Prigioni

di Blue_moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come un leone in gabbia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Come lui ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come un assassino ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come una falena ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come un insonne ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come una foglia nel vento ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Come un'illusione ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Come un bisturi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Come un fiammifero ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Come un uomo ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Come una dea ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Come una pedina ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Come un alleato ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Come un inganno ***
Capitolo 15: *** Epilogo - Come una spia ***



Capitolo 1
*** Prologo - Come un leone in gabbia ***


Buonasera a tutti!
Allora, premetto che sono nuova delle sezione, e che questo genere di trame non sono assolutamente il mio genere, ma qualcosa, un'esigenza letteraria, diciamo, mi ha spinto ad imbarcarmi in questa avventura.
Un altra cosa che ci tengo a precisare è che so già che la mia trama, almeno all'inizio, può apparire uguale a tante altre che già ci sono pubblicate nella sezione. Spero comunque che il mio modo di sviluppare i personaggi vi incuriosisca e vi spinga a leggere.
La storia non sarà molto lunga, e credo che riuscirò ad aggiornarla con una frequenza più o meno settimanale, anche se forse non durante questo periodo estivo.
Ok, la smetto e vi lascio al prologo.
Baci, Nicole

DISCLAMER: ovviamente non scrivo a scopo di lucro, i personaggi appartengono ai leggittimi proprietari e la mia è un interpretazione del tutto personale e basata unicamente sulla versione cinematografica e non dei fumetti originali della Marvel.










Su Asgard la luce era onnipresente.
Si rifletteva sui tetti di metallo lucido, splendeva sulle strade lastricate e rifulgeva sui volti perfetti dei suoi abitanti, rendendo tutto quanto ammantato da un'aura di perfezione irreale.
Eppure, dietro quella pace, quella bellezza, si nascondevano animi oscuri, opposti a quella luce.
Loki sapeva di essere uno di loro, ma era anche consapevole di non essere l'unico.
Era stata una sua scelta quella di abbracciare la causa della vendetta, ma non poteva dimenticare tutto quello che gli era stato fatto per spingerlo in quella direzione. E il fatto che lui fosse stato punito, e loro vagassero ancora in quella luce, lo riempiva di rabbia, all'interno dell'oscurità in cui era stato relegato.
Quella prigionia, piuttosto che farlo riflettere sui suoi peccati, stava alimentando sempre di più la sua ira, il senso di disprezzo per il popolo ipocrita di Asgard e la fame di potere.
Come un leone in gabbia, era stremato e umiliato, ma pronto a sbranare i propri aguzzini non appena ne avesse avuto l'opportunità. Più Asgard  lo spingeva verso il basso, più sarebbe stata fulminea la sua risalita, il suo ritorno allo splendente mondo che lo rifiutava.
Nonostante fosse nato nell'oscurità di Jotunheim, Loki bramava la luce.
Il suo calore, la sua purezza e, soprattutto, la sua capacità intrinseca di creare ombre profonde e insondabili. Le stesse che sentiva di avere dentro, le stesse che l'accecante luce di Odino e Thor aveva creato nella sua vita.
Essere lasciato al freddo e al buio era una punizione peggiore di quanto lui stesso pensasse.
Ma c'era una cosa che, in parte, lo consolava.
Fino a che fosse stato sotto la protezione del Padre degli Dei e di Thor, non avrebbe potuto essere bersaglio dell'ira di Thanos, l'oscuro signore con cui si era alleato e di cui aveva disatteso le aspettative.
Loki era scaltro e realista, teneva alla propria vita.
Senza di essa non avrebbe potuto raggiungere i suoi obiettivi, né dimostrarsi degno dell'onore che sapeva di meritare.
Per ora, anche se impotente, si trovava in uno dei posti più sicuri all'interno dei nove regni, protetto dall'amore cieco e stupido di chi si credeva migliore di lui.
Almeno, così aveva sempre creduto.

Periodicamente, Loki non sapeva ogni quanto esattamente, delle guardie lo prelevavano e lo portavano al cospetto di Odino, Thor e alcuni saggi, i quali avevano il compito di valutare il suo pentimento.
Loki non rispondeva mai alle loro domande.
Non vedeva come le sue parole potessero modificare il giudizio già emesso nei suoi confronti. D'altronde, nemmeno lui credeva sul serio di poter cambiare ciò che era la sua natura, o forse, più semplicemente, non ne vedeva la ragione e non ne aveva il desiderio.
Solo Thor, stupidamente, insisteva perché gli fosse data una “seconda occasione”, ma le sue suppliche cadeva sempre nel vuoto.
Loki non si sottraeva a quelle udienze per un semplice motivo: se voleva fuggire, doveva sfruttare quei momenti in cui le porte della sua prigione erano lasciate aperte.
Stava raccogliendo le forze e le idee, ripassando, viaggio dopo viaggio, il percorso lungo cui le guardie lo conducevano, per identificare con esattezza in che zona della città si trovava.
Il piano era quasi pronto, ma ugualmente Loki stava attendendo.
Ancora poco tempo, e l'arroganza degli asgardiani gli avrebbe facilitato le cose.
Proprio per questo suo essere così attento durante quei brevi tragitti, quel giorno Loki capì immediatamente che c'era qualcosa di strano. I corridoi non erano gli stessi e qualcosa nelle guardie l'aveva messo immediatamente in allarme, facendo scattare i sensi vigili. Solo quando un sottile raggio di luce illuminò i tratti immobili dei suoi accompagnatori, rivelando un sinistro luccichio azzurro intenso nelle pupille, Loki capì di essere stato uno sciocco a confidare in Asgard.
Lui per primo avrebbe dovuto sapere quanto fosse facile violare i sistemi di sicurezza della città, dato che era stato uno dei primi a farlo.
Thanos l'aveva trovato.
Cercando di mantenere il sangue freddo, Loki sbirciò le armi delle guardie.
Per potersene impadronire avrebbe dovuto prima impedire loro di ucciderlo o ferirlo.
Respirò a fondo, concentrandosi, e proiettò nelle menti dei soldati, già soggiogate e quindi deboli, un'immagine di sé stesso che si liberava e tentava di aggredirli.
Si appiattì contro la parete, sfuggendo dal combattimento che le due guardie aveva ingaggiato l'una contro l'altra osservando il risultato della sua illusione.
In pochi secondi, entrambe le guardie giacevano a terra, morte. Si erano trafitte a vicenda.
Loki si beò per un istante della sensazione di onnipotenza che gli donava tornare ad utilizzare le sue doti. L'unica cosa che lo elevava al di sopra di tutte le altre menti oscure di Asgard era il suo coraggio d'agire, di ammettere di fronte all'intero universo chi era senza nessuna paura.
Riordinando in fretta le idee, si liberò dalle manette di metallo utilizzando la lama affilata di una delle lance, poi l'afferrò, sentendosi più sicuro, ora che poteva difendersi.
Ma la sensazione durò solo il tempo di arrivare in fondo al corridoio.
Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi del soldato di Thanos, l'esplosione di luce azzurra accecò i suoi occhi e poi lo privò di nuovo della luce.
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A presto! ^-*

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Come lui ***


Ringrazio tutte le persone che hanno letto il prologo, in particolare devilcancry che ha lasciato una recensione.
Ecco il primo capitolo, non so se riuscirò a postare il secondo capitolo entro la settimana. se così non fosse, ci vediamo tra due settimane, dato che per un po'di tempo non avrò accesso ad internet.
Ancora grazie.
Bacioni!
Nicole
PS: i capitoli non saranno mai molto lunghi, cerco di mantenere una lunghezza relativamente costante, sperò però, che non vi sembrino frettolosi.




L'agente Barton camminava a passo svelto lungo i corridoi asettici della base temporanea dello S.H.I.E.L.D.
L'Eliveivolo era quasi riparato ma sarebbe diventato operativo non prima di quattro settimane, per cui dovevano accontentarsi di sostare in quella base costruita nel bel mezzo del deserto più caldo dell'Arizona, celata sotto metri e metri di sabbia, sassi e cactus.
Non era un brutto posto, pensò con un mezzo sorriso, ma preferiva di gran lunga la vista del cielo e delle nuvole alle nude rocce nere che si intravedevano dalle sottili fenditure nelle pareti di metallo.
L'uomo sospirò, toccandosi soprappensiero la nuca.
Se ripensava alla frenesia dei mesi precedenti, all'opera di ricostruzione e messa in sicurezza di una New York a pezzi, aveva un'improvvisa vertigine. Insieme a tutti gli altri agenti, era stato impegnato notte e giorno, e non aveva mai dormito così poco nella sua vita.
Il riposo che gli era stato concesso era più che meritato.
Ma ora, probabilmente, era finito.
Poco prima di raggiungere la sua meta, incrociò Natasha.
Si aspettava di vederla, aveva un brutto presentimento e la sua presenza glielo confermò ulteriormente.
L'uomo salutò la collega con un breve sorriso.
«Com'era l'Afghanistan?», le chiese.
Lei sollevò un sopracciglio, con il volto impassibile. «Caldo», replicò, asciutta.
Anche lei aveva una strana sensazione e non era di buon umore.
Quei mesi di calma apparente erano stati troppo belli per essere veri, aveva vissuto aspettandosi una brutta notizia piombare giù dal cielo ogni secondo, e ora sapeva che il momento era arrivato.
Per quanto amasse il suo lavoro, c'erano dei momenti in cui lo detestava con tutta sé stessa.
«Sai qualcosa di questa convocazione?», chiese a Clint, mentre attendeva che il dispositivo di sicurezza le scannerizzasse la retina e le desse l'accesso all'area più top secret della base: la centrale operativa dei Vendicatori.
«No, ho solo il sospetto che c'entri Selvig. In questi giorni era particolarmente assente, in più è arrivata una nuova scienziata e credo significhi solo guai», espose l'uomo, mentre si sottoponeva allo stesso sistema di riconoscimento.
«Chi?».
«Jane Foster».
«La ragazza di Thor? Ma non era a lavorare su qualche montagna sperduta?», domandò Natasha, oltrepassando la pesante porta di metallo.
«A quanto pare no. Di più non so», ammise l'uomo.
Natasha tenne per sé le proprie opinioni, ma lui le intuì lo stesso.
Entrambi detestavano avere un intuito tanto sviluppato.

Nick Fury era calmo e imperturbabile come sempre, mentre camminava avanti e indietro misurando i passi e il respiro. Quando gli ultimi due convocati, l'agente Barton e l'agente Romanoff entrarono nella stanza rotonda, si concesse di respirare più profondamente.
«Benvenuti», disse, salutando le due spie con un lieve cenno del capo.
Natasha e Clint annuirono in fretta prendendo posto l'una accanto all'altro, di fronte al Dottor Banner, Jane Foster ed Erik Selvig. Solo una sedia più in là era seduto Steve Rogers.
Su uno degli schermi, invece, campeggiava una visuale nitida dell'ufficio di New York di Tony Stark. Il miliardario comparve dopo qualche secondo, insieme a Pepper.
L'atmosfera si fece di colpo molto tesa e Jane si mosse nervosa sulla sedia.
Era solo per colpa, o merito, suo che tutti quei pezzi grossi erano lì.
La presenza di Erik la rassicurava, ma l'assenza di Thor l'agitava.
Doveva cavarsela da sola, ma non era sicura di riuscire ad essere convincete quanto lui.
Nick Fury si concesse un lungo sguardo intorno a sé, prima di parlare. «Vi ho convocato per mettervi a conoscenza di alcuni eventi avvenuti negli ultimi tempi, che ci danno nuove risposte riguardo all'attacco a New York di un anno fa», iniziò. «Avevamo già il sospetto che Loki si fosse mosso per conto di qualcun altro, che gli aveva fornito l'esercito di Chitauri, ma ora ne conosciamo l'identità», spiegò Fury, spostandosi appena lungo il tavolo di metallo nero. «Si tratta di un individuo di nome Thanos, a quanto pare deciso ad impadronirsi del nostro pianeta e di molti altri nell'universo, compreso Asgard».
«Ci sono stati attacchi?», chiese il Capitano Rogers.
Fury scosse la testa. «Non sulla Terra», spiegò. «Circa una settimana fa, Thanos ha teso un agguato a Loki mentre questi veniva portato al cospetto dei saggi di Asgard per essere interrogato».
Clint si irrigidì impercettibilmente.
«È morto?», domandò Natasha, senza inflessione nella voce.
Nick scosse la testa. «No. Il guardiano di Asgard si è accorto dell'intrusione, anche se in ritardo, e Thor è riuscito a trovarlo in tempo. Adesso si trova in stasi in una delle camere di guarigione di Asgard. Il sicario è stato catturato e prima di suicidarsi ha minacciato gli asgardiani e noi terrestri, facendo il nome del suo signore, Thanos».
L'agente Barton aggrottò le sopracciglia. «Non capisco, perché questo Thanos avrebbe dovuto assassinare un suo alleato?».
«A questo potrà rispondere solo Loki, non appena riprenderà conoscenza. Per adesso possiamo solo ipotizzare che questo attacco diretto a lui sia indice che Thanos si è rimesso in attività e che non manchi molto prima che la Terra venga di nuovo presa di mira», espose Fury, lentamente. «Non dimentichiamoci che, fermando Loki, abbiamo umiliato anche lui».
Ci fu un attimo di silenzio teso, poi fu Stark ad intervenire. «Perdoni la franchezza, Fury. Ammetto che le informazioni sono interessanti, ma cosa diavolo ci fa qui la bella moretta?».
Jane si sentì arrossire e dovette costringersi a non replicare alla maleducazione dell'uomo.
Fury non cambiò espressione. «È venuta a riferirci una richiesta da parte di Thor».
«E non poteva venire lui? Adesso con quel portale può andare avanti e indietro come gli pare», insisté Stark.
«È rimasto a vegliare suo fratello», rispose Jane, trovando finalmente la voce e l'orgoglio per intervenire.
Stark borbottò qualcosa in risposta ma nessuno comprese appieno le sua parole.
Incoraggiata dal silenzio di tutti, Jane si fece coraggio e parlò. «Thor vorrebbe trasferire la prigione di Loki qui sulla Terra, dato che su Asgard non è più al sicuro», disse.
Le reazioni alle sue parole furono le più disparate.
Erik, Bruce e Fury, che già sapevano tutto rimasero impassibili, Natasha e Clint lasciarono trasparire sdegno dal viso ma non dissero nulla, come Rogers.
Stark, invece, perse completamente la calma. «E da quando dobbiamo fare da balia al Dio dei Perdenti?! Quello ha quasi ammazzato più gente di Hitler nel giro di poche ore e i nostri cari Dei lo vogliono riportare qui?», sbottò, alterato.
«Si calmi Stark, Thor ha le sue ragioni per fare questa richiesta», lo interruppe Fury, guardando di nuovo Jane, invitandola a proseguire.
La giovane donna deglutì di nuovo e riprese a raccontare. «Naturalmente ci sono delle condizioni che Loki dovrà rispettare, in più abbiamo una prigione adatta a lui. Il Dottor Selvig e il Dottor Banner stanno studiando un metallo particolare che ha la proprietà di bloccare le onde celebrali. Se imprigionassimo Loki all'interno di una stanza rivestita di quel metallo non potrebbe usare i suoi trucchetti mentali su di noi, e al contempo sarebbe protetto dai suoi nemici», non disse che Thor sapeva di quelle ricerche perché era stata lei, ingenuamente, a parlargliene. Non aveva voglia che Stark si mettesse l'armatura e venisse a farle vedere di persona quanto era alterato.
«E se il suo potentissimo, ed evidentemente irascibile, signore decidesse di venire a prenderlo qui?», chiese Stark.
Fury incrociò le braccia. «Confidiamo che Thanos non si aspetti che Loki sia qui sulla Terra. Inoltre, ad Asgard insceneranno la sua morte, per concederci più tempo».
«Più tempo per cosa?», intervenne Steve Rogers.
«Per conoscere meglio il nostro nemico. Al momento, Loki è l'unico che sa qualcosa di lui», rispose Fury.
Stark sbuffò rumorosamente. «Non possiamo fidarci di lui. Quello è un egocentrico, egoista, pieno di sé...».
«E allora?», lo interruppe Rogers.
Stark sospirò come se avesse a che fare con un bambino ottuso «Non sperate che cambi. Quelli come lui non lo fanno mai», chiarì.
«Come fai ad esserne così sicuro?», lo interrogò Jane, sentendosi in dovere di comportarsi come avrebbe fatto Thor, se fosse stato lì.
Tony si concesse il primo sorriso della riunione.
«Perché sono come lui».

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A presto ^-*

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Come un assassino ***


Eccomi qui, sono già qui.
Non potrò aggiornare prima di due settimane, per cui vi lascio un altro capitolo.
Compare finalmente la protagonista femminile della storia, anche se la presentazione vera e propria avverrà nel prossimo capitolo.
Spero che vi incuriosirà.
Un bacio e grazie mille ai due angeli che hanno recensito.
Nicole



Thor camminava avanti e indietro lungo il bordo frastagliato del ponte che lui stesso aveva spezzato tempo prima. Mancavano pochi minuti all'appuntamento, ma aveva l'impressione che il tempo si fosse arrestato.
Il Bifrost non era ancora stato riparato, ma grazie all'energia del Tesseract riusciva a viaggiare regolarmente da Asgard a Midgard.
Anche se dapprima aveva portato con sé il manufatto, Odino gli aveva poi permesso di riportarlo sulla Terra. Ora era nuovamente in possesso dello S.H.I.E.L.D che, insieme a Stark, ne stava sfruttando le proprietà per donare all'umanità una fonte di energia pulita e illimitata. I patti erano che la Fase 2 non fosse portata avanti, Odino riteneva che gli esseri umani avessero già abbastanza armi. In cambio, aveva assicurato la protezione dell'esercito di Asgard in caso di un nuovo attacco alla Terra.
L'alleanza pareva funzionare, e il Dottor Selvig, insieme a Banner, era riuscito a replicare il portale che aveva costruito per Loki in breve tempo. Ogni giorno, alla stessa ora il portale si apriva nel medesimo punto. Il viaggio era meno confortevole che attraverso il Bifrost ma ugualmente rapido.
L'unico svantaggio era che il passaggio poteva essere aperto solo dalla Terra, se gli umani avessero deciso di tagliarlo fuori, lui non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo, ma ormai Thor confidava abbastanza sui compagni per non porsi più quell'interrogativo.
A mezz'aria, dal nulla, comparvero delle scariche cerulee e il familiare vortice azzurro striato di blu si aprì davanti all'asgardiano.
Senza esitare oltre, Thor lo oltrepassò e in un battito di cuore si ritrovò nel laboratorio del Dottor Selvig.
Ad attenderlo, oltre a Fury, c'era l'intera squadra dei Vendicatori, insieme a Jane.
Anche se avrebbe voluto salutare lei per prima, l'aria seria di tutti lo fece desistere. Le rivolse solo un sorriso caldo come il sole della sua città natale e lei ricambiò, con aria imbarazzata.
«Nick Fury», disse poi, rivolto alla spia, con un cenno rispettoso del capo. Proseguì, salutando il resto dei suoi compagni in modo simile. Erano tutti in borghese, tranne Clint e Natasha che indossavano l'uniforme nera dello S.H.I.E.L.D.
«Che notizie ci porti da Asgard, Thor?», domandò Fury, dirigendo la conversazione subito al punto.
Thor si fece serio. «Loki si è rimesso ed è a conoscenza del cambiamento della sua situazione. Se la vostra prigione è pronta, possiamo trasferirlo quando volete».
«Collaborerà?», domandò Rogers.
«Mio fratello ha molti difetti, ma non è affatto uno stupido o un suicida. Sa che non è morto solo per il mio intervento, e che se vuole rimanere vivo deve accettare le nostre condizioni», spiegò il Dio del Tuono, incrociando le braccia muscolose al petto.
«Se non decide di ucciderci tutti giusto per divertirsi un po', prima della sua dipartita», brontolò Stark. «A nessuno è mai venuto in mente che tutto questo potrebbe essere solo una sceneggiata? Che questo Tano-qualosa potrebbe usare il nostro Dio delle Nullità giusto per arrivare a noi più facilmente?».
Una vena pulsò sulla fronte di Thor, ma fu Fury ad intervenire. «La decisione è già stata presa, Tony, e a te non è mai stato chiesto il consenso. Loki sarà sotto la responsabilità dello S.H.I.E.L.D».
Stark raddrizzò la schiena. «Già, come l'altra volta. Poi abbiamo dovuto pulire noi quel casino! E ancora aspetto il risarcimento per la distruzione della mia Star Tower».
«Adesso basta!», tuonò Thor. «Come ha già detto Nick Fury, questa decisione non spetta a te», tagliò corto, fulminando Stark con occhi freddi come il ghiaccio. «Adesso mostratemi la prigione», decise, rivolgendosi al Dottor Banner e a Selvig.
Il gruppo si apprestò ad uscire dalla stanza, solo Stark rimase indietro.
«Ha ucciso Phil, nessuno se lo ricorda?», chiese, quasi urlò, stupendosi della rabbia nella sua voce.
Tutti gli altri si voltarono verso di lui, ma solo Fury si prese la briga di rispondergli. «Non ti azzardare mai più ad insinuare una cosa del genere», gli ricordò con calma glaciale.
Poi, senza attendere oltre, si voltò decisamente ed uscì a passo pesante dal laboratorio.

Né Natasha, né Clint erano mai stati in quell'area della base.
Avevano disceso così tanto piani che avrebbero potuto essere tranquillamente a chilometri di profondità. Le pareti erano tutte di metallo e ogni cinquecento metri il gruppo doveva superare un test a riconoscimento vocale. Le persone autorizzate ad accedere a quell'area si potevano contare sulle dita di una mano, spiegò Fury, mentre attraversavano l'ultima porta di metallo blindato.
Anche se non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, Stark era impressionato da come Fury si era dato da fare per rintanare Loki nelle viscere della terra. Si augurò di non far mai arrabbiare sul serio quell'uomo.
Alla vista della stanza, che ormai tutti chiamavano La Gabbia, nessuno riuscì a trattenere lo stupore.
Perfino Thor, che era cresciuto nelle meraviglie di Asgard, non aveva mai visto nulla di simile.
L'ambiente era di forma cubica, di una decina di metri di altezza e lunghezza, asettico e impersonale. Una luce bianca e fredda sembrava irradiare direttamente dal soffitto, illuminando ogni angolo, non lasciando nessuna ombra.
Lungo una delle pareti si arrampicava una scala che conduceva a una porta blindata elevata a circa cinque metri dal pavimento, mentre al centro torreggiava una vera e propria scatola di un metallo nero e opaco come roccia lavica. Non c'era modo di scrutarne l'interno, se non attraverso una striscia di materiale trasparente alta un metro che correva lungo la parete frontale della gabbia. Con poche parole tese, il Dottor Banner spiegò che quello non era vetro, ma sempre lo stesso metallo lavorato in modo da risultare limpido.
All'apparenza la gabbia non aveva un ingresso, ma Natasha intuì che doveva essere talmente fusa con il resto della struttura da essere irriconoscibile.
Fury osservò attentamente il risultato di quelle settimane di lavoro, anche se il suo reale orgoglio non era affatto quella gabbia di metallo. Con un cenno, fece avvicinare i dieci agenti che aveva assegnato a quel progetto.
I Vendicatori scrutarono attentamente quei volti, cui poco prima non avevano fatto caso.
«Questo sono le guardie che si occuperanno del prigioniero. Sono state scelte con estrema cura tra i nostri migliori agenti. Sono addestrati appositamente per questo compito», spiegò Fury. «Tanto per chiarire, loro non sono tra le poche persone che possono aprire le porte che abbiamo appena attraversato», aggiunse.
A poco a poco, tutti presero coscienza di cosa significava. Quei dieci agenti sarebbero stati intrappolati all'interno di quella gabbia quanto il loro prigioniero.
Stark si chiese se non fossero loro stessi troppo pericolosi per essere lasciati in libertà, proprio come il pazzo che avrebbero custodito.
Fury fece un cenno all'unica donna del gruppo. «Agente Sabil, vuoi mostrare ai nostri ospiti il sistema di sicurezza della gabbia?», chiese.
Finalmente Stark si animò. «Oh, adesso finalmente vedrete il mio capolavoro», disse, con gli occhi illuminati.
Thor pensò che per suo fratello non significava nulla di buono, ma rimase in silenzio. Jane, al suo fianco, benché silenziosa, gli fece sentire il suo sostegno stringendogli la mano. Conosceva il tormento interiore del dio e, anche se riusciva a comprendere i sentimenti feriti degli altri terrestri accanto lei, era decisa a stare dalla parte di Thor.
L'agente Sabil era una donna alta e longilinea che dimostrava poco più di trent'anni, con zigomi alti e pronunciati e lineamenti affilati da felino. Sembrava esile come una canna di bambù, nonostante la linea definita dei muscoli sotto il latex attillato della divisa nera. Dalla sua carnagione era evidente che fosse di origine medio orientale. Rogers l'osservò con attenzione mentre sfilava dalla cintura quello che sembrava una sorta di comando a distanza. Premendo una sequenza precisa di pulsanti, la donna animò la gabbia, che iniziò a ronzare sommessamente.
Tutto il gruppo si fece attento a quello che stava per accadere, e il sorriso di Stark si approfondì.
All'improvviso, dalle quattro pareti della gabbia spuntarono lame affilate come rasoi che si allungarono fino a riempire l'interno della scatola di metallo. L'effetto era talmente feroce e violento che nessuno ebbe una reazione evidente. Solo Jane portò una mano alla bocca, lentamente, con le labbra che tremavano.
L'agente Sabil sorrise di sbieco. «Un passo falso, e di Loki non rimarrà che qualche brandello», chiarì, facendo rabbrividire la scienziata per la freddezza del suo tono.
Stark diede una pacca sulla spalla a Bruce. «Ottimo lavoro amico mio, non avrei saputo immaginarla diversamente», si complimentò.
«Questa...», proseguì, fronteggiando il gruppo dei Vendicatori, ma guardando insistentemente Fury. «È la fine che merita un assassino».


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In questo capitolo, e anche nel precedente, compare un lievissimo cross over con un altro fumetto Marvel. Vediamo se riuscite ad indovinare...

A presto ^-*

PS: so che i personaggi sono tanti, e per adesso non posso approfondirli tutti, piano piano, mi impegnerò per dargli più spessore.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Come una falena ***


Riesco di corsa a postare il terzo capitolo. Sono contenta che il numero delle letture sia sempre così alto, ma non vi nego che qualche recensione farebbe piacere, ovvio XP comprendo però che al momento sia difficile farsi un'idea chiara della storia. Dal prossimo capitolo si inizierà a capire qualcosa in più.
Intanto c'è una sorta di "presentazione" della nostra protagonista femminile.
BENVENUTA alla mia amica! Red_Sayuri :-*** grazie mille del sostegno e anche del contagio XD
Buona lettura.




Loki era uscito dalla camera di guarigione da poco più di un giorno, quando Thor, rientrato da Midgard, gli comunicò che il suo trasferimento sul pianeta umano sarebbe avvenuto da lì a poche ore. Dopo la notizia, l'asgardiano attese una reazione da parte del fratello, ma quello rimase muto, all'apparenza indifferente alla propria sorte.
Sospirando, Thor lasciò Loki nuovamente solo, nella nuova cella, meno oscura della precedente, e raggiunse Odino per comunicargli la stessa notizia.
Loki attese che i passi pesanti del fratello si fossero allontanati, per aprirsi in un sorriso di puro trionfo. Alla fine, anche se non come aveva pronosticato, l'arroganza di Asgard lo stava aiutando oltre le sue più rosee aspettative.
Davvero pensavano che su Midgard sarebbe stato più facile rinchiuderlo? Cosa diavolo potevano fare quegli esseri inferiori per privarlo delle sue capacità?
La vittoria ottenuta sui Chitauri doveva aver gonfiato eccessivamente l'orgoglio dei terrestri.
La cosa non gli dispiaceva affatto, avrebbe reso tutto molto più divertente.
Per adesso doveva solamente fingere arrendevolezza, o rassegnazione, e lasciarsi condurre su quel piccolo pianeta abitato da inetti.
Certo, era consapevole che non sarebbe stato facile. Sicuramente alle costole gli avrebbero messo sia quel gigante verde, che l'uomo di latta, ma lui era scaltro e anche senza lo Scettro di Thanos era perfettamente in grado di manipolare la mente delle persone intorno a lui.
Gli bastava la forza delle proprie parole.
Era certo che la mente debole di un umano non avrebbe potuto tenergli testa.

L'agente Khalida Sabil non era una donna che mostrava facilmente le proprie emozioni, ma quando era stata scelta da Fury in persona per quel compito, non aveva potuto trattenere un sorriso orgoglioso. Per quanto la maggioranza avrebbe considerato un simile incarico più una punizione che un privilegio, lei era riuscita a scorgerci una grande dimostrazione di fiducia.
Era determinata con tutta sé stessa, era all'altezza del compito affidatole e l'avrebbe svolto egregiamente.
Mentre sostava in attesa che il Tesseract aprisse il portale che le avrebbe condotto il suo prigioniero, la donna ostentava una posa marziale che non la faceva sfigurare al fianco di Steve Rogers.
Tutti i Vendicatori non l'avevano mai incrociata alla base, nemmeno Natasha e Clint, e molti di loro si domandavano quali capacità avesse per essere scelta per un incarico tanto difficile.
Di sicuro, era una persona eccezionalmente imperturbabile: nessuno l'aveva mai vista con più di due espressioni diverse sulle labbra carnose.
Il portale si attivò e il Dottor Selvig si diede da fare per stabilizzarlo, picchettando sui tasti del computer. Non appena i fulmini si fecero meno frequenti, la luce si intensificò e nel laboratorio comparvero Thor, tre guardie asgardiane e Loki legato e imbavagliato esattamente come era stato portato via dalla Terra un anno prima.
Stark, che per l'occasione indossava l'armatura, si irrigidì, insieme a Clint che portò istintivamente le mani all'arco a tracolla.
Loki rimase impassibile e si guardò attentamente intorno, scrutando i volti dei presenti.
C'era l'uomo con la benda sull'occhio che era evidentemente il capo di quel gruppo di montati, il Dottor Selvig, il gigante verde in forma umana, la vulvetta lamentosa, l'arciere dalla mente debole ma dal cuore forte, l'uomo di latta e quello che loro chiamavano, in modo davvero poco originale, Captain America.
Però, in quel gruppo, c'era una donna che non aveva mai visto.
Se ne stava dritta in piedi accanto all'uomo di latta, con uno sguardo duro, fissandolo senza nessuna emozione evidente sui lineamenti marcati. Aveva un che di feroce nella posa e nella piega delle labbra e immediatamente Loki provò un'istintiva curiosità per quell'umana.
Alla fine, fu l'uomo bendato a prendere la parola. «Agente Sabil, è tutto suo», disse, rivolto alla donna che Loki non conosceva.
Questa fece un cenno al Dottor Selvig che le passò qualcosa che non riuscì ad identificare.
La donna avvicinò Loki con passo calmo e misurato, senza distogliere lo sguardo dal suo. Lui la analizzò con attenzione, valutando la forza della sua mente, indubbiamente notevole, per un'umana così fragile.
Si domandò che ruolo avesse nella sua prigionia.
L'agente Sabil ignorò lo sguardo indagatore del Dio e senza troppe cerimonie gli calò in testa una sorta di elmetto dello stesso metallo di cui era stata costruita la sua gabbia.
Loki non capiva a cosa potesse servire, ma sospettava che fosse quello di cui aveva parlato Thor, il misterioso materiale che gli avrebbe impedito di usare le sue capacità.
Sotto il bavaglio, il Dio sogghignò.
Mentre il folto gruppo di accompagnatori lo conduceva lungo corridoi, Loki si guardò intorno discretamente ma con attenzione. I sistemi di sicurezza erano molti e non ne colse completamente il meccanismo ma gli parve chiaro che la chiave per aprire quelle porte era la voce dell'uomo bendato. Mentalmente si appuntò ogni particolare che riusciva a cogliere, rigirandoselo tra i pensieri per volgere ogni cosa a suo vantaggio.
Il percorso gli parve lungo, ma la sua concentrazione era tale che il tempo volò e in poco tempo si trovò faccia a faccia con la sua nuova prigione.
Non aveva niente a che fare con il cilindro di vetro in cui era stato confinato sull'Eliveivolo, benché più elementare, aveva un aspetto massiccio. Nella stanza c'erano nove uomini, disposti lungo il perimetro delle pareti ma Loki non vi diede bado.
Appena aveva attraversato la porta era diventato cosciente che il comando era passato dalle mani dell'uomo bendato a quello della donna.
La persona su cui doveva lavorare era lei.
Di nuovo, sorrise sotto il bavaglio.
Sarebbe stato molto più divertente di quanto aveva immaginato.

Con un fruscio quasi impercettibile la porta della gabbia scivolò sui binari, rivelando l'interno interamente rivestito da lamiere bianche smaltate, che riflettevano in modo accecante le luci alogene del soffitto.
L'agente Sabil scrutò con attenzione ogni angolo della gabbia, poi fece un cenno deciso nei confronti di Thor.
«Portalo qui», ordinò.
L'asgardiano strinse la presa sul braccio del fratello, senza fargli male. Loki non riuscì a trattenere uno sguardo interrogativo nei suoi confronti e questi gli fece un brevissimo sorriso. Se non fosse stato per il bavaglio, Loki l'avrebbe deriso per il suo cieco affetto.
L'agente Sabil non perdeva di vista il proprio prigioniero, studiandone i lineamenti e gli occhi. Riusciva a cogliere gran parte dei suoi pensieri, o comunque la loro natura.
Come aveva già pronosticato a Fury, non si aspettava di trovarsi davanti un Loki rassegnato o indebolito. Non c'era la minima traccia di rimorso negli occhi chiari che ora la fissavano con un interesse che era pari al suo.
Si aspettava di venire presa di mira dal Dio.
Lei era il vertice del comando, anche se solo dentro quella stanza, e Loki bramava il potere come una falena cerca la luce anche a costo di morire.
Una scarica di adrenalina le attraversò i muscoli, rendendola ancora più vigile.
«Togligli il bavaglio», ordinò nuovamente, senza togliere gli occhi da quelli di Loki.
Un lieve mormorio di dissenso percorse le fila dei Vendicatori, e perfino Thor si voltò per cercare gli occhi di Fury, ma questi annuì.
Il Dio del Tuono sfiorò un meccanismo invisibile e con uno scatto metallico il bavaglio sparì, mostrando il sorriso appena accennato di Loki.
L'agente Sabil trattenne nuovamente la propria espressione.
Quello che vedeva, non le piaceva per niente.
Senza delicatezza, tolse l'elmo dal capo di Loki e, aiutata da Thor, lo spinse all'interno della gabbia, chiudendogli la porta immediatamente alle spalle.
Attraverso la parete di metallo, Khalida Sabil fissò gli occhi del Dio dell'Inganno.
Ora a noi due.
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Nuovamente è presente il lieve crossover con l'altro fumetto Marvel. Ma se nessuno ha indovinato vuol dire che è talmente lieve che lo vedo solo io che so di averlo messo XDXD

A presto ^-*

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Come un insonne ***


Ringrazio chi sta leggendo e chi recensisce.
Scusate il ritardo e buona lettura!




Le notti successive all'esilio di Loki sulla Terra, l'agente Barton non riuscì a dormire.
Sapeva che il dispositivo ideato da Selvig e Banner doveva bloccare i poteri mentali dell'alieno, eppure era sempre in tensione. Spesso riviveva la sensazione familiare di qualcuno che frugava nei suoi pensieri e li manipolava a proprio piacimento. Incubi familiari era tornati a visitare i pochi momenti in cui si assopiva e la stanchezza era divenuta una costante, insita negli occhi pesanti e nei muscoli tesi.
L'unico modo per scacciare l'ansia e l'inquietudine era incamminarsi lungo i corridoi fiocamente illuminati e raggiungere la sala di controllo, dove cinque schermi proiettavano in tempo reale le immagini della gabbia di Loki.
Solo rassicurandosi che il nemico si trovava ancora lì, chiuso dentro il metallo, incapace di fare alcunché tranne che camminare, riusciva a togliersi i dubbi e a schiarirsi i pensieri.
Facendo così, scoprì che lui e Loki avevano una cosa in comune: l'insonnia.
Notte dopo notte, lo guardava muoversi avanti e indietro, con passo misurato e calmo.
Si chiedeva quanto potesse resistere senza dormire.
Quella sera, si prese un attimo per scrutare il volto impassibile dell'agente Sabil, che sembrava impegnata in una prova di resistenza con il proprio prigioniero. Nemmeno lei dormiva da giorni.
Quando aveva chiesto spiegazioni a Fury sul ruolo di quella donna, lui aveva risposto semplicemente che avrebbe condotto l'interrogatorio di Loki.
Onestamente, Clint iniziava a dubitare che fosse la verità.
Ormai erano passati cinque giorni e l'agente Sabil non aveva ancora aperto bocca.
Se ne stava ferma immobile, in piedi davanti alla gabbia, osservando Loki, studiandolo, come se fosse un'interessante opera d'arte o una strana cavia.
«È strano», iniziò la voce di Natasha dietro di lui.
Non era la prima volta che tutti e due si ritrovavano insonni e inquieti in quella stanza.
«Cosa?», domandò, senza voltarsi.
Lei lo affiancò, seguendo i suoi occhi. «Sono già riuscita con successo a far parlare Loki. Non capisco perché Fury non l'abbia affidato di nuovo a me». Il volto perfetto della donna si arricciò lievemente, come se avesse percepito un odore sgradevole. Clint conosceva bene l'orgoglio di Natasha e anche il suo desiderio di essere utile. Era ovvio che si sentisse quantomeno ferita dalla decisione di Fury.
«Loki la conosce, agente Romanoff», intervenne Fury, comparso dal nulla nella stanza.
Natasha fissò l'uomo come a chiedere spiegazioni.
La spia accennò un sorriso. «Ha avuto del tempo per studiarla e non cadrà nuovamente in trappola, non con lei», espose, poi guardò brevemente Clint. «In più, conosce parte delle tue debolezze».
L'agente Romanoff irrigidì i muscoli delle spalle e della schiena, ma non controbatté. Aveva imparato da molto tempo a fidarsi delle decisioni di Fury, anche se non le condivideva.
«Chi è quella donna?», domandò Occhio di Falco, intervenendo nella conversazione.
Il sorriso di Nick si allargò. «Lo scoprirete domani mattina. Vi conviene andare a dormire», annunciò, poi si voltò, sparendo al di là delle pareti di vetro della sala controllo.
Il cicalino appeso alle cinture di Clint e Natasha trillò. Era un regalo di Stark, una specie di cercapersone ipertecnologico che segnalava sempre con quell'irritante suono una nuova riunione per i Vendicatori al completo.
I due agenti S.H.I.E.L.D osservarono la sottile riga di testo sullo schermo.
Sala controllo, domani, ore 6.00.
Clint sorrise alla collega. «Che ne dici, seguiamo il consiglio?».
Natasha non lo ascoltò nemmeno, troppo concentrata sugli schermi.
L'aveva capito subito, perfino dal modo in cui l'agente Sabil aveva dischiuso le labbra per respirare.
L'interrogatorio stava cominciando.

Anche se faceva di tutto per dare a vedere il contrario, Loki iniziava ad annoiarsi.
Si aspettava che i terresti l'avrebbero torchiato notte e giorno con domande stupide e inutili volte a salvare le loro patetiche vite o infiacchito con torture mirate, prima di estorcergli ciò che sapeva. Invece c'era solo quel silenzio che trovava più logorante di una lenta agonia.
Iniziava ad avvertire i primi sintomi della stanchezza. Non si nutriva da giorni, anche ad Asgard non aveva mangiato quasi nulla di quello che aveva avuto a disposizione, e gli umani non si erano degnati di concedergli nulla per sfamarsi. Probabilmente volevano indebolirlo, ma forse non erano a conoscenza di quanto potesse resistere senza mangiare, né bere, né riposare.
Loki sorrise lievemente, mentre osservava le pareti intorno a sé, prive di qualsiasi ombra.
Era divertente vedere come gli schemi tra la Terra ed Asgard si riflettessero specularmente.
Odino lo aveva relegato nelle tenebre, gli umani sotto luci accecanti e assolute.
Non aveva ancora capito lo scopo né dell'una, né dell'altra prigione, come ancora non comprendeva cosa diavolo ci facesse lì.
Detestava non capire.
Di una cosa, però, era ormai certo.
Gli umani erano riusciti davvero a bloccare, in qualche misterioso modo, i suoi poteri.
Per ore aveva provato a materializzare accanto a quell'irritante donna, che non faceva altro che fissarlo, le peggiori illusioni che la sua mente riuscisse a partorire, ma lei non aveva avuto nessuna reazione evidente.
Solo quando si era ormai convinto, l'agente Sabil aveva accennato un minuscolo sorriso, come se fosse a conoscenza degli sforzi che aveva profuso per spezzare la sua maschera impassibile.
Loki ormai aveva già ideato centinaia di scenari in cui riusciva ad ucciderla, strappandole quell'aria di superiorità che ostentava perfino nei suoi confronti.
Lo fissava con la stessa condiscendenza che si riserva alla vittima di un qualche strano esperimento.
Lo guardava come lui aveva sempre guardato tutti gli esseri umani, dall'alto di un intelligenza superiore.
E non poteva sopportare di vedersi continuamente in un dannato specchio.
Quando sarebbe uscito di lì, lei sarebbe stata l'ultima che avrebbe ucciso, nel modo più lento e doloroso che riusciva ad escogitare.

Khalida non si divertiva così tanto da anni e, nonostante “grazie” non facesse parte del suo vocabolario, aveva deciso che ne avrebbe detto uno sentito a Fury, non appena fosse andata a fare rapporto.
Non che ci fosse molto da dire, lo aveva avvertito che le ci sarebbe voluto del tempo per iniziare. Per adesso si era limitata solamente ad analizzare, studiando con attenzione il soggetto che aveva davanti, ma era arrivato il momento di chiudere l'analisi.
Ne sapeva a sufficienza, ed era cosciente che Loki era irritato dalla sua presenza e sarebbe caduto nelle sue trappole con più facilità. Dopo un attento studio dell'interrogatorio condotto dall'agente Romanoff e aveva compreso che la chiave per superare le barriere dell'asgardiano era farlo arrabbiare, e quindi fargli credere che lo stava sottovalutando.
Un angolo della bocca le si sollevò impercettibilmente, mentre faceva scivolare le dita sull'auricolare. Premette lievemente un tasto e respirò.
Loki la guardò, voltandosi di scatto. Di sicuro le sue orecchie, più sensibili di quelle umane, avevano colto la sottile vibrazione che annunciava l'accensione degli altoparlanti all'interno della gabbia.
«Chi è Thanos?», domandò l'agente Sabil, andando dritta al punto.
Con certi prigionieri c'era bisogno di nascondersi dietro una facciata di amicizia, di bontà, ma con Loki non avrebbe funzionato. Doveva mettersi al suo stesso livello.
L'asgardiano piegò lievemente la testa di lato, facendo qualche passo in avanti.
Ridacchiò sottovoce. Dopotutto, la prima domanda non era poi così inutile, anche se lui non aveva nessuna intenzione di rispondere.
Khalida si avvicinò alla gabbia, permettendo a sé stessa di scrutare lo sguardo indagatore dell'alieno. «Non sei nella posizione di non collaborare», gli ricordò, con tono vagamente minaccioso.
«E voi in quella di pretendere risposte», reagì finalmente Loki, dieci passi indietro rispetto alla parete, per mantenere il controllo.
Khalida accennò un sorriso più evidente. Aveva parlato, era già qualcosa.
Il tono di Loki era misurato con quella lieve inflessione canzonatoria che la donna aveva imparato a conoscere, dopo tutte le registrazioni che aveva ascoltato, ma lo stesso si stupì di come una voce così vellutata potesse nascondere un animo tanto contorto.
L'agente Sabil fece un lieve cenno a uno dei suoi sottoposti, e il giovane uomo si avvicinò, scambiando sottovoce qualche parola con lei, poi Khalida colmò gli ultimi passi verso la gabbia, poggiando il pugno chiuso alla parete di metallo gelido. «Parlerai, è l'unico modo che hai per restare vivo», disse, con calma, per poi sciogliersi in un sorriso sornione, che scatenò un fremito innervosito nelle mani di Loki.
«Nel frattempo, ti consiglio di dormire», concluse, voltando le spalle al prigioniero e scomparendo dalla sua visuale.

La sala controllo era abbastanza ampia per contenere almeno quindici persone, ma lo stesso sembrava ridicolmente inadeguata per arginare la tensione che correva tra gli sguardi di Nick Fury e Tony Stark. Era evidente che il miliardario ancora non aveva perdonato alla spia il non aver preso in considerazione la sua opinione o,  in alternativa, i soldi che stava spendendo per finanziare molti dei progetti dello S.H.I.E.L.D. Se c'era una cosa che Tony Stark detestava era essere ignorato, e aveva deciso di pretendere che qualcuno si ricordasse della sua esistenza.
«Cosa ci facciamo qui, Stark?», domandò, Steve accomodandosi accanto a Banner.
Tony sorrise, poi fece un cenno verso gli schermi accesi, uno dei quali mostrava l'agente Sabil, nella sua postazione, ancora muta e immobile. Guardò Fury dritto nell'unico occhio. «Voglio sapere chi è quella donna, e perché da giorni se ne sta ferma a fissare il nostro turista spaziale senza aver ottenuto ancora una sola informazione».
Nick Fury non fece una piega, aveva già preventivato quella conversazione ed era minuziosamente preparato ad affrontarla. Fece per parlare, ma Tony lo anticipò.
«Voglio la verità, Fury. E ognuno di noi se la merita», ricordò, e Steve, Bruce e Natasha annuirono lievemente.
Thor era silenzioso, appoggiato con le spalle larghe alle parete di vetro. Aveva deciso di restare per qualche tempo sulla Terra, per assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto. Anche lui era inquieto per il modo in cui Fury stava gestendo la situazione. Stark aveva agito, per una volta, in sintonia con le sue idee.
Clint si fidava del direttore, ma era comunque curioso di capire la strategia dell'uomo.
Fury osservò con attenzione la squadra che aveva davanti. Loro non si rendevano conto di quanto fosse dura per lui gestire tutto quanto, da supereroi eccentrici e scostanti ad alieni dalle forze smisurate che tentavano ogni settimana di invadere la Terra. Ma quello era il suo compito, e non avrebbe permesso a nessuno di criticare come lo stava svolgendo.
Senza manifestare sentimenti particolari, l'uomo respirò ed iniziò a parlare.
«Khalida Sabil è un ex agente dell'intelligence israeliana, è stata addestrata per condurre interrogatori di ogni tipo, da quelli psicologici a quelli fisici. Nel suo campo è una delle più richieste al mondo da quando si è messa in proprio, cinque anni fa. Ha tradito il proprio paese ed è diventata una delle mercenarie più pagate dello spionaggio illegale».
Natasha trasalì lievemente riconoscendo alcune similitudini tra lei e quella donna. L'unica differenza era che lei non aveva ricevuto nessun addestramento, il suo era un talento tutto naturale.
«Quindi non è un agente dello S.H.I.E.L.D», osservò il Dottor Banner.
Fury scosse la testa. «Lo è, ma da poco. L'avevamo già contattata quando non aveva ancora tradito, ma aveva rifiutato. È stata lei a trovarci e ad offrire la sua collaborazione, tre mesi fa, in cambio della nostra protezione».
«Protezione?», intervenne Rogers, trovando strano quel termine.
«L'agente Sabil ha pestato i piedi alle persone sbagliate, là fuori. Sulle sue tracce ci sono i cacciatori di teste più abili del mondo. Probabilmente per lei non c'è nessun posto sicuro, al di fuori di questa base», spiegò Fury.
«Per questo l'ha rinchiusa in quella stanza con un pazzo sociopatico?», chiese Tony, con il consueto tono sarcastico. Era ovvio che la vita della donna non fosse particolarmente al sicuro dato che, se Loki fosse riuscito a fuggire, sarebbe stata con molta probabilità la prima a venire uccisa, considerando il fatto che non sembrava granché robusta.
Una lieve risata risuonò per la stanza, diffusa dai piccoli altoparlanti ai quattro angoli del soffitto.
«Oh le assicuro che non è per la mia sicurezza che sono qui, signor Stark», lo freddò la voce sommessa dell'agente Sabil. Tutti la riconobbero, benché l'avessero udita parlare solo una volta. Era innaturalmente bassa e controllata, con un inflessione particolare sui suoni acuti. Forse era dovuto alla sua lingua madre, oppure all'addestramento che aveva ricevuto. Qualunque cosa fosse, a Bruce faceva accapponare la pelle, come un vento gelido.
I presenti si voltarono di scatto verso gli schermi, trovando il volto spigoloso di Khalida a fissarli con le sopracciglia leggermente sollevate e un'espressione divertita negli occhi neri. Nessuno aveva preventivato che la donna avrebbe assistito e partecipato alla riunione.
Stark non si scoraggiò. «Allora ci illumini, agente Sabil».
Lei sorrise, e Natasha trovò quel movimento facciale inquietante tanto quanto il sibilo di un serpente. Nemmeno Clint si fidava di lei, e considerava irritante la sicurezza che la donna ostentava con orgoglio, quasi si considerasse migliore di tutti loro messi insieme.
«Fury mi ha rinchiusa qui dentro per la vostra sicurezza. Anche nel malaugurato caso che la sua fiducia sia mal riposta e Loki riesca in qualche modo a manipolarmi, o io stessa decida che alla fine obbedire agli ordini dello S.H.I.E.L.D non è la mia priorità, sarò sempre intrappolata qui dentro, e quindi controllabile, facile da eliminare», espose Khalida, ferma e sicura.
Tony sollevò un sopracciglio. «Senza offesa, dolcezza, ma non sembri tanto pericolosa», la punzecchiò.
«Lo dice perché non ha visto come ho ridotto l'ultimo che mi ha chiamata dolcezza», replicò la donna calcando con disprezzo sull'epiteto, per nulla intimorita.
Stark scoppiò a ridere. «Ho deciso, mi piace», sentenziò poi, rivolgendosi a Fury.
L'uomo alzò gli occhi al cielo.
All'improvviso, gli sembrava di essere diventato un maestro d'asilo in mezzo ad una classe di bambini indisciplinati.
Non era per questo che aveva accettato quel lavoro.
Forse avrebbe dovuto chiedere un aumento.

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Ok, iniziamo ad addentrarci nella storia.
Secondo voi Fury ha detto la verità? Cosa ne pensate di Khalida?

Ci vediamo la settimana prossima con il prossimo capitolo.
Ciao ^-*

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Come una foglia nel vento ***


Ok, entriamo nel vivo della storia, d'ora in poi i capitoli iniziano ad allungarsi e ad essere più corposi.
Spero che vi piacciano i dialoghi e che li troviate credibili.
A presto



Ogni mattina, alla stessa ora, Khalida Sabil si alzava dalla modesta branda del suo alloggio, legava i capelli in una stretta crocchia sulla nuca, sciacquava il viso con dell'acqua gelida e leggeva qualche passo del Corano.
Non era particolarmente credente, ma quella era un'abitudine che aveva da quando era bambina e la rilassava. In più, dai vecchi libri c'era sempre qualcosa da imparare.
La stanza che le era stata assegnata all'interno della Gabbia era solamente una cella di pochi metri di lunghezza con nient'altro che un armadio, un letto e un cubicolo adibito a bagno. Spartana, non rendeva nemmeno l'idea ed essenziale non si avvicinava nemmeno, ma lei non faceva molto caso ai particolari. Era una donna pratica e, anche se apprezzava il lusso, comprendeva che nella sua situazione respirare era già una gran cosa.
Mentre consumava una colazione frugale ma nutriente, si ritrovava spesso a pensare a quanto fosse ironica la sua situazione.
Per tutta la sua esistenza non si era mai mostrata particolarmente attaccata alla vita, finché qualcuno non era quasi riuscito ad ucciderla.
Nell'istante in cui aveva sentito il calore del proprio sangue tra le dita, non quello di un qualche estraneo che stava interrogando, si era resa conto di non essere immortale, di essere esattamente come tutte le persone che aveva ucciso durante la sua carriera.
Era umana, mortale, fragile come una foglia in balia del vento.
Aveva provato la forte sensazione che tutta la sua vita fosse stata un semplice miraggio, ma forse questo valeva per tutti gli esseri umani. Ci si rendeva conto di avere solo una vita a disposizione, quando ormai la si era sprecata quasi tutta.
Khalida aveva riprogrammato in fretta la sua scala di valori in base a quella nuova consapevolezza, era sempre stata una persona adattabile. Per adesso, la sua più grande priorità era fare in modo che la sua vita durasse ancora a lungo, e non aveva esitato un attimo a rifugiarsi dove prima non avrebbe mai pensato di andare.
Lo S.H.I.E.L.D., per molti del suo mestiere, era una meta ultima, una sorta di paese dei balocchi, il più grande reparto di spionaggio internazionale, anzi, ormai universale, della Terra.
Eppure a lei non era mai piaciuta l'idea di entrare in quel grande meccanismo che ingoiava spie e ne sputava fuori burocrati che dovevano rendere conto a troppe persone poste troppo in alto per prendere decisioni celeri. Ammirava Fury e molte altre spie di cui conosceva la fama, questo sì, ma per il resto non nutriva molto rispetto per lo S.H.I.E.L.D. in generale.
Ma a quanto pareva, il destino per lei aveva deciso altrimenti.
Mentre scendeva con calma le scale che l'avrebbero portata nuovamente faccia a faccia con il suo prigioniero, Khalida si concesse un breve sorriso. L'interrogatorio di Loki era la sfida più ardua della sua vita, ma anche la più stimolante.
Sapeva di avere dei punti in comune con l'alieno, e credeva che Fury l'avesse scelta anche per quello, oltre che per la sua bravura.
Come lei, Loki era rinchiuso dove non desiderava essere per mero spirito di sopravvivenza.
Per quanto più resistente fisicamente rispetto a lei, l'asgardiano non era un Dio e non era immortale.
Se non fosse stato per la camera di guarigione, la ferita infertagli dal sicario spedito da Thanos l'avrebbe ucciso.
Forse anche lui si era reso conto troppo tardi di quanto fosse vulnerabile e, come lei, stava semplicemente raccogliendo i pezzi delle proprie convinzioni in attesa di formare un nuovo piano d'azione. Se era così, non aveva molto tempo per estrapolargli le informazioni che Fury desiderava. Era arrivato il momento di cambiare strategia, e di passare dall'aspetto tecnico a quello personale.
Non appena entrò nella sua visuale, Loki la accolse con un sorriso obliquo.
Era seduto nell'angolo opposto rispetto al punto d'osservazione di Khalida e, ora che aveva iniziato a dormire e a mangiare, aveva un aspetto più sano, un colorito migliore e una luce viva negli occhi chiari. Da qualche giorno si mostrava più reattivo. Non rispondeva alle sue domande, non in modo diretto, ma la denigrava e parlava con lei a lungo, a volte.
A suo modo, stava stabilendo con lei un rapporto, in cui lui si poneva costantemente al di sopra, e Khalida glielo lasciava credere.
Aveva compreso subito che non poteva abbattere il suo orgoglio, per cui aveva deciso di alimentarlo, cedendogli in mano le redini della conversazione il più delle volte.
Lo fece anche quella mattina, aspettando con pazienza che fosse Loki il primo a parlare.
Incrociò lentamente le braccia, fissandolo negli occhi chiari, sorridendo nello stesso identico modo dell'alieno di fronte a lei.

Loki si alzò lentamente, osservando l'umana con la testa lievemente inclinata.
Aveva studiato a lungo i Midgardiani, e aveva potuto constatare che molti di loro erano privi di intelligenza e attrattive di sorta. Lo stesso poteva dirsi della maggioranza degli asgardiani.
In entrambi i casi esistevano, però, delle eccezioni.
Probabilmente l'uomo bendato era riuscito a scovare l'unica umana che potesse interessarlo per più dei pochi secondi necessari a meditare come eliminarla dalla sua strada nel modo più celere possibile.
«Con quale domanda vuoi iniziare, oggi?», le disse, facendo qualche passo avanti.
Khalida sollevò un sopracciglio. «Dipende da quello di cui vuoi parlare», concesse.
Loki strofinò lentamente i palmi delle mani l'uno sull'altro. Aveva pianificato quel momento.
Quando era arrivato per la prima volta sulla Terra, aveva scelto con cura le persone da assoggettare alla sua volontà. Selvig gli avrebbe permesso di utilizzare al meglio la tecnologia degli umani per costruire il portale, Barton gli avrebbe fornito tutte le informazioni di cui necessitava sul nemico.
Ora si trovava in una posizione di netto svantaggio rispetto alla sua interlocutrice. Lei era certamente ben informata nei suoi confronti, mentre Loki di quella donna non sapeva nulla, se non il titolo con cui gli altri le si rivolgevano.
«Parliamo di lei, agente Sabil», iniziò, muovendo qualche passo in orizzontale, senza perdere il contatto visivo con la propria avversaria. «Cosa ha fatto per essere spedita qui sotto?», aggiunse, incalzandola.
Lei irrigidì la schiena. Loki era arrivato alla sua stessa conclusione, e stava mettendo in atto la medesima strategia che aveva elaborato. Doveva stare attenta, perché riconosceva l'abilità dell'alieno, e sarebbe bastata una sola virgola sbagliata a dargli troppo potere su di lei.
«Non ho fatto nulla», rispose.
Loki rise di gola. «Oh, di sicuro hai fatto molto, nella tua vita. Non sei innocente».
Khalida respirò profondamente. «Non ho detto questo. Solo non ho fatto nulla di paragonabile alle tue azioni», disse, lasciando trasparire una lieve nota adulatoria.
L'asgardiano sembrò rigirarsi a lungo le parole della donna nella mente, quasi ripassandole sulla lingua per comprenderne meglio il sapore. No, c'era qualcosa che decisamente non gli tornava. Non riusciva ad arrivare in fondo alle motivazioni di quella donna.
«Anche tu hai una nota sul registro da cancellare?», domandò di nuovo, stavolta solo in parte fingendo la curiosità.
Khalida sogghignò. «Un solo registro non basterebbe a contenere tutte le mie note», replicò, con una fermezza che Loki scambiò per orgoglio.
L'agente Sabil colse l'esitazione dell'alieno per riprendere in mano la conversazione. «Diciamo che sono come te. Qualcuno mi cerca, e io ho bisogno di nascondermi dove non mi possa trovare», disse, colmando gli ultimi centimetri di distanza che la separavano dalla parete della gabbia.
Anche Loki, dalla sua parte, si era avvicinato sempre di più ed ora i due si guardavano dritto negli occhi, a dividerli solo uno strato di sessanta centimetri di metallo.
Loki, come un segugio ben addestrato, sapeva fiutare le bugie immediatamente e fu sorpreso nel cogliere una sincerità inaspettata nella confessione della donna.
«Io non mi sto nascondendo», la contraddisse, lentamente. Potevano appioppargli tutti gli epiteti che volevano, ma non avrebbe permesso a nessuno di dargli del codardo.
Khalida annuì. «Certo, sei prigioniero. Ma non è quello che faresti, se fossi libero? Mi sembri troppo intelligente per voler morire come un topo».
Le sopracciglia sottili di Loki si alzarono lievemente. «Credimi, non vorresti sapere cosa farei, se fossi libero».
L'agente Sabil non sembrò particolarmente colpita dalla velata minaccia. «Perché Thanos vuole ucciderti?».
Loki serrò le labbra in una fessura sottile, e non accennò a voler rispondere.
Khalida finse di sospirare pesantemente, poi addolcì l'espressione degli occhi neri. «Parliamoci chiaro, Loki», iniziò e l'alieno non riuscì a nascondere un lieve tremito delle mani al suono del suo nome proprio. «Se non inizi a dargli qualche risposta, non avranno più molti motivi per mantenerti in vita. Potrebbero decidere in fretta di eliminarti, oppure di permettere a Thanos di trovarti», Khalida usava volutamente il “loro”, come se lei non avesse voce in capitolo nelle decisioni, oppure non le condividesse.
«È meglio per voi che Thanos non sappia dove mi trovo. Non sareste preparati ad affrontarlo», reagì Loki, sempre con tono minaccioso.
L'agente Sabil sorrise. «Ma se tu ci aiutassi, potremmo esserlo. E magari ti libereresti in fretta da uno dei tuoi nemici».
Loki rise forte. «Siete degli illusi. Le vostre ridicole forze non potranno nulla contro la furia che vomiterà su di voi...».
Qualcosa scattò negli occhi di carbone della Khalida. «Fossi in te», lo interruppe, freddandolo con uno sguardo gelido. «Non sarei tanto trionfante. Ora come ora, quello che accade a noi, accade anche a te», sentenziò, prima di voltarsi e dirigersi di gran carriera verso le scale che portavano al suo alloggio.
«Chiamatemi Fury», ordinò all'auricolare.
Loki seguì i suoi passi, incolore nell'espressione.
L'agente Sabil, mentre aspettava che il capo dello S.H.I.E.L.D. la contattasse, lo guardò di nuovo negli occhi. Sorrise, in un modo che a Loki non piacque per niente.
«Comunque, il mio nome è Khalida», disse, prima di scomparire dalla sua visuale.
Solo in quel momento Loki capì di essere caduto in tutte le trappole che la donna gli aveva teso, mentre lui era troppo occupato ad intesserne per lei.
Un lento sorriso diabolico animò il viso di Loki.
Adesso iniziava a divertirsi sul serio.
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Temo il vostro giudizio XD
Ciao ^-*

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Come un'illusione ***


Ringrazio chi continua a seguirmi e chi recensisce. Godetevi il capitolo!
Se possibile, fatemi sapere come credete che la storia prosegua, e le vostre impressioni sul comportamento di Khalida, così saprò se sto sviluppando bene la trama,
Grazie in anticipo!
Un bacio
Nicole



Poco a poco, con la lentezza logorante di una goccia che picchetta su una roccia, Loki stava minando la strategia di Khalida e lei tentava di fare lo stesso con lui.
Erano in una situazione di stallo da diversi giorni.
A parte poche e scarne informazioni sulla provenienza di Thanos, Titano una luna di Saturno, e sui suoi obiettivi, il Tesseract in primis, l'agente Sabil non era riuscita a ricavare niente dalle labbra serrate dell'asgardiano.
Loki credeva di conoscerla bene, e i sistemi tradizionali stavano diventando prevedibili, troppo per un avversario scaltro come il suo.
Doveva spiazzarlo, e di conseguenza fare un ulteriore passo nella sua armatura.
Sapeva già qual'era la mossa giusta, ma aveva esitato a compierla, dato che era rischiosa.
Al minimo sbaglio avrebbe potuto vanificare tutto il lavoro compiuto fino ad allora, ma stava perdendo la pazienza. Come le ricordava Fury ad ogni rapporto, la Terra forse non poteva permettersi un altro giorno di pace.
Erano vulnerabili, e se Thanos avesse attaccato probabilmente non sarebbe stata solo New York ad essere spazzata via.
Perciò, quando Khalida si avvicinò a passo pesante al punto in cui sapeva esserci l'ingresso della Gabbia, scortata da due dei suoi uomini, aveva sul volto l'espressione di chi ha preso una decisione e farà di tutto per portarla a termine.
Loki, in piedi al centro della sua cella, osservò con espressione incuriosita l'agente Sabil che si liberava delle armi – la fondina alla coscia e i due pugnali da lancio nascosti negli stivali – e affidava il comando a distanza della Gabbia ai suoi sottoposti.
Non riuscì nemmeno a descrivere quello che provò, un misto tra stupore, rabbia e trionfo, quando la porta di metallo scivolò sui suoi cardini invisibili e silenziosi.
Khalida fece due passi sul pavimento di lamiere, e le spesse suole di gomma degli stivali produssero un suono sinistro ed echeggiante, nello spazio angusto.
A pochi metri di distanza, Loki e Khalida si studiarono a lungo, mentre con un lievissimo fruscio la porta tornava al suo posto.
Questa volta l'agente Sabil non lasciò spazio all'asgardiano. «C'è una cosa che mi sono sempre chiesta», iniziò, portando lentamente le mani in avanti, per mostrare i palmi vuoti. «Le illusioni che crei, come funzionano? Sfruttano le paure inconsce dei tuoi nemici?».
Loki valutò attentamente il cambiamento di situazione.
Innanzitutto, la donna si era messa in una posizione di svantaggio.
Gli sarebbero bastati pochi istanti per raggiungerla e altrettanti per ucciderla in almeno dieci modi differenti.
E lei ne era perfettamente consapevole.
Se aveva corso quel rischio potevano esserci solo due ragioni fondamentali: era disperata perché ancora non aveva ottenuto niente di concreto da lui, oppure era sicura di non rischiare nulla ad avvicinarlo per qualche misteriosa ragione che gli sfuggiva.
In effetti, entrambe le motivazioni andavano a suo vantaggio.
Nella prima, lui deteneva ancora il controllo della situazione, e la sua vita era al sicuro, almeno dalle minacce degli umani. Nella seconda, l'agente Sabil lo stava sottovalutando e aveva già potuto constatare quanto fosse utile come circostanza.
Ma la domanda che gli aveva posto, oh, quella era la cosa davvero interessante!
Loki non riusciva ad immaginare perché fosse interessata alle sue capacità.
Forse stava semplicemente provando a stabile con lui un legame o, come amavano dire gli umani, stava provando a fare amicizia.
Loki rise sotto i baffi. Come se lui potesse essere interessato ad un rapporto con un essere del genere. Per quanto interessante, la donna era diventata presto noiosa e prevedibile, perfino quella mossa disperata, in fondo se l'aspettava.
Khalida era ancora davanti a lui in attesa di una risposta e, continuando a sogghignare, il Dio decise di accontentarla. Si concentrò, fissandola negli occhi e dal nulla intorno a lei comparvero cinque serpentelli sibilanti, lunghi un metro, di colore blu e nero.
L'agente Sabil li osservò mentre si agitavano e si affannavano verso di lei, facendo guizzare le lunghe lingue biforcute.
Capì subito che quell'illusione, incredibilmente realistica, era la risposta alla sua domanda.
Lei non aveva paura dei serpenti, era cresciuta nel deserto e aveva imparato a convivere con quegli animali sin da quando era in fasce.
E questo Loki non poteva saperlo, evidentemente.
Dal brillio consapevole nelle pupille nere e immobili della donna, Loki comprese che aveva colto il suo messaggio. In fondo, per essere una midgardiana, era perspicace.
«Ti basi solo sul tuo intuito allora», azzardò Khalida.
Loki fece una breve smorfia di disappunto. «Esperienza, non intuito», la contraddisse, con un moto d'orgoglio.
L'agente Sabil prese atto della precisazione con un delicato cenno della testa. Ostentando sicurezza, fece un passo in avanti, riprendendo a parlare. «Quello che puoi creare, ha dei limiti?».
Per risposta Loki materializzò davanti ai suoi occhi decine di scenari differenti, dai panorami di Asgard, alle profonde tenebre di ghiaccio di Jotunheim. La donna dovette ricorrere a tutto l'autocontrollo che disponeva per non mostrarsi affascinata.
«Solo la mia fantasia», chiarì Loki, mentre lasciava svanire l'ultima illusione.
Khalida prese un lungo respiro per rallentare il cuore accelerato. «Perché, nonostante le tue abilità, ti sei alleato con Thanos?».
L'asgardiano aggrottò le sopracciglia, stupito dall'interrogativo intelligente, fin troppo per il modo in cui giudicava la donna. Si rese improvvisamente conto del pericolo incombente di sottovalutare a sua volta l'avversaria che aveva di fronte. Digrignò i denti, consapevole di essere entrato in un'altra fase della strategia dell'umana.
Decise di assecondarla in parte, per avere più chiaro il suo obiettivo.
«Padroneggiare il Tesseract non è facile. Avevo bisogno di un manufatto che era in possesso di Thanos», spiegò.
Khalida trattenne un sorriso. Come aveva preventivato, Loki era disorientato da quel cambiamento e stava sondando il terreno, concedendole in contemporanea qualche risposta. Poche briciole, certo, ma già qualcosa su cui lavorare.
«Lo scettro», annuì, come ad invitarlo a proseguire.
Loki fece un sorriso sbilenco e non aggiunse nulla.
Khalida scrutò a lungo gli occhi chiari dell'alieno, come a cercare in quelle pozze verdi ciò che lo faceva sogghignare di soddisfazione.
Rifletté a lungo, soppesando le opzioni a sua disposizione.
Improvvisamente, in un lampo di consapevolezza, capì.
Loki era certo che li avrebbe visti morire, uno ad uno.
Era evidente che lui aveva un piano per uscire indenne dall'inferno che si sarebbe scatenato di lì a breve.
 
Loki si trattenne dal ridere apertamente, davanti al genuino sentimento di timore che animò gli occhi scuri della donna di fronte a lui, ormai solo a pochi metri di distanza.
Avrebbe voluto infierire, per strapparle definitivamente quella maschera impassibile e vederla comportarsi esattamente come si aspettava da un essere della sua razza. Avrebbe gradito anche un insulto, giusto per avere una reazione emotiva.
Ma, contrariamente ai loro piani, lui e l'agente Sabil furono costretti a distogliere l'attenzione l'uno dall'altra.
Dentro la Gabbia, i suoni giungevano lontani ed attutiti quando gli altoparlanti non erano in funzione. Per questo Khalida si accorse di cosa stava accadendo solo troppo tardi.
Le porte della stanza erano state aperte e, con passi pesanti come quelli di un cavallo ferrato, Thor stava procedendo verso la prigione del fratello.
«Che cosa diavolo stai cercando di fare?», urlò rivolto a Loki. Il martello stretto in pugno e pronto a colpire. «Non ti permetterò di fare del male a nessuno, Loki, non di nuovo», aggiunse, abbassando di un tono la voce, rendendola simile al rombo minaccioso di un tuono lontano.
Khalida realizzò con terrore che l'alieno era fuori di sé per la rabbia, non avrebbe esitato molto prima di tentare di fare a pezzi la Gabbia con Mjolnir.
Non aveva idea di cosa avesse scatenato quella reazione, e non le interessava.
Andava fermato.
L'adrenalina le schizzò nelle vene, mentre in fretta valutava esattamente come procedere.
Tentare di gestire i due fratelli, contemporaneamente, era un'impresa immane, e non era certa di riuscirci.
Loki, sorpreso ma compiaciuto dell'odio che finalmente scorgeva negli occhi chiari del fratello, rise apertamente. «Sei stato tu a riportarmi qui. Qualsiasi cosa accadrà, sarà solo colpa tua», gli ricordò, con la brutalità della verità.
Thor parve perdere completamente il lume della ragione. «Dovevo ucciderti quando potevo farlo», minacciò, cominciando a far ruotare velocemente il martello.
Loki strinse gli occhi. «Già, avresti dovuto», sibilò.
Khalida capì che, se non agiva in fretta, sarebbe finita in mezza alla lite, e probabilmente né lei né la Gabbia ne sarebbero uscite intere.
Con un gesto furibondo, fece cenno al suo secondo di aprire la porta.
Loki la derise, vedendola dargli le spalle, ma lei non ci fece troppo caso.
Adesso aveva un altro alieno nevrotico ed egocentrico da gestire.
Non appena fuori dalla prigione di metallo Khalida irrigidì tutti i muscoli del corpo, tesi e pronti a scattare e, prima ancora che il suo giovane compagno potesse porgergliela, afferrò la propria pistola e la puntò contro Thor.
«Piantala con quel martello, o ti ficco una pallottola in testa», minacciò, serissima.
Thor non sembrò scoraggiarsi, e spostò gli occhi ardenti dal fratello alla piccola umana, voltandosi verso di lei. Un sorriso di scherno gli animò il volto e Khalida pensò che in quello assomigliava a Loki: erano arroganti nello stesso, irritante, modo.
Ma, almeno, Loki aveva la prontezza di ammetterlo ed esserne fiero, mentre Thor aveva la stolida sicurezza di chi è sempre certo di essere nel giusto.
E lei quelli così proprio non li sopportava.
Prima che Thor anche solo provasse a fare un passo verso di lei, Khalida fece fuoco e il proiettile rimbalzò sulle piastre metalliche dell'armatura aliena con un lampo di scintille. Sapeva di non poter nemmeno fare un graffio al corpo dell'asgardiano con comuni proiettili ma confidava che la sua determinazione lo facesse desistere, almeno in parte.
Thor avvertì l'odore sgradevole della polvere da sparo e, stupito e sorpreso, capì che quella donna era dalla parte di Loki, e che li stava condannando tutti quanti a morire.
Strinse la presa sul martello, deciso a porre fine a tutto quanto, ma in un battito di cuore si ritrovò bloccato da due braccia forti quanto le sue.
«Calmati Thor!», gli intimò la voce di Steve Rogers.
La presenza del compagno sembrò far rinsavire improvvisamente l'alieno, e Khalida ne approfittò per riprendere in mano la situazione. «Lo porti via da qui, Capitano Rogers! E tra un'ora vi voglio tutti nella sala riunioni, compreso il signor Stark», ordinò, autoritaria.
Natasha, accorsa nella stanza appena in tempo per sentire gli ultimi ordini della donna, si spaventò per la furia omicida che traspariva dalla sua voce. Quando Khalida le passò accanto, diretta ai propri alloggi, si scostò con un timore viscerale. Capì immediatamente che era meglio non far arrabbiare mai quella donna, se teneva alla propria vita.
Una volta sola nella propria stanza, Khalida Sabil afferrò la prima cosa che le capitò sottomano e la scagliò contro il muro di metallo, provocando un rumore infernale e una lieve ammaccatura sulla parete. Si passò nervosamente le mani nei capelli sciogliendo l'acconciatura castigata. Come aveva temuto, quella mossa si era rivelata troppo rischiosa, e adesso tutto era stato rovinato.
Soffocò un urlo di frustrazione nel cuscino.
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Alla settimana prossima!
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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Come un bisturi ***


Ringrazio chi continua a leggere, anche se non commenta. un bacio speciale per Red_Sayuri... lo sai vero che tutto questo è solo merito tuo?
Proseguiamo con il capitolo 7, ormai siamo a metà della storia... come credete che proseguirà?
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Come appena due settimane prima, i Vendicatori al completo erano radunati nella sala riunioni circolare, tutti impegnati a fingere di essere lì volentieri.
Natasha giocherellava nervosamente con una matita, Clint accarezzava con la punta delle dita una piuma che poco prima aveva strappato da una delle sue frecce, Steve batteva ritmicamente la punta del piede a terra e Bruce si toccava insistentemente gli occhiali.
Thor, seduto rigidamente con le braccia strette al petto, ostentava orgoglio, quando in realtà si vergognava del suo comportamento impulsivo.
Le minacce che aveva colto nel tono di Loki, nel modo in cui parlava e sorrideva, gli avevano ricordato improvvisamente quello che il fratello aveva detto ad Asgard, mentre tentava di impedirgli di annientare Jotunheim. Era stato con tono sfrontato e vendicativo che aveva affermato di voler colpire Jane per ferire lui.
Non avrebbe permesso che accadesse niente del genere a nessuno degli umani con cui aveva stabilito un legame, ma ciò che aveva detto Loki poco prima gli pesava sulla coscienza.
E se, avendolo portato lì, avesse solo commesso un terribile errore?
Con un gesto abituale, passò la mano sopra la superficie di Mjolnir, sperando che l'antico oggetto gli trasmettesse un po'di calma e gli schiarisse le idee e i sentimenti confusi che si agitavano sotto la corazza.
Solo Stark, come al solito presente attraverso lo schermo al plasma, pareva a suo agio, stravaccato sulla sua poltroncina con le mani incrociate sulla nuca, l'immagine dell'uomo rilassato e sicuro di sé, oppure dello spettatore davanti alla prossima commedia dell'anno. Rogers non era stato molto prolisso nello spiegare il motivo di quella convocazione, ma era abbastanza sicuro che ci sarebbe stato da ridere.
Fury stranamente non era presente, ma ogni persona nella stanza era consapevole che li stava osservando con attenzione attraverso le decine di telecamere e microfoni sparsi in tutta la base.
Steve Rogers guardò l'orologio e, nel momento esatto in cui la lancetta passò sopra il numero dodici, Khalida Sabil fece il suo ingresso nella stanza.
Non aveva niente della donna selvaggia che aveva puntato ferocemente la pistola contro un alieno che avrebbe potuto ucciderla con una sola mano, era rientrata perfettamente nel suo ruolo composto e impassibile. I capelli erano di nuovo legati sulla nuca, il volto liscio e incolore, le mani calme e i gesti e i passi misurati e calcolati. Tutto in lei trasmetteva l'idea del controllo assoluto.
Con passo pesante camminò fino al centro della stanza e salutò con un cenno i presenti, poi si accomodò delicatamente e incrociò i palmi sul tavolo, in un gesto aperto che aveva un significato di riconciliazione o forse solo di tregua.
«Quello che è accaduto oggi non deve ripetersi», iniziò con voce chiara. «Nessuno di voi deve accedere alla Gabbia senza il mio consenso e, soprattutto, non nel bel mezzo di una seduta di interrogatorio», aggiunse, scrutando i volti dei presenti e fissandosi insistentemente su Thor e Steve.
Quest'ultimo si sentì in dovere di difendere il compagno. «Ci siamo allarmati tutti quando ci siamo accorti che eri entrata nella Gabbia. Abbiamo temuto che Loki potesse prendere il sopravvento e ucciderti».
Khalida fece un mezzo sorriso. «Per quanto mi commuova il suo interessamento, Capitano, come svolgo il mio lavoro non sono affari vostri. Se ero lì dentro c'era un ottima ragione, e voi adesso avete vanificato tutti i miei sforzi di questi giorni», chiarì, stavolta fissando apertamente Thor.
Questi, finalmente intervenne con la propria voce, difendendosi. «Il mio comportamento è stato stupido e impulsivo», ammise. «Ma lo stesso non ritengo che lei stia facendo progressi, agente Sabil, e questo da molti giorni. Non sappiamo ancora nulla su Thanos».
«Nulla?», intervenne a sorpresa Tony Stark, dal suo schermo. «Se per voi sapere che questo Thanos ha forze incredibili, mira al Tesseract, e vuole distruggerci è nulla, allora siete davvero insaziabili», disse, sarcastico, poi di fronte agli sguardi stupidi o scettici dei suoi compagni, rise. «Sono davvero l'unico che l'aveva capito?».
L'agente Sabil annuì, come a dar ragione a Tony. «E se non mi aveste interrotto, adesso sapremo molte altre cose».
Natasha raddrizzò la schiena. «Perdoni la franchezza, agente Sabil...».
«Khalida, chiamami Khalida», la interruppe la donna, guardandola negli occhi.
La Vedova Nera aggrottò le sopracciglia, ma ubbidì. «Khalida. Forse sarebbe meglio se ci illustrassi meglio la tua strategia con Loki, così eviteremo di interferire».
Khalida sospirò. «Immagino che a questo punto sia inevitabile», ammise, poi si prese un attimo per riflettere e riordinare le idee, doveva stare molto attenta a cosa rivelava e cosa no.
«Sono stata selezionata da Fury per questo compito, oltre che per le mie capacità e la mia esperienza, anche per la mia totale estraneità ai fatti di New York e a quelli che li hanno preceduti. Chiunque di voi sarebbe stato troppo coinvolto emotivamente nei confronti di Loki per condurre un interrogatorio. Tutti siete stati toccati in un modo o nell'altro dalla morte dell'agente Coulson. Loki questo lo sa e il vostro rancore nei suoi confronti lo fa mettere sulla difensiva», la voce dell'agente Sabil era fredda e chirurgica. Come un bisturi affilato tagliava a strisce sottili e svendeva quelli che erano i loro più intimi sentimenti, forse quelli che nemmeno riuscivano a comprendere ed accettare.
I Vendicatori si sentirono improvvisamente nudi, esposti agli occhi di carbone di quella donna acuta e spigolosa. Conscia dell'effetto delle sue parole, Khalida si lasciò sfuggire un sorriso.
«Il mio compito è quello di stabilire un legame di fiducia con Loki. Deve vedermi completamente estranea a voi, dovrà arrivare a credere che io sia dalla sua parte...».
«A me sembra che lei già ci sia, dalla sua parte», la interruppe bruscamente Thor, penetrandola con un'occhiata cristallina.
«È il mio prigioniero, ed è normale che lo protegga. Da morto non può dirmi nulla», replicò lei, con calma, poi prese un lungo respiro. «Inoltre», riprese. «Trovo ipocrita che un assassino ne giudichi un altro».
Thor batté il pugno sul tavolo. «Come osa darmi dell'assassino?», tuonò, le vene sui bicipiti muscolosi gonfie e tese, i nervi scattanti.
Khalida non fece una piega. «Mi riferivo a me», chiarì.
Un lento silenzio pesante calò sulla sala. Certo, nessuno si era immaginato che la donna fosse pura e innocente, ma sentirla parlare con quella sicurezza, con orgoglio quasi, fece correre un brivido lungo la schiena di molti di loro.
L'agente Sabil lasciò che le sue parole si imprimessero bene nella mente dei suoi ascoltatori, poi rilassò impercettibilmente le spalle. «Comunque, non è solo per questo che vi ho convocati», iniziò, assicurandosi nuovamente l'attenzione di tutti. «Prima di venire interrotta, ero finalmente riuscita a portare la mia conversazione con Loki su un argomento di cui non sappiamo nulla: lo scettro che aveva con sé quando ha attaccato la Terra».
L'agente Sabil si alzò, e sfiorò con la punta delle dita uno schermo dietro di lei. Sui cristalli liquidi comparve un'immagine dettagliata dell'oggetto e un grafico ondeggiante.
«Dottor Banner, mi corregga se sbaglio», premise Khalida, toccando un paio di icone, prima di proseguire. «Sappiamo che lo scettro emana una debole firma gamma, identica a quella del Tesseract. Oggi Loki mi ha rivelato che lo scettro è un manufatto che doveva aiutarlo nel gestire il potere del Cubo».
«È un ipotesi che avevamo già avanzato», fece presente Stark. «Ma lo scettro non sembra rispondere. Non riusciamo ad usarlo».
«Questo probabilmente perché il suo proprietario non vi ha autorizzato a farlo», annuì Khalida.
«Proprietario? Intendi Loki?», chiese Steve, che già stava iniziando a perdersi in quel ragionamento.
«No, Thanos», rispose Khalida.
Tony capì immediatamente le implicazioni di quelle due semplici parole. «Siamo fregati», vaticinò, passandosi una mano sul volto.
«Si spieghi Stark», lo incalzò Clint, i cui sensi erano già in allerta.
Non gli piaceva per niente la piega che stava prendendo la conversazione.
Tony sospirò, come se dovesse ripetere per l'ennesima volta una lezione che anche un bimbo delle elementari poteva comprendere. «Quando possediamo un oggetto a cui teniamo molto, solitamente abbiamo sempre un modo per rintracciarlo. Per esempio, i trasmettitori GPS nelle auto o nei cellulari ci permettono di localizzarli ovunque si trovino».
Uno dopo l'altro, i Vendicatori arrivarono ognuno alla stessa conclusione.
«Stai dicendo che lo scettro permette a Thanos di rintracciarci?», azzardò Natasha.
«Come se avessimo un enorme bersaglio luminoso quanto Las Vegas sulla schiena», chiarificò Stark. «Dobbiamo trovare il modo di spegnerlo», aggiunse.
Banner scosse la testa. «Impossibile, a suo modo è una piccola fonte d'energia come il Tesseract. Se anche lo spegnessimo, si riattiverebbe», illustrò.
Khalida toccò nuovamente lo schermo e una serie di disegni animati di quelle che sembravano pistole e fucili futuristici sostituì l'immagine dello scettro.
«La Fase 2 va portata avanti. Abbiamo bisogno di queste armi. Probabilmente saranno la nostra unica speranza di difenderci dall'attacco imminente di Thanos», disse. «Fury è già d'accordo».
Thor si alzò in piedi. «Non se ne parla. Non vi abbiamo dato il Tesseract per questo scopo».
«Le circostanze sono cambiate, Figlio di Odino. Sono certa che il Padre degli Dei comprenderà», insisté Khalida.
«Ha ragione, Thor», annuì Stark.
Thor strinse i pugni e guardò Steve, cercando sostegno nel compagno.
Il Capitano sospirò profondamente, riflettendo.
Aveva visto il potere distruttivo delle armi create dall'Hydra e non negava che il loro aiuto poteva fare molto comodo alla Terra.
Ma era conscio che ogni tipo di potere ha un prezzo, solitamente troppo elevato da pagare. Lui stesso ne era una prova fin troppo palese.
In un altro momento, non avrebbe mai acconsentito alla creazione di niente di simile.
Ma quella situazione, imponeva estreme soluzioni.
Il Capitano fissò intensamente Khalida. «Solo ad una condizione», disse.
L'agente Sabil annuì, senza badare allo sconcerto sul volto di Thor, e invitò l'uomo a proseguire.
«Quelle armi saranno ad uso esclusivo dello S.H.I.E.L.D. Non dovranno mai uscire da questa base», illustrò il Capitano.
Khalida sorrise ferocemente. «Affare fatto».
Era andata molto meglio di quanto aveva pensato.
Si erano bevuti ogni singola parola.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Come un fiammifero ***


Questo capitolo, non doveva esistere XD questo è una sorta di episodio di mezzo, prima della discesa finale della storia verso la conclusione.
Il titolo e parte degli avvenimenti mi sono stati suggeriti da Red_Sayuri, beta insostituibile! 
Buona lettura.



La Fase 2 procedette velocemente grazie al contributo sia economico che intellettuale di Stark, ai ricordi di Rogers e alla grande capacità di Banner e del team di ingegneri che si occupava del progetto. In meno di una settimana quasi ogni agente predisposto alla protezione del Tesseract e di Loki possedeva in dotazione due pistole di nuova generazione ed era stato preparato ad usarle.
Nonostante l'addestramento ricevuto, Khalida aveva sempre detestato le armi da fuoco, preferiva il combattimento a mani nude e all'arma bianca. Madre natura non l'aveva dotata di una mira particolarmente precisa mentre, nonostante la corporatura esile, era più forte della maggioranza delle donne.
Eppure doveva ammettere che con quelle pistole era tutta un'altra storia.
Tony Stark, dimostrando un'inventiva che l'aveva piacevolmente sorpresa, aveva dotato ogni arma di una sorta di mirino automatico, che rilevava il movimento e agganciava il bersaglio. Naturalmente il sistema era limitato e ci voleva comunque abilità e preparazione per riuscire a centrare i bersagli, ma per Khalida era come trovarsi al luna park. Non si era mai divertita tanto nell'imparare a maneggiare delle armi.
Purtroppo, anche se le sarebbe piaciuto, il dispositivo non era stato ideato per lei.
Le pistole erano ancora dei prototipi e quindi erano molto pesanti, circa il triplo di una normale arma da fuoco. Se ciò non era un problema per Steve Rogers, lo era diventato per gli altri agenti, compresa Natasha. La prima volta che aveva sparato non aveva nemmeno sfiorato il suo bersaglio, rischiando di ferire seriamente Tony. Probabilmente era per questo che il miliardario si era dato da fare per sistemare in fretta il problema.
Comunque, anche risolto l'inconveniente della mira, c'erano ugualmente delle difficoltà.
La potenza sprigionata ad ogni colpo era centinaia di volte superiore a quella di un comune proiettile, il rinculo era spaventoso e molti agenti si erano addirittura fratturati le dita al primo uso. Nonostante le migliorie, i colpi erano imprecisi, spesso del tutto approssimativi e questo creava non poche complicazioni, dato che un oggetto colpito veniva semplicemente disintegrato, scomposto nelle sue molecole più elementari.
Un colpo accidentale era fatale.
Fury, dopo il presentarsi di tutte queste problematiche, aveva programmato degli allenamenti intensivi e controllati cui nessuno era esentato. Dopo ogni seduta d'allenamento, l'agente riceveva una votazione, che permetteva a tutti di notarne i progressi. Se qualcuno non imparava in fretta a maneggiare una tale potenza, veniva assegnato ad un altro incarico e sostituito da un agente più capace.
Khalida solitamente si allenava insieme ai suoi sottoposti, o al massimo con l'agente Barton e l'agente Romanoff. Ma quel giorno era capitata in coppia con Tony Stark, brillante come sempre nella sua armatura ultimo modello, completamente cromata con le rifiniture color platino che, come lui teneva a precisare, erano veramente di platino. Un'ulteriore miglioria erano i nuovi proiettili caricati con l'energia del Tesseract nascosti negli avambracci e sulle spalle del miliardario.
L'altra coppia insieme a loro era formata da Steve Rogers e Thor.
L'asgardiano si era rifiutato di imparare ad utilizzare le nuove armi ritenendo, probabilmente a ragione, che Mjolnir fosse superiore, ma Fury non l'aveva esentato dalle esercitazioni. Quantomeno, aveva dichiarato di fronte alle rimostranze dell'alieno, lo avrebbero aiutato a sviluppare la capacità di lavorare in team.
L'esercizio era molto elementare: la coppia si trovava di fronte a due macchine che sputavano in rapida successione piccoli droni a forma di sfera; l'obiettivo era fare in modo che il proprio compagno non venisse colpito.
Come al solito la cosa era molto più semplice a dirsi che a farsi, i droni possedevano un'intelligenza artificiale quasi umana ed erano in grado di riconoscere il movimento e di evitare i colpi ma, dopo un primo momento di rodaggio, entrambe le coppie erano entrate in sintonia e avevano completato con successo tutte le sequenze d'allenamento.
«Accidenti dolcezza, te la cavi bene!», si complimentò Tony, sollevando la visiera dell'elmo.
Khalida fece una smorfia, ma accettò la lode senza replicare all'ironia del miliardario.
Ormai ci aveva fatto il callo e aveva compreso che quei nomignoli irritanti erano praticamente una dimostrazione d'affetto per Stark, un po' come lo era per i cani sbavare e leccare i padroni.
Accanto a loro, con un sibilo meccanico, l'ultimo drone crollò ai piedi di Thor, stroncato da una scarica elettrica abbastanza potente da fonderlo parzialmente.
Iron Man lo osservò attentamente. «Sei sempre il solito megalomane Thor», scherzò.
Captain America rise, riponendo lo scudo al braccio. Con un'occhiata, consultò l'orologio.
«Abbiamo tempo per un'altra seduta», osservò.
Tony sbuffò. «Vorrei davvero che fossimo in una SPA e stessi parlando di un rilassante massaggio thailandese».
Steve lo guardò sollevando le sopracciglia, non capendo.
Stark fece un gesto come ad allontanare una mosca fastidiosa. «Roba troppo moderna per te», lo canzonò, poi fu come fulminato da un'idea.
Guardò Khalida. «Hey, perché non ci scambiamo i compagni? Io prendo il vecchietto, tu l'autostoppista intergalattico», propose, con la gioia di un bimbo davanti a un negozio di caramelle.
L'agente Sabil osservò la reazione di Thor, ma l'alieno sembrava di ottimo umore, euforico quasi.
In effetti, da una persona del suo temperamento, c'era da aspettarsi che menare le mani lo galvanizzasse.
Accettò la proposta di Tony con un cenno del capo e si avvicinò al nuovo compagno.
Steve andò verso Tony. «Chiamami ancora vecchietto, e lascerò che uno di quei cosi ti rovini l'armatura nuova», minacciò, con un'aria scherzosa nella voce.
Iron Man lasciò calare la maschera sul viso. «Che c'è Capitan Ghiacciolo, iniziamo a scaldarci?», insisté imperterrito. Steve contò fino a dieci e poi ricominciò da capo, per essere sicuro di stare calmo. In fondo, una volta abituato ai modi di Stark, apprezzava il modo in cui sapeva spezzare l'atmosfera pesante che aleggiava nella base.
Nonostante la novità delle armi, era ovvio che un attacco sarebbe stato al di là delle forze dello S.H.I.E.L.D. Forse, era persino al di là delle forze dei Vendicatori.
E su quello, purtroppo, non c'era niente da ridere.

Thor fece un sorriso aperto a Khalida.
Era vero, quella donna non gli piaceva ma, come gli aveva suggerito Jane quando gliene aveva parlato, era giunto il momento di mostrarsi superiore e di non cedere alle sue provocazioni.
E poi, in fondo, era una donna e andava trattata con un certo rispetto.
L'agente Sabil non sembrò particolarmente colpita dai suoi sforzi, ma lui non si arrese. «Preferisci la destra o la sinistra?», domandò.
«Sinistra», rispose lei, prima di attivare con un cenno la macchina.
I due cannoni di lucido metallo cromato si assestarono lentamente nella posizione corretta e una fila di lucine verdi si accese alla base. Un basso ronzio riempì la stanza.
Khalida strinse le dita sulla pistola, iniziando a contare. Dall'accensione della macchina alla comparsa del primo drone passavano esattamente cinquanta secondi. Aveva capito subito che per lei, comune umana che non possedeva tecnologie da capogiro o una forza fuori dal comune, la tecnica consisteva nel calcolare esattamente il lasso di tempo che passava tra un drone all'altro, colpendoli non appena la macchina li sputava fuori.
Arrivata a quarantanove, fece fuoco, frantumando la prima sfera di metallo e si concentrò, continuando a contare, estraniandosi dall'ambiente intorno a lei.
Mentre l'esercizio proseguiva, aumentando mano a mano la difficoltà, Khalida dovette constatare che il suo compagno non era attento quanto lei. Sempre più spesso era costretta a schivare i droni che Thor non riusciva a colpire in tempo.
Più che altro, l'asgardiano sembrava giocare senza impegnarsi seriamente, forse dimenticando che la sua compagna attuale non aveva la pelle resistente quanto Captain America.
Se uno di quei droni l'avesse colpita nel punto sbagliato, avrebbe potuto morire.
«Thor, concentrati maledizione!», gridò l'agente Sabil, dopo aver scansato per un pelo l'ultimo drone.
L'alieno fece un sorriso, friggendo con un lampo una schiera di proiettili diretti alle ginocchia di Khalida. «Sono concentrato», sottolineò.
«Agente Sabil, giù!», avvertì Steve, proteggendosi contemporaneamente il fianco con lo scudo.
Per tutto il tempo, il Capitano era stato pronto a sorvegliare non solo il proprio compagno, ma anche la coppia accanto a lui. Era una cosa che gli era rimasta addosso dalla guerra, quando al suo comando aveva decine di uomini che dipendevano solo da lui.
Khalida percepì l'avvertimento, ma era solo un'umana e non poté fare nulla oltre che accettare l'inevitabile. Non si lasciò sfuggire un lamento, quando cadde a terra scomposta. La pistola le sfuggì dalle mani, rotolando lontano.
Tony arrestò le macchine sparando ad entrambe due colpi ben piazzati sotto il pannello di controllo. Sapeva che avevano una procedura d'arresto d'emergenza, ma quel metodo era decisamente più sbrigativo ed efficace.
Tutti i droni superstiti precipitarono a terra, producendo un clangore metallico, sopra lo sfrigolio di scintille delle macchine distrutte. Un allarme risuonò in lontananza.
Steve fu il primo ad inginocchiarsi al fianco di Khalida, che era cosciente ma non si muoveva. Sullo zigomo aveva un lungo taglio obliquo di una decina di centimetri che sanguinava copiosamente e una grossa escoriazione su tutta la guancia. Da come serrava le labbra, il Capitano intuì che doveva soffrire molto e si stava sforzando con tutta sé stessa di non darlo a vedere.
«Dolcezza, sei morta?», intervenne Stark, piegandosi sopra il suo viso.
Khalida emise uno sbuffo irritato e respirò profondamente. «Le piacerebbe, Stark», brontolò, sbattendo le palpebre.
Nella testa le risuonava ancora il colpo ricevuto, rimbalzandole tra le pareti del cervello in cerca d'uscita. Avrebbe avuto un mal di testa atroce per tutto il giorno, probabilmente una brutta cicatrice e un livido da ricordare, ma era sicura di non avere niente di rotto. Le era già capitato di spezzarsi sia il naso che lo zigomo, e il dolore non era altrettanto intenso.
Nella sfortuna, era stata graziata.
Poteva andarle molto peggio.
L'agente Sabil accettò l'aiuto di Steve per mettersi seduta e poi alzarsi in piedi.
Aspettò che il lieve capogiro passasse e la vista le si chiarisse, prima di guardare Thor negli occhi.
Il potente Dio del Tuono sembrava un ragazzino appena beccato con le mani nella marmellata.
Khalida indurì le labbra e si preparò per la stoccata finale.
Era da quando lo aveva affrontato per la prima volta che aveva voglia di cantargliele.
«Spero che tu abbia capito la lezione. Non ho voglia di morire, la prossima volta», iniziò, poi si liberò dalla presa gentile di Steve, avvicinandosi. «Non tutti i tuoi compagni sono resistenti come il Capitano o i tuoi amici asgardiani. La maggioranza dei tuoi alleati saranno inferiori a te, deboli, da proteggere. Siamo solo umani, Thor. E non saremo mai come te», la voce fredda della donna contrastava con lo sguardo improvvisamente malinconico. Nel tono aveva qualcosa che poteva interpretarsi come invidia, o amarezza. Nessuno dei presenti si riteneva in grado di decifrare appieno le parole della donna o i suoi sentimenti, se ne provava.
Thor non riuscì a replicare e Khalida ne approfittò per proseguire. «Non puoi permetterti di accenderti come un fiammifero, ad un minimo sussulto. Non servirai a nulla se ti consumi in fretta. La tua concentrazione deve essere suoi tuoi compagni, sulla battaglia, sulle persone che devi proteggere. Sei stato tu a prenderti l'incarico di difenderci, devi esserne all'altezza».
La donna infierì con un ultimo sguardo di compatimento. «È davvero triste pensare che la Terra sia in mano a una persona che probabilmente non è altro che un ragazzino viziato che si crede un dio», concluse, voltando le spalle all'asgardiano e dirigendosi verso l'uscita, dopo aver recuperato la propria arma.
Sulla soglia, Khalida si voltò improvvisamente, come se si fosse ricordata qualcosa di importante.
Thor la guardava ferito e deluso, non aveva aperto bocca, segno che probabilmente sapeva che la donna era nel giusto.
Sia Stark, che Steve non avevano osato mettersi in mezzo, soprattutto adesso che l'agente Sabil era nuovamente armata.
Khalida respirò dal naso, gonfiando i polmoni. Il sangue le scorreva lungo il collo, e la guancia le bruciava come se fosse ustionata. Fu solo per cattiveria pura e semplice, che non si limitò ad affondare la lama, ma la rigirò con gusto nella ferita che aveva aperto. «Se dovessi scegliere un alleato in battaglia, sceglierei tuo fratello. Lui non avrebbe mai permesso che un suo compagno venisse ferito».
«Loki non ha compagni», replicò con astio Thor, alzando la voce.
Khalida sorrise. «Certo, perché gli avete voltato tutti le spalle», sentenziò, poi uscì a passo svelto dalla stanza.
Un fremito percorse i muscoli di Thor e Steve gli posò una mano sulla spalla. «Lascia perdere», gli consigliò, serio.
Tony gettò uno sguardo alla porta da cui era fuggita quella strana donna, poi rivolse nuovamente l'attenzione ai due compagni. «Non la prendere sul personale Thor. Era tutta una sceneggiata. Quella donna ci usa come pedine e ci manipola a suo piacimento. Scommetto che ora correrà tutta orgogliosa a mostrare al piccolo cervo la sua ferita di guerra».
Thor prese atto delle parole del miliardario e si sentì ancora più frustrato e arrabbiato. Era sicuro che, per quanto parte del suo piano, il disprezzo che la donna aveva esposto nei suoi confronti era sincero. E la sensazione che lei preferisse Loki a lui, per quanto irrazionale, lo faceva sentire indegno e inutile. Strinse con forza una mano su Mjolnir, così tanto che, se non fosse stato di un materiale sconosciuto e incredibilmente resistente, il manufatto si sarebbe polverizzato tra le sue dita.
«La credi davvero tanto calcolatrice? A me sembrava solo arrabbiata», osservò Steve.
Tony incrociò le braccia, facendo cigolare le giunture metalliche dell'armatura. «Quella è una specie di robot con un bel faccino e gambe da urlo come contorno», osservò, lanciando al Capitano una lunga occhiata eloquente, poi guardò Thor negli occhi. «Se fossi incline al romanticismo, oserei dire che tuo fratello ha trovato l'anima gemella».
Thor sentì un brivido lungo la schiena, al fronte di quella consapevolezza.
Per quanto ammettesse di essere impulsivo ai limiti dell'avventatezza, l'alieno aveva imparato a confidare nel proprio istinto.
Ovviamente le parole e le azioni dell'agente Sabil facevano parte di uno schema preciso e calcolato.
Non era detto, però, che fosse lo stesso di Fury.

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Non amo chiedere recensioni, soprattutto perché so perfettamente che non tutte le persone che leggono, hanno anche il tempo per lasciare un commento a tutte le storie che seguono, lo so perché sono una di loro.
Per cui voglio solo ringraziare tutte le persone che continuano a leggere e che mi dedicano un quarto d'ora del loro tempo (se siete lettori veloci XD).


Al prossimo capitolo.
Nicole

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Come un uomo ***


Eccomi qui con il capitolo nove.
Ho ufficialmente terminato la storia, quindi posso dire che saranno in totale 13 capitoli più l'epilogo... quindi al termine della storia mancano solo 4 capitoli... per le domande di rito, ci vediamo alla fine. Buona lettura!



Loki conosceva bene la sensazione di essere diverso, ci conviveva sin da quando era poco più che un neonato.
All'inizio ci aveva fatto poco caso, protetto e coccolato dall'amore abbagliante di Frigga, Odino e Thor. Per i primi anni dell'infanzia si poteva dire che fosse stato sereno, se non addirittura felice, cullato in una bolla d'affetto e bambagia.
Poi, man mano che la sua intelligenza cresceva, la bolla aveva iniziato a riempirsi di crepe. Dapprima erano imperfezioni sottili, trascurabili poi, in un comico crescendo, erano aumentate, fino ad inghiottire quella perfezione in un enorme buco nero.
Non appena le sue mani avevano sfiorato lo Scrigno degli Antichi Inverni, una nebbia impenetrabile si era improvvisamente dissolta.
Finalmente aveva visto e capito.
Ogni frase sussurrata dai cortigiani, ogni sguardo strano, ogni compagno di giochi che candidamente gli domandava come mai la sua pelle fosse così bianca, perché non fosse forte come Thor. Ogni cosa era rientrata perfettamente in una logica che fino ad allora gli era sfuggita, condensandosi in una perfetta e dolorosa consapevolezza.
Lui non apparteneva ad Asgard.
Per quanto si fosse sforzato, ciò non sarebbe mai cambiato, nemmeno l'amore di Odino o i fulmini di Thor avrebbero potuto sovvertire l'ordine delle cose.
I fatti erano immutabili, scritti nel codice stesso dell'universo.
Era stato rifiutato dalla propria gente perché troppo gracile e poi adombrato dalla grandezza di Asgard, troppo oscuro per riflettere la sua perfetta luce.
Forse qualcuno con un po'di acume poteva identificare le sue azioni come sforzi per crearsi una casa, un posto in cui sentirsi accettato, un personale luogo in cui non esistessero paragoni con l'ingombrante fratello o gli scomodi genitori adottivi e biologici.
Inutile dire che era stato tutto vano.
Pur continuando ad affermare il loro affetto, tutti quanti – Odino, Frigga e Thor – pretendevano che lui fosse come loro desideravano, senza accettare il semplice fatto che non sarebbe mai stato come loro.
Non poteva, ed era stanco di provarci.
Dentro di lui, un invisibile orologio scandiva il tempo, e Loki era consapevole di non averne ancora molto prima che Thanos passasse all'azione. Per quel momento lui doveva essere anni luce dalla Terra, se voleva sperare di sopravvivere.
Iniziava a capire che gli occorreva risparmiare le energie e scegliere con cura la prossima causa a cui votarsi.
Certo, la vendetta e la rivalsa rimanevano in cima alla lista, ma la strada per ottenerle poteva essere molto diversa da quella che lui aveva tentato per ben due volte.
Aveva sempre creduto che possedere un trono fosse l'essenza del potere, ma cominciava a rivalutare quel concetto. Thanos stesso, uno dei signori più potenti dell'universo, non era re di niente, se non di sé stesso.
Forse doveva smetterla di bramare un banale seggio e puntare al potere vero.
Il Tesseract poteva essere un buon inizio.
Benché non fosse il manufatto più potente dell'universo, era sicuramente il più facile da manipolare e quello dalle applicazioni più vaste.
Sapere che il Cubo era lì, esattamente dieci piani sopra di lui, lo riempiva di brama.
Gli sarebbe bastato uscire da quella gabbia per pochi istanti e teletrasportarsi direttamente nel laboratorio. In meno di un minuto, si sarebbe riappropriato del manufatto.
Anche se quella stanza schermava i suoi poteri mentali, i suoi sensi sentivano comunque il cuore d'energia del Cubo pulsare. Riusciva quasi a figurarsi il percorso per raggiungerlo e ormai stava diventando impaziente.
Il momento di agire era prossimo.
Aveva lasciato per troppo tempo libertà a quei patetici umani.
Le sue riflessioni vennero interrotte dall'arrivo dell'agente Sabil. Un sibilo breve e penetrante ne annunciò l'entrata e tutti gli uomini di guardia alla stanza scattarono sull'attenti poi, dopo un secco ordine della donna, uscirono alla spicciolata, lasciando la donna e l'alieno soli.
Loki non poté fare a meno di fissarla attentamente.
Sembrava provata, respirava più in fretta del solito e sulla guancia sinistra aveva un lungo taglio, medicato in modo frettoloso, e un brutto livido. Ostentando la sua irritazione, la donna camminava avanti e indietro per la stanza ignorando il proprio prigioniero.
Loki capì immediatamente che, in realtà, voleva solamente attirare la sua attenzione, in modo piuttosto maldestro e inutile, oltretutto. Già da qualche tempo Khalida si trovava nel suo mirino, oggetto continuo di analisi e riflessioni.
Il modo in cui lei aveva reagito all'ingresso irruento di Thor lo aveva portato a riconsiderarla. Era meno prevedibile di quanto credeva. Probabilmente, se non fosse stata un'umana infinitamente inferiore a lui, Loki avrebbe potuto provare simpatia nei suoi confronti.
Ogni cosa che diceva e faceva l'agente Sabil era studiata con una logica fredda e lucida, bilanciando e soppesando ogni causa ed effetto perfino dei respiri che faceva tra una frase e l'altra.
Se così non era, meritava comunque una lode per lo sforzo.
Perfino Loki, che si riteneva un grande conoscitore dell'animo umano e non, non era mai sicuro delle sue intenzioni, quando parlava con lei.
La cosa lo confondeva e insieme lo stimolava.
Se la sensazione di estraneità gli era familiare quanto il proprio volto, quella di complicità gli era completamente sconosciuta.
All'alieno non piaceva per niente come si sentiva, alla presenza ingombrante di quell'esile donna.
Il fatto stesso che lui sprecasse tutto quel tempo a riflettere su di lei, era degradante. Lo faceva sentire più debole, come un uomo qualunque.
Detestava sentirsi così, ma questo non cambiava ciò che provava.
Per quanto molti lo considerassero privo di sentimenti, l'alieno ammetteva con sé stesso di provarne. Semplicemente, aveva imparato da tempo ad ignorare quelli che non riteneva utili e ad alimentare quelli che, invece, lo spronavano ad agire.
In quel momento la curiosità nei confronti della donna l'avrebbe aiutato a non mollare la presa, e a stabile con lei un legame che l'avrebbe portato fuori di lì.
La chiave per impadronirsi del Tesseract, era lei.
Quando Khalida, dopo l'ennesimo avanti e indietro, si andò a sedere rumorosamente con la schiena appoggiata alla parete frontale della Gabbia, dandogli le spalle, Loki le si avvicinò lentamente.
«Cosa ti è successo?», chiese, abbassando la voce per renderla ancora più vellutata.
La donna non si voltò nemmeno, toccò appena la guancia ferita. «Un piccolo scontro con l'incompetenza di Thor», spiegò, con voce stanca.
Sembrava sfinita, e più umana di quanto si fosse mai mostrata.
Loki si sedette in posizione speculare alla sua. Era certo di aver colto un momento non di debolezza vera e propria, quanto di distrazione, e non se lo sarebbe fatto scappare.
«Conosco la sensazione», ammise.
Khalida sorrise con un angolo della bocca.
«Non deve essere stato facile crescere con una presenza così ingombrante accanto», disse e Loki si irrigidì.
«Non comportarti come se capissi», la freddò con un tono tagliente come ghiaccio spezzato. Per quanto il suo piano gli imponesse di essere civile, il suo orgoglio gli impediva di accettare comprensione da parte di quella donna. Lei non sapeva un accidenti di lui, di Thor e della sua vita.
«Infatti non capisco», lo sorprese Khalida, ridendo leggermente. «Devi avergli voluto davvero bene, per non ucciderlo quando era piccolo. A me è venuta voglia di farlo la prima volta che l'ho visto».
Loki sapeva che quello nella voce della donna era puro sarcasmo, utile solo a sfogare la sua frustrazione nei confronti di Thor che, presumibilmente, l'aveva umiliata.
Forse la donna non stava nemmeno realmente parlando con lui.
Era una cosa umana, che non gli apparteneva.
Lui quando era sarcastico, era solo per ferire o apparire indifferente.
Non usava mai le parole come valvola di sfogo, erano troppo preziose per andare sprecate.
Il Dio dell'Inganno, rifletté velocemente sulle parole della donna. Forse inconsapevolmente, Khalida si era avventura su un sentiero che lui preferiva evitare del tutto: i ricordi.
Quelli, non evocavano sentimenti che l'avrebbero aiutato a fuggire di lì.
Khalida, un po'sorpresa dal silenzio pesante di Loki, voltò il viso per osservarlo meglio, e lui le restituì lo sguardo.
Nella luce accecante della stanza, gli occhi dell'alieno sembravano quasi trasparenti, chiarissimi ma impenetrabili come un lago montano, troppo gelido per essere accessibile a comuni esseri umani.
L'agente Sabil si era sforzata di non farsi pregiudizi nei confronti del suo prigioniero, mentre studiava le informazioni in suo possesso, ma lo stesso nella sua mente un'idea si era formata, per quanto vaga.
Loki, comunque, la stava prontamente ribaltando, a poco a poco.
Nei suoi rapporti c'era chi l'aveva definito folle, ma lei non scorgeva tracce di pazzia in quello sguardo che sembrava passarla da parte a parte, alla ricerca del suo più profondo segreto.
In quegli occhi c'era rabbia, odio, dolore, un'intelligenza acuminata come una lama... ma non follia.
Probabilmente, non esisteva sulla Terra persona più lucida di Loki, in quell'istante.
Il brevissimo momento di analisi di Khalida venne interrotto dall'urlare improvviso e assordante di una sirena.
L'addestramento ricevuto agì al posto suo.
 «Codice rosso, tutti in posizione!», ordinò, scattando in piedi e stringendo le dita intorno alla pistola.
Una lenta goccia di sudore le calò sulla guancia, facendole bruciare la ferita.
Non ebbe bisogno di voltarsi, per sapere che Loki stava nuovamente sorridendo in quel suo modo affilato e crudele.
«Il momento della verità è arrivato, Khalida», le disse, subito prima che una scarica elettrica trapassasse l'orecchio della donna, costringendola a strapparsi il comunicatore con un gemito di dolore.
Non ebbe il tempo di accorgersi che era la prima volta che Loki la chiamava per nome, un urlo lacerante e un lampo di luce la costrinsero a rivolgere la sua attenzione altrove.
All'ingresso della stanza, un essere bipede dall'aspetto vagamente umano, con la pelle a scaglie di un azzurro cupo e malato, si era velocemente sbarazzato di due agenti, che adesso giacevano immobili a terra.
Non era un chitauro, ma gli assomigliava, forse proveniva dallo stesso pianeta. Benché sembrasse umanoide, i lineamenti larghi, gli occhi senza pupilla e i movimenti sinuosi davano più l'idea di un'animale ben addestrato.
Tra le mani dalle dita artigliate stringeva una lunga lancia dal design simile allo Scettro di Thanos. La pietra in cima brillava di sinistri bagliori azzurri, attraversati da scariche d'un bianco abbagliante.
L'essere osservò Khalida, piegando la testa di lato, come a valutarne la pericolosità.
La donna desiderò avere nuovamente il comunicatore, probabilmente Loki conosceva quella bestia e avrebbe potuto fornirle qualche dettaglio, ma capì subito che non le sarebbe servito a nulla. L'alieno era chiaramente deciso a guardarla morire esattamente come quei due soldati insanguinati.
Un brivido le percorse la schiena, mentre esaminava con gli occhi la stanza, identificando la posizione dei propri uomini, rientrati immediatamente dopo il suono dell'allarme.
Tutti aspettavano solo un suo ordine per fare fuoco, ma la rapidità con cui l'essere era comparso nella stanza e ucciso i suoi compagni la faceva esitare. Non conosceva le abilità della creatura, e probabilmente non ci teneva nemmeno.
Forse la strategia migliore era prendere tempo e attendere l'arrivo dei Vendicatori.
Il secondo di Khalida, probabilmente per colpa della tensione e della paura, fece una mossa falsa. Credendosi al sicuro dallo sguardo inumano dell'essere, prese la mira e fece fuoco.
Il globo di luce azzurra si infranse nel pavimento, lasciando una voragine di un metro di diametro, la creatura si era dissolta in una nuvola di fumo blu.
Khalida sbarrò gli occhi. «Jefferson!», riuscì ad urlare, prima che l'essere ricomparisse dietro l'agente, trafiggendolo da parte a parte con la sua arma.
Stavolta fu Khalida a sparare, ma nuovamente la creatura si smaterializzò, ricomponendosi a pochi metri da lei, di fronte a Loki.
Gli sarebbe bastato un solo colpo per ucciderla ma stranamente non lo fece, rivolgendo la sua attenzione alla Gabbia. Osservò Loki concedendogli un lungo sorriso da rettile. Una sottile lingua biforcuta fece capolino dalle labbra piene di escrescenze squamose.
Per la prima volta, Khalida credette di vedere un barlume di paura sul volto liscio dell'asgardiano.
La punta della lancia si illuminò nuovamente, fino a che la luce divenne accecante.
Quando il proiettile colpì la prigione di Loki, il rumore fu tale che l'agente Sabil dovette coprirsi le orecchie con le mani e rannicchiarsi d'istinto su sé stessa, per proteggere il volto.
L'energia del colpo dapprima incrinò e poi frantumò il metallo della Gabbia, scagliando su Khalida una pioggia di frammenti affilati come rasoi.
Incurante dei tagli sanguinanti, la donna si rimise subito in piedi, guidata dall'addestramento, dall'istinto e da qualcosa che non seppe identificare.
C'era solo un motivo per cui quella creatura poteva aver liberato Loki, e lei non poteva lasciare che raggiungesse il suo scopo. Non avrebbe permesso che l'asgardiano morisse, non così presto e non mentre era sotto la sua responsabilità.
L'arma aliena si caricò nuovamente con un sibilo impercettibile, il cristallo brillò e sfrigolò come un tizzone cosparso d'acqua fredda. Una potente scarica d'energia attraversò la sfera blu che si ingrandiva progressivamente.
Un tremito percorse le mani di Loki, mentre realizzava che non avrebbe avuto il tempo di fuggire. Quelle creature erano maledettamente veloci, e si affidavano al fiuto per cacciare. Le sue illusioni non sarebbero servite a niente.
Pensò per un attimo che aveva sprecato la maggioranza del suo tempo e della sua esistenza.
Percepì l'elettricità statica aumentare e il sibilo dell'arma crescere d'intensità.
I muscoli di Khalida bruciavano e il sangue le colava lungo le tempie ferite, solo pochi metri la separavano da Loki, eppure aveva la sgradevole sensazione di non essere abbastanza veloce. Determinata, chinò la testa e si gettò in avanti, iniziando lentamente a contare i secondi che la separavano dalla detonazione.
Il colpo esplose, illuminando come un piccolo sole tutta la stanza.
Khalida non sentì nemmeno dolore quando ricevette in pieno stomaco il globo d'energia destinato a Loki.
Una voce che non riconobbe chiamò il suo nome, poi tutto divenne buio.

Un proiettile avvolto di luce azzurra raggiunse il sicario di Thanos alla spalla e la creatura urlò di dolore, lacerando i timpani dei presenti. Iron Man ne approfittò per caricare un secondo colpo che purtroppo non andò a segno, la creatura si era smaterializzata nuovamente.
«Thor!», chiamò Stark, per preparare il compagno ad un assalto dell'alieno che, però, non arrivò. Improvvisamente, un silenzio rotto solo dal ragliare sordo delle sirene prese posto nella stanza.
All'apparenza, l'attacco sembrava concluso. Forse la ferita inferta da Stark era più grave di quanto pensassero. In fondo, quegli esseri potevano anche avere il cuore nelle caviglie, per quanto ne sapevano.
Solo allora tutti si ricordarono di Loki e dell'agente Sabil.
La donna era stesa a terra, una pozza di sangue si allargava lentamente sotto di lei. La ferita al ventre era terribile, e nessuno dei presenti osò pensare che Khalida potesse essere sopravvissuta.
Loki era immobile dietro di lei, paralizzato da qualcosa che poteva definire solo come stupore. Aveva avuto tra le mani l'occasione perfetta per fuggire, e l'aveva completamente sprecata, come al solito.
Mentre Thor accorreva accanto all'agente Sabil, si guardò le mani, sporche del sangue della donna che si era gettata davanti a lui per salvargli la vita.
Qualcosa gli strinse lo stomaco in una morsa dolorosa.
«Respira ancora!», annunciò Thor stupito, non osando toccare il corpo esanime di Khalida. Istintivamente, cercò gli occhi del fratello.
Loki aveva un'espressione impenetrabile, ma lo stesso il Dio del Tuono riuscì a percepire la confusione che gli animava il cuore e la mente.
«Dobbiamo portarla in infermeria», intervenne Stark, atterrando pesantemente accanto a Loki, tenendolo preventivamente sotto tiro.
«Non servirà», mormorò il Dio dell'Inganno.
Thor e Stark lo guardarono.
Loki raddrizzò le spalle. «Se volete salvarla, dovete portarla ad Asgard».
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Colpo di scena.
Perché Khalida ha voluto salvare Loki? Perché il Dio dell'Inganno non è fuggito?
Cosa avrà in mente Thanos?
Come finirà la storia secondo voi?
Se volete darmi la vostra risposta, sarò lieta di leggere le vostre teorie.


Come al solito un ringraziamento speciale a Red Sayuri, e a tutte le persone che continuano a leggere. noto con piacere che le letture sono costanti, quindi apprezzate.

A presto,
Nicole

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Come una dea ***




Khalida spalancò gli occhi, inspirando come se i suoi polmoni avessero ripreso a funzionare dopo una lunga apnea. La luce dorata le ferì gli occhi neri e fu costretta a socchiuderli, portando istintivamente la mano alla fronte per schermarli.
Qualcosa tintinnò, e lei si osservò stupita il polso, decorato da tre sottili cerchietti d'oro lucido.
Strano, osservò, non aveva mai indossato niente del genere in tutta la sua vita.
Aggrottando le sopracciglia, si guardò intorno. Era stesa in un letto coperto da lenzuola di seta dorata, in una stanza ampia, dal soffitto altissimo. Non somigliava a nessun posto che lei conoscesse. Aveva visitato residenze lussuose, nel suo paese natale, ma lì c'era qualcosa di diverso.
Qualcosa che non era terrestre.
I colori erano accesi come se gli oggetti vibrassero di una propria luce interna, perfino l'aria stessa sembrava pura e rarefatta come se fosse ad alta quota.
Quello era decisamente un sogno estremamente vivido e dettagliato, tanto che Khalida iniziava a dubitare che lo fosse.
Si mise a sedere e qualcosa si mosse ai margini del suo campo visivo.
Si voltò di scatto solo per ritrovarsi a fissare la propria immagine riflessa in uno specchio, circondato da una sfavillante cornice barocca intarsiata d'oro e diamanti.
Sbalordita, la donna si alzò in piedi e si osservò da capo a piedi.
Indossava una tunica bianco ghiaccio, fermata sulle spalle da due spille ingemmate, ricoperte di rubini e smeraldi. Il tessuto le scivolava tra le dita come acqua.
Aveva i capelli raccolti su una spalla, in una morbida treccia attraversata da nastri bianchi e oro.
Khalida non si era mai considerata particolarmente bella, eppure non riusciva a togliersi gli occhi di dosso. Si toccò una guancia, dubitando perfino che quella fosse la sua reale immagine.
Possedeva il fulgore di una dea, qualcosa di luminoso e altero al tempo stesso.
Il silenzio della stanza, dapprima rotto solo dal suo respiro, mutò impercettibilmente.
Cercando un'arma invisibile al fianco, Khalida si voltò, tendendo i muscoli, pronta all'azione.
A tre passi da lei, si scontrò con il sorriso sottile di Loki.
Indossava un'armatura di metallo nero, dai riflessi verde cupo. Sulle spalle aveva un lungo mantello che ondeggiava come mosso da una brezza invisibile, spandendo bagliori dorati, e sulla testa l'elmo che già aveva sfoggiato a Stoccarda e New York.
La sovrastava in tutta la sua altezza, e la donna provò un vago timore.
Emanava un'aura di potere che non aveva mai percepito e le sembrò più pericoloso che mai. Se escludeva il giorno in cui era arrivato, non gli era mai stata tanto vicina.
Il sorriso di Loki si allargò e Khalida capì.
«Sono morta, vero?», chiese.
«No», replicò lui. «Non ancora».
Khalida sollevò un sopracciglio. «Non ancora?», ripeté.
«La tua ferita è molto grave. Forse nemmeno la camera di guarigione di Asgard riuscirà a salvarti», spiegò Loki, avvicinandosi di un passo.
La donna provò l'istinto di indietreggiare, ma si trattenne.
Era confusa, ma determinata a non farlo percepire al suo avversario.
«Questa è un'illusione?», chiese.
«Credo che si possa definire così», annuì Loki.
Khalida si guardò rapidamente intorno. «Sono su Asgard?».
«Sì».
«E tu?».
L'alieno sospirò. «Ancora su Midgard».
«Tu non dovresti essere in grado di usare i tuoi poteri», obiettò Khalida.
Loki rise. «La vostra prigione è distrutta. E i tuoi amici sono troppo impegnati a raccogliere i morti frutto della loro incompetenza per badare a questi dettagli».
«Non sono i miei amici», lo contraddisse l'agente Sabil, rabbrividendo. In quella cornice illusoria si sentiva più fragile e faticava a nascondere ciò che provava. «Cosa è successo?».
Loki tornò serio. «L'attentato alla mia vita era solo una copertura. Mentre il Chyss vi teneva impegnati, un altro ha raggiunto il Tesseract e se ne è impadronito. Fortunatamente il vostro mostro radioattivo era nel laboratorio e la creatura non è riuscita a recuperare anche lo Scettro».
«Quindi il Cubo ora è in mano a Thanos...», rifletté Khalida, incolore. Non era addestrata per stupirsi, solo per razionalizzare la situazione e pensare come uscirne.
Guardò Loki negli occhi, adombrati dall'elmo imponente. «Quanto tempo abbiamo, prima che attacchi?».
Il Dio di fronte a lei scoppiò a ridere forte, sinceramente divertito. «Sei in fin di vita, eppure non smetti di interrogarmi», osservò.
Khalida realizzò che in fondo era stupido preoccuparsi ancora del suo lavoro, dato che non sapeva nemmeno per quanto avrebbe continuato a respirare.
La consapevolezza la colpì allo stomaco come un pugno.
Stava morendo.
La vita a cui tanto teneva era ormai appesa a un filo, buttata via per proteggere qualcuno che con molta probabilità non le avrebbe mai mostrato un minimo di riconoscenza.
Anche se, in fondo, nemmeno se lo aspettava.
Loki colse la natura dei suoi pensieri e tornò serio.
«Perché l'hai fatto?», le chiese, con un tono che sembrava arrabbiato, se non furente.
Ormai erano uno di fronte all'altro, il bordo del mantello di Loki sfiorava l'orlo dell'abito candido di Khalida.
La donna sollevò il mento in un moto d'orgoglio che scemò quando si scontrò con gli occhi chiari e affilati di Loki. Non sarebbe riuscita ad ingannarlo, ma doveva provarci lo stesso.
«Nessuno dei miei prigionieri è mai morto sotto la mia custodia, se non per mano mia», rispose.
Il volto di Loki rimase immobile. «Bugiarda», l'accusò.
Khalida strinse gli occhi. «Immagino che, detto da te, sia un complimento», osservò, caustica.
Un sorriso increspò le labbra di Loki e Khalida constatò che era l'espressione più sincera che gli avesse mai visto sul volto. Non appena ebbe formulato il pensiero, l'alieno tornò improvvisamente serio, come se avesse voluto nascondersi.
Khalida capì. «Riesci a sentire i miei pensieri?», chiese, con una punta di terrore.
«Non proprio».
«Però sei nella mia testa», insisté Khalida.
«Questa conversazione non è a senso unico», disse Loki, come spiegazione.
Dopo aver riflettuto qualche secondo, Khalida accennò un sorriso. «Non puoi ascoltare direttamente i miei pensieri, perché altrimenti io sentirei i tuoi», concluse.
L'alieno annuì gravemente.
Khalida si guardò nuovamente attorno, tutto le sembrava estremamente reale e dettagliato. Sentiva perfino il profumo freddo della pelle di Loki e quello di fresie che saliva delicato dai suoi capelli intrecciati. Curiosa, sollevò lentamente una mano, sotto lo sguardo attento dell'alieno, e la posò con delicatezza sulla sua guancia.
Intorno a loro, il silenzio si intensificò, facendosi pesante.
«Sei bravo. Sembra tutto vero», osservò Khalida, mentre i polpastrelli registravano la consistenza della pelle chiara di Loki.
L'asgardiano si sforzò di non apparire toccato da quella mossa imprevista. Non si ricordava più quanto tempo era passato dall'ultima volta che qualcuno l'aveva toccato. Probabilmente l'ultima a farlo era stata Frigga.
Deglutì lentamente, per non svelarsi agli occhi attenti della donna.
«Tutto questo non è fisico, ma è reale, probabilmente più di qualsiasi altra cosa tu abbia mai provato».
Khalida annuì, senza scostare la mano. Quel contatto effimero la faceva sentire più vicina alla vita, e non desiderava interromperlo, per quanto ambiguo e fuori luogo.
Anche se non era una mossa intelligente, desiderava la compagnia di Loki.
Se la conversazione fosse terminata, lei sarebbe nuovamente sprofondata nel buio.
Gli occhi di Loki si fecero improvvisamente assenti.
«Devo andare, stanno venendo a prendermi», annunciò.
Khalida ricordò d'un colpo tutto quanto: l'attacco, il Tesseract rubato, la confusione che di sicuro regnava nello S.H.I.E.L.D. Se si concentrava riusciva anche ad immaginare la faccia di Tony Stark.
«Cosa hanno intenzione di fare?», chiese.
L'asgardiano la trapassò con uno sguardo cristallino e gelido.
«Non sei nella posizione di preoccuparti di questo. Evita di morire, e potrai farti tutte le domande che vuoi», affermò, con una scintilla inaspettata sul volto. Forse una sorta di muta allegria o, più probabilmente solo un'impressione dovuta alla luce.
Khalida osservò confusa la figura di Loki scomparire all'improvviso, la mano ancora a mezz'aria.
Prima di tornare nell'incoscienza ebbe il tempo di pensare che, forse, la frase di Loki era un modo per augurarle buona fortuna.

L'alba su Asgard era uno spettacolo unico nell'universo.
Benché tra i nove regni non fosse né il più vasto, né il più antico, nessuno avrebbe potuto negare che Asgard fosse, senza dubbio, il più affascinante.
La luce si rifletteva sulle nubi, infrangendosi in arcobaleni di colori intensi e vibranti. Sprazzi di cielo cupo e scuro, trapuntato di stelle, facevano la loro comparsa qua e là, conferendo all'alba un duplice significato di nascita e morte, come un perpetuo crepuscolo.
Fu in quella luce ultraterrena che Khalida aprì finalmente gli occhi, lasciando con gioia che i riflessi dorati del guscio evanescente sopra di lei le ferissero le pupille dilatate.
Il primo respiro fece male, e un rantolo le salì dal petto, trasformandosi in un accesso di tosse che le tolse il fiato.
Le salirono le lacrime agli occhi.
Era piacevole perfino sentire dolore, sapendo che era reale.
Si rannicchiò su un fianco, cercando di respirare profondamente.
Un'ondata di nausea le prese lo stomaco e si trattenne a stento dal rimettere.
Strinse forte gli occhi, concentrandosi sul flusso d'aria che entrava ed usciva dai polmoni.
Era un esercizio semplice, ma funzionava sempre.
In breve tempo il cuore si acquietò e il malessere scemò in un lieve cerchio alla testa. Tenendo ancora gli occhi chiusi, si stese nuovamente supina e rilassò le braccia.
Le sue orecchie ben allenate colsero un rumore di passi.
C'era qualcuno nella stanza.
Aveva il passo leggero, quasi felpato. Quasi sicuramente si trattava di una donna.
Per quanto potesse sforzarsi, un uomo non sarebbe stato fisicamente in grado di fare così poco rumore.
Khalida rimase immobile, lasciando che la presenza si avvicinasse.
Un lieve sibilo risuonò sopra di lei. La temperatura cambiò impercettibilmente, e anche l'odore di fiori, dapprima lieve, divenne più penetrante.
La camera di guarigione era stata aperta.
Un attimo prima che la presenza si avvicinasse troppo, Khalida scattò seduta e afferrò la donna al collo, premendo il pollice sulla giugulare, immobilizzandola.
Fece in tempo solo a registrare i lineamenti perfettamente cesellati della ragazza, poi lei la allontanò con una spinta decisa al petto. Per una della sua stazza era incredibilmente forte.
Khalida crollò nuovamente seduta sul cuscino di seta argentato che l'aveva accolta fino a poco prima.
I muscoli delle gambe le bruciavano per lo sforzo repentino, come se non li avesse mai utilizzati prima di allora. Provò la fastidiosa sensazione di essere inerme come un neonato.
«Non sono una nemica», disse la ragazza, toccandosi il collo, infastidita per essere stata colta alla sprovvista.
«Chi sei?», domandò Khalida, tastando con discrezione intorno a sé, cercando qualsiasi cosa potesse aiutarla a difendersi.
«Mi chiamo Sif. Sono una compagna d'armi di Thor», rispose l'asgardiana, scrutando a fondo l'umana di fronte a lei.
L'aveva stupita. Era chiaramente debole, eppure aveva reagito con una prontezza e una forza insolita per la sua razza. Probabilmente era una guerriera ben addestrata, come Thor le aveva detto.
Khalida, dal canto suo, analizzò più attentamente l'aliena davanti a sé, non appena gli occhi si abituarono alla luce brillante. Sembrava giovanissima, ventenne o poco più. Era slanciata, ma l'abbigliamento attillato lasciava intendere una muscolatura accentuata. Un soldato, quasi sicuramente.
In silenzio, le due donne si scrutarono a lungo.
Khalida fu la prima a spezzare l'immobilità. «Da quanto tempo sono qui?».
«Dieci giorni».
La donna ebbe voglia di imprecare, ma si trattenne. Aveva sprecato moltissimo tempo.
«Devo tornare sulla Terra», disse, più parlando con sé stessa, che con Sif.
Fece il gesto di alzarsi.
Sif le mise una mano sulla spalla, costringendola a rimanere seduta.
«Siete ancora debole. Non conosciamo esattamente gli effetti della camera di guarigione sui terrestri», spiegò.
«Mi sento bene», obiettò Khalida.
Sif strinse gli occhi da gatta. «Non potete lasciare questa stanza senza il permesso diretto del Padre degli Dei».
Khalida serrò le labbra. «Mi trattate da prigioniera», osservò.
Il viso dell'asgardiana si accese di disappunto. «Avete salvato la vita ad un traditore e come tale verrete trattata», spiegò, come se fosse la cosa più ovvia dell'universo.
Khalida emise uno sbuffo divertito. Iniziava a capire che l'arroganza era una caratteristica insita nel DNA di ogni asgardiano. Non avrebbe cavato un ragno dal buco, discutendo con quella donna.
«Dì a Thor che voglio parlare con lui», fece, con tono conclusivo.
Sif sembrò scandalizzata dal tono autoritario con cui Kahlida le si era rivolta, ma qualcosa la spinse ad ingoiare e ad annuire.
«Come desiderate», mormorò, prima di accennare una sorta di inchino e sparire in fretta dalla stanza.
Una volta sola, Khalida si guardò intorno.
La stanza era vuota, se si escludevano le cinque camere di guarigione, simili a grossi proiettili di bronzo, disposte in cerchio. Le pareti erano ricoperte da pannelli di uno strano metallo opaco color oro. Il pavimento era di marmo bianco e rosa, come anche le imponenti colonne.
Il soffitto era così alto che Khalida faticava a distinguerne la decorazione.
Non c'erano lampade o candele, la luce sembrava irradiare direttamente dalle pareti.
Il profumo di fiori proveniva dall'esterno, attraverso la grande finestra che si apriva di fronte a lei.
Si alzò lentamente, constatando che ogni sensazione di malessere era scomparsa, l'aria stessa sembrava rinvigorirla. Il fruscio della stoffa accompagnò i suoi movimenti e solo allora si concesse di osservare il proprio abbigliamento. Era vestita esattamente come nel sogno, o visione, che aveva condiviso con Loki.
Era scalza, e la sensazione del marmo gelido la infastidì, procurandole fastidiosi brividi lungo la schiena.
Decise di muoversi e avvicinò la finestra con pochi passi ampi.
Davanti al panorama della città illuminata dalla luce nascente, Khalida ammutolì.
Per la prima volta in vita sua provò una genuina e incontrollabile sensazione di stupore.
Con gli occhi divorò i giardini rigogliosi, ammirò l'architettura futuristica e slanciata, la luce divina e perfetta, le forme pure ed essenziali e l'aria densa, carica d'energia e profumi d'ogni genere.
Dentro di lei nacque un improvvisa comprensione per Loki.
Come si poteva crescere in mezzo a quella bellezza e non desiderare di possederla?

Thor entrò nella stanza spalancando le porte a due battenti con una sola spinta vigorosa.
Dietro di lui, camminavano a passo svelto alcune giovani donne, cariche di vari oggetti a cui Khalida non fece caso. Si era seduta sul davanzale di marmo della finestra, a contemplare il paesaggio, in attesa che Thor la degnasse della sua presenza.
Non sapeva quanto tempo aveva aspettato, ma la luce all'esterno era cambiata, diventando più calda e bianca, accendendo gli edifici di nuovi riflessi abbacinanti. In fondo non le era dispiaciuto, aveva la sensazione che avrebbe potuto rimanere lì per sempre, trovando sempre qualcosa di nuovo da ammirare.
Osservò di sottecchi Thor.
Avrebbe voluto domandargli come poteva trovarsi su Asgard se il Tesseract era stato rubato.
Se lo chiedeva da quando si era svegliata, ma porre quella domanda avrebbe significato rivelare la conversazione avvenuta in visione tra lei e Loki.
Thor non era certo la persona adatta cui svelare tale legame.
Il rumore di metallo che sbatte contro altro metallo distolse la sua attenzione, e Khalida concentrò lo sguardo sulle ancelle. Stavano imbandendo in fretta una tavola con ogni sorta di ben di dio, mentre altre due erano occupate con quello che sembrava un abito e dei gioielli.
«Cosa stanno facendo?», chiese a Thor, che aveva atteso con fare rispettoso che fosse lei la prima a parlare.
«Hai bisogno di nutrirti», replicò il Dio del Tuono, sorridendo.
«Sì, ma non di vestiti», insisté la donna, confusa.
Non le piacevano tutte quelle attenzioni, anche se era più corretto dire che non c'era abituata.
Il sorriso di Thor si allargò. «Quelli sono per l'udienza con mio padre. Non appena ha saputo che ti eri svegliata, ha chiesto di conferire con te», spiegò.
Khalida si accigliò vistosamente. Non osò chiedere di avere la sua divisa dello S.H.I.E.L.D., anche se la desiderava. Si sarebbe sentita molto più a suo agio con quella, e una pistola, possibilmente.
La luce di Asgard l'impensieriva, si domandava in continuazione quanto potessero essere profonde e insondabili le ombre che generava, e cosa avrebbero potuto celare. L'astio che aveva colto nelle parole di Sif le aveva fatto capire di avere dei nemici anche lì, oltre che sulla Terra.
Thor osservò il volto di Khalida, appariva immobile come al solito, ma riusciva a scorgere un'inquietudine malcelata nei suoi gesti e nei suoi sguardi guardinghi.
Non appena la tavola fu pronta, Khalida si avvicinò, scoprendosi affamata. Prese tra le mani un calice di ottone colmo di un liquido che sembrava sidro, prendendone un lungo sorso.
«Sono felice di vederti in salute», ammise Thor.
Khalida lo fissò in viso. «Immagino di doverti ringraziare per questo».
L'asgardiano incrociò le braccia al petto. «Non esattamente».
Lei sollevò le sopracciglia, invitandolo a chiarire con uno sguardo eloquente.
Thor sorrise. «Se non fosse stato per Loki, a quest'ora saresti morta».
Le mani di Khalida persero improvvisamente forza, e fu solo grazie ai riflessi ben allenati che il calice che reggeva non si schiantò sul pavimento lucido.
«In che senso?», domandò, mascherando lo stupore.
Thor sospirò. «Il nemico si è impadronito del Tesseract, e senza di esso il viaggio da Midgard ad Asgard sarebbe stato impossibile. Fortunatamente, Loki conosce metodi alternativi. Se non fosse per le sue capacità, non saremmo mai giunti qui in tempo», spiegò l'asgardiano.
Khalida immagazzinò le informazioni con lentezza, archiviandole per riconsiderarle in seguito.  Valutò attentamente l'espressione di Thor. Appariva più raggiante del solito.
«Perché sei così contento?», chiese, anche se in realtà temeva la risposta.
Thor parve confuso dalla domanda, come se la risposta fosse ovvia. «Il modo in cui ha agito Loki è insolito. Forse per lui c'è qualche speranza», ammise.
Khalida distolse lo sguardo, turbata.
Se Loki si era comportato in quel modo c'era solo un motivo.
In qualche modo oscuro, lei era entrata a far parte dei suoi piani.
Un sorriso amaro le spuntò sul volto.
Ora iniziava la vera missione.

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Cosa ne pensate?
Alcune precisazioni: nel descrivere l'armatura di Loki non ho sbagliato colore :-P immaginatela simile a quella di Avengers, solo di un colore molto più scuro, vicino al nero. Ormai iniziamo a comprendere qualcosina in più sulle reali intenzioni di Khalida, e sulla natura specifica della sua missione. pensate che lavori ancora per Fury? se si quale pensate sia il piano della nostra spia preferita? Alla settimana prossima con il capitolo 11




Nicole

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Come una pedina ***




Tony Stark era consapevole di avere molti difetti, ma aveva sempre ritenuto che la sua straordinaria intelligenza lo giustificasse nella maggioranza delle occasioni. D'altronde, i fatti molto spesso gli davano ragione, ed era quello che contava, non certo il modo in cui esponeva le sue opinioni o convinzioni che fossero.
Mentre insieme al Dr. Banner analizzava i tracciati delle radiazioni gamma alla ricerca del Tesseract, Tony decise di dare finalmente sfogo alle sue conclusioni, elaborate nel corso di dieci giorni di elucubrazioni complesse e contorte.
Non aveva bisogno di conferme, sapeva di avere ragione, ma voleva agitare un po' le acque.
Iniziava ad annoiarsi.
«Hai idea del perché l'agente Sabil abbia rischiato la vita per salvare il piccolo cervo?», domandò, con l'aria di chi pone una domanda di cui conosce già la risposta.
Bruce lo osservò da sopra gli occhiali, il volto acceso dalla sinistra luce azzurra del monitor. «Immagino che abbia un forte senso del dovere», rispose, cauto.
Tony sollevò le sopracciglia. «Senso del dovere? Quello ce l'ho anch'io, altrimenti non sarei qui, invece che sulla mia isola nel bel mezzo dell'Oceano Indiano. Ma non avrei mai fatto un gesto tanto stupido».
Bruce trattenne un sorriso. «Disse l'uomo che afferrò una testata nucleare e la lanciò in un portale dimensionale».
«Non è la stessa cosa. Lì c'erano in gioco molte cose per cui valeva la pena di rischiare», si difese Stark con un gesto di noncuranza.
Banner picchettò distrattamente qualche tasto, aprendo un nuovo diagramma e confrontandolo con quello precedente. «Fury aveva ragione quando ha detto che Loki è l'unica persona in grado di fornirci informazioni su Thanos. Se fosse morto, ci ritroveremmo punto e a capo», osservò.
«Ti sfugge una cosa fondamentale», lo contraddisse Stark.
«Cioè?».
«Non stiamo parlando di un eroe nazionale come il Capitano, ma di una mercenaria opportunista che lavora per Fury solo perché è l'unico che può proteggerla dai suoi nemici. Una mossa del genere non rientra nel suo profilo, non è nemmeno logica», il sorriso di Tony stava prendendo quella sgradevole sfumatura saccente che a Bruce dava leggermente su i nervi.
«Cosa vuoi che ti risponda?», si arrese, rinunciando a lavorare.
«Niente. Segui solo il mio ragionamento», iniziò Stark. «Il talento dell'agente Sabil non si discute, tuttavia su Thanos sappiamo ancora molto poco. Loki si è limitato a fornirci briciole e, nonostante questo, Khalida non è mai passata alle maniere forti. Ci aspettavamo un attacco di Thanos, ma siamo comunque rimasti spiazzati dal suo arrivo, e ora il Cubo è smarrito, probabilmente per sempre. Loki è stato usato come un semplice diversivo dal suo ex padrone, e ancora una volta ne è uscito indenne. La cosa mi puzza, perché dai modi che ha utilizzato, credo proprio che, se Thanos lo volesse davvero morto, Loki sarebbe già sotto diversi metri di terra.
In più il cervo intergalattico ha avuto il tempo di fuggire, ma non l'ha fatto. E ora è nuovamente fuori della nostra portata, ad Asgard nei panni di crocerossina d'emergenza.
A me questo da molto da pensare».
Banner aveva mantenuto la parola, e aveva ascoltato. «Stai insinuando che Loki aveva calcolato tutto?».
«Come sull'Elivelivo. Il rockettaro spaziale ha un piano, e ognuno di noi probabilmente ne è una pedina», annuì il miliardario.
Banner fece due più due. «Tu sei convinto che l'agente Sabil abbia salvato Loki perché parte di questo piano. Lui l'avrebbe manipolata a suo piacimento».
Stark scosse la testa. «Non solo, credo che lei ne abbia tratto un grosso vantaggio», ammise.
«Ovvero?».
«Rifletti. Prima di questo evento, l'agente Sabil era confinata in quella gabbia tanto quanto Loki...», iniziò Stark.
«...mentre ora si trova addirittura su un altro pianeta», annuì Bruce, iniziando a comprendere dove voleva andare a parare Stark.
Stark sfiorò lo schermo davanti a lui, accendendo qualche icona e aprendo nuovi diagrammi oscillanti. «Loki non sta usando l'agente Sabil. Ci scommetto l'armatura che quei due stanno lavorando insieme».
Banner si mostrò scettico. «Questo non rientra nel profilo di Loki, però. È un individualista e sono certo che non sceglierebbe mai un'umana come alleata», osservò.
«È anche furbo ed adattabile. È in grado di mandare giù qualche rospo, per sopravvivere», insisté il miliardario.
Bruce rimuginò qualche secondo. «Se ne sei davvero convinto, perché non ne parli con Fury?», chiese alla fine.
Tony lo guardò negli occhi seriamente.
«Perché lui lo sa già».

Mentre le ancelle la vestivano e la acconciavano per l'udienza con Odino, Khalida rifletteva.
Si sentiva meravigliosamente, come mai in vita sua. Era come se la camera di guarigione l'avesse resettata completamente, riportandola in uno stato di relativa perfezione. Ogni cicatrice era scomparsa, lasciandole la pelle intonsa come quella di un neonato, se si escludevano i numerosi tatuaggi. Perfino i suoi capelli, normalmente crespi e ribelli, erano morbidi come seta.
Per quanto innaturale, avrebbe potuto perfino abituarsi a quel posto.
Mentre un'ancella terminava di legarle i capelli in una complicata acconciatura raccolta, la donna si concesse un ultimo sguardo.
L'abito non era molto diverso da quello precedente, era solo più decorato e di un colore più vicino all'avorio. Era ancora a piedi nudi, ma probabilmente era un'abitudine delle donne di quel luogo, dato che nemmeno le ancelle indossavano calzature.
«Siete bellissima», si complimentò con lei una delle ragazze, all'apparenza la più giovane anche se nessuno ad Asgard pareva avere un'età facilmente definibile.
Khalida non rispose, e mentre si alzava qualcuno bussò allo porta con vigore e poi entrò senza attendere un invito.
Thor si bloccò sul posto, osservando Khalida stupito. Sorrise. «Vedo che sei pronta».
Khalida non si lasciò toccare dall'improvviso affetto che scorgeva nei modi dell'asgardiano. Probabilmente il fatto di aver salvato la vita a Loki le aveva fatto guadagnare a vita la riconoscenza dell'ingombrante Dio del Tuono.
Forse, in fondo, sarebbe stato meglio per lei morire.
«A quanto pare», annuì, asciutta.
«Seguimi. Padre ti sta aspettando», disse Thor, facendole cenno di affiancarlo.
Quando le fu accanto, Thor la prese alla sprovvista offrendole il braccio.
Disorientata, Khalida lo guardò negli occhi.
Thor sembrò addirittura imbarazzato. «Non posso essere gentile con la donna che ha salvato mio fratello?», chiese, come a scusarsi.
Khalida non rispose, lasciò che il suo sguardo scettico e sospettoso lo facesse al posto suo. «Vediamo di finire in fretta. Ho un lavoro a cui tornare», disse infine, voltando le spalle a Thor e iniziando a camminare da sola lungo il corridoio illuminato.

La sala del trono era la cosa più maestosa che Khalida avesse mai visto.
Con gli occhi, aveva provato più volte a calcolarne le proporzioni ma aveva perso il conto. L'unica cosa terrestre con cui riusciva a paragonare l'ambiente erano le immense cattedrali gotiche che aveva visto in Europa.
Con un pizzico di ironia riusciva ad immaginarsi come un'improbabile sposa che va incontro al suo destino lungo una navata infinita.
Il Padre degli Dei non era come Khalida se l'era figurato.
Credeva di trovare una forma leggermente invecchiata di Thor, invece l'alieno appariva più anziano di tutti gli asgardiani che aveva visto. Intorno a lui c'era un'aura di serietà e autorità che la fece sentire, stranamente, a suo agio.
Per tutta la vita si era confrontata con uomini che si credevano, o agivano, come dei.
Gestire Odino, non sarebbe stato diverso.
Frigga, seduta ai piedi del marito, femminile e materna, sembrava animata da un'ansia che non riusciva a celare. Quando i loro occhi si incontrarono, Khalida vi lesse una gratitudine immensa. Probabilmente tra i due, era lei quella ad essere più affezionata a Loki.
Trattenne un sorriso. Si sapeva che le madri hanno sempre un debole per i figli meno esemplari.
Benché non avesse esperienza diretta delle dinamiche familiari, le aveva studiate approfonditamente durante i lunghi anni di addestramento, e continuava a farlo, per diletto ed esercizio.
Quando fu al cospetto dei sovrani di Asgard, Khalida accennò una lieve riverenza.
Odino si alzò in piedi. «Benvenuta ad Asgard, terrestre. Vederti in salute riempie il mio cuore e quello di mia moglie di immenso sollievo».
Frigga annuì per ricalcare le parole del marito, e si sciolse in un sorriso appena accennato.
«Vi ringrazio. So che mi è stato concesso un privilegio notevole», Khalida era, in parte, sincera.
Era grata della vita che ancora le era stata donata, ma temeva ciò che gli avrebbero chiesto in cambio. Non voleva ritrovarsi in mezzo a una diatriba familiare in cui si era già immischiata troppo. C'erano forze in gioco che non voleva scatenare.
Voleva tornare sulla Terra, completare il suo lavoro e ricevere ciò che le era stato promesso.
«Hai salvato la vita di mio figlio, era il minimo che potessimo fare», replicò Odino.
Khalida sollevò un sopracciglio, scettica. Trovava ipocrita il modo di fare del Padre degli Dei, e riusciva a scorgere negli sguardi della famiglia reale un inutile sentimentalismo.
Loki era sicuramente responsabile delle proprie azioni, ma di certo gli eventi non erano stati causati solo da lui. Khalida era una grande sostenitrice della libertà individuale, ma aveva visto troppe volte figli essere completamente plasmati dagli errori di genitori stupidi, o noncuranti.
Anche se non avrebbe dovuto permetterlo, durante quelle settimane aveva sviluppato una specie di muta comprensione per Loki. Una comunione nata tra due anime affini, prive di radici.
L'irritazione, implacabile, la prese allo stomaco e parole sconsiderate premettero sulle labbra. «Loki non è vostro figlio. E finché vi intestardirete nel sostenere il contrario, non riuscirete né a capirlo, né ad aiutarlo, sempre che questo sia il vostro desiderio».
Una risata che la raggelò risuonò dietro di lei. «È commovente il modo in cui tenti, inutilmente, di difendermi».
Come ghiaccio lungo la schiena, quelle parole la paralizzarono.
Osservò, nascondendosi dietro la migliore espressione neutra che riuscì a fingere, la figura slanciata di Loki entrare nel suo campo visivo. Ammantato nel solito abbigliamento eccentrico, l'alieno sfoggiava l'espressione più vicina al divertimento che Khalida avesse mai visto.
Avrebbe dovuto aspettarsi di vederlo, eppure il pensiero non l'aveva nemmeno sfiorata.
Era stato più forte di lei: gli aveva creduto.
Inconsciamente, aveva riposto fiducia in ogni parola che lui aveva pronunciato durante quella sorta di conversazione astrale.
Con la violenza di un pugno nello stomaco, capì.
La stava usando, come un'abile giocatore di scacchi muove i suoi pedoni per proteggere il suo re e la sua regina.
Anche in quel momento, con quelle parole, Khalida aveva agito esattamente come lui si aspettava.
Loki sperava che il suo gesto, di cui si era già pentita, convincesse in qualche modo la sua famiglia a concedergli un'amnistia, o a riconsiderare la sua posizione. Riusciva quasi a leggere i pensieri che affollavano la mente di Odio e Frigga. Parevano chiedersi cosa potesse aver mai visto quella piccola umana in Loki per arrivare addirittura a rischiare la vita per la sua.
Peccato che nemmeno lei sapesse perché l'aveva fatto.
E il motivo che l'aveva appena spinta a difendere Loki davanti a quella che, volente o  nolente, era la sua famiglia, era troppo compromettente da ammettere, perfino con sé stessa.
«Ti avevo convocato ore fa», fece notare Odino a Loki, mentre questi si posizionava di fronte ai sovrani, a pochi metri da Thor, che ancora affiancava Khalida.
Un sorriso sornione tagliò il volto di Loki. «Perdonate, ma ero troppo impegnato a godermi la luce del sole. Era molto tempo che non la ammiravo».
Il volto di Odino si indurì. «Le azioni hanno conseguenze Loki».
«Precisamente», annuì lui, per nulla scoraggiato.
Il sottinteso fece stringere le labbra a Frigga, profondamente addolorata per l'astio che aveva sostituito il dolore negli occhi del figlio che credeva ormai perduto.
Odino si sedette sul trono, con un fare che non lasciava dubbi. Non era quello l'argomento di cui dovevano discutere. Con l'unico occhio, osservò Khalida attentamente.
Lei raddrizzò istintivamente le spalle, sentendosi ancora a disagio nello strano abito.
«Siete a conoscenza degli ultimi eventi?», le domandò.
Lei annuì. «Thor mi ha riferito che Thanos si è impadronito del Tesseract», mentre pronunciava quella frase, sentì su di sé lo sguardo pesante di Loki.
In quel frangente c'era complicità tra loro, un muto segreto che condividevano.
Khalida si domandava ancora la ragione di quella conversazione privata, ma forse iniziava ad intuirne lo scopo.
Stava iniziando a considerare Loki in modo differente.
Non era più solo un prigioniero da interrogare, ormai era una persona a tutti gli effetti.
Il livello personale ormai l'aveva superato da un pezzo, probabilmente molto prima di gettarsi davanti a lui per salvargli la vita.
Era coinvolta.
Se fosse stata un'agente dello S.H.I.E.L.D. esemplare, avrebbe dovuto abbandonare la missione.
Sfortunatamente, lei non era un'agente, o almeno non si considerava tale, e non era mai stata esemplare in tutta la sua vita.
Odino sembrò riflettere a lungo, prima di pronunciare la frase successiva. «Il Tesseract va recuperato, e in fretta. Non possiamo sapere quanto attenderà il nemico ad agire».
«Gli umani saranno all'opera per rintracciarlo, come hanno già fatto in passato», osservò Thor.
Khalida scosse la testa. «Non è la stessa cosa. Allora il Tesseract era sulla Terra. Adesso potrebbe essere ad anni luce da noi. Anche con i mezzi tecnologici più avanzati non se ne possono seguire le tracce fin nello spazio».
Loki ridacchiò, come se quelle considerazioni fossero una battuta umoristica.
«Hai qualcosa da dire, Loki?», lo interpellò Odino.
«Il mezzo per rintracciare il Tesseract esiste, e gli umani ce l'hanno tra le mani proprio in questo momento», replicò il Dio dell'Inganno, con un sorriso obliquo.
«Non è il tempo di enigmi, Loki», lo rimproverò Thor.
«Lo Scettro», intuì invece Khalida, guardando negli occhi Loki, che annuì lievemente.
Odino e Thor guardarono i due, entrambi con sentimenti confusi. Il Padre degli Dei ancora non si capacitava di quello che Loki aveva fatto, salvando un'umana all'apparenza così fragile e insignificante, mentre Thor sentiva crescere dentro di lui quell'esile speranza che aveva iniziato a nutrire per il destino del fratello.
Khalida fece un passo verso Loki. «Tu puoi rintracciare il Tesseract», disse, e non era una domanda. «Lo farai?».
Lui la guardò a lungo negli occhi neri.
«Lo farò».
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Per una volta, aggiorno veramente ad una settimana di distanza. La storia sta terminando, anche se c'è una cosa che non vi ho ancora detto, e che scoprirete quando posterò l'ultimo capitolo.
Il dialogo iniziale tra Stark e Banner non mi convinceva molto, ma la mia beta (grazie Red_Sayuri!) mi ha dato l'approvazione, per cui, non l'ho modificato, nè eliminato. Ditemi come vi è sembrato il tutto.
Confido che tutti voi abbiate visto Thor, oltre a The Avengers, per cui non ho ritenuto utile spiegare troppo a fondo i sottointesi "familiari" che vengono trattati.
Ok, adesso ho davvero bisogno di commenti! XD scherzo, ma un parere, anche negativo, mi sarebbe utile per capire se percepite quello che percepisco io nello scrivere tutto questo... ho sempre paura che tutto vi sembri rarefatto e impreciso...

ok la finisco con l'autocommiserazione, in realtà sono molto fiera di questa storia, ma comprendo che forse tutto si capirà una volta che sarà terminata.

A presto! (spero la settimana prossima)
nicole ^^

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Come un alleato ***


Eccomi di ritorno, la tensione si alza e finalmente Thanos fa la sua mossa... ci vediamo alla fine del capitolo!
Buona lettura



Nella confusione gioviale del luna park di Santa Monica, nessuno fece caso a quella che, ad una prima occhiata, sembrava una strana nuvola scura sull'orizzonte.
Quando la luce brillante mutò, alcuni, curiosi o perplessi, sollevarono la testa.
Un silenzio grave, rotto solo dalle musichette irritanti e fuori luogo delle attrazioni, calò improvvisamente.
Nel cielo azzurro della California troneggiava quella che aveva tutta l'aria di essere un'astronave.
La struttura di un colore a metà tra il grigio e il viola sembrava ammantata di nuvole, ma a tutti i presenti diventò chiaro ben presto che non si trattava di un insolito fenomeno meteorologico.
Serpeggiando, il terrore si diffuse rapidamente, azzerando i freni inibitori di ogni presente.
Nella memoria delle persone l'attacco alieno a New York era ancora vivido, e a nessuno venne in mente una spiegazione meno terribile.
I margini della nave si illuminarono progressivamente, fino a risplendere di lampi azzurri.
Subito dopo, una scarica di fulmini si abbatté sulla folla urlante.

«Direttore Fury!», esclamò l'agente Hill accorrendo incontro all'uomo che stava entrando nella sala controllo. «Violazione della sicurezza al livello 37», annunciò, consegnando nella mani della spia un piccolo tablet. «C'è qualcuno all'interno della Gabbia».
Nick Fury osservò brevemente le immagini sullo schermo. «Abbiamo agenti sul posto?», chiese.
«Sono nel corridoio, ma la porta non può essere aperta senza di lei», replicò la donna.
«Avvisali che arrivo subito», decise Fury. «Convoca i Vendicatori», ordinò, voltando le spalle all'agente.
«Direttore, potrebbe essere una trappola», osservò lei, con apprensione.
Fury si fermò davanti all'ascensore, si voltò, mentre le porte di metallo si aprivano.
«Ne sono consapevole».

«Perché hai scelto questo posto?», domandò Loki, afferrando Khalida per il gomito, facendola voltare verso di lui.
La donna sostenne lo sguardo indagatore del Dio. «È l'unica parte della base che conosco bene. Lo hai detto tu che dovevo essere assolutamente certa per guidarti», spiegò.
Loki, consapevole che quella fosse solo una piccola parte del vero motivo, la lasciò andare con uno scatto poco elegante. Tutto quello che aveva fatto non era servito a niente, quella donna l'aveva riportato esattamente dove era prima.
Senza la Gabbia, la stanza in cui era stato tenuto prigioniero era vuota e cupa. Sulle pareti di metallo c'erano i segni lasciati dall'attacco del Chyss.
Sul pavimento, il sangue delle vittime non era ancora stato lavato.
Khalida si ritrovò, suo malgrado, ad osservare quello che sapeva essere il suo.
La mano corse istintivamente al ventre.
Thor notò il gesto e cercò i suoi occhi, sorridendo per rassicurarla.
«Come facciamo a sapere che Fury non ci tenderà una trappola?», domandò nuovamente Loki, fissando nervosamente le porte chiuse, si ricordava che solo l'uomo bendato poteva aprirle.
«Si fida di me», rispose Thor.
Khalida alzò gli occhi al cielo. Se il Dio del Tuono avesse conosciuto veramente Fury, non avrebbe mai risposto in quel modo. Era una spia, e le spie non si fidano nemmeno di sé stessi.
La donna avvertì su di sé lo sguardo di Loki. Sapeva che la domanda era rivolta a lei.
«Per lo stesso motivo per cui tu non la stai tendendo a lui. Abbiamo lo stesso obiettivo», rispose.
Aveva capito subito che Loki aveva intenzione di privare Thanos del Tesseract tanto quanto loro. Che poi non avesse intenzione di restituirlo o volesse qualcos'altro in cambio, era da vedere.
Per il momento, sapeva di poterlo considerare un alleato, se non fidato, quantomeno utile.
Loki parve accettare la spiegazione con un cenno della testa.
Ora che il suo piano stava finalmente procedendo sui binari corretti, si sentiva più sicuro di sé, e più preparato per ciò che doveva affrontare. Collaborare con la squadra che l'aveva umiliato sarebbe stato difficile e il suo orgoglio avrebbe sofferto per ogni istante di quella ridicola alleanza, ma almeno, avrebbe potuto portare a compimento il suo scopo in modo veloce e con poco dispendio di energie.
Gestire l'insofferenza per quel gruppo di umani con troppe arie sarebbe stato un prezzo adeguato.
La luce sopra l'ingresso iniziò a lampeggiare, e Khalida strinse le dita sulla pistola, facendo un passo in avanti.
«Stanno arrivando», disse, concentrando lo sguardo sulle porte.
Non sapeva come Fury avrebbe accolto il suo arrivo, soprattutto dopo che avrebbe sentito ciò che aveva da dire. Conosceva la flessibilità del Direttore, ma non era certa di volerla mettere così alla prova.
Per un momento, fu contenta che ci fosse Thor con lei, aveva almeno un sostenitore pronto a far valere le proprie ragioni, a colpi di martello se necessario.
Il vero problema, Khalida lo sentiva come se facesse parte di lei, sarebbe stato convincere i Vendicatori, in particolare Stark. Il miliardario non si era mai fidato né di lei, né tanto meno di Fury.
La sirena suonò, e Fury fece la sua comparsa.
Khalida provò la sgradevole sensazione che tutto intorno a lei svanisse.
Fury la guardò dritto negli occhi, caricando le pupille di una serietà e gravità che le fece piombare il peso della responsabilità sulle spalle.
Per tanti anni era stata una semplice sottoposta, un'agente come tanti altri, talentuosa certo, ma non insostituibile.
Mentre ora, tutto quanto dipendeva dalle sue capacità.
Una sensazione molto simile al panico le afferrò lo stomaco.
Non le importava poi molto delle sorti della Terra, o della stragrande maggioranza dei suoi abitanti, ma completare quella missione significava riappropriasi della sua vita.
E, forse, non rischiare mai più di perderla.
Fury fece un passo in avanti e dedicò uno sguardo intenso ai due asgardiani con lei.
Non fece domande.
«Venite con me», ordinò, voltandosi.

Senza che Fury glielo ordinasse, Khalida consegnò la propria arma al primo agente che avvicinò. L'uomo, che aveva già visto in precedenza, la fissò come se non la riconoscesse, costringendola a domandarsi se qualcosa di lei fosse cambiato in modo imprevisto, durante quel viaggio.
Si guardò le mani, lisce ed ambrate.
Lentamente contrasse le dita, osservando i tendini allungarsi sotto l'epidermide. Era ancora lei, esternamente, ma non poteva assicurare con certezza di esserlo anche dentro.
Ciò che era accaduto nella sala del trono di Asgard, l'aveva fatta riflettere profondamente sulla natura del proprio avversario.
Tutti, lei compresa, avevano sempre trattato Loki come il nemico, senza preoccuparsi di capirlo davvero. Eppure, osservò dedicando un breve sguardo all'alieno che camminava accanto a lei con sguardo assorto e concentrato, era una delle prime cose che le era stata insegnata: per abbattere un nemico, bisognava prima conoscerlo, capirlo, infiltrarsi tra le sue crepe e diventare parte delle sue debolezze.
Solo allora si sarebbe riusciti a distruggerlo, dall'interno.
Khalida in realtà sapeva perché non aveva osato incamminarsi su un simile sentiero.
Era il metodo più efficace, ma anche il più rischioso. Una volta dentro, si poteva smarrire la strada per ritornare o, peggio, si poteva perdere la voglia di farlo.
Khalida aveva già fatto quello sbaglio, e non era sicura di essere pronta a riprovarci.
Ma doveva farlo.
Loki era un nemico troppo scaltro per i metodi tradizionali, e il tempo a sua disposizione stava per finire.

Il Dio dell'Inganno scrutò a lungo la schiena di Nick Fury.
Non aveva dubbi sul successo del suo piano.
Quell'uomo era prevedibile, aveva a cuore solo i suoi interessi. Per provare a riappropriarsi del Tesseract era sicuramente disposto a rischiare di cadere in un suo inganno.
Se c'era un merito che Loki poteva attribuire alla spia, era proprio quello di saper osare con intelligenza.
Lo aveva già fatto, quando aveva permesso a Thor di portare via il Cubo esclusivamente per dimostrare la sua, apparente, buona volontà.
Alla fine, il tempo gli aveva dato ragione. Il Tesseract era tornato nelle sue mani, ed era riuscito sia a creare le sue preziose armi che a concedere all'umanità uno spiraglio di luce.
Non doveva permettere a sé stesso di sottovalutarlo.
Era certo che Fury non si sarebbe opposto alla sua collaborazione, ma era consapevole che avrebbe preso tutte le sue precauzioni per evitare di essere impreparato al volta faccia che si aspettava.
Un sorriso sottile tagliò il volto dell'asgardiano.
Era pronto a giocare d'anticipo.

Il corridoio si allargò improvvisamente, portandoli dritti nella sala di controllo.
Sulla lamiera, i passi dei nuovi arrivati risuonarono con una nota apparentemente diversa. Il suono riecheggiò e un silenzio pesante calò su tutti i presenti.
Khalida si sentì immediatamente al centro degli sguardi, sorpresi o sospettosi.
Ebbe la certezza di comprendere come si era dovuto sentire Lazzaro, dopo la sua resurrezione.
Ogni paio d'occhi la fissava come se fosse un fantasma.
Si lasciò scivolare addosso la sensazione, raddrizzò le spalle e il mento ed entrò nella sala riunioni senza guardare dietro di sé.
Poco prima che la porta a vetri si richiudesse, sentì la voce secca dell'agente Hill richiamare tutti all'ordine.

Al grande tavolo dalla forma triangolare, era seduta la squadra dei Vendicatori al completo. Solo Stark, visibilmente nervoso, era in piedi e camminava avanti e indietro a intervalli irregolari.
Non appena Fury entrò insieme a Khalida, Loki e Thor, il miliardario si fermò e fissò con il solito sorrisino ironico la donna, dedicandole immediatamente tutta la sua attenzione.
Fece qualche passo in avanti. «Alla fine sei viva, dolcezza», esordì. Poi la fissò di nuovo attentamente. Allungò una mano e con le nocche sfiorò la piastra di metallo sulla spalla di Khalida. «Bella armatura», constatò. «Un regalo del futuro suocero?», chiese, riferendosi alla tenuta da guerriera asgardiana che Khalida indossava.
Lei fece una smorfia. «Anche lei mi è mancato Stark», replicò, senza considerare l'accusa che la frase di Stark sottintendeva. «A che punto è la ricerca del Tesseract?», domandò, rivolgendosi a Bruce.
Il dottore sistemò gli occhiali sul naso, scambiò un brevissimo sguardo con Fury, che annuì. «Per adesso possiamo affermare che il Cubo non si trova sulla Terra, o nelle sue immediate vicinanze».
«Il che significa che Thanos è ancora lontano», osservò Stark.
Loki sorrise, divertito. «Non siatene così certi. Il Tesseract permette a Thanos di spostarsi tra i mondi, potrebbe arrivare qui da un momento all'altro».
«Quando ci interesserà la tua opinione, Dio dei Falliti, te la chiederemo», lo rimbeccò Stark.
Loki sostenne gli occhi del miliardario senza problemi. Per quanto facesse il gradasso a parole, era abbastanza sicuro che l'uomo di metallo non avrebbe cercato lo scontro con lui, non in quel momento, per lo meno.
Fury spostò l'unico occhio tra Stark e Loki. «Immagino che tu abbia un piano per impedirlo», disse, rivolto all'alieno.
Lui aggrottò le sopracciglia, come se l'osservazione dell'uomo lo offendesse. «Non mi importa della vostra vita, o del vostro pianeta. Ma se il Tesseract rimarrà in mano a Thanos, non ci sarà luogo nell'universo dove sarò al sicuro», espose, con una calma e una ragionevolezza che sorprese Thor e tutti gli altri presenti.
Ognuno di loro aveva in mente chiaramente la persona che aveva attaccato l'Elivelivolo poco più di un anno prima, e l'uomo freddo e sicuro di sé che avevano di fronte non aveva niente a che fare con lui.
Natasha constatò che non sapeva di quale dei due avere più timore.
Incoraggiato dal silenzio, Loki proseguì. «Per cui sì, ho un piano per recuperare il Tesseract».
Fury osservò a lungo Loki in viso. «Che cosa vuoi da noi?», domandò, dopo un breve silenzio.
Steve si alzò in piedi. «Non avrà intenzione di dargli retta!?», sbottò, sorprendendo Natasha, che l'aveva sempre visto calmo.
Stark fece un gesto. «Aspetta nonno, voglio vedere dove va a parare», lo blandì, spostando lo sguardo tra Fury e Loki.
Il Dio dell'Inganno trattenne un sorriso. «Per recuperare il Cubo, ho bisogno dello Scettro. Restituitemelo, e saprò condurvi dove il Tesseract è custodito».
Thor strinse le dita sull'impugnatura di Mjolnir. Era il momento decisivo.
Non si fidava di Loki, aveva promesso a sé stesso che non l'avrebbe più fatto da quando il fratello gli aveva affondato quella piccola lama nel ventre, ma voleva dargli un'opportunità in quel frangente. Probabilmente per la Terra era l'unica possibilità di evitare un attacco che avrebbe provocato centinaia di vittime.
Khalida riuscì ad intuire il momento esatto in cui Fury decise che avrebbe rischiato. L'unico occhio dell'uomo si strinse impercettibilmente, e una piccola ruga comparve all'angolo destro della bocca.
«Cosa vuoi in cambio?», domandò.
Loki rimase serio, nascondendo il sorriso che stava per animargli le labbra. «La mia libertà. Una volta che il Tesseract sarà di nuovo vostro, mi lascerete andare e non mi verrete più a cercare».
Fury emise un lievissimo sospiro. «E sia».
Le proteste caddero nel silenzio trionfante di Loki.
«Direttore, non potete...», iniziò Natasha.
«Siete pazzo quanto lui, se pensate che dica la verità...», rincarò Clint, alzandosi.
«Hanno ragione», convenne Steve.
«Ci sta manipolando esattamente come l'altra volta», osservò Bruce.
«L'avevi sempre saputo che saremmo finiti qui, eh Nick?», accusò invece Stark.
«Adesso basta!», intervenne Khalida, alzando il volume della voce.
Tutti gli sguardi si appuntarono su di lei, e nuovamente la donna avvertì il peso schiacciante della responsabilità sulle spalle. «State qui a punzecchiarvi come bambini che si contendono un giocattolo. Qualcuno di voi ha un'idea migliore? Avete miracolosamente imparato ad usare lo Scettro? È la nostra unica possibilità per evitare una catastrofe», continuò.
«Khalida ha ragione», la sostenne Thor.
Captain America osservò il compagno. «Ne sei convinto Thor?».
«Non mi fido di Loki, ma credo che in questo momento abbia i nostri stessi interessi», annuì l'asgardiano.
«Non so tu, ma io non ho interesse a morire», replicò, Stark.
«Non è il momento di fare gli spiritosi, Tony», lo rimproverò Steve.
«Non è spirito, ma praticità», insisté il miliardario, accennando a Loki con la testa. «Quello lì potrebbe anche volere veramente portare via il Tesseract a Thanos, ma non gli importerà niente di mettere a rischio la nostra vita».
«Non siete obbligati a venire», osservò Loki, divertito dal siparietto che gli umani stavano mettendo in atto.
«Eccome se verremo!», sbottò Stark, avvicinandosi per guardare l'alieno negli occhi. «Non ti libererai di noi così facilmente».
«Allora credo che sia inutile discutere», osservò Loki, tranquillamente.
“Direttore Fury!”, chiamò la voce dell'agente Hill, attraverso gli altoparlanti.
L'urgenza nel tono della donna fece immediatamente risuonare un campanello d'allarme nella testa di ogni presente.
«Parli agente», la invitò Fury.
“È meglio che veda lei stesso. Le mando le immagini sullo schermo”, concluse lei.
Contemporaneamente, il grande pannello alle spalle di Fury si illuminò, trasmettendo delle immagini che Fury aveva sperato di non rivedere mai più nella sua vita.
Il molo di Santa Monica era irriconoscibile, solo lamiere fumanti rimanevano di tutte le attrazioni del famoso luna park. L'asfalto e la ghiaia erano ricoperti da forme scomposte e vagamente riconoscibili come umane, la maggioranza erano così piccole da poter essere solo bambini.
Il sangue aveva colorato il paesaggio, rendendolo simile alla scena di un film horror di serie B. perfino la luce del sole appariva innaturalmente rossastra.
Nel cielo sereno si stagliava il profilo affilato e crudele di una nave aliena circondata da nubi violacee. L'inquadratura era fissa, e ben presto la nave scomparve sul lato destro.
Fu quel movimento a far scattare Fury. «Agente Hill, voglio tutti i radar a nostra disposizione su quella nave. Devo sapere dove è diretta».
Il direttore osservò in volto i Vendicatori, Loki e Khalida.
«Il vostro jet parte tra quindici minuti. Fatevi trovare pronti».

Khalida si guardò attorno, entrando nell'hangar.
Il jet era una ventina di metri avanti a lei.
Clint, Natasha, Steve, Stark, Thor e Loki erano ai piedi della rampa d'accesso. Trattenne un sorriso nel notare lo sguardo con cui Occhio di Falco scrutava Loki. Oltre a badare che l'alieno non li pugnalasse alle spalle, avrebbe dovuto fare attenzione che qualcuno non lo ammazzasse prematuramente, in un eccesso di zelo.
Il dottor Banner, con la sua solita aria di uno che vorrebbe essere da tutt'altra parte, raggiunse il gruppo qualche istante più tardi.
Probabilmente nessuno, a parte Loki, aveva notato la sua presenza.
La donna si concesse alcuni minuti per riordinare le idee.
Alla coscia, la fondina con la sua arma d'ordinanza pesava più di quanto ricordasse. Alla cintura, portava invece due piccole pistole automatiche caricate con l'energia del Tesseract. Distrattamente, la donna accarezzò le piastre metalliche dell'armatura.
Si era quasi messa a ridere quando le ancelle le avevano portato quel completo, per prepararla per il viaggio.
Trovava ridicolo il modo in cui certi riti venivano considerati essenziali in quella strana città.
Perfino per la guerra, le ancelle avevano voluto acconciarla e vestirla come se fosse stata una sposa. Il modo in cui le avevano pettinato i capelli, una treccia che ostentava la lunghezza notevole dei suoi capelli, era una violazione bella e buona al regolamento, dato che tutte le agenti dovevano portarli corti, o quantomeno legati in modo che lo sembrassero.
Ma in fondo ne era contenta, si sentiva diversa, distinta dagli altri, quasi la sua missione e la sua unicità dovesse essere rimarcata anche dall'abbigliamento.
Come tutti i suoi compagni, adesso anche lei possedeva una sorta di uniforme.
«Agente Sabil», la salutò Fury, comparso dal nulla accanto a lei.
«Direttore», annuì lei.
«Ormai è tutto nelle sue mani», iniziò l'uomo.
«Ne sono consapevole», replicò Khalida, sfiorando appena il cerchietto di metallo che portava all'anulare destro.
«Cosa sa delle reali intenzioni di Loki?», chiese Fury.
Khalida fissò brevemente il volto immobile dell'asgardiano, Loki le restituì lo sguardo solo per qualche istante. «Sono certa che voglia recuperare il Tesseract...».
«E tenerlo per sé?», concluse per lei Fury.
«Non ne sono sicura. Ma lo scoprirò», affermò la donna.
«Si fida di lei?».
Khalida rise. «Ovviamente no. Ma credo di avere un ruolo nei suoi piani, altrimenti non mi spiego perché abbia voluto salvarmi la vita».
«Ammetto che lì ha sorpreso anche me», osservò Fury, accennando un breve sorriso.
Khalida non lo condivise. «Speriamo non lo faccia più», si augurò.
Fury annuì, poi porse a Khalida lo Scettro, che fino a quel momento aveva tenuto celato dietro la schiena.
«Glielo porti lei, agente», spiegò.
Khalida si sforzò di non mostrarsi sorpresa. Afferrò il manufatto senza fare domande, trovandolo più leggero di quanto si aspettasse e stranamente tiepido, per essere di metallo.
«Buona fortuna», le augurò Fury, prima di voltarsi.
Khalida non lo osservò sparire, a grandi passi raggiunse i propri compagni e con un gesto secco e perentorio, consegnò nelle mani di Loki lo Scettro.
Le mani dell'alieno, rapide, bloccarono quelle di Khalida, costringendo la donna a guardarlo in volto.
Fu solo un breve istante, ma lo sguardo penetrante di Loki fece scattare nelle mente di Khalida il sospetto che la conversazione tra lei e Fury non era stata privata quanto credeva.
Una scarica di adrenalina le attraversò i muscoli.
Ciò che stava per fare, probabilmente l'avrebbe condotta dritta nella tomba, ma ormai non aveva altra scelta.
Non avrebbe mai accettato di perdere quella sfida con sé stessa, né desiderava che di Loki si occupasse qualcun altro che non fosse lei.
Dopotutto, lui era ancora il suo prigioniero.

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E meno uno! Il tredici sarà l'ultimo capitolo, poi mancherà solo l'epilogo, che comunque ci darà informazioni fondamentali.
Cosa ne pensate?
Khalida accenna spesso ad un "compito", avete idee su cosa potrebbe essere?
Spero di avervi incuriosito.

Voglio ringraziare tutte le persone che leggono, perché, nonostante nessuna resensione, lo scorso capitolo ha avuto ben 108 visualizzazioni in una settimana.
Sono molto contenta, e vi ringrazio.

Nicole

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Come un inganno ***


Ed eccoci qui all'ultimo capitolo.
Ringrazio aubry e red_sayuri per aver recensito lo scorso capitolo e tutte le persone che lo hanno letto e, spero, apprezzato.
Adesso siamo alla resa dei conti, per la sorpresa, ci vediamo alla fine.
Buona lettura.






Loki aveva un piano ben preciso in testa, un sentiero battuto che aveva reso man mano più evidente tra tutte le pieghe che gli eventi potevano assumere. Le aveva esplorate tutte, analizzate, sviscerate. Niente e nessuno l'avrebbe fatto deviare dal suo scopo.
Ogni mossa possedeva una ragione ben precisa, ed aveva ideato decine di scenari alternativi, in cui lui riusciva sempre a riportare le cose sulla giusta via.
Davanti ai suoi occhi i possibili futuri si dipanavano come i rami di Yggdrasil, tentacoli che prevaricavano i limiti dello spazio e del tempo.
Nessun imprevisto l'avrebbe colto impreparato.
Aveva calcolato tutto e le cose stavano andando esattamente come previsto.
Senza volerlo, Thanos gli stava rendendo le cose più facili.
Conosceva alla perfezione la struttura interna della nave ammiraglia che aveva appena attaccato la Terra. Arrivare al suo cuore, al nascondiglio del Tesseract, sarebbe stato molto facile.
Certo, osservò con realismo, prima doveva sbarazzarsi delle inutili zavorre che si era dovuto portare appresso, ma una volta in possesso del Cubo, sarebbe stato semplice come respirare.
Poteva figurarsi nella mente l'espressione che ognuno dei Vendicatori avrebbe avuto sul volto, nel momento in cui avrebbe realizzato di essere caduto in una trappola.
Lo vedeva già, come un'illusione perfetta e nitida.
Solo un inganno ben riuscito riusciva a donargli una sensazione d'inebriante onnipotenza, e a Loki mancava sentirsi potente, invincibile.
Nella sua testa c'era solo una piccola, minuscola, incognita.
L'agente Sabil.
Aveva compreso da tempo che la donna perseguiva uno scopo molto diverso da quello che tutti gli altri le attribuivano, ma non era ancora certo di averlo afferrato con esattezza.
Troppe volte si era ritrovato impreparato alle sue reazioni, più di quante lei avesse intuito.
La possibilità, anche se remota, che il granello di sabbia che avrebbe fermato il perfetto ingranaggio che aveva ideato fosse proprio lei, lo infastidiva.
Forse per quello le aveva lanciato quel muto avvertimento, ma non aveva compreso esattamente la natura del sentimento che l'aveva spinto a toccarla.
Anche se controvoglia, Loki avvertiva il bisogno di analizzare le proprie emozioni, solo così avrebbe potuto controllarle, o soffocarle, a tempo opportuno.
Per la donna non provava la solita insofferente sopportazione che sentiva nei confronti di tutti gli altri umani. Lo irritava, certo, ma c'era qualcosa di estremamente differente nella natura di tale sentimento. Non era disgusto, né rabbia, piuttosto un fastidio costante.
Perché, tutto sommato, quella donna gli piaceva.
Aveva una mente interessante, varia e svelta, e sembrava capace di andare oltre i limiti sentimentali dei suoi simili.
Loki strinse le mani sullo Scettro, lasciando che l'energia in esso custodita, ormai esigua, lo riscaldasse e lo rinforzasse dall'interno.
Mentre le mani iniziavano a formicolare, un pensiero fugace gli attraversò la mente: sarebbe stato costretto ad uccidere Khalida comunque.
Non poteva permettersi di avere una simile debolezza.
Non per un'umana.
Khalida, ignorando suo malgrado la natura dei pensieri di Loki, lo avvicinò con calma, afferrando la rete sopra di lei per rimanere in piedi. «C'è una cosa che mi sto chiedendo...», iniziò, con un breve sorriso.
Loki le dedicò solo uno sguardo fugace, prima di ritornare con gli occhi fissi davanti a sé. «Ovvero?».
«Hai detto che il Tesseract permette a Thanos di viaggiare tra i mondi», premise Khalida. «Quindi come ha potuto inviare il Chyss a prenderlo?».
Loki dovette ammettere di essere sorpreso, ancora una volta. La donna aveva appena posto l'unica domanda utile della giornata. La guardò negli occhi, prima di rispondere. «Il Tesseract è un manufatto potente, ma non è unico nel suo genere. Ne esistono altri, più piccoli, meno facili da usare, ma con le medesime proprietà».
«Quanti ne possiede Thanos?», continuò Khalida, soddisfatta dalla risposta.
Loki aveva, impercettibilmente, cambiato il modo in cui le si rivolgeva. Era più naturale, e meno sulla difensiva. A meno che non fosse solo una finzione, poteva significare che le lunghe settimane di interrogatorio erano servite a qualcosa.
«Prima dell'attacco avrei detto nessuno», ammise Loki, senza esitare.
«E adesso?», insistette Khalida.
«Spero che quello che ha utilizzato fosse l'unico», confessò l'alieno, fingendo solo in parte il turbamento. Era preparato anche a quella eventualità, ma era consapevole che una complicazione del genere avrebbe reso tutto molto più difficile.
Significava che, anche se privato del Tesseract, Thanos avrebbe continuato ad essere una minaccia per lui.
Khalida scrutò il volto di Loki.
All'improvviso si era come spento, risucchiato da chissà quale pensiero oscuro.
Cercò il suo sguardo.
«Andrà tutto bene».

L'agente Barton stava controllando scrupolosamente la propria attrezzatura, quando lo strano dialogo che si stava svolgendo davanti a lui attirò la sua attenzione.
Dopo qualche secondo, guardò Natasha.
«Da quando quei due sono amici?», domandò, accennando a Khalida e Loki.
La Vedova Nera dedicò un lungo sguardo al compagno, poi abbassò gli occhi e finì di montare una delle sue pistole. «Si sono salvati la vita a vicenda», spiegò. «Dovresti saperlo che crea dei legami forti».
Clint sorrise. «E quand'è che tu mi avresti salvato la vita?», domandò, ironico.
Natasha non lo guardò. «Budapest».
Occhio di Falco rise, mentre con un gesto esperto saggiava l'elasticità del suo arco.
«Tu e io la ricordiamo davvero in modo diverso».

Los Angeles sembrava un enorme mostro di cemento dimenticato in mezzo al nulla. Lungo le strade bollenti le lamiere delle auto brillavano di riflessi abbacinanti e i vetri dei grattacieli riflettevano la luce intensa del sole di mezzogiorno.
Tutto sembrava immerso nell'innaturale calma prima della tempesta.
L'astronave aliena aveva ormai raggiunto i margini della città e la sua gigantesca ombra stava progressivamente fagocitando ogni luce, gettando le vie trafficate nel buio di un'improbabile eclissi.
Scrutandola attraverso il visore del casco, Iron Man la riconobbe.
“Conosco quella nave”, disse all'auricolare, mentre rallentava impercettibilmente per rimanere al passo con il jet. “È uguale a quella che ho fatto saltare in aria con la testata nucleare”, aggiunse.
«Thanos ne possiede un'intera flotta», spiegò Loki.
Stark ingoiò la risposta acida che gli sarebbe venuta spontanea e analizzò brevemente i dati che il computer gli inviava. Non sembrava protetta da un campo di forza, ma non riusciva a vedere nessuna entrata praticabile. “Come facciamo ad entrarci?”, chiese.
Loki aguzzò la vista. «C'è una piattaforma per l'approdo delle navicelle, sul fianco destro».
“Hai sentito, Stark?”, domandò Captain America.
“Forte e chiaro. Stavolta la festa la facciamo da Thanos”, scherzò. “Vi aspetto là, portate gli stuzzichini, io penso allo champagne”.
«Thor, anche tu puoi raggiungere la nave in volo», disse Steve.
L'asgardiano annuì e si avvicinò alla rampa. Dopo qualche secondo, il pilota la abbassò e Thor, sgusciò fuori in un turbine di vento che scompigliò i capelli di Natasha e fece correre una fastidiosa pelle d'oca sulla pelle di Khalida.
Erano in alta quota, e lei si era appena ricordata che soffriva di vertigini, il solo motivo per cui non aveva mai completato l'addestramento da soldato nell'esercito ed era passata nei servizi segreti.
Per distrarsi, cercò di individuare il punto in cui si stavano dirigendo Tony e Thor.
Guardò Loki. «Il jet può atterrare su quella piattaforma?».
Lui annuì. «Tuttavia, verremo individuati in fretta. Se vi teletrasportassi, invece, avremmo più tempo prima che si accorgano di noi».
«Qual'è il ma?», intervenne Natasha.
Loki sorrise, in modo irritante. «Non possiedo abbastanza energia per trasportarvi tutti».
«Bugiardo», lo accusò immediatamente Banner, facendo un passo avanti.
Un'ombra passò sul volto di Loki, mentre sosteneva lo sguardo dello scienziato. «Se volete posso provare, ma non ritenetemi responsabile se qualcuno di voi non arriverà a destinazione», rispose, la voce indurita da un'improvvisa collera.
Khalida spostò brevemente lo sguardo tra Loki e Bruce. Se il dottore avesse perso il controllo, avrebbe fatto saltare il piano, oltre che il jet stesso.
Fece un passo in avanti, lasciando andare la rete che l'aiutava a stare in piedi. Aprì la bocca, ma prima che pronunciasse una sola parola, una profonda vibrazione scosse il cielo e il jet precipitò in un vuoto d'aria.
Khalida si sentì priva di peso per un eterno istante, poi urtò qualcosa con la schiena e si sentì afferrare per la vita.
«Tenetevi!», ordinò Rogers, mentre il pilota tentava di stabilizzare la rotta.
Confusa, Khalida osservò per un attimo senza capire il braccio che la sosteneva, ci mise qualche minuto prima di realizzare che Loki l'aveva afferrata per impedirle di farsi male, mentre il jet era in preda allo stallo. Non permise a sé stessa di stupirsi, e non appena il velivolo fu stabile, l'asgardiano la lasciò andare senza guardarla.
«Che diavolo è successo?», chiese Banner aggrappato alle cinghie di sicurezza dietro di lui come un gatto idrofobo appena gettato nella vasca da bagno.
«Oh mio Dio...», si lasciò sfuggire Khalida, non appena ciò che stava accadendo a poche decine di metri da loro entrò nella sua visuale.
I margini frastagliati della nave rilucevano di lampi azzurri, ad intermittenza violente scariche di fulmini si riversavano sulle strade di Los Angeles, ormai in preda al panico.
Captain America valutò la situazione per qualche istante, poi prese una decisione.
Guardò Loki. «Quante persone riesci a portare con te?».
«Tre, oltre a me», replicò l'asgardiano, intuendo il ragionamento del soldato.
Steve annuì. «Natasha, tu resti con me. Atterriamo e cerchiamo di mettere in salvo più civili possibili», ordinò e la Vedova Nera annuì nervosamente. Non era contenta di lasciare Clint solo con Loki, ma non aveva altra scelta.
«Voi altri andate sulla nave», proseguì il Capitano, cercando gli occhi di Bruce, che fece un breve cenno d'assenso.
Rogers imbracciò lo scudo.
«Buona fortuna».

Si poteva immaginare che essere teletrasportati provocasse fastidiosi effetti collaterali come nausea e capogiri ma, quando Bruce riaprì gli occhi, non si sentì diverso da pochi istanti prima.
Si guardò intorno, il sole era bollente, ma sotto le suole delle scarpe il pavimento era innaturalmente gelido. Un fastidioso vento freddo gli scompigliava i capelli.
Per la sua mole, il mezzo alieno si spostava ad una velocità notevole.
La piattaforma dove Loki li aveva condotti era larga poco più di cinque metri e lunga il doppio. All'apparenza, non c'era nessun ingresso.
Strane sbavature scure sulle pareti, che sembravano di uno materiale sconosciuto a metà tra la roccia e il metallo, testimoniavano gli sforzi di Tony per aprirsi un varco verso l'interno dell'astronave.
Ma ora, l'attenzione di tutta la squadra, era calamitata sotto di loro.
Sistematicamente, in modo orribile ed efficiente, i fulmini si abbattevano su ogni cosa che incontravano, incendiandola e riducendola in breve tempo in un grumo di cenere. Minuto dopo minuto, Los Angeles si stava trasformando in un città lunare, fatta solo di moncherini fumanti.
Thor cercò gli occhi di Loki. «Come possiamo fermarlo?», domandò, avvicinando quello che considerava ancora suo fratello, nonostante tutto.
Lui non lo degnò di uno sguardo. «Le armi sono alimentate dal Tesseract, per avere una tale potenza. Se lo recuperiamo, fermeremo l'attacco».
«E nel frattempo?», intervenne Tony.
Loki guardò alla sua destra, dove una brusca curva della struttura nascondeva alla vista il resto della nave. Rimase in silenzio per un minuto, come riflettendo.
«Le armi colpiscono ad intervalli regolari. Se riuscite a tenere il loro ritmo, potete volare in mezzo alla tempesta e provare a distruggere i cristalli che catalizzano l'energia del Tesseract», spiegò, con voce calma, stavolta guardando apertamente sia Tony che Thor.
Iron Man piegò leggermente la testa di lato, le fessure dell'elmo illuminate appena, nella luce accecante del sole che piombava su di loro. Un leggero ronzio annunciò l'attivazione dei razzi. «Devo ammettere che ti riesce bene, liberarti di me», ironizzò, rivolto a Loki, prima di sollevarsi e scomparire.
«Non quanto vorrei», mormorò Loki in risposta.
Thor accennò un lieve sorriso. «Fate attenzione», raccomandò, prima di seguire Tony.
Bruce rabbrividì per l'ennesima folata di vento. «E noi che facciamo?», chiese.
Loki osservò la parete nuda e spoglia, ghignò impercettibilmente, puntando lo Scettro.
Un globo d'energia si formò a partire dal cristallo azzurro, si staccò dallo Scettro e si infranse come acqua sulla parete. Esitò qualche istante, aggrappandosi alla superficie e corrodendola come acido. La luce si dissolse pochi secondi dopo, sfrigolando, rivelando un'apertura di circa due metri d'altezza e altrettanti di larghezza.
Un sorriso aperto tagliò il volto di Loki.
Khalida scambiò uno sguardo con Clint, che appariva calmo e concentrato, solo un lieve tremito nervoso delle dita tese intorno all'arco, rivelava il vero stato d'animo.
«Qual'è il piano?», chiese la donna, voltandosi verso Loki.
Un lieve alone di luce definì la figura dell'alieno, mentre il suo abbigliamento cambiava, sostituito dall'armatura nera e dall'elmo dorato. Khalida l'aveva visto così solo durante la conversazione astrale che avevano condiviso, e nuovamente constatò di avere davanti qualcosa che poteva ucciderla con un solo sguardo.
Eppure, questa volta non aveva paura, forse perché ormai si sentiva rassegnata.
«Ho abbastanza energia per riuscire a nasconderci tutti con un'illusione. Il Tesseract si trova nelle viscere della nave. Seguitemi, e rimanete in silenzio. Più tardi si accorgeranno di noi, meglio sarà», spiegò Loki.
Khalida annuì brevemente, poi cercò il sostegno di Bruce, fissandolo in volto.
Il dottore le fece un breve cenno, come a dire che ci stava.
Per un momento Khalida pensò che, forse, era meglio dare una delle sue armi al dottore, per poi ricordare che, se c'era qualcuno che sicuramente sarebbe uscito vivo da quella missione, era proprio Banner.
Che fosse armato o no.

I corridoi della nave erano bui e umidi.
Una strana luce diffusa, di cui Khalida non riusciva ad identificare la fonte, era appena sufficiente per riuscire a camminare senza inciampare. Il percorso procedevo curvo, come se si avvitasse su sé stesso in un'infinita spirale.
Khalida, nonostante il freddo, aveva la fronte imperlata di sudore. Per quanto vivesse da tempo in metropoli e città soffocanti, gli spazi chiusi e privi di luce la mettevano a disagio. Era cresciuta in mezzo alla luce e alla polvere del deserto, e i suoi occhi erano abituati allo sfavillio del sole piuttosto che ai riflessi della luna.
Loki li conduceva con passo calmo ma costante. Ostentava sicurezza, ma il suo volto era deformato dalla concentrazione. Khalida poteva solo immagine che sforzo immane fosse gestire un' illusione di tale portata. Doveva mascherare sia la loro presenza che il loro odore ai numerosi Chitauri che incrociavano lungo la via.
Ogni volta che le loro figure dinoccolate e ciondolati le comparivano davanti, Khalida non riusciva a trattenere le proprie mani dal correre alle armi che portava alla cintura.
Più di una volta aveva temuto che Loki avrebbe rivelato la loro presenza, eppure l'aveva visto stringere i denti e concentrarsi di più ad ogni passo. Non riusciva a credere che lui volesse sul serio proteggerli, per cui non capiva quale fosse il suo piano.
Il pavimento tremò impercettibilmente sotto i loro piedi.
Negli ultimi minuti era successo diverse volte, immaginava che fosse dovuto ai colpi di Thor e Stark, all'esterno della nave.
Il corridoio curvò bruscamente, portandoli in una stanza di cui Khalida non vedeva i confini.
Il soffitto era un'enorme cupola alta decine di metri.
Il volto di Loki si rilassò improvvisamente e Khalida capì che erano arrivati.
Su un piedistallo di forma cilindrica, alto all'incirca un metro, era incastonato il Tesseract. Dalla base, come grosse vene di luce, si diramavano tentacoli d'energia lungo il pavimento e il soffitto a volta, creando una ragnatela sfavillante, azzurra e bianca.
Dopo il buio dei corridoi, la luce abbagliò gli occhi Khalida, facendoli lacrimare.
Con un rapido gesto, la donna se li asciugò e allora si accorse del silenzio.
Si voltò di scatto, con un terribile presentimento.
Nella stanza c'erano solo lei e Loki.
Un urlo rabbioso in lontananza annunciò che anche il Dottor Banner aveva capito l'inganno. Evidentemente, non aveva affatto gradito.
Istintivamente, Khalida estrasse la pistola, ma Loki le afferrò la mano, stringendola tanto forte da costringerla ad aprire le dita e gettarla a terra.
Sorrideva come non l'aveva mai visto, illuminato dal trionfo dell'inganno.
Lei boccheggiò, era la prima volta che l'alieno usava la sua forza fisica in modo tanto violento, e si stupì che con quel tocco deciso non le avesse spezzato le ossa.
Freneticamente, Khalida tentò di stare al passo con il piano di Loki.
Attraverso le sue illusioni, li aveva separati, probabilmente guidando sia l'agente Barton che Banner in un luogo molto distante dalla stanza del Tesseract.
«Perché io?», domandò improvvisamente.
Loki aveva scelto di tenerla con sé, e non riusciva a capacitarsi di quella scelta, a parte l'ovvietà che sarebbe stata più facile da gestire di Hulk, o di Clint.
Loki la guardò in volto. «Perché non sapevo quale sarebbe stata la tua reazione».
Khalida sgranò gli occhi, stupita. Cosa diavolo significava?
Che la riteneva pericolosa, o solo che, semplicemente, preferiva averla sott'occhio?
Voleva usarla come merce di scambio?
Improbabile, anche se sarebbe stato nel suo stile.
Ma forse, per un simile scopo, avrebbe preso Natasha, non di certo lei che non faceva parte di nessun gruppo in particolare.
L'alieno la scrutò a lungo, come se volesse leggerle i pensieri.
La lasciò andare un'istante dopo.
La donna ci mise qualche istante a realizzare che era ancora armata, e che lui sembrava essere consapevole del fatto che non l'avrebbe attaccato.
Forse Loki l'aveva capita meglio di quanto credesse e non era certa che fosse un bene.
Lo osservò, incapace di muoversi. Una sola mossa sbagliata avrebbe significato morte certa.
A passi decisi, Loki avvicinò il Tesseract e tese lo Scettro.
Il cristallo al centro del manufatto brillò intensamente, emanando scariche d'energia sempre più intense. Il Tesseract reagì qualche istante dopo, e la luce si intensificò in un crescendo rapido e inarrestabile, mentre tra i due manufatti si creava una fitta rete di fulmini sottili come capelli.
Khalida ebbe la prontezza di chiudere gli occhi, mentre una sorta di onda d'urto silenziosa la investiva. Ascoltò assorta il battito del proprio cuore per quelli che le parvero minuti interi, anche se probabilmente furono solo pochi secondi.
Quando riaprì gli occhi, intorno a lei era calata l'oscurità.
Guardò il piedistallo.
Era vuoto.
Il Tesseract era scomparso, così come la sua luce.
La donna fece un passo avanti, a tentoni, respirando profondamente per cercare di razionalizzare gli eventi. Lentamente, i suoi occhi percepirono e tradussero la lieve luce che definiva l'ambiente.
Loki era esattamente dove stava prima, la sua figura contornata da un lievissimo alone celeste.
Lo Scettro, tra le sue mani, aveva mutato forma, ora assomigliava più a una lancia, o a un bastone, avvitato su sé stesso.
In cima, sospeso a mezz'aria tra quattro sostegni di metallo, c'era il Tesseract.
Khalida aprì la bocca e la richiuse.
Loki le aveva mentito.
Lo Scettro non era mai servito a controllare l'energia del Tesseract.
Era stato creato per assorbirlo.
Quando Loki si voltò verso di lei, la donna ebbe la certezza che quella sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto prima di morire.
Una scarica d'adrenalina le corse nei muscoli, facendole irrigidire ogni fibra del corpo.
Se doveva morire, almeno avrebbe tentato di vendere cara la pelle.
Non aveva senso provare ad avere la meglio su Loki fisicamente ma, con un po'di fortuna, con le parole sarebbe riuscita a portare a termine il piano o, quantomeno, a non rovinarlo completamente.
«Sapevi che non avrei tentato di fermarti», le scivolò di bocca, quando Loki le fu di fronte.
Lui sorrise, gli occhi brillanti sotto l'ombra dell'elmo.
«Anche se sei umana, non sei stupida», convenne.
«Mi ucciderai?», chiese lei.
Loki piegò leggermente la testa. «Non subito. C'è una cosa che voglio sapere da te».
Gli occhi di Khalida corsero al Tesseract, al suo interno si agitavano masse di ogni sfumatura di blu. Vorticavano furiosamente, avvitandosi su sé stesse, creando strani giochi di luce sul volto di Loki.
«Perché mi hai salvato la vita?», chiese lui avvicinandosi ancora, sovrastandola.
«Ho già risposto a questa domanda», osservò Khalida, di getto.
«Ringrazia che sia bravo a fiutare le bugie, altrimenti saresti morta da molto tempo», la smascherò Loki.
Lei si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. «Come hai detto, non sono stupida. Non ho intenzione di rispondere».
Per qualche istante si osservarono in silenzio.
«Avrai un'altra occasione, per farlo», fece lui, mentre la luce emanata dallo Scettro aumentava lievemente.
“Agente Sabil, dove diavolo sei?”, chiamò la voce affannata di Clint all'auricolare di Khalida.
Khalida trasalì appena, ma si riprese subito consapevole dello sguardo indagatore di Loki.
Ora o mai più, si disse.
Si tolse l'auricolare, facendolo cadere a terra e lo pestò con forza, frantumandolo.
«Non credo che avremo ancora occasione di parlare», iniziò, guardando Loki in volto. «Quando scopriranno che ti ho lasciato andare, mi uccideranno. Tanto vale che tu lo faccia subito», aggiunse.
Le labbra di Loki ebbero un fremito. Probabilmente non si aspettava una simile reazione da parte della donna, e Khalida ne approfittò per proseguire.
«Portami con te», disse, semplicemente.
«Agente Sabil!», gridò nuovamente la voce di Occhio di Falco, questa volta vicinissima.
Khalida si voltò verso l'entrata.
Vide Clint tendere l'arco verso di lei, sentì la mano di Loki stringersi intorno al suo braccio e un dolore lancinante in ogni parte del corpo.
Gridò e ogni cosa svanì.
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Ok, credo che la cosa sia ormai ovvia.
Questa storia avrà un seguito.
In realtà Similitudini, è il titolo di una trilogia, di cui questo è solo il primo episodio, che si intitola Prigioni.
La prossima settimana, quando posterò l'epilogo, posterò anche direttamente il prologo della seconda parte.
I titoli cambieranno, perché Similitudini sarà il titolo che darò alla serie.
Il secondo episodio si intitolerà Spie.
Spero di rivedervi tutti per la seconda parte, intanto ditemi cosa ne pensate dell'ultimo capitolo.

A presto
Nicole

PS: ovviamente, tutto quello che dico riguardo allo Scettro e al Tesseract è inventato di sana pianta!

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Capitolo 15
*** Epilogo - Come una spia ***


Eccomi con l'epilogo.
Come al solito, ci vediamo alla fine.
Buona lettura.



L'agente Hill correva lungo i corridoi deserti della base temporanea dello S.H.I.E.L.D.
L'ordine di evacuazione era stato eseguito con rapidità, tutta l'attrezzatura e il personale si trovavano in una seconda base temporanea, nelle profondità delle Rock Mountains.
All'interno dell'edificio sotterraneo, come da ordini, erano rimasti solo Fury e i Vendicatori.
E lei.
Avrebbe dovuto partire con l'ultimo elicottero, ma aveva ricevuto una comunicazione importante, e il Direttore doveva conoscerla immediatamente.
Mentre accelerava il passo, la donna ripercorse brevemente gli eventi delle ultime ore.
La missione per recuperare il Tesseract era fallita clamorosamente. Loki li aveva ingannati ed era fuggito, portando via il Cubo. Dalle informazioni fornite dai Vendicatori sembrava che l'agente Sabil avesse favorito la sua fuga, scomparendo insieme all'alieno.
Era stata ufficialmente dichiarata dispersa in azione. Ufficiosamente, il suo volto era su tutti i database di ricerca internazionale con l'ordine di massima priorità. Era segnalata come armata e pericolosa, con l'ordine di sparare a vista.
L'agente trattenne un sospiro.
Come ogni membro dello S.H.I.E.L.D. conosceva la storia dell'agenzia, c'erano state delle ombre più o meno oscure, ma mai un tradimento tanto sfacciato.
Quella donna sarebbe stata la rovina del Direttore Fury.
La porta a vetri cedette docile sotto la spinta decisa dell'agente Hill.
La brusca entrata, ferì il silenzio glaciale della stanza, e la donna si bloccò per un'istante.
Il pallore del fallimento e della fatica gravava su ogni volto.
Stark indossava ancora l'armatura, graffiata, ammaccata e annerita, il volto affaticato e rigato di cenere incredibilmente serio. L'agente Barton, livido in volto, era seduto a braccia conserte, aveva un taglio sulla tempia e un braccio fasciato. Le garze bianche erano macchiate di sangue.
Thor e Captain America erano seduti vicini. Fisicamente, sembravano quelli meno provati, ma l'espressione dei loro volti era indescrivibile. Il Dio del Tuono appariva cupo, e gli occhi azzurri solitamente ridenti, erano risucchiati in una spirale di sensi di colpa.
All'appello mancava l'agente Romanoff, che si trovava ancora in sala operatoria. Era stata gravemente ferita mentre insieme a Rogers tentava di portare in salvo una scolaresca. Il volto del soldato rifletteva le cicatrici di chi ha già visto cadere troppi compagni.
I medici ancora non si erano pronunciati sulle sorti di Natasha, e nessuno aveva voglia di essere ottimista.
Fury, in piedi accanto allo schermo piatto, freddò l'agente Hill con un'occhiataccia. «Cosa ci fa qui, agente?», domandò, aspro.
La donna respirò a fondo. «La squadra di ricerca ha rintracciato il Dottor Banner, credevo volesse saperlo», annunciò.
Una lieve luce illuminò l'unico occhio del Direttore. «Bene. Ordini agli agenti di condurlo alla nuova base. Ora vada», ordinò, perentorio.
«Sissignore», annuì la donna, voltandosi.
Esitò solo un'istante, prima di lasciare la stanza e ripercorrere a passo svelto i corridoi, ripetendo gli ordini del Direttore all'auricolare.
«Peccato che non tutti i suoi agenti siano così diligenti», mormorò Stark, acido.
«Quella donna non è mai stata una di noi», replicò Barton, piccato.
«Non fare il santerellino, Legolas. Siete tutti fatti di quella pasta», insisté il miliardario, stavolta con tono amaro.
«Non permettetele di metterci uno contro l'altro. Il nemico non siamo noi», li interruppe Steve.
«Già, il nemico è chi nella stanza ha un occhio solo», canticchiò Stark, voltandosi verso Fury. «Cosa diavolo ci hai mentito, adesso? Perché tu ci hai lanciato in una missione suicida, ed eri consapevole di quello che stavi facendo», continuò, il cerchio di luce sul petto illuminato fiocamente.
«Avete accettato tutti la missione, con i rischi che comportava», osservò Fury, con calma.
Thor si alzò in piedi. «La smetta, Fury. Vogliamo sapere la verità», disse, la voce impetuosa come il vento di un uragano.
L'uomo scrutò a lungo i volti dei presenti, poi sfiorò brevemente lo schermo dietro di sé.
Con un lieve bip, sui led comparve un'immagine tridimensionale del Tesseract, accompagnata da dati e grafici.
«Circa un mese prima dell'attentato ai danni di Loki, il Dottor Selvig ha notato un cambiamento nelle radiazioni emesse dal Tesseract. Approfondite analisi hanno rivelato che, inspiegabilmente, il Tesseract si stava spegnendo», iniziò Fury.
«Spegnendo? Il Tesseract è energia pura, non si può spegnere! Non è una lampadina», protestò Stark.
«Infatti ho detto inspiegabilmente», ricordò Nick, sfiorando nuovamente lo schermo, l'immagine cambiò mostrando un grafico in cui una linea rossa precipitava vertiginosamente verso il basso. «Le proiezioni di Selvig hanno rivelato che nel giro di sei mesi, l'energia emanata dal Tesseract sarebbe diventata paragonabile a quella di una comune batteria, appena sufficiente per far funzionare un cellulare».
«Questo cosa centra con Loki e l'agente Sabil?», intervenne Clint.
Fury sembrò prendere un respiro profondo. «Nonostante il Dottor Selvig sia il maggiore esperto della Terra, quando si tratta del Tesseract, non siamo riusciti né a trovare una spiegazione, né una soluzione a questo fenomeno. Il Cubo non è di questo mondo. Nonostante per anni sia stato custodito qui, la sua natura non ha niente a che fare con gli esseri umani. Ci siamo resi conto che se volevamo comprenderlo, avevamo bisogno di qualcuno che lo conoscesse come nessun altro».
«Loki», mormorò Thor.
Fury annuì. «L'attentato nei suoi confronti e la tua richiesta sono capitati nel momento perfetto, quando ormai avevamo compreso che non potevamo fare nulla per impedire lo spegnimento del Tesseract».
«Che ruolo ha l'agente Sabil in questo?», domandò Rogers.
«Quello che vi era stato detto. Interrogare Loki, scoprire informazioni su Thanos e sul funzionamento del Tesseract», disse Fury, poi osservò ognuno dei presenti negli occhi. «Ad ogni costo», aggiunse lentamente, scandendo le parole.
Stark fu il primo a parlare, a tradurre in parole quelli che tutti stavano pensando. «Khalida sta facendo il doppio gioco».
Fury annuì gravemente. «Vi spiegherò i dettagli del piano non appena arriveremo alla nuova base, per ora vi basti sapere che la situazione è sotto controllo».
Stark rise. «Hai una strana concezione del controllo, Nick».
«E anche un ottimismo fuori luogo», osservò Clint cupo.
L'occhio di Fury si strinse. «Cosa intende, agente Barton?».
Occhio di Falco sospirò, ma sostenne lo sguardo del Direttore. «Quando ho sorpreso Khalida nell'atto di scappare, ho provato a fermarla. Ho teso l'arco e ho scoccato una freccia».
«Questo lo sappiamo, ma hai detto che è scomparsa prima che la freccia la raggiungesse», osservò Steve.
«Apparentemente. Ma nella stanza la freccia non c'era. L'ho cercata», ammise Clint.
Tutti ammutolirono.
Significava che il loro unico legame con il Tesseract in quel momento poteva essere già morto. Se la freccia era riuscita a raggiungere Khalida, ormai era tutto perduto.
Nick Fury raddrizzò le spalle.
«Speriamo che la sua mira non sia poi così infallibile, agente Barton», mormorò.
Ma il silenzio, ricordò a tutti che era una speranza flebile, sottile come un sorriso e affilata come vento gelido, lo stesso che fuori dalla base spazzava il deserto immerso nella calma notturna.
Là fuori, da qualche parte, la missione di una spia stava iniziando sotto la cupa luce di una luna nuova, in una notte senza stelle.
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Come ho già specificato, tutto ciò che dico riguardo al Tesseract è puramente inventato.
Quindi, cosa ne pensate?

Attendo i vostri commenti
Ci vediamo per il prologo della seconda parte.
Ringrazio tutti i lettori e Martina per aver recensito lo scorso capitolo.

Nicole

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