Il vaso di Pandora

di Hotaru_Tomoe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Un brutto presentimento ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Che ho fatto di male nella vita? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Scintille... ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: ... e benzina sul fuoco ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Segnali di pace ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Forza e fragilità ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Buon Natale ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Una donna ostinata ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Mai un attimo di pace ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Il vaso di Pandora ***
Capitolo 11: *** Epilogo: Sulla collina ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Un brutto presentimento ***


DISCLAIMERS: “Harry Potter” e tutti i suoi personaggi appartengono a J.K. Rowling, Warner Bros, Bloomsbury, Salani Editore e a chiunque altro ne detenga i diritti. La seguente fiction non è in alcun modo connessa con il lavoro della Rowling né ha alcuno scopo di lucro.

I dialoghi sono tra virgolette, i pensieri anche, ma sono scritti in corsivo. Alcune formule magiche, invece, sono scritte con un carattere diverso.

DEDICA: Questa storia è dedicata a Vale e Gegè, potteriane d.o.c., colleghe e supporters impareggiabili, e a tutti coloro che amano sognare ad occhi aperti: non smettete mai di farlo! Spero che vi piaccia e che vi divertiate a leggerla quanto io mi sono divertita a scriverla.

CAPITOLO 1 – UN BRUTTO PRESENTIMENTO

Il piccolo negozio “La Gemmapietra” si trovava a Milano, a ridosso della Darsena del Naviglio Grande, in un quartiere dove ancora era possibile respirare un’atmosfera d’altri tempi, tra vecchie case di ringhiera con gli scuri scrostati dal sole e piccoli abbaini coperti da tegole in cotto, piccole drogherie e negozi di dischi in cui ancora ci si poteva trattenere a scambiare due chiacchiere in tutta tranquillità. Un quartiere dove, camminando lenti nel Vicolo delle Lavandaie e lungo il vecchio canale o sostando su uno dei ponticelli a schiena d’asino che lo scavalcavano, ci si poteva rilassare, lasciandosi alle spalle, per qualche momento, la vita accelerata e frenetica della città.

Se ci foste passati davanti, l’unica vetrina de “La Gemmapietra” avrebbe probabilmente attirato la vostra attenzione: su uno scaffale d’acciaio nero erano posati gioielli in argento, titanio, rame e pietre dure, tutti di pregevole fattura, realizzati a mano ed artigianalmente. All’interno avreste potuto trovare anche una gran quantità di vasi, soprammobili e piccole sculture in giada, corniola, malachite od ossidiana.

La proprietaria, Oleander Silvestre, era una donna di trent’anni, di statura e corporatura media. La prima cosa che avreste notato di lei sarebbero stati senza dubbio i capelli: lisci, cortissimi e di un color prugna molto cupo e spento. Nessuno pensava mai che fosse quello il loro colore naturale, nonostante le sopracciglia e le ciglia della donna avessero la stessa improbabile tonalità, pertanto le domandavano sempre che marca di tinta utilizzasse. Domanda alla quale rispondeva brevemente “Una miscela di mia creazione.” Di lei avreste poi osservato due occhi castani, nascosti dietro grandi occhiali dalla montatura di metallo sottile, sareste scesi con lo sguardo lungo il naso forse un po’ stretto, che le conferiva una voce leggermente nasale, e sulle labbra rosate, morbide e mai coperte di rossetto, solo, quando il freddo era più intenso, da un velo di burrocacao. Infine, sicuramente avreste notato le sue mani e non per la loro bellezza: molto robuste, per appartenere ad una donna, con le unghie corte, spesso macchiate di smalto o solvente, piene di spellature, calli, graffi o piccoli tagli, sempre intente a piegare abilmente metallo, impugnare martelli e pinzette, sfregare carta vetrata sulla superficie delle pietre. Intente, insomma, al loro lavoro.

La nostra storia ha inizio in un limpido pomeriggio di giugno: Oleander stava consegnando una coppia di orecchini di ambra ad una ragazza, quando entrò un’altra cliente, la quale aspettò che la prima uscisse e mormorò con voce musicale alla padrona del negozio “Cerco la mia pietra.”

“Capisco. – Oleander sorrise e fece cenno alla donna di sedersi di fronte al bancone – non le spiacerà mostrarmi un documento, vero?”

La cliente aprì la borsetta e le mostrò un cartoncino bianco rettangolare, sul quale comparvero, come scritte da mano invisibile, le seguenti parole: Mieko Sonoda, nata il 1 agosto 1750, sirena del clan Sonoda.

“Molto bene.” Approvò Oleander. Prese una sottile bacchetta di legno chiaro e la agitò in direzione della porta, la cui serratura si chiuse all’istante, mentre le veneziane scendevano a celare l’interno del negozio, poi si alzò e dal retro del negozio portò una boccetta contenente un liquido bianco lattiginoso ed un sacchetto di raso bianco pieno di pietre dure. Invitò la sirena a sceglierne una e posarla sul palmo della mano aperto.

La ragazza obbedì, pescando un’ametista a forma di cuore. Oleander con un contagocce ci versò sopra due gocce della sostanza lattiginosa, ma non accadde nulla. La cliente provò allora con un cristallo di rocca e dell’ossidiana, però la padrona del negozio continuava a scuotere la testa. Al quarto tentativo scelse una luccicante sfera di ematite e quando Oleander versò le gocce del liquido, esso divenne di un brillante color celeste, come gli occhi della sirena.

“L’abbiamo trovata: l’ematite aiuta a purificare ed incanalare l’energia. Spero che lei e la sua pietra andrete d’accordo.” Disse Oleander.

Contenta del suo acquisto, la sirena pagò 10 falci ed uscì.

Oleander si alzò e scomparve nuovamente nel retrobottega: un babbano avrebbe visto solo una nicchia, grande poco più di una cabina del telefono, due pareti della quale erano piene di scaffali fino al soffitto, sui quali giacevano affastellati e senza alcun ordine gli attrezzi ed i materiali che servivano alla creazione dei gioielli (in effetti Oleander era una casinista nata e mantenere una parvenza di ordine, di là in negozio, le richiedeva un grande sforzo!), mentre la terza parete era vuota, presumibilmente per muoversi meglio in quello spazio angusto. Ma una qualsiasi creatura, nelle cui vene scorresse un po’ di magia, su quella nuda parete avrebbe invece visto una porta di legno di noce, con incise numerose formule magiche anti-intrusione. La maga la varcò ed entrò nel laboratorio nel quale svolgeva il suo vero lavoro: infondere la magia negli oggetti, in modo da creare amuleti incantati. Si mise ad impacchettare i vari ordinativi aveva ricevuto, guardando Petrolio, il suo corvo imperiale che già saltellava impaziente sugli scaffali “Lo so, lo so, hai voglia di fare un po’ di moto. Ti accontento subito.”

Dopo un’ora circa si udirono alcuni colpetti decisi su una delle finestrelle del laboratorio, ma non era Petrolio già di ritorno: un grazioso allocco con un piccolo foglietto di pergamena legato ad una zampa stava bussando con il becco sul vasistas. Oleander Silvestre non aveva poteri divinatori, ma avrebbe giurato che quel volatile ed il suo messaggio preannunciavano guai, comunque aprì la finestra e fece entrare l’animale, che planò, silenzioso ed elegante, sul tavolo. Sperava fosse solo il cliente che le aveva commissionato un eliotropio stregato, un folletto molto assillante, ma non era così. Lesse il messaggio, aggrottò la fronte un po’ sorpresa e parlò con l’animale “D’accordo, sarò lì il prima possibile, non c’è bisogno che porti una risposta.” Il rapace piegò il capo in segno di assenso e volò fuori.

La donna sospirò pesantemente: la sensazione di andare incontro a grossi grattacapi a passo di marcia divenne più forte, il mittente del messaggio non si sarebbe azzardato a far volare in pieno giorno, in città, un rapace così vistoso, se non ci fosse stato un motivo serio. Chiuse il negozio e andò a prendere la sua auto, una vecchia 500 rossa fiammante, parcheggiata nella corte interna del palazzo. I maghi e le streghe di sua conoscenza le rimproveravano spesso di avere abitudini troppo babbane, compresa quella di guardare un sacco di quelle cose chiamate “film” e di voler guidare un autoveicolo. Come si poteva paragonare – chiedevano scandalizzati – la comodità e la rapidità di una scopa o di una passaporta a quella trappola puzzolente e rumorosa?

Ma Oleander faceva le spallucce: guidare era per lei un’attività molto piacevole. Ascoltava il motore salire di giri, schiacciava la frizione e cambiava marcia, lasciava scorrere il volante di pelle sotto le mani, fissava il nastro d’asfalto che scompariva sotto le sue ruote e si distendeva come non mai. Con la radio in sottofondo, poteva guidare per ore senza stancarsi.

Però quel pomeriggio il suo tragitto era piuttosto breve: percorse un tratto dell’accidentato pavet che costeggia il Naviglio, poi si infilò in una strada senza uscita, tanto angusta che a malapena ci passava una macchina, stretta tra alti palazzi dell’inizio del Novecento, in fondo alla quale stava un vecchio cancello di ferro arrugginito, che pareva restare in piedi solo grazie ai numerosi rampicanti che nel corso degli anni vi si erano avvinghiati. Oltre il cancello si scorgeva un filare di tigli malaticci e striminziti, dei campi incolti che non vedevano da anni la mano di un buon contadino, pieni di erbacce e pietre e, in lontananza, una fattoria abbandonata, nelle stesse pessime condizioni del cancello. Oleander lasciò la macchina di fronte all’ingresso, pronunciò la parola d’ordine “Carlus Porta” [1], lo aprì e oltrepassò la barriera che teneva celato al mondo esterno l’Istituto Mediolanensis, la scuola di magia della città lombarda, nel quale lei stessa aveva studiato da ragazza e sua madre prima di lei.

I tigli, in realtà, erano nel pieno della loro fioritura ed emanavano un profumo dolcissimo, quasi stordente, mentre le grandi foglie creavano una piacevole frescura. Il vialetto di sampietrini che conduceva all’edificio principale era cosparso di piccoli fiori gialli e i prati che circondavano la scuola, puliti e curati alla perfezione, erano verdi e rigogliosi, punteggiati da vivaci papaveri rossi e grandi margherite. Le lezioni erano finite da pochi giorni e la scuola era semideserta; Oleander salutò il giovane giardiniere che stava annaffiando una siepe di tasso con la sua bacchetta magica ed entrò nell’edificio, salendo fino in presidenza. Bussò alla porta e quando le fu risposto “Avanti!” entrò. Conosceva abbastanza bene Michele Cardano, discendente di Gerolamo [2], fondatore di quell’Istituto, e dopo i soliti convenevoli la donna andò dritta al punto: “Perché mi hai fatto chiamare con tanta urgenza? Se è per un’altra lezione dimostrativa agli studenti dell’ultimo anno sugli amuleti protettivi, posso vedere di organizzare qualcosa in settembre…”

“No, non si tratta di questo.” rispose Cardano, un ometto magro e completamente calvo che si avvicinava al secondo secolo di età, mentre si agitava a disagio sulla sua poltrona.

“Lo sapevo: rogne.” La donna si massaggiò la fronte con una mano, un’espressione disgustata sul volto, come se le fosse scoppiato d’improvviso un gran mal di testa.

Il preside spalancò gli occhi “Co-come… fai a… n-non avrai…”

“No – sospirò Oleander – non ho usato la legilimanzia, non ce n’è bisogno: ti comporti come se avessi un diavolo nascosto sotto la scrivania.”

Il viso dell’uomo divenne paonazzo, perché in un certo senso la sua intuitiva ex-allieva non era andata molto lontana dal vero “Ecco… c’è una persona che desidera vederti.”

“E chi sarebbe?”

“Cerca di capire… è una faccenda delicata, importante, altrimenti non mi sarei mai permesso di…”

“Chi è?” chiese Oleander, la cui voce era salita di un’ottava per l’irritazione.

Un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e gli occhi grigi, che indossava un completo bordeaux a fini righe dorate ed una camicia di seta bianca si staccò dalla parete alle sue spalle: “Ciao nipote, ti trovo bene.”

Un gemito sconsolato sfuggì dalle labbra di Oleander: non aveva affatto bisogno di voltarsi per sapere di chi si trattava. “Barone Raginmund Von Athala, preside della scuola di magia di Schloss Berth.” [3]

“Come sei formale. Non mi chiami più zio Ragin?”

Oleander lanciò un’occhiataccia prima al preside dell’Istituto e poi al Barone “Che sta succedendo qui?” chiese, con la sensazione di essere piombata in quel film babbano: “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”

Michele Cardano si affrettò a congedarsi “Dunque, penso sia meglio lasciare che il Barone ti spieghi tutto.” Ed uscì dallo studio di gran carriera.

Lo zio si accomodò di fronte alla donna ridacchiando: “Forse temeva che lo avresti trasformato in un rospo.” Di fronte all’ostile silenzio della donna proseguì “Ho sentito che come copertura per la tua attività hai un negozio di gioielleria, aperto anche ai babbani. Non hai paura di essere scoperta?”

“No, sono prudente.” rispose asciutta la donna.

“E come vanno gli affari?”

“Bene, grazie.”

“Buon per te. Ma se ti trovassi in difficoltà, a Schloss Berth c’è sempre un posto per te.”

“Cos’è, la donna delle pulizie si è licenziata?”

Il Barone ignorò la caustica domanda, si alzò in piedi e andò alla finestra, scostando la tenda “Originale il tuo mezzo di trasporto…”

Oleander esplose “Sei venuto fin qui per criticare il mio stile di vita? Allora potevi limitarti a spedirmi una lettera, avresti risparmiato tempo ed energie. E poi mi spieghi che cos’è questa pagliacciata? Non c’era bisogno di farmi venire qui con l’inganno: se avevi bisogno di parlarmi, sai benissimo dove abito.”

L’anziana segretaria dell’Istituto Mediolanensis, il cui ufficio si trovava di fianco a quello del preside, sussultò. Sapeva che Oleander Silvestre aveva un carattere tutt’altro che pacato. Si rivolse al suo superiore “Sicuro che vada tutto bene, lì dentro?”

“Me lo auguro Magda, me lo auguro.” Rispose, con un sorrisetto nervoso, assai poco convinto e convincente. Di certo non convinse Magda, che continuava ad occhieggiare la porta come se dovesse esplodere da un momento all’altro.

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NOTE:

[1] = lo so, non dite niente: è un gioco di parole agghiacciante, me l’hanno già detto… però non ho resistito! XD

[2] = Gerolamo Cardano fu un medico e filosofo lombardo del ‘500. Poiché nella sua vita si interessò anche di astronomia e di magia, ho pensato che sarebbe stato il fondatore ideale di questa scuola. ^_^

[3] = ehm, io il tedesco non lo so e non l’ho studiato, quindi per inventare questi nomi mi sono servita di Internet: spero di non aver scritto castronerie ciclopiche (nel caso, correggetemi). Insomma… prendeteli un po’ con le pinze! Raginmund dovrebbe significare “protezione del consiglio”, Athala “nobiltà”, Schloss “castello” e Berth “splendore”.

Mi sono accorta solo alla fine della storia che il nome che ho scelto per la mia protagonista, Oleander, assomiglia molto a quello del signor Olivander e me ne sono resa conto solo perché mi ero rimessa a leggere “La pietra filosofale” (questo da un’idea del grado di stordimento della sottoscritta). La cosa non è voluta, mi piaceva come suonava e l’ho scelto per questo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Che ho fatto di male nella vita? ***


CAPITOLO 2 – CHE HO FATTO DI MALE NELLA VITA?

“Conoscendoti, avresti eretto una barriera attorno al palazzo dove abiti, pur di non farmi entrare. E poi – il viso del Barone si fece serio – è una faccenda delicata, dovevo parlartene in un luogo sicuro.”

“E va bene, ti ascolto.” Dopotutto aveva fatto la strada fin lì, che almeno quella visita avesse un senso.

“Due mesi fa Schloss Berth ha subito un furto.”

Oleander si strinse nelle spalle: il maniero che ospitava la Scuola di Magia del ramo paterno della sua famiglia custodiva molti tesori, non la stupiva che fosse entrato nel mirino di qualche mago malintenzionato.

“Il furto è avvenuto nell’ala nord.” Aggiunse suo zio.

“Ah. – La zona interdetta a pubblico e studenti e protetta da una potente barriera magica eretta da suo padre – Il vecchio perde colpi. E cosa hanno rubato, una stele runica?” chiese, in tono ironico.

“No, il vaso di Pandora.”

Oleander emise un fischio di sorpresa: bel colpo! Quel vaso era un pezzo pregiato della collezione di antichità dei suoi parenti.

“E per la cronaca, tuo padre non sta perdendo colpi. La barriera magica non è stata infranta.”

“Questo è impossibile. Non si può entrare in quella zona ed uscirne impunemente con un oggetto magico senza che la barriera non registri il passaggio, nemmeno una persona della famiglia può farlo. Sarà stata per forza neutralizzata in qualche modo.”

“Ti dico che non è così: la mattina Miss Roth ha trovato una finestra della sala spalancata e il vaso era scomparso, ma la barriera era intatta.”

“Non sarà stata una bravata di qualche allievo, per potersi vantare dell’impresa con gli amici?”

“Lo escludiamo: i quartieri degli studenti sono stati perquisiti da cima a fondo e nulla è stato trovato. Abbiamo diffuso la notizia il più possibile, nella speranza che venisse ritrovato, così siamo venuti a sapere che, poco dopo la sparizione del vaso, si sono verificati alcuni strani incidenti nei paesi babbani vicini.”

“Strani incidenti?”

“Elettrodomestici ribelli, lampioni che cadevano al suolo senza motivo, porte e finestre che si chiudevano o aprivano all’improvviso.”

“Potrebbero essere poltergeists.” Disse stancamente Oleander. Sinceramente non capiva dove suo zio volesse andare a parare nè perché le stesse raccontando tutte quelle cose. Lei aveva tagliato i ponti con Schloss Berth e la famiglia Von Athala molti anni prima, quando, undicenne, era partita dal Tirolo alla volta dell’Italia per frequentare l’Istituto Mediolanensis e non più era mai tornata a casa, neppure per le vacanze estive. Al termine del ciclo di studi aveva deciso di restare lì e trovarsi un lavoro. “Insomma, io cosa c’entro in tutto questo?”

“Il Consiglio di famiglia si è riunito e ha decretato a maggioranza che sarai tu a cercare il ladro del vaso di Pandora.”

Nella stanza calò il silenzio. Oleander sbattè le palpebre più volte, cercando di assimilare l’assurdità di quella richiesta e poi scattò in piedi “NO! No e poi no! Mi rifiuto! Mi rifiuto categoricamente!”

Le urla della donna fecero saltar via la lunga penna d’oca dalle mani di Magda. “Oh, per tutti i protettori, quale sfacciataggine! Rivolgersi a un Barone di così alto lignaggio con quel tono.” La donna si sistemò gli occhialetti sul naso e storse la bocca in una smorfia di disapprovazione.

“Il Barone è suo zio, saprà come prenderla. Spero…” rispose Michele Cardano; altrimenti avrebbe dovuto pensare a un controincatesimo per trasformare un rospo in un essere umano.

“Oleander ti prego, calmati – Raginmund fece cenno alla ragazza di sedersi – e ascolta fino in fondo quel che ho da dirti.”

La donna camminava nervosamente per la stanza “Oh no no no no! Ho già ascoltato fin troppo. Perché proprio io? Non puoi chiederlo a tuo figlio?”

“Hans si trova presso il Ministero della Magia Cinese per svolgere alcuni affari per conto della nostra scuola.”

“Tua figlia?”

“Ilda è incinta, partorirà tra due mesi.”

“Uhm… ehm… Markus!” Oleander cercava disperatamente di mettere insieme una lista di tutti i suoi parenti, che avrebbero potuto occuparsi di quella rottura al posto suo.

“E’ in Transilvania per uno studio antropologico sui vampiri: deve scriverci un libro.”

“E… quella mezza lontana parente di papà… quel cavolo che è… e come cavolo si chiama… Nerella…”

“Intendi zia Norina? E’ morta tre anni fa.”

“Ops.”

“Ascolta Oleander, so che i nostri rapporti non sono buoni…”

“Dì pure che sono inesistenti. E poi io non sono un’investigatrice, sono un’artigiana!”

“Tuttavia questa è una richiesta che viene dal Consiglio della tua famiglia.” Insistè l’uomo, come se questo giustificasse tutto.

“La mia famiglia è morta vent’anni fa.” Rispose glaciale la maga.

“Che ti piaccia o no, tu non sei figlia soltanto di Ortensia Silvestre. Che ti piaccia o no, nelle tue vene scorre sangue Von Athala, anche se usi il cognome di tua madre. Che ti piaccia o no, la Sacra Regola del nostro Casato impone che le decisioni del Consiglio vadano accettate senza discussioni. Che ti piaccia o no, tu ti metterai alla ricerca di quel ladro.” Disse l’uomo in tono autoritario, ritenendo chiusa la questione.

Oleander era arrabbiata al punto che le veniva da piangere. Non vedeva quella gente da vent’anni, si era costruita una vita per i fatti suoi, non gli aveva più dato fastidio, non aveva mai chiesto aiuto, neanche uno zellino, aveva messo da parte i risparmi lavorando ogni estate per potersi mantenere da sola… ed ora arrivava quella imposizione… non ne avevano alcun diritto.

Non riusciva a capire: perché proprio lei? Per poterla sbeffeggiare ancora una volta se avesse fallito? O forse si trattava di una faccenda di troppo poco conto perché un nobile membro della famiglia Von Athala si scomodasse? Già, sembrava che tutti avessero di meglio da fare! Ad ogni modo sentiva il sangue ribollire nelle vene. Deglutì un paio di volte, per sciogliere il nodo che le stringeva la gola e ripetè l’antica formula usata per accettare gli incarichi del Consiglio di Famiglia “Conscia dell’importanza e del prestigio dell’incarico affidatomi, ringrazio la mia famiglia ed accetto. Come se poi avessi altra scelta!” esclamò sprezzante. Infatti, un membro della famiglia si fosse rifiutato di pronunciare la formula di accettazione entro una settimana dalla richiesta, sarebbe stato colto da lancinanti dolori di pancia e si sarebbe ricoperto di pustole verdastre fintanto che non avesse cambiato idea.

Si alzò per lasciare la stanza, poi si fermò: aveva sulle labbra una domanda… non sapeva se era il caso di farla… “Tanto, peggio di così…” pensò infine.

“Zio Ragin? Ti… ti ha detto di riferirmi qualcosa? E bada bene a come rispondi, perché questa volta userò la legilimanzia.”

“No, Oleander. Tuo padre non ha nessun messaggio per te.”

“Già, lo immaginavo.” Uscì, raggiunse di corsa la sua macchina e si sedette al volante, esausta come se avesse combattuto contro un drago. Si abbandonò contro lo schienale del sedile e chiuse gli occhi “Oh insomma, ma che ho fatto di male nella vita?”

Il preside Cardano rientrò nel suo ufficio e si rivolse al suo ospite: “Barone, lei è assolutamente certo che sia una buona idea affidare una missione del genere a quella ragazza? Non è un salto nel buio troppo azzardato? Non per offendere – insistè l’uomo – ma ho avuto Oleander come studentessa per 8 anni e non era nulla di speciale. Nella media, mai un’insufficienza, ma non è mai stata particolarmente brillante, tranne che per la creazione di oggetti magici, lo ammetto, lì è sempre stata insuperabile, infatti è l’unica materia per cui ha seguito il corso M.A.G.O. e ha preso E… ma comunque, quel suo carattere ribelle… mio dio! Al Ballo dell’ultimo anno arrivò alle mani con una studentessa dell’alta nobiltà…” un brivido scosse il preside, mentre ricordava l’episodio che aveva coinvolto anche una allieva, figlia di una famiglia di maghi purosangue. “E se non ricordo male pure con la madre successe un episodio simile. – si asciugò il sudore dalla fronte – E’ una maledizione! Se avrà dei figli, spero non li mandi a studiare qui, il mio cuore non reggerebbe a un altro incidente.”

Il Barone ridacchiò sommessamente “Già, già. La volta del Ballo rischiammo davvero l’incidente diplomatico! A Schloss Berth arrivarono delle strillettere fenomenali, mai visto nulla del genere: Miss Roth ebbe un esaurimento nervoso. Oleander è tutta sua madre, sangue latino e testa calda. Ortensia Silvestre era una donna impulsiva, passionale, esuberante. Non mi stupisce che mio fratello si sia innamorato follemente di lei e non mi stupisce che non riesca a parlare più con la figlia, che è il ritratto vivente del suo amore perduto. Troppo dolore. – agitò una mano nell’aria, come a voler spazzar via la malinconia che si era impadronita di lui – Per quanto riguarda le capacità della ragazza non deve preoccuparsi: le uve tardive danno un vino delizioso.”

“Eh?” chiese l’uomo, che del discorso del Barone non aveva colto né il senso né l’utilità.

“No, nulla, pensavo solo ad alta voce.” Rispose il Barone.

Due giorni più tardi Oleander appoggiava sfinita la testa sul tavolo della cucina, lasciando ciondolare le braccia lungo il corpo e chiedendosi per l’ennesima volta che avesse fatto di male per meritarsi quell’incarico. “Devo aver commesso qualche orrendo crimine in una vita precedente… del tipo che sgozzavo ridendo un intero villaggio di indigeni inermi, sennò non si spiega!” La superficie del tavolo era invasa da vecchi numeri della Gazzetta del Profeta, mappe e cartine su cui aveva segnato luoghi e appunti, rapporti e denunce degli ospedali e della polizia babbana su diversi incidenti apparentemente inspiegabili.

Esistevano diversi vasi di Pandora nel mondo magico. In effetti quello era il nome generico di un contenitore nel quale si metteva qualcosa di insolito o pericoloso che non doveva essere usato; poteva dunque essere paragonato ad un sigillo. Quello custodito a Schloss Berth conteneva un potente liquido in grado di far muovere gli oggetti con cui veniva in contatto o conferire loro poteri magici. Ma poiché la sua origine era sconosciuta e neanche i più grandi maghi del passato erano stati in grado di controllarne pienamente gli effetti, un lontanissimo antenato della famiglia sigillò il liquido nel vaso e ne proibì l’utilizzo: da allora nessuno aveva avuto il permesso di aprirlo, anche solo per studiarlo e l’oggetto era stato esposto nella sala dell’ala nord di Schloss Berth. L’episodio veniva citato anche nel libro “Storia della Magia in Europa, Volume III – Il Medioevo”.

Il ladro si era spostato dal Tirolo alla Svizzera, dove, due settimane prima, le sue attività erano cessate. Non sembrava avere un obiettivo od un bersaglio preciso, i suoi tiri mancini colpivano indifferentemente esseri magici e babbani, non lasciava messaggi né rivendicazioni ed anche il suo percorso era privo di qualsiasi logica apparente: il giorno prima terrorizzava con pietre rotolanti gli gnomi di una foresta, il giorno dopo faceva impazzire una ruota panoramica ad una festa popolare a trecento chilometri di distanza.

Era un rompicapo: non ci capiva niente!

“Serve una pozione ricostituente?” chiese suo zio, vedendola in quella posizione.

“No, basta questo: Accio caffè.” Agitò la bacchetta facendo levitare vicino a sé una caffettiera fumante. Dato che la nipote non era in vena di chiacchierare, fece per andarsene, ma lei lo fermò “Aspetta, zio.”

“Ti ascolto.”

“Perché io? Guarda, non voglio fare polemica, ma se devo rincorrere un ladro per tutta Europa, vorrei almeno capirne il motivo.”

L’anziano parente annuì: “E’ giusto. La scelta è caduta su di te per due ragioni: la prima è che questo individuo si muove anche in territorio babbano e nessuno di noi ha familiarità con il mondo comune. La seconda è che il vostro campo di azione è lo stesso: entrambi create oggetti magici. Solo che lui ricorre ad una pericolosa scorciatoia, tu lo fai con il tuo impegno e la tua conoscenza.”

“Non adularmi, non serve a niente, tanto lo so bene che né a te né a mio padre è mai andato a genio che io sia diventata un’artigiana.” Sua mamma era l’unica che aveva sempre incoraggiato le sue creazioni e i suoi oggetti magici, fin da piccola: quando aveva creato quei sonagli che vibravano al passaggio di un fantasma, quando aveva creato una rete magica per tenere lontane le dispettose Nixe [1] dal laghetto del parco… era stata lei ad insegnarle che le cose e gli oggetti erano speciali e andavano trattati con cura, perché il loro creatore aveva messo un po’ di se stesso dentro di loro e rispettarli significava rispettare il suo lavoro. Se non fosse stata per lei, adesso probabilmente non farebbe quel lavoro.

Un gufo messaggero atterrò sul davanzale dell’abbaino, strappandola a quei ricordi dolceamari. “Aspettavi posta?” chiese.

“No.”

Il volatile aveva una pergamena legata alla zampa, si trattava di un messaggio animato, veniva da una fata di stagno della Val Vigezzo: segnalava che un intero boschetto di abeti in una notte si era spostato attraverso la sua vallata, seminando il panico tra gli animali e distruggendo due malghe.

“Sarà lui?”

“Nipote cara, dovrai metterti in viaggio ed accertartene. Buona fortuna.”

La sera stessa Oleander ascoltava il racconto concitato dalle labbra della fata in persona, lo sgomento che aveva provato vedendo il gruppo di alberi migrare come una mandria di mucche impazzita e la fatica che avevano fatto lei e le sue colleghe per rimettere le cose a posto prima che qualche babbano insonne si accorgesse del misfatto. Menomale che la stagione turistica non era ancora al culmine e le baite rase al suolo erano vuote.

“E dopo quell’episodio non è più successo nulla?”

Le ali gialle della fata impallidirono “No, e francamente mi auguro di non dover rivivere più un’esperienza così traumatizzante. Lei pensa che non ricapiterò, vero?” la guardò speranzosa.

“E io che ne so? Accidenti a zio Ragin, che mi va presentando in giro come se fossi un’esperta!” Rivolse alla creatura fatata un sorriso molto diplomatico “Non si preoccupi, non è mai successo. Finora. Credo. Adesso penso che… andrò a dare un’occhiata a questo boschetto podista.”

“Lumen, accompagnala!” ordinò la fata ed una lucciola si materializzò davanti ad Oleander. Nonostante le ridotte dimensioni, illuminava il buio come un faro. “Oh, sapesse come la invidio, signorina.” Disse la lucciola con la sua vocetta sottile.

“Sul serio?” chiese Oleander, senza troppo entusiasmo.

“Oh sì! Lei sta vivendo una fantastica avventura, piena di inseguimenti, azione, mistero! Lei sta vivendo in prima persona tutto questo!” si entusiasmò l’insetto, ballando davanti alla maga e trasformando quell’angolo di bosco in una piccola discoteca, salvo poi dichiarare, nelle vicinanze del boschetto incriminato “Io mi fermo qua.”

“Alla faccia dello spirito di avventura.” Oleander si inoltrò tra gli alberi facendosi luce con la sua bacchetta magica: sembrava un normalissimo gruppo di abeti, tre pigne le caddero sulla testa, ma beh… non c’era nulla di strano, dopotutto era in un bosco. Poi però illuminò più da vicino una di queste pigne: era coperta da una sostanza iridescente, all’apparenza sembrava resina, però non era appiccicosa, ma viscida, dall’odore pungente di yogurt andato a male ed evaporava piuttosto velocemente. La allontanò dal naso con una smorfia di disgusto, si chinò per prendere una provetta nella sua borsa e raccogliere quella cosa, quando una pigna la colpì con forza su una natica. “Eh no, questo no!” la ragazza si rizzò di scatto, illuminando nella direzione da dove era partita la pigna “Non ti permetto di mancarmi di rispetto! Avanti, fatti vedere, maiale!” Un ramo si spezzò e cadde, qualche metro avanti a lei, Oleander si mise a correre in quella direzione: era buio e non notò che una giovane pianta era piegata in modo innaturale. Appena le fu di fronte, l’albero scattò in avanti e la colpì in pieno petto, sbalzandola all’indietro e facendola atterrare in una grossa pozza fangosa. Le sembrò che il vento, passando tra le cime più alte, producesse una risatina beffarda “Io ti uccido! – proclamò Oleander – Vuoi la guerra? Ti accontenterò.”

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[1] = creature della mitologia tedesca simile a sirene, che abitano le acque dolci.

Note: ok, a questo punto molti di voi staranno pensando: questa stordita ha sbagliato sezione, che c’entra con Harry Potter? Avete pazienza di aspettare fino al prossimo capitolo? Hogwarts sta arrivando ^_^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Scintille... ***


CAPITOLO 3 – SCINTILLE…

Passò l’estate e giunse settembre, la caccia al ladro di Oleander proseguiva, ma il misterioso individuo era sempre un passo avanti a lei e il più delle volte trovava solo i resti delle sue bravate. Oleander aveva ideato un reagente che spruzzava sugli oggetti sospetti: se diventava di colore rosso, erano stati contaminati dal fluido del vaso di Pandora e si trattava del suo uomo, altrimenti era l’azione di qualche fantasma o altro spirito. L’idea le era venuta dal Luminol, tanto usato nel suo telefilm preferito: C.S.I.!

Tutto questo, però, dopo aver rischiato di far saltare per aria il suo appartamento, per aver sbagliato il dosaggio di pirite di Marte per il reagente e aver dovuto praticare Oblivion a ripetizione su vicini di casa, pompieri, vigili urbani e semplici passanti curiosi (i maghi obliviatori del Ministero della Magia italiano erano in sciopero da due settimane per una questione di rinnovo contrattuale).

Dall’inizio di ottobre si trovava in Francia ed era stata affiancata nelle sue indagini dal signor Morlet, professore di Babbanologia dell’Accademia di Beauxbatons. Oleander temeva peraltro che il buon uomo i babbani li avesse visti solo in fotografia, perché sapeva davvero poco delle loro abitudini.

L’unica cosa divertente della sua compagnia era che parlava come l’ispettore Clouseau del film “La pantera Rosa”: si esprimeva in un italiano strascicato, dal forte accento e la prima volta che lo sentì pronunciare la parola “stònsa” fece uno sforzo incredibile per non scoppiare a ridere come una matta.

Ad ogni buon conto il signor Morlet non era un aiuto per le sue indagini, anzi, più spesso si dimostrava una palla al piede; come quella mattina, ad esempio. Si trovavano all’interno di un ospedale babbano: il giorno prima una bimba di sei anni disse di essere stata inseguita da un mostro fatto di fiori mentre giocava in un prato; scappando era inciampata e caduta rovinosamente, battendo la testa e rompendosi una caviglia. La polizia locale aveva trovato parecchi fiori, in effetti, ma ipotizzava che fossero caduti da un camion in corsa che passava lungo una strada lì vicino e la bambina si fosse inutilmente spaventata per quello. Oleander voleva accertarsi di persona se si trattava del suo uomo e, per passare inosservati, aveva suggerito di travestirsi da infermieri. Con una cartelletta in mano, fingeva di prendere appunti e agiva in modo del tutto spontaneo, mentre il suo compagno era impacciatissimo in quegli abiti per lui inusuali. La maga scosse la testa irritata, pensando che un manichino sarebbe stato più naturale; spruzzò il reagente sui vestiti della bambina e su di essi comparvero alcune macchioline rosse.

“Benissimo – esclamò Morlet – ora che ha verificato, possiamo andare? L’odore di questo luogo è disgustoso.” L’uomo si premette un fazzoletto sul naso, sembrava lì lì per dare di stomaco.

“E’ solo disinfettante.” Oleander roteò gli occhi: ma perché doveva portarsi dietro quella palla al piede? “Evidentemente in quel villaggio di indigeni che ho sterminato c’erano un sacco di bambini, anziani e donne incinte…”

La bambina si mosse nel letto, lamentandosi in preda ad un incubo. Era pallida e il profilo delle palpebre era arrossato per il lungo pianto. “Povera piccola – allungò una mano e le scostò i ricci biondi dalla fronte – ti sei presa un bello spavento, vero?” Oleander guardò verso il corridoio, si accertò che nessuno la notasse, poi si chinò su di lei e pronunciò adagio “Legilimens.”

“Ma cosa fa!” proruppe il professore di Beauxbatons.

Oleander lo ignorò completamente e chiuse gli occhi, penetrando nell’inconscio della bambina. Come immaginava, era traumatizzata da visioni spaventose: sognava di annegare, trascinata sul fondo di un fiume da rovi di rose come tentacoli di piovra, o di essere fatta a pezzi ed inghiottita da gigantesche piante carnivore. La maga interruppe il contatto e si sedette su una sedia, tirando fuori dalla borsa in tutta calma alcuni attrezzi: un cerchio di legno di quercia, un filo di acciaio sottile, dei granati ed un robusto uncinetto. Il signor Morlet la guardava come se necessitasse urgentemente di un ricovero al San Mungo “Mademoiselle Silvestre, è impazzita?”

“Affatto. Ma la bambina è terrorizzata a morte e rischia il crollo nervoso, quindi le costruisco un acchiappasogni che allontanerà gli incubi e la aiuterà a guarire: i granati sono gemme che portano gioia e tranquillità, non lo sapeva?”

“Io non credo proprio che si possa fare. Prima bisognerebbe consultare il Ministero della Magia e poi…”

“Non sono d’accordo – lo interruppe la maga – la bambina è in questo stato per colpa di una magia, è nostro dovere aiutarla.” Sentenziò, lavorando il filo d’acciaio, al quale andava legando le pietre. La caposala si affacciò nella stanza e disse: “Il paziente della 4 ha vomitato, uno di voi due deve andare a pulire.”

Oleander non alzò gli occhi dal suo lavoro, continuando a cucire ed intrecciare pietre e Morlet iniziò a balbettare “Ma-ma l-lei non penserà che io…”

“Professore – cinguettò la donna – non vorrà far saltare la nostra copertura, vero?”

Quella sera si recarono sul luogo dell’incidente: gran parte dei fiori erano spariti chissà dove, restavano solo qua e là alcune piantine avvizzite. “Direi che la pista si interrompe qua.” Disse Morlet, ansioso di tornare al sicuro, tra le mura della sua Accademia.

“No – disse Oleander – non questa volta. Si sta spingendo troppo in là. O la cosa gli è sfuggita di mano o questo individuo non si cura minimamente delle conseguenze dei suoi gesti; in ogni caso ho paura che presto qualcuno dovrà piangere dei morti.” Tirò fuori la bacchetta magica, agitandola in direzione dei fiori:

“Che fate ancora qui, io vi domando?

Ai vostri compagni riunitevi, io vi comando!”

I fiori si sollevarono in un turbinio e svolazzarono tutti in una direzione, Oleander montò a cavallo della sua scopa e li seguì. Li vide cadere a pioggia sopra la vecchia zona industriale della città, in particolare attorno ad una fabbrica abbandonata, dove erano sparpagliati anche tutti gli altri fiori che avevano aggredito la bambina. Oleander si guardò attorno con circospezione, avanzando con la bacchetta tesa, pronta a schiantare qualunque cosa si muovesse, ma il liquido doveva aver già finito il suo effetto. Alzò lo sguardo sull’insegna della fabbrica: un tempo lì si confezionava il tè. Un vecchio disegno scolorito dalle intemperie raffigurava un treno a vapore in arrivo in una stazione; sullo sfondo Buckingham Palace. E il cartello era ancora coperto dalla limacciosa sostanza iridescente: la traccia più fresca che le fosse capitata fino a quel momento. Improvvisamente si staccò dai supporti, cercando di volare via come un bizzarro tappeto volante, ma Oleander gridò “Stupeficium!” mandandolo in mille pezzi. “Forse questa volta so dove sei diretto.”

Ci aveva preso: il giorno dopo, quando scese dal treno a King’s Cross, si era da poco verificato un singolare incidente: due carrelli degli inservienti avevano deciso di improvvisare una gara di Formula 1 tra i passeggeri terrorizzati, per poi andarsi a schiantare contro la vetrina di un negozio di souvenir. Oleander superò senza rallentare due operai che stavano facendo ipotesi su cosa potesse essere successo (la batteria, i freni, un corto circuito…) e si diresse decisa verso il binario 9 e 3/4. Ora il suo uomo era su un’isola e aveva la possibilità di bloccarlo lì; aveva già in mente come fare, ma per realizzare la sua idea le serviva aiuto. Si accertò che nessuno la osservasse, attraversò la barriera e si trovò sulla banchina. Sul binario non c’era l’espresso per Hogwarts, ma un minuscolo treno merci: “Va ad Hogwarts?” chiese al macchinista.

“Veramente vado alle miniere dei nani che stanno più a nord, ma la Scuola è sulla strada.”

“Bene, allora credo che dovrò chiederle un passaggio.” E senza attendere la risposta, Oleander buttò in vettura il bagaglio e salì a bordo.

“Immagino sia stato un viaggio scomodo, Oleander. Se mi avessi avvisato del tuo arrivo, ti avrei fatta venire a prendere da Hagrid.” Albus Silente andò incontro alla sua ospite, offrendole una fumante tazza di tisana ai mirtilli e frutti di bosco, addolcita con miele d’acacia.

Oleander ringraziò per la bevanda e ne bevve immediatamente alcuni sorsi: era deliziosa “Nessun problema. Piuttosto è lei che mi deve scusare se sono piombata qui all’improvviso, ma è successo tutto molto in fretta.”

Silente conosceva di vista il padre e lo zio di Oleander (li aveva incontrati qualche volta a convegni dei presidi delle Scuole di Magia d’Europa) ed era al corrente della faccenda, avendola seguita con attenzione sulla Gazzetta del Profeta, così quando la ragazza gli raccontò cosa aveva in mente, appoggiò il piano con entusiasmo. Dato che ora il ladro si trovava su un'isola, spiegò la maga, posizionando quattro sfere undine ai punti più esterni della Gran Bretagna e sfruttando l'energia dell'oceano, poteva creare una barriera che avrebbe impedito al vaso di Pandora ed al suo pericoloso contenuto di uscire dai confini. “Resta comunque un territorio vasto da controllare, ma sempre meglio che rincorrerlo per tutto il Continente. Purtroppo non ho con me sfere undine.”

“A questo credo di poter rimediare io.” Silente aprì tutti i cassetti della scrivania, rovesciando sul tavolo una quantità incredibile di oggetti e libri, finchè da un lungo contenitore cilindrico tirò fuori alcune sfere fatte d'acqua, delle dimensioni di palline da golf e le passò ad Oleander, che prese dalla borsa un bulino e iniziò ad incidere simboli magici sulla superficie dell'acqua. "Poi bisogna inserire un nucleo di acquamarina, ti serve anche quella?"

"Oh no, di gemme ne ho in abbondanza."

Silente la lasciò lavorare, guardandola sorridente al di sopra delle lenti a mezzaluna, poi chiese: "E come sta tuo padre?"

Oleander si bloccò un attimo, prima di rispondere "Bene....... credo." con una faccia molto eloquente.

"Oh, ma certo, che svampito sono: tu sei in giro per l'Europa da mesi, non l’hai visto di recente." disse con voce comprensiva.

Le cose non stavano proprio così, ma Oleander fu grata a Silente per il suo tatto e per aver evitato quell'argomento spinoso. Poi i due maghi presero una cartina dell'Inghilterra e posizionarono le sfere nei punti più a nord, est, sud ed ovest dell'isola, poi congiunsero le mani. "A te l'onore." le disse Silente. Oleander annuì, poi pronunciò la formula magica:

"Alzatevi, mie dilette, e volate,

sulla riva del mare approdate.

Affinchè l'emergenza venga bloccata,

a me occorre che una barriera sia innalzata."

Le sfere brillarono leggermente, lievitarono fuori dalla finestra, salirono alte nel cielo e poi si divisero, in direzione dei quattro punti cardinali.

"La creazione della barriera di sicuro metterà il ladro in allarme, quindi non si muoverà per un po'. Per stanotte sono costretta a chiederle ospitalità, poi domani tornerò a Londra e prenderò una camera in albergo."

"Ah no – disse Silente, in un tono gentile, ma che non ammetteva alcuna replica – per tutto il tempo che vorrai tu sarai mia gradita ospite." In un gesto di cavalleria le porse il braccio per accompagnarla nella sua stanza "Anzi, se c'è qualcosa che posso fare per te, chiedi pure."

"Ecco, ho finito quasi tutti gli ingredienti magici ed anche il reagente che uso per individuare le tracce del ladro. A Beauxbatons non ho fatto in tempo a fare rifornimento."

"Nessun problema, Oleander, il nostro professore di pozioni sarà entusiasta di aiutarti."

A quelle parole a momenti Fanny cadde dal suo trespolo.

I primi raggi del sole filtrarono attraverso le spesse tende di velluto bordeaux della stanza di Severus Piton. L'uomo in realtà era già sveglio da tempo: erano molte notti che dormiva poco e male. Da più di un mese ormai Voldemort non lo mandava a chiamare, non era mai passato così tanto tempo da quando era riapparso sulla scena e più giorni passavano, più Piton si tormentava: il Signore Oscuro aveva forse scoperto i piani di Albus? Tutti i loro sforzi, le fatiche, i sacrifici non erano valsi a nulla? Si coprì con le mani il viso stanco.

Ma non era quello il suo unico tormento: il fatto era che ogni giorno lontano da Voldemort era per lui come una boccata d'ossigeno, creava l'illusione di poter avere una vita normale, di potersi dedicare solo ai suoi insegnamenti e a sottrarre punti a Grifondoro. Voldemort, con la sua assenza che pesava più della sua presenza, gli aveva messo davanti quel miraggio. Eppure lui sapeva che era solo un miraggio, presto o tardi lo avrebbe richiamato e quella breve illusione sarebbe svanita nel nulla, precipitandolo nuovamente nell'inferno del suo passato di Mangiamorte, in una vita in cui le sue mani grondavano ancora sangue e non c'era alcuna speranza per il futuro. E lui avrebbe dovuto ancora fingere di approvare, di provare gioia, di applaudire al Signore Oscuro che predicava morte e distruzione, mentre il suo cuore veniva lacerato dal ricordo delle molte vite che aveva spezzato.

Lord Voldemort era anche questo per Severus Piton: il ricordo indelebile e continuo dei suoi crimini, di ciò che era stato, di ciò che probabilmente sarebbe stato per sempre. Un assassino, macchiato da colpe che nessuna espiazione avrebbe mai più potuto cancellare.

Questi e molti altri foschi pensieri occupavano la mente dell'uomo mentre finiva di indossare il consueto vestito nero. Contrasse il viso nella sua classica espressione arcigna e severa e decise di scendere, prima di colazione, nel suo laboratorio sotterraneo, per controllare una pozione che aveva messo a bollire la sera prima e che ormai doveva essere pronta.

Ah, a colazione Albus avrebbe presentato una donna che si fermava a Hogwarts per un po', una specie di investigatrice, gli era parso di capire.

Anche Oleander si alzò presto, ma lei era rinfrancata da una bella dormita (il letto di quella stanza era il più comodo sul quale avesse dormito) e voleva recarsi il prima possibile nel laboratorio di pozioni. Un elfo aveva provveduto a lavarle i vestiti e farglieli trovare impeccabilmente stirati e appesi dentro l’armadio. Si ravvivò con le mani i capelli corti ed uscì in corridoio: era ancora presto e in giro non c’era anima viva, solo un fantasma che volteggiava mollemente attorno al soffitto.

Dopo aver girato a vuoto ed essere tornata per due volte davanti alla sua stanza, Oleander chiese indicazioni per il laboratorio di pozioni ad uno dei quadri, che raffigurava una donna sulla cinquantina intenta a sferruzzare alacremente a maglia una sciarpa. L’indumento aveva una lunghezza spropositata, tanto che aveva occupato quasi tutto il quadro a fianco (il cui proprietario aveva pensato bene di andare a farsi un giro) e metà del suo.

“Il laboratorio di Piton, mia cara? Perché mai a una bella ragazza come te interessa un posto tanto tetro?”

“Ho bisogno di alcuni ingredienti. Lei ha detto Piton… intende Severus Piton?”

“Sì, mia cara. Lo conosci?”

La donna fece spallucce “L’ho sentito nominare.” All’epoca Oleander aveva seguito, come chiunque altro, le cronache della caduta di Colui-che-non-può-essere-nominato e i successivi processi ai suoi seguaci. Piton era uno di quelli che ne era uscito pulito, grazie ad una solida difesa di Albus Silente.

“Mmh… dì, mia cara, cosa ne pensi della mia sciarpa? Credi che ad Arthur piacerà?”

“Certamente.” “Sempre ammesso che Arthur sia un’anaconda od una giraffa.” pensò.

“Il laboratorio di pozioni, hai detto, mia cara, eh? Va fino in fondo al corridoio, passa dietro l’arazzo bianco, prendi la prima porta sulla sinistra, attraversa l’atrio e poi scendi le scale fino all’ultimo gradino: è l’ultima porta in fondo.”

Oleander seguì le istruzioni e si ritrovò a scendere per una scala che sembrava infinita, mentre l’ambiente si faceva sempre più umido e buio. Bussò educatamente al pesante portone di legno massiccio del laboratorio, ma nessuno rispose, quindi si azzardò ad entrare “Permesso, c’è nessuno?” La stanza era immersa in una oscurità quasi totale, tranne che per un paio di lampade ad olio ed un calderone che ribolliva sul fuoco. Per evitare di andare a sbattere da qualche parte, tirò fuori la bacchetta ed accese le candele della stanza. Ora capiva perché la donna del ritratto aveva definito il laboratorio “tetro”. Luoghi come i laboratori di pozioni o le farmacie magiche non erano mai particolarmente gradevoli per la vista, ma lì gli ingredienti più macabri e disgustosi sembravano essere messi apposta in bella vista, per opprimere gli studenti che durante le lezioni dovevano affollare i tavoli. Su una cosa però la donna dovette ricredersi: pensava che quel posto, oltre che oscuro, fosse anche sporco, invece il professore lo teneva molto pulito, constatò, passando le dita sugli scaffali. Le pareva un po’ maleducato servirsi da sola, ma visto che non arrivava nessuno, tirò fuori la lista di ciò che le serviva: pirite di Marte, legno di ginko e penne di ibis rosso. Cercò un po’ in giro, leggendo le etichette dei vari barattoli, ma a un certo punto si voltò, sentendo uno strano sibilo provenire dal calderone. Lei non era certo un’esperta di pozioni, ma normalmente facevano quel rumore?

Non fece in tempo a darsi una risposta, perché il contenuto esplose fragorosamente, facendo schizzare il calderone fino al soffitto e spandendo tutt’attorno un denso fumo bluastro. Tossendo, Oleander cercò di pronunciare la formula per far dissipare la nebbia, ma una voce più forte e decisamente furiosa coprì la sua, poi un uomo alto e magro, completamente vestito di nero, fece la sua comparsa.

“In nome di Tolomeo! Che cos’è successo qui?” con un solo gesto Piton fece disperdere il fumo, guardò prima il calderone, poi la pozione sparsa ovunque e infine la donna che tossiva appoggiata ad uno scaffale “Chi è lei? Cosa ci fa qui? Chi le ha dato il permesso di entrare nel mio laboratorio? E che diavolo ha combinato?” avanzò velocemente verso di lei, il mantello che gli svolazzava alle spalle, gli occhi neri scintillanti. Dodici ore per preparare quella pozione e adesso questa scema la faceva saltare per aria. Aveva il sospetto che fosse l’ospite di Silente. Se era davvero così, si augurava che restasse ad Hogwarts il meno possibile.

La scema in questione, però, non sembrava per nulla intimorita dalla sua sfuriata “Se mi fa una domanda per volta, forse riesco a risponderle.” Ribattè acida, schiarendosi la gola.

“Le hai mai detto nessuno – la rimproverò Piton con voce glaciale – che le cose altrui non si toccano?”

“Io non ho toccato un bel niente!” si difese Oleander, guardandolo come se fosse pazzo.

“E allora quello come lo spiega?” il mago puntò un indice accusatore contro il calderone distrutto.

“Non lo spiego, non mi ci sono nemmeno avvicinata a quell’affare. Il liquido ha iniziato a sibilare e poi è saltato per…”

“Sciocchezze! – la interruppe lui – non era una pozione esplosiva.”

“Forse – insinuò Oleander, indispettita per essere stata zittita – ha sbagliato qualcosa. Perché, le ripeto, io non…”

“Basta così. Fuori dal mio laboratorio.” Sibilò Piton, con gli occhi che guizzavano di rabbia come fiamme nere.

“Ma se lei mi lasciasse spiegare fino in f….” insistette.

“No, ha già fatto abbastanza.”

“Ce l’ha per abitudine di interrompere le persone mentre stanno parl…..”

“Solo quando dicono cose inutili.” Concluse l’uomo, gelido.

Oleander gettò la spugna e si allontanò sbattendo la porta, pensando che se fosse restata un attimo di più, avrebbe estratto la bacchetta magica e non per farne uscire arcobaleni e colombe di pace. Piton ascoltò con sollievo i passi rapidi di quella donna allontanarsi sempre più. “Nemmeno gli studenti del primo anno riuscirebbero a fare un tale disastro.” Borbottava tra sé il professore, contrariato. Si apprestò a ripulire la pozione sparsa ovunque, quando si accorse che nell’aria ristagnava un odore strano, che il preparato, esploso o no, non avrebbe dovuto avere: colto da un dubbio atroce prese da uno scaffale due barattoli contenenti l’uno pelle di anguilla elettrica dei Mari del Nord e l’altro quella dei Mari del Sud, che era lievemente più chiara della prima. Qualcuno aveva invertito le etichette sui barattoli e lui, soprapensiero, aveva usato l’ingrediente sbagliato. Ecco il motivo di quell’esplosione! E l’ultimo studente al quale per punizione aveva fatto riordinare gli ingredienti era stato…

“NEVILLE PACIOCK! TI FARO’ AFFETTARE ROSPI SINO ALLA FINE DEI TUOI GIORNI!”

L’urlo belluino di Piton fece tremare tutte le provette del laboratorio.

Nel frattempo Calì e Padma Patil stavano cercando di raggiungere la Sala Grande per la colazione, ma le scale quella mattina erano meno collaborative del solito. Le due ragazze temevano che, arrivando in ritardo, avrebbero fatto perdere punti alle rispettive Case e non sapevano cosa fare. Oleander si affiancò loro, Calì la guardò in viso e si strinse istintivamente alla gemella: quella donna era letteralmente infuriata.

“Vi avviso, non sono assolutamente dell’umore adatto per questi giochetti.” Disse in direzione delle scale, gli occhi ridotti a due fessure. Le scale smisero all’istante di muoversi, facendole passare.

Oleander tornò verso la sua camera e la donna sferruzzante del ritratto le chiese “Trovato il laboratorio di pozioni, mia cara?”

“Sì. Purtroppo sì.” E sparì nella sua stanza per sbollire la rabbia.

“Quel Piton! Parola mia, è l’uomo più scontroso che abbia mai conosciuto. Povera cara, chissà che le ha detto.” Si lamentò la signora.

“Angela, non impicciarti degli affari altrui come tuo solito.” La rimbeccò Arthur, che nel frattempo aveva ripreso possesso della sua cornice e stava piegando la chilometrica sciarpa della consorte.

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Ringraziamenti e commenti:

@ MistralRapsody e Arabesque: grazie di cuore, la vostra recensioni mi ha fatto un enorme piacere e ha spazzato via dei dubbi che avevo. Temevo infatti di essermi dilungata troppo nell’introduzione e nella descrizione dei luoghi, perciò sono contenta che vi sia piaciuta.

@Leonella: hai ragione, scusami! Sono andata a pescare una pietra dal nome proprio difficile, credo che nessuno la conosca. L’eliotropio è una pietra di colore verde scuro con sfumature rossastre. Il vasistas è quel tipo di finestrella che si apre dall’alto verso l’interno. Per quanto riguarda Oleander non ce l’ha solo con suo zio, ma con tutto il ramo paterno della sua famiglia, per motivi che approfondirò meglio in seguito. Comunque posso dirti che da piccola si sentiva poco considerata e messa in disparte da tutti tranne che da sua mamma, inoltre (e lo vedrai nella storia) è estremamente cocciuta, quindi se n’è andata di casa rifiutando di avere qualsiasi contatto con i familiari.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: ... e benzina sul fuoco ***


CAPITOLO 4 – … E BENZINA SUL FUOCO

Il giorno seguente Oleander si concesse una passeggiata nel parco di Hogwarts: in tutti quei mesi a correre di qua e di là non aveva avuto un solo giorno per riposarsi, perciò pensò che non sarebbe stato male seguire il consiglio che l’anziano preside della scuola le aveva rivolto: “Hai l’aria stanca: devi prenderti un po’ di tempo da dedicare a te stessa e rilassarti. Tanto ormai il ladro non può attraversare la barriera.”

Tuttavia la sorte non sembrava dell’avviso di lasciarla rilassare troppo, così mentre stava ammirando il lago, Oleander udì una voce che urlava “ATTENTA!”, intravide un’ombra scura sopra di sé ed istintivamente sollevò la bacchetta per proteggersi con un sortilegio scudo, ma non potè evitare che un ragazzo e la sua scopa le piombassero addosso dall’alto, buttandola a terra; l’incantesimo, però, aveva ridotto di molto la violenza dell’impatto.

“Ohi, ohi – si lamentò, massaggiandosi il fondoschiena – ragazzo, ma chi ti ha dato la patente?”

“Harry! Harry, sei tutto intero?” Ron ed Hermione corsero verso il loro amico.

“Sì – rispose Harry, sistemandosi gli occhiali sul naso – questa signora mi ha evitato il peggio.”

“Signora? Ti sembro così vecchia?” chiese Oleander, mettendosi a sedere.

Harry arrossì “Ah… ehm… mi scusi… si-signorina?”

“Va già meglio, ma penso che basti Oleander.”

Poco dopo i quattro sedevano sull’erba ed Harry cercava di capire cosa fosse successo alla sua Firebolt “Non capisco – scosse la testa sconsolato – a un certo punto ho perso quota e non riuscivo più né a frenare, né a sollevarmi di nuovo.”

“Non ti avranno fatto di nuovo il malocchio?” chiese allarmata Hermione.

“No, non era come quella volta.”

Ron gli diede una pacca sulla spalla “Dai, non è successo nulla. Fortuna che Piton non ti ha visto, altrimenti avrebbe sicuramente…”

“Tolto dieci punti a Grifondoro per questa sua bravata, signor Potter.” Disse una voce bassa e profonda alle loro spalle. Il gruppetto sussultò: nessuno aveva sentito avvicinarsi Severus Piton. Oleander lo riconobbe e prese subito le difese del ragazzo, fosse anche solo per indispettirlo: non aveva dimenticato come l’aveva zittita il giorno prima e lei non era tipo da passarci sopra “Non è successo nulla. E poi il ragazzo non l’ha fatto di proposito.” minimizzò con un sorriso a trentadue denti.

L’uomo la ignorò (cosa che non le fece certo piacere) e si sporse verso il ragazzo con gli occhiali “Sarebbe così gentile da spiegarmi cos’è successo, signor Potter?” domandò con voce soave.

“Io non lo so davvero. Non riuscivo più a controllare la scopa.” Si difese Harry.

“Non vorrà farmi credere che il miglior Cercatore di Grifondoro non riesce a compiere un semplice volo lineare?” lo canzonò Piton. Poi vide che Weasley e Granger stavano fissando l’ospite di Albus con gli occhi sgranati e si volse anche lui a guardarla: aveva appoggiato l’orecchio al manico della scopa di Potter e stava dando piccoli colpetti con le nocche sul legno. Corrugò la fronte, unendosi allo stupore generale “Cosa diavolo sta facendo?”

“Uhm… Harry, il tuo manico di scopa si è rotto.”

“Cinque punti in meno a Grifondoro per la sua negligenza nel controllarla, Potter.” Piton colse la palla al balzo.

“Ma Harry non poteva accorgersene.” si intromise di nuovo Oleander. Piton si girò verso di lei con uno sguardo carico di rabbia: nessuno, nemmeno i suoi colleghi, osavano contraddirlo così apertamente e quella donna l’aveva già fatto due volte nel giro di dieci minuti. Ron ed Hermione pensarono all’unisono che se fosse stato possibile lanciare un Petrificus Totalis con gli occhi, Oleander sarebbe diventata una graziosa statua di granito seduta stante.

“E, di grazia, perché non poteva? Sta dicendo che il signor Potter necessita di una visita oculistica?”

Oleander avvicinò il manico della Firebolt al professore “Ecco, vede? Il rivestimento esterno non presenta crepe, sembra tutto normale, ma dal rumore che fa colpendola, si capisce che alcune fibre interne si sono spezzate. Direi all’incirca… qua!” indicò il punto con un dito.

“Dev’essere successo durante l’ultima partita di quidditch, quando i battitori di Serpeverde ti hanno scagliato contro quel bolide.” Suggerì Hermione.

“Wow! – esclamò Ron ammirato, guardando Oleander – ma tu come hai fatto a capirlo così in fretta?”

La maga si strinse nelle spalle “Creare oggetti magici è il mio mestiere, quindi so anche ripararli.”

Piton si girò, facendo ondeggiare l’ampio mantello nero, scoccandole un’occhiata dal basso in alto “A questo punto mi ritiro e vi lascio a disquisire di bassa manovalanza della magia. Prestate attenzione ragazzi, può darsi che abbiate trovato la vostra strada.” disse con tono pacato, ma grondante sarcasmo. E dopo aver rivolto un ultimo, ironico sorrisetto al gruppo, si allontanò, furtivo e silenzioso come era arrivato.

Oleander era rimasta a bocca aperta “In pratica mi ha appena detto che sono due braccia rubate all’agricoltura… – si girò verso i ragazzi per averne la conferma, non credendo alle proprie orecchie – Quell’uomo odioso mi ha davvero appena dato della manovale?” urlò.

“Credo di sì.” Confermò Harry, grattandosi la nuca imbarazzato, perché l’uomo odioso in questione aveva un udito finissimo e di sicuro la stava sentendo. La rabbia della donna era anche giustificata, ma la sua reazione era talmente esagerata da risultare comica.

“Non farci caso, il professor Piton è sempre così: odia tutti e non perde occasione di essere sgradevole.” la rincuorò Hermione.

Oleander continuava a gesticolare animatamente in direzione della nera figura ormai lontana: sembrava vittima di una tarantallegra “Come fate a sopportarlo? Insomma, non vi viene mai voglia di… di… di…”

“Farlo materializzare all’interno di un vulcano?” suggerì Hermione.

“Farlo ricoprire di pustole velenose?” incalzò Harry.

“Farlo divorare da un drago selvatico siberiano?” concluse Ron.

“Oh sì!” esclamarono i tre ragazzi in coro, annuendo vigorosamente.

“Bene: il giorno che metterete in atto uno di questi propositi, fatemi un favore e chiamatemi, voglio essere presente.”

“Cambiamo discorso – disse Harry con rammarico – immagino che la mia scopa sia da buttare.”

“Sciocchezze, Harry. Giovani d’oggi: se una cosa si rompe, per voi è per forza da buttare. Dammi qualche giorno e te la rimetto a nuovo.” Gli allungò una manata sulla spalla che poco aveva da invidiare a quelle di Hagrid.

Ron porse ad Oleander la sua bacchetta, che le era caduta nell’impatto con Harry: era una bacchetta molto particolare, non ne aveva mai vista una così in tutta la sua vita. Lunga circa 30 centimetri, di legno di bambù, sottile, leggerissima e priva di impugnatura. Il crine di unicorno, invece di essere all’interno della bacchetta, come aveva sempre visto, si avvolgeva a strette spirali attorno alla stessa e il tutto era ricoperto da una vernice trasparente molto liscia e fredda. “E’ resina di alga nori – disse Oleander per rispondere allo sguardo curioso del ragazzo – la vernice più impermeabile e resistente che esista. Vent’anni e mai un graffio.”

“La tua bacchetta sembra…… strana.” notò Hermione. Veramente le era venuta in mente un’altra cosa, ma dato che non era un’osservazione troppo gentile, all’ultimo riuscì a trattenersi.

“Esprimiti pure liberamente, Hermione. Cosa ti sembra?”

Bacchette così, in effetti, Hermione ne aveva viste parecchie, quando papà Granger arriva a casa la sera con tre porzioni da asporto del ristorante Antica Pechino. “Sembra… uno di quei bastoncini per mangiare il cibo cinese.” Disse in un soffio, sperando di non risultare troppo offensiva.

“Ed è esattamente quel che sembra, Hermione.” Disse Oleander alzandosi.

Alcuni giorni dopo Oleander stava dando gli ultimi ritocchi alla riparazione del manico di scopa di Harry nel magazzino degli attrezzi di Hogwarts. La porta si aprì ed entrò Severus Piton: vista la donna, pensò quasi di fare dietrofront, ma ormai anche lei lo aveva notato, quindi si limitò a sbuffare ed entrò, cercando di ignorarla. Cosa non semplice, perché la donna gli rivolse immediatamente la parola con tono bellicoso: “Hogwarts è davvero piccola.”

“Una volta tanto sono pienamente d’accordo con lei.” Le rispose Piton, apatico. Gli fece piacere vedere Oleander arricciare le labbra indispettita… in effetti era piuttosto divertente punzecchiarla con la fine arte del sarcasmo e vederla reagire in modo scomposto. Non avrebbe potuto essere più plateale nell’esprimere i suoi sentimenti: iniziava a gesticolare (tipica cattiva abitudine italiana, aveva fatto notare Madama Bumb da buona inglese), le orecchie le diventavano rosse, spalancava i suoi grandi occhi color nocciola e strepitava… era come un piccolo vulcano.

Nel frattempo Oleander aveva appeso il manico della scopa di Potter ad una parete: attorno al punto in cui si era rotto aveva messo una specie di ingessatura. “Cos’è quello?” chiese, facendo cenno col mento.

“Anelli di corno di narvalo. Servono a tenere immobile il legno finchè la cera di api boeme che ho iniettato all’interno non ripara la crepa. Oh, ma immagino che a un esimio professore di pozioni non interessino questi discorsi di bassa manovalanza.” Rispose in tono casuale, scrollandosi la polvere di corno dal grembiule da lavoro.

A proposito di sarcasmo, anche a quella donna non mancava.

“E lei perché è qui?” chiese Oleander. Piton sollevò il calderone che aveva in mano, lo stesso che era saltato in aria il giorno del loro primo incontro, lo buttò in un angolo e andò a sceglierne uno nuovo. Con la coda dell’occhio vide Oleander avvicinarsi al contenitore di peltro sbreccato ed esaminare l’ammaccatura con occhio clinico “Non c’è alcun bisogno che lo aggiusti, ne prendo un altro…… Mi sta ascoltando?” chiese esasperato, quando vide che Oleander continuava a fare di testa sua ed ora armeggiava col manico dell’attrezzo.

“Non lo faccio per lei, ma per questo povero calderone, che può ancora rendere i suoi servizi, a patto che trovi un nuovo padrone meno irritabile.”

“Allora quel padrone non sarà lei.” disse Piton, certo che la donna avrebbe iniziato uno dei suoi spettacoli.

Di fatti vide Oleander inspirare per prendere fiato e gridare “OH! Le hai mai detto nessuno che lei è davvero un uomo…. AHIA, ACCIDENTI!” nel tentativo di togliere il manico dal suo alloggiamento, si era procurata una vistosa ferita sul palmo della mano destra. Lasciò cadere il calderone a terra e si strinse la mano con una smorfia di dolore.

“Che imbranata.” mormorò Piton alzando gli occhi al cielo.

“E’ tutta colpa sua, mi ha distratto. – lo accusò a denti stretti – Boia, che male!”

Piton si frugò nelle tasche tirando fuori un fazzoletto pulito e si avvicinò alla donna “Mi sorprende davvero che lei abbia ancora tutte e dieci le dita.” Prima che Oleander potesse protestare, le afferrò il polso con decisione e legò il fazzoletto attorno alla ferita. Lei, per deformazione professionale, per prima cosa guardò le sue mani, affascinata: erano mani molto belle, curate, con dita lunghe, abili e veloci nello stringere la benda. Sembravano fatte apposta per mescere ingredienti magici e creare pozioni, peccato che fossero così fredde... La seconda cosa di cui si rese conto fu che Severus Piton era capace anche di gesti gentili, da normale essere umano, insomma. La terza fu che, da quando lo aveva conosciuto, per la prima volta aveva l’occasione di osservarlo da vicino. Incrociò i suoi occhi… caspita, erano proprio neri, profondi come il cielo di una notte senza luna. Per un istante, nessuno dei due parlò, poi dalla ferita di Oleander, che non aveva smesso di sanguinare, caddero a terra due pesanti gocce di sangue, che si spansero come fiori scarlatti.

PLICK - PLICK

Piton le guardò e ne fu turbato: nella sua mente si riaffacciarono le stragi che aveva compiuto quand’era Mangiamorte. Quanto sangue aveva versato nella sua vita? Quanti fiori insanguinati come quelli aveva fatto sbocciare? Tanti da ricoprire prati interi.

Serrò le labbra sottili che tremavano impercettibilmente e si allontanò dalla donna. “Vada a farsi medicare da Madama Chips.” mormorò piano.

Oleander, sorpresa da quella reazione e dall’atmosfera tesa che si era creata, assunse un’aria divertita e tentò una battuta: “Oh, la prego, non mi dica che le fa impressione la vista del sangue.”

“In un certo senso è proprio così.” Rispose Piton, con una voce talmente bassa che Oleander faticò a comprendere le parole. In quel momento non era il solito arrogante e freddo professore di pozioni, sembrava… triste… e magari era a causa della sua battuta, fatta a sproposito, come al solito! Perché non rifletteva mai prima di aprire bocca? Ehi, un attimo, perché si sentiva in colpa?

Incerta sul da farsi, Oleander si dondolò sui talloni, poi disse precipitosamente “Professor Piton? Ehm… ammettiamolo, noi due siamo partiti decisamente con il piede sbagliato. Perciò che ne dice se stendiamo un Oblivion su tutto quanto successo finora e ricominciamo da capo?”

Piton raccolse un calderone nuovo e la guardò. La sua espressione era indecifrabile, nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa stesse pensando, gli occhi erano seminascosti dai lunghi capelli che gli spiovevano sul viso e non tradivano emozioni.

Non riusciva a impedirsi di provare una certa curiosità nei suoi confronti: che uomo misterioso! Il portamento fiero, distaccato, sprezzante e l’atteggiamento scostante inducevano un timoroso rispetto ed una prudente diffidenza in chiunque lo avvicinasse, perché solitamente le persone provano una istintiva paura per ciò che non conoscono e non riescono a capire. Per lei, invece, non era così. Era stato dalla parte di Lord Voldermort, d’accordo, ma al processo Albus Silente lo aveva difeso, quindi per lei era a posto e non si sentiva spaventata o a disagio in sua presenza.

“D’accordo, mi sta bene – disse infine Piton, camminando verso di lei – dimenticherò che è entrata nel mio laboratorio senza permesso, che mi ha contraddetto due volte davanti ai miei studenti e che mi ha dato dell’odioso. Accetto le sue scuse.” La superò ed uscì, ma anche attraverso la porta chiusa udì lo scoppio di rabbia della donna “EHI! Torni indietro, guardi che ne manca un pezzo! Manca il pezzo dove lei si scusa con me… non può cavarsela così!”

Severus Piton si guardò attorno per accertarsi che non ci fosse nessuno e si lasciò scappare una risatina divertita.

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Ringraziamenti e commenti:

@MistralRapsody: i francesi non sono molto simpatici nemmeno a me… la battuta sul paziente che ha vomitato l’ho messa apposta. In questo capitolo altre scintille tra Severus e Oleander.

@Arabesque: sì, in questa storia ci sarò un’alternanza di momenti divertenti (spero) e altri più seri. Per vedere le cose muoversi tra i due, però, dovrai aspettare ancora un po’.

@La Castellana: quasi quasi mi dispiace per Neville (mi piace come personaggio), ma era l’unico che poteva fare un pasticcio del genere.

Ah, se qualcuno beccasse questa storia anche su Manga.it, sono sempre io che l’ho scritta, anche se con un nick diverso e sono leggermente diversi anche i capitoli in qualche punto, perché man mano che posto, faccio modifiche (non sono mai soddisfatta fino in fondo U_U ).

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Segnali di pace ***


CAPITOLO 5 – SEGNALI DI PACE

Il mese seguente trascorse abbastanza tranquillamente: tre volte Oleander dovette recarsi a Londra, Bristol e Glasgow per verificare degli eventi sospetti, ma non si trattava del ladro del vaso di Pandora: in un caso si trattava di un mago che aveva esagerato con un incantesimo “Gratta e netta”, rendendo la sua casa trasparente, negli altri due di ingressi non autorizzati dal Ministero della Magia di creature di un’altra dimensione spazio-temporale.

La stagione autunnale trascorse rapidamente: aceri e castagni videro le loro foglie mutare in un rosso ed un giallo acceso che incendiò di colori la brughiera, ma quando i colori si spensero, assumendo un’opaca tonalità marrone e le foglie iniziarono a cadere al suolo in una pioggia incessante, si intuì che l'inverno si stava avvicinando a grandi passi. Verso la metà di novembre i primi fiocchi di neve caddero su Hogwarts e gli allievi della scuola di magia erano sempre più elettrizzati, perché le vacanze di Natale si avvicinavano.

Da quando Oleander aveva riparato la scopa di Harry, la voce si era sparsa tra gli studenti e così, alla spicciolata, c'era chi andava da lei per un amuleto, una pietra magica o per far riparare qualche oggetto. Persino Ron vide la sua bacchetta magica tornare come nuova, dopo che una pianta carnivora della serra di Erbologia, particolarmente restia a farsi potare, gliela aveva mangiucchiata tutta, e lei stava facendo l’abitudine ai ritmi di quella vita.

La sola cosa che la disturbava erano le lettere che arrivavano periodicamente via gufo da Schloss Berth chiedendo notizie ed aggiornamenti in merito alla situazione. Anche da lontano si sentiva gli occhi di tutta la famiglia puntati addosso, lei non aveva ancora risultati concreti da mostrare e la cosa la innervosiva terribilmente, perché in fondo le sarebbe piaciuto risolvere il caso e poterli guardare trionfante dicendo: “Ce l’ho fatta!” Dimostrare, almeno una volta, che valeva qualcosa.

Ma poi le bastava entrare nella Sala Grande di Hogwarts e il suo malumore spariva: Silente e tutti gli altri professori erano molto gentili con lei. Tutti tranne Severus Piton, ovviamente: nonostante le buone intenzioni, i loro battibecchi non erano cessati, anche se ormai si era abituata anche a quelli. Anzi, si sentiva stranamente dispiaciuta se almeno una volta al giorno non aveva l'occasione di scambiare alcune battute caustiche con lui.

Le loro reciproche punzecchiature erano uno spasso per i colleghi, persino il sonnolento professor Rüf si animava ascoltandoli.

Anche Piton si era abituato alla sua presenza: se qualcuno gli avesse detto che la mattina scrutava l'ingresso della Sala Grande in attesa di veder spuntare una testolina dai corti capelli viola scuro, l'avrebbe incenerito all'istante, eppure era così. Perchè quando aveva occasione di parlare (o meglio di litigare) con lei, riusciva a dimenticare Voldemort e i suoi complotti, vivendo rari momenti di serenità.

Ma solo per poco: quella mattina, ad esempio, si svegliò di soprassalto dopo uno dei consueti incubi sul suo passato di Mangiamorte.

Si appoggiò alla scrivania respirando profondamente: si preannunciava una pessima giornata, tanto più che aveva lezione con quegli imbranati del primo anno di Tassorosso. Ma il suo umore migliorò non appena aprì la porta della sua stanza, lì davanti c'era il suo vecchio calderone, perfettamente riparato, con dentro un biglietto. Era bianco, ma con un tocco di bacchetta magica apparvero queste parole "Nell'attesa che un nuovo padrone si faccia avanti, potrebbe un esimio professore di pozioni conservarlo?" Piton ammise con se stesso di essere sorpreso, perché il profondo squarcio era scomparso senza lasciare traccia alcuna; ci fece scorrere sopra le dita: la superficie era perfettamente liscia e regolare: un lavoro pregevole, doveva esserle costato un bel po’ di fatica.

Infatti negli ultimi giorni, le mani della donna non avevano più vesciche e spellature del solito?

Lo rimirò ancora un attimo, poi rientrò in camera, prese la penna d'oca e scrisse un messaggio per Hagrid: aveva bisogno che andasse in un posto per conto suo a prendere una cosa. Certe cortesie andavano ricambiate.

Due giorni dopo Oleander stava confortando Harry dopo che aveva preso un brutto voto in Storia della Magia... beh, veramente in quel momento stava ridendo di gusto "Se il professor Rüf non fosse già morto, l'avresti stecchito tu con questa risposta. Non posso credere che tu abbia scritto davvero che gli untori milanesi spargevano la peste, Harry!" Si appoggiò al muro per riprendere fiato.

"Dovevo recuperare pozioni e ho trascurato i capitoli di storia internazionale... ho inventato la prima cosa che mi è venuta in mente… l’avevo letto qualche anno fa, su un libro di mio cugino Dudley…" mormorò il ragazzo, a mo’ di giustificazione.

"La prossima volta vieni da me, ti darò delle ripetizioni. Ammetto che gli untori non hanno mai goduto di una buona fama, per Merlino! quell’unguento che usavano aveva un odore terrificante: all’Istituto Mediolanensis ne conservano dei campioni e quando li aprono c’è da scappare a gambe levate. Ma in realtà erano dei maghi veggenti e cospargevano di unguento le porte delle case dove sapevano che la peste avrebbe colpito, per allontanare il male. Salvarono molte vite."

"Allora quelli che vennero messi a morte furono dei martiri."

Di nuovo la risata di Oleander risuonò per il corridoio "Harry, nessun vero untore è mai stato tanto scemo da farsi catturare. Quei poveretti che finirono impiccati o arsi sul rogo erano solo persone comuni vittime di un equivoco, specie Gian Giacomo Mora, che ebbe la sfortuna di nascere sotto l’influenza di Perdita [1]. Quella luna sì che ha un’influenza nefasta, altro che Saturno!"

Giunti davanti alla porta della sua stanza, Oleander vide una piccola scatola posata a terra, con sopra un biglietto bianco. Alzandolo in modo che fosse al riparo dai verdi occhietti curiosi del ragazzo, agitò la bacchetta facendo comparire il messaggio "Questa è una cosa che potrebbe aiutarla nella sua caccia. Se ha voglia di stare ad ascoltare un esimio professore di pozioni, oggi pomeriggio le spiegherò come."

"Buone notizie...?" azzardò Harry, vedendo che a stento tratteneva una risatina.

"Harry Potter, non hai gli allenamenti di quidditch adesso?" e liquidò il ragazzo. Non appena fu sparito dalla vista, Severus Piton si staccò dall’androne dietro al quale si era nascosto e le andò incontro a passo di marcia, protestando “Quest’ala dell’edificio è riservata ai professori, gli studenti non possono accedervi liberamente. Avrei dovuto togliere 20 punti a Grifondoro.”

“Stavamo parlando di materie scolastiche.”

“Lei ci prova gusto, vero?” Piton la guardò storto.

“A far cosa?” domandò la maga, con aria da innocentina.

“A contraddirmi, sempre e comunque.”

“Che vuole, noi umili manovali ci divertiamo con poco.” E aprì la porta. Piton si guardò attorno: la stanza rifletteva la personalità di Oleander ed era esattamente come se l’era immaginata, ossia molto disordinata. Fogli, pergamene, appunti, penne d’oca e d’aquila occupavano ogni superficie piana, un grosso corvo nero dromicchiava nella sua gabbia, mentre in un angolo la donna aveva spostato tutti i mobili per mettere in piedi un piccolo laboratorio di riparazioni per gli studenti: attualmente l’unico paziente era la Ricordella di Neville Paciock, immersa in una soluzione riparatrice per una crepa. “Male, molto male! Gli alunni della scuola dovrebbero esercitarsi ad utilizzare l’incantesimo Reparo, invece di chiedere aiuto a lei.”

“Andiamo, lo sa meglio di me che dei semplici studenti non sono in grado di utilizzare quell’incantesimo su oggetti magici o stregati, ma solo su quelli normali. E’ di livello M.A.G.O. e oltre.”

“Tutte scuse: dovrei togliere altri 10 punti a Grifondoro.”

“Ora so cosa regalarle per Natale: un pallottoliere.” disse la donna, divertita, poi si sedette sul letto ed aprì la scatola.

Piton continuava la sua ispezione: l’unico spazio ordinato della stanza era rappresentato da un basso tavolino rotondo coperto da una cartina della Gran Bretagna, sulla quale era sospeso un pendolino radiestetico che oscillava in piccoli cerchi, emanando una luce giallastra: era stato tarato per rilevare fenomeni magici senza spiegazione.

“Cos’è?” chiese Oleander, indicando l’ampolla che aveva trovato nella scatola. Tolto il tappo, si sprigionava uno spesso filo di fumo che restava a galleggiare sopra il collo della bottiglia.

“E’ una pozione che le ho preparato: il fumo reagisce alla presenza del liquido del vaso di Pandora: quando aprirà la boccetta, il fumo si dirigerà verso il liquido e quindi verso il ladro che sta inseguendo.”

“Strabiliante! Ma come ha fatto?”

Inorgoglito ed anche lievemente imbarazzato da quella manifestazione di ammirazione così spontanea, minimizzò, come se fosse una cosa da nulla “Mi sono fatto portare da Hagrid i carrelli dell’incidente a King’s Cross: erano stati fatti sparire e portati al Ministero della Magia, ho cercato tracce residue del liquido e ho studiato un po’. Il resto è stato facile.”

“Parli per lei! Io ci ho messo tre settimane solo per elaborare e mettere insieme il mio reagente. D’altronde non sono mai stata una cima in pozioni.” Mormorò a mezza voce.

“Sì, lo si può capire semplicemente guardando questa stanza – Piton incrociò le braccia sul petto – scommetto che lei era molto approssimativa, sia nell’affettare gli ingredienti, che nel dosarli. E li conservava alla rinfusa, confondendoli. Il disordine è il nemico naturale di una pozione ben fatta.” Dalla faccia della donna, passata con rapidità dalla sorpresa ad una riluttante ammissione, Piton capì di aver fatto centro.

“L’ordine è faticoso da mantenere, mi sottrae energie vitali. Che vuole – allargò le braccia in un gesto teatrale – a ognuno la sua strada: lei è un esimio e ordinatissimo professore di pozioni, io sono solo un’umile e incasinatissima manovale.” Poi si spostò verso un fornelletto da campeggio posato nel camino, dandogli le spalle ed accese il fuoco.

Piton sospirò esasperato “Non la finirà mai con questa storia, vero?”

“Non sono io che ho iniziato.” Fece notare la donna.

Qualche minuto dopo, Piton udì un borbottio proveniente da un piccolo marchingegno metallico posato sul fornello e poi la stanza fu invasa da un aroma forte, di qualcosa di bruciato, ma nient’affatto sgradevole. Si avvicinò incuriosito e sbirciò da sopra la spalla della donna: vide un liquido denso e scuro risalire lungo un beccuccio del marchingegno “Cos’è?” pensava fosse un nuovo modello di distillatore per pozioni.

“La caffettiera. – disse Oleander tranquillamente, ma davanti all’espressione smarrita dell’uomo dovette spiegarsi meglio – E’ uno strumento babbano che serve per preparare il caffè, io non viaggio mai senza, perché per me è una specie di droga. E, badi bene, solo quello fatto nella caffettiera è degno di questo nome, non quella insulsa brodaglia all’americana che cercano di propinarti fuori dall’Italia. Andrebbe proibita con una risoluzione dell’O.N.U..”

Al di là della filippica della donna, di cui non aveva capito molto, Piton era combattuto: l’odore di quel ‘caffè’ era invitante, ma non voleva mostrare un aperto interesse per la cosa. Non ci fu bisogno di chiedere, comunque, perché Oleander gliene porse una tazza “Ecco, assaggi.”

Accettò con evidente riluttanza, allora la donna si posò una mano sul cuore “Le do la mia parola d’onore che non è avvelenato.” E poi bevve.

Piton la imitò, stupendosi per il sapore di quella bevanda: non aveva mai assaggiato nulla del genere, faceva impallidire il miglior succo di zucca delle cucine di Hogwarts. Dal forte sapore di bacche tostate, intenso e amaro, ma anche aspro in fondo alla gola. Decisamente buono. Si accorse che due occhi castani lo fissavano divertiti da dietro i grandi occhiali “Allora?”

“Passabile.” concesse Piton.

Oleander scoppiò a ridere “Immagino che tradotto in linguaggio comune, significhi che le è piaciuto.”

Che impertinente faccia tosta!

“Lo immaginavo, comunque: il caffè le si addice.”

“Perché è amaro?” chiese l’uomo, sarcastico.

“Ma in fondo è buono, no?” disse lei con naturalezza.

L’osservazione spiazzò Piton completamente, che non seppe come rispondere.

In quel momento un gufo picchiò col becco contro il vetro della finestra ed Oleander si rabbuiò all’istante. Raccolse il messaggio e lo buttò su una poltrona senza aprirlo. Piton notò che sul sigillo di ceralacca era impresso lo stemma del Casato Von Athala. “Non lo legge?”

“Tanto so già cosa c’è scritto: “Ci sono novità? Tutti noi attendiamo con ansia buone notizie e la cattura di questo ladro che tanto discredito sta gettando sul nostro casato, eccetera, eccetera…” si tormentò nervosamente un polsino della camicia. “Ed io sono ancora a zero.”

In quel momento il pendolo smise di agitarsi e piombò sulla cartina: Oleander corse a vedere: indicava il cimitero maggiore di York. “Qualcuno è entrato in azione, devo andare!" Raccolse velocemente la boccetta di Piton ed uscì di corsa.

Si materializzò all'interno del cimitero cittadino pochi minuti dopo le sei. Il suono di una campana avvisava i visitatori di affrettarsi ad andarsene, perchè era arrivato l'orario di chiusura.

La giornata era stata serena ma molto fredda ed una volta tramontato il sole iniziò a formarsi una fitta nebbia, che avvolgeva le cappelle private e le statue funerarie, rendendole pallide e sfocate. Qua e là brillavano tenui i lumini e le candele, come sospesi nel vuoto. Il lungo viale che si srotolava verso l'ossario centrale sembrava venir inghiottito da quella densa coltre biancastra. Pigramente un fantasma uscì da una cappelletta che riproduceva in piccolo un antico tempio egizio e andò a bussare sulla vetrata di quella a fianco, che invece assomigliava ad una cattedrale gotica "George, vecchio mio, ci sei? Finiamo la nostra partita a backgammon?"

Oleander si massaggiò le mani e le braccia intirizzite dal freddo, rimproverandosi per essere uscita così precipitosamente, senza nemmeno saggiare la temperatura esterna e come sempre, ora era tardi per rimediare. Abbandonò il viale centrale e si inoltrò per i dedali di sentieri che si snodavano nel cimitero, però per il momento non c'era nulla di strano. Un paio di volte le parve di scorgere un movimento furtivo, ma erano solo le ultime ombre della sera proiettate dagli alti cipressi.

Si udiva solo il rumore dei suoi passi sui piccoli sassi scuri dei vialetti; camminava lenta, quasi dimentica del motivo per cui era lì, soffermandosi a guardare le statue di bronzo e di marmo, che riproducevano donne affrante in preghiera, madonne dal viso imperturbabile circondate da angeli, cani accoccolati ai piedi delle tombe [2], bambini con i loro balocchi prediletti e soldati in pose da eroe. Man mano che procedeva verso la parte più antica della struttura, le lapidi diventavano sempre più sporche e trascurate, invase da erbacce e muschio, con le lettere bronzee ossidate dal tempo.

I cimiteri le mettevano sempre una certa malinconia. Si ritrovò a chiedersi in che stato fosse la tomba della mamma: da quando aveva lasciato Schloss Berth, dopo i funerali, non vi aveva più fatto ritorno. Chissà se Peter Von Athala se ne prendeva cura o era all'abbandono come una di quelle? Ma no, al di là dei freddi rapporti che aveva col genitore, era ben consapevole che suo padre aveva amato molto Ortensia ed aveva sofferto almeno quanto lei quando era morta. Ed il dolore inconsolabile di suo padre, non era anche in parte colpa sua? Sentì la vergogna bruciarle dentro.

Distratta, allungò la mano per scostare un tenace rampicante da una grossa croce celtica. Le foglie del rampicante, strusciando fra di loro, fecero un discreto rumore, ma quando Oleander lo lasciò andare, fu certa di aver udito il rumore di passi, che si erano fermati all'improvviso. Fece finta di non essersene accorta e proseguì a camminare lentamente, ma giunta all'altezza di una massiccia cappella squadrata, svoltò l'angolo e si allontanò velocemente, nascondendosi dietro una croce di marmo nero. Maledisse in cuor suo quella nebbia e l'oscurità che era calata troppo velocemente... non riusciva a vedere nulla, solo volute di nebbia sospinte da una brezza lieve ma gelida. Guardò alla sua destra: c'era una statua raffigurante una donna a grandezza naturale, con in mano una tavolozza di colori ed un pennello e le venne un'idea. Operò una trasfigurazione sulla statua, trasformandola in se stessa: l'avrebbe usata come esca per far uscire il suo uomo allo scoperto; tornò a nascondersi dietro alla croce di marmo e attese. Udì chiaramente dei passi venire verso di lei e puntò la bacchetta: tremava leggermente. Il cuore le batteva forte ed una goccia di sudore le scivolò lungo il collo, nonostante la temperatura rigida. Balzò fuori da dietro il suo nascondiglio, ma immediatamente qualcuno gridò "Expelliarmus!" e la sua bacchetta volò lontano; Oleander gridò spaventata. Dalla nebbia emerse una figura a lei familiare, avvolta in un lungo mantello nero che ondeggiava ad ogni suo passo "Credeva davvero di poter mettere nel sacco qualcuno con quel trucchetto?"

"P-professor Piton? Ha rischiato che la schiantassi."

"A me non sembra." le disse l'uomo, nel consueto tono pacato.

"Accidenti a lei, mi ha fatto prendere uno spavento incredibile." Disse a voce alta per l’agitazione, poi si sedette su un basso muretto, facendosi aria davanti al viso. "Che ci fa qui?"

"Volevo verificare di persona l'efficacia della mia pozione, ma ho visto che lei preferisce fare un giretto panoramico."

"Non stavo facendo nessun giretto. – gridò la donna – Stavo solo perlustrando."

L’uomo alzò gli occhi al cielo “La prego di contenersi, si rammenti dove siamo. Lei deve sempre essere così irruenta?” sibilò stizzito.

“E lei deve essere sempre così glaciale?” Dopodiché la donna si nascose il viso tra le mani e starnutì rumorosamente due volte. In un gesto quasi automatico, Piton si sfilò il mantello, posandoglielo sulle spalle.

La donna abbassò gli occhi, sistemandolo meglio. Sentì immediatamente un piacevole calore… e sospettava non fosse dovuto solo alla pesantezza dell’indumento, ma anche a quel gesto cavalleresco così inaspettato "G-grazie. Ok - si tirò in piedi ed estrasse la boccetta, cambiando bruscamente argomento - vediamo se funziona."

Il filo di fumo grigio si sollevò, restò sospeso a danzare a mezz'aria, poi si divise in due segmenti, che si spostavano lentamente in due direzioni opposte "Deve aver già usato il liquido su qualche oggetto e poi è andato da un’altra parte."

"Dividiamoci." propose Piton. Oleander seguì il suo filo di fumo, che era diretto verso il vecchio tempietto crematorio (in disuso dal 1940 - avvisava un cartello) e si infilò sotto la porta, chiusa da un grosso lucchetto. Oleander utilizzò un Alohomora ed il lucchetto scattò, poi fece una magia per rendere più luminosi i ceri che ardevano sulle pareti del sacrario, ma anche così la luce era tremula e creava sinistre ombre sui muri, sulle urne cinerarie e sulle statue. Le vecchie fotografie su ceramica parevano guardarla con occhio malevolo. I suoi passi rimbombarono rumorosamente sul freddo pavimento di marmo e l’eco si moltiplicò lungo l’alta cupola che chiudeva l’edificio. Quel posto metteva i brividi. L’essersi ricordata all’improvviso della trama de “La notte dei morti viventi” di certo non aiutava.

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[1] = è il nome di una delle lune di Urano; il nome è preso da una commedia di Shakespeare “Il racconto d’inverno”, è il nome della figlia di Leontes ed Hermione. Quando l’ho letto sono rimasta folgorata e ho scelto questo satellite.

[2] = il cane è molto usato nell’arte funeraria perché è simbolo di fedeltà.

Ringraziamenti e commenti:

Gran parte della descrizione del cimitero di questo capitolo è ispirata dal Cimitero Monumentale di Milano, un luogo davvero suggestivo. Ora, so che sembra un suggerimento davvero da sciroccati, ma se vi capita visitatelo, è un luogo che colpisce l’immaginazione.

@MistralRapsody: non ci crederai, ma anch’io ho delle bacchette cinesi sulla scrivania (sì, assieme ad un quantitativo industriale di paccottiglia varia) e mentre stavo scrivendo il capitolo mi è caduto l’occhio lì e ho pensato di usarle nella storia. La cosa avrà un seguito ed una spiegazione nel prossimo capitolo.

@Leonella: no, no, nulla di così tragico, ma in fondo si può far molto male ad un bambino anche senza mettergli le mani addosso. Ad esempio ignorandolo o facendolo sentire inutile. Anche questo aspetto della storia sarà approfondito meglio nel prossimo capitolo, che tra l’altro segna una cambio di registro nella storia, che si fa più seria.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Forza e fragilità ***


CAPITOLO 6 – FORZA E FRAGILITA’

Il filo di fumo si era fermato al centro di una grossa stanza poco più in là, priva di lapidi a muro. Oleander non capì immediatamente cos’era quel vano, finchè non vide i binari che congiungevano quattro loculi ad una grande saracinesca di ferro, annerita dalla fuliggine. Sopra il vecchio forno crematorio una scritta recitava PULVIS ES ET IN PULVERE REVERTERIS [1]. “Davvero confortante.” mormorò. Comunque anche lì non vedeva di insolito: tutto perfettamente immobile e silenzioso.

Poi udì un crepitio, come un ciocco di legno nel camino… e non c’era forse odore di bruciato? Scosse la testa… impossibile, quel forno non era più in funzione da sessant’anni! Però seguirono altri crepitii, stavolta ben distinti, come pigne o castagne che scoppiettano nel fuoco. E qualcosa simile ad un lamento, provenire da dietro la saracinesca. La toccò: era molto calda, tanto da farle ritrarre la mano. Lungo il perimetro traboccava una intensa luce arancione. E di nuovo quel lamento. Il panico si impadronì di lei: ora era certa che qualcuno stesse bruciando vivo oltre quella barriera “Oh per tutte le streghe!” la donna prese a tempestare di pugni la saracinesca di ferro. "Alohomora, Alohomora, Alohomora!" strillava, ma non funzionava.

La porta d’ingresso del tempio crematorio si spalancò e Severus Piton scagliò uno schiantesimo contro qualcosa alle sue spalle. Oleander sbattè le palpebre un paio di volte: tutto era tornato normale: non c’era odore di bruciato, non c’erano più rumori sinistri né voci, la porta del forno era fredda. Alle sue spalle giaceva in pezzi una statua di marmo di un angelo della morte armato di falce bronzea, che stava per aggredirla. In un attimo si rese conto del rischio che aveva corso: il ladro doveva aver animato la statua che, dotata di poteri magici, l’aveva stregata con un sortilegio (probabilmente un Confundus) per indurle quella visione. L’immagine macabra di quell’arma conficcata in mezzo alle sue scapole le fece accapponare la pelle. Imbarazzata non riuscì a guardare Piton negli occhi: ora l’avrebbe derisa pesantemente per essersi fatta spaventare in quel modo e ne avrebbe avuto tutte le ragioni. L’uomo però la sorprese, perché le chiese soltanto “Sta bene?”

“Uh… s-sì.” farfugliò. Oleander era estremamente stupita, ma immediatamente notò che il professore aveva il vestito ed i capelli pieni di pezzetti di erba e petali di fiori avvizziti. L’ipotesi più probabile era che gli fosse stato rovesciato addosso un cestino dei rifiuti del cimitero “Immagino che lei non abbia avuto più fortuna di me.”

Piton non rispose ma la fulminò con gli occhi: da quando lo conosceva non lo aveva mai visto così infuriato. “Avrei dovuto avvertirla che si diverte con scherzi idioti. Sì, decisamente avrei dovuto farlo.”

In quel momento il filo di fumo che aveva seguito Oleander e quello di Piton si ricongiunsero, puntando verso l’ingresso, evitando, provvidenzialmente, un’altra accesa discussione.

Fuori dal tempio crematorio giacevano i resti di un putto alato in frantumi ed un contenitore di plastica tutto contorto, come colpito da un fulmine: “Allora avevo visto giusto.” pensò la maga. I due seguirono l’indizio fino al parcheggio del cimitero. “Eccolo là!” esclamò Oleander: dietro al lunotto posteriore di un’auto si vedeva un vaso bianco panciuto, di fine porcellana, decorato con una fantasia di edera e catenelle d’oro e chiuso da un coperchio nero. “Lo riconosco, quello è il vaso di Pandora di Schloss Berth.” In quel momento il motore della macchina si avviò e la stessa partì a razzo. “Accio scopa.” disse Oleander, ma Piton la fermò, afferrandole il polso “E’ impazzita? Vuole sfrecciare per le vie di York a cavallo di una scopa? Creerebbe un sacco di problemi al Ministero della Magia.”

La donna se ne rese conto “D’accordo, ha ragione.”

“Ci mancherebbe altro.” La rimbeccò Piton.

“Ma non lo lascerò scappare comunque.” insistette Oleander. Si avvicinò ad un’auto e tirò fuori qualcosa dalla tasca: era una forcina. La stregò con la bacchetta e la inserì nella serratura della portiera, facendola scattare.

“R-ruba un’automobile?” chiese Piton, allibito.

“No, la prendo in prestito: è diverso.”

“E’ inaudito.”

“Oh insomma – Oleander perse la pazienza – e la scopa no, e l’auto no, non le va bene niente!”

Il mago fissò con estrema diffidenza quel trabiccolo babbano, poi si risolse a salire dal lato del passeggero, borbottando “Mi auguro che sappia far funzionare questo aggeggio.”

“Non è obbligato a seguirmi!” disse Oleander alzando gli occhi al cielo.

“Si figuri se la lascio sola. Per Merlino, chissà che danni farebbe!”

“Comunque sì: so guidare, ed anche piuttosto bene. Si allacci la cintura.” Oleander mise in moto e si lanciò all’inseguimento del ladro, ma Piton non diede retta al suo consiglio “Non ho intenzione di legarmi ad un sedile come un salame.” le disse acido, ma cambiò idea quando Oleander si immise su una strada a due corsie in contromano ed evitò per un pelo di schiantarsi frontalmente contro un furgone e poi con diverse automobili che la schivarono strombazzando indignate. “E lei saprebbe guidare?” le chiese, più pallido del solito, mentre armeggiava con il nastro di stoffa che continuava a riavvolgersi nel suo alloggiamento, come se stesse lottando con un serpente gigante. La donna intanto pareva essere stata folgorata da un’intuizione e cambiò corsia “Scusi, scusi, non ci avevo pensato. E’ che non sono abituata alla guida a sinistra. Inglesi! Se non fate le cose al contrario non siete contenti. E guardi qui: questa macchina ha il cambio automatico. Ma dico io, come si fa a preferirlo a quello manuale? Toglie tutto il piacere della guida.”

Piton nel frattempo era riuscito a bloccare la sicura della cintura in un tripudio di volgarità e non sembrava dello spirito giusto per discorrere di equipaggiamenti delle automobili. Oleander in breve tempo raggiunse la Toyota rossa del fuggitivo, ma il suo autista se ne accorse, perché accelerò ben oltre i limiti di velocità, anche Oleander pigiò sul pedale del gas e gli stette incollata. La sua auto sbandò leggermente ad una curva, ma lei fu abile a non controsterzare e rimase in carreggiata: ora si trovavano su un vialone a scorrimento veloce. “Oh no!” disse la donna all’improvviso, puntando l’indice verso una costruzione. Piton guardò e capì al volo: un gruppo di ragazzine era appena uscito dalla piscina, il semaforo pedonale dava verde per loro, mentre per le auto scattò il rosso, ma la Toyota non diede segno di voler rallentare. Le ragazze parlottavano tra di loro, non la notarono e si apprestavano ad attraversare. “Le investe!” gemette Oleander.

“Stupeficium.” Piton le colpì e le ragazze caddero svenute sul marciapiede, evitando una morte certa.

“E questo non creerà problemi al Ministero della Magia?” chiese Oleander ironicamente.

“Maghi come Weasley esistono apposta per sistemare questi inconvenienti. Domani i giornali babbani parleranno di un calo di pressione collettivo o qualcosa di simile.”

Con loro sollievo l’auto del ladro si stava portando fuori città, lontana da altre potenziali vittime, anche se in campagna la nebbia era più fitta che mai e a un certo punto i fari posteriori dell’auto davanti alla loro scomparvero nel nulla. Non si vedeva ad un palmo di naso. “E’ il caso di rallentare.” Suggerì Piton, aggrappandosi alla maniglia sopra la portiera.

“Non ci penso nemmeno, non voglio perderlo.” Ma non si avvide che la strada disegnava un brusco tornante verso destra e non fece in tempo a frenare, uscendo di strada e scivolando giù per un pendio erboso che terminava in un bel laghetto, così i due si procurarono un bagno gelido fuori stagione. Quando riuscirono a guadagnare la riva si accorsero che la Toyota giaceva inerte poco distante, vuota. Le portiere erano chiuse, ma il lunotto posteriore era sfondato e del vaso non c’era più traccia. Oleander era di nuovo al punto di partenza.

Tornarono a Hogwarts senza scambiarsi una parola. Davanti alla stanza della donna, Piton udì la voce di Gazza che cercava Mrs. Purr ed entrò anche lui: l’ultima cosa che desiderava era farsi vedere dal vecchio custode ridotto in quello stato. Usò subito una magia per asciugarsi gli abiti, mentre Oleander andò a sedere sul davanzale della finestra, guardando fuori. A quel punto non ce la fece più e partì con la sua arringa “Tutto questo non sarebbe successo se lei mi avesse dato ascolto, razza di testa calda! Ma lei nooo, deve sempre fare di testa sua. In vita mia non ho mai conosciuto una persona più impulsiva; ogni tanto potrebbe anche riflettere prima di agire, sa? Se mi verrà una polmonite sarà tutta colpa sua. E, ciliegina sulla torta, non abbiamo concluso niente.”

“Lo so benissimo da me.” Proruppe Oleander, la voce stridula. Era sull’orlo delle lacrime e Piton ne fu sorpreso, non si aspettava che reagisse così.

“Sono perfettamente conscia della mia inettitudine, mi creda. Ne sono consapevole da tutta la vita.” Gli gettò la sua bacchetta e la manica del suo vestito schizzò gocce di acqua dappertutto. “La guardi bene, perché non ce n’è una uguale in tutto il mondo. Già di solito le bacchette non si fabbricano così. Ma io che ne sapevo? Avevo solo undici anni quando la misi insieme.”

Piton la raccolse, ma non disse nulla.

“Sa come si diventa allievi della scuola di magia a Schloss Berth? C’è un rito molto semplice: i ragazzi vengono posti di fronte ad un cesto pieno di bacchette magiche. Ci stendono sopra la mano ed una bacchetta levita verso di loro: è il segno che sono stati accettati e possono frequentare le lezioni e quella diventa la loro bacchetta per la vita. In undici anni da quel dannato cesto nessuna bacchetta è mai venuta verso di me – si morse il labbro inferiore, ricacciando indietro a fatica le lacrime – mentre tutti mi passavano davanti, anche i miei cugini più piccoli. Ed ogni volta gli stessi sguardi, quel misto tra disapprovazione, rassegnazione e scherno. Mio padre sospirava, chiedendosi dove avesse sbagliato con me e persino la governante, Miss Roth, mi biasimava. Alla fine mi lasciarono perdere: tanto ero un caso disperato. Il massimo che ottenevo erano degli sguardi di compatimento: la povera, inutile Oleander! Eppure io ho sempre fatto del mio meglio, stendevo la mano su quel cesto desiderando disperatamente che qualcosa accadesse.”

Di nuovo si lasciò cadere pesantemente sul davanzale di pietra “Mia madre era l’unica che mi accettava per ciò che ero. Lei non mi disse mai nulla, nei suoi occhi c’erano solo amore e fiducia quando mi guardava, diceva che non era importante, che avrei trovato da sola la mia strada per la magia, anche se non sarebbe stato lì. Ma quando avevo undici anni si ammalò e morì ed a quel punto io sentii che nulla più mi legava a quel posto. Mi costruii la mia bacchettina, feci i bagagli e chiesi di poter frequentare la scuola di magia in Italia dove era andata la mamma: lì non c’erano prove di ammissione. Venni accontentata senza alcuna protesta; tanto non sarei mai stata alla loro altezza della mia famiglia. E come vede, è ancora così: sei mesi a rincorrere un semplice ladro e cosa ho concluso? Niente, niente! Semplicemente continuo a confermare l’idea che loro hanno di me e questo mi fa una rabbia che lei nemmeno immagina!”

Lacrime calde iniziarono a scorrere sulle sue gote ed Oleander le asciugò con rabbia e ferocia “Perciò vede, non c’è alcun bisogno che lei mi ricordi la mia incapacità. E se urlo e strepito e faccio le cose senza riflettere è perché sono sopraffatta dall’ansia di ottenere un qualsiasi risultato, sentirmi un po’ più forte e un po’ meno… inadeguata…” chinò la testa sul petto, piangendo, le spalle sottili scosse da deboli singhiozzi, oltre che dal freddo che le accapponava la pelle, a causa del vestito ancora fradicio che indossava. Si sentiva amareggiata, si sentiva stupida e si sentiva morire di vergogna per essersi lasciata andare così apertamente. Poi, davanti a un uomo che possedeva una lingua affilata come un rasoio, che poteva finire di farla a pezzi con poche parole. E lei gli aveva offerto l’occasione su un piatto d’argento. Fantastico, peggio di così non poteva andare…

Non sentì né vide Severus Piton avvicinarsi a lei finchè non si accorse di stare guardando le sue scarpe. Una mano le si posò sulla testa ed in gesto brusco, quasi violento, le sollevò il capo. Ma non c’era traccia di collera sul viso dell’uomo, né di disprezzo o di scherno. Era un’espressione strana, molto seria, ma anche esitante.

In effetti Piton era rimasto spiazzato da quel fiume in piena di rancore e di tristezza. Non immaginava che Oleander nascondesse tanto dolore dentro di sé: l’aveva sempre giudicata una persona senza troppe preoccupazioni per la testa, irruenta e poco riflessiva. Si era sbagliato.

Vederla così lo faceva sentire a disagio ed allo stesso tempo lo irritava: quella non era la donna che aveva imparato a conoscere e non la voleva vedere in quello stato! La preferiva quando era vitale ed esuberante, gli piacevano il suo entusiasmo, la sua energia, tanto genuini che persino uno come lui ne percepiva chiara la forza. Così come gli piaceva l’amore della donna per il suo lavoro di artigiana e l’orgoglio che le brillava negli occhi quando creava un oggetto o lo riparava: aveva trovato la sua via per la magia ed era una via di cui andare fieri. Ma ora sapeva che dietro a tutto questo c’era stata molta sofferenza: la vita non era stata tenera con lei, aveva dovuto superare molti ostacoli, aveva dovuto lottare contro tutti, da sola, contando solo su se stessa.

Non avrebbe dovuto stare così male: era forte, ma non se ne rendeva conto. Perciò in quel momento le servivano delle parole di incoraggiamento. Era questo che lo faceva esitare.

Già, perché cosa poteva dirle lui? Lui che era stato un portatore di morte, lui che non aveva mai avuto parole di conforto per nessuno, lui che non si curava mai dei sentimenti degli altri, lui che gli altri li guardava solo se gli intralciavano il passaggio.

Eppure sentiva di comprendere questa donna e la sua frustrazione; per un istante smise di essere il freddo e posato professor Severus Piton e lasciò che fosse l’uomo, che in gioventù era stato il dileggiato Snivellus [2], a parlare, a pronunciare parole che venivano dal cuore e che forse avrebbe voluto sentire anche lui, nella sua disastrata adolescenza. “E loro nella tua situazione che avrebbero fatto? Sarebbero arrivati fin dove sei arrivata tu? Sarebbero stati in grado di costruire qualcosa con le loro sole forze? No, io credo di no. Ma tu, da sola, sei diventata una persona di cui dovresti andare orgogliosa. Perciò non devi permettergli di farti sentire così. Cammina sempre a testa alta, Oleander. Sei una delle poche persone che io conosca degne di farlo.”

Oleander non riusciva più a distogliere gli occhi da quelli neri e profondi di Severus, “Lo farò.” disse piano, ma convinta.

Severus fece asciugare il suo abito con la magia e poi le lasciò la testa, facendo scivolare la mano lungo il suo viso, in quella che voleva essere solo una fugace carezza. Ma Oleander spinse la gota sulla sua mano e, sorridendo, chiuse gli occhi, per un lungo istante, fragile e meraviglioso. Piton restò lì, come paralizzato, il cervello completamente bianco e incapace di formulare pensieri, mentre sentiva un tepore nascere nel centro del suo petto; come attirato da una calamita, inconsciamente, lentamente iniziò a sporgersi verso di lei.

Una nuova lacrima scivolò giù dagli occhi di Oleander, ma questa volta era di gioia.

Solo che quando cadde sulla mano di Piton, l’uomo si ritrasse bruscamente, come scottato. Cosa stava facendo? Non doveva nemmeno pensarci… quante altre lacrime avrebbe potuto farle versare un ex Mangiamorte? Tante da riempire l’oceano.

Oleander lo stava guardando perplessa, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di male. Lei non sapeva quello che gli si agitava dentro. Ed era meglio così. Le rivolse solo un rapido cenno del capo a mo’ di buonanotte e uscì dalla stanza quasi di corsa.

La maga non capiva: era la seconda volta che Piton si mostrava turbato, dopo un gesto di gentilezza. Si ritrovò a pensare per l’ennesima volta che era un uomo enigmatico: avere a che fare con lui era come trovarsi in una stanza sconosciuta e immersa nelle tenebre più profonde, nella quale bisognava avanzare cautamente, a tentoni per orientarsi.

Ma quella notte le parve di aver colto un piccolo frammento dell’essenza di quell’uomo.

Ciò che aveva intravisto le piaceva, le piaceva molto.

Ed ora voleva conoscere meglio il vero Severus Piton.

Perché il vero Severus Piton era un uomo di cui si sarebbe potuta innamorare.

Sorrise nel buio, d’un tratto dimentica del suo sfogo e della sua rabbia, d’un tratto euforica al punto che si sarebbe messa a ballare per la stanza.

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[1] = sei polvere e tornerai alla polvere.

[2] = so che in italiano è stato tradotto come “Mocciosus”, però è un termine che non ho mai potuto sopportare, quindi uso l’originale, che mi piace molto di più.

Ringraziamenti e commenti:

@MistralRapsody: il tuo commento mi ha fatto enormemente piacere, perché una delle cose a cui tengo molto è riuscire a mantenermi in linea con lo spirito dei libri della Rowling, mi fa piacere se riesco effettivamente a trasmettere questa sensazione. E anche se riesco a farti apprezzare, almeno un po’, Severus Piton. Capisco bene che è un personaggio difficile e complicato, di quelli che ami o odi alla follia senza riserve. Personalmente ne sono rimasta affascinata fin dal primo rigo de “La pietra filosofale”, ma io non faccio testo: ho una predilezione in generale per i personaggi misteriosi ed oscuri.

@Arabesque: ohi, ohi, speriamo che la tua prof di italiano abbia un buon senso dell’umorismo, altrimenti ce la ritroviamo secca come Rüf. Riguardo a quel lungo mantello svolazzante, che dire? Sembra fatto apposta per un gesto così galante, non ti pare?

@Tweety chan: sono proprio contenta che Oleander ti piaccia. Ho cercato di crearla come un personaggio normale, quindi con dei difetti molto comuni (credimi, non sei l’unica a fare le cose senza riflettere).

@ Jessica P: Sì, tranquilla: tra Oleander e Severus non ci saranno solo battibecchi, anche se questi sono un po’ il sale del loro rapporto, ci saranno anche momenti romantici (grazie soprattutto al tuo tono minaccioso! ^^ no, scherzo!). Mi fa piacere che hai sottolineato la scena del fazzoletto: in effetti Oleander inizia a guardare Severus con occhi diversi proprio da lì.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Buon Natale ***


CAPITOLO 7 – BUON NATALE

Severus Piton aprì gli occhi e si rese subito conto che qualcosa non andava: non era nel suo letto, per dirne una. E nemmeno nel suo alloggio ad Hogwarts, per dirne un’altra. Era sdraiato su un letto matrimoniale, in una stanza piccola ma arredata con buon gusto. L’altro lato del letto era sfatto e qualcuno doveva essere rimasto sdraiato lì fino a poco prima, perché era ancora caldo. Si alzò, accorgendosi con molto imbarazzo di essere completamente nudo. Afferrò in tutta fretta una vestaglia e camminò scalzo fino alla porta della camera da letto: che diavolo stava succedendo? Abbassò la maniglia e fu investito dalla luminosa luce del mattino e da un profumo di caffè, brioches e focaccine calde. Oleander era in piedi davanti ai fornelli, con indosso la sua camicia… e solo quella, probabilmente… arrossì, distogliendo lo sguardo dalle forme nascoste dal sottile tessuto bianco.

La donna si accorse di lui, gli sorrise e gli andò incontro “Buongiorno, dormito bene?” Gli schioccò un bacio sulle labbra, deciso e veloce, come se fosse un gesto consueto, che ripeteva ogni giorno e lo prese per un braccio. “Si accomodi, mio esimio professore di pozioni. La colazione sarà pronta tra poco.” Severus, confuso ed inebriato da una singolare felicità, non oppose resistenza e si lasciò guidare docilmente fino alla sedia.

"Arrivo subito." disse la donna. Si allontanò di qualche passo, ma poi si voltò, lo abbracciò da dietro di slancio, nascondendo il viso nei suoi lunghi capelli corvini. Gli sembrò che bisbigliasse "Ti amo."

Non aveva mai vissuto un momento così commovente e dolce. Per un attimo immaginò come doveva essere bello vivere una vita intera così, ma poi qualcuno bussò alla porta, con forza. I colpi rimbombarono pesanti e sinistri tra le pareti della casa, procurandogli un brivido.

Oleander si staccò da lui "Chi sarà mai?" e andò ad aprire: era Lord Voldemort in persona, avvolto in una cappa scarlatta. Piton si pietrificò, ma Oleander continuò a comportarsi con naturalezza, come se sulla porta fosse apparso il lattaio o il ragazzo dei giornali. "Ah, un amico di Severus? Prego, si accomodi. Le preparo un caffè."

Il Signore Oscuro prese posto davanti a lui con un ghigno terribile stampato sul volto e gli occhi rosseggianti di malvagità. "Oleander, fuggi!" avrebbe voluto gridare Severus, ma dalla gola non uscì alcun suono.

Voldemort si sporse verso di lui e con un gesto teatrale si gettò la cappa oltre la spalla, rivelando l'elsa di una lunga spada portata sul fianco. "No, lei no!" gridò disperatamente la mente di Piton, ma ancora una volta non riuscì a parlare. Con molta calma, Voldemort estrasse l’arma: era lucente, ma disseminata di macchie scure color ruggine: sangue rappreso; fece scorrere un dito sulla lama, per accertarsi dell'affilatura, poi la porse a Piton dalla parte dell'elsa.

"No, questo non lo farò mai! Che mi uccida nel modo più doloroso che conosce, ma non lo farò." invece con orrore vide il suo braccio allungarsi e stringersi attorno all'impugnatura, riflesso nella lama vide il suo stesso volto, le labbra sollevate in un orribile sorriso sadico. Contro la sua volontà le gambe si sollevarono, spingendo indietro la sedia. Era come un burattino, manovrato da fili invisibili e non riusciva a fermarsi. Oleander era ancora girata di spalle, ignara e fiduciosa, canticchiava.

"No, no, qualunque cosa ma non questo, ti prego!" pensò, rivolto a chi, nemmeno lui lo sapeva. Il suo braccio si alzò sopra la testa della donna...

"NOOO!" Piton si svegliò, scattando a sedere sul letto. Era nella sua stanza, ad Hogwarts.

Era stato solo un sogno, l’ennesimo. Ma vivido, dolorosamente e spietatamente reale. Il sudore colava lungo il collo ed il petto nudo, il respiro gli usciva dalla gola in rantoli e ansimi pesanti. Si lasciò cadere all'indietro sul materasso, coprendosi gli occhi con un braccio. "Solo un sogno..." ripetè al vuoto della stanza con voce malferma. Ma in realtà sapeva che non era così: quello che aveva visto era ciò che sarebbe successo a Oleander se solo si fosse avvicinato a lei più di quanto non avesse già fatto, per via della sua missione. Stargli accanto era troppo pericoloso.

Inoltre lui era un ex Mangiamorte, in nome di Lord Voldermort aveva compiuto azioni atroci, colpe che non potevano essere espiate, nella sua vita non avrebbe mai potuto esserci spazio per una vita normale, per l'affetto e per...

... l'amore.

No, doveva allontanarsi da lei ora che ancora poteva, immediatamente e senza condizioni. Non era difficile, doveva solo riuscire a farsi odiare sul serio. E quella era la sua specialità, pensò, le labbra contratte in un sorriso amaro.

Anche se faceva male, anche se quel sogno gli aveva mostrato un istante di felicità semplice e perfetta.

Oleander si svegliò al suono delle grida e delle minacce di morte di Gazza, rimasto vittima dell’ennesimo scherzo dei gemelli Weasley, un’armatura che sparava neve e ghiaccio come un cannone delle piste da sci: ah già, quello era l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze invernale, normale che gli studenti fossero un po' sovraeccitati e che Fred e George lo fossero più del solito. La McGranitt aveva detto che quell'anno sarebbero rimasti davvero pochi studenti: un lungo ponte aveva convinto la maggioranza dei ragazzi a tornare in famiglia.

Mentre finiva di allacciarsi la camicetta continuava a pensare al professor Piton... "Mi ha chiamato Oleander... allora, forse, io potrei chiamarlo... Severus..." alzò gli occhi allo specchio e con sgomento scoprì di essere arrossita vistosamente, le orecchie in particolare erano diventate paonazze. "Noooo!" pensò, in preda al panico, mentre cercava di coprirle tirandoci sopra i corti capelli color prugna. "Insomma, datti un contegno, non sei più una ragazzina!" si rimproverò.

Scese i gradini della lunga scalinata a due a due ed in fondo incontrò Hermione, Harry e Ron. Anche i tre ragazzi se ne sarebbero andati, invitati dai genitori di Hermione in vacanza sulla neve. "Allora ragazzi, siete pronti?"

"Altrochè!" disse Ron, che non era mai andato a sciare.

"Sono certa che vi divertirete un mondo."

"Anch'io - sghinazzò Harry - soprattutto perchè per quindici giorni non vedremo più Piton."

"Il professor Piton, Harry. Non dovreste parlare di lui in questo modo!" disse istintivamente Oleander, guadagnandosi lo sguardo allucinato dei tre ragazzi: come come? Lei che ci litigava sempre, ora lo difendeva? Se le fossero spuntate della antenne di lumaca sulla fronte non avrebbero potuto essere più sorpresi.

"Cioè... voglio dire... magari in prima battuta non è un uomo che ispira simpatia, ma a volte una persona non è esattamente come appare..."

"No - disse Ron accigliato - nel caso di Piton è molto peggio."

"Dovreste concedergli una possibilità, perché lui… potrebbe sorprendervi… sì, decisamente."

I ragazzi si scambiarono uno sguardo confuso e la lasciarono andare a sedersi al tavolo dei professori. "Secondo voi cosa le è successo?" chiese Hermione.

"Per me Piton le ha fatto bere una delle sue strane pozioni." ipotizzò Ron.

Con sommo dispiacere di Oleander, Piton non venne a far colazione e quel giorno non aveva nemmeno lezione, mentre lei aveva promesso ad un gruppo di studentesse di Corvonero che avrebbe insegnato loro le proprietà delle diverse pietre dure e così fu impegnata fino al pomeriggio, mentre l'Istituto si andava progressivamente svuotando. La sera fu spiacevolmente sorpresa di non vedere Piton seduto a tavola, ancora una volta, e a fine cena si arrischiò a chiedere alla McGranitt se per caso si era sentito male, ma la professoressa rispose semplicemente che Severus era tornato a casa.

"A casa?" Oleander quasi urlò, facendo sussultare l'altra maga per lo spavento.

"In effetti ne sono rimasta sorpresa anch'io. Severus ci torna pochissimo, di solito durante Natale resta a scuola per dare una mano a Gazza a controllare gli studenti rimasti. Inutile dire che il custode è furioso per il fatto di doverci pensare tutto da solo."

"Beh, non è il solo." mormorò Oleander in tono lugubre. Salì le scale senza nemmeno ricambiare il saluto di Angela e si chiuse in camera. Non ci capiva più niente, davvero! Prima si comportava così... rivolgendole parole consolanti e piene di calore e poi se ne tornava a casa per le vacanze come se nulla fosse. Come se non fosse successo nulla. Forse si era sbagliata, aveva semplicemente frainteso quel gesto, per lui non aveva avuto alcun significato.

Eppure...

Eppure in quella carezza lieve, in quelle parole, pronunciate dalla sua voce bassa e profonda, era certa di aver scorto qualcosa. Le aveva lasciato nel cuore un’emozione troppo intensa, troppo pura, per essere solo una bugia.

Il giorno di Natale trascorse molto tranquillamente e dopopranzo Oleander andò nello studio di Silente, per consegnargli il suo regalo; dato che il mago si lamentava sempre che nessuno gli portava mai dei calzini, glieli aveva fatti lei: bianchi, in morbida lana di yeti. Lo trovò intento a sfogliare album di fotografie magiche, vecchie e nuove, a colori ed in bianco e nero. “Sono ex-studenti di Hogwarts?”

“Sì.”

“E lei se li ricorda tutti?”

“Con l’età inizio a perdere qualche colpo – scherzò – ma ogni studente che è passato da qui è stato speciale ed unico a modo suo, quindi li ricordo tutti con affetto.”

Un gruppetto di ragazzi particolarmente esagitati si agitavano per mostrarsi nella cornice della foto, saltellando, spintonandosi, facendo le boccacce e ridendo come matti. Oleander riconobbe un cespuglio di capelli ribelli e degli occhialini tondi “Ma questo…”

“Ah, – disse Silente in tono nostalgico – lo riconosci?”

“E’ uguale ad Harry… è suo padre, vero?”

“Sì, e questi sono i suoi amici.”

“I suoi esuberanti amici.” Precisò la maga. Poi la sua attenzione fu attratta da un ragazzo sullo sfondo: sedeva per terra, isolato, col naso incollato ad un libro, era magro, dinoccolato e aveva lunghi capelli neri che gli coprivano il viso. “Sev… ehm… il professor Piton?”

“Severus.” Confermò Silente, strizzandole l’occhio. Oleander si sentì avvampare e istintivamente si tirò i capelli sulle orecchie. Tornò a guardare la foto ed in quel momento il giovane Piton alzò lo sguardo verso di lei. Oleander lo salutò con una mano, ma il ragazzo la fulminò con un’occhiata torva, chiuse il libro ed uscì dall’immagine. “Perché è sempre così scontroso?” si lamentò con tono esasperato.

“Lui ti è simpatico, vero?”

“Quanto un folletto della Cornovaglia.” Ma subito si corresse, sapendo di aver detto una cosa non vera. “No, è solo che non so più cosa pensare: un attimo prima mi sembra di aver capito qualcosa di lui e l’attimo dopo sono nella confusione più totale.”

“Da quando lo conosco Severus è sempre stato un ragazzo solitario. I suoi genitori non andavano d’accordo e lui si costruì una corazza per isolarsi e non soffrire dei loro litigi. Neanche a scuola ebbe vita facile… il suo carattere chiuso ne fece una vittima perfetta per gli scherzi dei compagni più vivaci, come Potter… e l’incarico che gli ho affidato di certo non migliora la situazione. A volte mi sento in colpa e temo per lui.” Il vecchio mago sembrava invecchiato di colpo di molti anni.

“Incarico? Quale incarico?” Ma di fronte all’espressione seria di Silente, aggiunse “Se non può parlarmene, non importa.”

“No, Oleander, a te posso dirlo liberamente. Però potrebbe essere doloroso, quindi il punto è se tu vuoi ascoltare.”

La maga abbassò gli occhi sulla fotografia: il giovane Piton era tornato sotto l’albero col suo libro e ci aveva di nuovo sprofondato la testa. Era solo, gli altri ragazzi se n’erano andati. Fece scorrere l’indice della mano sinistra sul bordo dell’immagine, tornò a guardare Silente ed annuì impercettibilmente.

Quel quartiere non era esattamente come se l’era immaginato, assomigliava molto a quello ultra-popolare del film “Billy Elliot”. Camminava a fatica nella neve altissima, che nessuno si era preso la briga di spalare e ammonticchiare da qualche parte, essendo quello un rione ormai abbandonato. Una vecchia fabbrica in disuso svettava minacciosa, incombendo sulla strada, anche se questo non le aveva impedito di venire deturpata: quasi tutti i vetri erano stati infranti dalle fionde dei ragazzini, le pareti erano imbrattate di scritte e di vecchi manifesti talmente sbiaditi da risultare illeggibili. Dall’altro lato della strada si susseguivano piccole case a schiera di mattoni rossi tutte uguali, monotone, sciatte, tristi, con un cancelletto di ferro arrugginito e tre scalini di nudo cemento che conducevano alla porta d’ingresso, tutte senza giardino, il che le rendeva, se possibile, ancora più squallide. Una piccola costruzione staccata dalle altre, alla fine di Spinner’s End, sembrava un pelo più curata, pur mantenendo un’aria malinconica e decadente. Una luce che tremava dietro le pesanti tende scure faceva capire che qualcuno era in casa “Almeno non ho fatto un viaggio a vuoto.” pensò Oleander, rischiando per l’ennesima volta di cadere a faccia in giù nella neve, tra un accidente e l’altro. Strinse il pacchetto che teneva in mano e bussò.

Piton sollevò la testa dalla lettura in cui era immerso: chi diavolo poteva essere? Pochissime persone sapevano dove abitava. Sperava che non fosse uno dei suoi colleghi in preda allo spirito natalizio, perché non era dell’umore adatto: da quando aveva lasciato Hogwarts in tutta fretta per allontanarsi da Oleander, si era chiuso in casa, in compagnia dei suoi libri, non aveva più parlato con nessuno e gli andava bene così. Così raccontava a se stesso, mentre scostava la tenda della sala per scorgere l’ospite inatteso, anche se forse gli stava venendo una vaga idea su chi potesse essere. Si lasciò sfuggire un debole gemito di rassegnazione quando la vide, minuta ed imbacuccata in un cappotto color avorio… e adesso, come avrebbe dovuto comportarsi?

Tuttavia Oleander non gli diede il tempo di riflettere, perchè, visto che non andava ad aprire, prese a bussare in maniera decisamente energica "Coraggio, apri, so che sei in casa! Ehi! EHIII!!!" I vecchi cardini cigolarono, disturbati da tanta irruenza e Piton si rassegnò ad aprirle "Vuoi buttare giù la porta?" chiese, guardandola con la solita aria di disapprovazione.

"E tu vuoi farmi morire congelata qua fuori?" ribattè all'istante, a mo’ di saluto e senza attendere di essere invitata, entrò.

Strano a dirsi, ma quei battibecchi gli erano mancati sul serio. "Come hai fatto a sapere dove abito?"

"Carino qui... - disse Oleander, guardandosi intorno con circospezione ed eludendo la sua domanda - piccolo, ma intimo." Si tolse il cappotto, appoggiandolo sullo schienale di una sedia, si rigirò il pacchetto che aveva tra le mani, avvolto in una carta verde e rossa e stretto da un lungo nastro dorato, poi allungò una mano e glielo porse, restando però a debita distanza, come se stesse dando da mangiare a un leone in gabbia allo zoo "Buon Natale."

Piton aprì bocca per dire qualcosa di sgradevole, del tipo che lui non festeggiava Natale e che non aveva bisogno cose sciocche come i regali, ma la cosa avvolta nella carta da regalo produsse un suono strano e vinto dalla curiosità, iniziò a scartarlo. Non aveva la minima idea di cosa aspettarsi; effettivamente nella sua vita aveva ricevuto pochissimi regali.

"So che non è proprio una sorpresa, ma in pratica te lo avevo promesso. L’ho fatto un po’ in fretta, spero che sia venuto bene lo stesso." disse la maga, stringendosi nelle spalle.

Il regalo in questione era un pallottoliere: su quattro bacchette di ferro erano disposte file di piccole biglie colorate: gialle e nere, verde e argento, blu e bronzo, rosso e oro. "Con tutti i punti che sottrai a quei poveri ragazzi, hai bisogno di un aiuto per tenerli a mente. Basta che pronunci il nome della Casa e quanti punti vuoi togliere e le palline si muovono da sole."

Piton scosse la testa divertito: quella donna era incredibile "Tu non sei normale!" le disse infine e la guardò negli occhi, regalandole un raro sorriso genuino. Gli occhi di Oleander si illuminarono di sollievo "Menomale! Pensavo fossi arrabbiato con me."

"Per quale motivo?" Piton recuperò immediatamente il suo tono gelido.

Oleander allargò le braccia e si inumidì le labbra "Ecco, dopo quella notte tu sei sparito così all'improvviso, senza dire una parola..."

"Da quando in qua devo rendere conto a te di dove vado? - le domandò l'uomo bruscamente - E chi ti ha detto dove trovarmi?"

"E' stato Silente." Oleander si impose di restare calma: dopo quello che aveva appreso, non voleva litigare con lui.

Albus? Piton corrugò la fronte: ma che diavolo gli passava per la testa?

"E mi ha anche raccontato delle cose - proseguì Oleander, muovendo cautamente alcuni passi verso di lui - di te e di quello che stai facendo per suo conto."

"Non posso crederci. - mormorò Piton - E così, ora sai chi è Severus Piton."

"Guarda che già lo sapevo che eri stato coinvolto nei processi dei Mangiamorte al servizio di Voldermort, i giornali dell'epoca non parlavano d'altro." Piton sussultò due volte, a sentir pronunciare la sua vecchia attività e il nome del Signore Oscuro con tanta noncuranza, come se fosse una cosa da nulla. "E' per questo che stai cercando di evitarmi?"

"Se sai chi sono, dovresti essere tu a tenerti a debita distanza, non credi?" le disse Piton, cercando di assumere il tono più sinistro che gli riusciva, ma senza ottenere alcun risultato: Oleander non era una dei suoi studenti che si intimidivano con un'occhiataccia bieca.

"I santi non esistono su questa terra. Tutti commettiamo degli errori." disse lei con semplicità.

"Errore è un gentile eufemismo, Oleander." rispose in tono cupo; andò alla finestra, guardando i fiocchi di neve che avevano ripreso a cadere monotoni dal cielo grigio.

"Pensi che io sia perfetta? Guarda che anch’io ho fatto tanti sbagli nella mia vita."

"Tu hai un marchio nero tatuato su un braccio? Non mi pare." ironizzò.

La donna si portò alla finestra ed anche lei guardò la neve che si posava lenta e pigra sulle casette, sembrava assorta, persa in chissà quali pensieri. Per lunghi minuti tra di loro ci fu solo il silenzio "Ho nascosto una lettera di mia mamma." disse infine Oleander.

Piton inarcò un sopracciglio: non capiva.

"Mia mamma scoprì di essere affetta da un male incurabile, ma lo tenne nascosto a tutti fino all'ultimo, per non far soffrire nessuno. Per spiegarsi scrisse una lettera a mio padre poco prima di morire: è una lettera lunga, bellissima, piena di amore, in cui parla della loro storia, della prima volta che lo vide, del batticuore che provò quando lui la guardò. Gli dice di non abbattersi, di guardare avanti, di essere forte, gli chiede scusa per non avergli detto della malattia, ma non voleva vederlo triste. E' la cosa più bella che io abbia mai letto, davvero, ti tocca il cuore. Io la trovai nella sua stanza il giorno dopo la sua morte e la nascosi, perché odiavo mio padre per come mi trattava, perché per lui ero invisibile. Ero sconvolta per aver perso il mio unico sostegno, ero arrabbiata, ero furiosa, avrei voluto che fosse morto lui al posto della mamma, perciò la nascosi, perché sapevo che avrebbe alleviato il suo dolore, mentre io volevo che soffrisse. E sai una cosa? Ce l’ho ancora quella lettera, non ne ho mai parlato a mio padre. Perciò vedi: nessuno è perfetto, Severus!” ripetè, ancora una volta con convinzione.

“E’ una cosa completamente diversa, noi siamo diversi. Da ragazzo io ero un debole: Snivellus mi chiamavano i miei compagni. Ero pieno di rancore e di odio verso di loro, per gli scherzi e le umiliazioni che subivo ogni giorno e quando Voldemort cercò i suoi adepti, lasciai che fosse il rancore a farmi decidere da che parte schierarmi, che fosse la mia sete di vendetta nei confronti del mondo intero a guidare la mia mano. Volevo sentire l’ebbrezza che da il potere, volevo provare cosa fosse la forza, volevo essere io ad incutere timore negli altri. Tu non avresti mai fatto una cosa del genere, perciò non paragonarti a me.”

Oleander scosse la testa e proseguì sulla sua linea come se non l’avesse udito “Sei troppo rigido con te stesso: adesso sei cambiato, quindi...”

Piton era convinto di non meritare alcuna dolcezza o indulgenza da parte sua, inoltre la donna pareva proprio non comprendere la gravità della cosa, quindi l’afferrò con violenza per le spalle, affondando le dita nelle sue carni fino a farla gemere di dolore: lì il giorno dopo sarebbero comparsi lividi scuri. “No, Oleander. E adesso vattene via.” La sospinse rudemente verso la porta, ma dovette lottare, perché lei oppose una tenace resistenza. “Ti dico che non mi importa ciò che sei stato e poi Silente si fida di te, quindi non può essere stata una cosa così terribile.”

“Non parlare di cose che non conosci. Tu non c’eri, tu non hai la più pallida idea di cosa ho fatto. Credi di capire cosa sono stato solo per aver letto qualche articolo di giornale? Non sai quanto ti sbagli. Tu devi stare lontana da me.” I due si ritrovano fuori, a litigare sotto la neve.

“Dammi una buona ragione per farlo, perché io ti…” gridò Oleander, aggrappandosi a sua volta alle sue spalle ossute. Piton non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma era l’unico modo per allontanarla da sé, per impedirle di pronunciare quella parola, perché se l’avesse fatto, era certo che avrebbe vacillato. Quindi la cinse in un abbraccio quasi stritolante, bloccandola. La maga provò un brivido di paura, non avrebbe mai immaginato che Severus possedesse tanta forza; sgomenta lo guardò negli occhi, che in quel momento erano un nero turbinio di rabbia, sofferenza e tristezza, e si accorse che stava pronunciando alcune formule arcane, subito dopo la sua mente fu invasa da una visione terrificante: anche chiudendo gli occhi, non riusciva a fermare le immagini che la attraversavano.

Un cielo cupo e violaceo, striato da nubi color sangue incombeva pesante e minaccioso su una desolata brughiera di erba giallastra, spazzata da un vento gelido e sibilante. Gruppi di uomini e donne fuggivano lanciando nell'aria grida strazianti, gli occhi sbarrati dal terrore. Dall'alto di una collina Lord Voldemort osservava deliziato la scena, sulle labbra il più beato dei sorrisi. Alzò il braccio in un gesto lento e drammatico, puntando l'indice verso gli sventurati in fuga e i Mangiamorte si lanciarono all'attacco, veloci ombre silenziose a cavallo di neri destrieri, le macabre maschere scintillanti in quella luce malata, inespressivi portatori di distruzione.

Le persone cadevano come mosche sotto i loro colpi, inermi, indifese, imploranti pietà, il sangue schizzava alto fino in cielo, per poi ricadere sulla terra come pioggia maledetta, ovunque corpi senza vita, occhi vitrei, bocche spalancate che non avrebbero più emesso alcun suono. L’odore di quel sangue versato, intenso, penetrante, terribile, presto sopraffatto dal tanfo della decomposizione dei corpi che si disfacevano, liquefatti in pozze nerastre nelle quali biancheggiavano i ghigni dei teschi… E a rompere un silenzio irreale si udì la sguaiata risata, fredda e senza allegria, di Voldemort. Poi la scena cambiò rapidamente.

Una veggente.

Una profezia.

Un giovane mago a terra, privo di vita.

Una donna dagli occhi verdi che protegge un neonato sino alla fine.

Un accecante lampo verde.

Piton la liberò dall'incantesimo e dalla sua stretta e la donna scivolò lentamente verso il basso, inerte. L'uomo si chinò verso di lei per sibilarle all'orecchio "Adesso sai per davvero. Ecco chi sono io." Poi, con la morte nel cuore e senza il coraggio di guardarla negli occhi, se ne andò, lasciandola lì, accasciata per terra, senza mai voltarsi indietro.

Le aveva mostrato tutti gli orrori, fino in fondo. E ciò che non era nemmeno iniziato tra loro, era morto. Lui l'aveva distrutto con le sue mani.

Perchè un mangiamorte non doveva essere amato.

Perchè un mangiamorte non poteva permettersi di amare.

Anche se il dolore gli lacerava il cuore.

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Ringraziamenti e commenti:

@MistralRapsody, Arabesque & Tweety chan: ho avuto forti riserve sul cambio così brusco del tono della storia, passata da un “allegro” bagno nel lago ad uno sfogo così amaro, ma nessun’altra soluzione narrativa mi convinceva, rischiavo di allungare inutilmente senza aggiungere nulla di concreto. Sono felice di non essere scaduta nel drammone. Di questo che mi dite? Anche qui ho avuto qualche dubbio, è quello più angst della fanfiction.

@Leonella: in questo capitolo hai la risposta sui sensi di colpa di Oleander ^^ in effetti ho seminato alcune “briciole di pane” in alcuni capitoli, che vengono riprese più avanti. Probabilmente la storia si apprezzerà di più quando sarà finita e potrai leggerla tutta di filato. Capisco che con i capitoli uppati volta per volta qualcosa può perdersi per strada.

Grazie anche a tutti quelli che semplicemente stanno leggendo la storia!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Una donna ostinata ***


CAPITOLO 8 – UNA DONNA OSTINATA

Quanto tempo rimase lì sotto la neve? Quanto tempo immobile, impietrita, inebetita, come priva di vita, sopraffatta dalla paura, dallo sgomento, dal dolore? Quanto tempo mentre attorno a lei, su di lei, la neve, silenziosa, insensibile ed implacabile, continuava a cadere con crudele lentezza? Quanto tempo in quella strada deserta e desolata?

Non lo seppe mai.

I candidi cristalli le si incollavano addosso, il freddo screpolò le sue labbra e quando un movimento involontario dei muscoli le contrasse, diversi tagli si aprirono, facendo colare a terra un filo di sangue caldo. Abbassò gli occhi, guardando il disegno scarlatto che si stagliava sulla neve candida e ripensò all’incidente che aveva avuto con il calderone di Piton: ora capiva il suo disagio di fronte alla sua ferita.

Quel pensiero la scosse dal torpore in cui era caduta “Ti devi alzare.” disse a se stessa, ma al primo tentativo, un po’ perché era restata a lungo ferma nella stessa posizione, un po’ perché si sentiva completamente priva di forze, non ci riuscì e ricadde pesantemente sul posto. La nausea ebbe il sopravvento, lo stomaco le si rivoltò, riuscì appena in tempo a sporgersi in avanti e vomitò tutto il pranzo di Natale, le viscere strette da spasmi lancinanti.

Barcollando si rimise in piedi e dopo diversi tentativi riuscì a smaterializzarsi e materializzarsi nei pressi di Hogwarts. Era ormai buio pesto, segno che dovevano essere passate diverse ore senza che se ne rendesse conto. Era quasi arrivata davanti all'ingresso principale quando incrociò Harry, Ron ed Hermione. Le ci volle un po' per riconoscerli e metterli a fuoco, da dietro le lenti dei suoi occhiali sporchi di neve. "Ragazzi - chiese debolmente - come mai siete qui?"

"Per un disguido il baule di Hermione non è mai partito e lei non faceva altro che lamentarsi tutto il tempo che aveva assolutamente bisogno dei suoi libri, perchè non voleva rimanere indietro con lo studio. Ho cercato di spiegarle che in vacanza i libri dovrebbero essere l'ultimo dei suoi pensieri, ma lei è una secchiona e quindi siamo tornati indietro a prenderlo. Fortuna che con la metropolvere..."

"Oleander, ma non hai freddo?" chiese Harry allarmato, interrompendo il monologo del suo amico dai capelli rossi.

"Oh - fece lei, accorgendosi solo in quel momento di non indossare il cappotto - l'ho lasciato là, che sbadata. E questa volta non c’è il suo mantello. Lo vorrei tanto." Mosse le mani verso le spalle, mimando di stringersi in una coperta, ma afferrando solo il vuoto.

I due ragazzi si guardarono sconcertati: la maga era strana, spenta e apatica, come se avesse appena ricevuto il bacio di un Dissennatore; ma Hermione, che non aveva perso il suo senso pratico, la prese per un braccio e disse "Vieni, ti portiamo in infermeria da Madama Chips."

L'infermiera della scuola ringraziò i ragazzi, ma poi li fece allontanare senza tanta grazia, assicurando loro che stava bene e aveva solo bisogno di un po' di riposo. Quando la porta fu chiusa, fece una bella ramanzina alla sua paziente. Le sollevò una mano e borbottò "Guardi qua che razza di geloni! Devono farle un male pazzesco. Uscire vestita così leggera quando fuori c'è una temperatura tale che farebbe assiderare una mandria di yak. Ma che cos'ha nella testa?"

Sapeva, per sentito dire dalle altre professoresse, che la donna non aveva un carattere mansueto, perciò si aspettava da un momento all'altro di essere mandata a quel paese; invece Oleander restò immobile a farsi massaggiare le dita con la pomata per i geloni, sopportò senza un lamento il bruciante unguento per le labbra, poi bevve un intruglio bollente che le avrebbe evitato un febbrone da cavallo. Non replicò nulla neanche quando Madama Chips le disse che per quella notte sarebbe rimasta in infermeria "E non voglio sentire una parola di protesta!" aggiunse, guardandola torva.

Nessuna parola di protesta giunse da Oleander, che si infilò il pigiama con gesti meccanici, assente. A quel punto l'infermiera sospirò e si sedette sul bordo del letto "E' un uomo."

"Eh?"

"E' in questo stato per via di un uomo." la sua non era una domanda, ma una semplice affermazione.

Oleander annuì brevemente, poi sentì le mani forti di Madama Chips che la spingevano sul materasso soffice "Per quello non ho alcun rimedio purtroppo, posso solo dirle di fare una buona dormita e di non pensare a nulla. Ora come ora non è in grado nemmeno di dirmi dove sono l'est e l'ovest, ma quando sarà più lucida, chieda a se stessa se ne vale davvero la pena." La donna aveva sciolto nella tisana di Oleander anche un sonnifero, perchè si era resa conto che altrimenti la maga, pur spossata, non avrebbe chiuso occhio quella notte. Le ferite dello spirito non potevano essere guarite dalle medicine, ma per lo meno andavano affrontate con un corpo in salute.

Oleander seppe che Madama Chips le aveva fatto bere qualcosa di strano quando, aprendo gli occhi, notò la luce luminosa che entrava dalle ampie vetrate e le ombre corte proiettate sul pavimento: se non era mezzogiorno, poco ci mancava. Non ricordava con molta chiarezza tutti gli avvenimenti del giorno precedente, in particolare dopo essersi materializzata vicino al castello. Ma quello che era avvenuto in precedenza, sì. Di quello aveva un ricordo più che vivido. Un brivido le fece accapponare la pelle sulle braccia, e non era il freddo.

Madama Chips entrò spingendo una barella con sopra un ragazzo che si stringeva la caviglia, snocciolando invettive contro la pessima abitudine degli studenti di correre come ossessi, anche quando le scale erano ghiacciate. "Ah - disse, vedendo che Oleander era in piedi - si sente bene oggi?"

Bene era quanto di più lontano ci fosse dal suo stato mentale attuale, ma almeno era rinfrancata da una notte di sonno ininterrotto e la spossatezza fisica se n'era andata "Meglio. Non lo credevo possibile, però mi sento meglio."

"Oh, che sciocchezza - borbottò l'infermiera, ficcando a forza in bocca al malcapitato studente una cucchiaiata di Ossofast - a tutto c'è rimedio, tranne che alla morte. Perciò non è proprio il caso di essere così melodrammatici."

"Ha ragione."

"Vorrei ben vedere!"

"Madama Chips?"

"Sì'?"

"Grazie."

L'infermiera scosse la testa, come a dire che non era necessario ringraziarla per il suo lavoro, ma era contenta che la maga si fosse risollevata.

"Madama Chips?"

"Che c'è ancora?"

"Penso che ne valga la pena."

"Allora si faccia forza, perchè non la voglio più vedere qua dentro!"

Severus Piton non fece ritorno a casa e nemmeno ad Hogwarts. Per il resto delle vacanze invernali nessuno seppe dov'era, ma il giorno in cui ripresero le lezioni, Pozioni era segnato regolarmente sul calendario e non si parlava di alcuna supplenza.

Non appena rientrati, Harry, Ron ed Hermione cercarono Oleander e furono felici di trovarla in buona salute. "Mi spiace di avervi fatto preoccupare, davvero."

Ron scosse la testa fulva "Non importa! Un momento brutto può capitare a chiunque." E per consolarla le raccontò di quando lui ed Harry si erano schiantati con la macchina volante sul Platano Picchiatore e della strillettera inviata da Mamma Weasley.

"Coraggio - disse Harry con entusiasmo - sono sicura che alla fine catturerai il ladro del vaso." Il ragazzo era convinta che la depressione di Oleander fosse dovuta solo a quello.

"Noi facciamo tutti il tifo per te." aggiunse Hermione.

"In questo caso non posso certo deludervi. Ora sarà meglio che andiate: avete lezione di Incantesimi."

Rimasta sola Oleander andò a scrutare la cartina ed il pendolo: dalla sera dell'inseguimento non c'erano stati altri movimenti, ma sapeva che il ladro non avrebbe tardato a farsi vivo di nuovo. Già, c’era anche quel problema.

Il suo volto assunse un'espressione molto risoluta: al momento opportuno lo avrebbe risolto, ma per adesso non era quella la sua priorità, i suoi rognosi parenti dovevano aspettare ancora. Se in quel momento fosse arrivato Petrolio da Schloss Berth con un’altra missiva, non avrebbe provato né ansia, né fastidio, né disagio, né senso di inferiorità. Semplicemente se ne sarebbe fregata.

La sua priorità, al momento, era un uomo dai lunghi capelli neri, lo sguardo tenebroso ed un passato da Mangiamorte.

Aveva avuto tanto tempo per riflettere durante quei giorni; ora aveva fatto chiarezza nella sua testa e ne era certa: era irrimediabilmente innamorata di lui, nonostante quello che aveva visto. Il suo sentimento aveva vacillato, ma aveva retto ed ora era più saldo, avrebbe affrontato qualunque cosa pur di stargli vicino, era pronta a tutto anche a un nuovo rifiuto da parte sua. Perché sentiva che Severus, nel mostrarle in modo così crudo, così diretto ciò che aveva fatto, le aveva rivolto una muta domanda:

Questo è ciò che sono, senza veli, senza maschere. Sapresti starmi accanto comunque?

Sì, lo sono. Quando ho avuto bisogno di te, tu c’eri. Ed ora io, per te, voglio esserci.

Era quasi una sfida. La donna strinse i pugni: Severus Piton non sapeva quanto potesse essere testarda e se pensava che bastasse così poco a farle cambiare idea, si sbagliava.

Si diresse con passo deciso verso gli alloggi di Piton, ma trovò che davanti alla porta d'ingresso era stato posto il ritratto di Richard Howe [1] e l'uomo era fermamente intenzionato a non farla passare. "Mi è stato comandato di non far entrare nessuno. Inoltre lei non conosce la parola d'ordine." disse in tono perentorio.

"La prego, io devo parlare con il professor Piton, è importante!"

Ma il ritratto era irremovibile. Oleander si morsicò le unghie, incerta sul da farsi: tutto quello che le veniva in mente erano una serie di incantesimi esplosivi da scagliare contro il quadro e non era il caso. Poi Angela, la signora sferruzzante, arrivò di gran carriera, spintonando le altre figure affacciate alle cornici, con al seguito il marito che cercava di blandirla, senza alcun successo. "Per l'amore del cielo, Angela. Non è proprio il caso di..."

"Oh, fa silenzio, Arthur. - lo zittì la consorte - Per una volta nella vita Piton trova una donna che si interessa a lui ed il meglio che riesce a fare è comportarsi come un orso selvatico!"

"Ma Angela..."

“Niente ma! - poi si rivolse ad Oleander con un tono a metà tra il disappunto e il materno - Quanto a te, mia cara, non potevi innamorarti di un uomo più normale?”

“Come fa a sapere che io…?”

“Mia cara, lasciatelo dire, ce l’hai scritto in faccia! Andiamo Richard, dì a questa cara signorina la parola d'ordine. Se non lo farai tu, lo farò io.” disse, minacciando il guardiano con un ferro da maglia.

"Sarebbe del tutto inutile, temo. Il professor Piton ha anche sigillato l'ingresso con un Colloportus." rispose il ritratto del militare inglese.

Oleander posò una mano sul legno e sospirò piano: in fatto di ostinazione anche l’ombroso professore di pozioni non scherzava. Proseguì lungo il corridoio a sinistra con una mano appoggiata sul muro, seguita dai ritratti incuriositi che si spostavano di cornice in cornice. Arrivò ad una stretta finestra, poco più di una feritoia, la aprì e si arrampicò sul davanzale, provocando le urla allarmate di Angela "Mia cara, no! E' troppo pericoloso."

Oleander guardò giù: l'altezza era notevole, venti metri almeno. Gli studenti che passeggiavano nel parco sotto di lei apparivano piccoli come formiche. Un cornicione sporgente, largo circa dieci centimetri, correva attorno al muro esterno; pochi metri più in là, dietro una rientranza, si intravedeva il balcone in pietra degli alloggi di Piton. Non era molto distante e da quel lato del castello il vento non aveva accumulato neve sul cornicione. Dentro il corridoio Angela continuava ad inveire contro suo marito "Per tutti gli spiriti, Arthur, fa qualcosa! Non startene lì impalato come un ritratto."

"Ma Angela - protestò debolmente l'uomo - è esattamente quello che sono."

Oleander oltrepassò la stretta finestra, posando il piede di lato sul cornicione e aggrappandosi con le mani allo spessore tra un mattone e l'altro. Avanzò molto lentamente, ripetendosi prima di non guardare in basso. Giunta all'altezza della rientranza, potè posare i piedi sui due lati del cornicione, si riposò un attimo e poi si diede della cretina per non aver usato la scopa per volare fino al suo balcone, invece di stare aggrappata lì, goffa imitazione di una lucertola... cozzò un paio di volte la testa contro il muro: come al solito, ora era un po' tardi per tornare indietro! Riprese il pericoloso percorso, pochi passi ancora e sarebbe arrivata al balcone. Teneva gli occhi fissi davanti a sè, sul muro, perciò non si accorse del gargoyle che, diversi metri più in su, fungeva da scolo per le acque. In corrispondenza della statua, la pietra era ricoperta da un sottile ma durissimo strato di ghiaccio. Il piede di Oleander scivolò via e in un attimo la donna fu proiettata all'indietro. Si aggrappò con le mani al cornicione, lanciando uno strillo acutissimo.

Penzolando nel vuoto, cercò di puntare i piedi contro il muro e contemporaneamente di issarsi sul cornicione, poi alla sua sinistra comparve una mano pallida che spuntava da una manica nera e Oleander fu sollevata portata al sicuro oltre le colonnine di marmo del balcone della camera di Piton "Cosa diavolo credevi di fare?" le urlò il mago, sbigottito ed infuriato allo stesso tempo.

"Non lo so - disse Oleander, cercando di riprendersi in fretta dallo spavento - volevo parlarti, ma la porta era sigillata e allora..."

Mormorando parole indistinte ed irripetibili sulla sua avventatezza suicida, Piton rientrò nella stanza ed Oleander lo seguì. Faceva freddo, molto freddo lì dentro, quasi quanto fuori. Non poteva essere solo per quei pochi istanti in cui aveva aperto la porta finestra; non c'erano lampade accese ed anche il caminetto era spento. Piton aveva l'aria molto stanca, gli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie, il naso pronunciato spiccava più del solito sul viso, era smunto e dimagrito. Posò su di lei i suoi occhi neri, inquisitori ed inquieti "Non credo ci sia altro di cui parlare. O vuoi forse dirmi che non ti importa di ciò che hai visto?" le domandò in tono sprezzante, ben sapendo che non poteva essere così.

Oleander scosse la testolina viola scuro, tenendo gli occhi bassi. Nel buio della stanza i suoi capelli sembravano ancora più cupi e la voce era quasi un sussurro "No. Mentirei, se ti dicessi che non ero stata superficiale nel giudicare cosa furono i Mangiamorte. Mentirei, se ti dicessi che ciò che tu mi hai mostrato mi ha lasciato indifferente. Mentirei, se ti dicessi che non mi ha lasciato terrorizzata, senza fiato per l'orrore e la paura. Mentirei, se ti dicessi che non sono stata male al punto da vomitare. E non voglio mentirti."

Ogni parola era una stilettata nel cuore di Piton, dolorosa come una Cruciatus, perchè era stato lui a farla stare così, anche se era stato solo per il suo bene, per impedirle di soffrire ulteriormente, per tenerla al sicuro. Dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per soffocare l'impulso di abbracciarla, chiedendole perdono. Perchè era lì? Per infliggergli dolore a sua volta, per vendicarsi? Probabilmente sì, e se lo meritava.

"Tuttavia..." Oleander alzò la testa d'improvviso. Sorrideva. Un sorriso lieve, appena accennato, ma sorrideva "Tuttavia quelle immagini di morte non sono l'unica cosa che mi ha trasmesso la tua visione." Avanzò verso di lui, lenta ma decisa. Istintivamente Piton arretrò, fino a toccare la fredda parete di pietra con le spalle, spaventato da quella reazione inaspettata, spaventato da ciò che stava provando in quel momento: sollievo, speranza, quasi gioia, spaventato, perché quelli erano proprio i sentimenti che sentiva di dover soffocare ed annientare.

Oleander si portò una mano sul cuore "Ho percepito chiaramente il tuo dolore ed è stato straziante. Ho percepito la tua disperazione, quindi so che è sincera. Ho percepito il tuo rimorso ed è il motivo per cui sono qui, ora." Era a un passo da lui, Piton alzò le braccia, in un estremo tentativo di fermarla “Vattene, vattene via, io saprei solo farti del male.” ma Oleander gli afferrò le mani con le proprie: erano di ghiaccio, come sempre, e lei voleva riscaldarle.

"Questo lascialo decidere a me. – disse con fermezza – Non sei più l'uomo che eri in passato, Severus. Ciò che hai fatto non può essere cambiato, è vero, ma ora tu stai lottando per cambiare il futuro, sei pronto a rischiare la vita per farlo. Perciò… perciò smettila di punirti; lo hai già fatto a sufficienza." Sollevò le mani e gli accarezzò il viso, passando con delicatezza le dita sulle rughe, solchi profondi che gli davano più anni di quanti ne avesse.

Al tocco delle sue mani calde sul volto, l'autocontrollo di Piton subì un nuovo scossone. Col cuore che gli martellava forte nel petto, dopo aver udito parole così balsamiche per il suo spirito lacerato, si chiese se magari non potesse lasciarsi andare solo per un istante, per assaporare una lacrima di felicità, una goccia di rugiada nel suo arido deserto di solitudine, una boccata d'aria fresca e limpida nella sua atmosfera greve di ripianti, una luce calda nelle nere profondità del suo animo, solo per un attimo. La parte razionale di lui sapeva che non doveva, non doveva, ma il suo cuore anelava calore, la sua anima cercava conforto dalla solitudine e lei glielo offriva...

Oleander fece scorrere le mani ai lati del viso, seppellendole nei suoi lunghi capelli corvini: non erano affatto unticci come i suoi studenti amavano malignare, erano morbidi, spessi, folti e lisci. Sentì l'uomo irrigidirsi ancora di più... e poi rilassarsi appena. Fece quell'ultimo passo, annullando la distanza tra i loro corpi e si appoggiò a lui, alzandosi in punta di piedi, attirandolo dolcemente a sè.

Piton vide le sue labbra sillabare silenziosamente il suo nome: "Severus", in una muta dichiarazione di amore, di perdono, di vita. Le ciglia violette scesero a chiuderle gli occhi, le labbra rosate, su cui restava la cicatrice di una spaccatura dovuta al freddo, si schiusero appena e lambirono il suo labbro superiore in una umida e delicata carezza. La dolcezza di quel gesto fece capitolare le ultime resistenze di Piton: al diavolo il mondo intero! voleva baciarla. Posò le mani sulla vita di lei e rispose al bacio, succhiando e accarezzando le labbra della donna, con una delicatezza infinita, timoroso come se stesse abbracciando una statua di cristallo. Ma poi Oleander lo incoraggiò a essere più audace, aprì la bocca, invitandolo ad esplorarla, circondandogli il collo con le braccia, abbandonandosi contro di lui, mentre Piton faceva risalire le mani lungo la sua schiena, stringendola più forte. Quando le loro lingue si toccarono, entrambi furono attraversati da un fremito ed Oleander si lasciò sfuggire un mugolio di piacere, mentre Severus si lanciava su di lei in cerca di baci sempre più intimi e passionali; con uno scatto invertì le posizioni: ora era Oleander a trovarsi stretta tra il muro ed il suo corpo. Si staccavano l'uno dall'altro solo per brevi istanti, per riprendere fiato e avrebbero potuto continuare a baciarsi all'infinito.

Perfetto, era tutto perfetto.

Improvvisamente il braccio sinistro di Piton ebbe uno spasmo doloroso e familiare e l'uomo si ritrasse bruscamente, stringendolo con forza. Oleander vide la disperazione nei suoi occhi, ma sostenne il suo sguardo. Lui non sapeva cosa dire, come dirglielo e allora fu lei a parlare "E' il marchio nero, vero?"

"Sì. Devo andare." Eccolo, il momento più temuto, il momento che mandava in frantumi i suoi pallidi sogni ed ecco di nuovo la paura, i sensi di colpa ad assalirlo “Tu non dovresti stare qui…”

Le labbra di Oleander coprirono nuovamente le sue, con forza, a soffocare scuse e pretesti "Io non ho paura di Voldemort, ho solo paura di stare lontana da te."

Piton la strinse un'ultima volta e mormorò “Sei proprio una donna ostinata, tu.” Assaporò ancora per un istante il calore del suo corpo e con quel ricordo nel cuore si recò ad incontrare il Signore Oscuro.

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[1] = Comandante della flotta inglese della Manica di fine '700, arginò più volte gli attacchi dei francesi: ottimo per non far passare nessuno da una porta, no? ^^

Non sono affatto sicura che gli alloggi di Piton si trovino così in alto, a Hogwarts. Il laboratorio di pozioni, il suo ufficio e anche la sala comune dei Serpeverde sono nei sotterranei e lui, come direttore della Casa, forse ha la camera lì. Ma tant’è, per esigenze di copione (XD) avevo bisogno che la stanza fosse in un luogo elevato!

@ Arabesque e Tweety chan: spero di essermi fatta perdonare per il capitolo “pesante” dell’altra volta.

@ La Castellana: grazie! Ho cercato di fare in modo che quella scenetta avesse un’atmosfera “onirica”, diversa dal resto della fic, spero di esserci riuscita.

@ *luculyu*: ehe! Ti ringrazio! Vuol dire che 5 anni di liceo classico sono serviti a qualcosa! XD

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Mai un attimo di pace ***


CAPITOLO 9 – MAI UN ATTIMO DI PACE

Lord Voldemort non sembrava di buon umore quando Piton comparve al suo cospetto "Ti ho chiamato più di dieci minuti fa. Hai forse dimenticato che non mi piace aspettare?" non si curò di mascherare l’irritazione che trapelava dalla sua voce.

L’uomo si inginocchiò a baciargli l’orlo della veste "Chiedo perdono, ma ero a colloquio con Minerva McGranitt: se mi fossi allontanato troppo all'improvviso avrebbe sospettato, quella donna è scaltra." mentì con disinvoltura il professore di pozioni.

"Come siamo prudenti." un lampo divertito attraversò gli occhi dell'uomo. Si sedette su di una poltrona, elaborata come un trono, ma non fece alcun cenno al suo seguace, che restò inginocchiato con lo sguardo a terra. Seguì una lunga pausa durante la quale il Signore Oscuro assaporava lentamente un calice di vino nero come la pece "Allora, dopo tanti mesi che non ci si vede, sei così poco loquace, Severus? Non ti sei domandato che fine avessi fatto? Non eri preoccupato per me?" chiese beffardo.

"Ma certo. Solo che fare indagini poteva non essere..."

"... prudente. – concluse l'altro – Lo so. Ultimamente la sorveglianza degli auror si è fatta più stretta. Piccoli, inutili insetti che mi ronzano intorno!” Il bicchiere di cristallo andò in frantumi con un tintinnio sinistro. “Non è rimasta molta gente di cui possa fidarmi.” aggiunse, come se fosse amaramente deluso. Lo guardò dritto negli occhi e per un attimo Piton temette il peggio: Voldemort aveva scoperto il suo doppio gioco ed ora lo avrebbe ucciso. Peccato, avrebbe voluto fare di più per contribuire alla sua disfatta. Il suo pensiero andò un’ultima volta ad Oleander… poi Voldemort riprese a parlare “Menomale che ci sei tu, Severus.” E finalmente fece cenno all’altro che poteva sedersi.

L’uomo chinò il capo ancora una volta “Il mio Signore mi lusinga.”

“Ma ora – il Signore Oscuro si sporse verso di lui – occupiamoci d’altro: sono rimasto un po’ indietro con quanto successo là fuori.” E penetrò nella sua mente.

Piton fece ricorso a tutta la sua abilità nell’arte della Occlumanzia: doveva tenere nascosti i suoi sentimenti per Oleander a tutti i costi. Per nulla al mondo lei doveva essere coinvolta in quella faccenda, non doveva nemmeno esserne sfiorata. Per non destare sospetti ed evitare di cadere in contraddizione gli mostrò solo che una donna era giunta ad Hogwarts per una cosa che in nessun modo poteva interessarli.

“Oh, e chi sarebbe questa giovane visitatrice?” chiese Voldemort con un certo interesse, facendo rabbrividire l’altro mago.

“Nessuno. Una maga da due soldi che si diletta a costruire oggetti. Una semplice manovale.” Disse, usando il tono di voce più indifferente che gli riusciva.

“Vedo che costei vive mischiata tra i babbani… non ti è venuta voglia di farla fuori?”

“Sarebbe stato solo uno spreco inutile di energie e Silente è sempre vigile, avrebbe potuto intuire che ero stato io.”

L’altro parve abbastanza soddisfatto della risposta, indugiò ancora per un attimo su Oleander, poi frugò altrove nella mente di Piton.

Le ore passavano e Severus non tornava. Oleander sembrava una belva in gabbia: camminava su e giù per la stanza, torcendosi le mani e tormentandosi le pellicine attorno alle unghie, sedeva un istante su una poltrona accavallando le gambe per poi alzarsi di scatto, andava alla finestra e giocherellava con le tende, sbuffando impaziente. Cosa doveva fare? Voleva essere lì quando Severus fosse tornato, ma forse era il caso di andare ad avvisare Silente. Non aveva idea del perché Voldemort lo avesse convocato, né come funzionavano quegli incontri… e se gli avesse ordinato di uccidere qualcuno? Di uccidere Harry? Di certo Severus si sarebbe rifiutato, ma così facendo sarebbe stato ucciso. Aveva la testa piena di idee tetre e terrificanti, le sembrava di impazzire ed alla fine si buttò sul suo letto con un sospiro, poi prese ad accarezzare le lenzuola nere di raso, immaginandolo sdraiato lì. Sprofondò il viso nel materasso, cercando il suo odore ed in un istante la sua mente fu distratta da pensieri di altro genere, tanto che arrossì e si rimproverò “Oleander Silvestre, sei inqualificabile!”

In quel momento la porta si aprì e Albus Silente entrò con un foglio in mano “Scusa Severus, la professoressa Sinistra si chiedeva se potessi fare cambio di ora con lei per la classe di Corvonero, settimana prossima…” Oleander si alzò di scatto dal letto, ma non abbastanza in fretta da non essere vista ed assunse l’aria colpevole ed imbarazzata di un bambino che è stato appena sorpreso a rubare dal portafoglio della mamma “I-il pr-professor Piton non è qui.” balbettò.

Il preside di Hogwarts aveva l’aria di godersela un mondo “Vedo. E dov’è?”

Oleander si fece immediatamente seria “E’ stato chiamato. Da Colui-che… da Voldemort.”

“Capisco.”

“Che cosa facciamo, Silente?”

“Per il momento, accendiamo il fuoco. Per Merlino, questa stanza sembra una ghiacciaia.” disse l’uomo, con la solita aria svagata.

"Vabbè, e poi...?" lo incalzò lei.

"Non c'è molto che possiamo fare, solo aspettare." L'anziano mago si lisciò la barba, mentre Oleander riprese a percorrere la stanza con un sorrisetto che rasentava l’isteria “Temo che questa non sia la mia specialità. Fosse per me farei irruzione nel covo di Voldemort, ora, con un bazooka spianato... è un'arma babbana.” spiegò.

“Pazienza, Oleander, pazienza.”

“Mi sento così inutile.” gemette la maga, frustrata.

“Ma non lo sei.” Improvvisamente si fece serio, assumendo quell’aria autorevole che ne faceva una figura tanto carismatica e rassicurante nel mondo dei maghi. “A Natale ti dissi che temevo per Severus, per via della sua solitudine, dell’isolamento che si era imposto, anche all’interno dell’Ordine della Fenice: non aveva nessun legame importante, nulla a cui tenesse davvero, nulla da perdere. Temevo che questo l’avrebbe portato a qualche gesto sconsiderato, troppo avventato, a buttar via la sua vita come se non valesse nulla. Ma poi sei arrivata tu, sei stata come una linfa vitale per lui: ora che ha qualcosa a cui tiene profondamente, anch’io mi sento più tranquillo. Sono decisamente un mucchio di cose per una persona inutile, non ti sembra?” concluse, riprendendo il solito tono leggero e scherzoso.

“Sarà… però intanto non faccio altro che restare qui ed aspettare.” disse nervosamente, strofinandosi le mani e sbuffando, mentre raggiungeva per l'ennesima volta l'estremità della stanza e tornava verso il preside di Hogwarts. L'uomo fece comparire un vassoio con una teiera fumante di tisana ai lamponi, delle fette di torta di mele e uvetta, pasticcini ed un soufflè di zucca "Esatto. E se intanto che aspetti riesci a rilassarti un po', è meglio. Dubito che Severus sarebbe molto contento nel vedere che hai scavato una trincea in camera sua, camminando avanti e indietro."

La tisana le diede un po' di pace, riuscì anche a mangiare quei dolci deliziosi, nonostante credesse di non poter inghiottire un solo boccone per l’agitazione, ma le ore trascorsero comunque con una lentezza esasperante; si assopì su una poltrona, ma il suo sonno era agitato da vaghi incubi carichi di angoscia. Verso le otto di sera finalmente udì dei passi lenti e strascicati risuonare nel corridoio, si alzò, spalancò la porta e Piton le crollò tra le braccia. Sbilanciata, rischiò di cadere, ma in qualche modo riuscì a restare in piedi e a sorreggerlo "Severus, cosa ti è successo?" chiese con voce allarmata.

Per ore Lord Voldemort aveva letto la mente di Piton e quando si era ritenuto soddisfatto, l'aveva congedato, non prima di colpirlo a tradimento alle spalle con un incantesimo di sua invenzione, un pericoloso incrocio tra una Cruciatus ed un Sectumsempra. La sua spiegazione? Intanto voleva verificare l’efficacia della maledizione che aveva elaborato con tanta cura e lui gli era parso il volontario ideale, poi per essersi presentato in ritardo (“Questo ti insegnerà cosa vuol dire la parola puntualità.” furono le sue parole esatte), infine, disse con un ghigno malefico, se fosse tornato tutto intero, Silente avrebbe potuto insospettirsi. Meglio essere prudenti, no? Lo congedò così, dicendogli di sparire in fretta, che ora doveva pensare a un nome per quell’incantesimo.

Il dolore della maledizione era stato improvviso, inaspettato e quindi ancor più lancinante: ferite sottili come capelli, ma molto profonde, gli si erano aperte sulla schiena, sentiva il sangue caldo inzuppargli velocemente i vestiti. Si trascinò strisciando fuori dal covo del Signore Oscuro con il male fisico che gli lacerava i muscoli e le ossa, che bruciavano come se venissero stritolate da mani invisibile intrise nell'alcol, un dolore terrificante che gli impediva di pensare e gli toglieva le forze. Ogni passo gli procurava nuove e più terribili scariche di lacerante dolore attraversargli il corpo, ma il pensiero che qualcuno lo aspettava lo rimise in piedi, guidando i suoi passi fino ad Hogwarts. Comunque non si aspettava che l’avesse aspettato tutto quel tempo; aperta la maniglia della porta, era certo che sarebbe caduto a terra e questo non avrebbe aiutato il dolore e le ferite. Invece fu un atterraggio morbido, Oleander era ancora lì e, sebbene a fatica, gli impedì di crollare a terra. Ne fu felice; nonostante il tormento che provava il suo corpo, in quel momento era felice.

Lei gli posò cauta una mano sulla spalla, ma l'allontanò subito, sgomenta, quando lui urlò per il male. La vide sporca di sangue e rabbrividì "Perchè Severus, perchè?" chiese in un soffio.

"Perchè lui si diverte così. Tranquilla, non sono in pericolo di vita, dopotutto gli servo." rispose a fatica, un sorriso tirato sul volto cinereo.

“Tranquillo, ci penso io a te.” Con una delicatezza che non ci si sarebbe aspettati da una donna così energica, passò il braccio di lui sopra le sue spalle e lo trascinò in camera, facendolo sdraiare prono sul letto. Ogni movimento troppo veloce o brusco gli strappava un gemito di sofferenza. Oleander riuscì a curare in qualche modo le ferite sanguinanti, prima passando con molta dolcezza un panno imbevuto d'acqua, mormorando uno "scusa" o un "mi dispiace" ogni volta che si lamentava e poi avvolgendole con l'incantesimo Ferula. Ma per il dolore che Severus provava non c'era molto da fare, se non stringergli la mano ogni volta che una smorfia di dolore gli contraeva il viso o asciugargli il sudore dalla fronte, accarezzandogli lievemente i capelli. Come se non bastasse, quella maledizione causava anche una forte febbre: per tutta la notte Piton rimase in quello stato di terribile veglia senza riposo, gli occhi vigili e febbrili ed Oleander restò inginocchiata di fianco al letto tutto il tempo, bisbigliandogli parole dolci e posandogli baci leggeri sulle labbra. Si allontanò da lui solo pochissime volte, per ravvivare il fuoco nel camino o per prendere un bicchiere d'acqua e costringerlo a berne qualche sorso. Per scaricare la tensione, a un certo punto la donna si mise a camminare in cerchio, vomitando ogni genere di invettiva che le veniva in mente contro il signore oscuro: Piton fu certo di sentire un paio di insulti che non aveva mai udito in vita sua e la cosa riuscì a farlo sorridere un istante, seppur molto debolmente.

Olenader non aveva idea se quello che stava facendo servisse davvero a farlo stare meglio, ma avrebbe fatto del suo meglio e fu decisamente rincuorata quando, verso l'alba, i lamenti di Severus si acquietarono e i lineamenti del viso si fecero più rilassati. Lentamente chiuse gli occhi e con sollievo Oleander vide che si era addormentato. Lei invece non permise a se stessa di cedere al sonno: se avesse avuto bisogno di qualcosa, voleva che la trovasse sveglia. Piano piano gli toccò la fronte: era più fresca, quindi appoggiò le braccia sul materasso e restò a guardarlo. Nonostante la situazione, nonostante soffrisse molto nel vederlo in quello stato, una fiammella di gioia brillava in fondo al suo cuore “Mi ha permesso di restare, questa volta non mi ha allontanata.”

Verso le otto di mattina Piton si ridestò: la febbre era sparita ed il male si era attenuato molto. Non era la prima volta che il Signore Oscuro gli scagliava contro una maledizione per sfogare la sua rabbia, ma con il sostegno di Oleander questa volta era stata meno terribile del solito da sopportare. Tuttavia aveva paura di essersi solo immaginato, nel suo pietoso delirio, che lei fosse rimasta davvero lì tutto il tempo a vegliare su di lui, perciò non si decideva ad aprire gli occhi, nel timore di fissare una stanza vuota, come era stata la sua vita fino a quel momento. “Sei davvero patetico.” si disse alla fine. I profondi occhi neri del professore si aprirono e la prima cosa che videro furono quelli nocciola di Oleander, estremamente stanchi ma sorridenti. Quella vista gli scaldò il cuore, ma non potè fare a meno di brontolare “Svegliarsi con una persona che ti fissa a quel modo è inquietante: se la mia faccia è così interessante, perché non mi fai una foto?”, incapace di abbandonare il suo proverbiale sarcasmo.

“Perché sarebbe del tutto inutile. Purtroppo tu non stai volentieri dietro una cornice.” La donna era al settimo cielo vedendo che aveva voglia di scherzare fin dal primo mattino.

“Hai un aspetto orribile.” Infierì il mago. Se si comportava così era solo perché era consapevole che lei aveva capito ed accettato il suo carattere, tenendogli testa egregiamente. Di fatti Oleander gli rispose sfacciatamente: “Prima di parlare dovresti guardarti allo specchio.”

Piton si tirò in piedi ancora dolorante, ma era già in grado di muoversi normalmente. Tuttavia ci volle del bello e del buono per convincerla che era perfettamente in grado di andare in bagno e lavarsi da solo ed anche così Oleander restò dietro la porta come un cane da guardia, continuando a parlargli per accertarsi che non svenisse. Quando uscì dal bagno, notò che la donna era lì lì sul punto di crollare, con la testa che ciondolava per il sonno “Torna nella tua stanza e riposati.” Ma lei, cocciuta, scosse la testa, stropicciandosi gli occhi “Da qui non me ne vado.”

Piton sospirò: era ancora troppo stanco per ingaggiare battaglia con lei, quindi si sdraiò sul letto facendole spazio “Vieni qua, razza di donna testarda: se resti in piedi un minuto di più, finisce che svieni, sai che seccatura doverti raccattare da terra.”

“Quale galanteria! La prossima volta per convincermi prova a tirarmi in testa la clava di un troll.” Ribattè lei, ma poi accettò l’invito e si sdraiò accanto a lui. Tra loro calò un silenzio intimo e naturale, lei gli scostò alcune ciocche di capelli ribelli dal viso, scendendo ad accarezzargli piano la schiena, indugiando sulle bende che coprivano le ferite “Come ti senti?”

“Bene.” E non era una bugia. L’attirò a sé e la baciò, incapace di esprimere a parole tutta la gratitudine e l’amore che sentiva per lei, ma da come rispose al suo bacio, Severus era certo che avesse capito e che ricambiava. La consapevolezza dei reciproci sentimenti andava al di là delle parole.

Scivolarono entrambi in un sonno tranquillo. Qualche ora più tardi Oleander fu destata da qualcuno che bussava alla porta: si accorse che, nel sonno, Severus si era stretto a lei ed ora dormiva beatamente con la testa appoggiata sul suo seno. “Neanche di domenica si può stare un attimo tranquilli.” pensò irritata. Fu tentata di far finta di non aver sentito, ma il toc toc si ripetè e, temendo che l’uomo si svegliasse, lo fece scivolare di lato lentamente e andò ad aprire: era un elfo domestico che si occupava dei mestieri. “Il professor Piton è molto stanco, verrai a riassettare la stanza in un altro momento.”

“Oh, io lo sa. Ma Silente pensa che voi affamati e vi manda questi.” E gli mostrò un vassoio pieno di morbidissimi panini al latte appena sfornati e ripieni di ogni ben di dio dolce e salato. La sua cena della sera prima era stata solo torta e pasticcini, perciò il suo stomaco gorgogliò vivacemente alla vista del cibo ed afferrò immediatamente un panino, staccandone metà con un morso: era come rinascere. “Oh, io dimenticavo! – disse l’elfo, tornando sui suoi passi – Nemmeno nella stanza della signorina Oleander ho riuscito di pulire: suo ciondolo sembra impazzito.” [1]

La donna a momenti si mandò il boccone di traverso e dovette battersi un vigoroso pugno sullo sterno per farlo scendere “Come hai detto?”

Il buffo esserino iniziò a correre in cerchio nel corridoio “Gira dappertutto, così! Se io restava lì, rischio di venire colpito.”

La donna corse in direzione della sua camera: era proprio come aveva detto l’elfo, il suo pendolo volava per tutta la stanza, sbattendo contro le pareti ed il soffitto come un’enorme insetto cieco, sembrava che stesse cercando di uscire. “Accio pendolo!” lo richiamò, afferrandolo per la catenina, ma anche così il prisma di cristallo continuava a tirare. Con un colpo di bacchetta magica Oleander mutò la cartina dell’Inghilterra in una mappa abbastanza dettagliata di Hogwarts e dintorni ed immediatamente il pendolo si incollò sopra una grande macchia di alberi: la Foresta Proibita. “Oh, fantastico!” gemette la donna, mettendosi le mani nei capelli: a sentire i racconti degli studenti, la Foresta era già abbastanza bizzarra di suo, senza bisogno che un ladro armato di un fluido che anima le cose le desse man forte. Raccolse frettolosamente in una borsa tutto quello che poteva servirle e, senza pensare di lasciare alcun biglietto di avvertimento, uscì.

Il corridoio che stava attraversando in tutta fretta era molto stretto, ma privo di ostacoli. Così credeva Oleander, finchè non inciampò nel… nulla, almeno apparentemente, e finì lunga distesa per terra “Ma che diavolo…?”

Accanto a lei c’erano Harry e Ron, seminascosti sotto il Mantello dell’Invisibilità e pallidi come cenci. “Scusate, non vi avevo visto. Beh, in effetti non potevo vedervi… ehi, che vi succede?” realizzò in breve che qualcosa non andava.

“Nulla.” disse Ron, una faccia che diceva esattamente l’opposto. Oleander si puntò le mani sui fianchi e si sporse verso di loro: “Ragazzi, non è passato così tanto tempo da quando ero una studentessa, riconosco al volo quando qualcuno si è cacciato nei guai, e le vostre facce mi dicono che ci state affogando, nei guai.”

“Hermione… è in pericolo…” disse Harry in un soffio.

“Ok, raccontatemi tutto.”

“Eravamo nella serra numero due di Erbologia per prendere alcune ciliegie di ricino.”

“Volevate fare uno scherzo un po’ pesantuccio a qualcuno, vero? Mi sa che Fred e George hanno una brutta influenza su di voi.”

“E’ colpa di Malfoy – sbottò Ron – è tutta la settimana che tormenta Ginny senza motivo, più del solito! Volevamo dargli una lezione. Così Hermione stava cogliendo le ciliegie per preparare la pozione purgante, quando una recinzione l’ha trascinata via.”

“Una recinzione?”

“Sì! – Harry annuì veementemente – di quelle di metallo. Quando ho l’ho vista muoversi da sola ho subito pensato al ladro del vaso di Pandora.”

“Già, infatti il mio pendolo segnala che è qui.” Confermò Oleander.

“L’ha trascinata verso la Foresta Proibita. Io e Ron siamo venuti a prendere le bacchette ed il Mantello di mio padre per andarle a cercare.”

“Voi non farete nulla del genere, razza di sconsiderati!”

“Ma Hermione...”

“Andrò io a cercarla; capisco che non vogliate dirlo ai professori perché stavate architettando quello scherzo, ma siete degli incoscienti, non vi rendete conto di quanto può essere pericoloso?” Oleander era arrabbiata per l’avventatezza dimostrata dai due ragazzi e tremava al pensiero di cosa sarebbe successo loro se non gli fosse andata addosso.

“Ma – balbettò Ron a mo’ di scusa – tu hai detto che a questo ladro piace fare scherzi, quindi pensavamo che non fosse pericoloso.”

“No Ron, non è così: questo individuo prende tutto come se fosse un gioco, senza curarsi minimamente delle conseguenze, ma ha quasi fatto morire una bambina, infilzato me nella schiena con una falce e investito delle ragazze con l’auto. Se questo per voi non è pericoloso, mi domando cosa lo è, allora!” La donna aveva decisamente alzato il tono di voce, tanto che i due si erano appiattiti contro la parete. “Guai a voi se vi muovete da qui! E dieci punti in meno a Grifondoro!” Oleander involontariamente si produsse in una imitazione del loro professore di pozioni e corse via.

Ron aggrottò la fronte “Lei non è una professoressa, non può toglierci punti!”

“Lascia perdere, Ron. Piuttosto, che vuoi fare?” chiese Harry, il quale aveva già deciso di andare comunque nella Foresta Proibita.

“Che domande! Hermione è nostra amica, no?”

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[1] = Lo so bene che è sgrammaticato, non ho scordato d’improvviso l’italiano, ma gli elfi nel libro parlano così! XD

Ringraziamenti e commenti:

@ Arabesque e Jessica P: sì, è vero quei due sono davvero degli zucconi, ce ne hanno messo di tempo per dichiararsi.

@ MistralRapsody: hai pienamente ragione: molti manga sono una buona fonte di ispirazione per l’angst (non a caso la fanfic più depressa che ho scritto me l’ha ispirata Inuyasha), ma ho cercato di non esagerare troppo, per non cadere nel patetico e perché per questa storia non ho in mente finali tragici.

@Tweety chan: Angela ed Arthur sono un affettuoso omaggio ai miei nonni materni, che sono stati (purtroppo mia nonna è morta qualche anno fa) una coppia come quella che tu hai descritto. Lei un po’ impicciona, ma dolcissima, e lui che sopporta in silenzio e con tanta pazienza i brontolii e l’atteggiamento un po’ dittatoriali di lei.

Alla fine della storia manca solo un capitolo più un epilogo, quindi dovrei riuscire a postare il tutto entro settimana prossima.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Il vaso di Pandora ***


CAPITOLO 10 – IL VASO DI PANDORA

Oleander atterrò con la sua scopa e la lasciò al margine della Foresta Proibita: in quell’intrico di rami le sarebbe servita a poco: utilizzò la pozione di Severus e si addentrò tra gli alberi seguendo il filo di fumo scuro. Di tanto in tanto ricorreva ad un incantesimo “Pingo”, spruzzando con la bacchetta una macchia di vernice luminescente sulla corteccia di qualche albero, per ritrovare la strada, dato che non c’era alcun sentiero nel bosco ed il rischio di perdersi era molto elevato. Il filo di fumo esitò più volte, come confuso da qualcosa e si muoveva lentamente, ma era un bene, perché non era facile avanzare in mezzo a rami bassi e cespugli che non avevano mai visto una potatura. Rimpianse di non avere un bel machete. Giunto in una radura, il filo si arrestò, formando una freccia che puntava verso nord: qualche metro più in là c’era la recinzione della serra che si muoveva simile ad un gigantesco bruco verde, dentro il quale si vedeva Hermione che strepitava e scalciava: in altre circostanze la scena sarebbe anche stata divertente. Oleander fu sollevata nel vedere che la ragazza, tutto sommato, stava bene, e si acquattò tra la vegetazione, per vedere se il ladro fosse nei paraggi e decidere il da farsi. Un ramo alle sue spalle si spezzò ed Oleander si voltò a bacchetta spianata: alla vista di Harry e Ron fu abbastanza rapida da trattenersi dal gridare STUPEFICIUM! “Ragazzi! – disse a denti stretti – cosa vi ho detto poco fa? Parlo il runico antico?”

“E’ colpa nostra se Hermione è in questo pasticcio, l’abbiamo convinta noi a prepararci quella pozione.” Disse Harry a sua discolpa.

“Fortuna che adesso non ho tempo di arrabbiarmi con voi, sennò…”

“Guardate!” urlò Ron, puntando l’indice contro la rete-bruco. La cosa aveva iniziato a strisciare rapidamente nel folto della foresta e i tre la inseguirono.

“Harry, non va verso la tana di Aragog, vero?” chiese Ron ansioso.

“Non ne ho idea.” rispose l’amico, preoccupato di quella prospettiva.

“La tana di chi?” si intromise Oleander.

“E’ un mostruoso ragno gigante amico di Hagrid.” Spiegò il ragazzo con gli occhiali.

“Ma solo di Hagrid – aggiunse Ron – a noi ha cercato di divorarci.”

“Oh perfetto: come se non avessimo già abbastanza problemi.” Mugugnò la donna.

La rete-bruco si fermò poco più avanti e si voltò come a volerli fronteggiare. Hermione gridò forte il loro nome. “Lasciala andare!” urlò Ron.

“Dubito che ti dia retta.” Oleander cercava di pensare ad una soluzione: era impensabile colpire la rete con un qualsiasi incantesimo, il rischio di prendere anche Hermione era troppo alto. Il liquido del vaso di Pandora riluceva lungo le maglie della rete, come eliminarlo senza ferire la ragazza? Una illuminazione le attraversò la mente: la Toyota posseduta aveva perso i poteri magici cadendo nel laghetto! Puntò la bacchetta verso la cosa e disse “Aguamenti!” Un potente getto d’acqua si sprigionò dalla punta, centrando in pieno la rete, che dopo qualche secondo ricadde inerte al suolo. I tre corsero a liberare la streghetta di Grifondoro: fortunatamente non aveva un graffio. Oleander stata per fare loro una bella lavata di capo quando udì un suono simile ad un sibilo “Lo sentite anche voi?”

“Sì – Ron aggrottò la fronte – mai sentito nulla di simile.”

“Io invece lo trovo familiare.” Disse Harry tendendo l’orecchio.

“Anch’io – confermò Oleander – sembra il suono che fanno le porte della metropolitana babbana quando si aprono o si chiudono.”

“Esatto!” esclamò il ragazzo con gli occhiali.

Oleander si guardò attorno, inquieta, una mano tesa davanti ai tre ragazzi, pallido tentativo di proteggerli da un pericolo che non riusciva a scorgere. “Un incantesimo invisibile?” ipotizzò. Puntò la bacchetta verso l’alto e gridò “Detego occultationem!” Un sottile raggio rosa si librò nell’aria e superate le cime degli alberi esplose in milioni di frammenti brillanti, che mostrarono l’esistenza di una barriera a cupola che si stava velocemente richiudendo sulla foresta. Puntò nuovamente la bacchetta, questa volta verso i tre ragazzi “Salvificum ventum clamo!” Un piccolo tornado li avvolse sollevandoli da terra e si mosse con rapidità verso il margine della foresta. Riuscì ad arrivare al limite degli alberi un attimo prima che la barriera si richiudesse, sigillando il bosco e ridiventando invisibile.

“Bene – disse Oleander ad alta voce – ora ci siamo solo io e te. E’ l’ora della resa dei conti.”

Frattanto, fuori, i tre ragazzi cercavano di rimettersi in piedi: un tornado non era certo il mezzo di locomozione più comodo di questa terra ed aveva tutti lo stomaco scombussolato e la testa che girava “Ed ora cosa facciamo, avvertiamo qualcuno?” chiese Harry.

“No, è fuori questione!” proruppe Hermione, spaventata all’idea delle punizioni che avrebbero inflitto loro per aver trasgredito ad un consistente numero di regole della scuola.

“Ma Oleander…” fece notare Ron.

“Mi pare che sia in grado di cavarsela da sola. Voglio dire: l’avete vista anche voi, no? E’ stata bravissima, non c’è da preoccuparsi. Ma se scoprono che noi eravamo nella Foresta Proibita, toglieranno come minimo 300 punti a Grifondoro. A testa. Ora torniamo al castello, prima che qualcuno ci scopra.”

Spaventati da quella prospettiva, i due ragazzi non obiettarono più, ma Harry rimase tutto il giorno affacciato alla Torre di Grifondoro, nella speranza di veder comparire Oleander. Anche Ron ed Hermione, comunque, non erano tranquilli: il primo perse clamorosamente una partita a scacchi con Seamus e la seconda non riusciva a star seduta al tavolo a studiare per più di un quarto d’ora di fila.

Il filo di fumo non si muoveva più ed Oleander si sedette su un masso, incerta sul da farsi; a detta di Hagrid quella foresta doveva essere piena di creature magiche: unicorni, centauri, lupi mannari “Ed anche mostruosi ragni giganti.” ricordò a se stessa, ma per il momento nessuno si era fatto vivo.

Accadde poco dopo: uno scoppio molto forte, come un petardo. Oleander balzò in piedi, aggrottando la fronte. Il fumo, che fino a quel momento era rimasto sospeso sopra il collo dell’ampolla a roteare su se stesso in pigre volute, si disperse in mille rivoli sempre più piccoli e sottili, fino a scomparire del tutto.

Prima di riuscire a capire che cavolo stesse succedendo, udì un sibilo e si piegò velocemente per evitare due pietre lanciate a tutta velocità, dopodiché dovette mettersi a correre per sfuggire ad un grosso masso che la inseguiva "Aguamenti!" lo innaffiò a dovere per renderlo inoffensivo. Persino il terreno le volò addosso, cercando di accecarla "Protego!" Si appoggiò al tronco di un albero per riprendere fiato. Sentì qualcosa di viscido colarle sul collo ed insinuarsi sotto il vestito e lo toccò con una smorfia di disgusto: era il liquido del vaso.

Alzò lentamente lo sguardo e vide che quella cosa colava da tutte le parti: dalle punte degli aghi degli abeti, dalle pietre, fuoriusciva dal terreno.

Deglutì nervosamente: quello era proprio un bel casino! Qualcosa saettò verso di lei, un attimo dopo sentì due dolorosissime punture sul polpaccio sinistro e si rifugiò dietro il tronco, mentre sentiva altre di quelle cose conficcarsi nella corteccia, facendone schizzare via alcuni pezzi.

Cautamente si toccò il polpaccio e ne estrasse due schegge insanguinate "Che male!" mormorò. Ripulì i due frammenti e si accorse che erano di porcellana, bianca, sulla quale si intravedevano brandelli di disegni dorati. “Il vaso... il vaso è esploso, è andato in pezzi!” pensò, ma non ebbe il tempo di lasciarsi prendere dal panico, perchè dovette scansarsi e cercare un altro riparo, perchè quello venne investito da numerosi dardi bianchi, mentre il liquido del vaso, senza più alcun contenitore, galleggiava nell'aria come una nebbiolina leggera; lo attraversò coprendosi gli occhi con un braccio, ma non potè evitare di respirarlo ed inghiottirlo: se l’odore non era buono, il sapore era cento volto peggio, le sembrava di aver mangiato un pezzo dell’imbottitura di un vecchio divano polveroso.

Oleander si difendeva con una serie di Aguamenti, Protego ed Impedimenta, ma era ben consapevole che per risolvere il problema alla radice serviva ben altro. Raggiunse un punto della foresta che sembrava ancora incontaminato col fiato corto; si rese conto che stringeva ancora i due frammenti di ceramica che si era estratta dalla gamba. Guardando il materiale poroso che aveva assorbito il suo sangue, capì.

Il fatto che il vaso di Pandora fosse uscito da Schloss Berth senza problemi.

Il fatto che la barriera di suo padre non avesse rilevato l’intrusione di alcuna forma vivente.

Il fatto che il ladro sembrava non avere alcun tipo di obiettivo, colpendo a casaccio.

Il fatto che nessuna persona sospetta fosse mai stato avvistata vicino ai luoghi degli attacchi.

"Non c'è nessun ladro. Non c'è mai stato." le sfuggì una risatina nervosa e isterica, pensando al fatto che, per sei mesi, aveva dato la caccia ad un fantasma.

Dopo tutti quei secoli lì dentro, il liquido aveva corroso e penetrato lo stato impermeabile della ceramica, impossessandosi del vaso stesso. "In pratica il vaso si è rubato da solo. Che piccolo vasetto dispettoso!" Si figurò il vaso che, stanco di restare in bella mostra nella sua teca a Schloss Berth, levitava con grazia fino alla finestra, l’apriva e si dava alla fuga: via, verso la libertà! Oh, avrebbero dovuto disegnarci delle primule rosse su quella ceramica. La cosa le sembrava oltremodo comica e non riuscì a trattenere le risate.

Probabilmente il vaso aveva usato il liquido magico contro tutti quelli che gli si erano avvicinati, nel timore che lo riportassero indietro "Non erano tutti inseguitori, stupido d’un contenitore! – altre risate convulse – D’altronde è solo un vaso, mica una calcolatrice od una scacchiera, non poteva avere chissà quale mente sopraffina. Chissà se è ancora in garanzia? Beh, comunque io l'avrei costruito molto meglio!" e poi fu colta da un nuovo attacco di risa irrefrenabili. Una parte di lei sapeva che non era normale, che non c'era nulla da ridere, ma Oleander non l'ascoltò, continuando a sghignazzare per un bel po' ed alla fine le venne pure il singhiozzo. “Forse è solo la tensione che hai accumulato in questi mesi e la sorpresa per il modo semplicemente idiota in cui si conclude la vicenda.” disse a se stessa quando riuscì a calmarsi. Dal fondo del bosco provenivano rumori e scricchiolii: se un'intera parte di foresta si fosse animata, sarebbero stati guai seri.

Riprese la concentrazione: occorreva un nuovo contenitore e con una certa urgenza.

Gettò tutto attorno degli incantesimi Impedimenta per avere più tempo, si tolse la piccola borsa che portava a tracolla, la aprì e la rovesciò a terra: uscì una quantità di materiali ed oggetti tripla rispetto alla dimensione della sacca. Oleander li selezionò velocemente, con aria professionale: argilla nera, sabbia del deserto dei Tartari, acqua di iceberg antartico e resina di alga nori per il nuovo vaso mischiata a polvere di ossidiana mogano per bloccare la negatività del liquido e poi fluorite per il coperchio ed il sigillo. Lavorò con destrezza, ripetendo gesti consueti, senza ombra di incertezza, ignorando completamente gli schianti e gli stridii che si avvicinavano alle sue spalle ed in breve ebbe tra le mani un nuovo vaso. Non era bello come il fine contenitore che aveva fatto bella mostra di sé nella sala dei tesori di Schloss Berth, al confronto era grezzo, bitorzoluto e storto, ma la ragazza era certa che non avrebbe più dato problemi. Ora tutto stava nel riuscire a rinchiudere il liquido là dentro. Si voltò nella direzione dalla quale provenivano i rumori; ebbe un capogiro e la vista le si annebbiò per un istante, così intravide soltanto una forma indefinibile, composta da un agglomerato di tronchi d’albero spezzati, pietre e terriccio tenuti insieme da quel liquido malefico avanzare verso di lei. Si sfregò gli occhi con il dorso della mano cercando di rimettere a fuoco il mondo attorno “Sei solo stanca, perché non sei abituata ad usare così tanti incantesimi in una volta sola.” Ora però doveva fare un ultimo sforzo: strinse il vaso al petto, lo toccò con tre tocchi di bacchetta magica e recitò ad alta voce:

“Libero e senza forma non puoi restare,

i tuoi danni sono decisa a bloccare!

Per sempre in questo magico vaso sarai rinchiuso,

il tuo vagare per il mondo si è qui concluso!

Dei progenitori invoco la forza ed il coraggio:

sostenete la mia mano ed armate il mio braccio!”

Oleander tese il vaso aperto avanti a sé e le gocce del liquido, prima sporadicamente, poi sempre più numerose, vennero attirate all’interno del contenitore, come se si trattasse di un potente aspirapolvere. Quando tutto il liquido fu entrato, Oleander lo tappò, sigillandolo con la fluorite. Aveva il fiato corto e le era scoppiato un mal di testa terrificante, tuttavia provò un senso di trionfo sollevando il vaso sopra la testa “Ti ho preso, bastardo!” ridacchiò. Fece per muovere un passo, ma le parve di inciampare in qualcosa e cadde; il vaso le sfuggì dalle mani e cadde, ma non si fece il minimo danno “Visto? Visto? – rideva con una strana luce negli occhi – lo dicevo che il mio era migliore.” Prese a sghignazzare in maniera scomposta, ma questa volta capì che qualcosa non andava, non si stava comportando da persona normale e solo con un grande sforzo riuscì a smettere, anche perché adesso iniziava a provare una certa inquietudine. Guardò verso i suoi piedi, per capire in cosa avesse inciampato, ma lì non c’era proprio niente. Provò a muoverli, ma le sue gambe scalciarono un paio di volte come un cavallo imbizzarrito e poi non si mossero più. Le dita delle mani le pizzicavano ed erano addormentate ed intorpidite, come se la circolazione del sangue non funzionasse più a dovere. Il mal di testa si fece lancinante, impedendole di pensare e respirare le divenne estremamente difficile, come se sul torace qualcuno le avesse poggiato un masso di diverse tonnellate.

Un’ombra di realizzazione avanzò nella nebbia della sua testa dolorante: veleno, quasi sicuramente. Il liquido era velenoso e lei ci aveva praticamente fatto il bagno, lo aveva respirato, lo aveva inghiottito e quando le schegge l’avevano ferita, era entrato in circolo nel sangue.

Uno degli ultimi pensieri lucidi che ebbe fu che quel deficiente di antenato che aveva sigillato il vaso avrebbe dovuto avvisare che il contatto prolungato con il liquido era letale, invece di preoccuparsi dell’estetica del contenitore.

Poi le forze la abbandonarono: provò ad invocare il nome di Severus, ma produsse solo un flebile lamento e perse conoscenza.

Dopocena Harry, Ron ed Hermione bussarono con insistenza alla porta della camera di Oleander, senza ottenere alcuna risposta. “Non è ancora tornata, è tardissimo. Ho paura che le sia successo qualcosa.” Il ragazzo dagli occhi verdi era preoccupatissimo ed il suo stato d’animo aveva contagiato anche i suoi amici: al diavolo i rimproveri e le punizioni. “Hai ragione Harry, dobbiamo dirlo a qualcuno.” Disse Ron. Ma chi? Il solo pensiero di dover affrontare Silente gettava Harry in uno stato di profonda vergogna. Con la professoressa McGranitt sarebbe stata dura ugualmente e Silente lo avrebbe scoperto lo stesso, ma forse era meglio. Hermione si voltò e soffocò un grido di spavento: alle loro spalle era arrivato, silenzioso come sempre, il loro professore di pozioni “Dire cosa a chi, signor Weasley?” chiese in un sibilo.

Piton si era svegliato da poco, prima aveva riferito del suo incontro con Voldemort a Silente e poi era andato a cercare Oleander: aver visto Potter ed i suoi amichetti del cuore davanti alla sua stanza lo aveva irritato, ma aver colto quella frase lo aveva reso inquieto.

Harry lo guardava storto: di tutti i professori Piton era certamente l’ultimo con cui ne avrebbe parlato, poi però le venne in mente, chissà perché, una frase che aveva detto Oleander subito prima delle vacanze di Natale: “Dovreste concedergli una possibilità, perché lui… potrebbe sorprendervi.” Il ragazzo ne dubitava fortemente, ma la loro amica poteva essere in pericolo “Si tratta di Oleander: è andata nella Foresta Proibita ad inseguire il ladro del vaso di Pandora, ma sono passate diverse ore e non è ancora tornata. Noi…”

Piton in effetti lo sorprese, perché non perse tempo ad ascoltare la conclusione del suo racconto e corse via. Raggiunse i margini della Foresta e vide il suo manico di scopa; le parole di Potter si ripetevano nella sua mente come un disco rotto: "Sono passate diverse ore…" "Oleander!" Temeva di non riuscire a ritrovarne le tracce, ma la vernice luminosa prima e la devastazione degli alberi poi, furono facili da seguire. "OLEANDER!" gridò più forte, cercando di ignorare la nota di panico che si era insinuata nella sua voce. Non ottenne alcuna risposta; qualche altro metro e si rese conto che in quella foresta sembrava essere successo il finimondo: alberi schiantati e spezzati, zolle rivoltate e un lungo e profondo solco che si inoltrava sempre più nel fitto del bosco. E poi la vide: lì, sdraiata a terra a faccia in giù, immobile, un vaso stretto fra le mani.

Tutto sembrò fermarsi, congelato in un gelido istante, il mondo smise di girare, il suo cuore smise di battere, il terrore di averla persa, di dover continuare a vivere senza di lei, gli impedivano di muoversi. Chiuse gli occhi, come a voler cancellare quell’immagine. Quante volte, quando era un Mangiamorte aveva visto persone a terra così, prive di vita? La cosa gli era sempre scivolata sopra, senza che provasse nulla. Ma adesso non riusciva a muovere un passo, impietrito dall’angoscia.

"Non sei più l'uomo che eri in passato, Severus."

Il ricordo di quelle parole, del suo volto sorridente lo scossero dal torpore: corse verso di lei e la voltò. Era inerte, molle, ma ancora calda. Le prese una mano con l’intento di tastarle il polso, quando vide delle strane macchie sulla pelle: dalla punta di ogni dita si irradiavano verso il braccio delle linee verde scuro, come dei brutti tatuaggi. Anche l'altro braccio era uguale.

Veleno, senza alcun dubbio. La lucidità ebbe velocemente il sopravvento sul panico dell’uomo: ne riconobbe all’istante il tipo e la natura e la sua mente già elencava gli ingredienti per un antidoto appropriato.

Le linee si stavano espandendo sempre più verso il centro del suo corpo e se avessero raggiunto il suo cuore...

"Non lo faranno, non lo permetterò.” La sollevò con facilità tra le sue braccia; quando la testa di Oleander ricadde all’indietro ciondolando, nuovamente un soffio gelido di terrore gli attraversò la mente, ma si sistemò meglio la donna tra le braccia e le sussurrò piano ad un orecchio “Adesso sarò io a prendermi cura di te, resisti solo un altro po’."

La portò direttamente nel suo laboratorio, la sdraiò su un tavolo, buttando a terra con furia tutto ciò che si trovava sopra per farle spazio e si mise immediatamente a preparare un antidoto, dosando e mescolando con sapienza gli ingredienti nel calderone, lanciandole di quando in quando occhiate preoccupate. Un'ora dopo era pronto: pregava con tutto il cuore di essere ancora in tempo; le sollevò la testa e fece scivolare alcune gocce di liquido ambrato nella sua bocca. Con sollievo vide le macchie del veleno sul suo corpo impallidire progressivamente fino a scomparire del tutto.

Oleander spalancò gli occhi di scatto, inspirando aria violentemente, ritrovandosi a fissare un soffitto scuro, smarrita. "Calmati, respira normalmente." Severus entrò nel suo campo visivo e la ragazza fissò lo sguardo interrogativo su di lui.

"Il liquido... il vaso... io ne ho fatto un altro, ma poi... cosa...? Non ricordo..." mormorò parole confuse, ma Severus la rassicurò: "Sei stata avvelenata da quel fluido. Ma sei riuscita ad imbottigliarlo di nuovo." le mostrò il suo vaso in un angolo del laboratorio.

"Mmh... ora ricordo, credevo di essere morta..." si mise a sedere e scrollò la testa, ancora leggermente intontita.

"Con un esimio professore di pozioni a prepararti un antidoto? Mi offendi!" cercò di scherzare lui, nonostante lo spavento che s’era preso.

Oleander lo guardò, era sul punto di ribattere con una solita battuta delle sue, poi fu colpita da una realizzazione e restò a guardarlo, sulle labbra un sorriso che si allargava sempre più “Hai visto?” chiese infine.

“Cosa?”

“Mi hai salvato la vita. Non è vero che sai solo fare del male.”

Severus l’abbracciò forte, di slancio, la fronte appoggiata sulla sua, il respiro di lei a solleticargli il volto, felice di sentirla viva, di sentirla sua. Oleander, la donna che gli aveva teso la mano, sottraendolo a forza alla sua cupa solitudine. Le difficoltà non erano finite, anzi, dovevano ancora iniziare, ma ora un rinnovato vigore animava l’uomo, nuove motivazioni lo spingevano a portare a termine ciò che aveva promesso ad Albus. Per un futuro diverso anche per lui. Forse. Le incognite erano tante… ma in quel momento non voleva pensarci, voleva solo godersi la sensazione di lei contro il suo corpo. La sentì muoversi nel suo abbraccio e seppellire il viso nell’incavo della sua spalla.

Il corpo di Severus era caldo, solido, confortevole… Oleander pensava che aveva trovato un uomo unico sotto tutti i punti di vista: sarcastico fino all’eccesso, a volte ombroso e impenetrabile, ma anche passionale al di là di quella maschera di ghiaccio che amava mostrare al mondo intero, forte nel sopportare il suo fardello di colpe, coraggioso nella sua missione di spia. Era intelligente e, a suo modo, bellissimo, con quegli occhi penetranti che ti attiravano inesorabilmente come buchi neri e quei sorrisi ambigui che potevano voler dire qualsiasi cosa. Non sarebbero state tutte rose e fiori, però, lo sapeva bene! In molte cose erano agli antipodi: lei impulsiva, accendeva il cervello solo a metà dell’opera, lui calmo e lucido anche nelle situazioni più convulse, una cosa che le infondeva sicurezza incredibile, ma sapeva anche farla esasperare. Ci sarebbero state ancora scintille tra di loro e litigate, ma andava bene così: pian piano stavano trovando un equilibrio tra il rispetto e le baruffe. “Chissà se tra molti anni saremo come Angela ed Arthur, i due ritratti?” l’idea la fece sogghignare silenziosamente e menomale che in quel momento lui non le stava leggendo nel pensiero.

Severus le accarezzava dolcemente la schiena e le spalle “Dovevi avvertirmi, sarei venuto con te.” le disse piano, senza un vero tono di rimprovero.

“Lo so, non ci ho pensato, scusami.” Sprofondò ancora di più il viso nel suo petto, poi, a riprova del fatto che metteva in moto i neuroni a scoppio ritardato, solo in quel momento si rese conto di una cosa ed esclamò un “Oh!” leggermente allarmato.

“Cosa c’è?” le chiese Severus, sciogliendola a malincuore dall’abbraccio. Oleander si morse le labbra, incerta su come affrontare la questione “Promettimi che non ti arrabbi.”

L’uomo aggrottò la fronte “Non capisco, perché dovrei arrabbiarmi?”

“Promettilo.” insistette.

“D’accordo.” rispose lui, poco convinto.

“Hai per caso visto Harry, Ron ed Hermione? Stavano bene?”

“Sì – Severus la guardò sospettoso – perché?”

“Nulla, nulla – minimizzò Oleander, lisciandogli una piega dell’abito – solo un marginale… marginalissimo coinvolgimento nel mio ultimo inseguimento, però…”

“Potter! – il nome gli rotolò fuori dalla bocca con una smorfia di disgusto, come se stesse parlando di uno scarafaggio gigante – Ci avrei giurato che era invischiato in questa faccenda.”

“Non hanno fatto niente di male: Hermione è stata trascinata nella Foresta e loro due volevano aiutarla, ma sono riuscita ad allontanarli tutti e tre in tempo. Volevo solo sapere se erano tornati sani e salvi al castello. Visto che è così, direi che non è successo niente.”

“Quest’anno Grifondoro può scordarsi di vincere la Coppa delle Case.” Sibilò, con il vecchio ghigno stampato sul volto. Oleander, ancora seduta sul tavolo lo attirò a sé con forza, imprigionandolo in mezzo alle sue gambe “Avevi promesso che non ti arrabbiavi. Andiamo – disse in tono civettuolo – una volta tanto potresti anche chiudere un occhio.”

“Dovrei avere un motivo valido, più che valido per farlo.” mormorò, ad un soffio dalle sue labbra, deliziato dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti.

“Mmh… vediamo che si può fare.” rispose lei con un sorriso ammiccante e lo baciò con passione, in un umido strofinio di labbra e lingue, respiri affannati, languidi mugolii di piacere e mani che percorrevano i corpi.

“Temo che dovrai impegnarti molto più di così.” disse Severus dopo un po’, col fiato corto, mentre la liberava dalla camicetta con uno sguardo trionfante.

“Ai tuoi ordini.” sussurrò la donna sul suo orecchio, mentre gli sbottonava l’abito con impazienza.

Severus la spinse giù sul tavolo e poi quella notte non pensarono più a nulla: né a Potter e ai punti di Grifondoro, né ai parenti assillanti, né a Voldemort.

Ci furono solo loro due, Severus ed Oleander, persi nella loro passione.

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Questa è la conclusione della storia vera e propria, il prossimo capitolo sarà un epilogo che non aggiungerà molto, anche se in un certo senso era doveroso. Modificherò l’epilogo per rispondere ad eventuali recensioni.

La storia del vaso posseduto dal liquido stesso che conteneva non mi è venuta subito, ma mentre ero a metà della scrittura della storia, quando mi accorsi (pure io accendo sempre i neuroni a metà strada -_-) che se avessi dovuto introdurre un ladro, avrei pure dovuto dargli delle motivazioni per il furto. Così, dato che in effetti non avevo mai mostrato nessun ladro, ho usato questo escamotage.

@MistralRapsody: grazie! Anche se compare poco, ci tenevo a rendere bene Lord Voldermort.

@Arabesque: spero che il finale di questo capitolo mi riscatti dall’essere una donna crudele!

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Capitolo 11
*** Epilogo: Sulla collina ***


EPILOGO – SULLA COLLINA

Oleander si guardò per l'ennesima volta allo specchio, controllando che il foulard le coprisse per bene il collo: quella mattina, scoprendoci un succhiotto scarlatto, a momenti cacciò un urlo. Già era abbastanza nervosa per il fatto di dover tornare a Schloss Berth dopo vent'anni, le mancava giusto giusto di presentarsi con un morso d'amore in bella vista.

Severus le aveva chiesto scusa in maniera molto sbrigativa ed indolente, ma si capiva che non era affatto dispiaciuto, di fatti si era fatto sfuggire un sorrisetto soddisfatto per il segno del lavoro di quella notte che le aveva lasciato addosso.

Tirò un'ultima volta il bordo del foulard, fece un profondo respiro dicendosi "Coraggio" e attraversò l'immenso atrio di marmo, muovendo con un Mobilicorpus una cassa di legno. Il maniero era esattamente come se lo ricordava, luccicante d’oro e di stucchi colorati, carico di orpelli quali lampadari con gocce di cristallo di Boemia, quadri con cornici enormi ed elaborate, tavoli e tavolini, clessidre, statuette e pendole in ogni nicchia e rientranza lungo il muro, tappeti persiani, passatoie cinesi e decorazioni ridondanti. Ricordava che, da bambina, attraversando quell'atrio, si sentiva talmente soffocare che le passava l'appetito.

Una classe di ragazzi, eleganti nelle loro divise beige, uscì da un'aula al primo piano e si riversò sulle scale di marmo con un allegro chiacchiericcio: un paio di ragazze le lanciarono un'occhiata curiosa e poi bisbigliarono tra loro: "Dì, l'hai vista?"

"Sì, è uguale alla donna del ritratto che c'è nell'ufficio del vice-preside."

"Chi sarà?"

"Silenzio in corridoio!" esclamò una voce petulante in cima alle scale. Miss Roth, che a Schloss Berth aveva le stesse funzioni di Gazza ad Hogwarts ed era, se possibile, ancora più antipatica, sbucava fuori con puntualità a rimproverare aspramente i ragazzi non appena ne aveva l’occasione. Si sistemò gli stretti occhiali a goccia sul naso e, appena la vide, non potè trattenere un'esclamazione di sorpresa: "Fräulein Oleander?"

"In carne, ossa e magia."

Tutta agitata la donna sollevò la pesante gonna di lana cotta blu scuro per non inciampare sui gradini e le andò incontro "Ma... noi l'aspettavamo per domani! La cerimonia della riconsegna, il ricevimento…"

"Sa, è principalmente per questo che sono venuta oggi a fare una toccata e fuga."

"Oh!" il tono dell'anziana custode era un perfetto mix tra indignazione e disapprovazione, lo stesso con cui l'apostrofava sempre quand'era piccola, quando, a suo dire, aveva fatto qualcosa di male. D’altronde una bambina che non riusciva a superare la prova di ammissione alla scuola non poteva essere altro che una combinaguai patentata.

Ma erano passati tanti anni e ora la sua vita era molto cambiata: il ricordo non la feriva più di tanto.

Anzi, già che c'era, poteva togliersi qualche soddisfazione e dirle una cosa che aveva sempre avuto sulla punta della lingua "Miss Roth, lei sarebbe una perfetta signorina Rottenmeier." e mordendosi le guance per non ridere di fronte alla sua espressione totalmente persa (“Cos’è una signorina Rottenmeier?” si chiedevano angosciati gli occhi color castoro della governante), Oleander raggiunse l'ufficio di suo zio.

"Disturbo?" si affacciò sulla porta.

Il Barone non sembrava affatto sorpreso di vederla e sbuffò divertito "Miss Roth mi deve 10 galeoni."

"Per quale motivo?"

"Avevo scommesso che non saresti venuta il giorno della cerimonia per la riconsegna del vaso."

“Ah, è per questo che ha quell’aria incazzosa. Più del solito, intendo. – Oleander appoggiò di botto la cassa sulla scrivania di radica – Il vaso è di nuovo qui e per me la faccenda è chiusa; sia ben chiaro che non ho alcuna intenzione di partecipare ad una pomposa e noiosissima pagliacciata.”

Lo zio alzò le spalle come a dire “Certo, è lampante”, aprì la cassa e studiò a lungo il vaso, poi spostò gli occhi sulla nipote, che sostenne il suo sguardo con aria di sfida “Deluso? Pensi che sfigurerà accanto agli altri tesori della sala? Ti vergognerai a metterlo in mostra?”

“No, affatto, è stupendo.” L’uomo era sempre stato certo che la ragazza sarebbe riuscita a portare a termine l’incarico affidatole. Ad Oleander non lo disse, ma era stato proprio lui a proporre e sostenere il suo nome durante l’ultimo consiglio di famiglia, nonostante l’incredulità degli altri membri; questo perché, da quando era iniziata quella storia, nella sua mente si era riaffacciato spesso un episodio risalente a molti anni prima, quando, proprio in quell’ufficio, aveva inavvertitamente origliato una conversazione tra suo fratello Peter e la moglie Ortensia:

I due sono affacciati alla finestra, guardano una bambina che gioca con due gatti nel giardino.

Lui ha un portamento rigido, quasi militaresco ed un abbigliamento austero ed elegante che si addice alla sua carica di vice-preside, lei indossa da comodi vestiti babbani (una lunga t-shirt e dei jeans strappati a zampa d’elefante) e siede scompostamente sul bracciolo di una poltrona.

“Non c’è riuscita nemmeno quest’anno. Ormai ha dieci anni, Ortensia, dieci anni.” L’intonazione della voce di Peter rivela profonda preoccupazione.

Ortensia solleva un calice di passito, ammirandone il colore in controluce, poi lo porta al naso, ispirando a fondo l’aroma dolce del vino. I capelli di un viola acceso e brillante, quasi metallico, tagliati in un caschetto perfetto, spiovono leggermente in avanti. Infine ride: non di scherno, né di disprezzo, né di divertimento. E’ una risata molto strana e se Raginmund dovesse darle una definizione a tutti i costi, direbbe che è rassicurante: in un suono cristallino rimpicciolisce le preoccupazioni di suo fratello a cose di poca importanza “Tesoro, se continui a preoccuparti di queste inutili sciocchezze, ti verranno i capelli bianchi prima del tempo.”

“Sciocchezze?” Peter non è ancora convinto del tutto, ma la risata della moglie ha avuto effetto ed il suo viso si rilassa.

“Oleander non è una magonò, le do lezioni di magia, gli incantesimi li sa fare lo stesso e meglio di tanti altri bambini, anche senza quella stupida prova.” Non sono semplicemente le parole di una madre che difende la propria bambina a tutti i costi, è un’osservazione intelligente e veritiera e detta in quel modo così sincero e diretto, com’è tipico di sua cognata, fa davvero sembrare l’antica cerimonia delle bacchette una stupida pantomima. Ortensia e la sua solarità hanno quest’effetto.

Poi la donna si alza e raggiunge il marito vicino alla finestra: guarda anche lei la figlia e in quel momento Raginmund capisce che Ortensia non ha alcun dubbio sulle capacità magiche di Oleander, come se la donna fosse a conoscenza di qualcosa che le infonde tale sicurezza: vede il futuro della bambina e i suoi occhi sono privi di qualsiasi preoccupazione.

“Sì, ma se non la supera, non potrà frequentare questa scuola, è la regola!” suo fratello insiste, pur sapendo che la certezza di Ortensia non vacillerà per così poco.

Un sorriso malizioso si dipinge sul volto della donna “Ma lei è mia figlia, è normale che non segua le regole, è il suo stesso corpo che si ribella ad esse. Lei troverà da sola la sua strada, traccerà da sola il suo futuro, anche se non sarà qui. Quindi ti impongo di smetterla di preoccuparti e di farmi compagnia mentre bevo.” Gli punta scherzosamente l’indice contro, con gli occhi di chi sa che sarà l’altro a cedere. Di fatti Peter le bacia teneramente una mano “Ai tuoi ordini.”

Ortensia beve un sorso di vino ed il suo viso assume un’espressione molto soddisfatta “E poi, sappi che le uve tardive danno un vino delizioso.”

Quelle parole avevano guidato Raginmund nella sua scelta e non aveva dovuto pentirsene: Oleander ce l’aveva fatta. Gli sembrò di sentire la voce di Ortensia che gli sussurrava scherzosamente all’orecchio: “Perché tanta sorpresa, cognatino caro? Io non ho mai avuto dubbi su mia figlia. Se voi ne avete avuti, tanto peggio per voi, avreste dovuto ascoltare le mie parole e basta.”

Si ritrovò a pensare che, se Ortensia fosse vissuta, i rapporti tra quei due, padre e figlia, sarebbero stati diversi, molte cose in famiglia sarebbero state diverse, ma il fragile legame che li legava si spezzò con la sua morte.

“Grazie di tutto, Oleander.” L’anziano zio le regalò un sorriso affettuoso, un tentativo di chiederle scusa, perché anni prima loro, adulti, si erano comportati con lei, bambina, in modo stupido ed arrogante, isolandola solo perché non riusciva a passare una prova magica. Già, veniva da chiedersi chi fossero veramente i bambini in quella vicenda. “Penso che questo episodio sarebbe degno di essere ricordato in ‘Storia della magia Volume VI – Storia contemporanea’, ti va di essere citata?”

“Eh? Sei impazzito? Meglio che me ne vada in fretta, prima che ti vengano altre idee malsane.” protestò la donna.

Poi si appoggiò allo schienale di una sedia, guardandone i complicati decori, la fronte era corrugata, le labbra strette, gli occhi esitanti, come se stesse per chiedere qualcosa che le veniva molto difficile “Lui dov’è?”

“Sulla collina. – mormorò lo zio – Ci va quasi ogni giorno.”

Oleander allungò una mano verso un rigonfiamento nella sua tasca e lo strinse brevemente.

Dal lato nord del castello partiva un sentiero di terra battuta che si snodava lungo un ruscello dall’acqua limpida e fresca, nel quale d’estate guizzavano veloci trote e temoli e che in quella stagione era ricoperto di ghiaccio scintillante ed era ridotto a un rivolo. A un certo punto il sentiero abbandonava il ruscello e piegava verso est, salendo verso una dolce collina, dalla cima della quale si poteva godere una bellissima vista sulle alte e maestose montagne di granito, una visione che sua mamma amava più di ogni altra cosa, di fatti quando la stagione lo permetteva, loro due passavano molte ore sdraiate lì sul prato, commentando la forma delle nuvole o osservando le farfalle e le api che volavano instancabili. Oleander già all’epoca aveva sempre qualche strumento per le mani e si ingegnava in fantasiose creazioni.

A differenza di allora, un basso recinto di metallo chiuso da un cancelletto, circondava ora la cima della collina e al centro c’era una statua raffigurante Ortensia, seduta sulla lapide, le gambe raccolte sotto un’ampia gonna, col viso alzato a fissare per sempre le vette. Un uomo dai radi capelli grigi, dal portamento fiero, che l’età ancora non riusciva a far curvare in avanti, fissava il terreno a mani giunte. Al cigolio del cancello, si voltò e, riconosciuta la figlia, un’espressione stupita gli si dipinse sul volto. Oleander fece un breve cenno col capo e si fermò a qualche passo da lui. “E’ bella.” disse dopo un momento, indicando la statua.

"E' solo una pallida imitazione di lei."

"Si arrabbierebbe se ti sentisse parlare così. La mamma, voglio dire. Ti direbbe che non hai alcun rispetto per lo scultore che ha realizzato questa statua."

“Hai ragione. Non mi parlerebbe per una settimana.”

“Come minimo. E se avesse bisogno di dirti qualcosa, ti manderebbe un gufo.”

“Già. Anche se fossimo nella stessa stanza.”

Una struggente malinconia si impadronì di entrambi, padre e figlia da sempre distanti, allontanatisi l'uno dall'altra da reciproche incomprensioni, ma più vicini, ora, nel ricordo di Ortensia. Se in quel momento si fossero scrutati le menti reciprocamente, si sarebbero meravigliati di quanto simili fossero i loro pensieri: Ortensia non li avrebbe mai voluti vedere così lontani. Avrebbe sofferto... e si sarebbe arrabbiata. E poi... dio! Vent'anni! Erano passati vent'anni! Forse potevano anche smetterla di tenersi il broncio a vicenda.

"Oleander, io..." iniziò Peter Von Athala.

"Papà, ascolta..." la voce della figlia si sovrappose alla sua.

Si rivolsero un reciproco sorriso imbarazzato, poi l'uomo le fece cenno di proseguire. Oleander si mise una mano in tasca, toccò la carta, esitò, poi guardò suo padre negli occhi ed estrasse la busta di cartoncino telato color crema. L'uomo la prese e sussultò, leggendo il suo nome e riconoscendo la calligrafia ampia e rotonda di Ortensia; cercò gli occhi della figlia per una spiegazione. "Sì, è una lettera della mamma, ed è per te. Mi dispiace - disse Oleander con sincerità, mortificata - mi dispiace tanto, papà. Avrei voluto... avrei dovuto dartela prima. No, veramente non avrei mai dovuto nasconderla, ma io... è che…" Peter la vide imprecare silenziosamente, alla ricerca delle parole e scompigliarsi spasmodicamente i capelli corti, e allora scosse la testa, come a dire che non doveva aggiungere altro "Ti ringrazio per avermela riportata. Significa molto per me. Davvero." Strinse a sè la lettera, come una preziosa reliquia sacra.

Oleander annuì, più calma, e si voltò per andarsene: tra loro c'era stato tanto silenzio, tanta distanza e non potevano essere cancellati tutti in una volta sola. Però era un inizio. Mentre riapriva il cancelletto, suo padre la richiamò "Come si chiama quel tuo negozio? Sai, magari, se un giorno fossi da quelle parti, potremmo, che so, trovarci e bere qualcosa insieme, se ti va..."

"Sì, volentieri. Si chiama 'La Gemmapietra', ma a breve trasferirò l'attività a Londra, in Diagon Alley o ad Hogsmead, ancora non ho deciso. Ehm… ecco, attualmente vivo a Hogwarts - inconsciamente si toccò il foulard sul collo - e usare la metropolvere tutti i giorni per un tragitto così lungo è davvero scomodo. Magari potresti venire all'inaugurazione del nuovo negozio, posso mandarti un invito via gufo."

Peter avrebbe voluto chiedere alla figlia il perchè di quel cambiamento repentino e perché ora vivesse presso una antica Scuola di Magia, ma anche lui capiva che il loro era un rapporto che andava ricostruito lentamente, perciò disse semplicemente "Sì, mi farebbe piacere."

Per ora andava bene così: un ultimo cenno di saluto e Peter si sedette sulla lapide della moglie, a leggere la sua lettera, mentre Oleander tornava verso Schloss Berth: da lì avrebbe utilizzato una passaporta e avrebbe fatto ritorno ad Hogwarts, dove lei e Severus avrebbero sicuramente discusso, perchè lui era convinto che non andasse bene nè quel negozio sfitto in Diagon Alley (troppo vecchio), né quello a Hogsmead (troppo caro), lamentandosi dell’inettitudine delle donne a condurre le trattative d’affari e dicendole che, se proprio ci teneva a farsi truffare, le avrebbe presentato Mundungus; lei, risentita, gli avrebbe chiesto da quando, oltre che un esimio professore di pozioni, era diventato anche un consumato agente immobiliare e se c’erano altri campi nei quali era un luminare, così se lo sarebbe appuntato. Poi si sarebbero guardati negli occhi e avrebbero deciso di utilizzare le loro energie per fare qualcosa di più piacevole. Per fare l'amore, ad esempio.

Nemmeno si rese conto di aver accelerato il passo.

FINE

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Ringraziamenti e commenti:

Eccoci arrivati alla parola fine: non volevo lasciare in sospeso le cose tra Oleander e la sua famiglia e al tempo stesso non mi andava giù un happy end stile “baci ed abbracci”, così ho optato per una soluzione più sobria ed anche più in linea, credo, con il personaggio che ho creato.

Come si può intuire, la storia tra Severus ed Oleander prosegue, i loro battibecchi pure.

@MistralRapsody: grazie davvero di aver seguito tutta la storia e per le tue bellissime recensioni, che mi hanno fatto un enorme piacere. Un in bocca al lupo per la tua carriera accademica!

@Arabesque: un seguito, dici? Ti rivelo un segreto: sto scribacchiando un paio di cose. La prima è una raccolta di one-shot su Severus ed Oleander, la seconda una versione alternativa del settimo libro, che ho giù iniziato da un po’, ma che non sono sicura di pubblicare, perché ha ancora diversi punti oscuri che non riesco a sviluppare bene ed io, per una mia politica, non pubblico mai una storia, se prima non ho finito di scriverla, almeno a grandi linee.

Molto dipenderà dalla trama di DH e da come mamma Rowling tratterà il personaggio di Severus. Sarà, in ogni caso, una storia diversa da questa, più corale, incentrata sulla ricerca degli Horcrux, in cui Oleander avrà un ruolo più marginale, però c’è.

@Tweety chan: esatto! Stessa cosa che ho pensato io.

@La Castellana: sì, hai ragione: spesso nei libri dire ad Harry di non fare qualcosa, equivale invitarlo esplicitamente a farlo.

@Leonella: figurati, le critiche, se motivate, le accetto volentieri ed il tuo dubbio è più che legittimo: quando Severus arriva nella Foresta Proibita la barriera non c’è più, perché il liquido è giù stato rimesso nel vaso, quindi il suo effetto è finito.

Infine ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, spero che vi sia piaciuta e che vi abbia strappato almeno un sorriso!


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Come promesso, ecco le risposte ai commenti all'ultimo capitolo: come sempre siete gentilissime, grazie!
@ MistralRapsody: sei bloccata? E' capitato anche a me per una ff; posso dirti che l'ispirazione ritorna quando meno te lo aspetti, non gettare mai la spugna, anche perchè stai scrivendo una storia bellissima.
@ Arabesque: Io mi son spoilerata un po' il settimo libro e... sì, penso proprio che scriverò ancora di Severus -_^
@ Tweety chan: grazie per le tue analisi molto lucide, mi sono state utilissime.
@ Jessica P: mmh, vedremo! Anche perchè, a mio giudizio, sono una autentica frana nel descrivere le scene NC-17 *blush*!

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