Spie

di Blue_moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come un deserto ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Come uno specchio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come un'eco ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come le stelle ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come le orchidee ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come la pioggia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Come un castello di vetro ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Come una bugia ***
Capitolo 9: *** Epilogo - Come una crepa ***



Capitolo 1
*** Prologo - Come un deserto ***


Ed eccoci qui per il prologo della seconda parte.
Per chi incappa qui per la prima volta, Spie è solo il secondo episodio di una trilogia intitolata Similitudini il cui primo episodio si intitola Prigioni.
Purtroppo per voi, urge la lettura del primo capitolo, per capire questo.

Riassunto della puntata precedente:
Loki, detenuto ad Asgard, è vittima di un attentato a cui sopravvive per miracolo. Il mandate risulta essere Thanos e Thor, preoccupato per la sicurezza del fratello, propone allo SHIELD di prendere in custodia Loki. Fury, per ragioni non meglio specificate, accetta e affida l'incarico di interrogare l'alieno a un'agente SHIELD che nessuno ha mai visto prima, tale Khalida Sabil.
Dopo pochi mesi d'interrogatorio, la base SHIELD viene attaccata da un essere che tenta nuovamente di uccidere Loki. L'agente Sabil fa da scudo all'asgardiano con il proprio corpo. Nel frattempo, un altro soldato di Thanos si impossessa del Tesseract ma non dello Scettro.
Per salvarla Khalida, Thor e Loki la portano ad Asgard, dove la donna fa la conoscenza di Odino e Frigga.
Di ritorno sulla terra, Loki si offrirà di rintracciare il Tesseract in cambio della propria libertà. Fury accetta.
Contemporanemente, Thanos fa la sua mossa, una nava aliena attacca la città di Los Angeles e i Vendicatori, insieme a Loki e Khalida, partono all'attacco.
All'arrivo sul posto, la squadra si divide, con Loki rimangono Khalida, Clint e Banner. I quattro si inoltrano nella nave, e non appena raggiungono il luogo dove il Tesseract è custodino, Loki rivela il suo inganno. Con un illusione, ha separato Clint, Bruce e Khalida, tenendo con sè quest'ultima.
Attraverso lo Scettro, Loki assorbe l'energia del Tesseract. Khalida gli propone di portarla con lui.
Senza dare spiegazioni, l'alieno accetta e un attimo prima di scomparire vengono raggiunti da Occhio di Falco che tenterà di fermarli senza successo.
Di ritorno dalla missione fallita, i Vendicatori esigono spiegazioni. Fury spiega che il Tesseract, per qualche motivo che ancora non si capisce, si stava spegnendo e che per evitare di perderlo per sempre, avevano deciso di usare Loki per ottenere più informazioni possibili.
Khalida Sabil aveva il compito di interrogare Loki, e aveva l'ordine di farlo con qualsiasi mezzo possibile, anche facendo il doppio gioco.


La storia, ora, riparte dall'istante successivo alla scomparsa di Loki e Khalida dalla nave di Thanos.
Le parti in corsivo si riferisco al passato.
Buona lettura.









Khalida Sabil aveva visto Nick Fury solo una volta, tre mesi prima, quando si era presentata in una delle basi europee dello S.H.I.E.L.D. e aveva preteso di parlare con lui.
In un breve dialogo avvenuto tramite uno schermo, Khalida aveva fatto la sua proposta: il suo talento, in cambio di protezione. Fury l'aveva guardata a lungo negli occhi, prima di accettare, chiarendo immediatamente la gerarchia di comando. Da quell'istante in poi, sarebbe stata alle regole e ai comandi dell'agenzia, in ogni cosa.
Aveva accettato, senza protestare.
Fury aveva ordinato il suo immediato trasferimento in una delle tante basi americane dell'agenzia, e lì Khalida era rimasta, confinata come una prigioniera, mentre le sue capacità venivano analizzate e schedate da agenti sempre diversi, di cui faticava a ricordare il nome.
Quell'improvvisa convocazione, del Direttore in persona, era strana e arrivava in un momento di grande agitazione all'interno della base.
Anche se costretta a stare per molto tempo sola nel suo alloggio, Khalida aveva intuito che stava accadendo qualcosa d'importante.
L'agente che la accompagnava, una donna dai capelli scuri e lo sguardo serio, la lasciò davanti a una porta di vetro smerigliato, dopo aver digitato un codice sul tastierino numerico.
Una luce verde lampeggiò e la serratura scattò.
«Venga dentro, agente», ordinò la voce di Fury.
L'interno dell'ufficio era spartano, solo un tavolo di metallo e due sedie, l'una di fronte all'altra.
«Si accomodi», disse il Direttore, sedendosi a sua volta.
Khalida lo imitò, tentando di sbirciare il fascicolo aperto davanti all'uomo.
Fury intercettò il suo sguardo e sollevò un angolo della bocca.
«Ho una missione per lei, agente», iniziò, chiudendo il fascicolo. «Non sarà ufficiale. Solo io e lei ne saremo a conoscenza».
La donna sostenne lo sguardo determinato della spia davanti a lei.
Lavorava da tutta una vita nell'ombra, specializzata in qualcosa che non era nemmeno legale, nella maggioranza dei cosiddetti “paesi civili”. La segretezza non la spaventava.
Nei nervi, le passò una fitta di impazienza.
Sorrise.
«Sono tutt'orecchi».

Il dolore non cessò.
Le gambe le cedettero di colpo e sentì il suo corpo impattare violentemente contro un pavimento grezzo. Imprecò, stringendosi la coscia tra le mani.
Clint era stato rapido e Loki troppo lento, probabilmente volutamente.
La freccia le aveva trapassato il muscolo. Dalla quantità di sangue, la donna riusciva ad intuire che, molto probabilmente, l'arteria femorale era stata recisa.
Khalida imprecò di nuovo nella sua lingua natale, ruotando gli occhi e tentando di capire dove si trovasse.
C'era buio le finestre erano coperte da spesse coltri di stoffa, ma in lontananza sentiva rumore di traffico.
La stanza era spoglia, ingombra di ponteggi fasciati in bende di nylon sporco di pittura.
«Dove diavolo siamo?», domandò, mentre tentava di mettersi seduta.
Loki la guardò di sbieco e la luce emanata dallo Scettro aumentò, mostrando nuovi particolari.
Khalida riconobbe il logo impresso sulle porte degli ascensori.
«La Star Tower...», mormorò. «Che ci facciamo qui?».
L'alieno si inginocchiò accanto a lei, fissandola negli occhi. «Ho un conto in sospeso con l'uomo di metallo», spiegò.
Contemporaneamente, da sopra il Tesseract si sollevò una bolla di energia blu e azzurra.
Come una strana medusa, salì lentamente verso il soffitto, infrangendosi contro di esso ed espandendosi come un'onda. Una crepa sottile come un capello serpeggiò lungo il cemento.
«Collasserà in pochi minuti», disse Loki, sorridendo.
La guardò, lasciando vagare lo sguardo sulla ferita.
Khalida stirò le labbra e, cercando di non pesare troppo sulla gamba sinistra, allungò una mano ed estrasse il pugnale dallo stivale.
La luce brillò per un'istante sulla lama.

«Perché io?», chiese Khalida scorrendo in fretta il fascicolo.
Fury sorrise. «Perché la sua vita è un deserto, agente Sabil».
Lei lo fulminò con un'occhiata gelida. «Sta insinuando che non ho nulla da perdere?».
«No. Sto dicendo che lei non ha debolezze», chiarì l'uomo. «Accetta?».
Khalida sostenne lo sguardo della spia a lungo.
Non rispose.
«Cosa avrò in cambio, se ci riesco?».
«Lei sparirà, sarà come se non fosse mai esistita. Potrà ricominciare da capo, dovunque lei voglia», illustrò Fury, concedendosi un sorriso più ampio, che sapeva di vittoria. «Non è ciò che desidera?», aggiunse.
La donna ingoiò lentamente, trattenendo l'improvvisa emozione nello stomaco.
Sapeva riconoscere una bugia, e Fury non stava mentendo.
«Accetto».

Khalida appoggiò il pugnale alla base della mano sinistra.
Respirò profondamente, preparandosi.
Quando la lama incise la pelle, però, non riuscì comunque a trattenere un gemito.
Loki la guardava senza capire. «Cosa stai facendo?».
Stringendo i denti, Khalida scostò un lembo di pelle, ed estrasse il piccolo chip che le avevano impiantato non appena aveva accettato di diventare un'agente.
«Evito che ci rintraccino», spiegò, lasciando cadere il quadrato di circuiti a terra.
Una lacrima di dolore le scivolò lungo la guancia, mentre sollevava lo sguardo su Loki.
Si sentiva ogni minuto più debole, la ferita alla gamba sanguinava troppo. Anche se non poteva saperlo, doveva credere che Loki volesse tenerla con lui.
Se avesse dubitato, anche solo per un'istante, per lei non ci sarebbe stato scampo.
«Conosco un posto dove saremo al sicuro. Ho bisogno di curarmi», ammise.
Loki evitò il suo sguardo, fissando invece il taglio sul polso della donna. Era sottile, una ragnatela di sangue scendeva lungo la pelle ambrata, colando a terra in piccole gocce rotonde.
Le tese una mano in silenzio.
Khalida la afferrò e la strinse, con tutta la forza che le restava.
Nel cielo di New York, la Star Tower si illuminò come un albero di Natale, prima di esplodere.
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Prima della settimana prossima non posterò il primo capitolo, ditemi cosa ne pensate.
A presto
Nicole

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Come uno specchio ***


Ringrazio chi ha letto il prologo, Maura 77 per aver recensito, e tutte le persone che hanno già inserito la storia nelle seguite.
Spero di non deludervi.
I capitoli di questa parte saranno un po' più lunghi della prima.
Vi avviso fin d'ora che Spie, è un capitolo di transizione, e quindi sarà lungo all'incirca 8 capitoli, mentre invece, la terza parte, Crepe, sarà quella più consistente.
Ci vediamo a fine capitolo per le osservazioni.




A Stark non piaceva venire ignorato, né tanto meno essere preso in giro.
Dopo che la sua ennesima richiesta di parlare con Fury venne respinta, ordinò a Jarvis di bypassare il firewall del cellulare della spia, stanco delle buone maniere.
«La metto in comunicazione con il Direttore Fury», annunciò la voce robotica del maggiordomo di Stark.
«Bel lavoro, Jarvis», si complimentò Tony, accelerando.
Fury rispose quasi immediatamente. «A cosa devo l'onore, Tony?», chiese, con lo stesso tono che userebbe una madre esasperata dall'ennesima marachella del figlio.
«Oh, solo una telefonata di cortesia. Come te la passi Nick?», replicò il miliardario, acido. «Esattamente quante altre delle mie torri hai intenzione di distruggere?», proseguì, senza aspettare una risposta alla prima domanda.
Fury sospirò. «Non puoi incolpare me delle azioni di Loki, ammesso che sia stato lui», rispose, tentando di non alterarsi.
Il grafico sullo schermo davanti a lui si illuminò, annunciando l'arrivo di una nuova ondata di dati.
«Ho un filmato delle telecamere di sorveglianza che lo prova», annunciò Stark.
«Stai scherzando?».
«Assolutamente», ridacchiò Tony.
«Non fare lo spiritoso, perché non me l'hai ancora consegnato?».
«L'avrei fatto, se ti fossi degnato di ricevermi».
Fury schioccò la lingua. «Bé, ti ricevo, ora. Ti aspetto».
«Sono già qui», disse Stark, chiudendo la comunicazione.
Il comunicatore di Fury gracchiò. “Direttore, c'è qui...”
«Lo faccia passare!», tagliò corto la spia, irritata.
Con un gesto, ridusse a icona i dati sullo schermo senza nemmeno guardarli.

Il filmato non era ad alta risoluzione, ma era comprensibile, nonostante la scarsa illuminazione.
Stark picchettò un dito sullo schermo, indicando la figura di Khalida.
«Legolas aveva ragione. È ferita, e non sembra stare bene», commentò.
Fury non disse niente. «Loki è con lei, almeno. Sembrano essere scomparsi insieme ancora una volta».
Stark sbuffò. «Pensa che lui possa guarirla?», domandò, retorico. Era ovvio che un comportamento simile non rientrava negli schemi dell'alieno.
«Non sottovaluti l'agente Sabil, sa essere convincente», obiettò la spia.
Il miliardario lo guardò. «A proposito... perché hai scelto proprio Khalida? Scommetto che di agenti addestrati quanto lei ne hai un deposito pieno».
Fury sospirò, passandosi una mano sulla nuca. «Il fatto che tu non l'abbia capito fa onore al suo talento».
«Oh, ma io ho delle teorie», ammiccò Stark.
«Cioè?».
«A parte il fatto che a volte sembra fuori di testa quanto il cervo alieno?», ironizzò l'uomo. «Ha un'innata capacità di apparire neutrale, e probabilmente non le importa un bel niente di nessuno, se non di se stessa», spiegò.
Fury sorrise, ma scosse la testa. «Questo è quello che lei ha voluto che capiste, anche se c'è un fondo di verità», ammise.
«E allora perché?», insisté Stark, curioso.
«Perché è motivata. Io le ho promesso quello che vuole, e lei farà di tutto per ottenerlo».
«E cosa le hai promesso? Soldi? Un posto di spicco nella tua agenzia? La tua mano?», snocciolò Stark, rimanendo serio nonostante l'assurdità delle sue proposte. Era stanco, stanco da morire, quella situazione lo faceva ammattire.
Il pensiero che Fury avesse consegnato un prigioniero pericoloso e subdolo come Loki a una sola persona, lo turbava. Temeva quello che l'alieno avrebbe potuto escogitare.
Per quanto lo ritenesse un pazzo, riconosceva la sua pericolosità, e la sua intelligenza.
Troppe volte si era tirato fuori da situazioni che avrebbero potuto ucciderlo.
Fury non badò molto a ciò che diceva Tony, solo quando percepì che l'uomo era nuovamente pronto ad ascoltarlo, proseguì. «Credevo che avresti potuto riconoscerla, nei suoi occhi», disse, guardando Tony in viso.
«Riconoscere cosa?».
«La disperazione di una persona che è stanca della propria vita, ma non conosce nessun altro modo per viverla».
Tony rimase in silenzio per qualche minuto, riconoscendo che in fondo ciò che diceva Fury non era né strano, né infondato.
La ferocia che la donna ostentava, poteva essere rabbia, la sua durezza, solo un modo di nascondere troppe ferite.
Ma non si fidava di lei, il suo istinto gli imponeva di non farlo.
Tra lei e Loki c'erano troppe similitudini, come se fossero un riflesso distorto e frammentato l'una dell'altro, come in uno specchio deformante del circo.
Il problema era che, quando ci si guarda allo specchio, ci si riconosce.
E se quei due si fossero alleati contro di loro, allora la missione era completamente andata, insieme, probabilmente, all'intero pianeta.

Loki aprì gli occhi e analizzò l'ambiente.
Era un comune appartamento umano, immerso nella penombra. L'arredamento era lussuoso, ma essenziale, con linee nette e pulite, colori asettici e profili d'acciaio.
A pochi passi da lui, Khalida si lasciò cadere sul divano. Tentava di nascondere il dolore, ma aveva la pelle imperlata di sudore freddo, e stava diventando pallida. Non era passato che un minuto dal loro arrivo, eppure sulla moquette bianca già si allargava una vistosa pozza di sangue. Se non veniva curata in fretta, non avrebbe superato la notte.
L'aveva portata con lui perché non avrebbe permesso a nessun altro di prendersi la sua vita.
Sarebbe stato lui ad ucciderla, di questo ne era assolutamente certo.
E l'avrebbe fatto con i suoi tempi e alle sue condizioni.
In silenzio, si inginocchiò davanti a lei e scrutò con occhio clinico l'asta di metallo che trapassava la gamba. Si stupiva sempre di quanto potesse essere fragile il corpo umano.
Khalida ansimava, forse di paura, forse per nascondere il dolore.
Quando Loki afferrò la coda della freccia, lei sussultò, mordendosi le labbra.
«Cosa vuoi fare?», domandò, con un filo di voce.
Lui non rispose, spezzò l'asta con una sola mano e con l'altra afferrò la punta.
«L'emorragia peggiorerà e basta», disse nuovamente Khalida, d'istinto.
Loki cercò i suoi occhi. «Lo so», mormorò, prima di sfilare di colpo la freccia.
Khalida urlò, voltando il viso e nascondendolo nella stoffa costosa del divano.
Con gli occhi annebbiati dalle lacrime, vide Loki premere le mani illuminate da una cupa luce azzurra sulla sua gamba e contemporaneamente percepì un bruciore crescente.
Il dolore diventò nuovamente insopportabile e nuove grida si fecero strada nella sua gola.
Loki le soffocò premendole la mano sporca di sangue sulla bocca.
Il tutto durò una manciata di secondi, la luce si spense e così il dolore.
La mano di Loki lasciò le labbra di Khalida e lei si concesse di respirare profondamente.
Sentì la struttura del divano piegarsi sotto il peso aggiuntivo dell'alieno e istintivamente cercò il suo sguardo. Anche senza controllare, sapeva cosa aveva fatto.
La ferita si era rimarginata, solo una vaga sensazione di bruciore premeva a fior di pelle, a contatto con il tessuto freddo dei pantaloni.
Quello che vide, però, la allarmò.
Loki era ancora più pallido del solito, il volto velato di sudore e le labbra contratte.
«Loki», lo chiamò con la voce arrochita dalle urla, sollevandosi su un ginocchio. Allungò una mano, ma si fermò qualche centimetro prima di toccarlo.
Gli occhi di Loki si socchiusero. «Sto bene».
«A me non sembra», azzardò lei. «Cosa ti succede?».
Loki sembrò prendere un respiro profondo. «L'energia del Tesseract è troppa, anche per me. Il mio corpo non è ancora abituato a gestirla», spiegò, a voce bassa, appena percettibile. Incrociò brevemente gli occhi di Khalida. «Ho bisogno di riposare, ora».
Questa volta Khalida si fidò del proprio istinto, sfiorò con la punta delle dita la guancia di Loki, spostandogli poi delicatamente una ciocca di capelli dalla fronte.
Lui non se ne accorse, era già sprofondato in un sonno profondo.
Tenendolo d'occhio, la donna si alzò dal divano. La gamba le formicolava, e il muscolo era indolenzito, ma nel complesso stava bene.
Non appena fu relativamente certa che Loki non stesse fingendo di dormire, si diresse a passo calmo verso il bagno, ma sulla soglia del reparto notte un lieve capogiro la costrinse a cercare un sostegno. Artigliò lo stipite della porta, con una forza tale da spezzarsi le unghie. Lacrime di frustrazione le pizzicarono le palpebre ma le ricacciò indietro.
Si prese un minuto, poi strinse i denti e chiuse la porta del bagno dietro le spalle.
Lentamente, si spogliò davanti allo specchio, cercando sul suo corpo segni di cicatrici invisibili. In meno di sei mesi, aveva rischiato di morire tre volte, eppure il suo corpo non recava traccia di quelle violenze. Dentro di lei, però, le cicatrici c'erano, solchi profondi scavati nell'animo e nel carattere. Era stanca, ma doveva portare a termine quella missione, per poter dire addio per sempre a quel modo di vivere.
Aprì l'acqua della doccia e si infilò sotto il getto senza attendere che diventasse caldo.
Rabbrividì, ma l'improvvisa pelle d'oca sul corpo la fece sentire bene.
Mentre i muscoli si rilassavano, si concesse di fare il punto della situazione.
La strategia che aveva adottato con Loki era rischiosa, ma era l'unica praticabile.
Doveva fidarsi di lui, ciecamente.
Era presuntuoso per lei affermarlo, ma Khalida sapeva di aver compreso parte del carattere dell'alieno.
Aveva l'ostentata indipendenza di qualcuno che è stato tradito troppe volte, troppo profondamente. La sua mancanza di fiducia scaturiva dal fatto che nessuno gliene aveva mai data.
Se lei fosse stata la prima a farlo, Loki le avrebbe creduto, e l'avrebbe tenuta con sé, trofeo di una riconquistata autostima che nemmeno lui era cosciente di desiderare.
Mentre la temperatura dell'acqua variava, diventando bollente, Khalida si osservò le mani.
Il motivo della sua sicurezza era banale.
Lei, era caduta nella stessa identica trappola.

Quando rientrò nella zona giorno dell'appartamento, il sole stava tramontando, accendendo di riflessi arancioni le veneziane calate sulle vetrate. Quella casa non apparteneva allo S.H.I.E.L.D., era sua, una delle tante che possedeva in giro per il mondo.
Khalida aveva accettato la missione a due condizioni: completa libertà di movimento e niente telecamere o cimici.
Il segnalatore nascosto nell'anello che indossava, era un compromesso che era stata costretta ad accettare. Ogni ora inviava i dati riguardanti la sua salute e comunicava la sua posizione. Se lei fosse morta, lo S.H.I.E.L.D. l'avrebbe immediatamente saputo e sarebbe intervenuto nel giro di cinque minuti, con una testata nucleare, se necessario.
Loki riposava ancora, come un bambino, avrebbe osato dire, anche se il sonno appariva talmente profondo da assomigliare più ad un coma, tanto il corpo dell'alieno era immobile e rigido.
Strofinandosi i lunghi capelli, Khalida si spostò nella cucina, cedendo al richiamo dello stomaco che brontolava.
Un piccolo tablet, che lei stessa aveva acquistato poco prima che tutto precipitasse, era abbandonato sulla penisola di marmo chiaro. Non appena lei gli passò accanto, lo schermo si illuminò silenziosamente.
Su campo bianco, lampeggiò un cursore per qualche secondo, poi comparve un breve messaggio.
“Ha un mese di tempo, da oggi”.
Il tablet si spense subito dopo.
Khalida lo guardò per qualche secondo, poi lo prese e lo gettò nella pattumiera.

Khalida non si considerava una persona nostalgica, eppure, da quando aveva lasciato Israele, c'era una cosa che ricordava con una malinconia pungente: le notti buie alle porte del deserto.
Aveva scelto quell'appartamento in pieno centro a New York, naturalmente registrato sotto falso nome, proprio per combattere quella tendenza. Ma non era servito a niente.
La luce artificiale, anche il più piccolo spiraglio, le impediva di dormire.
Per l'ennesima volta, aveva passato una notte insonne, incapace di chiudere gli occhi davanti alla luce. Impossibile per la sua mente non cercare stelle inesistenti in quel cielo dall'innaturale blu uniforme.
Percepì un movimento dietro di lei e si voltò.
Gli occhi chiari di Loki le restituirono lo sguardo. Si era svegliato.
Archiviando le riflessione, Khalida andò a sedersi di fronte a lui, sul tavolino basso al centro del salotto. Gli porse senza cerimonie un piatto con il meglio che era riuscita a mettere insieme, considerando il poco che c'era in casa.
«Mangia, ne hai bisogno», spiegò, accennando un sorriso.
Loki la guardò come si fissa qualcuno che parla in una lingua sconosciuta, ma non fece storie, prese il piatto e assaggiò con cautela il contenuto.
«Dove siamo?», le domandò, dopo qualche minuto.
«Sempre a New York. Questa è casa mia».
Loki sollevò un sopracciglio. «E l'uomo bendato non ne era a conoscenza?», chiese, scettico.
Khalida sorrise, chinandosi appena in avanti. «Noi umani siamo facili da ingannare».
Loki fece una smorfia. «Non rubarmi le battute», obiettò, celando appena un sorriso.
Lei fece un gesto di assenso, poi tornò seria. «Cosa ti è successo prima?».
«Te l'ho già spiegato».
«No, non l'hai fatto», insistette Khalida. «Ho bisogno di sapere quali sono le tue condizioni».
«Perché?», domandò Loki, seriamente.
Khalida lo guardò dritto negli occhi. «Ho perso il conto delle volte che mi hai salvato la vita. Il minimo che possa fare è aiutarti, e per farlo devo sapere come stai».
Per qualche minuto i due si fronteggiarono in silenzio, occhi negli occhi, soppesando l'uno la sincerità dell'altra.
Infine Loki si alzò, senza degnare Khalida di una risposta.
Lei sospirò. «Dimmi solo una cosa. Succederà di nuovo?».
«Sempre meno spesso. Il mio corpo si deve solo abituare», le concesse l'alieno.
Khalida si alzò a sua volta, affiancando Loki. «C'è un altro problema», iniziò.
Lui la guardò come a dirle di continuare.
«Le radiazioni. Lo S.H.I.E.L.D. ha la tecnologia per rintracciare il Cubo».
Loki ridacchiò. «Voi umani e le vostre certezze...», mormorò. «Il Tesseract non è più lo stesso di prima, ora ne possiedo il pieno controllo, perfino di queste cosiddette radiazioni. I tuoi amici non possono trovarmi».
Khalida aggrottò le sopracciglia. «Ti ho già detto che non sono miei amici».
Loki la osservò attentamente. «E allora perché lavoravi con loro?».
«Sopravvivenza. Potevano proteggermi».
Khalida sostenne lo sguardo di Loki, mentre lui si avvicinava, sovrastandola e scavando nei suoi occhi.
«E adesso perché sei con me?».
«Perché io sto sempre con il più forte», replicò lei, sollevando il mento. «Adesso, se hai finito, dobbiamo decidere cosa fare», aggiunse, voltandosi.
Loki la afferrò per il polso, costringendola a fermarsi.
«Non parlare come se fossimo una squadra. Non lo siamo», sibilò, gelido.
«Hai ragione, non lo siamo», annuì Khalida. Strappò il braccio dalla presa di Loki con un gesto secco e arrabbiato. «Quando è iniziata questa storia tu avevi solo un nemico: Thanos. Adesso, dopo la tua bravata con il Tesseract, hai anche lo S.H.I.E.L.D. alle calcagna, insieme agli Avengers».
«E allora?», la incalzò Loki, curioso di vedere dove Khalida volesse arrivare.
Lei sorrise a metà. «Tu conosci Thanos, io conosco lo S.H.I.E.L.D. e gli Avengers. Perciò, sì, non siamo una squadra, ma se lavoriamo insieme, entrambi possiamo uscire vittoriosi e indenni da questa situazione».
Loki piegò leggermente la testa di lato, poi sorrise, a metà tra il divertito e il canzonatorio. «Cosa vuoi da me?».
Lei non rispose. «Vieni», disse solamente, incamminandosi verso la cucina.

Lo schermo del grande Mac illuminava la stanza altrimenti buia. Khalida, cliccò un paio di icone e lasciò che le pagine si caricassero.
«Non sono più al sicuro. Adesso lo S.H.I.E.L.D. mi starà cercando in ogni angolo della Terra, e i miei nemici avranno saputo che non sono più nelle grazie di Fury», spiegò. «Ho un posto dove nascondermi, ma per arrivarci ho bisogno del tuo aiuto».
«Perché?».
Khalida indicò lo schermo, che mostrava una visuale satellitare di un deserto. Sulla terra brulla e spoglia, sorgeva un minuscolo villaggio, simile ad un agglomerato di lego impolverate buttate su una moquette vecchia e spelacchiata.
Loki arricciò il naso, a quella vista. Quella era la faccia più deplorevole dell'umanità, il loro vivere come animali.
«Questo villaggio si trova a migliaia di chilometri da qui. Non posso arrivarci con i mezzi tradizionali, verrei individuata subito», spiegò la donna.
«Vuoi che ti ci porti io», concluse Loki. La guardò. «E quale ne sarebbe il mio vantaggio?».
Khalida rise. «Sai perché mi voglio nascondere proprio qui?», chiese, ignorando la domanda dell'alieno.
Lui la guardò socchiudendo gli occhi, come a rammentarle che la sua pazienza era molto vicina al limite.
Lei non perse il sorriso. «Questo è il villaggio dove sono nata. Nessuno verrebbe mai a cercarmi lì, dato che la maggioranza delle persone che vogliono uccidermi vivono a pochi chilometri di distanza. È l'ultimo posto dove potrei essere al sicuro, e l'ultimo dove mi cercherebbero».
Loki dovette ammettere che il ragionamento aveva una sua logica, banale e umana, ma condivisibile.
«Cosa c'entra con me?», insisté di nuovo.
«Vale anche per te. Ora che hai il Tesseract nessuno si aspetterebbe che tu rimanga sulla Terra», rispose Khalida, chiudendo la finestra sul computer e spegnendo la macchina.
Loki strinse le labbra.
Non gli piaceva il fatto che quella donna sia arrogasse il diritto di pensare anche per lui.
Khalida non fece caso alla sua irritazione, si alzò dalla scrivania e si diresse verso l'armadio. Dal fondo del mobile, estrasse un grosso borsone nero.
Lo appoggiò sul letto, cercando gli occhi di Loki. «Devi decidere in fretta. Non possiamo rimanere qui molto a lungo», fece presente, prima di iniziare a spogliarsi con gesti veloci e rapidi.
Loki la fissò sfacciatamente, lasciando indugiare gli occhi sulle braccia ricoperte di tatuaggi della donna. I disegni era piccoli e dettagliati, sembravano rappresentare un fiore rosato, screziato di bianco.
Khalida non fu particolarmente toccata dallo sguardo indagatore dell'alieno, più lui si mostrava incuriosito da lei, meglio era. Si rivestì con la stessa velocità con la quale si era spogliata. I pantaloni di lino erano larghi e comodi, e la tunica della stessa stoffa le pizzicò la pelle. Erano passati oltre cinque anni dall'ultima volta che aveva indossato quegli abiti e ricordi lontani, come brevi onde in una pozzanghera, le affiorarono nella mente. Con cura, si avvolse il niqab intorno alla testa, lasciando scoperti solo gli occhi. I capelli sciolti le pesavano sulla schiena, liberi come non erano da tempo.
Loki la osservò mentre deponeva l'armatura asgardiana e altri abiti nel borsone e ne estraeva una valigetta. Conteneva due pistole, che la donna fece sparire sotto la tunica. Nella scatola, ripose l'arma caricata con l'energia del Tesseract.
«Lasci la tua arma migliore?», osservò Loki, con tono sprezzante.
Khalida lo fissò. «I comuni proiettili sono meno rintracciabili», spiegò, mentre nascondeva due pugnali negli stivali.
Dal borsone estrasse un ultimo involto.
Loki lo scrutò incuriosito, sembrava formato da blocchi di uno strano materiale gommoso, legati fra loro da fili colorati. Sui lati campeggiavano le lettere C4.
«È esplosivo», disse Khalida, premendo un pulsante. «Quando ce ne saremmo andati da qui, è meglio che le nostre tracce si perdano», aggiunse.
Afferrò il borsone e avvicinò Loki.
«Abbiamo un minuto, prima che esploda», osservò. «Cosa hai deciso?».
Loki non rispose, si limitò a far comparire lo Scettro nelle sue mani e ad afferrarla per un braccio.
Lei sorrise.
«Ti serviranno degli abiti meno appariscenti», constatò, un attimo prima che la luce la avvolgesse.
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Mi piace far interagire Stark e Fury, sin da Iron Man 2 il rapporto tra loro mi è sembrato molto particolare, e mi piace esplorarlo con questi spezzoni "fuori campo".
Ok, adesso iniziamo a scoprire qualcosa in più su Khalida, compresa la strategia che ha intenzione di adottare con Loki.

Spero di non andare OOC con Loki, in caso avvisatemi :)

PS: la frase finale di Khalida, è una vaga citazione di quello che dice Heimdall a Thor & Company prima che partano per Joutuneim nel film "Thor"

Alla settimana prossima.
Nicole

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Come un'eco ***


Dato che l'ispirazione in queste settimane è andata in ferie, sono un po'in ritardo e anche di corsa. Mi scuso, se appaio frettolosa, come al solito, buona lettura.



È incredibile come certi ricordi, benché lontani e rarefatti, ritornino alla mente, riecheggiando tra i pensieri al solo sentore di un rumore, un odore e una voce.
Non appena aprì gli occhi, Khalida si lasciò sopraffare dal vociare intenso del villaggio, affollato nel giorno di mercato. L'aria era satura di polvere e sabbia, colorata dall'odore della carne appena macellata e delle spezie, così intenso da far pizzicare il naso e lacrimare gli occhi.
La donna ingoiò i ricordi e si costrinse a razionalizzare. Doveva essere rapida e discreta, nessuno doveva notarli, altrimenti sarebbe stata la fine.
Spinse Loki in un vicolo, allontanandosi dalla confusione più intensa. L'alieno aveva già adeguato il suo abbigliamento a quello della maggioranza degli uomini presenti, ma Khalida lo scrutò comunque con occhio critico. «Sei troppo riconoscibile», sussurrò, tenendo la voce bassa.
Sospirò, poggiando il borsone a terra. «Per raggiungere il mio rifugio dobbiamo fare ancora un po'di strada, e non possiamo usufruire delle tue capacità...».
«Perché?», la interruppe bruscamente Loki.
«Capirai quando arriveremo», tagliò corto lei. «Adesso sarai tu a condurmi, perché in questo luogo non è usuale che le donne camminino davanti agli uomini. Segui le mie indicazioni senza esitazioni ed evita di guardare gli altri negli occhi».
«Hai paura che uccida qualcuno con lo sguardo?», ironizzò amaramente l'alieno, facendo un passo avanti verso la donna.
Lei accennò un sorriso. «No, solo è difficile dimenticare i tuoi occhi», spiegò. «Ora vai, cammina fino in fondo al vicolo e poi gira a destra».
Loki non si mosse. «Cosa ti fa essere così convinta del fatto che resterò con te?».
Khalida si caricò nuovamente il borsone sulla spalla.
«Il fatto che, se avessi voluto, te ne saresti già andato».
Nel silenzio assordante che prese posto tra gli sguardi intensi di Khalida e Loki, malgrado entrambi, non vi fu posto per menzogne di nessun tipo.
In silenzio, Loki si voltò e iniziò a camminare.

I margini del villaggio erano più tranquilli e la maggioranza delle case sembravano disabitate e in rovina. Doveva essere accaduto negli ultimi tempi, quando Khalida era stata lì circa quattro anni prima quel villaggio brulicava di vita. Adesso, benché la confusione dovuta al mercato, le facce era smagrite dalla paura e molti uomini armati camminavano per le strade.
Si guardò rapidamente intorno, le finestre e le porte erano spesso sbarrate da lamiere arrugginite, rendendo ogni baracca uguale all'altra. I passi rimbombavano sulle pareti in echi soffocati e timidi, come se il silenzio fosse un obbligo, una regola da non infrangere.
Ostentando un'aria dimessa, Khalida proseguì a capo chino, mormorando indicazioni. Loki le seguiva, stupito della capacità di fingere della donna, di come persino la sua voce, normalmente alta e autoritaria, fosse trasfigurata nella recita. Contemporaneamente osservava il luogo in cui Khalida aveva deciso di condurlo. Nessuno aveva dedicato loro più di uno sguardo superficiale e distratto. Più di una volta, l'alieno aveva provato la sensazione di camminare in un luogo fantasma, in cui le persone sembravano esistere in un limbo di perpetua attesa. Sulle pareti di cemento consumato, o di materiali molto meno nobili, erano scavati fori e solchi che testimoniavano troppe battaglie. Su alcune pareti, chiazze di sangue si stavano ancora asciugando alla luce del sole sfavillante.
Ogni angolo era consumato dalla solitudine che la guerra genera.
Loki si lasciò sfuggire un sorriso.
In fondo poteva sentirsi a casa in un luogo simile.
«Fermati», sussurrò Khalida.
Loki osservò la baracca davanti a lui, non sembrava diversa da tutte le altre, stesse lamiere consunte a proteggerne l'interno, stesso cemento crivellato di colpi.
Khalida lo oltrepassò, avvicinandosi all'ingresso. «Controlla che non arrivi nessuno».
«Nessuno ci vedrà», la avvisò lui.
La donna fissò l'alieno negli occhi. «Non sprecare le energie», lo ammonì.
Lui le rispose solo con un mezzo sorriso condiscendente.
Khalida preferì non insistere anche se non si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo. Anche se alieno, Loki era pur sempre un uomo, che detestava prendere ordini da una donna, o anche solo considerare l'idea che potesse avere un'idea migliore della sua.
Con gesti esperti, scostò la lamiera tagliandosi le mani e spezzandosi le unghie, ma senza fare rumore. Dopo aver liberato uno spazio appena sufficiente per passare, si voltò, cercando gli occhi di Loki.
«Metti i piedi dove li metto io. L'interno è minato», spiegò, estraendo da una tasca del borsone una piccola torcia elettrica.
Loki ridacchiò, ma non fece commenti, mentre la seguiva all'interno.
L'unica stanza era spoglia, ingombra solo di silenzio e odore di marcio. Particelle di polvere fluttuavano nell'aria, illuminate da sottili fasci di luce che filtravano dagli spiragli del cemento e dell'acciaio. Il pavimento era lastricato sommariamente da piastrelle che un tempo erano state bianche, ma che ormai avevano il colore della sabbia e del sangue.
Khalida appoggiò cautamente il piede, esercitando una leggera pressione. Una goccia di sudore le calò sulla fronte, mentre con la torcia cercava quei segni che solo lei sapeva esserci. Il fatto che il luogo fosse ancora intatto, indicava che nessuno era entrato, ma poteva contare solo sulla sua memoria per non saltare in aria al primo passo falso.
Trattenne il respiro per quasi tutta la durata del percorso.
Quando le sue mani toccarono la tenda che la separava dal suo obiettivo, una risata nervosa le salì nella gola. Quello che aveva appena fatto le faceva tornare in mente come era stata per tanti anni. Incurante della propria vita, giocando in una continua roulette russa con il destino.
Ironico che proprio adesso che era sempre più vicina alla morte, ora che le camminava dietro, lei volesse così disperatamente continuare a vivere.
Scostò la stoffa impolverata con un gesto secco, gli occhi le lacrimarono e notò con soddisfazione che anche Loki non riuscì a trattenere un colpo di tosse soffocato.
Non appena la nuvola di sporcizia si fu posata, l'alieno osservò il mezzo di trasporto malmesso che ingombrava tutto lo spazio. Sembrava una sorta di moto a quattro ruote e forse un tempo era stata rossa, ma la carrozzeria era completamente incrostata di sabbia e non sapeva cos'altro. Un'altra lamiera, meno rovinata delle altre, chiudeva il retro della baracca.
«Cosa diavolo è?», domandò.
Khalida non rispose, recuperò da uno scaffale un mazzo di chiavi e salì a cavalcioni del mezzo, inserendo una chiave nel quadro.
Al suo polso era comparso, come dal nulla, un dispositivo elettronico che lampeggiava di una luce verde cupa ed emetteva un lieve bip a intervalli regolari. 
«È un quad», disse, dopo qualche secondo in cui aveva armeggiato con vari pulsanti. Poi picchiò un dito sullo schermo al suo polso. «Questo è un navigatore satellitare, ci porterà al rifugio», spiegò, accendendo il motore. Contemporaneamente, la lamiera che ostruiva il passaggio si mosse, facendo crollare fili di polvere da un'arrugginito meccanismo elettrico sul soffitto.
Khalida attese qualche secondo prima di voltarsi verso Loki.
«Si presume che tu debba salire», rise, davanti all'espressione dubbiosa dell'asgardiano.
«Stai scherzando?», replicò lui, ostile.
Khalida indurì lo sguardo. «Perfetto, se non vuoi venire, ci salutiamo qui. Grazie dell'aiuto», la voce non ebbe esitazione e, per sottolineare meglio il concetto, Khalida diede un colpo di acceleratore.
Loki scrutò la schiena della donna.
Stava fingendo, lei voleva che restassero insieme.
L'alieno era consapevole che Khalida non lo faceva solo per essere al sicuro, ciò che lei aveva detto fino ad allora, era vero solo a metà. Aveva qualche altro scopo, ma se l'avesse lasciata andare via, non l'avrebbe mai scoperto. Certo, avrebbe potuto ucciderla subito, e togliersi quell'incombenza fastidiosa, ma non era certo che quello sarebbe stato il momento più opportuno. Poteva usarla per avere informazioni preziose sugli Avengers e sullo S.H.I.E.L.D., con loro aveva ancora un conto in sospeso e intendeva saldarlo quanto prima.
In fretta, mentre la lamiera si sollevava con lentezza esasperante, Loki valutò i pro e i contro della situazione. La donna non poteva danneggiarlo in alcun modo, mentre lui era in netto vantaggio, dato che poteva ucciderla quando preferiva, e grazie al potere del Tesseract era libero di fuggire in qualsiasi momento.
In realtà, rimanere con lei non era nemmeno un rischio.
Senza dire niente, Loki si accomodò, per quanto il termine fosse inappropriato, dietro Khalida.
Lei sorrise, e strinse di più il niquab intorno al volto, per impedire alla polvere e al vento di filtrare. Era quasi mezzogiorno, e non era certo l'orario più adatto per attraversare il deserto, ma non potevano aspettare che facesse buio. La velocità era tutto, dovevano essere invisibili come fantasmi.
Accelerò cautamente, uscendo allo scoperto in un vialetto deserto che portava dritto fuori dal villaggio. Il quad prese velocità, addentrandosi nella stradina sterrata che serpeggiava nella campagna inaridita davanti a loro. Non appena si furono allontanati di circa cinquecento metri, un'esplosione ferì l'immobilità della giornata.
Loki si voltò di scatto, osservando la colonna di fumo e fuoco che saliva al cielo.
Seppe, senza domandare, che era stata Khalida.
«Avevi detto di non attirare l'attenzione», commentò.
Gli occhi della donna si velarono. «Non ci faranno troppo caso, qui accadono cose del genere tutti i giorni», disse, dando un colpo deciso di acceleratore. «Tieniti», ordinò poi, con tono conclusivo.
Le ruote del mezzo sollevarono una nuvola di polvere mentre si allontanavano dal sentiero segnato.
In lontananza, risuonarono dei colpi d'arma di fuoco.

Loki non aveva mai mmaginato che sulla Terra potessero esistere luoghi così carichi di crudele bellezza. Il deserto che attraversavano da ore, a velocità sostenuta, non assomigliava a niente che avesse visto durante la sua vita. La luce era accecante, e confondeva l'orizzonte in una linea incerta in cui due diverse tonalità di bianco si mescolavano ferendo le pupille e la mente. La vegetazione era completamente scomparsa, solo rari arbusti rinsecchiti avevano l'ardire di tagliare la terra ricoperta da ciottoli e ghiaia. In lontananza si intravedeva il profilo di alcune colline ma, come se fossero intrappolati in un limbo senza uscita, sembravano non avvicinarsi mai.
Il tempo stesso stava iniziando a perdere senso e quella sensazione rievocava ricordi sgradevoli alla mente dell'asgardiano. Echi di voci lontane e velenose gli si affacciavano di continuo nella mente.
Iniziava a sentirsi affaticato.
L'energia del Tesseract lo indeboliva più di quanto volesse ammettere e la temperatura elevata non giovava al suo fisico abituato a ben altri climi. Prima di essere un asgardiano, un dio, era un gigante di ghiaccio, e un deserto non era certo l'habitat ideale per uno come lui.
Non appena il sole iniziò a calare ad ovest, il paesaggio cambiò lentamente, il terreno si fece meno sassoso e le ruote del quad iniziarono ad affondare sempre più spesso nella sabbia fino a che procedere non divenne impossibile.
Khalida imprecò, colpendo il manubrio con un pugno. Consultò con una rapida occhiata il GPS, premette un paio di tasti e annuì tra sé e sé. Cercò gli occhi di Loki. «Dobbiamo proseguire a piedi. Ci vorrà ancora circa un'ora».
Lui annuì.
Khalida accennò al quad. «Riesci a farlo sparire?».
L'alieno si concesse un breve sorriso stanco, lo Scettro comparve nelle sue mani e non appena la punta del manufatto toccò il quad, quello si dissolse in una nuvola di particelle azzurre.
«Altro che l'acido», commentò Khalida, con un sorriso.
«Come scusa?», domandò Loki, e si stupì di come la sua voce fosse arrochita. Si rese conto solo in quel momento di essere arso dalla sete.
Khalida fece un gesto di noncuranza poi, come se gli avesse letto nel pensiero, gli porse una borraccia. Lui l'accettò senza dire niente, e mentre anche lei si dissetava si guardò intorno.
Sotto i suoi occhi, il profilo delle piccole dune di sabbia vorticava spazzata dal forte vento che si stava alzando da sud. In breve tempo, il paesaggio intorno a lui cambiò completamente. Se non fosse stato per il fatto che lui e Khalida non si erano mossi avrebbe detto di essere stato teletrasportato in un altro luogo. Capì perché Khalida aveva detto di non poter condurlo lì attraverso il potere del Tesseract. Non avrebbe mai potuto essere precisa nel guidarlo in un posto simile, dove ogni minuto tutto poteva cambiare.
Khalida gli lesse i pensieri. «Non ho buona memoria per i luoghi, e questo è uno dei più inaffidabili della terra», spiegò, sistemando nuovamente il niquab intorno al viso. Si caricò in spalla il borsone, controllò nuovamente il GPS e si incamminò con decisione verso un punto alla loro destra.
Con la sua vista acuta, Loki riusciva ad intravedere un agglomerato di piccole colline, che spuntavano come denti di pietra dalla terra.
Rimase in silenzio per tutto il tempo, continuando ad osservare come, man mano che la luce del sole lasciava il posto al chiarore delle stelle, il panorama intorno a lui mutava nuovamente. La temperatura scese e lui si sentì più a suo agio. Adesso quel posto lunare assomigliava molto di più alle tenebre in cui era nato e che rifuggiva con tutto sé stesso.
Quando raggiunsero le pendici scoscese delle colline, simili a grandi massi trasportati lì da un qualche gigante e poi abbandonati in mezzo al niente, Khalida poggiò una mano sulla pietra, all'altezza dei suoi occhi. Con un gesto impaziente, si tolse il velo dalla testa e lo lasciò cadere a terra. Camminò a lungo avanti e indietro, consultando il GPS e scrutando la roccia alla ricerca di qualcosa che vedeva solo lei.
Ad un tratto, sorrise e premette con decisione la mano su una lieve protuberanza di roccia, quasi invisibile.
Uno sbuffo di polvere si sollevò da terra e, con un clangore metallico, la parete di roccia davanti a loro scivolò su cardini invisibili, rivelando l'ingresso buio di una grotta dal soffitto a botte.
Khalida si voltò verso Loki, e l'alieno fu sorpreso dal sorriso sincero che le animava il volto stanco e rigato di polvere.
«Siamo arrivati».
 
Un breve e acuto bip annunciò l'arrivo di un nuovo pacchetto di dati.
L'agente di turno, li scrutò con aria sempre più stupita.
Portò la mano all'auricolare.
“Direttore Fury...”, iniziò il giovane, tentennante.
“Dica agente”, lo incitò la voce autoritaria dell'uomo.
“L'agente Sabil si è spostata signore”.
“Dove si trova ora?”.
L'agente picchettò per un secondo sui tasti.
“Circa cento chilometri a sud della città di Be' ér Sheva', in Israele”, rispose. “Nel deserto”, precisò.
All'altro capo si sentì solo un profondo silenzio.
“Signore?”, chiamò l'agente, preoccupato.
“Ho sentito agente”, replicò Fury. “Continui a monitorare la situazione, mi avvisi se l'agente Sabil si sposta nuovamente”.
“Sissignore”.
Fury accelerò il passo verso l'infermeria.
L'agente Romanoff era stata dichiarata da poche ore ufficialmente fuori pericolo e prima di ricevere quella comunicazione stava andando ad accertarsi che fosse già a conoscenza di tutti i nuovi sviluppi.
Quando aprì la porta, seduto accanto al letto c'era l'agente Barton.
Fury fece un mezzo sorriso. «Due piccioni con una fava», commentò, chiudendosi la porta alle spalle. «Come si sente, agente?», domandò, rivolto a Natasha.
La donna era seduta con la schiena affondata in un cuscino, un vistoso cerotto bianco le nascondeva parte del volto e il braccio sinistro era ingessato e immobilizzato.
«Bene», rispose Natasha, accennando un lieve sorriso.
Fury guardò Clint.
L'uomo si alzò in piedi. «Mi cercava, direttore?», chiese, riconoscendo lo sguardo serio di Fury. Ormai nella sua mente c'era una mappa piuttosto precisa delle sue espressioni, e sapeva identificare il momento in cui il direttore lo sceglieva per qualche missione, più o meno ufficiale.
«L'agente Sabil e Loki si sono spostati, adesso si trovano all'interno dello stato di Israele, non molto distanti dal confine con la Giordania», iniziò Fury. «Voglio che organizzi un punto di controllo a dieci chilometri dalla loro posizione, e si tenga pronto ad intervenire al mio ordine».
L'agente Barton annuì. «Signore, avevo capito che l'agente Sabil non doveva essere tenuta sotto controllo», disse, esternando la sua perplessità.
Fury aveva più volte ribadito, davanti ai loro dubbi, la sua assoluta fiducia nelle capacità e nella lealtà dell'agente Sabil. Quell'improvviso cambio di pensiero, era sospetto, e inatteso.
Nick fissò Clint dritto negli occhi.
«Questo prima che decidesse di nascondersi in una delle zone più calde del pianeta in cui la nostra influenza è quasi nulla», spiegò Fury, e sia Natasha che Clint capirono che era arrabbiato, quella vena che pulsava sulla tempia non prometteva niente di buono.
«Faccia le valigie agente, il suo jet parte tra quindici minuti», concluse Fury, uscendo dalla stanza.
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Alla settimana prossima!
Ringrazio ancora chi legge, anche se non commenta.

Nicole

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Come le stelle ***


Eccomi qui, più o meno puntuale.
Sono molto contenta di aver ricevuto pareri positivi per questa parte della storia, sono molto affezionata a Khalida, anche se è un personaggio complesso e difficile da capire anche per me.
Volevo chiarire una cosa, fino ad adesso tutto ciò che sappiamo del passato di Khalida è stato detto da Fury, oppure in qualche vago accenno di Khalida stessa ma che avrebbe anche potuto non essere la verità, d'ora in poi, invece, tutto quello che dirò su di lei,  è vero. Questa parte della storia, infatti, è concentrata proprio su di lei, e sullo scoprire tutto della sua storia.
Spero che questo capitolo vi piaccia almeno quanto piace a me!
A dopo il capitolo, per alcune precisazioni.
Buona lettura.




La gente del villaggio chiamava quelle grotte Bocca del Demone.
Non c'era niente di soprannaturale in quel nome, solo una storia di sangue, accesa dai lampi di troppi kalašnikov. Per anni quegli anfratti naturali erano stati il rifugio di ribelli e mercenari della peggior specie. Ai bambini del villaggio, e anche agli adulti, veniva raccomandato di non avvicinarsi mai.
Quando aveva disertato, la Bocca del Demone era il primo posto in cui Khalida aveva pensato di rifugiarsi. Da qualche anno quella zona del paese era sotto il controllo di un misterioso braccio armato indipendente, che si faceva chiamare I Dieci Anelli. Più volte, lavorando per l'intelligence, aveva avuto a che fare con quel nome, ma non era mai riuscita a scoprire niente di concreto dai suoi prigionieri, probabilmente perché non sapevano effettivamente nulla.
Braccata, Khalida si era diretta nel suo villaggio d'origine, e poi alla Bocca del Demone. All'inizio i Dieci Anelli non l'avevano accolta bene, ci era mancato poco che la uccidessero a vista, ma il loro capo, un iracheno grosso quanto borioso e stupido, l'aveva guardata lascivamente e aveva deciso di ascoltarla, prima di decidere del suo destino.
Khalida aveva giocato tutte le sue armi, comprese quelle di donna, riuscendo a convincere l'uomo che ucciderla era veramente una grossa perdita. Dopo alcuni giorni di prigionia, l'iracheno si era deciso ad ammetterla nella sua cerchia di terroristi. In breve tempo, aveva fatto strada, diventando il braccio destro dell'uomo, che si chiamava Abu Bakaar.
Quando Abu era partito per una missione importate insieme a un pezzo grosso dei Dieci Anelli, un certo Raza, a Khalida era stato assegnato il comando dell'unità che viveva all'interno della Bocca del Demone, trasformata in una vera e propria base operativa dotata di tutte le attrezzature tecnologiche adeguate ad un'organizzazione terroristica.
Passarono dei mesi, e né Abu, né Raza si fecero più vedere. Gli animi iniziarono a scaldarsi non appena divenne chiaro che erano stati tagliati fuori, e molti dei terroristi diventarono impazienti. Khalida non ebbe altra scelta, per salvarsi la vita, che sciogliere l'unità e mandare ognuno per la propria strada. La separazione non fu indolore e Khalida aveva dovuto seppellire più di un corpo. Solo pochi erano rimasti con lei e insieme a loro aveva iniziato a costruire la sua carriera di mercenaria, vendendo al miglior offerente prima le rimanenze dell'arsenale dei Dieci Anelli e poi le proprie competenze.
Un anno dopo, ormai a capo di una nutrita schiera di mercenari, Khalida aveva lasciato la Bocca del Demone, sigillandola e nascondendo nel villaggio il modo per ritrovarla, e si era trasferita in una base più civile, prima in Iraq, poi nei paesi dell'est, e infine in Europa, dove aveva vissuto per diversi mesi.
Solo molto tempo dopo Khalida scoprì che la missione per cui Raza aveva prelevato Bakaar era il rapimento del miliardario Tony Stark, in Afghanistan, e che entrambi erano rimasti uccisi dopo il fallimento della missione.
Quando aveva conosciuto Stark, si era trattenuta a stento dal dirgli che, anche se in minima parte, lei era parte dell'ingranaggio che l'aveva trasformato in Iron Man.

Mettendo da parte i ricordi, alcuni meno sgradevoli di altri, Khalida finì di montare una delle poche armi che aveva lasciato nel rifugio. Era una variazione del classico AK-47, naturalmente firmato Stark Industries.
Avrebbe voluto testarlo per controllare che la lunga immobilità non l'avesse danneggiato, ma preferiva farlo in un momento in cui Loki fosse stato di buon umore.
Da quando erano arrivati nella grotta, due giorni prima, l'asgardiano si era chiuso in un silenzio impenetrabile come il piombo. Si era letteralmente parcheggiato su un consunto divano nella zona più interna della grotta a fissare il Tesseract.
Khalida lo aveva osservato. La sua posizione e il modo in cui respirava profondamente le avevano ricordato i monaci buddisti in meditazione. Probabilmente l'alieno stava assorbendo l'energia del Cubo o forse si stava solo abituando a sentirla scorrere dentro di sé.
Aveva deciso di lasciarlo stare, per non rischiare che la missione finisse prematuramente con la sua morte violenta per mano di un alieno scostante e lunatico.
Due volte al giorno lo controllava, per assicurarsi che non se la fosse filata e per lasciargli qualcosa da mangiare che puntualmente spariva, anche se Khalida non aveva mai sentito il minino rumore.
Nel frattempo, aveva usato quel tempo per rimettere in funzione tutti i sistemi di sicurezza di cui era provvista la Bocca del Demone.
Oltre alle classiche telecamere esterne ad infrarossi, c'erano sensori di movimento su tutto il perimetro esterno delle colline e cariche in punti strategici per l'autodistruzione.
Benché tecnologico, l'interno era spartano, la comodità più lussuosa era un angolo appartato che fungeva da servizi igienici, con una tinozza di metallo per lavarsi.
All'ingresso, c'era una postazione computer, naturalmente dismessa, un angolo in cui ronzava un piccolo frigorifero e un altro in cui rombava il pesante generatore. Nella parte più profonda e umida della grotta c'erano quelli che erano stati gli alloggi dei ribelli, una ventina di brande vecchie e cigolanti che Khalida aveva fatto sparire, accatastandole in un angolo. Ne aveva tenute solo due, che aveva spostato in una zona più buia, lontana dalle piccole buche per il ricambio dell'aria che lasciavano filtrare anche la luce sfavillante del sole o quella chiara delle stelle.
Sulla parete destra, si arrampicava una malmessa scala di metallo, fissata alla roccia da traballanti puntelli di metallo. Portava all'esterno, alla cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Se era ancora come Khalida l'aveva lasciata, per almeno qualche settimana, l'acqua non sarebbe stata un problema.
Il resto dello spazio era vuoto, se si escludeva l'anfratto in cui Loki aveva deciso di rintanarsi.
In poco tempo, Khalida aveva attrezzato parte dello spazio ad arsenale e aveva passato in rassegna le poche armi che le erano rimaste. L'AK-47, tre pistole automatiche, un lanciagranate, una cassa colma di munizioni e una decina di pugnali di varie lunghezze. Niente male, contando comunque che la presenza di Loki e le sue capacità già le fornivano un grosso vantaggio se qualcuno fosse venuto a cercarla.
Era relativamente certa che i Dieci Anelli non tenessero sotto controllo quel loro vecchio avamposto, ma era meglio non rischiare.
Khalida si asciugò il sudore dalla fronte, sbuffando. Fuori era mattina presto, ma il caldo era già opprimente.
Un cigolio sommesso fece scattare i suoi sensi vigili e, non appena si voltò, si trovò di fronte Loki. Aveva indossato nuovamente i suoi abiti stravaganti, ed era tornato esattamente con la stessa aria da dio perennemente infastidito. Sembrava stare bene, aveva gli occhi chiari lucidi e presenti, e la pelle tesa e meno pallida del solito.
Chissà, magari il Tesseract aveva anche proprietà estetiche, oltre che essere un'arma formidabile.
«Ti senti meglio?», domandò Khalida, tornando a rivolgere l'attenzione al fucile. Con uno scatto metallico inserì il caricatore nella sua sede e ne saggiò il peso con un gesto esperto.
L'alieno non rispose. «Cosa stai facendo?», domandò, incolore, gettando un'occhiata distratta a tutte le armi ammucchiate sul tavolo.
Khalida imbracciò decisa l'AK-47. «Mi rilasso», scherzò.
Loki aggrottò le sopracciglia, e dalla sua espressione Khalida capì che tra poco se ne sarebbe uscito con uno dei suoi commenti taglienti sull'inferiorità della razza umana, così lo incalzò, senza dargli il tempo di pensare.
Gli puntò contro il fucile. «Devo fare una prova», iniziò. «Temo che questa bellezza non funzioni più».
Loki intuì. «Vuoi sfogarti, sparandomi addosso?».
«Vedila come vuoi», disse Khalida, imbracciando più saldamente l'arma. Avvicinò l'occhio al mirino, e Loki fece qualche passo indietro.
Lo divertiva l'intraprendenza di quella piccola umana. Più la lasciava libera di comportarsi come preferiva, più l'avrebbe soddisfatto il momento esatto in cui lei avrebbe esalato l'ultimo respiro per mano sua.
Khalida fece un respiro profondo, prima di premere il grilletto.
Non lo faceva per testare l'arma, ma per testare Loki. Voleva capire cosa era esattamente in grado di fare grazie al Tesseract. Quanto in là si spingevano le sue abilità, e la sua pericolosità.
Una raffica di proiettili investì la figura di Loki, e i lampi abbaglianti della detonazione impedirono per pochi secondi a Khalida di vedere il risultato del suo esperimento.
Abbassò lentamente l'AK-47.
I proiettili erano fermi a pochi centimetri dal corpo di Loki, sospesi a mezz'aria come se fossero trattenuti da un muro di gomma. L'alieno sorrise, d'una fierezza fredda e pungente.
Khalida comprese finalmente cosa l'aveva sempre attratta di Loki.
Non erano mai state le tante uguaglianze che poteva fare tra loro, anche perché era presuntuoso per lei cercare similitudini del genere.
Loki aveva il fascino freddo e distante delle stelle, di qualcosa cui non potrai mai arrivare, ma non puoi fare a meno di ammirare e desiderare di capire.
Le stelle, per Khalida, erano sempre state la cosa più simile a dio che avesse mai immaginato. La religione affermava che la divinità, comunque la si voglia chiamare, era eterna, immutabile. Ed era così che Khalida aveva sempre percepito quei puntini di gas cosmico nel cielo nero.
Una costante, una sicurezza, qualcosa su cui fare affidamento.
Forse per questo non riusciva a dormire, se non rassicurava sé stessa della loro presenza.
Da fine psicologa quale era, la donna sapeva riconoscere i suoi stessi processi mentali che la portavano a provare determinati sentimenti o sensazioni.
Saperlo, le permetteva di estraniarsi persino da sé stessa, se necessario.
Ma in quel momento, non ne avvertiva il bisogno.
Aveva tutto sotto controllo.
Afferrò uno dei pugnali da lancio dal tavolo, e lo scagliò con forza in direzione del petto di Loki. Anche quello si fermò alla stessa distanza dei proiettili.
Incuriosita, Khalida lo avvicinò e allungò la mano. Le sue dita incontrarono una resistenza pari a quella di una parete di vetro, spessa una decina di centimetri.
Fece scorrere le dita con interesse, fino all'altezza del viso di Loki, che la fissava come si osserva uno strano animale di cui non si conoscono i comportamenti.
«Come diavolo fai?», domandò Khalida, cercando gli occhi dell'alieno.
«Il Tesseract protegge sé stesso. Io sono il suo Portatore, se morissi, con me morirebbe la sua energia», spiegò Loki.
Khalida saggiò nuovamente la resistenza della barriera esercitando una lieve pressione, che aumentò progressivamente. «Niente può oltrepassarla?».
Per risposta, la resistenza contro la sua mano svanì e Khalida perse l'equilibrio, sbilanciandosi in avanti e finendo contro il corpo di Loki. I proiettili produssero un tintinnio fastidioso mentre crollavano a terra uno dopo l'altro. Il pugnale atterrò ai piedi di Khalida e lei ascoltò il proprio cuore accelerato con uno stupore pari alla sua soddisfazione.
Loki stava solo giocando con lei, ma era più di quanto potesse sperare.
«Solo quello che non è una minaccia», disse Loki, rispondendo alla sua domanda.
Khalida notò che stava nuovamente mettendo distanza tra loro, ricordandole che lei era niente in confronto a lui, ed era viva solo perché lui aveva deciso così.
Non l'infastidiva, la verità non l'aveva mai fatto.
«Qual'è la storia del Tesseract?», chiese, invece.
Loki finse un'espressione stupita. «L'uomo bendato non ve l'ha raccontata?».
Khalida sorrise, facendo un breve passo indietro. «Anche se a lui piace pensarlo, Fury non ha la verità in tasca».
Loki annuì brevemente, come a darle ragione.
«Perché Odino aveva nascosto il Tesseract sulla Terra?», chiese nuovamente Khalida.
«Perché aveva paura».
Khalida intuì subito che Loki non si riferiva al Cubo. «Di chi?».
L'alieno le concesse un'occhiata lievemente meno fredda del solito.
Analizzava spesso ciò che lo spingeva a provare curiosità nei confronti della donna.
Non era mai stato il suo comportamento imprevedibile, né il fatto che più volte si fosse mostrata dalla sua parte, ma la sua intelligenza, quel qualcosa che le vedeva brillare negli occhi neri come le notti eterne di Jotunheim.
Khalida era lucida, sempre razionale e presente, con una mente svelta e cristallina.
Pochi e rapidi sentimenti le attraversavano il viso, sparendo subito dopo.
Per quanto fosse degradante, lei era la persona più simile a sé stesso che Loki avesse mai incontrato.
All'inizio, l'aveva pensato anche di Thanos, ma si era dovuto ricredere presto. Il titano era troppo estraneo al resto dell'universo per assomigliare a qualcosa che non fosse sé stesso.
Con Khalida, invece, la sensazione si era acuita, ora dopo ora, giorno dopo giorno.
La sua mente non riusciva a sfuggire a quella curiosità, a quella fame di sapere.
Conosceva esattamente gli eventi che l'avevano portato ad essere ciò che era e doveva sapere cosa, o chi, aveva creato la donna che aveva di fronte.
Solo così, avrebbe potuto distruggerla.
Loki guardò Khalida negli occhi e lei gli restituì lo sguardo, in attesa.
Come al solito, si mostrava fiduciosa nei suoi confronti.
Il solo suono della parola gli faceva venire la nausea.
Scostò Khalida, e la oltrepassò senza guardarla.
Lei non nascose una lieve delusione.
«Se vuoi risposta alle tue domande, dovrai darmi qualcosa in cambio», la avvisò, dandole le spalle.
«Esiste qualcosa che desideri?», replicò la donna, sinceramente stupita.
Loki ridacchiò. «Scoprirai ben presto che non c'è limite alla mia brama».
Khalida non si lasciò impressionare. Sospirò. «Di chi aveva paura Odino?».
Loki sorrise, d'un trionfo sottile e tagliente. Si voltò lentamente. «Di chi ha creato il Tesseract».
Gli occhi di Khalida si accesero, come a chiedere di più.
Loki la accontentò. «Si tratta di un popolo antico, di cui si è persa memoria. Un popolo estremamente potente e intelligente che non ha potuto evitare l'estinzione per mano della sua stessa grandezza», tra le mani di Loki, comparve lo Scettro e gli occhi di Khalida furono attratti dalla luce del Cubo. Il manufatto girava lentamente su sé stesso, seguendo un asse lievemente obliquo.
Loki scrutò il volto incuriosito di lei. Riconosceva quella luce che le accendeva gli occhi, era il fascino del potere. Benché imperfetti, i sensi di Khalida percepivano l'energia del Cubo scorrere, e la desideravano.
«Il Tesseract è il loro unico lascito», aggiunse Loki.
Khalida allungò lentamente una mano in direzione del Tesseract.
«Fossi in te, non lo farei», la fermò Loki, un attimo prima che le sue dita toccassero la superficie del manufatto.
«Mi farebbe del male?».
«Quanto te ne farebbe toccare un fulmine».
Khalida fece cadere la mano. «Come ha fatto Odino ad impossessarsi del Tesseract?».
«L'ha rubato, ovviamente. Portandolo via dalle ceneri del pianeta in cui è stato forgiato», rispose Loki, e a Khalida sembrò di intuire una durezza inedita nelle sue parole.
Un rancore antico quanto l'universo stesso.
Conosceva la sequenza di eventi che avevano portato Loki ad incamminarsi lungo la strada della vendetta, ma l'unica versione dei fatti che aveva a disposizione era quella di Thor, e sarebbe stato interessante sentire ciò che Loki stesso aveva da dire in merito. Ma, se voleva vivere, era meglio rimandare l'argomento ad un altro momento.
«A che scopo quel popolo creò il Cubo?», proseguì.
Loki fece un mezzo sorriso. «Qual'è il bisogno primario di ogni forma di vita?», disse, con fare retorico, ma la mente di Khalida intuì la risposta.
Troppe volte l'aveva studiato e comprovato durante gli anni di lavoro.
«Sopravvivere», replicò. «Ma il Cubo è solo una fonte d'energia...», iniziò ma si bloccò quando gli occhi di Loki, le fecero capire di essere vicina alla soluzione. «...e la materia è fatta d'energia», concluse lentamente, lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto. Anche se aiutata, stava arrivando alla spiegazione che aveva portato il Dr. Selvig sull'orlo di un esaurimento nervoso: la vera natura del Tesseract.
«Il Tesseract contiene tutta la storia di quel popolo, e la potenza per poter ricostruire ogni cosa. Un nuovo inizio», aggiunse Loki.
«È questo che vuoi fare? Ricreare quella civiltà perduta?», domandò Khalida, stupita e affascinata. Il desiderio di quel popolo perduto era molto simile al suo. Un modo per ricominciare da zero, cancellando gli errori passati.
«Ciò che voglio è il potere, ma devo sottostare alle regole del Tesseract per ottenerlo», ammise Loki.
Khalida si fermò un'istante a riflettere. Le ritornò in mente quello che Loki aveva detto poco prima. «Quando hai detto che il Tesseract difende sé stesso...», iniziò. «Intendevi dire che ha una coscienza?».
«Non propriamente. Ma ha una sua intelligenza, conosce lo scopo per cui viene utilizzato», annuì Loki.
«Cosa accadrebbe se qualcuno provasse ad usarlo per uno scopo diverso da quello per cui è stato creato?».
«Come stavano facendo i tuoi amici?», replicò Loki, caricando l'ultima parola con sarcasmo tagliente. Khalida strinse le labbra ma non replicò. Loki osservò con soddisfazione il dolore trattenuto dietro gli occhi immobili della donna. «Prima o poi, l'energia si esaurirebbe, e il Tesseract diventerebbe inutilizzabile. È un sistema di difesa, insista nella sua natura».
Khalida capì che Loki non le stava mentendo. Ciò che aveva illustrato, corrispondeva a quello che le aveva spiegato Selvig. Il Tesseract poteva effettivamente spegnersi per sempre. «Se questo è vero... perché Thanos desidera impadronirsene?».
Loki aggrottò le sopracciglia, e Khalida capì che considerava la domanda immotivata e stupida.
«Thanos non persegue scopi comprensibili per voi mortali», disse Loki.
«Non te l'ha mai detto?», incalzò Khalida, e capì immediatamente di aver passato il segno.
Loki fu talmente rapido da sfuggire ai suoi occhi, e in un battito di ciglia, Khalida si ritrovò con le spalle al muro, i piedi a quasi un metro da terra e la mano di Loki stretta intorno al collo.
Le stava facendo male, ma non stringeva abbastanza da impedirle di respirare.
«Non mettere alla prova la mia pazienza, donna», la avvisò.
Khalida non si mostrò spaventata, anche se la sua mente elaborava frenetica una strategia per uscire da quello stallo imprevisto e scomodo.
Non avrebbe implorato, tanto non avrebbe funzionato.
Loki la fissò a lungo negli occhi, e lei annuì appena, come a dire che aveva capito.
L'alieno la lasciò andare di colpo, e lei atterrò duramente sulle ginocchia. Strinse i denti per non gemere di dolore, mentre sentiva il sangue bagnare la stoffa dei pantaloni.
Si rialzò in piedi, pulendosi la polvere dai vestiti.
«Non esiste un modo per utilizzarlo, al di là del suo scopo?», continuò, come se niente fosse accaduto.
Loki fece un sorriso amaro. «Non si sfugge alla propria natura».
Khalida fece un passo avanti. «Stiamo ancora parlando del Tesseract?», domandò, retorica.
Loki strinse gli occhi e la donna capì che la conversazione era finita.
Fece per allontanarsi ma dopo appena una decina di passi, la voce di Loki la bloccò.
«Qual'è la tua storia?», il suo tono era affilato come una lama, e quella domanda posta con aria di sfida, le fece più male delle ferite sulle ginocchia.
«Non riesco a credere che ti interessi conoscerla», obiettò lei, senza voltarsi.
Loki la raggiunse. «Infatti non mi interessa», le sospirò nell'orecchio. «Ma tu me la racconterai lo stesso».
Khalida non ebbe bisogno di domandarsi il perché di quella farsa.
Loki voleva farle del male, e sapeva molto bene che c'era qualcosa che ferisce molto di più delle lame o dei proiettili: il passato.
Khalida sentì gli occhi pizzicare.
«Ho bisogno di bere».
 
Khalida non ricordava quasi nulla dei suoi genitori, se non un'eco lontano di una voce e l'ombra di un vago profumo. Aveva solo quattro anni quando entrambi erano morti in un attentato suicida ai danni di un pezzo grosso del governo israeliano.
La cellula terroristica islamica di cui facevano parte era stata identificata dall'intelligence e poi sterminata sistematicamente, Khalida era l'unica sopravvissuta.
Era stata sbattuta in un orfanotrofio dove, ogni minuto della sua vita, le veniva ricordato chi erano i suoi genitori e che lei era come loro, una traditrice nell'anima, nel suo stesso sangue.
Aveva dato tutta sé stessa per dimostrare che si sbagliavano, era entrata nell'esercito non appena l'età glielo aveva permesso e aveva fatto carriera rapidamente, con determinazione e abilità, scavalcando ben presto tutte le altre reclute.
Quando il suo fisico le aveva imposto dei limiti, aveva scelto l'intelligence con la volontà di entrare a far parte dello stesso organismo che, anche se indirettamente, l'aveva resa orfana. Voleva rinnegare ogni briciolo della sua discendenza, uccidendo anche il ricordo dei suoi genitori.
Nei servizi segreti era rispettata, ma guardata con sospetto, la nomea ingombrante dei genitori sempre sul suo fascicolo, come una macchia troppo indelebile per essere cancellata.
Una sentenza già pronunciata.
Per quanto fosse brava, leale e fedele, per loro non sarebbe mai stato abbastanza.
I suoi genitori le aveva distrutto la vita, morendo, e Khalida aveva coltivato una rabbia profonda e radicata nei loro confronti, sapendo che quella sarebbe stata la spinta che l'avrebbe portata a diventare la migliore in molti, se non in tutti, campi.
Sapeva di essere l'agente con maggior talento dell'intera intelligence, eppure era sempre messa da parte, confinata in operazioni di poco conto, sotto stretto controllo.
Ad un certo punto, si era stancata di cercare di soddisfare delle persone che chiaramente non si sarebbero mai fidate di lei.
Aveva tradito, fuggendo e portandosi via i suoi segreti e le sue ferite, diventando quello che gli altri avevano già deciso lei fosse.

«Non si sfugge alla propria natura».
Khalida si interruppe per buttare giù un altro sorso di quel liquore disgustoso. Non ne ricordava il nome, ma era forte, ed era quello che le serviva per affrontare quella conversazione, se si poteva definire tale un monologo.
Stava giocando su un terreno sdrucciolevole, era il momento dell'all in*, svelando sé stessa più di quanto avesse intenzione di fare.
Ora come ora, non poteva mentire, perché non era emotivamente in grado di farlo in modo convincente.
Loki l'aveva toccata nel punto più debole della sua corazza, infilandosi nella sua coscienza come lei stava tentando inutilmente di fare con lui da molto tempo.
Stava fallendo, ma non gli avrebbe permesso di capirlo.
Khalida si asciugò le labbra, posando la bottiglia sul tavolo.
Loki seguì i suoi movimenti.
Non capiva quella voglia, quel bisogno, di cercare aiuto in quei liquidi dall'odore forte e nomi improbabili.
La storia che Khalida aveva sciorinato, lo aveva sorpreso e scosso più di quanto volesse ammettere con sé stesso.
Dentro di lui, ricordi lontani e feroci, alimentati da rabbia e rancore, riemersero con violenza.
Fu con cattiveria, che guardò a fondo negli occhi scuri di Khalida, ed infierì.
«Sei una bugiarda», la accusò, velenoso.
Lei sostenne il suo sguardo. «Perché dovrei mentire?», replicò. «Per suscitare la tua compassione?», aggiunse, lasciandosi sfuggire una risata secca. «Lo farei, se tu fossi sensibile a un tale sentimento».
Khalida si alzò, improvvisamente stanca di quella situazione.
Per una volta, voleva dimenticare chi era Loki, del fatto che poteva ucciderla con un dito solo, e forse anche senza.
Si chinò su di lui, avvicinando pericolosamente il volto al suo.
«Il solo motivo per cui mi dai della bugiarda, è perché sai che ho detto la verità», iniziò. «Ti sei riconosciuto nel mio racconto perché, se solo ti concentrassi meno su te stesso, scopriresti che là fuori ce ne sono a centinaia di storie così», gli soffiò in viso, cattiva e arrabbiata, resa audace dall'alcool che le scorreva nel sangue.
Loki contrasse i muscoli delle braccia ma qualcosa lo trattenne dal fare esplodere la sua rabbia. Con furore gelido, attese la prossima mossa di quella donna che stava oltrepassando ogni limite.
La guardò sparire dietro un'ansa della roccia, altezzosa come una dea.
Capì perché non l'aveva ancora uccisa, nonostante tutti gli affronti.
Anche se non era mai stata completamente sincera, Khalida non gli aveva mai mentito.
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*per chi non lo sapesse, l'all in è una mossa del poker, in cui un giocatore punta tutto il denaro in suo possesso.

Ripeto nuovamente che ciò che dico sul Tesseract è inventato. Dato che, dalle ricerche che ho fatto, pare non si sappia la sua esatta origine, ho voluto dare una mia spiegazione di questo manufatto. E sì, a me Odino non sta per nulla simpatico XD.
L'idea del nuovo inizio, cui Khalida aspira, l'ho estrapolata dal personaggio di Cat Woman ne "Il cavaliere oscuro: il ritorno" di Cristopher Nolan (uno dei più bei film degli ultimi dieci anni, soprattutto per la sceneggiatura).
E infine il tributo al primo Iron Man, con la citazione dei Dieci Anelli, di Bakaar e Raza. (se non l'avete visto, rimediate).

Spero, come al solito, che vi sia piaciuto il capitolo e che continuate a seguirmi.
Ringrazio Red_Sayuri, Martina e Black_Doll per aver recensito (vi risponderò entro stasera) e tutte le altre persone che stanno seguendo la storia o anche solo la leggono.
Alla settimana prossima.
Nicole
ps: non posso non chiederlo, come pensate che andrà avanti la storia? XD

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Come le orchidee ***


Eccomi qui con il capitolo 4.
Ringrazio infinitamente Red_Sayuri e Blackdoll per aver recensito lo scorso capitolo.

Buona lettura.




All'animata conversazione riguardo il Tesseract e il passato di Khalida aveva fatto seguito un lungo e rancoroso silenzio che aveva occupato l'angusto spazio della grotta come uno scomodo terzo inquilino.
Khalida sapeva che Loki stava solo attendendo il momento più opportuno per farle pagare caro il suo affronto e, anche se era consapevole di non essere in grado di prevedere le mosse dell'alieno, non riusciva a fare a meno di domandarsi in continuazione cosa si sarebbe inventato.
Si sforzava di rimanere tranquilla, ma faticava ogni minuto di più a mantenere il controllo.
Aveva voglia di muoversi, anche solo fare quattro passi l'avrebbe aiutata, ma lasciare la Bocca del Demone era fuori discussione.
Era sempre stata una donna dinamica, fisica. Restare immobile la stava logorando, ma non poteva lasciarsi andare. Non avrebbe permesso a Loki di vederla debole, gli aveva già concesso troppo.
Ora come ora, restare concentrata era la priorità, se voleva essere ancora viva alla fine della missione.
Un invisibile conto alla rovescia ticchettava nella sua testa.
Doveva tenere duro ancora venti giorni.
Per mantenersi in allenamento, come faceva ormai da molti anni, Khalida aveva l'abitudine di fare dei semplici esercizi di allungamento, per non permettere ai muscoli di perdere l'elasticità. Per farlo, sfruttava le prime ore della mattina, in cui la temperatura era ancora sopportabile.
Alla fine della sua abituale seduta, prese la piccola borraccia e ne bevve un lungo sorso, poi si versò il resto dell'acqua in testa, cercando un minimo di refrigerio dalla calura.
Si godette la sensazione dell'acqua sulla pelle per qualche istante.
Ancora con gli occhi chiusi, Khalida intuì subito l'istante in cui Loki le comparve accanto e non se ne stupì più di tanto.
Quando aprì gli occhi, vide che sul tavolo davanti a lei Loki aveva posato qualcosa.
Osservò con attenzione l'oggetto, cercando di capire a cosa assomigliasse.
Era un'asta lunga circa un metro e mezzo. Non era dritta, seguiva una forma lievemente curva, come se fosse un pezzo di un'enorme circonferenza. Il cuore centrale era di un materiale simile all'acciaio, lucidato a specchio, intorno a cui si aggrappava, risalendo a spirale, una filigrana di un materiale più scuro, dai riflessi azzurri. In cima, sostenuto da quella ragnatela di metallo, pulsava un cristallo oblungo, simile a quello che si trovava sullo scettro di Thanos.
Khalida capì finalmente dove aveva già visto una cosa del genere.
Sembrava una delle armi che i Chitauri avevano portato con loro durante l'attacco a New York, anche se la somiglianza era piuttosto vaga.
Passandosi una mano sul viso per asciugare le ultime gocce d'acqua ferme sulle guance, Khalida cercò gli occhi di Loki.
L'alieno appariva imperturbabile, il volto serio illuminato dalla luce del Tesseract.
Un campanello d'allarme risuonò nella mente di Khalida, come un istinto.
Qualcosa dentro di lei la avvertì che il momento era arrivato.
Stava per assistere alla vendetta di Loki nei suoi confronti.
«Cos'è?», domandò, deglutendo il disagio e cercando di non apparire turbata.
«Un'arma», rispose lui. «Per te», aggiunse.
Khalida per poco non rimase a bocca aperta. «Se non l'hai già notato, ho già abbastanza armi», replicò, aggressiva.
Era spaventata, più di quanto immaginasse.
Ciò che stava accadendo esulava da tutti i suoi piani o presupposizioni.
Loki ridacchiò brevemente, e scosse la testa. «Non come questa», osservò. «Prendila», ordinò poi, ritornando serio.
Khalida esitò solo un'istante, prima di ubbidire. Doveva recitare bene, e non far capire a Loki che era sulla difensiva.
Non appena la sua mano si chiuse intorno all'asta, che sembrava essere modella perfettamente per la sua mano, il cristallo rifulse d'un bagliore bluastro e fu attraversato da una scarica d'energia bianca.
Khalida avvertì un malessere alla bocca dello stomaco.
Qualcosa non andava, aveva la sensazione di valicare un confine finora inviolato da un essere umano.
Percepì la superficie dell'arma riscaldarsi, fino a raggiungere una temperatura gradevole.
Il metallo sembrava vivo, come se fosse di carne e sangue. Era esattamente la stessa sensazione che aveva provato nei brevi istanti in cui aveva tenuto in mano lo Scettro.
«L'hai creata tu?», domandò.
Loki la guardò come se avesse detto un'ovvietà e per la prima volta lei si sentì davvero stupida.
Aveva capito da sola che il Tesseract era perfettamente in grado di manipolare la materia. Creare quell'arma doveva essere stato facile come respirare, se veramente nel manufatto era contenuta tutta la sapienza di un popolo estinto.
«Cosa ci dovrei fare?», continuò Khalida, quando vide Loki voltarle le spalle e allontanarsi di qualche passo.
L'alieno si fermo a circa tre metri da lei. «Difenderti».
Una scarica d'adrenalina attraversò le vene di Khalida e il cristallo sulla sua arma brillò con più intensità. «Come, se non la so usare?», domandò, in un sussurro.
In fondo, conosceva già la risposta.
Loki non si fece attendere oltre, un sibilo crebbe dal nulla e Khalida fece appena in tempo a gettarsi di lato, rotolando sulla nuda terra. Una sfera d'energia disintegrò il tavolo dietro di lei.
Oltre la polvere, osservò il volto divertito di Loki.
Un sorriso le nacque spontaneo sulle labbra.
Sentì un'onda di energia attraversare l'asta fino al cristallo.
«Imparerai», disse Loki, prima di lanciarsi nuovamente all'attacco.

Come le orchidee, che quando sfioriscono sembrano morte, Loki era sempre stato in attesa, pronto a rinascere. Al momento più opportuno e meno aspettato, sarebbe tornato più forte di prima.
Khalida l'aveva pensato la prima volta che l'aveva visto, imbavagliato e incatenato nel laboratorio di Selvig.
Gli Avengers e Fury avevano imparato quella verità a proprie spese, con la perdita del Tesseract, e lei non aveva intenzione di fare la loro stessa fine.
La notte, mentre inquieta si rigirava sullo scomodo materasso, incapace di prendere sonno a causa delle troppe contusioni che subiva durante gli estenuanti combattimenti con Loki, cercava di percorrere i ragionamenti dell'alieno, per capire quale fosse il suo piano e il suo vero obiettivo.
Per adesso, aveva solo capito che voleva sfruttarla, nel senso più pieno del termine, per imparare a gestire al meglio il potere del Tesseract.
Era solo una cavia, o una vittima, dei suoi esperimenti.
Giorno dopo giorno, lo vedeva diventare più forte, più veloce e più imprevedibile.
Anche se lei era migliorata nell'uso di quell'arma aliena, che sembrava reagire ai suoi stessi pensieri ed alimentarsi della sua energia, faticava sempre di più a reggere gli allenamenti feroci cui Loki la sottoponeva.
Sbuffando, la donna si alzò di scatto dalla branda, gemendo per la fitta improvvisa al fianco, dove un taglio recente aveva probabilmente ricominciato a sanguinare.
Non avrebbe dormito, tanto valeva usare il tempo in un altro modo.
Rabbrividendo per l'aria fredda della notte, indossò una felpa sopra la canotta e si incamminò verso l'ingresso, che ormai era diventato una sorta di palestra.
Le pareti della grotta recavano le tracce degli scontri, come cicatrici.
Khalida poggiò la mano su una crepa recente, che lei stessa aveva aperto quella mattina, dopo che Loki l'aveva scaraventata contro il muro.
Anche se all'apparenza non si risparmiava, la donna sapeva che l'alieno stava sempre attento a non provocarle danni gravi, come fratture o commozioni cerebrali.
Lei era come un giocattolo, lo divertiva troppo usarla, per rischiare di romperla.
Strinse le dita intorno all'asta della sua arma.
Tra di lei, le piaceva chiamarla Match, fiammifero, per il modo in cui il cristallo brillava non appena la toccava.
L'ormai familiare onda di energia le attraversò i nervi, fino alla testa.
Non aveva idea di come funzionasse, o di che danni potesse provocare al suo fisico, ma le piaceva la sensazione di calore che le donava impugnarla. Si sentiva in grado di fare qualsiasi cosa.
Già da qualche giorno aveva capito che quell'energia, catalizzata dal cristallo, era manipolabile e che rispondeva ai suoi pensieri, alla sua forza di volontà.
Non era ancora in grado di usarla durante i combattimenti, ma aveva già ottenuto dei buoni risultati a riposo.
Focalizzò i propri pensieri su una sfera, e iniziò a convogliare l'energia.
Perle di sudore si formarono sulla sua fronte, mentre dal cristallo emergeva lentamente un globo di luce della grandezza di un'arancia.
Khalida lo lasciò fluttuare nell'aria per qualche secondo, poi lo lasciò andare con un sospiro.
Si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato.
«La cosa più patetica della tua razza...», iniziò la voce di Loki, alla sua destra.
La donna si voltò e lo vide avanzare lentamente, entrando nel cono di luce che filtrava dalla bocca d'areazione. Fuori, c'era la luna piena.
«È la totale incapacità di comprendere i vostri limiti», concluse l'alieno, ormai di fronte a Khalida.
Lei si rimise in piedi, reggendosi all'arma.
«Non sarai mai in grado di usarla», rimarcò Loki, con sarcasmo pungente.
«Perché me l'hai data, allora?», replicò Khalida.
Loki sorrise, e una fastidiosa sensazione di pericolo, ormai fin troppo familiare, corse nelle vene della donna.
«Perché grazie a questa, dovunque tu vada, io saprò rintracciarti».
Khalida non mostrò la sua sorpresa. «È una minaccia, o una promessa?», domandò, sollevando il mento con aria di sfida.
Loki la guardò negli occhi.
«Non faccio mai promesse».

Khalida rotolò a sinistra, schivando la punta dello Scettro che affondò per qualche centimetro nella terra, sollevando uno sbuffo di polvere.
Fece leva con le reni, rimettendosi in piedi. Mirò allo stomaco di Loki con la punta di Match, ma lui bloccò il suo gesto con lo Scettro, imponendo la propria forza. La donna rinunciò subito al confronto e guadagnò di nuovo una distanza di sicurezza.
Loki ridacchiò, e il familiare sibilo annunciò che il Tesseract era pronto a colpire, ma Khalida non si fece ingannare. Si voltò di scatto e fermò l'assalto di Loki incrociando l'asta della sua arma con lo Scettro.
Sorrise, mentre l'illusione alle sue spalle svaniva.
Anche se non sempre, riusciva a riconoscere le proiezioni astrali di Loki. Il trucco era osservare le ombre e i riflessi. L'aveva imparato a spese di troppi lividi ed escoriazioni, e non l'avrebbe dimenticato facilmente.
Loki la spinse lontano, e per un attimo sembrò guardarla con occhi diversi, quasi furenti.
Khalida non si concesse il lusso di pensare, ed attaccò, usando Match come se fosse un bastone, cercando di colpire Loki ai fianchi o dietro alle ginocchia, i punti più scoperti e dove avrebbe sentito più dolore.
Anche se non era un essere umano, a livello anatomico l'alieno non era diverso da lei, e Khalida intendeva dare fondo a tutti i trucchi più sporchi che conosceva per riuscire a strappargli almeno una smorfia di dolore.
Loki sembrò subire i suoi assalti limitandosi a difendersi.
In realtà, Khalida se ne accorse troppo tardi, l'alieno la stava costringendo in una trappola.
In una manciata di secondi, la donna si ritrovò con lo Scettro che premeva sulla giugulare e le spalle al muro. Con forza, Loki le premette il ginocchio contro il polso, costringendola ad abbandonare la sua arma con un gemito di dolore.
«Sei ripetitiva», la accusò lui. «Ieri hai fatto le stesse identiche mosse, e sei caduta nello stesso trucco», aggiunse, scrutandole gli occhi. Spinse di più lo Scettro e Khalida sentì che iniziava a mancarle l'aria.
Strinse i denti, deglutendo a vuoto.
Loki ascoltò, soddisfatto, il battito del cuore accelerato della donna. Lo sentiva pulsare attraverso il metallo dello Scettro. Gli sarebbe bastato un gesto, e Khalida sarebbe morta senza nemmeno rendersi conto di quello che stava succedendo.
Per quanto la prospettiva lo allettasse, non era ancora il momento.
La guardò negli occhi. Aveva un'adorabile aria da uccellino spaventato, il volto arrossato per il combattimento e la carenza d'ossigeno. Per essere un'umana, era tenace, di questo gliene dava atto. Loki allentò un poco la stretta. «Se vuoi sperare di battere il tuo nemico, devi sorprenderlo», sentenziò.
Khalida sollevò appena un sopracciglio, quasi sorpresa, poi ubbidì.
Scattò in avanti, coprendo la distanza tra il suo volto e quello di Loki.
Fu con foga, probabilmente dettata dallo spirito di sopravvivenza, che le sue labbra si scontrarono con quelle gelide dell'alieno.
Stupefatto, Loki lasciò immediatamente la presa sullo Scettro e Khalida ne approfittò per afferrarlo e allontanare da sé il Dio.
Entrambi con il respiro accelerato, i due si guardarono per un secondo che si dilatò fino ad occupare minuti interi.
«Ottimo suggerimento», disse Khalida, stringendo le dita intorno allo Scettro.
Loki fu velocissimo, la donna si sentì sbalzare nuovamente contro la parete, il corpo schiacciato da quello dell'alieno. La guardò solo per un'istante, prima di premere la bocca sulla sua.
Le dita di Khalida persero forza e lo Scettro cadde nella polvere con un tonfo secco. Esitò un momento, poi qualcosa dentro di lei si spezzò e ogni controllo andò in frantumi.
Ricambiò il bacio di Loki con vigore, affondando le mani nei suoi capelli, ubbidendo a un bisogno che non sapeva nemmeno di avere.
Il tempo perse importanza, fino a che Khalida non percepì un movimento con la coda dell'occhio.
Loki si allontanò impercettibilmente e la sua mano scattò, stringendosi intorno al collo di Khalida con forza inaudita.
Lei gemette, mentre leggeva dentro gli occhi cristallini dell'alieno la propria condanna a morte.
La pressione aumentò e l'aria sfuggì dai polmoni in un rantolo indistinto. La vista si sfocò e allarmanti luci le lampeggiarono dietro le palpebre.
Ormai sull'orlo dell'incoscienza, Khalida cercò lo sguardo di Loki.
Non sapeva perché lo stava facendo.
Chiedere perdono non sarebbe servito.
Forse sperava solamente che lui vedesse qualcosa per cui valesse la pena di salvarla.
Ma cosa potesse essere, Khalida non riusciva ad immaginarlo.
Nemmeno lei era in grado di spiegare ciò che era appena accaduto.
Loki mollò la presa di colpo, e Khalida scivolò lungo la parete, tossendo. Si accompagnò con le mani fino a mettersi seduta.
I polmoni le facevano male e i tendini del collo bruciavano.
Le sarebbero rimasti dei lividi per settimane.
Sollevò gli occhi, ma Loki non la guardò.
«È il secondo avvertimento, donna. Non ce ne sarà un terzo», disse e a Khalida sembrò che la sua voce fosse meno tagliente e più amara del solito.
Mentre lo guardava allontanarsi, Khalida seppe con certezza di essere riuscita nel suo intento.
Aveva ferito Loki.
E per farlo era bastato un bacio.
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Siamo a metà della seconda parte.
Non credo che questo capitolo abbia bisogno di molte spiegazioni.
Temo le vostre impressioni perché è, diciamo, un pochino audace. :-P
Naturalmente, mi sono inventata tutto quanto.


Alla settimana prossima.
Nicole

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Come la pioggia ***


Vi ringrazio infinitamente per il numero alto di letture e le recensioni!
Ci vediamo alla fine, buona lettura.



Il primo tuonò si sentì in pieno pomeriggio.
Rimbombò in lontananza e sembrò rimbalzare sulle pareti della Bocca del Demone come la pallina di un flipper.
Loki sollevò la testa, come se i suoi occhi potessero vedere oltre la roccia sopra di lui.
Chiuse gli occhi, respirando profondamente. L'aria fuori stava cambiando, caricandosi di umidità.
A breve, il temporale sarebbe iniziato.
Un secondo tuono, più vicino, gli riportò alla mente ricordi dolorosi, anche se lontani.
Allacciati ad essi, ce n'erano di molto più recenti.
Ignara, o forse noncurante, dei suoi pensieri, Khalida gli passò davanti, gli occhi chini su uno strumento elettronico di cui Loki non conosceva la funzione.
Al suono del terzo tuono anche lei si fermò, sollevando gli occhi verso l'alto.
Un lieve sorriso, tremendamente irritante al parere di Loki, le spuntò sulle labbra.
Sul collo, Khalida ostentava dei grossi lividi neri, e Loki strinse i denti rammentando.
Il giorno prima, c'era quasi riuscita.
Preda della rabbia, era stato a tanto così dall'ucciderla.
Anche se non rinnegava nessuna delle sue azioni passate, Loki sapeva che ripercorrere la strada della rabbia cieca e del dolore, non avrebbe fatto altro che riportarlo dritto in una gabbia. Se voleva ottenere ciò che desiderava, doveva spogliarsi anche delle ultime briciole di sentimenti che gli erano rimasti.
Il Tesseract lo stava aiutando, la sua natura incredibilmente superiore lo distraeva da qualsiasi altra cosa, portandolo molto spesso ad avere momenti di vuoto assoluto, in cui solo l'energia del Cubo scorreva dentro di lui, impedendogli di sentire qualsiasi altra sensazione.
E ora che ci stava riuscendo, quella donna aveva deciso di mettersi in mezzo.
Non credeva che il suo gesto fosse mosso da sentimenti sinceri, ma anche se lo fosse stato, non gli sarebbe interessato.
Essere l'oggetto dell'affetto di un'umana, gli era del tutto indifferente.
In realtà la sua rabbia era stata scatenata da altro, da un insieme di ricordi che, nonostante tutto, gli premeva come un grumo di sentimenti dritto sullo sterno.
Quel contatto intimo, per quanto insignificante, gli aveva portato alla mente la successione di eventi che l'aveva condotto fin lì. Eventi che aveva seppellito a lungo, ma che ora tornavano prepotentemente alla luce.
Anche se forse nessuno gli aveva mai creduto, aveva voluto bene a Thor e ad Odino.
Li ammirava, anche se ne percepiva i difetti, e molto spesso detestava sé stesso per non essere come loro. Quando aveva capito che non lo sarebbe mai stato, che non avrebbe mai potuto esserlo, si era ripromesso che sarebbe stato meglio. Che la sua gloria avrebbe fatto impallidire la loro.
Ma aveva fallito.
Odino glielo aveva detto chiaramente, con quel “no” pronunciato come una sentenza, sul Bifrost in pezzi.
Il tempo successivo alla sua caduta nel vuoto, l'alleanza con Thanos, la febbre del potere dello Scettro, erano ricordi confusi e offuscati da una rabbia da cui aveva iniziato ad emergere solo durante la prigionia ad Asgard.
Respirò a fondo, sentendo un nuovo flusso d'energia penetrare nel suo corpo.
Faticava ancora a gestire il potere del Cubo, non era in grado di trattenere la maggioranza dell'energia che assorbiva e troppo spesso era costretto a lasciarla andare, per non rischiare di saturare il proprio corpo con effetti decisamente poco piacevoli.
Per quello usava la donna, per riuscire a capire come catalizzarla, controllarla e immagazzinarla.
Era migliorato, ancora qualche giorno e avrebbe potuto abbandonare quella farsa, smettere di tollerare l'insulsa presenza di Khalida e terminare quella parentesi di infelice convivenza.
Avrebbe ucciso Khalida e sarebbe sparito, fino al momento più opportuno al suo ritorno.
Come, in fondo, tutti si aspettavano che facesse.
Non si sfugge alla propria natura.
Anche se Loki aveva pronunciato quella frase come una semplice constatazione, dentro di lui la sentiva più come una condanna, più pesante del giudizio di Odino, di Asgard, o di qualsiasi essere vivente.
Una prigione ben più terribile di quella in cui era stato confinato dal Padre degli Dei o dallo S.H.I.E.L.D.
E Loki aveva sempre detestato le costrizioni, gli obblighi, le imposizioni, anche se provenivano da sé stesso.
Un nuovo tuono, questa volta vicinissimo, lo strappò definitivamente alle sue riflessioni.
Conosceva il suono che annunciava l'arrivo di Thor, e quelle deboli scariche d'elettricità non avevano niente a che fare con quelle generate dal Mjolnir. Non aveva motivo di preoccuparsi.
Grazie al Tesseract era impossibile che Heimdall riuscisse a vederlo e comunque il guardiano, da Asgard, non avrebbe potuto avvisare Thor, che si trovava ancora sulla Terra.
Dubitava che Odino avesse ancora assi nella manica per permettere al figlio di tornare a casa.
Khalida gli passò di nuovo accanto, sempre con quella insolita espressione serena sul volto.
Si diresse con passo calmo verso la scala di metallo che si arrampicava lungo la roccia della grotta.
«Dove vai?», la fermò Loki, alzandosi.
Lei si voltò. «Ad aprire la cisterna per l'acqua piovana. Tra poco si scatenerà un temporale con i fiocchi, meglio fare scorta», spiegò, iniziando a risalire la scala sconnessa.
In pochi secondi sparì al di fuori della porticina di metallo.
Contemporaneamente, Loki percepì l'umidità raggiungere il culmine e, aiutata dalla scarica elettrostatica di un fulmine, una cortina d'acqua calò sul deserto.
Guardò di nuovo la porta.
Decise che, anche se Khalida avesse deciso di fuggire, non gli sarebbe importato più di tanto.
Dopotutto era solo una donna.

Il buio era calato già da diverso tempo quando Loki riemerse dalla meditazione che gli permetteva di estrarre il sapere contenuto nel Tesseract.
Era come se un mondo inesplorato e sconosciuto gli si spalancasse davanti agli occhi.
Conoscenze che gli asgardiani, in tutto il loro fulgore tecnologico, non avrebbero mai compreso. Vette di conoscenza cui nemmeno gli Dei sarebbero mai giunti.
Lui solo ne era capace, attraverso quel manufatto così piccolo.
Il monito di usare quelle conoscenze per ricostruire quel mondo perduto era sempre presente, e diventava perfino pressante nelle sedute di studio più lunghe, ma ormai Loki ci si era abituato.
Avrebbe adempiuto al suo compito, e in cambio avrebbe ricevuto tutta quella sapienza, e il potere per fare qualsiasi cosa. Era un prezzo accettabile.
Fuori il temporale infieriva, continui lampi illuminavano l'interno ormai buio della grotta.
Loki si rese conto di essere solo.
La donna non era ancora rientrata, eppure, se si concentrava, riuscire a sentire la sua presenza poco lontano. Sembrava essere ancora sul tetto.
Sospirando, Loki socchiuse gli occhi.
Una luce dorata lo avvolse e in un battito di cuore si ritrovò all'esterno.
L'acqua lo investì con violenza, ma non ci fece caso. Non sentiva freddo.
La pioggia cadeva con intensità e un vapore tiepido si sollevava della rocce che lentamente rilasciavano il calore accumulato durante i giorni assolati.
«Cosa ci fai qui?», domandò la voce di Khalida, con astio.
Loki si voltò e la vide, seduta su una sporgenza della roccia, qualche metro sopra di lui.
«Potrei farti la stessa domanda».
«Come passo il mio tempo non è affar tuo», replicò lei.
«Decido io cosa è affar mio», ribatté l'alieno, piccato.
Khalida si alzò.
Era bagnata fradicia, i vestiti ridotti a una sottile pellicola sul corpo longilineo. I lunghi capelli neri grondavano acqua e le si arrampicavano in complicate ragnatele sulle guance, la fronte e le spalle.
Loki la avvicinò, deciso a porre fine a quella sua arroganza così fuori luogo.
Solo allora si accorse che il volto della donna non era bagnato solo di pioggia.
Poteva perfino sentirne l'odore.
Stava piangendo.
Lo stupore di Loki superò presto le sue barriere di controllo e si ritrovò a domandare: «Perché piangi?», con una voce che non gli sembrò nemmeno la sua.
Khalida scattò, come se si fosse scottata e lo fissò negli occhi.
«No», disse semplicemente.
Loki sentì nuovamente la rabbia montare. «Pensi di essere nella posizione di negarmi qualcosa?», la aggredì.
Khalida sostenne il suo sguardo. «Evidentemente, sì».
Loki la afferrò per un braccio, torcendoglielo dietro la schiena.
Lei non si lasciò sfuggire un lamento.
Strinse i denti. «Te l'ho già detto, Loki. Smettila di comportarti come se fossi l'unico essere dell'universo ad avere il diritto di soffrire», infierì.
Loki perse il lume della ragione. Khalida si sentì afferrare e scaraventare lontano.
Fortunatamente, riuscì ad evitare un impatto troppo duro con la roccia. Rotolò più volte su sé stessa, graffiandosi le mani e il volto. Percepì che la canotta si era strappata all'altezza dell'ombelico in corrispondenza con un nuovo taglio sanguinante.
Si rialzò in piedi a fatica.
Loki sembrava perfino sorpreso di sé stesso, la rabbia feroce nei suoi occhi era diventata improvvisamente un dolore freddo come il ghiaccio.
Raggiunse Khalida con pochi passi pesanti.
«Credi di sapere quello che ho passato solo perché l'hai letto su un fascicolo? Non sai niente di me, donna», le urlò in faccia.
«Non sono così stupida da credere a ciò che leggo nei fascicoli dello S.H.I.E.L.D.», rispose lei. Non temeva per la sua vita. Se Loki avesse voluto veramente ucciderla, l'avrebbe fatto il giorno prima. C'era qualcosa, anche se non capiva cosa, che lo tratteneva.
Loki evitò gli occhi consapevoli e penetranti di Khalida.
Per un attimo la donna ebbe la sensazione che anche quelle sul volto di Loki non fossero solo gocce di pioggia.
Provò l'istinto di toccarlo, ma non lo fece.
«Quello che so di te, l'ho visto nei tuoi occhi», disse, attirando di nuovo lo sguardo dell'alieno su di sé.
«Tu non sai niente», rimarcò lui, a denti stretti.
Khalida si disse che era il momento di giocare il tutto per tutto. «Allora spiegami», mormorò.
Sapeva che era una richiesta destinata a non venire soddisfatta, solo pochi istanti prima lei gli aveva negato la stessa identica cosa. Non poteva aspettarsi che Loki si aprisse.
Per quanto brava fosse, lui non era mai stato una persona collaborativa.
Probabilmente questa volta ne sarebbe uscita con qualche frattura, ne era certa.
Sperava solo che Loki non le facesse abbastanza male da allertare lo S.H.I.E.L.D., quello sarebbe stato veramente un peccato.
Loki sembrò sorpreso dalle parole di Khalida e la donna vide accalcarsi decine di sentimenti diversi dietro i suoi occhi trasparenti.
Un silenzio pesante e innaturale cadde improvvisamente su entrambi.
Khalida si guardò intorno spaesata, le sembrò di essere immersa in un mare d'acqua nera e gelata.
Una luce, in un punto indefinito davanti a lei, danzò per qualche istante. Il paesaggio cambiò lentamente, fino a mostrare l'interno di una struttura in pietra distrutta, scoperchiata da chissà quale cataclisma. Il pavimento era disseminato di corpi alieni e deformi. Grosse pozze di sangue denso e nero si allargavano nella neve che ormai aveva perso tutto il suo candore.
Khalida osservò stranita i sottili fiocchi di neve danzarle davanti agli occhi, uno le si posò sulla guancia e lei avvertì un freddo pungente.
Poco distante, vide un guerriero avanzare a passo lento in mezzo ai cadaveri.
Khalida lo riconobbe quasi subito, nonostante l'armatura imponente: era Odino.
Il Padre degli Dei sembrava cercare qualcosa in mezzo a tutta quella morte.
Fu allora che Khalida lo sentì.
Nel silenzio di ghiaccio, si sentiva il vagito di un neonato.
Khalida si affrettò a seguire Odino, lo affiancò nella sua ricerca fino a raggiungere la fonte di quel pianto.
In confronto ai corpi immensi degli alieni sparsi per terra, quel bambino sembrava poco più di un uccellino, eppure piangeva con forza inaudita, tirando il volto dalla pelle bluastra e stringendo i piccoli pugni.
Khalida conosceva quello disperato spirito di sopravvivenza.
Odino si chinò e prese in braccio il bimbo, che calmò immediatamente il suo pianto.
Al tocco dell'asgardiano, la pelle del piccolo mutò, diventando rosea e liscia. Le iridi rosso intenso vibrarono, per poi sfumare in un verde cristallino.
Khalida lo riconobbe immediatamente.
«Loki», si scoprì a mormorare.
L'illusione, o il ricordo, svanì risucchiato da una luce abbagliante.
Ora Khalida si trovava ad Asgard, in una stanza che aveva l'aria di essere un'arsenale.
Odino si rivolgeva a due ragazzini, aveva una mano sulla spalla di ciascuno.
“Entrambi siete nati per essere re”, disse.
A Khalida girò la testa, mentre la stanza intorno a lei vorticava nuovamente.
Adesso stava davanti a Loki, ormai adulto, e Thor, agghindato come un re.
Davanti a loro, un braciere sollevava lente volute di fumo.
“Certo, alcuni combattono, altri usano dei trucchi”.
Lo scherno di Thor si spense, e altre frasi e immagini frammentate si accalcarono nella mente di Khalida, provata fino al limite delle sue capacità di mortale.
“Sta al tuo posto, fratello”.
Di nuovo la sala delle armi.
“Pensavo che avremmo potuto unire i regni... attraverso te”.
“Non sono altro che una reliquia rubata”.
“Sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli”.
“Hai sempre preferito Thor a me, perché, nonostante tu affermi di amarmi, non avresti mai potuto accettare un Gigante di Ghiaccio sul trono di Asgard”.
Il volto materno e affettuoso di Frigga.
“Ti ha tenuta nascosta la verità perché tu non ti sentissi mai diverso”.
Uno strappo allo stomaco, un vortice confuso di nuovi ricordi.
Lacrime in bilico tra le ciglia.
“Volevo solo essere tuo pari”.
“Loki, questa è demenza!”.
“Ci sarei riuscito Padre!”.
“No, Loki”.
Con un sensazione simile all'annegamento, Khalida si sentì riemergere da quei ricordi tramutati in illusioni.
Aveva la nausea e le guance bagnate di lacrime e pioggia.
Il temporale infuriava ancora e un lampo le ferì gli occhi, illuminando il volto di Loki davanti a lei.
Lui non le avrebbe mai creduto, ma lei capiva, e dove non poteva farlo, avrebbe accettato.
In fondo era vero. Lei e Loki erano molto più simili di quanto immaginasse.
Fece un passo in avanti, prendendo il volto di Loki tra le mani.
Sotto le dita sentì lacrime fredde come la pioggia.
Lo baciò, senza domandarsi il perché o il motivo.
Non era un gesto d'amore, né d'affetto.
Era comprensione, accettazione, e forse anche perdono.
Loki rimase immobile, forse sorpreso.
Lentamente, portò una mano al viso di Khalida, e la toccò per la prima volta senza alcun secondo fine. Senza sfida, o volontà di ferirla.
La pelle della donna era fredda, quasi quanto la sua.
Il dolore dei ricordi gli lacerava la mente e il cuore, lo sentiva come se anche l'aria ne fosse satura.
Ricambiò il bacio di Khalida con la disperazione del naufrago che cerca l'ossigeno tra le onde.
Khalida si aggrappò a lui con più forza, e sentì un dolore antico e sconosciuto nel petto, una sensazione dimenticata tra le pieghe del suo animo.
La solitudine che si portava dietro da quando era nata, e che dopo la sua fuga era diventata sempre più grande, mordeva e graffiava le pareti del suo cuore, ansiosa di essere, finalmente, sfamata.
Era infantile e crudele allo stesso tempo.
Loki era l'ultima persona nell'universo che avrebbe potuto fare una cosa del genere, eppure era l'unico che ci stava riuscendo.

Khalida si svegliò lentamente, emergendo dal sonno come fluttuando in una nuvola di neve e ghiaccio.
Si toccò il braccio.
Era ancora nuda, e faceva molto freddo. Una fastidiosa pelle d'oca le increspava la pelle.
Strinse il misero lenzuolo al petto e si sollevò su un gomito.
Non era stata la temperatura a svegliarla.
Loki si era alzato. Le dava le spalle, in piedi accanto alla branda, completamente vestito.
Gli osservò la schiena.
«Vuoi ancora sapere perché piangevo, sul tetto?», domandò.
«Non faccio domande inutili», replicò lui, senza voltarsi.
Khalida sospirò, poi si stese di nuovo, abbandonando la testa sul cuscino.
Chiuse gli occhi.
«Non ho tradito il mio paese senza un motivo», iniziò, bagnandosi le labbra. «Per anni ho svolto il mio lavoro. Torturato, interrogato e ucciso persone che non erano né meglio né peggio di me. Assassini, terroristi, signori della guerra, per me non faceva differenza. Non avevo mai avuto rimorsi. Nessuno di loro si meritava di vivere».
Khalida si interruppe, stringendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime.
Fuori, aveva smesso di piovere.
«Poi mi assegnarono un caso importante, complicato. Una cellula terroristica aveva messo a segno un grande attentato, riuscendo ad uccidere un pezzo grosso del governo, insieme a diversi suoi collaboratori. L'unica persona che i servizi segreti erano riusciti a catturare era una ragazza di sedici anni, la figlia del capo della cellula, che era morto nell'attentato suicida.
Me l'affidarono, dovevo scoprire tutto quello che sapeva, nomi, ruoli, progetti, ogni cosa.
Quando la vidi per la prima volta era come un animaletto spaventato. I soldati l'avevano trattata come una criminale, era stata picchiata e umiliata.
Aveva sedici anni, ma ne dimostrava molti di meno.
Si chiamava Manaar.
Capii perché avevano scelto me. Ero l'unica donna dell'unità ed era logico che una ragazzina che aveva perso i suoi genitori si sarebbe fidata più di una figura femminile che di un uomo.
Quello che non avevo preventivato, erano i miei sentimenti.
Manaar mi assomigliava molto, la mia storia era simile alla sua e potevo vedere dentro i suoi occhi la mia stessa rabbia e lo stesso dolore per essere stata abbandonata dalle persone che dovevano proteggerti. Mi affezionai a lei e lei a me.
In un mese di interrogatorio, scoprii tutto quello che Manaar sapeva, cioè niente.
Suo padre le aveva voluto abbastanza bene da non coinvolgerla mai nelle attività della cellula.
La rassicurai, dicendole che quando avrei fatto rapporto ai miei superiori, l'avremmo lasciata andare.
Pianse sulla mia spalla come una bambina, anche se ormai non lo era più.
La mattina seguente riferii ciò che avevo scoperto.
I miei superiori reagirono in un modo che non mi aspettavo: se la ragazza non sapeva niente, era inutile tenerla in vita.
Il governo voleva qualcuno da punire, un innocente non serviva a niente.
Come tante volte prima di allora, mi venne dato l'ordine di terminare il mio incarico con un omicidio».
Khalida si passò distrattamente una mano sul braccio, seguendo il profilo dei tatuaggi lievemente in rilievo sulla pelle.
«L'hai fatto?», domandò Loki.
Lei voltò gli occhi. L'alieno si era girato e la guardava fisso. Probabilmente stava tentando di capire se stesse mentendo o meno.
«Ci pensai seriamente. Decisi che non avevo altra scelta. Che era solo un ordine come un altro. Ma quando arrivò il momento di premere il grilletto, non ce la feci.
Le volevo bene, ma non era quello il motivo principale.
Manaar non meritava di morire.
Sparai alle guardie e, sfruttando le mia conoscenza della prigione, la feci fuggire.
Eravamo arrivate nel cortile, mancavano pochi metri quando le vedette ci avvistarono e ci scaricarono contro raffiche di proiettili.
Io rimasi illesa, Manaar venne colpita al torace.
Riuscii a trascinarla al riparo, ma non potevo fare più niente per lei, era già morta.
Fuggii e per uno strano scherzo del destino sono riuscita ad evitare la vendetta delle persone troppo potenti che avevo sfidato fino a pochi mesi fa, ma alla fine mi hanno trovato e mi hanno quasi uccisa. È stato allora che mi sono rifugiata sotto le ali di Fury.», le parole sgorgavano dalle labbra di Khalida come un fiume in piena. Nemmeno agli agenti dello S.H.I.E.L.D. che avevano documentato la sua storia aveva parlato così. Si era limitata a rispondere alle loro domande.
La donna si mise seduta, nascondendosi dietro i capelli neri.
«Sin da quando ero una bambina, sono stata forte. Non piango mai. Nemmeno per la morte dei miei genitori ho versato una sola lacrima. Solo quando piove, mi concedo di farlo, così almeno non lo faccio da sola. Quando ci riesco, lo faccio solo per Manaar, per la sua vita che se è andata a discapito della mia», concluse, sospirando. «Avevi ragione, sono una bugiarda, non saresti stato il primo prigioniero a morire sotto la mia custodia».
Il silenzio divenne pesante, Khalida immaginò che Loki se ne fosse andato, ma non ebbe il coraggio di controllare.
Iniziò a rivestirsi in fretta, scalciando via il lenzuolo e i rimpianti.
Quando infilò la felpa, un filo si impigliò nell'anello che portava all'anulare.
Lo guardò a lungo, con una terribile sensazione di deja-vù.
«Perché mi hai raccontato tutto questo?», le chiese la voce di Loki.
Lei cercò i suoi occhi.
Erano tornati calmi e immobili come al solito.
Niente indicava che qualcosa fosse cambiato, eppure lei lo sentiva, nel freddo di lui ancora sulla pelle, sulle labbra.
«Perché meritavi la verità», replicò.
Loki annuì appena per accettare la sua risposta, poi si voltò e si allontanò con passo misurato e calmo.
Khalida si guardò le mani escoriate.
Se aveva mai avuto una possibilità di uscire viva da quella missione, ormai se l'era giocata.
Quando Loki avrebbe scoperto del suo tradimento, l'avrebbe uccisa.
E Khalida aveva la consapevolezza, pesante sullo stomaco, che se lo sarebbe meritato.
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Capitolo pesantissimo, lo so.
Spero comunque che vi sia piaciuto.

Alcune precisazioni.
Tra Loki e Khalida E' successo, effettivamente, ma non è detto che significhi qualcosa.
Le parti in corsivo dell'illusione di Loki sono prese parole per parola da "Thor", inserendo anche una delle scene eliminate.
Adesso conosciamo anche l'ultimo segreto di Khalida.
Tenete conto che la storia è praticamente finita, mancano due capitoli, e l'epilogo.
Detto ciò, ci vediamo la settimana prossima.

Nicole

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Come un castello di vetro ***


Eccomi qui con il sesto capitolo.
Non ho molto da dire, ci stiamo avvicinando alla conclusione e credo che si capisca dal tono che i capitoli hanno presto. questo sarà l'ultimo relativamente "calmo"...
Ci vediamo a fine capitolo.



Khalida non aveva mai pensato seriamente alla sua vita fuori dall'istituto dove il governo l'aveva parcheggiata all'età di quattro anni. In una sorta di meccanismo di autodifesa, aveva sempre creduto che sarebbe rimasta tra quelle polverose mura per sempre, prigioniera della routine cui i suoi genitori l'avevano condannata.
La realtà le si era imposta quando, alla soglia dei quattordici anni, le era stato comunicato che l'istituto non poteva più ospitarla.
In quel paese straziato dalla guerra e dagli stupri, c'erano troppi orfani e troppe poche adozioni.
Sprofondata in uno stato molto simile alla disperazione, Khalida aveva soppesato per giorni interi le sue opportunità.
Le cellule terroristiche accoglievano volentieri giovani sbandati, ma lei non aveva intenzione di seguire le orme dei suoi genitori. Avrebbe potuto vivere per strada, ma sapeva di non avere la durezza necessaria, era troppo compassionevole nei confronti dei più deboli. Non sarebbe mai riuscita nemmeno a rubare un pezzo di pane per sfamarsi, considerando che le uniche vittime dei suoi furti sarebbero state persone sfortunate quanto lei.
La carriera militare non l'aveva mai presa in considerazione. Non era una persona violenta, detestava fare del male anche ad un cane troppo invadente e quando troppe volte aveva difeso i bambini più piccoli dai bulli, ne era uscita con molti lividi e qualche frattura, pur di non reagire.
Ma quando quel reclutatore dell'esercito, bellissimo nella sua divisa perfettamente pulita, era venuto a visitare l'istituto, Khalida era rimasta affascinata dalla rigida disciplina, dall'ordine maniacale, dalla definita linea di comando.
A confronto con il caos violento e anarchico della sua infanzia, l'esercito le era apparso la sua strada, la sua vocazione e la sua redenzione.
Era un mondo con delle regole precise, che non andavano infrante.
Sentì che avrebbe potuto trovare finalmente uno scopo, scrollandosi di dosso l'infamia dei suoi genitori, servendo il suo paese e combattendo persone che avrebbero tentato ogni giorno di creare orfani come lei.
Con la cieca speranza dell'adolescenza, Khalida si era gettata anima e corpo nell'accademia, lasciando che la sua natura venisse stravolta dall'addestramento, plasmata dalla disciplina e contaminata dalla violenza. Quando era stato chiaro che, a causa dei suoi limiti fisici, Khalida non avrebbe mai potuto essere un soldato esemplare, aveva accettato di entrare a far parte dei servizi segreti e con anni di studi si era specializzata nella psicologia del prigioniero. Al suo attivo, nonostante la giovane età, aveva due lauree, una in criminologia, l'altra in psichiatria, più una specializzazione riguardante la tortura, in particolare le reazioni della psiche alle sue forme più svariate.
Anche se malvista per il fatto di essere musulmana, Khalida era di fatto l'agente più istruito e preparato di tutta la sua divisione.
Nessun caso che le era stato affidato era finito con un fallimento, prima di Manaar.
Ora, Khalida si sentiva come se tutto stesse ricominciando da capo.
Sin da quando Loki aveva ricambiato il suo bacio per la prima volta, sotto la pelle le si era infilato qualcosa di molto simile al senso di colpa.
Una sensazione che aveva sepolto a lungo dentro di lei, tanto da risultarle del tutto inedita.
Intrattenere relazioni intime con i propri obiettivi non era proibito dalle regole comportamentali dello S.H.I.E.L.D. Anche se non era considerata la linea ufficiale di azione, quando poteva portare alla conclusione della missione, era una pratica accettata, se non incoraggiata.
I rimorsi che Khalida stava fronteggiando non erano dovuti al fatto che era venuta meno alla sua etica professionale, ma a quella che si era imposta come essere umano. Per quanto potesse sembrare assurdo, lei ne aveva sempre avuta una.
Per tutta la sua carriera aveva avuto a che fare con uomini che non erano nemmeno degni di essere chiamati tali. Con loro Khalida non si era mai finta ciò che non era.
Anche se era stata addestrata all'arte della manipolazione e dell'inganno, con tutte le sue vittime non era mai stato necessario metterla a frutto.
Con gli uomini di violenza aveva sempre parlato la loro lingua, avendo successo la maggioranza delle volte. Era inutile utilizzare i sentimenti, con uomini che non ne provavano.
Con Loki le cose erano state fin da subito diverse, e adesso Khalida sapeva di aver oltrepassato il limite. Stava camminando sul difficile terreno dei sentimenti, delle emozioni e della fiducia, utilizzando e torcendo ogni sfumatura del proprio comportamento e delle proprie azioni.
Ma ormai era così dentro la propria finzione che stava iniziando a capire quanto non lo fosse.
C'era una parte, dentro di lei, che si fidava veramente di Loki, in modo masochista ed illogico.
Per lavoro aveva mentito ed ucciso, al servizio di bugiardi ed assassini peggiori di lei*, ma Khalida aveva sempre detestato la falsità, soprattutto con sé stessa.
Non poteva mentirsi.
Quando aveva accettato la missione si era detta che per riappropriarsi della sua vita avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma ora le sue certezze vacillavano.
Quello che stava facendo, non era più giusto.
Tra lei e Loki c'era qualcosa, un rapporto che non era più quello di un prigioniero con il suo carceriere. Non sapeva definire esattamente cosa fosse, ma esisteva, anche se era fragile come un castello di vetro costruito su un lago ghiacciato.
Al minimo sussulto, tutto sarebbe andato in frantumi, e Khalida era certa che quella che si sarebbe fatta più male sarebbe stata lei.
Quel castello l'aveva costruito lei con le sue mani, e adesso c'era imprigionata dentro, vittima della sua stessa strategia. L'unico modo per uscirne era distruggerlo, tagliandosi le mani e il cuore.
Lentamente, Khalida scivolò sott'acqua, lasciando che si chiudesse sopra di lei, il silenzio divenne soffocante e intenso.
Tutti quelli che consideravano Loki degno di biasimo non si erano mai preoccupati di dimostrarsi migliori di lui. Lei stessa non era stata altro che una bugiarda manipolatrice quanto lui.
Non aveva mai davvero considerato la sua vita più degna di quella di Loki, e non poteva più fingere il contrario.
Non che temesse per la sua sicurezza, Loki era perfettamente in grado di difendersi. Se lo S.H.I.E.L.D. fosse piombato a sorpresa, dubitava che sarebbero riusciti a catturarlo.
No, quello che la preoccupava era il fatto che lei sarebbe diventata l'ennesima persona ad averlo preso in giro, ad aver finto dei sentimenti non sinceri.
Loki non se lo meritava, non da lei.
Le aveva salvato la vita due volte, senza avere in cambio niente.
Era un gesto che aveva sempre trascurato, volutamente. Da subito quella consapevolezza le aveva turbato la coscienza che da anni seppelliva dentro di lei.
Non voleva più ignorarla.
Che lui non fosse il mostro sanguinario dipinto dai media e dagli stessi Vendicatori, l'aveva già capito da tempo, forse dalla prima volta che l'aveva visto.
Lei con i veri mostri ci aveva avuto a che fare.
E adesso, un peso le schiacciava il respiro ogni volta che lui la guardava.
Loki non la considerava una minaccia, tollerava la sua presenza, niente di più, convinto di avere il controllo della situazione.
Dimostrargli che in realtà lei non aveva mai smesso di essere un'agente che doveva interrogarlo, che si era fidata di lui solo perché il suo ruolo glielo imponeva, non perché lo ritenesse degno, la faceva sentire una persona orribile, più di tutte le altre azioni ignobili che aveva compiuto in tutta la sua vita.
Khalida riemerse di colpo dall'acqua, aggrappandosi ai bordi di metallo della tinozza e lasciando che rivoli d'acqua le scorressero negli occhi. Respirò profondamente per espandere i polmoni che aveva privato di ossigeno per troppo tempo.
Si scostò i capelli dagli occhi con un gesto secco, rabbrividendo per lo spiffero umido che proveniva dalle profondità della grotta.
Khalida sapeva cosa doveva fare, come l'aveva saputo con un istinto primordiale non appena aveva puntato la pistola contro Mannar, troppo tempo prima.
Il problema era che stava per scendere a patti con il suo senso di giustizia a discapito, con ogni probabilità, della sua stessa vita.
Forse Loki aveva ragione.
Era una stupida e debole sentimentale come tutti gli altri esseri umani.
Facendo leva sulle mani, Khalida si mise in piedi nella tinozza, avvolgendosi nell'asciugamano.
Lo sguardo le cadde sugli abiti che aveva abbandonato per terra.
Quelle riflessioni non avevano senso.
Aveva già deciso.
Con pochi gesti bruschi, fece cadere a terra l'asciugamano e indossò l'armatura asgardiana.
Il cristallo in cima a Match si illuminò non appena strinse le dita intorno all'asta di metallo.
La sua luce intensa e pulsante, le diede un minimo di incoraggiamento.
Sul fondo della tinozza, come un presagio, l'anello con all'interno il segnalatore brillò, colpito da un raggio di sole.

«Agente Barton!», chiamò un giovane analista, alzandosi dalla sua scrivania.
Clint sollevò lo sguardo dalla registrazione dell'ultima perlustrazione aerea della zona.
«Sì?», domandò.
«L'ultimo pacchetto di dati proveniente dall'agente Sabil è... preoccupante, signore», spiegò il ragazzo, portandosi una mano alla nuca con fare imbarazzato.
«Definisci preoccupante», lo incitò Barton.
L'analista deglutì. «Bé, la posizione del GPS è rimasta identica, ma i segni vitali...», la voce tentennò ancora.
Clint si spazientì. «Per la miseria, agente! Cosa diavolo è successo?», sbottò, alzandosi in piedi.
«I segni vitali sono spariti», concluse l'analista.
Occhio di Falco si immobilizzò per una frazione di secondo.
«Cosa significa?», domandò la voce di Rogers, dietro di lui.
Il capitano lo aveva raggiunto da qualche giorno nella base di monitoraggio nel deserto, in previsione del recupero dell'agente Sabil fissato per tre giorni dopo.
Clint si passò una mano sul viso, prima di premere un tasto sull'auricolare.
«Significa guai, Cap», rispose, voltandosi verso il compagno.
“Sì, agente Barton?”, rispose contemporaneamente la voce piatta dell'agente Hill all'altro capo dell'auricolare.
“Devo parlare con il Direttore”.
“Vi metto subito in contatto”, annuì la donna, premendo una sequenza di tasti.
“Spero che abbia un buon motivo per svegliarmi a quest'ora, agente”, sbottò la voce roca di Fury dopo qualche istante.
Barton alzò gli occhi al cielo. “Sissignore”, iniziò. “Il trasmettitore dell'agente Sabil ha smesso di inviarci i suoi segni vitali. La missione potrebbe essere compromessa, signore”.
Fury si fece immediatamente più attento.
“Da quanto tempo non ricevete i suoi dati?”.
Barton consultò il computer davanti a lui. “Un'ora fa era tutto regolare, pochi minuti fa è arrivata la nuova trasmissione, vuota”.
“La posizione?”.
“Invariata, signore”.
Fury sospirò pesantemente. “Intervenite immediatamente”, ordinò, e il suo tono cupo lasciava intuire che il Direttore era preoccupato.
“Come dobbiamo comportarci con l'agente Sabil?”, chiese Clint, facendo un gesto al suo secondo.
“Al primo segno di tradimento, siete autorizzati a sparare”, sentenziò Fury. “Buon lavoro agente”, concluse, chiudendo la comunicazione.
Clint guardò negli occhi Rogers, che aveva ascoltato tutta la conversazione.
Il Capitano si alzò.
«Meglio che metta l'armatura».

Loki non capiva.
Aveva perfino attinto alla sapienza del Tesseract, ma ovviamente il manufatto non era stato creato per rispondere a interrogativi tanto inutili e trascurabili. Eppure, la sua mente lavorava frenetica, elaborando decine di domande, senza trovare neppure una risposta.
Il giorno prima non aveva acconsentito alla richiesta di Khalida con l'intenzione di suscitare in lei sentimenti di comprensione, o per farle veramente conoscere ciò che aveva vissuto.
Non era interessato ad essere capito.
Troppi avevano detto di farlo, e nessuno c'era mai riuscito.
L'aveva fatto perché sperava, con tutte le sue forze, di veder spuntare negli occhi neri della donna una scintilla di pietà. Almeno avrebbe avuto un ottimo motivo per ucciderla seduta stante.
Ma Khalida l'aveva contraddetto per l'ennesima volta.
Si domandava cosa trovasse di tanto affascinante nel mettere a rischio la sua vita provocandolo.
Aveva avuto fegato, gliene dava atto.
Nei suoi occhi profondi come la notte non era passato nemmeno uno sprazzo di sentimento. Impassibile nel volto, i suoi gesti erano stati eloquenti, con la sincerità disarmante dell'arresa incondizionata. Gli si era concessa con un calore che l'aveva scottato più in profondità di quanto volesse ammettere.
Loki era una creatura cresciuta nell'oscurità, assuefatta alla solitudine.
Quando aveva compreso la sua vera natura, aveva anche accettato che non sarebbe mai uscito da quella spirale di solitudine che l'aveva sempre accerchiato e soffocato. Aveva imparato, a costo del suo stesso passato, a farne la sua forza, la sua corazza.
La solitudine era come una scheggia di vetro conficcata nel palmo della sua mano, troppo in profondità per essere tolta senza dolore e sangue.
Loki era stanco di soffrire, non aveva intenzione di farlo ancora, inutilmente.
Soprattutto, non a causa di un'umana.
Doveva farla finita, ormai aveva imparato a padroneggiare il Tesseract a sufficienza, abbastanza da non affaticarsi ogni volta che attingeva all'energia del Cubo.
Era arrivato il momento di porre fine a qualsiasi cosa stesse accadendo, o fosse accaduta, tra lui e Khalida. Entrambi erano stati abili spie l'uno dell'altra, scrutandosi l'animo e i sentimenti, in un gioco che si stava rivelando troppo pericoloso, probabilmente mortale.
«Loki».
La voce della donna gli arrivò distante, come attraverso una lastra di vetro.
Si voltò lentamente.
Sollevò le sopracciglia, quando si accorse che indossava l'armatura asgardiana e stringeva in pugno l'arma che le aveva dato.
Lei avanzò di un passo.
Qualcosa scattò dentro Loki. Un senso di pericolo, una sensazione familiare e antica, la stessa che aveva provato quando quel gigante di ghiaccio l'aveva toccato.
Riuscì a sentire la risata del destino, che si prendeva gioco di lui, ancora una volta.
«Dobbiamo parlare», disse Khalida, e la sua voce suonò rauca, come l'eco lontano di un vetro che si crepa e crolla in mille pezzi.

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*Come non riconoscerla? citazione di quello che dice Loki a Natasha anzi, alla vulvetta lamentosa XD
Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Castle Of Glass dei Linkin Park.

Adesso di Khalida sappiamo tutto tutto tutto...
Cosa succederà?
Alla prossima settimana!

Nicole

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Come una bugia ***


Ed eccoci qua con il gran finale. Sono molto contenta delle risposte che ho ottenuto per lo scorso capitolo, era la parte della storia che più mi lasciava perplessa perché lascia intuire un lato di Khalida apparentemente diverso da ciò che abbiamo visto finora di lei.
Spero che l'ultimo capitolo vi piaccia.
Ci vediamo alla fine!





«Dobbiamo parlare».
Khalida non avrebbe saputo spiegare il perché di quell'inizio quasi familiare, intimo.
Desiderò non avere mai parlato.
Quando Loki si alzò dal consunto divano a cui era affezionato, con la sua aria algida e regale, seppe con certezza che aveva già capito, che l'aveva sempre saputo, chi era davvero.
Quella che era stata presa in giro era lei.
Come poteva sperare di ingannare l'incarnazione stessa della menzogna?
Ma doveva andare fino in fondo, ormai non aveva altra scelta.
La sua coscienza, e qualcosa di ancora più profondo, glielo imponeva.
«Lo S.H.I.E.L.D. sta arrivando», disse, e ancora una volta seppe di aver usato le parole sbagliate. Era come se un meccanismo si fosse inceppato in lei. Mentiva da talmente tanto tempo, che forse aveva dimenticato come si diceva la verità.
Non era così che voleva iniziare, avrebbe voluto usare parole meno violente, ma si scoprì ad ammettere che non esisteva un modo delicato per dirlo. La verità era sempre cruda.
Loki piegò la testa di lato, guardandola con gli occhi socchiusi. «Come fai a saperlo?», domandò con fare mellifluo, facendo un passo in avanti.
Khalida deglutì a vuoto. Aveva già avuto paura di Loki, ma mai un terrore così viscerale. Si sentì privata della capacità di pensare e di agire in modo coerente, mentre la paura le correva sulla pelle.
Ma nonostante questo, sostenne lo sguardo di Loki. «Il segnalatore che mi sono tolta nella Stark Tower, non era l'unico che avevo addosso. Lo S.H.I.E.L.D ha sempre monitorato la mia posizione. Non ho mai smesso di essere un'agente».
Loki sbatté le palpebre una volta sola, non lasciando trasparire il tumulto che si era appena scatenato dentro di lui. Ciò che stava accadendo era troppo simile a ciò che aveva già provato, per non rimanerne turbato.
Non che non avesse mai considerato la possibilità che Khalida fosse ancora una pedina di Fury, eppure quel gelo pungente sotto lo sterno lo sbugiardava.
In realtà, non ci aveva mai creduto davvero.
Il suo fiuto per le menzogne, quell'istinto, l'aveva tradito di nuovo.
Doveva lasciarla morire tempo prima, non appena aveva intuito la sua pericolosità. Portarla ad Asgard era stato un errore, si era fidato troppo della propria forza.
Aveva permesso a Khalida di invischiarlo in una ragnatela di bugie troppo simile a quella imbastita da Odino. Poco gli importava che lo svantaggio per lui fosse praticamente nullo, non avrebbe dovuto permetterlo.
Non era stupito dal voltafaccia di Khalida, cos'altro poteva aspettarsi da un umana?
Era deluso da sé stesso, da quella minima debolezza che aveva lasciato penetrare dentro di sé.
L'illusione di qualcosa di diverso che per un attimo aveva contemplato, ora svanita come nebbia, spazzata dalla realtà.
Doveva aspettarselo, alla propria natura non si sfugge.
E lui non era fatto per essere capito, né accettato, forse nemmeno per essere amato, né desiderava esserlo.
Il timore, il terrore e il rispetto erano abbastanza.
Erano quello che bramava, con tutto sé stesso.
E adesso non desiderava altro che vederli in quegli occhi impenetrabili come una bugia ben articolata, altrettanto attraenti e falsi.
Avvicinandosi ancora, Loki sogghignò, malevolo. «A che scopo?», chiese.
Khalida era consapevole di stare sbagliando tutto.
Si sentì regredire all'età di quattordici anni, quando non sapeva cosa fare della propria vita.
Lasciò che Loki si prendesse il suo trionfo, mostrandosi a lui fragile come era in realtà, umana come era sempre stata.
«Il Tesseract si stava spegnendo. Lo S.H.I.E.L.D. voleva scoprire perché», rispose.
Loki sollevò lo sopracciglia. «Rischi la tua vita per così poco?».
Khalida alzò il mento, in quella sua tipica espressione di sfida. «Non si trattava di rischiarla».
«E di cosa, allora?».
Lei strinse le labbra. «Di cambiarla».
Loki si lasciò scappare uno sbuffo divertito, quasi una risata, poi tornò d'un tratto serio, freddando Khalida con un'occhiata penetrante «Ti ho salvato la vita, stupida umana. Valuti così poco un debito tanto grande?», chiese, sferzante, velenoso come la lingua di un serpente. «Dimmi per cosa ti sei venduta, quanto reputi preziosa la tua patetica vita», intimò subito dopo, facendo un altro passo in avanti, costringendo Khalida ad arretrare istintivamente.
Lei esitò solo un'istante.
Le mani di Loki scattarono, stringendole le spalle in una morsa di ferro.
«Dimmelo!», le sibilò in voltò.
Khalida distolse lo sguardo, sopraffatta. Si bagnò le labbra, mentre i pensieri le si rincorrevano in testa. «Volevo ricominciare da capo, cambiare identità e sparire, lasciandomi alle spalle il passato», disse, e le sue parole suonarono infantili ed egoiste alle sue stesse orecchie.
Loki rise, sprezzante. «Sei un'illusa. Il tuo passato non se andrà mai. Hai le mani piene di sangue, quello della tua amica in particolare. Niente potrà mai farlo sparire».
Khalida sussultò al riferimento crudele a Manaar, una sensazione di soffocamento la assalì al petto e si divincolò con forza, ma Loki non le permise di sottrarsi alla sua presa.
«Lasciami», le sfuggì, tra i denti serrati.
«E perché? Ho appena cominciato», sogghignò Loki.
Khalida strattonò di nuovo i polsi ma l'unico effetto fu quello di far aumentare la stretta di Loki. Gemette. «Uccidimi in fretta. Non hai molto tempo, arriveranno tra poco».
Stava solo giocando, Khalida lo sapeva, ma adesso era troppo esposta per trovare la cosa incoraggiante, divertente o interessante.
Voleva solo che sparisse il prima possibile, prendendosi quello che doveva, persino la sua vita.
Tutto, per non vedere più quel dolore nei suoi occhi, quell'antica freddezza che negli ultimi tempi si era appena sopita.
Qualsiasi cosa, per non sentirsi in colpa, ma dentro di lei sapeva che non sarebbe stato così facile.
Loki rise, sottovoce. «E perché dovrei, quando posso assistere alla tua rovina?», chiese, mentre con un bagliore dorato indossava l'armatura nera. Lasciò andare Khalida bruscamente, guardandola da sotto l'elmo con occhi crudeli. «Non appena i tuoi amici arriveranno, li ucciderò uno ad uno, e lascerò te per ultima», disse, poi sembrò esitare. «O forse lascerò che siano loro ad ucciderti, credendoti la traditrice che sei», aggiunse.
Lo Scettro, tra le sue mani, mandava lampi azzurri, come se fosse in agitazione.
Nonostante le minacce Khalida riuscì ad intuire qualcosa di diverso dietro la crudele maschera di Loki, dietro l'ennesima promessa di morte.
Odio.
Era un sentimento che non aveva mai dimostrato nei suoi confronti.
Un ennesimo senso di colpa le precipitò sullo stomaco.
Loki non aveva mai considerato davvero la possibilità che lei potesse tradirlo, come se si fidasse, probabilmente in modo inconscio, di lei. Esattamente come lei aveva fatto con lui, preda di un istinto suicida e illogico.
Un'ondata di nausea le fece girare la testa.
Poi, si accorse del silenzio.
Il rumoroso generatore si era improvvisamente spento.
Era troppo tar...
Una tremenda esplosione interruppe il ragionamento di Khalida.
Lo spostamento d'aria la sbalzò contro la parete, separandola da Loki.
Il tavolo di metallo dell'ingresso, squarciato, atterrò davanti a lei, ad un soffio dal suo volto.
Istintivamente, Khalida si rannicchiò dietro la lamiera contorta, cercando protezione.
Un terribile fischio le penetrava il cervello ed era sicura di avere almeno un timpano lesionato.
I rumori le arrivavano soffusi e distorti.
Percepì l'ingresso nella caverna di almeno una quindicina di agenti, tutti in assetto d'assalto.
Sentì una voce familiare chiamare il suo nome.
La riconobbe poco dopo, mentre tentava di mettersi seduta facendo leva su Match, che miracolosamente stringeva ancora in mano. Era il capitano Rogers.
Fury aveva mandato la cavalleria, sperava solo che non ci fosse anche Stark.
«Agente Sabil, è ferita? Vedo del sangue», continuò la voce di Rogers.
Khalida si toccò il petto e il ventre. No, non era ferita. Nonostante tutto, era stata fortunata.
Ma, se non era suo, allora...
«Loki!», le sfuggì, mentre con gli occhi frugava oltre il fumo dell'esplosione e la polvere.
Intravide la figura imponente dell'alieno un paio di metri di fronte a lei, nascosto dietro un anfratto della roccia. La luce del Tesseract pulsava lievemente, indicando la sua posizione, ma solo dopo qualche secondo, quando la polvere iniziò a posarsi, Khalida riuscì a vedere con chiarezza. Dalla spalla destra dell'alieno spuntava per una decina di centimetri uno stiletto di metallo, proveniente probabilmente dal tavolo martoriato dietro cui Khalida si era riparata.
Loki le restituì uno sguardo ostile e rancoroso, mentre si alzava lentamente in piedi, ancora celato agli sguardi degli agenti.
Khalida studiò la scheggia di metallo. Non era una ferita mortale, altrimenti il Tesseract non l'avrebbe permessa, ma Loki sembrava perdere diverso sangue. Vederlo vulnerabile le fece provare una stretta al cuore inaspettata, che la lasciò stupefatta e turbata. L'emorragia probabilmente condizionava la sua capacità di usare il Tesseract, e il suo potere. Aveva imparato a sue spese che per gestire il tipo di energia di quei manufatti serviva molta forza.
Sempre guardandola fisso, Loki afferrò l'estremità della scheggia e senza emettere suono se la estrasse dalla carne con un gesto naturale e noncurante, come se stesse semplicemente spazzando della polvere dai vestiti.
Improvvisamente, Khalida capì cosa doveva fare, che forse l'aveva sempre saputo, sin da quando aveva preso la decisione di togliersi il segnalatore.
Loki aveva solo bisogno di tempo, la ferita si sarebbe rimarginata rapidamente e poi avrebbe potuto scomparire.
Attraverso uno degli squarci nel tavolo, Khalida valutò le forze degli agenti.
Uno scontro a fuoco era un suicidio, ma lei aveva bisogno solo di guadagnare pochi minuti.
Senza guardare Loki, e tenendo Match con la punta rivolta verso il basso, Khalida si alzò in piedi, uscendo allo scoperto, lentamente.
«Non sparate», disse immediatamente, cercando gli occhi del Capitano Rogers e Occhio di Falco, che la teneva sotto tiro con l'arco teso.
«Io farei attenzione a quello, Clint. Non vorrei che ti partisse un colpo accidentale», ammiccò, in direzione dell'agente Barton.
Lui ricambiò con un sorriso stentato.
«A che gioco sta giocando agente Sabil? Perché si è tolta il segnalatore?», domandò invece Steve. «Dov'è Loki?», aggiunse poi, senza attendere una risposta alla sua precedente domanda.
Khalida si mostrò perplessa. «Non sono il suo guardiano».
Clint strinse la presa sull'arco, guardandosi intorno. Si aspettava di veder spuntare l'alieno da un momento all'altro. «Se non sbaglio, l'idea di Fury era proprio quella», la contraddisse.
«Non per ferirti, Clint, ma tu non sai un bel niente delle idee di Fury», replicò Khalida, guardando brevemente alla sua sinistra.
Loki aveva smesso di sanguinare ed ora la stava fissando.
Sembrava sorpreso dal suo comportamento.
«Adesso basta con i giochi, Khalida, getta quell'arma e alza le mani sopra la testa», le intimò Rogers, facendo un passo avanti. «Non costringerci a farti del male».
Khalida deglutì lentamente. Era il momento.
Una scarica d'adrenalina le attraversò i nervi e Match brillò intensamente.
Sentì lo scatto metallico che annunciava l'attivazione dei fucili automatici degli agenti.
Guardò Loki negli occhi, con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta.
Forse era vero che negli ultimi istanti di vita non si prova dolore, ma solo serenità.
«Il motivo per cui ti ho salvato la vita...», gli sussurrò. «... è che non meritavi di morire».
Loki realizzò troppo tardi il perché di quella inaspettata confessione.
Non poté che assistere mentre Khalida, con un movimento fulmineo, puntava Match davanti a lei, il cristallo attraversato da scariche bianche d'energia.
Era un'illusa se pensava di poter gestire quel potere e sopravvivere.
Una voce dentro di lui lo avvisò che non doveva importargli.
Il momento di agire era giunto.
Khalida gli stava offrendo l'opportunità su un piatto d'argento, da stupida incosciente quale era.
Questa volta, non l'avrebbe sprecata.
Si concentrò, e il flusso d'energia del Tesseract lo attraversò, trasportandolo lontano.
Quando riaprì gli occhi nel buio, nelle orecchie sentiva ancora il rimbombo crudele degli spari.
Dietro le palpebre, l'immagine di Khalida che cadeva a terra, investita da una pioggia di proiettili gli era rimasta impressa nella retina, come una luce troppo accecante.
Una smorfia amara gli deformò la bocca.
Quella donna l'aveva beffato fino in fondo, portandogli via la soddisfazione di ucciderla con le sue mani.
Ma ormai poco importava, il piano doveva procedere.
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*non uccidetemi*

Alla fine Loki avrebbe davvero ucciso Khalida?
Io credo di sì.
Se ne sarebbe pentito?
Forse no, forse sì...
e secondo voi?

Non disperate c'è ancora l'epilogo, che ci fornirà molte informazioni XD
Alla settimana prossima.
Nicole

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Capitolo 9
*** Epilogo - Come una crepa ***


Ed eccoci qui con l'epilogo della seconda parte.
Spero che dopo averlo letto non vi venga l'insana voglia di venire a cercarmi XD
Come sempre, ci vediamo alla fine.



«Sta giocando con il fuoco, Direttore», iniziò una profonda voce maschile.
Fury osservò la sagoma scura alla sua estrema destra.
Quei burocrati pomposi e codardi non capivano un accidenti di come ci si comportava in guerra, di cosa significava fronteggiare la morte faccia a faccia. Non contemplavano la bellezza e l'utilità del compromesso, né il significato più profondo della parola controllo.
Tenere sotto controllo le minacce alla Terra, non significava necessariamente eliminarle tutte, ma sapere usare con intelligenza ogni informazione, o persona, in suo possesso, per prevedere con un minimo margine di errore cosa sarebbe accaduto e quando. Si trattava di scegliere il pesce più grosso da pescare, quello la cui cattura poteva segnare la differenza tra vita e morte.
«Khalida Sabil è a malapena sopravvissuta ad una missione particolarmente delicata. Ci ha dato molte informazioni utili».
«La sua agente ha lasciato fuggire Loki, permettendogli di portare via il Cubo. I testimoni sono tutti concordi nell'affermare che ha agevolato la sua fuga. Le informazioni che ci ha dato sono solo l'estremo tentativo di salvarsi la vita. Oltretutto, non ci sono di nessuna utilità», illustrò una voce di donna.
Fury osservò la figura al centro. Nel buio, si indovinava un caschetto di capelli biondi e una giacca elegante rosso intenso. Le donne con un briciolo di potere erano la peggiore piaga dell'Intelligence, di questo ne era sempre più convinto.
«L'agente Sabil ha fornito una spiegazione plausibile per quello che i testimoni credono di aver visto», obiettò ancora Fury.
«La pianti Direttore. La commissione ha emesso il suo verdetto», sentenziò una terza voce, con l'autorità delle persone abituate a dare ordini. «Khalida Sabil è una crepa nella struttura della nostra agenzia», continuò, il tono sibilante come una lama. «Se non la eliminerà lei, lo faremo noi».
Lo schermo davanti a Fury si spense, e la minaccia aleggiò nell'aria come fumo.
Fury strinse appena l'unico occhio, prima di portare una mano all'auricolare.
“Agente Hill, ho bisogno di lei”.

Una spolverata di neve fresca dipingeva i tetti di Chigaco di un bianco puro e abbagliante.
Khalida non amava il freddo, ma la neve l'aveva sempre affascinata.
Prima di trasferirsi nell'Europa dell'est non l'aveva mai vista e la sua prima nevicata era stata una delle poche cose a sorprenderla davvero, nel modo puro e genuino dei bambini.
Sporgendosi dal balcone, osservò le persone che passeggiavano sul marciapiede, decine di metri sotto di lei. L'aria fredda la fece rabbrividire, ma non voleva tornare nella stanza che per mesi era stata la sua prigione. Ora che le era concesso, voleva respirare liberamente.
Con un gesto ormai abituale, Khalida si toccò il fianco, lì dove sotto le bende bruciavano i segni delle ferite che l'avevano praticamente uccisa.
Questa volta ci era andata davvero vicina.
Per la prima volta aveva creduto che fosse tutto perduto, che il tempo fosse terminato e la sua vita completamente svanita.
Non aveva più nessuno da cui fuggire in cerca di protezione, né Fury, né Loki, avendo tradito entrambi.
Sospesa tra la vita e la morte, aveva danzato sul filo dell'incoscienza per settimane, in un limbo che l'aveva tormentata peggio della morte.
Era sopravvissuta solo per un miracolo, o per una condanna, ancora non aveva scelto quale fosse l'opzione più probabile.
Ma non aveva mai desiderato morire, e non avrebbe certo cominciato in quel momento.
Un tonfo improvviso alla sua destra la fece sussultare, ma le sue mani non avevano armi da cercare.
Osservò incolore la figura imponente di Thor che si stagliava contro il cielo bianco di neve.
Ne poteva sentire l'odore, presto avrebbe cominciato a nevicare di nuovo.
«Cosa vuoi?», gli domandò, ostile.
Fury le aveva impedito di avere contatti con i Vendicatori, né nessuno di loro aveva chiesto di vederla. Di fatto in quei lunghi mesi, aveva visto solo il Direttore e altri due agenti, che l'avevano interrogata minuziosamente. Solo una volta aveva intravisto Banner attraverso un vetro, poco tempo dopo il suo risveglio, ma forse era stata solo un'allucinazione.
«Parlarti», rispose Thor, facendo un passo avanti.
Indossava l'armatura e in mano stringeva Mjolnir. 
Istintivamente, Khalida indietreggiò, diffidente.
Thor la fissò con aria di scusa. «Non voglio farti del male», disse, accennando un sorriso.
«Non dovresti essere qui», replicò Khalida.
«Lo so, ma non potevo più rimandare. Padre ha trovato un modo per riportarmi ad Asgard e tra pochi giorni lascerò il tuo pianeta», annuì l'asgardiano.
Khalida sollevò un sopracciglio, con fare interrogativo, quasi a domandare perché avrebbe dovuto interessarle un'informazione del genere. «Di cosa devi parlarmi?».
La familiare ombra di dolore negli occhi azzurri dell'alieno rivelò la risposta prima della sua voce. «Di Loki».
La donna si irrigidì. «Ho già detto tutto. Qualunque cosa tu voglia sapere, puoi chiedere a Fury».
Thor coprì la distanza tra lui e la donna con due lunghi passi, l'afferrò per le spalle, senza farle male.
Lo sguardo dell'alieno era talmente intenso che Khalida non riuscì a sfuggirgli.
«Khalida, ho bisogno di sapere la verità su quello che è successo quel giorno».
La donna deglutì. «Cosa intendi?».
«Loki ha davvero usato le sue illusioni per costringere gli agenti dello S.H.I.E.L.D. a spararti?», domandò l'asgardiano.
Khalida sbatté le palpebre confusa. Se Thor aveva quel dubbio, allora la sua recita non era stata convincente quanto sperava. Ciò significava che era ancora sotto sorveglianza. Sfuggì gli occhi imploranti di Thor e sospirò profondamente. «Non qui. Ci ascoltano», mormorò, bagnandosi le labbra.
Per un'istante, Thor sembrò non capire, poi qualcosa si accese nei suoi occhi azzurri.
Con un mezzo sorriso, afferrò Khalida per la vita, stringendola contro di sé e con un rapido gesto del martello, si sollevò in aria, atterrando dopo pochi istanti sul tetto del palazzo.
Khalida si divincolò dalla presa dell'alieno e fece un passo indietro.
Cercò d'ignorare la nausea e le vertigini, concentrandosi sul suo respiro.
«Khalida, ho bisogno di saperlo, Loki ha veramente cercato di ucciderti?», la incalzò Thor.
Lei lo guardò negli occhi. «Perché questa domanda? Cosa speri che ti dica?».
«Voglio sapere se per mio fratello c'è ancora speranza», ammise il Dio del Tuono, con un'aria afflitta che Khalida, in parte, comprendeva.
Sospirò di nuovo, tormentandosi una ciocca di capelli con l'indice della mano destra. Sul tetto soffiava un vento gelido che le tagliava il viso, ma lei quasi non lo sentiva. Doveva decidere se era veramente disposta a giocare a carte scoperte con Thor, se poteva fidarsi del fatto che non sarebbe mai andato da Fury a spifferare ogni cosa.
Alla fine, capì che in realtà non aveva altra scelta.
Thor aveva il diritto di sapere.
Per quanto fosse un ammasso di muscoli e arroganza, l'alieno aveva un cuore ed amava sinceramente il fratellastro, di quell'amore che fa più male che bene, certo, ma comunque in modo genuino.
In più a Loki erano già state imputate abbastanza colpe.
«No, Loki non ha cercato di uccidermi. Sono stata io, di mia volontà, ad attaccare gli agenti dello S.H.I.E.L.D., per dargli il tempo di fuggire», confessò. «Ho inventato la storia delle illusioni per evitare di venire giustiziata dalla corte marziale come traditrice».
Thor non riuscì a trattenere un sorriso, ma Khalida lo freddò con un'occhiataccia.
«Questo non significa che Loki sia cambiato, prova solo il fatto che sono una sciocca», disse, tra i denti.
Thor fece un passo avanti. «È più di quanto sperassi, comunque», ammise. «Cosa farai adesso?», le chiese.
Khalida strinse le braccia intorno al busto. «Fury mi spedisce in un angolo sperduto del pianeta, sorvegliata a vista, per il resto della mia vita».
L'asgardiano sorrise. «Perché non vieni ad Asgard, con me?».
Lei spalancò gli occhi, stupefatta. «Stai scherzando?».
Thor parve confuso. «No. La mia è un offerta sincera».
«Stupida, oltre che sincera», lo frenò Khalida. «Cosa dovrei mai venire a farci ad Asgard?».
«Cambiare vita. Non è quello che volevi?».
Khalida sbuffò. «Sono umana, Thor. La Terra è la mia casa».
«Non sei più tanto umana, da quanto mi hanno detto».
«Se ti riferisci agli effetti della camera di guarigione che mi hanno permesso di sopravvivere a una ferita mortale, ti avviso che non sono permanenti. Svaniranno presto», sbottò Khalida. Quella era una cosa con cui non era ancora scesa a patti. Il fatto che quella diavoleria aliena avesse giocato con il suo DNA, accelerando la naturale rigenerazione cellulare, la irritava più di quanto mostrasse.
Thor annuì lentamente. «La mia offerta non cambia», precisò.
«Nemmeno la mia risposta», fece Khalida, con tono conclusivo. «Adesso riportami di sotto, prima che Fury venga a cercarmi».
«Solo un'ultima domanda», iniziò Thor. «Sei sicura di non avere modo di rintracciare Loki?».
La mente di Khalida corse istintivamente a Match, che le era stato sequestrato al momento della cattura. «Anche se conoscessi un modo, non te lo direi», ammise.
L'alieno strinse le labbra, deluso. «Loki è mio fratello...», cominciò, ma Khalida lo fermò con uno sguardo duro.
«No, non lo è, e finché ti ostinerai a considerarlo tale, non riuscirai mai ad aiutarlo. Non puoi pretendere di ignorare tutto ciò che è successo. Le bugie che Odino ha imbastito vi sono crollate addosso e prima di provare a costruire qualcosa ve ne dovete liberare, non semplicemente scavalcarle», disse, poi fece un passo avanti. Poggiò la mano su quella di Thor, che stringeva Mjolnir in modo convulso. Anche se fiero ed indomito, lo sguardo del Dio del Tuono era come quello di un bambino, un bambino che credeva di aver perso il fratello per sempre.
«Non credere di essere l'unico a soffrire, Thor», disse. «Loki ha bisogno di tempo. Prima di perdonare te e i tuoi genitori, ha bisogno di perdonare sé stesso», Khalida accennò un lieve sorriso e Thor lo ricambiò a stento.
«Quando l'avrai capito, se non riuscirai a trovare Loki in nessun altro modo, vieni a cercarmi. Ti aiuterò», promise d'istinto. Immediatamente provò la fastidiosa sensazione che si sarebbe pentita di quella frase.
Thor le afferrò la mano e con un gesto eclatante se la portò alle labbra, sfiorandone appena il dorso con le labbra.
«Grazie».

Fury entrò nella stanza mentre Khalida stava riponendo i suoi pochi effetti personali, qualche abito e un paio di libri, nel borsone nero ed anonimo che lo S.H.I.E.L.D. le aveva fornito. Per anni aveva considerato un vanto il fatto che tutta la sua vita potesse essere impacchettata nel giro di dieci secondi, letteralmente. Ora lo considera solo squallido.
Iniziava finalmente a capire che c'era sempre stato qualcosa che non andava nel suo modo di vivere. Sarebbe stato più coretto dire che per tutti gli anni trascorsi si era limitata a sopravvivere, senza mai fare niente di concreto, di utile.
Non aveva mai riflettuto seriamente sul senso della vita, sul suo scopo, ma stava realizzando a poco a poco quanto la sua non ne avesse alcuno.
Cosa aveva ottenuto?
L'unica persona per cui aveva provato realmente qualcosa, era morta, nel suo maldestro tentativo di proteggerla, e adesso Khalida sentiva il peso di quella vita spezzata premere sul suo destino. Ricordava come se fosse appena successo le ultime parole che Manaar le aveva sussurrato, prima di morire.
Vivi anche per me.
E lei era venuta meno a quella promessa, perché non aveva fatto altro che nascondersi, limitandosi a far sì che il suo cuore non smettesse di battere.
Ma adesso, aveva l'opportunità di cambiare le cose.
Nel borsone c'era già tutto, la sua nuova identità pronta e confezionata, una vita che esisteva solo sulla carta, ma che lei avrebbe reso piena di significato.
A qualunque costo.
«Andiamo», ordinò Fury, senza guardarla.
Khalida annuì, mentre si caricava il borsone sulle spalle.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle ebbe la certezza di aver finalmente compreso il significato della frase di Manaar.
Non la stava implorando di continuare a respirare, ma di avere una vita con un significato.
Una vita che qualcuno avrebbe ricordato, come lei avrebbe sempre ricordato la sua.

Sul tetto della base un elicottero con il motore già acceso diffondeva un rumore costante che, insieme al vento gelido misto a fiocchi di neve, portava via le parole, facendogli perdere importanza.
Un agente in giacca e cravatta, gli occhi nascosti dagli occhiali scuri d'ordinanza, stava aspettando Khalida con espressione imperturbabile.
Fury la consegnò all'uomo senza particolari cerimonie. «Addio, Khalida», disse solamente, guardandola negli occhi.
«Addio», replicò lei, accennando un sorriso.
L'agente le prese il borsone dalle mani e scambiò un cenno d'intesa con Fury.
Khalida si fece scortare fino all'elicottero, mentre le pale acceleravano.
Il rombo divenne assordante.
Quando la portiera scorrevole si chiuse alle sue spalle, la donna si lasciò cadere sul sedile di velluto, massaggiandosi le tempie per un'improvvisa fitta di dolore. Il mezzo iniziò a sollevarsi in aria dopo pochi secondi e una vertigine le fece girare la testa.
Si aggrappò ai braccioli cercando di non guardare fuori dai finestrini.
Il suo sguardo, in cerca di un punto stabile per placare la nausea si fissò sul soffitto.
Una piccola luce attirò la sua attenzione.
Accanto alla spia rossa c'era un filo, blu e bianco, che scorreva tra i cavi, fino ad una scatola che sembrava di gomma nera.
Khalida sbarrò gli occhi.
La luce si spense.

La detonazione violenta infranse tutte le finestre nel raggio di decine di metri e la sfera di fuoco fu visibile per chilometri, intorno a Chigaco.
Al telegiornale avrebbero detto che era stato uno sfortunato incidente, un difetto nel serbatoio del carburante. Unica vittima della tragedia, il pilota, che stava ripartendo dopo aver fatto scendere i propri passeggeri.
Alla maggioranza degli agenti S.H.I.E.L.D. sarebbe stata detta la stessa cosa.
In un ufficio lontano, nella piazza più famosa di Washington, un telefono squillò.
«Pronto?», chiese una voce maschile profonda.
«Problema risolto», replicarono all'altro capo, prima di riagganciare.
Un sorriso soddisfatto si fece strada sul volto dell'uomo, mentre il fumo di una sigaretta saliva lentamente nell'aria.
Uno a zero per me, Nick.
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NB: i numerosi riferimenti in questo capitolo al fatto che Khalida abbia la nausea o giramenti di testa, sono dovuti al fatto che, come ho già detto, lei soffre di vertigini in modo particolarmente accentuato. Non vi allarmate, non ci saranno bambini alieni in questa FF.

Spero che non ci siano punti pochi chiari, in caso domandatemi pure senza problemi.

Khalida è sopravvissuta alle ferite grazie ad un effetto latente della camera di guarigione. Mi sono un pochino scervellata su come potrebbe funzionare un congegno del genere, e ho concuso che probabilmente agisce sulle cellule, aiutandole a rigenerarsi e accelerando così il normale processo di guarigione. Nella mia riflessione ho immaginato che, essendo un congegno asgardiano sugli umani abbia un effetto amplificato, alterando in modo duraturo la struttura cellulare, e mantenendo per un certo periodo di tempo una sorta di rigenerazione veloce dei tessuti... spero che si sia capito, e che non risulti assurdo.

Il dialogo tra Khalida e Thor era nella mia testa praticamente da quando ho scritto il prologo della prima parte XD spero di averlo scritto in modo adeguato, e che Khalida non risulti un personaggio del tutto diverso dal resto della storia.

Mi sono sempre dimenticata di dirvi che Manaar, in arabo, significa luce che guida.

Dovrei avervi detto tutto, adesso vi aspetto per il prologo della terza parte Crepe.

Grazie a tutte le persone che hanno letto e mi hanno accompagnato in questa avventura, in particolare a Sayuri.


A presto,
Nicole.


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