THE RAIN IS GONE - The girl reflected in the mirror isn’t me anymore

di 6PinkLady6
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** THE RAIN IS GONE - Parte Prima ***
Capitolo 2: *** THE RAIN IS GONE - Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** THE RAIN IS GONE - Parte Prima ***


Mi scuso per il ritardo ;P 
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«Ritsu, mi stai ascoltando?»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Ti sembra logico sprecare soldi al telefono se poi non mi ascolti?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusa, stavo ripensando a un’esperienza che vorrei non aver mai vissuto.»
Amicizie indissolubili.
«E’ la stessa che ti tormenta da un anno a questa parte? Lo sai che puoi parlarmene, vero?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Sì, ma non è questo il punto. Quest’anno abbiamo gli esami e non voglio distrarti con i miei problemi» disse la ragazza dai capelli castani.
«Siamo amiche, tu devi condividere con me i tuoi problemi. Un anno fa…» iniziò la mora.
«Non parliamone più, ti prego»
«No! Un anno fa quando sei scomparsa, anche se per un giorno solo, io sono morta!»
«Ti ho già chiesto scusa per quello…»
«Poi torni e fai come se nulla fosse successo! Inizi a comportarti in modo più strano del solito e quando ti chiedo cos’è accaduto, mi rispondi “niente”!»
«Non capisci che voglio solo dimenticare?!»
«Non ti avranno stuprata?» chiese sottovoce la mora.
«Ma che dici Sawa!» rispose disgustata Ritsu.
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«E’ solo che…» continuò, «da quando sono tornata, mi sento vuota…»
Futuri incerti.
«Come se una parte di me fosse rimasta in quel dannato posto.»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Devo assolutamente fare qualcosa per riappropriarmi della mia vita.»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Cosa intendi?»
«Non capisci? Non posso vivere la mia vita passivamente! Né però posso viverla felice e contenta sapendo quello che ho combinato!» urlò nel microfono. «Devo porre rimedio ai miei sbagli» disse chiudendo la comunicazione.
 «Ritsu!» gridò Sawa correndo.

Erano le 7:45 del mattino di una giornata primaverile e due amiche si stavano avviando tranquillamente verso scuola. “Tranquillamente”… La prima dovette correre per raggiungere l’altra. Erano al quinto anno del liceo linguistico e ogni giorno dovevano portarsi dietro un vocabolario pesante come un mattone, quindi non è facile immaginarsi una delle due correre tranquillamente lungo una strada piena di buche e in discesa.
«Ciao Sawa» salutò Ritsu.
«Ti hanno picchiata?!» esclamò l’amica.
«Non ho dormito» rispose fiacca.
«Siamo in due allora.»
Proseguirono in silenzio per il mezzo chilometro che separava la stazione dalla scuola, poi Sawa non poté più trattenersi: «Senti, riguardo quello che hai detto ieri…»
«Non iniziare già di prima mattina…»
«Ma è a causa di quello che non ho chiuso occhio! Me lo devi» tagliò corto.
«E io che pensavo avessi fatto nottata per studiare per il test della quinta ora…»
«Cavolo il test!»
«Sapevo che l’avevi dimenticato. Ecco perché non volevo dirti nulla»
«Ma tu ancora non mi hai detto nulla!» esclamò irritata.
«Dovrai attendere la fine di scuola» disse Ritsu.
«Non puoi farmi morire d’angoscia fino a giugno!» protestò.
«Intendevo la fine di scuola di questa giornata» puntualizzò dandole un buffetto sulla guancia.
La mattinata passò in fretta e alla fine il professore che avrebbe dovuto tenere la verifica in classe si assentò. Durante la pausa delle undici, Sawa cercò di far sputare il rospo all’amica, senza alcun risultato però; insisteva tanto perché era preoccupata, ma anche perché era curiosa e non sopportava l’idea che Ritsu avesse dei segreti, o che non la tenesse in considerazione. Dopo essere state insieme sia alle elementari che alle medie, e ora alle superiori, non poteva credere che la loro amicizia si fosse affievolita. Aveva visto così tanti lati del carattere di Ritsu che ormai niente la sorprendeva, ma dall’incidente dell’anno precedente, non la riconosceva più. Aveva sempre avuto delle giornate no, in cui non parlava e scoppiava a piangere per un nonnulla, ma la maggior parte delle volte era solare e sempre pronta a regalare un sorriso a chi le stava intorno. Ultimamente però guardava sempre nel vuoto con occhi spenti, il suo sorriso si vedeva solo in foto e quando le si stava vicini, si veniva contagiati dal suo sconforto. Più di ogni altra cosa al mondo, Sawa voleva conoscere il motivo della sua depressione per poterle essere d’aiuto, così da ridonarle il buon’umore.
«Allora?» chiese Sawa appena fuori scuola. «Cosa ti è successo l’anno scorso?»
«Perché ho smesso le lezioni di piano…» si rammaricò Ritsu alzando gli occhi al cielo.
«Ti piacerebbe poter scappare con quella scusa come ai vecchi tempi, eh?»
Appena riapparve dal nulla, Ritsu mise in chiaro le cose con Sarah, la sua ex insegnante di piano, la quale si rifiutò di insegnare a una ragazza maleducata che faceva sempre tardi alle lezioni. Da allora Ritsu decise di abbandonare definitivamente la musica, la sua vera passione: coprì il piano con un lenzuolo e lo fece portare nello scantinato di casa sua, si dedicò anima e corpo allo studio delle lingue scolastiche e rese orgogliosi i genitori.
«Se ti va di accompagnarmi a casa, ti racconto tutto» disse Ritsu con voce triste.
«Ero già pronta a farlo. Sospettavo si trattasse di una storia abbastanza lunga…»
Si avviarono verso la stazione in tutta calma.

«Allora…» iniziò Ritsu, prendendo un bel respiro. «Ti ricordi quel ragazzo moro con gli occhi verdi che mi venne addosso davanti scuola?»
«Chi? Quello alto e robusto? Quel gran bel pezzo di figliuolo?»
«Sì, lui» confermò Ritsu.
«L’ho cercato in tutte le classi, sai? Mi sono stupita quando non l’ho trovato. Deve per forza frequentare un liceo qui intorno, o magari si è già diplomato… in tal caso dovrò estendere l’aria di ricerca» rifletté.
«Non lo troverai. Non abita qui»
«Allora che ci faceva davanti scuola nostra? Aspetta! E tu che ne sai?»
«Cercava me»
«Te l’avevo detto io che era un incontro del destino!» esclamò dandole una pacca sulle spalle.
«E io ti ho già detto che non credo nel destino. Ora per favore fammi parlare. È già difficile di suo, non ti ci mettere anche te»
«Ok, va bene» acconsentì vedendo che l’amica stava davvero facendo fatica nell’affrontare vecchi ricordi.
«Mi seguì fino a casa e mi disse di chiamarsi Huthor… o meglio, Huthor-sama»
Mentre lo disse, aveva l’espressione di chi rievoca un piacevole ricordo, e Sawa non poté non pensare che questo Huthor dovesse essere stato una persona importante nella vita dell’amica.
«Era un principe, il padre stava morendo e presto sarebbe diventato re. Veniva da un pianeta chiamato Shinki. Mi spiegò che questo nome significa “i tre grandi tesori”: la spada, i gioielli e lo specchio. Mi raccontò la triste storia del suo mondo e poi mi ci condusse.»
Fece una pausa per lasciare a Sawa il tempo di elaborare e vedere se aveva domande. Non ne fece, quindi proseguì.
«All’inizio ero terrorizzata, e l’unica cosa che avrei voluto fare era scappare via; ma lungo la strada verso la capitale del suo regno, ho preso confidenza con quello che mi circondava e non sarei mai voluta andare via. Quel posto rispecchia così tanto il mio modo di essere, le mie emozioni…»
Si voltò verso Sawa per vedere la sua reazione a quello che stava dicendo: era piuttosto calma nonostante le stesse parlando di cose surreali. Forse aveva sbagliato a pensare che non le avrebbe creduto.

Quando giunsero alla stazione, Ritsu aveva appena finito di comporre una melodia soave del pianeta dove l’aveva portata Huthor. Si soffermò soprattutto nella descrizione dei luoghi, degli animali che aveva visto, degli oggetti che si trovavano in giro e della gente che lo abitava; parlò dei re e delle regine che aveva conosciuto e di una leggenda che si narra da tempo immemorabile.
Colse la mezz’ora di viaggio in treno per rispondere alle domande e ai dubbi di Sawa. Ogni tanto ancora si domandava se l’amica le credesse del tutto o se stesse prendendo tutto come una barzelletta. Se ci fosse stata lei al suo posto, non avrebbe dato retta a questa storiella da quattro soldi, avrebbe chiamato il manicomio per sapere se c’erano posti liberi, e poi ci avrebbe portato l’amica uscita di senno. Le era grata per questo; per non aver agito come chiunque altro avrebbe fatto.
Scese dal treno, si avviarono per una salita che portava in cima a una collina dove c’erano solo due case: quella di Ritsu e del suo vicino ultra ottantenne.
«Tutto quello che mi hai detto finora, è bello» iniziò Sawa, «ma non credo sia questa la causa del tuo cambiamento, vero?»
«No, non lo è» ammise Ritsu.
«Ha a che fare col fatto che hai sempre parlato di questo Huthor al passato?»
Evidentemente colse nel segno, giacché Ritsu trasalì palesemente e abbassò lo sguardo con un sorriso amaro sul volto.
«È morto?» chiese riluttante.
«Non lo so» sussurrò Ritsu. «L’ultima volta che l’ho visto, era in un mare di sangue»
Sawa si fermò per abbracciarla, ma fu gentilmente scansata.
«Sto bene; davvero» disse riprendendo a camminare. «Ho smesso di piangere da mesi ormai»
«C’entra qualcosa quello che mi hai detto ieri al telefono?»
«Sì. Vieni, passiamo dal retro.»
Erano arrivate davanti al cancello di casa.
«Ma tu non hai un “retro”» disse Sawa.
Aggirarono il muro che circondava la villa e si fermarono davanti a un buco grande come una porta che dava al giardino di Ritsu. Vedendola indecisa, Sawa chiese preoccupata: «Non entriamo?»
«Prima ti ho detto che quel pianeta rispecchia le mie emozioni, ricordi?»
Rispose annuendo e Ritsu proseguì: «In realtà è qualcosa di più grande… Se io sono triste, lì piove; se sono arrabbiata, c’è il temporale… se sono felice, smette di piovere. Capisci ora cosa intendevo ieri sera quando ho detto che devo rimediare ai miei sbagli?»
Iniziò ad armeggiare con il buco, cercando di fare chissà cosa.
«Senti…» iniziò Sawa. «Ti sono stata ad ascoltare finora, ma sei sicura che quel giorno non ti abbiano semplicemente rapita, drogata e derubata, o violentata…» disse titubante. «E nel frattempo, tu hai sognato tutta questa… roba?» chiese incerta su che termine usare alla fine.
«Per quanto tu mi possa essere amica, sapevo che non mi avresti creduto. Ecco perché ti ho portato qui con me» disse indicando il buco. «Come pensi ci si arrivi su Shinki?»
«Sono sicura che neanche esiste»
«L’anno scorso mi è, letteralmente, caduto dal cielo un diamante che poi ha aperto la “porta”, chiamiamola così. Chissà se riesco a farla ricomparire…» disse più a se stessa che a Sawa.
Passarono dieci minuti, poi mezz’ora, un’ora… niente diamante, niente porta. Sawa si stufò e disse che di lì a quindici minuti se ne sarebbe tornata a casa, perché stava morendo di freddo. Essendo primavera, erano uscite di casa, quella mattina, con solo una maglia a mezze maniche. Ora erano le sette passate e stava iniziando ad alzarsi un leggero venticello; diciamo che un giacchetto non avrebbe guastato, né l’avrebbe fatto una bevanda calda…
Vide Ritsu portare le mani alla bocca e la sentì farfugliare qualcosa. Quando le sembrò stesse iniziando a piangere, ci fu un’esplosione luminosa vicino il volto dell’amica.
«Ecco fatto» disse Ritsu asciugandosi le lacrime dagli occhi.
Nel buco del muretto era comparso un velo di sapone. Sawa si avvicinò incuriosita, probabilmente voleva toccarlo.
«Come hai fatto?»
«Come ho fatto a fare cosa?» chiese facendo finta di non capire.
«È stupendo…»
«Sì, come no» rispose Ritsu allontanandosi in gran fretta.
All’improvviso il velo di sapone esplose senza emettere alcun suono. Sawa venne scaraventata a terra, stordita, mentre l’amica si piegava dalle risate. Il velo di sapone si era trasformato in uno specchio d’acqua, un sottile foglio d’acqua. Ritsu andò a toccarlo e invitò Sawa a fare lo stesso.
«Infila la testa e guarda.»
Dopo un momento di esitazione e tenendo la mano dell’amica, Sawa fece come le era stato suggerito. Quello che vide bastò a convincerla che il racconto irreale era vero.
«Va bene ora basta» annunciò Ritsu tirandola verso di sé. «Ti basta come prova?»
Sawa annuì vigorosamente.
«Sono contenta» disse facendo per entrare nello specchio.
«Aspetta!» esclamò fermandola. «Cosa intendi fare?»
«Andare dall’altra parte, cercare Huthor e trovare un modo, che non includa la mia morte, per far smettere di piovere. Come ho detto ieri sera, non posso starmene con le mani in mano, sapendo che lì soffrono per causa mia»
«L-La tua morte?!»
«Non preoccuparti. Se riesco a trovare i miei amici, non permetteranno che accada di nuovo»
«Allora fammi venire con te…» supplicò Sawa.
«Mi dispiace, ma è una cosa che devo fare da sola. E poi mi serve qualcuno qui che copra la mia scomparsa» disse sorridendo debolmente.
Ritsu prese un respiro profondo e passò dall’altra parte. Lo specchio si richiuse dietro di lei, lasciando Sawa al silenzio, in un giardino che non era il suo e con un terribile presentimento nel petto.
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Spero vi sia piaciuto. La seconda e ultima parte arriverà presto (spero)... Abbiate pazienza.

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Capitolo 2
*** THE RAIN IS GONE - Parte Seconda ***


Sono terribilmente dispiaciuta per il ritardo, ma mi si era rotto il computer e ho dovuto comprare un nuovo alimentatore :P La storia è completa, spero vi piaccia. XD
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Tutto era come ricordava: la pioggia cadeva ininterrottamente e si tuffava nel mare che ricopriva interamente la superficie del pianeta, gli alberi diventavano ogni giorno più alti e gli arbusti erano alti come un giocatore di basket. Pensare che sotto tutta quell’acqua dove ora camminava, un tempo c’erano grandi distese fiorite e immensi campi coltivati; c’erano isole, laghi e cascate... Ora nulla di tutto ciò esisteva più. Il bellissimo pianeta che era Shinki, era stato spazzato via e ricoperto da tonnellate d’acqua; acqua caduta dal cielo a causa sua, per colpa dell’io interiore di Ritsu, del suo disgusto per la vita, per la sua vita. E la gente che abitava questo pianeta senza terra ne pagava le conseguenze.
Si guardò intorno per trovare un arbusto che avesse almeno una foglia “piccola” da poter usare come ombrello, ma non ne trovò. “Evidentemente” pensò, “le foglie crescono insieme ai fusti, visto che fino a un anno fa ce n’erano a bizzeffe”. In meno di cinque minuti era bagnata dalla testa ai piedi. Lì intorno era tutto tranquillo e si domandò se su Shinki regnasse già la pace; se così fosse stato il suo ritorno non avrebbe avuto alcun significato. Ritsu credeva seriamente che si stesse combattendo una sanguinosa guerra scoppiata a causa sua, ma evidentemente si sbagliava di grosso; non si sentivano scoppi d’arma da fuoco, spade incrociate o suoni di lotta, perciò pensò che, se c’era davvero una guerra in corso, le varie battaglie stessero avendo luogo in prossimità dei centri abitati.
Era buio pesto, il cielo era coperto dalle nuvole e non c’erano sentieri da seguire in mezzo a tutta quella vegetazione. Ben presto si accorse di essersi persa e decise di aspettare la luce del giorno per riprendere a camminare. Nonostante fosse tutta bagnata, le faceva impressione distendersi sull’acqua; quindi strappò una foglia grande più o meno come lei, la posò a terra e ci si rannicchiò sopra. Si addormentò pensando che presto avrebbe rivisto Huthor, ma il sogno che fece non fu altrettanto piacevole. Sognò che Sheen, la città dove abitava il suo amico, era stata bruciata e rasa al suolo, i cittadini che vi abitavano erano stati fatti prigionieri e lui ucciso davanti la folla. Quando si svegliò, aveva le palpitazioni e non riusciva a respirare. La pioggia era aumentata d’intensità e, sentendola cadere sul viso, rifletté che il sogno che aveva fatto era alquanto irreale, perché non si sarebbe mai potuto accendere un fuoco con tutta quell’acqua. Questo pensiero la sollevò, ma la fece sentire anche un’idiota per non averci pensato prima e per essersi lasciata sopraffare da un misero sogno. Si alzò e, vedendo la foglia dove aveva dormito piena d’acqua, capì che avrebbe fatto meglio a dormire per terra: tanto, acqua per acqua... Il sole era già sorto, pallido fra le nuvole, e gli uccelli uscivano dai nidi per salutarlo. Uno stormo di piccoli pennuti multicolore si fermò a osservare Ritsu e, riconoscendo la ragazza, le volarono intorno un paio di volte per poi andarsene canticchiando un dolce motivetto come regalo di bentornato.
Si rimise in cammino anche se non sapeva dove stava andando. Di tanto in tanto, un uccellino solitario, o uno stormo di uccelli grandi come pellicani, usciva allo scoperto per volarle accanto e farle compagnia per una decina di metri, poi volava lontano; e quando non era un volatile, era un qualche strano animale che faceva capolino dall’albero al quale era aggrappato.
Camminò quasi tutto il giorno, le gambe non la reggevano più, aveva dovuto abbandonare le scarpe da qualche parte verso l’ora di pranzo (o almeno credeva fosse intorno quell’ora), perché erano piene d’acqua, e stava morendo di fame. Si sarebbe mangiata di tutto: se solo un altro uccello le si fosse avvicinato, lo avrebbe scannato, spennato e mangiato con tutte le ossa; avrebbe perfino divorato una tavola piena solo di frutta e verdura – alimenti che non erano mai stati di suo gradimento, giorni in ospedale a parte. Si fermò per una sosta e si distese a terra. Gli occhi le si chiusero da soli e non aveva più la forza necessaria per rialzarsi. Credeva che sarebbe morta lì, senza aver scoperto se Huthor era vivo e che nessuno avrebbe mai saputo il motivo della sua morte, quando udì la voce sprezzante di una ragazza-regina che non avrebbe mai ammesso di esserle amica.
«Ero certa di trovarti qui intorno» disse un’adolescente dai lunghi riccioli biondi che le ricadevano ribelli lungo la schiena.
Era più alta di Ritsu, non aveva né ombrello né foglia per ripararsi dalla pioggia e il suo lungo vestito grigio a collo alto aveva la gonna strappata all’altezza delle ginocchia.
«Mìriel» sussurrò Ritsu sorridendo senza energia e cercando di tenere gli occhi aperti.
La regina si raggomitolò accanto alla sua testa e la guardò intensamente negli occhi.
«Sapevo che eri pazza, inaffidabile, incosciente, infelice, sfortunata, arida...»
Il sorriso sul volto di Ritsu scomparve lentamente man mano che sentiva le parole uscire dalla bocca della sua “amica”.
«... assassina, suicida, credulona, sognatrice, una ragazza che non si accontenta mai di quello che ha, ma che vede sempre prima il bicchiere mezzo pieno e che crede di non aver ancora trovato il suo posto nell’universo» concluse alzandosi. «Ma non credevo avessi un così pessimo senso dell’orientamento» disse, sorridendo, aiutando Ritsu a rimettersi in piedi.
La foresta era praticamente finita e, dietro gli ultimi due alberi e dieci arbusti, c’era Sheen. Mìriel mise un braccio intorno a Ritsu e s’incamminarono verso casa di Huthor.
«Che ci fai qui?» chiese Ritsu.
«Questo te lo dovrei chiedere io. Ti avevamo riportata al sicuro e tu torni qui?» chiese con sarcasmo. «Aspetta un attimo. Chi ti ha aperto lo specchio?»
«Eh eh» sorrise passandosi la mano dietro la testa. Poi disse seria: «Non lo so neanche io»
«Sei senza speranza.»
Lungo il breve tragitto che le separava dal “palazzo”, Mìriel ebbe giusto il tempo di fare un resoconto veloce degli ultimi sviluppi che riguardavano Shinki. Disse che, da quando l’avevano fatta tornare a casa, si erano create due alleanze che lottavano per “decidere” se uccidere o meno la Ragazza della Pioggia: la prima era quella fra il regno Humblehail, governato da Yujin Draghum – che un anno prima si era alleato con Huthor per uccidere Ritsu in modo da far smettere la pioggia, e il regno Waterspout - governato dal re Xefhil Tumble. La seconda alleanza era fra il regno Gloomy - governato da Mìriel, il regno Drosera - governato dalla regina Indìl O'Colour, e dalla moglie del re Yujin, Xalh'a. Curioso il fatto che tutti i sovrani dei cinque regni avessero più o meno la stessa età: Huthor e Mìriel adolescenti, Xefhil e Indìl ventenni, Yujin e la moglie trentenni. Ma la cosa che, più di tutte, preoccupò Ritsu fu il fatto che Mìriel non nominò neanche di sfuggita Huthor e che, quando provava a chiederle qualcosa a riguardo, trovava il modo di cambiare discorso.

I cittadini di Sheen sembravano essere aumentati, ma forse perché avevano scelto il regno Serene come base per l’alleanza “No Killing” e vi si erano trasferiti gli abitanti di Gloomy, Drosera e i seguaci della regina Xalh’a. Nessuno venne ad accoglierle come fecero con Huthor un anno addietro, e Ritsu ci rimase male; ma non poteva biasimarli: neanche lei avrebbe accolto a braccia aperte l’assassino del suo ex-futuro re.
La casa di Huthor non era cambiata di una virgola, somigliava ancora alla sua solitaria villa sulla collina. Davanti la doppia porta con le maniglie in cristallo, le fu chiesto di ‘sbrigarsi ad aprire’, dato che Mìriel era impegnata a reggerla in piedi, ma non ne aveva il coraggio. Era arrivata su Shinki con l’idea di scoprire se Huthor fosse sopravvissuto, di abbracciarlo come aveva fatto lui prima di firmarsi la condanna a morte e di varcare nuovamente quella doppia porta. Si era preparata mentalmente per mesi, costringendosi a non piangere, a pensare positivo e a prendere il coraggio necessario per muovere il passo successivo. Ora doveva ricominciare da capo. Le lacrime si spingevano e facevano a botte per uscire, e lei dovette stringere i denti per tenerle a freno; le gambe le tremavano come mai prima d’allora – e non era a causa della fame o della stanchezza; la mano non voleva obbedire al comando più semplice e la mente era improvvisamente vuota. Aveva paura di scoprire un palazzo pieno di domestici, maggiordomi e regine che non aveva mai visto; temeva che, quell’unica presenza che la faceva sentire a casa e al sicuro, mancasse all’appello, o che quel cristallo che rivestiva l’interno della casa fosse diventato freddo in mancanza di un adeguato riscaldamento.
La pioggia diventò una tempesta e Mìriel lasciò la presa su Ritsu per rassicurarla e coccolarla come una madre è solita fare col figlio. La prese per mano e delicatamente aprì la porta. Vide Ritsu impallidire, tremare come una foglia, deglutire più volte e trattenere il respiro. Poi, come per magia, la pioggia cessò per cinque secondi e, in un batter d’occhio, Ritsu riacquistò il suo colorito, un grosso sorriso le illuminò il volto e nuova forza la fece correre verso la fonte di quell’inaspettata energia: Huthor.
Mìriel entrò e richiuse la porta dietro di sé, ci si appoggiò e rimase lì a guardare la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Huthor era seduto su uno dei tanti divani che riempivano il salone e stava discutendo con le regine Indìl e Xalh’a su quale fosse la tattica migliore per mandare a monte i piani dei nemici. Facevano un tale baccano che non si erano neppure accorti che era tornata. Era uno spettacolo guardare loro tre che urlavano in fondo al salotto e Ritsu provare a correre sul cristallo coi piedi bagnati. Fra lei e Huthor c’erano più o meno venti metri, ma la distanza sembrava non accorciarsi mai, era come correre su un tapis-roulant. A un certo punto, ha visto Ritsu fermarsi, diventare rossa dalla rabbia, prepararsi come fa un toro prima di partire all’attacco e... cadere. Si fece tutto il salone in scivolata fin sotto il divano dove stavano “amabilmente” discutendo i tre signori. Mìriel scoppiò a ridere e la servitù, che era occupata in cucina, accorse preoccupata per l’incolumità dei sovrani; ma la cosa più eclatante, che fece uscire lacrime dagli occhi aridi di Mìriel, fu Huthor con le gambe allargate, piegato in avanti, a guardare la testa che non era entrata nello spazio fra il divano e il pavimento, e Ritsu che lo guardava con un sorriso da ebete.
Xalh’a e Indìl si avvicinarono a Mìriel e cercarono di farle riprendere fiato.
«Quando sei tornata?» chiese la prima.
«E chi è quella ragazza?» fece la seconda.
Indìl aveva un vestito lungo di seta azzurra che metteva in risalto i suoi occhi grigi e si mimetizzava con la sua pelle candida, i lunghi capelli color faggio erano raccolti in una coda di cavallo, in modo da far vedere i pendenti di zaffiro che portava ai lobi, e le scarpe con dieci centimetri di tacco la snellivano e le davano un piccolo aiuto per sembrare alta quanto Mìriel. Xalh’a, invece, indossava dei bermuda cachi e una maglia militare; aveva la pelle abbronzata e i capelli corti, ricci e neri.
«Oh Dio, Dio. Uh... Non ho mai riso tanto in vita mia» riprese fiato Mìriel.
«Allora? Chi è?» chiese impaziente Indìl.
«È vero voi non la conoscete di persona. Vi presento la Ragazza della Pioggia»
«Lei?!» esclamarono in coro. «Non pensavo fosse una ragazzina» disse Indìl.
«Da come ne parlava mio marito, me la immaginavo diversa» disse l’altra.
Xalh’a fece per andare da Ritsu, ma Mìriel la fermò.
«Lasciala in pace ora. Pensava che Huthor fosse morto e deve essere stata una grande emozione per lei rivederlo vivo» disse Mìriel.
«Ok ok, ho capito. Lo farò a cena» acconsentì Xalh’a spingendo Indìl in un’altra stanza.

Huthor si alzò dal divano e afferrò Ritsu per i lunghi capelli, la trascinò sul pavimento facendola uscire da sotto il divano e poi la tirò in piedi.
«E lei che ci fa qui? E tu che ci fai qui?»
Chiese burbero, tenendola ancora per i capelli, rivolto prima a Mìriel – che sgattaiolò in una stanza adiacente al salotto, e poi a Ritsu. Quest’ultima aveva una faccia da “sono innocente fino a prova contraria” e Huthor non sapeva come comportarsi.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» chiese sistemandole i capelli.
«Lo so, mi dispiace. Sarei dovuta tornare prima»
«Hai idea del pericolo che hai corso?» continuò lui senza ascoltarla. «Se ti avessero trovato prima Yujin o Xefhil, cos’avresti fatto?»
«Eh eh...» sorrise ingenua. «Beh, non è andata così, quindi...»
«Fortuna che Mìriel ti ha rintracciata immediatamente. Quella ragazza non sarà l’asso delle regine, ma ha una sorta di potere magico per trovarti» disse andandosi a rimettere seduto. «Ti ha detto in che situazione ci troviamo?»
«Mi ha solo raccontato  che ci sono come due team che combattono e che uno vuole uccidermi» disse avvicinandosi a una finestra. «Secondo me... tutto quello che dovete fare è dire che sono morta, nascondermi e finire questa stupida guerra»
«A te la pioggia ha dato al cervello. Hai presente l’altra volta, quando ti ho portata qui e raccontato la storia di Shinki?» chiese gentilmente.
«Certo!» affermò voltandosi.
«E dimmi: ti ricordi anche della leggenda?!» chiese alzando la voce e scattando in piedi.
«Oh...» esclamò Ritsu capendo dove voleva andare a parare.
«Non avrebbe alcun senso nasconderti quando il nemico sa già che sei qui!» sbraitò aprendo la porta d’entrata.
Fuori la pioggia si era indebolita, riducendosi a pioviggine; l’acqua era leggermente increspata e si avvertiva un refolo appena accennato. Uno stormo di uccelli pervinca entrò in casa a grande velocità e volò intorno a Ritsu per poi andarsene fischiando un ritmo vivace. Huthor richiuse la porta facendola sbattere e osservò Ritsu con aria di sfida, battendo il piede e con le braccia incrociate sul petto.
«Sì, ma non è detto che il nemico se ne sia accorto» disse cercando di trovare una scappatoia.
«E come credi ce ne siamo accorti noi
Ritsu cercò di pensare a un modo per controbattere, ma Huthor aveva ragione. Se n’erano sicuramente resi conto. Sapevano che la natura era cambiata, che gli animali si erano svegliati... che era tornata. Questa volta Yujin avrebbe avuto successo là dove aveva fallito l’ultima volta. Non avrebbe sbagliato di nuovo, non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno: l’avrebbe uccisa alla prima occasione. Non sarebbe dovuta tornare.
«Io volevo solo rendermi utile!» urlò Ritsu andandogli incontro. «Sono tornata per far smettere la pioggia... per farla andare via!»
«Ehi calmati» cercò di tranquillizzarla Huthor. «So che le tue intenzioni erano buone»
«Sono tornata per vendicare la tua morte! Sono tornata... Io credevo fossi morto! Quel giorno, quando mi hai abbracciata, ti avrei voluto dire tantissime cose... ma ero paralizzata. E poi tu... ho dato un bracciale a Mìriel dicendole di darlo a te, ma l’ultima cosa che ho visto prima che lo specchio si chiudesse...»
«Non devi più trattenerti» disse abbracciandola.
Ritsu fu colta di sorpresa. Non aveva mai pensato, neanche una volta, che Huthor potesse essere morto; o meglio... non voleva crederci. Invece, le era capitato più volte di sognare il momento del loro rincontro e non riusciva a capire perché si fosse messa a gridare in quel modo. Forse perché aveva compreso il reale pericolo che aveva corso, ed era improvvisamente grata a Mìriel per averla trovata prima degli altri? Aveva rievocato infine volte il primo e ultimo abbraccio che le aveva dato Huthor e il suo calore, pensando che non avrebbe mai più vissuto un’esperienza simile. E ora, fra le sue braccia, sentiva che un’enorme peso, che le soffocava il respiro da mesi, stesse evaporando. Una paura che non l’aveva mai abbandonata, finalmente stava morendo. Aveva raggiunto la porta che conduceva alla meta ambita da chiunque e l’aveva aperta. Era spaventata che qualunque cosa ci fosse stata dall’altra parte, l’avrebbe potuta ferire; ma l’aveva aperta comunque. Ora, era felice di aver trovato il coraggio di farlo, perché anche se la verità può far male, è sempre meglio di vivere nel dubbio e nel rimorso.
Si era promessa di non piangere - ecco perché aveva gridato. Ma dopo essersi accertata che Huthor era vivo e che si comportava come era sempre solito fare, le fu difficile riuscire a trattenere le lacrime – ecco perché aveva agito come una bambina un po’ idiota. E ora, dopo averle trattenute così a lungo, dopo aver riaperto lo scatolone colmo di ricordi ed emozioni dell’anno precedente, che aveva sigillato in fondo al cuore, fra le braccia forti e protettive di Huthor e premuta contro il suo petto robusto, non ce la faceva più. Gli strinse forte la maglietta e pianse tutte le lacrime di un anno. Lui le poggiò il mento sulla testa e iniziò a strofinarle dolcemente la schiena. Ritsu sentiva il suo respiro sui capelli e il suo battito cardiaco, e questo la rassicurò: era davvero vivo.
«Su, su. Brava, vedrai che dopo ti sentirai meglio» sussurrò Huthor. «Mi dispiace» disse dopo un attimo di esitazione.
Stava per riaprire bocca, quando ci fu un botto. La porta della stanza accanto si spalancò facendo cadere a terra tre nobili signore.
«Non è come sembra» disse Mìriel rialzandosi.
«Infatti...» continuò Xalh’a. «Indìl ti spiegherà cos’è successo» si affrettò a dire, alzando la regina dal pavimento e usandola come fosse uno scudo.
«Io?!» chiese cercando aiuto dalle sue amiche. «Beh, vedi... Stavamo uscendo, ma la porta non si apriva!» urlò cercando gli occhi di Huthor per vedere se se la fosse bevuta, ma nel salotto non c’era più nessuno.
Mìriel lo vide accompagnare Ritsu in una camera da letto al piano di sopra, così gli chiese se avrebbero cenato – dato che ormai era quasi pronto, ma non le rispose. Era sicuramente deluso dal loro comportamento infantile. La regina tornò dalle amiche, le guardò severa e le schiaffeggiò facendo la paternale.

Huthor andò a prendere dei vestiti dalla camera di Mìriel e li posò sul letto dove stava riposando una Ritsu ancora piangente.
«Sicura di voler dormire con quei vestiti bagnati?» le chiese sedendosi ai piedi del letto.
Ritsu non rispose, annuì solamente.
«Senti, mi dispiace di averti fatta preoccupare. La verità è che non mi è mai passato per la mente che potessi credermi morto, o che ti fossi girata prima che lo specchio si chiudesse. Mi dispiace» disse.
Accorgendosi che si era addormentata, aggiunse sottovoce: «Non potrò mai perdonarmi per quello che ho fatto; finché respirerò, sarò tormentato dai sensi di colpa. Averti condotta qui con l’inganno, con l’intenzione di ucciderti in pubblico, essermi alleato con Yujin, averti messo in pericolo... l’unica cosa che potevo fare era sacrificarmi per metterti in salvo. Sarei dovuto morire, non merito di vivere. Quando ti ho conosciuta, mi ero preparato un discorso su cui avevo sudato sette camicie per convincerti a seguirmi, ero anche pronto a usare la forza. Poi tu... mi hai smontato e ricostruito da zero. Più tempo passavo con te, più capivo che quello che stavo facendo era sbagliato, e che Mìriel aveva ragione a dire che doveva esserci un altro modo per far smettere la pioggia, che non c’era bisogno di sacrificare nessuno... nemmeno colei che le ha dato inizio.»
Si alzò per prendere una coperta dall’armadio e coprì Ritsu.
«Sono felice di riaverti qui, accanto a me» sussurrò.
S’inginocchiò accanto a dove stava dormendo Ritsu e posò la testa sul materasso, in modo da poterla osservare mentre dormiva. Vide una lacrima attraversarle silenziosamente la guancia e gliela asciugò delicatamente.
«Quando ti ho vista incastrata sotto il divano, con quel sorriso stupido, avrei voluto ridere, piangere e gridare di gioia… ma non ho potuto non pensare al pericolo che avevi corso. Se ti avessero trovata prima di Mìriel, sarei morto» confessò.
Si alzò, baciò Ritsu sulla fronte e lasciò la stanza. Era felice di aver finalmente dato sfogo ai sentimenti che gli erano rimasti in gola per tanto tempo e che erano maturati durante un anno di solitudine. Aveva finalmente trovato il coraggio di farli uscire di bocca perché Ritsu stava dormendo e non aveva sentito niente, altrimenti sarebbero rimasti sepolti in fondo alla sua anima per l’eternità. Quello che però non sapeva e che non avrebbe mai saputo era che, appena richiuse la porta alle sue spalle, Ritsu aprì gli occhi lucidi per un attimo e poi si addormentò.

La mattina dopo Huthor scese per fare colazione, ma non c’era nessuno a fargli compagnia né a servirlo: la giornata era iniziata male. Rinunciò a mangiare e seguì un frastuono, che prima non aveva notato, che lo condusse in una delle tante camere al pian terreno dove erano riuniti tutti i domestici e le regine; stavano gridando e facendo il tifo per qualcuno. Si fece strada tra la folla e vide Ritsu e Mìriel combattere con delle spade di legno. Il duello terminò con la vittoria della regina e Ritsu chiese la rivincita, ma solo dopo una pausa. Quando vide Huthor, si obbligò a comportarsi come sempre, anche se sarebbe stato difficile dopo quello che aveva sentito la sera precedente.
«Che diamine stai facendo?» le chiese.
«Mi alleno, così imparo a difendermi e potrò combattere con voi» disse con un sorriso a trentadue denti.
Era sicura che Huthor avrebbe replicato dicendo che era troppo pericoloso per lei e che sarebbe dovuta restare a casa, ma lui replicò in ben altro modo.
 «Beh, non vedo cosa ci sia di male, in fin dei conti anche Mìriel e le altre partecipano alle battaglie, se così si possono chiamare. Certo che, siccome ora sei qui, diventeranno più sanguinose e tutti punteranno a te cercando di farti fuori alla prima occasione; ma se sei decisa, allora va bene.»
Si allontanò, e Ritsu notò un dettaglio che le era sfuggito il giorno prima: Huthor indossava un bracciale azzurro in vetro smerigliato, quello che lei aveva affidato a Mìriel pregandola di darlo a lui. Il cuore le si riempì di gioia e si chiese se lo avesse sempre avuto con sé dal giorno in cui lo aveva ricevuto, proprio come lei aveva fatto col gemello. Mìriel la stava chiamando avvertendola che la pausa era finita, ma Ritsu la ignorò e si mise a osservare il bracciale che portava al polso. Huthor le sbucò alle spalle e le afferrò il braccio che aveva portato davanti il viso. Le fece uno strano effetto vedere i due bracciali su polsi differenti, ma vicini.
«Se non lo avessi deciso tu, ti avrei obbligata a combattere. Se combattono i sovrani, non vedo perché tu non lo debba fare, dato che sei la causa della guerra» disse con tono di sfida. «E poi preferisco averti sott’occhio; non voglio che, mentre noi siamo fuori ad ammazzare un po’ di gente, qualcuno venga qui ad ammazzare te» le sussurrò in un orecchio, facendola arrossire.
Le andò davanti e se la caricò sulle spalle come fosse un sacco di farina.
«Noi andiamo a allenarci!» gridò, in modo che tutti potessero sentirlo, incamminandosi verso la “stanza del tesoro”.
«Salvatemi! Sono troppo giovane per morire!» implorò Ritsu. «Mìriel, ricordami per ciò che ero, non credere mai alle storie che ti verranno raccontate! Ricordami come ragazza pura qual’ero!» gridò prima che la porta nascosta nel muro si richiudesse, lasciandola sola con Huthor in una stanza senza finestre e illuminata solo da una piantana messa in un angolo.

«La vuoi smettere di gridare» disse Huthor mettendola a terra. Si avvicinò al centro della camera, dove era esposto un turchese grande come il palmo di una mano. «Penso sia ora di vedere se la leggenda è vera» disse rimuovendo la copertura in vetro.
«Quella secondo la quale quel turchese è una mia lacrima e, al mio tocco, si trasformerà in una spada?» chiese con una nota di sarcasmo nella voce.
«Proprio così.»
Prese il gioiello e lo lanciò a Ritsu, che lo afferrò al volo. Nelle sue mani, la gemma brillò un attimo, ma poi tornò normale.
«Visto? Non succede niente.»
Non fece in tempo a finire la frase, che il turchese s’illuminò di una luce accecante e costrinse entrambi a coprirsi gli occhi. Quando li riaprirono, fra le mani di Ritsu non c’era più un gioiello, ma una spada alta come lei e larga circa venti centimetri, con un turchese incastonato nell’elsa.
«Mamma mia, quanto pesa» disse Ritsu cercando di alzare la punta da terra. «Che fai, non riesci più a parlare?» chiese, vedendo che Huthor era rimasto scioccato. «Tu eri il primo a non crederci, vero?»
«No, cioè… non pensavo fosse questo il… così grande.»
«Sì, ok. Io però non ce la faccio più» disse lasciando cadere la spada a terra. «Un altro po’ e mi usciva l’ernia! È mai possibile che nulla in questo mondo è della misura giusta?»
Huthor andò a raccogliere la spada, ma appena la toccò prese la scossa e la lasciò di scatto.
«A quanto pare non posso toccarla. Dai prendila, così ti insegno a usarla.»
Ritsu fece come le era stato detto e impugnò la spada. Huthor le andò dietro e posò le mani sopra le sue correggendone la posizione, poi l’aiutò a sollevare la lama dal pavimento in cristallo e iniziò a spiegarle le basi della scherma.
«Huthor, cos’hai? Sei strano» disse Ritsu sentendo che gli stavano sudando le mani, anche se erano fredde come il ghiaccio, e che gli tremava la voce.
«Accidenti...» disse andandosi a mettere seduto sulla poltrona accanto la piantana. «Non posso nasconderti niente» aggiunse passandosi una mano fra i capelli. «Nell’arco di tempo in cui non ci sei stata, ho riflettuto a lungo. Ho anche chiesto consiglio a Mìriel, e sono giunto ad una conclusione: ti avrei detto tutto al tuo ritorno. Solo che... non pensavo tornassi così presto. Non sono ancora pronto, mi ci vuole più tempo per prepararmi. Dall’altra parte, però, ho paura che se ci impiego troppo, il momento della separazione arrivi all’improvviso come l’ultima volta e...»
Ritsu poggiò la spada accanto la poltrona, si accovacciò ai suoi piedi e gli afferrò le mani, incoraggiandolo a parlare.
«Hai presente la storia di Shinki?» chiese Huthor.
«Ah. Riguarda quello allora»
«Che c’è?» chiese, ignaro delle aspettative di Ritsu. «Sembri delusa»
«No, niente. Shinki? Certo, la ricordo» disse cercando di sorridere.
«C’è una parte che non ti ho detto, e credo che la dovresti sentire»
«Ok, ti ascolto» disse sedendosi per terra senza lasciare le mani fredde di Huthor.
«Non molto tempo fa, prima che io nascessi, c’erano sei regni e non cinque. Il nome del sesto era Hopeful e, ogni anno, il re organizzava un raduno al suo palazzo con i sovrani degli altri regni. Chiamava a sé cinque uccelli e affidava loro l’importante compito di comunicare agli altri re la data che aveva scelto. Mio padre mi disse che le sue riunioni si trasformavano in feste spettacolari dove si mangiava, beveva, danzava... Mi raccontò di un raduno in particolare che non poté mai dimenticare. In quell’occasione, il re di Hopeful vi fece partecipare gli abitanti della capitale, chiamò danzatrici esperte, lui stesso si mise a suonare il pianoforte e la moglie lo accompagnò con la sua voce soave» disse abbandonandosi sullo schienale. «Avevano dato inizio a quelle riunioni con lo scopo di esporre la situazione del proprio regno per potersi aiutare là dove ce ne fosse stato bisogno, ma ben presto si trasformarono in festività ricorrenti. La regina di Hopeful era famosa per la sua voce, ma era derisa e temuta per aver il terribile potere di influire sulle stagioni di Shinki. Al suo tocco, un bocciolo fioriva e al suo fischio, uno stormo affluiva. Agli occhi dei bambini era una maga, ma a quelli dei più grandi era un fenomeno da baraccone. La gente che non la conosceva bisbigliava il suo nome fra le via affollate delle città e il marito cercava di non farlo giungere alle sue orecchie. Poi... la catastrofe. La regina si ammalò e non le furono dati più di due anni di tempo prima che la malattia la mandasse ko. Il male interiore che aveva era inarrestabile e si riversò sulle stagioni. La gente iniziò a evitarla e ad avere paura di lei, persino gli abitanti del suo stesso regno iniziarono a emigrare. Hopeful divenne un regno grigio.»
Huthor lasciò le mani di Ritsu e si alzò, iniziando a camminare intorno all’espositore.
«La regina, però, aveva uno spirito forte e non si arrese. Appena prima di morire riuscì a mettere al mondo una splendida bambina che rimase senza nome né patria, né famiglia. Questa bambina aveva ereditato il potere della madre»
«Cosa stai cercando di dire...» chiese Ritsu non capendo più nulla.
«Ancora in fasce, aveva il potere inconscio di far mutare le stagioni. Ma il suo potere andava ben oltre quello della madre. Era come se Shinki stesso comprendesse la sofferenza della neonata rimasta senza genitrice e destinata ad essere odiata da tutti, e avesse deciso di legarsi a lei.» Si fermò un attimo per guardare Ritsu negli occhi. «Non ci volle molto prima che i sovrani degli altri regni si accorsero che il tempo era cambiato, che gli animali erano diventato silenziosi e che la pioggia non cessava da troppi giorni. I cinque regni si coalizzarono e, con mio padre come guida, iniziarono i preparativi per far visita al re di Hopeful e salutare sua figlia. Ma la natura era contro di loro e gli uccelli lo avvisarono dell’imminente pericolo. Lui giurò che avrebbe protetto la figlia anche a costo della vita, ma sapeva che su Shinki non aveva la minima speranza di farla sopravvivere; così aprì il passaggio per la Terra e posò la neonata davanti la porta della casa più vicina. Quando fece ritorno al suo regno, c’erano gli altri ad aspettarlo e fecero sparire dai libri di storia un ipotetico sesto regno. Io so tutto questo perché mio padre, prima di morire, si è voluto pulire la coscienza e ha pensato che bastasse raccontarmi la vera storia di Shinki.» S’inginocchiò davanti Ritsu e le mise le mani sulle spalle. «Quella bambina eri tu» si limitò a dire.
Ritsu non sapeva come reagire a ciò che aveva appena sentito; poi tutto le fu chiaro.
«Io ti adoro!» gridò alzandosi e abbracciandolo con energia. «Cosa aspettavi a dirmelo, che invecchiassi?» chiese iniziando a girare nella stanza. «Anni della mia vita sprecati a farmi domande, e tu te ne stavi qui... con la risposta! A saperlo prima...»
«Cosa? Tu... tu non sei arrabbiata?»
«E di cosa? Sono arrabbiata che tu non me lo abbia detto prima!» esclamò additandolo.
«Io credevo che ti saresti imbestialita per ciò che hanno fatto al tuo regno, ai tuoi genitori. Credevo avresti urlato, pianto... In realtà non so cosa mi aspettavo che facessi, ma di certo non ti immaginavo sorridente»
«È vero. Dovrei essere arrabbiata per quello che hanno fatto a casa mia» disse seria. «Oddio, non riesco a credere di averlo detto!»
«Lo so, fa strano anche a me dire che questa è casa tua.»
Ritsu afferrò la spada e si rimise a camminare freneticamente.
«Ora capisco perché mi sentivo sempre fuori dal mondo, come se quello non fosse il mio posto! Ora è tutto così chiaro... L’anno scorso quando mi hai portato qui, in qualche parte nel mio cuore, lo sapevo già di aver trovato casa. Mi sentivo in pace con me stessa e mi rispecchiavo così tanto in ciò che mi circondava... Aspetta! Sono una regina?!» continuò agitando pericolosamente la spada che ora le sembrava leggera come una piuma.
«Beh, non esattamente; il tuo regno è stato distrutto. E attenta con quella lama!» urlò cercando di strappargliela di mano. Non ci riuscì, inciamparono ciascuno nei piedi dell’altro e caddero a terra, il volto di Huthor pochi centimetri sopra quello di Ritsu.
«Io abito qui, voglio vivere per sempre qui» sussurrò coprendosi gli occhi con le mani, «ma devo tornare a Melbourne, a casa...» disse iniziando a piangere.
Huthor non poteva vederla in lacrime, gli si stringeva il cuore, avrebbe fatto qualunque cosa pur di non vederla in quello stato. Una per volta, tolse le mani dagli occhi di Ritsu e la guardò cercando di farsi venire in mente qualcosa che la potesse aiutare. Fece per parlare, ma poi cambiò idea. Lentamente, iniziò ad avvicinarsi al viso della ragazza, lei divenne rossa come un peperone e...
«E se portassimo la tua “casa” qui?» le domandò in un orecchio. «Sì! È un’idea stupenda!» esclamò alzandosi e uscendo dalla stanza.
Ritsu rimase qualche secondo immobile ancora sdraiata a terra non capendo quello che era successo, poi si alzò, prese la spada e raggiunse Huthor.
Il salotto era deserto e un miscuglio di voci risuonava dal piano di sopra. Iniziò a salire le scale, ma tornò indietro accorgendosi che la porta era aperta; non era la porta in sé che le interessava, bensì ciò che c’era fuori: un’enorme folla che guardava il cielo e che, quando vide Ritsu, impazzì letteralmente. Lei chiuse di corsa la porta lasciandoli fuori e andò alla finestra. Il vento muoveva le foglie degli alberi e creava piccole onde sul suolo, la pioggia si era ridotta a poche gocce e s’iniziava a intravedere il sole. Aprì la finestra per sentire il vento sulla pelle e un uccellino rosso entrò in tutta fretta e andò al piano di sopra; quando tornò giù era seguito da Huthor e le altre regine.
«Che succede?» chiese preoccupata.
«Rinunciano alla guerra» rispose Huthor.
«Vorrei ben vedere!»esclamò Xalh'a. «Non c’è più nulla per cui combattere»
«Come hai fatto a far smettere la pioggia?» chiese Mìriel.
«È un segreto» s’intromise Huthor facendo l’occhiolino a Ritsu.

«Sei pronta? È un passo importante»
«Chissà come la prenderanno» disse emozionata.
«Io ho ancora il discorso dell’anno scorso se le cose dovessero andar male»
«Non ce ne sarà bisogno, Sawa sa già sa tutto. Portiamo anche lei, vero?»
«E anche la sua famiglia se vuole. Fammi un po’ vedere tu come apri lo specchio d’acqua»
«Ma quando posso dire di essere una regina?» chiese facendosi uscire una lacrima.
«Quando mi sposerai» le sussurrò.
La lacrima si trasformò in un cristallo che esplose e divenne un sottile velo di sapone. Huthor si allontanò di corsa, ma Ritsu rimase pietrificata lì dov’era.
«Cos’hai detto?» chiese appena prima che il velo esplodesse scaraventandola a terra: il sapone era diventato acqua.
Huthor l’aiutò a rialzarsi e la mise davanti lo specchio, le posò le mani sulle spalle e le chiese: «Cosa vedi?»
Ritsu non capiva il significato di quella domanda, la risposta era così ovvia.
«Noi due e... la luce abbagliante del sole» rispose sorridendo. «Perché vedo il sole se ci sono ancora le nuvole e la terra è ancora sommersa?»
«Ci vorrà del tempo prima che le acque si ritirino e la terra riemerga, ma la pazienza non ci manca» disse mettendosi fra lei e lo specchio, e porgendole la mano. «Andiamo?»
«Aspetta» rispose Ritsu afferrando quella mano più grande della sua e prendendo la spada con l’altra; si avvicinarono allo strato d’acqua e Ritsu vi conficcò in mezzo la spada: in questo modo lo specchio sarebbe rimasto aperto. «Andiamo» disse attraversando la porta che portava al suo giardino mano nella mano con Huthor. «Senti, cos’era quella storia del...»
«Niente, stavo solo scherzando»
«Come stavi scherzando?!»
«Ma se vuoi essere chiamata regina, allora non vedo nessun altro modo...»
«Eh... Allora... Vuol dire che... Non era uno scherzo!!»
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Fatemi sapere cosa ne pensate. BaCi... e alla prossima storia XD

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