Prigioni di Blue_moon (/viewuser.php?uid=61264)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come un leone in gabbia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Come lui ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come un assassino ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come una falena ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come un insonne ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come una foglia nel vento ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Come un'illusione ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Come un bisturi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Come un fiammifero ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Come un uomo ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Come una dea ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Come una pedina ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Come un alleato ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Come un inganno ***
Capitolo 15: *** Epilogo - Come una spia ***
Capitolo 1 *** Prologo - Come un leone in gabbia ***
Buonasera
a tutti!
Allora, premetto che sono
nuova delle sezione, e che questo genere di trame non sono
assolutamente il mio genere, ma qualcosa, un'esigenza letteraria,
diciamo, mi ha spinto ad imbarcarmi in questa avventura.
Un altra cosa che ci
tengo a precisare è che so già che la mia trama,
almeno all'inizio, può apparire uguale a tante altre che
già ci sono pubblicate nella sezione. Spero comunque che il
mio modo di sviluppare i personaggi vi incuriosisca e vi spinga a
leggere.
La storia non
sarà molto lunga, e credo che riuscirò ad
aggiornarla con
una frequenza più o meno settimanale, anche se forse non
durante questo
periodo estivo.
Ok, la smetto e vi lascio
al prologo.
Baci, Nicole
DISCLAMER: ovviamente non scrivo a scopo di lucro, i personaggi
appartengono ai leggittimi proprietari e la mia è un
interpretazione del tutto personale e basata unicamente sulla versione
cinematografica e non dei fumetti originali della Marvel.
Su Asgard la luce era onnipresente.
Si rifletteva sui tetti di metallo lucido, splendeva sulle strade
lastricate e rifulgeva sui volti perfetti dei suoi abitanti, rendendo
tutto quanto ammantato da un'aura di perfezione irreale.
Eppure, dietro quella pace, quella bellezza, si nascondevano animi
oscuri, opposti a quella luce.
Loki sapeva di essere uno di loro, ma era anche consapevole di non
essere l'unico.
Era stata una sua scelta quella di abbracciare la causa della vendetta,
ma non poteva dimenticare tutto quello che gli era stato fatto per
spingerlo in quella direzione. E il fatto che lui fosse stato punito, e
loro vagassero ancora in quella luce, lo riempiva di rabbia,
all'interno dell'oscurità in cui era stato relegato.
Quella prigionia, piuttosto che farlo riflettere sui suoi peccati,
stava alimentando sempre di più la sua ira, il senso di
disprezzo per il popolo ipocrita di Asgard e la fame di potere.
Come un leone in gabbia, era stremato e umiliato, ma pronto a sbranare
i propri aguzzini non appena ne avesse avuto l'opportunità.
Più Asgard lo spingeva verso il basso,
più sarebbe stata fulminea la sua risalita, il suo ritorno
allo splendente mondo che lo rifiutava.
Nonostante fosse nato nell'oscurità di Jotunheim, Loki
bramava la luce.
Il suo calore, la sua purezza e, soprattutto, la sua
capacità intrinseca di creare ombre profonde e insondabili.
Le stesse che sentiva di avere dentro, le stesse che l'accecante luce
di Odino e Thor aveva creato nella sua vita.
Essere lasciato al freddo e al buio era una punizione peggiore di
quanto lui stesso pensasse.
Ma c'era una cosa che, in parte, lo consolava.
Fino a che fosse stato sotto la protezione del Padre degli Dei e di
Thor, non avrebbe potuto essere bersaglio dell'ira di Thanos, l'oscuro
signore con cui si era alleato e di cui aveva disatteso le aspettative.
Loki era scaltro e realista, teneva alla propria vita.
Senza di essa non avrebbe potuto raggiungere i suoi obiettivi,
né dimostrarsi degno dell'onore che sapeva di meritare.
Per ora, anche se impotente, si trovava in uno dei posti più
sicuri all'interno dei nove regni, protetto dall'amore cieco e stupido
di chi si credeva migliore di lui.
Almeno, così aveva sempre creduto.
Periodicamente, Loki non sapeva ogni quanto esattamente, delle guardie
lo prelevavano e lo portavano al cospetto di Odino, Thor e alcuni
saggi, i quali avevano il compito di valutare il suo pentimento.
Loki non rispondeva mai alle loro domande.
Non vedeva come le sue parole potessero modificare il giudizio
già emesso nei suoi confronti. D'altronde, nemmeno lui
credeva sul serio di poter cambiare ciò che era la sua
natura, o forse, più semplicemente, non ne vedeva la ragione
e non ne aveva il desiderio.
Solo Thor, stupidamente, insisteva perché gli fosse data una
“seconda occasione”, ma le sue suppliche cadeva
sempre nel vuoto.
Loki non si sottraeva a quelle udienze per un semplice motivo: se
voleva fuggire, doveva sfruttare quei momenti in cui le porte della sua
prigione erano lasciate aperte.
Stava raccogliendo le forze e le idee, ripassando, viaggio dopo
viaggio, il percorso lungo cui le guardie lo conducevano, per
identificare con esattezza in che zona della città si
trovava.
Il piano era quasi pronto, ma ugualmente Loki stava attendendo.
Ancora poco tempo, e l'arroganza degli asgardiani gli avrebbe
facilitato le cose.
Proprio per questo suo essere così attento durante quei
brevi tragitti, quel giorno Loki capì immediatamente che
c'era qualcosa di strano. I corridoi non erano gli stessi e qualcosa
nelle guardie l'aveva messo immediatamente in allarme, facendo scattare
i sensi vigili. Solo quando un sottile raggio di luce
illuminò i tratti immobili dei suoi accompagnatori,
rivelando un sinistro luccichio azzurro intenso nelle pupille, Loki
capì di essere stato uno sciocco a confidare in Asgard.
Lui per primo avrebbe dovuto sapere quanto fosse facile violare i
sistemi di sicurezza della città, dato che era stato uno dei
primi a farlo.
Thanos l'aveva trovato.
Cercando di mantenere il sangue freddo, Loki sbirciò le armi
delle guardie.
Per potersene impadronire avrebbe dovuto prima impedire loro di
ucciderlo o ferirlo.
Respirò a fondo, concentrandosi, e proiettò nelle
menti dei soldati, già soggiogate e quindi deboli,
un'immagine di sé stesso che si liberava e tentava di
aggredirli.
Si appiattì contro la parete, sfuggendo dal combattimento
che le due guardie aveva ingaggiato l'una contro l'altra osservando il
risultato della sua illusione.
In pochi secondi, entrambe le guardie giacevano a terra, morte. Si
erano trafitte a vicenda.
Loki si beò per un istante della sensazione di onnipotenza
che gli donava tornare ad utilizzare le sue doti. L'unica cosa che lo
elevava al di sopra di tutte le altre menti oscure di Asgard era il suo
coraggio d'agire, di ammettere di fronte all'intero universo chi era
senza nessuna paura.
Riordinando in fretta le idee, si liberò dalle manette di
metallo utilizzando la lama affilata di una delle lance, poi
l'afferrò, sentendosi più sicuro, ora che poteva
difendersi.
Ma la sensazione durò solo il tempo di arrivare in fondo al
corridoio.
Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi del soldato di Thanos,
l'esplosione di luce azzurra accecò i suoi occhi e poi lo
privò di nuovo della luce.
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A presto! ^-*
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Come lui ***
Ringrazio
tutte le persone che hanno letto il prologo, in particolare devilcancry
che ha lasciato una recensione.
Ecco il primo capitolo,
non so se riuscirò a postare il secondo capitolo entro la
settimana. se così non fosse, ci vediamo tra due settimane,
dato che per un po'di tempo non avrò accesso ad internet.
Ancora grazie.
Bacioni!
Nicole
PS: i capitoli non
saranno mai molto lunghi, cerco di mantenere una lunghezza
relativamente costante, sperò però, che non vi
sembrino frettolosi.
L'agente Barton camminava a passo svelto lungo i
corridoi asettici della base temporanea dello S.H.I.E.L.D.
L'Eliveivolo era quasi riparato ma sarebbe diventato operativo non
prima di quattro settimane, per cui dovevano accontentarsi di sostare
in quella base costruita nel bel mezzo del deserto più caldo
dell'Arizona, celata sotto metri e metri di sabbia, sassi e cactus.
Non era un brutto posto, pensò con un mezzo sorriso, ma
preferiva di gran lunga la vista del cielo e delle nuvole alle nude
rocce nere che si intravedevano dalle sottili fenditure nelle pareti di
metallo.
L'uomo sospirò, toccandosi soprappensiero la nuca.
Se ripensava alla frenesia dei mesi precedenti, all'opera di
ricostruzione e messa in sicurezza di una New York a pezzi, aveva
un'improvvisa vertigine. Insieme a tutti gli altri agenti, era stato
impegnato notte e giorno, e non aveva mai dormito così poco
nella sua vita.
Il riposo che gli era stato concesso era più che meritato.
Ma ora, probabilmente, era finito.
Poco prima di raggiungere la sua meta, incrociò Natasha.
Si aspettava di vederla, aveva un brutto presentimento e la sua
presenza glielo confermò ulteriormente.
L'uomo salutò la collega con un breve sorriso.
«Com'era l'Afghanistan?», le chiese.
Lei sollevò un sopracciglio, con il volto impassibile.
«Caldo», replicò, asciutta.
Anche lei aveva una strana sensazione e non era di buon umore.
Quei mesi di calma apparente erano stati troppo belli per essere veri,
aveva vissuto aspettandosi una brutta notizia piombare giù
dal cielo ogni secondo, e ora sapeva che il momento era arrivato.
Per quanto amasse il suo lavoro, c'erano dei momenti in cui lo
detestava con tutta sé stessa.
«Sai qualcosa di questa convocazione?», chiese a
Clint, mentre attendeva che il dispositivo di sicurezza le
scannerizzasse la retina e le desse l'accesso all'area più
top secret della base: la centrale operativa dei Vendicatori.
«No, ho solo il sospetto che c'entri Selvig. In questi giorni
era particolarmente assente, in più è arrivata
una nuova scienziata e credo significhi solo guai», espose
l'uomo, mentre si sottoponeva allo stesso sistema di riconoscimento.
«Chi?».
«Jane Foster».
«La ragazza di Thor? Ma non era a lavorare su qualche
montagna sperduta?», domandò Natasha,
oltrepassando la pesante porta di metallo.
«A quanto pare no. Di più non so»,
ammise l'uomo.
Natasha tenne per sé le proprie opinioni, ma lui le
intuì lo stesso.
Entrambi detestavano avere un intuito tanto sviluppato.
Nick Fury era calmo e imperturbabile come sempre, mentre camminava
avanti e indietro misurando i passi e il respiro. Quando gli ultimi due
convocati, l'agente Barton e l'agente Romanoff entrarono nella stanza
rotonda, si concesse di respirare più profondamente.
«Benvenuti», disse, salutando le due spie con un
lieve cenno del capo.
Natasha e Clint annuirono in fretta prendendo posto l'una accanto
all'altro, di fronte al Dottor Banner, Jane Foster ed Erik Selvig. Solo
una sedia più in là era seduto Steve Rogers.
Su uno degli schermi, invece, campeggiava una visuale nitida
dell'ufficio di New York di Tony Stark. Il miliardario comparve dopo
qualche secondo, insieme a Pepper.
L'atmosfera si fece di colpo molto tesa e Jane si mosse nervosa sulla
sedia.
Era solo per colpa, o merito, suo che tutti quei pezzi grossi erano
lì.
La presenza di Erik la rassicurava, ma l'assenza di Thor l'agitava.
Doveva cavarsela da sola, ma non era sicura di riuscire ad essere
convincete quanto lui.
Nick Fury si concesse un lungo sguardo intorno a sé, prima
di parlare. «Vi ho convocato per mettervi a conoscenza di
alcuni eventi avvenuti negli ultimi tempi, che ci danno nuove risposte
riguardo all'attacco a New York di un anno fa»,
iniziò. «Avevamo già il sospetto che
Loki si fosse mosso per conto di qualcun altro, che gli aveva fornito
l'esercito di Chitauri, ma ora ne conosciamo
l'identità», spiegò Fury, spostandosi
appena lungo il tavolo di metallo nero. «Si tratta di un
individuo di nome Thanos, a quanto pare deciso ad impadronirsi del
nostro pianeta e di molti altri nell'universo, compreso
Asgard».
«Ci sono stati attacchi?», chiese il Capitano
Rogers.
Fury scosse la testa. «Non sulla Terra»,
spiegò. «Circa una settimana fa, Thanos ha teso un
agguato a Loki mentre questi veniva portato al cospetto dei saggi di
Asgard per essere interrogato».
Clint si irrigidì impercettibilmente.
«È morto?», domandò Natasha,
senza inflessione nella voce.
Nick scosse la testa. «No. Il guardiano di Asgard si
è accorto dell'intrusione, anche se in ritardo, e Thor
è riuscito a trovarlo in tempo. Adesso si trova in stasi in
una delle camere di guarigione di Asgard. Il sicario è stato
catturato e prima di suicidarsi ha minacciato gli asgardiani e noi
terrestri, facendo il nome del suo signore, Thanos».
L'agente Barton aggrottò le sopracciglia. «Non
capisco, perché questo Thanos avrebbe dovuto assassinare un
suo alleato?».
«A questo potrà rispondere solo Loki, non appena
riprenderà conoscenza. Per adesso possiamo solo ipotizzare
che questo attacco diretto a lui sia indice che Thanos si è
rimesso in attività e che non manchi molto prima che la
Terra venga di nuovo presa di mira», espose Fury, lentamente.
«Non dimentichiamoci che, fermando Loki, abbiamo umiliato
anche lui».
Ci fu un attimo di silenzio teso, poi fu Stark ad intervenire.
«Perdoni la franchezza, Fury. Ammetto che le informazioni
sono interessanti, ma cosa diavolo ci fa qui la bella
moretta?».
Jane si sentì arrossire e dovette costringersi a non
replicare alla maleducazione dell'uomo.
Fury non cambiò espressione. «È venuta
a riferirci una richiesta da parte di Thor».
«E non poteva venire lui? Adesso con quel portale
può andare avanti e indietro come gli pare»,
insisté Stark.
«È rimasto a vegliare suo fratello»,
rispose Jane, trovando finalmente la voce e l'orgoglio per intervenire.
Stark borbottò qualcosa in risposta ma nessuno comprese
appieno le sua parole.
Incoraggiata dal silenzio di tutti, Jane si fece coraggio e
parlò. «Thor vorrebbe trasferire la prigione di
Loki qui sulla Terra, dato che su Asgard non è
più al sicuro», disse.
Le reazioni alle sue parole furono le più disparate.
Erik, Bruce e Fury, che già sapevano tutto rimasero
impassibili, Natasha e Clint lasciarono trasparire sdegno dal viso ma
non dissero nulla, come Rogers.
Stark, invece, perse completamente la calma. «E da quando
dobbiamo fare da balia al Dio dei Perdenti?! Quello ha quasi ammazzato
più gente di Hitler nel giro di poche ore e i nostri cari
Dei lo vogliono riportare qui?», sbottò, alterato.
«Si calmi Stark, Thor ha le sue ragioni per fare questa
richiesta», lo interruppe Fury, guardando di nuovo Jane,
invitandola a proseguire.
La giovane donna deglutì di nuovo e riprese a raccontare.
«Naturalmente ci sono delle condizioni che Loki
dovrà rispettare, in più abbiamo una prigione
adatta a lui. Il Dottor Selvig e il Dottor Banner stanno studiando un
metallo particolare che ha la proprietà di bloccare le onde
celebrali. Se imprigionassimo Loki all'interno di una stanza rivestita
di quel metallo non potrebbe usare i suoi trucchetti mentali su di noi,
e al contempo sarebbe protetto dai suoi nemici», non disse
che Thor sapeva di quelle ricerche perché era stata lei,
ingenuamente, a parlargliene. Non aveva voglia che Stark si mettesse
l'armatura e venisse a farle vedere di persona quanto era alterato.
«E se il suo potentissimo, ed evidentemente irascibile, signore decidesse
di venire a prenderlo qui?», chiese Stark.
Fury incrociò le braccia. «Confidiamo che Thanos
non si aspetti che Loki sia qui sulla Terra. Inoltre, ad Asgard
insceneranno la sua morte, per concederci più
tempo».
«Più tempo per cosa?»,
intervenne Steve Rogers.
«Per conoscere meglio il nostro nemico. Al momento, Loki
è l'unico che sa qualcosa di lui», rispose Fury.
Stark sbuffò rumorosamente. «Non possiamo fidarci
di lui. Quello è un egocentrico, egoista, pieno di
sé...».
«E allora?», lo interruppe Rogers.
Stark sospirò come se avesse a che fare con un bambino
ottuso «Non sperate che cambi. Quelli come lui non lo fanno
mai», chiarì.
«Come fai ad esserne così sicuro?», lo
interrogò Jane, sentendosi in dovere di comportarsi come
avrebbe fatto Thor, se fosse stato lì.
Tony si concesse il primo sorriso della riunione.
«Perché sono come lui».
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A
presto ^-*
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Come un assassino ***
Eccomi qui, sono già
qui.
Non potrò
aggiornare prima di due settimane, per cui vi lascio un altro capitolo.
Compare finalmente la
protagonista femminile della storia, anche se la presentazione vera e
propria avverrà nel prossimo capitolo.
Spero che vi
incuriosirà.
Un bacio e grazie mille
ai due angeli che hanno recensito.
Nicole
Thor camminava avanti e indietro lungo il bordo
frastagliato del ponte che lui stesso aveva spezzato tempo prima.
Mancavano pochi minuti all'appuntamento, ma aveva l'impressione che il
tempo si fosse arrestato.
Il Bifrost non era ancora stato riparato, ma grazie all'energia del
Tesseract riusciva a viaggiare regolarmente da Asgard a Midgard.
Anche se dapprima aveva portato con sé il manufatto, Odino
gli aveva poi permesso di riportarlo sulla Terra. Ora era nuovamente in
possesso dello S.H.I.E.L.D che, insieme a Stark, ne stava sfruttando le
proprietà per donare all'umanità una fonte di
energia pulita e illimitata. I patti erano che la Fase 2 non fosse
portata avanti, Odino riteneva che gli esseri umani avessero
già abbastanza armi. In cambio, aveva assicurato la
protezione dell'esercito di Asgard in caso di un nuovo attacco alla
Terra.
L'alleanza pareva funzionare, e il Dottor Selvig, insieme a Banner, era
riuscito a replicare il portale che aveva costruito per Loki in breve
tempo. Ogni giorno, alla stessa ora il portale si apriva nel medesimo
punto. Il viaggio era meno confortevole che attraverso il Bifrost ma
ugualmente rapido.
L'unico svantaggio era che il passaggio poteva essere aperto solo dalla
Terra, se gli umani avessero deciso di tagliarlo fuori, lui non avrebbe
potuto fare nulla per impedirlo, ma ormai Thor confidava abbastanza sui
compagni per non porsi più quell'interrogativo.
A mezz'aria, dal nulla, comparvero delle scariche cerulee e il
familiare vortice azzurro striato di blu si aprì davanti
all'asgardiano.
Senza esitare oltre, Thor lo oltrepassò e in un battito di
cuore si ritrovò nel laboratorio del Dottor Selvig.
Ad attenderlo, oltre a Fury, c'era l'intera squadra dei Vendicatori,
insieme a Jane.
Anche se avrebbe voluto salutare lei per prima, l'aria seria di tutti
lo fece desistere. Le rivolse solo un sorriso caldo come il sole della
sua città natale e lei ricambiò, con aria
imbarazzata.
«Nick Fury», disse poi, rivolto alla spia, con un
cenno rispettoso del capo. Proseguì, salutando il resto dei
suoi compagni in modo simile. Erano tutti in borghese, tranne Clint e
Natasha che indossavano l'uniforme nera dello S.H.I.E.L.D.
«Che notizie ci porti da Asgard, Thor?»,
domandò Fury, dirigendo la conversazione subito al punto.
Thor si fece serio. «Loki si è rimesso ed
è a conoscenza del cambiamento della sua situazione. Se la
vostra prigione è pronta, possiamo trasferirlo quando
volete».
«Collaborerà?», domandò
Rogers.
«Mio fratello ha molti difetti, ma non è affatto
uno stupido o un suicida. Sa che non è morto solo per il mio
intervento, e che se vuole rimanere vivo deve accettare le nostre
condizioni», spiegò il Dio del Tuono, incrociando
le braccia muscolose al petto.
«Se non decide di ucciderci tutti giusto per divertirsi un
po', prima della sua dipartita», brontolò Stark.
«A nessuno è mai venuto in mente che tutto questo
potrebbe essere solo una sceneggiata? Che questo Tano-qualosa potrebbe
usare il nostro Dio delle Nullità giusto per arrivare a noi
più facilmente?».
Una vena pulsò sulla fronte di Thor, ma fu Fury ad
intervenire. «La decisione è già stata
presa, Tony, e a te non è mai stato chiesto il consenso.
Loki sarà sotto la responsabilità dello
S.H.I.E.L.D».
Stark raddrizzò la schiena. «Già, come
l'altra volta. Poi abbiamo dovuto pulire noi quel casino! E ancora
aspetto il risarcimento per la distruzione della mia Star
Tower».
«Adesso basta!», tuonò Thor.
«Come ha già detto Nick Fury, questa decisione non
spetta a te», tagliò corto, fulminando Stark con
occhi freddi come il ghiaccio. «Adesso mostratemi la
prigione», decise, rivolgendosi al Dottor Banner e a Selvig.
Il gruppo si apprestò ad uscire dalla stanza, solo Stark
rimase indietro.
«Ha ucciso Phil, nessuno se lo ricorda?», chiese,
quasi urlò, stupendosi della rabbia nella sua voce.
Tutti gli altri si voltarono verso di lui, ma solo Fury si prese la
briga di rispondergli. «Non ti azzardare mai più
ad insinuare una cosa del genere», gli ricordò con
calma glaciale.
Poi, senza attendere oltre, si voltò decisamente ed
uscì a passo pesante dal laboratorio.
Né Natasha, né Clint erano mai stati in
quell'area della base.
Avevano disceso così tanto piani che avrebbero potuto essere
tranquillamente a chilometri di profondità. Le pareti erano
tutte di metallo e ogni cinquecento metri il gruppo doveva superare un
test a riconoscimento vocale. Le persone autorizzate ad accedere a
quell'area si potevano contare sulle dita di una mano,
spiegò Fury, mentre attraversavano l'ultima porta di metallo
blindato.
Anche se non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, Stark era
impressionato da come Fury si era dato da fare per rintanare Loki nelle
viscere della terra. Si augurò di non far mai arrabbiare sul
serio quell'uomo.
Alla vista della stanza, che ormai tutti chiamavano La Gabbia, nessuno
riuscì a trattenere lo stupore.
Perfino Thor, che era cresciuto nelle meraviglie di Asgard, non aveva
mai visto nulla di simile.
L'ambiente era di forma cubica, di una decina di metri di altezza e
lunghezza, asettico e impersonale. Una luce bianca e fredda sembrava
irradiare direttamente dal soffitto, illuminando ogni angolo, non
lasciando nessuna ombra.
Lungo una delle pareti si arrampicava una scala che conduceva a una
porta blindata elevata a circa cinque metri dal pavimento, mentre al
centro torreggiava una vera e propria scatola di un metallo nero e
opaco come roccia lavica. Non c'era modo di scrutarne l'interno, se non
attraverso una striscia di materiale trasparente alta un metro che
correva lungo la parete frontale della gabbia. Con poche parole tese,
il Dottor Banner spiegò che quello non era vetro, ma sempre
lo stesso metallo lavorato in modo da risultare limpido.
All'apparenza la gabbia non aveva un ingresso, ma Natasha
intuì che doveva essere talmente fusa con il resto della
struttura da essere irriconoscibile.
Fury osservò attentamente il risultato di quelle settimane
di lavoro, anche se il suo reale orgoglio non era affatto quella gabbia
di metallo. Con un cenno, fece avvicinare i dieci agenti che aveva
assegnato a quel progetto.
I Vendicatori scrutarono attentamente quei volti, cui poco prima non
avevano fatto caso.
«Questo sono le guardie che si occuperanno del prigioniero.
Sono state scelte con estrema cura tra i nostri migliori agenti. Sono
addestrati appositamente per questo compito»,
spiegò Fury. «Tanto per chiarire, loro non sono
tra le poche persone che possono aprire le porte che abbiamo appena
attraversato», aggiunse.
A poco a poco, tutti presero coscienza di cosa significava. Quei dieci
agenti sarebbero stati intrappolati all'interno di quella gabbia quanto
il loro prigioniero.
Stark si chiese se non fossero loro stessi troppo pericolosi per essere
lasciati in libertà, proprio come il pazzo che avrebbero
custodito.
Fury fece un cenno all'unica donna del gruppo. «Agente Sabil,
vuoi mostrare ai nostri ospiti il sistema di sicurezza della
gabbia?», chiese.
Finalmente Stark si animò. «Oh, adesso finalmente
vedrete il mio capolavoro», disse, con gli occhi illuminati.
Thor pensò che per suo fratello non significava nulla di
buono, ma rimase in silenzio. Jane, al suo fianco, benché
silenziosa, gli fece sentire il suo sostegno stringendogli la mano.
Conosceva il tormento interiore del dio e, anche se riusciva a
comprendere i sentimenti feriti degli altri terrestri accanto lei, era
decisa a stare dalla parte di Thor.
L'agente Sabil era una donna alta e longilinea che dimostrava poco
più di trent'anni, con zigomi alti e pronunciati e
lineamenti affilati da felino. Sembrava esile come una canna di
bambù, nonostante la linea definita dei muscoli sotto il
latex attillato della divisa nera. Dalla sua carnagione era evidente
che fosse di origine medio orientale. Rogers l'osservò con
attenzione mentre sfilava dalla cintura quello che sembrava una sorta
di comando a distanza. Premendo una sequenza precisa di pulsanti, la
donna animò la gabbia, che iniziò a ronzare
sommessamente.
Tutto il gruppo si fece attento a quello che stava per accadere, e il
sorriso di Stark si approfondì.
All'improvviso, dalle quattro pareti della gabbia spuntarono lame
affilate come rasoi che si allungarono fino a riempire l'interno della
scatola di metallo. L'effetto era talmente feroce e violento che
nessuno ebbe una reazione evidente. Solo Jane portò una mano
alla bocca, lentamente, con le labbra che tremavano.
L'agente Sabil sorrise di sbieco. «Un passo falso, e di Loki
non rimarrà che qualche brandello»,
chiarì, facendo rabbrividire la scienziata per la freddezza
del suo tono.
Stark diede una pacca sulla spalla a Bruce. «Ottimo lavoro
amico mio, non avrei saputo immaginarla diversamente», si
complimentò.
«Questa...», proseguì, fronteggiando il
gruppo dei Vendicatori, ma guardando insistentemente Fury.
«È la fine che merita un assassino».
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In questo capitolo, e
anche nel precedente, compare un lievissimo cross over con un altro
fumetto Marvel. Vediamo se riuscite ad indovinare...
A presto ^-*
PS: so che i
personaggi sono tanti, e per adesso non posso approfondirli tutti,
piano piano, mi impegnerò per dargli più spessore.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 - Come una falena ***
Riesco di corsa a postare
il terzo capitolo. Sono contenta che il numero delle letture sia sempre
così alto, ma non vi nego che qualche recensione farebbe
piacere, ovvio XP comprendo però che al momento sia
difficile farsi un'idea chiara della storia. Dal prossimo capitolo si
inizierà a capire qualcosa in più.
Intanto c'è una sorta di "presentazione" della nostra
protagonista femminile.
BENVENUTA alla mia amica! Red_Sayuri :-*** grazie mille del sostegno e
anche del contagio XD
Buona lettura.
Loki era uscito dalla camera di guarigione da poco più di un
giorno, quando Thor, rientrato da Midgard, gli comunicò che
il
suo trasferimento sul pianeta umano sarebbe avvenuto da lì a
poche ore. Dopo la notizia, l'asgardiano attese una reazione da parte
del fratello, ma quello rimase muto, all'apparenza indifferente alla
propria sorte.
Sospirando, Thor lasciò Loki nuovamente solo, nella nuova
cella,
meno oscura della precedente, e raggiunse Odino per comunicargli la
stessa notizia.
Loki attese che i passi pesanti del fratello si fossero allontanati,
per aprirsi in un sorriso di puro trionfo. Alla fine, anche se non come
aveva pronosticato, l'arroganza di Asgard lo stava aiutando oltre le
sue più rosee aspettative.
Davvero pensavano che su Midgard sarebbe stato più facile
rinchiuderlo? Cosa diavolo potevano fare quegli esseri inferiori per
privarlo delle sue capacità?
La vittoria ottenuta sui Chitauri doveva aver gonfiato eccessivamente
l'orgoglio dei terrestri.
La cosa non gli dispiaceva affatto, avrebbe reso tutto molto
più divertente.
Per adesso doveva solamente fingere arrendevolezza, o rassegnazione, e
lasciarsi condurre su quel piccolo pianeta abitato da inetti.
Certo, era consapevole che non sarebbe stato facile. Sicuramente alle
costole gli avrebbero messo sia quel gigante verde, che l'uomo di
latta, ma lui era scaltro e anche senza lo Scettro di Thanos era
perfettamente in grado di manipolare la mente delle persone intorno a
lui.
Gli bastava la forza delle proprie parole.
Era certo che la mente debole di un umano non avrebbe potuto tenergli
testa.
L'agente Khalida Sabil non era una donna che mostrava facilmente le
proprie emozioni, ma quando era stata scelta da Fury in persona per
quel compito, non aveva potuto trattenere un sorriso orgoglioso. Per
quanto la maggioranza avrebbe considerato un simile incarico
più
una punizione che un privilegio, lei era riuscita a scorgerci una
grande dimostrazione di fiducia.
Era determinata con tutta sé stessa, era all'altezza del
compito affidatole e l'avrebbe svolto egregiamente.
Mentre sostava in attesa che il Tesseract aprisse il portale che le
avrebbe condotto il suo prigioniero, la donna ostentava una posa
marziale che non la faceva sfigurare al fianco di Steve Rogers.
Tutti i Vendicatori non l'avevano mai incrociata alla base, nemmeno
Natasha e Clint, e molti di loro si domandavano quali
capacità
avesse per essere scelta per un incarico tanto difficile.
Di sicuro, era una persona eccezionalmente imperturbabile: nessuno
l'aveva mai vista con più di due espressioni diverse sulle
labbra carnose.
Il portale si attivò e il Dottor Selvig si diede da fare per
stabilizzarlo, picchettando sui tasti del computer. Non appena i
fulmini si fecero meno frequenti, la luce si intensificò e
nel
laboratorio comparvero Thor, tre guardie asgardiane e Loki legato e
imbavagliato esattamente come era stato portato via dalla Terra un anno
prima.
Stark, che per l'occasione indossava l'armatura, si
irrigidì,
insieme a Clint che portò istintivamente le mani all'arco a
tracolla.
Loki rimase impassibile e si guardò attentamente intorno,
scrutando i volti dei presenti.
C'era l'uomo con la benda sull'occhio che era evidentemente il capo di
quel gruppo di montati, il Dottor Selvig, il gigante verde in forma
umana, la vulvetta lamentosa, l'arciere dalla mente debole ma dal cuore
forte, l'uomo di latta e quello che loro chiamavano, in modo davvero
poco originale, Captain America.
Però, in quel gruppo, c'era una donna che non aveva mai
visto.
Se ne stava dritta in piedi accanto all'uomo di latta, con uno sguardo
duro, fissandolo senza nessuna emozione evidente sui lineamenti
marcati. Aveva un che di feroce nella posa e nella piega delle labbra e
immediatamente Loki provò un'istintiva curiosità
per
quell'umana.
Alla fine, fu l'uomo bendato a prendere la parola. «Agente
Sabil,
è tutto suo», disse, rivolto alla donna che Loki
non
conosceva.
Questa fece un cenno al Dottor Selvig che le passò qualcosa
che non riuscì ad identificare.
La donna avvicinò Loki con passo calmo e misurato, senza
distogliere lo sguardo dal suo. Lui la analizzò con
attenzione,
valutando la forza della sua mente, indubbiamente notevole, per
un'umana così fragile.
Si domandò che ruolo avesse nella sua prigionia.
L'agente Sabil ignorò lo sguardo indagatore del Dio e senza
troppe cerimonie gli calò in testa una sorta di elmetto
dello
stesso metallo di cui era stata costruita la sua gabbia.
Loki non capiva a cosa potesse servire, ma sospettava che fosse quello
di cui aveva parlato Thor, il misterioso materiale che gli avrebbe
impedito di usare le sue capacità.
Sotto il bavaglio, il Dio sogghignò.
Mentre il folto gruppo di accompagnatori lo conduceva lungo corridoi,
Loki si guardò intorno discretamente ma con attenzione. I
sistemi di sicurezza erano molti e non ne colse completamente il
meccanismo ma gli parve chiaro che la chiave per aprire quelle porte
era la voce dell'uomo bendato. Mentalmente si appuntò ogni
particolare che riusciva a cogliere, rigirandoselo tra i pensieri per
volgere ogni cosa a suo vantaggio.
Il percorso gli parve lungo, ma la sua concentrazione era tale che il
tempo volò e in poco tempo si trovò faccia a
faccia con
la sua nuova prigione.
Non aveva niente a che fare con il cilindro di vetro in cui era stato
confinato sull'Eliveivolo, benché più elementare,
aveva
un aspetto massiccio. Nella stanza c'erano nove uomini, disposti lungo
il perimetro delle pareti ma Loki non vi diede bado.
Appena aveva attraversato la porta era diventato cosciente che il
comando era passato dalle mani dell'uomo bendato a quello della donna.
La persona su cui doveva lavorare era lei.
Di nuovo, sorrise sotto il bavaglio.
Sarebbe stato molto più divertente di quanto aveva
immaginato.
Con un fruscio quasi impercettibile la porta della gabbia
scivolò sui binari, rivelando l'interno interamente
rivestito da
lamiere bianche smaltate, che riflettevano in modo accecante le luci
alogene del soffitto.
L'agente Sabil scrutò con attenzione ogni angolo della
gabbia, poi fece un cenno deciso nei confronti di Thor.
«Portalo qui», ordinò.
L'asgardiano strinse la presa sul braccio del fratello, senza fargli
male. Loki non riuscì a trattenere uno sguardo interrogativo
nei
suoi confronti e questi gli fece un brevissimo sorriso. Se non fosse
stato per il bavaglio, Loki l'avrebbe deriso per il suo cieco affetto.
L'agente Sabil non perdeva di vista il proprio prigioniero, studiandone
i lineamenti e gli occhi. Riusciva a cogliere gran parte dei suoi
pensieri, o comunque la loro natura.
Come aveva già pronosticato a Fury, non si aspettava di
trovarsi
davanti un Loki rassegnato o indebolito. Non c'era la minima traccia di
rimorso negli occhi chiari che ora la fissavano con un interesse che
era pari al suo.
Si aspettava di venire presa di mira dal Dio.
Lei era il vertice del comando, anche se solo dentro quella stanza, e
Loki bramava il potere come una falena cerca la luce anche a costo di
morire.
Una scarica di adrenalina le attraversò i muscoli,
rendendola ancora più vigile.
«Togligli il bavaglio», ordinò
nuovamente, senza togliere gli occhi da quelli di Loki.
Un lieve mormorio di dissenso percorse le fila dei Vendicatori, e
perfino Thor si voltò per cercare gli occhi di Fury, ma
questi
annuì.
Il Dio del Tuono sfiorò un meccanismo invisibile e con uno
scatto metallico il bavaglio sparì, mostrando il sorriso
appena
accennato di Loki.
L'agente Sabil trattenne nuovamente la propria espressione.
Quello che vedeva, non le piaceva per niente.
Senza delicatezza, tolse l'elmo dal capo di Loki e, aiutata da Thor, lo
spinse all'interno della gabbia, chiudendogli la porta immediatamente
alle spalle.
Attraverso la parete di metallo, Khalida Sabil fissò gli
occhi del Dio dell'Inganno.
Ora a noi due.
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Nuovamente è presente il lieve crossover con l'altro fumetto
Marvel. Ma se nessuno ha indovinato vuol dire che è talmente
lieve che lo vedo solo io che so di averlo messo XDXD
A presto ^-*
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Come un insonne ***
Ringrazio chi
sta leggendo e chi recensisce.
Scusate
il ritardo e buona lettura!
Le notti successive all'esilio di Loki sulla Terra, l'agente Barton non
riuscì a dormire.
Sapeva che il dispositivo ideato da Selvig e Banner doveva bloccare i
poteri mentali dell'alieno, eppure era sempre in tensione. Spesso
riviveva la sensazione familiare di qualcuno che frugava nei suoi
pensieri e li manipolava a proprio piacimento. Incubi familiari era
tornati a visitare i pochi momenti in cui si assopiva e la stanchezza
era divenuta una costante, insita negli occhi pesanti e nei muscoli
tesi.
L'unico modo per scacciare l'ansia e l'inquietudine era incamminarsi
lungo i corridoi fiocamente illuminati e raggiungere la sala di
controllo, dove cinque schermi proiettavano in tempo reale le immagini
della gabbia di Loki.
Solo rassicurandosi che il nemico si trovava ancora lì,
chiuso dentro il metallo, incapace di fare alcunché tranne
che camminare, riusciva a togliersi i dubbi e a schiarirsi i pensieri.
Facendo così, scoprì che lui e Loki avevano una
cosa in comune: l'insonnia.
Notte dopo notte, lo guardava muoversi avanti e indietro, con passo
misurato e calmo.
Si chiedeva quanto potesse resistere senza dormire.
Quella sera, si prese un attimo per scrutare il volto impassibile
dell'agente Sabil, che sembrava impegnata in una prova di resistenza
con il proprio prigioniero. Nemmeno lei dormiva da giorni.
Quando aveva chiesto spiegazioni a Fury sul ruolo di quella donna, lui
aveva risposto semplicemente che avrebbe condotto l'interrogatorio di
Loki.
Onestamente, Clint iniziava a dubitare che fosse la verità.
Ormai erano passati cinque giorni e l'agente Sabil non aveva ancora
aperto bocca.
Se ne stava ferma immobile, in piedi davanti alla gabbia, osservando
Loki, studiandolo, come se fosse un'interessante opera d'arte o una
strana cavia.
«È strano», iniziò la voce di
Natasha dietro di lui.
Non era la prima volta che tutti e due si ritrovavano insonni e
inquieti in quella stanza.
«Cosa?», domandò, senza voltarsi.
Lei lo affiancò, seguendo i suoi occhi. «Sono
già riuscita con successo a far parlare Loki. Non capisco
perché Fury non l'abbia affidato di nuovo a me».
Il volto perfetto della donna si arricciò lievemente, come
se avesse percepito un odore sgradevole. Clint conosceva bene
l'orgoglio di Natasha e anche il suo desiderio di essere utile. Era
ovvio che si sentisse quantomeno ferita dalla decisione di Fury.
«Loki la conosce, agente Romanoff», intervenne
Fury, comparso dal nulla nella stanza.
Natasha fissò l'uomo come a chiedere spiegazioni.
La spia accennò un sorriso. «Ha avuto del tempo
per studiarla e non cadrà nuovamente in trappola, non con
lei», espose, poi guardò brevemente Clint.
«In più, conosce parte delle tue
debolezze».
L'agente Romanoff irrigidì i muscoli delle spalle e della
schiena, ma non controbatté. Aveva imparato da molto tempo a
fidarsi delle decisioni di Fury, anche se non le condivideva.
«Chi è quella donna?»,
domandò Occhio di Falco, intervenendo nella conversazione.
Il sorriso di Nick si allargò. «Lo scoprirete
domani mattina. Vi conviene andare a dormire»,
annunciò, poi si voltò, sparendo al di
là delle pareti di vetro della sala controllo.
Il cicalino appeso alle cinture di Clint e Natasha trillò.
Era un regalo di Stark, una specie di cercapersone ipertecnologico che
segnalava sempre con quell'irritante suono una nuova riunione per i
Vendicatori al completo.
I due agenti S.H.I.E.L.D osservarono la sottile riga di testo sullo
schermo.
Sala controllo, domani,
ore 6.00.
Clint sorrise alla collega. «Che ne dici, seguiamo il
consiglio?».
Natasha non lo ascoltò nemmeno, troppo concentrata sugli
schermi.
L'aveva capito subito, perfino dal modo in cui l'agente Sabil aveva
dischiuso le labbra per respirare.
L'interrogatorio stava cominciando.
Anche se faceva di tutto per dare a vedere il contrario, Loki iniziava
ad annoiarsi.
Si aspettava che i terresti l'avrebbero torchiato notte e giorno con
domande stupide e inutili volte a salvare le loro patetiche vite o
infiacchito con torture mirate, prima di estorcergli ciò che
sapeva. Invece c'era solo quel silenzio che trovava più
logorante di una lenta agonia.
Iniziava ad avvertire i primi sintomi della stanchezza. Non si nutriva
da giorni, anche ad Asgard non aveva mangiato quasi nulla di quello che
aveva avuto a disposizione, e gli umani non si erano degnati di
concedergli nulla per sfamarsi. Probabilmente volevano indebolirlo, ma
forse non erano a conoscenza di quanto potesse resistere senza
mangiare, né bere, né riposare.
Loki sorrise lievemente, mentre osservava le pareti intorno a
sé, prive di qualsiasi ombra.
Era divertente vedere come gli schemi tra la Terra ed Asgard si
riflettessero specularmente.
Odino lo aveva relegato nelle tenebre, gli umani sotto luci accecanti e
assolute.
Non aveva ancora capito lo scopo né dell'una, né
dell'altra prigione, come ancora non comprendeva cosa diavolo ci
facesse lì.
Detestava non capire.
Di una cosa, però, era ormai certo.
Gli umani erano riusciti davvero a bloccare, in qualche misterioso
modo, i suoi poteri.
Per ore aveva provato a materializzare accanto a quell'irritante donna,
che non faceva altro che fissarlo, le peggiori illusioni che la sua
mente riuscisse a partorire, ma lei non aveva avuto nessuna reazione
evidente.
Solo quando si era ormai convinto, l'agente Sabil aveva accennato un
minuscolo sorriso, come se fosse a conoscenza degli sforzi che aveva
profuso per spezzare la sua maschera impassibile.
Loki ormai aveva già ideato centinaia di scenari in cui
riusciva ad ucciderla, strappandole quell'aria di
superiorità che ostentava perfino nei suoi confronti.
Lo fissava con la stessa condiscendenza che si riserva alla vittima di
un qualche strano esperimento.
Lo guardava come lui aveva sempre guardato tutti gli esseri umani,
dall'alto di un intelligenza superiore.
E non poteva sopportare di vedersi continuamente in un dannato specchio.
Quando sarebbe uscito di lì, lei sarebbe stata l'ultima che
avrebbe ucciso, nel modo più lento e doloroso che riusciva
ad escogitare.
Khalida non si divertiva così tanto da anni e, nonostante
“grazie” non facesse parte del suo vocabolario,
aveva deciso che ne avrebbe detto uno sentito a Fury, non appena fosse
andata a fare rapporto.
Non che ci fosse molto da dire, lo aveva avvertito che le ci sarebbe
voluto del tempo per iniziare. Per adesso si era limitata solamente ad
analizzare, studiando con attenzione il soggetto che aveva davanti, ma
era arrivato il momento di chiudere l'analisi.
Ne sapeva a sufficienza, ed era cosciente che Loki era irritato dalla
sua presenza e sarebbe caduto nelle sue trappole con più
facilità. Dopo un attento studio dell'interrogatorio
condotto dall'agente Romanoff e aveva compreso che la chiave per
superare le barriere dell'asgardiano era farlo arrabbiare, e quindi
fargli credere che lo stava sottovalutando.
Un angolo della bocca le si sollevò impercettibilmente,
mentre faceva scivolare le dita sull'auricolare. Premette lievemente un
tasto e respirò.
Loki la guardò, voltandosi di scatto. Di sicuro le sue
orecchie, più sensibili di quelle umane, avevano colto la
sottile vibrazione che annunciava l'accensione degli altoparlanti
all'interno della gabbia.
«Chi è Thanos?», domandò
l'agente Sabil, andando dritta al punto.
Con certi prigionieri c'era bisogno di nascondersi dietro una facciata
di amicizia, di bontà, ma con Loki non avrebbe funzionato.
Doveva mettersi al suo stesso livello.
L'asgardiano piegò lievemente la testa di lato, facendo
qualche passo in avanti.
Ridacchiò sottovoce. Dopotutto, la prima domanda non era poi
così inutile, anche se lui non aveva nessuna intenzione di
rispondere.
Khalida si avvicinò alla gabbia, permettendo a sé
stessa di scrutare lo sguardo indagatore dell'alieno. «Non
sei nella posizione di non collaborare», gli
ricordò, con tono vagamente minaccioso.
«E voi in quella di pretendere risposte»,
reagì finalmente Loki, dieci passi indietro rispetto alla
parete, per mantenere il controllo.
Khalida accennò un sorriso più evidente. Aveva
parlato, era già qualcosa.
Il tono di Loki era misurato con quella lieve inflessione canzonatoria
che la donna aveva imparato a conoscere, dopo tutte le registrazioni
che aveva ascoltato, ma lo stesso si stupì di come una voce
così vellutata potesse nascondere un animo tanto contorto.
L'agente Sabil fece un lieve cenno a uno dei suoi sottoposti, e il
giovane uomo si avvicinò, scambiando sottovoce qualche
parola con lei, poi Khalida colmò gli ultimi passi verso la
gabbia, poggiando il pugno chiuso alla parete di metallo gelido.
«Parlerai, è l'unico modo che hai per restare
vivo», disse, con calma, per poi sciogliersi in un sorriso
sornione, che scatenò un fremito innervosito nelle mani di
Loki.
«Nel frattempo, ti consiglio di dormire», concluse,
voltando le spalle al prigioniero e scomparendo dalla sua visuale.
La sala controllo era abbastanza ampia per contenere almeno quindici
persone, ma lo stesso sembrava ridicolmente inadeguata per arginare la
tensione che correva tra gli sguardi di Nick Fury e Tony Stark. Era
evidente che il miliardario ancora non aveva perdonato alla spia il non
aver preso in considerazione la sua opinione o, in
alternativa, i soldi che stava spendendo per finanziare molti dei
progetti dello S.H.I.E.L.D. Se c'era una cosa che Tony Stark detestava
era essere ignorato, e aveva deciso di pretendere che qualcuno si
ricordasse della sua esistenza.
«Cosa ci facciamo qui, Stark?», domandò,
Steve accomodandosi accanto a Banner.
Tony sorrise, poi fece un cenno verso gli schermi accesi, uno dei quali
mostrava l'agente Sabil, nella sua postazione, ancora muta e immobile.
Guardò Fury dritto nell'unico occhio. «Voglio
sapere chi è quella donna, e perché da giorni se
ne sta ferma a fissare il nostro turista spaziale senza aver ottenuto
ancora una sola informazione».
Nick Fury non fece una piega, aveva già preventivato quella
conversazione ed era minuziosamente preparato ad affrontarla. Fece per
parlare, ma Tony lo anticipò.
«Voglio la verità, Fury. E ognuno di noi se la
merita», ricordò, e Steve, Bruce e Natasha
annuirono lievemente.
Thor era silenzioso, appoggiato con le spalle larghe alle parete di
vetro. Aveva deciso di restare per qualche tempo sulla Terra, per
assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto. Anche lui era
inquieto per il modo in cui Fury stava gestendo la situazione. Stark
aveva agito, per una volta, in sintonia con le sue idee.
Clint si fidava del direttore, ma era comunque curioso di capire la
strategia dell'uomo.
Fury osservò con attenzione la squadra che aveva davanti.
Loro non si rendevano conto di quanto fosse dura per lui gestire tutto
quanto, da supereroi eccentrici e scostanti ad alieni dalle forze
smisurate che tentavano ogni settimana di invadere la Terra. Ma quello
era il suo compito, e non avrebbe permesso a nessuno di criticare come
lo stava svolgendo.
Senza manifestare sentimenti particolari, l'uomo respirò ed
iniziò a parlare.
«Khalida Sabil è un ex agente dell'intelligence
israeliana, è stata addestrata per condurre interrogatori di
ogni tipo, da quelli psicologici a quelli fisici. Nel suo campo
è una delle più richieste al mondo da quando si
è messa in proprio, cinque anni fa. Ha tradito il proprio
paese ed è diventata una delle mercenarie più
pagate dello spionaggio illegale».
Natasha trasalì lievemente riconoscendo alcune similitudini
tra lei e quella donna. L'unica differenza era che lei non aveva
ricevuto nessun addestramento, il suo era un talento tutto naturale.
«Quindi non è un agente dello
S.H.I.E.L.D», osservò il Dottor Banner.
Fury scosse la testa. «Lo è, ma da poco. L'avevamo
già contattata quando non aveva ancora tradito, ma aveva
rifiutato. È stata lei a trovarci e ad offrire la sua
collaborazione, tre mesi fa, in cambio della nostra
protezione».
«Protezione?», intervenne Rogers, trovando strano
quel termine.
«L'agente Sabil ha pestato i piedi alle persone sbagliate,
là fuori. Sulle sue tracce ci sono i cacciatori di teste
più abili del mondo. Probabilmente per lei non
c'è nessun posto sicuro, al di fuori di questa
base», spiegò Fury.
«Per questo l'ha rinchiusa in quella stanza con un pazzo
sociopatico?», chiese Tony, con il consueto tono sarcastico.
Era ovvio che la vita della donna non fosse particolarmente al sicuro
dato che, se Loki fosse riuscito a fuggire, sarebbe stata con molta
probabilità la prima a venire uccisa, considerando il fatto
che non sembrava granché robusta.
Una lieve risata risuonò per la stanza, diffusa dai piccoli
altoparlanti ai quattro angoli del soffitto.
«Oh le assicuro che non è per la mia sicurezza che
sono qui, signor Stark», lo freddò la voce
sommessa dell'agente Sabil. Tutti la riconobbero, benché
l'avessero udita parlare solo una volta. Era innaturalmente bassa e
controllata, con un inflessione particolare sui suoni acuti. Forse era
dovuto alla sua lingua madre, oppure all'addestramento che aveva
ricevuto. Qualunque cosa fosse, a Bruce faceva accapponare la pelle,
come un vento gelido.
I presenti si voltarono di scatto verso gli schermi, trovando il volto
spigoloso di Khalida a fissarli con le sopracciglia leggermente
sollevate e un'espressione divertita negli occhi neri. Nessuno aveva
preventivato che la donna avrebbe assistito e partecipato alla riunione.
Stark non si scoraggiò. «Allora ci illumini,
agente Sabil».
Lei sorrise, e Natasha trovò quel movimento facciale
inquietante tanto quanto il sibilo di un serpente. Nemmeno Clint si
fidava di lei, e considerava irritante la sicurezza che la donna
ostentava con orgoglio, quasi si considerasse migliore di tutti loro
messi insieme.
«Fury mi ha rinchiusa qui dentro per la vostra sicurezza.
Anche nel malaugurato caso che la sua fiducia sia mal riposta e Loki
riesca in qualche modo a manipolarmi, o io stessa decida che alla fine
obbedire agli ordini dello S.H.I.E.L.D non è la mia
priorità, sarò sempre intrappolata qui dentro, e
quindi controllabile, facile da eliminare», espose Khalida,
ferma e sicura.
Tony sollevò un sopracciglio. «Senza offesa, dolcezza, ma non
sembri tanto pericolosa», la punzecchiò.
«Lo dice perché non ha visto come ho ridotto
l'ultimo che mi ha chiamata dolcezza»,
replicò la donna calcando con disprezzo sull'epiteto, per
nulla intimorita.
Stark scoppiò a ridere. «Ho deciso, mi
piace», sentenziò poi, rivolgendosi a Fury.
L'uomo alzò gli occhi al cielo.
All'improvviso, gli sembrava di essere diventato un maestro d'asilo in
mezzo ad una classe di bambini indisciplinati.
Non era per questo che aveva accettato quel lavoro.
Forse avrebbe dovuto chiedere un aumento.
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Ok, iniziamo ad
addentrarci nella storia.
Secondo voi Fury ha detto la verità? Cosa ne pensate di
Khalida?
Ci vediamo
la settimana prossima con il prossimo capitolo.
Ciao ^-*
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 - Come una foglia nel vento ***
Ok,
entriamo nel vivo della storia, d'ora in poi i capitoli iniziano ad
allungarsi e ad essere più corposi.
Spero
che vi piacciano i
dialoghi e che li troviate credibili.
A
presto
Ogni mattina, alla stessa ora, Khalida Sabil si alzava dalla modesta
branda del suo alloggio, legava i capelli in una stretta crocchia
sulla nuca, sciacquava il viso con dell'acqua gelida e leggeva
qualche passo del Corano.
Non era particolarmente credente, ma quella era un'abitudine che
aveva da quando era bambina e la rilassava. In più, dai
vecchi libri
c'era sempre qualcosa da imparare.
La stanza che le era stata assegnata all'interno della Gabbia era
solamente una cella di pochi metri di lunghezza con nient'altro che
un armadio, un letto e un cubicolo adibito a bagno. Spartana, non
rendeva nemmeno l'idea ed essenziale non si avvicinava nemmeno, ma
lei non faceva molto caso ai particolari. Era una donna pratica e,
anche se apprezzava il lusso, comprendeva che nella sua situazione
respirare era già una gran cosa.
Mentre consumava una colazione frugale ma nutriente, si ritrovava
spesso a pensare a quanto fosse ironica la sua situazione.
Per tutta la sua esistenza non si era mai mostrata particolarmente
attaccata alla vita, finché qualcuno non era quasi riuscito
ad
ucciderla.
Nell'istante in cui aveva sentito il calore del proprio sangue tra le
dita, non quello di un qualche estraneo che stava interrogando, si
era resa conto di non essere immortale, di essere esattamente come
tutte le persone che aveva ucciso durante la sua carriera.
Era umana, mortale, fragile come una foglia in balia del vento.
Aveva provato la forte sensazione che tutta la sua vita fosse stata
un semplice miraggio, ma forse questo valeva per tutti gli esseri
umani. Ci si rendeva conto di avere solo una vita a disposizione,
quando ormai la si era sprecata quasi tutta.
Khalida aveva riprogrammato in fretta la sua scala di valori in base
a quella nuova consapevolezza, era sempre stata una persona
adattabile. Per adesso, la sua più grande
priorità era fare in modo
che la sua vita durasse ancora a lungo, e non aveva esitato un attimo
a rifugiarsi dove prima non avrebbe mai pensato di andare.
Lo S.H.I.E.L.D., per molti del suo mestiere, era una meta ultima, una
sorta di paese dei balocchi, il più grande reparto di
spionaggio
internazionale, anzi, ormai universale, della Terra.
Eppure a lei non era mai piaciuta l'idea di entrare in quel grande
meccanismo che ingoiava spie e ne sputava fuori burocrati che
dovevano rendere conto a troppe persone poste troppo in alto per
prendere decisioni celeri. Ammirava Fury e molte altre spie di cui
conosceva la fama, questo sì, ma per il resto non nutriva
molto
rispetto per lo S.H.I.E.L.D. in generale.
Ma a quanto pareva, il destino per lei aveva deciso altrimenti.
Mentre scendeva con calma le scale che l'avrebbero portata nuovamente
faccia a faccia con il suo prigioniero, Khalida si concesse un breve
sorriso. L'interrogatorio di Loki era la sfida più ardua
della sua
vita, ma anche la più stimolante.
Sapeva di avere dei punti in comune con l'alieno, e credeva che Fury
l'avesse scelta anche per quello, oltre che per la sua bravura.
Come lei, Loki era rinchiuso dove non desiderava essere per mero
spirito di sopravvivenza.
Per quanto più resistente fisicamente rispetto a lei,
l'asgardiano
non era un Dio e non era immortale.
Se non fosse stato per la camera di guarigione, la ferita infertagli
dal sicario spedito da Thanos l'avrebbe ucciso.
Forse anche lui si era reso conto troppo tardi di quanto fosse
vulnerabile e, come lei, stava semplicemente raccogliendo i pezzi
delle proprie convinzioni in attesa di formare un nuovo piano
d'azione. Se era così, non aveva molto tempo per
estrapolargli le
informazioni che Fury desiderava. Era arrivato il momento di cambiare
strategia, e di passare dall'aspetto tecnico a quello personale.
Non appena entrò nella sua visuale, Loki la accolse con un
sorriso
obliquo.
Era seduto nell'angolo opposto rispetto al punto d'osservazione di
Khalida e, ora che aveva iniziato a dormire e a mangiare, aveva un
aspetto più sano, un colorito migliore e una luce viva negli
occhi
chiari. Da qualche giorno si mostrava più reattivo. Non
rispondeva
alle sue domande, non in modo diretto, ma la denigrava e parlava con
lei a lungo, a volte.
A suo modo, stava stabilendo con lei un rapporto, in cui lui si
poneva costantemente al di sopra, e Khalida glielo lasciava credere.
Aveva compreso subito che non poteva abbattere il suo orgoglio, per
cui aveva deciso di alimentarlo, cedendogli in mano le redini della
conversazione il più delle volte.
Lo fece anche quella mattina, aspettando con pazienza che fosse Loki
il primo a parlare.
Incrociò lentamente le braccia, fissandolo negli occhi
chiari,
sorridendo nello stesso identico modo dell'alieno di fronte a lei.
Loki si alzò lentamente, osservando l'umana con la testa
lievemente
inclinata.
Aveva studiato a lungo i Midgardiani, e aveva potuto constatare che
molti di loro erano privi di intelligenza e attrattive di sorta. Lo
stesso poteva dirsi della maggioranza degli asgardiani.
In entrambi i casi esistevano, però, delle eccezioni.
Probabilmente l'uomo bendato era riuscito a scovare l'unica umana che
potesse interessarlo per più dei pochi secondi necessari a
meditare
come eliminarla dalla sua strada nel modo più celere
possibile.
«Con quale domanda vuoi iniziare, oggi?», le disse,
facendo qualche
passo avanti.
Khalida sollevò un sopracciglio. «Dipende da
quello di cui vuoi
parlare», concesse.
Loki strofinò lentamente i palmi delle mani l'uno
sull'altro. Aveva
pianificato quel momento.
Quando era arrivato per la prima volta sulla Terra, aveva scelto con
cura le persone da assoggettare alla sua volontà. Selvig gli
avrebbe
permesso di utilizzare al meglio la tecnologia degli umani per
costruire il portale, Barton gli avrebbe fornito tutte le
informazioni di cui necessitava sul nemico.
Ora si trovava in una posizione di netto svantaggio rispetto alla sua
interlocutrice. Lei era certamente ben informata nei suoi confronti,
mentre Loki di quella donna non sapeva nulla, se non il titolo con
cui gli altri le si rivolgevano.
«Parliamo di lei, agente Sabil», iniziò,
muovendo qualche passo in
orizzontale, senza perdere il contatto visivo con la propria
avversaria. «Cosa ha fatto per essere spedita qui
sotto?»,
aggiunse, incalzandola.
Lei irrigidì la schiena. Loki era arrivato alla sua stessa
conclusione, e stava mettendo in atto la medesima strategia che aveva
elaborato. Doveva stare attenta, perché riconosceva
l'abilità
dell'alieno, e sarebbe bastata una sola virgola sbagliata a dargli
troppo potere su di lei.
«Non ho fatto nulla», rispose.
Loki rise di gola. «Oh, di sicuro hai fatto molto, nella tua
vita.
Non sei innocente».
Khalida respirò profondamente. «Non ho detto
questo. Solo non ho
fatto nulla di paragonabile alle tue azioni», disse,
lasciando
trasparire una lieve nota adulatoria.
L'asgardiano sembrò rigirarsi a lungo le parole della donna
nella
mente, quasi ripassandole sulla lingua per comprenderne meglio il
sapore. No, c'era qualcosa che decisamente non gli tornava. Non
riusciva ad arrivare in fondo alle motivazioni di quella donna.
«Anche tu hai una nota sul registro da
cancellare?», domandò di
nuovo, stavolta solo in parte fingendo la curiosità.
Khalida sogghignò. «Un solo registro non
basterebbe a contenere
tutte le mie note», replicò, con una fermezza che
Loki scambiò per
orgoglio.
L'agente Sabil colse l'esitazione dell'alieno per riprendere in mano
la conversazione. «Diciamo che sono come te. Qualcuno mi
cerca, e io
ho bisogno di nascondermi dove non mi possa trovare», disse,
colmando gli ultimi centimetri di distanza che la separavano dalla
parete della gabbia.
Anche Loki, dalla sua parte, si era avvicinato sempre di più
ed ora
i due si guardavano dritto negli occhi, a dividerli solo uno strato
di sessanta centimetri di metallo.
Loki, come un segugio ben addestrato, sapeva fiutare le bugie
immediatamente e fu sorpreso nel cogliere una sincerità
inaspettata
nella confessione della donna.
«Io non mi sto nascondendo», la contraddisse,
lentamente. Potevano
appioppargli tutti gli epiteti che volevano, ma non avrebbe permesso
a nessuno di dargli del codardo.
Khalida annuì. «Certo, sei prigioniero. Ma non
è quello che
faresti, se fossi libero? Mi sembri troppo intelligente per voler
morire come un topo».
Le sopracciglia sottili di Loki si alzarono lievemente.
«Credimi,
non vorresti sapere cosa farei, se fossi libero».
L'agente Sabil non sembrò particolarmente colpita dalla
velata
minaccia. «Perché Thanos vuole
ucciderti?».
Loki serrò le labbra in una fessura sottile, e non
accennò a voler
rispondere.
Khalida finse di sospirare pesantemente, poi addolcì
l'espressione
degli occhi neri. «Parliamoci chiaro, Loki»,
iniziò e l'alieno non
riuscì a nascondere un lieve tremito delle mani al suono del
suo
nome proprio. «Se non inizi a dargli qualche risposta, non
avranno
più molti motivi per mantenerti in vita. Potrebbero decidere
in
fretta di eliminarti, oppure di permettere a Thanos di
trovarti»,
Khalida usava volutamente il “loro”, come se lei
non avesse voce
in capitolo nelle decisioni, oppure non le condividesse.
«È meglio per voi che Thanos non sappia dove mi
trovo. Non sareste
preparati ad affrontarlo», reagì Loki, sempre con
tono minaccioso.
L'agente Sabil sorrise. «Ma se tu ci aiutassi, potremmo
esserlo. E
magari ti libereresti in fretta da uno dei tuoi nemici».
Loki rise forte. «Siete degli illusi. Le vostre ridicole
forze non
potranno nulla contro la furia che vomiterà su di
voi...».
Qualcosa scattò negli occhi di carbone della Khalida.
«Fossi in
te», lo interruppe, freddandolo con uno sguardo gelido.
«Non sarei
tanto trionfante. Ora come ora, quello che accade a noi, accade anche
a te», sentenziò, prima di voltarsi e dirigersi di
gran carriera
verso le scale che portavano al suo alloggio.
«Chiamatemi Fury», ordinò
all'auricolare.
Loki seguì i suoi passi, incolore nell'espressione.
L'agente Sabil, mentre aspettava che il capo dello S.H.I.E.L.D. la
contattasse, lo guardò di nuovo negli occhi. Sorrise, in un
modo che
a Loki non piacque per niente.
«Comunque, il mio nome è Khalida»,
disse, prima di scomparire
dalla sua visuale.
Solo in quel momento Loki capì di essere caduto in tutte le
trappole
che la donna gli aveva teso, mentre lui era troppo occupato ad
intesserne per lei.
Un lento sorriso diabolico animò il viso di Loki.
Adesso iniziava a divertirsi sul serio.
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Temo il vostro giudizio XD
Ciao ^-*
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 - Come un'illusione ***
Ringrazio
chi continua a seguirmi e chi recensisce. Godetevi il capitolo!
Se
possibile, fatemi sapere come credete che la storia prosegua, e le
vostre impressioni sul comportamento di Khalida, così
saprò se sto sviluppando bene la trama,
Grazie
in anticipo!
Un
bacio
Nicole
Poco
a poco, con la lentezza logorante di una goccia che picchetta su una
roccia, Loki stava minando la strategia di Khalida e lei tentava di
fare lo stesso con lui.
Erano in una situazione di stallo da diversi giorni.
A parte poche e scarne informazioni sulla provenienza di Thanos, Titano
una luna di Saturno, e sui suoi obiettivi, il Tesseract in primis,
l'agente Sabil non era riuscita a ricavare niente dalle labbra serrate
dell'asgardiano.
Loki credeva di conoscerla bene, e i sistemi tradizionali stavano
diventando prevedibili, troppo per un avversario scaltro come il suo.
Doveva spiazzarlo, e di conseguenza fare un ulteriore passo nella sua
armatura.
Sapeva già qual'era la mossa giusta, ma aveva esitato a
compierla, dato che era rischiosa.
Al minimo sbaglio avrebbe potuto vanificare tutto il lavoro compiuto
fino ad allora, ma stava perdendo la pazienza. Come le ricordava Fury
ad ogni rapporto, la Terra forse non poteva permettersi un altro giorno
di pace.
Erano vulnerabili, e se Thanos avesse attaccato probabilmente non
sarebbe stata solo New York ad essere spazzata via.
Perciò, quando Khalida si avvicinò a passo
pesante al punto in cui sapeva esserci l'ingresso della Gabbia,
scortata da due dei suoi uomini, aveva sul volto l'espressione di chi
ha preso una decisione e farà di tutto per portarla a
termine.
Loki, in piedi al centro della sua cella, osservò con
espressione incuriosita l'agente Sabil che si liberava delle armi
– la fondina alla coscia e i due pugnali da lancio nascosti
negli stivali – e affidava il comando a distanza della Gabbia
ai suoi sottoposti.
Non riuscì nemmeno a descrivere quello che provò,
un misto tra stupore, rabbia e trionfo, quando la porta di metallo
scivolò sui suoi cardini invisibili e silenziosi.
Khalida fece due passi sul pavimento di lamiere, e le spesse suole di
gomma degli stivali produssero un suono sinistro ed echeggiante, nello
spazio angusto.
A pochi metri di distanza, Loki e Khalida si studiarono a lungo, mentre
con un lievissimo fruscio la porta tornava al suo posto.
Questa volta l'agente Sabil non lasciò spazio
all'asgardiano. «C'è una cosa che mi sono sempre
chiesta», iniziò, portando lentamente le mani in
avanti, per mostrare i palmi vuoti. «Le illusioni che crei,
come funzionano? Sfruttano le paure inconsce dei tuoi
nemici?».
Loki valutò attentamente il cambiamento di situazione.
Innanzitutto, la donna si era messa in una posizione di svantaggio.
Gli sarebbero bastati pochi istanti per raggiungerla e altrettanti per
ucciderla in almeno dieci modi differenti.
E lei ne era perfettamente consapevole.
Se aveva corso quel rischio potevano esserci solo due ragioni
fondamentali: era disperata perché ancora non aveva ottenuto
niente di concreto da lui, oppure era sicura di non rischiare nulla ad
avvicinarlo per qualche misteriosa ragione che gli sfuggiva.
In effetti, entrambe le motivazioni andavano a suo vantaggio.
Nella prima, lui deteneva ancora il controllo della situazione, e la
sua vita era al sicuro, almeno dalle minacce degli umani. Nella
seconda, l'agente Sabil lo stava sottovalutando e aveva già
potuto constatare quanto fosse utile come circostanza.
Ma la domanda che gli aveva posto, oh, quella era la cosa davvero
interessante!
Loki non riusciva ad immaginare perché fosse interessata
alle sue capacità.
Forse stava semplicemente provando a stabile con lui un legame o, come
amavano dire gli umani, stava provando a fare amicizia.
Loki rise sotto i baffi. Come se lui potesse essere interessato ad un
rapporto con un essere del genere. Per quanto interessante, la donna
era diventata presto noiosa e prevedibile, perfino quella mossa
disperata, in fondo se l'aspettava.
Khalida era ancora davanti a lui in attesa di una risposta e,
continuando a sogghignare, il Dio decise di accontentarla. Si
concentrò, fissandola negli occhi e dal nulla intorno a lei
comparvero cinque serpentelli sibilanti, lunghi un metro, di colore blu
e nero.
L'agente Sabil li osservò mentre si agitavano e si
affannavano verso di lei, facendo guizzare le lunghe lingue biforcute.
Capì subito che quell'illusione, incredibilmente realistica,
era la risposta alla sua domanda.
Lei non aveva paura dei serpenti, era cresciuta nel deserto e aveva
imparato a convivere con quegli animali sin da quando era in fasce.
E questo Loki non poteva saperlo, evidentemente.
Dal brillio consapevole nelle pupille nere e immobili della donna, Loki
comprese che aveva colto il suo messaggio. In fondo, per essere una
midgardiana, era perspicace.
«Ti basi solo sul tuo intuito allora»,
azzardò Khalida.
Loki fece una breve smorfia di disappunto. «Esperienza, non
intuito», la contraddisse, con un moto d'orgoglio.
L'agente Sabil prese atto della precisazione con un delicato cenno
della testa. Ostentando sicurezza, fece un passo in avanti, riprendendo
a parlare. «Quello che puoi creare, ha dei limiti?».
Per risposta Loki materializzò davanti ai suoi occhi decine
di scenari differenti, dai panorami di Asgard, alle profonde tenebre di
ghiaccio di Jotunheim. La donna dovette ricorrere a tutto
l'autocontrollo che disponeva per non mostrarsi affascinata.
«Solo la mia fantasia», chiarì Loki,
mentre lasciava svanire l'ultima illusione.
Khalida prese un lungo respiro per rallentare il cuore accelerato.
«Perché, nonostante le tue abilità, ti
sei alleato con Thanos?».
L'asgardiano aggrottò le sopracciglia, stupito
dall'interrogativo intelligente, fin troppo per il modo in cui
giudicava la donna. Si rese improvvisamente conto del pericolo
incombente di sottovalutare a sua volta l'avversaria che aveva di
fronte. Digrignò i denti, consapevole di essere entrato in
un'altra fase della strategia dell'umana.
Decise di assecondarla in parte, per avere più chiaro il suo
obiettivo.
«Padroneggiare il Tesseract non è facile. Avevo
bisogno di un manufatto che era in possesso di Thanos»,
spiegò.
Khalida trattenne un sorriso. Come aveva preventivato, Loki era
disorientato da quel cambiamento e stava sondando il terreno,
concedendole in contemporanea qualche risposta. Poche briciole, certo,
ma già qualcosa su cui lavorare.
«Lo scettro», annuì, come ad invitarlo a
proseguire.
Loki fece un sorriso sbilenco e non aggiunse nulla.
Khalida scrutò a lungo gli occhi chiari dell'alieno, come a
cercare in quelle pozze verdi ciò che lo faceva sogghignare
di soddisfazione.
Rifletté a lungo, soppesando le opzioni a sua disposizione.
Improvvisamente, in un lampo di consapevolezza, capì.
Loki era certo che li avrebbe visti morire, uno ad uno.
Era evidente che lui aveva un piano per uscire indenne dall'inferno che
si sarebbe scatenato di lì a breve.
Loki si trattenne dal ridere apertamente, davanti al genuino sentimento
di timore che animò gli occhi scuri della donna di fronte a
lui, ormai solo a pochi metri di distanza.
Avrebbe voluto infierire, per strapparle definitivamente quella
maschera impassibile e vederla comportarsi esattamente come si
aspettava da un essere della sua razza. Avrebbe gradito anche un
insulto, giusto per avere una reazione emotiva.
Ma, contrariamente ai loro piani, lui e l'agente Sabil furono costretti
a distogliere l'attenzione l'uno dall'altra.
Dentro la Gabbia, i suoni giungevano lontani ed attutiti quando gli
altoparlanti non erano in funzione. Per questo Khalida si accorse di
cosa stava accadendo solo troppo tardi.
Le porte della stanza erano state aperte e, con passi pesanti come
quelli di un cavallo ferrato, Thor stava procedendo verso la prigione
del fratello.
«Che cosa diavolo stai cercando di fare?»,
urlò rivolto a Loki. Il martello stretto in pugno e pronto a
colpire. «Non ti permetterò di fare del male a
nessuno, Loki, non di nuovo», aggiunse, abbassando di un tono
la voce, rendendola simile al rombo minaccioso di un tuono lontano.
Khalida realizzò con terrore che l'alieno era fuori di
sé per la rabbia, non avrebbe esitato molto prima di tentare
di fare a pezzi la Gabbia con Mjolnir.
Non aveva idea di cosa avesse scatenato quella reazione, e non le
interessava.
Andava fermato.
L'adrenalina le schizzò nelle vene, mentre in fretta
valutava esattamente come procedere.
Tentare di gestire i due fratelli, contemporaneamente, era un'impresa
immane, e non era certa di riuscirci.
Loki, sorpreso ma compiaciuto dell'odio che finalmente scorgeva negli
occhi chiari del fratello, rise apertamente. «Sei stato tu a
riportarmi qui. Qualsiasi cosa accadrà, sarà solo
colpa tua», gli ricordò, con la
brutalità della verità.
Thor parve perdere completamente il lume della ragione.
«Dovevo ucciderti quando potevo farlo»,
minacciò, cominciando a far ruotare velocemente il martello.
Loki strinse gli occhi. «Già, avresti
dovuto», sibilò.
Khalida capì che, se non agiva in fretta, sarebbe finita in
mezza alla lite, e probabilmente né lei né la
Gabbia ne sarebbero uscite intere.
Con un gesto furibondo, fece cenno al suo secondo di aprire la porta.
Loki la derise, vedendola dargli le spalle, ma lei non ci fece troppo
caso.
Adesso aveva un altro alieno nevrotico ed egocentrico da gestire.
Non appena fuori dalla prigione di metallo Khalida irrigidì
tutti i muscoli del corpo, tesi e pronti a scattare e, prima ancora che
il suo giovane compagno potesse porgergliela, afferrò la
propria pistola e la puntò contro Thor.
«Piantala con quel martello, o ti ficco una pallottola in
testa», minacciò, serissima.
Thor non sembrò scoraggiarsi, e spostò gli occhi
ardenti dal fratello alla piccola umana, voltandosi verso di lei. Un
sorriso di scherno gli animò il volto e Khalida
pensò che in quello assomigliava a Loki: erano arroganti
nello stesso, irritante, modo.
Ma, almeno, Loki aveva la prontezza di ammetterlo ed esserne fiero,
mentre Thor aveva la stolida sicurezza di chi è sempre certo
di essere nel giusto.
E lei quelli così proprio non li sopportava.
Prima che Thor anche solo provasse a fare un passo verso di lei,
Khalida fece fuoco e il proiettile rimbalzò sulle piastre
metalliche dell'armatura aliena con un lampo di scintille. Sapeva di
non poter nemmeno fare un graffio al corpo dell'asgardiano con comuni
proiettili ma confidava che la sua determinazione lo facesse desistere,
almeno in parte.
Thor avvertì l'odore sgradevole della polvere da sparo e,
stupito e sorpreso, capì che quella donna era dalla parte di
Loki, e che li stava condannando tutti quanti a morire.
Strinse la presa sul martello, deciso a porre fine a tutto quanto, ma
in un battito di cuore si ritrovò bloccato da due braccia
forti quanto le sue.
«Calmati Thor!», gli intimò la voce di
Steve Rogers.
La presenza del compagno sembrò far rinsavire
improvvisamente l'alieno, e Khalida ne approfittò per
riprendere in mano la situazione. «Lo porti via da qui,
Capitano Rogers! E tra un'ora vi voglio tutti nella sala riunioni,
compreso il signor Stark», ordinò, autoritaria.
Natasha, accorsa nella stanza appena in tempo per sentire gli ultimi
ordini della donna, si spaventò per la furia omicida che
traspariva dalla sua voce. Quando Khalida le passò accanto,
diretta ai propri alloggi, si scostò con un timore
viscerale. Capì immediatamente che era meglio non far
arrabbiare mai quella donna, se teneva alla propria vita.
Una volta sola nella propria stanza, Khalida Sabil afferrò
la prima cosa che le capitò sottomano e la
scagliò contro il muro di metallo, provocando un rumore
infernale e una lieve ammaccatura sulla parete. Si passò
nervosamente le mani nei capelli sciogliendo l'acconciatura castigata.
Come aveva temuto, quella mossa si era rivelata troppo rischiosa, e
adesso tutto era stato rovinato.
Soffocò un urlo di frustrazione nel cuscino.
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Alla settimana prossima!
^-*
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 - Come un bisturi ***
Ringrazio
chi continua a leggere, anche se non
commenta. un bacio speciale per Red_Sayuri... lo sai vero che tutto
questo è solo merito tuo?
Proseguiamo con il
capitolo 7, ormai siamo a metà della
storia... come credete che proseguirà?
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Come appena due settimane prima, i Vendicatori al completo erano
radunati nella sala riunioni circolare, tutti impegnati a fingere di
essere lì volentieri.
Natasha giocherellava nervosamente con una matita, Clint accarezzava
con la punta delle dita una piuma che poco prima aveva strappato da una
delle sue frecce, Steve batteva ritmicamente la punta del piede a terra
e Bruce si toccava insistentemente gli occhiali.
Thor, seduto rigidamente con le braccia strette al petto, ostentava
orgoglio, quando in realtà si vergognava del suo
comportamento impulsivo.
Le minacce che aveva colto nel tono di Loki, nel modo in cui parlava e
sorrideva, gli avevano ricordato improvvisamente quello che il fratello
aveva detto ad Asgard, mentre tentava di impedirgli di annientare
Jotunheim. Era stato con tono sfrontato e vendicativo che aveva
affermato di voler colpire Jane per ferire lui.
Non avrebbe permesso che accadesse niente del genere a nessuno degli
umani con cui aveva stabilito un legame, ma ciò che aveva
detto Loki poco prima gli pesava sulla coscienza.
E se, avendolo portato lì, avesse solo commesso un terribile
errore?
Con un gesto abituale, passò la mano sopra la superficie di
Mjolnir, sperando che l'antico oggetto gli trasmettesse un po'di calma
e gli schiarisse le idee e i sentimenti confusi che si agitavano sotto
la corazza.
Solo Stark, come al solito presente attraverso lo schermo al plasma,
pareva a suo agio, stravaccato sulla sua poltroncina con le mani
incrociate sulla nuca, l'immagine dell'uomo rilassato e sicuro di
sé, oppure dello spettatore davanti alla prossima commedia
dell'anno. Rogers non era stato molto prolisso nello spiegare il motivo
di quella convocazione, ma era abbastanza sicuro che ci sarebbe stato
da ridere.
Fury stranamente non era presente, ma ogni persona nella stanza era
consapevole che li stava osservando con attenzione attraverso le decine
di telecamere e microfoni sparsi in tutta la base.
Steve Rogers guardò l'orologio e, nel momento esatto in cui
la lancetta passò sopra il numero dodici, Khalida Sabil fece
il suo ingresso nella stanza.
Non aveva niente della donna selvaggia che aveva puntato ferocemente la
pistola contro un alieno che avrebbe potuto ucciderla con una sola
mano, era rientrata perfettamente nel suo ruolo composto e impassibile.
I capelli erano di nuovo legati sulla nuca, il volto liscio e incolore,
le mani calme e i gesti e i passi misurati e calcolati. Tutto in lei
trasmetteva l'idea del controllo assoluto.
Con passo pesante camminò fino al centro della stanza e
salutò con un cenno i presenti, poi si accomodò
delicatamente e incrociò i palmi sul tavolo, in un gesto
aperto che aveva un significato di riconciliazione o forse solo di
tregua.
«Quello che è accaduto oggi non deve
ripetersi», iniziò con voce chiara.
«Nessuno di voi deve accedere alla Gabbia senza il mio
consenso e, soprattutto, non nel bel mezzo di una seduta di
interrogatorio», aggiunse, scrutando i volti dei presenti e
fissandosi insistentemente su Thor e Steve.
Quest'ultimo si sentì in dovere di difendere il compagno.
«Ci siamo allarmati tutti quando ci siamo accorti che eri
entrata nella Gabbia. Abbiamo temuto che Loki potesse prendere il
sopravvento e ucciderti».
Khalida fece un mezzo sorriso. «Per quanto mi commuova il suo
interessamento, Capitano, come svolgo il mio lavoro non sono affari
vostri. Se ero lì dentro c'era un ottima ragione, e voi
adesso avete vanificato tutti i miei sforzi di questi
giorni», chiarì, stavolta fissando apertamente
Thor.
Questi, finalmente intervenne con la propria voce, difendendosi.
«Il mio comportamento è stato stupido e
impulsivo», ammise. «Ma lo stesso non ritengo che
lei stia facendo progressi, agente Sabil, e questo da molti giorni. Non
sappiamo ancora nulla su Thanos».
«Nulla?», intervenne a sorpresa Tony Stark, dal suo
schermo. «Se per voi sapere che questo Thanos ha forze
incredibili, mira al Tesseract, e vuole distruggerci è
nulla, allora siete davvero insaziabili», disse, sarcastico,
poi di fronte agli sguardi stupidi o scettici dei suoi compagni, rise.
«Sono davvero l'unico che l'aveva capito?».
L'agente Sabil annuì, come a dar ragione a Tony.
«E se non mi aveste interrotto, adesso sapremo molte altre
cose».
Natasha raddrizzò la schiena. «Perdoni la
franchezza, agente Sabil...».
«Khalida, chiamami Khalida», la interruppe la
donna, guardandola negli occhi.
La Vedova Nera aggrottò le sopracciglia, ma
ubbidì. «Khalida. Forse sarebbe meglio se ci
illustrassi meglio la tua strategia con Loki, così eviteremo
di interferire».
Khalida sospirò. «Immagino che a questo punto sia
inevitabile», ammise, poi si prese un attimo per riflettere e
riordinare le idee, doveva stare molto attenta a cosa rivelava e cosa
no.
«Sono stata selezionata da Fury per questo compito, oltre che
per le mie capacità e la mia esperienza, anche per la mia
totale estraneità ai fatti di New York e a quelli che li
hanno preceduti. Chiunque di voi sarebbe stato troppo coinvolto
emotivamente nei confronti di Loki per condurre un interrogatorio.
Tutti siete stati toccati in un modo o nell'altro dalla morte
dell'agente Coulson. Loki questo lo sa e il vostro rancore nei suoi
confronti lo fa mettere sulla difensiva», la voce dell'agente
Sabil era fredda e chirurgica. Come un bisturi affilato tagliava a
strisce sottili e svendeva quelli che erano i loro più
intimi sentimenti, forse quelli che nemmeno riuscivano a comprendere ed
accettare.
I Vendicatori si sentirono improvvisamente nudi, esposti agli occhi di
carbone di quella donna acuta e spigolosa. Conscia dell'effetto delle
sue parole, Khalida si lasciò sfuggire un sorriso.
«Il mio compito è quello di stabilire un legame di
fiducia con Loki. Deve vedermi completamente estranea a voi,
dovrà arrivare a credere che io sia dalla sua
parte...».
«A me sembra che lei già ci sia, dalla sua
parte», la interruppe bruscamente Thor, penetrandola con
un'occhiata cristallina.
«È il mio prigioniero, ed è normale che
lo protegga. Da morto non può dirmi nulla»,
replicò lei, con calma, poi prese un lungo respiro.
«Inoltre», riprese. «Trovo ipocrita che
un assassino ne giudichi un altro».
Thor batté il pugno sul tavolo. «Come osa darmi
dell'assassino?», tuonò, le vene sui bicipiti
muscolosi gonfie e tese, i nervi scattanti.
Khalida non fece una piega. «Mi riferivo a me»,
chiarì.
Un lento silenzio pesante calò sulla sala. Certo, nessuno si
era immaginato che la donna fosse pura e innocente, ma sentirla parlare
con quella sicurezza, con orgoglio quasi, fece correre un brivido lungo
la schiena di molti di loro.
L'agente Sabil lasciò che le sue parole si imprimessero bene
nella mente dei suoi ascoltatori, poi rilassò
impercettibilmente le spalle. «Comunque, non è
solo per questo che vi ho convocati», iniziò,
assicurandosi nuovamente l'attenzione di tutti. «Prima di
venire interrotta, ero finalmente riuscita a portare la mia
conversazione con Loki su un argomento di cui non sappiamo nulla: lo
scettro che aveva con sé quando ha attaccato la
Terra».
L'agente Sabil si alzò, e sfiorò con la punta
delle dita uno schermo dietro di lei. Sui cristalli liquidi comparve
un'immagine dettagliata dell'oggetto e un grafico ondeggiante.
«Dottor Banner, mi corregga se sbaglio», premise
Khalida, toccando un paio di icone, prima di proseguire.
«Sappiamo che lo scettro emana una debole firma gamma,
identica a quella del Tesseract. Oggi Loki mi ha rivelato che lo
scettro è un manufatto che doveva aiutarlo nel gestire il
potere del Cubo».
«È un ipotesi che avevamo già
avanzato», fece presente Stark. «Ma lo scettro non
sembra rispondere. Non riusciamo ad usarlo».
«Questo probabilmente perché il suo proprietario
non vi ha autorizzato a farlo», annuì Khalida.
«Proprietario? Intendi Loki?», chiese Steve, che
già stava iniziando a perdersi in quel ragionamento.
«No, Thanos», rispose Khalida.
Tony capì immediatamente le implicazioni di quelle due
semplici parole. «Siamo fregati»,
vaticinò, passandosi una mano sul volto.
«Si spieghi Stark», lo incalzò Clint, i
cui sensi erano già in allerta.
Non gli piaceva per niente la piega che stava prendendo la
conversazione.
Tony sospirò, come se dovesse ripetere per l'ennesima volta
una lezione che anche un bimbo delle elementari poteva comprendere.
«Quando possediamo un oggetto a cui teniamo molto,
solitamente abbiamo sempre un modo per rintracciarlo. Per esempio, i
trasmettitori GPS nelle auto o nei cellulari ci permettono di
localizzarli ovunque si trovino».
Uno dopo l'altro, i Vendicatori arrivarono ognuno alla stessa
conclusione.
«Stai dicendo che lo scettro permette a Thanos di
rintracciarci?», azzardò Natasha.
«Come se avessimo un enorme bersaglio luminoso quanto Las
Vegas sulla schiena», chiarificò Stark.
«Dobbiamo trovare il modo di spegnerlo», aggiunse.
Banner scosse la testa. «Impossibile, a suo modo è
una piccola fonte d'energia come il Tesseract. Se anche lo spegnessimo,
si riattiverebbe», illustrò.
Khalida toccò nuovamente lo schermo e una serie di disegni
animati di quelle che sembravano pistole e fucili futuristici
sostituì l'immagine dello scettro.
«La Fase 2 va portata avanti. Abbiamo bisogno di queste armi.
Probabilmente saranno la nostra unica speranza di difenderci
dall'attacco imminente di Thanos», disse. «Fury
è già d'accordo».
Thor si alzò in piedi. «Non se ne parla. Non vi
abbiamo dato il Tesseract per questo scopo».
«Le circostanze sono cambiate, Figlio di Odino. Sono certa
che il Padre degli Dei comprenderà»,
insisté Khalida.
«Ha ragione, Thor», annuì Stark.
Thor strinse i pugni e guardò Steve, cercando sostegno nel
compagno.
Il Capitano sospirò profondamente, riflettendo.
Aveva visto il potere distruttivo delle armi create dall'Hydra e non
negava che il loro aiuto poteva fare molto comodo alla Terra.
Ma era conscio che ogni tipo di potere ha un prezzo, solitamente troppo
elevato da pagare. Lui stesso ne era una prova fin troppo palese.
In un altro momento, non avrebbe mai acconsentito alla creazione di
niente di simile.
Ma quella situazione, imponeva estreme soluzioni.
Il Capitano fissò intensamente Khalida. «Solo ad
una condizione», disse.
L'agente Sabil annuì, senza badare allo sconcerto sul volto
di Thor, e invitò l'uomo a proseguire.
«Quelle armi saranno ad uso esclusivo dello S.H.I.E.L.D. Non
dovranno mai uscire da questa base», illustrò il
Capitano.
Khalida sorrise ferocemente. «Affare fatto».
Era andata molto meglio di quanto aveva pensato.
Si erano bevuti ogni singola parola.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 - Come un fiammifero ***
Questo
capitolo, non doveva esistere XD questo è una sorta di
episodio di mezzo, prima della discesa finale della storia verso la
conclusione.
Il titolo e parte degli
avvenimenti mi sono stati suggeriti da Red_Sayuri, beta
insostituibile!
Buona lettura.
La
Fase 2 procedette velocemente grazie al contributo sia economico che
intellettuale di Stark, ai ricordi di Rogers e alla grande
capacità di Banner e del team di ingegneri che si occupava
del progetto. In meno di una settimana quasi ogni agente predisposto
alla protezione del Tesseract e di Loki possedeva in dotazione due
pistole di nuova generazione ed era stato preparato ad usarle.
Nonostante l'addestramento ricevuto, Khalida aveva sempre detestato le
armi da fuoco, preferiva il combattimento a mani nude e all'arma
bianca. Madre natura non l'aveva dotata di una mira particolarmente
precisa mentre, nonostante la corporatura esile, era più
forte della maggioranza delle donne.
Eppure doveva ammettere che con quelle pistole era tutta un'altra
storia.
Tony Stark, dimostrando un'inventiva che l'aveva piacevolmente
sorpresa, aveva dotato ogni arma di una sorta di mirino automatico, che
rilevava il movimento e agganciava il bersaglio. Naturalmente il
sistema era limitato e ci voleva comunque abilità e
preparazione per riuscire a centrare i bersagli, ma per Khalida era
come trovarsi al luna park. Non si era mai divertita tanto
nell'imparare a maneggiare delle armi.
Purtroppo, anche se le sarebbe piaciuto, il dispositivo non era stato
ideato per lei.
Le pistole erano ancora dei prototipi e quindi erano molto pesanti,
circa il triplo di una normale arma da fuoco. Se ciò non era
un problema per Steve Rogers, lo era diventato per gli altri agenti,
compresa Natasha. La prima volta che aveva sparato non aveva nemmeno
sfiorato il suo bersaglio, rischiando di ferire seriamente Tony.
Probabilmente era per questo che il miliardario si era dato da fare per
sistemare in fretta il problema.
Comunque, anche risolto l'inconveniente della mira, c'erano ugualmente
delle difficoltà.
La potenza sprigionata ad ogni colpo era centinaia di volte superiore a
quella di un comune proiettile, il rinculo era spaventoso e molti
agenti si erano addirittura fratturati le dita al primo uso. Nonostante
le migliorie, i colpi erano imprecisi, spesso del tutto approssimativi
e questo creava non poche complicazioni, dato che un oggetto colpito
veniva semplicemente disintegrato, scomposto nelle sue molecole
più elementari.
Un colpo accidentale era fatale.
Fury, dopo il presentarsi di tutte queste problematiche, aveva
programmato degli allenamenti intensivi e controllati cui nessuno era
esentato. Dopo ogni seduta d'allenamento, l'agente riceveva una
votazione, che permetteva a tutti di notarne i progressi. Se qualcuno
non imparava in fretta a maneggiare una tale potenza, veniva assegnato
ad un altro incarico e sostituito da un agente più capace.
Khalida solitamente si allenava insieme ai suoi sottoposti, o al
massimo con l'agente Barton e l'agente Romanoff. Ma quel giorno era
capitata in coppia con Tony Stark, brillante come sempre nella sua
armatura ultimo modello, completamente cromata con le rifiniture color
platino che, come lui teneva a precisare, erano veramente di platino.
Un'ulteriore miglioria erano i nuovi proiettili caricati con l'energia
del Tesseract nascosti negli avambracci e sulle spalle del miliardario.
L'altra coppia insieme a loro era formata da Steve Rogers e Thor.
L'asgardiano si era rifiutato di imparare ad utilizzare le nuove armi
ritenendo, probabilmente a ragione, che Mjolnir fosse superiore, ma
Fury non l'aveva esentato dalle esercitazioni. Quantomeno, aveva
dichiarato di fronte alle rimostranze dell'alieno, lo avrebbero aiutato
a sviluppare la capacità di lavorare in team.
L'esercizio era molto elementare: la coppia si trovava di fronte a due
macchine che sputavano in rapida successione piccoli droni a forma di
sfera; l'obiettivo era fare in modo che il proprio compagno non venisse
colpito.
Come al solito la cosa era molto più semplice a dirsi che a
farsi, i droni possedevano un'intelligenza artificiale quasi umana ed
erano in grado di riconoscere il movimento e di evitare i colpi ma,
dopo un primo momento di rodaggio, entrambe le coppie erano entrate in
sintonia e avevano completato con successo tutte le sequenze
d'allenamento.
«Accidenti dolcezza, te la cavi bene!», si
complimentò Tony, sollevando la visiera dell'elmo.
Khalida fece una smorfia, ma accettò la lode senza replicare
all'ironia del miliardario.
Ormai ci aveva fatto il callo e aveva compreso che quei nomignoli
irritanti erano praticamente una dimostrazione d'affetto per Stark, un
po' come lo era per i cani sbavare e leccare i padroni.
Accanto a loro, con un sibilo meccanico, l'ultimo drone
crollò ai piedi di Thor, stroncato da una scarica elettrica
abbastanza potente da fonderlo parzialmente.
Iron Man lo osservò attentamente. «Sei sempre il
solito megalomane Thor», scherzò.
Captain America rise, riponendo lo scudo al braccio. Con un'occhiata,
consultò l'orologio.
«Abbiamo tempo per un'altra seduta»,
osservò.
Tony sbuffò. «Vorrei davvero che fossimo in una
SPA e stessi parlando di un rilassante massaggio thailandese».
Steve lo guardò sollevando le sopracciglia, non capendo.
Stark fece un gesto come ad allontanare una mosca fastidiosa.
«Roba troppo moderna per te», lo
canzonò, poi fu come fulminato da un'idea.
Guardò Khalida. «Hey, perché non ci
scambiamo i compagni? Io prendo il vecchietto, tu l'autostoppista
intergalattico», propose, con la gioia di un bimbo davanti a
un negozio di caramelle.
L'agente Sabil osservò la reazione di Thor, ma l'alieno
sembrava di ottimo umore, euforico quasi.
In effetti, da una persona del suo temperamento, c'era da aspettarsi
che menare le mani lo galvanizzasse.
Accettò la proposta di Tony con un cenno del capo e si
avvicinò al nuovo compagno.
Steve andò verso Tony. «Chiamami ancora
vecchietto, e lascerò che uno di quei cosi ti rovini
l'armatura nuova», minacciò, con un'aria scherzosa
nella voce.
Iron Man lasciò calare la maschera sul viso. «Che
c'è Capitan Ghiacciolo, iniziamo a scaldarci?»,
insisté imperterrito. Steve contò fino a dieci e
poi ricominciò da capo, per essere sicuro di stare calmo. In
fondo, una volta abituato ai modi di Stark, apprezzava il modo in cui
sapeva spezzare l'atmosfera pesante che aleggiava nella base.
Nonostante la novità delle armi, era ovvio che un attacco
sarebbe stato al di là delle forze dello S.H.I.E.L.D. Forse,
era persino al di là delle forze dei Vendicatori.
E su quello, purtroppo, non c'era niente da ridere.
Thor fece un sorriso aperto a Khalida.
Era vero, quella donna non gli piaceva ma, come gli aveva suggerito
Jane quando gliene aveva parlato, era giunto il momento di mostrarsi
superiore e di non cedere alle sue provocazioni.
E poi, in fondo, era una donna e andava trattata con un certo rispetto.
L'agente Sabil non sembrò particolarmente colpita dai suoi
sforzi, ma lui non si arrese. «Preferisci la destra o la
sinistra?», domandò.
«Sinistra», rispose lei, prima di attivare con un
cenno la macchina.
I due cannoni di lucido metallo cromato si assestarono lentamente nella
posizione corretta e una fila di lucine verdi si accese alla base. Un
basso ronzio riempì la stanza.
Khalida strinse le dita sulla pistola, iniziando a contare.
Dall'accensione della macchina alla comparsa del primo drone passavano
esattamente cinquanta secondi. Aveva capito subito che per lei, comune
umana che non possedeva tecnologie da capogiro o una forza fuori dal
comune, la tecnica consisteva nel calcolare esattamente il lasso di
tempo che passava tra un drone all'altro, colpendoli non appena la
macchina li sputava fuori.
Arrivata a quarantanove, fece fuoco, frantumando la prima sfera di
metallo e si concentrò, continuando a contare, estraniandosi
dall'ambiente intorno a lei.
Mentre l'esercizio proseguiva, aumentando mano a mano la
difficoltà, Khalida dovette constatare che il suo compagno
non era attento quanto lei. Sempre più spesso era costretta
a schivare i droni che Thor non riusciva a colpire in tempo.
Più che altro, l'asgardiano sembrava giocare senza
impegnarsi seriamente, forse dimenticando che la sua compagna attuale
non aveva la pelle resistente quanto Captain America.
Se uno di quei droni l'avesse colpita nel punto sbagliato, avrebbe
potuto morire.
«Thor, concentrati maledizione!», gridò
l'agente Sabil, dopo aver scansato per un pelo l'ultimo drone.
L'alieno fece un sorriso, friggendo con un lampo una schiera di
proiettili diretti alle ginocchia di Khalida. «Sono
concentrato», sottolineò.
«Agente Sabil, giù!», avvertì
Steve, proteggendosi contemporaneamente il fianco con lo scudo.
Per tutto il tempo, il Capitano era stato pronto a sorvegliare non solo
il proprio compagno, ma anche la coppia accanto a lui. Era una cosa che
gli era rimasta addosso dalla guerra, quando al suo comando aveva
decine di uomini che dipendevano solo da lui.
Khalida percepì l'avvertimento, ma era solo un'umana e non
poté fare nulla oltre che accettare l'inevitabile. Non si
lasciò sfuggire un lamento, quando cadde a terra scomposta.
La pistola le sfuggì dalle mani, rotolando lontano.
Tony arrestò le macchine sparando ad entrambe due colpi ben
piazzati sotto il pannello di controllo. Sapeva che avevano una
procedura d'arresto d'emergenza, ma quel metodo era decisamente
più sbrigativo ed efficace.
Tutti i droni superstiti precipitarono a terra, producendo un clangore
metallico, sopra lo sfrigolio di scintille delle macchine distrutte. Un
allarme risuonò in lontananza.
Steve fu il primo ad inginocchiarsi al fianco di Khalida, che era
cosciente ma non si muoveva. Sullo zigomo aveva un lungo taglio obliquo
di una decina di centimetri che sanguinava copiosamente e una grossa
escoriazione su tutta la guancia. Da come serrava le labbra, il
Capitano intuì che doveva soffrire molto e si stava
sforzando con tutta sé stessa di non darlo a vedere.
«Dolcezza, sei morta?», intervenne Stark,
piegandosi sopra il suo viso.
Khalida emise uno sbuffo irritato e respirò profondamente.
«Le piacerebbe, Stark», brontolò,
sbattendo le palpebre.
Nella testa le risuonava ancora il colpo ricevuto, rimbalzandole tra le
pareti del cervello in cerca d'uscita. Avrebbe avuto un mal di testa
atroce per tutto il giorno, probabilmente una brutta cicatrice e un
livido da ricordare, ma era sicura di non avere niente di rotto. Le era
già capitato di spezzarsi sia il naso che lo zigomo, e il
dolore non era altrettanto intenso.
Nella sfortuna, era stata graziata.
Poteva andarle molto peggio.
L'agente Sabil accettò l'aiuto di Steve per mettersi seduta
e poi alzarsi in piedi.
Aspettò che il lieve capogiro passasse e la vista le si
chiarisse, prima di guardare Thor negli occhi.
Il potente Dio del Tuono sembrava un ragazzino appena beccato con le
mani nella marmellata.
Khalida indurì le labbra e si preparò per la
stoccata finale.
Era da quando lo aveva affrontato per la prima volta che aveva voglia
di cantargliele.
«Spero che tu abbia capito la lezione. Non ho voglia di
morire, la prossima volta», iniziò, poi si
liberò dalla presa gentile di Steve, avvicinandosi.
«Non tutti i tuoi compagni sono resistenti come il Capitano o
i tuoi amici asgardiani. La maggioranza dei tuoi alleati saranno
inferiori a te, deboli, da proteggere. Siamo solo umani, Thor. E non
saremo mai come te», la voce fredda della donna contrastava
con lo sguardo improvvisamente malinconico. Nel tono aveva qualcosa che
poteva interpretarsi come invidia, o amarezza. Nessuno dei presenti si
riteneva in grado di decifrare appieno le parole della donna o i suoi
sentimenti, se ne provava.
Thor non riuscì a replicare e Khalida ne
approfittò per proseguire. «Non puoi permetterti
di accenderti come un fiammifero, ad un minimo sussulto. Non servirai a
nulla se ti consumi in fretta. La tua concentrazione deve essere suoi
tuoi compagni, sulla battaglia, sulle persone che devi proteggere. Sei
stato tu a prenderti l'incarico di difenderci, devi esserne
all'altezza».
La donna infierì con un ultimo sguardo di compatimento.
«È davvero triste pensare che la Terra sia in mano
a una persona che probabilmente non è altro che un ragazzino
viziato che si crede un dio», concluse, voltando le spalle
all'asgardiano e dirigendosi verso l'uscita, dopo aver recuperato la
propria arma.
Sulla soglia, Khalida si voltò improvvisamente, come se si
fosse ricordata qualcosa di importante.
Thor la guardava ferito e deluso, non aveva aperto bocca, segno che
probabilmente sapeva che la donna era nel giusto.
Sia Stark, che Steve non avevano osato mettersi in mezzo, soprattutto
adesso che l'agente Sabil era nuovamente armata.
Khalida respirò dal naso, gonfiando i polmoni. Il sangue le
scorreva lungo il collo, e la guancia le bruciava come se fosse
ustionata. Fu solo per cattiveria pura e semplice, che non si
limitò ad affondare la lama, ma la rigirò con
gusto nella ferita che aveva aperto. «Se dovessi scegliere un
alleato in battaglia, sceglierei tuo fratello. Lui non avrebbe mai
permesso che un suo compagno venisse ferito».
«Loki non ha compagni», replicò con
astio Thor, alzando la voce.
Khalida sorrise. «Certo, perché gli avete voltato
tutti le spalle», sentenziò, poi uscì a
passo svelto dalla stanza.
Un fremito percorse i muscoli di Thor e Steve gli posò una
mano sulla spalla. «Lascia perdere», gli
consigliò, serio.
Tony gettò uno sguardo alla porta da cui era fuggita quella
strana donna, poi rivolse nuovamente l'attenzione ai due compagni.
«Non la prendere sul personale Thor. Era tutta una
sceneggiata. Quella donna ci usa come pedine e ci manipola a suo
piacimento. Scommetto che ora correrà tutta orgogliosa a
mostrare al piccolo cervo la sua ferita di guerra».
Thor prese atto delle parole del miliardario e si sentì
ancora più frustrato e arrabbiato. Era sicuro che, per
quanto parte del suo piano, il disprezzo che la donna aveva esposto nei
suoi confronti era sincero. E la sensazione che lei preferisse Loki a
lui, per quanto irrazionale, lo faceva sentire indegno e inutile.
Strinse con forza una mano su Mjolnir, così tanto che, se
non fosse stato di un materiale sconosciuto e incredibilmente
resistente, il manufatto si sarebbe polverizzato tra le sue dita.
«La credi davvero tanto calcolatrice? A me sembrava solo
arrabbiata», osservò Steve.
Tony incrociò le braccia, facendo cigolare le giunture
metalliche dell'armatura. «Quella è una specie di
robot con un bel faccino e gambe da urlo come contorno»,
osservò, lanciando al Capitano una lunga occhiata eloquente,
poi guardò Thor negli occhi. «Se fossi incline al
romanticismo, oserei dire che tuo fratello ha trovato l'anima
gemella».
Thor sentì un brivido lungo la schiena, al fronte di quella
consapevolezza.
Per quanto ammettesse di essere impulsivo ai limiti dell'avventatezza,
l'alieno aveva imparato a confidare nel proprio istinto.
Ovviamente le parole e le azioni dell'agente Sabil facevano parte di
uno schema preciso e calcolato.
Non era detto, però, che fosse lo stesso di Fury.
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Non amo chiedere
recensioni, soprattutto perché so perfettamente che non
tutte le persone che leggono, hanno anche il tempo per lasciare un
commento a tutte le storie che seguono, lo so perché sono
una di loro.
Per cui voglio solo ringraziare tutte le persone che continuano a
leggere e che mi dedicano un quarto d'ora del loro tempo (se siete
lettori veloci XD).
Al prossimo capitolo.
Nicole
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 - Come un uomo ***
Eccomi
qui con il capitolo nove.
Ho ufficialmente
terminato la storia, quindi posso dire che saranno in totale 13
capitoli più l'epilogo... quindi al termine della storia
mancano solo 4 capitoli... per le domande di rito, ci vediamo alla
fine. Buona lettura!
Loki
conosceva bene la sensazione di essere diverso, ci conviveva sin
da quando era poco più che un neonato.
All'inizio
ci aveva fatto poco caso, protetto e coccolato dall'amore
abbagliante di Frigga, Odino e Thor. Per i primi anni dell'infanzia si
poteva dire che fosse stato sereno, se non addirittura felice, cullato
in una bolla d'affetto e bambagia.
Poi,
man mano che la sua intelligenza cresceva, la bolla aveva iniziato
a riempirsi di crepe. Dapprima erano imperfezioni sottili, trascurabili
poi, in un comico crescendo, erano aumentate, fino ad inghiottire
quella perfezione in un enorme buco nero.
Non
appena le sue mani avevano sfiorato lo Scrigno degli Antichi
Inverni, una nebbia impenetrabile si era improvvisamente dissolta.
Finalmente
aveva visto e capito.
Ogni
frase sussurrata dai cortigiani, ogni sguardo strano, ogni
compagno di giochi che candidamente gli domandava come mai la sua pelle
fosse così bianca, perché non fosse forte come
Thor. Ogni cosa era rientrata perfettamente in una logica che fino ad
allora gli era sfuggita, condensandosi in una perfetta e dolorosa
consapevolezza.
Lui
non apparteneva ad Asgard.
Per
quanto si fosse sforzato, ciò non sarebbe mai cambiato,
nemmeno l'amore di Odino o i fulmini di Thor avrebbero potuto
sovvertire l'ordine delle cose.
I
fatti erano immutabili, scritti nel codice stesso dell'universo.
Era
stato rifiutato dalla propria gente perché troppo
gracile e poi adombrato dalla grandezza di Asgard, troppo oscuro per
riflettere la sua perfetta luce.
Forse
qualcuno con un po'di acume poteva identificare le sue azioni
come sforzi per crearsi una casa, un posto in cui sentirsi accettato,
un personale luogo in cui non esistessero paragoni con l'ingombrante
fratello o gli scomodi genitori adottivi e biologici.
Inutile
dire che era stato tutto vano.
Pur
continuando ad affermare il loro affetto, tutti quanti –
Odino, Frigga e Thor – pretendevano che lui fosse come loro
desideravano, senza accettare il semplice fatto che non sarebbe mai
stato come loro.
Non
poteva,
ed era stanco di provarci.
Dentro
di lui, un invisibile orologio scandiva il tempo, e Loki era
consapevole di non averne ancora molto prima che Thanos passasse
all'azione. Per quel momento lui doveva essere anni luce dalla Terra,
se voleva sperare di sopravvivere.
Iniziava
a capire che gli occorreva risparmiare le energie e scegliere
con cura la prossima causa a cui votarsi.
Certo,
la vendetta e la rivalsa rimanevano in cima alla lista, ma la
strada per ottenerle poteva essere molto diversa da quella che lui
aveva tentato per ben due volte.
Aveva
sempre creduto che possedere un trono fosse l'essenza del potere,
ma cominciava a rivalutare quel concetto. Thanos stesso, uno dei
signori più potenti dell'universo, non era re di niente, se
non di sé stesso.
Forse
doveva smetterla di bramare un banale seggio e puntare al potere
vero.
Il
Tesseract poteva essere un buon inizio.
Benché
non fosse il manufatto più potente
dell'universo, era sicuramente il più facile da manipolare e
quello dalle applicazioni più vaste.
Sapere
che il Cubo era lì, esattamente dieci piani sopra di
lui, lo riempiva di brama.
Gli
sarebbe bastato uscire da quella gabbia per pochi istanti e
teletrasportarsi direttamente nel laboratorio. In meno di un minuto, si
sarebbe riappropriato del manufatto.
Anche
se quella stanza schermava i suoi poteri mentali, i suoi sensi
sentivano comunque il cuore d'energia del Cubo pulsare. Riusciva quasi
a figurarsi il percorso per raggiungerlo e ormai stava diventando
impaziente.
Il
momento di agire era prossimo.
Aveva
lasciato per troppo tempo libertà a quei patetici
umani.
Le
sue riflessioni vennero interrotte dall'arrivo dell'agente Sabil. Un
sibilo breve e penetrante ne annunciò l'entrata e tutti gli
uomini di guardia alla stanza scattarono sull'attenti poi, dopo un
secco ordine della donna, uscirono alla spicciolata, lasciando la donna
e l'alieno soli.
Loki
non poté fare a meno di fissarla attentamente.
Sembrava
provata, respirava più in fretta del solito e sulla
guancia sinistra aveva un lungo taglio, medicato in modo frettoloso, e
un brutto livido. Ostentando la sua irritazione, la donna camminava
avanti e indietro per la stanza ignorando il proprio prigioniero.
Loki
capì immediatamente che, in realtà, voleva
solamente attirare la sua attenzione, in modo piuttosto maldestro e
inutile, oltretutto. Già da qualche tempo Khalida si trovava
nel suo mirino, oggetto continuo di analisi e riflessioni.
Il
modo in cui lei aveva reagito all'ingresso irruento di Thor lo aveva
portato a riconsiderarla. Era meno prevedibile di quanto credeva.
Probabilmente, se non fosse stata un'umana infinitamente inferiore a
lui, Loki avrebbe potuto provare simpatia
nei
suoi confronti.
Ogni
cosa che diceva e faceva l'agente Sabil era studiata con una
logica fredda e lucida, bilanciando e soppesando ogni causa ed effetto
perfino dei respiri che faceva tra una frase e l'altra.
Se
così non era, meritava comunque una lode per lo sforzo.
Perfino
Loki, che si riteneva un grande conoscitore dell'animo umano e
non, non era mai sicuro delle sue intenzioni, quando parlava con lei.
La
cosa lo confondeva e insieme lo stimolava.
Se
la sensazione di estraneità gli era familiare quanto il
proprio volto, quella di complicità gli era completamente
sconosciuta.
All'alieno
non piaceva per niente come si sentiva, alla presenza
ingombrante di quell'esile donna.
Il
fatto stesso che lui sprecasse tutto quel tempo a riflettere su di
lei, era degradante. Lo faceva sentire più debole, come un
uomo qualunque.
Detestava
sentirsi così, ma questo non cambiava
ciò che provava.
Per
quanto molti lo considerassero privo di sentimenti, l'alieno
ammetteva con sé stesso di provarne. Semplicemente, aveva
imparato da tempo ad ignorare quelli che non riteneva utili e ad
alimentare quelli che, invece, lo spronavano ad agire.
In
quel momento la curiosità nei confronti della donna
l'avrebbe aiutato a non mollare la presa, e a stabile con lei un legame
che l'avrebbe portato fuori di lì.
La
chiave per impadronirsi del Tesseract, era lei.
Quando
Khalida, dopo l'ennesimo avanti e indietro, si andò a
sedere rumorosamente con la schiena appoggiata alla parete frontale
della Gabbia, dandogli le spalle, Loki le si avvicinò
lentamente.
«Cosa
ti è successo?», chiese,
abbassando la voce per renderla ancora più vellutata.
La
donna non si voltò nemmeno, toccò appena la
guancia ferita. «Un piccolo scontro con l'incompetenza di
Thor», spiegò, con voce stanca.
Sembrava
sfinita, e più umana di quanto si fosse mai
mostrata.
Loki
si sedette in posizione speculare alla sua. Era certo di aver
colto un momento non di debolezza vera e propria, quanto di
distrazione, e non se lo sarebbe fatto scappare.
«Conosco
la sensazione», ammise.
Khalida
sorrise con un angolo della bocca.
«Non
deve essere stato facile crescere con una presenza
così ingombrante accanto», disse e Loki si
irrigidì.
«Non
comportarti come se capissi», la
freddò con un tono tagliente come ghiaccio spezzato. Per
quanto il suo piano gli imponesse di essere civile, il suo orgoglio gli
impediva di accettare comprensione
da
parte di quella donna. Lei non sapeva un accidenti di
lui, di Thor e della sua vita.
«Infatti
non capisco», lo sorprese Khalida, ridendo
leggermente. «Devi avergli voluto davvero bene, per non
ucciderlo quando era piccolo. A me è venuta voglia di farlo
la prima volta che l'ho visto».
Loki
sapeva che quello nella voce della donna era puro sarcasmo, utile
solo a sfogare la sua frustrazione nei confronti di Thor che,
presumibilmente, l'aveva umiliata.
Forse
la donna non stava nemmeno realmente parlando con lui.
Era
una cosa umana, che non gli apparteneva.
Lui
quando era sarcastico, era solo per ferire o apparire indifferente.
Non
usava mai le parole come valvola di sfogo, erano troppo preziose
per andare sprecate.
Il
Dio dell'Inganno, rifletté velocemente sulle parole della
donna. Forse inconsapevolmente, Khalida si era avventura su un sentiero
che lui preferiva evitare del tutto: i ricordi.
Quelli,
non evocavano sentimenti che l'avrebbero aiutato a fuggire di
lì.
Khalida,
un po'sorpresa dal silenzio pesante di Loki, voltò
il viso per osservarlo meglio, e lui le restituì lo sguardo.
Nella
luce accecante della stanza, gli occhi dell'alieno sembravano
quasi trasparenti, chiarissimi ma impenetrabili come un lago montano,
troppo gelido per essere accessibile a comuni esseri umani.
L'agente
Sabil si era sforzata di non farsi pregiudizi nei confronti
del suo prigioniero, mentre studiava le informazioni in suo possesso,
ma lo stesso nella sua mente un'idea si era formata, per quanto vaga.
Loki,
comunque, la stava prontamente ribaltando, a poco a poco.
Nei
suoi rapporti c'era chi l'aveva definito folle, ma lei non scorgeva
tracce di pazzia in quello sguardo che sembrava passarla da parte a
parte, alla ricerca del suo più profondo segreto.
In
quegli occhi c'era rabbia, odio, dolore, un'intelligenza acuminata
come una lama... ma non follia.
Probabilmente,
non esisteva sulla Terra persona più lucida
di Loki, in quell'istante.
Il
brevissimo momento di analisi di Khalida venne interrotto
dall'urlare improvviso e assordante di una sirena.
L'addestramento
ricevuto agì al posto suo.
«Codice
rosso, tutti in posizione!»,
ordinò, scattando in piedi e stringendo le dita intorno alla
pistola.
Una
lenta goccia di sudore le calò sulla guancia, facendole
bruciare la ferita.
Non
ebbe bisogno di voltarsi, per sapere che Loki stava nuovamente
sorridendo in quel suo modo affilato e crudele.
«Il
momento della verità è arrivato,
Khalida», le disse, subito prima che una scarica elettrica
trapassasse l'orecchio della donna, costringendola a strapparsi il
comunicatore con un gemito di dolore.
Non
ebbe il tempo di accorgersi che era la prima volta che Loki la
chiamava per nome, un urlo lacerante e un lampo di luce la costrinsero
a rivolgere la sua attenzione altrove.
All'ingresso
della stanza, un essere bipede dall'aspetto vagamente
umano, con la pelle a scaglie di un azzurro cupo e malato, si era
velocemente sbarazzato di due agenti, che adesso giacevano immobili a
terra.
Non
era un chitauro, ma gli assomigliava, forse proveniva dallo stesso
pianeta. Benché sembrasse umanoide, i lineamenti larghi, gli
occhi senza pupilla e i movimenti sinuosi davano più l'idea
di un'animale ben addestrato.
Tra
le mani dalle dita artigliate stringeva una lunga lancia dal design
simile allo Scettro di Thanos. La pietra in cima brillava di sinistri
bagliori azzurri, attraversati da scariche d'un bianco abbagliante.
L'essere
osservò Khalida, piegando la testa di lato, come a
valutarne la pericolosità.
La
donna desiderò avere nuovamente il comunicatore,
probabilmente Loki conosceva quella bestia e avrebbe potuto fornirle
qualche dettaglio, ma capì subito che non le sarebbe servito
a nulla. L'alieno era chiaramente deciso a guardarla morire esattamente
come quei due soldati insanguinati.
Un
brivido le percorse la schiena, mentre esaminava con gli occhi la
stanza, identificando la posizione dei propri uomini, rientrati
immediatamente dopo il suono dell'allarme.
Tutti
aspettavano solo un suo ordine per fare fuoco, ma la
rapidità con cui l'essere era comparso nella stanza e ucciso
i suoi compagni la faceva esitare. Non conosceva le abilità
della creatura, e probabilmente non ci teneva nemmeno.
Forse
la strategia migliore era prendere tempo e attendere l'arrivo dei
Vendicatori.
Il
secondo di Khalida, probabilmente per colpa della tensione e della
paura, fece una mossa falsa. Credendosi al sicuro dallo sguardo inumano
dell'essere, prese la mira e fece fuoco.
Il
globo di luce azzurra si infranse nel pavimento, lasciando una
voragine di un metro di diametro, la creatura si era dissolta in una
nuvola di fumo blu.
Khalida
sbarrò gli occhi. «Jefferson!»,
riuscì ad urlare, prima che l'essere ricomparisse dietro
l'agente, trafiggendolo da parte a parte con la sua arma.
Stavolta
fu Khalida a sparare, ma nuovamente la creatura si
smaterializzò, ricomponendosi a pochi metri da lei, di
fronte a Loki.
Gli
sarebbe bastato un solo colpo per ucciderla ma stranamente non lo
fece, rivolgendo la sua attenzione alla Gabbia. Osservò Loki
concedendogli un lungo sorriso da rettile. Una sottile lingua biforcuta
fece capolino dalle labbra piene di escrescenze squamose.
Per
la prima volta, Khalida credette di vedere un barlume di paura sul
volto liscio dell'asgardiano.
La
punta della lancia si illuminò nuovamente, fino a che la
luce divenne accecante.
Quando
il proiettile colpì la prigione di Loki, il rumore fu
tale che l'agente Sabil dovette coprirsi le orecchie con le mani e
rannicchiarsi d'istinto su sé stessa, per proteggere il
volto.
L'energia
del colpo dapprima incrinò e poi
frantumò il metallo della Gabbia, scagliando su Khalida una
pioggia di frammenti affilati come rasoi.
Incurante
dei tagli sanguinanti, la donna si rimise subito in piedi,
guidata dall'addestramento, dall'istinto e da qualcosa che non seppe
identificare.
C'era
solo un motivo per cui quella creatura poteva aver liberato Loki,
e lei non poteva lasciare che raggiungesse il suo scopo. Non avrebbe
permesso che l'asgardiano morisse, non così presto e non
mentre era sotto la sua responsabilità.
L'arma
aliena si caricò nuovamente con un sibilo
impercettibile, il cristallo brillò e sfrigolò
come un tizzone cosparso d'acqua fredda. Una potente scarica d'energia
attraversò la sfera blu che si ingrandiva progressivamente.
Un
tremito percorse le mani di Loki, mentre realizzava che non avrebbe
avuto il tempo di fuggire. Quelle creature erano maledettamente veloci,
e si affidavano al fiuto per cacciare. Le sue illusioni non sarebbero
servite a niente.
Pensò
per un attimo che aveva sprecato la maggioranza del
suo tempo e della sua esistenza.
Percepì
l'elettricità statica aumentare e il
sibilo dell'arma crescere d'intensità.
I
muscoli di Khalida bruciavano e il sangue le colava lungo le tempie
ferite, solo pochi metri la separavano da Loki, eppure aveva la
sgradevole sensazione di non essere abbastanza veloce. Determinata,
chinò la testa e si gettò in avanti, iniziando
lentamente a contare i secondi che la separavano dalla detonazione.
Il
colpo esplose, illuminando come un piccolo sole tutta la stanza.
Khalida
non sentì nemmeno dolore quando ricevette in pieno
stomaco il globo d'energia destinato a Loki.
Una
voce che non riconobbe chiamò il suo nome, poi tutto
divenne buio.
Un
proiettile avvolto di luce azzurra raggiunse il sicario di Thanos
alla spalla e la creatura urlò di dolore, lacerando i
timpani dei presenti. Iron Man ne approfittò per caricare un
secondo colpo che purtroppo non andò a segno, la creatura si
era smaterializzata nuovamente.
«Thor!»,
chiamò Stark, per preparare il
compagno ad un assalto dell'alieno che, però, non
arrivò. Improvvisamente, un silenzio rotto solo dal ragliare
sordo delle sirene prese posto nella stanza.
All'apparenza,
l'attacco sembrava concluso. Forse la ferita inferta da
Stark era più grave di quanto pensassero. In fondo, quegli
esseri potevano anche avere il cuore nelle caviglie, per quanto ne
sapevano.
Solo
allora tutti si ricordarono di Loki e dell'agente Sabil.
La
donna era stesa a terra, una pozza di sangue si allargava lentamente
sotto di lei. La ferita al ventre era terribile, e nessuno dei presenti
osò pensare che Khalida potesse essere sopravvissuta.
Loki
era immobile dietro di lei, paralizzato da qualcosa che poteva
definire solo come stupore. Aveva avuto tra le mani l'occasione
perfetta per fuggire, e l'aveva completamente sprecata, come al solito.
Mentre
Thor accorreva accanto all'agente Sabil, si guardò le
mani, sporche del sangue della donna che si era gettata davanti a lui
per salvargli la vita.
Qualcosa
gli strinse lo stomaco in una morsa dolorosa.
«Respira
ancora!», annunciò Thor
stupito, non osando toccare il corpo esanime di Khalida.
Istintivamente, cercò gli occhi del fratello.
Loki
aveva un'espressione impenetrabile, ma lo stesso il Dio del Tuono
riuscì a percepire la confusione che gli animava il cuore e
la mente.
«Dobbiamo
portarla in infermeria», intervenne
Stark, atterrando pesantemente accanto a Loki, tenendolo
preventivamente sotto tiro.
«Non
servirà», mormorò il Dio
dell'Inganno.
Thor
e Stark lo guardarono.
Loki
raddrizzò le spalle. «Se volete salvarla,
dovete portarla ad Asgard».
-------------------------------------------
Colpo di scena.
Perché Khalida
ha voluto salvare Loki? Perché il Dio dell'Inganno non
è fuggito?
Cosa avrà in
mente Thanos?
Come finirà la
storia secondo voi?
Se volete darmi la vostra
risposta, sarò lieta di leggere le vostre teorie.
Come al solito un ringraziamento speciale a Red Sayuri, e a tutte le
persone che continuano a leggere. noto con piacere che le letture sono
costanti, quindi apprezzate.
A presto,
Nicole
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 - Come una dea ***
Khalida
spalancò gli occhi, inspirando come se i suoi polmoni
avessero ripreso a funzionare dopo una lunga apnea. La luce dorata le
ferì gli occhi neri e fu costretta a socchiuderli, portando
istintivamente la mano alla fronte per schermarli.
Qualcosa tintinnò, e lei si osservò stupita il
polso, decorato da tre sottili cerchietti d'oro lucido.
Strano, osservò, non aveva mai indossato niente del genere
in tutta la sua vita.
Aggrottando le sopracciglia, si guardò intorno. Era stesa in
un letto coperto da lenzuola di seta dorata, in una stanza ampia, dal
soffitto altissimo. Non somigliava a nessun posto che lei conoscesse.
Aveva visitato residenze lussuose, nel suo paese natale, ma
lì c'era qualcosa di diverso.
Qualcosa che non era
terrestre.
I colori erano accesi come se gli oggetti vibrassero di una propria
luce interna, perfino l'aria stessa sembrava pura e rarefatta come se
fosse ad alta quota.
Quello era decisamente un sogno estremamente vivido e dettagliato,
tanto che Khalida iniziava a dubitare che lo fosse.
Si mise a sedere e qualcosa si mosse ai margini del suo campo visivo.
Si voltò di scatto solo per ritrovarsi a fissare la propria
immagine riflessa in uno specchio, circondato da una sfavillante
cornice barocca intarsiata d'oro e diamanti.
Sbalordita, la donna si alzò in piedi e si
osservò da capo a piedi.
Indossava una tunica bianco ghiaccio, fermata sulle spalle da due
spille ingemmate, ricoperte di rubini e smeraldi. Il tessuto le
scivolava tra le dita come acqua.
Aveva i capelli raccolti su una spalla, in una morbida treccia
attraversata da nastri bianchi e oro.
Khalida non si era mai considerata particolarmente bella, eppure non
riusciva a togliersi gli occhi di dosso. Si toccò una
guancia, dubitando perfino che quella fosse la sua reale immagine.
Possedeva il fulgore di una dea, qualcosa di luminoso e altero al tempo
stesso.
Il silenzio della stanza, dapprima rotto solo dal suo respiro,
mutò impercettibilmente.
Cercando un'arma invisibile al fianco, Khalida si voltò,
tendendo i muscoli, pronta all'azione.
A tre passi da lei, si scontrò con il sorriso sottile di
Loki.
Indossava un'armatura di metallo nero, dai riflessi verde cupo. Sulle
spalle aveva un lungo mantello che ondeggiava come mosso da una brezza
invisibile, spandendo bagliori dorati, e sulla testa l'elmo che
già aveva sfoggiato a Stoccarda e New York.
La sovrastava in tutta la sua altezza, e la donna provò un
vago timore.
Emanava un'aura di potere che non aveva mai percepito e le
sembrò più pericoloso che mai. Se escludeva il
giorno in cui era arrivato, non gli era mai stata tanto vicina.
Il sorriso di Loki si allargò e Khalida capì.
«Sono morta, vero?», chiese.
«No», replicò lui. «Non
ancora».
Khalida sollevò un sopracciglio. «Non
ancora?», ripeté.
«La tua ferita è molto grave. Forse nemmeno la
camera di guarigione di Asgard riuscirà a
salvarti», spiegò Loki, avvicinandosi di un passo.
La donna provò l'istinto di indietreggiare, ma si trattenne.
Era confusa, ma determinata a non farlo percepire al suo avversario.
«Questa è un'illusione?», chiese.
«Credo che si possa definire così»,
annuì Loki.
Khalida si guardò rapidamente intorno. «Sono su
Asgard?».
«Sì».
«E tu?».
L'alieno sospirò. «Ancora su Midgard».
«Tu non dovresti essere in grado di usare i tuoi
poteri», obiettò Khalida.
Loki rise. «La vostra prigione è distrutta. E i
tuoi amici sono troppo impegnati a raccogliere i morti frutto della
loro incompetenza per badare a questi dettagli».
«Non sono i miei amici», lo contraddisse l'agente
Sabil, rabbrividendo. In quella cornice illusoria si sentiva
più fragile e faticava a nascondere ciò che
provava. «Cosa è successo?».
Loki tornò serio. «L'attentato alla mia vita era
solo una copertura. Mentre il Chyss vi teneva impegnati, un altro ha
raggiunto il Tesseract e se ne è impadronito. Fortunatamente
il vostro mostro radioattivo era nel laboratorio e la creatura non
è riuscita a recuperare anche lo Scettro».
«Quindi il Cubo ora è in mano a
Thanos...», rifletté Khalida, incolore. Non era
addestrata per stupirsi, solo per razionalizzare la situazione e
pensare come uscirne.
Guardò Loki negli occhi, adombrati dall'elmo imponente.
«Quanto tempo abbiamo, prima che attacchi?».
Il Dio di fronte a lei scoppiò a ridere forte, sinceramente
divertito. «Sei in fin di vita, eppure non smetti di
interrogarmi», osservò.
Khalida realizzò che in fondo era stupido preoccuparsi
ancora del suo lavoro, dato che non sapeva nemmeno per quanto avrebbe
continuato a respirare.
La consapevolezza la colpì allo stomaco come un pugno.
Stava morendo.
La vita a cui tanto teneva era ormai appesa a un filo, buttata via per
proteggere qualcuno che con molta probabilità non le avrebbe
mai mostrato un minimo di riconoscenza.
Anche se, in fondo, nemmeno se lo aspettava.
Loki colse la natura dei suoi pensieri e tornò serio.
«Perché l'hai fatto?», le chiese, con un
tono che sembrava arrabbiato, se non furente.
Ormai erano uno di fronte all'altro, il bordo del mantello di Loki
sfiorava l'orlo dell'abito candido di Khalida.
La donna sollevò il mento in un moto d'orgoglio che
scemò quando si scontrò con gli occhi chiari e
affilati di Loki. Non sarebbe riuscita ad ingannarlo, ma doveva
provarci lo stesso.
«Nessuno dei miei prigionieri è mai morto sotto la
mia custodia, se non per mano mia», rispose.
Il volto di Loki rimase immobile. «Bugiarda»,
l'accusò.
Khalida strinse gli occhi. «Immagino che, detto da te, sia un
complimento», osservò, caustica.
Un sorriso increspò le labbra di Loki e Khalida
constatò che era l'espressione più sincera che
gli avesse mai visto sul volto. Non appena ebbe formulato il pensiero,
l'alieno tornò improvvisamente serio, come se avesse voluto
nascondersi.
Khalida capì. «Riesci a sentire i miei
pensieri?», chiese, con una punta di terrore.
«Non proprio».
«Però sei nella mia testa»,
insisté Khalida.
«Questa conversazione non è a senso
unico», disse Loki, come spiegazione.
Dopo aver riflettuto qualche secondo, Khalida accennò un
sorriso. «Non puoi ascoltare direttamente i miei pensieri,
perché altrimenti io sentirei i tuoi», concluse.
L'alieno annuì gravemente.
Khalida si guardò nuovamente attorno, tutto le sembrava
estremamente reale e dettagliato. Sentiva perfino il profumo freddo
della pelle di Loki e quello di fresie che saliva delicato dai suoi
capelli intrecciati. Curiosa, sollevò lentamente una mano,
sotto lo sguardo attento dell'alieno, e la posò con
delicatezza sulla sua guancia.
Intorno a loro, il silenzio si intensificò, facendosi
pesante.
«Sei bravo. Sembra tutto vero», osservò
Khalida, mentre i polpastrelli registravano la consistenza della pelle
chiara di Loki.
L'asgardiano si sforzò di non apparire toccato da quella
mossa imprevista. Non si ricordava più quanto tempo era
passato dall'ultima volta che qualcuno l'aveva toccato. Probabilmente
l'ultima a farlo era stata Frigga.
Deglutì lentamente, per non svelarsi agli occhi attenti
della donna.
«Tutto questo non è fisico, ma
è reale, probabilmente più di qualsiasi altra
cosa tu abbia mai provato».
Khalida annuì, senza scostare la mano. Quel contatto
effimero la faceva sentire più vicina alla vita, e non
desiderava interromperlo, per quanto ambiguo e fuori luogo.
Anche se non era una mossa intelligente, desiderava la compagnia di
Loki.
Se la conversazione fosse terminata, lei sarebbe nuovamente sprofondata
nel buio.
Gli occhi di Loki si fecero improvvisamente assenti.
«Devo andare, stanno venendo a prendermi»,
annunciò.
Khalida ricordò d'un colpo tutto quanto: l'attacco, il
Tesseract rubato, la confusione che di sicuro regnava nello
S.H.I.E.L.D. Se si concentrava riusciva anche ad immaginare la faccia
di Tony Stark.
«Cosa hanno intenzione di fare?», chiese.
L'asgardiano la trapassò con uno sguardo cristallino e
gelido.
«Non sei nella posizione di preoccuparti di questo. Evita di
morire, e potrai farti tutte le domande che vuoi»,
affermò, con una scintilla inaspettata sul volto. Forse una
sorta di muta allegria o, più probabilmente solo
un'impressione dovuta alla luce.
Khalida osservò confusa la figura di Loki scomparire
all'improvviso, la mano ancora a mezz'aria.
Prima di tornare nell'incoscienza ebbe il tempo di pensare che, forse,
la frase di Loki era un modo per augurarle buona fortuna.
L'alba su Asgard era uno spettacolo unico nell'universo.
Benché tra i nove regni non fosse né il
più vasto, né il più antico, nessuno
avrebbe potuto negare che Asgard fosse, senza dubbio, il più
affascinante.
La luce si rifletteva sulle nubi, infrangendosi in arcobaleni di colori
intensi e vibranti. Sprazzi di cielo cupo e scuro, trapuntato di
stelle, facevano la loro comparsa qua e là, conferendo
all'alba un duplice significato di nascita e morte, come un perpetuo
crepuscolo.
Fu in quella luce ultraterrena che Khalida aprì finalmente
gli occhi, lasciando con gioia che i riflessi dorati del guscio
evanescente sopra di lei le ferissero le pupille dilatate.
Il primo respiro fece male, e un rantolo le salì dal petto,
trasformandosi in un accesso di tosse che le tolse il fiato.
Le salirono le lacrime agli occhi.
Era piacevole perfino sentire dolore, sapendo che era reale.
Si rannicchiò su un fianco, cercando di respirare
profondamente.
Un'ondata di nausea le prese lo stomaco e si trattenne a stento dal
rimettere.
Strinse forte gli occhi, concentrandosi sul flusso d'aria che entrava
ed usciva dai polmoni.
Era un esercizio semplice, ma funzionava sempre.
In breve tempo il cuore si acquietò e il malessere
scemò in un lieve cerchio alla testa. Tenendo ancora gli
occhi chiusi, si stese nuovamente supina e rilassò le
braccia.
Le sue orecchie ben allenate colsero un rumore di passi.
C'era qualcuno nella stanza.
Aveva il passo leggero, quasi felpato. Quasi sicuramente si trattava di
una donna.
Per quanto potesse sforzarsi, un uomo non sarebbe stato fisicamente in
grado di fare così poco rumore.
Khalida rimase immobile, lasciando che la presenza si avvicinasse.
Un lieve sibilo risuonò sopra di lei. La temperatura
cambiò impercettibilmente, e anche l'odore di fiori,
dapprima lieve, divenne più penetrante.
La camera di guarigione era stata aperta.
Un attimo prima che la presenza si avvicinasse troppo, Khalida
scattò seduta e afferrò la donna al collo,
premendo il pollice sulla giugulare, immobilizzandola.
Fece in tempo solo a registrare i lineamenti perfettamente cesellati
della ragazza, poi lei la allontanò con una spinta decisa al
petto. Per una della sua stazza era incredibilmente forte.
Khalida crollò nuovamente seduta sul cuscino di seta
argentato che l'aveva accolta fino a poco prima.
I muscoli delle gambe le bruciavano per lo sforzo repentino, come se
non li avesse mai utilizzati prima di allora. Provò la
fastidiosa sensazione di essere inerme come un neonato.
«Non sono una nemica», disse la ragazza, toccandosi
il collo, infastidita per essere stata colta alla sprovvista.
«Chi sei?», domandò Khalida, tastando
con discrezione intorno a sé, cercando qualsiasi cosa
potesse aiutarla a difendersi.
«Mi chiamo Sif. Sono una compagna d'armi di Thor»,
rispose l'asgardiana, scrutando a fondo l'umana di fronte a lei.
L'aveva stupita. Era chiaramente debole, eppure aveva reagito con una
prontezza e una forza insolita per la sua razza. Probabilmente era una
guerriera ben addestrata, come Thor le aveva detto.
Khalida, dal canto suo, analizzò più attentamente
l'aliena davanti a sé, non appena gli occhi si abituarono
alla luce brillante. Sembrava giovanissima, ventenne o poco
più. Era slanciata, ma l'abbigliamento attillato lasciava
intendere una muscolatura accentuata. Un soldato, quasi sicuramente.
In silenzio, le due donne si scrutarono a lungo.
Khalida fu la prima a spezzare l'immobilità. «Da
quanto tempo sono qui?».
«Dieci giorni».
La donna ebbe voglia di imprecare, ma si trattenne. Aveva sprecato
moltissimo tempo.
«Devo tornare sulla Terra», disse, più
parlando con sé stessa, che con Sif.
Fece il gesto di alzarsi.
Sif le mise una mano sulla spalla, costringendola a rimanere seduta.
«Siete ancora debole. Non conosciamo esattamente gli effetti
della camera di guarigione sui terrestri», spiegò.
«Mi sento bene», obiettò Khalida.
Sif strinse gli occhi da gatta. «Non potete lasciare questa
stanza senza il permesso diretto del Padre degli Dei».
Khalida serrò le labbra. «Mi trattate da
prigioniera», osservò.
Il viso dell'asgardiana si accese di disappunto. «Avete
salvato la vita ad un traditore e come tale verrete
trattata», spiegò, come se fosse la cosa
più ovvia dell'universo.
Khalida emise uno sbuffo divertito. Iniziava a capire che l'arroganza
era una caratteristica insita nel DNA di ogni asgardiano. Non avrebbe
cavato un ragno dal buco, discutendo con quella donna.
«Dì a Thor che voglio parlare con lui»,
fece, con tono conclusivo.
Sif sembrò scandalizzata dal tono autoritario con cui
Kahlida le si era rivolta, ma qualcosa la spinse ad ingoiare e ad
annuire.
«Come desiderate», mormorò, prima di
accennare una sorta di inchino e sparire in fretta dalla stanza.
Una volta sola, Khalida si guardò intorno.
La stanza era vuota, se si escludevano le cinque camere di guarigione,
simili a grossi proiettili di bronzo, disposte in cerchio. Le pareti
erano ricoperte da pannelli di uno strano metallo opaco color oro. Il
pavimento era di marmo bianco e rosa, come anche le imponenti colonne.
Il soffitto era così alto che Khalida faticava a
distinguerne la decorazione.
Non c'erano lampade o candele, la luce sembrava irradiare direttamente
dalle pareti.
Il profumo di fiori proveniva dall'esterno, attraverso la grande
finestra che si apriva di fronte a lei.
Si alzò lentamente, constatando che ogni sensazione di
malessere era scomparsa, l'aria stessa sembrava rinvigorirla. Il
fruscio della stoffa accompagnò i suoi movimenti e solo
allora si concesse di osservare il proprio abbigliamento. Era vestita
esattamente come nel sogno, o visione, che aveva condiviso con Loki.
Era scalza, e la sensazione del marmo gelido la infastidì,
procurandole fastidiosi brividi lungo la schiena.
Decise di muoversi e avvicinò la finestra con pochi passi
ampi.
Davanti al panorama della città illuminata dalla luce
nascente, Khalida ammutolì.
Per la prima volta in vita sua provò una genuina e
incontrollabile sensazione di stupore.
Con gli occhi divorò i giardini rigogliosi,
ammirò l'architettura futuristica e slanciata, la luce
divina e perfetta, le forme pure ed essenziali e l'aria densa, carica
d'energia e profumi d'ogni genere.
Dentro di lei nacque un improvvisa comprensione per Loki.
Come si poteva crescere in mezzo a quella bellezza e non desiderare di
possederla?
Thor entrò nella stanza spalancando le porte a due battenti
con una sola spinta vigorosa.
Dietro di lui, camminavano a passo svelto alcune giovani donne, cariche
di vari oggetti a cui Khalida non fece caso. Si era seduta sul
davanzale di marmo della finestra, a contemplare il paesaggio, in
attesa che Thor la degnasse della sua presenza.
Non sapeva quanto tempo aveva aspettato, ma la luce all'esterno era
cambiata, diventando più calda e bianca, accendendo gli
edifici di nuovi riflessi abbacinanti. In fondo non le era dispiaciuto,
aveva la sensazione che avrebbe potuto rimanere lì per
sempre, trovando sempre qualcosa di nuovo da ammirare.
Osservò di sottecchi Thor.
Avrebbe voluto domandargli come poteva trovarsi su Asgard se il
Tesseract era stato rubato.
Se lo chiedeva da quando si era svegliata, ma porre quella domanda
avrebbe significato rivelare la conversazione avvenuta in visione tra
lei e Loki.
Thor non era certo la persona adatta cui svelare tale legame.
Il rumore di metallo che sbatte contro altro metallo distolse la sua
attenzione, e Khalida concentrò lo sguardo sulle ancelle.
Stavano imbandendo in fretta una tavola con ogni sorta di ben di dio,
mentre altre due erano occupate con quello che sembrava un abito e dei
gioielli.
«Cosa stanno facendo?», chiese a Thor, che aveva
atteso con fare rispettoso che fosse lei la prima a parlare.
«Hai bisogno di nutrirti», replicò il
Dio del Tuono, sorridendo.
«Sì, ma non di vestiti»,
insisté la donna, confusa.
Non le piacevano tutte quelle attenzioni, anche se era più
corretto dire che non c'era abituata.
Il sorriso di Thor si allargò. «Quelli sono per
l'udienza con mio padre. Non appena ha saputo che ti eri svegliata, ha
chiesto di conferire con te», spiegò.
Khalida si accigliò vistosamente. Non osò
chiedere di avere la sua divisa dello S.H.I.E.L.D., anche se la
desiderava. Si sarebbe sentita molto più a suo agio con
quella, e una pistola, possibilmente.
La luce di Asgard l'impensieriva, si domandava in continuazione quanto
potessero essere profonde e insondabili le ombre che generava, e cosa
avrebbero potuto celare. L'astio che aveva colto nelle parole di Sif le
aveva fatto capire di avere dei nemici anche lì, oltre che
sulla Terra.
Thor osservò il volto di Khalida, appariva immobile come al
solito, ma riusciva a scorgere un'inquietudine malcelata nei suoi gesti
e nei suoi sguardi guardinghi.
Non appena la tavola fu pronta, Khalida si avvicinò,
scoprendosi affamata. Prese tra le mani un calice di ottone colmo di un
liquido che sembrava sidro, prendendone un lungo sorso.
«Sono felice di vederti in salute», ammise Thor.
Khalida lo fissò in viso. «Immagino di doverti
ringraziare per questo».
L'asgardiano incrociò le braccia al petto. «Non
esattamente».
Lei sollevò le sopracciglia, invitandolo a chiarire con uno
sguardo eloquente.
Thor sorrise. «Se non fosse stato per Loki, a quest'ora
saresti morta».
Le mani di Khalida persero improvvisamente forza, e fu solo grazie ai
riflessi ben allenati che il calice che reggeva non si
schiantò sul pavimento lucido.
«In che senso?», domandò, mascherando lo
stupore.
Thor sospirò. «Il nemico si è
impadronito del Tesseract, e senza di esso il viaggio da Midgard ad
Asgard sarebbe stato impossibile. Fortunatamente, Loki conosce metodi
alternativi. Se non fosse per le sue capacità, non saremmo
mai giunti qui in tempo», spiegò l'asgardiano.
Khalida immagazzinò le informazioni con lentezza,
archiviandole per riconsiderarle in seguito.
Valutò attentamente l'espressione di Thor. Appariva
più raggiante del solito.
«Perché sei così contento?»,
chiese, anche se in realtà temeva la risposta.
Thor parve confuso dalla domanda, come se la risposta fosse ovvia.
«Il modo in cui ha agito Loki è insolito. Forse
per lui c'è qualche speranza», ammise.
Khalida distolse lo sguardo, turbata.
Se Loki si era comportato in quel modo c'era solo un motivo.
In qualche modo oscuro, lei era entrata a far parte dei suoi piani.
Un sorriso amaro le spuntò sul volto.
Ora iniziava la vera missione.
---------------------
Cosa ne pensate? Alcune precisazioni: nel descrivere l'armatura di Loki non ho sbagliato colore :-P immaginatela simile a quella di Avengers, solo di un colore molto più scuro, vicino al nero. Ormai iniziamo a comprendere qualcosina in più sulle reali intenzioni di Khalida, e sulla natura specifica della sua missione. pensate che lavori ancora per Fury? se si quale pensate sia il piano della nostra spia preferita?
Alla settimana prossima con il capitolo 11
Nicole
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 - Come una pedina ***
Tony
Stark era consapevole di avere molti difetti, ma aveva sempre
ritenuto che la sua straordinaria intelligenza lo giustificasse nella
maggioranza delle occasioni. D'altronde, i fatti molto spesso gli
davano ragione, ed era quello che contava, non certo il modo in cui
esponeva le sue opinioni o convinzioni che fossero.
Mentre
insieme al Dr. Banner analizzava i tracciati delle radiazioni
gamma alla ricerca del Tesseract, Tony decise di dare finalmente sfogo
alle sue conclusioni, elaborate nel corso di dieci giorni di
elucubrazioni complesse e contorte.
Non
aveva bisogno di conferme, sapeva di avere ragione, ma voleva
agitare un po' le acque.
Iniziava
ad annoiarsi.
«Hai
idea del perché l'agente Sabil abbia
rischiato la vita per salvare il piccolo cervo?»,
domandò, con l'aria di chi pone una domanda di cui conosce
già la risposta.
Bruce
lo osservò da sopra gli occhiali, il volto acceso
dalla sinistra luce azzurra del monitor. «Immagino che abbia
un forte senso del dovere», rispose, cauto.
Tony
sollevò le sopracciglia. «Senso del dovere?
Quello ce l'ho anch'io, altrimenti non sarei qui, invece che sulla mia
isola nel bel mezzo dell'Oceano Indiano. Ma non avrei mai fatto un
gesto tanto stupido».
Bruce
trattenne un sorriso. «Disse l'uomo che
afferrò una testata nucleare e la lanciò in un
portale dimensionale».
«Non
è la stessa cosa. Lì c'erano in
gioco molte cose per cui valeva la pena di rischiare», si
difese Stark con un gesto di noncuranza.
Banner
picchettò distrattamente qualche tasto, aprendo un
nuovo diagramma e confrontandolo con quello precedente. «Fury
aveva ragione quando ha detto che Loki è l'unica persona in
grado di fornirci informazioni su Thanos. Se fosse morto, ci
ritroveremmo punto e a capo», osservò.
«Ti
sfugge una cosa fondamentale», lo contraddisse
Stark.
«Cioè?».
«Non
stiamo parlando di un eroe nazionale come il Capitano,
ma di una mercenaria opportunista che lavora per Fury solo
perché è l'unico che può proteggerla
dai suoi nemici. Una mossa del genere non rientra nel suo profilo, non
è nemmeno logica», il sorriso di Tony stava
prendendo quella sgradevole sfumatura saccente che a Bruce dava leggermente su i
nervi.
«Cosa
vuoi che ti risponda?», si arrese,
rinunciando a lavorare.
«Niente.
Segui solo il mio ragionamento»,
iniziò Stark. «Il talento dell'agente Sabil non si
discute, tuttavia su Thanos sappiamo ancora molto poco. Loki si
è limitato a fornirci briciole e, nonostante questo, Khalida
non è mai passata alle maniere forti. Ci aspettavamo un
attacco di Thanos, ma siamo comunque rimasti spiazzati dal suo arrivo,
e ora il Cubo è smarrito, probabilmente per sempre. Loki
è stato usato come un semplice diversivo dal suo ex padrone,
e ancora una volta ne è uscito indenne. La cosa mi puzza,
perché dai modi che ha utilizzato, credo proprio che, se
Thanos lo volesse davvero morto, Loki sarebbe già sotto
diversi metri di terra.
In
più il cervo intergalattico ha avuto il tempo di fuggire,
ma non l'ha fatto. E ora è nuovamente fuori della nostra
portata, ad Asgard nei panni di crocerossina d'emergenza.
A
me questo da molto da pensare».
Banner
aveva mantenuto la parola, e aveva ascoltato. «Stai
insinuando che Loki aveva calcolato tutto?».
«Come
sull'Elivelivo. Il rockettaro spaziale ha un piano, e
ognuno di noi probabilmente ne è una pedina»,
annuì il miliardario.
Banner
fece due più due. «Tu sei convinto che
l'agente Sabil abbia salvato Loki perché parte di questo
piano. Lui l'avrebbe manipolata a suo piacimento».
Stark
scosse la testa. «Non solo, credo che lei ne abbia
tratto un grosso vantaggio», ammise.
«Ovvero?».
«Rifletti.
Prima di questo evento, l'agente Sabil era
confinata in quella gabbia tanto quanto Loki...»,
iniziò Stark.
«...mentre
ora si trova addirittura su un altro
pianeta», annuì Bruce, iniziando a comprendere
dove voleva andare a parare Stark.
Stark
sfiorò lo schermo davanti a lui, accendendo qualche
icona e aprendo nuovi diagrammi oscillanti. «Loki non sta
usando l'agente Sabil. Ci scommetto l'armatura che quei due stanno
lavorando insieme».
Banner
si mostrò scettico. «Questo non rientra nel
profilo di Loki, però. È un individualista e sono
certo che non sceglierebbe mai un'umana come alleata»,
osservò.
«È
anche furbo ed adattabile. È in
grado di mandare giù qualche rospo, per
sopravvivere», insisté il miliardario.
Bruce
rimuginò qualche secondo. «Se ne sei davvero
convinto, perché non ne parli con Fury?», chiese
alla fine.
Tony
lo guardò negli occhi seriamente.
«Perché
lui lo sa già».
Mentre
le ancelle la vestivano e la acconciavano per l'udienza con
Odino, Khalida rifletteva.
Si
sentiva meravigliosamente, come mai in vita sua. Era come se la
camera di guarigione l'avesse resettata completamente, riportandola in
uno stato di relativa perfezione. Ogni cicatrice era scomparsa,
lasciandole la pelle intonsa come quella di un neonato, se si
escludevano i numerosi tatuaggi. Perfino i suoi capelli, normalmente
crespi e ribelli, erano morbidi come seta.
Per
quanto innaturale, avrebbe potuto perfino abituarsi a quel posto.
Mentre
un'ancella terminava di legarle i capelli in una complicata
acconciatura raccolta, la donna si concesse un ultimo sguardo.
L'abito
non era molto diverso da quello precedente, era solo
più decorato e di un colore più vicino
all'avorio. Era ancora a piedi nudi, ma probabilmente era un'abitudine
delle donne di quel luogo, dato che nemmeno le ancelle indossavano
calzature.
«Siete
bellissima», si complimentò con
lei una delle ragazze, all'apparenza la più giovane anche se
nessuno ad Asgard pareva avere un'età facilmente definibile.
Khalida
non rispose, e mentre si alzava qualcuno bussò allo
porta con vigore e poi entrò senza attendere un invito.
Thor
si bloccò sul posto, osservando Khalida stupito.
Sorrise. «Vedo che sei pronta».
Khalida
non si lasciò toccare dall'improvviso affetto che
scorgeva nei modi dell'asgardiano. Probabilmente il fatto di aver
salvato la vita a Loki le aveva fatto guadagnare a vita la riconoscenza
dell'ingombrante Dio del Tuono.
Forse,
in fondo, sarebbe stato meglio per lei morire.
«A
quanto pare», annuì, asciutta.
«Seguimi.
Padre ti sta aspettando», disse Thor,
facendole cenno di affiancarlo.
Quando
le fu accanto, Thor la prese alla sprovvista offrendole il
braccio.
Disorientata,
Khalida lo guardò negli occhi.
Thor
sembrò addirittura imbarazzato. «Non posso
essere gentile con la donna che ha salvato mio fratello?»,
chiese, come a scusarsi.
Khalida
non rispose, lasciò che il suo sguardo scettico e
sospettoso lo facesse al posto suo. «Vediamo di finire in
fretta. Ho un lavoro a cui tornare», disse infine, voltando
le spalle a Thor e iniziando a camminare da sola lungo il corridoio
illuminato.
La
sala del trono era la cosa più maestosa che Khalida
avesse mai visto.
Con
gli occhi, aveva provato più volte a calcolarne le
proporzioni ma aveva perso il conto. L'unica cosa terrestre con cui
riusciva a paragonare l'ambiente erano le immense cattedrali gotiche
che aveva visto in Europa.
Con
un pizzico di ironia riusciva ad immaginarsi come un'improbabile
sposa che va incontro al suo destino lungo una navata infinita.
Il
Padre degli Dei non era come Khalida se l'era figurato.
Credeva
di trovare una forma leggermente invecchiata di Thor, invece
l'alieno appariva più anziano di tutti gli asgardiani che
aveva visto. Intorno a lui c'era un'aura di serietà e
autorità che la fece sentire, stranamente, a suo agio.
Per
tutta la vita si era confrontata con uomini che si credevano, o
agivano, come dei.
Gestire
Odino, non sarebbe stato diverso.
Frigga,
seduta ai piedi del marito, femminile e materna, sembrava
animata da un'ansia che non riusciva a celare. Quando i loro occhi si
incontrarono, Khalida vi lesse una gratitudine immensa. Probabilmente
tra i due, era lei quella ad essere più affezionata a Loki.
Trattenne
un sorriso. Si sapeva che le madri hanno sempre un debole per
i figli meno esemplari.
Benché
non avesse esperienza diretta delle dinamiche
familiari, le aveva studiate approfonditamente durante i lunghi anni di
addestramento, e continuava a farlo, per diletto ed esercizio.
Quando
fu al cospetto dei sovrani di Asgard, Khalida accennò
una lieve riverenza.
Odino
si alzò in piedi. «Benvenuta ad Asgard,
terrestre. Vederti in salute riempie il mio cuore e quello di mia
moglie di immenso sollievo».
Frigga
annuì per ricalcare le parole del marito, e si
sciolse in un sorriso appena accennato.
«Vi
ringrazio. So che mi è stato concesso un
privilegio notevole», Khalida era, in parte, sincera.
Era
grata della vita che ancora le era stata donata, ma temeva
ciò che gli avrebbero chiesto in cambio. Non voleva
ritrovarsi in mezzo a una diatriba familiare in cui si era
già immischiata troppo. C'erano forze in gioco che non
voleva scatenare.
Voleva
tornare sulla Terra, completare il suo lavoro e ricevere
ciò che le era stato promesso.
«Hai
salvato la vita di mio figlio, era il minimo che
potessimo fare», replicò Odino.
Khalida
sollevò un sopracciglio, scettica. Trovava ipocrita
il modo di fare del Padre degli Dei, e riusciva a scorgere negli
sguardi della famiglia reale un inutile sentimentalismo.
Loki
era sicuramente responsabile delle proprie azioni, ma di certo gli
eventi non erano stati causati solo da lui. Khalida era una grande
sostenitrice della libertà individuale, ma aveva visto
troppe volte figli essere completamente plasmati dagli errori di
genitori stupidi, o noncuranti.
Anche
se non avrebbe dovuto permetterlo, durante quelle settimane aveva
sviluppato una specie di muta comprensione per Loki. Una comunione nata
tra due anime affini, prive di radici.
L'irritazione,
implacabile, la prese allo stomaco e parole sconsiderate
premettero sulle labbra. «Loki non è vostro
figlio. E finché vi intestardirete nel sostenere il
contrario, non riuscirete né a capirlo, né ad
aiutarlo, sempre che questo sia il vostro desiderio».
Una
risata che la raggelò risuonò dietro di lei.
«È commovente il modo in cui tenti, inutilmente,
di difendermi».
Come
ghiaccio lungo la schiena, quelle parole la paralizzarono.
Osservò,
nascondendosi dietro la migliore espressione neutra
che riuscì a fingere, la figura slanciata di Loki entrare
nel suo campo visivo. Ammantato nel solito abbigliamento eccentrico,
l'alieno sfoggiava l'espressione più vicina al divertimento
che Khalida avesse mai visto.
Avrebbe
dovuto aspettarsi di vederlo, eppure il pensiero non l'aveva
nemmeno sfiorata.
Era
stato più forte di lei: gli aveva creduto.
Inconsciamente,
aveva riposto fiducia in ogni parola che lui aveva
pronunciato durante quella sorta di conversazione astrale.
Con
la violenza di un pugno nello stomaco, capì.
La
stava usando, come un'abile giocatore di scacchi muove i suoi pedoni
per proteggere il suo re e la sua regina.
Anche
in quel momento, con quelle parole, Khalida aveva agito
esattamente come lui si aspettava.
Loki
sperava che il suo gesto, di cui si era già pentita,
convincesse in qualche modo la sua famiglia a concedergli un'amnistia,
o a riconsiderare la sua posizione. Riusciva quasi a leggere i pensieri
che affollavano la mente di Odio e Frigga. Parevano chiedersi cosa
potesse aver mai visto quella piccola umana in Loki per arrivare
addirittura a rischiare la vita per la sua.
Peccato
che nemmeno lei sapesse perché l'aveva fatto.
E
il motivo che l'aveva appena spinta a difendere Loki davanti a quella
che, volente o nolente, era la sua famiglia, era troppo compromettente da
ammettere, perfino con sé stessa.
«Ti
avevo convocato ore fa», fece notare Odino a
Loki, mentre questi si posizionava di fronte ai sovrani, a pochi metri
da Thor, che ancora affiancava Khalida.
Un
sorriso sornione tagliò il volto di Loki.
«Perdonate, ma ero troppo impegnato a godermi la luce del
sole. Era molto tempo che non la ammiravo».
Il
volto di Odino si indurì. «Le azioni hanno
conseguenze Loki».
«Precisamente»,
annuì lui, per nulla
scoraggiato.
Il
sottinteso fece stringere le labbra a Frigga, profondamente
addolorata per l'astio che aveva sostituito il dolore negli occhi del
figlio che credeva ormai perduto.
Odino
si sedette sul trono, con un fare che non lasciava dubbi. Non era
quello l'argomento di cui dovevano discutere. Con l'unico occhio,
osservò Khalida attentamente.
Lei
raddrizzò istintivamente le spalle, sentendosi ancora a
disagio nello strano abito.
«Siete
a conoscenza degli ultimi eventi?», le
domandò.
Lei
annuì. «Thor mi ha riferito che Thanos si
è impadronito del Tesseract», mentre pronunciava
quella frase, sentì su di sé lo sguardo pesante
di Loki.
In
quel frangente c'era complicità tra loro, un muto segreto
che condividevano.
Khalida
si domandava ancora la ragione di quella conversazione privata,
ma forse iniziava ad intuirne lo scopo.
Stava
iniziando a considerare Loki in modo differente.
Non
era più solo un prigioniero da interrogare, ormai era
una persona a tutti gli effetti.
Il
livello personale ormai l'aveva superato da un pezzo, probabilmente
molto prima di gettarsi davanti a lui per salvargli la vita.
Era
coinvolta.
Se
fosse stata un'agente dello S.H.I.E.L.D. esemplare, avrebbe dovuto
abbandonare la missione.
Sfortunatamente,
lei non era un'agente, o almeno non si considerava
tale, e non era mai stata esemplare in tutta la sua vita.
Odino
sembrò riflettere a lungo, prima di pronunciare la
frase successiva. «Il Tesseract va recuperato, e in fretta.
Non possiamo sapere quanto attenderà il nemico ad
agire».
«Gli
umani saranno all'opera per rintracciarlo, come hanno
già fatto in passato», osservò Thor.
Khalida
scosse la testa. «Non è la stessa cosa.
Allora il Tesseract era sulla Terra. Adesso potrebbe essere ad anni
luce da noi. Anche con i mezzi tecnologici più avanzati non
se ne possono seguire le tracce fin nello spazio».
Loki
ridacchiò, come se quelle considerazioni fossero una
battuta umoristica.
«Hai
qualcosa da dire, Loki?», lo
interpellò Odino.
«Il
mezzo per rintracciare il Tesseract esiste, e gli umani
ce l'hanno tra le mani proprio in questo momento»,
replicò il Dio dell'Inganno, con un sorriso obliquo.
«Non
è il tempo di enigmi, Loki», lo
rimproverò Thor.
«Lo
Scettro», intuì invece Khalida,
guardando negli occhi Loki, che annuì lievemente.
Odino
e Thor guardarono i due, entrambi con sentimenti confusi. Il
Padre degli Dei ancora non si capacitava di quello che Loki aveva
fatto, salvando un'umana all'apparenza così fragile e
insignificante, mentre Thor sentiva crescere dentro di lui quell'esile
speranza che aveva iniziato a nutrire per il destino del fratello.
Khalida
fece un passo verso Loki. «Tu puoi rintracciare il
Tesseract», disse, e non era una domanda. «Lo
farai?».
Lui
la guardò a lungo negli occhi neri.
«Lo
farò».
------------------------------------------
Per
una volta, aggiorno
veramente ad una settimana di distanza. La storia sta terminando, anche
se c'è una cosa che non vi ho ancora detto, e che scoprirete
quando posterò l'ultimo capitolo.
Il
dialogo iniziale tra
Stark e Banner non mi convinceva molto, ma la mia beta (grazie
Red_Sayuri!) mi ha dato l'approvazione, per cui, non l'ho modificato,
nè eliminato. Ditemi come vi è sembrato il tutto.
Confido
che tutti voi
abbiate visto Thor, oltre a The Avengers, per cui non ho ritenuto utile
spiegare troppo a fondo i sottointesi "familiari" che vengono trattati.
Ok,
adesso ho davvero
bisogno di commenti! XD scherzo, ma un parere, anche negativo, mi
sarebbe utile per capire se percepite quello che percepisco io nello
scrivere tutto questo... ho sempre paura che tutto vi sembri rarefatto
e impreciso...
ok
la finisco con
l'autocommiserazione, in realtà sono molto fiera di questa
storia, ma comprendo che forse tutto si capirà una volta che
sarà terminata.
A
presto! (spero la
settimana prossima)
nicole
^^
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 - Come un alleato ***
Eccomi di ritorno, la tensione si
alza e finalmente Thanos fa la sua mossa... ci vediamo alla fine del
capitolo!
Buona lettura
Nella
confusione gioviale del luna park di Santa Monica, nessuno fece caso a
quella che, ad una prima occhiata, sembrava una strana nuvola scura
sull'orizzonte.
Quando la luce brillante mutò, alcuni, curiosi o perplessi,
sollevarono la testa.
Un silenzio grave, rotto solo dalle musichette irritanti e fuori luogo
delle attrazioni, calò improvvisamente.
Nel cielo azzurro della California troneggiava quella che aveva tutta
l'aria di essere un'astronave.
La struttura di un colore a metà tra il grigio e il viola
sembrava ammantata di nuvole, ma a tutti i presenti diventò
chiaro ben presto che non si trattava di un insolito fenomeno
meteorologico.
Serpeggiando, il terrore si diffuse rapidamente, azzerando i freni
inibitori di ogni presente.
Nella memoria delle persone l'attacco alieno a New York era ancora
vivido, e a nessuno venne in mente una spiegazione meno terribile.
I margini della nave si illuminarono progressivamente, fino a
risplendere di lampi azzurri.
Subito dopo, una scarica di fulmini si abbatté sulla folla
urlante.
«Direttore Fury!», esclamò l'agente Hill
accorrendo incontro all'uomo che stava entrando nella sala controllo.
«Violazione della sicurezza al livello 37»,
annunciò, consegnando nella mani della spia un piccolo
tablet. «C'è qualcuno all'interno della
Gabbia».
Nick Fury osservò brevemente le immagini sullo schermo.
«Abbiamo agenti sul posto?», chiese.
«Sono nel corridoio, ma la porta non può essere
aperta senza di lei», replicò la donna.
«Avvisali che arrivo subito», decise Fury.
«Convoca i Vendicatori», ordinò,
voltando le spalle all'agente.
«Direttore, potrebbe essere una trappola»,
osservò lei, con apprensione.
Fury si fermò davanti all'ascensore, si voltò,
mentre le porte di metallo si aprivano.
«Ne sono consapevole».
«Perché hai scelto questo posto?»,
domandò Loki, afferrando Khalida per il gomito, facendola
voltare verso di lui.
La donna sostenne lo sguardo indagatore del Dio.
«È l'unica parte della base che conosco bene. Lo
hai detto tu che dovevo essere assolutamente certa per
guidarti», spiegò.
Loki, consapevole che quella fosse solo una piccola parte del vero
motivo, la lasciò andare con uno scatto poco elegante. Tutto
quello che aveva fatto non era servito a niente, quella donna l'aveva
riportato esattamente dove era prima.
Senza la Gabbia, la stanza in cui era stato tenuto prigioniero era
vuota e cupa. Sulle pareti di metallo c'erano i segni lasciati
dall'attacco del Chyss.
Sul pavimento, il sangue delle vittime non era ancora stato lavato.
Khalida si ritrovò, suo malgrado, ad osservare quello che
sapeva essere il suo.
La mano corse istintivamente al ventre.
Thor notò il gesto e cercò i suoi occhi,
sorridendo per rassicurarla.
«Come facciamo a sapere che Fury non ci tenderà
una trappola?», domandò nuovamente Loki, fissando
nervosamente le porte chiuse, si ricordava che solo l'uomo bendato
poteva aprirle.
«Si fida di me», rispose Thor.
Khalida alzò gli occhi al cielo. Se il Dio del Tuono avesse
conosciuto veramente Fury, non avrebbe mai risposto in quel modo. Era
una spia, e le spie non si fidano nemmeno di sé stessi.
La donna avvertì su di sé lo sguardo di Loki.
Sapeva che la domanda era rivolta a lei.
«Per lo stesso motivo per cui tu non la stai tendendo a lui.
Abbiamo lo stesso obiettivo», rispose.
Aveva capito subito che Loki aveva intenzione di privare Thanos del
Tesseract tanto quanto loro. Che poi non avesse intenzione di
restituirlo o volesse qualcos'altro in cambio, era da vedere.
Per il momento, sapeva di poterlo considerare un alleato, se non
fidato, quantomeno utile.
Loki parve accettare la spiegazione con un cenno della testa.
Ora che il suo piano stava finalmente procedendo sui binari corretti,
si sentiva più sicuro di sé, e più
preparato per ciò che doveva affrontare. Collaborare con la
squadra che l'aveva umiliato sarebbe stato difficile e il suo orgoglio
avrebbe sofferto per ogni istante di quella ridicola alleanza, ma
almeno, avrebbe potuto portare a compimento il suo scopo in modo veloce
e con poco dispendio di energie.
Gestire l'insofferenza per quel gruppo di umani con troppe arie sarebbe
stato un prezzo adeguato.
La luce sopra l'ingresso iniziò a lampeggiare, e Khalida
strinse le dita sulla pistola, facendo un passo in avanti.
«Stanno arrivando», disse, concentrando lo sguardo
sulle porte.
Non sapeva come Fury avrebbe accolto il suo arrivo, soprattutto dopo
che avrebbe sentito ciò che aveva da dire. Conosceva la
flessibilità del Direttore, ma non era certa di volerla
mettere così alla prova.
Per un momento, fu contenta che ci fosse Thor con lei, aveva almeno un
sostenitore pronto a far valere le proprie ragioni, a colpi di martello
se necessario.
Il vero problema, Khalida lo sentiva come se facesse parte di lei,
sarebbe stato convincere i Vendicatori, in particolare Stark. Il
miliardario non si era mai fidato né di lei, né
tanto meno di Fury.
La sirena suonò, e Fury fece la sua comparsa.
Khalida provò la sgradevole sensazione che tutto intorno a
lei svanisse.
Fury la guardò dritto negli occhi, caricando le pupille di
una serietà e gravità che le fece piombare il
peso della responsabilità sulle spalle.
Per tanti anni era stata una semplice sottoposta, un'agente come tanti
altri, talentuosa certo, ma non insostituibile.
Mentre ora, tutto quanto dipendeva dalle sue capacità.
Una sensazione molto simile al panico le afferrò lo stomaco.
Non le importava poi molto delle sorti della Terra, o della stragrande
maggioranza dei suoi abitanti, ma completare quella missione
significava riappropriasi della sua vita.
E, forse, non rischiare mai più di perderla.
Fury fece un passo in avanti e dedicò uno sguardo intenso ai
due asgardiani con lei.
Non fece domande.
«Venite con me», ordinò, voltandosi.
Senza che Fury glielo ordinasse, Khalida consegnò la propria
arma al primo agente che avvicinò. L'uomo, che aveva
già visto in precedenza, la fissò come se non la
riconoscesse, costringendola a domandarsi se qualcosa di lei fosse
cambiato in modo imprevisto, durante quel viaggio.
Si guardò le mani, lisce ed ambrate.
Lentamente contrasse le dita, osservando i tendini allungarsi sotto
l'epidermide. Era ancora lei, esternamente, ma non poteva assicurare
con certezza di esserlo anche dentro.
Ciò che era accaduto nella sala del trono di Asgard, l'aveva
fatta riflettere profondamente sulla natura del proprio avversario.
Tutti, lei compresa, avevano sempre trattato Loki come il nemico, senza
preoccuparsi di capirlo davvero. Eppure, osservò dedicando
un breve sguardo all'alieno che camminava accanto a lei con sguardo
assorto e concentrato, era una delle prime cose che le era stata
insegnata: per abbattere un nemico, bisognava prima conoscerlo,
capirlo, infiltrarsi tra le sue crepe e diventare parte delle sue
debolezze.
Solo allora si sarebbe riusciti a distruggerlo, dall'interno.
Khalida in realtà sapeva perché non aveva osato
incamminarsi su un simile sentiero.
Era il metodo più efficace, ma anche il più
rischioso. Una volta dentro, si poteva smarrire la strada per ritornare
o, peggio, si poteva perdere la voglia di farlo.
Khalida aveva già fatto quello sbaglio, e non era sicura di
essere pronta a riprovarci.
Ma doveva farlo.
Loki era un nemico troppo scaltro per i metodi tradizionali, e il tempo
a sua disposizione stava per finire.
Il Dio dell'Inganno scrutò a lungo la schiena di Nick Fury.
Non aveva dubbi sul successo del suo piano.
Quell'uomo era prevedibile, aveva a cuore solo i suoi interessi. Per
provare a riappropriarsi del Tesseract era sicuramente disposto a
rischiare di cadere in un suo inganno.
Se c'era un merito che Loki poteva attribuire alla spia, era proprio
quello di saper osare con intelligenza.
Lo aveva già fatto, quando aveva permesso a Thor di portare
via il Cubo esclusivamente per dimostrare la sua, apparente, buona
volontà.
Alla fine, il tempo gli aveva dato ragione. Il Tesseract era tornato
nelle sue mani, ed era riuscito sia a creare le sue preziose armi che a
concedere all'umanità uno spiraglio di luce.
Non doveva permettere a sé stesso di sottovalutarlo.
Era certo che Fury non si sarebbe opposto alla sua collaborazione, ma
era consapevole che avrebbe preso tutte le sue precauzioni per evitare
di essere impreparato al volta faccia che si aspettava.
Un sorriso sottile tagliò il volto dell'asgardiano.
Era pronto a giocare d'anticipo.
Il corridoio si allargò improvvisamente, portandoli dritti
nella sala di controllo.
Sulla lamiera, i passi dei nuovi arrivati risuonarono con una nota
apparentemente diversa. Il suono riecheggiò e un silenzio
pesante calò su tutti i presenti.
Khalida si sentì immediatamente al centro degli sguardi,
sorpresi o sospettosi.
Ebbe la certezza di comprendere come si era dovuto sentire Lazzaro,
dopo la sua resurrezione.
Ogni paio d'occhi la fissava come se fosse un fantasma.
Si lasciò scivolare addosso la sensazione,
raddrizzò le spalle e il mento ed entrò nella
sala riunioni senza guardare dietro di sé.
Poco prima che la porta a vetri si richiudesse, sentì la
voce secca dell'agente Hill richiamare tutti all'ordine.
Al grande tavolo dalla forma triangolare, era seduta la squadra dei
Vendicatori al completo. Solo Stark, visibilmente nervoso, era in piedi
e camminava avanti e indietro a intervalli irregolari.
Non appena Fury entrò insieme a Khalida, Loki e Thor, il
miliardario si fermò e fissò con il solito
sorrisino ironico la donna, dedicandole immediatamente tutta la sua
attenzione.
Fece qualche passo in avanti. «Alla fine sei viva,
dolcezza», esordì. Poi la fissò di
nuovo attentamente. Allungò una mano e con le nocche
sfiorò la piastra di metallo sulla spalla di Khalida.
«Bella armatura», constatò.
«Un regalo del futuro suocero?», chiese,
riferendosi alla tenuta da guerriera asgardiana che Khalida indossava.
Lei fece una smorfia. «Anche lei mi è mancato
Stark», replicò, senza considerare l'accusa che la
frase di Stark sottintendeva. «A che punto è la
ricerca del Tesseract?», domandò, rivolgendosi a
Bruce.
Il dottore sistemò gli occhiali sul naso, scambiò
un brevissimo sguardo con Fury, che annuì. «Per
adesso possiamo affermare che il Cubo non si trova sulla Terra, o nelle
sue immediate vicinanze».
«Il che significa che Thanos è ancora
lontano», osservò Stark.
Loki sorrise, divertito. «Non siatene così certi.
Il Tesseract permette a Thanos di spostarsi tra i mondi, potrebbe
arrivare qui da un momento all'altro».
«Quando ci interesserà la tua opinione, Dio dei
Falliti, te la chiederemo», lo rimbeccò Stark.
Loki sostenne gli occhi del miliardario senza problemi. Per quanto
facesse il gradasso a parole, era abbastanza sicuro che l'uomo di
metallo non avrebbe cercato lo scontro con lui, non in quel momento,
per lo meno.
Fury spostò l'unico occhio tra Stark e Loki.
«Immagino che tu abbia un piano per impedirlo»,
disse, rivolto all'alieno.
Lui aggrottò le sopracciglia, come se l'osservazione
dell'uomo lo offendesse. «Non mi importa della vostra vita, o
del vostro pianeta. Ma se il Tesseract rimarrà in mano a
Thanos, non ci sarà luogo nell'universo dove sarò
al sicuro», espose, con una calma e una ragionevolezza che
sorprese Thor e tutti gli altri presenti.
Ognuno di loro aveva in mente chiaramente la persona che aveva
attaccato l'Elivelivolo poco più di un anno prima, e l'uomo
freddo e sicuro di sé che avevano di fronte non aveva niente
a che fare con lui.
Natasha constatò che non sapeva di quale dei due avere
più timore.
Incoraggiato dal silenzio, Loki proseguì. «Per cui
sì, ho un piano per recuperare il Tesseract».
Fury osservò a lungo Loki in viso. «Che cosa vuoi
da noi?», domandò, dopo un breve silenzio.
Steve si alzò in piedi. «Non avrà
intenzione di dargli retta!?», sbottò,
sorprendendo Natasha, che l'aveva sempre visto calmo.
Stark fece un gesto. «Aspetta nonno, voglio vedere dove va a
parare», lo blandì, spostando lo sguardo tra Fury
e Loki.
Il Dio dell'Inganno trattenne un sorriso. «Per recuperare il
Cubo, ho bisogno dello Scettro. Restituitemelo, e saprò
condurvi dove il Tesseract è custodito».
Thor strinse le dita sull'impugnatura di Mjolnir. Era il momento
decisivo.
Non si fidava di Loki, aveva promesso a sé stesso che non
l'avrebbe più fatto da quando il fratello gli aveva
affondato quella piccola lama nel ventre, ma voleva dargli
un'opportunità in quel frangente. Probabilmente per la Terra
era l'unica possibilità di evitare un attacco che avrebbe
provocato centinaia di vittime.
Khalida riuscì ad intuire il momento esatto in cui Fury
decise che avrebbe rischiato. L'unico occhio dell'uomo si strinse
impercettibilmente, e una piccola ruga comparve all'angolo destro della
bocca.
«Cosa vuoi in cambio?», domandò.
Loki rimase serio, nascondendo il sorriso che stava per animargli le
labbra. «La mia libertà. Una volta che il
Tesseract sarà di nuovo vostro, mi lascerete andare e non mi
verrete più a cercare».
Fury emise un lievissimo sospiro. «E sia».
Le proteste caddero nel silenzio trionfante di Loki.
«Direttore, non potete...», iniziò
Natasha.
«Siete pazzo quanto lui, se pensate che dica la
verità...», rincarò Clint, alzandosi.
«Hanno ragione», convenne Steve.
«Ci sta manipolando esattamente come l'altra
volta», osservò Bruce.
«L'avevi sempre saputo che saremmo finiti qui, eh
Nick?», accusò invece Stark.
«Adesso basta!», intervenne Khalida, alzando il
volume della voce.
Tutti gli sguardi si appuntarono su di lei, e nuovamente la donna
avvertì il peso schiacciante della responsabilità
sulle spalle. «State qui a punzecchiarvi come bambini che si
contendono un giocattolo. Qualcuno di voi ha un'idea migliore? Avete
miracolosamente imparato ad usare lo Scettro? È la nostra
unica possibilità per evitare una catastrofe»,
continuò.
«Khalida ha ragione», la sostenne Thor.
Captain America osservò il compagno. «Ne sei
convinto Thor?».
«Non mi fido di Loki, ma credo che in questo momento abbia i
nostri stessi interessi», annuì l'asgardiano.
«Non so tu, ma io non ho interesse a morire»,
replicò, Stark.
«Non è il momento di fare gli spiritosi,
Tony», lo rimproverò Steve.
«Non è spirito, ma
praticità», insisté il miliardario,
accennando a Loki con la testa. «Quello lì
potrebbe anche volere veramente portare via il Tesseract a Thanos, ma
non gli importerà niente di mettere a rischio la nostra
vita».
«Non siete obbligati a venire», osservò
Loki, divertito dal siparietto che gli umani stavano mettendo in atto.
«Eccome se verremo!», sbottò Stark,
avvicinandosi per guardare l'alieno negli occhi. «Non ti
libererai di noi così facilmente».
«Allora credo che sia inutile discutere»,
osservò Loki, tranquillamente.
“Direttore
Fury!”, chiamò la voce dell'agente
Hill, attraverso gli altoparlanti.
L'urgenza nel tono della donna fece immediatamente risuonare un
campanello d'allarme nella testa di ogni presente.
«Parli agente», la invitò Fury.
“È
meglio che veda lei stesso. Le mando le immagini sullo
schermo”, concluse lei.
Contemporaneamente, il grande pannello alle spalle di Fury si
illuminò, trasmettendo delle immagini che Fury aveva sperato
di non rivedere mai più nella sua vita.
Il molo di Santa Monica era irriconoscibile, solo lamiere fumanti
rimanevano di tutte le attrazioni del famoso luna park. L'asfalto e la
ghiaia erano ricoperti da forme scomposte e vagamente riconoscibili
come umane, la maggioranza erano così piccole da poter
essere solo bambini.
Il sangue aveva colorato il paesaggio, rendendolo simile alla scena di
un film horror di serie B. perfino la luce del sole appariva
innaturalmente rossastra.
Nel cielo sereno si stagliava il profilo affilato e crudele di una nave
aliena circondata da nubi violacee. L'inquadratura era fissa, e ben
presto la nave scomparve sul lato destro.
Fu quel movimento a far scattare Fury. «Agente Hill, voglio
tutti i radar a nostra disposizione su quella nave. Devo sapere dove
è diretta».
Il direttore osservò in volto i Vendicatori, Loki e Khalida.
«Il vostro jet parte tra quindici minuti. Fatevi trovare
pronti».
Khalida si guardò attorno, entrando nell'hangar.
Il jet era una ventina di metri avanti a lei.
Clint, Natasha, Steve, Stark, Thor e Loki erano ai piedi della rampa
d'accesso. Trattenne un sorriso nel notare lo sguardo con cui Occhio di
Falco scrutava Loki. Oltre a badare che l'alieno non li pugnalasse alle
spalle, avrebbe dovuto fare attenzione che qualcuno non lo ammazzasse
prematuramente, in un eccesso di zelo.
Il dottor Banner, con la sua solita aria di uno che vorrebbe essere da
tutt'altra parte, raggiunse il gruppo qualche istante più
tardi.
Probabilmente nessuno, a parte Loki, aveva notato la sua presenza.
La donna si concesse alcuni minuti per riordinare le idee.
Alla coscia, la fondina con la sua arma d'ordinanza pesava
più di quanto ricordasse. Alla cintura, portava invece due
piccole pistole automatiche caricate con l'energia del Tesseract.
Distrattamente, la donna accarezzò le piastre metalliche
dell'armatura.
Si era quasi messa a ridere quando le ancelle le avevano portato quel
completo, per prepararla per il viaggio.
Trovava ridicolo il modo in cui certi riti venivano considerati
essenziali in quella strana città.
Perfino per la guerra, le ancelle avevano voluto acconciarla e vestirla
come se fosse stata una sposa. Il modo in cui le avevano pettinato i
capelli, una treccia che ostentava la lunghezza notevole dei suoi
capelli, era una violazione bella e buona al regolamento, dato che
tutte le agenti dovevano portarli corti, o quantomeno legati in modo
che lo sembrassero.
Ma in fondo ne era contenta, si sentiva diversa, distinta dagli altri,
quasi la sua missione e la sua unicità dovesse essere
rimarcata anche dall'abbigliamento.
Come tutti i suoi compagni, adesso anche lei possedeva una sorta di
uniforme.
«Agente Sabil», la salutò Fury, comparso
dal nulla accanto a lei.
«Direttore», annuì lei.
«Ormai è tutto nelle sue mani»,
iniziò l'uomo.
«Ne sono consapevole», replicò Khalida,
sfiorando appena il cerchietto di metallo che portava all'anulare
destro.
«Cosa sa delle reali intenzioni di Loki?», chiese
Fury.
Khalida fissò brevemente il volto immobile dell'asgardiano,
Loki le restituì lo sguardo solo per qualche istante.
«Sono certa che voglia recuperare il Tesseract...».
«E tenerlo per sé?», concluse per lei
Fury.
«Non ne sono sicura. Ma lo scoprirò»,
affermò la donna.
«Si fida di lei?».
Khalida rise. «Ovviamente no. Ma credo di avere un ruolo nei
suoi piani, altrimenti non mi spiego perché abbia voluto
salvarmi la vita».
«Ammetto che lì ha sorpreso anche me»,
osservò Fury, accennando un breve sorriso.
Khalida non lo condivise. «Speriamo non lo faccia
più», si augurò.
Fury annuì, poi porse a Khalida lo Scettro, che fino a quel
momento aveva tenuto celato dietro la schiena.
«Glielo porti lei, agente», spiegò.
Khalida si sforzò di non mostrarsi sorpresa.
Afferrò il manufatto senza fare domande, trovandolo
più leggero di quanto si aspettasse e stranamente tiepido,
per essere di metallo.
«Buona fortuna», le augurò Fury, prima
di voltarsi.
Khalida non lo osservò sparire, a grandi passi raggiunse i
propri compagni e con un gesto secco e perentorio, consegnò
nelle mani di Loki lo Scettro.
Le mani dell'alieno, rapide, bloccarono quelle di Khalida, costringendo
la donna a guardarlo in volto.
Fu solo un breve istante, ma lo sguardo penetrante di Loki fece
scattare nelle mente di Khalida il sospetto che la conversazione tra
lei e Fury non era stata privata quanto credeva.
Una scarica di adrenalina le attraversò i muscoli.
Ciò che stava per fare, probabilmente l'avrebbe condotta
dritta nella tomba, ma ormai non aveva altra scelta.
Non avrebbe mai accettato di perdere quella sfida con sé
stessa, né desiderava che di Loki si occupasse qualcun altro
che non fosse lei.
Dopotutto, lui era ancora il suo
prigioniero.
-------------------------------------------------------------------------------
E meno uno! Il tredici sarà l'ultimo capitolo, poi
mancherà solo l'epilogo, che comunque ci darà
informazioni fondamentali.
Cosa ne pensate?
Khalida accenna spesso ad un "compito", avete idee su cosa potrebbe
essere?
Spero di avervi incuriosito.
Voglio ringraziare tutte le persone che leggono, perché,
nonostante nessuna resensione, lo scorso capitolo ha avuto ben 108
visualizzazioni in una settimana.
Sono molto contenta, e vi ringrazio.
Nicole
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 - Come un inganno ***
Ed
eccoci qui all'ultimo capitolo.
Ringrazio aubry e red_sayuri per aver recensito lo scorso capitolo e
tutte le persone che lo hanno letto e, spero, apprezzato.
Adesso siamo alla resa dei conti, per la sorpresa, ci vediamo alla fine.
Buona lettura.
Loki
aveva un piano ben preciso in testa, un sentiero battuto che aveva reso
man mano più evidente tra tutte le pieghe che gli eventi
potevano assumere. Le aveva esplorate tutte, analizzate, sviscerate.
Niente e nessuno l'avrebbe fatto deviare dal suo scopo.
Ogni mossa possedeva una ragione ben precisa, ed aveva ideato decine di
scenari alternativi, in cui lui riusciva sempre a riportare le cose
sulla giusta via.
Davanti ai suoi occhi i possibili futuri si dipanavano come i rami di
Yggdrasil, tentacoli che prevaricavano i limiti dello spazio e del
tempo.
Nessun imprevisto l'avrebbe colto impreparato.
Aveva calcolato tutto e le cose stavano andando esattamente come
previsto.
Senza volerlo, Thanos gli stava rendendo le cose più facili.
Conosceva alla perfezione la struttura interna della nave ammiraglia
che aveva appena attaccato la Terra. Arrivare al suo cuore, al
nascondiglio del Tesseract, sarebbe stato molto facile.
Certo, osservò con realismo, prima doveva sbarazzarsi delle
inutili zavorre che si era dovuto portare appresso, ma una volta in
possesso del Cubo, sarebbe stato semplice come respirare.
Poteva figurarsi nella mente l'espressione che ognuno dei Vendicatori
avrebbe avuto sul volto, nel momento in cui avrebbe realizzato di
essere caduto in una trappola.
Lo vedeva già, come un'illusione perfetta e nitida.
Solo un inganno ben riuscito riusciva a donargli una sensazione
d'inebriante onnipotenza, e a Loki mancava sentirsi potente,
invincibile.
Nella sua testa c'era solo una piccola, minuscola, incognita.
L'agente Sabil.
Aveva compreso da tempo che la donna perseguiva uno scopo molto diverso
da quello che tutti gli altri le attribuivano, ma non era ancora certo
di averlo afferrato con esattezza.
Troppe volte si era ritrovato impreparato alle sue reazioni,
più di quante lei avesse intuito.
La possibilità, anche se remota, che il granello di sabbia
che avrebbe fermato il perfetto ingranaggio che aveva ideato fosse
proprio lei, lo infastidiva.
Forse per quello le aveva lanciato quel muto avvertimento, ma non aveva
compreso esattamente la natura del sentimento che l'aveva spinto a
toccarla.
Anche se controvoglia, Loki avvertiva il bisogno di analizzare le
proprie emozioni, solo così avrebbe potuto controllarle, o
soffocarle, a tempo opportuno.
Per la donna non provava la solita insofferente sopportazione che
sentiva nei confronti di tutti gli altri umani. Lo irritava, certo, ma
c'era qualcosa di estremamente differente nella natura di tale
sentimento. Non era disgusto, né rabbia, piuttosto un
fastidio costante.
Perché, tutto sommato, quella donna gli piaceva.
Aveva una mente interessante, varia e svelta, e sembrava capace di
andare oltre i limiti sentimentali dei suoi simili.
Loki strinse le mani sullo Scettro, lasciando che l'energia in esso
custodita, ormai esigua, lo riscaldasse e lo rinforzasse dall'interno.
Mentre le mani iniziavano a formicolare, un pensiero fugace gli
attraversò la mente: sarebbe stato costretto ad uccidere
Khalida comunque.
Non poteva permettersi di avere una simile debolezza.
Non per un'umana.
Khalida, ignorando suo malgrado la natura dei pensieri di Loki, lo
avvicinò con calma, afferrando la rete sopra di lei per
rimanere in piedi. «C'è una cosa che mi sto
chiedendo...», iniziò, con un breve sorriso.
Loki le dedicò solo uno sguardo fugace, prima di ritornare
con gli occhi fissi davanti a sé.
«Ovvero?».
«Hai detto che il Tesseract permette a Thanos di viaggiare
tra i mondi», premise Khalida. «Quindi come ha
potuto inviare il Chyss a prenderlo?».
Loki dovette ammettere di essere sorpreso, ancora una volta. La donna
aveva appena posto l'unica domanda utile della giornata. La
guardò negli occhi, prima di rispondere. «Il
Tesseract è un manufatto potente, ma non è unico
nel suo genere. Ne esistono altri, più piccoli, meno facili
da usare, ma con le medesime proprietà».
«Quanti ne possiede Thanos?», continuò
Khalida, soddisfatta dalla risposta.
Loki aveva, impercettibilmente, cambiato il modo in cui le si
rivolgeva. Era più naturale, e meno sulla difensiva. A meno
che non fosse solo una finzione, poteva significare che le lunghe
settimane di interrogatorio erano servite a qualcosa.
«Prima dell'attacco avrei detto nessuno», ammise
Loki, senza esitare.
«E adesso?», insistette Khalida.
«Spero che quello che ha utilizzato fosse l'unico»,
confessò l'alieno, fingendo solo in parte il turbamento. Era
preparato anche a quella eventualità, ma era consapevole che
una complicazione del genere avrebbe reso tutto molto più
difficile.
Significava che, anche se privato del Tesseract, Thanos avrebbe
continuato ad essere una minaccia per lui.
Khalida scrutò il volto di Loki.
All'improvviso si era come spento, risucchiato da chissà
quale pensiero oscuro.
Cercò il suo sguardo.
«Andrà tutto bene».
L'agente Barton stava controllando scrupolosamente la propria
attrezzatura, quando lo strano dialogo che si stava svolgendo davanti a
lui attirò la sua attenzione.
Dopo qualche secondo, guardò Natasha.
«Da quando quei due sono amici?»,
domandò, accennando a Khalida e Loki.
La Vedova Nera dedicò un lungo sguardo al compagno, poi
abbassò gli occhi e finì di montare una delle sue
pistole. «Si sono salvati la vita a vicenda»,
spiegò. «Dovresti saperlo che crea dei legami
forti».
Clint sorrise. «E quand'è che tu mi avresti
salvato la vita?», domandò, ironico.
Natasha non lo guardò. «Budapest».
Occhio di Falco rise, mentre con un gesto esperto saggiava
l'elasticità del suo arco.
«Tu e io la ricordiamo davvero in modo diverso».
Los Angeles sembrava un enorme mostro di cemento dimenticato in mezzo
al nulla. Lungo le strade bollenti le lamiere delle auto brillavano di
riflessi abbacinanti e i vetri dei grattacieli riflettevano la luce
intensa del sole di mezzogiorno.
Tutto sembrava immerso nell'innaturale calma prima della tempesta.
L'astronave aliena aveva ormai raggiunto i margini della
città e la sua gigantesca ombra stava progressivamente
fagocitando ogni luce, gettando le vie trafficate nel buio di
un'improbabile eclissi.
Scrutandola attraverso il visore del casco, Iron Man la riconobbe.
“Conosco
quella nave”, disse all'auricolare, mentre
rallentava impercettibilmente per rimanere al passo con il jet. “È uguale a
quella che ho fatto saltare in aria con la testata nucleare”,
aggiunse.
«Thanos ne possiede un'intera flotta»,
spiegò Loki.
Stark ingoiò la risposta acida che gli sarebbe venuta
spontanea e analizzò brevemente i dati che il computer gli
inviava. Non sembrava protetta da un campo di forza, ma non riusciva a
vedere nessuna entrata praticabile. “Come facciamo ad
entrarci?”, chiese.
Loki aguzzò la vista. «C'è una
piattaforma per l'approdo delle navicelle, sul fianco destro».
“Hai sentito,
Stark?”, domandò Captain America.
“Forte e
chiaro. Stavolta la festa la facciamo da Thanos”,
scherzò. “Vi
aspetto là, portate gli stuzzichini, io penso allo
champagne”.
«Thor, anche tu puoi raggiungere la nave in volo»,
disse Steve.
L'asgardiano annuì e si avvicinò alla rampa. Dopo
qualche secondo, il pilota la abbassò e Thor,
sgusciò fuori in un turbine di vento che
scompigliò i capelli di Natasha e fece correre una
fastidiosa pelle d'oca sulla pelle di Khalida.
Erano in alta quota, e lei si era appena ricordata che soffriva di
vertigini, il solo motivo per cui non aveva mai completato
l'addestramento da soldato nell'esercito ed era passata nei servizi
segreti.
Per distrarsi, cercò di individuare il punto in cui si
stavano dirigendo Tony e Thor.
Guardò Loki. «Il jet può atterrare su
quella piattaforma?».
Lui annuì. «Tuttavia, verremo individuati in
fretta. Se vi teletrasportassi, invece, avremmo più tempo
prima che si accorgano di noi».
«Qual'è il ma?», intervenne Natasha.
Loki sorrise, in modo irritante. «Non possiedo abbastanza
energia per trasportarvi tutti».
«Bugiardo», lo accusò immediatamente
Banner, facendo un passo avanti.
Un'ombra passò sul volto di Loki, mentre sosteneva lo
sguardo dello scienziato. «Se volete posso provare, ma non
ritenetemi responsabile se qualcuno di voi non arriverà a
destinazione», rispose, la voce indurita da un'improvvisa
collera.
Khalida spostò brevemente lo sguardo tra Loki e Bruce. Se il
dottore avesse perso il controllo, avrebbe fatto saltare il piano,
oltre che il jet stesso.
Fece un passo in avanti, lasciando andare la rete che l'aiutava a stare
in piedi. Aprì la bocca, ma prima che pronunciasse una sola
parola, una profonda vibrazione scosse il cielo e il jet
precipitò in un vuoto d'aria.
Khalida si sentì priva di peso per un eterno istante, poi
urtò qualcosa con la schiena e si sentì afferrare
per la vita.
«Tenetevi!», ordinò Rogers, mentre il
pilota tentava di stabilizzare la rotta.
Confusa, Khalida osservò per un attimo senza capire il
braccio che la sosteneva, ci mise qualche minuto prima di realizzare
che Loki l'aveva afferrata per impedirle di farsi male, mentre il jet
era in preda allo stallo. Non permise a sé stessa di
stupirsi, e non appena il velivolo fu stabile, l'asgardiano la
lasciò andare senza guardarla.
«Che diavolo è successo?», chiese Banner
aggrappato alle cinghie di sicurezza dietro di lui come un gatto
idrofobo appena gettato nella vasca da bagno.
«Oh mio Dio...», si lasciò sfuggire
Khalida, non appena ciò che stava accadendo a poche decine
di metri da loro entrò nella sua visuale.
I margini frastagliati della nave rilucevano di lampi azzurri, ad
intermittenza violente scariche di fulmini si riversavano sulle strade
di Los Angeles, ormai in preda al panico.
Captain America valutò la situazione per qualche istante,
poi prese una decisione.
Guardò Loki. «Quante persone riesci a portare con
te?».
«Tre, oltre a me», replicò l'asgardiano,
intuendo il ragionamento del soldato.
Steve annuì. «Natasha, tu resti con me. Atterriamo
e cerchiamo di mettere in salvo più civili
possibili», ordinò e la Vedova Nera
annuì nervosamente. Non era contenta di lasciare Clint solo
con Loki, ma non aveva altra scelta.
«Voi altri andate sulla nave», proseguì
il Capitano, cercando gli occhi di Bruce, che fece un breve cenno
d'assenso.
Rogers imbracciò lo scudo.
«Buona fortuna».
Si poteva immaginare che essere teletrasportati provocasse fastidiosi
effetti collaterali come nausea e capogiri ma, quando Bruce
riaprì gli occhi, non si sentì diverso da pochi
istanti prima.
Si guardò intorno, il sole era bollente, ma sotto le suole
delle scarpe il pavimento era innaturalmente gelido. Un fastidioso
vento freddo gli scompigliava i capelli.
Per la sua mole, il mezzo alieno si spostava ad una velocità
notevole.
La piattaforma dove Loki li aveva condotti era larga poco
più di cinque metri e lunga il doppio. All'apparenza, non
c'era nessun ingresso.
Strane sbavature scure sulle pareti, che sembravano di uno materiale
sconosciuto a metà tra la roccia e il metallo,
testimoniavano gli sforzi di Tony per aprirsi un varco verso l'interno
dell'astronave.
Ma ora, l'attenzione di tutta la squadra, era calamitata sotto di loro.
Sistematicamente, in modo orribile ed efficiente, i fulmini si
abbattevano su ogni cosa che incontravano, incendiandola e riducendola
in breve tempo in un grumo di cenere. Minuto dopo minuto, Los Angeles
si stava trasformando in un città lunare, fatta solo di
moncherini fumanti.
Thor cercò gli occhi di Loki. «Come possiamo
fermarlo?», domandò, avvicinando quello che
considerava ancora suo fratello, nonostante tutto.
Lui non lo degnò di uno sguardo. «Le armi sono
alimentate dal Tesseract, per avere una tale potenza. Se lo
recuperiamo, fermeremo l'attacco».
«E nel frattempo?», intervenne Tony.
Loki guardò alla sua destra, dove una brusca curva della
struttura nascondeva alla vista il resto della nave. Rimase in silenzio
per un minuto, come riflettendo.
«Le armi colpiscono ad intervalli regolari. Se riuscite a
tenere il loro ritmo, potete volare in mezzo alla tempesta e provare a
distruggere i cristalli che catalizzano l'energia del
Tesseract», spiegò, con voce calma, stavolta
guardando apertamente sia Tony che Thor.
Iron Man piegò leggermente la testa di lato, le fessure
dell'elmo illuminate appena, nella luce accecante del sole che piombava
su di loro. Un leggero ronzio annunciò l'attivazione dei
razzi. «Devo ammettere che ti riesce bene, liberarti di
me», ironizzò, rivolto a Loki, prima di sollevarsi
e scomparire.
«Non quanto vorrei», mormorò Loki in
risposta.
Thor accennò un lieve sorriso. «Fate
attenzione», raccomandò, prima di seguire Tony.
Bruce rabbrividì per l'ennesima folata di vento.
«E noi che facciamo?», chiese.
Loki osservò la parete nuda e spoglia, ghignò
impercettibilmente, puntando lo Scettro.
Un globo d'energia si formò a partire dal cristallo azzurro,
si staccò dallo Scettro e si infranse come acqua sulla
parete. Esitò qualche istante, aggrappandosi alla superficie
e corrodendola come acido. La luce si dissolse pochi secondi dopo,
sfrigolando, rivelando un'apertura di circa due metri d'altezza e
altrettanti di larghezza.
Un sorriso aperto tagliò il volto di Loki.
Khalida scambiò uno sguardo con Clint, che appariva calmo e
concentrato, solo un lieve tremito nervoso delle dita tese intorno
all'arco, rivelava il vero stato d'animo.
«Qual'è il piano?», chiese la donna,
voltandosi verso Loki.
Un lieve alone di luce definì la figura dell'alieno, mentre
il suo abbigliamento cambiava, sostituito dall'armatura nera e
dall'elmo dorato. Khalida l'aveva visto così solo durante la
conversazione astrale che avevano condiviso, e nuovamente
constatò di avere davanti qualcosa che poteva ucciderla con
un solo sguardo.
Eppure, questa volta non aveva paura, forse perché ormai si
sentiva rassegnata.
«Ho abbastanza energia per riuscire a nasconderci tutti con
un'illusione. Il Tesseract si trova nelle viscere della nave.
Seguitemi, e rimanete in silenzio. Più tardi si accorgeranno
di noi, meglio sarà», spiegò Loki.
Khalida annuì brevemente, poi cercò il sostegno
di Bruce, fissandolo in volto.
Il dottore le fece un breve cenno, come a dire che ci stava.
Per un momento Khalida pensò che, forse, era meglio dare una
delle sue armi al dottore, per poi ricordare che, se c'era qualcuno che
sicuramente sarebbe uscito vivo da quella missione, era proprio Banner.
Che fosse armato o no.
I corridoi della nave erano bui e umidi.
Una strana luce diffusa, di cui Khalida non riusciva ad identificare la
fonte, era appena sufficiente per riuscire a camminare senza
inciampare. Il percorso procedevo curvo, come se si avvitasse su
sé stesso in un'infinita spirale.
Khalida, nonostante il freddo, aveva la fronte imperlata di sudore. Per
quanto vivesse da tempo in metropoli e città soffocanti, gli
spazi chiusi e privi di luce la mettevano a disagio. Era cresciuta in
mezzo alla luce e alla polvere del deserto, e i suoi occhi erano
abituati allo sfavillio del sole piuttosto che ai riflessi della luna.
Loki li conduceva con passo calmo ma costante. Ostentava sicurezza, ma
il suo volto era deformato dalla concentrazione. Khalida poteva solo
immagine che sforzo immane fosse gestire un' illusione di tale portata.
Doveva mascherare sia la loro presenza che il loro odore ai numerosi
Chitauri che incrociavano lungo la via.
Ogni volta che le loro figure dinoccolate e ciondolati le comparivano
davanti, Khalida non riusciva a trattenere le proprie mani dal correre
alle armi che portava alla cintura.
Più di una volta aveva temuto che Loki avrebbe rivelato la
loro presenza, eppure l'aveva visto stringere i denti e concentrarsi di
più ad ogni passo. Non riusciva a credere che lui volesse
sul serio proteggerli, per cui non capiva quale fosse il suo piano.
Il pavimento tremò impercettibilmente sotto i loro piedi.
Negli ultimi minuti era successo diverse volte, immaginava che fosse
dovuto ai colpi di Thor e Stark, all'esterno della nave.
Il corridoio curvò bruscamente, portandoli in una stanza di
cui Khalida non vedeva i confini.
Il soffitto era un'enorme cupola alta decine di metri.
Il volto di Loki si rilassò improvvisamente e Khalida
capì che erano arrivati.
Su un piedistallo di forma cilindrica, alto all'incirca un metro, era
incastonato il Tesseract. Dalla base, come grosse vene di luce, si
diramavano tentacoli d'energia lungo il pavimento e il soffitto a
volta, creando una ragnatela sfavillante, azzurra e bianca.
Dopo il buio dei corridoi, la luce abbagliò gli occhi
Khalida, facendoli lacrimare.
Con un rapido gesto, la donna se li asciugò e allora si
accorse del silenzio.
Si voltò di scatto, con un terribile presentimento.
Nella stanza c'erano solo lei e Loki.
Un urlo rabbioso in lontananza annunciò che anche il Dottor
Banner aveva capito l'inganno. Evidentemente, non aveva affatto gradito.
Istintivamente, Khalida estrasse la pistola, ma Loki le
afferrò la mano, stringendola tanto forte da costringerla ad
aprire le dita e gettarla a terra.
Sorrideva come non l'aveva mai visto, illuminato dal trionfo
dell'inganno.
Lei boccheggiò, era la prima volta che l'alieno usava la sua
forza fisica in modo tanto violento, e si stupì che con quel
tocco deciso non le avesse spezzato le ossa.
Freneticamente, Khalida tentò di stare al passo con il piano
di Loki.
Attraverso le sue illusioni, li aveva separati, probabilmente guidando
sia l'agente Barton che Banner in un luogo molto distante dalla stanza
del Tesseract.
«Perché io?», domandò
improvvisamente.
Loki aveva scelto di tenerla con sé, e non riusciva a
capacitarsi di quella scelta, a parte l'ovvietà che sarebbe
stata più facile da gestire di Hulk, o di Clint.
Loki la guardò in volto. «Perché non
sapevo quale sarebbe stata la tua reazione».
Khalida sgranò gli occhi, stupita. Cosa diavolo significava?
Che la riteneva pericolosa, o solo che, semplicemente, preferiva averla
sott'occhio?
Voleva usarla come merce di scambio?
Improbabile, anche se sarebbe stato nel suo stile.
Ma forse, per un simile scopo, avrebbe preso Natasha, non di certo lei
che non faceva parte di nessun gruppo in particolare.
L'alieno la scrutò a lungo, come se volesse leggerle i
pensieri.
La lasciò andare un'istante dopo.
La donna ci mise qualche istante a realizzare che era ancora armata, e
che lui sembrava essere consapevole del fatto che non l'avrebbe
attaccato.
Forse Loki l'aveva capita meglio di quanto credesse e non era certa che
fosse un bene.
Lo osservò, incapace di muoversi. Una sola mossa sbagliata
avrebbe significato morte certa.
A passi decisi, Loki avvicinò il Tesseract e tese lo
Scettro.
Il cristallo al centro del manufatto brillò intensamente,
emanando scariche d'energia sempre più intense. Il Tesseract
reagì qualche istante dopo, e la luce si
intensificò in un crescendo rapido e inarrestabile, mentre
tra i due manufatti si creava una fitta rete di fulmini sottili come
capelli.
Khalida ebbe la prontezza di chiudere gli occhi, mentre una sorta di
onda d'urto silenziosa la investiva. Ascoltò assorta il
battito del proprio cuore per quelli che le parvero minuti interi,
anche se probabilmente furono solo pochi secondi.
Quando riaprì gli occhi, intorno a lei era calata
l'oscurità.
Guardò il piedistallo.
Era vuoto.
Il Tesseract era scomparso, così come la sua luce.
La donna fece un passo avanti, a tentoni, respirando profondamente per
cercare di razionalizzare gli eventi. Lentamente, i suoi occhi
percepirono e tradussero la lieve luce che definiva l'ambiente.
Loki era esattamente dove stava prima, la sua figura contornata da un
lievissimo alone celeste.
Lo Scettro, tra le sue mani, aveva mutato forma, ora assomigliava
più a una lancia, o a un bastone, avvitato su sé
stesso.
In cima, sospeso a mezz'aria tra quattro sostegni di metallo, c'era il
Tesseract.
Khalida aprì la bocca e la richiuse.
Loki le aveva mentito.
Lo Scettro non era mai servito a controllare l'energia del Tesseract.
Era stato creato per assorbirlo.
Quando Loki si voltò verso di lei, la donna ebbe la certezza
che quella sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto prima di
morire.
Una scarica d'adrenalina le corse nei muscoli, facendole irrigidire
ogni fibra del corpo.
Se doveva morire, almeno avrebbe tentato di vendere cara la pelle.
Non aveva senso provare ad avere la meglio su Loki fisicamente ma, con
un po'di fortuna, con le parole sarebbe riuscita a portare a termine il
piano o, quantomeno, a non rovinarlo completamente.
«Sapevi che non avrei tentato di fermarti», le
scivolò di bocca, quando Loki le fu di fronte.
Lui sorrise, gli occhi brillanti sotto l'ombra dell'elmo.
«Anche se sei umana, non sei stupida», convenne.
«Mi ucciderai?», chiese lei.
Loki piegò leggermente la testa. «Non subito.
C'è una cosa che voglio sapere da te».
Gli occhi di Khalida corsero al Tesseract, al suo interno si agitavano
masse di ogni sfumatura di blu. Vorticavano furiosamente, avvitandosi
su sé stesse, creando strani giochi di luce sul volto di
Loki.
«Perché mi hai salvato la vita?», chiese
lui avvicinandosi ancora, sovrastandola.
«Ho già risposto a questa domanda»,
osservò Khalida, di getto.
«Ringrazia che sia bravo a fiutare le bugie, altrimenti
saresti morta da molto tempo», la smascherò Loki.
Lei si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. «Come
hai detto, non sono stupida. Non ho intenzione di rispondere».
Per qualche istante si osservarono in silenzio.
«Avrai un'altra occasione, per farlo», fece lui,
mentre la luce emanata dallo Scettro aumentava lievemente.
“Agente Sabil,
dove diavolo sei?”, chiamò la voce
affannata di Clint all'auricolare di Khalida.
Khalida trasalì appena, ma si riprese subito consapevole
dello sguardo indagatore di Loki.
Ora o mai più, si disse.
Si tolse l'auricolare, facendolo cadere a terra e lo pestò
con forza, frantumandolo.
«Non credo che avremo ancora occasione di parlare»,
iniziò, guardando Loki in volto. «Quando
scopriranno che ti ho lasciato andare, mi uccideranno. Tanto vale che
tu lo faccia subito», aggiunse.
Le labbra di Loki ebbero un fremito. Probabilmente non si aspettava una
simile reazione da parte della donna, e Khalida ne
approfittò per proseguire.
«Portami con te», disse, semplicemente.
«Agente Sabil!», gridò nuovamente la
voce di Occhio di Falco, questa volta vicinissima.
Khalida si voltò verso l'entrata.
Vide Clint tendere l'arco verso di lei, sentì la mano di
Loki stringersi intorno al suo braccio e un dolore lancinante in ogni
parte del corpo.
Gridò e ogni cosa svanì.
----------------------------------------------------
Ok, credo che la cosa sia ormai ovvia.
Questa storia avrà un seguito.
In realtà Similitudini,
è il titolo di una trilogia, di cui questo è solo
il primo episodio, che si intitola Prigioni.
La prossima settimana, quando posterò l'epilogo,
posterò anche direttamente il prologo della seconda parte.
I titoli cambieranno, perché Similitudini
sarà il titolo che darò alla serie.
Il secondo episodio si intitolerà Spie.
Spero di rivedervi tutti per la seconda parte, intanto ditemi cosa ne
pensate dell'ultimo capitolo.
A presto
Nicole
PS: ovviamente, tutto quello che dico riguardo allo Scettro e al
Tesseract è inventato di sana pianta!
|
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Capitolo 15 *** Epilogo - Come una spia ***
Eccomi con
l'epilogo.
Come al solito, ci vediamo alla fine.
Buona lettura.
L'agente
Hill correva lungo i corridoi deserti della base temporanea dello
S.H.I.E.L.D.
L'ordine di evacuazione era stato eseguito con rapidità,
tutta l'attrezzatura e il personale si trovavano in una seconda base
temporanea, nelle profondità delle Rock Mountains.
All'interno dell'edificio sotterraneo, come da ordini, erano rimasti
solo Fury e i Vendicatori.
E lei.
Avrebbe dovuto partire con l'ultimo elicottero, ma aveva ricevuto una
comunicazione importante, e il Direttore doveva conoscerla
immediatamente.
Mentre accelerava il passo, la donna ripercorse brevemente gli eventi
delle ultime ore.
La missione per recuperare il Tesseract era fallita clamorosamente.
Loki li aveva ingannati ed era fuggito, portando via il Cubo. Dalle
informazioni fornite dai Vendicatori sembrava che l'agente Sabil avesse
favorito la sua fuga, scomparendo insieme all'alieno.
Era stata ufficialmente dichiarata dispersa in azione. Ufficiosamente,
il suo volto era su tutti i database di ricerca internazionale con
l'ordine di massima priorità. Era segnalata come armata e
pericolosa, con l'ordine di sparare a vista.
L'agente trattenne un sospiro.
Come ogni membro dello S.H.I.E.L.D. conosceva la storia dell'agenzia,
c'erano state delle ombre più o meno oscure, ma mai un
tradimento tanto sfacciato.
Quella donna sarebbe stata la rovina del Direttore Fury.
La porta a vetri cedette docile sotto la spinta decisa dell'agente Hill.
La brusca entrata, ferì il silenzio glaciale della stanza, e
la donna si bloccò per un'istante.
Il pallore del fallimento e della fatica gravava su ogni volto.
Stark indossava ancora l'armatura, graffiata, ammaccata e annerita, il
volto affaticato e rigato di cenere incredibilmente serio. L'agente
Barton, livido in volto, era seduto a braccia conserte, aveva un taglio
sulla tempia e un braccio fasciato. Le garze bianche erano macchiate di
sangue.
Thor e Captain America erano seduti vicini. Fisicamente, sembravano
quelli meno provati, ma l'espressione dei loro volti era
indescrivibile. Il Dio del Tuono appariva cupo, e gli occhi azzurri
solitamente ridenti, erano risucchiati in una spirale di sensi di colpa.
All'appello mancava l'agente Romanoff, che si trovava ancora in sala
operatoria. Era stata gravemente ferita mentre insieme a Rogers tentava
di portare in salvo una scolaresca. Il volto del soldato rifletteva le
cicatrici di chi ha già visto cadere troppi compagni.
I medici ancora non si erano pronunciati sulle sorti di Natasha, e
nessuno aveva voglia di essere ottimista.
Fury, in piedi accanto allo schermo piatto, freddò l'agente
Hill con un'occhiataccia. «Cosa ci fa qui,
agente?», domandò, aspro.
La donna respirò a fondo. «La squadra di ricerca
ha rintracciato il Dottor Banner, credevo volesse saperlo»,
annunciò.
Una lieve luce illuminò l'unico occhio del Direttore.
«Bene. Ordini agli agenti di condurlo alla nuova base. Ora
vada», ordinò, perentorio.
«Sissignore», annuì la donna,
voltandosi.
Esitò solo un'istante, prima di lasciare la stanza e
ripercorrere a passo svelto i corridoi, ripetendo gli ordini del
Direttore all'auricolare.
«Peccato che non tutti i suoi agenti siano così
diligenti», mormorò Stark, acido.
«Quella donna non è mai stata una di
noi», replicò Barton, piccato.
«Non fare il santerellino, Legolas. Siete tutti fatti di
quella pasta», insisté il miliardario, stavolta
con tono amaro.
«Non permettetele di metterci uno contro l'altro. Il nemico
non siamo noi», li interruppe Steve.
«Già, il nemico è chi nella stanza ha
un occhio solo», canticchiò Stark, voltandosi
verso Fury. «Cosa diavolo ci hai mentito, adesso?
Perché tu ci hai lanciato in una missione suicida, ed eri
consapevole di quello che stavi facendo»,
continuò, il cerchio di luce sul petto illuminato fiocamente.
«Avete accettato tutti la missione, con i rischi che
comportava», osservò Fury, con calma.
Thor si alzò in piedi. «La smetta, Fury. Vogliamo
sapere la verità», disse, la voce impetuosa come
il vento di un uragano.
L'uomo scrutò a lungo i volti dei presenti, poi
sfiorò brevemente lo schermo dietro di sé.
Con un lieve bip, sui led comparve un'immagine tridimensionale del
Tesseract, accompagnata da dati e grafici.
«Circa un mese prima dell'attentato ai danni di Loki, il
Dottor Selvig ha notato un cambiamento nelle radiazioni emesse dal
Tesseract. Approfondite analisi hanno rivelato che, inspiegabilmente,
il Tesseract si stava spegnendo», iniziò Fury.
«Spegnendo? Il Tesseract è energia pura, non si
può spegnere! Non è una lampadina»,
protestò Stark.
«Infatti ho detto inspiegabilmente»,
ricordò Nick, sfiorando nuovamente lo schermo, l'immagine
cambiò mostrando un grafico in cui una linea rossa
precipitava vertiginosamente verso il basso. «Le proiezioni
di Selvig hanno rivelato che nel giro di sei mesi, l'energia emanata
dal Tesseract sarebbe diventata paragonabile a quella di una comune
batteria, appena sufficiente per far funzionare un cellulare».
«Questo cosa centra con Loki e l'agente Sabil?»,
intervenne Clint.
Fury sembrò prendere un respiro profondo.
«Nonostante il Dottor Selvig sia il maggiore esperto della
Terra, quando si tratta del Tesseract, non siamo riusciti né
a trovare una spiegazione, né una soluzione a questo
fenomeno. Il Cubo non è di questo mondo. Nonostante per anni
sia stato custodito qui, la sua natura non ha niente a che fare con gli
esseri umani. Ci siamo resi conto che se volevamo comprenderlo, avevamo
bisogno di qualcuno che lo conoscesse come nessun altro».
«Loki», mormorò Thor.
Fury annuì. «L'attentato nei suoi confronti e la
tua richiesta sono capitati nel momento perfetto, quando ormai avevamo
compreso che non potevamo fare nulla per impedire lo spegnimento del
Tesseract».
«Che ruolo ha l'agente Sabil in questo?»,
domandò Rogers.
«Quello che vi era stato detto. Interrogare Loki, scoprire
informazioni su Thanos e sul funzionamento del Tesseract»,
disse Fury, poi osservò ognuno dei presenti negli occhi.
«Ad ogni costo», aggiunse lentamente, scandendo le
parole.
Stark fu il primo a parlare, a tradurre in parole quelli che tutti
stavano pensando. «Khalida sta facendo il doppio
gioco».
Fury annuì gravemente. «Vi spiegherò i
dettagli del piano non appena arriveremo alla nuova base, per ora vi
basti sapere che la situazione è sotto controllo».
Stark rise. «Hai una strana concezione del controllo,
Nick».
«E anche un ottimismo fuori luogo»,
osservò Clint cupo.
L'occhio di Fury si strinse. «Cosa intende, agente
Barton?».
Occhio di Falco sospirò, ma sostenne lo sguardo del
Direttore. «Quando ho sorpreso Khalida nell'atto di scappare,
ho provato a fermarla. Ho teso l'arco e ho scoccato una
freccia».
«Questo lo sappiamo, ma hai detto che è scomparsa
prima che la freccia la raggiungesse», osservò
Steve.
«Apparentemente. Ma nella stanza la freccia non c'era. L'ho
cercata», ammise Clint.
Tutti ammutolirono.
Significava che il loro unico legame con il Tesseract in quel momento
poteva essere già morto. Se la freccia era riuscita a
raggiungere Khalida, ormai era tutto perduto.
Nick Fury raddrizzò le spalle.
«Speriamo che la sua mira non sia poi così
infallibile, agente Barton», mormorò.
Ma il silenzio, ricordò a tutti che era una speranza
flebile, sottile come un sorriso e affilata come vento gelido, lo
stesso che fuori dalla base spazzava il deserto immerso nella calma
notturna.
Là fuori, da qualche parte, la missione di una spia stava
iniziando sotto la cupa luce di una luna nuova, in una notte senza
stelle.
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Come ho già
specificato, tutto ciò che dico riguardo al Tesseract
è puramente inventato.
Quindi, cosa ne pensate?
Attendo i vostri commenti
Ci vediamo per il prologo
della seconda parte.
Ringrazio tutti i lettori
e Martina per aver recensito lo scorso capitolo.
Nicole
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