One More Night

di Le Furie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** From Lansing With Love ***
Capitolo 2: *** Flying Away ***
Capitolo 3: *** Live this moment ***
Capitolo 4: *** You may say I’m dreamer ***



Capitolo 1
*** From Lansing With Love ***


One More Night
(Una FF a tre mani di @Bellamy__, @tisifonesrage e @Slallah)



Capitolo 1 – From Lansing with love
 
- Haley Harrison
 
Stamattina la sveglia non è suonata.
L’unica mattina in cui l’allarme della sveglia sarebbe davvero stato utile, l’affare malefico non è suonato.
E questo ovviamente mi innervosisce a bestia.
Balzo giù dal letto con uno scatto felino, come se non mi sia appena svegliata, uscendo in fretta da camera mia per attraversare il corridoio e piombare nella stanza in fondo, non preoccupandomi troppo di fare un gran casino.
«Liz! Eve! Giù dai letti, è tardissimo!» urlo spalancando la finestra.
Non mi è mai piaciuto essere in ritardo; sono una persona molto puntigliosa ed essere in ritardo è una delle cose che ho sempre odiato. Diciamo che non sono quel tipo di sposa che ama essere aspettata fino all’inverosimile, lasciando tutti quei poveri invitati al freddo gelido o al caldo afoso.
Che poi, non sono nemmeno sposata.
Forse neppure impegnata, dipende dai punti di vista.
«Che ore sono?» biascica Eveline, con la voce ancora impastata di sonno mentre si tira a sedere.
«Le otto meno un quarto. E il volo è alle nove e mezza, per cui dobbiamo essere all’aeroporto fra  un’ora al massimo» dico prendendo le loro valigie e portandole giù, all’ingresso.
Papà è già sveglio e sta guardando alla tv le notizie del mattino, come fa sempre.
E’ la prima volta che lo lasciamo solo da quando mamma è andata via e non avremmo mai preso la decisione di partire, se lui non ci avesse fatto trovare tre biglietti per Miami, un giorno, per obbligarci a dedicare un po’ di tempo a noi stesse. «State sprecando del tempo, e non è giusto perché questi sono momenti che non tornano più» aveva detto come per giustificarsi di quel gesto.
Eve gli schiocca un sonoro bacio sulla guancia, prende posto a tavola e afferra famelica tutto ciò che le serve per fare colazione.
Abbandono i bagagli accanto alla porta e sono sul punto di prendere anch’io qualcosa da mangiare, quando mi accorgo che Elizabeth non è ancora scesa. Mi spiattello una mano sulla faccia, mentre papà, che mi osserva già da qualche minuto, ride piano.
Salgo in fretta la scale e trovo Liz ancora lì dove l’ho lasciata, tutta stretta intorno al suo grande amore: il cuscino.
«Cazzo, Liz! – urlo tirandole via la coperta – E’ tardi! Vuoi partire sì o no?».
La lotta dura almeno cinque minuti: la bionda continua a borbottare mentre cerca invano di coprirsi, sperando di riprendere sonno, ed io non faccio altro che tentare di buttarla giù dal letto.
Niente di strano, quindi.
Alla fine ho la meglio e cadiamo entrambe per terra.
«Va bene, va bene, sono sveglia!» protesta mia sorella scostandosi dal viso i capelli biondi dalle ciocche blu.
Si alza e le tendo una mano per aiutarmi a fare lo stesso, ma mi mostra la lingua ed esce dalla stanza lasciandomi lì, per terra, incastrata tra il letto e il comodino.
«Stronza» sbuffo alzandomi a fatica.
 
- Elizabeth Harrison
 
Dopo una bella sciacquata al viso sono come nuova. Mi lego i capelli in uno chignon fatto alla bell’e meglio e scendo ad aiutare le mie sorelle con le valigie. O meglio, aiuto Hay, visto che Eve è ancora seduta al tavolo a fare colazione.
«Eve, sbrigati!»
«Il viaggio è lungo e devo assumere la giusta quantità di zuccheri se voglio affrontare al meglio la giornata»la sua solita giustificazione.
Sbuffo e senza dare troppo peso a Eveline, che continua a borbottare quelle sue teorie mattutine, io e Hayley abbiamo già sistemato tutto.
Papà è il nostro spettatore più affezionato; si diverte molto a vedere le disavventure delle sue tre figlie, soprattutto quelle mattutine. Appoggiata al cofano della macchina lo guardo sorridere per ogni gesto che compiamo. Anche la cosa più banale, come lavare la tazza della colazione, per lui è fonte di un sorriso.
«Ragazze, è tardi! Siete pronte?».
«Certo papà!»esclamiamo all’unisono io e le mie sorelle.
Saliamo tutti quanti in macchina e partiamo per l’aeroporto. In macchina regna la gioia più assoluta, tutte noi ridiamo e scherziamo. Anche se, questo devo ammetterlo, ho un po’di timore della nuova avventura che stiamo per intraprendere.
Io sono sempre stata la meno paurosona della famiglia, ho sempre affrontato tutto alla grande e ho sempre combinato guai. E il colore dei miei capelli afferma la mia scapestrataggine.
Però il lasciare papà da solo in quella grande casa piena di ricordi mi mette ansia e penso così anche per le altre.
Soprattutto Hay, la più grande di noi: lei ha un rapporto speciale con papà. Tra di loro c’è una sintonia tale che anche uno sguardo, un movimento delle palpebre, una minima espressione del viso faccia sì che loro si capiscano al volo. Io la chiamo magia.
Oh, eccolo lì, l’aeroporto. Purtroppo (ma anche per fortuna) siamo arrivate.
Ed è arrivato anche il momento più brutto.
Siamo già parecchio in ritardo e non abbiamo bisogno che ci venga detto di poter dirigerci in direzione del gate, perciò ci affrettiamo a scaricare i bagagli dall’auto ed entriamo in fretta e furia per sistemarli sul nastro trasportatore e fare il check-in.
Hayley sta sbraitando qualcosa in turco (o forse, in aramaico antico, non sono un’esperta) lamentandosi della lentezza del personale e vedo la sua folta chioma castana ondeggiare senza sosta. No, in realtà mia sorella non è sempre così incazzata: è solo preoccupata e ansiosa, ecco tutto.
Eveline, invece,  sta controllando ancora una volta e freneticamente nella sua borsa, sperando di non aver dimenticato il suo prezioso libro; e, quando lo trova, esclama tutta eccitata.
Finisco di caricare la mia valigia e mi giro in direzione di papà, sospirando.
«E’ tardi, non perdiamo tempo con i saluti» dice fingendo una nota di autorità nella voce.
Mi mancherà da morire, lo so già.
«Papà,  mi raccomando, non esitare a chiamarci per qualsiasi cosa e in qualsiasi momento…» inizia Hay, che viene però interrotta da Eve che si butta al collo del nostro uomo.
«Ho quasi sessant’anni, credete che non riuscirò a cavarmela? – sorride lui, bonario come sempre – Mi potrei offendere sentendomi dare dell’automa… Ma dato che siete le mie figlie, ci passerò sopra».
A turno salutiamo papà con un lungo abbraccio e un sacco di baci sulle guance, ma alla fine non resisto più e coinvolgo tutti in un abbraccio di gruppo. Sono tornata mentalmente agli abbracci di gruppo del liceo.
Il distacco è duro ma necessario, e alla fine riusciamo a prendere la nostra strada.
«Eh, ragazze! Quando dico “divertitevi” intendo dire… Ehm… Avete capito» dice in fine abbassando notevolmente il tono della voce.
Io e le mie sorelle scoppiamo a ridere all’unisono: certi argomenti sono sempre stati taboo con nostro padre.

- Eveline Harrison

Il mio collo è pregno del profumo muschiato di mio padre e spero che non vada via per il resto dell’estate. E’ la prima volta che le mie sorelle riescono a coinvolgermi in una folle avventura e , sinceramente, non so neanche come ci siano riuscite.
Sono sempre stata profondamente legata alla nostra villetta gialla, poco distante da Lansing, dove siamo cresciute e dove abbiamo condiviso momenti rosei e non. Non avevo la minima intenzione di partire perché sono più che certa che papà, nonostante si sia battuto per farci godere questa fuggevole vita, avrà bisogno di una delle sue amate figlie che gli riassetti casa e gli faccia compagnia.
Del resto, avrei dovuto pensare all’università e alla mia futura carriera da psicologa che sarà organizzata in maniera dettagliata, come solo una paranoica delle mia specie sa fare.
Mi volto verso destra, osservando le ciocche blu di Liz ricadere scompostamente sulla spalla di Hay, intenta a contemplare il panorama dalla finestrella tonda dell’aereo. Abbozzo un sorriso, rendendomi conto di quanto quelle due donne siano sempre state il mio punto di riferimento, le mie migliori confidenti e maestre di vita: mi hanno praticamente cresciuta ed è solo per loro che mi ritrovo ad affrontare, seppur con un pizzico di rammarico, questo viaggio verso Miami.
«Tutto bene, Eve?» sghignazza Liz lanciando un’occhiata furba ad Hay che, da donna matura e responsabile, cerca di evitare che scoppi un litigio.
«Stai forse insinuando qualcosa, Lizzie?», la mia mano si aggrappa al bracciolo del sedile come fosse un’ancora di salvezza.
Sarà un tipo competente il nostro caro pilota? Vorrei almeno arrivare a cinquanta anni, essere una celeberrima psicologa, avere un marito (magari una personcina educata, tutta giacca e cravatta e portamento sicuro) e anche due figli. 
Passo la mano libera sulla fronte cercando di tranquillizzami.
«Sai che potrebbe essere compromettente per una psicologa pensare ad alta voce?» sorride Hayley scuotendo il capo, ritenendo che io sia un caso complicato.
«Sei una cacasotto, Eveline. Mi chiedo se tu sia nostra sorella o uno scherzo della natura» afferma Elizabeth spalancando gli occhi, sconcertata.
Ho delle sorelle meravigliose, davvero.
Alzo il mento e mi giro verso sinistra, intenta a non rivolgerle la parola per il resto del viaggio.
Giuro che potrei tornarmene a Lansing dopo sette ore di permanenza a Miami.
Tra l’altro, non ho bisogno di trascorrere i miei diciannove anni su qualche spiaggia o in qualche locale fuori dalla mia portata. Potrei starmene tranquillamente spiaccicata sul letto, con un libro tra le mani e la mia amata solitudine.
Frugo nella borsetta alla ricerca della vecchia copia di Cime Tempestose. Liz ed Hay si guardano nuovamente con sguardo complice.
«Ancora?» chiedono all’unisono e forse anche troppo ad alta voce in quanto mi sento trentadue paia di occhi puntati addosso.
Faccio spallucce. Sono ancora profondamente offesa per quello che Liz ha detto riguardo al mio comportamento puerile.
«A Miami ci saranno librerie immense e potresti comprare qualcosa di nuovo. Cambiare genere, autore», il sorriso di mia sorella maggiore è sincero. Forse ha proprio ragione, dovrei mettere un freno alla mia monotonia e cambiare un po’, senza alterare del tutto quella che sono.
Ripongo il libro al suo posto e affronto il viaggio deponendo l’ascia di guerra e stringendo la mano di Liz, che poggia il capo sulla mia spalla, lasciando che parte dei nostri capelli biondi si confondano.

 
Three, two, one... GO!

Megera (essì, non per niente ci chiamiamo Le Furie u.u)/Hayley Harrison: Sto tipo esultando come una scimmia impazzita (?) per aver avuto l'onore e l'onere di pubblicare il primo capitolo di questa pervers... Cioè, storia. Di questa storia, sì. LOL
Beeene bene bene, sono sincera, non so che dire perchè Oscar Wilde (e la prospettiva dell'interrogazione di domani) mi ha fuso il cervello, quindi... Ai posteri l'ardua sentenza! u.u
Spero solo che questo primo capitolo vi sia piaciuto, ci stiamo divertendo un casino a scrivere e progettare questa storia qua e vi promettiamo di meglio per il futuro ;D
Un graaaaaaaande grazie,
Meg

Aletto/Elizabeth Harrison: Un grazie va a queste due pazze ragazze. Tutto qui, Finito.

Tisifone/Eveline Harrison: Baci e abbracci e salutam a sorta... AHAHAHAHAHAHAHA NO. Allora... Essendo una nuova utente di Efp, spero possiate evitare di prendermi a sprangate e apprezzare scleri e momenti imbarazzanti. Legge e non ve ne pentirete. Love ya all <3

Meg (rompipalle sia nell storia che nella vita vera xD): Se tutto va benem dovremmo postare il secondo capitolo esattamente fra una settimana... O al massimo, dieci giorni ;D


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Capitolo 2
*** Flying Away ***


Capitolo 2 – Flying away
 
- Eveline Harrison
 
Apro svogliatamente gli occhi e rialzo il capo ciondolante. Non credevo che sarei riuscita ad addormentarmi nonostante la mia scarsa fiducia nel pilota.
Liz sta canticchiando qualche parola della sua canzone preferita, mentre Hay sfoglia una rivista ricca di immagini mozzafiato della savana africana.
«Quanto manca?» chiedo con voce un po’ roca a causa del mio precedente sonnellino.
«Fra quindici minuti atterriamo» risponde Hayley alzando appena lo sguardo dalla sua rivista. Ho sempre ammirato la sua dedizione alla fotografia, che è riuscita a trasformare nel suo pane quotidiano, nonostante nostra madre avesse sempre insistito nel vedere una delle sue figlie ricoprire qualche alta carica politica. Pensandoci, sono l’unica che ha deciso di costruire il futuro alle spese di nostro padre. Da quando mamma è morta entrambe le mie sorelle hanno subito cercato di aiutare papà nell’amministrazione della casa e nell’addossarsi responsabilità su responsabilità: Hay ha il suo studio fotografico a Lansing, poco distante dal vivaio di Liz, ricco di qualsiasi specie di fiori. Ricordo ancora tutte le perplessità di nostro padre riguardo alla sua attività e alle possibilità di guadagno e anche ricordo quando Elizabeth cercò di persuadermi a convincerlo promettendo di regalarmi girasoli ogni volta che ne avessi avuto voglia.
«Ah, Lizzie. Cos’hai deciso per il vivaio?» le chiedo improvvisamente, dopo essere uscita dai ricordi.
Si volta perplessa, forse non aspettandosi questo genere di domanda che non le era stata posta prima del viaggio. «Ho chiesto ad una mia amica di occuparsene durante la mia assenza» spiega abbozzando un sorriso riconoscente, probabilmente dovuto al fatto che mi sia interessata alla sua attività, che ama più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Andrò a qualche mostra di fotografia a Miami» irrompe Hayley poggiando la schiena contro il sedile in stoffa blu.
«Io ho voglia di vagabondare per Miami alla ricerca dei posti più strani!» aggiunge la mezzana alzando il tono della voce, come se fosse una bambina che rivendica l’idea più folle che le sia mai venuta in mente.
«Io non ho voglia di fare un cazzo» concludo con una vitalità allucinante, rovinando così il loro entusiasmo. Sono sempre stata la guastafeste della famiglia, lo ammetto.
«Oh, mi scusi psicologa dei miei stivali. Mi spieghi come riuscirai ad attirare clientela se ti comporti così scorbuticamente?» domanda Elizabeth provocandomi e facendo tamburellare le dita sul bracciolo accanto ad Hay.
«Concordo con Liz. Prendi esempio dalla donna che sussurrava alle piante»,la mia unica sorella mora ridacchia e la imito, aspettando l’imminente reazione di Liz che è improvvisamente arrossita.
«E se anche fosse?», alza il mento con tono di sfida e le poggiamo le mani sulle spalle. Ogni volta che ci colpiscono nel punto debole reagiamo allo stesso modo: testa in alto, occhi socchiusi e presunzione alle stelle.
Siamo sorelle, è un dato di fatto.
La voce metallica del pilota rimbomba nelle nostre orecchie e allacciamo le cinture di sicurezza. Mi aggrappo nuovamente al sedile, deglutisco rumorosamente e alterno preghiere e improperi vari. Voglio atterrare sana e salva, anche a costo di dovermi relazionare con qualche strano e anziano abitante di Miami.
 
Prendiamo le nostre valige e ci dirigiamo alla caffetteria situata all’interno dell’aeroporto.
Liz sprizza euforia da tutti i pori, nonostante cammini lentamente a causa del viaggio che l’ha costretta a starsene seduta per parecchio tempo. Hay la puntigliosa controlla che tutto sia al proprio posto e, dopo aver tratto un sospiro di sollievo, ordina due caffè macchiati e un croissant per la bionda-ciocche-blu.
«Ammettiamolo, se non fosse stato per la nostra amata cugina saremmo ancora a Lansing a mantenere intatto il pallore della nostra pelle» afferma Elizabeth guardandosi le gambe lasciate scoperte dal pantaloncino in jeans. Sorridiamo.
«Ci derideranno comunque»osservo io con il mio solito ottimismo.
«Senti, Tisifone, se non la smetti ti lasciamo qui da sola a piagnucolare» minaccia Liz evidente infastidita dal mio atteggiamento. Da buon cane bastonato decido di non proferire parola, se non per estrema necessità.
Gettiamo i bicchieri nell’immondizia e usciamo dall’aeroporto, lasciandoci coccolare da un refolo di vento caldo.
«Benvenute a Miami, signorine Harrison» saluta cordialmente un giovane dai capelli rosso rame e dal volto ricoperto da lentiggini. Ci scambiamo sguardi perplessi e mi chiedo come questo tizio conosca il nostro cognome. Hayley si spiattella una mano sulla fronte, ricordandosi chi fosse quel simpatico giovanotto.
«Ci accompagnerà Lei nella villetta di Rachel Harrison?» chiede poi, completamente elettrizzata mentre cerca, tuttavia, di apparire calma.
Carichiamo le valige nel Suv grigio di nostra cugina e mi accomodo sul sedile posteriore a quello di guida, accanto ad Hay, perché Lizzie deve avere il controllo della situazione, deve memorizzare le strade e cercare qualche strano negozio.
«Guarda che belli, Eve!» esulta la maggiore riferendosi a dei piccioni intenti tubare su un albero di ciliegie. Il giovanotto smette di guidare, lasciando che mia sorella possa scattare la sua prima foto in questa nuova terra.
«Allora, che genere di musica ascolti?»domanda Liz al nostro autista personale mentre cerca di trovare una buona stazione radiofonica.
«Non… Non ascolto nulla in particolare» risponde quello intimidito dallo sguardo perplesso di mia sorella, che potrebbe urlare da un momento all’altro la sua parola d’ordine: sacrilegio!
Oppure è intimorito dalla bellezza di Elizabeth, che emana gioia e vitalità, certo.
Io ed Hay ci scattiamo foto buffe, prive di qualsiasi ispirazione artistica, mentre Liz esulta come una pazza perché riconosce le note diWeightless  degli All Time Low, un gruppo del quale è una fanatica sfegatata.
«Maybe it’s not my weekend…» inizia a canticchiare la bionda.
«But this is gonna be my year!» prosegue Hayley che si lascia prendere dall’entusiasmo di nostra sorella.
«And I’m so sick of watching while the minutes pass and I go nowhere…» mi unisco anch’io al coro, osservando divertita il nostro giovane autista che potrebbe lasciarsi rotolare giù dalla macchina per denunciarci a causa di inquinamento acustico. Ridiamo all’unisono.
Obiettivamente, questa vacanza sta iniziando con il piede giusto e prometto solennemente che non le deluderò. Sono le mie sorelle, devono staccare la spina dal lavoro e io devo lasciarglielo fare, volente o nolente.
 
- Elizabeth Harrison
 
Il giovane autista ci porta davanti ad una casa stupenda. Scendiamo dalla macchina senza smettere di fissare l’immensa villa color verde pistacchio e restiamo lì davanti tutte imbambolate.
Hayley, Eveline ed io.
Intanto il ragazzo non si cura troppo di noi e scarica le nostre valigie, portandole sulla soglia di casa.
Avete presente i bambini che sono in luogo nuovo, mai visto prima e grandiosamente stupendo? Ecco, noi siamo uguali.
«Non volete entrare?» domanda lui, sorridente davanti alla porta.
 
Avanziamo dei piccoli passi sempre guardandoci intorno e alla fine riusciamo ad entrare in casa. Davanti a noi troviamo una scala che porta al piano superiore mentre ai nostri nasi arriva un profumo pungente, speziato.
«Cannella!» esclamo. Il mio profumo preferito.
«Ma puzza!», Eve, la solita schizzinosa. Si tappa il naso e fa una faccia schifata;  la lascio perdere, è meglio. Altrimenti le tirerei un cazzotto in pieni viso.
La casa, o megavilla, è disposta su due piani. Il giovane, dal nome sconosciuto, ci saluta e se ne va mentre noi continuiamo a  ringraziarlo all’unisono. Sento il rumore del motore mettersi in moto e svanire piano piano mentre si allontana.
Di nostra completa iniziativa ognuna comincia ad andare in perlustrazione della casa, tutte elettrizzate e in fibrillazione. Mentre guardo ogni millimetro quadrato della cucina, divertendomi ad aprire e chiudere le antine dei mobili, Hay urla a squarciagola. Un urlo potente, spaccatimpani. Io e Eve non esitiamo nemmeno un istante a correre da lei.
«Mia!» esclama spocchiosamente.
La stanza è immensa, stupenda, con le pareti color turchese e sopra il letto matrimoniale di ferro battuto svetta un quadro dell’oceano al tramonto. Non c’è nessun armadio, ma, nel punto in cui dovrebbe esserci, c’è una piccola toeletta di colore bianco situata nell’angolo vicino alla finestra. La stanza è molto femminile, curata in ogni singolo dettaglio. Si vede che qua c’è il tocco di nostra cugina, come del resto in tutta casa.
«Non esiste!» le urlo e alla fine iniziamo a litigare come bambine.
«Sei la solita stronza, Hay!» dico incrociando le braccia e uscendo dalla stanza.
E’ la nostra frase tipica; penso che ce lo diciamo molto spesso durante la settimana. Ma in fondo ci vogliamo un bene dell’anima.
Eve intanto rimane a guardarci scandalizzata: lei non è il tipo da fare queste cose. Lei è tranquilla. Forse anche troppo. L’opposto di me.
«E dai! Vieni qua!», Hay e Eve mi rincorrono per la casa e mi trascinano nella stanza. La prima mi tiene per un braccio, l’altra fa lo stesso con l’altro braccio e contro la mia volontà mi portano di peso sulla terrazza della camera, l’unica in tutta casa così spettacolare con la vista sull’oceano. Quella immensa, meravigliosa, splendida distesa blu. Anche se io preferisco chiamarla Paradiso una visione del genere, non Oceano.
Siamo tutte e tre appoggiate alla ringhiera e tutto intorno si crea un silenzio quasi sacro.
Solo noi, il rumore del mare e l’urlo dei gabbiani.
Solo un pazzo può interrompere un momento del genere.
«Hey, venite in cucina! Ho trovato del burro di arachidi!» esclamo una volta rientrata. La mia pazzia viene confermata per l’ennesima volta.
«Sai rovinare sempre tutto Lizzie!» mi rinfaccia Eveline. Piccola ma tosta.
Le convinco e tutte insieme facciamo il giro della casa.
Al secondo piano ci sono le tre stanze da letto. Eve si è appropriata di quella dalle pareti bordeaux e dalla stra-rifornita libreria di grandi classici, i suoi preferiti. Io invece mi accontento di una semplicissima stanza dalle pareti color albicocca, con un letto matrimoniale color noce dalle linee essenziali e, cosa più importante, una scrivania e un piccolo balcone dove poter curare le mie piante.
C’è un’altra porta e non esito ad aprirla, rimanendo senza fiato. Una cosa mai vista prima.
Vasca idromassaggio. Doccia. Rubinetteria splendente.
Neanche i bagni dell’Hilton’s Hotel sono cosi fighi, ci scommetto.
Uscite dal bagno incontriamo l’ultima porta in fronte a noi e la apriamo senza pensarci due volte. Accendiamo la luce e… Boom.
I nostri occhi luccicano? Curiosi, eh?
Beh, mettete insieme scarpe costose più di qualsiasi altra cosa, vestiti delle boutique più prestigiose di tutta America e tre donne, e guardate l’effetto che fa.
Ci buttiamo come indemoniate su tutto quel ben di Dio. Tocchiamo, annusiamo, proviamo, qualsiasi cosa ci capiti a tiro. Vestiti, scarpe, borse, anelli e bracciali. Il paradiso.
A malincuore chiudiamo la porta che conduce al mondo magico e scendiamo le scale, portando le mie sorelle in cucina per vedere il famosissimo, e buonissimo, vasetto di burro d’arachidi. Da conservare per i miei/nostri momenti di depressione/fame notturna, sia chiaro.
La cucina è gigantesca, come tutto in questa casa d’altronde. Il lavello è opposto alla finestra e di fianco a questo ci sono i fuochi e il piano cucina con alcuni elettrodomestici. Al centro della cucina c’è un tavolo con sei sgabelli e dirimpetto sta il salone, dove un televisore a 5cinquanta pollici domina incontrastato. La parete di destra è una vetrata unica che dà sul retro. Il salone è tutto innovativo, tecnologie che a casa mia erano impensabili. Con uno schiocco delle dita scende dal soffitto un telone per poter vedere dei film su uno schermo ancora più grande e le luci di quello che sembra un normalissimo lampadario se impostate diventano luci stroboscopiche. Quante belle feste!
Per ultimo, ma non per importanza, il retro. Una bella piscina e del bel prato verde in cui potersi rilassare nel silenzio più totale.
Eve si avvicina alla piscina.
Io e Hay ci guardiamo e in meno di tre secondi la minora ci si ritrova dentro, immersa fino ai fianchi. Ci guarda con occhi di fuoco mentre noi due maggiori ridiamo come delle pazze. Esce dalla piscina con i vestiti grondanti d’acqua e si mette a rincorrerci per tutto il giardino. Non riuscendo più a smettere di ridere mi butto a terra e mi rotolo proprio come una deficiente, lo devo dire, e la vendetta di Eve arriva in pochissimo tempo.
Quando vuole tira fuori gli artigli anche la piccolina.


It's NdA moment!

Il che non è una grandissima cosa, visto che me ne occupo io... -.-'
Lo so, è passato più tempo del previsto, e indovinate di chi è la colpa? Mia, ovvio. Sempre mia.
La qui presente Meg/Hay ha avuto settimane davvero incasinate a scuola e non ha avuto un attimo libero...
Anyway, io e le mie colleghe ci auguriamo che anche questo capitolo sia di vostro gradimento :)
Ancora si è agli inizi, ma la storia prenderà presto la sua piega ;)
Grazie, come sempre, a tutti quelli che si filano questa storia xD
A presto!

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Capitolo 3
*** Live this moment ***


Capitolo 3 – Live this moment
 
- Hayley Harrison
 
Apro gli occhi all’improvviso, totalmente riposata e con l’animo in pace. Ora capisco cosa intendeva papà per “prenderci un po’ di tempo per noi stesse” e devo proprio dire che aveva ragione. Da quando mamma è andata via, dieci anni fa, non abbiamo avuto mai un attimo di respiro: è stata dura dover affrontare tutte le conseguenze che ne erano derivate, come aiutare papà, gestire il mio studio appena aperto, mettere da parte i soldi per il vivaio di Liz e mantenere le spese scolastiche di una Eve di soli nove anni. Ma ciò che è stato più difficile era continuare a far tutto questo sorridendo.
Ed è stato così che sono arrivata ai trentaquattro anni: senza rendermene conto, senza aver ancora sbarcato il tanto atteso lunario, senza una relazione che meritava di essere definita tale.
Perciò questo viaggio è tanto importante per me: rappresenta un minimo punto di svolta, una pausa per prendersi del tempo e riflettere, una piccola pietra miliare nel cammino della mia vita (sì, forse dovrei smetterla di leggere testi induisti e buddhisti, spinta dalla curiosità).
Insomma, ho anticipato la crisi di mezza età di qualche anno, però il concetto è quello.
Mi stiro sul letto e, infischiandomene altamente dell’orario, mi alzo e scendo le scale diretta in cucina per fare colazione. Quasi quasi rotolo giù fino al pianterreno quando sento Elizabeth parlare con Eveline. Possibile che sia già sveglia?!
Scendo ancora qualche gradino e la vedo. Sì, non è un sogno. E’ reale.
Annuso l’aria e un dolce profumo riempie tutto il piano inferiore: la bionda numero uno ha anche preparato i pancakes.
Promemoria per me: avvertire papà che ci trasferiremo a casa di nostra cugina, visto gli effetti benefici che questa esercita sul nostro caro e amato spirito libero ribelle.
«Buongiorno» mi saluta la minore passandomi il piatto con le frittelline.
Le scombino i capelli, agito la mano a Liz e addento quel pancake dorato, trangugiandolo senza pietà. E’ vero che io (ahimè!) sono golosa, ma mia sorella Elizabeth è un asso ai fornelli quando vuole!
«Allora, che programmi abbiamo per oggi?» domanda la cuoca sedendosi di fronte a me.
«Mmm… Al Lowe Art Museum c’è una mostra di fotografia e pensavo…» azzardo.
La risposta arriva forte e diretta: «No!» esclamano le mie sorelle all’unisono.
«E va bene, va bene! – accordo ridendo della loro reazione – Andiamo al mare. Siamo a Miami, che cosa fa la gente a Miami?».
«Va al mare ad osservare i fighi!».
«Risposta corretta, Lizzie!».
 
«Qui lo dico e qui lo confermo: le spiagge di Miami sono stupende» dice Eve dopo essersi stesa sul suo lungo telo giallo.
E come darle torto? E’ praticamente impossibile!
La sabbia è chiarissima, quasi bianca, e crea un contrasto meraviglioso con l’azzurro intenso dell’oceano. Sì, devo assolutamente scattare qualche foto.
«Tu guarda, la ragazza che vive sulle cime tempestose è uscita dal suo letargo!» esclama Liz alludendo chiaramente al romanzo.
Eveline non perde l’occasione per mostrarle la lingua (perché alzare il dito medio è troppo per la mia sorellina) ed io ne approfitto subito per scattare la prima foto del giorno.
«Siete stupende!» rido a gran voce osservando la fotografia. Amo gli scatti spontanei, sono così veri. Riesci a leggere tutta una persona attraverso una foto del genere.
«Oh, da’ qua! – dice la mezzana mentre mi afferra la macchina dalle mani – Ci penso io, altrimenti, se fosse per te, scatteresti foto a tutte le conchiglie della battigia!».
Io ed Eve ci scambiamo un’occhiata veloce e non possiamo fare a meno di ridere: non è difficile immaginare quali siano le sue intenzioni.
E infatti non ci sbagliamo perché, circa un’ora più tardi, trovo la memoria della mia Canon intasata da fotografie di fusti troppo pompati con il fisico color caramello; foto che, sicuramente, andrò a scaricare sulla più remota cartella del mio scassato portatile.
Lizzie preferisce quel genere di “bellezza” lì ed io non so nemmeno cosa ci trovi di tanto affascinante, a dirla tutta. Paul è completamente diverso, non è da buttare via, ma non è nemmeno un gran figo come ce ne sono tanti nel mondo (a cominciare da Johnny Depp, per fare un nome). Eve invece… Beh, non ho ancora capito quale sia il tipo di uomo di Eveline perché evita sempre di parlarne. Magari durante questa vacanza cercherò di aprire quella parte del suo cervello che è ancora chiusa a questo genere di cose.
«Va bene, io vado a fare un bagno» informo mentre mi tiro su. La minore alza il pollice mentre Liz non risponde: è già caduta in catalessi, di nuovo!
Va bene, lo ammetto: percorrere questi pochi metri che mi separano dall’acqua, in bikini e con gli occhi di quasi tutta la popolazione maschile di Miami puntati addosso (sicuramente per curiosità, non per altro) mi imbarazza da morire e infastidisce parecchio; ma riesco a immergermi sana e salva e non ho più intenzione di uscire fino a quando non sarà buio inoltrato.
L’acqua è fresca, limpida ed è estremamente rilassante lasciarsi trasportare dalla corrente. Mi sento libera e leggera, finalmente, dopo tanto tempo. La mia mente spazia tra vari ricordi, vari progetti, desideri e sogni ad occhi aperti.
Quello che le mie sorelle ancora non sanno è che mi sono presa un periodo di pausa dalla mia storia con Paul.
Sì, mi sono presa, sono stata io.
Perché il limite che separa l’amore dalla benevolenza è sottilissimo e spesso non si capisce più in quale delle due parti ci si ritrova. O meglio, io penso di saperlo già qualche tempo, ma non ho il coraggio di ammetterlo a me stessa per timore delle conseguenze.
Insomma, ho superato la trentina, non sono accasata e sto con lo stesso uomo da quasi sette anni, persona con cui, tra l’altro non ho ancora concluso niente.
Se le cose non cambiano da loro, sarò io a farle girare in modo diverso.
Il ritorno alla realtà è molto più che brusco: trovarsi improvvisamente sommersi non è proprio il massimo, eh?
Riemergo, sputacchiando qua e là tutta l’acqua salmastra che ho mandato giù.
Eveline ed Elizabeth sono accanto a me e ridono come due folli.
«Come fai ad annegare in un metro d’acqua?» mi deride la mezzana.
E no, questo non avrebbero dovuto farlo.
 
- Eveline Harrison        
 
Avevo dimenticato quanto fosse bello comportarci da ragazzine pazze ed isteriche che inventano i dispetti più buffi come se fosse l’unico scopo della loro vita, come se non ci fosse un domani di cui doversi preoccupare.
Liz strizza i capelli ancora umidi, rendendosi conto di dover colorare nuovamente le punte perché sono già sbiadite, mentre Hay sorride felice. Non le vedevo così solari e riposate da secoli. Questa vacanza se la sono meritata e sembra davvero che basti solo questo per far sì che il sole torni a risplendere sulle loro menti offuscate da troppe nubi.
Inserisco la chiave nella toppa e le mie sorelle sembrano già essere pronte ad affrontare una maratona che le porti a conquistare la medaglia d’oro (sostituita elegantemente da un divano non troppo grande situato nel bel mezzo del soggiorno).
«Ho vinto! Ho vinto» esulta soddisfatta la maggiore, sotto lo sguardo minaccioso di una Liz intenta a macchinare qualche astuta vendetta che la faccia ridere diabolicamente.
Piego la testa verso il basso, lasciando liberi i capelli perfettamente ondulati. Sorrido, come se un brivido di vitalità mi avesse oltrepassato le ossa. Vorrei fare tante cose, anche se la maggior parte di esse ha uno scopo comune: la lettura.
«Allora avete deciso cosa fare oggi?» domando cogliendole di sorpresa.
Liz ed Hay si scambiano uno sguardo complice, indizio che abbiano già deciso cosa fare senza avermi resa partecipe.
«Vedi Eve, io e Lizzie…» esordisce Hayley,come se avesse appena ingoiato un rospo che le blocchi le corde vocali.
«Sì, ecco. Siccome sei troppo impegnata a cambiare la condotta morale di Heathcliff,ho proposto ad Hay di accompagnarmi al Miami Ink» conclude la bionda con gli occhi che le brillano. Non immagino con quale scusa abbia persuaso Hay, anche se sarebbe capace persino di prostrarsi ai suoi piedi e adorarla come se fosse la dea della Saggezza.
«Che razza di lugubre luogo è mai Miami Ink?» domando perplessa.
«E’ un negozio di tatuaggi, a South Beach» risponde con decisione Elizabeth.
«Ci aveva detto che avrebbe fatto un tatuaggio, ricordi? E sapevamo già che non avresti approvato perché credi che il corpo non sia un foglio di carta e tutte quelle tue teorie» aggiunge la mora giustificando il motivo per cui non mi hanno resa partecipe dei loro folli piani.
«Fate un po’ come vi pare».
 Avrebbero almeno potuto accennarmelo, al massimo avrei potuto spiegare a Liz che quando sarà vecchia la sua pelle sarà disgustosa e quel bel dragone che vuole tatuarsi sarà simile a un escremento di bue. Lo so, sono tutti liberi di decidere quello che vogliono fare del proprio corpo, solo che io non amo i tatuaggi e nessuno mi farà cambiare idea, fine della storia.
«Eve, ho dato un’occhiata a Google Maps e ho trovato una libreria proprio a South Beach. Potremmo andare insieme e prendere due piccioni con una fava, come si suol dire» propone Hay sperando che accetti la sua idea geniale.
Il termine “libreria” mi ha ottenebrato la mente e potrei perfettamente urlare una risposta affermativa, ma non posso (e non voglio) dargliela vinta così facilmente.
«E va bene» dico infine, cercando di mascherare l’entusiasmo.
Liz corre in bagno a prepararsi, mentre io mi limito a truccare la lima inferiore di entrambi gli occhi di un particolare verde smeraldo che si armonizza con le mie iridi splendidamente azzurre grazie alla luce del sole.
 
«Voglio un dragone!» urla Liz pur di non abbassare il volume della radio.
Davvero non riesco a capire come sia capace di fare un miliardo di cose contemporaneamente: una mano sul volante, la bocca semipiena di marshmellows, canticchia, urla, e con l’altra mano accarezza il vento caldo di Miami. Nonostante tutto questo, però, mi fido della sua guida sportiva.
«Ti ho detto di no, Liz. Hai ventisei anni, per l’amor di Dio, non farti venire idee troppo adolescenziali» la ammonisce Hayley dall’alto della sua maggiore età.
Mi limito ad ascoltare passivamente le loro liti, che mi mettono stranamente di buon umore. Non hanno mai litigato tanto da prendersi a cazzotti (almeno, non con l’intenzione di uccidersi) o strapparsi i capelli, ma semplici diatribe concluse con qualche dito medio e una risata.
Intravedo l’insegna rossa della libreria e i miei occhi si illuminano d’immenso.
«Frena,El!» esclamo, ritrovandomi a sbattere la testa contro il poggiatesta del suo sedile. Mi sento tanto un manichino che viene utilizzato per i crush test.
«Non divertirti troppo con Kant e Freud, eh» scherza la mezzana che si becca una linguaccia. Agito la mano per salutarle, rammaricandomi di non poter vedere più la pelle di Liz tersa e pura.
 
Apro la porta della libreria, sorprendimi del rumore del campanello affisso su di essa. Sembra lo stesso rumore della caffetteria dove mi recavo ogni mattina prima di entrare a scuola. Ho apprezzato gli anni del liceo e darei qualsiasi cosa pur di tornare indietro e non farmi assalire dalla paura dell’Università.
«Posso esserle d’aiuto?». Una donna con gli occhi verdi e i capelli castani mi si pone davanti e scuoto il capo accennandole un sorriso.
Devo sperimentare il territorio da sola, devo scegliere cosa vedere e fare ciò che desidero. La libreria è come un rifugio segreto, dove posso scambiare qualche pensiero con Hugo o con qualche altro scrittore.
Sarà davvero difficile mettere da parte la mia copia di Cime Tempestose per rimpiazzarla con qualche altro libro, ma sono azioni che, prima o poi, bisogna compiere.
Intravedo la locandina di un libro dalla copertina grigia, il cui titolo mi incuriosisce:La donna che morì dal ridere. Un sorriso mi spunta sulle labbra e mi catapulto nel reparto di scienza e psicologia dove l’ultima copia del libro padroneggia su altri volumi più o meno conosciuti.
Allungo la mano, come se stessi per toccare un diamante, ma qualcun altro mi precede abilmente. Un ragazzo con un cappuccio rosso calato in testa esamina il libro, soffermandosi sulla copertina a cura di qualche abile grafico. Dal modo in cui lo guarda, non credo che sappia cosa sia un libro.
Tossisco, sperando che si renda conto della mia esistenza. Cosa che però, com’era ovvio, non accade.
«Ehm, scusa, potrei leggere un attimo?» chiedo un po’ imbarazzata.
Si volta lentamente, lasciando che il cappuccio della felpa gli scivoli dietro il collo. Deglutisco rumorosamente.
«Sarà divertente, immagino» mi dice cedendomi l’ultima copia rimasta.
Davvero crede che sia un libro comico? Giuro che potrei scoppiare a ridergli in faccia, qualche forza oscura me lo impedisce.
«E’ un saggio di neuroscienza. Il dottor Ramachandran è uno dei più famosi al mondo. Siamo fortunati ad averlo qui negli Stati Uniti, in California». Sono certa che stia pensando che sia una stupida sapientona.
«Ah, bene. Sono un idiota» sorride, toccandosi timidamente la barba che è di un insolito castano chiaro, esattamente come i suoi capelli arruffati.
Sento le gambe improvvisamente pesanti e il battito cardiaco è notevolmente aumentato.
Che stregoneria è mai questa?!
Abbasso lo sguardo, temendo di perdermi in quegli occhi così simili ai miei.
Maledizione, Eveline, smettila di comportarti come un’insulsa adolescente!
«Mmh… Sapresti consigliarmi qualcosa da regalare a mia sorella?» domanda improvvisamente e credo che il cuore mi si sia incastrato nell’esofago. Potrei vomitare arcobaleni. «Scusami, neanche mi conosci, potresti pensare che sia un maniaco…».
«No, no! Va bene, anzi, sì. Ti aiuto» farfuglio. E’ la prima volta che non riesco a gestire una conversazione e la cosa risulta alquanto imbarazzante. Se diventassi una psicologa come potrei moderare le mie emozioni?
Equilibrio, Eveline, equilibrio.
Ci spostiamo verso il reparto dedicato ai romanzi gialli, lasciandomi guidare da questo sconosciuto senza nome.
«Le piacciono i thriller? Aghata Christie?» mi informo, sperando di aver fatto centro.
Annuisce poco convinto e mi sposto verso il settore di romanzi rosa. Forse dovrei chiedere cosa ama fare sua sorella, anche se è l’ultima persona alla quale sono interessata in questo istante.
«Sai, non vedo mia sorella da un bel po’ di tempo. Verrà a Miami fra qualche settimana e.... Sta passando un periodo difficile con un ragazzo» racconta brevemente mentre afferra dallo scaffale un libro che non c’entra proprio nulla con sua sorella e con nessun’altra donna.
«Capisco. Allora potresti regalarle un mazzo di girasoli e un libro che la faccia ridere abbondantemente; credo che abbia bisogno di sorridere e vedere la vita sotto un’altra prospettiva» dico tutto d’un fiato e spero che abbia capito almeno un parola di tutto ciò che ho detto.
«Gestisci, per caso, qualche social network di incontri?» sorride divertito, prendendo i libro che avrei teoricamente scelto per sua sorella.
«No. Sono una ragazza in vacanza» rispondo e ricambio il sorriso, decisamente meno bello del suo.
«Grazie» dice alzando medio ed indice in segno di pace. Molto romantico, direi.
Faccio spallucce, rendendomi conto di non aver mai provato questa sensazione di pseudo sbornia per un ragazzo. Vorrei dirgli che non è quello il libro giusto e passare altre due ore in libreria a chiacchierare come se non ci fosse altro essere umano oltre noi due.
Chissà se lo rivedrò mai.
«Ah, che stupido!» esclama richiudendo la porta della libreria che aveva appena aperto e voltandosi verso di me. «Mi chiamo Adam e ti devo un favore», allunga la mano e sfioro le sue dita sottili e morbide.
«Eveline» replico biascicando mentre incontro i suoi occhi per un istante che sembra essere eterno e breve allo stesso tempo.
E’ uscito dalla libreria e mi sento un’idiota.
Cosa penserà di me? Come ricambierà questo favore? Ma, soprattutto, lo rivedrò mai?
Lo scoprirò solo vivendo.

Era una notte buia e tempestosa... (Non cercate di capire i nomi delle nostre NdA, è difficile anche per noi)

Rieccoci! L'instancabile trio è tornato! :D
Con un po' di ritard,o già... Di questo ne sono responsabile io che, in quanto addetta alla pubblicazione, sono stata parecchio incasinata con la sua scuola -.-'
Comunque sia, il capitolo è qui e non abbiamo particolari note da comunicarvi.
Finalmente qualcosa inizia a muoversi, anche se è solo l'inizio perchè le nostre menti diaboliche sono sempre al lavoro!

Ah, ecco una cosa: se aveste voglia di leggere le storie che scriviamo in solitaria, qui ci sono i nostri account ---> Hayley (che poi sarei io) e Liz :) (Eve non si è ancora decisa a iscriversi, ma ci stiamo lavorando)
Che altro dire? Vi ringraziamo se siete ancora qui e vi aspettiamo al prossimo capitolo :D <3


 

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Capitolo 4
*** You may say I’m dreamer ***


Capitolo 4 – You may say I’m dreamer
 
- Elizabeth Harrison
 
La tappa da Miami Ink è d’obbligo,  anche se (devo dirlo) un bel dragone starebbe molto bene su tutta la mia schiena! In spiaggia avrei fatto di sicuro un figurone e qualche bel maschione si sarebbe certamente fatto avanti: il fascino della ragazza tatuata non ha fine.
Però alla fine opto per una bellissima triade dietro il collo, nonostante le varie ramanzine di mia sorella maggiore. Per non parlare della minore! Mamma mia, penso sia nata vecchia quella ragazza.
Ti rovini la pelle!Vedrai, da vecchia, come il tuo tatuaggio come sarà sulla tua pelle floscia e rugosa. Una chiazza nera e bla bla bla.
Ma una fuori dagli schemi fa orecchie da mercante e agisce come vuole. Ed è così che faccio.
Ovviamente è quel bravissimo (questo è ovvio) e bellissimo Darren Chris a imprimere la triade sulla mia pelle.
 
Il primo giorno a Miami ho fatto un tatuaggio. Chissà cosa farò nei giorni successivi.
Dettagli.
 
- Eveline Harrison
 
Sistemo il mio nuovo acquisto nella libreria della mia camera, tutta soddisfatta. Devo ammettere che nostra cugina ha davvero un buon gusto in fatto di arredamento; la mobilia è in legno, probabilmente ciliegio, e si armonizza con il bordeaux della stanza.
Sento le mie sorelle ridere dal piano di sotto e mi affretto a scendere le scale per sapere cosa ha combinato la bionda in quel negozio di tatuaggi.
«Eveline!» urla Hayley mentre cerca una tovaglia da poter mettere sul tavolino in terrazza. Deduco che hanno intenzione di cenare all’aperto questa sera e non può che farmi piacere.
«Ciao ragazze» saluto tranquillamente, prendendo le posate e i tovaglioli per dimostrare che non sono poi così nullafacente.
Seguo le mie sorelle in terrazza, dove un venticello caldo mi scompiglia i capelli. I grilli hanno già cominciato ad intonare il loro canto mentre il sole sta tramontando, lasciando qualche nuvola tinta di un caldo arancione. E’ così bello il panorama.
Ho cambiato idea troppo in fretta su Miami e, in particolare, sui suoi abitanti. Mi lascio scappare un nuovo sorriso (che mi fa sentire un’ebete), ma avverto subito quattro occhi puntati addosso e cerco di deviare i loro pensieri.
«Allora, Liz, in che modo hai deturpato la tua preziosa pelle ?» domando prontamente.
Elizabeth sposta le ciocche blu dal collo, mostrandomi una sottospecie di triangolo con una linea nel mezzo che lo divide in altre due figure geometriche e, al di sotto, una scritta che sembra essere aliena.
«Cos’è?» chiedo perplessa, aspettandomi già una ramanzina sul fatto che io non capisca un cazzo della vita, della musica e di tutto ciò che mi circonda perché me ne sto sola nel mio eremo.
Arriccio la fronte, come se un’ondata di paura mi avesse pervaso il corpo.
«E’ il simbolo di un gruppo musicale, ovviamente» risponde in maniera inaspettatamente tranquilla. Distendo le rughe  della fronte, passandoci sopra una mano e le rivolgo un sorriso. Stranamente, non ho la minima voglia di farle una predica su quanto sia inutile quel tatuaggio (anche se dovrei complimentarmi con Hayley per aver distolto la mezzana dall’idea di tatuarsi un dragone), perché mi sento così leggera e senza pensieri, come se stessi riposando su una nuvola bianca.
«Come mai non sei venuta da noi, una volta finito?» chiede Hay, probabilmente intenta ad evitare una discussione sul tatuaggio di Liz.
«Avevo voglia di conoscere un po’ South Beach e non mi andava di esservi d’intralcio nelle vostre esperienze folli», friziono sulla fronte un ciuffo di capelli che il vento mi aveva scompigliato e, ancora una volta, lascio che le mie labbra si stendano in un sorriso.
«Tu non me la racconti giusta», la maggiore mi alza il mento con un dito, i suoi occhi si fanno piccoli e cercano di penetrarmi l’anima. Fortuna che l’aspirante psicologa sono io.
«Sorride come se si trovasse in un paradiso deliciano arabo» aggiunge Lizzie, probabilmente traendo spunto da uno dei testi a cui la mora si sta interessando.
«Le sue guance sono… Come dire, molto rosee».
«Direi in tinta con la sua stanza, Dottoressa Hayley ».
Si scambiano uno sguardo complice e, contemporaneamente, afferrano due poltroncine in bambù per posizionarsi davanti a me.
Il battito cardiaco è accelerato, forse perché ho paura delle domande che quelle due donne possano rivolgermi o, ancora peggio, perché ricordare certe cose mi manda il cervello in vacanza.
«Allora? Cos’è successo in libreria?» domanda subito Hay, armandosi di forchetta e tovagliolo a mo’ di taccuino, come se fosse un’investigatrice pronta a farmi ammettere la colpa più grave del secolo.
«Hai fatto strage di cuori?» continua Elizabeth, reggendosi il capo con una mano.
Sospiro; non ha senso tenermi tutto dentro.
« In libreria... » comincio e improvvisamente la mia mente proietta le sue mani che calano il cappuccio rosso della felpa, mostrando i suoi meravigliosi capelli.
«Oh, no. Un intellettuale del cazzo» sbuffa la mezzana, evidentemente delusa dall’idea di body builder che si era costruita.
«Almeno condividete lo stesso interesse per la lettura, no?». Hayley, la donna che analizza le sfaccettature positive della vita.
«Non credo che abbia ben chiaro il concetto di libro, in realtà» sorrido.
Penso che se qualche altro essere umano avesse commesso un errore così madornale sul dottor Ramachandran, non avrebbe mai avuto un posto nella mia scala di interesse.
«E allora? Che ci faceva in libreria?». Sembra che Liz sia poco interessata e la cosa mi dispiace; credevo che mi avrebbe posto le domande più assurde e imbarazzanti.
Questa ragazza non smetterà mai di sorprendermi.
«Cercava un regalo per sua sorella. Mi sono offerta di dargli una mano e dice che mi deve un favore» spiego brevemente e, dal tono di voce che uso, sembra che è come se creda davvero alle mie stesse parole.
Sii seria Eveline, non lo rivedrai mai. Puoi benissimo dimenticare tutto, tornare alla tua serietà e dare un taglio a questo terzo grado.
Hayley, però, mi sorride e sembra sia davvero felice che mi sia interessata ad un essere umano del sesso opposto, per giunta neppure sulla mia stessa lunghezza d’onda. Mi carezza un braccio.
«E’ carino?» prosegue la bionda, lasciando che un dito le scorra sull’orlo del bicchiere.
«Decisamente!» alzo il tono della voce, facendo esplodere tutta la mia euforia che sembra risvegliare dall’apatia anche la mezzana.
«Descrivilo immediatamente!» ordinano all’unisono con due grandi sorrisoni a trentadue denti stampati in faccia.
«Beh, ha due gambe, due braccia, due mani morbide e curate e due occhi splendidamente verdi. Ah sì, aveva anche i capelli» rispondo celando il mio interesse.
Liz ed Hay si guardano e sono certa che potrebbero uccidermi con lo sguardo o, ancora peggio, mi farebbero soffrire lentamente stimolandomi con aghi tramite una bambola voodoo.
«Ti ho mai detto che sei davvero antipatica ?», Liz scuote la testa.
Come darle torto? Ho rovinato anche il bellissimo momento della descrizione del mio principe azzurro.
Chissà di cosa si occupa. Ha la faccia di un ragazzo educato, gentile e timido, quel genere di ragazzo che mi permetterei di presentare a nostro padre.
«E’ bellissimo» aggiungo, grattandomi nervosamente la nuca.
«Potrai almeno contattare questo fortunatissimo ragazzo che ha con i suoi dardi colpito il tuo cuore?» fa Hayley, immedesimandosi nella parte di qualche rapsode greco.
«Si chiama Adam».
Che stupida. Avrei potuto chiedere un recapito, tanto per ricevere indietro il favore!
«Ad Adam ed Eveline!» esclama Liz, innalza il bicchiere e la imitiamo.
Non avrei mai pensato di fare il mio primo brindisi con una bevanda gassata e poco elegante, ma non importa.
Ho scoperto cosa fare di quest’estate : cercare Adam.
Anzi no, devo semplicemente vedere la mia vita con un po’ più di leggerezza. Ho diciannove fottutissimi anni. Al diavolo l’organizzazione dettagliata del mio futuro. Devo sognare come ogni ragazza normale può e sa fare, almeno in estate, la stagione in cui pullulano gli ormoni e decadono i neuroni.

Jingle Bells, Jingle Bells, Jingle Bells Rock!

E' NATALE, GEEEEENTE!
E lo so che non vi frega, ma io mi gaso u.u
Anyway, il capitolo (anche se "di passaggio") c'è e mi scuso ancora una volta per il ritardo... Ma anticipo che abbiamo in mente graaaandi cose per il quinto *ride diabolica* e credo proprio che dovrebbe arrivare prima dell'anno nuovo, forse anche prima di Natale *ehm ehm, non esageriamo*, perciò... Stay tuned! :D
Che dire, siamo ancora agli inizi ma non vediamo perchè doverci limitare nei ringraziamenti, quindi: Grazie. Grazie a chi preferisce, grazie a chi segue, grazie a chi ricorda e grazie (e lode eterna!) a chi ha il coraggio di recensirci :)
E adesso scappo perchè ho parecchio da fare, uff...

Abbracci, baci e tanti M&M's <3


 

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