospite eccellente.
Al ritorno,Tessa
passò sotto le travi coperte di rose e si fermò per un momento, nascosta alla
vista dei ballerini, la sua attenzione catturata da una voce molto familiare.
"...sottobraccio
con la mia migliore amica. Almeno non devo più domandarmi cosa provi davvero per
me." Vera suonava piuttosto turbata, ma c'era qualcosa nella sua voce per cui
Tessa si interrogò sulla sincerità delle parole.
Grisham
evidentemente non se lo chiese. "Io tengo a te più che a chiunque altro al
mondo. Come puoi dubitarne?"
"Vuoi una
lista?Iniziamo con 'laudano'?"
"Dovevo
ucciderti," protestò lui.
"Questo mi fa
sentire molto meglio, Marcus," sbottò Vera, ma poi tornò al suo tono tristemente
ferito. "Perchè Tessa?Ad un'altra amica potrei rinunciare, ma ci tengo a lei."
"E' un'idea di
Montoya. Vuole che io la sposi. Si preoccupa che stia da sola e crede che l'hacienda
starebbe meglio nelle mani di un uomo. Io sono pure d'accordo, ma continuo a
sperare che trovi qualcun altro, così che non dovrò essere io quell'uomo." Ci fu
una breve pausa e, dal tono della frase seguente, Tessa potè quasi vedere il suo
sguardo supplicante. "Niente potrebbe mai tenermi lontano da te, Vera, ma
preferisco non dover dividere il tempo con una moglie. Portare Tessa alle feste
mi serve per tenere buono il Colonnello. E' una ragazza dolce, ma sei tu quella
che sogno."
"Ne parliamo
dopo, Marcus." Il tono di Vera implicava che Grisham l'aveva convinta, ma
avrebbe preteso un...risarcimento. Il che venne confermato dal sospiro sollevato
del capitano.
Tessa credeva
anche a tutto quello che aveva detto Grisham. Aveva senso che ci fosse lo
zampino di Montoya in questo corteggiamento, anche se probabilmente le ragioni
non erano così benevole. Eppure i baci che Grisham le aveva dato non erano
quelli di un uomo sotto minaccia. Tessa sorrise. Sarebbe stato interessante
continuare questo gioco ancora un po', soprattutto dopo l'interessante reazione
del Dottore. Inoltre, aveva appena trovato un modo per liberarsi di lui, se
fosse diventato troppo invadente. Si allisciò il vestito e assunse
un'espressione neutrale, come se fosse appena tornata in cortile.
Note: Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento, ma sono
stata molto impegnata con la scuola (e questo capitolo si è rivelato piuttosto
difficile da tradurre!). Fatemi sapere che ne pensate!
Francy
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Atto terzo, 1 ***
Scena 1
Scena 1
Era un vero
sollievo ritornare nella sua stanza dopo una mattinata di lavoro. Grisham era
stato fermato da una dozzina di paesani e contadini, tutti a fargli domande
sulle nuove tasse, a chiedergli come il colonnello potesse tassare i loro
bambini. Se li era tolti di torno con la solita che scusa che lui stava solo
seguendo degli ordini e che avrebbero dovuto parlare con il Colonnello. Solo un
uomo, Hector Domenico, sembrò prendere sul serio il suggerimento. Ma in effetti
sua moglie aveva appena dato alla luce il settimo figlio e nessuno dei
precedenti era morto. Si vantava sempre di come riusciva a prendersi cura della
famiglia e ora questa tassa sulle persone avrebbe gravato su di lui più che su
chiunque altro.
Grisham si era
appena buttato sul letto quando sentì la porta aprirsi. Il suo primo pensiero fu
che si trattasse di Vera, che doveva ancora ottenere il risarcimento per l'altra
sera. Con suo sommo dispiacere, fu Montoya ad entrare.
Il colonnello
aspettò solo un momento, poi sorrise all'espressione di Grisham. "Mi dispiace di
avervi deluso, Capitano." Il sorriso scomparve. "Sono stato rinchiuso con Sabina
tutto il giorno e dovevo assolutamente liberarmene. Forse sarete in grado di
aggiornarmi sulla situazione delle tasse, prima di farmi una cavalcata. Se sono
fortunato, verrò disarcionato. O magari cadrò dalla scogliera e affogherò."
Un tempo, Grisham
l'avrebbe considerata una fortuna anche per lui, ma con la Senora in giro non ne
era più tanto sicuro. Quella donna era fuori dalla sua portata e lo sapeva bene.
Era molto meglio avere a che fare con il Colonnello. Grisham si alzò dal letto
mentre l'altro si accomodava sull'unica sedia. "Avevate ragione, sta dando più
problemi di quanto non valga la pena. So che ci sono lamentele anche tra i Don,
ma nessuno di loro si prende il fastidio di parlarne con me."
Una risatina da
parte di Montoya interruppe il rapporto. "In questo momento Sabina è seduta alla
mia scrivania. Lasciamo che se ne occupi lei. Continuate, Capitano."
"Le persone che
sono venute da me non sono i soliti idioti che si lamentano di non poter pagare
le tasse. Questa gente chiede *come* faranno a pagare le tasse e come possa
Monterrey fargli questo. Quella nota ufficiale ha davvero aiutato a non
incolpare voi, Colonnello."
"E cosa avete
risposto?"
"Ho detto loro di
andare a parlare con voi," rispose Grisham riluttante.
"Grazie mille,"
rispose sarcasticamente Montoya, poi tornò serio. "E' proprio questo che temevo.
Sapevo che i Don avrebbero protestato, lo fanno sempre, ma sono le persone che
pagano sempre le tasse senza lamentarsi--gli artigiani, i mercanti, i fattori-
che saranno portati a reagire, se si preme troppo la mano. La rivoluzione è
nell'aria, Grisham. Non dobbiamo accenderne la miccia. Non ancora." E disse
quest'ultima frase con quell'avaro ottimismo che ultimamente l'aveva
abbandonato. Poi si spense e Montoya si passò stancamente una mano sul viso.
"Date
l'impressione di aver bisogno di un bicchierino, Colonnello."
"Forse si,
Capitano, ma preferisco tenere la mente limpida. Non c'è niente di più pericoloso
di una donna ambiziosa. Sarà per questo che è stato il racconto ammonitore di Macbeth ad accendere il mio amore per Shakespeare?"
Montoya si
appoggiò allo schienale. Sembrava nell'umore di parlare, e Grisham solitamente
era in quello di ascoltare, almeno fin quando il monologo non era una ramanzina nei
suoi confronti. Naturalmente non osava proporre una discussione su Sabina, ma si
sistemò meglio, in modo che il Colonnello capisse che ascoltava.
Questo fu
sufficiente per scioglierlo. "Mio padre credeva che fosse un ottima idea
farmi sposare con la figlia minore di un nobile di antica discendenza. Avevano
più donne in famiglia di quante ne potessero mantenere, quindi il matrimonio con
un uomo ricco, anche se con una posizione sociale peggiore, fu considerato un
buon affare. Sabina era -è- una bella donna, A sedici anni era fresca e
delicata, incantevolmente timida. Io credevo che avremmo formato una bella
coppia e mio padre che ci saremmo ingraziati la nobiltà. Non aveva funzionato
per lui, perchè avrebbe dovuto funzionare per me?Ecco il motivo per cui cerco di
convincervi a tenere la testa sulle spalle, Grisham. Se io avessi riflettuto,
avrei capito che in Spagna era un sogno impossibile. Qui, tuttavia, la società è
più...flessibile. E il potere può essere ottenuto senza titoli.
"I primi anni di
matrimonio furono piacevoli, ma scoprii presto che Sabina non era soddisfatta
come moglie di un rispettabile, ben educato, benestante ufficiale. Voleva avere
accesso ai circoli più prestigiosi e usava ogni mezzo possibile- *ogni mezzo*-
per raggiungere il suo scopo. Mio padre la incoraggiava. E, per una volta,
lasciai che mi mettessero da parte." Montoya si alzò in piedi e attraverso la
stanza. Grisham fu certo di sentire un commento appena bisbigliato, "Stupido."
Questo gli
ricordò qualcosa. "Perchè mi incoraggiate a sposare un'aristocratica, se sapete
quale inferno comporta?"
Montoya si fermò
con la mano sulla maniglia e si girò con un sorriso compiaciuto. "Dubito che
Dona Maria Teresa vi darebbe questo tipo di problemi. La sposerei io stesso, ma
, come sapete, sono occupato altrimenti."
Scena 2
Fuori
dall'ufficio del colonnello era uno degli ultimi posti in cui Hector avrebbe
voluto essere. Aveva sempre cercato di stare lontano dallo sguardo delle
autorità. Faceva il suo lavoro, si occupava della famiglia e pagava le tasse.
Per questo era lì: quella tassa sulla persona gli avrebbe reso impossibile
prendersi propriamente cura dei suoi bambini, e per loro valeva la pena
rischiare. Alzò il pugno e bussò alla porta. Non doveva essere chiusa, perchè si
spalancò immediatamente. Quando guardò all'interno, vide una donna seduta dietro
la scrivania del Colonnello Montoya. Lei alzò la testa, scocciata
dell'interruzione.
"Scusate, Senora,"
borbottò, e si girò per andar via.
"Cercate il
colonnello, mio marito?" chiese la donna. La sua voce aveva un tono diverso da
quello che si aspettava. Hector si girò nuovamente a guardarla e vide sul suo
volto un'espressione di benvenuto, che si distese ulteriormente quando si alzò e
lo invitò ad entrare. "Sono Dona Sabina Montoya. Forse posso esservi d'aiuto."
//Dona?Già era
brutto dover parlare con un ufficiale, ma una nobildonna...?//Hector non sapeva
come fosse successo, ma si ritrovò seduto su una sedia di fronte alla scrivania,
mentre sentiva la porta chiudersi. La Senora sorrise di nuovo e tornò a sedersi.
"Ora, Senor..."
stava aspettando il nome.
"Hector Domenico,
" riuscì a gracidare lui.
"Senor Domenico,
cosa può fare mio marito per voi?"
Sembrava che
fosse davvero interessata, quindi Hector si sistemò meglio sulla sedia, si
schiarì la gola e rinnovò la determinazione a trovare una soluzione per il suo
problema. "Senora Montoya, sono venuto per la nuova tassa che ci è stata
imposta." La donna annuì pensosa, lentamente. Questo lo incoraggiò a continuare.
"Ho sempre pagato le tasse, per la vendita del raccolto, ma questa va oltre i
miei mezzi. Sono i miei figli, Dona. Ho sette bellissimi bambini e mi chiedono
di pagare una tassa su di loro. Sono venuto per evitarlo."
Sabina si alzò e
si avvicinò a lui. Con i suoi capelli neri, la pelle chiara e l'espressione
compassionevole e serena, gli ricordava una statua di Nostra Signora che aveva
visto in una cattedrale, durante il suo unico viaggio a Monterrey. La sua voce
era impregnata di rammarico, quando spiegò, "Come dovete sapere, Senor, mio
marito prende molto seriamente la sua posizione. Alcuni potrebbero dire troppo
seriamente, perchè egli è quasi fanatico nella devozione ai suoi doveri. Quest'ordine
è arrivato direttamente dal Vicere in persona."
Si avvicinò
ancora, appoggiandosi leggermente alla scrivania. "Ho tentato di rabbonirlo. Mi
fa piangere il cuore vedere una famiglia dissanguata dal fardello impostole da
un governante che non è a conoscenza della sua condizione." Si sporse ancora un
po' e lui riuscì a sentire un pizzico del suo profumo delicato. Aveva intenzione
di muoversi ad una distanza più conveniente, ma le parole seguenti furono
pronunciate piano e in tono quasi cospiratorio che, nei fatti, lo costrinse ad
avvicinarsi a sua volta. "Ho sentito che c'è qualcuno che cerca di ovviare a
queste decisioni spiacevoli. Una donna...che porta una spada."
"La Regina,"
suggerì lui col fiato mozzato.
"E' vero
allora?Ha aiutato coloro che si trovavano, a causa di circostanze estenuanti,
puniti dalla legge?"
Hector annuì.
Anche se non l'aveva mai vista di persona, le sue imprese erano leggendarie, e
lui ammirava il suo senso di giustizia.
"Forse dovremmo
trarre ispirazione da lei per trovare una soluzione. Come agirebbe al posto
nostro?" La Senora suonava un po' come una maestra che tiene una lezione, ma
nessuna maestra di Hector gli aveva mai parlato così gentilmente o era stata
così bella.
"Lei da l'oro
alla gente che è in pericolo di perdere tutto a causa di..." Hector si ricordò
improvvisamente con chi stava parlando, "dello Stato."
"Perchè non ti ha
dato l'oro delle tasse allora?"
Hector abbassò lo
sguardo sul cappello che teneva in grembo. "Prende l'oro intercettando le
spedizioni per Monterrey. Sono molto sorvegliate dai soldati. Non potevo
chiederle di rischiare la vita per me."
"E tu?Saresti
disposto a rischiare?"
"Rapinare la
spedizione?!Sarebbe un suicidio!" Hector non riusciva a credere che gli stava
anche solo suggerendo una cosa del genere!
La Senora Montoya
rise leggermente. "No, Senor Domenico. Niente di così drastico. C'è un obiettivo
più facile e io lo renderò ancora più attuabile."
Hector non disse
nulla, si limitò a fissarla pensieroso. Lei dovette prenderlo per interesse,
perchè continuò, "Mio marito tiene una notevole quantità d'oro nel suo ufficio.
E' nel mobile dietro di me, nell'ultimo cassetto a destra, che ha un fondo
finto. Ci dovrebbe essere abbastanza oro per pagare le tue tasse e aiutare
qualcun altro a fare lo stesso."
L'idea esercitava
sull'uomo una certa attrattiva...avere il coraggio e la convinzione della
Regina, lo stesso. "Ma non sono un ladro. Sono certo che mi scopriranno."
L'espressione
della Senora cambiò. Hector non riusciva a capire in che modo, ma l'interesse e
la compassione avevano assunto un tono diverso. "Non preoccupatevi. Posso fare
in modo che le guardie si allontanino. Tutto ciò che dovete fare è passare
dall'entrata della servitù e attraversare il cortile. Mi assicurerò che la porta
rimanga aperta."
Questa storia
stava iniziando a preoccuparlo. Stava iniziando a sembrare possibile. "Il
colonnello..."
"Sarà occupato."
Sabina sorrise di
nuovo e Hector capì che non si trattava di speculazione. Si aspettava davvero
che lui andasse fino in fondo. Vide i suoi occhi stringersi pericolosamente,
mentre cercava le parole per dirle che era impossibile.
"Senor Domenico,
non ci state ripensando, vero?" Di nuovo aprì la bocca per dirle esattamente
questo, ma le parole non vennero fuori. Bruscamente, si ritrovò premuto contro
lo schienale con Sabina Montoya molto vicina a lui. Lo guardava come se fosse un
serpente, e lui la sua preda.
"Hector, pare che
abbiamo un problema." La sua voce era bassa e melliflua, e sembrava che lo
avvolgesse nelle sue spire. "Vedi, ti ho detto troppo per permetterti di andare
via così. Forse dovrei urlare?La guardia arriverebbe immediatamente per
scortarti in prigione, dove aspetteresti il mio geloso marito. O potrei
lasciarti andare. Ma siamo stati qui dentro per un po', con la porta chiusa. Se
qualcuno l'avesse notato..." Si allontanò, doveva aver visto la comprensione
farsi strada nei suoi occhi. La facciata melensa era di nuovo al suo posto, ma
ora Hector poteva vedere le crepe.
"Un'ora dopo il
tramonto, stasera." disse infine la donna.
Hector si alzò in
piedi e annuì, segnando il suo destino. Mentre usciva dall'ufficio, giurò che
avrebbe preso solo il necessario a pagare le tasse. Il resto sarebbe andato a
chi ne aveva bisogno. Forse sarebbe riuscito a contattare la Regina, così da non
essere ulteriormente implicato in questa pericolosa faccenda.
Quando arrivò nei
pressi della chiesa, promise di recitare dodici Ave Maria come penitenza per
aver osato comparare Sabina Montoya anche solo a una statua di Nostra Signora.
Note: Il passaggio dal tu al voi è voluto. Scusatemi ancora per il ritardo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Atto terzo, 2 ***
Scena 3
Scena 3
Montoya si coprì
la bocca, indulgendo in un ennesimo ampio sbadiglio. Di recente, andava a letto
sempre più esausto. Avere a che fare con Sabina iniziava a pesargli, e la moglie
era arrivata da soli tre giorni. Solo tre?!In Spagna aveva un'abbondanza di
distrazioni a tenerla occupata, ma lui era il suo unico interesse a Santa Elena.
Non avrebbe resistito a lungo- senza arrivare ad ucciderla.
Questo pensiero
portò un sorriso sul suo volto, e proprio in quel momento la porta della camera
da letto si aprì. L'oggetto delle sue fantasticherie se ne stava sulla soglia e
rispose al suo sorriso. "Che accoglienza dolce." Chiuse con attenzione la porta
ed entrò nella stanza senza attendere un invito.
Il sorriso di
Montoya si affievolì, ma non scomparve del tutto. Era sempre stato attratto
dalle donne esili e delicate e Sabina impersonificava quest'ideale. La sua
figura era abbastanza sottile da non sembrare sproporzionata all'ossatura fine.
La sua pelle chiara aveva ancora il rilucere di una bambola cinese. Quella sera
i setosi capelli neri scendevano sulla vestaglia rosa in una lunga treccia.
Probabilmente non indossava nulla sotto. Poteva anche avere il cuore di una
vipera, ma la sua bellezza era innegabile.
Il colonnello si
alzò e Sabina sembrò considerarlo un incoraggiamento perchè si avvicinò a lui
come se fosse sicura di essere la benvenuta. Montoya aveva dimenticato come
fossero piccole le sue mani, ma erano abbastanza forti da abbassargli la testa,
scivolando tra i suoi capelli, in modo che le loro labbra si incontrassero. Era
molto dolce e questo lo insospettì subito.
Allontanandosi
dal suo bacio, per un lungo momento la fissò negli occhi. Poi le chiese perchè
era venuta da lui.
La moglie gli
rivolse uno sorrisetto civettuolo. "E' passato così tanto tempo Luis?Hai
dimenticato cosa significa essere sposati?"
"Non ho
dimenticato cosa significa essere sposato con te. E sei anni di separazione sono
lunghi abbastanza per capire che non hai rimpianto di stare lontana dal mio
letto. Te lo ripeto, Sabina- perchè sei qui?"
"Non sto
ringiovanendo, Luis." Il sorriso si spense e la donna si allontanò, dandogli le
spalle come se fosse imbarazzata. "Sono cresciuta e ho infine capito che bisogna
trarre il meglio dalla situazione in cui ci si trova."
Il ragionamento
non tornava. Sabina non si era mai accontentata di niente in tutta la sua vita.
Montoya tentò di indovinare. "Chi è lui?"
Lei si voltò
all'improvviso e, a qualcuno che non la conoscesse, sarebbe apparsa shoccata.
"Come hai detto?"
"Ti ha seguita
fin qui?E hai pensato che in questo Paese selvaggio sarebbe stato più semplice
avere una relazione senza censure?Mi dispiace informarti che ti sei sbagliata."
Sabina si
accalorò. Odiava che lui le leggesse dentro come odiava i vezzeggiativi. "Non mi
ha seguita. Non essere assurdo, Luis."
Nel momento in
cui quelle parole lasciarono la sua bocca, Montoya seppe che erano la pura
verità. C'era stato qualcuno in Spagna. Era probabile inoltre che il
trasferimento non era stato una sua idea. Poteva quasi vedere le manovre
politiche che avevano portato il giovane Augustin alla sua prestigiosa posizione
di Vicerè, per costringerla a tornare dal marito. Montoya si chiese quale dei
suoi nemici avesse organizzato tutto.
Questi pensieri
lo fecero sorridere, cosa che servì solo a far innervosire Sabina ancora di più.
Si capiva dalla fermezza della sua mascella e dallo sguardo severo, ma la sua
voce era calma, quasi derisoria, quando disse, "Non è che non mi ami. Lo fa-
appassionatamente. Ma recentemente si è convinto della verità del Giudizio
Universale e sta cercando di rimediare ai suoi peccati. Mi ha supplicata, in
nome del mio amore per lui, di tornare da te. Desidera vedermi di nuovo-- nel
Regno dei Cieli. Dato che Augustin stava partendo per l'America, io l'ho
seguito."
"Và e non peccare
più."
"Qualcosa del
genere."
"Deve essere
molto ricco. E nobile, anche."
Lei rispose con
un sorriso, ma si trattenne dal gongolare.
Montoya era
divertito. Era così prevedibile che sembrava quasi una farsa. Raggiungendo il
corridoio, le sussurrò mentre le passava accanto, "I tuoi metodi di seduzione
lasciano molto a desiderare, Sabina."
Scena 4
Il Colonnello si
diresse al suo ufficio. Aveva sempre pensato a questo luogo come a un santuario,
il luogo in cui si sentiva più sicuro, dove si concentrava il suo potere. Sabina
l'aveva usurpato i giorni passati, ma ora era certo che non l'avrebbe trovata
lì. E non l'avrebbe neanche seguito attraverso il cortile, con indosso solo la
vestaglia.
A pochi passi
dalla porta, udì un suono che non avrebbe dovuto esserci, come di mobili che
venivano spostati e poi il tonfo di qualcosa che veniva poggiato con mano
pesante. Montoya si affacciò al balcone e fece segno ai soldati di sentinella in
piazza di raggiungerlo in silenzio. Poi, aprì la porta dell'ufficio.
Un lume era
acceso, anche se molto basso, e illuminava un cassetto, con il falso fondo
rimosso, e un uomo che teneva tra le mani una sacca di oro. Montoya lo
riconobbe, aveva visto Hector Domenico andare in chiesa ogni domenica, con una
fila di bambini che lo seguivano come le paperelle. Era l'ultima persona che si
sarebbe aspettato di trovare in quella situazione.
"Senor Domenico.
Gentile da parte vostra venire a trovarmi." Quando si è confusi, la cosa
migliore è essere educati. Montoya udì i passi di due soldati proprio dietro di
lui.
Domenico doveva
averli visti perchè sospirò e ripose la sacca nel cassetto. "Sono passato per
discutere della nuova tassa, Colonnello," tentò.
Montoya sorrise:
pochissimi uomini erano capaci di mantenersi composti quando erano sorpresi a
commettere un crimine di tal fatta. Ordinò ai soldati di arrestare l'intruso e
si voltò a vedere chi altro stava salendo le scale. Era Grisham.
"Un visitatore
notturno, Colonnello?"
"Sembra proprio
così, Capitano. E la domanda è, come ha fatto ad arrivare nel mio studio con i
vostri uomini di guardia?"
Questo lasciò
Grisham a corto di parole, ma piuttosto incollerito. Ordinò rabbiosamente di
portare il prigioniero in carcere. "E perquisitelo. Controlleremo anche a casa
sua domani mattina, per vedere se ha rubato anche dei guanti."
Domenico guardò
il capitano da sopra la spalla con espressione confusa. Neanche Montoya era
certo di aver capito bene. Grisham si limitò ad alzare le spalle, "Potrebbe
essere lui."
L'incredulità di
Montoya si trasformò in disgusto. Era tipico di Grisham tentare una cosa del
genere. Lui stesso non era ostile all'utilizzo di un capro espiatorio quando
necessario, ma non avrebbe lasciato che il capitano se la cavasse così
facilmente. "Sbattetelo in prigione e basta, Capitano." E lanciò uno sguardo
significativo anche ai soldati. "Me ne occuperò personalmente. Domani."
Dal balcone
controllò che i suoi ordini venissero eseguiti, poi rimase a speculare sugli
eventi dell'indomani. Le tende della camera di Sabina si mossero. Un brivido gli
corse lungo la schiena. Avrebbe dormito un sonno leggero quella notte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Atto quarto, 1 ***
Scena 1
Scena 1
Tessa aveva
appena evitato un cespuglio tornando a casa dalla sua cavalcata mattutina,
quando vide un altro cavaliere che lasciava l'hacienda. Incitò il cavallo e
corse dritta da Marta. "Qualcosa non va? Ho visto un uomo che galoppava in
direzione del paese.."
"Hmm? No.
Era solo un amico che mi aveva delle notizie da darmi. Doveva tornare a casa."
Se Marta non
fosse sembrata tanto preoccupata, Tessa l'avrebbe punzecchiata riguardo al suo 'amico'.
Invece domandò, "Che è successo?"
Marta rimase
pensierosa per qualche minuto prima di darle retta. "Sembra che Hector Domenico
sia stato arrestato. E' stato catturato nell'ufficio di Montoya con una borsa
piena d'oro. E' stato il Colonnello stesso a sorprenderlo e le guardie l'hanno
raggiunto immediatamente."
"Non è il
Domenico di cui ho sentito parlare. Ho sempre pensato che fosse un uomo onesto,
gentile e responsabile."
"Lo è. E ama
molto la sua famiglia-la moglie e tutti e sette i bambini."
Tessa impallidì
leggermente. "Sette?"
"Ama sua moglie
*davvero* molto," scherzò Marta.
"Capisco che la
nuova tassa deve avergli creato non pochi problemi. L'ha reso così disperato?"
"Non so. Qualcosa
mi puzza." Marta stava di nuovo assumendo quell'espressione distratta.
"Dobbiamo
scoprire cosa sta succedendo." Tessa aveva quasi raggiunto la porta quando Marta
la fermò e la fece imperiosamente sedere su una sedia.
Resse il suo
sguardo per qualche secondo. "Questa potrebbe essere una trappola di Montoya,"
la avvertì, molto seriamente. "Dobbiamo essere più che prudenti. Non possiamo
fare niente che gli faccia sospettare un interesse particolare in Hector. Io
potrei andare a Santa Elena a comprare delle cose che abbiamo dimenticato
l'ultima volta, nessuno ci farà caso. Sicuramente Lucita sarà nel pueblo e avrà
parlato con il marito. Se io la incontrassi per caso, sarebbe doveroso offrirle
la mia comprensione."
"Posso farlo io.
Parlare con la Senora Domenico."
"Tu non l'hai mai
conosciuta di persona. Perchè una Dona dovrebbe interessarsi ai problemi di una
contadina? E soprattutto una che non lavora nelle sue terre? Io l'ho aiutata a
badare ai bambini durante l'epidemia dei polli. Siamo più che semplici
conoscenti."
"Ma..."
Marta la
interruppe, con uno sguardo malizioso. "Se proprio vuoi cercare delle
informazioni in città, puoi sempre chiedere al Capitano Grisham. Sono sicura che
coglierebbe al volo l'occasione di una conversazione privata."
Tessa alzò gli
occhi al cielo, ammettendo la sconfitta. "Non metterci troppo."
Scena 2
"Senor Domenico,
ho tardato a venire qui perchè sono ancora sconvolto. Siete l'ultima che avrei
ritenuto capace di indulgere nell'attività criminale. Siete un esempio di virtù
nella nostra comunità - marito fedele, padre amorevole, lavoratore diligente.
Che diavoleria ha provocato quest' azione?
'Diavoleria' era
troppo vicino alla verità perchè Hector potesse negare, ma non era uno stolto.
"Temo, Colonnello, che dire la verità sarebbe un crimine maggiore che quello de
semplice furto."
"Il furto, per la
rappresentanza della corona Spagnola, non è un problema semplice. E avete udito
l'espressione-- 'la verità ti rende libero'."
"Credo che
renderebbe libera la mia anima, Colonnello."
"Questo è già il
vostro destino, Senor. Non potete peggiorare la situazione. Sarebbe meglio
liberarvi da questo peso prima di incontrare il boia. Tutto quello che io
domando riguarda il furto. Con il resto vi aiuterà un prete."
La gravità della
situazione calò lentamente su Hector. Si lasciò cadere pesantemente sulla panca,
le ginocchia improvvisamente deboli. La stanza iniziò a girare ed egli appoggiò
la testa al muro, pregando, mentre il senso di svenimento si placava lentamente.
Quando aprì di nuovo gli occhi, Montoya era nella cella insieme a lui,
appoggiato alla parete di fronte, e aspettava pazientemente il racconto
dell'intera storia.
Hector si
raddrizzò. Avrebbe parlato. Senza belletti o esagerazioni e senza tralasciare
nulla. E l'avrebbe detto a chiunque avrebbe voluto ascoltare. Se stava per
affrontare il giudizio finale, sarebbe morto senza lasciare misteri dietro di
lui riguardo al suo carattere o alle sue motivazioni. Non era orgoglioso delle
sue azioni, ma la colpa non era solo sua. Guardò Montoya negli occhi e iniziò a
raccontargli dell'incontro con la Senora nell'ufficio del colonnello.
Montoya non si
mosse durante il resoconto, né reagì in alcun modo al comportamento indegno
tenuto da sua moglie. Quando Hector ebbe finito, il colonnello rimase immobile
ancora per pochi istanti e poi fece un respiro profondo. "Tutto ciò è piuttosto
inquietante, Senor. Credo vi rendiate conto che senza testimoni avrete non poche
difficoltà a dimostrarlo. Mentre l'evidenza delle vostre azioni criminali è
innegabile."
Hector non
aspettava altro. La sua espressione dovette provarlo, perchè un leggero sorriso
passò sulle labbra del colonnello quando continuò, "E' abbastanza, comunque, per
aprire un'indagine. La verità vi ha garantito un'altra alba, Senor. Vi
permetterà anche tutti i visitatori che vorranno vedervi fino al tramonto di
stasera. Sono certo che vostra moglie è qui fuori."
La pena di morte
non era stata commutata, ma Hector era grato di poter vedere di nuovo Lucita, se
non altro per chiederle perdono. Montoya lasciò la cella e ordinò alla guardia
di chiudere la porta. Aveva già fatto un paio di passi verso l'uscita quando si
girò di nuovo verso Hector. "Vi suggerisco che uno di quei visitatori sia il
prete."
Scena 3
Tessa udì la
porta chiudersi e attese che Marta giungesse in salotto per dirle cosa aveva
scoperto in paese. Era stato necessario tutto il suo autocontrollo per non
seguirla come Regina, ma, dato che non aveva avuto notizia di un'imminente
impiccagione, riteneva che avrebbe avuto tempo almeno fino al tramonto per
sistemare Hector. Montoya era solito programmare le sue esecuzioni in orari
drammatici- alba, mezzogiorno, tramonto. In quel momento Tessa stava scaricando
i nervi andando nervosamente avanti e indietro nella stanza, in attesa che
l'amica confermasse i suoi sospetti.
Alla fine si rese
conto che Marta non aveva intenzione di raggiungerla, quindi decise di andare
lei in cucina e sentì il rumore metallico di barattoli che sbattevano e quello
di credenze che venivano aperte. Marta stava sistemando la spesa. Tessa restò
sulla soglia della cucina, troppo irritata per dire qualcosa.
"Cosa?" chiese
Marta, quando finalmente guardò bene l'espressione di Tessa.
C'era bisogno di
chiederlo? "Avevi intenzione di lasciarmi di là a preoccuparmi e farmi domande?"
Marta alzò le
spalle. "Non c'è niente di urgente e sapevi di trovarmi qui." E continuò
tranquillamente con le faccende.
Il commento non
era però riuscito a calmare Tessa. "Niente di urgente potrebbe dire che è già
morto?!"
"Potrebbe- ma non
è." Ma sorrise quando Tessa scivolò lungo la parete. "La condanna è stata
rimandata a domani, quando il colonnello avrà finito di investigare."
Questo aveva
l'aria di una buona notizia. Forse la situazione non era terribile come avevano
pensato. Ma cosa era successo allora? Montoya non arrestava la gente a caso;
aveva sempre una scusa-- anche se debole.
Marta doveva aver
intuito la domanda prima che Tessa la pronunciasse. Le indicò una sedia e prese
posto a sua volta intorno al tavolo. "Lucita è uscita dalla prigione proprio
quando io ho finito di fare la spesa. Stava tremando ed era sconvolta, quindi
l'ho accompagnata a casa. Nel frattempo mi ha detto tutto ciò che Hector le
aveva raccontato. Sembra che avesse intenzione di rubare i soldi di Montoya per
pagare le sue tasse. Hector non ha ideato il piano da solo; è stata la *Senora*
Montoya a indicargli il nascondiglio dell'oro e il modo in cui entrare
nell'ufficio. Quando Hector ha avuto dei ripensamenti e ha tentato di
rifiutarsi, lei l'ha minacciato di accusarlo di un crimine più grave. Il suo
errore più sconsiderato è stato restare solo con la senora per un considerevole
lasso di tempo."
Tessa annuì.
Aveva capito la minaccia di Sabina. Chiunque conoscesse Hector, o almeno avesse
sentito parlare di lui, avrebbe capito che accusarlo anche solo di guardare
un'altra donna sarebbe stato ridicolo. La sua devozione a Lucita era quasi
leggendaria. Ma non era la verità che contava, purtroppo; era l'apparenza. Solo
l'accusa della moglie del colonnello era sufficiente a causare non pochi
problemi. Marta continuò con la storia, "Anche se Hector non è il primo cui si
pensa come ladro, la senora ha promesso di liberargli la strada. Ma
evidentemente non ha rispettato a fondo la promessa, perchè Montoya l'ha colto
in flagrante."
"E lui ha
raccontato tutto ciò a Montoya?" domandò Tessa. Marta annuì. "E l'ha detto anche
a Lucita?" Di nuovo, Marta annuì, questa volta con un cipiglio perplesso.
"Quindi Montoya può impiccarlo per diffamazione, oltre che per furto." Marta
chiuse gli occhi e annuì per la terza volta.
"Hector crede che
Montoya gli abbia creduto," disse Marta, tentando di vedere il tutto in una luce
positiva.
Tessa decise che
era arrivato il momento di indossare gli abiti della Regina. "Non ha importanza,
Marta. Montoya non arresterà sua moglie e Hector ha comunque tentato di rubare
nel suo ufficio. Devo tirarlo fuori di lì, stanotte."
Note:
Lo so, sono terribilmente in ritardo con l'aggiornamento!La motivazione è che
sono attualmente impegnata con una bruttissima faccenda che prende il nome di
Esame di Stato. Comunque state tranquilli, manca solo un capitolo e poi
l'epilogo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Atto quarto, 2 ***
Scena 4
Scena 4
Era quasi
diventata una routine. Tessa lasciò Chico prima di entrare nel pueblo. Avrebbe
raggiunto la prigione dal retro e si sarebbe arrampicata sul tetto. Poi avrebbe
controllato la posizione delle guardie, si sarebbe gettata su di loro-
letteralmente- e avrebbe liberato il prigioniero. Semplice.
Si era appunto
sollevata di appena un metro quando ebbe improvvisamente la sensazione di non
essere sola. Prima che potesse girarsi, la sensazione fu confermata dal suono di
una voce familiare. "Sapevo che avresti abboccato. Stai diventando fin troppo
prevedibile."
Tessa estrasse la
spada mentre i piedi toccavano terra e si girò per parare il tentativo di
Montoya di perforarle il cuore dal dietro. "Anche voi, Colonnello. Posso anche
combattervi con gli occhi chiusi e dandovi la schiena." Non aveva gli occhi
chiusi, ma Montoya non poteva saperlo.
O forse si. Il
sorriso che le rivolse brillava di una gioia feroce. Tessa si rendeva conto che
ultimamente aveva iniziato a condividere quel sentimento. Montoya era il suo
unico sfidante degno della sua abilità. Grisham era forte, veloce e pericoloso,
ma non possedeva le agili movenze di uno spadaccino professionista. Il
colonnello si era evidentemente allenato in Spagna e doveva essere stato un
alunno molto abile. L'unica negatività nei loro duelli era che lui aveva davvero
intenzione di ucciderla. Le mancavano i giorni dei combattimenti impegnativi, ma
amichevoli.
Il duello seguì
la solita procedura: uno dei due era in vantaggio, poi l'altro. Non era mai
prevedibile, tuttavia. Era come se ognuno di loro guadagnasse abilità con ogni
combattimento, imparando l'uno dall'altro, imparando l'uno *dell'* altro. La
stessa mossa non funzionava mai due volte. Fu un nuovo trucco che Tessa ideò lì
per lì a far aggrovigliare le loro spade e far finire entrambe le punte sul
terreno. Nell'immobilità e nel silenzio dell'imprevista pausa, entrambi lo
udirono-- il click di una pistola che veniva caricata.
Tessa iniziò a
vedere con più acutezza. Erano tutti e due leggermente piegati, entrambi usavano
il terreno per tenere ferma la spada dell'altro. Poteva sentire il calore del
braccio di Montoya contro il proprio, dalla spalla al gomito. Anche se lui
indossava solo la camicia in quella notte fresca, l'intensità del duello aveva
reso lucenti di sudore il suo viso e il collo. Una gocciolina stava scendendo
dalla fronte lungo il perimetro del volto. I suoi occhi, però, non guardavano
lei, quindi Tessa seguì il suo sguardo lungo le tenebre che li circondavano. E
vide la pistola che veniva sollevata. Sembrava ridicolmente grande nelle mani
delicate di Sabina.
"La sua lealtà è
toccante," commentò Tessa, cercando di suonare tranquilla a tiro di una pistola
carica.
"Lo sarebbe, se
stesse puntando a te," replicò Montoya ugualmente calmo, rimettendosi dritto,
lentamente, e urlo, "Sparale!"
Due pistole
fecero fuoco quasi simultaneamente. Tessa chiuse gli occhi. Le avevano già
sparato una volta, sapeva cosa aspettarsi. Poi li aprì di nuovo, confusa. Niente
dolore, niente improvvisa debolezza. Non era stata sfiorata.
Si guardò intorno
disorientata. Montoya era caduto e stava cercando invano di rimettersi in piedi.
Sulla sua spalla il sangue stava iniziando a scorrere. Tessa cercò Sabina con lo
sguardo e la vide distesa a terra. Il suono di una spada che veniva sguainata
alle sue spalle la riportò alla realtà della sua situazione. Si voltò per vedere
Grisham avvicinarsi con la spada in una mano e la pistola nell'altra. Il rumore
di altri passi decise per lei. Al momento, non era in condizioni né fisiche, né
mentali, di affrontare l'esercito. Avrebbe cercato di salvare Hector più tardi.
Ora come ora poteva solo scappare.
Grisham la vide
correre nel buio a grande velocità. "La Regina ha sparato al Colonnello!" urlò
ai suoi uomini. "Inseguitela!!"
Quando i soldati
si furono allontanati, Montoya alzò gli occhi. "La Regina mi ha sparato?"
chiese, con uno sguardo che si interrogava chiaramente su cosa stesse
architettando Grisham.
"Non credevo che
voleste far sapere a tutto il mondo che vostra moglie voleva uccidervi. Se la
Regina non vi ha sparato, l'ho fatto io. E ho già abbastanza problemi senza
sparare al mio ufficiale in comando."
Montoya sorrise e
annuì. Grisham ne fu un po' stupito,ma...a caval donato non si guarda in bocca.
Aiutò il Colonnello a rimettersi in piedi e lo guardò avvicinarsi alla moglie.
Montoya si inginocchiò accanto a lei proprio mentre il dottor Helm voltava
l'angolo. Aveva in mano la sua borsa e si stava ancora sistemando i vestiti con
l'altra.
"Ho sentito che
il colonnello è ferito," spiegò, fermandosi per un attimo davanti a Grisham.
Questo si sforzò
di reprimere i commenti acidi che il dottore sembrava ispirargli ogni volta. La
situazione era seria. "Infatti...e anche la Senora Montoya."
Helm corse a
controllare la donna e Montoya si spostò per lasciargli il campo libero. Senza
farsi vedere, il colonnello passò a Grisham la pistola di Sabina. Non ci voleva
un dottore per capire che era morta rapidamente. C'era sangue al centro del suo
petto, ma la macchia non era larga, perchè il suo cuore aveva smesso di battere
appena era stato trapassato dal proiettile.
Helm si rialzò,
la confusione evidente sul suo viso. "Come...?"
Montoya rimase in
silenzio, quindi toccò a Grisham occuparsi della versione ufficiale. "La Regina
aveva la pistola puntata contro il colonnello. Abbiamo sparato entrambi nello
stesso istante. Il colonnello deve essersi mosso al momento giusto, ma anche la
Regina. L'ho mancata completamente. La Senora Montoya è stata attirata dal
rumore delle spade, come me. Il proiettile ha colpito lei."
"Incredibilmente
preciso per essere un colpo accidentale," notò Helm, sospettoso.
"Mi assicurerò
che la mia pistola venga bilanciata," rispose Grisham.
"La Regina non
usa armi da fuoco."
//Maledizione,
perchè non può semplicemente lasciare perdere?!// Grisham sentiva che non
avrebbe mantenuto il controllo a lungo.
"Forse non si
fida più della sua abilità come spadaccina," rifletté Montoya. "Non so perchè se
ne sia servita, stasera. Quello che so, Dottore, è che un momento prima mi vedo
puntare contro una pistola e quello dopo mia moglie è morta." L'insolita, cruda
emozione nella voce di Montoya zittì si Grisham che Helm.
Il dottore fu il
primo a riprendersi. "Le mie scuse, Colonnello. Non è il momento per le domande.
Andiamo nel mio ufficio. La vostra spalla ha bisogno di cure."
Montoya,
improvvisamente, sembrò molto stanco. "E' una ferita superficiale, Dottore,
lasciamo che sanguini per un po'. Preferisco che vi occupiate del corpo di
Sabina. Portatelo nella chiesa, manderò qualcuno per aiutarvi. Poi ci vedremo
nel mio ufficio."
Sembrava che Helm
avesse intenzione di protestare, ma infine annuì. Il colonnello si rivolse a
Grisham. "Trova la Regina!" ringhiò. E andò via.
Scena 5
Aveva sentito lo
stridio del metallo e gli spari. Per qualche minuto, Hector si convinse che la
Regina di Spade l'avrebbe salvato. Poi aveva udito Grisham urlare comandi ai
suoi soldati e si era rabbuiato. L'ultimo abbraccio della sua Lucita sarebbe
stato attraverso le sbarre della cella e l'ultimo sguardo ai suoi figlioli
attraverso la corda dell'impiccato.
Sedeva sulla
branda nuda, perso in questi pensieri bui, quando Montoya entrò in prigione. La
guardia si mise sull'attenti e poi sussultò alla vista del sangue che impregnava
la camicia di Montoya.
Il colonnello
azzittì le eventuali domande. "Il dottore ha bisogno di aiuto e i tuoi compagni
stanno inseguendo la Regina di Spade. Quest' uomo non va da nessuna parte. Và
dal dottor Helm e fai quello che ti dice."
Il soldato fece
il saluto e uscì.
Montoya prese le
chiavi dalla scrivania e si avvicinò alla cella. Hector riusciva a vedere la
sofferenza sul suo viso e il fatto che aprisse la porta con una sola mano
confermò che il sangue era il suo. La Regina aveva davvero sparato a Montoya? E
perchè il colonnello aveva aperto la cella?
La sua confusione
doveva essere ben visibile, perchè Montoya aprì di più la porta. "Ascolta
attentamente," spiegò piano. "La Regina di Spade ti ha aiutato a fuggire. Se ti
fai catturare, sarai impiccato per furto e per diffamazione nei confronti della
mia defunta moglie. Ti suggerisco di correre molto veloce. La tua famiglia ti
può raggiungere dopo- se è ciò che desideri veramente."
Hector non aveva
parole, era sotto shock. Avrebbe abbracciato di nuovo sua moglie e i bambini.
Avrebbero dovuto abbandonare tutto ciò per cui avevano lavorato, ma era ancora
vivo e avrebbero potuto ricostruire.
Solo quando
Montoya si allontanò, tutte le sue parole si fecero chiare nella sua mente. La
Senora era morta. Allora riconobbe la tristezza e il rimpianto che si
nascondevano nelle ultime parole-- 'Se è ciò che desideri veramente.'
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Epilogo ***
Epilogo
Epilogo
La messa del
funerale era finito e la piccola chiesa era quasi vuota. Tessa si voltò per
lanciare un ultimo sguardo alla sola persona che era rimasta indietro. Il Colonnello
Montoya si era spostato dalla navata centrale a uno degli altari laterali. Il
prete l'avrebbe accompagnato entro un'ora a deporre il corpo della moglie nel
cimitero, appena fuori dal pueblo. Montoya aveva chiesto di seppellirla da solo
e nessuno aveva creduto necessario insistere.
Marta sfiorò il
braccio di Tessa, per attirare la sua attenzione ed entrambe le donne si
avviarono al carro. Tessa prese nota del cambiamento sulla bacheca quando vi
passarono davanti. "Il colonnello ha abrogato la tassa a nome di Sabina. Ho
sensazione che a Monterey non si lamenteranno. Montoya non si sarebbe messo nei
guai per una donna che lo voleva morto."
"Sei sicura che
la moglie stava tentando di ucciderlo?Poteva essere un espediente per liberarsi
di lei."
"Ma allora perchè
non incolpare la Regina della sua morte?Avrebbe dato al colonnello una buona
scusa per arruolare più uomini e i Don l'avrebbero appoggiato. No, Montoya era
sorpreso quanto me di vederla e non ho dubbi che abbia creduto che lei volesse
ucciderlo. Anche Grisham deve averlo pensato. Nessuno ha cercato di colpire me."
Tessa si
interruppe, rabbrividendo al pensiero. "Ho visto il suo sguardo, Marta. Sono
certa che qualcuno avesse intenzione di accusarmi di una morte, ma era quella di
Montoya. Deve averlo pensato fin da quando ha costretto Hector a rubare
nell'ufficio. Forse il suo proposito venendo qui era proprio di diventare
vedova."
Si girò a
guardare ancora la chiesa e per la prima volta sentì qualcosa di simile alla
pietà nei confronti del Colonnello Montoya. "Mi chiedo come sia essere
eternamente legati a qualcuno che ti odia. Mi ricordo che una volta ha parlato
di un uomo che scopre troppo tardi di aver fatto una scelta sbagliata riguardo
alla moglie. All'epoca, ho pensato che cercasse di essere cinico, non che
parlasse di se stesso."
"Non mi
preoccuperei troppo per lui," disse Marta, prendendola a braccetto e spingendola
di nuovo verso il carro. "Probabilmente lo trasformerà in un giorno da
celebrare, come l'anniversario della morte del padre."
Tessa lanciò un
sguardo alla chiesa da sopra le spalle. "Mi chiedo se ha delle buone ragioni
anche per celebrare quello."
FINE
Note: Eccoci alla fine!Sono indecisa se continuare con qualche
altro episodio, oppure finire qui. Se qualcuno è interessato a leggere il
seguito, me lo faccia sapere, perchè questa non è una serie seguita da molti.
Grazie e a presto (spero!)
Francesca5
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=120843
|