Nuove esperienze

di The Chemist
(/viewuser.php?uid=216829)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHAPTER 1. - Un nuovo amico ***
Capitolo 2: *** CHAPTER 2. - Conoscendosi ***
Capitolo 3: *** CHAPTER 3. - Un brutto episodio ***
Capitolo 4: *** CHAPTER 4. - Ancora dolore ***
Capitolo 5: *** CHAPTER 5. - Dilatando le vene. ***



Capitolo 1
*** CHAPTER 1. - Un nuovo amico ***


-------------------------
cccciao a tutti, sono di nuovo qui. No, non la finisco di scrivere, ho intenzione di migliorarmi, di fare qualcosa di valore, cavolo. Mi sono impuntata xD
vi chiedo di dimenticare un po' tutta la realtà: questa storia è una storia a SE', inventata, quindi nelle recensioni(se ce ne saranno) non mi veniate a dire 'ma guarda che questo non è successo' o 'questo è impossibile che succeda perchè..' è pura invenzione la mia.
ho riletto il testo tre volte, e spero che ora gli errori ortografici siano diminiuti rispetto a prima.
ho notato anche che una ragazza mi ha recensito per un errore di battitura, vi prego, non mi penalizzate anche per quello xD ripeto: sono inesperta.

grazie a tutti quelli che leggeranno il primo capitolo c':

-------------------------
 


Nuove esperienze


È un altro fottuto giorno. Un altro giorno di merda da aggiungere alla lista delle giornate maledette. Chester si sveglia alla solita ora, per andare a scuola e incontrare tutte quelle teste di minchia dei suoi compagni di classe.
Un po' d'acqua sul suo viso, i jeans che scivolavano sulle sue gambe magre ed è pronto per avviarsi in quell'inferno.
Prende le chiavi di casa, il suo zainetto e se ne va.
Cammina solo sul marciapiede, con un paio di cuffiette nelle orecchie.
« Ciao Bennington! » sente alle sue spalle. Era Brad, in bicicletta. Un suo compagno di classe, forse l'unico in cui poteva fidarsi, ma neanche troppo. Com'è il detto: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
« Uh, ciao. » dice freddamente, senza umorismo. Brad continua ad andare avanti ed egli rimane nuovamente solo. Come sempre, forse.
Arrivato a scuola, all'entrata, precisamente, il solito: le ragazze che sbavano per lui, i ragazzi l'esatto contrario. Non voleva fidanzarsi con nessuna delle sue pretendente, i suoi gusti erano altri. Molti altri.
Si siede sugli scalini e apre il suo libro, al paragrafo assegnato per oggi. È molto bravo a scuola, nonostante tutti i suoi problemi.
« Ehy ciao. » mormora una voce femminile alla sua destra.
Alza lo sguardo verso di lei.
« Ciao. » Chester saluta la ragazza in modo indifferente.
« Ho notato che hai uno stile che mi attrae molto. » per egli è gia no, fin dal principio. Si creò nemiche soprattutto a forza di rifiutare duramente, ma non riesce ad essere attratto dalle ragazze. Ormai è chiaro, lui è gay, ma non può di certo ammetterlo.
« ... Quindi volevo provare a conoscerti, ti va di uscire? » la guarda e soprattutto nota il gruppetto delle amiche a poca distanza da ella. Solite ragazzate.
« Ehm, scusa, ma non mi va molto. » risponde Chester con tutta calma, sperando che non se la prenda, ma tanto è tutto inutile.
« Ah, okay. » la ragazza ha uno sguardo come per dire 'stronzo', le si legge nel volto, ma non voleva assolutamente risultare tale.
« Beh, ciao! » continua ella per poi andarsene.
La campanella squilla, premde i suoi libri e li mette dentro il suo zaino. Alzandosi in piedi incrocia lo sguardo con un ragazzo con gli occhi color nocciola, il quale lo sorride, come se si conoscessero da tempo. Egli ricambia il sorriso, ma senza troppo umorismo.
Arriva nella sua aula, al piano terra, la quale non dista molto dalla porta d'ingresso. Si siede sempre allo stesso posto, a metà aula. Vede di nuovo quel ragazzo passare per il corridoio, probabilmente è nell'aula accanto. Chester approfitta del momento in cui gli studenti entrano, per continuare a ripetere la lezione di oggi.
Dopo circa dieci minuti squillò la campanella, la professoressa entra in classe e la lezione comincia.
« Buongiorno ragazzi » l'insegnante saluta gli studenti. Inizia con l'appello e Chester è tra le prime voci ad urlare 'presente!'.
L'insegnante sfoglia il suo registro, è tempo di interrogazioni, e il ragazzo si aspettava di dire la lezione alla Mrs Smith, la sua insegnante di letteratura straniera.
Bennington è sempre stato antipatico a quest'ultima.
« Bennington e Stewart, interrogati » Chester sbuffa, nonostante tutti lo fissino e ridano. Alla fine, lui è il 'secchione frocio' della classe.
« Chester, sai dirmi qualcosa su Dante e che impatto ha avuto con la letteratura Italiana? » tutti ascoltano i due compagni interrogati, finché non finisce l'ora e ne incomincia una nuova.
Circolano ancora gli studenti, il cambio d'ora è sempre un chaos.
« Beh, una C. Meglio che niente » mormora fra sé e sé il ragazzo.
Nel bel mezzo dell'appello dell'ora di scienze naturali, il professore rivolge la parola a Chester.
« Chester, allora la ragazza? L'hai trovata? » Le solite domande impertinenti e ficcanaso. Le risate malvage dei compagni mettono in soggezione il ragazzo dai mille problemi.
« ...No » risponde con un filo di voce.
Ode una ragazza, una tra le più snob, ricche, con la puzza sotto il naso, confabulare con la sua compagna di banco, non molto differente da lei.
« E certo, chi se lo prenderebbe un cesso gay come lui? »
Quest'affermazione fa ridere il gruppo di studenti alla sua sinistra. Li fulmina con uno sguardo minaccioso, cattivo, incazzato. Ma non vuole altro che piangere, che esplodere, farsi sentire per chi è veramente: Chester Bennington. Ma non ha il coraggio, né l'ha mai trovato. Le accuse su di lui erano troppe, e ciò non ha permesso al ragazzo di trovare un minimo di orgoglio di se stesso. Continua a chiedersi ripetutamente perché lui è ancora vivo, perché è nato, qual è il suo scopo nella vita. Nessun amico, tutti indifferenti a lui. Lui è solo.
La lezione inizia, noiosa, ma Chester trova la forza per riuscire a stare attento durante la lezione.
Tutte le ore così, per tutta la mattinata finchè non suona la campanella del pranzo.
Chaz esce correndo dalla classe e andò nel parco vicino alla scuola, riservato agli studenti appunto per pranzare. Si siede su una panchina con il tavolo, appoggiando il suo zaino sopra di esso. Tira fuori il suo panino, preparato la sera precedente. Mangia con un'aria scocciata, perso nel suo mondo, nei pensieri di tutti i problemi che lui stesso sta passando.
Viene distratto da una voce.
« Posso sedermi qui? O è un problema? » Chester guarda quest'ultimo con aria sorpresa.
« No, certo, siediti pure. »
È il giapponese che intravide prima. Che lo stesse seguendo?
« In che anno sei? »
« Secondo. » Dice freddo, non ha proprio voglia di parlare.
« Ah okay... » il giapponese fa una pausa con la voce, mentre Chaz guardava ovunque tranne che lui.
« Io sono Michael, piacere » Michael sorride al ragazzo.
« Chester. Ti ho gia visto all'entrata. »
« Sì. » afferma Michael. Continua poi a parlare, facendo mostrare così una certa curiosità verso Chester.
« Sono nato qui in America, Los Angeles. »
« E cosa ci fai qui a Phoenix? » Chester interrompe Michael con questa domanda, detta tutta di un fiato.
« Oh. Mi sono trasferito in Giappone due anni fa, luogo in cui è nato mio padre, ora abbiamo trovato casa qui a Phoenix. » Chester continua ad ascoltarlo, mordendo di tanto in tanto il suo panino.
« Ah, okay. » l'unica risposta da parte del ragazzo, fredda.
Una domanda esce fuori dalla bocca di Chester.
« Che corso frequenti? »
« Design, te? »
« Matematica » risponde Chester.
« Sono un disastro in quel genere di cose. » dice Michael con un sorriso stampato sulle labbra.
« ...sono nell'aula uno B se vuoi ogni tanto parlarmi. »
« Bene. Io due B. » continua per poi cadere in un silenzio tombale.
Chester non sembra molto interessato alle informazioni di questo Michael, semplicemente non si fida. Non si fida delle persone, tutti sono pronti a mandarlo nella merda, i suoi genitori separati, il fratello maggiore che è totalmente indifferente a lui, quel dispiacevole episodio della sua infazia, la droga...
Chester è una merda ambulante, eppure nessuno sa che ha un cuore d'oro. Questi pensieri rattristiscono il volto di egli in men che non si dica, quindi cerca di nasconderlo al ragazzo di fronte a sé.
« Beh, sarà meglio che vada » Michael rompe il ghiaccio congedandosi.
« Anche io. Entriamo insieme? In che aula sei tu ora? » Non crede neanche lui di aver chiesto la compagnia di qualcuno.
« Okay, felice di esserti di compagnia, sono nell'aula di chimica. » comincia ad essere troppo sdolcinato per i gusti di Chester... O magari lui non è abituato alla gentilezza, cosa forse molto più probabile della prima.
Si avviano all'entrata dell'edificio in perfetto tempo, quilla la campana non appena i due si salutano.
« Ciao Michael a presto. »
« A presto Chester. »
Chester prova un non so che di mistero, o meglio di interesse verso Michael, ma sicuramente Michael non è frocio.
Chester entra nella sua aula, sedendosi a mo' di bomba. È stanco. Si toglie gli occhiali per massaggiarsi violentemente gli occhi. L'insegnante entra, salutando gli studenti e l'ora di analisi matematica ha inizio.
Chester non riesce a stare attento, poiché pensa a quel Michael, quello sconosciuto. Non capisce perché, alla fine l'aveva appena conosciuto...
Bennington viene ripreso molte volte. Fissa il vuoto nonostante il professore l'ha minacciato di mandarlo fuori dall'aula.
Un'ennesima figuraccia davanti a ventidue persone che l'odiavano. È più forte di lui, non riesce.
Il volto di Michael gli ha invaso gli occhi e la mente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CHAPTER 2. - Conoscendosi ***


---------------------------------------
ciao a tutti, ecco il secondo capitolo per Nuove Esperienze.
spero vi piaccia, siccome ci ho messo quasi due settimane per scriverlo. Ripeto, lo scrivo in classe, e quindi cerco di rileggerlo al meglio a casa, quindi spero di essere migliorata anche nel lessico e nelle forme grammaticali.
a mio parere è ancora troppo noiosa, però ho gia un'idea di come possa andare avanti! :)
recensite,per favore,ho bisogno di sapere per migliorare sempre di più.
sssau.
The Chemist.

---------------------------------------

CHAPTER 2.


Le lezioni sono ormai finite e Chester prova un senso di libertà, un problema in meno per quella giornata, anche se il suo stress sicuramente non è per via della scuola, o meglio, anche, ma è il problema minore.
C'è un sole splendente, così Chester scende le scale della scuola per andarsene a casa.
Percorre a piedi fino all'uscita del cancello, ci sono un sacco di studenti, ma Chester riesce a riconoscere fra tutti quelli, il volto di Michael. Egli sta parlando con un suo compagno di classe, probabilmente sui compiti assegnati per il giorno o dopo, o cos'altro. Comunque ciò non gli interessa.
L'americano resta lì a fissarlo, vorrebbe che lo notasse, ma vorrebbe anche evitare rapporti con la gente. Solo lui può farsi dei complessi mentali di questo genere. Molti studenti sono già andati via in meno di cinque minuti, Michael quindi si gira, e per non farsi vedere, Chester si volta verso un cartello, fingendo di leggere. Non lo potrebbe assolutamente riconoscere, non lo conosce così bene da capire che sia lui anche girato di spalle.
Comunque, Chester decide di tornare a casa, passando così davanti a Michael. Quest'ultimo prende la stessa strada, e il ragazzo se ne accorge, pensa seriamente che lo stesse stalkerando.
Oddio, ma perché abita qui? Non l'ho mai visto passare da queste parti, pensa, quasi agitato dalla sua presenza. Chester si ferma: decide di prendere le cuffie dal suo zaino e calmarsi, lasciar andare via l'agitazione. Posa, quindi, lo zainetto per terra e girandosi incrocia lo sguardo di Michael.
« Ciao Chester! » esclama quest'ultimo. Chester non sa se essere triste o felice, d'altronde sperava di aver un altro approccio con lui.
« Ciao Michael. » saluta anch'egli il giapponese.
Chester fruga nel suo zaino, alla ricerca delle cuffie.
« Abiti qui vicino? » chiede Michael amichevolmente.
« Si, un isolato da qui, più o meno... » ironia della sorte è la risposta di Michael: « Anche io, quindi magari abitiamo vicini »
« Probabile » risponde freddamente Chester, tirando finalmente fuori le sue cuffie dallo zaino.
« Ci si vede ». Chester saluta, distante, freddo, scorbutico. Michael sembra rimanerci male, forse voleva parlare un po' di più. La strada è lunga, quindi il tempo per parlare non manca, dipende solo da loro due.
Chester ascolta la musica, una canzone dei Depeche Mode. Lo liberano, lo calmano. Si sente meglio, meno sentito preso in giro dal mondo.
« Che stai ascoltando? » Chiede Michael.
« I Depeche Mode »
« Piacciono anche a me... » sussurra il ragazzo giapponese.
La freddezza di Chester spaventa e non poco Michael, il quale sembra essere un peso o che comunque Chester nutrisse antipatia verso di egli;
ma come avrebbe potuto? Alla fine si sono appena conosciuti.
No, semplicemente non sa dei vari problemi dell'americano, che non se la passa bene, che ha una vita di merda e non si fida delle persone, tantomeno chi ha appena incontrato.
Il silenzio incombe, ormai Michael sembra spaventato, più che altro sembra un cucciolo, spaventato.
Chester svolta a sinistra, dopo aver terminato la conversazione con l'altro. La canzone sul suo cellulare è finita, quindi il ragazzo prende e ne mette in ascolto un'altra. La musica è l'unico modo, ora, per fargli togliere dalla testa quel Michael.
Michael, quindi, continua la sua strada senza dar conto a Chester. Si sono divisi, e ora sono soli. Il ragazzo con gli occhiali continua la sua strada tagliando per una scorciatoia, o almeno così la chiama lui, nonostante la lunghezza sia la stessa. Sente il rumore di una bicicletta, è Brad, anche lui abita da quelle parti.
« Bennington, vuoi un passaggio? » perché è così fottutamente cordiale?
« No, grazie Bradford ». Il ragazzo gli sorride, andando avanti, poi gli urla « Brad! ». Ogni volta gli ricorda quanto odia essere chiamato per nome esteso.
 
Una volta arrivato a casa, corre in cucina: i piatti lavati e sono tutti in ordine, ora bisogna solo cucinare.
Chaz posa lo zaino sulla sedia, per poi darsi da fare in cucina.
Oggi non ha voglia, si vede da quanto sbuffa nel solo momento in cui accende i fornelli per le patatine fritte. Dall'altro fornello cucina la carne arrostita.
Bryan si arrangia con questo, pensa. Una volta pronto tutto, prende il suo zaino e corre in camera sua, e tira fuori i compiti per il giorno dopo.
Inglese. Fantastico, pensa un'altra volta. Non è portato per queste materie umanistiche.
Armato di santa pazienza, prende la sua matita e inizia gli esercizi, nonché lo studio per domani.
 
« Sono a casa! » sente l'urlo di suo fratello. Arriva ora da lavoro. Questo scoccia molto Chester, preferisce stare solo come ha sempre fatto.
Apre la porta e rivolge la parola al fratello.
« Ti ho fatto quattro cazzate, oggi ho molto da studiare ». Mente. Semplicemente non vuole sprecare il suo tempo libero per il fratello, questo giorno.
« Okay, non ti preoccupare ».
 
La sera giunge molto in fretta, Chester rimane nella sua camera, lo stereo acceso mentre il fratello è di sotto aspettando la madre che torni da lavoro. Chester la odia. Non si è mai occupata di lui, ma finché porti i soldi a casa e gli dia da mangiare se ne sta buono. Non che potesse fare qualcosa, comunque. La serata passa in modo calmo, niente di speciale.
 
La mattina arriva, Chester è davanti scuola. La lezione di Biologia lo attende.
Ecco, nota il giapponese parlare con alcuni suoi compagni.
Ha fatto in fretta a fare amicizia, pensa Chester guardandolo con occhi freddi, coperti dalle sue lenti degli occhiali.
Michael, ridendo, lancia uno sguardo a Chester, il quale non smette di fissarlo, finché grazie alla campanella si risveglia da quel momento di pensiero verso Michael.
Chester entra nell'aula di Biologia, ma ad un tratto vede Michael entrare anch'egli. Si sorridono. Chester solo un po' più freddo.
Il ragazzo dagli occhi a mandorla si siede vicino all'altro.
« Scusa... » azzarda Chester. L'altro si volta di scatto, quasi non crede che Chester gli abbia rivolto la parola.
« Sì? »
« Ma perché sei qui? Non sei più piccolo? »
« In Giappone ho studiato Biologia per due anni, quindi mi hanno dato il permesso di frequentare questo corso ».
« Già, sarebbe inutile ripetere ogni cosa » risponde Chester.
Il professore di Biologia entra salutando tutti, ma i due continuano a parlare.
« Sì, in effetti. Poi non mi piace molto Biologia ma bene o male la studio »
« A me piace ».
« Beh, abbiamo un altro modo di vedere le materie, allora » dice Michael abbozzando un sorriso.
« Vorrà dire che dovrò darti ripetizioni di matematica » Chester sembra sereno.
Mr Barrett inizia già a spiegare il capitolo di oggi, niente pratica.
« Probabile. Sono negato e purtroppo prendo molte F, ma riesco sempre ad evitare di ripetere il corso ».
« Beh, io non ho mai ripetuto un corso in vita mia » non mente. Chester, non che amasse la scuola, è un buono studente.
« Wow è fantastico! » quasi non urla Michael per questa notizia. Non lo faceva così studioso, o secchione, come gli altri osavano nominarlo.
« Magari Bennington e Shinoda ci degnano della loro attenzione, quest'oggi? » S'infuria Mr. Barrett vedendo i due confabulare.
« Ci scusi », dice Michael con un filo di voce.
« Grazie Michael » continua il professore.
Chester non ha aperto bocca al rimprovero di quest'ultimo.
Sembra che non gliene freghi niente, è tranquillo.
 
La campana squilla, Chester e Michael hanno parlato per tutta la lezione. Chester deve andare in palestra, mentre Michael ha l'ora di Design.
« Bene, ciao alla prossima » Chester saluta Michael in modo non troppo freddo, ma molto svelto.
« Pranzi con me in mensa? » Cosa? Michael lo sta invitando alla sua compagnia? Di solito Chester è sempre stato da solo.
« Ehm », inizia a balbettare. « S-Sì ». Afferma. Michael sorride.
« Okay, a dopo Chester ».
« Ciao Michael », andando poi nelle direzioni opposte.
Chester sembra triste. Che stesse bene in compagnia di quel Michael? Prova un senso di vuoto, ora, ma di molta curiosità verso di lui. Inoltre, si sente davvero male, aveva paura di essere deluso, come tutte le altre volte. Questo l'ha reso così debole, triste, freddo, impassibile.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CHAPTER 3. - Un brutto episodio ***


Se non altro l'ora di ginnastica era abbastanza da sopravvivere, fino a quando i tuoi compagni non cercano di beccarti con il pallone duro e ruvido da basket, ma Chester riesce sempre a schivare le pallonate o bloccare il pallone stesso. È sempre stato un tipo molto atletico. Sicuramente non gli lanciano il pallone per lo scopo del gioco, ma solo per fargli del male fisicamente e metterlo in imbarazzo davanti agli altri ragazzi del corso.
Gli sgambetti non mancano, così come anche gli spintoni. Grazie ad uno di questi, il ragazzo cade per terra, apparentemente senza farsi male, siccome é riuscito ad attutire la caduta sporgendo le braccia avanti.
« Sfigato! » urla un suo compagno, mentre si sentono altre voci, insulti che si perdono nell'eco della palestra. I mormorii e le risate infami delle ragazze innervosiscono Chester e non poco: la sua pazienza non è mai stata il massimo, però ormai, ci ha fatto l'abitudine.
« Bennington, tutto a posto? » urla il Mister dall'altra parte della palestra.
« S-Sì » mormora con un filo di voce, però in modo tale che si faccia sentire. Si alza, prendendo gli occhiali che caddero precedentemente.
Il Mister si avvicina a lui, fermando la partita di pallacanestro.
« Mi fa solo un po' male il polso » si confida il ragazzo.
« Vieni, andiamo in infermeria, forse è solo slogato » la voce del professore è calma.
« Continuate il gioco. Qualcuno accompagna Bennington in infermeria? »
Un ragazzo si fa avanti, Kyle.
« Lo accompagno io, mister » il professore lo guarda e gli fa cenno di andare. Uscendo dalla palestra, Chester e Kyle rimangono in silenzio. L'infermeria è vicina alla segreteria, i quali varcano la soglia di essa incontrando così la Dottoressa Clarck. Chester non apre bocca, ma senza perdere tempo si appresta a farlo il suo compagno.
« Si è fatto male in palestra, dice che gli duole il polso... »
« Oh Chester! Controlliamo subito » la dottoressa conosce il suo nome siccome amica della madre.
« Ti fa male se tocco qui? » Clarck preme con le sue mani vellutate sul polso destro del ragazzo.
« Non molto ».
« Qui, invece? » lei si sposta un po' più su rispetto alla mano. Chester stringe i denti e aggrotta le sopracciglia.
« Sì, molto » si lamenta.
« Chester caro, non è rotto, ma puoi spiegarmi com'é stata la caduta? »
« Mi hanno spinto, quindi ho tirato fuori le braccia per evitare che mi spappolassi la faccia »
« Ah capisco. Non è rotto, è solo slogato. Provvediamo subito a fasciarlo », lascia un attimo di silenzio, quando prende l'occorrente per la medicazione.
« Mettimi la mano dritta, per favore ».
Chester si lascia medicare, la dottoressa gli mette una crema, molto rinfrescante a quanto pare, poi lo fascia. Sembra un cucciolo in compagnia della sua mamma.
« Ecco fatto, Chester. Ora mi spiace, ma non potrai giocare per un po' »
« Okay » non sembra molto triste. Più che altro si sarebbe evitato di slogare l'altro polso.
« Ti faccio la giustificazione » la dottoressa Clarck compila un modulo, probabilmente stampato appunto per l'esonero. Lo firma con la penna presa dal suo camice bianco, per poi riporla al proprio posto.
« Ecco a te! » dice con un sorriso sulle labbra. Chester si sente molto a disagio: la donna è troppo dolce e gentile per i suoi gusti.
« Tu sei? » si rivolge a Kyle.
« Kyle Smith, dottoressa »
« Anche tu hai qualche problema? » gli chiede gentilmente
« No, ho solo accompagnato Chester per volere del professore »
« Okay a posto »
« Fantastico » ribatte lui.
« Grazie » dice Chester abbozzando un sorriso. Entrambi escono dalla stanza.
« Bene, Bennington, ora non spezzarti l'altro polso »
« Tranquillo, Kyle, so badare a me stesso »
« Si é visto! » dice scherzando. Così entrambi entrano in palestra: il mister li attendeva impazientemente. Chester senza dire niente mostra il foglio all'uomo, egli lo firma, per poi tenerlo nel registro.
« Telefonerò a tua madre per quanto accaduto, ora puoi sederti qui, o prendere il materiale e andare in sala studio. Insomma, decidi te »
« Okay » continua Chester, scegliendo la seconda opzione. Meno vede quelle persone disgustose, meglio è.
Chester si appresta così a vestirsi, un po' goffamente, per via del polso infortunato. Esce dalla palestra. Manca ancora un'ora e mezza per la fine delle lezioni mattutine, quindi decide di ripassare la lezione di Trigonometria, Entra in mensa, non è solo, vi sono altri studenti. Probabilmente hanno un'ora libera, ma comunque non gli interessa. Posa il suo zaino vicino ad un tavolo, prende il suo portafogli e gentilmente chiede una coca cola al bar, a disposizione per gli studenti.
« Grazie » mormora il ragazzo, per ritornare al suo posto. Prima di iniziare, però, afferra il suo cellulare.
 
Ciao mamma,
sono Chester. Mi sono slogato il polso nella lezione di ginnastica.
Ci vediamo a casa oggi.
Ciao.
 
In ogni caso, non gli duole molto ora; è tutto merito della fascia che gli tiene fermo l'osso del polso.
Egli apre il libro delicatamente, sfogliando a gruppi di poche pagine fino al capitolo da lui interessato.
 
L'ora finalmente è finita e la campanella dà il benvenuto all'ora della pausa pranzo.
Chester chiude il libro, ritirando il tutto. Aspetta Michael ansiosamente, fino a che non lo vede arrivare con la sua camminata, la quale lo attira e non poco. Nota Chester, quindi si avvicina ad egli.
« Ehy. Che hai fatto al polso? » chiede indicandolo.
« Un brutto episodio nell'ora di ginnastica... » Chester si alza, andando a far la fila per mangiare. L'americano fissa fuori, brutto tempo oggi.
« Sta per piovere... » mormora Michael, al fianco di Chester, il quale l'ha notato guardare fuori le grandi finestre della mensa.
« Strano per Phoenix » continua l'altro in risposta.
Tocca a loro essere serviti, La cuoca gli fa vedere cosa potevano prendere. Chester sceglie la pizza, accompagnata da una limonata.
« Te, invece? » la cuoca si rivolge a Michael.
« Anche per me la pizza, grazie » dice con gentilezza.
« Ecco, poi, da bere? »
« Acqua gasata, per favore » la gentilezza di Michael fa quasi rivoltare lo stomaco di Chester: è troppa per lui. Abituato ad altri modi, abituato ad essere trattato come un oggetto. Certo, non gli dispiace, però avrebbe avuto la necessità di abituarsi a quest'altra vita, con lui, se fossero diventati amici.
« Andiamo? » chiede Chester, si sente divorato dalla fame.
« Certo » Michael e Chester ritornano al loro tavolo.
« Beh, com'é andata oggi? » chiede Michael al suo quasi amico.
Chester fa una smorfia. « Non si nota com'é andata? » dice freddamente.
« Oltre a questo » replica Michael senza far passare un secondo dalla precedente risposta di Chester. Si guardano negli occhi, come se si stessero parlando con il solo sguardo. Solo ora Chester si accorge che Michael ha degli occhi color nocciola, un po' più scuri dei suoi.
« Quindi? » Michael porta Chester alla realtà. Si è preso un altra 'pausa' guardandolo.
« Eh? Sì tutto bene, e tu? » Chiede l'americano un po’ confuso.
« Tutto bene anch’io » mormora Mike. Continuano a guardarsi negli occhi. Chester è attratto dai suoi occhi, sembra che non può fare a meno di guardarli, di aver vicino quel ragazzo. Che stia nascendo qualcosa da parte sua? È alquanto improbabile... da parte sua.
« Ho qualcosa che non va? Sono sporco? » si riferisce alla pizza, che sta mangiando con non troppa voglia. Il mangiare della mensa è di solito uno schifo, o almeno così ha sempre detto Chester.
« No, no ». Chester ha troppa timidezza per dirgli cosa pensa realmente dei suoi magnifici occhi color nocciola. Inizia anch'egli a mordere la sua fetta di pizza: è ancora tiepida. Almeno si è risparmiato di mangiare qualcosa di freddo, il suo carattere gelido e impassibile è già abbastanza.
« Sei di poche parole, Chester? »
« Non sono mai stato una parlantina, e ancora non ho confidenza con te... » non mente. Quel ragazzo ha sempre detto e continua a dire le cose in faccia. Secondo lui fare il contrario è da vigliacchi.
« Beh, ma possiamo sempre diventare amici » il viso di Mike rende Chester calmo, nonostante questo genere di discussioni lo rendono molto agitato. Può fidarsi di lui? Chi gli dice che non sia un'altra di quelle persone orribili con le quali Chester ha avuto a che fare?
« Io non ho problemi, ma scapperai da me, Michael »
« Io non penso » s’intravede un leggero sorriso da parte di quest'ultimo.
Chester è angosciato, non vuole farsi illusioni.
« Perché? » è l'unica domanda che avrebbe potuto fare. Ha paura. Paura di essere tradito, paura di crearsi un altro nemico, un altro pronto a sputtanarlo.
« Io non sono quel genere di persona. Sei un tipo a posto, si vede ».
Eppure il giapponese non sa che Chester si droga, che ha questo problema da che aveva undici anni o meno. Chester esita a dirglielo, e spera che non venga a sapere di tutto ciò.
« Non so che dire. Nessuno mi ha mai rivolto la parola in questo modo, né tanto meno ci hanno tenuto particolarmente a diventarmi amico ».
Questo è il discorso più lungo di Chester in tutta la sua vita.
« Beh... C'é sempre una prima volta » sembra che non gliene freghi più di tanto dei suoi problemi.
« Grazie, Michael » è rimasto davvero senza parole,
Per via della discussione Chester non ha mangiato la sua pizza, la stessa cosa per Michael, ma egli la metà l'ha superata.
« Non hai più fame? »
« No »  nega, sorseggiando la sua limonata. Guarda ovunque, e con le mani fa dei movimenti nervosi sulla sua lattina. Cerca di svitare la lingua, piano e veloce, veloce e piano, stava emettendo le sue frustrazioni sulla lattina. Michael lo fissa, ma si limita a chiedersi tra sé e sé quanto nervoso e dolore abbia accumulato in tutti questi anni. Lo guarda sottecchi, lo scruta, lo studia, e la sua voglia di conoscerlo aumenta sempre di più. Il suo ego l'ha attratto fin dal primo momento, non che gli piacesse, ma voleva diventargli amico, aiutarlo nei momenti del bisogno e farlo rinascere. Non farlo soffrire era tutto ciò che voleva.
Fargli trovare un amico.
Vero.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CHAPTER 4. - Ancora dolore ***


«Perché sei così nervoso?» chiede Michael, incuriosito dallo strano comportamento del ragazzo.
«N-niente,» mente «è la pioggia che mi rende nervoso.» Chester guarda fuori dalla finestra della mensa. Osserva con attenzione goccia per goccia, senza distaccare lo sguardo da quel 'fenomeno'.
«Ti rende nervoso la pioggia?» sembra incredulo.
«Si e non poco. Qui piove poco, circa due o tre volte l'anno,» Chester gira il viso verso Michael «e quando succede, sono nervoso».
«Oh. Dai, poi passa. Non può piovere per sempre.» Michael rincuora il giovane, sperando di fargli passare quel nervoso, ma così fallendo. Cerca di dialogare in modo civile.
«Che lezioni hai dopo?»
«Inglese. Poi me ne vado.» La voce di Chester è gelida, non conosce umorismo. Un brivido percorre la schiena di Michael, il quale è davanti a lui. È un brivido causato dalla freddezza, o dalla presenza di Chester?
Ogni ragazzo conosciuto da Michael e Chester li guarda male insieme. Una ragazza, molto chic, considerata la più bella della scuola si avvicina al suo migliore amico, mormorandogli qualcosa nell'orecchio, nello stesso momento in cui guardava i due ragazzi. Chester incontra il suo sguardo: sa già di cosa potesse parlare.
«Mph,» mormora, catturando così l'attenzione di Michael «stronza». La fulmina con il suo sguardo, e la ragazza ricambia senza timore, con un leggero sorriso maligno sulle labbra. In quel momento, Michael gira il suo volto verso la ragazza.
«Chi é quella?» chiede.
«Ashley De La Rue, una ragazza francese, molto troia. Si contano sulle dita quelli che non si è scopata.»
«La faccia ce l'ha, infatti.» concorda Michael.
«Pff.»
«Ha cercato di sedurre anche te?» chiede curioso Michael.
«Sì, ma con me non ha attaccato. Infatti per questo mi odia.»
«Capisco.» La voce di Michael ha una leggera sfumatura di disgusto.
Mentre Ashley si siede con l'amico, i due continuano a guardarla. È una ragazza molto bella, lunghi capelli e non altissima. Le sue labbra sono colorate leggermente da un lucidalabbra arancione pesca e i suoi occhi color cielo sono delineati dalla matita nera.
«Se vuoi fartela amica, portatela a letto, altrimenti in pochi giorni diventi lo zimbello di tutta la scuola.» Il consiglio di Chester è alquanto strambo per le abitudini di Michael.
«Io non sono così, Chester.»
«Non ho detto che devi farlo. Ti ho messo in guardia.» La campanella squilla, Chester si alza salutando Michael. Passa vicino ad Ashley ed esce dalla mensa andando nell'aula 2B per la lezione d’inglese. Quel giorno si faceva esercizi: la professoressa ha assegnato ad ognuno di loro un testo, quindi devono analizzarlo al meglio. Verso la fine dell'ora si assegnano i compiti.
«Ragazzi, analizzate il testo a pagina centotrentasette.
Domani relazione scritta sui problemi dell'autore all'epoca.» Chester sbuffa. Un altro pomeriggio passato a studiare, pensa con un velo di rabbia dentro di sé.
«Potete andare.» I ragazzi escono dall'aula. Chester si avvia all'uscita fino a che un gruppo di ragazzi non lo attende fuori. Uno gli fa cenno di avvicinarsi, ma Chester lo ignora. Lo accerchiano: Chester ha paura di ciò che sta per succedere.
«Ehy Bennington, non ci degni neanche di uno sguardo?» chiede ironicamente il ragazzo, l'amico di Ashley.
«Ti abbiamo visto con Michael a pranzo. Lo sapevamo che eri frocio» Si avvicinano sempre di più a lui, senza lasciargli spazio per uscire.
«Lasciatemi in pace.» Dice arrabbiato.
«Perché, altrimenti ti arrabbi? Lo dici alla mamma?» Non l'avrebbe mai fatto. Non gli avrebbe semplicemente rivolto la parola. Lo afferrano per il braccio, girandoglielo dietro la schiena, una ginocchiata nello stomaco, un pugno, un calcio. Quei ragazzi l'hanno appena buttato a terra. Il sangue che cola dal naso e la lente dei suoi occhiali rotta, completamente a pezzi. Gli hanno davvero fatto male, e il suo polso dolente dalla mattina era più dolorante di prima. Si alza, passando dalla posizione a quattro zampe. Gli viene difficile, la sua caviglia gli fa molto male. I ragazzi sono ormai scappati e con loro c'è Ashley. Chester si li vede in lontananza, con difficoltà per via della mancanza degli occhiali. Vuole piangere, ma sarebbe stato troppo stupido farlo, secondo lui. Sputa un po' di sangue per terra, si è appena tagliato il labbro per via del pugno ricevuto. Barcolla un po', sperando di tornare a casa ancora vivo.
«Bastardi» mormora fra sé e sé Chester, ancora un po' intontito. Riesce comunque a camminare, anche se zoppicando.
 
A casa, Chester corre in camera sua, posa lo zaino e si specchia nel bagno. Ha un livido impossibile da non notare sotto l'occhio, lo zigomo gonfio e il labbro superiore spaccato, nonché gonfio anch'esso. Si sciacqua, togliendosi un po' quell'ansia di pensare cosa dire la madre appena torna. Sbuffa. Scende al piano di sotto e prende la borsa del ghiaccio, per poi ritornare di sopra, stendersi sul letto e tamponando piano piano il suo zigomo. Respira profondamente, chiudendo gli occhi, si lascia andare ai suoi pensieri, per poi addormentarsi.
 
«Chester!» sente delle voci molto confuse.
«Chester! Svegliati.» apre delicatamente gli occhi. Il fratello vige davanti a lui.
«Brian» chiama il suo nome
«Cos'é successo, Chester?» nota i suoi lividi.
«Niente, sono caduta con la faccia a terra. Mi si sono rotti gli occhiali, anche.»
«E al polso?»
«Anche, per una caduta in palestra oggi. È tutto apposto, Brian.» Chester rassicura il fratello preoccupato, alzandosi e appoggiando la schiena sul muro. Il ragazzo sente dolore al polso ammaccato.
«Fai attenzione la prossima volta, Chester» Brian raccomanda il fratello sull'orlo della porta, per poi uscire dalla stanza. È di nuovo solo, si guarda intorno finché non sente la porta chiudersi, sua madre è appena tornata. Il ragazzo sente pronunciare il suo nome. Scende di sotto.
«Dimmi mamma» dice freddamente.
«Oddio tesoro mio, cos'é successo?» la madre corre da lui guardandogli il viso.
«Niente mamma, sono caduto!»
«Vieni mettiamo un po’ di crema su questo polso e sui lividi» Chester segue la madre, per poi sedersi in salotto, lasciandosi toccare dalla madre.
«Ahi!» squittisce Chester.
«Fa male?» Chester annuisce.
«I pazienti si suicidano, se capitano nelle tue mani.» scherza il ragazzo, riferendosi al suo lavoro di infermiera.
«Scemo!» continua la madre, dandogli così un bacio sulla fronte. Chester non si sarebbe mai aspettato un gesto simile: sono circa due anni che non gli dava un bacio. Rimane comunque spiazzato di fronte a lei. No, non la odiava in fondo le vuole bene. È sua madre.
La madre continua a massaggiargli il polso destro, delicatamente. Fatto questo, continua con il mettergli la benda.
«Mi si sono rotti gli occhiali...» Chester ha una voce alquanto triste, spera che la donna non si arrabbi.
«Ah... Li compreremo il prima possibile, promesso.»
«Ma io ora come faccio?» la guarda negli occhi, mentre ella visita il suo zigomo gonfio.
«Usa le lenti a contatto.» Chester odia mettere le lenti a contatto, ma in quel momento deve adattarsi, non c'é altro modo.
«Pff,» sbuffa scocciato. «okay»
«Chester, non c'é via di scampo. Questo sabato andiamo a comprarli. Non rendere le cose più difficili...» In effetti la vita non è delle migliori: la madre è l'unica a lavorare, e deve mantenere i suoi due figli, e lo stipendio di Brian non è abbastanza. Per di più arriva tardi la sera, quindi il tempo scarseggia. Chester rimane zitto. Si adatterà anche questa volta.
Finendo di medicarlo, la madre lo raccomanda.
«E fai attenzione a dove metti i piedi!» Il ragazzo si alza dal divano con un po' di difficoltà per via della caviglia.
«Non... Non ho molta fame. Stasera non mangio».
L'ultima volta che l'hanno picchiato è caduto in depressione e non mangiò per due settimane, perdendo cinque chili circa.
«Possibile che ogni volta che cadi e ti fai male, non mangi la sera? Vuoi restare a digiuno come quella volta?» Chester si è dimenticato che la stessa scusa la usò un mese prima.
«No, mamma. Stavolta non ho fame.» Conclude, correndo di sopra.
Brian in camera sua, la madre in cucina s'appoggia al muro, sbuffando.
Che cosa devo fare con te, Chester? Pensa la madre, sperando di riuscire a trovare una soluzione a questa sua stranezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CHAPTER 5. - Dilatando le vene. ***


Chester vige nella sua camera, seduto sulla sedia davanti alla scrivania a fare i suoi compiti. Se solo pensasse ai vari problemi che aveva l’autore del racconto va in crisi: non gli bastano i suoi?
Ogni tanto gli vengono delle fitte al polso, tanto da farlo quasi piangere, ma fortunatamente durano non più di cinque minuti.
Mentre il ragazzo prende appunti del suo compito, il cellulare sulla scrivania inizia a vibrare.
«Bradford, dimmi.» risponde, facendo un piccolo sospiro.
«Mi chiamo Brad. Comunque, potresti spiegarmi quali problemi hai trovato in questo testo?»
«Beh, depressione.»
«Solo?»
«Isolamento dalla società e…», fa una pausa con la voce, per dar tempo a Brad di appuntare e di leggere lenote scritte sul quaderno. «Rivalità con il padre.»
«Solo questo?» chiede l’altro, sbigottito.
«Non saprei, ho appena iniziato a leggerlo.»
«Okay. Cerco di capirne anche io qualcosa, ma non ci riesco.»
«L’intelligenza non è un dono di tutti!» accenna una risata ironica, «Non sei divertente, Bennington!» arriva subito la risposta di Brad, dall’altra parte del telefono.
«Pensi che domani tu possa scrivere che questo aveva problemi perché te l’ho detto io?»
«Probabile. Ciao e grazie Chester!»
«Ciao Bradford.» saluta il ragazzo con un tocco di umorismo.
Continua con il suo studio, si è già annoiato ma non si dà per vinto: deve prepararsi al meglio per il giorno dopo. L’idea di ripetere il corso è lontana da lui chilometri. Ma la domanda gli spunta facilmente: che figura avrebbe fatto davanti ai suoi compagni, con quei lividi? Davanti ai professori? E soprattutto, davanti a Michael? L’ultima, è la cosa che più lo preoccupa. Perché? Questa è la domanda che si sta ponendo in questo momento.
Chester fa una mossa con il capo, in modo tale da risvegliarsi dai suoi pensieri: deve concentrarsi, e già Brad gli ha impedito questo, qualche minuto fa. Scrive alcuni appunti sul suo quaderno, alternando alcune volte, con il suo libro. Scrive, scrive e non smette, non legge, non sta attento, solo ora si accorge di aver scritto il nome di Michael su tutta la pagina.
Con occhi alquanto aperti, guarda il suo quaderno con aria spaventatra. Oddio, cos’ho fatto? Pensa poi, prendendo la gomma dal suo astuccio. Cancella con forza, ma non è possibile che abbia scritto il suo nome ovunque. Cancella, quasi strappa il foglio, ma i solchi della matita restano: questo non ci voleva.
Che Chester si stia innamorando? Impossibile, lui non crede nell’amore a prima vista, non crede alla scintilla che s’infiamma, eppure si è ritrovato a scrivere il suo nome dappertutto.
«Cazzo» mormora, mentre tiene la gomma, stretta, in mano. Sbuffa, questa situazione non gli piace.
Non vede l’ora di rivederlo, questo è chiaro, ma continua a non capire perché. Confondendo ciò che è reale, Chester è attratto da Michael, e questo non riesce ad ammetterlo. Si spinge indietro con la sedia, facendo un rumore assordante. La missione “studiare” non è andata a buon fine. China il capo, osservando le sue dita spellate sul contorno delle unghie. Si può intravedere il sangue colare in alcune. Continua a spellarsi, Chester quasi non nota la sua pelle ruvida, morsa, sanguinante. Gli mancano gli occhiali, e questo lo fa innervosire ancora di più: un motivo in più per rovinarsi la pelle delle sue povere mani. Gli bruciano, gli pulsano, quasi come se riuscisse a sentire il sangue scorrere nelle sue vene. Troppo nervoso. Fa un respiro profondo, e si alza, dirigendosi al suo bagno personale, il quale è ad est della sua stanza, rispetto all’entrata.
L’acqua gelida scorre, e s’intruffola in ogni incalanatura delle ferite del ragazzo, in ogni spazio fra le sue dita affusolate. Facendo una conca, raccoglie dell’acqua, portandola al viso, che, strada facendo, gocciola nel lavandino. Si massaggia gli occhi, andando pian piano sulle tempie, con gli occhi chiusi, fa dei movimento rotatori su di esse. Sbuffa nuovamente. Prende il suo asciugamani e lo tapona sul viso, lasciando esso e le sue mani leggermente umide. Una lacrima gli percorre la guancia destra, colando giù, sempre più veloce. Corre vicino alla scrivania, prende il cellulare, con una mossa alquanto violenta. Con pochi movimenti delle sue dita violentate, porta il telefono all’orecchio.
«Pronto?» risponde un ragazzo.
«Dobbiamo vederci.» mormora serio e freddo, Chester.
«Tra dieci minuti al solito posto.» risponde. Chester chiude la chiamata, e si cimenta all’entrata di casa sua.
«Esco.» dice molto frettolosamente, senza sentire la risposta della madre.
 
Con un passo svelto si ritrova in un vicolo, alquanto malfamato, con alcuni bidoni strapieni di spazzatura.
«Giusto in tempo,» dice con un filo di voce Chester, «hai la roba?» continua domandando. L’amico fa un sorrisetto. Tira fuori dalla tasca una canna, già fatta, lunga non più di dieci centimetri. Chester l’accende in men che non si dica, la tira, la fa assaporare al suo corpo, al suo cervello, alle sue vene, le quali si allargano, mostrando il loro verdastro più del dovuto. Il battito cardiaco aumenta sempre di più, le pupille si dilatano mostrando di più il color rosso dei capillari. Chester ha trovato la calma in quel solo tiro di hashish. La porge all’amico. «Ah» chiude gli occhi e respira l’odore. Chester si sente in paradiso. Rinato. È l’unico modo per esprimere ciò che sente, come SIsente. L’amico tira anch’egli, facendo così una fitta nuvola color grigio, sopra le loro teste.
«Non ti senti meglio?» chiede Chester, accontentato del tiro di quella droga.
Passando, di nuovo, la canna al ragazzo, l’amico risponde «Certo, è sempre una sensazione inspiegabile».
Tira di nuovo. La fa andare, scorrere nelle sue vene. Un tiro, ancora un altro e un altro ancora, fino  a che quei dieci centimetri diventino due, sempre a diminuire. Chester ha perso la testa. Drogato. L’effetto della canna riesce a far smettere Chester di pensare cose negative. Cose per la quale, secondo lui, non vale la pena soffrire. Ma la domanda non è se vale la pena soffrire per qualcosa; la domanda è: vale la pena soffrire?
Vale la pena soffrire per un amore a prima vista?
Vale la pena soffrire per la droga?
Vale la pena soffrire per il bullismo?
Chester, queste risposte non le ha mai trovate, e continua a non trovarle.
Vale la pena sacrificarsi per la vita infame?
Vale la pena soffrire per la mancanza del padre, siccome vive senza di lui da che è nato?
Vale la pena soffrire?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1347774