Spie di Blue_moon (/viewuser.php?uid=61264)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come un deserto ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Come uno specchio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come un'eco ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come le stelle ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come le orchidee ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come la pioggia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Come un castello di vetro ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Come una bugia ***
Capitolo 9: *** Epilogo - Come una crepa ***
Capitolo 1 *** Prologo - Come un deserto ***
Ed eccoci qui
per il prologo della seconda parte.
Per chi incappa qui per la prima volta, Spie è solo il
secondo episodio di una trilogia intitolata Similitudini il cui primo
episodio si intitola Prigioni.
Purtroppo per voi, urge la lettura del primo capitolo, per capire
questo.
Riassunto
della puntata precedente:
Loki, detenuto ad Asgard, è vittima di un attentato a cui
sopravvive per miracolo. Il mandate risulta essere Thanos e Thor,
preoccupato per la sicurezza del fratello, propone allo SHIELD di
prendere in custodia Loki. Fury, per ragioni non meglio specificate,
accetta e affida l'incarico di interrogare l'alieno a un'agente SHIELD
che nessuno ha mai visto prima, tale Khalida Sabil.
Dopo pochi mesi d'interrogatorio, la base SHIELD viene attaccata da un
essere che tenta nuovamente di uccidere Loki. L'agente Sabil fa da
scudo all'asgardiano con il proprio corpo. Nel frattempo, un altro
soldato di Thanos si impossessa del Tesseract ma non dello Scettro.
Per salvarla Khalida, Thor e Loki la portano ad Asgard, dove la donna
fa la conoscenza di Odino e Frigga.
Di ritorno sulla terra, Loki si offrirà di rintracciare il
Tesseract in cambio della propria libertà. Fury accetta.
Contemporanemente, Thanos fa la sua mossa, una nava aliena attacca la
città di Los Angeles e i Vendicatori, insieme a Loki e
Khalida, partono all'attacco.
All'arrivo sul posto, la squadra si divide, con Loki rimangono Khalida,
Clint e Banner. I quattro si inoltrano nella nave, e non appena
raggiungono il luogo dove il Tesseract è custodino, Loki
rivela il suo inganno. Con un illusione, ha separato Clint, Bruce e
Khalida, tenendo con sè quest'ultima.
Attraverso lo Scettro, Loki assorbe l'energia del Tesseract. Khalida
gli propone di portarla con lui.
Senza dare spiegazioni, l'alieno accetta e un attimo prima di
scomparire vengono raggiunti da Occhio di Falco che tenterà
di fermarli senza successo.
Di ritorno dalla missione fallita, i Vendicatori esigono spiegazioni.
Fury spiega che il Tesseract, per qualche motivo che ancora non si
capisce, si stava spegnendo e che per evitare di perderlo per sempre,
avevano deciso di usare Loki per ottenere più informazioni
possibili.
Khalida Sabil aveva il compito di interrogare Loki, e aveva l'ordine di
farlo con qualsiasi mezzo possibile, anche facendo il doppio gioco.
La storia, ora, riparte dall'istante successivo alla scomparsa di Loki
e Khalida dalla nave di Thanos.
Le parti in corsivo si riferisco al passato.
Buona lettura.
Khalida Sabil aveva visto Nick
Fury solo una volta, tre mesi prima, quando si era presentata in una
delle basi europee dello S.H.I.E.L.D. e aveva preteso di parlare con
lui.
In un breve dialogo
avvenuto tramite uno schermo, Khalida aveva fatto la sua proposta: il
suo talento, in cambio di protezione. Fury l'aveva guardata a lungo
negli occhi, prima di accettare, chiarendo immediatamente la gerarchia
di comando. Da quell'istante in poi, sarebbe stata alle regole e ai
comandi dell'agenzia, in ogni cosa.
Aveva accettato, senza
protestare.
Fury aveva ordinato il
suo immediato trasferimento in una delle tante basi americane
dell'agenzia, e lì Khalida era rimasta, confinata come una
prigioniera, mentre le sue capacità venivano analizzate e
schedate da agenti sempre diversi, di cui faticava a ricordare il nome.
Quell'improvvisa
convocazione, del Direttore in persona, era strana e arrivava in un
momento di grande agitazione all'interno della base.
Anche se costretta a
stare per molto tempo sola nel suo alloggio, Khalida aveva intuito che
stava accadendo qualcosa d'importante.
L'agente che la
accompagnava, una donna dai capelli scuri e lo sguardo serio, la
lasciò davanti a una porta di vetro smerigliato, dopo aver
digitato un codice sul tastierino numerico.
Una luce verde
lampeggiò e la serratura scattò.
«Venga dentro,
agente», ordinò la voce di Fury.
L'interno dell'ufficio
era spartano, solo un tavolo di metallo e due sedie, l'una di fronte
all'altra.
«Si
accomodi», disse il Direttore, sedendosi a sua volta.
Khalida lo
imitò, tentando di sbirciare il fascicolo aperto davanti
all'uomo.
Fury
intercettò il suo sguardo e sollevò un angolo
della bocca.
«Ho una
missione per lei, agente», iniziò, chiudendo il
fascicolo. «Non sarà ufficiale. Solo io e lei ne
saremo a conoscenza».
La donna sostenne lo
sguardo determinato della spia davanti a lei.
Lavorava da tutta una
vita nell'ombra, specializzata in qualcosa che non era nemmeno legale,
nella maggioranza dei cosiddetti “paesi civili”. La
segretezza non la spaventava.
Nei nervi, le
passò una fitta di impazienza.
Sorrise.
«Sono
tutt'orecchi».
Il dolore non cessò.
Le gambe le cedettero di colpo e sentì il suo corpo
impattare violentemente contro un pavimento grezzo. Imprecò,
stringendosi la coscia tra le mani.
Clint era stato rapido e Loki troppo lento, probabilmente volutamente.
La freccia le aveva trapassato il muscolo. Dalla quantità di
sangue, la donna riusciva ad intuire che, molto probabilmente,
l'arteria femorale era stata recisa.
Khalida imprecò di nuovo nella sua lingua natale, ruotando
gli occhi e tentando di capire dove si trovasse.
C'era buio le finestre erano coperte da spesse coltri di stoffa, ma in
lontananza sentiva rumore di traffico.
La stanza era spoglia, ingombra di ponteggi fasciati in bende di nylon
sporco di pittura.
«Dove diavolo siamo?», domandò, mentre
tentava di mettersi seduta.
Loki la guardò di sbieco e la luce emanata dallo Scettro
aumentò, mostrando nuovi particolari.
Khalida riconobbe il logo impresso sulle porte degli ascensori.
«La Star Tower...», mormorò.
«Che ci facciamo qui?».
L'alieno si inginocchiò accanto a lei, fissandola negli
occhi. «Ho un conto in sospeso con l'uomo di
metallo», spiegò.
Contemporaneamente, da sopra il Tesseract si sollevò una
bolla di energia blu e azzurra.
Come una strana medusa, salì lentamente verso il soffitto,
infrangendosi contro di esso ed espandendosi come un'onda. Una crepa
sottile come un capello serpeggiò lungo il cemento.
«Collasserà in pochi minuti», disse
Loki, sorridendo.
La guardò, lasciando vagare lo sguardo sulla ferita.
Khalida stirò le labbra e, cercando di non pesare troppo
sulla gamba sinistra, allungò una mano ed estrasse il
pugnale dallo stivale.
La luce brillò per un'istante sulla lama.
«Perché
io?», chiese Khalida scorrendo in fretta il fascicolo.
Fury sorrise.
«Perché la sua vita è un deserto,
agente Sabil».
Lei lo
fulminò con un'occhiata gelida. «Sta insinuando
che non ho nulla da perdere?».
«No. Sto
dicendo che lei non ha debolezze», chiarì l'uomo.
«Accetta?».
Khalida sostenne lo
sguardo della spia a lungo.
Non rispose.
«Cosa
avrò in cambio, se ci riesco?».
«Lei
sparirà, sarà come se non fosse mai esistita.
Potrà ricominciare da capo, dovunque lei voglia»,
illustrò Fury, concedendosi un sorriso più ampio,
che sapeva di vittoria. «Non è ciò che
desidera?», aggiunse.
La donna
ingoiò lentamente, trattenendo l'improvvisa emozione nello
stomaco.
Sapeva riconoscere una
bugia, e Fury non stava mentendo.
«Accetto».
Khalida appoggiò il pugnale alla base della mano sinistra.
Respirò profondamente, preparandosi.
Quando la lama incise la pelle, però, non riuscì
comunque a trattenere un gemito.
Loki la guardava senza capire. «Cosa stai facendo?».
Stringendo i denti, Khalida scostò un lembo di pelle, ed
estrasse il piccolo chip che le avevano impiantato non appena aveva
accettato di diventare un'agente.
«Evito che ci rintraccino», spiegò,
lasciando cadere il quadrato di circuiti a terra.
Una lacrima di dolore le scivolò lungo la guancia, mentre
sollevava lo sguardo su Loki.
Si sentiva ogni minuto più debole, la ferita alla gamba
sanguinava troppo. Anche se non poteva saperlo, doveva credere che Loki
volesse tenerla con lui.
Se avesse dubitato, anche solo per un'istante, per lei non ci sarebbe
stato scampo.
«Conosco un posto dove saremo al sicuro. Ho bisogno di
curarmi», ammise.
Loki evitò il suo sguardo, fissando invece il taglio sul
polso della donna. Era sottile, una ragnatela di sangue scendeva lungo
la pelle ambrata, colando a terra in piccole gocce rotonde.
Le tese una mano in silenzio.
Khalida la afferrò e la strinse, con tutta la forza che le
restava.
Nel cielo di New York, la Star Tower si illuminò come un
albero di Natale, prima di esplodere.
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Prima della settimana
prossima non posterò il primo capitolo, ditemi cosa ne
pensate.
A presto
Nicole
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Come uno specchio ***
Ringrazio
chi ha letto il prologo, Maura 77 per aver recensito, e tutte le
persone che hanno già inserito la storia nelle seguite.
Spero di non deludervi.
I capitoli di questa
parte saranno un po' più lunghi della prima.
Vi avviso fin d'ora che
Spie, è un capitolo di transizione, e quindi sarà
lungo all'incirca 8 capitoli, mentre invece, la terza parte, Crepe,
sarà quella più consistente.
Ci vediamo a fine
capitolo per le osservazioni.
A
Stark non piaceva venire ignorato, né tanto meno essere
preso in giro.
Dopo che la sua ennesima richiesta di parlare con Fury venne respinta,
ordinò a Jarvis di bypassare il firewall del cellulare della
spia, stanco delle buone maniere.
«La metto in comunicazione con il Direttore Fury»,
annunciò la voce robotica del maggiordomo di Stark.
«Bel lavoro, Jarvis», si complimentò
Tony, accelerando.
Fury rispose quasi immediatamente. «A cosa devo l'onore,
Tony?», chiese, con lo stesso tono che userebbe una madre
esasperata dall'ennesima marachella del figlio.
«Oh, solo una telefonata di cortesia. Come te la passi
Nick?», replicò il miliardario, acido.
«Esattamente quante altre delle mie torri hai intenzione di
distruggere?», proseguì, senza aspettare una
risposta alla prima domanda.
Fury sospirò. «Non puoi incolpare me delle azioni
di Loki, ammesso che sia stato lui», rispose, tentando di non
alterarsi.
Il grafico sullo schermo davanti a lui si illuminò,
annunciando l'arrivo di una nuova ondata di dati.
«Ho un filmato delle telecamere di sorveglianza che lo
prova», annunciò Stark.
«Stai scherzando?».
«Assolutamente», ridacchiò Tony.
«Non fare lo spiritoso, perché non me l'hai ancora
consegnato?».
«L'avrei fatto, se ti fossi degnato di ricevermi».
Fury schioccò la lingua. «Bé, ti
ricevo, ora. Ti aspetto».
«Sono già qui», disse Stark, chiudendo
la comunicazione.
Il comunicatore di Fury gracchiò. “Direttore,
c'è qui...”
«Lo faccia passare!», tagliò corto la
spia, irritata.
Con un gesto, ridusse a icona i dati sullo schermo senza nemmeno
guardarli.
Il filmato non era ad alta risoluzione, ma era comprensibile,
nonostante la scarsa illuminazione.
Stark picchettò un dito sullo schermo, indicando la figura
di Khalida.
«Legolas aveva ragione. È ferita, e non sembra
stare bene», commentò.
Fury non disse niente. «Loki è con lei, almeno.
Sembrano essere scomparsi insieme ancora una volta».
Stark sbuffò. «Pensa che lui possa
guarirla?», domandò, retorico. Era ovvio che un
comportamento simile non rientrava negli schemi dell'alieno.
«Non sottovaluti l'agente Sabil, sa essere
convincente», obiettò la spia.
Il miliardario lo guardò. «A proposito...
perché hai scelto proprio Khalida? Scommetto che di agenti
addestrati quanto lei ne hai un deposito pieno».
Fury sospirò, passandosi una mano sulla nuca. «Il
fatto che tu non l'abbia capito fa onore al suo talento».
«Oh, ma io ho delle teorie», ammiccò
Stark.
«Cioè?».
«A parte il fatto che a volte sembra fuori di testa quanto il
cervo alieno?», ironizzò l'uomo. «Ha
un'innata capacità di apparire neutrale, e probabilmente non
le importa un bel niente di nessuno, se non di se stessa»,
spiegò.
Fury sorrise, ma scosse la testa. «Questo è quello
che lei ha voluto che capiste, anche se c'è un fondo di
verità», ammise.
«E allora perché?», insisté
Stark, curioso.
«Perché è motivata. Io le ho promesso
quello che vuole, e lei farà di tutto per
ottenerlo».
«E cosa le hai promesso? Soldi? Un posto di spicco nella tua
agenzia? La tua mano?», snocciolò Stark, rimanendo
serio nonostante l'assurdità delle sue proposte. Era stanco,
stanco da morire, quella situazione lo faceva ammattire.
Il pensiero che Fury avesse consegnato un prigioniero pericoloso e
subdolo come Loki a una sola persona, lo turbava. Temeva quello che
l'alieno avrebbe potuto escogitare.
Per quanto lo ritenesse un pazzo, riconosceva la sua
pericolosità, e la sua intelligenza.
Troppe volte si era tirato fuori da situazioni che avrebbero potuto
ucciderlo.
Fury non badò molto a ciò che diceva Tony, solo
quando percepì che l'uomo era nuovamente pronto ad
ascoltarlo, proseguì. «Credevo che avresti potuto
riconoscerla, nei suoi occhi», disse, guardando Tony in viso.
«Riconoscere cosa?».
«La disperazione di una persona che è stanca della
propria vita, ma non conosce nessun altro modo per viverla».
Tony rimase in silenzio per qualche minuto, riconoscendo che in fondo
ciò che diceva Fury non era né strano,
né infondato.
La ferocia che la donna ostentava, poteva essere rabbia, la sua
durezza, solo un modo di nascondere troppe ferite.
Ma non si fidava di lei, il suo istinto gli imponeva di non farlo.
Tra lei e Loki c'erano troppe similitudini, come se fossero un riflesso
distorto e frammentato l'una dell'altro, come in uno specchio
deformante del circo.
Il problema era che, quando ci si guarda allo specchio, ci si riconosce.
E se quei due si fossero alleati contro di loro, allora la missione era
completamente andata, insieme, probabilmente, all'intero pianeta.
Loki aprì gli occhi e analizzò l'ambiente.
Era un comune appartamento umano, immerso nella penombra. L'arredamento
era lussuoso, ma essenziale, con linee nette e pulite, colori asettici
e profili d'acciaio.
A pochi passi da lui, Khalida si lasciò cadere sul divano.
Tentava di nascondere il dolore, ma aveva la pelle imperlata di sudore
freddo, e stava diventando pallida. Non era passato che un minuto dal
loro arrivo, eppure sulla moquette bianca già si allargava
una vistosa pozza di sangue. Se non veniva curata in fretta, non
avrebbe superato la notte.
L'aveva portata con lui perché non avrebbe permesso a nessun
altro di prendersi la sua vita.
Sarebbe stato lui ad ucciderla, di questo ne era assolutamente certo.
E l'avrebbe fatto con i suoi tempi e alle sue condizioni.
In silenzio, si inginocchiò davanti a lei e
scrutò con occhio clinico l'asta di metallo che trapassava
la gamba. Si stupiva sempre di quanto potesse essere fragile il corpo
umano.
Khalida ansimava, forse di paura, forse per nascondere il dolore.
Quando Loki afferrò la coda della freccia, lei
sussultò, mordendosi le labbra.
«Cosa vuoi fare?», domandò, con un filo
di voce.
Lui non rispose, spezzò l'asta con una sola mano e con
l'altra afferrò la punta.
«L'emorragia peggiorerà e basta», disse
nuovamente Khalida, d'istinto.
Loki cercò i suoi occhi. «Lo so»,
mormorò, prima di sfilare di colpo la freccia.
Khalida urlò, voltando il viso e nascondendolo nella stoffa
costosa del divano.
Con gli occhi annebbiati dalle lacrime, vide Loki premere le mani
illuminate da una cupa luce azzurra sulla sua gamba e
contemporaneamente percepì un bruciore crescente.
Il dolore diventò nuovamente insopportabile e nuove grida si
fecero strada nella sua gola.
Loki le soffocò premendole la mano sporca di sangue sulla
bocca.
Il tutto durò una manciata di secondi, la luce si spense e
così il dolore.
La mano di Loki lasciò le labbra di Khalida e lei si
concesse di respirare profondamente.
Sentì la struttura del divano piegarsi sotto il peso
aggiuntivo dell'alieno e istintivamente cercò il suo
sguardo. Anche senza controllare, sapeva cosa aveva fatto.
La ferita si era rimarginata, solo una vaga sensazione di bruciore
premeva a fior di pelle, a contatto con il tessuto freddo dei pantaloni.
Quello che vide, però, la allarmò.
Loki era ancora più pallido del solito, il volto velato di
sudore e le labbra contratte.
«Loki», lo chiamò con la voce arrochita
dalle urla, sollevandosi su un ginocchio. Allungò una mano,
ma si fermò qualche centimetro prima di toccarlo.
Gli occhi di Loki si socchiusero. «Sto bene».
«A me non sembra», azzardò lei.
«Cosa ti succede?».
Loki sembrò prendere un respiro profondo.
«L'energia del Tesseract è troppa, anche per me.
Il mio corpo non è ancora abituato a gestirla»,
spiegò, a voce bassa, appena percettibile.
Incrociò brevemente gli occhi di Khalida. «Ho
bisogno di riposare, ora».
Questa volta Khalida si fidò del proprio istinto,
sfiorò con la punta delle dita la guancia di Loki,
spostandogli poi delicatamente una ciocca di capelli dalla fronte.
Lui non se ne accorse, era già sprofondato in un sonno
profondo.
Tenendolo d'occhio, la donna si alzò dal divano. La gamba le
formicolava, e il muscolo era indolenzito, ma nel complesso stava bene.
Non appena fu relativamente certa che Loki non stesse fingendo di
dormire, si diresse a passo calmo verso il bagno, ma sulla soglia del
reparto notte un lieve capogiro la costrinse a cercare un sostegno.
Artigliò lo stipite della porta, con una forza tale da
spezzarsi le unghie. Lacrime di frustrazione le pizzicarono le palpebre
ma le ricacciò indietro.
Si prese un minuto, poi strinse i denti e chiuse la porta del bagno
dietro le spalle.
Lentamente, si spogliò davanti allo specchio, cercando sul
suo corpo segni di cicatrici invisibili. In meno di sei mesi, aveva
rischiato di morire tre volte, eppure il suo corpo non recava traccia
di quelle violenze. Dentro di lei, però, le cicatrici
c'erano, solchi profondi scavati nell'animo e nel carattere. Era
stanca, ma doveva portare a termine quella missione, per poter dire
addio per sempre a quel modo di vivere.
Aprì l'acqua della doccia e si infilò sotto il
getto senza attendere che diventasse caldo.
Rabbrividì, ma l'improvvisa pelle d'oca sul corpo la fece
sentire bene.
Mentre i muscoli si rilassavano, si concesse di fare il punto della
situazione.
La strategia che aveva adottato con Loki era rischiosa, ma era l'unica
praticabile.
Doveva fidarsi di lui, ciecamente.
Era presuntuoso per lei affermarlo, ma Khalida sapeva di aver compreso
parte del carattere dell'alieno.
Aveva l'ostentata indipendenza di qualcuno che è stato
tradito troppe volte, troppo profondamente. La sua mancanza di fiducia
scaturiva dal fatto che nessuno gliene aveva mai data.
Se lei fosse stata la prima a farlo, Loki le avrebbe creduto, e
l'avrebbe tenuta con sé, trofeo di una riconquistata
autostima che nemmeno lui era cosciente di desiderare.
Mentre la temperatura dell'acqua variava, diventando bollente, Khalida
si osservò le mani.
Il motivo della sua sicurezza era banale.
Lei, era caduta nella stessa identica trappola.
Quando rientrò nella zona giorno dell'appartamento, il sole
stava tramontando, accendendo di riflessi arancioni le veneziane calate
sulle vetrate. Quella casa non apparteneva allo S.H.I.E.L.D., era sua,
una delle tante che possedeva in giro per il mondo.
Khalida aveva accettato la missione a due condizioni: completa
libertà di movimento e niente telecamere o cimici.
Il segnalatore nascosto nell'anello che indossava, era un compromesso
che era stata costretta ad accettare. Ogni ora inviava i dati
riguardanti la sua salute e comunicava la sua posizione. Se lei fosse
morta, lo S.H.I.E.L.D. l'avrebbe immediatamente saputo e sarebbe
intervenuto nel giro di cinque minuti, con una testata nucleare, se
necessario.
Loki riposava ancora, come un bambino, avrebbe osato dire, anche se il
sonno appariva talmente profondo da assomigliare più ad un
coma, tanto il corpo dell'alieno era immobile e rigido.
Strofinandosi i lunghi capelli, Khalida si spostò nella
cucina, cedendo al richiamo dello stomaco che brontolava.
Un piccolo tablet, che lei stessa aveva acquistato poco prima che tutto
precipitasse, era abbandonato sulla penisola di marmo chiaro. Non
appena lei gli passò accanto, lo schermo si
illuminò silenziosamente.
Su campo bianco, lampeggiò un cursore per qualche secondo,
poi comparve un breve messaggio.
“Ha un mese di
tempo, da oggi”.
Il tablet si spense subito dopo.
Khalida lo guardò per qualche secondo, poi lo prese e lo
gettò nella pattumiera.
Khalida non si considerava una persona nostalgica, eppure, da quando
aveva lasciato Israele, c'era una cosa che ricordava con una malinconia
pungente: le notti buie alle porte del deserto.
Aveva scelto quell'appartamento in pieno centro a New York,
naturalmente registrato sotto falso nome, proprio per combattere quella
tendenza. Ma non era servito a niente.
La luce artificiale, anche il più piccolo spiraglio, le
impediva di dormire.
Per l'ennesima volta, aveva passato una notte insonne, incapace di
chiudere gli occhi davanti alla luce. Impossibile per la sua mente non
cercare stelle inesistenti in quel cielo dall'innaturale blu uniforme.
Percepì un movimento dietro di lei e si voltò.
Gli occhi chiari di Loki le restituirono lo sguardo. Si era svegliato.
Archiviando le riflessione, Khalida andò a sedersi di fronte
a lui, sul tavolino basso al centro del salotto. Gli porse senza
cerimonie un piatto con il meglio che era riuscita a mettere insieme,
considerando il poco che c'era in casa.
«Mangia, ne hai bisogno», spiegò,
accennando un sorriso.
Loki la guardò come si fissa qualcuno che parla in una
lingua sconosciuta, ma non fece storie, prese il piatto e
assaggiò con cautela il contenuto.
«Dove siamo?», le domandò, dopo qualche
minuto.
«Sempre a New York. Questa è casa mia».
Loki sollevò un sopracciglio. «E l'uomo bendato
non ne era a conoscenza?», chiese, scettico.
Khalida sorrise, chinandosi appena in avanti. «Noi umani
siamo facili da ingannare».
Loki fece una smorfia. «Non rubarmi le battute»,
obiettò, celando appena un sorriso.
Lei fece un gesto di assenso, poi tornò seria.
«Cosa ti è successo prima?».
«Te l'ho già spiegato».
«No, non l'hai fatto», insistette Khalida.
«Ho bisogno di sapere quali sono le tue condizioni».
«Perché?», domandò Loki,
seriamente.
Khalida lo guardò dritto negli occhi. «Ho perso il
conto delle volte che mi hai salvato la vita. Il minimo che possa fare
è aiutarti, e per farlo devo sapere come stai».
Per qualche minuto i due si fronteggiarono in silenzio, occhi negli
occhi, soppesando l'uno la sincerità dell'altra.
Infine Loki si alzò, senza degnare Khalida di una risposta.
Lei sospirò. «Dimmi solo una cosa.
Succederà di nuovo?».
«Sempre meno spesso. Il mio corpo si deve solo
abituare», le concesse l'alieno.
Khalida si alzò a sua volta, affiancando Loki.
«C'è un altro problema»,
iniziò.
Lui la guardò come a dirle di continuare.
«Le radiazioni. Lo S.H.I.E.L.D. ha la tecnologia per
rintracciare il Cubo».
Loki ridacchiò. «Voi umani e le vostre
certezze...», mormorò. «Il Tesseract non
è più lo stesso di prima, ora ne possiedo il
pieno controllo, perfino di queste cosiddette radiazioni. I tuoi amici
non possono trovarmi».
Khalida aggrottò le sopracciglia. «Ti ho
già detto che non sono miei amici».
Loki la osservò attentamente. «E allora
perché lavoravi con loro?».
«Sopravvivenza. Potevano proteggermi».
Khalida sostenne lo sguardo di Loki, mentre lui si avvicinava,
sovrastandola e scavando nei suoi occhi.
«E adesso perché sei con me?».
«Perché io sto sempre con il più
forte», replicò lei, sollevando il mento.
«Adesso, se hai finito, dobbiamo decidere cosa
fare», aggiunse, voltandosi.
Loki la afferrò per il polso, costringendola a fermarsi.
«Non parlare come se fossimo una squadra. Non lo
siamo», sibilò, gelido.
«Hai ragione, non lo siamo», annuì
Khalida. Strappò il braccio dalla presa di Loki con un gesto
secco e arrabbiato. «Quando è iniziata questa
storia tu avevi solo un nemico: Thanos. Adesso, dopo la tua bravata con
il Tesseract, hai anche lo S.H.I.E.L.D. alle calcagna, insieme agli
Avengers».
«E allora?», la incalzò Loki, curioso di
vedere dove Khalida volesse arrivare.
Lei sorrise a metà. «Tu conosci Thanos, io conosco
lo S.H.I.E.L.D. e gli Avengers. Perciò, sì, non
siamo una squadra, ma se lavoriamo insieme, entrambi possiamo uscire
vittoriosi e indenni da questa situazione».
Loki piegò leggermente la testa di lato, poi sorrise, a
metà tra il divertito e il canzonatorio. «Cosa
vuoi da me?».
Lei non rispose. «Vieni», disse solamente,
incamminandosi verso la cucina.
Lo schermo del grande Mac illuminava la stanza altrimenti buia.
Khalida, cliccò un paio di icone e lasciò che le
pagine si caricassero.
«Non sono più al sicuro. Adesso lo S.H.I.E.L.D. mi
starà cercando in ogni angolo della Terra, e i miei nemici
avranno saputo che non sono più nelle grazie di
Fury», spiegò. «Ho un posto dove
nascondermi, ma per arrivarci ho bisogno del tuo aiuto».
«Perché?».
Khalida indicò lo schermo, che mostrava una visuale
satellitare di un deserto. Sulla terra brulla e spoglia, sorgeva un
minuscolo villaggio, simile ad un agglomerato di lego impolverate
buttate su una moquette vecchia e spelacchiata.
Loki arricciò il naso, a quella vista. Quella era la faccia
più deplorevole dell'umanità, il loro vivere come
animali.
«Questo villaggio si trova a migliaia di chilometri da qui.
Non posso arrivarci con i mezzi tradizionali, verrei individuata
subito», spiegò la donna.
«Vuoi che ti ci porti io», concluse Loki. La
guardò. «E quale ne sarebbe il mio
vantaggio?».
Khalida rise. «Sai perché mi voglio nascondere
proprio qui?», chiese, ignorando la domanda dell'alieno.
Lui la guardò socchiudendo gli occhi, come a rammentarle che
la sua pazienza era molto vicina al limite.
Lei non perse il sorriso. «Questo è il villaggio
dove sono nata. Nessuno verrebbe mai a cercarmi lì, dato che
la maggioranza delle persone che vogliono uccidermi vivono a pochi
chilometri di distanza. È l'ultimo posto dove potrei essere
al sicuro, e l'ultimo dove mi cercherebbero».
Loki dovette ammettere che il ragionamento aveva una sua logica, banale
e umana, ma condivisibile.
«Cosa c'entra con me?», insisté di nuovo.
«Vale anche per te. Ora che hai il Tesseract nessuno si
aspetterebbe che tu rimanga sulla Terra», rispose Khalida,
chiudendo la finestra sul computer e spegnendo la macchina.
Loki strinse le labbra.
Non gli piaceva il fatto che quella donna sia arrogasse il diritto di
pensare anche per lui.
Khalida non fece caso alla sua irritazione, si alzò dalla
scrivania e si diresse verso l'armadio. Dal fondo del mobile, estrasse
un grosso borsone nero.
Lo appoggiò sul letto, cercando gli occhi di Loki.
«Devi decidere in fretta. Non possiamo rimanere qui molto a
lungo», fece presente, prima di iniziare a spogliarsi con
gesti veloci e rapidi.
Loki la fissò sfacciatamente, lasciando indugiare gli occhi
sulle braccia ricoperte di tatuaggi della donna. I disegni era piccoli
e dettagliati, sembravano rappresentare un fiore rosato, screziato di
bianco.
Khalida non fu particolarmente toccata dallo sguardo indagatore
dell'alieno, più lui si mostrava incuriosito da lei, meglio
era. Si rivestì con la stessa velocità con la
quale si era spogliata. I pantaloni di lino erano larghi e comodi, e la
tunica della stessa stoffa le pizzicò la pelle. Erano
passati oltre cinque anni dall'ultima volta che aveva indossato quegli
abiti e ricordi lontani, come brevi onde in una pozzanghera, le
affiorarono nella mente. Con cura, si avvolse il niqab intorno alla
testa, lasciando scoperti solo gli occhi. I capelli sciolti le pesavano
sulla schiena, liberi come non erano da tempo.
Loki la osservò mentre deponeva l'armatura asgardiana e
altri abiti nel borsone e ne estraeva una valigetta. Conteneva due
pistole, che la donna fece sparire sotto la tunica. Nella scatola,
ripose l'arma caricata con l'energia del Tesseract.
«Lasci la tua arma migliore?», osservò
Loki, con tono sprezzante.
Khalida lo fissò. «I comuni proiettili sono meno
rintracciabili», spiegò, mentre nascondeva due
pugnali negli stivali.
Dal borsone estrasse un ultimo involto.
Loki lo scrutò incuriosito, sembrava formato da blocchi di
uno strano materiale gommoso, legati fra loro da fili colorati. Sui
lati campeggiavano le lettere C4.
«È esplosivo», disse Khalida, premendo
un pulsante. «Quando ce ne saremmo andati da qui,
è meglio che le nostre tracce si perdano»,
aggiunse.
Afferrò il borsone e avvicinò Loki.
«Abbiamo un minuto, prima che esploda»,
osservò. «Cosa hai deciso?».
Loki non rispose, si limitò a far comparire lo Scettro nelle
sue mani e ad afferrarla per un braccio.
Lei sorrise.
«Ti serviranno degli abiti meno appariscenti»,
constatò, un attimo prima che la luce la avvolgesse.
--------------------------------------------------
Mi piace far interagire Stark e Fury, sin da Iron Man 2 il rapporto tra
loro mi è sembrato molto particolare, e mi piace esplorarlo
con questi spezzoni "fuori campo".
Ok, adesso iniziamo a scoprire qualcosa in più su Khalida,
compresa la strategia che ha intenzione di adottare con Loki.
Spero di non andare OOC con Loki, in caso avvisatemi :)
PS: la frase finale di Khalida, è una vaga citazione di
quello che dice Heimdall a Thor & Company prima che partano per
Joutuneim nel film "Thor"
Alla settimana prossima.
Nicole
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Come un'eco ***
Dato che l'ispirazione in queste
settimane è andata in ferie,
sono un po'in ritardo e anche di corsa. Mi scuso, se appaio frettolosa,
come al solito, buona lettura.
È incredibile come certi ricordi, benché lontani
e rarefatti, ritornino alla mente, riecheggiando tra i pensieri al solo
sentore di un rumore, un odore e una voce.
Non appena aprì gli occhi, Khalida si lasciò
sopraffare dal vociare intenso del villaggio, affollato nel giorno di
mercato. L'aria era satura di polvere e sabbia, colorata dall'odore
della carne appena macellata e delle spezie, così intenso da
far pizzicare il naso e lacrimare gli occhi.
La donna ingoiò i ricordi e si costrinse a razionalizzare.
Doveva essere rapida e discreta, nessuno doveva notarli, altrimenti
sarebbe stata la fine.
Spinse Loki in un vicolo, allontanandosi dalla confusione
più intensa. L'alieno aveva già adeguato il suo
abbigliamento a quello della maggioranza degli uomini presenti, ma
Khalida lo scrutò comunque con occhio critico.
«Sei troppo riconoscibile», sussurrò,
tenendo la voce bassa.
Sospirò, poggiando il borsone a terra. «Per
raggiungere il mio rifugio dobbiamo fare ancora un po'di strada, e non
possiamo usufruire delle tue capacità...».
«Perché?», la interruppe bruscamente
Loki.
«Capirai quando arriveremo», tagliò
corto lei. «Adesso sarai tu a condurmi, perché in
questo luogo non è usuale che le donne camminino davanti
agli uomini. Segui le mie indicazioni senza esitazioni ed evita di
guardare gli altri negli occhi».
«Hai paura che uccida qualcuno con lo sguardo?»,
ironizzò amaramente l'alieno, facendo un passo avanti verso
la donna.
Lei accennò un sorriso. «No, solo è
difficile dimenticare i tuoi occhi», spiegò.
«Ora vai, cammina fino in fondo al vicolo e poi gira a
destra».
Loki non si mosse. «Cosa ti fa essere così
convinta del fatto che resterò con te?».
Khalida si caricò nuovamente il borsone sulla spalla.
«Il fatto che, se avessi voluto, te ne saresti già
andato».
Nel silenzio assordante che prese posto tra gli sguardi intensi di
Khalida e Loki, malgrado entrambi, non vi fu posto per menzogne di
nessun tipo.
In silenzio, Loki si voltò e iniziò a camminare.
I margini del villaggio erano più tranquilli e la
maggioranza delle case sembravano disabitate e in rovina. Doveva essere
accaduto negli ultimi tempi, quando Khalida era stata lì
circa quattro anni prima quel villaggio brulicava di vita. Adesso,
benché la confusione dovuta al mercato, le facce era
smagrite dalla paura e molti uomini armati camminavano per le strade.
Si guardò rapidamente intorno, le finestre e le porte erano
spesso sbarrate da lamiere arrugginite, rendendo ogni baracca uguale
all'altra. I passi rimbombavano sulle pareti in echi soffocati e
timidi, come se il silenzio fosse un obbligo, una regola da non
infrangere.
Ostentando un'aria dimessa, Khalida proseguì a capo chino,
mormorando indicazioni. Loki le seguiva, stupito della
capacità di fingere della donna, di come persino la sua
voce, normalmente alta e autoritaria, fosse trasfigurata nella recita.
Contemporaneamente osservava il luogo in cui Khalida aveva deciso di
condurlo. Nessuno aveva dedicato loro più di uno sguardo
superficiale e distratto. Più di una volta, l'alieno aveva
provato la sensazione di camminare in un luogo fantasma, in cui le
persone sembravano esistere in un limbo di perpetua attesa. Sulle
pareti di cemento consumato, o di materiali molto meno nobili, erano
scavati fori e solchi che testimoniavano troppe battaglie. Su alcune
pareti, chiazze di sangue si stavano ancora asciugando alla luce del
sole sfavillante.
Ogni angolo era consumato dalla solitudine che la guerra genera.
Loki si lasciò sfuggire un sorriso.
In fondo poteva sentirsi a casa in un luogo simile.
«Fermati», sussurrò Khalida.
Loki osservò la baracca davanti a lui, non sembrava diversa
da tutte le altre, stesse lamiere consunte a proteggerne l'interno,
stesso cemento crivellato di colpi.
Khalida lo oltrepassò, avvicinandosi all'ingresso.
«Controlla che non arrivi nessuno».
«Nessuno ci vedrà», la avvisò
lui.
La donna fissò l'alieno negli occhi. «Non sprecare
le energie», lo ammonì.
Lui le rispose solo con un mezzo sorriso condiscendente.
Khalida preferì non insistere anche se non si trattenne
dall'alzare gli occhi al cielo. Anche se alieno, Loki era pur sempre un
uomo, che detestava prendere ordini da una donna, o anche solo
considerare l'idea che potesse avere un'idea migliore della sua.
Con gesti esperti, scostò la lamiera tagliandosi le mani e
spezzandosi le unghie, ma senza fare rumore. Dopo aver liberato uno
spazio appena sufficiente per passare, si voltò, cercando
gli occhi di Loki.
«Metti i piedi dove li metto io. L'interno è
minato», spiegò, estraendo da una tasca del
borsone una piccola torcia elettrica.
Loki ridacchiò, ma non fece commenti, mentre la seguiva
all'interno.
L'unica stanza era spoglia, ingombra solo di silenzio e odore di
marcio. Particelle di polvere fluttuavano nell'aria, illuminate da
sottili fasci di luce che filtravano dagli spiragli del cemento e
dell'acciaio. Il pavimento era lastricato sommariamente da piastrelle
che un tempo erano state bianche, ma che ormai avevano il colore della
sabbia e del sangue.
Khalida appoggiò cautamente il piede, esercitando una
leggera pressione. Una goccia di sudore le calò sulla
fronte, mentre con la torcia cercava quei segni che solo lei sapeva
esserci. Il fatto che il luogo fosse ancora intatto, indicava che
nessuno era entrato, ma poteva contare solo sulla sua memoria per non
saltare in aria al primo passo falso.
Trattenne il respiro per quasi tutta la durata del percorso.
Quando le sue mani toccarono la tenda che la separava dal suo
obiettivo, una risata nervosa le salì nella gola. Quello che
aveva appena fatto le faceva tornare in mente come era stata per tanti
anni. Incurante della propria vita, giocando in una continua roulette
russa con il destino.
Ironico che proprio adesso che era sempre più vicina alla
morte, ora che le camminava dietro, lei volesse così
disperatamente continuare a vivere.
Scostò la stoffa impolverata con un gesto secco, gli occhi
le lacrimarono e notò con soddisfazione che anche Loki non
riuscì a trattenere un colpo di tosse soffocato.
Non appena la nuvola di sporcizia si fu posata, l'alieno
osservò il mezzo di trasporto malmesso che ingombrava tutto
lo spazio. Sembrava una sorta di moto a quattro ruote e forse un tempo
era stata rossa, ma la carrozzeria era completamente incrostata di
sabbia e non sapeva cos'altro. Un'altra lamiera, meno rovinata delle
altre, chiudeva il retro della baracca.
«Cosa diavolo è?», domandò.
Khalida non rispose, recuperò da uno scaffale un mazzo di
chiavi e salì a cavalcioni del mezzo, inserendo una chiave
nel quadro.
Al suo polso era comparso, come dal nulla, un dispositivo elettronico
che lampeggiava di una luce verde cupa ed emetteva un lieve bip a
intervalli regolari.
«È un quad», disse, dopo qualche secondo
in cui aveva armeggiato con vari pulsanti. Poi picchiò un
dito sullo schermo al suo polso. «Questo è un
navigatore satellitare, ci porterà al rifugio»,
spiegò, accendendo il motore. Contemporaneamente, la lamiera
che ostruiva il passaggio si mosse, facendo crollare fili di polvere da
un'arrugginito meccanismo elettrico sul soffitto.
Khalida attese qualche secondo prima di voltarsi verso Loki.
«Si presume che tu debba salire», rise, davanti
all'espressione dubbiosa dell'asgardiano.
«Stai scherzando?», replicò lui, ostile.
Khalida indurì lo sguardo. «Perfetto, se non vuoi
venire, ci salutiamo qui. Grazie dell'aiuto», la voce non
ebbe esitazione e, per sottolineare meglio il concetto, Khalida diede
un colpo di acceleratore.
Loki scrutò la schiena della donna.
Stava fingendo, lei voleva che restassero insieme.
L'alieno era consapevole che Khalida non lo faceva solo per essere al
sicuro, ciò che lei aveva detto fino ad allora, era vero
solo a metà. Aveva qualche altro scopo, ma se l'avesse
lasciata andare via, non l'avrebbe mai scoperto. Certo, avrebbe potuto
ucciderla subito, e togliersi quell'incombenza fastidiosa, ma non era
certo che quello sarebbe stato il momento più opportuno.
Poteva usarla per avere informazioni preziose sugli Avengers e sullo
S.H.I.E.L.D., con loro aveva ancora un conto in sospeso e intendeva
saldarlo quanto prima.
In fretta, mentre la lamiera si sollevava con lentezza esasperante,
Loki valutò i pro e i contro della situazione. La donna non
poteva danneggiarlo in alcun modo, mentre lui era in netto vantaggio,
dato che poteva ucciderla quando preferiva, e grazie al potere del
Tesseract era libero di fuggire in qualsiasi momento.
In realtà, rimanere con lei non era nemmeno un rischio.
Senza dire niente, Loki si accomodò, per quanto il termine
fosse inappropriato, dietro Khalida.
Lei sorrise, e strinse di più il niquab intorno al volto,
per impedire alla polvere e al vento di filtrare. Era quasi
mezzogiorno, e non era certo l'orario più adatto per
attraversare il deserto, ma non potevano aspettare che facesse buio. La
velocità era tutto, dovevano essere invisibili come fantasmi.
Accelerò cautamente, uscendo allo scoperto in un vialetto
deserto che portava dritto fuori dal villaggio. Il quad prese
velocità, addentrandosi nella stradina sterrata che
serpeggiava nella campagna inaridita davanti a loro. Non appena si
furono allontanati di circa cinquecento metri, un'esplosione
ferì l'immobilità della giornata.
Loki si voltò di scatto, osservando la colonna di fumo e
fuoco che saliva al cielo.
Seppe, senza domandare, che era stata Khalida.
«Avevi detto di non attirare l'attenzione»,
commentò.
Gli occhi della donna si velarono. «Non ci faranno troppo
caso, qui accadono cose del genere tutti i giorni», disse,
dando un colpo deciso di acceleratore. «Tieniti»,
ordinò poi, con tono conclusivo.
Le ruote del mezzo sollevarono una nuvola di polvere mentre si
allontanavano dal sentiero segnato.
In lontananza, risuonarono dei colpi d'arma di fuoco.
Loki non aveva mai mmaginato che sulla Terra potessero esistere luoghi
così carichi di crudele bellezza. Il deserto che
attraversavano da ore, a velocità sostenuta, non
assomigliava a niente che avesse visto durante la sua vita. La luce era
accecante, e confondeva l'orizzonte in una linea incerta in cui due
diverse tonalità di bianco si mescolavano ferendo le pupille
e la mente. La vegetazione era completamente scomparsa, solo rari
arbusti rinsecchiti avevano l'ardire di tagliare la terra ricoperta da
ciottoli e ghiaia. In lontananza si intravedeva il profilo di alcune
colline ma, come se fossero intrappolati in un limbo senza uscita,
sembravano non avvicinarsi mai.
Il tempo stesso stava iniziando a perdere senso e quella sensazione
rievocava ricordi sgradevoli alla mente dell'asgardiano. Echi di voci
lontane e velenose gli si affacciavano di continuo nella mente.
Iniziava a sentirsi affaticato.
L'energia del Tesseract lo indeboliva più di quanto volesse
ammettere e la temperatura elevata non giovava al suo fisico abituato a
ben altri climi. Prima di essere un asgardiano, un dio, era un gigante
di ghiaccio, e un deserto non era certo l'habitat ideale per uno come
lui.
Non appena il sole iniziò a calare ad ovest, il paesaggio
cambiò lentamente, il terreno si fece meno sassoso e le
ruote del quad iniziarono ad affondare sempre più spesso
nella sabbia fino a che procedere non divenne impossibile.
Khalida imprecò, colpendo il manubrio con un pugno.
Consultò con una rapida occhiata il GPS, premette un paio di
tasti e annuì tra sé e sé.
Cercò gli occhi di Loki. «Dobbiamo proseguire a
piedi. Ci vorrà ancora circa un'ora».
Lui annuì.
Khalida accennò al quad. «Riesci a farlo
sparire?».
L'alieno si concesse un breve sorriso stanco, lo Scettro comparve nelle
sue mani e non appena la punta del manufatto toccò il quad,
quello si dissolse in una nuvola di particelle azzurre.
«Altro che l'acido», commentò Khalida,
con un sorriso.
«Come scusa?», domandò Loki, e si
stupì di come la sua voce fosse arrochita. Si rese conto
solo in quel momento di essere arso dalla sete.
Khalida fece un gesto di noncuranza poi, come se gli avesse letto nel
pensiero, gli porse una borraccia. Lui l'accettò senza dire
niente, e mentre anche lei si dissetava si guardò intorno.
Sotto i suoi occhi, il profilo delle piccole dune di sabbia vorticava
spazzata dal forte vento che si stava alzando da sud. In breve tempo,
il paesaggio intorno a lui cambiò completamente. Se non
fosse stato per il fatto che lui e Khalida non si erano mossi avrebbe
detto di essere stato teletrasportato in un altro luogo.
Capì perché Khalida aveva detto di non poter
condurlo lì attraverso il potere del Tesseract. Non avrebbe
mai potuto essere precisa nel guidarlo in un posto simile, dove ogni
minuto tutto poteva cambiare.
Khalida gli lesse i pensieri. «Non ho buona memoria per i
luoghi, e questo è uno dei più inaffidabili della
terra», spiegò, sistemando nuovamente il niquab
intorno al viso. Si caricò in spalla il borsone,
controllò nuovamente il GPS e si incamminò con
decisione verso un punto alla loro destra.
Con la sua vista acuta, Loki riusciva ad intravedere un agglomerato di
piccole colline, che spuntavano come denti di pietra dalla terra.
Rimase in silenzio per tutto il tempo, continuando ad osservare come,
man mano che la luce del sole lasciava il posto al chiarore delle
stelle, il panorama intorno a lui mutava nuovamente. La temperatura
scese e lui si sentì più a suo agio. Adesso quel
posto lunare assomigliava molto di più alle tenebre in cui
era nato e che rifuggiva con tutto sé stesso.
Quando raggiunsero le pendici scoscese delle colline, simili a grandi
massi trasportati lì da un qualche gigante e poi abbandonati
in mezzo al niente, Khalida poggiò una mano sulla pietra,
all'altezza dei suoi occhi. Con un gesto impaziente, si tolse il velo
dalla testa e lo lasciò cadere a terra. Camminò a
lungo avanti e indietro, consultando il GPS e scrutando la roccia alla
ricerca di qualcosa che vedeva solo lei.
Ad un tratto, sorrise e premette con decisione la mano su una lieve
protuberanza di roccia, quasi invisibile.
Uno sbuffo di polvere si sollevò da terra e, con un clangore
metallico, la parete di roccia davanti a loro scivolò su
cardini invisibili, rivelando l'ingresso buio di una grotta dal
soffitto a botte.
Khalida si voltò verso Loki, e l'alieno fu sorpreso dal
sorriso sincero che le animava il volto stanco e rigato di polvere.
«Siamo arrivati».
Un breve e acuto bip annunciò l'arrivo di un nuovo pacchetto
di dati.
L'agente di turno, li scrutò con aria sempre più
stupita.
Portò la mano all'auricolare.
“Direttore
Fury...”, iniziò il giovane,
tentennante.
“Dica
agente”, lo incitò la voce
autoritaria dell'uomo.
“L'agente
Sabil si è spostata signore”.
“Dove si trova
ora?”.
L'agente picchettò per un secondo sui tasti.
“Circa cento
chilometri a sud della città di Be' ér Sheva', in
Israele”, rispose. “Nel deserto”,
precisò.
All'altro capo si sentì solo un profondo silenzio.
“Signore?”,
chiamò l'agente, preoccupato.
“Ho sentito
agente”, replicò Fury. “Continui a monitorare
la situazione, mi avvisi se l'agente Sabil si sposta
nuovamente”.
“Sissignore”.
Fury accelerò il passo verso l'infermeria.
L'agente Romanoff era stata dichiarata da poche ore ufficialmente fuori
pericolo e prima di ricevere quella comunicazione stava andando ad
accertarsi che fosse già a conoscenza di tutti i nuovi
sviluppi.
Quando aprì la porta, seduto accanto al letto c'era l'agente
Barton.
Fury fece un mezzo sorriso. «Due piccioni con una
fava», commentò, chiudendosi la porta alle spalle.
«Come si sente, agente?», domandò,
rivolto a Natasha.
La donna era seduta con la schiena affondata in un cuscino, un vistoso
cerotto bianco le nascondeva parte del volto e il braccio sinistro era
ingessato e immobilizzato.
«Bene», rispose Natasha, accennando un lieve
sorriso.
Fury guardò Clint.
L'uomo si alzò in piedi. «Mi cercava,
direttore?», chiese, riconoscendo lo sguardo serio di Fury.
Ormai nella sua mente c'era una mappa piuttosto precisa delle sue
espressioni, e sapeva identificare il momento in cui il direttore lo
sceglieva per qualche missione, più o meno ufficiale.
«L'agente Sabil e Loki si sono spostati, adesso si trovano
all'interno dello stato di Israele, non molto distanti dal confine con
la Giordania», iniziò Fury. «Voglio che
organizzi un punto di controllo a dieci chilometri dalla loro
posizione, e si tenga pronto ad intervenire al mio ordine».
L'agente Barton annuì. «Signore, avevo capito che
l'agente Sabil non doveva essere tenuta sotto controllo»,
disse, esternando la sua perplessità.
Fury aveva più volte ribadito, davanti ai loro dubbi, la sua
assoluta fiducia nelle capacità e nella lealtà
dell'agente Sabil. Quell'improvviso cambio di pensiero, era sospetto, e
inatteso.
Nick fissò Clint dritto negli occhi.
«Questo prima che decidesse di nascondersi in una delle zone
più calde del pianeta in cui la nostra influenza
è quasi nulla», spiegò Fury, e sia
Natasha che Clint capirono che era arrabbiato, quella vena che pulsava
sulla tempia non prometteva niente di buono.
«Faccia le valigie agente, il suo jet parte tra quindici
minuti», concluse Fury, uscendo dalla stanza.
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Alla settimana prossima!
Ringrazio ancora chi
legge, anche se non commenta.
Nicole
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 - Come le stelle ***
Eccomi qui, più o meno
puntuale.
Sono molto contenta di
aver ricevuto pareri positivi per questa parte della storia, sono molto
affezionata a Khalida, anche se è un personaggio complesso e
difficile da capire anche per me.
Volevo chiarire una cosa,
fino ad adesso tutto ciò che sappiamo del passato di Khalida
è stato detto da Fury, oppure in qualche vago accenno di
Khalida stessa ma che avrebbe anche potuto non essere la
verità, d'ora in poi, invece, tutto quello che
dirò su di lei, è vero. Questa parte
della storia, infatti, è concentrata proprio su di lei, e
sullo scoprire tutto della sua storia.
Spero che questo capitolo
vi piaccia almeno quanto piace a me!
A dopo il capitolo, per
alcune precisazioni.
Buona lettura.
La
gente del villaggio chiamava quelle grotte Bocca del Demone.
Non c'era niente di soprannaturale in quel nome, solo una storia di
sangue, accesa dai lampi di troppi kalašnikov. Per anni
quegli anfratti naturali erano stati il rifugio di ribelli e mercenari
della peggior specie. Ai bambini del villaggio, e anche agli adulti,
veniva raccomandato di non avvicinarsi mai.
Quando aveva disertato, la Bocca
del Demone era il primo posto in cui Khalida aveva pensato
di rifugiarsi. Da qualche anno quella zona del paese era sotto il
controllo di un misterioso braccio armato indipendente, che si faceva
chiamare I
Dieci Anelli.
Più volte, lavorando per l'intelligence, aveva avuto a che
fare con quel nome, ma non era mai riuscita a scoprire niente di
concreto dai suoi prigionieri, probabilmente perché non
sapevano effettivamente nulla.
Braccata, Khalida si era diretta nel suo villaggio d'origine, e poi
alla Bocca del Demone.
All'inizio i Dieci
Anelli non l'avevano accolta bene, ci era mancato poco che
la uccidessero a vista, ma il loro capo, un iracheno grosso quanto
borioso e stupido, l'aveva guardata lascivamente e aveva deciso di
ascoltarla, prima di decidere del suo destino.
Khalida aveva giocato tutte le sue armi, comprese quelle di donna,
riuscendo a convincere l'uomo che ucciderla era veramente una grossa
perdita. Dopo alcuni giorni di prigionia, l'iracheno si era deciso ad
ammetterla nella sua cerchia di terroristi. In breve tempo, aveva fatto
strada, diventando il braccio destro dell'uomo, che si chiamava Abu
Bakaar.
Quando Abu era partito per una missione importate insieme a un pezzo
grosso dei Dieci Anelli,
un certo Raza, a Khalida era stato assegnato il comando
dell'unità che viveva all'interno della Bocca del Demone,
trasformata in una vera e propria base operativa dotata di tutte le
attrezzature tecnologiche adeguate ad un'organizzazione terroristica.
Passarono dei mesi, e né Abu, né Raza si fecero
più vedere. Gli animi iniziarono a scaldarsi non appena
divenne chiaro che erano stati tagliati fuori, e molti dei terroristi
diventarono impazienti. Khalida non ebbe altra scelta, per salvarsi la
vita, che sciogliere l'unità e mandare ognuno per la propria
strada. La separazione non fu indolore e Khalida aveva dovuto
seppellire più di un corpo. Solo pochi erano rimasti con lei
e insieme a loro aveva iniziato a costruire la sua carriera di
mercenaria, vendendo al miglior offerente prima le rimanenze
dell'arsenale dei Dieci
Anelli e poi le proprie competenze.
Un anno dopo, ormai a capo di una nutrita schiera di mercenari, Khalida
aveva lasciato la Bocca
del Demone, sigillandola e nascondendo nel villaggio il
modo per ritrovarla, e si era trasferita in una base più
civile, prima in Iraq, poi nei paesi dell'est, e infine in Europa, dove
aveva vissuto per diversi mesi.
Solo molto tempo dopo Khalida scoprì che la missione per cui
Raza aveva prelevato Bakaar era il rapimento del miliardario Tony
Stark, in Afghanistan, e che entrambi erano rimasti uccisi dopo il
fallimento della missione.
Quando aveva conosciuto Stark, si era trattenuta a stento dal dirgli
che, anche se in minima parte, lei era parte dell'ingranaggio che
l'aveva trasformato in Iron Man.
Mettendo da parte i ricordi, alcuni meno sgradevoli di altri, Khalida
finì di montare una delle poche armi che aveva lasciato nel
rifugio. Era una variazione del classico AK-47, naturalmente firmato
Stark Industries.
Avrebbe voluto testarlo per controllare che la lunga
immobilità non l'avesse danneggiato, ma preferiva farlo in
un momento in cui Loki fosse stato di buon umore.
Da quando erano arrivati nella grotta, due giorni prima, l'asgardiano
si era chiuso in un silenzio impenetrabile come il piombo. Si era
letteralmente parcheggiato su un consunto divano nella zona
più interna della grotta a fissare il Tesseract.
Khalida lo aveva osservato. La sua posizione e il modo in cui respirava
profondamente le avevano ricordato i monaci buddisti in meditazione.
Probabilmente l'alieno stava assorbendo l'energia del Cubo o forse si
stava solo abituando a sentirla scorrere dentro di sé.
Aveva deciso di lasciarlo stare, per non rischiare che la missione
finisse prematuramente con la sua morte violenta per mano di un alieno
scostante e lunatico.
Due volte al giorno lo controllava, per assicurarsi che non se la fosse
filata e per lasciargli qualcosa da mangiare che puntualmente spariva,
anche se Khalida non aveva mai sentito il minino rumore.
Nel frattempo, aveva usato quel tempo per rimettere in funzione tutti i
sistemi di sicurezza di cui era provvista la Bocca del Demone.
Oltre alle classiche telecamere esterne ad infrarossi, c'erano sensori
di movimento su tutto il perimetro esterno delle colline e cariche in
punti strategici per l'autodistruzione.
Benché tecnologico, l'interno era spartano, la
comodità più lussuosa era un angolo appartato che
fungeva da servizi igienici, con una tinozza di metallo per lavarsi.
All'ingresso, c'era una postazione computer, naturalmente dismessa, un
angolo in cui ronzava un piccolo frigorifero e un altro in cui rombava
il pesante generatore. Nella parte più profonda e umida
della grotta c'erano quelli che erano stati gli alloggi dei ribelli,
una ventina di brande vecchie e cigolanti che Khalida aveva fatto
sparire, accatastandole in un angolo. Ne aveva tenute solo due, che
aveva spostato in una zona più buia, lontana dalle piccole
buche per il ricambio dell'aria che lasciavano filtrare anche la luce
sfavillante del sole o quella chiara delle stelle.
Sulla parete destra, si arrampicava una malmessa scala di metallo,
fissata alla roccia da traballanti puntelli di metallo. Portava
all'esterno, alla cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Se era
ancora come Khalida l'aveva lasciata, per almeno qualche settimana,
l'acqua non sarebbe stata un problema.
Il resto dello spazio era vuoto, se si escludeva l'anfratto in cui Loki
aveva deciso di rintanarsi.
In poco tempo, Khalida aveva attrezzato parte dello spazio ad arsenale
e aveva passato in rassegna le poche armi che le erano rimaste.
L'AK-47, tre pistole automatiche, un lanciagranate, una cassa colma di
munizioni e una decina di pugnali di varie lunghezze. Niente male,
contando comunque che la presenza di Loki e le sue capacità
già le fornivano un grosso vantaggio se qualcuno fosse
venuto a cercarla.
Era relativamente certa che i Dieci
Anelli non tenessero sotto controllo quel loro vecchio
avamposto, ma era meglio non rischiare.
Khalida si asciugò il sudore dalla fronte, sbuffando. Fuori
era mattina presto, ma il caldo era già opprimente.
Un cigolio sommesso fece scattare i suoi sensi vigili e, non appena si
voltò, si trovò di fronte Loki. Aveva indossato
nuovamente i suoi abiti stravaganti, ed era tornato esattamente con la
stessa aria da dio perennemente infastidito. Sembrava stare bene, aveva
gli occhi chiari lucidi e presenti, e la pelle tesa e meno pallida del
solito.
Chissà, magari il Tesseract aveva anche proprietà
estetiche, oltre che essere un'arma formidabile.
«Ti senti meglio?», domandò Khalida,
tornando a rivolgere l'attenzione al fucile. Con uno scatto metallico
inserì il caricatore nella sua sede e ne saggiò
il peso con un gesto esperto.
L'alieno non rispose. «Cosa stai facendo?»,
domandò, incolore, gettando un'occhiata distratta a tutte le
armi ammucchiate sul tavolo.
Khalida imbracciò decisa l'AK-47. «Mi
rilasso», scherzò.
Loki aggrottò le sopracciglia, e dalla sua espressione
Khalida capì che tra poco se ne sarebbe uscito con uno dei
suoi commenti taglienti sull'inferiorità della razza umana,
così lo incalzò, senza dargli il tempo di pensare.
Gli puntò contro il fucile. «Devo fare una
prova», iniziò. «Temo che questa
bellezza non funzioni più».
Loki intuì. «Vuoi sfogarti, sparandomi
addosso?».
«Vedila come vuoi», disse Khalida, imbracciando
più saldamente l'arma. Avvicinò l'occhio al
mirino, e Loki fece qualche passo indietro.
Lo divertiva l'intraprendenza di quella piccola umana. Più
la lasciava libera di comportarsi come preferiva, più
l'avrebbe soddisfatto il momento esatto in cui lei avrebbe esalato
l'ultimo respiro per mano sua.
Khalida fece un respiro profondo, prima di premere il grilletto.
Non lo faceva per testare l'arma, ma per testare Loki. Voleva capire
cosa era esattamente in grado di fare grazie al Tesseract. Quanto in
là si spingevano le sue abilità, e la sua
pericolosità.
Una raffica di proiettili investì la figura di Loki, e i
lampi abbaglianti della detonazione impedirono per pochi secondi a
Khalida di vedere il risultato del suo esperimento.
Abbassò lentamente l'AK-47.
I proiettili erano fermi a pochi centimetri dal corpo di Loki, sospesi
a mezz'aria come se fossero trattenuti da un muro di gomma. L'alieno
sorrise, d'una fierezza fredda e pungente.
Khalida comprese finalmente cosa l'aveva sempre attratta di Loki.
Non erano mai state le tante uguaglianze che poteva fare tra loro,
anche perché era presuntuoso per lei cercare similitudini
del genere.
Loki aveva il fascino freddo e distante delle stelle, di qualcosa cui
non potrai mai arrivare, ma non puoi fare a meno di ammirare e
desiderare di capire.
Le stelle, per Khalida, erano sempre state la cosa più
simile a dio che avesse mai immaginato. La religione affermava che la
divinità, comunque la si voglia chiamare, era eterna,
immutabile. Ed era così che Khalida aveva sempre percepito
quei puntini di gas cosmico nel cielo nero.
Una costante, una sicurezza, qualcosa su cui fare affidamento.
Forse per questo non riusciva a dormire, se non rassicurava
sé stessa della loro presenza.
Da fine psicologa quale era, la donna sapeva riconoscere i suoi stessi
processi mentali che la portavano a provare determinati sentimenti o
sensazioni.
Saperlo, le permetteva di estraniarsi persino da sé stessa,
se necessario.
Ma in quel momento, non ne avvertiva il bisogno.
Aveva tutto sotto controllo.
Afferrò uno dei pugnali da lancio dal tavolo, e lo
scagliò con forza in direzione del petto di Loki. Anche
quello si fermò alla stessa distanza dei proiettili.
Incuriosita, Khalida lo avvicinò e allungò la
mano. Le sue dita incontrarono una resistenza pari a quella di una
parete di vetro, spessa una decina di centimetri.
Fece scorrere le dita con interesse, fino all'altezza del viso di Loki,
che la fissava come si osserva uno strano animale di cui non si
conoscono i comportamenti.
«Come diavolo fai?», domandò Khalida,
cercando gli occhi dell'alieno.
«Il Tesseract protegge sé stesso. Io sono il suo
Portatore, se morissi, con me morirebbe la sua energia»,
spiegò Loki.
Khalida saggiò nuovamente la resistenza della barriera
esercitando una lieve pressione, che aumentò
progressivamente. «Niente può
oltrepassarla?».
Per risposta, la resistenza contro la sua mano svanì e
Khalida perse l'equilibrio, sbilanciandosi in avanti e finendo contro
il corpo di Loki. I proiettili produssero un tintinnio fastidioso
mentre crollavano a terra uno dopo l'altro. Il pugnale
atterrò ai piedi di Khalida e lei ascoltò il
proprio cuore accelerato con uno stupore pari alla sua soddisfazione.
Loki stava solo giocando con lei, ma era più di quanto
potesse sperare.
«Solo quello che non è una minaccia»,
disse Loki, rispondendo alla sua domanda.
Khalida notò che stava nuovamente mettendo distanza tra
loro, ricordandole che lei era niente in confronto a lui, ed era viva
solo perché lui aveva deciso così.
Non l'infastidiva, la verità non l'aveva mai fatto.
«Qual'è la storia del Tesseract?»,
chiese, invece.
Loki finse un'espressione stupita. «L'uomo bendato non ve
l'ha raccontata?».
Khalida sorrise, facendo un breve passo indietro. «Anche se a
lui piace pensarlo, Fury non ha la verità in
tasca».
Loki annuì brevemente, come a darle ragione.
«Perché Odino aveva nascosto il Tesseract sulla
Terra?», chiese nuovamente Khalida.
«Perché aveva paura».
Khalida intuì subito che Loki non si riferiva al Cubo.
«Di chi?».
L'alieno le concesse un'occhiata lievemente meno fredda del solito.
Analizzava spesso ciò che lo spingeva a provare
curiosità nei confronti della donna.
Non era mai stato il suo comportamento imprevedibile, né il
fatto che più volte si fosse mostrata dalla sua parte, ma la
sua intelligenza, quel qualcosa che le vedeva brillare negli occhi neri
come le notti eterne di Jotunheim.
Khalida era lucida, sempre razionale e presente, con una mente svelta e
cristallina.
Pochi e rapidi sentimenti le attraversavano il viso, sparendo subito
dopo.
Per quanto fosse degradante,
lei era la persona più simile a sé stesso che
Loki avesse mai incontrato.
All'inizio, l'aveva pensato anche di Thanos, ma si era dovuto ricredere
presto. Il titano era troppo estraneo al resto dell'universo per
assomigliare a qualcosa che non fosse sé stesso.
Con Khalida, invece, la sensazione si era acuita, ora dopo ora, giorno
dopo giorno.
La sua mente non riusciva a sfuggire a quella curiosità, a
quella fame di sapere.
Conosceva esattamente gli eventi che l'avevano portato ad essere
ciò che era e doveva sapere cosa, o chi, aveva creato la
donna che aveva di fronte.
Solo così, avrebbe potuto distruggerla.
Loki guardò Khalida negli occhi e lei gli
restituì lo sguardo, in attesa.
Come al solito, si mostrava fiduciosa nei suoi confronti.
Il solo suono della parola gli faceva venire la nausea.
Scostò Khalida, e la oltrepassò senza guardarla.
Lei non nascose una lieve delusione.
«Se vuoi risposta alle tue domande, dovrai darmi qualcosa in
cambio», la avvisò, dandole le spalle.
«Esiste qualcosa che desideri?», replicò
la donna, sinceramente stupita.
Loki ridacchiò. «Scoprirai ben presto che non
c'è limite alla mia brama».
Khalida non si lasciò impressionare. Sospirò.
«Di chi aveva paura Odino?».
Loki sorrise, d'un trionfo sottile e tagliente. Si voltò
lentamente. «Di chi ha creato il Tesseract».
Gli occhi di Khalida si accesero, come a chiedere di più.
Loki la accontentò. «Si tratta di un popolo
antico, di cui si è persa memoria. Un popolo estremamente
potente e intelligente che non ha potuto evitare l'estinzione per mano
della sua stessa grandezza», tra le mani di Loki, comparve lo
Scettro e gli occhi di Khalida furono attratti dalla luce del Cubo. Il
manufatto girava lentamente su sé stesso, seguendo un asse
lievemente obliquo.
Loki scrutò il volto incuriosito di lei. Riconosceva quella
luce che le accendeva gli occhi, era il fascino del potere.
Benché imperfetti, i sensi di Khalida percepivano l'energia
del Cubo scorrere, e la desideravano.
«Il Tesseract è il loro unico lascito»,
aggiunse Loki.
Khalida allungò lentamente una mano in direzione del
Tesseract.
«Fossi in te, non lo farei», la fermò
Loki, un attimo prima che le sue dita toccassero la superficie del
manufatto.
«Mi farebbe del male?».
«Quanto te ne farebbe toccare un fulmine».
Khalida fece cadere la mano. «Come ha fatto Odino ad
impossessarsi del Tesseract?».
«L'ha rubato, ovviamente. Portandolo via dalle ceneri del
pianeta in cui è stato forgiato», rispose Loki, e
a Khalida sembrò di intuire una durezza inedita nelle sue
parole.
Un rancore antico quanto l'universo stesso.
Conosceva la sequenza di eventi che avevano portato Loki ad
incamminarsi lungo la strada della vendetta, ma l'unica versione dei
fatti che aveva a disposizione era quella di Thor, e sarebbe stato
interessante sentire ciò che Loki stesso aveva da dire in
merito. Ma, se voleva vivere, era meglio rimandare l'argomento ad un
altro momento.
«A che scopo quel popolo creò il Cubo?»,
proseguì.
Loki fece un mezzo sorriso. «Qual'è il bisogno
primario di ogni forma di vita?», disse, con fare retorico,
ma la mente di Khalida intuì la risposta.
Troppe volte l'aveva studiato e comprovato durante gli anni di lavoro.
«Sopravvivere», replicò. «Ma
il Cubo è solo una fonte d'energia...»,
iniziò ma si bloccò quando gli occhi di Loki, le
fecero capire di essere vicina alla soluzione. «...e la
materia è fatta d'energia», concluse lentamente,
lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto. Anche se aiutata, stava
arrivando alla spiegazione che aveva portato il Dr. Selvig sull'orlo di
un esaurimento nervoso: la vera natura del Tesseract.
«Il Tesseract contiene tutta la storia di quel popolo, e la
potenza per poter ricostruire ogni cosa. Un nuovo inizio»,
aggiunse Loki.
«È questo che vuoi fare? Ricreare quella
civiltà perduta?», domandò Khalida,
stupita e affascinata. Il desiderio di quel popolo perduto era molto
simile al suo. Un modo per ricominciare da zero, cancellando gli errori
passati.
«Ciò che voglio è il potere, ma devo
sottostare alle regole del Tesseract per ottenerlo», ammise
Loki.
Khalida si fermò un'istante a riflettere. Le
ritornò in mente quello che Loki aveva detto poco prima.
«Quando hai detto che il Tesseract difende sé
stesso...», iniziò. «Intendevi dire che
ha una coscienza?».
«Non propriamente. Ma ha una sua intelligenza, conosce lo
scopo per cui viene utilizzato», annuì Loki.
«Cosa accadrebbe se qualcuno provasse ad usarlo per uno scopo
diverso da quello per cui è stato creato?».
«Come stavano facendo i tuoi amici?»,
replicò Loki, caricando l'ultima parola con sarcasmo
tagliente. Khalida strinse le labbra ma non replicò. Loki
osservò con soddisfazione il dolore trattenuto dietro gli
occhi immobili della donna. «Prima o poi, l'energia si
esaurirebbe, e il Tesseract diventerebbe inutilizzabile. È
un sistema di difesa, insista nella sua natura».
Khalida capì che Loki non le stava mentendo. Ciò
che aveva illustrato, corrispondeva a quello che le aveva spiegato
Selvig. Il Tesseract poteva effettivamente spegnersi per sempre.
«Se questo è vero... perché Thanos
desidera impadronirsene?».
Loki aggrottò le sopracciglia, e Khalida capì che
considerava la domanda immotivata e stupida.
«Thanos non persegue scopi comprensibili per voi
mortali», disse Loki.
«Non te l'ha mai detto?», incalzò
Khalida, e capì immediatamente di aver passato il segno.
Loki fu talmente rapido da sfuggire ai suoi occhi, e in un battito di
ciglia, Khalida si ritrovò con le spalle al muro, i piedi a
quasi un metro da terra e la mano di Loki stretta intorno al collo.
Le stava facendo male, ma non stringeva abbastanza da impedirle di
respirare.
«Non mettere alla prova la mia pazienza, donna», la
avvisò.
Khalida non si mostrò spaventata, anche se la sua mente
elaborava frenetica una strategia per uscire da quello stallo
imprevisto e scomodo.
Non avrebbe implorato, tanto non avrebbe funzionato.
Loki la fissò a lungo negli occhi, e lei annuì
appena, come a dire che aveva capito.
L'alieno la lasciò andare di colpo, e lei atterrò
duramente sulle ginocchia. Strinse i denti per non gemere di dolore,
mentre sentiva il sangue bagnare la stoffa dei pantaloni.
Si rialzò in piedi, pulendosi la polvere dai vestiti.
«Non esiste un modo per utilizzarlo, al di là del
suo scopo?», continuò, come se niente fosse
accaduto.
Loki fece un sorriso amaro. «Non si sfugge alla propria
natura».
Khalida fece un passo avanti. «Stiamo ancora parlando del
Tesseract?», domandò, retorica.
Loki strinse gli occhi e la donna capì che la conversazione
era finita.
Fece per allontanarsi ma dopo appena una decina di passi, la voce di
Loki la bloccò.
«Qual'è la tua
storia?», il suo tono era affilato come una lama, e quella
domanda posta con aria di sfida, le fece più male delle
ferite sulle ginocchia.
«Non riesco a credere che ti interessi conoscerla»,
obiettò lei, senza voltarsi.
Loki la raggiunse. «Infatti non mi interessa», le
sospirò nell'orecchio. «Ma tu me la racconterai lo
stesso».
Khalida non ebbe bisogno di domandarsi il perché di quella
farsa.
Loki voleva farle del male, e sapeva molto bene che c'era qualcosa che
ferisce molto di più delle lame o dei proiettili: il passato.
Khalida sentì gli occhi pizzicare.
«Ho bisogno di bere».
Khalida non ricordava
quasi nulla dei suoi genitori, se non un'eco lontano di una voce e
l'ombra di un vago profumo. Aveva solo quattro anni quando entrambi
erano morti in un attentato suicida ai danni di un pezzo grosso del
governo israeliano.
La cellula terroristica
islamica di cui facevano parte era stata identificata dall'intelligence
e poi sterminata sistematicamente, Khalida era l'unica sopravvissuta.
Era stata sbattuta in un
orfanotrofio dove, ogni minuto della sua vita, le veniva ricordato chi
erano i suoi genitori e che lei era come loro, una traditrice
nell'anima, nel suo stesso sangue.
Aveva dato tutta
sé stessa per dimostrare che si sbagliavano, era entrata
nell'esercito non appena l'età glielo aveva permesso e aveva
fatto carriera rapidamente, con determinazione e abilità,
scavalcando ben presto tutte le altre reclute.
Quando il suo fisico le
aveva imposto dei limiti, aveva scelto l'intelligence con la
volontà di entrare a far parte dello stesso organismo che,
anche se indirettamente, l'aveva resa orfana. Voleva rinnegare ogni
briciolo della sua discendenza, uccidendo anche il ricordo dei suoi
genitori.
Nei servizi segreti era
rispettata, ma guardata con sospetto, la nomea ingombrante dei genitori
sempre sul suo fascicolo, come una macchia troppo indelebile per essere
cancellata.
Una sentenza
già pronunciata.
Per quanto fosse brava,
leale e fedele, per loro non sarebbe mai stato abbastanza.
I suoi genitori le aveva
distrutto la vita, morendo, e Khalida aveva coltivato una rabbia
profonda e radicata nei loro confronti, sapendo che quella sarebbe
stata la spinta che l'avrebbe portata a diventare la migliore in molti,
se non in tutti, campi.
Sapeva di essere
l'agente con maggior talento dell'intera intelligence, eppure era
sempre messa da parte, confinata in operazioni di poco conto, sotto
stretto controllo.
Ad un certo punto, si
era stancata di cercare di soddisfare delle persone che chiaramente non
si sarebbero mai fidate di lei.
Aveva tradito, fuggendo
e portandosi via i suoi segreti e le sue ferite, diventando quello che
gli altri avevano già deciso lei fosse.
«Non si sfugge alla propria natura».
Khalida si interruppe per buttare giù un altro sorso di quel
liquore disgustoso. Non ne ricordava il nome, ma era forte, ed era
quello che le serviva per affrontare quella conversazione, se si poteva
definire tale un monologo.
Stava giocando su un terreno sdrucciolevole, era il momento dell'all in*, svelando
sé stessa più di quanto avesse intenzione di fare.
Ora come ora, non poteva mentire, perché non era
emotivamente in grado di farlo in modo convincente.
Loki l'aveva toccata nel punto più debole della sua corazza,
infilandosi nella sua coscienza come lei stava tentando inutilmente di
fare con lui da molto tempo.
Stava fallendo, ma non gli avrebbe permesso di capirlo.
Khalida si asciugò le labbra, posando la bottiglia sul
tavolo.
Loki seguì i suoi movimenti.
Non capiva quella voglia, quel bisogno, di cercare aiuto in quei
liquidi dall'odore forte e nomi improbabili.
La storia che Khalida aveva sciorinato, lo aveva sorpreso e scosso
più di quanto volesse ammettere con sé stesso.
Dentro di lui, ricordi lontani e feroci, alimentati da rabbia e
rancore, riemersero con violenza.
Fu con cattiveria, che guardò a fondo negli occhi scuri di
Khalida, ed infierì.
«Sei una bugiarda», la accusò, velenoso.
Lei sostenne il suo sguardo. «Perché dovrei
mentire?», replicò. «Per suscitare la
tua compassione?», aggiunse, lasciandosi sfuggire una risata
secca. «Lo farei, se tu fossi sensibile a un tale
sentimento».
Khalida si alzò, improvvisamente stanca di quella
situazione.
Per una volta, voleva dimenticare chi era Loki, del fatto che poteva
ucciderla con un dito solo, e forse anche senza.
Si chinò su di lui, avvicinando pericolosamente il volto al
suo.
«Il solo motivo per cui mi dai della bugiarda, è
perché sai che ho detto la verità»,
iniziò. «Ti sei riconosciuto nel mio racconto
perché, se solo ti concentrassi meno su te stesso,
scopriresti che là fuori ce ne sono a centinaia di storie
così», gli soffiò in viso, cattiva e
arrabbiata, resa audace dall'alcool che le scorreva nel sangue.
Loki contrasse i muscoli delle braccia ma qualcosa lo trattenne dal
fare esplodere la sua rabbia. Con furore gelido, attese la prossima
mossa di quella donna che stava oltrepassando ogni limite.
La guardò sparire dietro un'ansa della roccia, altezzosa
come una dea.
Capì perché non l'aveva ancora uccisa, nonostante
tutti gli affronti.
Anche se non era mai stata completamente sincera, Khalida non gli aveva
mai mentito.
-------------------------------------------------------------------
*per chi non lo sapesse,
l'all
in
è una mossa del poker, in cui un giocatore punta tutto il
denaro in suo possesso.
Ripeto nuovamente che ciò che dico sul Tesseract
è inventato. Dato che, dalle ricerche che ho fatto, pare non
si sappia la sua esatta origine, ho voluto dare una mia spiegazione di
questo manufatto. E sì, a me Odino non sta per nulla
simpatico XD.
L'idea del nuovo inizio, cui Khalida aspira, l'ho estrapolata dal
personaggio di Cat Woman ne "Il
cavaliere oscuro: il ritorno" di Cristopher Nolan (uno dei
più bei film degli ultimi dieci anni, soprattutto per la
sceneggiatura).
E infine il tributo al primo Iron Man, con la citazione dei Dieci Anelli, di
Bakaar e Raza. (se non l'avete visto, rimediate).
Spero, come al solito, che vi sia piaciuto il capitolo e che continuate
a seguirmi.
Ringrazio Red_Sayuri, Martina e Black_Doll per aver recensito (vi
risponderò entro stasera) e tutte le altre persone che
stanno seguendo la storia o anche solo la leggono.
Alla settimana prossima.
Nicole
ps: non posso non chiederlo, come pensate che andrà avanti
la storia? XD
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Come le orchidee ***
Eccomi qui con
il capitolo 4.
Ringrazio infinitamente Red_Sayuri e Blackdoll per aver recensito lo
scorso capitolo.
Buona lettura.
All'animata
conversazione riguardo il Tesseract e il passato di Khalida aveva fatto
seguito un lungo e rancoroso silenzio che aveva occupato l'angusto
spazio della grotta come uno scomodo terzo inquilino.
Khalida
sapeva che Loki stava solo attendendo il momento più
opportuno per farle pagare caro il suo affronto e, anche se era
consapevole di non essere in grado di prevedere le mosse dell'alieno,
non riusciva a fare a meno di domandarsi in continuazione cosa si
sarebbe inventato.
Si
sforzava di rimanere tranquilla, ma faticava ogni minuto di
più a mantenere il controllo.
Aveva
voglia di muoversi, anche solo fare quattro passi l'avrebbe aiutata, ma
lasciare la Bocca del Demone era fuori discussione.
Era
sempre stata una donna dinamica, fisica. Restare immobile la stava
logorando, ma non poteva lasciarsi andare. Non avrebbe permesso a Loki
di vederla debole, gli aveva già concesso troppo.
Ora
come ora, restare concentrata era la priorità, se voleva
essere ancora viva alla fine della missione.
Un
invisibile conto alla rovescia ticchettava nella sua testa.
Doveva
tenere duro ancora venti giorni.
Per
mantenersi in allenamento, come faceva ormai da molti anni, Khalida
aveva l'abitudine di fare dei semplici esercizi di allungamento, per
non permettere ai muscoli di perdere l'elasticità. Per
farlo, sfruttava le prime ore della mattina, in cui la temperatura era
ancora sopportabile.
Alla
fine della sua abituale seduta, prese la piccola borraccia e ne bevve
un lungo sorso, poi si versò il resto dell'acqua in testa,
cercando un minimo di refrigerio dalla calura.
Si
godette la sensazione dell'acqua sulla pelle per qualche istante.
Ancora
con gli occhi chiusi, Khalida intuì subito l'istante in cui
Loki le comparve accanto e non se ne stupì più di
tanto.
Quando
aprì gli occhi, vide che sul tavolo davanti a lei Loki aveva
posato qualcosa.
Osservò
con attenzione l'oggetto, cercando di capire a cosa assomigliasse.
Era
un'asta lunga circa un metro e mezzo. Non era dritta, seguiva una forma
lievemente curva, come se fosse un pezzo di un'enorme circonferenza. Il
cuore centrale era di un materiale simile all'acciaio, lucidato a
specchio, intorno a cui si aggrappava, risalendo a spirale, una
filigrana di un materiale più scuro, dai riflessi azzurri.
In cima, sostenuto da quella ragnatela di metallo, pulsava un cristallo
oblungo, simile a quello che si trovava sullo scettro di Thanos.
Khalida
capì finalmente dove aveva già visto una cosa del
genere.
Sembrava
una delle armi che i Chitauri avevano portato con loro durante
l'attacco a New York, anche se la somiglianza era piuttosto vaga.
Passandosi
una mano sul viso per asciugare le ultime gocce d'acqua ferme sulle
guance, Khalida cercò gli occhi di Loki.
L'alieno
appariva imperturbabile, il volto serio illuminato dalla luce del
Tesseract.
Un
campanello d'allarme risuonò nella mente di Khalida, come un
istinto.
Qualcosa
dentro di lei la avvertì che il momento era arrivato.
Stava
per assistere alla vendetta di Loki nei suoi confronti.
«Cos'è?»,
domandò, deglutendo il disagio e cercando di non apparire
turbata.
«Un'arma»,
rispose lui. «Per te», aggiunse.
Khalida
per poco non rimase a bocca aperta. «Se non l'hai
già notato, ho già abbastanza armi»,
replicò, aggressiva.
Era
spaventata, più di quanto immaginasse.
Ciò
che stava accadendo esulava da tutti i suoi piani o presupposizioni.
Loki
ridacchiò brevemente, e scosse la testa. «Non come
questa», osservò. «Prendila»,
ordinò poi, ritornando serio.
Khalida
esitò solo un'istante, prima di ubbidire. Doveva recitare
bene, e non far capire a Loki che era sulla difensiva.
Non
appena la sua mano si chiuse intorno all'asta, che sembrava essere
modella perfettamente per la sua mano, il cristallo rifulse d'un
bagliore bluastro e fu attraversato da una scarica d'energia bianca.
Khalida
avvertì un malessere alla bocca dello stomaco.
Qualcosa
non andava, aveva la sensazione di valicare un confine finora inviolato
da un essere umano.
Percepì
la superficie dell'arma riscaldarsi, fino a raggiungere una temperatura
gradevole.
Il
metallo sembrava vivo, come se fosse di carne e sangue. Era esattamente
la stessa sensazione che aveva provato nei brevi istanti in cui aveva
tenuto in mano lo Scettro.
«L'hai
creata tu?», domandò.
Loki
la guardò come se avesse detto un'ovvietà e per
la prima volta lei si sentì davvero stupida.
Aveva
capito da sola che il Tesseract era perfettamente in grado di
manipolare la materia. Creare quell'arma doveva essere stato facile
come respirare, se veramente nel manufatto era contenuta tutta la
sapienza di un popolo estinto.
«Cosa
ci dovrei fare?», continuò Khalida, quando vide
Loki voltarle le spalle e allontanarsi di qualche passo.
L'alieno
si fermo a circa tre metri da lei. «Difenderti».
Una
scarica d'adrenalina attraversò le vene di Khalida e il
cristallo sulla sua arma brillò con più
intensità. «Come, se non la so usare?»,
domandò, in un sussurro.
In
fondo, conosceva già la risposta.
Loki
non si fece attendere oltre, un sibilo crebbe dal nulla e Khalida fece
appena in tempo a gettarsi di lato, rotolando sulla nuda terra. Una
sfera d'energia disintegrò il tavolo dietro di lei.
Oltre
la polvere, osservò il volto divertito di Loki.
Un
sorriso le nacque spontaneo sulle labbra.
Sentì
un'onda di energia attraversare l'asta fino al cristallo.
«Imparerai»,
disse Loki, prima di lanciarsi nuovamente all'attacco.
Come
le orchidee, che quando sfioriscono sembrano morte, Loki era sempre
stato in attesa, pronto a rinascere. Al momento più
opportuno e meno aspettato, sarebbe tornato più forte di
prima.
Khalida
l'aveva pensato la prima volta che l'aveva visto, imbavagliato e
incatenato nel laboratorio di Selvig.
Gli
Avengers e Fury avevano imparato quella verità a proprie
spese, con la perdita del Tesseract, e lei non aveva intenzione di fare
la loro stessa fine.
La
notte, mentre inquieta si rigirava sullo scomodo materasso, incapace di
prendere sonno a causa delle troppe contusioni che subiva durante gli
estenuanti combattimenti con Loki, cercava di percorrere i ragionamenti
dell'alieno, per capire quale fosse il suo piano e il suo vero
obiettivo.
Per
adesso, aveva solo capito che voleva sfruttarla, nel senso
più pieno del termine, per imparare a gestire al meglio il
potere del Tesseract.
Era
solo una cavia, o una vittima, dei suoi esperimenti.
Giorno
dopo giorno, lo vedeva diventare più forte, più
veloce e più imprevedibile.
Anche
se lei era migliorata nell'uso di quell'arma aliena, che sembrava
reagire ai suoi stessi pensieri ed alimentarsi della sua energia,
faticava sempre di più a reggere gli allenamenti feroci cui
Loki la sottoponeva.
Sbuffando,
la donna si alzò di scatto dalla branda, gemendo per la
fitta improvvisa al fianco, dove un taglio recente aveva probabilmente
ricominciato a sanguinare.
Non
avrebbe dormito, tanto valeva usare il tempo in un altro modo.
Rabbrividendo
per l'aria fredda della notte, indossò una felpa sopra la
canotta e si incamminò verso l'ingresso, che ormai era
diventato una sorta di palestra.
Le
pareti della grotta recavano le tracce degli scontri, come cicatrici.
Khalida
poggiò la mano su una crepa recente, che lei stessa aveva
aperto quella mattina, dopo che Loki l'aveva scaraventata contro il
muro.
Anche
se all'apparenza non si risparmiava, la donna sapeva che l'alieno stava
sempre attento a non provocarle danni gravi, come fratture o commozioni
cerebrali.
Lei
era come un giocattolo, lo divertiva troppo usarla, per rischiare di
romperla.
Strinse
le dita intorno all'asta della sua arma.
Tra
di lei, le piaceva chiamarla Match, fiammifero, per il modo in cui il
cristallo brillava non appena la toccava.
L'ormai
familiare onda di energia le attraversò i nervi, fino alla
testa.
Non
aveva idea di come funzionasse, o di che danni potesse provocare al suo
fisico, ma le piaceva la sensazione di calore che le donava impugnarla.
Si sentiva in grado di fare qualsiasi cosa.
Già
da qualche giorno aveva capito che quell'energia, catalizzata dal
cristallo, era manipolabile e che rispondeva ai suoi pensieri, alla sua
forza di volontà.
Non
era ancora in grado di usarla durante i combattimenti, ma aveva
già ottenuto dei buoni risultati a riposo.
Focalizzò
i propri pensieri su una sfera, e iniziò a convogliare
l'energia.
Perle
di sudore si formarono sulla sua fronte, mentre dal cristallo emergeva
lentamente un globo di luce della grandezza di un'arancia.
Khalida
lo lasciò fluttuare nell'aria per qualche secondo, poi lo
lasciò andare con un sospiro.
Si
piegò sulle ginocchia per riprendere fiato.
«La
cosa più patetica della tua razza...»,
iniziò la voce di Loki, alla sua destra.
La
donna si voltò e lo vide avanzare lentamente, entrando nel
cono di luce che filtrava dalla bocca d'areazione. Fuori, c'era la luna
piena.
«È
la totale incapacità di comprendere i vostri
limiti», concluse l'alieno, ormai di fronte a Khalida.
Lei
si rimise in piedi, reggendosi all'arma.
«Non
sarai mai in grado di usarla», rimarcò Loki, con
sarcasmo pungente.
«Perché
me l'hai data, allora?», replicò Khalida.
Loki
sorrise, e una fastidiosa sensazione di pericolo, ormai fin troppo
familiare, corse nelle vene della donna.
«Perché
grazie a questa, dovunque tu vada, io saprò
rintracciarti».
Khalida
non mostrò la sua sorpresa. «È una
minaccia, o una promessa?», domandò, sollevando il
mento con aria di sfida.
Loki
la guardò negli occhi.
«Non
faccio mai promesse».
Khalida
rotolò a sinistra, schivando la punta dello Scettro che
affondò per qualche centimetro nella terra, sollevando uno
sbuffo di polvere.
Fece
leva con le reni, rimettendosi in piedi. Mirò allo stomaco
di Loki con la punta di Match, ma lui bloccò il suo gesto
con lo Scettro, imponendo la propria forza. La donna
rinunciò subito al confronto e guadagnò di nuovo
una distanza di sicurezza.
Loki
ridacchiò, e il familiare sibilo annunciò che il
Tesseract era pronto a colpire, ma Khalida non si fece ingannare. Si
voltò di scatto e fermò l'assalto di Loki
incrociando l'asta della sua arma con lo Scettro.
Sorrise,
mentre l'illusione alle sue spalle svaniva.
Anche
se non sempre, riusciva a riconoscere le proiezioni astrali di Loki. Il
trucco era osservare le ombre e i riflessi. L'aveva imparato a spese di
troppi lividi ed escoriazioni, e non l'avrebbe dimenticato facilmente.
Loki
la spinse lontano, e per un attimo sembrò guardarla con
occhi diversi, quasi furenti.
Khalida
non si concesse il lusso di pensare, ed attaccò, usando
Match come se fosse un bastone, cercando di colpire Loki ai fianchi o
dietro alle ginocchia, i punti più scoperti e dove avrebbe
sentito più dolore.
Anche
se non era un essere umano, a livello anatomico l'alieno non era
diverso da lei, e Khalida intendeva dare fondo a tutti i trucchi
più sporchi che conosceva per riuscire a strappargli almeno
una smorfia di dolore.
Loki
sembrò subire i suoi assalti limitandosi a difendersi.
In
realtà, Khalida se ne accorse troppo tardi, l'alieno la
stava costringendo in una trappola.
In
una manciata di secondi, la donna si ritrovò con lo Scettro
che premeva sulla giugulare e le spalle al muro. Con forza, Loki le
premette il ginocchio contro il polso, costringendola ad abbandonare la
sua arma con un gemito di dolore.
«Sei
ripetitiva», la accusò lui. «Ieri hai
fatto le stesse identiche mosse, e sei caduta nello stesso
trucco», aggiunse, scrutandole gli occhi. Spinse di
più lo Scettro e Khalida sentì che iniziava a
mancarle l'aria.
Strinse
i denti, deglutendo a vuoto.
Loki
ascoltò, soddisfatto, il battito del cuore accelerato della
donna. Lo sentiva pulsare attraverso il metallo dello Scettro. Gli
sarebbe bastato un gesto, e Khalida sarebbe morta senza nemmeno
rendersi conto di quello che stava succedendo.
Per
quanto la prospettiva lo allettasse, non era ancora il momento.
La
guardò negli occhi. Aveva un'adorabile aria da uccellino
spaventato, il volto arrossato per il combattimento e la carenza
d'ossigeno. Per essere un'umana, era tenace, di questo gliene dava
atto. Loki allentò un poco la stretta. «Se vuoi
sperare di battere il tuo nemico, devi sorprenderlo»,
sentenziò.
Khalida
sollevò appena un sopracciglio, quasi sorpresa, poi
ubbidì.
Scattò
in avanti, coprendo la distanza tra il suo volto e quello di Loki.
Fu
con foga, probabilmente dettata dallo spirito di sopravvivenza, che le
sue labbra si scontrarono con quelle gelide dell'alieno.
Stupefatto,
Loki lasciò immediatamente la presa sullo Scettro e Khalida
ne approfittò per afferrarlo e allontanare da sé
il Dio.
Entrambi
con il respiro accelerato, i due si guardarono per un secondo che si
dilatò fino ad occupare minuti interi.
«Ottimo
suggerimento», disse Khalida, stringendo le dita intorno allo
Scettro.
Loki
fu velocissimo, la donna si sentì sbalzare nuovamente contro
la parete, il corpo schiacciato da quello dell'alieno. La
guardò solo per un'istante, prima di premere la bocca sulla
sua.
Le
dita di Khalida persero forza e lo Scettro cadde nella polvere con un
tonfo secco. Esitò un momento, poi qualcosa dentro di lei si
spezzò e ogni controllo andò in frantumi.
Ricambiò
il bacio di Loki con vigore, affondando le mani nei suoi capelli,
ubbidendo a un bisogno che non sapeva nemmeno di avere.
Il
tempo perse importanza, fino a che Khalida non percepì un
movimento con la coda dell'occhio.
Loki
si allontanò impercettibilmente e la sua mano
scattò, stringendosi intorno al collo di Khalida con forza
inaudita.
Lei
gemette, mentre leggeva dentro gli occhi cristallini dell'alieno la
propria condanna a morte.
La
pressione aumentò e l'aria sfuggì dai polmoni in
un rantolo indistinto. La vista si sfocò e allarmanti luci
le lampeggiarono dietro le palpebre.
Ormai
sull'orlo dell'incoscienza, Khalida cercò lo sguardo di Loki.
Non
sapeva perché lo stava facendo.
Chiedere
perdono non sarebbe servito.
Forse
sperava solamente che lui vedesse qualcosa per cui valesse la pena di
salvarla.
Ma
cosa potesse essere, Khalida non riusciva ad immaginarlo.
Nemmeno
lei era in grado di spiegare ciò che era appena accaduto.
Loki
mollò la presa di colpo, e Khalida scivolò lungo
la parete, tossendo. Si accompagnò con le mani fino a
mettersi seduta.
I
polmoni le facevano male e i tendini del collo bruciavano.
Le
sarebbero rimasti dei lividi per settimane.
Sollevò
gli occhi, ma Loki non la guardò.
«È
il secondo avvertimento, donna. Non ce ne sarà un
terzo», disse e a Khalida sembrò che la sua voce
fosse meno tagliente e più amara del solito.
Mentre
lo guardava allontanarsi, Khalida seppe con certezza di essere riuscita
nel suo intento.
Aveva
ferito Loki.
E
per farlo era bastato un bacio.
--------------------------------------------
Siamo a metà
della seconda parte.
Non credo che questo
capitolo abbia bisogno di molte spiegazioni.
Temo le vostre impressioni perché è, diciamo, un
pochino audace. :-P
Naturalmente, mi sono inventata tutto quanto.
Alla settimana prossima.
Nicole
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 - Come la pioggia ***
Vi
ringrazio infinitamente per il numero alto di
letture e le recensioni!
Ci vediamo alla fine,
buona lettura.
Il
primo tuonò si sentì in pieno pomeriggio.
Rimbombò
in lontananza e sembrò rimbalzare sulle
pareti della Bocca
del
Demone come la
pallina di un flipper.
Loki
sollevò la testa, come se i suoi occhi potessero vedere
oltre la roccia sopra di lui.
Chiuse
gli occhi, respirando profondamente. L'aria fuori stava
cambiando, caricandosi di umidità.
A
breve, il temporale sarebbe iniziato.
Un
secondo tuono, più vicino, gli riportò alla
mente ricordi dolorosi, anche se lontani.
Allacciati
ad essi, ce n'erano di molto più recenti.
Ignara,
o forse noncurante, dei suoi pensieri, Khalida gli
passò davanti, gli occhi chini su uno strumento elettronico
di cui Loki non conosceva la funzione.
Al
suono del terzo tuono anche lei si fermò, sollevando gli
occhi verso l'alto.
Un
lieve sorriso, tremendamente irritante al parere di Loki, le
spuntò sulle labbra.
Sul
collo, Khalida ostentava dei grossi lividi neri, e Loki strinse i
denti rammentando.
Il
giorno prima, c'era quasi riuscita.
Preda
della rabbia, era stato a tanto così dall'ucciderla.
Anche
se non rinnegava nessuna delle sue azioni passate, Loki sapeva
che ripercorrere la strada della rabbia cieca e del dolore, non avrebbe
fatto altro che riportarlo dritto in una gabbia. Se voleva ottenere
ciò che desiderava, doveva spogliarsi anche delle ultime
briciole di sentimenti che gli erano rimasti.
Il
Tesseract lo stava aiutando, la sua natura incredibilmente superiore
lo distraeva da qualsiasi altra cosa, portandolo molto spesso ad avere
momenti di vuoto assoluto, in cui solo l'energia del Cubo scorreva
dentro di lui, impedendogli di sentire qualsiasi altra sensazione.
E
ora che ci stava riuscendo, quella donna aveva deciso di mettersi in
mezzo.
Non
credeva che il suo gesto fosse mosso da sentimenti sinceri, ma
anche se lo fosse stato, non gli sarebbe interessato.
Essere
l'oggetto dell'affetto
di un'umana, gli era del tutto indifferente.
In
realtà la sua rabbia era stata scatenata da altro, da un
insieme di ricordi che, nonostante tutto, gli premeva come un grumo di
sentimenti dritto sullo sterno.
Quel
contatto intimo, per quanto insignificante, gli aveva portato alla
mente la successione di eventi che l'aveva condotto fin lì.
Eventi che aveva seppellito a lungo, ma che ora tornavano
prepotentemente alla luce.
Anche
se forse nessuno gli aveva mai creduto, aveva voluto bene a Thor
e ad Odino.
Li
ammirava, anche se ne percepiva i difetti, e molto spesso detestava
sé stesso per non essere come loro. Quando aveva capito che
non lo sarebbe mai stato, che non avrebbe mai potuto esserlo,
si
era ripromesso che sarebbe stato meglio. Che la sua gloria avrebbe
fatto impallidire la loro.
Ma
aveva fallito.
Odino
glielo aveva detto chiaramente, con quel “no”
pronunciato come una sentenza, sul Bifrost in pezzi.
Il
tempo successivo alla sua caduta nel vuoto, l'alleanza con Thanos,
la febbre del potere dello Scettro, erano ricordi confusi e offuscati
da una rabbia da cui aveva iniziato ad emergere solo durante la
prigionia ad Asgard.
Respirò
a fondo, sentendo un nuovo flusso d'energia
penetrare nel suo corpo.
Faticava
ancora a gestire il potere del Cubo, non era in grado di
trattenere la maggioranza dell'energia che assorbiva e troppo spesso
era costretto a lasciarla andare, per non rischiare di saturare il
proprio corpo con effetti decisamente poco piacevoli.
Per
quello usava la donna, per riuscire a capire come catalizzarla,
controllarla e immagazzinarla.
Era
migliorato, ancora qualche giorno e avrebbe potuto abbandonare
quella farsa, smettere di tollerare l'insulsa presenza di Khalida e
terminare quella parentesi di infelice convivenza.
Avrebbe
ucciso Khalida e sarebbe sparito, fino al momento
più opportuno al suo ritorno.
Come,
in fondo, tutti si aspettavano che facesse.
Non
si sfugge alla
propria natura.
Anche
se Loki aveva pronunciato quella frase come una semplice
constatazione, dentro di lui la sentiva più come una
condanna, più pesante del giudizio di Odino, di Asgard, o di
qualsiasi essere vivente.
Una
prigione ben più terribile di quella in cui era stato
confinato dal Padre degli Dei o dallo S.H.I.E.L.D.
E
Loki aveva sempre detestato le costrizioni, gli obblighi, le
imposizioni, anche se provenivano da sé stesso.
Un
nuovo tuono, questa volta vicinissimo, lo strappò
definitivamente alle sue riflessioni.
Conosceva
il suono che annunciava l'arrivo di Thor, e quelle deboli
scariche d'elettricità non avevano niente a che fare con
quelle generate dal Mjolnir. Non aveva motivo di preoccuparsi.
Grazie
al Tesseract era impossibile che Heimdall riuscisse a vederlo e
comunque il guardiano, da Asgard, non avrebbe potuto avvisare Thor, che
si trovava ancora sulla Terra.
Dubitava
che Odino avesse ancora assi nella manica per permettere al
figlio di tornare a casa.
Khalida
gli passò di nuovo accanto, sempre con quella
insolita espressione serena sul volto.
Si
diresse con passo calmo verso la scala di metallo che si arrampicava
lungo la roccia della grotta.
«Dove
vai?», la fermò Loki, alzandosi.
Lei
si voltò. «Ad aprire la cisterna per l'acqua
piovana. Tra poco si scatenerà un temporale con i fiocchi,
meglio fare scorta», spiegò, iniziando a risalire
la scala sconnessa.
In
pochi secondi sparì al di fuori della porticina di
metallo.
Contemporaneamente,
Loki percepì l'umidità
raggiungere il culmine e, aiutata dalla scarica elettrostatica di un
fulmine, una cortina d'acqua calò sul deserto.
Guardò
di nuovo la porta.
Decise
che, anche se Khalida avesse deciso di fuggire, non gli sarebbe
importato più di tanto.
Dopotutto
era solo una donna.
Il
buio era calato già da diverso tempo quando Loki riemerse
dalla meditazione che gli permetteva di estrarre il sapere contenuto
nel Tesseract.
Era
come se un mondo inesplorato e sconosciuto gli si spalancasse
davanti agli occhi.
Conoscenze
che gli asgardiani, in tutto il loro fulgore tecnologico,
non avrebbero mai compreso. Vette di conoscenza cui nemmeno gli Dei
sarebbero mai giunti.
Lui
solo ne era capace, attraverso quel manufatto così
piccolo.
Il
monito di usare quelle conoscenze per ricostruire quel mondo perduto
era sempre presente, e diventava perfino pressante nelle sedute di
studio più lunghe, ma ormai Loki ci si era abituato.
Avrebbe
adempiuto al suo compito, e in cambio avrebbe ricevuto tutta
quella sapienza, e il potere per fare qualsiasi cosa. Era un prezzo
accettabile.
Fuori
il temporale infieriva, continui lampi illuminavano l'interno
ormai buio della grotta.
Loki
si rese conto di essere solo.
La
donna non era ancora rientrata, eppure, se si concentrava, riuscire
a sentire la sua presenza poco lontano. Sembrava essere ancora sul
tetto.
Sospirando,
Loki socchiuse gli occhi.
Una
luce dorata lo avvolse e in un battito di cuore si
ritrovò all'esterno.
L'acqua
lo investì con violenza, ma non ci fece caso. Non
sentiva freddo.
La
pioggia cadeva con intensità e un vapore tiepido si
sollevava della rocce che lentamente rilasciavano il calore accumulato
durante i giorni assolati.
«Cosa
ci fai qui?», domandò la voce di
Khalida, con astio.
Loki
si voltò e la vide, seduta su una sporgenza della
roccia, qualche metro sopra di lui.
«Potrei
farti la stessa domanda».
«Come
passo il mio tempo non è affar
tuo», replicò lei.
«Decido
io cosa è affar mio»,
ribatté l'alieno, piccato.
Khalida
si alzò.
Era
bagnata fradicia, i vestiti ridotti a una sottile pellicola sul
corpo longilineo. I lunghi capelli neri grondavano acqua e le si
arrampicavano in complicate ragnatele sulle guance, la fronte e le
spalle.
Loki
la avvicinò, deciso a porre fine a quella sua arroganza
così fuori luogo.
Solo
allora si accorse che il volto della donna non era bagnato solo di
pioggia.
Poteva
perfino sentirne l'odore.
Stava
piangendo.
Lo
stupore di Loki superò presto le sue barriere di
controllo e si ritrovò a domandare:
«Perché piangi?», con una voce che non
gli sembrò nemmeno la sua.
Khalida
scattò, come se si fosse scottata e lo
fissò negli occhi.
«No»,
disse semplicemente.
Loki
sentì nuovamente la rabbia montare. «Pensi di
essere nella posizione di negarmi qualcosa?», la
aggredì.
Khalida
sostenne il suo sguardo. «Evidentemente,
sì».
Loki
la afferrò per un braccio, torcendoglielo dietro la
schiena.
Lei
non si lasciò sfuggire un lamento.
Strinse
i denti. «Te l'ho già detto, Loki.
Smettila di comportarti come se fossi l'unico essere dell'universo ad
avere il diritto di soffrire», infierì.
Loki
perse il lume della ragione. Khalida si sentì afferrare
e scaraventare lontano.
Fortunatamente,
riuscì ad evitare un impatto troppo duro con
la roccia. Rotolò più volte su sé
stessa, graffiandosi le mani e il volto. Percepì che la
canotta si era strappata all'altezza dell'ombelico in corrispondenza
con un nuovo taglio sanguinante.
Si
rialzò in piedi a fatica.
Loki
sembrava perfino sorpreso di sé stesso, la rabbia
feroce nei suoi occhi era diventata improvvisamente un dolore freddo
come il ghiaccio.
Raggiunse
Khalida con pochi passi pesanti.
«Credi
di sapere quello che ho passato solo perché
l'hai letto su un fascicolo? Non sai niente di me, donna», le
urlò in faccia.
«Non
sono così stupida da credere a ciò
che leggo nei fascicoli dello S.H.I.E.L.D.», rispose lei. Non
temeva per la sua vita. Se Loki avesse voluto veramente ucciderla,
l'avrebbe fatto il giorno prima. C'era qualcosa, anche se non capiva
cosa, che lo tratteneva.
Loki
evitò gli occhi consapevoli e penetranti di Khalida.
Per
un attimo la donna ebbe la sensazione che anche quelle sul volto di
Loki non fossero solo gocce di pioggia.
Provò
l'istinto di toccarlo, ma non lo fece.
«Quello
che so di te, l'ho visto nei tuoi occhi»,
disse, attirando di nuovo lo sguardo dell'alieno su di sé.
«Tu
non sai niente», rimarcò lui, a
denti stretti.
Khalida
si disse che era il momento di giocare il tutto per tutto.
«Allora spiegami», mormorò.
Sapeva
che era una richiesta destinata a non venire soddisfatta, solo
pochi istanti prima lei gli aveva negato la stessa identica cosa. Non
poteva aspettarsi che Loki si aprisse.
Per
quanto brava fosse, lui non era mai stato una persona
collaborativa.
Probabilmente
questa volta ne sarebbe uscita con qualche frattura, ne
era certa.
Sperava
solo che Loki non le facesse abbastanza male da allertare lo
S.H.I.E.L.D., quello sarebbe stato veramente un peccato.
Loki
sembrò sorpreso dalle parole di Khalida e la donna vide
accalcarsi decine di sentimenti diversi dietro i suoi occhi
trasparenti.
Un
silenzio pesante e innaturale cadde improvvisamente su entrambi.
Khalida
si guardò intorno spaesata, le sembrò di
essere immersa in un mare d'acqua nera e gelata.
Una
luce, in un punto indefinito davanti a lei, danzò per
qualche istante. Il paesaggio cambiò lentamente, fino a
mostrare l'interno di una struttura in pietra distrutta, scoperchiata
da chissà quale cataclisma. Il pavimento era disseminato di
corpi alieni e deformi. Grosse pozze di sangue denso e nero si
allargavano nella neve che ormai aveva perso tutto il suo candore.
Khalida
osservò stranita i sottili fiocchi di neve danzarle
davanti agli occhi, uno le si posò sulla guancia e lei
avvertì un freddo pungente.
Poco
distante, vide un guerriero avanzare a passo lento in mezzo ai
cadaveri.
Khalida
lo riconobbe quasi subito, nonostante l'armatura imponente: era
Odino.
Il
Padre degli Dei sembrava cercare qualcosa in mezzo a tutta quella
morte.
Fu
allora che Khalida lo sentì.
Nel
silenzio di ghiaccio, si sentiva il vagito di un neonato.
Khalida
si affrettò a seguire Odino, lo affiancò
nella sua ricerca fino a raggiungere la fonte di quel pianto.
In
confronto ai corpi immensi degli alieni sparsi per terra, quel
bambino sembrava poco più di un uccellino, eppure piangeva
con forza inaudita, tirando il volto dalla pelle bluastra e stringendo
i piccoli pugni.
Khalida
conosceva quello disperato spirito di sopravvivenza.
Odino
si chinò e prese in braccio il bimbo, che
calmò immediatamente il suo pianto.
Al
tocco dell'asgardiano, la pelle del piccolo mutò,
diventando rosea e liscia. Le iridi rosso intenso vibrarono, per poi
sfumare in un verde cristallino.
Khalida
lo riconobbe immediatamente.
«Loki»,
si scoprì a mormorare.
L'illusione,
o il ricordo, svanì risucchiato da una luce
abbagliante.
Ora
Khalida si trovava ad Asgard, in una stanza che aveva l'aria di
essere un'arsenale.
Odino
si rivolgeva a due ragazzini, aveva una mano sulla spalla di
ciascuno.
“Entrambi
siete nati per essere re”, disse.
A
Khalida girò la testa, mentre la stanza intorno a lei
vorticava nuovamente.
Adesso
stava davanti a Loki, ormai adulto, e Thor, agghindato come un
re.
Davanti
a loro, un braciere sollevava lente volute di fumo.
“Certo,
alcuni
combattono, altri usano dei trucchi”.
Lo
scherno di Thor si spense, e altre frasi e immagini frammentate si
accalcarono nella mente di Khalida, provata fino al limite delle sue
capacità di mortale.
“Sta
al tuo
posto, fratello”.
Di
nuovo la sala delle armi.
“Pensavo
che
avremmo potuto unire i regni... attraverso te”.
“Non
sono
altro che una reliquia rubata”.
“Sono
il
mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli”.
“Hai
sempre
preferito Thor a me, perché, nonostante tu affermi di
amarmi, non avresti mai potuto accettare un Gigante di Ghiaccio sul
trono di Asgard”.
Il
volto materno e affettuoso di Frigga.
“Ti
ha tenuta
nascosta la verità perché tu non ti sentissi mai
diverso”.
Uno
strappo allo stomaco, un vortice confuso di nuovi ricordi.
Lacrime
in bilico tra le ciglia.
“Volevo
solo
essere tuo pari”.
“Loki,
questa
è demenza!”.
“Ci
sarei
riuscito Padre!”.
“No,
Loki”.
Con
un sensazione simile all'annegamento, Khalida si sentì
riemergere da quei ricordi tramutati in illusioni.
Aveva
la nausea e le guance bagnate di lacrime e pioggia.
Il
temporale infuriava ancora e un lampo le ferì gli occhi,
illuminando il volto di Loki davanti a lei.
Lui
non le avrebbe mai creduto, ma lei capiva, e dove non poteva farlo,
avrebbe accettato.
In
fondo era vero. Lei e Loki erano molto più simili di
quanto immaginasse.
Fece
un passo in avanti, prendendo il volto di Loki tra le mani.
Sotto
le dita sentì lacrime fredde come la pioggia.
Lo
baciò, senza domandarsi il perché o il motivo.
Non
era un gesto d'amore, né d'affetto.
Era
comprensione, accettazione, e forse anche perdono.
Loki
rimase immobile, forse sorpreso.
Lentamente,
portò una mano al viso di Khalida, e la
toccò per la prima volta senza alcun secondo fine. Senza
sfida, o volontà di ferirla.
La
pelle della donna era fredda, quasi quanto la sua.
Il
dolore dei ricordi gli lacerava la mente e il cuore, lo sentiva come
se anche l'aria ne fosse satura.
Ricambiò
il bacio di Khalida con la disperazione del
naufrago che cerca l'ossigeno tra le onde.
Khalida
si aggrappò a lui con più forza, e
sentì un dolore antico e sconosciuto nel petto, una
sensazione dimenticata tra le pieghe del suo animo.
La
solitudine che si portava dietro da quando era nata, e che dopo la
sua fuga era diventata sempre più grande, mordeva e
graffiava le pareti del suo cuore, ansiosa di essere, finalmente,
sfamata.
Era
infantile e crudele allo stesso tempo.
Loki
era l'ultima persona nell'universo che avrebbe potuto fare una
cosa del genere, eppure era l'unico che ci stava riuscendo.
Khalida
si svegliò lentamente, emergendo dal sonno come
fluttuando in una nuvola di neve e ghiaccio.
Si
toccò il braccio.
Era
ancora nuda, e faceva molto freddo. Una fastidiosa pelle d'oca le
increspava la pelle.
Strinse
il misero lenzuolo al petto e si sollevò su un
gomito.
Non
era stata la temperatura a svegliarla.
Loki
si era alzato. Le dava le spalle, in piedi accanto alla branda,
completamente vestito.
Gli
osservò la schiena.
«Vuoi
ancora sapere perché piangevo, sul
tetto?», domandò.
«Non
faccio domande inutili», replicò
lui, senza voltarsi.
Khalida
sospirò, poi si stese di nuovo, abbandonando la
testa sul cuscino.
Chiuse
gli occhi.
«Non
ho tradito il mio paese senza un motivo»,
iniziò, bagnandosi le labbra. «Per anni ho svolto
il mio lavoro. Torturato, interrogato e ucciso persone che non erano
né meglio né peggio di me. Assassini, terroristi,
signori della guerra, per me non faceva differenza. Non avevo mai avuto
rimorsi. Nessuno di loro si meritava di vivere».
Khalida
si interruppe, stringendo gli occhi per ricacciare indietro le
lacrime.
Fuori,
aveva smesso di piovere.
«Poi
mi assegnarono un caso importante, complicato. Una
cellula terroristica aveva messo a segno un grande attentato, riuscendo
ad uccidere un pezzo grosso del governo, insieme a diversi suoi
collaboratori. L'unica persona che i servizi segreti erano riusciti a
catturare era una ragazza di sedici anni, la figlia del capo della
cellula, che era morto nell'attentato suicida.
Me
l'affidarono, dovevo scoprire tutto quello che sapeva, nomi, ruoli,
progetti, ogni cosa.
Quando
la vidi per la prima volta era come un animaletto spaventato. I
soldati l'avevano trattata come una criminale, era stata picchiata e
umiliata.
Aveva
sedici anni, ma ne dimostrava molti di meno.
Si
chiamava Manaar.
Capii
perché avevano scelto me. Ero l'unica donna
dell'unità ed era logico che una ragazzina che aveva perso i
suoi genitori si sarebbe fidata più di una figura femminile
che di un uomo.
Quello
che non avevo preventivato, erano i miei sentimenti.
Manaar
mi assomigliava molto, la mia storia era simile alla sua e
potevo vedere dentro i suoi occhi la mia stessa rabbia e lo stesso
dolore per essere stata abbandonata dalle persone che dovevano
proteggerti. Mi affezionai a lei e lei a me.
In
un mese di interrogatorio, scoprii tutto quello che Manaar sapeva,
cioè niente.
Suo
padre le aveva voluto abbastanza bene da non coinvolgerla mai nelle
attività della cellula.
La
rassicurai, dicendole che quando avrei fatto rapporto ai miei
superiori, l'avremmo lasciata andare.
Pianse
sulla mia spalla come una bambina, anche se ormai non lo era
più.
La
mattina seguente riferii ciò che avevo scoperto.
I
miei superiori reagirono in un modo che non mi aspettavo: se la
ragazza non sapeva niente, era inutile tenerla in vita.
Il
governo voleva qualcuno da punire, un innocente non serviva a niente.
Come
tante volte prima di allora, mi venne dato l'ordine di terminare
il mio incarico con un omicidio».
Khalida
si passò distrattamente una mano sul braccio,
seguendo il profilo dei tatuaggi lievemente in rilievo sulla pelle.
«L'hai
fatto?», domandò Loki.
Lei
voltò gli occhi. L'alieno si era girato e la guardava
fisso. Probabilmente stava tentando di capire se stesse mentendo o meno.
«Ci
pensai seriamente. Decisi che non avevo altra scelta. Che
era solo un ordine come un altro. Ma quando arrivò il
momento di premere il grilletto, non ce la feci.
Le
volevo bene, ma non era quello il motivo principale.
Manaar
non meritava di morire.
Sparai
alle guardie e, sfruttando le mia conoscenza della prigione, la
feci fuggire.
Eravamo
arrivate nel cortile, mancavano pochi metri quando le vedette
ci avvistarono e ci scaricarono contro raffiche di proiettili.
Io
rimasi illesa, Manaar venne colpita al torace.
Riuscii
a trascinarla al riparo, ma non potevo fare più
niente per lei, era già morta.
Fuggii
e per uno strano scherzo del destino sono riuscita ad evitare la
vendetta delle persone troppo potenti che avevo sfidato fino a pochi
mesi fa, ma alla fine mi hanno trovato e mi hanno quasi uccisa.
È stato allora che mi sono rifugiata sotto le ali di
Fury.», le parole sgorgavano dalle labbra di Khalida come un
fiume in piena. Nemmeno agli agenti dello S.H.I.E.L.D. che avevano
documentato la sua storia aveva parlato così. Si era
limitata a rispondere alle loro domande.
La
donna si mise seduta, nascondendosi dietro i capelli neri.
«Sin
da quando ero una bambina, sono stata forte. Non piango
mai. Nemmeno per la morte dei miei genitori ho versato una sola
lacrima. Solo quando piove, mi concedo di farlo, così almeno
non lo faccio da sola. Quando ci riesco, lo faccio solo per Manaar, per
la sua vita che se è andata a discapito della
mia», concluse, sospirando. «Avevi ragione, sono
una bugiarda, non saresti stato il primo prigioniero a morire sotto la
mia custodia».
Il
silenzio divenne pesante, Khalida immaginò che Loki se ne
fosse andato, ma non ebbe il coraggio di controllare.
Iniziò
a rivestirsi in fretta, scalciando via il lenzuolo e
i rimpianti.
Quando
infilò la felpa, un filo si impigliò
nell'anello che portava all'anulare.
Lo
guardò a lungo, con una terribile sensazione di
deja-vù.
«Perché
mi hai raccontato tutto
questo?», le chiese la voce di Loki.
Lei
cercò i suoi occhi.
Erano
tornati calmi e immobili come al solito.
Niente
indicava che qualcosa fosse cambiato, eppure lei lo sentiva, nel
freddo di lui ancora sulla pelle, sulle labbra.
«Perché
meritavi la verità»,
replicò.
Loki
annuì appena per accettare la sua risposta, poi si
voltò e si allontanò con passo misurato e calmo.
Khalida
si guardò le mani escoriate.
Se
aveva mai avuto una possibilità di uscire viva da quella
missione, ormai se l'era giocata.
Quando
Loki avrebbe scoperto del suo tradimento, l'avrebbe uccisa.
E
Khalida aveva la consapevolezza, pesante sullo stomaco, che se lo
sarebbe meritato.
-----------------------------------
Capitolo pesantissimo, lo
so.
Spero comunque che vi sia piaciuto.
Alcune
precisazioni.
Tra Loki e Khalida E'
successo, effettivamente, ma non è detto che significhi
qualcosa.
Le parti in corsivo
dell'illusione di Loki sono prese parole per parola da "Thor",
inserendo anche una delle scene eliminate.
Adesso conosciamo anche
l'ultimo segreto di Khalida.
Tenete conto che la
storia è praticamente finita, mancano due capitoli, e
l'epilogo.
Detto ciò, ci
vediamo la settimana prossima.
Nicole
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 - Come un castello di vetro ***
Eccomi qui con il sesto capitolo.
Non ho molto da dire, ci stiamo avvicinando alla conclusione e credo
che si capisca dal tono che i capitoli hanno presto. questo
sarà l'ultimo relativamente "calmo"...
Ci vediamo a fine capitolo.
Khalida non aveva mai pensato seriamente alla sua vita fuori
dall'istituto dove il governo l'aveva parcheggiata all'età
di quattro anni. In una sorta di meccanismo di autodifesa, aveva sempre
creduto che sarebbe rimasta tra quelle polverose mura per sempre,
prigioniera della routine cui i suoi genitori l'avevano condannata.
La realtà le si era imposta quando, alla soglia dei
quattordici anni, le era stato comunicato che l'istituto non poteva
più ospitarla.
In quel paese straziato dalla guerra e dagli stupri, c'erano troppi
orfani e troppe poche adozioni.
Sprofondata in uno stato molto simile alla disperazione, Khalida aveva
soppesato per giorni interi le sue opportunità.
Le cellule terroristiche accoglievano volentieri giovani sbandati, ma
lei non aveva intenzione di seguire le orme dei suoi genitori. Avrebbe
potuto vivere per strada, ma sapeva di non avere la durezza necessaria,
era troppo compassionevole nei confronti dei più deboli. Non
sarebbe mai riuscita nemmeno a rubare un pezzo di pane per sfamarsi,
considerando che le uniche vittime dei suoi furti sarebbero state
persone sfortunate quanto lei.
La carriera militare non l'aveva mai presa in considerazione. Non era
una persona violenta, detestava fare del male anche ad un cane troppo
invadente e quando troppe volte aveva difeso i bambini più
piccoli dai bulli, ne era uscita con molti lividi e qualche frattura,
pur di non reagire.
Ma quando quel reclutatore dell'esercito, bellissimo nella sua divisa
perfettamente pulita, era venuto a visitare l'istituto, Khalida era
rimasta affascinata dalla rigida disciplina, dall'ordine maniacale,
dalla definita linea di comando.
A confronto con il caos violento e anarchico della sua infanzia,
l'esercito le era apparso la sua strada, la sua vocazione e la sua
redenzione.
Era un mondo con delle regole precise, che non andavano infrante.
Sentì che avrebbe potuto trovare finalmente uno scopo,
scrollandosi di dosso l'infamia dei suoi genitori, servendo il suo
paese e combattendo persone che avrebbero tentato ogni giorno di creare
orfani come lei.
Con la cieca speranza dell'adolescenza, Khalida si era gettata anima e
corpo nell'accademia, lasciando che la sua natura venisse stravolta
dall'addestramento, plasmata dalla disciplina e contaminata dalla
violenza. Quando era stato chiaro che, a causa dei suoi limiti fisici,
Khalida non avrebbe mai potuto essere un soldato esemplare, aveva
accettato di entrare a far parte dei servizi segreti e con anni di
studi si era specializzata nella psicologia del prigioniero. Al suo
attivo, nonostante la giovane età, aveva due lauree, una in
criminologia, l'altra in psichiatria, più una
specializzazione riguardante la tortura, in particolare le reazioni
della psiche alle sue forme più svariate.
Anche se malvista per il fatto di essere musulmana, Khalida era di
fatto l'agente più istruito e preparato di tutta la sua
divisione.
Nessun caso che le era stato affidato era finito con un fallimento,
prima di Manaar.
Ora, Khalida si sentiva come se tutto stesse ricominciando da capo.
Sin da quando Loki aveva ricambiato il suo bacio per la prima volta,
sotto la pelle le si era infilato qualcosa di molto simile al senso di
colpa.
Una sensazione che aveva sepolto a lungo dentro di lei, tanto da
risultarle del tutto inedita.
Intrattenere relazioni intime con i propri obiettivi non era proibito
dalle regole comportamentali dello S.H.I.E.L.D. Anche se non era
considerata la linea ufficiale di azione, quando poteva portare alla
conclusione della missione, era una pratica accettata, se non
incoraggiata.
I rimorsi che Khalida stava fronteggiando non erano dovuti al fatto che
era venuta meno alla sua etica professionale, ma a quella che si era
imposta come essere umano. Per quanto potesse sembrare assurdo, lei ne
aveva sempre avuta una.
Per tutta la sua carriera aveva avuto a che fare con uomini che non
erano nemmeno degni di essere chiamati tali. Con loro Khalida non si
era mai finta ciò che non era.
Anche se era stata addestrata all'arte della manipolazione e
dell'inganno, con tutte le sue vittime non era mai stato necessario
metterla a frutto.
Con gli uomini di violenza aveva sempre parlato la loro lingua, avendo
successo la maggioranza delle volte. Era inutile utilizzare i
sentimenti, con uomini che non ne provavano.
Con Loki le cose erano state fin da subito diverse, e adesso Khalida
sapeva di aver oltrepassato il limite. Stava camminando sul difficile
terreno dei sentimenti, delle emozioni e della fiducia, utilizzando e
torcendo ogni sfumatura del proprio comportamento e delle proprie
azioni.
Ma ormai era così dentro la propria finzione che stava
iniziando a capire quanto non lo fosse.
C'era una parte, dentro di lei, che si fidava veramente di Loki, in
modo masochista ed illogico.
Per lavoro aveva mentito ed ucciso, al servizio di bugiardi ed
assassini peggiori di lei*, ma Khalida aveva sempre detestato la
falsità, soprattutto con sé stessa.
Non poteva mentirsi.
Quando aveva accettato la missione si era detta che per riappropriarsi
della sua vita avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma ora le sue certezze
vacillavano.
Quello che stava facendo, non era più giusto.
Tra lei e Loki c'era qualcosa, un rapporto che non era più
quello di un prigioniero con il suo carceriere. Non sapeva definire
esattamente cosa fosse, ma esisteva, anche se era fragile come un
castello di vetro costruito su un lago ghiacciato.
Al minimo sussulto, tutto sarebbe andato in frantumi, e Khalida era
certa che quella che si sarebbe fatta più male sarebbe stata
lei.
Quel castello l'aveva costruito lei con le sue mani, e adesso c'era
imprigionata dentro, vittima della sua stessa strategia. L'unico modo
per uscirne era distruggerlo, tagliandosi le mani e il cuore.
Lentamente, Khalida scivolò sott'acqua, lasciando che si
chiudesse sopra di lei, il silenzio divenne soffocante e intenso.
Tutti quelli che consideravano Loki degno di biasimo non si erano mai
preoccupati di dimostrarsi migliori di lui. Lei stessa non era stata
altro che una bugiarda manipolatrice quanto lui.
Non aveva mai davvero considerato la sua vita più degna di
quella di Loki, e non poteva più fingere il contrario.
Non che temesse per la sua sicurezza, Loki era perfettamente in grado
di difendersi. Se lo S.H.I.E.L.D. fosse piombato a sorpresa, dubitava
che sarebbero riusciti a catturarlo.
No, quello che la preoccupava era il fatto che lei sarebbe diventata
l'ennesima persona ad averlo preso in giro, ad aver finto dei
sentimenti non sinceri.
Loki non se lo meritava, non da lei.
Le aveva salvato la vita due volte, senza avere in cambio niente.
Era un gesto che aveva sempre trascurato, volutamente. Da subito quella
consapevolezza le aveva turbato la coscienza che da anni seppelliva
dentro di lei.
Non voleva più ignorarla.
Che lui non fosse il mostro sanguinario dipinto dai media e dagli
stessi Vendicatori, l'aveva già capito da tempo, forse dalla
prima volta che l'aveva visto.
Lei con i veri mostri ci aveva avuto a che fare.
E adesso, un peso le schiacciava il respiro ogni volta che lui la
guardava.
Loki non la considerava una minaccia, tollerava la sua presenza, niente
di più, convinto di avere il controllo della situazione.
Dimostrargli che in realtà lei non aveva mai smesso di
essere un'agente che doveva interrogarlo, che si era fidata di lui solo
perché il suo ruolo glielo imponeva, non perché
lo ritenesse degno, la faceva sentire una persona orribile,
più di tutte le altre azioni ignobili che aveva compiuto in
tutta la sua vita.
Khalida riemerse di colpo dall'acqua, aggrappandosi ai bordi di metallo
della tinozza e lasciando che rivoli d'acqua le scorressero negli
occhi. Respirò profondamente per espandere i polmoni che
aveva privato di ossigeno per troppo tempo.
Si scostò i capelli dagli occhi con un gesto secco,
rabbrividendo per lo spiffero umido che proveniva dalle
profondità della grotta.
Khalida sapeva cosa doveva fare, come l'aveva saputo con un istinto
primordiale non appena aveva puntato la pistola contro Mannar, troppo
tempo prima.
Il problema era che stava per scendere a patti con il suo senso di
giustizia a discapito, con ogni probabilità, della sua
stessa vita.
Forse Loki aveva ragione.
Era una stupida e debole sentimentale come tutti gli altri esseri umani.
Facendo leva sulle mani, Khalida si mise in piedi nella tinozza,
avvolgendosi nell'asciugamano.
Lo sguardo le cadde sugli abiti che aveva abbandonato per terra.
Quelle riflessioni non avevano senso.
Aveva già deciso.
Con pochi gesti bruschi, fece cadere a terra l'asciugamano e
indossò l'armatura asgardiana.
Il cristallo in cima a Match si illuminò non appena strinse
le dita intorno all'asta di metallo.
La sua luce intensa e pulsante, le diede un minimo di incoraggiamento.
Sul fondo della tinozza, come un presagio, l'anello con all'interno il
segnalatore brillò, colpito da un raggio di sole.
«Agente Barton!», chiamò un giovane
analista, alzandosi dalla sua scrivania.
Clint sollevò lo sguardo dalla registrazione dell'ultima
perlustrazione aerea della zona.
«Sì?», domandò.
«L'ultimo pacchetto di dati proveniente dall'agente Sabil
è... preoccupante, signore», spiegò il
ragazzo, portandosi una mano alla nuca con fare imbarazzato.
«Definisci preoccupante», lo incitò
Barton.
L'analista deglutì. «Bé, la posizione
del GPS è rimasta identica, ma i segni vitali...»,
la voce tentennò ancora.
Clint si spazientì. «Per la miseria, agente! Cosa
diavolo è successo?», sbottò, alzandosi
in piedi.
«I segni vitali sono spariti», concluse l'analista.
Occhio di Falco si immobilizzò per una frazione di secondo.
«Cosa significa?», domandò la voce di
Rogers, dietro di lui.
Il capitano lo aveva raggiunto da qualche giorno nella base di
monitoraggio nel deserto, in previsione del recupero dell'agente Sabil
fissato per tre giorni dopo.
Clint si passò una mano sul viso, prima di premere un tasto
sull'auricolare.
«Significa guai, Cap», rispose, voltandosi verso il
compagno.
“Sì,
agente Barton?”, rispose
contemporaneamente la voce piatta dell'agente Hill all'altro capo
dell'auricolare.
“Devo parlare
con il Direttore”.
“Vi metto
subito in contatto”, annuì la
donna, premendo una sequenza di tasti.
“Spero che
abbia un buon motivo per svegliarmi a quest'ora,
agente”, sbottò la voce roca di Fury
dopo qualche
istante.
Barton alzò gli occhi al cielo.
“Sissignore”,
iniziò. “Il
trasmettitore dell'agente Sabil ha smesso di inviarci i suoi segni
vitali. La missione potrebbe essere compromessa, signore”.
Fury si fece immediatamente più attento.
“Da quanto
tempo non ricevete i suoi dati?”.
Barton consultò il computer davanti a lui. “Un'ora
fa era tutto regolare, pochi minuti fa è arrivata la nuova
trasmissione, vuota”.
“La
posizione?”.
“Invariata,
signore”.
Fury sospirò pesantemente. “Intervenite
immediatamente”, ordinò, e il suo
tono cupo
lasciava intuire che il Direttore era preoccupato.
“Come dobbiamo
comportarci con l'agente Sabil?”,
chiese Clint, facendo un gesto al suo secondo.
“Al primo
segno di tradimento, siete autorizzati a
sparare”, sentenziò Fury. “Buon lavoro
agente”, concluse, chiudendo la comunicazione.
Clint guardò negli occhi Rogers, che aveva ascoltato tutta
la conversazione.
Il Capitano si alzò.
«Meglio che metta l'armatura».
Loki non capiva.
Aveva perfino attinto alla sapienza del Tesseract, ma ovviamente il
manufatto non era stato creato per rispondere a interrogativi tanto
inutili e trascurabili. Eppure, la sua mente lavorava frenetica,
elaborando decine di domande, senza trovare neppure una risposta.
Il giorno prima non aveva acconsentito alla richiesta di Khalida con
l'intenzione di suscitare in lei sentimenti di comprensione, o per
farle veramente conoscere ciò che aveva vissuto.
Non era interessato ad essere capito.
Troppi avevano detto di farlo, e nessuno c'era mai riuscito.
L'aveva fatto perché sperava, con tutte le sue forze, di
veder spuntare negli occhi neri della donna una scintilla di
pietà. Almeno avrebbe avuto un ottimo motivo per ucciderla
seduta stante.
Ma Khalida l'aveva contraddetto per l'ennesima volta.
Si domandava cosa trovasse di tanto affascinante nel mettere a rischio
la sua vita provocandolo.
Aveva avuto fegato, gliene dava atto.
Nei suoi occhi profondi come la notte non era passato nemmeno uno
sprazzo di sentimento. Impassibile nel volto, i suoi gesti erano stati
eloquenti, con la sincerità disarmante dell'arresa
incondizionata. Gli si era concessa con un calore che l'aveva scottato
più in profondità di quanto volesse ammettere.
Loki era una creatura cresciuta nell'oscurità, assuefatta
alla solitudine.
Quando aveva compreso la sua vera natura, aveva anche accettato che non
sarebbe mai uscito da quella spirale di solitudine che l'aveva sempre
accerchiato e soffocato. Aveva imparato, a costo del suo stesso
passato, a farne la sua forza, la sua corazza.
La solitudine era come una scheggia di vetro conficcata nel palmo della
sua mano, troppo in profondità per essere tolta senza dolore
e sangue.
Loki era stanco di soffrire, non aveva intenzione di farlo ancora,
inutilmente.
Soprattutto, non a causa di un'umana.
Doveva farla finita, ormai aveva imparato a padroneggiare il Tesseract
a sufficienza, abbastanza da non affaticarsi ogni volta che attingeva
all'energia del Cubo.
Era arrivato il momento di porre fine a qualsiasi cosa stesse
accadendo, o fosse accaduta, tra lui e Khalida. Entrambi erano stati
abili spie l'uno dell'altra, scrutandosi l'animo e i sentimenti, in un
gioco che si stava rivelando troppo pericoloso, probabilmente mortale.
«Loki».
La voce della donna gli arrivò distante, come attraverso una
lastra di vetro.
Si voltò lentamente.
Sollevò le sopracciglia, quando si accorse che indossava
l'armatura asgardiana e stringeva in pugno l'arma che le aveva dato.
Lei avanzò di un passo.
Qualcosa scattò dentro Loki. Un senso di pericolo, una
sensazione familiare e antica, la stessa che aveva provato quando quel
gigante di ghiaccio l'aveva toccato.
Riuscì a sentire la risata del destino, che si prendeva
gioco di lui, ancora una volta.
«Dobbiamo parlare», disse Khalida, e la sua voce
suonò rauca, come l'eco lontano di un vetro che si crepa e
crolla in mille pezzi.
--------------------------------------------------
*Come
non riconoscerla? citazione di quello che dice Loki a Natasha anzi,
alla vulvetta lamentosa XD
Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Castle Of
Glass dei Linkin Park.
Adesso di Khalida sappiamo tutto tutto tutto...
Cosa succederà?
Alla prossima settimana!
Nicole
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 - Come una bugia ***
Ed eccoci qua
con il gran finale. Sono molto contenta delle risposte che ho ottenuto
per lo scorso capitolo, era la parte della storia che più mi
lasciava perplessa perché lascia intuire un lato di Khalida
apparentemente diverso da ciò che abbiamo visto finora di
lei.
Spero che l'ultimo capitolo vi piaccia.
Ci vediamo alla fine!
«Dobbiamo
parlare».
Khalida
non avrebbe saputo spiegare il perché di quell'inizio quasi
familiare, intimo.
Desiderò
non avere mai parlato.
Quando
Loki si alzò dal consunto divano a cui era affezionato, con
la sua aria algida e regale, seppe con certezza che aveva
già capito, che l'aveva sempre saputo, chi era davvero.
Quella
che era stata presa in giro era lei.
Come
poteva sperare di ingannare l'incarnazione stessa della menzogna?
Ma
doveva andare fino in fondo, ormai non aveva altra scelta.
La
sua coscienza, e qualcosa di ancora più profondo, glielo
imponeva.
«Lo
S.H.I.E.L.D. sta arrivando», disse, e ancora una volta seppe
di aver usato le parole sbagliate. Era come se un meccanismo si fosse
inceppato in lei. Mentiva da talmente tanto tempo, che forse aveva
dimenticato come si diceva la verità.
Non
era così che voleva iniziare, avrebbe voluto usare parole
meno violente, ma si scoprì ad ammettere che non esisteva un
modo delicato per dirlo. La verità era sempre cruda.
Loki
piegò la testa di lato, guardandola con gli occhi socchiusi.
«Come fai a saperlo?», domandò con fare
mellifluo, facendo un passo in avanti.
Khalida
deglutì a vuoto. Aveva già avuto paura di Loki,
ma mai un terrore così viscerale. Si sentì
privata della capacità di pensare e di agire in modo
coerente, mentre la paura le correva sulla pelle.
Ma
nonostante questo, sostenne lo sguardo di Loki. «Il
segnalatore che mi sono tolta nella Stark Tower, non era l'unico che
avevo addosso. Lo S.H.I.E.L.D ha sempre monitorato la mia posizione.
Non ho mai smesso di essere un'agente».
Loki
sbatté le palpebre una volta sola, non lasciando trasparire
il tumulto che si era appena scatenato dentro di lui. Ciò
che stava accadendo era troppo simile a ciò che aveva
già provato, per non rimanerne turbato.
Non
che non avesse mai considerato la possibilità che Khalida
fosse ancora una pedina di Fury, eppure quel gelo pungente sotto lo
sterno lo sbugiardava.
In
realtà, non ci aveva mai creduto davvero.
Il
suo fiuto per le menzogne, quell'istinto, l'aveva tradito di nuovo.
Doveva
lasciarla morire tempo prima, non appena aveva intuito la sua
pericolosità. Portarla ad Asgard era stato un errore, si era
fidato troppo della propria forza.
Aveva
permesso a Khalida di invischiarlo in una ragnatela di bugie troppo
simile a quella imbastita da Odino. Poco gli importava che lo
svantaggio per lui fosse praticamente nullo, non avrebbe dovuto
permetterlo.
Non
era stupito dal voltafaccia di Khalida, cos'altro poteva aspettarsi da
un umana?
Era
deluso da sé stesso, da quella minima debolezza che aveva
lasciato penetrare dentro di sé.
L'illusione
di qualcosa di diverso che per un attimo aveva contemplato, ora svanita
come nebbia, spazzata dalla realtà.
Doveva
aspettarselo, alla propria natura non si sfugge.
E
lui non era fatto per essere capito, né accettato, forse
nemmeno per essere amato, né desiderava esserlo.
Il
timore, il terrore e il rispetto erano abbastanza.
Erano
quello che bramava, con tutto sé stesso.
E
adesso non desiderava altro che vederli in quegli occhi impenetrabili
come una bugia ben articolata, altrettanto attraenti e falsi.
Avvicinandosi
ancora, Loki sogghignò, malevolo. «A che
scopo?», chiese.
Khalida
era consapevole di stare sbagliando tutto.
Si
sentì regredire all'età di quattordici anni,
quando non sapeva cosa fare della propria vita.
Lasciò
che Loki si prendesse il suo trionfo, mostrandosi a lui fragile come
era in realtà, umana come era sempre stata.
«Il
Tesseract si stava spegnendo. Lo S.H.I.E.L.D. voleva scoprire
perché», rispose.
Loki
sollevò lo sopracciglia. «Rischi la tua vita per
così poco?».
Khalida
alzò il mento, in quella sua tipica espressione di sfida.
«Non si trattava di rischiarla».
«E
di cosa, allora?».
Lei
strinse le labbra. «Di cambiarla».
Loki
si lasciò scappare uno sbuffo divertito, quasi una risata,
poi tornò d'un tratto serio, freddando Khalida con
un'occhiata penetrante «Ti ho salvato la vita, stupida umana.
Valuti così poco un debito tanto grande?», chiese,
sferzante, velenoso come la lingua di un serpente. «Dimmi per
cosa ti sei venduta, quanto reputi preziosa la tua patetica
vita», intimò subito dopo, facendo un altro passo
in avanti, costringendo Khalida ad arretrare istintivamente.
Lei
esitò solo un'istante.
Le
mani di Loki scattarono, stringendole le spalle in una morsa di ferro.
«Dimmelo!»,
le sibilò in voltò.
Khalida
distolse lo sguardo, sopraffatta. Si bagnò le labbra, mentre
i pensieri le si rincorrevano in testa. «Volevo ricominciare
da capo, cambiare identità e sparire, lasciandomi alle
spalle il passato», disse, e le sue parole suonarono
infantili ed egoiste alle sue stesse orecchie.
Loki
rise, sprezzante. «Sei un'illusa. Il tuo passato non se
andrà mai. Hai le mani piene di sangue, quello della tua amica in
particolare. Niente potrà mai farlo sparire».
Khalida
sussultò al riferimento crudele a Manaar, una sensazione di
soffocamento la assalì al petto e si divincolò
con forza, ma Loki non le permise di sottrarsi alla sua presa.
«Lasciami»,
le sfuggì, tra i denti serrati.
«E
perché? Ho appena cominciato»,
sogghignò Loki.
Khalida
strattonò di nuovo i polsi ma l'unico effetto fu quello di
far aumentare la stretta di Loki. Gemette. «Uccidimi in
fretta. Non hai molto tempo, arriveranno tra poco».
Stava
solo giocando, Khalida lo sapeva, ma adesso era troppo esposta per
trovare la cosa incoraggiante, divertente o interessante.
Voleva
solo che sparisse il prima possibile, prendendosi quello che doveva,
persino la sua vita.
Tutto,
per non vedere più quel dolore nei suoi occhi, quell'antica
freddezza che negli ultimi tempi si era appena sopita.
Qualsiasi
cosa, per non sentirsi in colpa, ma dentro di lei sapeva che non
sarebbe stato così facile.
Loki
rise, sottovoce. «E perché dovrei, quando posso
assistere alla tua rovina?», chiese, mentre con un bagliore
dorato indossava l'armatura nera. Lasciò andare Khalida
bruscamente, guardandola da sotto l'elmo con occhi crudeli.
«Non appena i tuoi amici
arriveranno, li ucciderò uno ad uno, e lascerò te
per ultima», disse, poi sembrò esitare.
«O forse lascerò che siano loro ad ucciderti,
credendoti la traditrice che sei», aggiunse.
Lo
Scettro, tra le sue mani, mandava lampi azzurri, come se fosse in
agitazione.
Nonostante
le minacce Khalida riuscì ad intuire qualcosa di diverso
dietro la crudele maschera di Loki, dietro l'ennesima promessa di morte.
Odio.
Era
un sentimento che non aveva mai dimostrato nei suoi confronti.
Un
ennesimo senso di colpa le precipitò sullo stomaco.
Loki
non aveva mai considerato davvero la possibilità che lei
potesse tradirlo, come se si fidasse, probabilmente in modo inconscio,
di lei. Esattamente come lei aveva fatto con lui, preda di un istinto
suicida e illogico.
Un'ondata
di nausea le fece girare la testa.
Poi,
si accorse del silenzio.
Il
rumoroso generatore si era improvvisamente spento.
Era
troppo tar...
Una
tremenda esplosione interruppe il ragionamento di Khalida.
Lo
spostamento d'aria la sbalzò contro la parete, separandola
da Loki.
Il
tavolo di metallo dell'ingresso, squarciato, atterrò davanti
a lei, ad un soffio dal suo volto.
Istintivamente,
Khalida si rannicchiò dietro la lamiera contorta, cercando
protezione.
Un
terribile fischio le penetrava il cervello ed era sicura di avere
almeno un timpano lesionato.
I
rumori le arrivavano soffusi e distorti.
Percepì
l'ingresso nella caverna di almeno una quindicina di agenti, tutti in
assetto d'assalto.
Sentì
una voce familiare chiamare il suo nome.
La
riconobbe poco dopo, mentre tentava di mettersi seduta facendo leva su
Match, che miracolosamente stringeva ancora in mano. Era il capitano
Rogers.
Fury
aveva mandato la cavalleria, sperava solo che non ci fosse anche Stark.
«Agente
Sabil, è ferita? Vedo del sangue»,
continuò la voce di Rogers.
Khalida
si toccò il petto e il ventre. No, non era ferita.
Nonostante tutto, era stata fortunata.
Ma,
se non era suo, allora...
«Loki!»,
le sfuggì, mentre con gli occhi frugava oltre il fumo
dell'esplosione e la polvere.
Intravide
la figura imponente dell'alieno un paio di metri di fronte a lei,
nascosto dietro un anfratto della roccia. La luce del Tesseract pulsava
lievemente, indicando la sua posizione, ma solo dopo qualche secondo,
quando la polvere iniziò a posarsi, Khalida
riuscì a vedere con chiarezza. Dalla spalla destra
dell'alieno spuntava per una decina di centimetri uno stiletto di
metallo, proveniente probabilmente dal tavolo martoriato dietro cui
Khalida si era riparata.
Loki
le restituì uno sguardo ostile e rancoroso, mentre si alzava
lentamente in piedi, ancora celato agli sguardi degli agenti.
Khalida
studiò la scheggia di metallo. Non era una ferita mortale,
altrimenti il Tesseract non l'avrebbe permessa, ma Loki sembrava
perdere diverso sangue. Vederlo vulnerabile le fece provare una stretta
al cuore inaspettata, che la lasciò stupefatta e turbata.
L'emorragia probabilmente condizionava la sua capacità di
usare il Tesseract, e il suo potere. Aveva imparato a sue spese che per
gestire il tipo di energia di quei manufatti serviva molta forza.
Sempre
guardandola fisso, Loki afferrò l'estremità della
scheggia e senza emettere suono se la estrasse dalla carne con un gesto
naturale e noncurante, come se stesse semplicemente spazzando della
polvere dai vestiti.
Improvvisamente,
Khalida capì cosa doveva fare, che forse l'aveva sempre
saputo, sin da quando aveva preso la decisione di togliersi il
segnalatore.
Loki
aveva solo bisogno di tempo, la ferita si sarebbe rimarginata
rapidamente e poi avrebbe potuto scomparire.
Attraverso
uno degli squarci nel tavolo, Khalida valutò le forze degli
agenti.
Uno
scontro a fuoco era un suicidio, ma lei aveva bisogno solo di
guadagnare pochi minuti.
Senza
guardare Loki, e tenendo Match con la punta rivolta verso il basso,
Khalida si alzò in piedi, uscendo allo scoperto, lentamente.
«Non
sparate», disse immediatamente, cercando gli occhi del
Capitano Rogers e Occhio di Falco, che la teneva sotto tiro con l'arco
teso.
«Io
farei attenzione a quello, Clint. Non vorrei che ti partisse un colpo
accidentale», ammiccò, in direzione dell'agente
Barton.
Lui
ricambiò con un sorriso stentato.
«A
che gioco sta giocando agente Sabil? Perché si è
tolta il segnalatore?», domandò invece Steve.
«Dov'è Loki?», aggiunse poi, senza
attendere una risposta alla sua precedente domanda.
Khalida
si mostrò perplessa. «Non sono il suo
guardiano».
Clint
strinse la presa sull'arco, guardandosi intorno. Si aspettava di veder
spuntare l'alieno da un momento all'altro. «Se non sbaglio,
l'idea di Fury era proprio quella», la contraddisse.
«Non
per ferirti, Clint, ma tu non sai un bel niente delle idee di
Fury», replicò Khalida, guardando brevemente alla
sua sinistra.
Loki
aveva smesso di sanguinare ed ora la stava fissando.
Sembrava
sorpreso dal suo comportamento.
«Adesso
basta con i giochi, Khalida, getta quell'arma e alza le mani sopra la
testa», le intimò Rogers, facendo un passo avanti.
«Non costringerci a farti del male».
Khalida
deglutì lentamente. Era il momento.
Una
scarica d'adrenalina le attraversò i nervi e Match
brillò intensamente.
Sentì
lo scatto metallico che annunciava l'attivazione dei fucili automatici
degli agenti.
Guardò
Loki negli occhi, con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima
volta.
Forse
era vero che negli ultimi istanti di vita non si prova dolore, ma solo
serenità.
«Il
motivo per cui ti ho salvato la vita...», gli
sussurrò. «... è che non meritavi di
morire».
Loki
realizzò troppo tardi il perché di quella
inaspettata confessione.
Non
poté che assistere mentre Khalida, con un movimento
fulmineo, puntava Match davanti a lei, il cristallo attraversato da
scariche bianche d'energia.
Era
un'illusa se pensava di poter gestire quel potere e sopravvivere.
Una
voce dentro di lui lo avvisò che non doveva importargli.
Il
momento di agire era giunto.
Khalida
gli stava offrendo l'opportunità su un piatto d'argento, da
stupida incosciente quale era.
Questa
volta, non l'avrebbe sprecata.
Si
concentrò, e il flusso d'energia del Tesseract lo
attraversò, trasportandolo lontano.
Quando
riaprì gli occhi nel buio, nelle orecchie sentiva ancora il
rimbombo crudele degli spari.
Dietro
le palpebre, l'immagine di Khalida che cadeva a terra, investita da una
pioggia di proiettili gli era rimasta impressa nella retina, come una
luce troppo accecante.
Una
smorfia amara gli deformò la bocca.
Quella
donna l'aveva beffato fino in fondo, portandogli via la soddisfazione
di ucciderla con le sue mani.
Ma
ormai poco importava, il piano doveva procedere.
---------------------------------------------------------------------
*non
uccidetemi*
Alla fine Loki avrebbe
davvero ucciso Khalida?
Io credo di sì.
Se ne sarebbe pentito?
Forse no, forse
sì...
e secondo voi?
Non disperate c'è ancora l'epilogo, che ci
fornirà molte informazioni XD
Alla settimana prossima.
Nicole
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Capitolo 9 *** Epilogo - Come una crepa ***
Ed
eccoci qui con l'epilogo della seconda parte.
Spero che dopo averlo letto non vi venga l'insana voglia di venire a
cercarmi XD
Come sempre, ci vediamo alla fine.
«Sta giocando con il fuoco, Direttore»,
iniziò una profonda voce maschile.
Fury osservò la sagoma scura alla sua estrema destra.
Quei burocrati pomposi e codardi non capivano un accidenti di come ci
si comportava in guerra, di cosa significava fronteggiare la morte
faccia a faccia. Non contemplavano la bellezza e l'utilità
del compromesso, né il significato più profondo
della parola controllo.
Tenere sotto controllo le minacce alla Terra, non significava
necessariamente eliminarle tutte, ma sapere usare con intelligenza ogni
informazione, o persona, in suo possesso, per prevedere con un minimo
margine di errore cosa sarebbe accaduto e quando. Si trattava di
scegliere il pesce più grosso da pescare, quello la cui
cattura poteva segnare la differenza tra vita e morte.
«Khalida Sabil è a malapena sopravvissuta ad una
missione particolarmente delicata. Ci ha dato molte informazioni
utili».
«La sua agente ha lasciato fuggire Loki, permettendogli di
portare via il Cubo. I testimoni sono tutti concordi nell'affermare che
ha agevolato la sua fuga. Le informazioni che ci ha dato sono solo
l'estremo tentativo di salvarsi la vita. Oltretutto, non ci sono di
nessuna utilità», illustrò una voce di
donna.
Fury osservò la figura al centro. Nel buio, si indovinava un
caschetto di capelli biondi e una giacca elegante rosso intenso. Le
donne con un briciolo di potere erano la peggiore piaga
dell'Intelligence, di questo ne era sempre più convinto.
«L'agente Sabil ha fornito una spiegazione plausibile per
quello che i testimoni credono di aver visto»,
obiettò ancora Fury.
«La pianti Direttore. La commissione ha emesso il suo
verdetto», sentenziò una terza voce, con
l'autorità delle persone abituate a dare ordini.
«Khalida Sabil è una crepa nella struttura della
nostra agenzia», continuò, il tono sibilante come
una lama. «Se non la eliminerà lei, lo faremo
noi».
Lo schermo davanti a Fury si spense, e la minaccia aleggiò
nell'aria come fumo.
Fury strinse appena l'unico occhio, prima di portare una mano
all'auricolare.
“Agente Hill,
ho bisogno di lei”.
Una spolverata di neve fresca dipingeva i tetti di Chigaco di un bianco
puro e abbagliante.
Khalida non amava il freddo, ma la neve l'aveva sempre affascinata.
Prima di trasferirsi nell'Europa dell'est non l'aveva mai vista e la
sua prima nevicata era stata una delle poche cose a sorprenderla
davvero, nel modo puro e genuino dei bambini.
Sporgendosi dal balcone, osservò le persone che
passeggiavano sul marciapiede, decine di metri sotto di lei. L'aria
fredda la fece rabbrividire, ma non voleva tornare nella stanza che per
mesi era stata la sua prigione. Ora che le era concesso, voleva
respirare liberamente.
Con un gesto ormai abituale, Khalida si toccò il fianco,
lì dove sotto le bende bruciavano i segni delle ferite che
l'avevano praticamente uccisa.
Questa volta ci era andata davvero vicina.
Per la prima volta aveva creduto che fosse tutto perduto, che il tempo
fosse terminato e la sua vita completamente svanita.
Non aveva più nessuno da cui fuggire in cerca di protezione,
né Fury, né Loki, avendo tradito entrambi.
Sospesa tra la vita e la morte, aveva danzato sul filo dell'incoscienza
per settimane, in un limbo che l'aveva tormentata peggio della morte.
Era sopravvissuta solo per un miracolo, o per una condanna, ancora non
aveva scelto quale fosse l'opzione più probabile.
Ma non aveva mai desiderato morire, e non avrebbe certo cominciato in
quel momento.
Un tonfo improvviso alla sua destra la fece sussultare, ma le sue mani
non avevano armi da cercare.
Osservò incolore la figura imponente di Thor che si
stagliava contro il cielo bianco di neve.
Ne poteva sentire l'odore, presto avrebbe cominciato a nevicare di
nuovo.
«Cosa vuoi?», gli domandò, ostile.
Fury le aveva impedito di avere contatti con i Vendicatori,
né nessuno di loro aveva chiesto di vederla. Di fatto in
quei lunghi mesi, aveva visto solo il Direttore e altri due agenti, che
l'avevano interrogata minuziosamente. Solo una volta aveva intravisto
Banner attraverso un vetro, poco tempo dopo il suo risveglio, ma forse
era stata solo un'allucinazione.
«Parlarti», rispose Thor, facendo un passo avanti.
Indossava l'armatura e in mano stringeva Mjolnir.
Istintivamente, Khalida indietreggiò, diffidente.
Thor la fissò con aria di scusa. «Non voglio farti
del male», disse, accennando un sorriso.
«Non dovresti essere qui», replicò
Khalida.
«Lo so, ma non potevo più rimandare. Padre ha
trovato un modo per riportarmi ad Asgard e tra pochi giorni
lascerò il tuo pianeta», annuì
l'asgardiano.
Khalida sollevò un sopracciglio, con fare interrogativo,
quasi a domandare perché avrebbe dovuto interessarle
un'informazione del genere. «Di cosa devi
parlarmi?».
La familiare ombra di dolore negli occhi azzurri dell'alieno
rivelò la risposta prima della sua voce. «Di
Loki».
La donna si irrigidì. «Ho già detto
tutto. Qualunque cosa tu voglia sapere, puoi chiedere a Fury».
Thor coprì la distanza tra lui e la donna con due lunghi
passi, l'afferrò per le spalle, senza farle male.
Lo sguardo dell'alieno era talmente intenso che Khalida non
riuscì a sfuggirgli.
«Khalida, ho bisogno di sapere la verità su quello
che è successo quel giorno».
La donna deglutì. «Cosa intendi?».
«Loki ha davvero usato le sue illusioni per costringere gli
agenti dello S.H.I.E.L.D. a spararti?», domandò
l'asgardiano.
Khalida sbatté le palpebre confusa. Se Thor aveva quel
dubbio, allora la sua recita non era stata convincente quanto sperava.
Ciò significava che era ancora sotto sorveglianza.
Sfuggì gli occhi imploranti di Thor e sospirò
profondamente. «Non qui. Ci ascoltano»,
mormorò, bagnandosi le labbra.
Per un'istante, Thor sembrò non capire, poi qualcosa si
accese nei suoi occhi azzurri.
Con un mezzo sorriso, afferrò Khalida per la vita,
stringendola contro di sé e con un rapido gesto del
martello, si sollevò in aria, atterrando dopo pochi istanti
sul tetto del palazzo.
Khalida si divincolò dalla presa dell'alieno e fece un passo
indietro.
Cercò d'ignorare la nausea e le vertigini, concentrandosi
sul suo respiro.
«Khalida, ho bisogno di saperlo, Loki ha veramente cercato di
ucciderti?», la incalzò Thor.
Lei lo guardò negli occhi. «Perché
questa domanda? Cosa speri che ti dica?».
«Voglio sapere se per mio fratello c'è ancora
speranza», ammise il Dio del Tuono, con un'aria afflitta che
Khalida, in parte, comprendeva.
Sospirò di nuovo, tormentandosi una ciocca di capelli con
l'indice della mano destra. Sul tetto soffiava un vento gelido che le
tagliava il viso, ma lei quasi non lo sentiva. Doveva decidere se era
veramente disposta a giocare a carte scoperte con Thor, se poteva
fidarsi del fatto che non sarebbe mai andato da Fury a spifferare ogni
cosa.
Alla fine, capì che in realtà non aveva altra
scelta.
Thor aveva il diritto di sapere.
Per quanto fosse un ammasso di muscoli e arroganza, l'alieno aveva un
cuore ed amava sinceramente il fratellastro, di quell'amore che fa
più male che bene, certo, ma comunque in modo genuino.
In più a Loki erano già state imputate abbastanza
colpe.
«No, Loki non ha cercato di uccidermi. Sono stata io, di mia
volontà, ad attaccare gli agenti dello S.H.I.E.L.D., per
dargli il tempo di fuggire», confessò.
«Ho inventato la storia delle illusioni per evitare di venire
giustiziata dalla corte marziale come traditrice».
Thor non riuscì a trattenere un sorriso, ma Khalida lo
freddò con un'occhiataccia.
«Questo non significa che Loki sia cambiato, prova solo il
fatto che sono una sciocca», disse, tra i denti.
Thor fece un passo avanti. «È più di
quanto sperassi, comunque», ammise. «Cosa farai
adesso?», le chiese.
Khalida strinse le braccia intorno al busto. «Fury mi
spedisce in un angolo sperduto del pianeta, sorvegliata a vista, per il
resto della mia vita».
L'asgardiano sorrise. «Perché non vieni ad Asgard,
con me?».
Lei spalancò gli occhi, stupefatta. «Stai
scherzando?».
Thor parve confuso. «No. La mia è un offerta
sincera».
«Stupida, oltre che sincera», lo frenò
Khalida. «Cosa dovrei mai venire a farci ad
Asgard?».
«Cambiare vita. Non è quello che
volevi?».
Khalida sbuffò. «Sono umana, Thor. La Terra
è la mia casa».
«Non sei più tanto umana, da quanto mi hanno
detto».
«Se ti riferisci agli effetti della camera di guarigione che
mi hanno permesso di sopravvivere a una ferita mortale, ti avviso che
non sono permanenti. Svaniranno presto», sbottò
Khalida. Quella era una cosa con cui non era ancora scesa a patti. Il
fatto che quella diavoleria aliena avesse giocato con il suo DNA,
accelerando la naturale rigenerazione cellulare, la irritava
più di quanto mostrasse.
Thor annuì lentamente. «La mia offerta non
cambia», precisò.
«Nemmeno la mia risposta», fece Khalida, con tono
conclusivo. «Adesso riportami di sotto, prima che Fury venga
a cercarmi».
«Solo un'ultima domanda», iniziò Thor.
«Sei sicura di non avere modo di rintracciare
Loki?».
La mente di Khalida corse istintivamente a Match, che le era stato
sequestrato al momento della cattura. «Anche se conoscessi un
modo, non te lo direi», ammise.
L'alieno strinse le labbra, deluso. «Loki è mio
fratello...», cominciò, ma Khalida lo
fermò con uno sguardo duro.
«No, non lo è, e finché ti ostinerai a
considerarlo tale, non riuscirai mai ad aiutarlo. Non puoi pretendere
di ignorare tutto ciò che è successo. Le bugie
che Odino ha imbastito vi sono crollate addosso e prima di provare a
costruire qualcosa ve ne dovete liberare, non semplicemente
scavalcarle», disse, poi fece un passo avanti.
Poggiò la mano su quella di Thor, che stringeva Mjolnir in
modo convulso. Anche se fiero ed indomito, lo sguardo del Dio del Tuono
era come quello di un bambino, un bambino che credeva di aver perso il
fratello per sempre.
«Non credere di essere l'unico a soffrire, Thor»,
disse. «Loki ha bisogno di tempo. Prima di perdonare te e i
tuoi genitori, ha bisogno di perdonare sé stesso»,
Khalida accennò un lieve sorriso e Thor lo
ricambiò a stento.
«Quando l'avrai capito, se non riuscirai a trovare Loki in
nessun altro modo, vieni a cercarmi. Ti aiuterò»,
promise d'istinto. Immediatamente provò la fastidiosa
sensazione che si sarebbe pentita di quella frase.
Thor le afferrò la mano e con un gesto eclatante se la
portò alle labbra, sfiorandone appena il dorso con le
labbra.
«Grazie».
Fury entrò nella stanza mentre Khalida stava riponendo i
suoi pochi effetti personali, qualche abito e un paio di libri, nel
borsone nero ed anonimo che lo S.H.I.E.L.D. le aveva fornito. Per anni
aveva considerato un vanto il fatto che tutta la sua vita potesse
essere impacchettata nel giro di dieci secondi, letteralmente. Ora lo
considera solo squallido.
Iniziava finalmente a capire che c'era sempre stato qualcosa che non
andava nel suo modo di vivere. Sarebbe stato più coretto
dire che per tutti gli anni trascorsi si era limitata a sopravvivere,
senza mai fare niente di concreto, di utile.
Non aveva mai riflettuto seriamente sul senso della vita, sul suo
scopo, ma stava realizzando a poco a poco quanto la sua non ne avesse
alcuno.
Cosa aveva ottenuto?
L'unica persona per cui aveva provato realmente qualcosa, era morta,
nel suo maldestro tentativo di proteggerla, e adesso Khalida sentiva il
peso di quella vita spezzata premere sul suo destino. Ricordava come se
fosse appena successo le ultime parole che Manaar le aveva sussurrato,
prima di morire.
Vivi anche per me.
E lei era venuta meno a quella promessa, perché non aveva
fatto altro che nascondersi, limitandosi a far sì che il suo
cuore non smettesse di battere.
Ma adesso, aveva l'opportunità di cambiare le cose.
Nel borsone c'era già tutto, la sua nuova
identità pronta e confezionata, una vita che esisteva solo
sulla carta, ma che lei avrebbe reso piena di significato.
A qualunque costo.
«Andiamo», ordinò Fury, senza guardarla.
Khalida annuì, mentre si caricava il borsone sulle spalle.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle ebbe la certezza di aver
finalmente compreso il significato della frase di Manaar.
Non la stava implorando di continuare a respirare, ma di avere una vita
con un significato.
Una vita che qualcuno avrebbe ricordato, come lei avrebbe sempre
ricordato la sua.
Sul tetto della base un elicottero con il motore già acceso
diffondeva un rumore costante che, insieme al vento gelido misto a
fiocchi di neve, portava via le parole, facendogli perdere importanza.
Un agente in giacca e cravatta, gli occhi nascosti dagli occhiali scuri
d'ordinanza, stava aspettando Khalida con espressione imperturbabile.
Fury la consegnò all'uomo senza particolari cerimonie.
«Addio, Khalida», disse solamente, guardandola
negli occhi.
«Addio», replicò lei, accennando un
sorriso.
L'agente le prese il borsone dalle mani e scambiò un cenno
d'intesa con Fury.
Khalida si fece scortare fino all'elicottero, mentre le pale
acceleravano.
Il rombo divenne assordante.
Quando la portiera scorrevole si chiuse alle sue spalle, la donna si
lasciò cadere sul sedile di velluto, massaggiandosi le
tempie per un'improvvisa fitta di dolore. Il mezzo iniziò a
sollevarsi in aria dopo pochi secondi e una vertigine le fece girare la
testa.
Si aggrappò ai braccioli cercando di non guardare fuori dai
finestrini.
Il suo sguardo, in cerca di un punto stabile per placare la nausea si
fissò sul soffitto.
Una piccola luce attirò la sua attenzione.
Accanto alla spia rossa c'era un filo, blu e bianco, che scorreva tra i
cavi, fino ad una scatola che sembrava di gomma nera.
Khalida sbarrò gli occhi.
La luce si spense.
La detonazione violenta infranse tutte le finestre nel raggio di decine
di metri e la sfera di fuoco fu visibile per chilometri, intorno a
Chigaco.
Al telegiornale avrebbero detto che era stato uno sfortunato incidente,
un difetto nel serbatoio del carburante. Unica vittima della tragedia,
il pilota, che stava ripartendo dopo aver fatto scendere i propri
passeggeri.
Alla maggioranza degli agenti S.H.I.E.L.D. sarebbe stata detta la
stessa cosa.
In un ufficio lontano, nella piazza più famosa di
Washington, un telefono squillò.
«Pronto?», chiese una voce maschile profonda.
«Problema risolto», replicarono all'altro capo,
prima di riagganciare.
Un sorriso soddisfatto si fece strada sul volto dell'uomo, mentre il
fumo di una sigaretta saliva lentamente nell'aria.
Uno a zero per me, Nick.
----------------------------------------
NB: i numerosi
riferimenti in questo capitolo al fatto che Khalida abbia la nausea o
giramenti di testa, sono dovuti al fatto che, come ho già
detto, lei soffre di vertigini in modo particolarmente accentuato. Non
vi allarmate, non ci saranno bambini alieni in questa FF.
Spero che non ci siano punti pochi chiari, in caso
domandatemi pure senza problemi.
Khalida è sopravvissuta alle ferite grazie ad un effetto
latente della camera di guarigione. Mi sono un pochino scervellata su
come potrebbe funzionare un congegno del genere, e ho concuso che
probabilmente agisce sulle cellule, aiutandole a rigenerarsi e
accelerando così il normale processo di guarigione. Nella
mia riflessione ho immaginato che, essendo un congegno asgardiano sugli
umani abbia un effetto amplificato, alterando in modo duraturo la
struttura cellulare, e mantenendo per un certo periodo di tempo una
sorta di rigenerazione veloce dei tessuti... spero che si sia capito, e
che non risulti assurdo.
Il dialogo tra Khalida e Thor era nella mia testa praticamente da
quando ho scritto il prologo della prima parte XD spero di averlo
scritto in modo adeguato, e che Khalida non risulti un personaggio del
tutto diverso dal resto della storia.
Mi sono sempre dimenticata di dirvi che Manaar, in arabo, significa
luce che guida.
Dovrei avervi detto tutto, adesso vi aspetto per il prologo della terza
parte Crepe.
Grazie a tutte le persone che hanno letto e mi hanno accompagnato in
questa avventura, in particolare a Sayuri.
A presto,
Nicole.
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