A pain that I'm used to

di Princess_Klebitz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** WRONG ***
Capitolo 2: *** I'm not looking for absolution ***
Capitolo 3: *** Never want to come back ***
Capitolo 4: *** All I ever wanted ***
Capitolo 5: *** Policy of truth ***
Capitolo 6: *** Let's have a black celebration ***
Capitolo 7: *** Condemnation ***
Capitolo 8: *** Personal Jesus ***
Capitolo 9: *** Useless ***
Capitolo 10: *** Barrel of a gun ***
Capitolo 11: *** Suffer Well ***
Capitolo 12: *** A pain that I'm used to ***
Capitolo 13: *** Waiting for the night ***



Capitolo 1
*** WRONG ***


SALVE; QUESTA è UNA RISCRITTURA, un nuovo inizio, di una storia che avevo messo qualche tempo fa. Non mi sembrava iniziata col piede giusto.
MI SCUSO IN ANTICIPO PER LE DISSONANZE DALLA STORIA VERA DEI DEPECHE MODE CHE DI SICURO LEGGERETE.
NON SONO RIUSCITA A PROCURARMI UNA BIOGRAFIA DECENTE, PERCIò LASCIO AL MIO CERVELLO IL COMPITO DI RIEMPIRE QUEI VUOTI, CON QUELLO CHE LA MIA FANTASIA MALATA MI SUGGERISCE  DALLA VISIONE DI VIDEO, FOTO, POCHE INFORMAZIONI E LETTURA DI INFORMAZIONI SICURE DA FORUM.
OGNI COMMENTO E CRITICA è BEN ACCETTA, SE LASCIATA CON EDUCAZIONE.
RIBADISCO IL MIO INTENTO DI CREARE UN’OPERA DI FANTASIA, NON DI RICOSTRUZIONE DELLA REALTà, SUL PERIODO DA BLACK CELEBRATION AL FATIDICO 1 GIUGNO 1995, DOPO IL DEVOTIONAL, PARTENDO DA MOLTO LONTANI, E AGGIUNGO CHE I DO NOT OWN DEPECHE MODE.
I DO NOT OWN DAVE GAHAN, ALAN WILDER (purtroppo per entrambi…), MARTIN LEE GORE, ANDREW FLETCHER.
I DO NOT OWN RECOIL PROJECT.
SIATE CLEMENTI

 
“…IT WAS THE WRONG PLAN
IN THE WRONG HANDS…”
(DM; WRONG)
 
Un quarto d’ora.
Il soundcheck era stato fatto, il suo più veloce di tutti.
Christian aveva avuto problemi con la batteria, gli avevano spostato i microfoni almeno 7 volte prima di ottenere la giusta risonanza della cassa.
Lui era letteralmente fuggito, lasciando Martin alle responsabilità di quella data, quando proprio lui aveva mandato il fatale messaggio sei mesi prima:
“Ti và di suonare con noi a Londra?”
Niente altro.
Non “Ehi, nonostante tu sia scappato lasciandomi nella merda, anzi lasciandoci, ti rivogliamo per una sera.”
Non “Ehi, scusa per averti portato allo sfibramento nervoso, ma ti rivogliamo e siamo teste di cazzo troppo orgogliose per dirlo.”
Non “Andiamo a farci una birra? Oddio, almeno tu… io berrò un succo di frutta.”
Dave non ci aveva minimamente pensato, ed aveva scritto di getto, senza cercare scuse, giri di parole o accuse.
Solo che sei mesi sembravano una data così lontana…
Significava che non aveva ancora imparato a rendersi conto delle conseguenze?
Si mise a girare per il camerino come una tigre in gabbia, nel suo sobrio completo, che tra mezz’ora avrebbe stillato sudore ovunque.
Fletch entrò nella stanza, valutando il passo dell’amico, calmo, e aggiustandosi gli occhiali.
“Dal passo deduco o che vuoi sbranare qualcuno, o che ti stai pentendo di qualcosa.”
“Non mi pento di niente, Fletch. A parte tre anni nella droga, non mi pento di niente.”
“Meno male… perché Mart è felice come una Pasqua, sembra voglia rimettersi la gonna, da come saltella in giro…”
Dave si fermò e fissò Fletch, inorridito, finchè scoppiarono a ridere entrambi.
“Mart è contento? Bene. Pensavo che fosse proprio lui, a saltare per aria, ed invece eccomi…”
“…a girare come un penitente senza speranza. Se insisti ti faremo suonare Condemnation!”
“…con Alan che mi guarda come nel Devotional, da sopra al piano e pensa ‘Ce la farà? Sarà in grado di cantarla?’,mio dio…no!”, inorridì nuovamente Dave, scatenando le risa di Fletch.
“Cristo quanto si agitava, in tutto il video di Corbjin non ha un sorriso neanche a tirargli gli angoli della bocca col fil di ferro!!”
Mart entrò come un tornado, sbattendo la porta.
“SARà UNA GRANDE SERATA, LO SO, LO SENTO, OH DAVE GAHAN VIENI QUI, POSSO LEGGERE NELLA TUA ZUCCA BACATA CHE SARà…”
“Mart. Alleluja. Dove sei stato?”
“A parlare con Peter. CHI SCOMMETTE SUGLI INFARTI IN PLATEA?! IO SCOMMETTO SUL RANGE CHE VIAGGIA DAI 50 IN SU, e specialmente su…”
Prima che il malefico biondino sparasse il nome di qualche celebrities anni ’80, con il taccuino già pronto, arrivò il segnale dei 5 minuti ad interrompere il suo ghigno diabolico.
A quel punto persino Martin stette zitto per qualche secondo, rimuginando.
“Quanti anni sono?”
“15.”,rispose prontamente, TROPPO prontamente Dave, che si tappo la bocca subito dopo.
“Hai tenuto bene il conto, eh, pertica?”
“Vaffanculo, Mart! Ho avuto 6 mesi per pensarci!”
“Praticamente è stata una gravidanza prematura!”
DA DOVE VIENE QUESTO UMORISMO, FLETCHY?!”
“Sono un uomo dalle mille risorse…”, rispose flemmatico Andy, avviandosi verso gli altri, seguito da Mart.
*
Cristian e Peter li stavano già aspettando, quando Dave, per una volta rassegnato, si sottopose all’abbraccio di rito prima di ogni concerto che li aspettava.
Nel quale salivano puntualmente tutti su un suo piede, oltretutto!
“Ragazzi… stasera tiriamo fuori conigli dal cilindro!! Yeah!!Rock and roll!”, saltò Mart, ovviamente sul suo piede destro.
Dave, trattenendo una bestemmia, ricambio l’abbraccio di gruppo, quando una voce bassa e ironica gli arrivò come un coltello tra le scapole, facendolo irrigidire.
“Cristo , come cambiano i tempi… Non ricordo di esserci mai abbracciati mai così…”
Quasi tutti si avviarono più avanti, specialmente Fletch e Mart, tirando via a braccia Peter che, con gli occhi a cuoricino, voleva saltare in braccio ad Alan Wilder.
“Peter… dopo l’autografo!! Suonerà con te stasera!”
“VOI NON CAPITE, AHHHH, MR WILDEEEER!”
Allontanatisi gli amici, Dave rimase di fronte all’ex bandmate, che lo fissava con un sorriso ironico in viso.
E la prima cosa che trovò da dirgli fu, ovviamente, una stronzata.
“Sei… in forma, Alan. Ingrassato. NO, CIOè…!”
“Dave…”
“… siamo tutti cambiati!,eheh, io non sono più 55 chili…”
“Dave…”
“…sei sempre stato più magro e alto di me, accidenti, un po’ di…ciccia, non ti fa…male. Ecco.”
“Ce l’ho uno specchio a casa, Dave.”
“…!”
Alan indicò il palco, sempre fissandolo, ora persino ridendo sotto i baffi.
“Ce la farai o ti piscerai addosso prima?”
Dave, punto sul vivo, fissò l’ex amico, infastidito.
“Il giorno che non ce la farò a cantare, puoi darmi per morto.”
Seconda stronzata.
“Oh, non serve arrivare a tanto…”
-Sono un imbecille-, pensò Dave, per poi avviarsi, all’indietro, verso il palco, ma non resistendo a lanciare una frecciata ad Alan.
“Niente giacca di pelle?”
“Niente collarino di velluto?”
“…”
“…!”
“Fottiti, Alan Wilder!!”
“Precedimi, David Gahan! Ho aspettato per 6 mesi di mandarti a fanculo di persona!”
“E…?”
“Vaffanculo, David Gahan!”
Dave, ridendo, si avviò verso il palco della Royal Albert Hall, seguito da una voce lanciatagli da Alan.
“Non credere di sfuggire, stronzo! E’ solo una questione di tempo!”
 
Pietà.
E’ terribilmente dura scrivere del proprio gruppo preferito, almeno per me.
Ho un timore reverenziale.
Adieu.

 

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Capitolo 2
*** I'm not looking for absolution ***


“…NOW I’M NOT LOOKING FOR ABSOLUTION
OR FORGIVENESS FOR THE THINGS I DO
BUT BEFORE YOU COME TO ANY CONCLUSIONS
TRY WALKING IN MY SHOES…”
 
*
Madrid, 1992
*
“A volte mi chiedo quanto possa essere imbecille…”, sospirò Alan, parlando col suo interlocutore, seduto ancora sullo sgabello della batteria.
Miller lo aveva scovato cercando nell’enorme villa fuori città che avevano adibito a studio, dopo aver assistito a scene quanto meno desolanti; Flood, il loro produttore, che li seguiva dall’album prima, VIOLATOR, era al synth a cercare suoni, solo soletto.
In lontananza l’unica cosa di vagamente animata, e macabra, era l’incedere ritmico, ogni tanto intervallato da errori e riprese, di una batteria, per le stanze dove il gruppo avrebbe dovuto stare o lavorare.
Fletch e Martin, in perfetto disaccordo, erano sul divanetto fuori dallo studio, a leggere riviste e a ignorarsi a vicenda; beh, grandioso, visto che ‘Never let me down again’ era scritta sulla loro amicizia…
Era riuscito a scoprire Dave, in preda a momenti di euforia mistica e sconforto reale, nella sua camera, in condizioni pessime, a disegnare Dio solo sa chi.
Mantidi urlanti nel migliore dei casi, ghirigori senza senso nel peggiore.
In piena estate, con tutte le finestre chiuse e gli enormi ceri di candela accesi, lo sguardo vitreo che si accendeva o si spegneva come un interruttore, la sua magrezza allucinante (56 chili il giorno prima; 55 quando era arrivato da L.A… sembrava una delle sue amate candele, bianche, di cera, pronto a spezzarsi), i discorsi del tutto scoordinati, Dave sembrava l’immagine di un brutto sogno pronta a mangiarti, ma dalla quale non si riusciva a staccare gli occhi.
Daniel aveva tentato di parlargli dell’andamento del suo nuovo matrimonio, frettoloso e inopportuno, ma pareva neppure quello risvegliasse il vecchio Dave sepolto in lui; lo aveva interrotto per fissarlo con occhi spiritati e chiedergli cosa stesse succedendo a Seattle.
Seattle e la musica grunge sembravano catalizzare tutta la sua attenzione, e sebbene non ne avesse fatto parole con nessuno, Miller era certo che la sua fosse una situazione creata dalla quale non riusciva a togliersi, come un ragno che involontariamente era rimasto invischiato dalla sua tela.
Lui aveva creato i presupposti per il ‘rocker maudit’, le candele, la droga, i capelli da rocker, i suoi maledetti tatuaggi, ora anche la fottuta pittura e il fottuto grunge!
NON VOGLIO cantare in qualcosa che non sia un disco rock!”, ripeteva, come una cantilena ossessionante; Daniel si era trattenuto dal prenderlo per il collo, cosa che non sarebbe stata facile poiché Dave, come molti cantanti, aveva un metabolismo da eroina, e difficilmente avrebbe accettato…
Voleva urlargli in faccia che NON ERANO un gruppo rock!,erano un gruppo synth-rock!
In grado di riempire stadi e arene, per carità, grandissimi dopo VIOLATOR, i migliori dopo o con gli U2, ma NON erano un gruppo grunge, e non lo sarebbero mai stati!
Lui voleva le chitarre, chitarre a tutto volume, voleva fare il maledetto leader; Martin suonava giusto due giri di chitarra, non perché non ne fosse capace, ma per questione di gusto, e Alan, con Flood,tentava di venire loro incontro, e , quando lo incontrò, per ultimo, capì bene quanto lo stava sfibrando la situazione, ma specialmente i sensi di colpa.
“Perché dovresti essere un imbecille, Al? Non è colpa tua…”
“Ah no… Viviamo assieme, per il prossimo album, sarà divertente!...oppure…Ehi, forte uniamo gli strumenti con l’elettronica, sarà…sarà… dimmelo tu, Daniel. Cosa sarà?”
“State tentando…”,azzardò Daniel, vedendo come Alan, seppure l’unico attivo, fosse sul punto di rompersi anch’esso.
“Stiamo tentando? Avevamo il mondo in mano, dopo VIOLATOR…era perfetto…”
E Alan si alzò dalla batteria, guardando il sole spagnolo, invitante, fuori dalle vetrate.
“…perfetto. Dannazione.”, e la sua voce sapeva pericolosamente di vicino al pianto.
“Alan, sei l’unico che tira avanti la carretta. Ti spezzerai, se continui.”
Il tastierista si girò furioso, con uno scatto fulmineo,e diede un calcio ad una sedia, facendo sobbalzare il boss della Mute; altrochè triste, se lacrime c’erano erano di rabbia, pura e semplice.
Previsioni su Alan Wilder: calma inflessibile, atonia, intervallata da riflessi spontanei omicidi dettati da sensi di colpa.
ALLORA DIMMI CHI POTREBBE FARLO!! ANDY?! TRA UN PO’ NON SI ALZERà NEANCHE DAL LETTO!DAVE?! SE QUALCUNO SI PROVASSE A TAGLIARGLI I RIFORNIMENTI, MAGARI SI RIUSCIREBBE ANCHE A TOGLIERGLI DALLA TESTA QUELLE IDEE STUPIDE CHE SI è MESSO IN TESTA! MARTIN…”
“Martin. Come và con lui?”
“…non mi sopporta. E’ inutile nasconderlo.”, e calmatosi improvvisamente, Alan si lasciò cadere nella poltrona di fronte a Daniel Miller.
“Riesco a lavorare solo con Flood, e solo senza Martin. Martin, da parte sua, non mi vuole tra i piedi mentre compone. E’ proprio bello fare parte del gruppo più famoso del mondo.”,sospirò.
Daniel si alzò, non dicendo niente, cacciandosi le mani in tasca e osservando il pavimento.
“Suoni la batteria per accontentare Dave o per non dargli in faccia quello che dai sulle casse?”
“Dave… ha avuto l’unica buona idea del gruppo. Unire gli strumenti suonati veri ai synth. Speriamo di non passare per imitatori, oltretutto.”
“Pensi al confronto con gli U2 ed Achtung Baby?”
“Gli abbiamo aperto la strada, con VIOLATOR, ma ci hanno surclassato col loro rock. Nessuno sta a vedere quanto lavoro e persone abbiano dietro. Vedono noi quattro e loro quattro. In ogni caso, tanto di cappello, ma se ritrovassi Bono nel backstage del WorldViolator tour stavolta lo prenderei a calci in culo!”, ringhiò Alan.
“Flood dice che il vostro album è molto più…”,e Daniel agirò una mano, facendola mulinare.
“…più. Ecco. Più. Dice che i brani sono… favolosi. State creato un mix tra il sacro ed il profano perfetto. Dice che vi state spingendo più in là di qualsiasi rock band, Al.”
“Ne sono felice.”, mugugnò il tastierista, guardando fuori dalle vetrate, ancora.
“Al..”
“L’altro giorno eravamo in una jam session. Non ridere, Daniel, una jam session, ti dico. Siamo in studio. Alzo gli occhi dalla batteria e sai cosa vedo? Altre tre persone che guardano il vuoto.”, ed il tastierista alzò gli occhi su Miller. “Non IL vuoto. Ma ognuno UN vuoto per NON GUARDARE GLI ALTRI!E… lo stavo facendo anch’io.”
Miller non sapeva che dire.
“Dove abbiamo sbagliato, Daniel? Fino a poco tempo fa stavamo così bene…”
Avevano affrontato tantissime crisi, niente da dire, ma dopo il maledetto 101, sembrava che la strada fosse in discesa per loro.
La verità era che erano un gruppo fragile, attraversato da tensioni di tutte le loro forti personalità; ed ora erano a nudo, esposti come nervi scoperti, dopo aver dato il massimo stavano ancora tentando di fare qualcosa di epico.
E l’unico modo, era togliersi una parte di sé, ognuno di loro; Dave si stava letteralmente togliendo la vita. Forse Alan si stava togliendo il gruppo.
“Ti spezzerai, se continui così, Alan.”
Il tastierista guardò fuori ancora un po’, e quando il boss della Mute fece per andarsene, afferrò le bacchette e si alzò a sua volta, accennando, finalmente ad un sorriso.
Che non coinvolse gli occhi.
“Non io. Io ho Recoil.”
Daniel lo salutò, tornando a controllare la situazione di Dave, tentando di parlargli, ma quelle parole gli rimbombavano in testa, come se Alan avesse dato un epitaffio anticipato ai Depeche Mode.
A lui non servivano.
Non più
 
Bene.
Sappiate che mi sto ancora vergognando come una ladra di quello che ho scritto, ma ehi..
Non ero nella testa di Alan Wilder né di Dave Gahan nelle fatidiche registrazioni di Songs of faith and devotion.
La storia è tutta incentrata sui flashback, questo è il primo ed è oddio oddio datemi un fazzoletto, è il preludio al 1995, ma non sarà l’unico, e giuro che ve ne saranno di più divertenti!
Bene, come avrete capito questa storia è incentrata sul rapporto tra Alan ed il resto del gruppo, specie con Dave visto che dal 2003 sventaglia una reunion come un uzi, nelle interviste!!Io non ci credo molto, ma sperare non costa niente, vero?
Fatemi sapere.

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Capitolo 3
*** Never want to come back ***


“I’M TAKING A RIDE WITH MY BEST FRIEND
I HOPE HE NEVER LETS ME DOWN AGAIN…”
(NEVER LET ME DOWN AGAIN;DM)
 
*
18 giugno 1988, Pasadena
ROSE BOWL
*
“Dave, non quella giacca. Non ancora quella…”
“Martin, IO critico le tue scelte?N…”
“Lo fai.”
“…!”
Fletch e Alan, sulla porta, guardavano i preparativi dei due amici, in vista della serata ripresa, ridacchiando, ma anch’essi tremendamente agitati.
Se Andy rideva di puro spasso, a vedere Dave che si pavoneggiava in quel maledetto chiodo ultraborchiato da checca con sotto l’improbabile completo bianco, Alan rivelava un certo nervosismo, che sfogava ridacchiando dietro ai compagni e con una birra.
I due litiganti si girarono, beccandoli sulla porta del guardaroba a ridere.
“Cosa ridi, Al?! Fletchy!?”
“Siete entrambi… pittoreschi. Ecco tutto.”, allargò le braccia, angelico, Fletch, annuendo in coppia con Alan, con un sorriso piuttosto ebete che gli arrivava alle orecchie.
“Siete… ehm… speciali?”, tentò Alan, non potendo finire perché a forza di trattenere le risate gli andò di traverso la birra, tanto che Fletch quasi lo mandò per terra con un paio di manate sulla schiena, tentando di fargli passare la tosse!
“Bravo, stecchino, mandati in malora la gola, che devi tenere cori in tutte le canzoni!”
“EHI!!”
“Dave ha ragione, Al, non posso fare sempre tutto io!”,ribattè Martin, a sua volta con un sorriso sadico.
“Dio, ma allora mi volete morto, ditemelo!!”
“Sei l’unico se si avvicina al range di Dave, anche se nei falsetti fai schifo… Non è che l’idea piaccia neanche a me, ma ti tocca!”, ridacchiò Mart, indicandolo, e rivestendosi normalmente, abbandonando così l’idea di un fabbro particolarmente pervertito.
“Mart, sei simpatico come un’unghia su una lavagna, quando vuoi!”
“E tu stai provocando il buco dell’ozono da stamattina sopra Pasadena!”
“E’ Jeri che mi mette una bomboletta intera di lacca!”
“Ooooh…’E’ stata Jeriiiiii!’,che carino!”, duettarono assieme Dave e Mart, unendo le manine ed abbracciandosi, con le facce falsamente estatiche.
Ma andate a fanculo!,i capelli sono miei!!”
E l’ozono nostro!”, ribattè Fletch, atterrandolo.
Brontolando, Alan si avviò fuori, inseguito dalle risate dei tre, ma non veramente arrabbiato.
Nessuno era veramente arrabbiato, tutti avevano la sensazione di essere arrivati, dopo il duro lavoro di anni prima; prima BLACK CELEBRATION, poi MUSIC FOR THE MASSES…
Album importanti, certo, ma specialmente importanti per il gruppo; avevano cementato il loro suono, si erano uniti dopo tutte le crisi precedenti a Black Celebration.
Erano diventati un gruppo, avevano collaborato con Anton Corbjin, la loro immagine di synth band new romantic ’80 era drasticamente cambiata in qualcosa di più roccioso e dark, anche grazie al songwriting di Martin, fattosi decisamente sempre più deciso ed incisivo, affilato, ed alle sonorità dark che Alan si sforzava di inserire.
Dave dava un punto di forza notevole con le sue energiche performances e la voce che aveva assunto il marchio di fabbrica che li avrebbe caratterizzati per anni a venire; cupa, cavernosa, diabolica, dannatamente versatile.
Strangelove aveva fatto strage, traghettandoli in America, ed eccoli lì: un VERO gruppo synth-rock.
GRUPPO.
Sebbene Martin tendesse ancora ad hitlerizzare il processo di composizione, dava notevole spazio ad Alan, dopo le prove eccellenti di Some Great Reward.
Erano un dannato gruppo.
E avevano lavorato per essere, principalmente, Lì.
Nell’occhio del ciclone della loro felicità; su un palco a suonare, IN UNO STADIO.
UN GRUPPO SYNTH.ROCK IN UNO STADIO.
Avevano sfondato le barriere, e dovevano ancora fermarsi.
*
“Ok, chi guida?”
“Mart.”
“Dave.”
“Al.”
“Perché nessuno ha votato per me?”, si lamentò Fetch, accomodandosi dietro, con Alan, nella Cadillac, appena fuori dallo stadio, mentre Dave, che non si era fatto convincere a togliersi la giacca (‘ALMENO IL POMERIGGIO, DAVE, C’è UN CALDO CANE!!’), si accomodava al posto di guida del gioiellino crema, provando l’acceleratore, mentre Martin esibiva sguardi di disperazione verso il retro.
“Nessuno vuole stare al mio posto?!”
“Sei tu il songwriter!”,rispose serafico Fletch, con le lunghe gambe ripiegate.
“Anche Al lo è!Avanti, Al, vieni davanti t… Cazzo Dave!,avvisami se vuoi partire sgommando!”
“Sei il socio maggioritario!”,rispose l’interessato, che improvvisamente si aggrappò alle portiere, con un pallore più diffuso del solito, e gli occhi diventati improvvisamente uova alla coque!
“Siete degli stronzi! DAVE CHE DIAVOLO STAI FACENDO?!! CI STANNO ASPETTANDO DENTRO!! RALLENTA!!”
“NAAAAH, FACCIAMO UN’AMERICANATA, DAI!!UN BEL PAIO DI GIRI STILE INDIANAPOLIS E POI INFILIAMO A RAZZO L’ENTRATA!”
“CON TUTTE LE STRUTTURE CHE CI SONO?!”,urlò Alan, che si era improvvisamente abbracciato con Fletch, con il panico dipinto sul volto.
“Un paio di giri!”
“DAVE RALLENTA, PER LA MISERIA!! ABBIAMO PROGRAMMATO TUTTO DA MESI!”
“Un paio di…”
“RALLENTA!!”,gli urlarono tre voci nelle orecchie, convincendolo a riportare il muso della Cadillac verso l’entrata ad andatura sostenuta, brontolando.
“Siete delle vecchie zie! Comunque siamo d’accordo, allora, vero… Il discorso…”, e ammiccò a Mart, che ammiccò a Fletch, e conclusero in coro.
Lo fa Aaaaalaaan!!”
“Siete degli stronzi…”,mugugnò il tastierista, mettendo il broncio dietro gli occhiali da sole prontamente infilati, e cercando una posizione per le lunghe gambe.
“Ooooh, Alan, ne abbiamo già parlato!”
“Sei il più cool , no?”, si girò, con aria da angioletto Mart, a cui avrebbe volentieri spaccato la faccia, a quelle parole.
“Sei il più convincente, accidenti.”,lo riprese Andy, dandogli un pugno scherzoso (un livido di un mese) sulla spalla.
“Io non dico niente… sapete cosa penso del DISCORSO in sé! Poi sapete che mantengo le mie promesse!”
“Specie se estorte a birra e fattele ascoltare il giorno dopo!!”, scoppiò a ridere Martin, ricordando la scena.
“Uh, potevamo campionarci l’inizio di…”
“Dave…”
“Sto zitto.”
E chiuse la bocca in tempo per fermare la macchina americana nel curatissimo prato del Rose Bowl, dove Fletch scese per primo senza aprire la portiera, Dave e Martin appena dopo, e Alan per ultimo, testando se le sue lunghe gambe erano veramente di gelatina o era una sua impressione.
Maledetti!
Senza pensarci due volte, Martin lo trascinò con sé davanti ai microfoni con un sorriso spianato come un mitra, mentre Alan si toglieva gli occhiali in tempo, sfoderando quello che, sotto al dizionario, si trovava sotto la voce ‘Falso sorriso spensierato’!
“Ehm… in seguito al successo avuto dal nostro ultimo album, Music for the masses, ed al seguito sempre crescente di fans, abbiamo deciso di tenere un concerto in un grande stadio… Ed abbiamo scelto questo posto, qua, al Rose Bowl di Pasadena, L.A, per tenere un vero e proprio…”, ingoiò un grumo di saliva per l’imbarazzo, fulminò Mart, e si decise a dirlo. “..un vero e proprio concert for the masses. Here at Rose Bowl, Pasadena!
Finito il discorso, peraltro breve, per le radio e le tv nazionali e locali, Alan si ricompattò con i compagni, sospirando.
“Hai visto, lungagnone?! C’era bisogno di fare tante storie?!Te la sei cavata bene!”
“…come un dislessico in una fabbrica di rime…”,commentò Dave, che si specchiava negli occhiali da sole.
“Dave… con te non ci parlo. Martin. Tu mi odi, e io voglio sapere il perché.”
“Perché è divertente, pertica! Andiamo a prepararci, prima che Fletch svenga, con quella roba, sotto il caldo! Ma anche tu, Al, perché hai tenuto la giaccca di pelle sotto il sole?!”
“…penso che ti ammazzerò, Martin Lee Gore.”
*
Il lunghissimo Masses tour, dall’ottobre 1987, si concludeva lì, a Pasadena, in quel tempio chiamato Rose Bowl, in quell’infuocato giugno 1988.
Ed i Depeche Mode erano più che pronti.
Erano pronti a sfondare lo stadio solo con il pensiero
Peccato che i loro pensieri, al momento, fossero tutti al guardaroba!
“Dave,per favore!!, un completo tutto bianco sotto una giacca nera borchiata no!”
“Martin… chi sei per fare osservazioni?! Sembri appena fuggito da un bordello sadomaso, e qua siamo in California, non a Berlino!”
“…vaffanculo…”
Martin battè in ritirata, mentre Fletch si era limitato ad aggiungersi uno strato in più di gel per tenersi i capelli indietro; molto Kraftwerk, bisognava ammetterlo, il più cool, semmai, sarebbe stato lui!
“Jeri… Non riuscirò mai più a pettinarli questi capelli!”
“Aspetta, un ultimo tocco sui lat..oh, è finita la bomboletta! Ne vado a prendere una, aspettami eh!”
Al non ci pensò due secondi, ed appena sua moglie si allontanò, zompò nel camerino di Dave, che si pavoneggiava nel suo ridicolo outfit davanti a ben 3 specchi!
“Oh, salve, stiamo tentando qualche nuovo record di acconciatura estrema? E cosa ci fai qui? Hai una birra?”
“No, cioè sì, ho la mia, ma.. accidenti, me ne hai scroccata per tutto il pomeriggio! Vattela a prendere!”
“Non puoi darmi la tua e prenderne una tu?”,chiese Dave, facendo occhioni languidi che fecero rabbrividire l’amico.
“Sei scemo?! Mi sono nascosto da Jeri, ha già consumato due bombolette e sta cercando la terza!”
“Ah.. beh allora la birra me la devi dare! Ah, a proposito, che ne pensi del mio completo?”,si vantò Dave, eseguendo una giravolta, manco fosse già sul palco.
Pantaloni bianchi
Camicia bianca
Canotta bianca a vista
Scarpe nere
Giacca nera con borchie anche dove non potevano esserci, materialmente.
“Sembri un gelataio sadomaso.”
“JEEEERIII CARA, ALAN E’ QUI!!”
“…!!”
“Oh, eccoti, ho trovato un’altra bomboletta!Dai che finisco di sistemarti i capelli! Dave sei carinissimo, stasera!”
“…stronzo….”
E, trascinato via dalla moglie, notevolmente più bassa (cosa assai facile), Alan sentì un ultimo monito che gli ghiacciò la spina dorsale.
“Alan, ricordati dei cori in falsetto su JUST CAN’T GET ENOUGH! IN FALSETTO, MI RACCOMANDO.”
“…mi vuole morto…”,commentò il tastierista, mentre si stringeva sconsolato nella giacca di pelle e si salvava gli occhi.
*
Il 101.
Chi per una cosa o chi per l’altra, ma l’avrebbero tutti ricordato.
Il loro primo punto di svolta.
 
Beh eccomi; che dire.
Non ho ancora 101-documentary, e dal video youtube ho comunque visto che appare Jeri Young che non ho più capito se era la moglie, la compagna o che diavolo di Alan…
Comunque, leggendo un simpatico articolo francese, ho letto che lei faceva i famosi capelli a mò di Everest ad Alan e consumava una bomboletta al giorno, così ho pensato di ingigantire la cosa.
Si vede chiaramente che in quel concerto i ragazzi sono strabordanti di felicità.
Per il resto… E’ un’opera di fantasia.

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Capitolo 4
*** All I ever wanted ***


 
ALL I EVER WANTED
ALL I EVER NEEDED
IS HERE
IN MY ARMS
(ENJOY THE SILENCE; Depeche Mode)
 
Il 101 aveva lasciato uno strano vuoto nel gruppo; il concerto era stato euforico, senza precedenti, e la contententezza per essere arrivati a quel punto era talmente palpbile, che aveva causato strani effetti sul palco; Dave aveva urlato e fatto riecheggiare urla primordiali come non ci fosse un domani, Martin si immobilizzava, e tutti avrebbero giurato di avergli visto una gocciolina di sudore nel cantare ‘Somebody’; Fletch non era stato fermo un attimo, incitando il pubblico come e peggio di Dave, girando attorno e scrollando la sua tastiera, mai immobile, cantando e tirando le braccia, Alan aveva resistito più di tutti, tra tastiere, ritmica e cori per cui aveva sudato freddo, e alla fine, quando si era aperto in un sorriso talmente felice da risultare ebete, su ‘Just can’t get enough’, persino i suoi occhi traboccavano dalla felicità.
Il finale, con il colpo di genio di Dave di agitare le braccia come le spighe nel video di Never let me down again, era stato qualcosa di epico, che pensavano di non assistere mai più.
Mai più, avrebbero giurato.
Ed era il 1988.
*
1990, Mute records
*
“E’ pazzesco, ragazzi, io continuo a riascoltarlo!”
“E il tuo ‘Hidrology’, mister Recoil?”
“Avverto invidia, mr. Gahan, perché non hai ancora pubblicato un disco solista, a differenza di me e Mart?”
“Puha!,i vostri album sono infarciti di maledizioni elettroniche, il mio primo solista sarà un rock assatanato e magari un blues urbano! Che dici, Flood?”
Era la loro produzione con Flood, e questo, che sebbene piuttosto giovane si portava un bagaglio alquanto pesante di collaborazione, smaliziato e sperimentale ma non estremista, aveva individuato in loro certi aspetti che, con pazienza certosina, aveva fatto di VIOLATOR semplicemente IL disco simbolo dei Depeche Mode.
La sua frase, detta in un momento di sconforto di Martin, che non riusciva a trovare certi suoni sul synth e stava facendo diventare pazzi sia lui che Alan in tutto il giorno, era stata la prima indicazione su come muoversi.
“Martin, se vuoi usare la chitarra…USA LA CHITARRA, MALEDIZIONE!”
L’intro di Personal Jesus era talmente graffiante, oltre alle parole, che aveva lasciato a bocca aperta persino Dave, che di rock se ne intendeva eccome, e aveva fatto fregare le mani al produttore.
In breve tempo, in una Milano cupa e sconvolta da politiche interne, si erano susseguite perle di inenarrabile splendore, che Martin, su suggerimento di Flood, suonava come piccole demo, all’harmonium o alla chitarra, con la sua voce, e sulle quali lasciava Alan, Flood ed anche Miller a lavorare.
Fino a quella.
*
Quella che non avrebbe MAI, MAI E POI MAI voluto che cambiassero.
Enjoy the silence era e doveva rimanere un’elegia al silenzio, non un anthem.
Peccato che Alan ci avesse messo sopra le mani prima che potesse dire ‘bah’ e ci avesse passato tante di quelle notti insonni che nessuno del gruppo aveva voluto dirgli niente, che probabilmente era tempo sprecato lavorarci sopra, tanto era già perfetta, e avrebbero scartato il suo lavoro; neanche quando lo trovavano addormentato al synth, neanche quando spariva giornate con Flood, neanche quando aveva tirato un pugno talmente forte alla tastiera che la scardinò, con l’isteria negli occhi ma con un’identica dose di determinazione.
Enjoy the silence era qualcosa che stava tirando fuori con le pinze, e a parte fare sentire di tanto in tanto i suoi progressi a Martin, si comportava come se si rigirasse tra le mani un prezioso scrigno, tentando in tutti i modi di scardinarlo.
Persino Flood, in estasi a sentire quelle chitarra fondersi con quell’elettronica, certosinamente curata come mai in nessun album prima si era riuscito, stava cominciando a preoccuparsi, poiché ormai le scadenze per il disco stavano arrivando…
E difatti Miller, il Boss, preoccupato, si presentò in sala missaggio a Londra con una faccia preoccupata.
“Ragazzi, ma quella canzone non possiamo aspettarla in eterno… Era già pronta alla terza versione! Che diavolo!,potevamo pubblicarla persino come l’avevi fatta tu, Martin!”
“Sì… prova a fermarlo. Io non mi ci provo, veramente. Se gli parli di Enjoy the silence dà di matto e si mette a farneticare di frequenze, bassi e…”
“Dave. Giurami che non ti avvicinerai mai ad un synth. O ad una chitarra.”
“… non ne ho proprio voglia, fanno degli effetti strani! Guarda Mart…”
“EHI!!”
“…o Alan! Sembra Gollum col suo tesoro!”
Sì, mentre Alan si ritirava dalla luce, Dave si era persino letto tutto Il signore degli anelli. Spaventoso.
“…Gollum and his PRECIOUS… Sai che ho un’idea…”
“Martin, risparmiatela, per pietà, dobbiamo finire questo disco, prima!”,gemette Fletch, che si sentiva tanto come un insubordinato, a tenere quella riunione relativamente segreta, visto che era stato il loro tastierista ad autoisolarsi, e chiedendo ancora tempo per Enjoy.
“Non me lo godrò più, il silenzio, se penso a quanto ci è voluto a fabbricarla! Chi gli dirà di no, stavolta, se questa versione non piace?!”
“Martin… la canzone è tua. Non ti sei mai fatto scrupoli di dirgli le cose in faccia. Anche troppo schiettamente, dico io!”, proruppe Dave, fattosi improvvisamente serio, al mixing desk.
“Cosa?!”
“Secondo te perché si è preso quella canzone tanto a cuore?! Cristo, gli hai bocciato tante idee che ormai basta che lo guardi e cambia idea! Ma secondo te perché si è buttato in quel progetto solista?!”
“Adesso verrai a dirmi che lo tratto male! Lo difendi sempre a spada tratta, Dave! Tu non ci hai a che fare in studio, a cercare suoni, è un maniaco del controllo!!”
“E senza di lui che faresti, eh?! Andremo avanti a demo! Ma ammettilo che metà disco è merito suo! E’ da Some Great Reward che gli devi almeno metà di merito sugli album, è sempre in studio a rompersi le palle!”
“Dave, sta calmo! Comunque è vero, tu non lo sai, e tu sei troppo suo amico per giudicare, dovresti stare in studio per scoprire com’è!”
“Ah sì?! E dimmi, Fletch, somma sapienza, com’è?!”, ghignò Dave, vedendo letteralmente aprirsi un varco per difendere le sue ragioni.
Più che un varco un portone.
“Un onorevole rompicoglioni!”
Con le maniglie antipanico, pure.
Da cui emerse Alan, col nastro registrato, due occhiaie che a confronto il circuito di Monza era color sabbia,  e una bocca adeguatamente spalancata.
Che fece portare la mano a tappare la propria, immediatamente, ad Andy, con gran soddisfazione di Dave.
Alan avanzò di due passi, spalancando gli occhi e fissandoli in quelli di Andrew, e passando anche a quelli di Martin; non che gli servisse averlo sentito: quei due andavano sempre in coppia.
“Chi… chi è il rompicoglioni, Fletch?!”
Miller si mise fulmineamente in mezzo, mentre Flood notava invece qualcosa di più interessante.
“Al… dai, si discuteva, quella canzone ti sta dando alla testa! Stiamo aspettando solo te per il mix finale!”
“Davvero?”
“Ma sì! Io… penso che più di così non potessi fare, ma siamo fuori con la scadenza, dobbiamo iniziare il missaggio!”,intervenne Martin, pietoso.
“Davvero? E aspettavate me… Quando avete deciso che la canzone era già pronta?!”
Alan avanzò, e spinse Martin con la spalla, gettando qualcosa sul mixing desk, davanti al naso di Flood.
“Allora iniziate da soli.E SE NON VI VA BENE BUTTATELA NELL’IMMONDIZIA!!”
Lo studio rimase impietrito, finchè Dave, cacciando un impropero, infilò la porta e si mise a caccia dell’amico, non prima di fulminare Martin e Fletch.
“GRAZIE…ragazzi. Ottimo lavoro di squadra.”
Flood, intanto aveva inserito il nastro nel registratore, mentre Martin e Fletcher si sedevano, abbattuti.
Dopo il 101 si era creato un tale vuoto che solo il nuovo disco avrebbe potuto riempire.
Musicalmente.
Personalmente, solo se il nuovo disco fosse stato PERSINO migliore dell’esperienza del 101, sarebbero stati ancora un gruppo.
Avevano toccato il cielo, ora volevano camminarci.
E così il riff iniziale di Enjoy the silence, l’immortale, suonata per la prima volta, cruda, senza missaggio, che bloccò Flood e Daniel Miller a guardarsi, a bocca aperta, passò inosservato ai due supersiti in sala, finchè Martin si riscosse.
“Questo è il mio giro di harmonium, ma… Non è la stessa canzone!”
“Sulla tape c’è scritto ‘Enjoy the silence, ending mix’. E’ quella, Martin.”
“MA…E’ TOTALMENTE DIVERSA!”
Anche Fletch si riscosse, incuriosito.
“Rimettila da capo, Flood. Almeno questo glielo dobbiamo.”
Il resto fu storia.
Di quei pezzi di Storia che durano massimo sei minuti e qualcosa.
Alla fine di sei ascolti continui, senza una parola, Martin si alzò dalla sedia.
Fletch lo imitò dopo un altro ascolto.
*
“Alan, ti vuoi fermare?!”
Inutile, il tastierista avanzava verso la sua auto, marciando come un piccolo panzer della seconda guerra mondiale, evitando il fango fuori dallo studio.
Dave maledì qualcosa tra i denti, vedendo che aveva già estratto le chiavi, e si costrinse ad uno scatto, per raggiungerlo, prendendo una più che ovvia pozzanghera all’ultimo momento e scivolando, schiacciando l’amico contro la macchina, facendogli anche uscire l’aria dai polmoni.
“Oh…Dio, scusa!!...”
“T…tu!...brutto….”
“SCUSA!,cavolo ho presa una pozza, avevo paura che te ne andassi senza starmi ad ascoltare e ora guarda che casino….”
“…vaffanculo, Dave! Porca miseria, ti ci metti anche tu?! Mi sei arrivato addosso con tutto il peso!!”
“Sì, sì, senti, anche io ho i pantaloni sporchi di fango, e sai che per me questo è un trauma, tirami un pugno se vuoi, ma…”
SBAM.
Un bel diretto in faccia.
Quando Dave si rialzò, ormai coperto di fango, Alan scrollava la mano con la quale gli aveva tirato il pugno, con un ghigno preoccupante in faccia.
“Questo è per TE!! E se vuoi porta il resto a quelli dentro! IO ME NE VADO!!”
“No, Alan, aspetta… ahi, porca miseria, che legnata… Senti, Martin e Fletch sono nervosi, hai sentito Miller, siamo oltre la scadenza e…”
Alan, che si era girato ad aprire la macchina, crollò con le spalle, e si voltò a guardarlo, mentre il cantante tentava di togliersi almeno il fango dai capelli.
“Sono nervosi?”
“Accidenti, Alan, non sai quanto!,poi Miller è venuto a metterci fretta e…”
L’amico si appoggiò alla macchina, sospirando.
“E’ dall’82 che sono nervosi. Sono passati otto anni e sono ancora nervosi. Non posso sopportarlo ancora.”
Piatto.
Senza emozioni.
Dave gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a guardarlo.
“Ehi…”
Alan lo guardò, con uno sguardo, se possibile, più sfiduciato del solito.
“Gliel’ho detto.”
“Sì? E come mai sei qui? Per difenderli?”
“No…sono venuto a trattenerti. Perché so che tu, se volessi, potresti andartente. Noi no. Ma ci servi, Alan. E mi servi come amico. E sono sicuro che hai avuto i tuoi motivi per stare dietro a quella canzone.”
“Se ne sei così sicuro, perché non sei ad ascoltarla, ora?”
“Cosa?”
“Se tenessi almeno un minimo al mio lavoro staresti a sentire il mio contributo al gruppo. Che è la canzone, non sono io.”
“Cosa vuol dire, Al?”
“Che… intendo fregarmente di Martin. E portare avanti le mie idee, d’ora in avanti. Anche se sarà la fine.”
Dave sorrise, dandogli una pacca sulla spalla, provocando a sua volta il sorriso nell’amico.
“Così ti voglio, mr. Wilder! Adesso riaccompagnami dentro a sentire la canzone, anche se sono sicuro che sarà…”
“Perfetta.”
I due amici si voltarono verso l’uscita degli studios, dove Martin avanzava, a passo incerto, ma a testa alta, con Fletch, che invece teneva le testa notevolmente bassa.
Martin si fermò di fronte a loro, tirando il fiato, e poi scoppiando a ridere, guardando Dave.
“Sei scivolato in uno stagno!?”
“Si è preso il pugno che dovevo dare a te.”,intervenne Alan, teso come una corda di violini, e facendo a sua volta irrigidire tutti.
Martin fece un passo indietro, ma non smise di guardarlo negli occhi, facendosi sfuggire un ‘ah…’, perplesso.
Poi, a sorpresa, allungo una mano avanti, e si girò dall’altra, come per non vedere, o temendo qualcosa.
“Ok. Sono stato una testa di cazzo. Quella canzone è perfetta. Ora, se vuoi, dai un pugno anche a me, dammene quattro, cinque, dieci, ma poi dammi la mano e facciamola finita.”,e prese fiato, sempre in quella posa assurda.
“Ti chiedo scusa. Veramente.”
Alan rimase immobile, non prendendo la mano e neppure colpendo il collega.
“Com’è la versione finale?”
“E’… non so come hai fatto, ma è eccezionale. E’ qualcosa che non si è mai sentito prima. Diventerà UN INNO,Alan!! Non so se te ne rendi conto.”
“Oh no…”,e si avvicinò a Martin, che strinse gli occhi, preparandosi al pugno.
“TU non te ne sei reso conto, quando l’hai composta. Io lo sapevo. Per quello ci ho lavorato tanto.”
E si fermò, afferrando Mart per l’altra spalla, bruscamente, tirandolo dritto.
“Comunque hai ragione, Martin. Tu sei una testa di cazzo. Ed io un rompicoglioni.”
*
 “Etcì!!”
“Oh, Dave, ma non potevi startene a casa?!”
Babbangulo, Adan!”
“Se girare un video è così estenuante, sono felice di stare dietro alla tastiera!”
“Fletch…”
“Eh?”
“Niente, per una volta hai detto giusto. Tu stai DIETRO alla tastiera. Non altro.”
“Alan, oggi sei proprio di buonuomore,eh?!”
E’ felice di bedermi gosì, dono praticamente malato per quel gazzo di bideo, la prossima bolda glielo digo io ad Anton dobe può mettersi l’idea del Piccolo Pringipe!!”
“…è comunque un video stupendo.”, lo ammansì Alan, senza successo.
Addora la prossima bolda lo giri tu, sulle Alpi e a Balmoral!!Gon quella gazzo di sedia a sdraio!!”
Martin spense la tv, dove il video di Enjoy the Silence era in heavy rotation.
“Dopo di questo, cosa può ancora succederci?”
“Non tentare la sorte, Mart.”, brontolò Fletch.
“Non può succederci niente, porca miseria! Te lo sei scordato, Andy?”,e Mart si scambiò un’occhiata con Alan, sornione, e intonarono la loro canzone.
“All I ever wanteeeed all I ever neeede is heeeere in myyyy aaaaarms!!!!”
VIOLATOR.
BER FAVORE, NON GANTATE PIù, O MI BARTIRà ANCHE UN ANEURISMA OLTRE AL RAFFREDDORE!!”
 
Bene.
Male.
Oggi ho sclerato più del solito.
Beh no, non peggio della volta scorsa.
Se qualcuno lasciasse anche una piccola maledetta critica, sarebbe accetto!
Ps: alcuni particolari sono veri, alcuni no, ma lo sapete vero?
Non è solo ONLY FOR FANS.

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Capitolo 5
*** Policy of truth ***


YOU HAD SOMETHING TO HIDE
SHOULD HAVE HIDDEN IT, SHOULDN’T YOU
NOW YOU’RE NOT SATISFIED
WITH WHAT YOU’RE BEING PUT TROUGH
(POLICY OF TRUTH; Depeche Mode)
 
*Berlino, 30\10\1990
DeutschlandHallee
*
Stavano camminando sul cielo; questo pensava, ogni sera, Dave, quando cantava le nuove canzoni di Violator, nel gigantesco World Violaton Tour.
Flood li aveva portati a toccarlo, Martin aveva sfondato la barriera, e lui ed Alan li avevano agganciati ad un livello stabile; le luci, il grandioso palco, la rosa che si agitava al vento, alle loro spalle, sugli schermi…
La rosa rosso sangue. Lo schermo nero.
Anton Corbjin si era rivelato ancora una volta geniale, ed aveva dato loro la svolta fin dai primi video e servizi fotografici, decisamente diversi dalle bambocciate fino a Black Celebration.
Gli anni ’80 erano finiti e loro avevano contribuito grandemente a dare loro un calcio in culo, con sentiti ringraziamenti però; non stavano rinnegando il loro passato, lo stavano ampliando; molti gruppi li stavano seguendo, come i Nine Inch Nails, il cui leader Trent Reznor citava tranquillamente la loro influenza sul suo lavoro, cosa che a volte faceva ridacchiare Dave.
La LORO INFLUENZA.
I bootleg che trapelavano dagli U2, al momento nella stessa città, nel loro ex studio, e che facevano ogni volta incazzare Martin e Alan, mostravano come loro fossero al lavoro come qualcosa forse di più grosso, e Flood di certo li stava ben indirizzando; Violator aveva aggiunto una significativa tacca sul suo bastone delle conquiste, forse la più grossa.
Dave pensava a tutto questo, nella pausa tra una canzone e l’altra, sempre sudato come al solito, pensando che nonostante tutto, a lui non stavano del tutto antipatici gli irlandesi; facevano rock, non elettronica, e stavano seguendo un processo del tutto inverso.
Alan quella sera aveva decisamente la luna di traverso, ma stava facendo un ottimo lavoro, mentre Martin soffriva di pesanti postumi dalla sera prima, e sospettava che per riprendersi si fosse già scolato qualcosa.
Fletch era davanti alla rosa, ad incitare il pubblico anche durante la pausa, non che ce  ne fosse stato bisogno; era un tour sold out, con persino due serate di seguito al Dodger Stadium, e specialmente in paesi come la Germania stavano spopolando.
Stavano facendo la storia, e nessun tour avrebbe superato QUELLA barriera; quella che pensavano di aver infranto una volta col 101.
Una grande band synth rock negli stadi, con un tour mondiale.
La concentrazione di fans alla sessione promozionale al Beverly Center a L.A; i reports dicevano che dai tempi di Elvis ed i Beatles nessuno aveva avuto un successo di isteria di massa simile: era stata una copertura mediatica, per il lancio del disco, eccezionale.
E fino a pochi anni prima l’America non li conosceva neppure.
Stavano abbattendo record su record.
E se gli altri soffrivano, Dave non se ne accorgeva più di tanto…
Che Martin si attaccasse alla bottiglia non era una novità, anche se presto avrebbero dovuto mettergli un freno.
Che Alan litigasse sempre più spesso con Fletch non era certo una news dell’ultima ora, neanche che ormai si mettessero le mani addosso, con risultati alterni; il tour era faticoso, Alan era sempre a caccia di suoni e Fletch gli stava costantemente tra i piedi, ma, per Dio!, anche Al avrebbe dovuto rilassarsi e godersi il successo, non essere sempre così tirato come una corda da violino.
L’unica volta che l’aveva visto ridere, veramente felice, era stato nel video di Personal Jesus, quando Anton l’aveva costretto a vestirsi da cowboy e telefonare dal palo; sì, era stato un video divertente, non come quella maledizione di Enjoy the Silence.
Anche Anton era dietro agli U2, ora, come art worker, non solo come fotografo, e ciò inquietava Mart ed Alan non poco; era incredibile come si preoccupassero delle stesse sciocchezze e fossero d’accordo solo quando trovavano una vittima comune con cui prendersela. Ultimamente apparivano decisamente come due schizzati.
Per il resto erano, definitivamente, cane e gatto: ormai le carte erano scoperte, e si tenevano a rispettosa distanza.
Dave, attaccando Halo, pregava solo che non avessero dovuto vivere assieme, un giorno, o sarebbero davvero scoppiati.
Probabilmente i Depeche Mode non si sarebbero mai sciolti per una questione di suoni, ma per chi avesse premuto male il dentifricio dalla parte sbagliata.(*)
Si scambiò uno sguardo con Mart, mentre attaccava una delle sue canzoni sacre.
“You wear guilt…like shackles on your feet…like a halo in reverse…….”
*
L’atmosfera era incredibile, il muro era caduto da poco e loro erano in una città che era da sempre stata loro amica.
*
Il disco giusto al momento giusto.
*
Erano perfetti.
La più dolce perfezione.
*
Rientrati in albergo, dopo il concerto, e trovati i fans accampati, riuscirono a sfuggire dopo pochi autografi, esausti.
Certo, esausti dal concerto, ma avevano ancora un giorno, da passare a Berlino, un concerto la sera dopo, per poi partire verso Strasburgo.
Esausti, ma Martin aveva trovato da fermarsi al bar; che strano.
Così si fermarono tutti, un po’ per trattenerlo un po’ per fargli compagnia, ed eventualmente accompagnarlo in camera o, pensavano l’uno con l’altro, dividerlo da Alan o impedirgli di fare cazzate troppo grosse.
Preoccupazione inutile, poiché Alan dopo quattro birre, si avviò verso la sua camera, veramente a pezzi, e non desideroso di prendere parte alle stronzate che stavano uscendo da Martin; Dave lo seguì con lo sguardo, preoccupato, poi non gli diede bada: era più occupato a cercare di prevenire un eventuale spogliarello di Martin, cui Fletch dava corda, ubriaco anche lui.
Dopo un po’, assicuratosi che si avviassero verso le camere, Dave si avviò a raggiungere la propria, ancora piuttosto sobrio, e soddisfatto, quando, infilando la chiave nella sua porta, venne chiamato da un sibilo.
“Ehi, pssst, Dave!”
“Che ci fai ancora in piedi, Al?”
“Dubito che riuscirò a dormire, stanotte!!”
Dave sospirò e lasciò la chiave, avviandosi verso la camera di fronte.
“News dagli Hansa Studios?”
“C’è praticamente mezzo disco su bootleg, hanno già denunciato la fuga di notizie e dichiarato che non è una versione neppure lontanamente vicina a quella definitiva, ma…SENTI QUESTO NASTRO!
Dave non si sarebbe stupito se Alan avesse commissionato qualcuno dal personale dentro lo staff degli U2, tanto era ossessionato, con Martin, dal loro lavoro; la presenza di Flood nel ‘campo nemico’ li aveva agitati fin dall’inizio, e se Martin sfiorava l’isteria, all’argomento, Alan se ne stava a covare vendetta come un perfetto sociopatico.
Anche a lui non piaceva che dopo Violator e quell’incredibile esperienza, Flood fosse andato nel campo di una band che aveva dichiarato spudoratamente di voler cambiare il proprio suono.
Alan chiuse la porta, svelando una quantità di nastri incredibile e storcendo il naso.
“Da quando hanno introdotto l’elettronica ed i synth in quel singolo di beneficenza, Night and Day… non mi piace la faccenda! Gli U2 sanno sfruttare la copertura mediatica più di noi, sanno prendere Anton e girarlo come piace a loro…”
“…queste sono cazzate, Al!Anton decide con la sua testa!”
“Sì, allora diciamo che hanno idee maledettamente simili! Comunque senti i ‘bootleg non definitivi’!”
“…io sarei stanco…”
“E’ un modo per dire non me ne frega niente di quello che ti dico?”
“No, è un modo per dire che sono stanco,ALAN!!E dovresti andare a letto anche tu!Questa storia degli U2 vi sta dando alla testa, a te e a Martin!!”,si inviperì Dave.
Certo che era stanco!
Era un tour perfetto, dove tutto era perfetto, loro erano perfetti, il disco era perfetto.
E quei due dovevano costantemente rovinargli la vita!
“Che mi dia alla testa che con lo stesso metodo ottengano risultati migliori, secondo te è un’ossessione?!”
“Beh… inizia ad esserlo! Non possono avere risultati migliori, semmai diversi! Gli U2 non sono i Depeche Mode, e noi non siamo gli U2!Accidenti, loro sono rock…”,finì scoraggiato, Dave.
Da un po’ di tempo Alan era intrattabile, e lui non aveva mai voglia di discutere, voleva solo andare in camera sua.
Rilassarsi.
Anche se erano i migliori, non erano preparati ad un tour di quelle proporzioni, anche se l’avevano fortemente voluto.
Erano e sarebbero sempre stati un band contraddittoria, niente da dire.
“Vuoi andartene?”
“Mi spiace, Al, ma ho bisogno di…”
“Sì. Di sentirti quelle schifezze grunge e tirarti qualche tiramisù.”,sbuffò Alan, non guardandolo neppure, continuando a rovistare tra i nastri.
Dave  rimase letteralmente di sale, quando Alan si girò.
“Ma che, mi hai preso per stupido? Gli altri saranno troppo fuori, per notarlo, ma io no!”
“Si può sapere che cazzate stai dicendo, Alan?!”, urlò Dave, vistosi con le spalle al muro.
“Sto dicendo che ti fai. Non sempre, sei furbo. Ma ogni tanto ci caschi.”, continuò il suo tastierista, con tono irrisorio.
Sembrava che gli stesse dicendo che non gliene fregava un cazzo.
“Alan… ora me ne vado…”
“…a farti una striscia…”
“…me ne vado e basta. Spero che domani ti sia passata almeno un po’ questa… questo malumore, e se ne potrà parlare. Inizia a pensare alle cazzate che dici, intanto, e smettila di ascoltare quei nastri. Stai diventando paranoico.”
“E tu un drogato, Dave Gahan.”
Fatto.
La parola era stata detta.
L’aveva definito,come si soleva dire.
Dave prese un nastro, rabbiosamente, e si avviò verso la porta, all’indietro, sempre fissando Alan, che non si muoveva, ancora vestito da concerto.
“Mi ascolto qualcosa, stasera. Mi auguro che rimetti il tuo cervello in fase, Alan Wilder.”
“Dave… non è questa la soluzione.”
Ma Alan aveva fatto marcia indietro troppo tardi; ora anche Dave lo guardava con occhi sfiduciati.
Lo stesso Dave che lo aveva sempre difeso, e che ora stava chiudendosi la porta davanti agli occhi, lentamente.
“Buonanotte, Alan. E come si dice, spero che la notte ti porti consiglio.”
Nel corridoio per la sua camera, Dave incrociò Martin che, ubriaco, con Fletch, si chiedevano dove andare a disturbare… divertirsi.
“Andate da Alan. E’ ancora in piedi. L’ho visto un po’ giù.”
E ghignò, mentre entrava in camera sua.
Aveva una diabolica voglia di un po’ di roba.
Solo per calmarsi un po’, per rimettersi sui binari giusti di com’era partita quella serata.
Ma non l’avrebbe fatto.
Non avrebbe dato ragione ad Alan.
Non quella volta.
Mise invece il nastro sul registratore, e si concentrò ad ascoltarlo.
Un pianoforte.
Una voce.
Una batteria semplice.
Su una cosa Alan aveva ragione; usando i loro metodi stavano ottenendo grandi risultati.
Quei fottuti U2.
*
La mattina dopo, a colazione, tutti i musi erano lunghi, quando arrivò al tavolo.
Alan e Martin erano distanti tutta la tavolata, probabilmente con i postumi di qualche litigata della sera prima, Fletch beveva thè come se non ci fosse un domani.
L’entrata di Dave, fresco come una rosa, anche se tirato (sei già qua, Dave, vecchio mio? Non tiri per un paio di sere e diventi isterico?)fu accolta dal silenzio e sa sguardi colpevolizzanti, che non diede modo di essere sfogati.
Non ci fu tempo.
Si sedette vicino ad Alan, tirando fuori il nastro ed osservandolo, noncurante.
Una semplice demotape, come lo era Enjoy the Silence prima del ‘trattamento’.
Solo che questa aveva scritto, con chissà di chi scrittura, ‘So cruel’.
La guardò, ignorando lo sguardo di fuoco di Alan, e poi, incrociandone come casualmente gli occhi, gliela sbattè nel piatto, sotto gli occhi sorpresi di tutti, primi tra tutti del suo amico.
Ma che caz…!!”
“E’ un’ottima canzone, ma non faranno mai un altro Violator. Smettila di fare il paranoico.”,sibilò Dave, allungandosi per prendere il thè, quando Alan lo prese per il braccio, tirandolo indietro.
“Ah sì?! Tra un po’ mi dirai anche che vuoi andarci a duettare assieme!”
A Dave passò definitivamente il buonumore, e, liberandosi dalla stretta, si alzò, sbattendo a terra la sedia e avviandosi verso la camera.
Una striscia.
Una.
Ma prima si girò, con le mani che tremavano.
“Fottiti, Alan. Se te ne andrai da questo stramaledetto gruppo, ne canterò anche una cover, di quella maledetta So Cruel! Sempre se manterranno il titolo.”
Alan rimase a bocca aperta, mentre Martin sghignazzava nel tovagliolo.
Era raro vedere Dave ed Alan litigare, ma quando succedeva, erano fuochi d’artificio per tutti!
Dave mosse altri due passi, e poi si girò, sparando la sua bordata finale.
“E’ un tour perfetto. E tu me lo stai rovinando, Alan Wilder!”
Ma purtroppo anche Alan, alzatosi da tavola, trovò di chè replicare, punto sul vivo.
“Sì?! Perché pensi che io mi diverta a stare tra alcolizzati e drogati?!
Dave accusò il colpo e sparì, mentre Alan, girandosi, trovò solo guardi ostili, a tavola, ma si sedette, testardo, ignorando le occhiatacce di Martin e Fletch.
Tanto alla sera sarebbe passato tutto
*
Era un tour perfetto, il disco perfetto, la band perfetta.
E si stavano spezzando, di già.
 
 
Bene.
Male.
Perdono, è totalmente OOC. Ma il World Violaton Tour per me è sempre rimasto un mistero insoluto.
Il resto alla vostra clemenza.
(*) per stare in tema, questa frase è di Larry Mullen jr. degli U2, la frase finale di U2 by U2 che proclama come gli U2 non si scioglieranno per un disco sbagliato, ma semmai per chi avesse schiacciato male il tubetto del dentifricio.
Non so se i Dm avessero mai parlato degli U2, ma la somiglianza tra Violator, SOFAD ed Achtung Baby, l’apporto di Flood e Anton Corbjin ad entrambe le band, l’evento del Devotional e dello Zootv tour è eccezionalmente simile per pensare a coincidenze.
Fatemi sapere.

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Capitolo 6
*** Let's have a black celebration ***


“…TO CELEBRATE THE FACT
THAT WE’VE SEEN THE BACK
ON ANOTHER BLACK DAY…”
 
Martin era a terra.
Martin Lee Gore era steso a terra, sul cemento, davanti al Woolsworth’s di Berlino.
In gonna di pelle nera.
Steso.
Sul gradino della casa di fronte, Dave, Fletch e Alan con una videocamera che gli stava massacrando la spalla, ridacchiavano, riprendevano e gli fornivano, sommariamente, supporto IMmorale.
“Che dite, dovrei farlo?”
Dave si avvicino con una bottiglia di birra ed aria professionale, con gli altri due, battendo le dita sul tappo.
“Intanto proviamo… sà…sa… SIAMO DAVANTI AI GRANDI MAGAZZINI DELL’OCCIDENTE, WOOLSWORTH per intervistare i Dep… ops, Martin Lee Gore, principale songrwriter dei Depeche Mode! Dicci, Martin, perché questa posizione così inusuale?”
“…perché solo Martin? Voi non partecipate all’intervista?”
“Ennò, Mart, la faranno solo a te!”
“..e voi che cazzo ci fate qua, allora?!”
“Ti prepariamo all’intervista!”, replicò Alan, che regolava i primi piani , avvicinandosi all’amico, tentando di non pestargli una gamba con gli anfibi.
“Siete proprio degli amici d’oro!”,sbuffò il biondino, inviperito.
“Ehi, già per il fatto che siamo qua dovresti ringraziarci!”,rispose Fletch, aprendosi una birra.
“Già, sennò dove sareste?! In birreria? O a seppellirvi in studio con ‘wannabe Anton Corbjin’, qui?”
“Ma vaffanculo!,ringrazia me e la mia videocamera, quando sarai vecchio potrai farti una collezione di grasse risate…se ci arriverai!”
“Scusate, ma voi due che volete?”,li interruppe Dave, facendo cenni con la mano e allontanando Al e Fletch.
“State disturbando un’intervista! Dunque, signor Gore, non mi ha risposto. Come mai questa posizione così inusuale?”
“Mi sento a mio agio a contatto col cemento. Siamo stati chiusi sei settimane in studio, agli Hansa, le ultime tre per mixare il fottuto singolo d’apertura.”
“Il cui titolo è?”
“Dave, ma vaffanculo, è Stripped!”
“Io non sono Dave, sono un’intervistatore, signore, uno che potrebbe dare molta visibilità alla sua band!”
“Oh, visibilità la sta dando lui!”,si intromise Alan, che iniziava a vedere storto, con quel peso e quelle zoomate improvvise di quel maledetto aggeggio nuovo, molto più veloce della Sony che usava di solito.
“Sì, tra un po’ metteranno i volantini per lo striptease serale, in Postdamer Platz…”, commentò serafico Fletch, mandando giù un sorso di pilsner.
“Almeno io non sono andato in giro tutto il tempo con un campionatore per le stazioni della metropolitana! L’anima viscerale di Berlino… E se raccontassi questa, se mi chiederanno dei suoni? Eh Al? Gli piacerebbe?”
“Cosa intende quando parla di anima di Berlino, signor Wilder?”, ne approfittò Dave, sempre col suo microfono Beck’s in mano, girandosi verso il compagno.
“Non guardare in camera, Dave, è un errore da principianti…”,borbottò Alan, mentre si faceva rosso.
“Certo, nel video di Shakes the disease c’eri attaccato, infatti!”
C’eravamo tutti!Possiamo riprendere?!”
“Esatto, dimmi dell’anima di Berlino!”
Alan sospirò, pensando ad un secondo di dare la pesante apparecchiatura in testa a Dave, ma rinunciò e si accinse a spiegare, facendo finta di riprendere la panoramica a campo lungo.
“Beh, noi stiamo mixando agli Hansa Ton Studios, giusto?”
“Dimmi qualcosa che non so!”
“Resta nel ruolo, Dave…”,lo rimbeccò Fletch, scherzosamente.
“Ok…Bene, e dove sono questi Hansa Ton?”
“Sono chiamati Hansa by the wall perché aprendo una delle finestre possiamo vedere direttamente il Muro… Ci abbiamo anche fatto una photosession qualche giorno fa…”
“Veramente deprimente.”,si fece sentire Martin da terra, prontamente inquadrato.
“Siamo andati alla Stra§e de 17 juni ma è bloccata, e abbiamo dovuto fermarci alle barriere. E tu avevi quella giacca di pelle da menagramo da Gestapo! Il tutto molto deprimente!”
“L’operatore camera non accetta consigli di vestiario da un imbecille sdraiato a terra con una gonna di pelle traslucida e un berretto da ferroviere sadomaso! Dal quel gli sfuggono anche tutti i capelli, poi…”
“L’imbecille a terra non accetta consigli sui capelli da un individuo che fino a due anni fa era rosso Stardust e con una pettinatura tendente a Rod Stewart o Sid Vicious dei synth!”
“Ehi, io sono gingerhead, cosa vuoi insinuare?!”
“Che il tuo biondo attuale non è naturale!Per non parlare che tra un po’ cozzerai contro le porte ma che almeno sei migliorato per la nostra immagine!”
“…Mart sai perché non ti dà la videocamera in faccia?!”
“Perché sono bello!”
“Perché ci servi per l’intervista! Dave, vai avanti, per carità!”
“Ah sì, parlavamo dell’anima di Berlino!”
Ma non con l’anima di Berlino, idiota, con Mart…Oh, ok, ok,basta che poi la facciate finita con me! Uff… Gli Hansa by the Wall sono vicini a Postdamer Platz, ed i primi giorni, come in Some Great Reward, io e Fletch siamo andati a registrare in questa piazza storica, ora terra di confine, quella che chiamiamo…”
“…io non c’entro, sei stato tu a chiamarla così!”,si tirò fuori dall’inquadratura Fletch.
“Vigliacco…”,borbottò Alan tra i denti. E poi sputò la definizione.
L’anima di Berlino. Divisa ma ancora in tumulto. Ho tentato di campionare i suoni il più possibile.Con Andrew Fletcher! Felice, Dave?”
“Grazie mr. Wilder. Ora torniamo a lei, mr. Gore. In cosa pensa che Black Celebration sia diverso da altri album? Il primo singolo, Stripped, è stato molto disarmante per il pubblico che vi seguiva.”
“Oh, direi… che passare settimane e settimane chiusi in studio ha sviluppato una sorta di progressiva licantropia in noi che è sfociata in riti satanici e ala luna piena nelle acque della Spree per liberarci. Una volta liberati, Alan, che era rimasto chiuso fuori, tornò con tutti questi bei suoni, ma oramai eravamo allergici alla luce del sole e claustrofobici, e il buon Al ed io avevamo sviluppato questo lato dark, che ha persuaso lui a gettare tutte le giacche di jeans ed i jeans stessi, e me ad indossare questi vestiti di latex e…”
“…Per Dio, Martin, non puoi dire che le sonorità sono più dark?!”, intervenne nuovamente Alan, snervato dal blaterare semiubriaco di Martin.
“Dirò così. Grazie Al.”
“Vaffanculo.”
“A che punto sono i Depeche Mode, ora, signor Gore?”,lo incalzò Dave, vedendo la troupe tedesca arrivare concitata e sorpresa da in fondo alla strada.
“Sono una vera band. Sentiamo di aver preso la strada giusta.”
“Un commento sui capelli di Al…”
“EBBASTAAAA!”
“Un saluto da David Gahan per BBC One! Ripreso tutto, Alan? Bene. Ora diamogli spazio.”
E i tre si ritirarono di nuovo in disparte, ridacchiando delle banalità delle domande poste a Martin, finchè in una pausa questo si girò, con in mano l’ennesima birra.
“Ragazzi”
“Cristo, ma che c’è ancora?! Io non faccio parte della tua intervista!”, si lamentò Fletch.
“Cosa potrei fare con questi capelli e questo outfit?”
“Il travestito.”
“L’esibizionista.”
“Lo stripper!”,suggerì malignamente Alan.
“Almeno faresti quello che fai ogni sera dopo venti birre, e ci guadagneresti, invece di dover rifondere il locale!”
“Ragazzi, stasera la Black Celebration la faccio per Alan, d’accordo?”
“Sììììììììì!”
“Nooooo!”
"Let's have a blaaaaaaaacke celebraaaaatiooooon......."
"....tooooniiite!",glo fecero eco Dave e Fletch, mentre Alan si facepalmizzava, sorridendo.
Disco della maturità non era forse un termine adatto.
"E se mi togliessi ora la gonna?"
Non lo era per niente

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Capitolo 7
*** Condemnation ***


“CONDEMNATION
TRIED
HERE ON THE STAND
WITH THE BOOK IN MY HAND
AND TRUTH ON MY SIDE”
 
*
Amburgo, 1992
*
Dalla prima visita a Madrid,Miller tornava sempre a trovarli, ma immancabilmente le cose sembravano persino peggiorare, invece di migliorare.
Dave riemergeva dagli abissi del suo antro per fornire perle vocali preziose, ma poche cose avanzavano, e macchinalmente.
Abituati ai samples, i Depeche Mode non riuscivano a trovarsi in studio a jammare, e nonostante Alan e Martin avessero ripreso a parlarsi, almeno in studio, essendo gli unici due musicisti abili, il clima generale era come la città tedesca.
A sé stante, nebbioso e frigido.
Fletch sprofondava nel baratro degli antidepressivi come Dave nel suo di eroina e spesso speedball e qualche volta aveva fatto prendere dei coccoloni sia a Flood che a tutti loro.
Alan era ancora provato dal suo divorzio e specialmente dal suo rapporto con Ep, che sentiva sia come positivo che a rischio: non avrebbe mai permesso che la sua vita personale si intromettesse nel lavoro, e contrario; non avrebbe rovinato tutto, aveva deciso.  
In quel clima, Martin partorì una delle sue perle, e riuscì miracolosamente a comunicare con Alan il tempo che la riarrangiasse al piano, poi purtroppo sparì, ed Alan sapeva anche dove.
Ad ubriacarsi, cosa che riusciva benissimo anche a lui, in quei giorni, mesi, anni; a volte si chiedeva se il suo non parlare con Dave fosse dettato dalla paura di trovarsi a concionare come predicatore televisivo, o che Dave, in un impeto di lucidità, gli rinfacciasse modalità scomode.
Come il fatto che lui stesso, strafatto come una zucchina, gli aveva passato la prima E, ad un rave tedesco, dopo il 101.
Sembrava che avessero stipato così tanti scheletri, da Black Celebration, che ormai gli armadi stessero per scoppiare.
Sospirando, si avviò alla stanza di Dave, bussando, prima piano e poi forte.
“Chi…chi è?!”
“La narcotici…”, scherzò fiaccamente Alan, per trovarsi letteralmente tirato nel sepolcro di Dave, in pantaloni di pelle e magrezza impressionante; doveva farsi fare gli abiti, ormai, da tanto era dimagrito, e riusciva chiaramente a contargli le costole, sul costato costantemente macchiato di pittura.
Dave non era un gramo pittore, ma l’eroina aveva fatto uscire i suoi scheletri, e le sue figure urlanti non gli piacevano.
Neanche un po’.
Gli ricordavano troppo cosa stava diventando quel gruppo.
“Cosa vuoi? Sto dipingendo.”, lo apostrofò in malo modo il cantante, riprendendo la paletta di colore.
Dave era tutto un tremito, notò l’amico, mentre si sedeva sul letto, silenziosamente.
Difatti, dopo due pennellate, con mano poco ferma, scaraventò i colori a terra e il cavalletto col dipinto stesso.
Spighe di grano.
Se fossero riuscite, sarebbe stata una bella immagine, ma Dave aveva deciso che dovevano morire, assieme ai suoi ricordi meravigliosi dello show al Rose Bowl.
Difatti iniziò a calpestare il dipinto, con i piedi scalzi, sotto gli occhi allibiti di Alan.
“Merda, merda, MERDA!! E’ UNA MERDA!!! E’ TUTTO UNA MERDA!!”
“Ma che cazzo fai!?”
“Non ce la faccio più, non voglio più cantare in questo maledetto disco!! Non riesco a dipingere con te che mi fissi, sempre accusatorio!! Il SANTARELLINO! COLUI CHE SI SBATTE PER TUTTI! Non ce la faccio più con Theresa, non ce la faccio più a STARE CON VOI!!”
Alan era rimasto a bocca aperta a sentirsi apostrofare così.
“E’…è così che la pensi?”
“Che tu mi accusi!? Si vede dagli occhi!”, urlò ancora Dave, le pupille grandi come piattini, e un tremito in tutto il corpo, come percorso dalla corrente elettrica.
“Io non ti accuso di…”
“CERTO! TU STAI IN STUDIO, TI FAI IL MAZZO! MA CHI TE LO HA CHIESTO, POI!! E VORRESTI UNA MEDAGLIA MAGARI! MA FIGURATI!!”,e improvvisamente Dave si accasciò, tra i resti del suo dipinto, sempre tremando.
“Non…non ce la faccio più… non ce la faccio più… speravo di poter contare almeno su di te, ma sei troppo occupato con quei suoni di merda!”
E solo dopo un attimo di momentanea rabbia, Alan Wilder vide che l’amico stava piangendo, rannicchiato su sé stesso.
“Dio, Dave…”
“Dio.Dave.Reach out and touch Dave.Andate a farvi fottere.Non canterò più niente.”
“Dave…come potevo sapere che eri messo così male?! Io… non lo sapevo!”
“…bastava bussare, Alan. Bastava bussare.”, sussurrò il cantante, prendendo a dondolarsi, i lunghi capelli incollati alle guance dalle lacrime.
“Io…”,e Alan mandò giù un grosso groppo di vergogna e lacrime. “Hai ragione. Ora… non so come aiutarti, sai che conosco solo un modo…”
“Suonare quella fottuta batteria, ahahahah!, sei un batterista vergognoso, oltretutto, passionale veramente come pochi!”, gli buttò in faccia l’altro, ironico come acido da batterie.
Alan si alzò, seguitò dagli occhi scintillanti di Dave, che ora non piangeva più, ma digrignava quasi i denti.
“Ah, certo… vattene. Tanto qui, come ha detto Martin, mi sono già condannato. Un altro che pensa di saperne più del tossico stesso!”
“Dave… io non ti indorerò la pillola. Ma te la sei cercata, questa … immagine.”, replicò Alan, che non era comunque incline ad addossarsi colpe inesistenti.
O forse Dave, nel suo squilibrio, vedeva molto più lontano di lui; forse aveva avuto bisogno di loro,  e loro l’avevano lasciato.
E senza di lui stava andando tutto alla malora.
“…su questo hai ragione. E tu, Alan Wilder, che strada prenderai?”,chiese il cantante, sempre digrignando gli occhi.
“Non credere che non ci veda. Ci lascerai. Mi lascerai. A morire.”
Alan arretrò verso la porta, colpito; Dave era sempre stato ipersensibile, ma sembrava avergli letto nel pensiero.
“Sei l’unica persona che mi trattiene qui, Dave. Pensaci. E… quando avrai tempo vieni in studio. Ho riarrangiato Condemnation.”
Dave si lasciò andare ad un’altra delle sue risate stridule, con le lacrime che correvano ancora libere.
“ADATTA, NO?!?”
*
Studio
*
Fletch aveva gironzolato un po’, chiaramente inebetito dai farmaci, e mettendo Alan ancora più di cattivo umore, mentre tentava di ripassare le parti di batteria.
Ogni volta che Andy toccava una testiera, l’istinto del compagno era di mollare le bacchette e allontanarlo, ma si limitò a sospirare abbastanza rumorosamente e fermare tutto, quando lo vedeva avvicinarsi troppo.
Oh sì, anche Alan aveva appreso bene l’arte della stronzaggine, a lungo andare, e la stava applicando più che mai.
Con il suo gruppo.
Alla fine Fletch se n’era andato, fulminandolo nel suo coma personale, e Alan aveva ricambiato lo sguardo con amabile indifferenza, perdendosi di nuovo nelle combinazioni delle parti elettroniche della batteria, quando Dave entrò, parzialmente ripulito, con una camicia e un paio di scarpe, con aria più tranquilla che fece sospirare mentalmente Alan.
-Fatto. Perfetto.-
“Cosa volevi?”
“Farti sentire il riarrangiamento in piano di Condemnation.”
“Fammi sentire.”
Alan si spostò dalla batteria al piano a coda, il suo preferito, nonostante tutto, e iniziò la parte che aveva concordato con Martin, quando, dopo i primi giri, incredibilmente Dave si accodò.
Con una voce incredibile.
Alan smise di suonare e si girò a guardarlo, con le cuffie ed il microfono.
“Cos…”
“Pensavi me ne stessi tutto il giorno a drogarmi? Ti sbagli, Alan. Non sai da quanto ti sbagli su di me…”,ghignò Dave, non del tutto benevolo.
La sapeva tutta, benissimo, e con una prestanza vocale che rasentava la perfezione.
“F…Flood… stai registrando?”
“Se ti rimetti a suonare, magari sì.”
“O…ok.”
Dopo due prove, la canzone uscì praticamente perfetta.
Grezza, certo.
Eppure, in un certo senso, perfetta.
“Dio, Dave, era…era…”
“Una condanna. E’ diffcilissima.”, commentò il cantante, togliendosi le cuffie.
Solo allora Alan notò il tremito costante delle mani e il tic costante in faccia.
“Dave…come stai?”
“… non avrei mai cantato questa magnificenza fatto.”
“…”
“…me lo riservo per il tour.”
Alan finalmente gli sorrise, mentre Dave se ne andava, probabilmente a prendersi quel che pensava gli fosse destinato.
Un sorriso talmente triste che faceva venire voglia persino a lui di piangere.
*
Devotional tour, Milano, 1993
*
Un tour spaventoso, e si stavano spezzando.
Non ci sarebbe stato un collante, alla fine, lo sapevano tutti.
Forse si sarebbero spezzati per sempre.
Ma non in quel momento.
Dave salutò ed incitò il pubblico, mentre Martin metteva via la chitarra e raggiungeva le coriste.
Alan si mise alla tastiera, preoccupato come sempre; non era mai successo che Dave sbagliasse, ma quella canzone era proprio come si intitolava.
E incredibilmente Dave gli ammiccò, prima di iniziare.
“Hai paura che non ce la faccia, eh? Ma io ce la faccio, Alan.”
E l’amico gli sorrise, senza dire niente.
“Ricordatelo, Alan Wilder. Io ce la faccio sempre.”
-Già…-, pensò Alan, attaccando il giro di quella stupenda canzone.
-Sono io che non ce la farò.-

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Capitolo 8
*** Personal Jesus ***


SOMEONE WHO HEAR YOUR PRAYERS
SOMEONE WHO CARES
(PERSONAL JESUS, Depeche Mode)
*
Francoforte, 1993
*
Anton*  stava disponendo le istruzioni per i video da scorrere nei megaschermi e disponendo le camere, mentre Alan e, in via eccezionale Martin, facevano il soundcheck, ignorandosi l’un l’altro come ormai capitava sempre, dalla fine delle registrazioni miracolose di quel pièce of resistance che era Songs of Faith and Devotion.
L’artworker era più inquieto delle altre due date precedenti riprese, Barcellona e Lièvin, vista come stava degenerando la situazione non solo tra i due, ma tra tutta la band.
Al soundcheck di Barcellona si era presentato solo Alan, come fosse una cosa normale, e non gli aveva neanche parlato, aveva semplicemente provato le varie tastiere synth, drum machines e anche batteria e pianoforte solo parlando con i tecnici; non gli ricordava proprio il ragazzo allegro che aveva trascinato quasi a forza sul set del loro primo video con lui, ‘A question of time.’
Dopo mezz’ora, si era presentato anche Martin, visibilmente alterato, ed aveva provato i microfoni e la sua tastiera, modificandone le impostazioni, cosa che il compagno, in quel momento alla batteria, aveva commentato con un’alzata di spalle, come non fosse affar suo.
Fletch era apparso solo sul palco, Dave si aggirava nel backstage come fosse un indemoniato, maledettamente impaziente di andare sul palco e scattando come una molla di qua e di là, probabilmente pieno di coca o speed fino alla punta dei capelli, ma non si era mai presentato al soundcheck.
Quel maledetto aveva sia un culo spaventoso che voce da vendere, per trovare le impostazioni standard dei microfoni adatti a canzoni la cui difficoltà rasentava l’impossibilità per la sua voce; niente da dire, sul palco erano una macchina ben oliata, ma Anton ricordava un altro gruppo, almeno in video.
Ricordava un altro Dave, sempre calciante, sculettante e salterino, ma che non si rifugiava nelle pause a fare il pieno, e specialmente maledettamente sorridente.
A Lièvin Martin si era presentato con Alan a fare il soundcheck, più lucido, ma dalle voci di backstage e per esserci stato un altro paio di volte a controllare la scenografia, Anton sapeva per esperienza che il tastierista faceva solitamente il soundcheck da solo; aveva anche provato a parlargliene, ma aveva ottenuto in cambio un sorrisetto ed un’altra scrollata di spalle.
Il Devotional non sarebbe stato un altro 101, questo era poco ma sicuro, e non certo perché c’era lui alla regia e alle scenografie, ma perché quei Depeche Mode non erano più li stessi; se da un lato erano cresciuti, da un altro erano pienamente decaduti, anche oltre la maturità: SOFAD era stato il loro disco più sofferto da Black Celebrations, e tutti loro avevano dovuto mollare le loro corazze costruitesi negli anni, da ragazzi, per evolversi in uomini, ma perdendo anche quell’unità che bene o male li aveva caratterizzati.
Forse lui aveva le traveggole per essere reduce fresco fresco dal backstage dello Zootv tour degli U2, con i quali lavorava da ancora prima dei DM, ma che si erano anche dimostrati sempre un gruppo definito: forse non i migliori, forse non sempre maturi, ma un gruppo di certo. Quello che ora i DM non gli sembravano più, se non in concerto.
Qualcosa lo distrasse dalle sue riflessioni, mentre stava visionando la postazione video per ‘In Your room’; Martin e Alan.
Stavano… in un certo qual modo…
Comunicando.
“Io non vado a chiamare Fletch, non sono il tuo cameriere!!”
“Guarda che non è giornata di fare la primadonna, Al!,molla quella cazzo di batteria e cerca gli altri due!”
La risata nevrotica di Alan colpì anche Anton come un pugno gelido, ma non Martin, che stava con la sua chitarra a fronteggiarsi con il tastierista.
“Tu sei tutto scemo, Martin, e te lo dico con affetto!SCEMO!! Ci sono miliardi di persone, qua attorno, a portarti il cappuccino, e vuoi che ti chiami io Fletch?!”
“Dobbiamo fare un soundcheck collettivo, almeno per una volta, non fare il cretino!”
La risata sarcastica di Alan fece mettere i nervi di Anton sull’attenti.
“Un…cosa?! Ma se hai fatto il soundcheck solo le prime volte!,poi ti sei fatto vedere solo per questo cazzo di video!! Ma fammi il favore di non prendermi per il culo! Mi hai lasciato a fare tutti i soundcheck da solo, e ora vorresti cosa?!,un soundcheck fatto bene!QUESTA BAND NON SA NEPPURE COSA è UN SOUNDCHECK, ORMAI!!”
“GIURO CHE MI HAI ROTTO LE PALLE, ORMAI, ALAN!!”
“GIURO CHE SONO ANNI CHE ME LE HAI ROTTE, MARTIN!!”
“VUOI ANDARTENE?! VAI!! NON SEI TU CHE SCRIVI LE CANZONI!! PERCHè SAI PESTARE DUE TASTI MEGLIO DI ME O SUONARE LA BATTERIA…con la passione che ci metti, poi…Pensi di essere indispensabile?!”
SE NON LA PIANTI VEDI SE NON ME NE VADO SUBITO!,POI VOGLIO VEDERE CHI TI TROVI ALL’ULTIMO MOMENTO!!”
“Che diavolo è ‘sto baccano?...”
Anton stesso stava per avvicinarsi ai due galletti in posa da battaglia, intenzionatissimi a darsele finalmente, dopo anni di rancori, quando uno strafattissimo Dave era uscito dalle quinte, con aria scocciata.
Guardò entrambi i compagni, Alan che sovrastava Martin e dava tutta l’impressione di volerlo stendere con un pugno, tanto era teso, e Martin che non era da meno, con espressione stravolta.
“Che cazzo avete da urlare?! Vi si è sentiti fin nel mio camerino!”
“Oh, per un momento mi ero illuso che Sua Maestà Dave fosse venuto a provare la sua voce immortale! Invece l’abbiamo solo infastidito, visto, Alan?”, commentò Martin, con voce querula, mentre Alan si ritirava, borbottando.
“Martin, di che diavolo stai parlando?”
“Ah, scusa, pensavo fossi venuto a fare il soundcheck per una volta!”
“ADESSO BASTA, MART!,tu l’hai fatto 3 volte e giusto per farti vedere, nel caso ci fossero riprese del soundcheck, che comunque non ci saranno, vero Anton?!”,gli si rivolse finalmente direttamente Alan, livido di rabbia.
Anton l’aveva già previsto, e non rientravano certo nel suo programma: sul palco era un concerto appassionante come pochi, trasudante sudore e persino sangue, ma il resto era di un deprimente assoluto. Una fotografia dei Dm fatta a pezzi non avrebbe reso l’idea.
“No, Alan, niente riprese soundcheck, l’avevamo concordato…”
“…parla con Martin di cosa concordare!”, sbottò l’altro, rimettendosi alla batteria, mentre Dave, inebetito, si avvicinava all’asta ed al microfono che avevano preparato in un lampo per lui, con una camicia che gli navigava addosso.
“Cosa vuoi dire con questo?!”,gli ringhiò dietro Mart, tanto che il povero Dave sembrò per un attimo una pallina da ping pong a seguire il battibecco fulmineo tra i due.
“Io faccio il mio lavoro, Mart. Non scrivo canzoni, non le canto, non voglio inquadrature in primo piano, non mi servono cinquemila persone che urlano il loro amore per me! Io suono. Niente altro.”, gli rispose secco Alan; secco come uno sparo.
O un colpo di grancassa, che aveva anche difficoltà a manovrare.
E doveva anche stare a farsi venire patemi?!
“Ah, ci stai riuscendo benissimo!,questo Devotional film sta venendo una schifezza, grazie alla tua enorme espressività! Sai cosa sei, Alan!?”
“Martin, smettila…”,tentò debolmente Dave, aggrappato al microfono.
Alan l’avrebbe smessa anche subito, Dave sembrava stare male di brutto, e non solo per la roba.
“Sei un turnista, non molto di più!! E anche sociopatico! Tutti stiamo affrontando questa situazione come si può, ma tu no!,tu non vedi l’ora che finisca e tiri avanti con la tua faccia impassibile da ‘mio dio, non voglio ma devo!’… beh, forse è ora che ti rinfreschi la memoria…”
“…ti assicuro che non serve!”,sibilò il tastierista, ma non servì a fermare la bordata di Martin, anche lui chiaramente sofferente di astinenza da qualcosa.
“…tu non sei un Depeche Mode!,tu sei venuto dopo!!”
“ADESSO BASTA!!”,urlò Dave con voce rotta, come fosse stato colpito lui dalle parole a pugno dell’amico,e scappò via, ribaltando il microfono e creando un feedback dal quale entrambi i compagni si ritrassero, con le mani sulle orecchie, fulminandosi a vicenda, finchè le casse spia non furono spente.
Quando l’incessante stridìo si spense, Alan gettò le bacchette sulla batteria, e si avviò nel backstage.
Dove diavolo vai?!,c’è un soundcheck da fare!!”
“Fattelo da solo!,se ti vedo ancora prima di salire sul palco, giuro che vomito!”
“Alan, dannazione!,ho esagerato, scusa!”, gli urlò dietro Martin, con una nota disperata.
“Oh no…”,sussurrò il tastierista, non girandosi.
“Mi sa che invece finalmente hai detto quello che pensavi!”
Alan sorpassò un Anton Corbijn a bocca aperta, bloc notes in mano.
“Anton, ti prego, questa tienitela per te…”
L’artworker lo seguì con lo sguardo e rivolse l’attenzione a Martin ed agli schermi.
Il biondino tremava, aggirandosi con la chitarra al collo come fosse un ornamento di cui si fosse dimenticato.
No, le cose stavano andando proprio di merda.
*
Backstage
*
“Dave… Avanti, apri.”
La porta del camerino di Dave si aprì, e Theresa, la sua seconda moglie, nonché la loro ex-press agent, lo squadrò, lentamente ed irrisoriamente.
“Alan.”
“Tess.”, rispose con tono gelido il tastierista, squadrandola a sua volta.
Se l’odiosità poteva avere un nome, in quel momento ne aveva due per lui: Martin Gore e Theresa Conway.
“Ha già parlato con lo psicologo, oggi. E voi lo ficcate in mezzo ai casini. Bravo Alan.”, lo sbefeggiò la donna, con righe di mascara sotto gli occhi, praticamente senza pupilla.
“Fammi parlare con Dave, Tess. Non è davvero giornata.”
“Oh, il santarello vuole parlare con il tossico. Alan, sei talmente divertente che…”
“…e levati!!”,e la spinse da parte, e poi per terra, visto lo scarso equilibrio della donna, che lanciò un urletto e si ritrovò inebetita fuori dal camerino, visto Alan aveva chiuso la porta.
“Brutto stronzo…”,borbottò, per poi alzarsi e andarsene senza meta in giro.
C’erano tante belle cose, in un backstage come quello dei Depeche Mode
“Dave, posso accendere la luce?”
“…cosa?”
Poco più d un soffio, da un angolo; Dave era attaccato alle sue amate candele, e lo fissò, palesemente poco cosciente.
“Avete risolto, tu e Martin?”
Alan si appoggiò alla porta e scivolò a terra, lentamente.
“No.”
“Non lo dice per cattiveria. E’ solo sconvolto… come tutti noi.”
“Ma dice la verità.”, sospirò Alan.
Dave, in un impeto di energia, si tirò su, e gli mise le mani sulle spalle, costringendolo ad alzare lo sguardo.
“Ehi…”
Non era un bello spettacolo, ma ormai c’era abituato. Fin troppo abituato.
Talmente abituato che non avrebbe voluto vederlo più.
Ma almeno stava parlando.
“Tu ci servi. MI servi, maledizione! Quante volte te l’ho detto?!”
“…tante.”,sorrise fievolmente Alan.
“Lo sai che potrai contare su di me… sempre; vero?”
Alan ci pensò, fissando Dave negli occhi, ancora senza fondo, ma incredibilmente lucidi.
“Sì, Dave. Lo so.”
“Bene. Io… non so come finirà… se finirà… se ne usciremo…”,disse in un soffio il cantante, rimettendosi in piedi.
“Ma se ne avrai bisogno, ogni volta, anche dopo questo maledetto tour, spingi via Theresa e entra. E se non ci sono…”, e fece un gesto eloquente.
“Riprova. E riprova. E riprova. Al momento giusto ci sarò per te.”
Finalmente Alan sorrise.
“Posso spingere via Theresa tutte le volte che voglio?”
“Puoi spingere anche Martin, se ti và.”
“Mi basta Theresa. Sennò chi ci scrive le canzoni?”
E i due si guardarono un attimo, con gli angoli della bocca incurvati, per poi scoppiare a ridere e darsi pacche.
“Sei un bastardo, Alan Wilder!Un fottuto sociopatico!”
“E tu un maledetto tossico, Dave Gahan!”
“E il maledetto tossico ti darà sempre una mano, stronzo!”
Anton passò fuori dal camerino in quel momento, e sorrise.
Il Devotional
Passione e sangue.
Avrebbe ripreso tutto questo, aveva giurato.
*
Dicembre 1993
*
Il DEVOTIONAL film era un capolavoro.
Mostrava un grande gruppo all’opera, grandi canzoni…
E metteva un’indicibile tristezza a chi lo guardava.
Ma era bellissimo, e non ci si accontentava di una sola volta.
Mai.
*
Un anno dopo
*
Il telefono, a Los Angeles, squillò più volte, per l’ennesima volta, da giorni.
Alan mise giù, dall’Inghilterra.
Era quasi ora di tornare in studio, tra poche settimane, e lui…
Non ne aveva proprio voglia.
Aveva mandato centinaia di fax a Dave, a Daniel Miller perché glieli inoltrasse, persino telefonato a sua madre.
Dave era stato inghiottito dalla faccia della terra.
E lui ne aveva bisogno.
 
*Anton Corbjin , storico artworker dei Depeche Mode e regista del Devotional e One night in paris, alla corte di U2, Virgin Prunes, Joy Division, Roliing Stones, Coldplay, regista di ‘Control’, film sulla vita di Ian Curtis.
 

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Capitolo 9
*** Useless ***


WELL IT’S ABOUT TIME
IT’S BEGINNING TO HURT
TIME YOU MADE YOU UP YOUR MIND
JUST WHAT IS IT ALL WORTH?!
 
(USELESS, Depeche Mode)
 
*
Maggio 1995
*
 
Nei vecchi uffici della Mute, a Londra, nonostante fosse quasi estate regnava un clima polveroso e freddo da pieno inverno.
Inverno nucleare, viste le condizioni in cui si trovavano.
Martin girovagava, osservando i vecchi poster, risalenti a Black Celebration e anche prima, dieci anni ed oltre in cui la loro carriera aveva raggiunto sia lo zenith, dal punto di vista di successo, che il nadir, dal punto di vista personale. 
Erano quattro relitti, e lo confermava l’esaurimento nervoso di Fletch alle Hawaii, nell’Exotic Summer tour, un anno prima, quando in un lampo di comprensione lui ed Alan si erano guardati e l’avevano spedito a casa, senza nessuna protesta. 
Era vero che Andrew non era il musicista che faceva la differenza, ma era uno di loro. 
Martin aveva riflettuto molto su quel concetto, dopo aver sparato su Alan, al momento di filmare il Devotional, ma non aveva mai avuto momento di chiedergli scusa. 
Non che fosse la cosa che gli riuscisse più facilmente, oltretutto: chiedere scusa e offrire medaglie non era proprio la sua specialità, ma qualcosa gli rodeva il culo, da allora, come per esempio la reazione di Dave.
Dave che non si trovava più.
Dave che si era tagliato i polsi pochi giorni prima, ed era stato arrestato, e nessuno ancora riusciva a raggiungerlo. 
Dave che sembrava sprofondato nelle viscere della terra, e che probabilmente sarebbe stato l’aiuto fondamentale per tenere buono Alan, che li aveva convocati con la scusa di un ‘discorsetto informale’… 
C’erano volte in cui solo Dave riusciva a tenere buono Alan, che si incazzava di rado, ma in quei momenti Dio li salvasse… 
Come quando nel Masses tour aveva fatto a pugni con Fletch; il biondino timido che avevano assunto all’inizio, che sotto la patina di riservatezza e puntigliosità musicale aveva scoperto un carattere duro come la roccia, si era pure rivelato un inglese tour court, da campo di calcio, e se non li avessero separati in tempo chissà chi ne sarebbe uscito con le ossa più rotte.
Ma non era stato niente di irreparabile.
Erano un gruppo, una gang, uscivano tutti assieme, passavano le serate a ubriacarsi e parlare di Bowie, dei suoi primi album e delle sue progressioni, e specialmente degli album berlinesi, per cui sia Dave che Alan sembravano avere una venerazione. 
Non erano… come ora.
Fletch stava seduto, sospirando ogni tanto.
“Martin siediti, mi farai girare la testa.”
“…sto girando così tanto?”
“Stai scavando una trincea. Daniel non ne sarebbe così soddisfatto.”
“Mi sto chiedendo cosa vuole… Io capisco che dopo il Devotional eravamo tutti distrutti, e poi c’è questa faccenda di Dave… Ma addirittura convocarci…’.
La parola gli uscì con disprezzo non voluto: era scocciato e non capiva il perché di tutta quella messa in scena; e loro erano i Depeche Mode, reduci da un trionfo dietro l’altro, nessuno avrebbe dovuto convocarli. 
A parte un altro Depeche Mode.
…se fossero stati ancora un gruppo….
Martin si sedette, sospirando.
“Siamo così in merda, Fletch?”
“Voi non so… io non farei un altro disco con lui.”
E come per magia, o come avesse aspettato dietro la porta per un po’ per darsi coraggio, Alan apparve sulla porta, con una maschera d’impassibilità.
“Grazie Fletch. Come al solito sei la bocca della verità.”
Una lastra di granito sarebbe stata più impenetrabile di Alan Wilder in quel momento, mentre li fronteggiava, da un capo all’altro del lungo tavolo, senza dare segno neppure di togliersi la giacca.
“Oh, cazzo…”, sussurrò Fletch, che non era nuovo a quelle situazioni. 
Martin sospirò ancora; odiava quando Alan e Fletch iniziavano a punzecchiarsi, spesso senza motivo come in quel momento, per una frase sbagliata al momento sbagliato.
“Dai, Alan, siamo tutti stanchi e poi c’è questa…”
“…faccenda di Dave, sì… l’ho sentito da dietro la porta.”, ammise Alan, rivelando così di aver sfruttato il tempo in cui loro si innervosivano per aversi costruito la sua maschera di rigidità.
Se ne fotteva.
Non gliene fregava proprio più niente di quel gruppo. 
Non gliene fregava più niente di loro.
Decise di sedersi, almeno per tentare di portare avanti una conversazione civile.
“Notizie di Dave?”
“Quelle che ha la stampa… Non si riesce a trovare. O forse tu…?”, e Martin lo guardò speranzoso.
“No.”
Secco e lapidario. 
Il chè rivelava la sua frustrazione per quanto doveva averlo cercato.
“Comunque è vivo…per ora…”, sospirò Fletch, pensando a come doveva essere messo il loro amico.
Alan fissò il suo sguardo schernitore su di lui.
“Sì, per ora,Fletchy, per ora… Che consolazione avere un cantante che può morire da un momento all’altro, eh?!”
“ALAN!”,sbottò Martin, sconvolto.
Niente da fare, la maschera di amara ironia non accennava a placarsi. 
Alan faceva quello che gli era riuscito meglio dal World Violation in poi: mettersi una maschera. 
Nel Devotional si era maledettamente perfezionato, era riuscito odioso ad entrambi, specie dopo aver mixato SOFAD LIVE, ai Windmill Lane Studios, da solo.
“Alan, Alan, Alan! Ma che vuoi da me?! E’ la verità e lo sai!”, gli rispose stizzito il tastierista.
“Dave non crollerà, Dave è…”,e Martin si trovò senza parole.
“…un gatto? Ha nove vite?”, lo schernì di nuovo Alan, ma sotto sotto vi era qualcosa. 
Rabbia, prima ardente ed ora fredda, come una pietra tombale. 
Una dannata pietra tombale che Martin iniziava a capire dove voleva mettere.
“Ci…Vi è sfuggito di mano.”, sentenziò, stringendo una mano a pugno, come a volerci serrare dentro tutto quello che avevano passato assieme, e distruggerlo come una lattina.
“Perché, tu sai dov’è, allora?!”, si irritò Fletch, che aveva pensato bene di chiudere la bocca, dopo l’inopportuno commento iniziale.
“No, vedo solo la realtà delle cose, Andrew… NON-E’-QUI. Non è col suo…gruppo.”,e fu la volta di Alan a pronunciare la parola con disprezzo, sotto gli occhi attenti di Martin, che fece in modo di incrociarne gli occhi e guardarlo fisso, come a leggergli dentro.
“Tu non pensi più che siamo un gruppo, vero?”
Alan stette a guardarlo fisso, per un paio di secondi, sapendo di non poter vincere quel duello, non con Martin; lui era l’anima dei Depeche Mode, e lo sarebbe sempre stata, mentre il tastierista non si era mai liberato da quella sindrome dal 1982, dell’outsiders. 
Utile, anzi, necessario, anzi, per certi versi persino indispensabile.
Loro due, assieme, li avevano traghettati da pop band con i synth a band matura, in grado di produrre un rock elettronico rivoluzionario e filmico.
Suoni come ‘In your room’ erano impensabili… 
Prima di loro. 
Alla fine Alan abbassò gli occhi, e liberò il pugno, portandoselo alla bocca, per non far vedere come tremava.
“No. Non siamo più un gruppo.”
Martin sospirò e si scambiò uno sguardo con Fletch, che decise di prendere la parola.
“Senti… siamo tutti stremati. Davvero. Guarda me… avete dovuto rimandarmi a casa. E’ un miracolo che tu ce l’abbia fatta.”,ed esitò, prima di riprendere la parola, ora fissato da entrambi i compagni. 
“Dave… si riprenderà. Questa storia sta finendo. Il Devotional è stato… “, e mando giù un grumo di saliva nel dire quelle parole, la verità nuda e cruda. “…troppo per noi. Dovevamo interromperlo ma… è difficile tornare a terra quando cammini sul cielo. E noi c’eravamo.”, sospirò.
“Alan, io capisco cosa vuoi.”, lo interruppe Martin, fissandolo. “Hai dato il massimo, davvero. Senza te non saremmo qui, ma non saremmo qui lo stesso se fosse mancato l’apporto di qualcun altro, qualsiasi altro di n…”
“MA DAVVERO?!”,sibilò Alan, scattando in piedi e facendo sobbalzare i due.
“Voi… pensate davvero che…”,e si interruppe, fissandoli, poi si lasciò andare ad una risatina isterica.
“Sì…lo pensate davvero… tu, Martin, con le tue demo… e tu Fletch, con il tuo…niente! Pensate che abbiamo lavorato davvero assieme per arrivare qui?! E’ questo quello che vi dice il cervello?!”, concluse, quasi urlando.
I due erano sconvolti, e lo fissavano come se avessero davanti una persona mai vista prima.
Pericolosa, oltretutto.
“Vaffanculo, io mollo!”
E a grandi passi, Alan si diresse verso la porta, sotto il silenzio eloquente e gli sguardi sgranati degli ormai ex- compagni.
Dopo qualche minuti che la porta sbattè, Fletch si alzò e fissò Martin.
“Io l’avevo detto che non avrei fatto un altro disco con lui…”
Ma Martin aveva ben altro a cui pensare.
-Dio mio, questa è la fine della band…-
*
1 giugno 1995
*
Lapidario come una colonna della Pravda, l’annuncio dell’abbandono di Alan arrivò alla Mute, che fu subito subissata di telefonate di fans preoccupati dell’eventuale scioglimento del gruppo, subito calmati. 
Si parlava di condizioni di lavoro ‘non soddisfacenti’ e ‘rapporti interni ormai logori’.
Martin, leggeva tra le righe, e pensava a quando gli aveva dato del turnista.
Del lavoro ai Windmill Lane.
A Enjoy the Silence.
Ma anche ai bei momenti a Berlino e a Milano.
O quando era andato a trovarli, per vedere Basildon.
…e ancora Dave non si trovava, anche se era in posto molto semplice.
Stava tentando di morire.
*
(pochi giorni prima)
*
“Dave, cristo sono tre mesi che tento di telefonarti!!”
“Ehy, Alan…”,rispose una voce roca e spezzata, lontana anni luce dalla voce che aveva incantato tutti negli anni, lui compreso, e rotto ogni barriera in SOFAD.
“Me ne vado, Dave. L’ho già detto a Martin e Fletch. Prima che comunichi il tutto alla Mute… volevo dirlo anche a te.”
Alan, sotto la voce gelida, stava tenendo la cornetta con due mani, mentre un nugolo di pensieri gli attraversava la testa.
Speranza.
Preghiera.
Sfiducia.
Ma specialmente… speranza.
Di cosa non lo sapeva, ma sapeva che sarebbe potuta venire solo da Dave.
Dave restò un attimo interdetto, alla notizia, dall’altra parte dell’oceano, appoggiato al letto.
La linea era tutta un crepitìo, ed il suo cervello anche.
Non riusciva a capire, ma il suo corpo gli segnalava solo una cosa.
Dolore.
“Alan…”
“Dimmi.”
“…non so cosa dirti. Fai quello che vuoi. Io sono impegnato a morire.”
E mise giù, tentando di mettersi in piedi, fallendo ancora una volta.
A Londra, Alan restò cinque minuti al telefono, con la cornetta in mano e appoggiato al mobile del telefono.
Si rifiutava di piangere, era un uomo, non era più un ragazzino sballottato in tour mondiali Dio solo sa come e dove, che se l’era cavata grazie alla sua intraprendenza.
A interromperlo arrivò sua moglie, preoccupata.
“Amore?”
Alan, mascherando sotto la rabbia di essere stato beccato, sbattè con violenza la cornetta al suo posto, facendo sobbalzare Hep.
“Hep. Vattene. Ora. Ho bisogno di un po’ di tempo da solo.”
La donna annuì, triste, e si ritirò, chiudendo la porta, ma intanto pensando, febbrile.
-Dave. Ha parlato con Dave. Solo Dave lo fa stare così…-
E si appoggiò alla porta, sconsolata.
Prima sarebbe finita quella faccenda, e meglio sarebbe stato.
Per tutti loro.
*
1996
*
Martin non si era ancora arreso, ma non poteva pretendere più di così.
In una sessione di sei settimane, Dave era riuscito a cantare solo una canzone, e persino dovuto ripeterla sillaba per sillaba.
La sua voce era rovinata.
Lui era rovinato.
Così prese la decisione di rimandarlo a casa e che prendesse un maestro di canto.
A L.A.
Mai avrebbe rimpianto più di così una decisione
Il 28 maggio, mentre tutti cercavano di riprendersi, Dave Gahan fece la più grossa cazzata della sua vita, costellata di grosse e persino enormi cazzate.
Un’overdose di speedball che lo lasciò in morte clinica per tre minuti, prima che riuscissero a rianimarlo, in modalità ‘Pulp Fiction.’
Eppure mai cazzata così sofferta fu decisiva.
Quando si ripresentò per le sessioni successive, Dave era ferito, umiliato, rovinato.
E cantava.
Non avrebbe più avuto la sua voce, ma aveva assunto un tono diverso.
Ultra sarebbe stato il disco più sofferto della loro carriera, e la sua voce ne era l’emblema, con il ritorno all’elettronica.
Sofferta.
Il tragicomico si era sfiorato qualche mese prima, quando, entrando in studio, ancora spaesato e strafatto, nonostante le varie disintossicazioni, si era guardato attorno, come non riconoscesse niente (cosa probabile), ma, cosa peggiore, come se cercasse qualcuno, come infine aveva confermato.
Martin gli stava dietro ansioso come una chioccia, cosa che non era servita a rilassarlo, ma semmai ad accentuarne lo smarrimento.
“Martin…”
“Dimmi, Dave.”
“Dov’è Alan? Di solito è così puntuale per il lavoro in studio….”


 

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Capitolo 10
*** Barrel of a gun ***


 
WHAT DO YOU EXPECT OF ME?
WHAT IS IT YOU WANT?
WHATEVER YOU PLANNED FOR ME
I’M NOT THE ONE
(Barrel of a gun; Depeche Mode)
 
Ultra era uscito; aveva fatto urlare tutti al miracolo, ed era uscito.
Il RITORNO dei Depeche Mode, come se ne fossero mai andati; le interviste in cui Dave prendeva un giornalista e gli riversava addosso fiumi e fiumi di parole, come delle autentiche confessioni, sulla droga, sul suo essere rimasto morto, sulla disintossicazione.
Fragile.
Dannatamente fragile.
Eppure era stato lui a imporsi, una volta compiuto il ‘miracolo’, ancora malmesso, magrissimo, il viso segnato, i capelli di quella strana lunghezza.
Aveva imposto di andare avanti, senza quel pezzo importante di band.
Quella cosa di cui non parlava mai.
Di cui non aveva mai parlato con Martin, né con Fletch.
Piano piano, dopo la sfiducia del Devotional e di Sofad, nuove dinamiche si erano installate nel gruppo, avevano deciso di affidarsi a grandi session man e di tornare all’elettronica.
ULTRA era un disco cupo, un miracolo di elettronica dark, carico di bassi, che rivelava la forza oscura dei Depeche Mode di essere riemersi, seppure pieni di cicatrici, da quell’abisso che per un anno aveva rischiato di trascinarli a fondo.
Nel video di Useless, Dave rideva, con Anton, che lo abbracciava; rideva veramente non si sa da quanto tempo.
It’s no good era perfidamente ironica, Home era un gioiello stupendo.
Ma l’album era stato aperto da Barrel of a gun; come al solito, il talento di Martin come songwriter aveva colto il malessere di Dave, e questi l’aveva cantata al meglio, come meglio poteva ma enfaticamente.
Sembrava sempre più che il biondino scrivesse le canzoni su di lui, piuttosto che sui propri sentimenti; solo Home gli apparteneva, intimamente, ed erano tutti convinti fosse pienamente una canzone DI MARTIN, da cantare e interpretare solo da Martin.
Come Somebody.
L’album sembrava grondare fluido elettronico oscuro, come sangue vecchio rappreso che i scioglieva, e forse un giorno sarebbe tornato a scorrere; erano riusciti ad inserirsi nelle tendenze del tempo, nella Bristol Scene, nei ritmi elettronici esasperati di cui, anni prima, erano stati pionieri ed ora si trovavano ad inseguire.
Ma c’erano.
Erano lì.
Erano vivi.
Erano i Depeche Mode.
*
Non vi fu mai un Ultra tour, solo dei ‘Release parties’ per i singoli e in aggiunta la grandiosa Never let me down again.
Per una volta, a parte le coriste del Devotional tour, si servivano di session man anche dal vivo, cosa che all’inizio avevano testato con un po’ di dubbio ma poi avevano accettato con più facilità del previsto.
D’altronde, nessuno avrebbe potuto supportare quelle parte di synth, quella batteria ancora una volta analogica.
Non più.
*
L’unica cosa di cui Dave non parlava, ed era proibito fargli, e fare loro, domande al riguardo, era l’uscita di Alan dal gruppo.
Solo dei mini movies, con i remastered che iniziarono ad uscire dei vecchi album, con delle interviste separate, iniziarono a fare chiarezza.
*
1998
*
“Non sarei comunque rimasto in un gruppo, so che è brutto da dire ma preferisco lavorare da solo.”, sospirò Alan, alla domanda per il documentario all’ennesimo cd rimasterizzato con i Dm.
La sua uscita era ancora un mistero, non solo per i giornalisti ed i fans, che spesso gli mandavano messaggi in cui gli chiedevano di tornare.
Lo era per gli altri suoi ex- compagni, che ancora si interrogavano; lo era anche per lui, a volta.
Era un uomo provato, da quel tour e da quella decisione, ma non era certo finito.
E qualcuno aveva la risposta, e quando finalmente la disse, fu come se un peso gli si sollevasse dal petto.
Nel corso di quelle interviste separate, si erano sparate mille ipotesi, e nessuna delle tante gli era piaciuta.
Solo Dave aveva avuto il buongusto di non commentare, ma di sospirare.
“Io… l’ho lasciato da solo. Ed ho commesso un errore. Ma… non c’ero. Era come se ci fossi. Cioè, c’ero, ma…”, e lo sguardo di Dave si era fatto assente, anche sotto la telecamera.
Era inutile ci provasse, Dave non sarebbe mai stato capace di mentire, non avrebbe mai imparato.
A sua differenza.
“…non c’ero, in realtà. Penso di avergli detto qualcosa come…FAI QUELLO CHE VUOI, IO STO MORENDO. A posteriori…”,e Dave tornò, con lo sguardo, ma pensieroso.
Afflitto.
“Avrei dovuto parlarci io. Eravamo i più attaccati. Lui era il mio punto fermo non solo per la musica… mi incoraggiava sempre…”
Dave aveva fatto un’ulteriore pausa, pensando a cosa dire, esattamente, e poi scandì bene le parole.
“Mi manca. Non solo come musicista, un eccezionale musicista. Mi manca la sua amicizia. Essere suo amico. Mi manca.”
*
Interrogato, sull’uscita di UNSOUND METHODS, di Recoil, che aveva preceduto di poco il faticoso parto di ULTRA, Alan si era trovato a rispondere, non senza, a domande sul suo ex-gruppo.
“Ci siamo divertiti…”,ammise, riluttante.
Quel maledetto tour aveva lasciato segni fisici anche su di lui, ma non se ne curava.
Non era Dave, non aveva bisogno di migliaia di persone che urlavano ad ogni sua mossa.
Anzi.
Era come se lui e Dave, molte volte, per quanto si cercassero, da giovani, fossero la luce e l’ombra di due facce della medaglia.
L’operazione ai calcoli, ricordino delle maledette bevute del Devotional, seppure fosse il più in control, la vita sedentaria, la poca cura, i dubbi cui si era flagellato dopo quel maledetto annuncio, il lavoro ossessivo, lasciavano i suoi segni su quella che, negli anni ’80, era stato il viso di un sex symbol, suo malgrado.
Cosa di cui gli era sempre poco fregata, e cosa di cui se ne sarebbe fregato sempre meno.
Riprese l’intervista, in un’ambiente decisamente poco riconducibile ad un ex membro dei Depeche Mode, familiare, caldo…
“…ci siamo divertiti, ma non ne potevo più. Sono felice abbiano fatto ULTRA, mi sembra un buon disco e…sono felice siano riusciti ad andare avanti.”, concluse, con un tocco di rimpianto.
Senza di lui.
Non aveva mai voluto che mollassero, specialmente Dave, cui sapeva che la sua sopravvivenza era legata all’esistenza del gruppo; ma era comunque una mazzata sentire una perla oscura, così bella, anche se ormai lontana dal suo stile, fatta senza di lui.
Non avevano avuto tempo di piangerlo; l’avevano sorpassato ed erano andati avanti.
In tempi relativamente brevi per quel folle periodo che avevano passato.
E solo Dave sembrava rimpiangerlo.
Così si decise di dirlo.
“Dave… non ne abbiamo mai parlato. Ma lui ha sempre fatto come comprendesse il perchè me ne sia andato.”,sospirò, riavviandosi i capelli.
“Probabilmente è così. Dave è sempre stato un signore.”
Non menzionò il fatto delle rose ricevute da Hep per la nascita della loro prima figlia, Paris.
Non menzionò il fatto che si erano sentiti.
Appena dopo ULTRA.
E che il dolore impediva ancora di parlare liberamente.
*
“Alan…”
“Dave.”
Silenzio, come due anni prima, da un capo all’altro dell’oceano.
Nel frattempo le linee erano migliorate.
No.
Dave era migliorato.
Non era in grado di sostenere un tour, ma lo sarebbe stato in fretta.
La sua voce era ancora ferita, ma stava guarendo, anche se non sarebbe più tornata quella di Sofad.
NIENTE sarebbe mai stato come Sofad.
MAI Più; MAI NESSUNO.
Avevano agganciato un livello più alto del cielo, si erano scarnificati delle loro corazze mentali e fisiche per mantenere quell’incredibile livello, e non vi avevano rinunciato fino alla fine del tour.
Non vi avrebbe rinunciato nessuno; sapevano di stare facendo la storia, più di Violator.
Ne erano usciti a pezzi, letteralmente avevano tutti sfiorato la morte.
Il suo incidente d’auto, l’overdose di Dave, Martin e le sue crisi epilettiche, Fletch ed il suo esaurimento nervoso.
Ma avevano fatto la storia, in quel momento Alan se ne rendeva conto.
Solo una tragedia avrebbe cambiato le loro carte, e così era stato: una tragedia in fila ad un’altra, fino a chè avevano applicato il principio di Kurt Cobain; o affogavano o imparavano a stare a galla.
“Alan?”
La voce di Dave lo scosse; aveva atteso che Hep uscisse a portare Paris a fare una passeggiata, per telefonare, come se ormai i suoi contatti con  suoi ex- mates fossero clandestini.
“Dave… stai bene?”
“La tua amorevole preoccupazione per me, specie dopo anni, mi commuove, Al!”,grondò ironia Dave, ma non malevole.
“Dave, non dire cazzate,”, si infuriò l’ex-tastierista, quando si accorse che Dave stava ridendo, e si riappoggiò al muro, come da giovane, sorridendo a sua volta.
“Quando sei stronzo!!”
“Oh…mai come te. Hai lasciato una band in merda, ti ricordo.”
“…lo pensi davvero?”
Dave ci pensò, pensò a come era rimasto, quando aveva sentito che se n’era andato davvero, davvero, non era stato un suo sogno o allucinazione da droga.
Si era sentito smarrito, ma specialmente tradito.
E dannatamente triste.
Poi pensò a cosa gli aveva detto, proprio lui che gli aveva assicurato di esserci sempre.
Pensò a come doveva averlo lasciato il Devotional tour, quando lo aveva acchiappato durante la data di Barcellona, dopo In Your Room, dopo che vagava per il palco, senza canotta, dopo lo stage diving.
Quando gli aveva chiesto, in un unico sussurro non catturato dalle telecamere di Anton, se andasse tutto bene.
Lo aveva quasi capito, maledizione.
No, non l’aveva capito del tutto, ma aveva capito tante cose.
Si sarebbe preso a calci; ma aveva fatto autoflagellazione per tante, troppe cose, e si sentiva troppo svuotato per assumersi anche quella colpa.
“No. Penso… penso che tu abbia fatto bene.”
Alan sospirò, sapendo che Dave non stava comunque dicendo la verità, ma che con quella pietosa bugia gli stava risparmiando annose discussioni che si era preparato e che non aveva assolutamente voglia di tirare in ballo.
“Stai bene, comunque?”
“El Gato non è mai stato così in forma…”, rise Dave, con un tremolio nella voce, per poi sospirare.
“Penso di aver esaurito le mie vite da gatto, Al.”
“Già…”,confermò Alan, non sapendo che dire.
“Hai ricevuto le rose?”
E Alan si trovò a sorridere incredibilmente alla cornetta.
“Le ha ricevute Hep, era felicissima. Ti ringrazio.”
“Ringraziarmi?Di cosa?”
“Per tante cose, Dave…”,sospirò, chiudendo gli occhi.
“Per tante, credimi.”
“Se lo dici tu…”,e rise. 
Poi il cantante tornò serio, mentre gli poneva la domanda che gli premeva più di tutte.
“Eravamo i migliori, vero?Con SOFAD, intendo. I migliori.”
“Eravamo i migliori.”, confermò Alan, come una pietra tombale.
“E tu pensi che non lo torneremo più, vero?”
Alan se lo chiese, come se l’era chiesto miliardi di volte e mai aveva voluto rispondere.
Ma glielo stava chiedendo Dave, che era stato suo complice nel creare quel mostro che poi li aveva inghiottiti.
Quello stupendo mostro.
“No, io… penso che farete molto altro. Tu sei un cantante eccezionale, lo sai… Ma penso che Songs of faith and devotion fosse il nostro zenith.”
“…ed il nadir.”,sospirò Dave,mollando la cornetta con le nocche sbiancate.
In realtà voleva chiedere se mai, non ora, ma in futuro, sarebbe tornato con loro.
Ma ora, indirettamente, aveva la conferma di quello che Fletch diceva sempre.
Non sarebbe mai tornato con lui.
E se la colpa fosse stata anche lontanamente sua, questo non cambiava le cose; aveva deciso ed era fermo.
Sarebbe stato carico suo vedere che si sbagliava.
“Sai Alan… ci siamo divertiti, comunque.”,gli disse, sorridendo.
“Prima o dopo la tua overdose?”
“Ah-ah-ah!”
“Scherzavo…scusa, dai. Sì…”,e si concesse un ampio sorriso, a pensare a certi momenti.
Gli eterni scherzi sui suoi capelli, che finalmente se ne stavano ‘tranquilli’.
Sull’ossigenatura di Dave.
Sull’abbigliamento di Martin.
Sul clap clap di Andy.
Quelle cose erano quelle che gli facevano male, e che l’avevano cambiato così tanto.
Stando con loro, si era appropriato della giovinezza e dell’irresponsabilità, e aveva seppellito per un po’ il suo lato da freak control; aveva persino scherzato sulla fine del suo primo matrimonio, prendendo in giro il lato folle di Jeri.
Lui.
“Sì, Dave…”,e si augurò che la voce non tremasse.
“Ci siamo divertiti. Ma è finita.”
Dave si era a sua volta appoggiato, chiudendo gli occhi, a L.A, osservato attentamente da Jennifer.
Prese fiato e tentò di parlare, bloccandosi.
E alla fine riuscì a dirlo, con voce ferma.
“Purtroppo. E’ finita, purtroppo.”
Ma Alan aveva già riattaccato.
Questa volta era toccato a lui, rimanere senza parole, al telefono, avvicinato da Jennifer.
“Era Alan, tesoro?”
Dave si prese due secondi, e poi si girò, con un sorriso falso ma non per questo meno splendente.
“Sì, Jen. MI ha fatto gli auguri.”,e sorpassandola, poiché il suo sorriso iniziava a vacillare, continuò, mentre Jennifer Skylas guardava il suo futuro marito mentirle spudoratamente per la prima volta.
“Ed io… intendo fare in modo che la sua fiducia sia ben riposta.”
 
Bene, devo dire che a parte alcune parti strafamose, sono andata di pura fantasia: e non so se la telefonata tra Dave ed Alan ci sia stata davvero, ed in che toni ci sia stata.
Parliamo di un pezzo di storia tragico, ma anche di ripresa.
Ed ormai il pezzo di storia che volevo raccontare, sta per finire.
Aspettate il finale.
Tanto lo conoscete, non vi saranno grosse sorprese

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Capitolo 11
*** Suffer Well ***


JUST HANG ON
SUFFER WELL
SOMETIMES IT’S HARD
IT’S HARD TO TELL
(Suffer Well; Depeche Mode)
 
Gli anni da quel miracolo chiamato ULTRA alla svolta di fine secolo non furono facili per nessuno; The Singles 86-98, la prosecuzione dell’81-85, con il solo inedito di ‘If only when I lose myself’ suonava ancora come un’ammissione di colpa, e persino fuoritempo per le atmosfere che ormai molti avevano acquisito dai loro ultimi lavori.
Se Ultra era arrivato in tempo per le sonorità elettroniche che stavano invadendo i ’90, il suo successore, EXCITER, nel 2001, arrivò fuori tempo massimo, e specialmente troppo inconsistente. 
Martin aveva, come al solito, gran belle idee, ma non era certo Mark Bell, in produzione, che non aveva mai lavorato con loro, a farle fruttare; mancavano gli arrangiamenti sperimentali che avevano caratterizzato la loro carriera, e del lavoro, tanto eterogeneo per mascherare la mancanza di idee, quanto senza spinta. 
Solo Dave aveva fiducia in quell’album, e stava maturando qualcosa, tra sé e sé. 
La fragile ballad Freelove aveva fatto in modo che ritrovasse tutta la sua voce, non quella di Condemnation, sebbene la difficoltà fosse simile, ma una nuova voce, sua. 
Era cambiato, non portava più la sua potenza in una ballad, dandole la spinta, ma la assecondava. 
La sua voce non sarebbe più stata quella di Sofad, ma la stava comunque migliorando, in vista di quello che era il suo sogno che stava per realizzarsi; ma intanto i DM affondavano nella lentezza esasperante di Exciter, che fece storcere il naso a molti fans, accantonata ormai l’idea del miracolo.
All’ennesima intervista, con qualche recensione negativa alle spalle, Martin e Dave si guardavano, pensando l’identica cosa, con umore pessimo.
“Quattro anni per un altro disco… e suona peggio di quando eravamo affondati.”, rimuginava Martin, che comunque difendeva la sua creatura a spada tratta, ben sapendo che, se ben pilotate, le sue canzoni sarebbero state ancora grandiose. 
Come Enjoy the Silence a suo tempo. 
“Quattro anni per un altro disco… e non ho ancora la mia voce”, sospirava mentalmente Dave, rigirandosi quelle parole nella testa. 
La sua voce…
Il live ‘ONE NIGHT IN PARIS’, l’ennesima ideaccia di Anton Corbijn che ancora una volta li aveva salvati, era il solito grande spettacolo, con l’aggiunta di Cristian e Peter e delle coriste, ma lui vedeva, anzi sentiva oltre: i pezzi nuovi suonavano fiacchi, e tiravano a fondo il resto.
Peggio
La SUA VOCE  tirava a fondo il resto; vedeva le occhiate di Martin, gigioneggiava con le coriste, all’occhio aveva ritrovato la grinta di Sofad, anzi, ancora più sex simbol. 
Ma la sua voce non reggeva; non aveva retto, le coriste erano un paracadute misero, e il suono live doveva ancora aggiustarsi.
Una pecca sul curriculum di Anton, ma li aveva salvati, con la sua impeccabile regia.
Era un dare per avere dagli anni ’80: Anton li aveva salvati per la loro immagine, era stata una manna dal cielo proprio nel momento giusto, nella svolta di Black Celebration.
Aveva dato una mano per la loro immagine quando stavano per esplodere, e loro l’avevano ripagato facendolo conoscere al mondo ancora di più, finchè si era affermato con quel maledetto video di Enjoy the Silence e praticamente con tutti i video di Sofad.
Era diventato maledettamente cool, ed era sopravvissuto ai ’90 ed alla tempesta grunge come e meglio di loro, ed ora erano legati a doppio filo.
Un po’ come era successo con gli U2; dalle gelosie iniziali di ragazzini diventati adulti troppo presto, e gli attestati di stima tra i denti di Achtung Baby e Violator, scambiati tra adulti in lotta per un diritto che sentivano loro, erano diventato quasi a scadenza fissa che si ritrovassero con la stesse uscite negli stessi tempi. 
Le loro strade dovevano ancora incrociarsi, ma Dave era certo che fosse solo questione di tempo. 
L’One Night in Paris era stata la loro ancora di salvezza, perché rodati o no, i Depeche Mode live erano un maledetto spettacolo. 
Ma Dave puntava ad altro. 
*
Dopo l’intervista a Parigi, Martin si appoggiò alla porta del camerino, guardando gli altri. 
“Che dite?”
“Il live è stata un’ottima mossa.”, si affrettò a dire, poco convinto, Fletch, che nelle interviste aveva iniziato ad ammettere di non essere quel gran pezzo musicale di storia nei DM, ma di occuparsi più del management. 
Dave, la prima volta che aveva sentito quelle parole, sicuramente concordate con Daniel Miller e con Martin, in piena intervista, aveva mascherato il suo cedimento di mascella solo per miracolo: e sempre per miracolo si era impedito di prenderlo a schiaffi, pensando ossessivamente una sola cosa:”DOVEVI DIRLO PRIMA, ANNI PRIMA!! GUARDA DOVE SIAMO!! DOVE DIRLO PRIMA!!”
Non aveva mai capito come mai i rapporti tra Fletchy ed Alan, anni prima ,erano così tesi; sì, qualche volta aveva parlato con il desaparecido, o ‘Quarto Uomo’,come gli si rivolgevano affettuosamente i fans nei forum, se non chiamarlo addirittura il Boss, ma questa uscita di Andy, come una maledetta ammissione, gli chiariva tutto. 
Quelle erano una di quelle cose che Alan avrebbe voluto sentire. 
Come avrebbe voluto sentire quello che neanche Martin stava ancora negando: mancava il suo supporto in produzione e negli arrangiamenti.
I suoi maledetti arrangiamenti, gli archi, la sua mano impalpabile ma tangibile nelle atmosfere sonore, specialmente in Sofad, dove aveva lavorato sia di scalpello che di martello pneumatico, a volte, erano in quei due album uscito di Recoil, uno persino un anno prima di loro!
LIQUID era un altro gioiello; non era per le masse, ma Alan non era mai stato per le masse, e tutti, anche loro, iniziavano a comprenderlo.
Specialmente loro.
Ma morti che l’avrebbero ammesso.
Anche se Martin aveva l’aria di volersi tagliare le vene, lui e Fletch non l’avrebbero mai ammesso.
Meglio fare dei mea culpa a distanza.
Dave sospirò, non dicendo niente, ma annotandosi tutto, come aveva imparato a fare.
Avrebbe dovuto tirare quel gruppo fuori dal fango, se l’era imposto; Martin ci provava disperatamente, ma gli mancava quel qualcosa, e se non l’avesse trovato…
*
2003
 
Non era stato facile imporre alla band un anno di stop, ma finalmente nel 2003, Dave coronò il suo sogno di un album di inediti.
PAPER MONSTER era un buon album, anche se non era stato recensito ovunque positivamente, ed era specialmente quello che serviva lui: un ritorno al rock, sia elettronico che urbano, con il suo amico Knox Chandler.
Un’iniezione di fiducia. 
Era dagli anni ’80 che provava a scrivere canzoni, ognuna delle quale bocciata da Martin; ora si era imposto che dei divieti di Martin se ne sarebbe fregato!
Il tour era sudato e sanguigno, ed era quello che lui voleva, da ben dieci anni.
Il primo singolo era stato un successo, e lui si era rinvigorito ben oltre lo sperato.
Aveva ritrovato la sua voce, e NON con i Depeche Mode. 
Ma era determinato a ritrovarla e portarli a riva, una volta per tutte.
Quando, mentre era in tour in Europa, gli arrivò una mazzata.
E di quelle pesanti.
*
L’album REMIX ’81-04 non poteva uscire nel momento più sbagliato, e Dave se ne rese conto immediatamente, non gli servì neppure sentirlo, ma sentirlo fu… peggio.
Perché sapeva che, da parte di Martin, era una mossa per prendere tempo, ma che la stampa li avrebbe dati per finiti, dopo la brutta prova di EXCITER, ed il suo tour solista, con tanto di video e pubblicazione live.
Perché avrebbe attirato curiosità, ovviamente, visto i nomi non erano del primo dj dance in voga, ma artisti elettronici affermati, trip hop e non, ma i remix e le celebrazioni si facevano DOPO MORTI, non in attività!
Perché avevano ANNUNCIATO l’anno di pausa, ed alla loro età sapevano tutti cos’era una pausa.
Perché, dopo pochi giorni aver avuto la notizia dal management della Mute, aveva ricevuto una visita che l’aveva ancora più abbattuto, e che ne sapeva più di lui, come al solito.
*
“Ehy, Dave…”
“Alan…”
I due amici si guardavano a distanza, l’ex tastierista sulla soglia del camerino dell’Olympia, dove Dave aveva registrato il suo live, il cantante seduto, ad asciugarsi i soliti litri di sudore che spendeva, con la sua famiglia. 
Jennifer, fiutata l’aria, chiese permesso e con una scusa se ne andò, salutando Alan con un sorriso smagliante.
“Piacere di conoscerti…Alan. Dave mi ha parlato molto di te.”
“Scommetto soprattutto in male.”, commentò in tono piatto il tastierista, stringendole la mano.
“Beh…”, era un po’ sconvolta la donna, finchè una risata di suo marito la raggiunse.
“E dai, Al, lasciala in pace!Jen, lascia stare, Alan è un patito dell’humor macabro.”
“Difatti…”, si avvicinò Alan, mentre Jen correva via, con le guance infuocate. 
“Non devo essere l’unico, visto quello che state combinando, voi tre disgraziati!”
Dave sentì puzza di trappola, ma scelse di tenersi ai bordi, alzandosi ed andando ad abbracciare il suo vecchio amico.
“Cristo, pensavo non saresti venuto mai più a vederci! Quanti inviti hai rifiutato?! Duecento?!”
“Venti.”,stette sul realista Alan, facendo spallucce. 
“Alan…”
“Parla.”
Dave stette un momento in silenzio, asciugandosi i capelli, sommariamente, poi scosse la testa.
“Niente.”
“Avanti, Dave, cazzo!”
“C’è una cosa che volevo dirti da un sacco di tempo, ma… “,e lo sguardo di Dave si puntò a terra, facendolo inquietare.
Altri rimpianti della nera eredità di SOFAD. 
Altre domande.
Altri rimorsi, sensi di colpa, pesi.
“Alan?”
“Senti, Dave, se…”
“Portare la giacca con i jeans ed una t shirt è… fuori moda. Da yuppie primi anni ’90.”, e lo sguardo di Dave si alzò, su un Alan allibito, che lo fissò severo per due minuti, prima di mettersi a ridere assieme a lui.
“Sei un COGLIONE!”
“Anche tu, oddio, su quel palco mi sembravi a volte Iggy Pop, a volte Dave, a volte una pessima imitazione di Bowie!”
“E tu? Ancora il tuo odio verso il palco?”
“Ti prego… Niente discorsi da Devotional!”, si lamentò Alan, congiungendo persino le mani.
“E va bene, e va bene… posso farti almeno i complimenti per i tuoi album? Sì, sì, li ho ascoltati, è inutile che tenti di farmi domande! Ma preferivo quando mi coprivi le spalle con la tastiera, ad essere sincero!”, lo liquidò con una mano Dave, bloccando le proteste sul nascere.
Alan stette un attimo pensoso, mentre Dave cercava una maglia decente pulita (‘Un punk. E’ rimasto un punk fatto e finito, anche se veste migliaia di sterline’), e poi esternò il suo giudizio.
“Anche il tuo album è bello. Sapevo che eri in grado di scrivere.”
“Già…”, concordò Dave, mettendosi una maglia bianca semplice. “Mi rompevi le scatole fin da Some Great Reward. Ricordo ancora la conversazione. –Almeno i testi, non te la sentiresti di cantare testi tuoi? Santiddio sei il cantante! Capisco non saper suonare, ma sai che potremo coprirti le spalle…- E sai cosa? Ricordo anche quando. Ti stavi mettendo la matita negli occhi. Allora ci tenevi a quelle cosucce.”, gli stoccò, perfido, Dave, sorpassandolo per cercare Dio solo sa cosa.
“Sei un bastardo!”
“E tu un bastardo talentuoso, Wilder!”
Si guardarono un attimo, ridendo sotto i baffi, poi Dave tornò serio.
“Hai sentito Exciter?”
“Avete nettamente sbagliato produttore. Ma Martin è grande, si risolleverà. Sembra solo… frastornato. Non ha avuto una buona guida.”
In due parole Alan, come al solito, aveva smontato, rimontato, analizzato e trovato la causa del loro fallimento, e trovato i punti buoni su cui lavorare.
“La sua buona guida eri tu, Alan. Eri l’unico a cui lasciava comporre altre canzoni o modificare le sue.”
Alan sospirò.
“E’ tardi, Dave.”
“Già…”
La breve, penosa, pausa, fu rotta da Dave, che non voleva assolutamente che il loro incontro diventasse triste, dopo tutti quegli anni.
“Intendo metterlo alle strette, col prossimo album, e partecipare al songwriting.”, disse, deciso, il cantante, provocando uno sguardo quasi irrisorio da parte di Alan.
“Dovrai farglielo mettere per iscritto, lo sai, vero?”
“Sia quel che sia…”.
Dave iniziava ad arrabbiarsi; non poteva prendersela con Alan, non dopo che anche lui, quando era stato chiamato in causa, gli aveva dato buca, ma vedendolo gli erano tornate in mente le bruciature di quegli anni. 
Exciter bruciava come acido; le rivelazioni di Fletch idem; l’album di Remix gli sembrava sempre più un’idea cretina!
“IO scriverò metà dell’album!,lo posso fare!”,gridò, quasi.
“Ehi, ehi, io non sono Martin!”,si stupì Alan, vedendo la sua reazione. 
Certo, lui non era stato in quel treno in corsa chiamato Depeche Mode, faticato per vederlo rinascere e poi vederlo appassirsi di nuovo.
“No, scusa…”,si abbattè sulla sedia Dave.
“Dovresti festeggiare al bell’album che hai composto, invece di arrabbiarti per le mosse sbagliate passate!”, gli ricordò serafico l’amico. 
“Sai Al? Se mischiassimo il tuo album con il mio ne uscirebbe un bell’album Depeche Mode!”, sorrise Dave.
Amaro.
Amarissimo.
Alan dovette sentire la sua rabbia, sotto, perché si sedette anche lui, vicino.
“Vuoi che mi metta la matita negli occhi, così ridi un po’? Per Dio, hai un umore del tutto nero, per uno che ha appena finito il suo primo tour solista acclamato!! Non hai Anton da vessare, che circola?”
“Guarda che Anton l’hai sempre vessato tu, con i tuoi rifiuti di metterti in posa! E dire che eri un bel vanesio, ma tu e lo stare fermi non eravate compatibili!”
“Beh, come vedi ho cambiato idea… sulla sedentarietà, intendo. Sul mettersi in posa deve ancora bestemmiare in dutch molto stretto!”
“Lo farai diventare matto…”, commentò Dave, finalmente con un sorriso.
“Ma mi dici perché quel remix?”,lo interruppe Alan, come se desse finalmente sfogo ai suoi pensieri che stava tenendo nascosto.
“Cosa? Quale?”, chiese Dave, disorientato, rialzando la testa.
“Lo sai… il singolo.”
“Che singolo?”
“Il singolo…dei remix?”, continuò esitante Alan, vedendo come Dave non ne sapeva niente, ed anzi, accendendosi di una luce pericolosa.
“UN SINGOLO?! E’ appena stato annunciato l’album, non c’è un singolo!”
“Mmm-mh, vero…”, si alzò Alan, sformandosi le tasche della giacca, e facendo alzare di scatto anche Dave, quasi inferocito.
“TU CE L’HAI, VERO?! FAMMELO SENTIRE!!”
“I-io?! Io non sono più un Depeche Mode, cosa vuoi che…”
“Non eri neanche degli U2, ma avevi i loro bootleg prima di loro, praticamente! Sei nella nostra stessa etichetta! Fammi-sentire-quel-singolo!”
“No.”
Alan si appoggiò allo stipite della porta. 
Non si stava divertendo, aveva macinato km da Londra per poter trovare Dave, vederlo finalmente debuttare da solo, sebbene non gradisse la sua musica, vedere coronati i suoi sogni, ricambiare le cortesie che gli aveva usato dopo la sua uscita, e invece stava tornando nel suo solito ruolo di gioventù.
Il resto del gruppo taceva, e lui doveva portargli le brutte notizie.
E Dave, come al solito, era incazzato.
Quello li aveva resi amici: erano sempre esclusi, ed avevano fatto sponda contro quell’esclusione, fino a scavare un varco negli altri due, e portando il loro contributo, avevano fatto veri e propri pezzi di storia.
Ma non voleva più interpretare quella parte.
“…silence.”
“Eh?”,si riscosse dai suoi pensieri.
Dave pareva costernato, e lo osservava senza curarsi di celarlo.
“E’…e’ Enjoy the Silence. O non te la saresti neanche presa.”
“Io…”
“E’ ENJOY THE SILENCE E VOGLIONO FARLA USCIRE COME SINGOLO!? Fammela sentire!”
Sospirando, Alan cavò di tasca un’usb key, come quando, ai vecchi tempi, cacciava, riluttante, un nastro.
Con la differenza che una volta era la sua morbosa pignoleria a rendere difficile staccarsene, ora era la consapevolezza che non sarebbe piaciuta a Dave.
E la colpa non era neanche sua.
“Tieni. E’ tutta tua. Io vado a recuperare mia moglie e la tua…”
“Ok, ok…”, Dave cercava già febbrilmente un pc, tra le mille cose che come al solito sparpagliava.
“Dave…”
“VENGO-DOPO!”
“Non arrabbiarti…è un ottimo mix.”, tentò di rabbonirlo Alan, prima di avviarsi, mentre in realtà pensava che tra tutti, proprio il mix di Mike Shinoda, NO.
NO.
Era un penoso tentativo di avvicinarsi alle tendenze alla moda, il crossover, e li dequalificava, in questo modo.
E Dave dovette avvertirlo perché si girò, con gli occhi infuocati.
“Non dire cazzate, e non farmi passare per fesso. Non ti avrebbe colpito se non fosse eccezionalmente figo…”
“Beh…”
“…o orribilmente brutto e di cattivo gusto. Perciò non tentare di farmi fesso, Alan. Non ho più vent’anni.”
L’ex tastierista sospirò, e si avviò.
Dopo dieci minuti, Dave lo raggiunse mentre, in compagnia della moglie e della figlia, raccontava a Jennifer ed a suo figlio Jack un annedoto spassoso di quando avevano campionato il suono della sua Porsche per l’inizio di Stripped, e, volendo assistere anche lui, l’aveva fatta accendere da Daniel Miller, che aveva dato troppo gas e aveva sparato una bordata di fumo di scappamento in faccia a loro due.
Dopo un quarto d’ora di finta allegria, le due donne si allontanarono, e Alan prese Dave sottobraccio, allontanandolo dai suoi musicisti.
“Stai bene? Tutto ok?”
Dave non rispose, sorridendo, falso come una sterlina giapponese.
“Cosa non dovrebbe andare?”
“Dave…”,e al suo nome, la maschera di allegria del cantante cadde.
Ma non del tutto.
“E’…ridicolo. E’ qualcosa che avrei potuto fare anche io. Cristo…”,e sospirò, riavviandosi i capelli.
“E’…cool.”, fece spallucce Alan. 
“Mi sentiranno, a Londra!”
“No.”, e Alan lo prese per le spalle, puntandoselo contro, veramente arrabbiato. 
Dave tendeva sempre a dimenticare quanto rapido fosse ad incazzarsi Alan, sotto l’apparente pigrizia, ma chissà perché trovava sempre il modo di ricordarlo. 
Come l’avercelo davanti in quel momento.
“Non ti farai sentire per il remix. Fatti sentire per il nuovo album. Pesta i piedi. Pretendi di esserci. Ma non fare come me.”,e Alan intensificò la stretta sulle spalle fino quasi a fargli male.
“Non-fare-come-me. Niente proclami secolari, niente porte sbattute. Ma imponiti. Fai ritrovare loro la rotta.”
Dave lo guardò stupito, come se non credesse alle loro orecchie.
“Me lo devi, Dave. Fai in modo che venga ad un vostro concerto e sia contento di sentire le vostre canzoni. Fai tornare i Depeche Mode in riga, cazzo!”
Dave si liberò della morsa, e ci pensò.
Poi si aprì in un sorriso.
Vero, non una maschera.
“Lo farò. E tu verrai a sentirci, allora?”
“Sto aspettando quel momento, Dave.”
“Allora prepara il culo su una poltrona da arena, Alan.”

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Capitolo 12
*** A pain that I'm used to ***


I’M NOT SURE WHAT I’M LOOKING FOR ANYMORE
I JUST THAT I’M HARDER TO CONSOLE
I DON’T SEE WHO I’M TRYING TO BE INSTEAD OF ME
BUT THE KEY IS A QUESTION OF CONTROL
 
(Depeche Mode; A pain that I’m used to)
 
Dave aveva pestato i piedi, eccome, e come previsto, aveva dovuto combattere per contribuire con le sue canzoni; metà disco, e ne aveva almeno il doppio nel cassetto, ma si era scontrato con Martin e Fletch.
Non erano contrari, vista la sua buona prova di ‘PAPER MONSTER’, ma Martin stava già lavorando da settimane con il nuovo produttore a Santa Barbara, ed era troppo soddisfatto di sé stesso e delle nuove canzoni, per lasciargli spazio.
Prima di dare il via ad una faida, Fletch era intervenuto, nel suo ruolo pro-manageriale, e li aveva calmati, mediando tra entrambi fino a una pace brontolata, ovvero tre canzoni.
TRE CANZONI sue.
Ed erano riuscite talmente… buone, che una era persino uscita come singolo.
SUFFER WELL.
Tra quelle di speranza e lussuria, SUFFER WELL era la storia della sua vita in pochi minuti, e visto il successo dei primi singoli, la delicata PRECIOUS e l’aggressiva A PAIN THAT I’M USED TO, decisero di farla uscire come singolo.
Un singolo.
SUO.
E puntò i piedi, ma neppure troppo, per il video di Anton; sembrava una reimpatrata di famiglia, e non formale o miracolosa come ai tempi di ULTRA, ma una reimpatrata gioiosa, vi erano sua moglie, Martin e Fletch, e Martin aveva rispolverato le sue vecchie stronzate mettendosi nelle mani di Anton, e facendosi truccare da sposa.
Martin e Fletch… i due sposini più vecchi della storia della musica!
Una coppia inossidabile.
Era incredibile come fosse tutto cambiato nel gruppo; le sonorità di Hillier, la tecnica nel missaggio della louging war li aveva piacevolmente sorpresi, anche se i fans di lunga data si erano lamentati, ma avevano assecondato del tutto le convinzioni di Martin, e il suo umore.
Sembrava un pericoloso ossimoro, ma le perle di Martin uscivano quando la sua vita era in chiave minore, come lo chiamava: lui pensava di poter descrivere la vita in chiave minore, e c’era sempre riuscito, ma qualcosa aveva ora scosso le sue corde più nascoste; non il divorzio, non l’atto in sé, ma il dolore dei suoi figli era stato qualcosa che lo aveva finalmente toccato in quella situazione.
Era come se il loro stare male l’avesse rimpiombato negli anni più bui, quando scriveva cose inimitabili e la sua anima stava in un abisso; eppure questa volta, diventando anziano, aveva capito qualcosa di sé, se quell’album era uscito come un’altra perla, sempre scura, ovviamente, ma incredibilmente brillante; sul palco erano tornati gli stessi, maledetti, Depeche Mode che il grande pubblico ricordava, nonostante la presenza di Eigner e Peter, e non potevano mentire come la fisicità di Dave, ritrovata dopo anni di abissi e recuperi, non contribuisse notevolmente all’effetto complessivo dei concerti, come il tour registrato, il live in Milan, del Touring the Angel.
Erano tornati a riempire stadi, e sembrava che finalmente avessero medato il loro suono, tra angeli, demoni, rock, melodie eteree, voci cambiate e le ribellioni ora interne ed adulte di Dave.
*
Backstage del Rock am Ring, Germania, 2006
*
“Dio buono che freddo!!”, inveì Dave, dopo il concerto, battendo ancora i denti; era vestito come nel video di Precious, e vi erano stati problemi col clima, ma avevano tenuto duro fino all’ultimo: il Rock am ring era un palco eccezionale, uno dei festival rock europei che più amava Dave, e ormai Dave aveva un peso eccezionale nel gruppo, dopo il suo exploit da solista e anche come autore.
I fans avevano dimostrato di gradire non solo il singolo, ma anche l’eccezionale Nothing’s impossible, che aveva gareggiato pari pari come singolo, con Jhon the Revelator, ma ormai la direzione dell’angelologia di Martin aveva preso l’abbrivio e nessuno l’aveva fermato.
Fletch l’aveva sfottuto, perché era dovuto rimanere, seppure meno degli altri, in pelle ed impermeabili, vestito, quasi per miracolo, per fuggire all’ibernazione tedesca, ma Dave si era divertito, anche se ormai incarnava un altro stereotipo, dopo quello della rockstar maledetta e drogata; il clichè del cantante primadonna, sul quale fondoschiena si fondava mezzo nuovo pubblico, anche ragazzine giovani ‘attirate dai Depeche Mode’, dalla ritrovata avvenenza di Dave e dalle sonorità in voga di ‘Precious’ e ‘A pain that I’m used to’.
Mart entrò un attimo dopo, fregandosi le mani dal freddo.
“Boia miseria, non andrò mai a nord di Berlino, neanche per registrare!”
“Per uno di Basildon sembra una bestemmia, Mart!”, lo seguì pigramente Fletch, togliendosi l’impermeabile; non scordavano mai le loro origini, vicino a Londra ma non troppo…
In un brutto posto.
Dave era l’unico emigrato, in fondo, nella loro giovinezza; lui era andato a studiare a Londra, e di Londra era…
“…data?”
“Terra chiama David Gahan!”
Dave si scosse, ancora intirizzita, attaccato alla stufetta a tutto calore del camerino, ed ancora tutto vestito, e tento di attaccarsi alla fine di calore, lamentandosi.
“Non lo so, non so quale sia la prossima data, ma prego vi sia caldo!”, gemette.
Probabilmente era l’unica data del tour in cui non si era spogliato, mandando in visibilio mezzo pubblico, ed era stato anche bloccato nelle sue solite mosse dalla frustrazione: Dio!,la verità è che adorava la fisicità del live, l’aveva sviscerata e coperta con il Live Monster, e si sentiva quasi accusato, quando Fletch lo prendeva benevolmente in giro con l’ormai consueta frase ‘questo tour si sta fondando sul tuo culo, ormai!’, perché è vero, adorava il ritmo, adorava scatenarsi, ma era anche diventato profondamente professionale.
Martin prese una lista, bevendo una cioccolata calda al rum, e sospirò: un’altra data in Germania.
La troupe di MTV girellava per il backstage, e loro si stavano riprendendo: la data era in diretta, e maledivano il cattivo tempo per non aver potuto fare una scaletta più aggressiva, ma avevano recuperato perle come Photographic, che non suonavano da anni, ed avevano dovuto saltare nel concerto di Milano.
Photographic, con… Vince.
Dave, prima di uscire a chiacchierare con qualche noto balordo di MTV, si appoggiò alla porta del camerino, stanco ma soddisfatto.
Avrebbe preteso sempre di più, sempre di più, anche e specialmente nel prossimo album ,se le cose si stavano mettendo così bene; era stanco di giocare al sex symbol. Davvero stanco.
Ciononostante, quella era la ‘RINASCITA’ vera dei Depeche Mode, non ULTRA, ma PLAYING the ANGEL, nel quale avevano avuto il coraggio di cambiare sound e fare passi indietro, invece di spingersi avanti ormai inutilmente.
Il loro tour era quasi alla fine, ed era stato trionfale.
Da almeno un decennio e più non avevano avuto un tour trionfale.
E Dave si sentiva quasi soddisfatto, e finalmente col cuore più leggero e finalmente caldo, dopo l’intirizzimento del palco, quando si rivolse ai compagni.
“Siamo tornati, ragazzi. I Depeche Mode sono in pista…”
*
2009
*
Avrebbe dovuto ricordarsene, di quelle parole, pronunciate sull'onda dell'entusiasmodi un tour che eguagliava quasi il Devotional, come calore e passione...
Ma no.
NIENTE sarebbe stato come il Devotional, e non avrebbe mai dovuto pensarlo, mai, mai scordare cosa avevano passato e lasciarsi i cattivi lidi alle spalle, ma ricordarsene sempre.
Prima di altre idee avventate. 

Prima che la critica facesse a pezzi SOUND OF THE UNIVERSE.
Ma non se n’erano resi conto, ed erano diventati quello che ormai erano…
ARTISTI PER LE MASSE.
Le masse li volevano, li bramavano, li cercavano.
Ed avevano fatto a pezzi il loro disco.
Il Devotional deteneva ancora il primato di farli a pezzi, non appena veniva nominato, e Dave iniziava ad odiare quel tour quasi quanto odiava internet.

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Capitolo 13
*** Waiting for the night ***


ATTENZIONE, CAPITOLO PER NOSTALGICI
 
…AND WHEN I SQUINTED 
THE WORLD SEEMED ROSE-TINTED
AND ANGELS APPEARED TO DESCEND
TO MY SURPRISE
WITH HALF-CLOSED EYES
THINGS LOOKED BETTER
THAN WHEN THEY WERE OPEN…
 
(Waiting for the night-Depeche Mode)
 
 
 
L’ossessione di Martin per angeli, creature angeliche, lotta sacrale tra bene e male, fosse amorosa, lussuriosa o spirituale, negli anni non solo era diventata una vera ossessione, ma persino un’ossessione che aveva pagato bene. 
I suoi testi, proprio perché così semplici, ma martellanti ed efficaci, erano entrati in milioni e milioni di persone, quanto la loro musica invece si faceva sempre più stratificata.
La loro vita piano piano si faceva sempre più stratificata.
Prima c’era Vince, ed erano ragazzini.
Poi Vince, con Martin, aveva partorito ‘SPEAK AND SPELL’, ma Vince se n’era andato, e tutto era cambiato. 
Martin non aveva assolutamente cambiato idea, ma avevano preso Alan, all’inizio solo perché era il più bravo ed il più adatto a stare con loro, e poi, per quelle strane cose che succedevano spesso senza dirle, perché parlavano spesso, ridevano, chiacchieravano, se la godevano e se la passavano male per tutti quando andava male, senza che nessuno dicesse niente, Alan era entrato nel gruppo; Dave ricordava ancora chiaramente come Fletch fosse stato il più entusiasta del suo arrivo, e lui il più felice della sua permanenza, visto ormai sentiva una pellicola a staccarlo da Basildon: lui era stato a Londra, nella scena punk, aveva conosciuto Jhonny Rotten, Boy George, e si trovava bene con un musicista di Londra, e sebbene Alan avesse tre anni più di lui e una formazione classica che nessuno di loro aveva, all’inizio (ma anche dopo, ricordava, con rimpianto… molto a lungo, anzi…) non si tirava indietro certo indietro quando c’erano da fare certe sghignazzate sui capelli di Martin o la volta che voleva affogare proprio lui, Dave, quando gli aveva bruciato quella ridicola sciarpa.
Un accendino, un po’ di benzina, Alan distratto da Martin, e addio ridicola, stupida sciarpa sempre penzolante…
E ne aveva rischiate davvero tante quella volta!
Poi erano arrivate le giacche di pelle, le ragazze, gli esperimenti con i capelli, Berlino, le Emulator, le chitarre vere, la batteria, i divorzi, la droga…
In un decennio erano stato in grado di bruciarsi più velocemente e più distruttivamente di qualsiasi band. 
Ma quel giorno, Dave, mentre se ne stava a NON leggere le recensioni su SOUND OF THE UNIVERSE, ben sapendo cosa dicessero, voleva solo ricordare le cose belle, piacevoli, che affioravano come blocchi di ghiaccio da un passato che ormai sembrava solo melma maleodorante che aveva coperto quel decennio affascinante che era la loro vera prima carriera.
Quando non erano costretti a bissare ogni album, né quando il mondo si aspettava Dio solo sa cosa da loro, bensì quando erano una novità, abbastanza di nicchia per essere creduti, abbastanza poppy per essere passati da qualche parte.
Quando erano giovani, e probabilmente stupidi.
Ma, come insegnava anche quel film, Matrix, non sempre l’ignoranza è un male.
A lui, la conoscenza, aveva colpito molto duro.
E non voleva nemmeno pensarci. 
Non quel giorno.
*
“Oh, Dave, congratulazioni, sapessi quanto sono felice, quanto sono commossa, quanto voglio bene a te e a Joanna, quanto…”
“Jeri...Alan, che diavolo sta dicendo?”
“Ha sognato che Joanna era incinta, distoglila dall’idea, tu…”, brontolò il suo amico, provando a districarsi i capelli.
“Oh sì, sai che io sono molto…portata per queste cose psicologiche, Dave, e raramente mi sbaglio, vedrai che…”
“Jeri,per favore… mi stai inquietando!”, rise Dave, liberandosi la mano dalla fidanzata di Alan. “Joanna non è incinta!”
“Ed io ti dico di sì, Dave Gahan!”, replicò la donna, con vice stridula, per poi avviarsi da qualche parte, borbottandogli probabilmente maledizioni.
“Uh…Alan?”
“Non ci fare caso. L’altro giorno mi ha detto che discendeva da Atlantide…”,sospirò il tastierista, rassegnato a non potersi pettinare fino alla prossima doccia. “Sente il tempo. E’ metereopatica. Ed averla portata in tour non le fa bene.”
Dave osservò l’amico perplesso, un attimo.
“Io dico che è meteoPSICOPATICA.”
Alan si voltò, sorpreso e anche un po’ arrabbiato, tanto che Dave quella volta pensava di averla detta grossa.
Era pur sempre la sua ragazza, che diavolo… 
Se non contavano le groupies che sperava di tenere alla larga, almeno in quelle poche date in Germania, per la promozione di SINGLES 81\85.
Ecco, se avesse provato a tirargli un pugno, gli avrebbe tirato fuori la storia delle groupies.
Bravo, Dave!
…e se anche lui avesse tirato fuori quella storia con Joanna?
Ma Alan si appoggiò allo specchio, pensieroso.
“Meteopsicopatica? Mah, può essere… certo è un tipo particolare…”
“…non tenti neanche di scazzottarmi?”
“Aspetto che tu cresca mentalmente, caro. Cavolo… io pensavo di sposarla…”
“COSA?!?”
“…Dave, tu hai tre anni meno di me e sei già sposato… devo pensarci anche io, in fondo, no?”
“…con la discendente di Atlantide. Le mie felicitazioni, Alan. Tu sì che sai come sceglierti le donne!Preferivo quella groupie tettona di Amburgo,che dicevi che sapeva fare quel…”
“OH, MA VATTENE!!!”, e Dave fece appena in tempo a scansare una spazzola e filarsela, venendo di nuovo riassalito da Jeri, che ora sosteneva di vedere ANCHE la reazione di Joanna, tra una settimana… 
E Martin e Fletch, informati dalla Cassandra di turno, gli ridevano dietro, fingendo le loro congratulazioni, finchè Alan uscì, bestemmiante, e trascinò via la sua ragazza, che ancora parlava.
*
Beh una settimana dopo aveva scoperto che Joanna aspettava Jack. Il SUO Jack.
Presentare le sue scuse ed un mazzo di fiori a Jeri non era stato facile, specie sotto il ghigno di tutti, in primis Alan.
Ma aveva ingoiato e l’aveva fatto.
*
“Fai qualcosa, per favore, non puoi stare impalato!”
“Ehr…cosa dovrei fare?”
“Dave…vai a dargli una mano…”
“Anton, ma io non so cosa deve fare!”
“PER DIO, MA CON CHE REGISTI AVETE LAVORATO FINORA?! NO, NON DIRMELO, NON VOGLIO SAPERLO!,FAI MUOVERE QUELLO STOCCAFISSO DEL TUO COLLEGA O DOVRò TIRARGLI UN SUPPORTO DI UNA VIDEOCAMERA! ALAAAAAAANNN, INSOMMA, FAI DUE PASSI, ECCO, SIEDITI, TAMBURELLA, SPORGITI, OH, FINALMENTE!!”
“Co…così?”
“SI’!! FAI PER GUARDARE LA STRADA, Sì, SPORGITI DALLA BALAUSTRA DOVE SEI SEDUTO…”
Anton si era persino messo a urlare con le mani a coppa, per farsi sentire, mentre gli altri ridevano come pazzi, e Alan avrebbe preferito essere nel deserto del Gobi, piuttosto che protagonista di un video.
E del loro PRIMO video con Anton Corbijn, un marchio che l’avrebbe perseguitato per sempre, visto che a quanto pare lo stava facendo fallire!
“ECCO, SPORGITI, COSì! LA MOTO STA PER ARRIVARE!”
“…io non vedo moto…”
Ed a quella risposta, Dave si sdraiò letteralmente per terra, con grande disperazione dell’olandese, che aveva penato per farlo truccare e non vestire da cretino!
“Ahahahahaahah, immaginazione dove sei?!, gliene regalerò un po’ per il compleanno, ahahahah!!”
“Ahahahah, è passato giugno, ormai dobbiamo aspettare il prossimo!”,gli fece eco Martin, che lo raggiunse nella polvere, schiattando ormai dal male alla pancia dal ridere.
“27 anni di vita sprecati senza immaginazione, che disastro!!”, si fece sentire Fletch, anch’esso vicino al collasso, con le lacrime agli occhi.
Anton si facepalmizzò e tentò di fulminare il povero Alan, seduto in equilibrio precario sulla balaustra, e si fece sentire, stentoreo.
“LI SENTI COME RIDONO?! ECCO!! IO PIANGO, INVECE!! COS’è QUELLA FACCIA, TI ANNOI? GUARDA VERSO L’ORRIZONTE FAI…FAI FINTA, SANTIDDIO, CHE STIA ARRIVANDO UNA MOTO!! SPORGITI!!”
“Ehm….”
“HO-DETTO-DI-SPORGERTIIIIIII!!”
“Ok, ok, non c’è bisogno di arrabbiarsi!!”, si irritò Alan, che si rimise seduto su quella che chiamava la ‘Casa degli Orrori’, e si mise una mano a fare fronte al sole, e poi si girò a guardare i colleghi, che ormai si erano accomodati, belli impolverati, per terra a ridere di lui.
“…ma quanto…QUANTO SIETE STRONZI!!”,e finalmente si sporse, per urlare contro di loro.
Troppo.
“A…AIUTO!!”
E cadde dalla ringhiera come un corpo morto cadde.
Dritto nel cespuglio di sotto.
Ed Anton Corbijn mandò al diavolo tutto, e bestemmiando fortemente in olandese, decise di passare alla scena successiva, mentre gli altri tre ormai avevano male ovunque a forza di ridere, e Alan tentava di tirarsi su dai cespugli.
Primo video con Anton Corbijn.
Almeno 3 giorni di riprese, due solo per le pochissime scene di Alan, che Anton malediceva ancora di aver raccattato al tavolo della colazione, mentre gli altri dormivano beati dopo lo show della sera prima.
*
“Ricordami di non riprenderti mai più, se non in SFONDO, per un video, Alan Wilder!!!”
“Lo giuro, Anton!”
*
“Cosa abbiamo fatto con questo show?”
“Non ne sono sicuro… Ora andiamo a casa.”, sospirò Dave, dopo il 101.
“Abbiamo sfondato, Dave.”, lo rassicurò Martin.
“Quella è la mia paura…”, annuì, sconfortato, Dave.
“Non possiamo arrivare più di così. E non fraintendermi, è stata una cosa bellissima. Bellissima. Ma non si ripeterà più.”
“Certo, purtroppo certe cose restano uniche, ma è un bene, Dave, sennò sai che noia?”
“Mart?”
“Dimmi, Dave.
“Veramente, in quel locale, a Basildon, Vince mi volle per la mia cover di Heroes?”
“Eh?!Ma no?!Siamo pazzi?! Vince ti voleva per la tua presenza scenica…”
“….grazie Martin.”
*
Nell’altro camerino, Fletch e Alan litigavano, invece, come da molto capitava.
“Io mi chiedo COSA, in nome di Dio, dovresti sapere TU di prestazioni vocali, visto ti limiti a spingere un bottone, fare clap clap con le mani e avere un microfono SPENTO!!”
E Fletch, ovviamente, si stava arrabbiando.
“Stai calmo, Alan, che non è serata, siamo stanchi, nervosi, e lo show è stato massacrante e non ci..non MI servi tu a farmi incazzare di più!!”,ringhiò.
“Non sto certo a farti saltare i nervi, ma TU che parli di musica mi sembra un’eresia bella e buona, lasciatelo dire!”
“IO non mi lascio dire un cazzo, visto questo gruppo l’ho fondato io, e tu…”
“…sono arrivato dopo, certo, ma almeno non scuoto un synth bass giocattolo!!La voce di Dave risaltava benissimo,ed IO LE ORECCHIE CE LE HO!!”
“…se non la smetti avrai anche un occhio nero, dico io!!”
“…vuoi botte, Andy?! Perché se vuoi botte ti accontento!!”
“Oh…ok, magari la facciamo finita una volta per tutte!!”
*
Uno tra i tanti, troppi litigi, che forse li avevano fatti finire.
Quella sera era troppo sconvolto e distrutto per ricordarsi chi le aveva date, chi le aveva prese, e se veramente se le erano date. 
Aveva Jack, da accudire.
*
“Cos’è questa roba, hai detto?”
“E’ E, ecstasy, amico mio… ti aiuta a sentire la musica!”
“..sì, l’ho sentito. Ma…come?”
“Devi solo provarla. Proooovarlaaaaaa!! Oh, ma non si sente un cazzo! Senti che suoni interessanti dal quel salotto…”
All’Hacienda di Manchester.
MaDchester.
La culla della nuova classe lavoratrice che voleva ballare.
Dave cercò gli amici, non li vide, alzò le spalle e buttò giù.
*
“Disco spartiacque! Primo vero simbolo degli anni ’90! Ma le sentite queste cose?!”
“Ce le stai urlando nelle orecchie, Mart, ovvio che sentiamo.”
Violator.
Ovvio.
“…arrangiamenti superbi… QUESTO è mio!”, si accaparrò NME Alan, tronfio come non mai.
“…melodie mai sentite… QUESTO è mio, semmai!”, glielo strappò di mano Martin, ridendo.
“Vai a svegliare Dave, piuttosto… dobbiamo partire e non ha neanche fatto colazione!”
“Oh, agli ordini MYLADY!,ma poi voglio tutta la recensione e le sviolinate su Enjoy the Silence! Me le merito!”
“Ok, vaffanculo, vai!”, lo sventagliò via Mart, ridendo.
*
“Dave?”
“Oh…sì…mi ero…riaddormentato…”,e sorrise stupidamente all’amico, con la solita barba malrasata e gli occhiali da sole. 
Fatto perso.
“Ti stiamo aspettando, di sotto.”, tentò di rimanere tranquillo Alan, mentre Dave barcollava fuori dal letto e sbatteva contro l’armadio.
“Eh…dammi solo un momento, dai… un solo…”
“Dave…”
“…fatti una striscia, se ti và, io devo solo… solo… BLUUUURP, VIAAAA!!”
Mentre Dave vomitava, Alan si avvicinò sospettoso alla scrivania, e vide l’imponente striscia sulla scrivania, toccandola con un dito e assangiandola con la punta della lingua, storcendo poi il naso.
Cazzo.
Ero.
In un momento prese la decisione, mentre Dave riprendeva fiato, vicino al wc.
“Spostati.”,disse, con voce ruvida e anche ispessita, dal vedere il suo amico ad un passo dal perdere il raziocinio.
“Cos… cosa fai?!”
“LA BUTTO!!!”,e non interpose tempo tra l’azione e le parole, facendo correre l’acqua, mentre Dave lo guardava ancora inebetito.
“COS’HAI DA GUARDARMI!?! VUOI AMMAZZARTI?!?”
“N…no. Non lo farò più, ti giuro… Era… era la prima volta. E sto malissimo.”
“Meglio per te. Ed ora fatti una doccia e scendi. Ti aspettiamo.”, disse Alan, più brusco di quel che volesse.
*
Che Dave mentisse, lo sapevano entrambi.
QUANTO mentisse, non lo sapeva nessuno.
*
“Perché siamo qui, eh?!”, si lamentava Dave.
“Quei colori sono copiati dai progetti del Devotional…”, fece eco Alan.
Flood sbuffò, ancora una volta, roteando gli occhi verso il cielo.
Erano allo Zootv Outside Broadcast a Madrid, il tour di Achtung Baby degli U2, e sperava che una serata fuori distraesse almeno quei due, oltre che, per sua soddisfazione, controllare il suono live dell’altra sua live protetta, e si limitò a liquidarli con un paio di brutali spiegazioni.
“Siamo QUI, DAVE,perché TU NON TI FACCIA ALMENO STASERA, anche se ne ho i miei seri dubbi, E siamo QUI,ALAN, perché TU non TI FACCIA RISUCCHIARE IL CERVELLO DALLA PARANOIA, e come hai detto tu stesso, il Devotional è ancora in fase di progettazione, e perciò semmai qualcuno potrebbe accusare VOI di copiare da LORO!”,e Flood si chiuse in un silenzio imbronciato, sulle note di chiusura di Zoostation.
“Io?!Farmi!? Io tiro qualcosa ogni tanto, ma non sono mica…”
“Ceeeerto, ora verrà fuori che NOI abbiamo copiato da loro!,a-ah, Mark*, se era una barzelletta non fa ridere, sai!! “
Ed andarono avanti così per mezzo show, finchè Flood si alzò, dai loro posti v.i.p, e urlò loro addosso, lasciandoli nello stadio.
“OCHE!! SIETE DELLE OCHE!! STUPIDE PRIMEDONNE SENZA UN MINIMO CERVELLO!! INVIDIOSI, ANSIOSI DI SFIGURARE, QUEL DISCO VI STA MANDANDO IN PAPPA QUELLA POCA MATERIA GRIGIA CHE AVEVATE!! IL DISCO, LA DROGA, LA PARANOIA… MA ANDATE A FANCULO! GRAZIE PER AVERMI ROVINATO LO SPETTACOLO!! CI VEDIAMO A CASA!!”
E se ne andò.
I due Depeche Mode se ne stettero in silenzio, durante Lemon, e poi Dave levò timidamente una voce.
“Alan…?”
“Che c’è?”, grugnì l’amico, imbronciato.
“E’ un bel concerto, comunque.”
“Già…”, convenne Alan, sciogliendosi un attimo.
Rilassò i muscoli, rigidi per la tensione, e poi incrociò lo sguardo con Dave, un po’ annebbiato ma non troppo.
“E’ proprio un bel baraccone. E Bono sembra gay più che un diavolo. Mr. McPhisto. Ma che diavolo si è messo in testa…”
“Corna, Alan.”
“Beh… è una bella trovata! Ed è un bel concerto. Un GRAN concerto!”
E Dave sogghignò, incrociandone gli occhi.
“E noi…”
“…l’abbiamo fatto perdere a Flood.”
E si trovarono abbracciati ad ululare risate alla luna madrilena, mentre Bono ogni tanto li fissava incuriositi, nel suo vestito di lamè dorato.
*
C’erano momento anche durante la lavorazione di Sofad in cui riuscivano ancora tutti a ridere,
A ridere veramente.
Non come ora, che rideva sonoramente, mentre la critica faceva a pezzi SOUND OF THE UNIVERSE.
PRETENZIOSO.
Pretenzioso era l’aggettivo più usato.
FALSO.
SLEGATO.
INCOERENTE.
INUTILE.
Quello faceva male
Molto male.
Non era più ai tempi in cui poteva mettersi le mani sulle orecchie, fumarsi una sigaretta, ed aspettare la notte, con i suoi amici.
I Depeche Mode non erano quelli che ricordava.
Erano quelli che vivevano a centinaia di miglia di distanza tra di loro e si sentivano per registrazioni, sessioni in studio, e e-mail (nel suo caso sms; Martin non riusciva a fargli togliere quel viziaccio.)
E proprio quel pensiero gli fece estrarre il telefonino.
Poche parole, ma era passato il tempo di parlare tanto.
Era il momento di ridere un altro po’.
Di rivedere i Depeche Mode
“Ciao. Ti và di suonare con noi, una sera, alla Royal Albert Hall per una serata in beneficenza contro i tumori in fase adolescenziale?Rispondi.”
Dietro ogni mossa di Dave Gahan, se lasciato solo, non ci erano certo movenze di marketing.
Anche se poi l'avrebbero certamente presa così, ma come diceva un suo amico, entrando in un bar, all'uscita di Violator....
"Mi hanno chiamato checca 20 volte almeno, da stamattina, ma che hanno? AAAAHH SI FOTTANO TUTTI!!"


Un piccolo appunto; è finita, non è sempre andata come vorrebbe, ma io credo ai dettati del Maestro King... 
Lo ripeto per ogni storia che scrivo.
Quando inizia una storia, essa vive poi di vita propria: questo è il bello e il brutto di scrivere. 
A volte resti anche male di quello che scrivi.
Ho scritto questa 'storia' o piccola raccolta di momenti, che da slegata è diventata cronologica, notando che nel fandom del mio gruppo preferito (con gli U2, se non si è notato) non vi era neppure una storia con i rapporti della band attorno al fatidico SOFAD e al fatto che prima i Dm erano 4; non è una critica, mi piacciono moltre altre storie, ma pensavo che una, piccolina, ci stesse. Fino al 2010, quando,anche non volute, represse all'istante, o che, le speranze di molti di noi si sono riaccese, fino all'ultima dichiarazione fatale di Fletch (ti odio, sappilo!) in cui Alan Wilder non tornerà mai più.
Ha ragione, sia lui che l'altro, ma penso che tanta gente, come me, ci sia rimasta male. 
Nel frattempo sono successe molte cose, come la Press conference di Parigi, il mio acquisto del biglietto per Roma che ha acuito la mia follia, e tante altre cose, tra cui una mia amica che mi soffiava come Sir Biss nell'orecchio possibilità infinite ed estatiche. 
Bene, visto è più lunga la nota della storia, vi lascio.
Spero la mia spiegzione vi soddisfi.

 

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