Unfortunate choice

di Eliza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Atto primo,1 ***
Capitolo 3: *** atto primo,2 ***
Capitolo 4: *** atto secondo, 1 ***
Capitolo 5: *** atto secondo, 2 ***
Capitolo 6: *** Atto terzo, 1 ***
Capitolo 7: *** Atto terzo, 2 ***
Capitolo 8: *** Atto quarto, 1 ***
Capitolo 9: *** Atto quarto, 2 ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Episodio 2

Episodio 2 (seconda stagione virtuale) Storia originale:http://www3.sympatico.ca/maril.swan/qosvs/Uchoice1.htm

Prologo

"Tessa, penso che ci servirà lo zucchero. Dobbiamo fare la marmellata con un po' della frutta che Don Ricardo ci ha promesso."

Tessa non riusciva a staccare gli occhi da qualsiasi cosa stesse guardando attraverso la finestra del negozietto. "Fai come credi, Marta." udì distrattamente che la donna stava confermando l'ordinazione per il rifornimento mensile, quando la carrozza da Monterrey rallentò fino a fermarsi. Si spostò nel portico coperto del negozio, per avere una visuale migliore.

"Cosa c'è di così affascinante?" chiese Marta, affacciandosi dalla sua spalla.

Tessa si voltò con un sorrisetto di scusa. "Guarda la carrozza. Non pensavo che sarebbe riuscita ad attraversare la piazza senza ribaltarsi." Il mezzo era carico di bauli e scatole, borse e oggetti attentamente incartati. C'era anche una specie di enorme tappeto. Tessa diede di gomito all'amica e indicò la piazza con la testa. "Andiamo."

Colse il sorriso indulgente di Marta con la coda dell'occhio, prima che questa la seguisse. Un nuovo arrivato nel piccolo pueblo era sempre un evento, e il proprietario di una tale quantità di bagagli doveva essere più di un visitatore casuale. Tessa si concesse di speculare un po', il tempo di avvicinarsi alla carrozza. Un mercante avrebbe posseduto un proprio carro, non si sarebbe servito della corriera. Forse un nuovo residente, ma Tessa non ricordava la vendita di una delle case in città o di una hacienda. Un parente di una delle famiglie locali, allora.

Alla vista di una signora che emergeva dalla portiera, i sospetti di Tessa furono confermati. Era una donna benestante ed evidentemente era arrivata da poco dalla Spagna. Esibiva la stessa espressione condiscendente e delusa che la maggior parte dei nuovi arrivati assumeva appena posato piede nella piazza polverosa. Tessa sorrise tra sé. Quella donna avrebbe facilmente imparato ad amare la sua terra e dopo appena un anno si sarebbe domandata come avesse mai potuto vivere altrove.

"Buenas tardes, Senorita. Benvenuta a Santa Elena. Sono Tessa Alvarado. Qualcuno deve venire a prendervi?"

Gli occhi castani che osservarono Tessa furono, per un attimo, duri e giudicanti, ma il sorriso che subito apparve sui lineamenti delicati riuscì ad addolcirne l'espressione. "Grazie per il gentile benvenuto, Senorita Alvarado." gli occhi della signora iniziarono a vagare e Tessa si sentì come se fosse stata sommariamente messa da parte, finché la donna continuò, "No, il mio arrivo non è stato annunciato. Se potete indicarmi la residenza del governatore militare, darò disposizioni di rimuovere queste macerie dalla piazza." fece un gesto casuale in direzione della crescente pila di bagagli scaricati dalla carrozza. I suoi modi rilassati nei confronti dei propri possedimenti non si estesero al modo in cui continuava a scrutare ansiosamente la piazza, come in cerca di qualcuno.

Tessa dubitava che Montoya sarebbe stato felice di doversi occupare dei bagagli mentre la signora contattava chiunque avrebbe dovuto essere il suo ospitante. Con questo pensiero divertito in mente, Tessa indicò il grande edificio che dominava un lato della piazza. "Quello è l'ufficio del Colonnello, Senorita..." si interruppe, attendendo che l'altra si presentasse.

Il sorriso della donna crebbe ulteriormente alla vista della struttura imponente e per la prima volta concentrò l'attenzione direttamente su Tessa. "E' Senora, in realtà...Senora Montoya."

Note: questo è il seguito di "Mirror, mirror" by Maril Swan, precedentemente pubblicata su questo sito, ma può anche essere letta come una storia a sé.

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Capitolo 2
*** Atto primo,1 ***


Scena 1

Scena 1

"Voglio che il colpevole sia catturato, Grisham. Può sembrare una cosa da niente adesso, ma questo tipo di comportamento porta solo a crimini peggiori. Non lascerò che le donne della comunità siano trattate in questa maniera."

"Sono soltanto spariti dei guanti, signore."

"Sono *sette* paia di guanti, e l'ultimo è scomparso dal comodino di Dona Juanita. Il ladro sta diventando più audace. Chi sa cosa sparirà la prossima volta?" Montoya guardò il suo capitano e si abbandonò ad un sospiro drammatico. Grisham sapeva che era dipeso dal proprio ampio sorriso, ma non era riuscito a resistere. Tutta questa faccenda dei guanti stuzzicava il suo senso dell'umorismo.

I due uscirono dal cortile delle rose, diretti in piazza, mentre il Colonnello consultava i rapporti che si era portato dietro. Grisham, in attesa di ricevere ordini, ne approfittò per guardarsi intorno. Un facchino stava scaricando un'incredibile quantità di bagagli da una carrozza e il capitano non riconobbe la donna che parlava con Tessa Alvarado. Forse era una sua amica. Questo gli avrebbe reso ancora più difficile corteggiarla: ora aveva delle scuse reali per non passare del tempo con lui. Si rivolse a Montoya. "Signore, voi sapevate che qualcuno verrà ospitato alla hacienda Alvarado?"

"La Senorita Alvarado non mi informa di..." ma il commento di Montoya gli morì in gola, quando questi alzò gli occhi per prendere nota del nuovo arrivo. Strinse le labbra in una linea sottilissima, chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Quando li riaprì per fissarli sulla donna misteriosa, lo sguardo che le lanciò avrebbe potuto ucciderla sul colpo. Riprese a respirare, accompagnando il tutto con una serie di imprecazioni, alcune delle quali erano sconosciute anche ad un soldato di carriera quale era Grisham.

Chiunque fosse capace di produrre una tale reazione nel Colonnello meritava la sua attenzione. "Chi è quella?" chiese cautamente il capitano.

"Mia moglie."

Era l'ultima cosa che Grisham si sarebbe aspettato di sentire.

Nel breve tempo che gli occorse per raggiungere la donna, il capitano vide Montoya trasformarsi dal rude soldato cui era abituato, al raffinato gentiluomo che il resto del pueblo conosceva. "Sabina. Che sorpresa inaspettata." Montoya prese la mano di sua moglie, la baciò velocemente, e la lasciò andare senza indugio.

Sabina fece una rapida ispezione del marito e, a giudicare dalla sua espressione, Grisham avrebbe detto che era stata superata per un soffio. "Luis. Ti trovo bene."

"Devo fare le presentazioni?" domandò Montoya, accennando a Tessa.

"Mi sono presa la libertà di presentarmi alla Senora Montoya," spiegò lei, che tratteneva a stento l'eccitazione per questa scoperta inaspettata. "Non sapevo che foste sposato, Colonnello. Non avete mai menzionato una moglie."

Grisham quasi fece una smorfia al commento malizioso di Tessa, ma , in effetti, lei non aveva potuto assistere alla reazione iniziale del Colonnello. Come al solito, Montoya rispose con falsa naturalezza, "A volte, quando qualcuno è separato dalla famiglia, è meno doloroso non parlarne. Solo il ricordo è spesso causa di patimento." A parte Montoya stesso, Grisham fu il solo a notare il piccolo sorrisetto malvagio che apparve sulle labbra della Senora in risposta al suo commento.

"Mi occupo dei bagagli, Colonnello," annunciò Grisham, che preferiva essere fuori tiro quando la bomba sarebbe stata innescata. Poteva già vedere la miccia accendersi dopo il primo, breve scambio di opinioni.

Montoya annuì. "Ottima idea, Grisham. Sabina, posso presentarti il Capitano delle guardie, Marcus Grisham?Capitano, Dona Sabina Ortiz Montoya."

Grisham chinò la testa sulla mano della donna, e lei rispose con un cenno educato. Poi, il capitano si allontanò e chiamò un paio di soldati che trasportassero effettivamente le valigie, mentre lui continuava ad ascoltare l'interessante conversazione.

"Se mi avessi informato dei tuoi piani, avrei dato disposizioni per il tuo arrivo. Scoprirai che io vivo in modo molto spartano."

Grisham intercettò gli occhi di Tessa ed entrambi sollevarono le sopracciglia. Poi, con un sorriso, la ragazza interruppe il momento di condivisione e si girò a parlare con Marta. Sabina, intanto, si era messa sottobraccio al marito e si stava dirigendo al suo alloggio.

"Ho deciso velocemente, non c'è stato il tempo di scrivere. Per quanto riguarda la sistemazione, sono sicura che posso renderla accettabile."


Scena 2

Sabina Montoya era un mistero troppo interessante per non essere investigato, quindi Tessa aveva convinto Marta a tornare da sola a casa con i rifornimenti. Era sicura che avrebbe trovato un passaggio per tornare all'hacienda più tardi. E, nella peggiore delle ipotesi, Grisham avrebbe colto al volo la possibilità di restare solo con lei. Finora, Tessa era riuscita ad evitare i suoi numerosi tentativi di corteggiarla, ma il capitano era tenace e stava diventando impaziente. Una piccola concessione da parte sua era d'obbligo a questo punto. Era disperata quando gli aveva dato il permesso di corteggiarla e adesso non riusciva a trovare il modo di revocarlo senza che lui si arrabbiasse...o sospettasse qualcosa.

Tessa sapeva esattamente dove iniziare a cercare informazioni e Vera era al suo solito tavolo nel patio coperto della Cantina. "Tessa, non mi aspettavo di vedervi oggi. Unitevi a me." Quando Tessa sedette, si rese conto di venire studiata molto attentamente. Infatti, appena si mise comoda, l'altra si avvicinò, "Ditemi. Secondo me morite dalla voglia di condividere qualche segreto."

Tessa sorrise. Se c'era qualcuno che poteva avere informazioni sulla Senora Montoya, quel qualcuno era Vera. "In effetti, Vera, speravo che voi poteste dire qualcosa a me."

Vera tornò a ad appoggiarsi allo schienale e strinse gli occhi con sospetto. "Riguardo a cosa?"

"Voi eravate a Santa Elena quando arrivò il Colonnello, no?"

Evidentemente non era quello che la Senora si aspettava di sentire, perchè sbatté le palpebre un paio di volte, prima di ricomporsi, e rispose con un sorriso. "In realtà no. Io e Gaspar abbiamo viaggiato sulla nave seguente, appena dopo le nozze. Gaspar ha conosciuto il colonnello pochi giorni prima che lasciasse la Spagna, tramite conoscenti comuni. Perchè vi interessa?E' stato più di quattro anni fa."

"Ha mai menzionato il fatto di avere una moglie in tutto questo tempo?"

Vera sollevò le sopracciglia. "Non che io ricordi, ma forse Gaspar ne sa di più...No, me l'avrebbe detto. Perchè mi domandate di una moglie?"

Tessa gongolò. Era davvero stupido, ma si sentiva come se avesse vinto un premio per sapere qualcosa prima di Vera. "L'ho appena incontrata."

"No!" Vera si avvicinò di nuovo, gli occhi azzurri che danzavano alla prospettiva dello scandalo. "Dove è successo?Non è possibile che ha vissuto in California tutto questo tempo senza che nessuno lo scoprisse. E perchè la segretezza?" 

"Credo sia rimasta in Spagna, almeno a giudicare dalla sua reazione nei confronti del paese." Vera annuì. Anche lei avrebbe riconosciuto quell'espressione di disprezzo che Tessa aveva notato. "E per la segretezza, beh...Diciamo che il loro primo incontro è stato...controllato."

Vera sollevò un sopracciglio e la sua bocca si piegò in un sorrisetto compiaciuto. "Non tutti i matrimoni sono come il mio. E cinque anni di separazione sono molti. Com'è?"

"Non le ho parlato abbastanza da formare un'opinione. Montoya l'ha presentata come Dona Sabina e mi è sembrata una vera nobildonna. E' una bella signora, poco più bassa di voi, capelli e occhi scuri, pelle chiara--non deve aver passato molto tempo sul ponte della nave. Sono sicura che la vedrete presto di persona, Vera."

Tessa era così concentrata nella conversazione che l'intrusione di una voce maschile la fece sobbalzare. "Forse domani, Senora, se convincerete il vostro stimato marito ad accettare il mio invito a cena." Il Colonnello Montoya si inchinò ad entrambe e poi spiegò. "Mia moglie è stanca del viaggio, ma so che la società di Santa Elena è difficile da trattenere quando si tratta di fare le presentazioni." Sorrise a Tessa, e lei abbassò gli occhi alla menzione del suo comportamento poco adeguato. "Quindi sto preparando una festa per domani sera. Spero che possiate partecipare."

L'imbarazzo di Tessa non durò a lungo. "E' un invito generoso, Colonnello, grazie, sarò felice di accettare."

"Io e Gaspar ci saremo," rispose Vera, con la sicurezza di una moglie viziata.

"Molto bene. A domani, Senora. Senorita."

Le donne attesero che Montoya si allontanasse prima di avvicinare di nuovo le teste.

"Tessa, devo andare a casa. Mi serve qualcosa da indossare e devo dare a Gaspar la notizia." Vera stava raccogliendo velocemente le sue cose. "Non vorrà crederci." e prima che Tessa avesse il tempo di salutarla, era uscita dalla cantina e stava attraversando la piazza.

Leggermente stordita, cosa che le accadeva spesso dopo un incontro con Vera, Tessa decise di restare e finire il vino che la Senora le aveva versato. Doveva pensare a come affrontare il capitano per quel passaggio a casa, senza incoraggiarlo troppo.

"Vi trovo di nuovo a bere da sola, Tessa. Sapete che non è più necessario." Marcus Grisham sedette di fronte a lei, dopo una richiesta appena accennata, e senza aspettare la sua risposta.

"Non ero sola, Capitano. Almeno non da molto. E' piuttosto strano, ma all'improvviso la Senora Hidalgo ha sentito un irresistibile desiderio di tornare a casa dal marito." Appena queste parole lasciarono le sue labbra, Tessa capì che era la cosa sbagliata da dire, perchè Vera era l'unica cosa che poteva frammettersi tra lei e un tentativo di corteggiamento del capitano.

Fortunatamente, Grisham conosceva Vera molto bene. "Doveva spargere la voce che la moglie di Montoya l'ha finalmente raggiunto, no?Venite alla festa, domani?"

Non era una vera e propria domanda, Montoya stava trasmettendo le sue brutte abitudini al capitano. Giustamente, lei rispose con una frase che non era proprio una risposta. "Sono stata invitata."

Grisham esibì per l'occasione i suoi modi più affascinanti e le prese la mano. La guardò negli occhi mentre la baciava, un po' troppo ardentemente per un luogo pubblico e per i gusti di Tessa. "Mi concedete l'onore di accompagnarvi?"

Il primo istinto di Tessa fu di rifiutare, ma questa poteva essere l'occasione che stava aspettando. Ci sarebbero state poche persone, quindi se ne sarebbero accorti subito se Grisham avesse tentato di restare solo con lei. Vera sarebbe stata presente, e questo lo avrebbe esortato a comportarsi bene (aveva già fatto arrabbiare la sua amante abbastanza nell'ultimo mese). E poi, poteva avere quel passaggio. "Vorrei pensarci, Marcus. Il tempo di arrivare a casa dovrebbe essere sufficiente e, se mi accompagnate, potrete avere la risposta il più presto possibile." e gli indirizzò un sorriso dolce, come indizio della risposta.

"Torno subito," disse lui, posandole un'altro bacio veloce sulla mano, prima di andar via praticamente di corsa. Tessa sorrise tra sé. Forse avere un corteggiatore non era così male dopotutto.

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Capitolo 3
*** atto primo,2 ***


Scena 3

Scena 3

C'erano modi peggiori di passare un pomeriggio, che accompagnare a casa la Senorita Alvarado, decise Grisham. Anche se Tessa continuava ad essere civettuola, evitando di nuovo i suoi tentativi di baciarla come si deve, aveva accettato di andare insieme alla cena di Montoya. Questa poteva essere l'opportunità che stava aspettando. Era sicuro che, sotto la maschera di decorosa aristocratica, Tessa nascondeva una passione pronta ad esplodere, l'aveva sperimentato di persona. Tutto ciò che doveva fare era sfruttarla, e la ragazza sarebbe stata come creta nelle sue mani. L'avrebbe sposata, diventando padrone della hacienda, e allora Vera non avrebbe più potuto trattarlo come un semplice soldato.

Ma stava correndo troppo. Doveva prima sopravvivere alla serata e qualcosa gli diceva che il colonnello non sarebbe stato del suo umore migliore. Non avevano ancora finito il rapporto giornaliero, quindi Grisham salì le scale dell'ufficio per riferire, nel caso il colonnello avesse voluto continuare. La risposta al suo leggero bussare gli sembrò civile, anche se lievemente distratta.

Montoya sedeva dietro la sua scrivania e sollevò appena lo sguardo dalla pila di fogli davanti a lui, quando Grisham entrò. "Capitano, vi siete goduto la gita in campagna?Sicuramente la Senorita Alvarado è una deliziosa compagnia, ma non paga il vostro stipendio."

"Non ancora almeno." Grisham non riuscì a trattenere il commento soddisfatto.

Questo sembrò catturare l'interesse di Montoya, che finalmente abbandonò i fogli e si appoggiò allo schienale. "Siete riuscito a conquistarla, allora?"

"Mi accompagna alla cena di domani."

"Ah. Un successo molto limitato," osservò Montoya compiaciuto, e tornò a concentrarsi sui dispacci. A Grisham sembrò che la pila fosse più alta del solito. Il colonnello doveva aver notato il suo interesse, perchè spiegò, "Il nuovo Vicere è arrivato e, con lui, un'enorme quantità di documenti. Crede che se scriverà abbastanza riuscirà a lasciare un'impronta permanente."

Montoya sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma aggrottò la fronte, si alzò in piedi ed scelse un foglio da quelli sulla scrivania. Di nuovo, Grisham assistette a una lezione di imprecazioni spagnole davvero molto creative. "Che idiota!Vedete cosa ha fatto, Grisham?Ha istituito una tassa sulla persona: una tassa fissa su ogni persona di questa colonia, senza considerare minimamente le rispettive proprietà. C'è già abbastanza fermento nell'aria, senza incitare ulteriormente il popolo." Grisham si congratulò con se stesso nel riuscire a tenere per sé l'incredulità, ma Montoya interruppe la sua diatriba per guardarlo con gli occhi socchiusi. "Stiamo giocando col fuoco qui. Ci vuole arguzia per capire quanto la gente riesca a sopportare. Questo *burocrate*," Montoya sputò la parola, "rischia di compromettere l'equilibrio."

Ora Grisham capiva il problema. Le tasse che erano state istituite da Montoya in nome dello Stato, stavano per essere usurpate da...lo Stato. Revocarne alcune avrebbe suscitato domande sul perchè erano state istituite in primo luogo.

Montoya tornò a rovistare tra le carte ed estrasse un annuncio ripiegato. "Almeno hanno avuto il buon senso di mandare una nota ufficiale. Grisham, appendetelo in piazza. E fate in modo che si legga la firma del Vicere. Voglio allontanare la colpa da me, per quanto è possibile."

Sollevato nell' essere congedato tanto rapidamente, Grisham prese il foglio e annuì senza dire nulla. Aveva imparato a sue spese che, quando Montoya era di cattivo umore, era meglio non mettere in dubbio la sua autorità. Ma naturalmente non doveva nemmeno comportarsi troppo formalmente, o si sarebbe accorto che qualcosa non andava. Si, Grisham iniziava finalmente a conoscere il suo comandante.

                                                                                                 ***

Montoya notò appena che Grisham aveva aperto la porta, ma attirarono la sua attenzione l' inchino e un educato, "Senora", mentre si faceva da parte per far entrare Sabina. Il colonnello incrociò lo sguardo di Grisham sopra la testa della moglie e vi lesse una scintilla di compassione. Si meravigliò del fatto che il capitano avesse capito la situazione, più che irritarsi di essere compatito.

Appena la porta venne chiusa, l'espressione placida di Sabina fu sostituita da un sorriso condiscendente, caratteristica cui Montoya era molto familiare. "L'hai addestrato bene," disse lei.

"E' un soldato, sa qual'è il suo posto. Tu sei la moglie di un soldato..." non sentì la necessità di finire la frase. Era una discussione che portavano avanti da molto tempo.

"Sono anche la figlia di un nobile e ho il diritto di aspettarmi un certo tenore di vita. Fu stipulato un patto al tempo del nostro fidanzamento."

"Un patto che fu stupidamente proposto...e accettato. La tua scusa può essere che eri giovane ed influenzabile. Mio padre non aveva tale giustificazione. Questo non significa che devo seguirlo alla cieca. E' una follia."

"Follia?E' così che chiami tutto il lavoro che ho fatto per *noi*?!"

Montoya sospirò rumorosamente, interrompendo sul nascere la discussione. "Sei anni di lontananza, e ancora litighiamo sullo stesso argomento."

Lei sorrise. Un vero sorriso, come quello che aveva usato durante la loro prima notte di nozze, dieci anni prima. "Luis, non ce n'è più bisogno. Questa è una nuova terra. Possiamo ottenere rispetto, ricchezza e potere, qui." Lanciò un'occhiata alle carte sulla scrivania e il suo sorriso si allargò. "Vedi. Con Agustin a Monterrey, possiamo avere il mondo ai nostri piedi. Ha già messo in atto il mio primo suggerimento."

Montoya sentì una fastidiosa contrazione allo stomaco. Prese la nota ufficiale della nuova tassa e gliela passò. "Tu hai organizzato questa...idiozia?"

"Idiozia?" Il suo sorriso scomparve. "L'ho fatto per noi, Luis. La Spagna non riuscirà a controllare quest'area remota ancora a lungo, dobbiamo prenderci il più possibile prima di tornare. E' così che i ricchi e potenti diventano ricchi e potenti, sfruttando ogni opportunità. Come hai fatto a sopravvivere tanto a lungo senza di me?"

Montoya si calò nel suo io più affascinante. Il cugino di sua moglie, Agustin Ortiz, il nuovo Vicere, l'aveva già seguita come un cagnolino e sarebbe stato facile per lei controllarlo. Avrebbe potuto essere un ottimo cambiamento, se solo Montoya avesse avuto la minima fiducia che Sabina si sarebbe fatta guidare. Valeva la pena di provarci. "Hai dimenticato di considerare un'opzione, Sabina. E se io non volessi tornare in Spagna?Se il mio piano fosse di consolidare il mio potere qui, in California?Questo tipo di comportamento può essere dannoso, nel caso io abbia bisogno dell'appoggio della popolazione."

"Che cosa stai farneticando, Luis?" Montoya riconobbe immediatamente la testardaggine nel tono della sua voce. "Certo che torneremo in Spagna. A cosa serve uno status senza una vera società e senza la considerazione del re?L'idea di restare qui è ridicola. Nessuno sceglierebbe volontariamente di vivere ai confini del mondo. Come al solito, Luis, non capisci cosa è davvero importante." I suoi occhi si indurirono. "E se continui a contraddirmi, farò in modo che Agustin ti promuova...suo assistente. So quanto ti piace la sua compagnia."

Le mogli!Conoscono tutti i tuoi punti deboli. Montoya avrebbe preferito tagliarsi la gola con le proprie mani, piuttosto che essere alle dipendenze di quel pomposo cretino. Per il momento, tutto ciò cui riuscì a pensare fu serrare i denti e sperare che Sabina non avesse altre brillanti idee, almeno per un po'.

 

Note: Grazie ad IceWarrior e a Vale per recensioni. In effetti queste fanfictions sono state create proprio per essere la seconda stagione che il telefilm non ha mai avuto (purtroppo!). E per rispondere alla domanda che mi era stata posta riguardo al primo episodio, il titolo "Mirror,mirror" viene dalla fiaba di Biancaneve.

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Capitolo 4
*** atto secondo, 1 ***


Scena 1

 

Scena 1

"Champagne. Cognac. Vecchio madeira. Ecco perchè non riesci a concentrarti. Sei diventato un ubriacone, Luis?"

//Non ancora, ma ci sto facendo un pensierino.//  Montoya non si stava affatto godendo la giornata, soprattutto perchè la prima persona che aveva incontrato appena mattina era stata Sabina, tutta impegnata a rovistare tra i suoi documenti. Per fortuna, aveva trovato solo quelli ufficiali.

"Bisogna fare buona impressione sulla nobiltà locale. Me l'hai insegnato tu, mi corazon."

La moglie alzò la testa per fissarlo e lui quasi sorrise--sapeva quanto lei odiasse i vezzeggiativi. "Anche l'ampiezza della libreria accresce la tua influenza?E' una collezione notevole e dev'essere stato difficile e costoso ottenerla, in questo posto isolato. Trattati di guerra e storia. Lavori scientifici--Bacon, Newton, Galileo. Dante. Shakespeare. Una prima edizione del 'Don Chishotte'." Sabina pronunciò quest'ultimo quasi fosse un'accusa, come il simbolo di tutte le sue inadeguatezze. Non lo conosceva per niente.

"E' un regalo," rispose Montoya calmo.

"Hai amici generosi," ribatté lei sospettosamente.

"Uno o due." Non aveva intenzione di aggiungere altro a riguardo--meglio lasciarla immaginare. Inoltre, non voleva lasciarle credere che non era capace di gestire i suoi affari. "Ho trovato la maggior parte di quei libri nelle haciendas abbandonate, o in quelle requisite dallo Stato. Non tutte le persone che tornano in Spagna hanno la voglia, o la possibilità di portarsi via tutto. Faccio loro un favore conservando tali oggetti."

"Ed ecco che arriviamo alla terra."

"Cosa desideri sapere?Non ho segreti per la mia amata consorte."

Sabina lo guardò male, in risposta al sarcasmo, ma non si distrasse. "Dove hai la testa, Beata Vergine!Stai sprecando tempo con i terreni. Non ci hai fatto niente."

"Al contrario, li ho conservati in nome della corona, com'è mio dovere fare. Potrei chiedere a Monterrey i fondi per far fruttare la proprietà, ma hanno difficoltà anche a pagare i loro stessi lavoratori. Non voglio aggravare la situazione." Soprattutto, Montoya non voleva attirare l'attenzione sulle sue acquisizioni. I minerali, i diritti sull'acqua, ogni cosa che potesse essere trasformata in denaro liquido stava già dando i suoi frutti. I  contadini affittuari erano rimasti a lavorare come prima, quindi non c'era niente che indicasse cambi di proprietari, e una rendita regolare veniva spedita a Monterrey--anche se si trattava di appena un terzo del reale guadagno. Naturalmente, Montoya aveva capito cosa stava suggerendo Sabina, ma non era questo in momento di rivelarsi. Quella donna non era mai stata paziente.

"Con Agustin come Vicere, questo non sarà più un problema. Abbozzerò domani una lettera per riferirgli delle tue...preoccupazioni, e chiedere dei fondi per le migliorie. Dovremmo riuscire ad ottenere una buona percentuale sui profitti, come custodi di una così ampia fetta di terra della corona."

"Hai limitato i tuoi obbiettivi, vedo. Adesso ti accontenti di gestire una terra, invece di possederla?"

"Possedere un terreno qui!Perchè dovrei desiderare un mucchio di sabbia e cactus?Lo devi alla mia famiglia che i nostri figli abbiano tutti i vantaggi che il mio status comporta."

Il colonnello girò la testa e finse di tossire, dato che alle parole 'i nostri figli' rischiavano di riderle in faccia. Le poche volte che Sabina era rimasta incinta durante i loro primi anni di matrimonio, le gravidanze erano terminate prima che i segni fossero evidenti. Se La sua costituzione si era rafforzata dopo la ventina, ma Montoya non le aveva dato la possibilità di verificarlo. E ora non si fidava di lei abbastanza neanche per pensare soltanto di riprovarci.

Sabina strinse gli occhi e continuò ad apporre le sue ragioni. "Zio Gregorio ti ha fatto un enorme favore trovandoti una posizione così illustre, con il tuo passato..."

Montoya inclinò leggermente la testa, mantenendo lo sguardo fisso in quello di sua moglie. Si accertò di avere un tono di voce molto calmo. "Non l'ha fatto anche a *te* un favore, allontanando un marito che si rifiutava di seguirti ciecamente attaccato ad un guinzaglio?"

"Dovresti mostrare più rispetto per le persone più importanti di te," lo rimproverò lei.

In passato questo sbattergli in faccia il suo status sociale avrebbe comportato la sua sconfitta, o il suo uscire dalla stanza per controllare la rabbia. Ora, invece, si rilassò nella sedie e ridacchiò sotto i baffi nell'incontrare lo sguardo furioso della moglie. L'esperienza in California gli aveva insegnato a giudicare il vero valore delle persone. "Ma mia cara," rispose mellifluo, assicurandosi che lei capisse dov'era collocata nella gerarchia del nuovo mondo. "Lo faccio."

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Capitolo 5
*** atto secondo, 2 ***


Scena 2

Scena 2

Suo malgrado, Tessa scoprì di essere un pochino eccitata per quella serata. Era stata a molte feste, molte cene, da quando era arrivata in Califoria, ma questa era la prima volta che aveva un accompagnatore. Arrivare sotto braccio a un bel giovanotto aggiungeva un certo fascino all'evento--anche se quell'uomo era Marcus Grisham.

Mentre attraversavano il cancello del cortile delle rose, Tessa lo vide gonfiarsi come un gallo, per tutta l'attenzione che stavano attirando. Fortunatamente, il Colonnello Montoya era lì vicino e questo le impedì di cedere all'impulso di pungere il capitano con uno spillone, per vedere se si fosse sgonfiato.

"Senorita Alvarado, è un onore avervi con noi stasera." Montoya le baciò la mano calorosamente, ma non troppo. Come al solito, i suoi modi erano perfetti. "Vedo che il Capitano ha la fortuna di godere della vostra compagnia." Poi girò la testa per attirare l'attenzione di Sabina. "Querida, sono arrivati degli ospiti."

La donna interruppe la conversazione con il Senor e la Senora Gervasio. Doveva aver notato lo sguardo di apprezzamento di Tessa sul suo abbigliamento, perchè si prese tutto il tempo per raggiungere il gruppo, permettendole una valutazione completa. Il taglio alla moda dell'abito donava molto a Sabina e la seta viola cupo accentuava la pelle chiara. Tessa vide che faceva uso di cosmetici, ma non era un trucco pesante ed era applicato con una certa maestria. I capelli neri erano raccolti elegantemente sul capo, tenuti insieme con un fermaglio di perle. Una perla simile tratteneva la cravatta di Montoya. Quando il colore profondo del vestito venne a contrastare il bianco, nero e grigio dell'abito del colonnello, Tessa non poté che pensare che formavano proprio una bella coppia. Poi, la gonna di Sabina si sollevò, lasciando scoperta la punta di una scarpa, ben piantata sullo stivale lucidato di Montoya.

Tessa guardò subito il colonnello, ma tutto ciò che riuscì a notare fu un lieve stringersi della sua mascella e uno scintillio feroce negli occhi. La sua voce non possedeva nessuna allusione al dolore che doveva sentire in quel momento, quando disse. "Permettimi di presentarti *formalmente* una dei nostri più importanti possidenti, Dona Maria Teresa Alvarado."

Sabina poi monopolizzò l'attenzione di Tessa con la conversazione prudente che si era soliti intrattenere durante eventi come quello. Abile come il marito nella diplomazia, sembrava davvero contenta di vedere un volto familiare, come aveva sottolineato Montoya. Si erano portati più al centro del cortile, ma l'occhio della Senora tornò subito all'entrata. "Quello è il dottore, presumo." e Tessa annuì in risposta. "Avrei voluto un numero pari di uomini e donne, ma Luis mi ha spiegato che è praticamente impossibile. Non ci sono abbastanza donne in questa colonia. Sono sorpresa che voi non siate ancora sposata, Senorita, una donna sola è una vera rarità in una terra ostile." Dopo i saluti convenzionali, si allontanò per salutare i nuovi arrivati.

Una risatina nell'orecchio ricordò a Tessa che Grisham stava ancora in piedi al suo fianco. Alzò gli occhi, con aria civettuola. "La vostra reazione implica che convenite con l'affermazione della Senora, capitano?"

Stranamente, la sua risposta evitò tutti i trabocchetti contenuti nella domanda. "Che siete una rarità, Senorita?Certo, sono assolutamente d'accordo." Le offrì il braccio, quando fu annunciato che la cena era pronta, e l'accompagnò al tavolo, che era stato apparecchiato per una ventina di persone.

 

Tessa si ritrovò sistemata non lontano da Sabina, che era a capotavola. A dividerle c'era Don Gaspar e lei ricambiò il suo sorriso affettuoso, quando sedette. Don Ricardo era dall'altro lato e la ragazza ne fu contenta perchè, dopo le accuse di omicidio rivoltegli da Don Alejandro, avevano intrapreso una fruttuosa relazione d'affari, una sorta di baratto tra lavoratori e prodotti(le orchidee del Don erano le migliori in tutta la regione). Grisham era seduto dall'altra parte del tavolo, subito a destra di Sabina, mentre Dona Juanita Gervasio era proprio davanti a Tessa. Sospirò silenziosamente. Juanita non avrebbe fatto altro che parlare del suo fidanzamento con un ricco giovanotto di Santa Monica. Suo zio si era occupato di tutto e lei soggiornava alla sua hacienda fino al giorno del matrimonio.

Tessa si guardò intorno e notò che Robert Helm aveva preso posto tra Montoya e Vera. Considerando che quasi sicuramente era stato il colonnello a scegliere la disposizione degli ospiti, si chiese cosa avesse combinato questa volta il dottore per irritare Montoya. Ma forse questo era solo il risultato del suo perverso senso dell'umorismo. Il ghigno che vide sulla faccia di Vera poco dopo, confermò i suoi sospetti che Helm avrebbe avuto bisogno di un buon digestivo a fine serata.

 

La cuoca del colonnello aveva superato se stessa. Non solo il cibo era delizioso, come sempre, ma anche la presentazione era impeccabile. Peperoni rossi arrosto, zuppa decorata con una graziosa coroncina di erbe fresche, polenta, carne avvolta di pasta come fosse stata una crostata, oltre alla miriade di piccoli dettagli che decoravano la tavola.

La conversazione era stranamente varia e vivace, Don Gaspar e Don Ricardo abbastanza educati da coinvolgere Tessa nella conversazione, che riguardava l'organizzazione delle loro haciendas. Anche se doveva essere cauta, la ragazza mostrò di essere pratica a riguardo e ben presto i due uomini, se pur sorpresi, la incoraggiarono a esprimere la sua opinione. Tessa tornò riluttante alla sua maschera di frivola ignoranza, tuttavia, quando si passò a discutere di governo e finanza, cosa che fu accettata con la tipica indulgenza degli uomini. Aveva senso che una donna fosse capace di tenere in piedi una casa, anche se molto estesa, ma le decisioni su larga scala esulavano dai suoi compiti.

L'argomento successivo fu il matrimonio di Juanita e Tessa li vide scambiarsi occhiate condiscendenti. Non capiva cosa avessero da lamentarsi, di certo non avevano sentito quella storia tante volte quanto lei. Sabina non aveva ancora avuto questo *piacere* e Juanita approfittò del suo interesse. Fu a questo punto che le speranze di Tessa in un alleato contro Montoya andarono in fumo: aveva creduto che l'influenza di una donna avrebbe mitigato il suo approccio con i criminali, soprattutto quelli minori, ma vide invece che Sabina gli somigliava molto, quando incoraggiò Juanita a non pagare la sarta.

"Se la sarta non ha completato il lavoro nel tempo previsto e in modo completamente soddisfacente, non deve ricevere un centavo, " la consigliò, "Non lasciate che gli inferiori si approfittino di voi, Senorita, è' una cattiva abitudine che rischia di compromettere la vostra famiglia. Chiedete rispetto e obbedienza, è un vostro diritto."

Il flusso della discussione cambiò ancora, ma i pensieri di Tessa rimasero concentrati sul tono adamantino del consiglio di Sabina. Le dava abbastanza fastidio. Montoya era sempre attento a mantenersi nei limiti della legge, ma lei non sembrava avere tale restrizione, come se si considerasse al di sopra della legalità.

 

Dopo il dolce, Montoya si alzò in piedi. "Signore e signori, grazie per averci concesso il piacere della vostra compagnia, stasera. Mi riscalda il cuore vedere con quanta generosità avete accolto la mia cara Sabina nel nostro angolo di paradiso..."

Tessa si sporse per guardare Grisham e fu sorpresa di vedere che, nonostante il suo viso fosse diretto verso Montoya, aveva spinto indietro la sedia per tenere d'occhio Sabina. La sua espressione strana la spinse ad osservare attentamente la Senora anche lei. Sabina sembrava serena, un sorrisetto sulle labbra, ma gli occhi, posati sul marito, erano severi e freddi.

Un cambiamento nel tono di voce di Montoya riportò l'attenzione di Tessa al suo discorso. "...spero che vi unirete a noi in un giro di danza per rendere onore alla grazia della mia amorevole moglie." Fece segno ai musicisti di iniziare, mentre lui raggiungeva Sabina. Le offrì la mano con un inchino e lei accettò con un cenno del capo, poi si mossero entrambi verso lo spazio dedicato al ballo. Tessa si chiese se gli stivali del Colonnello sarebbero sopravvissuti all'esperienza.

A questo segnale, la tavolata applaudì brevemente, sedie grattarono il pavimento, e un buon numero di coppie si unirono ai Montoya sulla pista. Tessa salutò Don Ricardo quando egli l'aiutò ad alzarsi. Sembrava proprio che l'uomo avesse intenzione di dileguarsi al più presto con la scusa di una giumenta che stava per partorire: era l'unica spiegazione che Montoya non avrebbe discusso. Gaspar si era già affrettato ad invitare sua moglie e gli Hidalgo si erano aggiunti alle coppie danzanti. Questo lasciava il Dottor Helm in piedi, da solo e in pace. Tessa sorrise tra sé e si avvicinò a lui

"E' un piacere trovarvi qui stasera, Dottore."

Tessa poté quasi vederlo contrarre il viso, ma riuscì a nasconderlo bene. "Senorita Alvarado. Vedo che avete un nuovo ammiratore."

"Si, il Capitano mi ha riservato delle attenzioni di recente." Si guardò attorno e vide che Grisham era immerso in una conversazione con Don Alonso e sua moglie, dall'altro lato del cortile. "Ed è molto affascinante in divisa..."

"Come no," borbottò Helm, a stento udibile.

Lei quasi ridacchiò, ma riuscì a rispondere in tono assolutamente innocente. "Chiedo scusa, Dottore, avete detto qualcosa?"

"Pensavo che una donna bella come voi puntasse più in alto e non che si accontentasse del primo bel viso che incontri."

//Bella?Questa è nuova...// Tessa si chiese cosa avesse causato quest'improvviso interesse nei suoi confronti da parte del dottore e decise di testare la sua reazione. "Non c'è molta scelta da queste parti. E una donna nella mia posizione deve stare molto attenta ai cacciatori di fortune. Il capitano si è dimostrato molto interessato al mio benessere." Tessa volse gli occhi a Grisham e si portò il manico del ventaglio alle labbra. Il capitano incrociò il suo sguardo e rispose con un cenno e un sorriso, ma Tessa non notò reazione al suo gesto allusivo. Helm d'altra parte trattenne il fiato e lo lasciò andare con un leggero sbuffo disgustato. La ragazza si concesse un sorrisetto, prima di girarsi nuovamente verso il dottore. "Si, *molto* interessato. Se volete scusarmi, Dottore."

E credette di sentire i suoi occhi sulla schiena, mentre raggiungeva Vera, la quale stava ora in piedi accanto alla fontana. Le prime parole dell'amica rafforzarono l'impressione. "Che avete detto al Dottor Helm?Era decisamente estasiato, guardandovi andar via."

"Sono solo stata un pochino maliziosa."

"Vi ho vista. Flirtare con il Capitano in una stanza affollata...Tsk.Tsk. Sono certa che lui apprezzerebbe la proposta di un bacio, ma non credo che conosca il linguaggio del ventaglio."

"Lui no...ma il Dottore si."

"Tessa!" Vera ridacchiò. "Stavate davvero facendo la maliziosa. Quindi, avete finalmente convinto il dottore che siete una donna e non una bambina. Non fate quella faccia, Tessa. Chiunque si renderebbe conto del vostro interesse e del fatto che lui vi aveva notata appena- fino a stasera."

"Non chiunque, Vera, solo qualcuno con le vostre eccezionali abilità di osservazione."

Vera alzò un sopracciglio e rispose con un sorriso appena accennato a questo modo elegante di evitare l'argomento. Tessa si scusò e si diresse verso la casa, in cerca dei servizi che Montoya metteva sempre a disposizione delle signore nelle sue feste. Poteva essere un avido e malvagio assassino, ma era un ospite eccellente.

 

Al ritorno,Tessa passò sotto le travi coperte di rose e si fermò per un momento, nascosta alla vista dei ballerini, la sua attenzione catturata da una voce molto familiare.

"...sottobraccio con la mia migliore amica. Almeno non devo più domandarmi cosa provi davvero per me." Vera suonava piuttosto turbata, ma c'era qualcosa nella sua voce per cui Tessa si interrogò sulla sincerità delle parole.

Grisham evidentemente non se lo chiese. "Io tengo a te più che a chiunque altro al mondo. Come puoi dubitarne?"

"Vuoi una lista?Iniziamo con 'laudano'?"

"Dovevo ucciderti," protestò lui.

"Questo mi fa sentire molto meglio, Marcus," sbottò Vera, ma poi tornò al suo tono tristemente ferito. "Perchè Tessa?Ad un'altra amica potrei rinunciare, ma ci tengo a lei."

"E' un'idea di Montoya. Vuole che io la sposi. Si preoccupa che stia da sola e crede che l'hacienda starebbe meglio nelle mani di un uomo. Io sono pure d'accordo, ma continuo a sperare che trovi qualcun altro, così che non dovrò essere io quell'uomo." Ci fu una breve pausa e, dal tono della frase seguente, Tessa potè quasi vedere il suo sguardo supplicante. "Niente potrebbe mai tenermi lontano da te, Vera, ma preferisco non dover dividere il tempo con una moglie. Portare Tessa alle feste mi serve per tenere buono il Colonnello. E' una ragazza dolce, ma sei tu quella che sogno."

"Ne parliamo dopo, Marcus." Il tono di Vera implicava che Grisham l'aveva convinta, ma avrebbe preteso un...risarcimento. Il che venne confermato dal sospiro sollevato del capitano.

Tessa credeva anche a tutto quello che aveva detto Grisham. Aveva senso che ci fosse lo zampino di Montoya in questo corteggiamento, anche se probabilmente le ragioni non erano così benevole. Eppure i baci che Grisham le aveva dato non erano quelli di un uomo sotto minaccia. Tessa sorrise. Sarebbe stato interessante continuare questo gioco ancora un po', soprattutto dopo l'interessante reazione del Dottore. Inoltre, aveva appena trovato un modo per liberarsi di lui, se fosse diventato troppo invadente. Si allisciò il vestito e assunse un'espressione neutrale, come se fosse appena tornata in cortile.

 

Note: Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento, ma sono stata molto impegnata con la scuola (e questo capitolo si è rivelato piuttosto difficile da tradurre!). Fatemi sapere che ne pensate!

Francy

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Capitolo 6
*** Atto terzo, 1 ***


Scena 1

Scena 1

Era un vero sollievo ritornare nella sua stanza dopo una mattinata di lavoro. Grisham era stato fermato da una dozzina di paesani e contadini, tutti a fargli domande sulle nuove tasse, a chiedergli come il colonnello potesse tassare i loro bambini. Se li era tolti di torno con la solita che scusa che lui stava solo seguendo degli ordini e che avrebbero dovuto parlare con il Colonnello. Solo un uomo, Hector Domenico, sembrò prendere sul serio il suggerimento. Ma in effetti sua moglie aveva appena dato alla luce il settimo figlio e nessuno dei precedenti era morto. Si vantava sempre di come riusciva a prendersi cura della famiglia e ora questa tassa sulle persone avrebbe gravato su di lui più che su chiunque altro.

Grisham si era appena buttato sul letto quando sentì la porta aprirsi. Il suo primo pensiero fu che si trattasse di Vera, che doveva ancora ottenere il risarcimento per l'altra sera. Con suo sommo dispiacere, fu Montoya ad entrare.

Il colonnello aspettò solo un momento, poi sorrise all'espressione di Grisham. "Mi dispiace di avervi deluso, Capitano." Il sorriso scomparve. "Sono stato rinchiuso con Sabina tutto il giorno e dovevo assolutamente liberarmene. Forse sarete in grado di aggiornarmi sulla situazione delle tasse, prima di farmi una cavalcata. Se sono fortunato, verrò disarcionato. O magari cadrò dalla scogliera e affogherò."

Un tempo, Grisham l'avrebbe considerata una fortuna anche per lui, ma con la Senora in giro non ne era più tanto sicuro. Quella donna era fuori dalla sua portata e lo sapeva bene. Era molto meglio avere a che fare con il Colonnello. Grisham si alzò dal letto mentre l'altro si accomodava sull'unica sedia. "Avevate ragione, sta dando più problemi di quanto non valga la pena. So che ci sono lamentele anche tra i Don, ma nessuno di loro si prende il fastidio di parlarne con me."

Una risatina da parte di Montoya interruppe il rapporto. "In questo momento Sabina è seduta alla mia scrivania. Lasciamo che se ne occupi lei. Continuate, Capitano."

"Le persone che sono venute da me non sono i soliti idioti che si lamentano di non poter pagare le tasse. Questa gente chiede *come* faranno a pagare le tasse e come possa Monterrey fargli questo. Quella nota ufficiale ha davvero aiutato a non incolpare voi, Colonnello."

"E cosa avete risposto?"

"Ho detto loro di andare a parlare con voi," rispose Grisham riluttante.

"Grazie mille," rispose sarcasticamente Montoya, poi tornò serio. "E' proprio questo che temevo. Sapevo che i Don avrebbero protestato, lo fanno sempre, ma sono le persone che pagano sempre le tasse senza lamentarsi--gli artigiani, i mercanti, i fattori- che saranno portati a reagire, se si preme troppo la mano. La rivoluzione è nell'aria, Grisham. Non dobbiamo accenderne la miccia. Non ancora." E disse quest'ultima frase con quell'avaro ottimismo che ultimamente l'aveva abbandonato. Poi si spense e Montoya si passò stancamente una mano sul viso.

"Date l'impressione di aver bisogno di un bicchierino, Colonnello."

"Forse si, Capitano, ma preferisco tenere la mente limpida. Non c'è niente di più pericoloso di una donna ambiziosa. Sarà per questo che è stato il racconto ammonitore di Macbeth ad accendere il mio amore per Shakespeare?"

Montoya si appoggiò allo schienale. Sembrava nell'umore di parlare, e Grisham solitamente era in quello di ascoltare, almeno fin quando il monologo non era una ramanzina nei suoi confronti. Naturalmente non osava proporre una discussione su Sabina, ma si sistemò meglio, in modo che il Colonnello capisse che ascoltava.

Questo fu sufficiente per scioglierlo. "Mio padre credeva che fosse un ottima idea farmi sposare con la figlia minore di un nobile di antica discendenza. Avevano più donne in famiglia di quante ne potessero mantenere, quindi il matrimonio con un uomo ricco, anche se con una posizione sociale peggiore, fu considerato un buon affare. Sabina era -è- una bella donna, A sedici anni era fresca e delicata, incantevolmente timida. Io credevo che avremmo formato una bella coppia e mio padre che ci saremmo ingraziati la nobiltà. Non aveva funzionato per lui, perchè avrebbe dovuto funzionare per me?Ecco il motivo per cui cerco di convincervi a tenere la testa sulle spalle, Grisham. Se io avessi riflettuto, avrei capito che in Spagna era un sogno impossibile. Qui, tuttavia, la società è più...flessibile. E il potere può essere ottenuto senza titoli.

"I primi anni di matrimonio furono piacevoli, ma scoprii presto che Sabina non era soddisfatta come moglie di un rispettabile, ben educato, benestante ufficiale. Voleva avere accesso ai circoli più prestigiosi e usava ogni mezzo possibile- *ogni mezzo*- per raggiungere il suo scopo. Mio padre la incoraggiava. E, per una volta, lasciai che mi mettessero da parte." Montoya si alzò in piedi e attraverso la stanza. Grisham fu certo di sentire un commento appena bisbigliato, "Stupido."

Questo gli ricordò qualcosa. "Perchè mi incoraggiate a sposare un'aristocratica, se sapete quale inferno comporta?"

Montoya si fermò con la mano sulla maniglia e si girò con un sorriso compiaciuto. "Dubito che Dona Maria Teresa vi darebbe questo tipo di problemi. La sposerei io stesso, ma , come sapete, sono occupato altrimenti."


Scena 2

Fuori dall'ufficio del colonnello era uno degli ultimi posti in cui Hector avrebbe voluto essere. Aveva sempre cercato di stare lontano dallo sguardo delle autorità. Faceva il suo lavoro, si occupava della famiglia e pagava le tasse. Per questo era lì: quella tassa sulla persona gli avrebbe reso impossibile prendersi propriamente cura dei suoi bambini, e per loro valeva la pena rischiare. Alzò il pugno e bussò alla porta. Non doveva essere chiusa, perchè si spalancò immediatamente. Quando guardò all'interno, vide una donna seduta dietro la scrivania del Colonnello Montoya. Lei alzò la testa, scocciata dell'interruzione.

"Scusate, Senora," borbottò, e si girò per andar via.

"Cercate il colonnello, mio marito?" chiese la donna. La sua voce aveva un tono diverso da quello che si aspettava. Hector si girò nuovamente a guardarla e vide sul suo volto un'espressione di benvenuto, che si distese ulteriormente quando si alzò e lo invitò ad entrare. "Sono Dona Sabina Montoya. Forse posso esservi d'aiuto."

//Dona?Già era brutto dover parlare con un ufficiale, ma una nobildonna...?//Hector non sapeva come fosse successo, ma si ritrovò seduto su una sedia di fronte alla scrivania, mentre sentiva la porta chiudersi. La Senora sorrise di nuovo e tornò a sedersi.

"Ora, Senor..." stava aspettando il nome.

"Hector Domenico, " riuscì a gracidare lui.

"Senor Domenico, cosa può fare mio marito per voi?"

Sembrava che fosse davvero interessata, quindi Hector si sistemò meglio sulla sedia, si schiarì la gola e rinnovò la determinazione a trovare una soluzione per il suo problema. "Senora Montoya, sono venuto per la nuova tassa che ci è stata imposta." La donna annuì pensosa, lentamente. Questo lo incoraggiò a continuare. "Ho sempre pagato le tasse, per la vendita del raccolto, ma questa va oltre i miei mezzi. Sono i miei figli, Dona. Ho sette bellissimi bambini e mi chiedono di pagare una tassa su di loro. Sono venuto per evitarlo."

Sabina si alzò e si avvicinò a lui. Con i suoi capelli neri, la pelle chiara e l'espressione compassionevole e serena, gli ricordava una statua di Nostra Signora che aveva visto in una cattedrale, durante il suo unico viaggio a Monterrey. La sua voce era impregnata di rammarico, quando spiegò, "Come dovete sapere, Senor, mio marito prende molto seriamente la sua posizione. Alcuni potrebbero dire troppo seriamente, perchè egli è quasi fanatico nella devozione ai suoi doveri. Quest'ordine è arrivato direttamente dal Vicere in persona."

Si avvicinò ancora, appoggiandosi leggermente alla scrivania. "Ho tentato di rabbonirlo. Mi fa piangere il cuore vedere una famiglia dissanguata dal fardello impostole da un governante che non è a conoscenza della sua condizione." Si sporse ancora un po' e lui riuscì a sentire un pizzico del suo profumo delicato. Aveva intenzione di muoversi ad una distanza più conveniente, ma le parole seguenti furono pronunciate piano e in tono quasi cospiratorio che, nei fatti, lo costrinse ad avvicinarsi a sua volta. "Ho sentito che c'è qualcuno che cerca di ovviare a queste decisioni spiacevoli. Una donna...che porta una spada."

"La Regina," suggerì lui col fiato mozzato.

"E' vero allora?Ha aiutato coloro che si trovavano, a causa di circostanze estenuanti, puniti dalla legge?"

Hector annuì. Anche se non l'aveva mai vista di persona, le sue imprese erano leggendarie, e lui ammirava il suo senso di giustizia.

"Forse dovremmo trarre ispirazione da lei per trovare una soluzione. Come agirebbe al posto nostro?" La Senora suonava un po' come una maestra che tiene una lezione, ma nessuna maestra di Hector gli aveva mai parlato così gentilmente o era stata così bella.

"Lei da l'oro alla gente che è in pericolo di perdere tutto a causa di..." Hector si ricordò improvvisamente con chi stava parlando, "dello Stato."

"Perchè non ti ha dato l'oro delle tasse allora?"

Hector abbassò lo sguardo sul cappello che teneva in grembo. "Prende l'oro intercettando le spedizioni per Monterrey. Sono molto sorvegliate dai soldati. Non potevo chiederle di rischiare la vita per me."

"E tu?Saresti disposto a rischiare?"

"Rapinare la spedizione?!Sarebbe un suicidio!" Hector non riusciva a credere che gli stava anche solo suggerendo una cosa del genere!

La Senora Montoya rise leggermente. "No, Senor Domenico. Niente di così drastico. C'è un obiettivo più facile e io lo renderò ancora più attuabile."

Hector non disse nulla, si limitò a fissarla pensieroso. Lei dovette prenderlo per interesse, perchè continuò, "Mio marito tiene una notevole quantità d'oro nel suo ufficio. E' nel mobile dietro di me, nell'ultimo cassetto a destra, che ha un fondo finto. Ci dovrebbe essere abbastanza oro per pagare le tue tasse e aiutare qualcun altro a fare lo stesso."

L'idea esercitava sull'uomo una certa attrattiva...avere il coraggio e la convinzione della Regina, lo stesso. "Ma non sono un ladro. Sono certo che mi scopriranno."

L'espressione della Senora cambiò. Hector non riusciva a capire in che modo, ma l'interesse e la compassione avevano assunto un tono diverso. "Non preoccupatevi. Posso fare in modo che le guardie si allontanino. Tutto ciò che dovete fare è passare dall'entrata della servitù e attraversare il cortile. Mi assicurerò che la porta rimanga aperta."

Questa storia stava iniziando a preoccuparlo. Stava iniziando a sembrare possibile. "Il colonnello..."

"Sarà occupato."

Sabina sorrise di nuovo e Hector capì che non si trattava di speculazione. Si aspettava davvero che lui andasse fino in fondo. Vide i suoi occhi stringersi pericolosamente, mentre cercava le parole per dirle che era impossibile.

"Senor Domenico, non ci state ripensando, vero?" Di nuovo aprì la bocca per dirle esattamente questo, ma le parole non vennero fuori. Bruscamente, si ritrovò premuto contro lo schienale con Sabina Montoya molto vicina a lui. Lo guardava come se fosse un serpente, e lui la sua preda.

"Hector, pare che abbiamo un problema." La sua voce era bassa e melliflua, e sembrava che lo avvolgesse nelle sue spire. "Vedi, ti ho detto troppo per permetterti di andare via così. Forse dovrei urlare?La guardia arriverebbe immediatamente per scortarti in prigione, dove aspetteresti il mio geloso marito. O potrei lasciarti andare. Ma siamo stati qui dentro per un po', con la porta chiusa. Se qualcuno l'avesse notato..." Si allontanò, doveva aver visto la comprensione farsi strada nei suoi occhi. La facciata melensa era di nuovo al suo posto, ma ora Hector poteva vedere le crepe.

"Un'ora dopo il tramonto, stasera." disse infine la donna.

Hector si alzò in piedi e annuì, segnando il suo destino. Mentre usciva dall'ufficio, giurò che avrebbe preso solo il necessario a pagare le tasse. Il resto sarebbe andato a chi ne aveva bisogno. Forse sarebbe riuscito a contattare la Regina, così da non essere ulteriormente implicato in questa pericolosa faccenda.

Quando arrivò nei pressi della chiesa, promise di recitare dodici Ave Maria come penitenza per aver osato comparare Sabina Montoya anche solo a una statua di Nostra Signora.

 

 

Note: Il passaggio dal tu al voi è voluto. Scusatemi ancora per il ritardo!

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Capitolo 7
*** Atto terzo, 2 ***


Scena 3

Scena 3

Montoya si coprì la bocca, indulgendo in un ennesimo ampio sbadiglio. Di recente, andava a letto sempre più esausto. Avere a che fare con Sabina iniziava a pesargli, e la moglie era arrivata da soli tre giorni. Solo tre?!In Spagna aveva un'abbondanza di distrazioni a tenerla occupata, ma lui era il suo unico interesse a Santa Elena. Non avrebbe resistito a lungo- senza arrivare ad ucciderla.

Questo pensiero portò un sorriso sul suo volto, e proprio in quel momento la porta della camera da letto si aprì. L'oggetto delle sue fantasticherie se ne stava sulla soglia e rispose al suo sorriso. "Che accoglienza dolce." Chiuse con attenzione la porta ed entrò nella stanza senza attendere un invito.

Il sorriso di Montoya si affievolì, ma non scomparve del tutto. Era sempre stato attratto dalle donne esili e delicate e Sabina impersonificava quest'ideale. La sua figura era abbastanza sottile da non sembrare sproporzionata all'ossatura fine. La sua pelle chiara aveva ancora il rilucere di una bambola cinese. Quella sera i setosi capelli neri scendevano sulla vestaglia rosa in una lunga treccia. Probabilmente non indossava nulla sotto. Poteva anche avere il cuore di una vipera, ma la sua bellezza era innegabile.

Il colonnello si alzò e Sabina sembrò considerarlo un incoraggiamento perchè si avvicinò a lui come se fosse sicura di essere la benvenuta. Montoya aveva dimenticato come fossero piccole le sue mani, ma erano abbastanza forti da abbassargli la testa, scivolando tra i suoi capelli, in modo che le loro labbra si incontrassero. Era molto dolce e questo lo insospettì subito.

Allontanandosi dal suo bacio, per un lungo momento la fissò negli occhi. Poi le chiese perchè era venuta da lui.

La moglie gli rivolse uno sorrisetto civettuolo. "E' passato così tanto tempo Luis?Hai dimenticato cosa significa essere sposati?"

"Non ho dimenticato cosa significa essere sposato con te. E sei anni di separazione sono lunghi abbastanza per capire che non hai rimpianto di stare lontana dal mio letto. Te lo ripeto, Sabina- perchè sei qui?"

"Non sto ringiovanendo, Luis." Il sorriso si spense e la donna si allontanò, dandogli le spalle come se fosse imbarazzata. "Sono cresciuta e ho infine capito che bisogna trarre il meglio dalla situazione in cui ci si trova."

Il ragionamento non tornava. Sabina non si era mai accontentata di niente in tutta la sua vita. Montoya tentò di indovinare. "Chi è lui?"

Lei si voltò all'improvviso e, a qualcuno che non la conoscesse, sarebbe apparsa shoccata. "Come hai detto?"

"Ti ha seguita fin qui?E hai pensato che in questo Paese selvaggio sarebbe stato più semplice avere una relazione senza censure?Mi dispiace informarti che ti sei sbagliata."

Sabina si accalorò. Odiava che lui le leggesse dentro come odiava i vezzeggiativi. "Non mi ha seguita. Non essere assurdo, Luis."

Nel momento in cui quelle parole lasciarono la sua bocca, Montoya seppe che erano la pura verità. C'era stato qualcuno in Spagna. Era probabile inoltre che il trasferimento non era stato una sua idea. Poteva quasi vedere le manovre politiche che avevano portato il giovane Augustin alla sua prestigiosa posizione di Vicerè, per costringerla a tornare dal marito. Montoya si chiese quale dei suoi nemici avesse organizzato tutto.

Questi pensieri lo fecero sorridere, cosa che servì solo a far innervosire Sabina ancora di più. Si capiva dalla fermezza della sua mascella e dallo sguardo severo, ma la sua voce era calma, quasi derisoria, quando disse, "Non è che non mi ami. Lo fa- appassionatamente. Ma recentemente si è convinto della verità del Giudizio Universale e sta cercando di rimediare ai suoi peccati. Mi ha supplicata, in nome del mio amore per lui, di tornare da te. Desidera vedermi di nuovo-- nel Regno dei Cieli. Dato che Augustin stava partendo per l'America, io l'ho seguito."

"Và e non peccare più."

"Qualcosa del genere."

"Deve essere molto ricco. E nobile, anche."

Lei rispose con un sorriso, ma si trattenne dal gongolare.

Montoya era divertito. Era così prevedibile che sembrava quasi una farsa. Raggiungendo il corridoio, le sussurrò mentre le passava accanto, "I tuoi metodi di seduzione lasciano molto a desiderare, Sabina."


Scena 4

Il Colonnello si diresse al suo ufficio. Aveva sempre pensato a questo luogo come a un santuario, il luogo in cui si sentiva più sicuro, dove si concentrava il suo potere. Sabina l'aveva usurpato i giorni passati, ma ora era certo che non l'avrebbe trovata lì. E non l'avrebbe neanche seguito attraverso il cortile, con indosso solo la vestaglia.

A pochi passi dalla porta, udì un suono che non avrebbe dovuto esserci, come di mobili che venivano spostati e poi il tonfo di qualcosa che veniva poggiato con mano pesante. Montoya si affacciò al balcone e fece segno ai soldati di sentinella in piazza di raggiungerlo in silenzio. Poi, aprì la porta dell'ufficio.

Un lume era acceso, anche se molto basso, e illuminava un cassetto, con il falso fondo rimosso, e un uomo che teneva tra le mani una sacca di oro. Montoya lo riconobbe, aveva visto Hector Domenico andare in chiesa ogni domenica, con una fila di bambini che lo seguivano come le paperelle. Era l'ultima persona che si sarebbe aspettato di trovare in quella situazione.

"Senor Domenico. Gentile da parte vostra venire a trovarmi." Quando si è confusi, la cosa migliore è essere educati. Montoya udì i passi di due soldati proprio dietro di lui.

Domenico doveva averli visti perchè sospirò e ripose la sacca nel cassetto. "Sono passato per discutere della nuova tassa, Colonnello," tentò.

Montoya sorrise: pochissimi uomini erano capaci di mantenersi composti quando erano sorpresi a commettere un crimine di tal fatta. Ordinò ai soldati di arrestare l'intruso e si voltò a vedere chi altro stava salendo le scale. Era Grisham.

"Un visitatore notturno, Colonnello?"

"Sembra proprio così, Capitano. E la domanda è, come ha fatto ad arrivare nel mio studio con i vostri uomini di guardia?"

Questo lasciò Grisham a corto di parole, ma piuttosto incollerito. Ordinò rabbiosamente di portare il prigioniero in carcere. "E perquisitelo. Controlleremo anche a casa sua domani mattina, per vedere se ha rubato anche dei guanti."

Domenico guardò il capitano da sopra la spalla con espressione confusa. Neanche Montoya era certo di aver capito bene. Grisham si limitò ad alzare le spalle, "Potrebbe essere lui."

L'incredulità di Montoya si trasformò in disgusto. Era tipico di Grisham tentare una cosa del genere. Lui stesso non era ostile all'utilizzo di un capro espiatorio quando necessario, ma non avrebbe lasciato che il capitano se la cavasse così facilmente. "Sbattetelo in prigione e basta, Capitano." E lanciò uno sguardo significativo anche ai soldati. "Me ne occuperò personalmente. Domani."

Dal balcone controllò che i suoi ordini venissero eseguiti, poi rimase a speculare sugli eventi dell'indomani. Le tende della camera di Sabina si mossero. Un brivido gli corse lungo la schiena. Avrebbe dormito un sonno leggero quella notte.

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Capitolo 8
*** Atto quarto, 1 ***


Scena 1

Scena 1

Tessa aveva appena evitato un cespuglio tornando a casa dalla sua cavalcata mattutina, quando vide un altro cavaliere che lasciava l'hacienda. Incitò il cavallo e corse dritta da Marta. "Qualcosa non va? Ho visto un uomo che galoppava in direzione del paese.."

"Hmm? No. Era solo un amico che mi aveva delle notizie da darmi. Doveva tornare a casa."

Se Marta non fosse sembrata tanto preoccupata, Tessa l'avrebbe punzecchiata riguardo al suo 'amico'. Invece domandò, "Che è successo?"

Marta rimase pensierosa per qualche minuto prima di darle retta. "Sembra che Hector Domenico sia stato arrestato. E' stato catturato nell'ufficio di Montoya con una borsa piena d'oro. E' stato il Colonnello stesso a sorprenderlo e le guardie l'hanno raggiunto immediatamente."

"Non è il Domenico di cui ho sentito parlare. Ho sempre pensato che fosse un uomo onesto, gentile e responsabile."

"Lo è. E ama molto la sua famiglia-la moglie e tutti e sette i bambini."

Tessa impallidì leggermente. "Sette?"

"Ama sua moglie *davvero* molto," scherzò Marta.

"Capisco che la nuova tassa deve avergli creato non pochi problemi. L'ha reso così disperato?"

"Non so. Qualcosa mi puzza." Marta stava di nuovo assumendo quell'espressione distratta.

"Dobbiamo scoprire cosa sta succedendo." Tessa aveva quasi raggiunto la porta quando Marta la fermò e la fece imperiosamente sedere su una sedia.

Resse il suo sguardo per qualche secondo. "Questa potrebbe essere una trappola di Montoya," la avvertì, molto seriamente. "Dobbiamo essere più che prudenti. Non possiamo fare niente che gli faccia sospettare un interesse particolare in Hector. Io potrei andare a Santa Elena a comprare delle cose che abbiamo dimenticato l'ultima volta, nessuno ci farà caso. Sicuramente Lucita sarà nel pueblo e avrà parlato con il marito. Se io la incontrassi per caso, sarebbe doveroso offrirle la mia comprensione."

"Posso farlo io. Parlare con la Senora Domenico."

"Tu non l'hai mai conosciuta di persona. Perchè una Dona dovrebbe interessarsi ai problemi di una contadina? E soprattutto una che non lavora nelle sue terre? Io l'ho aiutata a badare ai bambini durante l'epidemia dei polli. Siamo più che semplici conoscenti."

"Ma..."

Marta la interruppe, con uno sguardo malizioso. "Se proprio vuoi cercare delle informazioni in città, puoi sempre chiedere al Capitano Grisham. Sono sicura che coglierebbe al volo l'occasione di una conversazione privata."

Tessa alzò gli occhi al cielo, ammettendo la sconfitta. "Non metterci troppo."


Scena 2

"Senor Domenico, ho tardato a venire qui perchè sono ancora sconvolto. Siete l'ultima che avrei ritenuto capace di indulgere nell'attività criminale. Siete un esempio di virtù nella nostra comunità - marito fedele, padre amorevole, lavoratore diligente. Che diavoleria ha provocato quest' azione?

'Diavoleria' era troppo vicino alla verità perchè Hector potesse negare, ma non era uno stolto. "Temo, Colonnello, che dire la verità sarebbe un crimine maggiore che quello de semplice furto."

"Il furto, per la rappresentanza della corona Spagnola, non è un problema semplice. E avete udito l'espressione-- 'la verità ti rende libero'."

"Credo che renderebbe libera la mia anima, Colonnello."

"Questo è già il vostro destino, Senor. Non potete peggiorare la situazione. Sarebbe meglio liberarvi da questo peso prima di incontrare il boia. Tutto quello che io domando riguarda il furto. Con il resto vi aiuterà un prete."

La gravità della situazione calò lentamente su Hector. Si lasciò cadere pesantemente sulla panca, le ginocchia improvvisamente deboli. La stanza iniziò a girare ed egli appoggiò la testa al muro, pregando, mentre il senso di svenimento si placava lentamente. Quando aprì di nuovo gli occhi, Montoya era nella cella insieme a lui, appoggiato alla parete di fronte, e aspettava pazientemente il racconto dell'intera storia.

Hector si raddrizzò. Avrebbe parlato. Senza belletti o esagerazioni e senza tralasciare nulla. E l'avrebbe detto a chiunque avrebbe voluto ascoltare. Se stava per affrontare il giudizio finale, sarebbe morto senza lasciare misteri dietro di lui riguardo al suo carattere o alle sue motivazioni. Non era orgoglioso delle sue azioni, ma la colpa non era solo sua. Guardò Montoya negli occhi e iniziò a raccontargli dell'incontro con la Senora nell'ufficio del colonnello.

Montoya non si mosse durante il resoconto, né reagì in alcun modo al comportamento indegno tenuto da sua moglie. Quando Hector ebbe finito, il colonnello rimase immobile ancora per pochi istanti e poi fece un respiro profondo. "Tutto ciò è piuttosto inquietante, Senor. Credo vi rendiate conto che senza testimoni avrete non poche difficoltà a dimostrarlo. Mentre l'evidenza delle vostre azioni criminali è innegabile."

Hector non aspettava altro. La sua espressione dovette provarlo, perchè un leggero sorriso passò sulle labbra del colonnello quando continuò, "E' abbastanza, comunque, per aprire un'indagine. La verità vi ha garantito un'altra alba, Senor. Vi permetterà anche tutti i visitatori che vorranno vedervi fino al tramonto di stasera. Sono certo che vostra moglie è qui fuori."

La pena di morte non era stata commutata, ma Hector era grato di poter vedere di nuovo Lucita, se non altro per chiederle perdono. Montoya lasciò la cella e ordinò alla guardia di chiudere la porta. Aveva già fatto un paio di passi verso l'uscita quando si girò di nuovo verso Hector. "Vi suggerisco che uno di quei visitatori sia il prete."

Scena 3

Tessa udì la porta chiudersi e attese che Marta giungesse in salotto per dirle cosa aveva scoperto in paese. Era stato necessario tutto il suo autocontrollo per non seguirla come Regina, ma, dato che non aveva avuto notizia di un'imminente impiccagione, riteneva che avrebbe avuto tempo almeno fino al tramonto per sistemare Hector. Montoya era solito programmare le sue esecuzioni in orari drammatici- alba, mezzogiorno, tramonto. In quel momento Tessa stava scaricando i nervi andando nervosamente avanti e indietro nella stanza, in attesa che l'amica confermasse i suoi sospetti.

Alla fine si rese conto che Marta non aveva intenzione di raggiungerla, quindi decise di andare lei in cucina e sentì il rumore metallico di barattoli che sbattevano e quello di credenze che venivano aperte. Marta stava sistemando la spesa. Tessa restò sulla soglia della cucina, troppo irritata per dire qualcosa.

"Cosa?" chiese Marta, quando finalmente guardò bene l'espressione di Tessa.

C'era bisogno di chiederlo? "Avevi intenzione di lasciarmi di là a preoccuparmi e farmi domande?"

Marta alzò le spalle. "Non c'è niente di urgente e sapevi di trovarmi qui." E continuò tranquillamente con le faccende.

Il commento non era però riuscito a calmare Tessa. "Niente di urgente potrebbe dire che è già morto?!"

"Potrebbe- ma non è." Ma sorrise quando Tessa scivolò lungo la parete. "La condanna è stata rimandata a domani, quando il colonnello avrà finito di investigare."

Questo aveva l'aria di una buona notizia. Forse la situazione non era terribile come avevano pensato. Ma cosa era successo allora? Montoya non arrestava la gente a caso; aveva sempre una scusa-- anche se debole.

Marta doveva aver intuito la domanda prima che Tessa la pronunciasse. Le indicò una sedia e prese posto a sua volta intorno al tavolo. "Lucita è uscita dalla prigione proprio quando io ho finito di fare la spesa. Stava tremando ed era sconvolta, quindi l'ho accompagnata a casa. Nel frattempo mi ha detto tutto ciò che Hector le aveva raccontato. Sembra che avesse intenzione di rubare i soldi di Montoya per pagare le sue tasse. Hector non ha ideato il piano da solo; è stata la *Senora* Montoya a indicargli il nascondiglio dell'oro e il modo in cui entrare nell'ufficio. Quando Hector ha avuto dei ripensamenti e ha tentato di rifiutarsi, lei l'ha minacciato di accusarlo di un crimine più grave. Il suo errore più sconsiderato è stato restare solo con la senora per un considerevole lasso di tempo."

Tessa annuì. Aveva capito la minaccia di Sabina. Chiunque conoscesse Hector, o almeno avesse sentito parlare di lui, avrebbe capito che accusarlo anche solo di guardare un'altra donna sarebbe stato ridicolo. La sua devozione a Lucita era quasi leggendaria. Ma non era la verità che contava, purtroppo; era l'apparenza. Solo l'accusa della moglie del colonnello era sufficiente a causare non pochi problemi. Marta continuò con la storia, "Anche se Hector non è il primo cui si pensa come ladro, la senora ha promesso di liberargli la strada. Ma evidentemente non ha rispettato a fondo la promessa, perchè Montoya l'ha colto in flagrante."

"E lui ha raccontato tutto ciò a Montoya?" domandò Tessa. Marta annuì. "E l'ha detto anche a Lucita?" Di nuovo, Marta annuì, questa volta con un cipiglio perplesso. "Quindi Montoya può impiccarlo per diffamazione, oltre che per furto." Marta chiuse gli occhi e annuì per la terza volta.

"Hector crede che Montoya gli abbia creduto," disse Marta, tentando di vedere il tutto in una luce positiva.

Tessa decise che era arrivato il momento di indossare gli abiti della Regina. "Non ha importanza, Marta. Montoya non arresterà sua moglie e Hector ha comunque tentato di rubare nel suo ufficio. Devo tirarlo fuori di lì, stanotte."

 

Note: Lo so, sono terribilmente in ritardo con l'aggiornamento!La motivazione è che sono attualmente impegnata con una bruttissima faccenda che prende il nome di Esame di Stato. Comunque state tranquilli, manca solo un capitolo e poi l'epilogo.

 

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Capitolo 9
*** Atto quarto, 2 ***


Scena 4

Scena 4

Era quasi diventata una routine. Tessa lasciò Chico prima di entrare nel pueblo. Avrebbe raggiunto la prigione dal retro e si sarebbe arrampicata sul tetto. Poi avrebbe controllato la posizione delle guardie, si sarebbe gettata su di loro- letteralmente- e avrebbe liberato il prigioniero. Semplice.

Si era appunto sollevata di appena un metro quando ebbe improvvisamente la sensazione di non essere sola. Prima che potesse girarsi, la sensazione fu confermata dal suono di una voce familiare. "Sapevo che avresti abboccato. Stai diventando fin troppo prevedibile."

Tessa estrasse la spada mentre i piedi toccavano terra e si girò per parare il tentativo di Montoya di perforarle il cuore dal dietro. "Anche voi, Colonnello. Posso anche combattervi con gli occhi chiusi e dandovi la schiena." Non aveva gli occhi chiusi, ma Montoya non poteva saperlo.

O forse si. Il sorriso che le rivolse brillava di una gioia feroce. Tessa si rendeva conto che ultimamente aveva iniziato a condividere quel sentimento. Montoya era il suo unico sfidante degno della sua abilità. Grisham era forte, veloce e pericoloso, ma non possedeva le agili movenze di uno spadaccino professionista. Il colonnello si era evidentemente allenato in Spagna e doveva essere stato un alunno molto abile. L'unica negatività nei loro duelli era che lui aveva davvero intenzione di ucciderla. Le mancavano i giorni dei combattimenti impegnativi, ma amichevoli.

Il duello seguì la solita procedura: uno dei due era in vantaggio, poi l'altro. Non era mai prevedibile, tuttavia. Era come se ognuno di loro guadagnasse abilità con ogni combattimento, imparando l'uno dall'altro, imparando l'uno *dell'* altro. La stessa mossa non funzionava mai due volte. Fu un nuovo trucco che Tessa ideò lì per lì a far aggrovigliare le loro spade e far finire entrambe le punte sul terreno. Nell'immobilità e nel silenzio dell'imprevista pausa, entrambi lo udirono-- il click di una pistola che veniva caricata.

Tessa iniziò a vedere con più acutezza. Erano tutti e due leggermente piegati, entrambi usavano il terreno per tenere ferma la spada dell'altro. Poteva sentire il calore del braccio di Montoya contro il proprio, dalla spalla al gomito. Anche se lui indossava solo la camicia in quella notte fresca, l'intensità del duello aveva reso lucenti di sudore il suo viso e il collo. Una gocciolina stava scendendo dalla fronte lungo il perimetro del volto. I suoi occhi, però, non guardavano lei, quindi Tessa seguì il suo sguardo lungo le tenebre che li circondavano. E vide la pistola che veniva sollevata. Sembrava ridicolmente grande nelle mani delicate di Sabina.

"La sua lealtà è toccante," commentò Tessa, cercando di suonare tranquilla a tiro di una pistola carica.

"Lo sarebbe, se stesse puntando a te," replicò Montoya ugualmente calmo, rimettendosi dritto, lentamente, e urlo, "Sparale!"

Due pistole fecero fuoco quasi simultaneamente. Tessa chiuse gli occhi. Le avevano già sparato una volta, sapeva cosa aspettarsi. Poi li aprì di nuovo, confusa. Niente dolore, niente improvvisa debolezza. Non era stata sfiorata.

Si guardò intorno disorientata. Montoya era caduto e stava cercando invano di rimettersi in piedi. Sulla sua spalla il sangue stava iniziando a scorrere. Tessa cercò Sabina con lo sguardo e la vide distesa a terra. Il suono di una spada che veniva sguainata alle sue spalle la riportò alla realtà della sua situazione. Si voltò per vedere Grisham avvicinarsi con la spada in una mano e la pistola nell'altra. Il rumore di altri passi decise per lei. Al momento, non era in condizioni né fisiche, né mentali, di affrontare l'esercito. Avrebbe cercato di salvare Hector più tardi. Ora come ora poteva solo scappare.

Grisham la vide correre nel buio a grande velocità. "La Regina ha sparato al Colonnello!" urlò ai suoi uomini. "Inseguitela!!"

Quando i soldati si furono allontanati, Montoya alzò gli occhi. "La Regina mi ha sparato?" chiese, con uno sguardo che si interrogava chiaramente su cosa stesse architettando Grisham.

"Non credevo che voleste far sapere a tutto il mondo che vostra moglie voleva uccidervi. Se la Regina non vi ha sparato, l'ho fatto io. E ho già abbastanza problemi senza sparare al mio ufficiale in comando."

Montoya sorrise e annuì. Grisham ne fu un po' stupito,ma...a caval donato non si guarda in bocca. Aiutò il Colonnello a rimettersi in piedi e lo guardò avvicinarsi alla moglie. Montoya si inginocchiò accanto a lei proprio mentre il dottor Helm voltava l'angolo. Aveva in mano la sua borsa e si stava ancora sistemando i vestiti con l'altra.

"Ho sentito che il colonnello è ferito," spiegò, fermandosi per un attimo davanti a Grisham.

Questo si sforzò di reprimere i commenti acidi che il dottore sembrava ispirargli ogni volta. La situazione era seria. "Infatti...e anche la Senora Montoya."

Helm corse a controllare la donna e Montoya si spostò per lasciargli il campo libero. Senza farsi vedere, il colonnello passò a Grisham la pistola di Sabina. Non ci voleva un dottore per capire che era morta rapidamente. C'era sangue al centro del suo petto, ma la macchia non era larga, perchè il suo cuore aveva smesso di battere appena era stato trapassato dal proiettile.

Helm si rialzò, la confusione evidente sul suo viso. "Come...?"

Montoya rimase in silenzio, quindi toccò a Grisham occuparsi della versione ufficiale. "La Regina aveva la pistola puntata contro il colonnello. Abbiamo sparato entrambi nello stesso istante. Il colonnello deve essersi mosso al momento giusto, ma anche la Regina. L'ho mancata completamente. La Senora Montoya è stata attirata dal rumore delle spade, come me. Il proiettile ha colpito lei."

"Incredibilmente preciso per essere un colpo accidentale," notò Helm, sospettoso.

"Mi assicurerò che la mia pistola venga bilanciata," rispose Grisham.

"La Regina non usa armi da fuoco."

//Maledizione, perchè non può semplicemente lasciare perdere?!// Grisham sentiva che non avrebbe mantenuto il controllo a lungo.

"Forse non si fida più della sua abilità come spadaccina," rifletté Montoya. "Non so perchè se ne sia servita, stasera. Quello che so, Dottore, è che un momento prima mi vedo puntare contro una pistola e quello dopo mia moglie è morta." L'insolita, cruda emozione nella voce di Montoya zittì si Grisham che Helm.

Il dottore fu il primo a riprendersi. "Le mie scuse, Colonnello. Non è il momento per le domande. Andiamo nel mio ufficio. La vostra spalla ha bisogno di cure."

Montoya, improvvisamente, sembrò molto stanco. "E' una ferita superficiale, Dottore, lasciamo che sanguini per un po'. Preferisco che vi occupiate del corpo di Sabina. Portatelo nella chiesa, manderò qualcuno per aiutarvi. Poi ci vedremo nel mio ufficio."

Sembrava che Helm avesse intenzione di protestare, ma infine annuì. Il colonnello si rivolse a Grisham. "Trova la Regina!" ringhiò. E andò via.


Scena 5

Aveva sentito lo stridio del metallo e gli spari. Per qualche minuto, Hector si convinse che la Regina di Spade l'avrebbe salvato. Poi aveva udito Grisham urlare comandi ai suoi soldati e si era rabbuiato. L'ultimo abbraccio della sua Lucita sarebbe stato attraverso le sbarre della cella e l'ultimo sguardo ai suoi figlioli attraverso la corda dell'impiccato.

Sedeva sulla branda nuda, perso in questi pensieri bui, quando Montoya entrò in prigione. La guardia si mise sull'attenti e poi sussultò alla vista del sangue che impregnava la camicia di Montoya.

Il colonnello azzittì le eventuali domande. "Il dottore ha bisogno di aiuto e i tuoi compagni stanno inseguendo la Regina di Spade. Quest' uomo non va da nessuna parte. Và dal dottor Helm e fai quello che ti dice."

Il soldato fece il saluto e uscì.

Montoya prese le chiavi dalla scrivania e si avvicinò alla cella. Hector riusciva a vedere la sofferenza sul suo viso e il fatto che aprisse la porta con una sola mano confermò che il sangue era il suo. La Regina aveva davvero sparato a Montoya? E perchè il colonnello aveva aperto la cella?

La sua confusione doveva essere ben visibile, perchè Montoya aprì di più la porta. "Ascolta attentamente," spiegò piano. "La Regina di Spade ti ha aiutato a fuggire. Se ti fai catturare, sarai impiccato per furto e per diffamazione nei confronti della mia defunta moglie. Ti suggerisco di correre molto veloce. La tua famiglia ti può raggiungere dopo- se è ciò che desideri veramente."

Hector non aveva parole, era sotto shock. Avrebbe abbracciato di nuovo sua moglie e i bambini. Avrebbero dovuto abbandonare tutto ciò per cui avevano lavorato, ma era ancora vivo e avrebbero potuto ricostruire.

Solo quando Montoya si allontanò, tutte le sue parole si fecero chiare nella sua mente. La Senora era morta. Allora riconobbe la tristezza e il rimpianto che si nascondevano nelle ultime parole-- 'Se è ciò che desideri veramente.'

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Epilogo

Epilogo

La messa del funerale era finito e la piccola chiesa era quasi vuota. Tessa si voltò per lanciare un ultimo sguardo alla sola persona che era rimasta indietro. Il Colonnello Montoya si era spostato dalla navata centrale a uno degli altari laterali. Il prete l'avrebbe accompagnato entro un'ora a deporre il corpo della moglie nel cimitero, appena fuori dal pueblo. Montoya aveva chiesto di seppellirla da solo e nessuno aveva creduto necessario insistere.

Marta sfiorò il braccio di Tessa, per attirare la sua attenzione ed entrambe le donne si avviarono al carro. Tessa prese nota del cambiamento sulla bacheca quando vi passarono davanti. "Il colonnello ha abrogato la tassa a nome di Sabina. Ho sensazione che a Monterey non si lamenteranno. Montoya non si sarebbe messo nei guai per una donna che lo voleva morto."

"Sei sicura che la moglie stava tentando di ucciderlo?Poteva essere un espediente per liberarsi di lei."

"Ma allora perchè non incolpare la Regina della sua morte?Avrebbe dato al colonnello una buona scusa per arruolare più uomini e i Don l'avrebbero appoggiato. No, Montoya era sorpreso quanto me di vederla e non ho dubbi che abbia creduto che lei volesse ucciderlo. Anche Grisham deve averlo pensato. Nessuno ha cercato di colpire me."

Tessa si interruppe, rabbrividendo al pensiero. "Ho visto il suo sguardo, Marta. Sono certa che qualcuno avesse intenzione di accusarmi di una morte, ma era quella di Montoya. Deve averlo pensato fin da quando ha costretto Hector a rubare nell'ufficio. Forse il suo proposito venendo qui era proprio di diventare vedova."

Si girò a guardare ancora la chiesa e per la prima volta sentì qualcosa di simile alla pietà nei confronti del Colonnello Montoya. "Mi chiedo come sia essere eternamente legati a qualcuno che ti odia. Mi ricordo che una volta ha parlato di un uomo che scopre troppo tardi di aver fatto una scelta sbagliata riguardo alla moglie. All'epoca, ho pensato che cercasse di essere cinico, non che parlasse di se stesso."

"Non mi preoccuperei troppo per lui," disse Marta, prendendola a braccetto e spingendola di nuovo verso il carro. "Probabilmente lo trasformerà in un giorno da celebrare, come l'anniversario della morte del padre."

Tessa lanciò un sguardo alla chiesa da sopra le spalle. "Mi chiedo se ha delle buone ragioni anche per celebrare quello."

FINE

 

Note: Eccoci alla fine!Sono indecisa se continuare con qualche altro episodio, oppure finire qui. Se qualcuno è interessato a leggere il seguito, me lo faccia sapere, perchè questa non è una serie seguita da molti. Grazie e a presto (spero!)

Francesca5

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