Oltre la leggenda

di Marge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte in tenda [3x16; Sokka/Suki] ***
Capitolo 2: *** Tutta colpa della recita [3x17; Sokka/Suki] ***
Capitolo 3: *** Ritorno a casa [3x01-02; Zuko/Mei] ***
Capitolo 4: *** Dura vita da Avatar [post terzo libro; Aang] ***
Capitolo 5: *** Prove [molto nel futuro; Sokka] ***
Capitolo 6: *** Dal diario di Katara [3x17; Katara&Suki] ***
Capitolo 7: *** Ruoli [post The Search; Ursa/Ikem] ***
Capitolo 8: *** Recitare insieme [post libro terzo; la Gaang] ***
Capitolo 9: *** Recitare insieme [post libro terzo; Sokka/Suki] ***



Capitolo 1
*** Notte in tenda [3x16; Sokka/Suki] ***


- OLTRE LA LEGGENDA -

NOTTE IN TENDA
Missing moment 3x16



Quando Suki si infilò nella tenda, Sokka era seduto in un angolo e dava le spalle all’entrata. Le candele gocciolavano cera a terra, quasi del tutto consumate.
“Ehi” esordì con un sorriso, “finalmente Zuko se n’è andato. Era in vena di confidenze?”
Sokka non rispose.
“Tutto bene?” chiese incerta.
Non andava bene, senza alcun dubbio. Suki gli strisciò vicino lentamente, osservando le rose a terra (ma dove era riuscito a trovarle?) e le coperte stese a coprire la terra umida.
“Sokka” provò a chiamarlo mettendogli una mano sulla spalla. Il ragazzo teneva il viso basso, gli occhi nascosti dalle ciocche di capelli disordinate. Glieli scompigliò con un sorriso, ma gli morì sulle labbra quando vide i suoi occhi lucidi, fissi sulle mani strette in grembo.
Con un solo gesto lo sospinse gentilmente fino a farlo girare, e lo abbracciò. Una candela tremolò nella sua ultima luce e si spense.
Lo strinse a sé, fino a sentirne la testa incastrata contro il proprio collo. Gli liberò la fronte dai capelli liberi e gli scoccò un bacio proprio lì.
“Scusami Suki.”
“E di cosa?” chiese lei sorridendo.
“Zuko mi ha solo fatto ripensare a qualcosa che non ricordo volentieri.”
“L’avevo capito.”
Sokka finalmente si sciolse e l’abbracciò a sua volta.
“Sono l’uomo più fortunato della terra” disse distendendo il volto, quasi sorridendo.
“Potremmo avere da ridire sull’uomo, per il resto…” concesse Suki.
Senza replicare come al solito, Sokka rise tra sé e sé e la strinse ancora di più. Suki, finendo con il naso schiacciato contro di lui, inspirò il suo odore e sentì il proprio corpo vibrare.

Suki non era come la maggior parte delle altre ragazze –quelle poche che, compresa sua sorella, Sokka aveva conosciuto nella sua vita. Nel loro villaggio al Polo Sud le ragazze erano decisamente poche, e per qualche strana coincidenza astrale (segno inequivocabile della cospirazione dell’universo contro di lui) erano tutte o troppo grandi, o troppo piccole per poter anche solo attirare l’attenzione di un guerriero come lui, bambinette con ancora la bambola tra le braccia.
Ma Suki non era neanche come le ragazze che aveva conosciuto durante quei mesi di viaggio. Forse dipendeva dal fatto che era una guerriera anche lei, o forse che era una guerriera prima di essere una donna. Per Suki l’essere una ragazza non costituiva il centro della sua essenza, ma una caratteristica come altre. Suki non si fermava a quello, non come Katara, che non faceva altro che rivendicare l’appartenenza al genere femminile in maniera tanto sgradevole, o Toph, che sembrava addirittura essersene scordata. O Yue, che ne aveva fatto la propria prigione.
Tuttavia Suki era una donna.
E Sokka non ne scordava mai.

Sokka le aveva bisbigliato, poco prima della cena, che l’avrebbe aspettata nella sua tenda, quando tutti fossero andati a dormire.
Suki aveva sentito una piacevole ansia salirle dallo stomaco ed occuparle completamente i sensi, tanto che era stata incapace di occuparsi delle vettovaglie a fine cena.
Sokka era, prima di tutto, un ragazzo estremamente divertente. Ed era anche un discreto guerriero; la sua maggiore qualità era senza dubbio il coraggio, che, a discapito di piani a volte decisamente bislacchi, non mancava mai. Ed a Sokka non mancava il coraggio perché non gli erano mai venute meno la passione e la convinzione per ciò che faceva. In confronto ai grandi guerrieri delle Tribù dell’Acqua era solo un ragazzino, ma ai suoi occhi non sfuggiva l’orgoglio di quel ragazzo fiero di combattere per la fine della guerra.
Mentre trascorrevano i suoi giorni di prigionia, tutti disperatamente uguali uno all’altro e sempre occupati costantemente dall’idea terribile della guerra che procedeva al di fuori di quelle mura, Suki aveva invocato il nome di Sokka. Si era imposta di essere forte e coraggiosa come lui sarebbe stato, e come, ne era certa, sarebbe apparso un giorno, per portarla via di lì. Aveva continuato ad allenarsi, nella sua cella, perché voleva disperatamente credere che un giorno avrebbe combattuto ancora al suo fianco, per un mondo in cui avrebbero potuto stare insieme.
Suki non era una donna che aveva bisogno di essere protetta. Ma era consolante sapere che esisteva sulla terra una persona che avrebbe voluto farlo.
Ed infine, Sokka era veramente venuto a salvarla. Ed insieme erano fuggiti di lì.

“Le candele si sono spente tutte” mormorò Sokka dispiaciuto, guardandosi attorno. Si lasciò cadere sdraiato e si stiracchiò. “Se solo Zuko non fosse venuto a parlarmi!”
“Dove hai trovato queste rose?” chiese Suki stupita.
“Non rivelerò i miei trucchi segreti” ammiccò lui, e Suki rise.
Per un momento, calò un silenzio imbarazzato. Sokka ebbe un’ennesima prova dell’esistenza del complotto celeste contro di lui: aveva immaginato la serata in tutt’altra maniera, ma evidentemente c’era sempre qualcosa di più importante al mondo. Al destino non importavano certo i sentimenti di uno come lui. Sospirò, senza rendersene conto, tanto forte da far voltare Suki verso di lui, sorpresa.
“Credo che…” balbettò lei, improvvisamente intimidita. “Forse è ora che io vada a dormire, domani…”
Gesticolò in aria in cerca delle parole adatte, ma lui le afferrò un polso e la attirò verso di sé. Prima di chiudere gli occhi, Suki vide il suo sguardo fisso, deciso.
Era stato Sokka a baciarla la prima volta, mettendo fine ad una serie di inutili parole, ed allo stesso modo cacciò via ogni vergogna. Suki crollò su di lui, sbilanciata, ma riuscì ad appoggiare i gomiti a terra, ai lati della testa. Abbassò il volto, ed incontrò le sue labbra.
Le volte in cui si erano baciati potevano contarsi sulle dita delle mani, ma a Suki sembrava ogni volta di non aver fatto altro fino al momento precedente. Le sembrava di conoscerne la forma ed il sapore. Si accorse di averli invocati per tutta la sera.
Sokka si staccò per un attimo, la guardò e socchiuse gli occhi mentre si allungava a sfiorare la mandibola che aveva davanti.
Lei si tirò indietro e gli cercò ancora le labbra, perché non ne aveva avuto abbastanza; posò la bocca sulla sua e la schiuse, e un brivido di sollievo la percorse quando sentì la lingua di lui farsi strada.
Le andò incontro con la propria, strinse i pugni al contatto, e le sembrò quasi che stessero lottando tra loro, alla ricerca del punto sensibile dell’altro, come quando s’erano allenati insieme.
Si staccò solo per prendere fiato per un attimo, e si accorse che le schiena, curvata per sporgersi su di lui, le faceva male ed i muscoli le tiravano. Quindi si tirò indietro, ma Sokka interpretò quel gesto come se volesse andar via, ed a sua volta si alzò a sedere e si passò le mani tra i capelli disordinati.
Sukki rimase un attimo interdetta, e si chiese con che intenzione Sokka l’avesse invitata nella tenda quella notte. Non potevano forse stare insieme un altro po’?
Chissà dove saremo domani, pensò.
“Stavo solo scomoda” precisò quindi. Sokka si voltò a guardarla, e lei si appoggiò all’indietro su un gomito. Gli tese l’altra mano e lui, con sguardo dubbioso, la prese e si sdraiò al suo fianco.
Si squadrarono per un attimo.
“Non voglio andar via tanto presto” continuò. Lentamente, passò un dito sulla sua fronte, scese lungo lo zigomo e segnò il contorno del labbro inferiore, premendo leggermente affinché si staccasse dall’altro, tenendo lo sguardo fisso proprio lì.
“Se tu vuoi, ovviamente, che io rimanga.”
Sokka non rispose ma le prese la mano e le baciò il palmo. Continuò lentamente lungo il polso, ed arrivato in prossimità del gomito salì al collo. Lo lasciò fare, pregando che non si fermasse lì. Sentiva le mani bruciare e non sapeva che farsene, quindi le appoggiò sul petto di lui, e strinse i polpastrelli sulla pelle scoperta.
Sokka reagì: con il braccio libero le circondò la schiena e la tirò verso di sé.

Il corpo di Suki vibrava come quando combatteva, ma tra le sue braccia l’effetto era tutt’altro. Nel sentire le sue mani sul proprio torace, Sokka pensò di raggiungere presto l’apice di ogni piacere, e deviò dal suo collo verso la mandibola. Lei sembrò non gradire il cambio di rotta, e si staccò leggermente da lui. Gli piazzò in volto due occhi spalancati e interrogativi tanto che Sokka credette di perdere la testa. Sorrise come uno scemo e le stampò un bacio sulle labbra, fissandola poi con aria di sfida. Suki indovinò il sorriso nella poca luce che filtrava dall’esterno, ed a sua volta posò con uno schiocco le labbra sulla punta del suo naso. Ridacchiarono insieme sottovoce, e Suki allungò le dita a carezzargli il profilo. Allora lui provò a baciare quelle dita sfuggenti, ed in quel movimento Suki s’intrufolò e gli stampò ancora un bacio sulle labbra. Poi scese nuovamente con le mani, le infilò di proposito tra la maglia di lui, le aprì sul torace nudo e si sporse a baciargli il collo, succhiando lievemente la pelle sottile. Sotto i palmi sentì il cuore di lui accelerare. Allora morse piano, e lasciò che le labbra si sostituissero ai denti per rilasciare lentamente la pelle di lui.
La mente di Sokka tendeva spesso a svuotarsi facilmente, su questo non c’erano dubbi, ma in quel momento scordò completamente ogni cosa – Avatar, Signore del Fuoco, guerra, madri e padri e domini e boomerang - e scivolò con le mani in avanti, le posò sulla pancia di Suki e lentamente, quasi a chiedere il permesso, salì. Sentì Suki sorridere contro il suo collo, e le staccò improvvisamente come se ne fosse stato bruciato.
“Ah…” mormorò, indeciso e colpevole, ma lei afferrò una sua mano con la propria e la spinse proprio lì, sul suo seno, e ve la tenne ferma mentre mordeva ancora.
Aveva perso il contatto della sua mano sul proprio torace, ma aveva guadagnato ben di più, pensò lui. Provò a saggiare, stringere e spingere senza un ordine preciso, sentendosi un esploratore appena sbarcato su una terra sconosciuta. Poi, d’improvviso, gli sembrò di essere un uomo, di avere alle spalle un glorioso passato nell’arte amatoria e si chinò, con una naturalezza che avrebbe stupito lui stesso se si fosse fermato a ragionarci su, a baciare quella collinetta di pelle chiara che emergeva dal bordo della veste.
Fu Suki stessa a tirarla affinché si scoprisse ancora più pelle, tanto che la cintura in vita si allentò e l’orlo scivolò via. Sokka tirò fuori la lingua, leccò la pelle seguendo il margine della stoffa. Suki gli afferrò il volto e lo baciò, intrufolandosi tra le sue labbra, a cercare il proprio sapore nella sua bocca. Sentì le mani di lui ancora lì, a stringerla ed accarezzarla, ed il proprio corpo sciogliersi contro quello di lui. Respirando sul suo viso a sua volta gli slegò la cintura, aprì la veste ed infilò le mani tra la stoffa e la sua schiena, per stringersi a lui.
“Aspetta” mormorò mettendosi a sedere. Sciolse definitivamente la cintura; indugiò solo un attimo, poi alzò la veste e la sfilò. Senza dare tempo all’imbarazzo di frenarla, si gettò nuovamente tra le braccia di Sokka.

Quando i fianchi di Suki comparvero davanti a lui, nudi come le spalle, e le braccia, e la pancia, Sokka credette di stare, a quel punto, esclusivamente sognando. Rimase a bocca aperta e non riuscì a ricomporsi neanche quando lei si tuffò di nuovo contro di lui, nascondendosi quasi con le braccia.
“C’è… qualcosa che non va?” chiese dunque lei, arrossendo.
“Decisamente no…” riuscì a tirar fuori, e chiuse la bocca.
“Basta così poco per mettere fuori gioco un guerriero della tua portata?” rise allora Suki. A Sokka non restò altro che annuire, poi, per mettere fine a quell’imbarazzante momento e ricominciare da dove tutto era terminato, la baciò.
Concentrazione, si disse. Le labbra di Suki sulle proprie, la lingua di Suki in bocca, le mani di Suki sul torace, la pancia di Suki sulla sua…
Mollò la bocca e scese, impaziente, lungo il collo. Succhiò e morse come lei aveva fatto poco prima, poi scese sfiorando con le labbra fino al bordo della fascia che ancora stringeva il seno. E lì, ancora, morse e succhiò, scivolò sullo sterno, passò all’altro seno, che schiacciato contro il braccio di Suki sembrava quasi più grande.
Non pensava che l’avrebbe mai fatto – non perché non volesse, ma perché credeva di dover lasciare a lei ogni passo in avanti; ma Suki non era una donna come le altre, e non c’era davvero bisogno di star lì a chiedere il permesso per ogni cosa. Sokka realizzò che Suki l’avrebbe fermato, se avesse voluto, ma si aspettava che lui facesse qualcosa senza esser pregato, quindi afferrò la fascia e l’abbassò, liberando prima un seno e poi l’altro, e senza stare ad aspettare ne baciò subito uno, lo prese tra le labbra e lo bagnò di saliva, sentendo il capezzolo irrigidirsi. Suki strinse la mano sul suo fianco, lasciò andare un sospiro.

C’era qualcosa di totalmente nuovo in quello che stava accadendo; e non solo perché non le era mai capitato di fare quelle cose assieme ad un ragazzo. Per come si sentiva legata in quel momento a Sokka, dopo tutto quello che era successo intorno a loro, pensò che non avrebbe mai potuto stare con un altro, od anche solo immaginare di baciarlo a quella maniera e farsi accarezzare così.
Sulla sua pelle era nata una curiosità nuova, una determinazione a scoprire tutto insieme, tutto quella notte, e non rischiare di dimenticare neanche un particolare.
Gli accarezzò il petto, scese lungo lo stomaco fino al ventre, prendendo piano tra le dita la pelle più morbida.
“Dovresti fare un po’ più di addominali” scherzò, ma lui le fece morire ogni velleità derisoria stringendole un seno tra le dita, e leccandone la punta.
“Dovresti fare un po’ di silenzio” ribatté Sokka, un momento dopo. “Vieni qui” le intimò con lo stesso tono con cui dava ordini quando credeva d’essere il capo della squadra, ed alzò il mento a mostrarle il collo; le mise una mano sulla testa e la avvicinò, tanto da schiacciarla contro di sé.
“Hai un certo talento nel baciare il collo” convenne, e Suki, lungi dal farlo, si mise a ridere.
“Shhh, ci sentiranno tutti!”
“Zuko avrà sicuramente intuito” continuò a sorridere lei.
“Si, ma lui non conta. Quegli altri tre…sono dei bambini.”
L’espressione da uomo navigato che assunse fece ridere nuovamente Suki, che per non tradirsi si tappò la bocca con una mano e fu scossa da piccoli singulti.
Sokka l’abbracciò e la tirò ancora a sé, finché tra loro non rimase alcuno spazio.
Suki sentì nuovamente la curiosità impregnare ogni minuscolo spazio di sé. La sentiva sulla punta dei capezzoli schiacciati contro di lui, sulle mani attorno al suo volto, sulla bocca.
Baciò ancora il collo e si deliziò dell’espressione goduriosa di lui. E se scendessi…?, si chiese. Lentamente si spostò verso la clavicola, morse l’osso dove sporgeva e con la lingua segnò un percorso fino al petto. Sokka smise di respirare.
Continuò con calma, ma dovette scivolare sul pavimento per arrivare a baciargli l’ombelico; ancora una volta giocò con i denti, morse con delicatezza la pelle morbida, e sentì il proprio cuore battere furiosamente. Adesso basta, la curiosità della mia bocca è soddisfatta, per oggi.
Si riposizionò alla sua altezza, lo baciò sulla bocca e gliela aprì con la lingua; Sokka sembrava talmente tramortito da rispondere docilmente ad ogni sua mossa.
“Riesci sempre a battermi” commentò lui dopo un po’.
“La battaglia non è ancora terminata” ribatté Suki.
Lui tentennò, alzò gli occhi e fissò un punto lontano, stringendole una mano. “Forse non dovremmo. Voglio dire…”
Abbassò lo sguardo per constatare se lei lo stesse seguendo, ma Suki lo guardava interrogativa.
“Siamo nel bel mezzo di una guerra. Stare con te mi fa sentire come se… come se non ci fosse.”
“E questo è un male?”
“Ho paura di distrarmi. E di perdere il controllo della situazione.”
“Ehi” lo bloccò, “tu non hai il controllo di alcuna situazione. È il Signore del Fuoco che casomai…”
“Suki, era per dire!” Si alzò a sedere e si passò la mano tra i capelli per mandarli indietro. “Voi donne! Volete sempre aver ragione!”
Il silenzio di lei lo fece voltare nuovamente.
“Scusami, Sokka, non volevo aver ragione ad ogni costo” ammise lei abbassando lo sguardo. Poi lo rialzò, e si mosse fino ad appoggiarsi a lui, le mani strette in grembo.
“Proprio perché c’è questa guerra” disse alzando gli occhi, “proprio perché non sappiamo dove saremo domani. Non sappiamo se… saremo ancora qui, o a far compagnia a qualcuno degli spiriti di Aang. Proprio per questo, io credo che non dovremmo fermarci, finché ci andrà.”
Sokka rimase senza parole. Questa era la prova definitiva che non esisteva alcun complotto universale contro di lui: era, ufficialmente e senza alcun più dubbio, l’uomo più fortunato sulla faccia della terra.
Con lentezza, Suki lo spogliò della veste, e riprese a baciarlo da una spalla, muovendosi adagio senza una direzione. Allora Sokka la prese per i fianchi, la tirò verso di sé non si fu seduta su di lui, a gambe aperte. In quella maniera potevano aderire completamente, pancia e stomaco e petto e le braccia incrociate sulle spalle, e stringersi tanto da pensare di entrare l’uno nella pelle dell’altra. Continuò a baciarla, perché anche se fuori da quella tenda c’era una guerra, lì dentro era come essere in un’altra dimensione, e non voleva che nulla interrompesse quel momento. Voleva gustarsi ogni bacio fino in fondo, come se dopo quella notte vi fossero altri mille giorni in cui stare con Suki.
Ci saranno altre notti in tenda come questa, sussurrò piano contro un suo orecchio. Ci saranno, perché Aang salverà il mondo, ed io potrò definitivamente smettere di essere il ragazzo più sfortunato delle quattro nazioni.




***
Ed ecco il primo episodio della mia raccolta. In questo periodo mi sono fissata sulle coppie giovani e inesperte che fanno i primi passi, bah. Sarà che ormai ho imboccato la via della vecchiaia… Comunque Sokka e Suki sono, ufficialmente, la mia nuova coppia preferita, e credo che dedicherò loro almeno un altro paio di storie di questa raccolta.
Vi ringrazio fin da ora per ogni commento, bello o brutto, positivo o critico, perché ciò che più apprezzo è ricevere un parere su ciò che la mia mente partorisce.
Questo episodio è stato scritto con il prompt “Avatar, Sokka/Suki, notte in tenda” della piscinadiprompt per il 6° turno della Staffetta. See ya!

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Capitolo 2
*** Tutta colpa della recita [3x17; Sokka/Suki] ***


- OLTRE LA LEGGENDA -



TUTTA COLPA DELLA RECITA
Missing moment 3x17



“E così questa sarebbe solamente la villetta estiva?” esclamò, evidentemente sarcastica, Katara.
“Quella dell’isola Ember” ammise Zuko, abbassando la testa.
“Ehi, non devi certo vergognartene” replicò Sokka, facendosi spazio tra il gruppo. “Questo posto è fantastico!” Fece una piroetta con le braccia al cielo.
Suki fece scivolare lo sguardo intorno, registrando il contenuto di quella prima stanza, una sorta di anticamera: conchiglie, quadri, poltrone ed angoli comodi praticamente ovunque, ed una quantità immane di soprammobili e chincaglieria. “Chi l’ha arredata?” chiese, piuttosto sorpresa. La Nazione del Fuoco non era forse famosa per la sua eleganza e soprattutto il gusto essenziale?
“Questa casa appartiene alla mia famiglia da secoli” spiegò Zuko, mentre una dopo l’altra tirava le pesanti tende per far entrare la luce del sole. “Ogni generazione ha raccolto qui tutti i suoi ricordi. Questo era un luogo dove… essere più leggeri.”
La leggerezza familiare che si traduceva in quell’arredamento laborioso, contrapposto alla pesantezza delle grandi sale vuote del palazzo reale.
Lo erano stati, lì. C’era stato un tempo in cui sentirsi quasi una famiglia normale, in cui poteva vedere suo padre e sua madre sorridere tranquilli al mattino, prepararsi per andare in spiaggia. Gli sembrava quasi di vedere sua madre discutere, con finta importanza, dell’ordine da dare alle conchiglie raccolte il giorno prima. Il suo sguardo che diceva: qualsiasi ordine sceglierai, andrà bene; sono tue.
“Esiste un posto dove riposarsi, in questa splendida casa, o ci sono solo stanze piene di conchiglie e salottini?" punzecchiò Toph, come al solito. “Abbiamo volato tutta la notte e…”
“Ma certo” la interruppe Zuko. “Di sopra ci sono diverse camere per gli ospiti. Potete sceglierne una per ciascuno, se volete. E ce n’è qualcuna anche senza conchiglie, prometto.”
Fece ridere la compagnia con quel commento. “Dove si trova la cucina?” chiese Katara.
“Te la mostro.”
“Grazie. Aang, credo che…ma dov’è Aang?”
Si guardarono tutti intorno stupiti.
“Era qui dietro di me un momento fa!” esclamò allora Katara, la preoccupazione nella voce.
“Stai tranquilla, zucchero. Aang è qui fuori” disse Toph, alzando le spalle.
“Beh, potevi dircelo subito, visto che puoi sentirlo, invece di farci preoccupare” ribatté Katara, punta sul vivo, ed incrociò le braccia sul petto.
“Ti sei preoccupata solo tu, veramente.”
“Credo che qualcuno non abbia molta voglia di mangiare, oggi…”
Aang aprì la porta in quel momento, con Momo su una spalla e l’aliante stretto in mano. “I dintorni sono tranquilli” disse. “Ho visto la palestra sul retro.”
“Sì” annuì Zuko. Suo padre gli aveva costantemente ricordato il suo ruolo anche nei periodi di vacanza.
“Vorrei cominciare subito” continuò Aang. Aveva un’espressione seria e concentrata.
“Aang, non sarebbe meglio riposarsi un po’ prima? Abbiamo volato tutta la notte e…”
“Voi potete farlo. Ma, Katara, io vorrei cominciare subito.”
Zuko annuì ancora. Lei esitò un attimo, ancora sulla scia della sua apprensione materna per la salute di tutti quanti, e di Aang in particolare.
“Allora mi metterò a cucinare qualcosa subito, così potrete fare una pausa più tardi” concluse.
“Non ce n’è bisogno, davvero” Aang si avvicinò fino a metterle una mano su una spalla.
Interrompendo ogni ulteriore manifestazione d’affetto, Toph incrociò le mani dietro la testa:” Giusto, sono d’accordo con Aang. Dov’è che si trovano quelle stanze, Zuko?”
“Sarebbe anche bello potersi fare una doccia, e lavare i vestiti” aggiunse Suki, lanciando un’occhiata a Sokka.
“Ci sono abiti puliti in tutte le stanze, troveremo sicuramente qualcosa per ognuno di noi” disse Zuko. “Sono abiti della Nazione del Fuoco, saranno utili per non farci scoprire. Seguitemi.”

La casa era veramente molto grande, anche se nei suoi ricordi lo era stata di più. Zuko aveva passato i tre anni di esilio a ricordarla, nei momenti in cui voleva perdersi in qualche pensiero positivo che potesse dargli conforto. Fino a quando non era tornato con sua sorella e le altre due, gli era sembrata quasi un luogo mitico, esistito solo nella sua immaginazione. Ed ora, era lì con l’Avatar: quello era davvero incredibile.
“Possiamo andare” disse ad Aang, dalla soglia della camera che quest’ultimo aveva scelto per sé.
“Arrivo subito”.
Zuko ne approfittò per controllare che anche gli altri si fossero sistemati. Incrociò Sokka quasi per caso sul pianerottolo e si ricordò di cosa voleva consigliarli.
“Hai già scelto una stanza?” gli chiese.
Sokka, sotto il peso di ciò che aveva scaricato da Appa, negò con la testa. Bene.
“Gli altri si sono tutti sistemati in questo lato della casa” cominciò a spiegare Zuko indicando il corridoio alla sua sinistra. “Le stanze sono più grandi e luminose, perché sono esposte a Est. Ma tu magari potresti prenderne una dall’altra parte.”
“In una stanza piccola e buia?” chiese Sokka aggrottando le sopracciglia, non capendo il motivo di quel consiglio ma pronto ad arrabbiarsi. Testa calda.
“Potresti avere più intimità. Nessuno verrebbe a disturbarti, e soprattutto…tu non disturberesti nessuno.”
Sokka ancora non capiva, ed aprì la bocca per lanciargli contro qualche insulto. Provvidenzialmente, Suki in quel momento apparve accanto a lui, in cima alle scale, carica anche lei di coperte e provviste. Zuko la fissò insistentemente e Sokka cominciò a far vagare lo sguardo da lui a lei.
Capì.
“Ottima idea” approvò.
“Hai già scelto una stanza?” chiese anche Suki, guardandolo.
“Andrò di là. Tu vai insieme alle ragazze, dall’altro lato” disse Sokka.
Quando Suki si fu allontanata, Sokka si rivolse nuovamente a Zuko: “Non ti dà fastidio? Voglio dire…”
“Assolutamente no” lo interruppe l’altro.
Rimasero per un momento in silenzio, entrambi imbarazzati.
“Allora… grazie.”
Zuko annuì senza aggiungere altro. Per un momento, mentre Sokka si allontanava nella direzione opposta a Suki, si ritrovò ad invidiarlo. Ma, nel contempo, si rese conto di essere felice che… no, felice era una parola esagerata. Ma sapere che loro, i suoi am-... compagni, erano felici, lo faceva stare bene.
Rimase ancora un attimo a guardarsi intorno, sopraffatto dai ricordi della sua famiglia nella casa sull’isola Ember.
Quando si era felici perché lo erano altri.

La serata era stata davvero un fiasco. A guardarli in volto, si poteva leggere su ognuno di loro noia, tristezza, rimpianto, confusione ed anche paura.
La risata del finto Signore del Fuoco Ozai ancora echeggiava nelle loro orecchie.
Solo Toph sembrava ancora in parte soddisfatta: ma, in fondo, anche lei si beava della sua rappresentazione forte e mascolina solo per sfuggire al pensiero di quella terribile, ultima battaglia che li attendeva tutti.
Che depressione, pensò Sokka mentre rientravano in casa. Suki scivolò via facilmente da sotto il suo braccio e raggiunse le altre sulle scale davanti a loro. Fantastico, continuò a rimuginare lui. Se almeno non avesse dato ascolto al suggerimento di quell’idiota di Zuko, ora almeno avrebbe avuto compagnia per dormire: Aang aveva scelto una stanza abbastanza grande da ospitare tutti loro, ed infatti Zuko dormiva lì con lui. Entrambi sembravano parecchio abbattuti, ma l’idea di doversi infilare in quella cameretta buia da solo affliggeva oltremodo Sokka. Meglio depressi in tre che da solo, no?
Notò Katara sparire al piano superiore senza dare la buonanotte come faceva sempre, neanche ad Aang, al quale riservava sempre un’occhiata più lunga degli altri. Certo, quei due non dovevano aver apprezzato per nulla la riproduzione teatrale e semplicistica del loro complicato rapporto.
“Prima che Aang possa anche solo immaginare di tenere per mano mia sorella, dovranno passare secoli” pensò deciso. Però vederli così abbacchiati lo depresse ancora di più, ed a malapena mormorò un saluto a sua volta, mentre Aang si toglieva mestamente quel buffo cappello dalla fronte e si incamminava verso la stanza che condivideva con Zuko.
Momo, sorpreso da tanta tristezza e sbalordito che nessuno si fosse precipitato a fargli due carezze, uscì offeso da una finestra, forse per andare a riferire ad Appa dell’improvviso cambiamento umorale avvenuto nei loro compagni di viaggio.
Senza neanche lo spirito per cambiarsi, Sokka si lasciò cadere vestito sul letto, e chiuse gli occhi.

A svegliarlo fu una risata sussurrata.
Sokka aprì gli occhi, senza vedere nulla. Li sbatté un paio di volte, emise un grugnito e finalmente mise a fuoco un volto davanti a sé.
“Stai sbavando sul cuscino” disse Suki.
Si tirò immediatamente su, seduto sul letto.
“Stavo dormendo” biascicò, quasi offeso. Ma quanto aveva dormito? Si sentiva estremamente confuso. Il Signore del Fuoco non li aveva forse sconfitti, quella sera…?
Scosse la testa ancora una volta mentre Suki si alzava in piedi, ancora ridendo tra sé e sé.
Si ricordò improvvisamente della recita, dell’umore depresso di tutti quanti e di come si fosse gettato sul letto senza voler pensare più a nulla; aveva il vago sentore di aver fatto un brutto sogno. Per fortuna Suki era venuta a svegliarlo…
“Suki! Ma cosa ci fai qui?” realizzò.
“Che tempi di ripresa, grande guerriero! Impossibile sorprenderti nella notte.”
Lo guardò ironica con le mani sui fianchi.
Sokka sbadigliò. Poi le sembrò che lei stesse esitando.
“Ero venuta per… Volevo solo stare un po’ con te, ma se hai sonno posso tornare di là…”
“No!” esclamò allora lui. Si strofinò le mani sul viso. “Sono solo un po’ rintronato perché stavo facendo un sogno che… Ma ora mi sveglio.”
Dopo un momento di silenzio, si udì una timida domanda: “Posso sedermi…?”
A quel punto, Sokka si chiese che fine avessero mai fatto le sue grandi doti di uomo navigato; era colpa della rappresentazione, si disse. Si guardò attorno in cerca di un’idea: ma quella in cui era, probabilmente, era stata una stanza per la servitù, perché vi era solo quel misero lettino ed in un angolo, su un traballante treppiedi, una bacinella in ceramica – ornata di conchiglie, ovviamente.
“Mi sento estremamente frastornato” disse, a mo’ di scusa. Si rannicchiò appoggiandosi al muro che correva lungo uno dei lati lunghi del letto, e la invitò con la mano a sedersi accanto a sé. Suki si accoccolò contro di lui, trovando subito spazio sotto il suo braccio.
“Io, invece, non riuscivo a dormire. Scommetto che anche Katara è sveglia: l’ho sentita rivoltarsi nel letto.”
“Lei ed Aang hanno discusso?”
Suki scosse le spalle: non poteva saperlo, come lui, ma l’apparenza era quella.
“Non dovremmo essere così tesi.”
Non a così poco tempo dalla fine, non aggiunse. Suki intuì e lasciò scappare un sospiro.
“Paradossalmente, Zuko sembra il più tranquillo” rimuginò ad alta voce Sokka, fissando il soffitto.
“Lui è solo molto deciso. Ha trovato la sua strada.”
“E noi…?”
Loro l’avevano trovata da tempo: erano mesi che si preparavano a quell’incontro. Sokka ricordava le prime avventure con Aang: avevano corso pericoli immensi con l’incoscienza dei ragazzini, quasi senza capire in che razza di strada si erano imbarcati. Forse per Zuko era lo stesso: avendo da poco condiviso la loro causa, era ancora pieno dell’ardore di chi vuole salvare il mondo subito, senza aspettare.
Ma loro avevano imparato ad essere pazienti.
“Non è pronto per affrontare Ozai” disse. Suki non replicò. “Domani dobbiamo parlarne con gli altri” concluse per lei Sokka.
Dopo un momento di silenzio, lei mormorò con un mezzo sorriso: “Avremo più tempo per stare insieme, allora.”
Ben magra consolazione. “Ne avremmo ancora di più se il Signore del Fuoco fosse sconfitto per sempre” ribatté Sokka, ma Suki si irrigidì accanto a lui. Potremmo morire tutti fra poco. Nessuno di loro si sarebbe mai azzardato a pronunciare quelle parole, ma era evidente che da quella sera aleggiavano sulle loro teste, come grossi orsiornitorinco in un negozio di cristalli antichi. Nessuno si sarebbe demoralizzato così tanto, dopo la recita, se non avesse avuto l’impressione che quella fosse una possibilità reale. Stupidi!, pensò Sokka. Quasi sarebbe voluto correre da Aang e Katara e dar loro la sua benedizione, e urlargli di non sprecare quel poco, ultimo tempo. Potrete tenervi la mano finché vorrete, avrebbe detto loro. Sorrise al soffitto e si sentì magnanimo e saggio.
Si accorse a malapena di Suki che, con una mano, gli voltò il viso fino a trovarselo di fronte. Lo guardò un solo momento e si appese alle sue labbra, famelica.
Rispose al bacio a sua volta, stringendole un braccio con forza. Erano forse le ultime occasioni che aveva di baciare una ragazza? Il suo grande talento amatorio sarebbe andato terribilmente sprecato.
Suki gli aprì le labbra quasi a forza, intrufolando la lingua tra loro, cercando la sua senza neanche permettergli di riprendere fiato.
D’un tratto, si interruppe.
“Tutto questo è sbagliato” disse, ed a Sokka sembrò di sentire un eco lontana. Lei si alzò senza neanche dargli tempo di rispondere.
“Aspetta!” esclamò lui quando lei era ormai sulla porta. Si protese dal letto, tanto la stanza era piccola, e la afferrò per un braccio. “Ma che ti prende?”

Sbagliato, sbagliatissimo. Era andata in quella stanza per le ragioni più egoistiche ed errate di tutta la storia, e stava approfittando di lui. Sarebbe tornata a dormire con una soddisfazione in più? Probabilmente la mattina dopo si sarebbe svegliata con l’amaro in bocca ed un bel po’ di sensi di colpa. Non era quello il modo, e non poteva permettere a quella stupida guerra di metterle fretta, solo perché rischiava di non ricevere alcuna rassicurazione prima di morire. Morirò senza saperlo, e sarà meglio così, si disse.
“Si può sapere cosa stai rimuginando?”
Si rese conto di essersi fermata a pensare sulla soglia della cameretta. Sokka la fissava scuro in volto, aspettando una risposta.
“Mi dispiace” disse. “Sono venuta qui perché… Lascia perdere. Non è la serata giusta: siamo tutti molto tristi ed arrabbiati ed io…”
Sokka, che non ne aveva mai azzeccata una, per una volta fece la cosa giusta: si alzò e l’abbracciò. Circondata dalle sue braccia Suki si accorse di tremare.
“Proprio per questo devi rimanere qui. Per favore.”
Sembrava quasi lo stesse chiedendo per se stesso. Potrei, si disse lei. Per lui potrei rimanere, ma solo perché è lui ad averne bisogno.
“Quell’orribile recita ci ha impauriti tutti” disse lui. “Ma non devi. Aang è l’Avatar, lui ce la farà.”
Stupido Sokka, si corresse lei nella testa. Il problema non era quello; o almeno, quello c’era, sicuramente, grande e fuori di lì, ma non era certo qualcosa per cui loro potessero far qualcosa, non in quel momento.
Ma dire la verità in quel momento le sembrava impossibile. Sokka non avrebbe mai capito.
“Sono anche io un po’ frastornata” cercò di scusarsi. Voleva solo una giustificazione qualsiasi per uscire di lì e tornarsene a dormire; e la mattina dopo, con il sole, sarebbe riuscita a ragionare con calma, avrebbe riso di se stessa ed avrebbe guardato nuovamente Sokka con leggerezza.
Perché lui era quello, no? Un pensiero che le permetteva di sollevare l’animo dalla paura; lui la faceva ridere, le faceva scordare il terrore, e le donava attimi da brivido che potevano farla sentire un’altra: una ragazza qualsiasi, amata, che dai suoi quindici anni voleva solo quel che tutte le ragazze cercavano e trovavano con facilità.
Se mi sentissero le altre, non vorrebbero più avermi come loro leader. Le guerriere di Kyoshi avrebbero riso e poi l’avrebbero guardata costernate, se avesse mai rivelato la semplicità di quei pensieri. Proteggere l’isola, combattere a fianco dell’Avatar Aang, onorare la memoria dell’Avatar Kyoshi: solo a quello avrebbe dovuto pensare.
E loro erano perfino imprigionate chissà dove, mentre lei nella notte abbandonava il suo rigoroso giaciglio per raggiungere un ragazzino e scordarsi di essere una guerriera con lui.
Che pena.
Sokka le prese il viso a coppa tra le mani, lo alzò verso di sé e cercò di scandagliare i suoi pensieri; senza riuscire a sostenere il suo sguardo, Suki lo fece vagare tra una spalla ed il buio dietro di loro, passando solo per un attimo fugace su quegli occhi seri che cercavano di capirci qualcosa.
Quando lui la baciò, un brivido l’attraversò e le gambe le tremarono. Durò solo un momento, perché lui si staccò subito.
“Cosa c’è che non va?”
Oh, non avrebbe mai capito. Se c’era una qualità che apprezzava in lui, era la linearità.
“Non capiresti.”
“No, se non ti spieghi. Ma posso provarci.”
Non la mollò e lei si sentì in trappola. Una parte di sé bramava che non le lasciasse scampo.
“Credo… Credo sia stata colpa della recita” buttò fuori.
Sokka non ribatté: aspettava il resto.
“Non subito. All’inizio non mi importava granché di…”
Non riuscì a finire la frase: l’avrebbe ferito a morte. Sorvolò.
“Ma poi, quando è finita e il Signore del Fuoco ha vinto, ho pensato che ero morta senza provare neanche un centesimo di quello che…”
Si interruppe ancora, con le lacrime agli occhi.
Sokka la guardò come se fosse impazzita, totalmente perso.

Ed ora si metteva a piangere? Ma cosa stava accadendo?
Le cose andavano sempre peggio: non solo la recita aveva depresso tutti quanti, ma aveva perfino minato le sue mire di serata romantica; ed ora Suki, che si era sempre dimostrata estremamente ragionevole, si metteva persino a piangere tra le sue braccia senza alcuna ragione apparente, tutta presa da oscuri pensieri tipicamente femminili. Oh, sì, Sokka poteva riconoscere senza alcuna fatica la femminilità dietro tutto ciò.
Ma da quando Suki si comportava in quella maniera?
“Avevi ragione, non ci sto capendo nulla. Potresti per piacere tentare almeno di terminare le frasi?”
“Yue. E sentirmi amata.”
Il nome, già sentito quella sera dopo innumerevoli giorni in cui aveva silenziosamente riposto dentro di lui, lo fece sobbalzare. Non gli faceva piacere pensare a lei.
“Non ho capito.”
“Lo vedi?!” esclamò allora lei spazientita, battendo un piede a terra. “Sarebbe stato meglio se me ne fossi andata subito, invece di cercare di spiegarti.”
Incrociò le braccia sul petto, e rimase a guardarlo furente.
Ma ora cosa ho fatto?, si chiese esasperato. Non potevano semplicemente stare bene insieme come era successo in tenda, pochi giorni prima? Perché erano andati a quella stupida rappresentazione?
“Non abbiamo più parlato di Yue da quella volta lungo il Passo del Serpente.”
“Perché non c’è nulla da dire” replicò lui. Cominciò a serpeggiare in lui l’idea che lei pretendesse di poter mettere in bocca in quella faccenda: ma Yue ed il suo sacrificio non c’entravano nulla con quello che lui aveva provato per lei, uno stupido sentimento da ragazzino, ben presto tramutato in rispetto ed onore per una fanciulla che aveva lasciato ogni cosa per salvare il mondo.
“Lo so. Per questo non ne ho mai voluto parlare. Nutro solo un profondo rispetto per lei.”
Suki parlò con la voce della guerriera, ed una parte di Sokka si tranquillizzò: sembrava tornata quella di sempre.
“Ma stasera ho realizzato per la prima volta che potrei morire senza provare nessun grande amore, mai, nella mia vita. Forse non ce ne sarà il tempo. E questo pensiero mi ha terrorizzata.”
Sokka rimase per un attimo in silenzio, come tramortito dalle sue parole; poi spalancò bocca ed occhi insieme, e realizzò: nessun grande amore alla Hakoda neanche per lui. Ebbe voglia di correre a svegliare gli altri, incitarli ad amarsi, tutti quanti, per non perdere neanche un istante.
“Tu sei ciò che di più simile io abbia mai provato finora” sussurrò Suki, e lui abbassò di nuovo lo sguardo su di lei.
Suki ricambiò, tranquilla. Sokka aveva capito.
Si lanciò su di lei, schiacciandola contro la porta; fu lesta a fermarlo prima che potesse baciarla di nuovo.
“Per questo dicevo che è sbagliato. Non può nascere dall’urgenza di provare qualcosa, solo perché potrebbe essere l’unica cosa che ci è rimasta.”
Premette ancora più forte i palmi sul suo torace, sperando che capisse. Devi farlo, Sokka, non deludermi.
“Però… c’è qualcosa, tra noi.”
Sorrise. “Certo.”
O non lo avrebbe aspettato contando i secondi, durante i giorni di prigionia.
“Ma sono venuta qui da te solo perché mi sentivo sola, ed ho avuto paura che questo sentimento rimanesse in me fino a…”
“Aang salverà il mondo” disse Sokka, ed annuì. “Ma tu non sei sola. Nessuno di noi lo è.”
“Avrei voluto sentirmi meno sola in maniera speciale” confessò allora lei, chinando il capo su una spalla. Poco dopo sentì le dita di Sokka carezzarle i capelli, in maniera dolce. Sorrise mesta.
“Ma tu sei riuscito a capire, quindi non mi sento più così. È più giusto in questo modo, credo.”
Anche Sokka sorrise, e scivolò con la mano sulla sua guancia. Poi scosse la testa ed incrociò le braccia davanti al petto: “È più facile avere a che fare con te come guerriera che come donna.”
“Cosa?!”
“Ed io che pensavo di aver trovato una ragazza senza tante paranoie! Sei quasi peggio di mia sorella!”
Scosse la testa, e Suki scoppiò a ridere. “Mi spiace, posso promettere di non farlo più? Almeno, finché Aang non salverà il mondo.”
Gli sorrise e si voltò, con una mano sulla porta.
“Rimani a dormire.”
Si voltò stupita. “Ma…”
“Solo a dormire. Non dobbiamo scambiarci promesse infinite, o chissà cosa. Anche io mi sentivo solo, poco fa. Rimani qui.”
Annuì lentamente. Si può essere soli in tanti modi, ed anche stare insieme in tanti modi, si disse. Non c’è bisogno di giurare amore eterno.
Si strinse al suo petto; forse Sokka non sarebbe stato molto felice di sapere che da donna era tornata guerriera proprio grazie a lui, ma tra le sue braccia lei si sentì finalmente bene.


Ed ad un certo punto, durante la notte, sentì di nuovo un brivido sano attraversarla da capo a piedi: era in un letto assieme a Sokka, e lui la stringeva a sé. Nel dormiveglia gli cercò le labbra prima con le mani e poi con le proprie, infiammandosi proprio mentre pensava che quel bacio l’avrebbe tranquillizzata. Si avvicinarono entrambi fino a scontrarsi a metà del letto, aderendo senza lasciare neanche uno spazio tra loro; Sokka le carezzò i capelli mentre tornava a baciarla, posando con lentezza la bocca sulla sua.
Suki fremette e si strusciò su di lui, socchiudendo le labbra nell’accogliere uno spasmo di piacere lì dove si era strofinata a lui, coscia contro coscia; e quando sentì la sua lingua bagnare la propria il ventre le si serrò in una morsa mai provata prima, tremò contro di lui e non riuscì a trattenere un gemito.
Ansimando, chinò la testa sottraendosi al bacio e poggiò la fronte contro di lui. Senza dir nulla Sokka l’abbracciò ancora più forte, e finalmente si addormentarono.




***
Secondo episodio della mia raccolta, ambientato nella puntata immediatamente successiva. Probabilmente parlerò ampiamente di questa coppia prima di passare alle altre.
Vi ringrazio fin da ora per ogni commento, bello o brutto, positivo o critico, perché ciò che più apprezzo è ricevere un parere su ciò che la mia mente partorisce.
Questo episodio è stato scritto con il prompt “Avatar, Sokka/Suki, E' più facile avere a che fare con te come guerriera che come donna.” della piscinadiprompt per il 6° turno della Staffetta. See ya!

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Capitolo 3
*** Ritorno a casa [3x01-02; Zuko/Mei] ***


- OLTRE LA LEGGENDA -


RITORNO A CASA
Ambientata da qualche parte tra la 3x01 e la 3x02



Le parole di Ozai risuonano terribili nella mente di Zuko.
Ha ricacciato il primo pensiero che ha avuto nel profondo della sua mente, dopo essere entrato nella grande sala ed aver osservato suo padre dopo quasi tre anni.
Lo ricordavo più grande.
Il signore del fuoco è terrificante, con il volto in ombra ed il contorno splendente per le fiamme che lo circondano, ma Zuko riesce ad immaginarlo con facilità privo di qualsiasi artefatto: dopo aver vissuto come un profugo per tutto quel tempo con suo zio ha imparato a spogliare le persone, a vedersele davanti come sono.
Ozai è solo un uomo, ma non appena apre la bocca e la sua voce risuona nell’ampia sala vuota Zuko trema, ed è contento di poter nascondere il volto contro il pavimento. E quando pronuncia quelle parole, figlio mio, bentornato, Zuko lo guarda in volto e lo vede così simile a sé, ma anche in un certo modo completamente diverso: Ozai non ha mai affrontato un viaggio come il suo.

Lo zio Iroh invece sembra davvero un mendicante: neanche nei giorni peggiori del loro esilio l’ha visto così malridotto. Nel freddo della cella, mentre la rabbia cresce dentro, Zuko si scopre a sentire la mancanza del sole cocente del regno della Terra su di sé, lo scalpicciare senza meta del cavallostruzzo sotto di sé e la voce dello zio alle sue spalle, mentre intona qualche strampalata canzone d’amore. In quei giorni si era chiesto come fosse stato Iroh alla sua età, dispiacendosi di non poterlo sapere mai.
Potrebbe urlargli contro per tutta la notte, se solo non avesse timore di essere scoperto. Potrebbe urlare anche senza ricevere risposta, anche se Iroh continua a dargli le spalle e non accenna ad un movimento, solo per rimanere in sua compagnia ed illudersi di poter ancora scegliere cosa diventare.
Non ho mai avuto scelta, si dice, e se ne va quasi subito.

Anela quasi al dolore; forse se soffre abbastanza a lungo, se si tormenta ancora un po’, riuscirà a capire perché si sente così male.
Non si è mai stato così solo in vita sua.
Ma c’è qualcuno che può porvi rimedio, in un modo o nell’altro.
“Mei.”
La ragazza si stacca dal muro.
“Mi stavi aspettando?”
“Qualcosa del genere.”
Mei alza le spalle, fissando un punto oltre di lui con sguardo vacuo.
“Sono felice di vederti” esclama allora Zuko. Si avvicina a lei e la stringe tra le braccia, e può sentire, attraverso gli strati dell’ampia veste, il corpo sottile di lei esattamente come lo ricordava. Ora è più alta, e non è più una bambina, come quando è partito, ma non sembra poi molto diversa.
“Sei tornato per rimanere?” chiede lei. La domanda lo stupisce: è tutta la vita che vuole tornare per rimanere, e non ha alcuna intenzione di andarsene. E dove, poi?
Un guizzo nello sguardo di Mei gli fa quasi confessare ogni cosa, anche se non sa bene cosa; vorrebbe solo urlare, anche a lei, che non sta bene, che tutto sembra solo un grande incubo e non è affatto come se lo aspettava.
E vorrebbe confessare che gli manca lo zio, ma sente nella sua testa la risposta prima ancora di aprire la bocca: quel traditore, e la voce di Mei, di Ozai e di Azula si sovrappongono dentro di lui.
“Vieni con me” dice allora, improvvisamente più secco. “Festeggiamo il mio ritorno.”

Mentre la spoglia lentamente cerca di ricordarsi perché Mei gli piace. Perché a lei lui piaceva, probabilmente, e perché era sempre così impassibile, anche da bambina: era forte, era come lui avrebbe voluto essere, impossibile da scalfire. Non l’ha mai vista versare nemmeno una lacrima, e lui invece ha pianto continuamente, quando sua madre è scomparsa, quando suo padre l’ha mandato in esilio, e tante altre volte durante quel viaggio infinito, contro la spalla dello zio Iroh.
Mei ha la pelle bianchissima e così sottile da sembrare traslucida; sembra quasi che non scorra sangue nelle sue vene, e Zuko non si stupisce che non sia una dominatrice. Anche il suo respiro è impercettibile, non avrebbe mai la forza di dominare il fuoco. Eppure Mei è forte, e non dice una parola mentre Zuko si avventa sulle sue labbra. Non fa nulla, ricambiandolo appena, e quando lui la spinge sul letto cade leggera come una foglia, appoggiandosi sui gomiti.
Perché lo sto facendo?, si chiede mentre si china su di lei, le morde il collo e stringe con forza sui fianchi, dove non c’è quasi nulla che lui possa prendere. Lei, in tutta risposta, gli graffia il volto con le lunghe unghie.
Zuko si alza da lei e comincia a togliersi la veste.

Quando è partito da casa, scacciato da suo padre, le cose tra lui e Mei non stavano affatto a questo punto, perché lei era poco più che una bambina, e lui avrebbe rispettato per sempre l’usanza della nazione del Fuoco per cui le ragazze non si toccano se non dopo il matrimonio – quelle da sposare, almeno, e Mei era quello per lui, da sempre, senza che si fosse neanche presentata l’idea di un’altra scelta.
Non che ora non lo sia più, ma Zuko ha scoperto che il mondo è grande, e le persone trovano sempre una scusa per giustificare ciò che fanno, nel bene e nel male; qualsiasi punto di vista può essere quello giusto, dipende da dove lo si guarda, ed ognuno porta avanti la sua battaglia personale. Lui ora si sente così tanto solo da tralasciare qualsiasi senso di responsabilità nei suoi confronti, e Mei non lo sta forse lasciando fare?
Con la solita espressione dipinta in volto lo osserva senza dire nulla mentre emerge dalle vesti, rimane nudo davanti a lei. Non ha vergogna, Zuko, nonostante stia per la prima volta davanti ad una donna a quella maniera, perché lui è il principe Zuko, ha ucciso l’Avatar, ha conquistato Ba Sing See ed è un eroe nazionale: non ha vergogna di nulla, non deve.
Si china nuovamente su di lei, ma Mei, inaspettatamente, alza un braccio e sfiora con la punta delle dita la sua cicatrice; Zuko sussulta al contatto, ricordando un’altra mano, più scura e più piccola proprio lì, sul segno del suo disonore che non se ne andrà mai.
E Mei, ancora una volta, non dice nulla, ne segna il contorno con un tocco leggere ma deciso, senza tremare, senza mostrare alcuna emozione, quasi stesse semplicemente acquisendo l’informazione di quel volto cambiato davanti a lei.
D’improvviso decide di volerle togliere quell’espressione dal volto.
Deve provare un sentimento qualsiasi, dannazione! Oltre alla noia ci sarà qualcos’altro in lei!

E non sa bene neanche come fare, perché non l’ha mai fatto, ma Mei è inaspettatamente calda, tra le gambe, e Zuko forza finché non scivola in lei, sentendosi un masso abbattuto su una foglia nel vento.
Lascia che il suo peso cada su quel corpo inconsistente, e per evitare di emettere suoni stringe tra i denti la pelle impalpabile di una spalla; siccome Mei gli artiglia le braccia con le unghie e gli fa male, distraendolo da tutto il resto, le blocca le mani sopra la testa, e senza neanche guardarla in volto continua a spingere, quasi con rabbia, finché finalmente lei non emette un suono roco, basso, probabilmente di dolore. Allora tutta la rabbia scivola via dal suo corpo, ed appena in tempo Zuko si tira indietro, evitando di svuotarsi dentro di lei – nonostante l’inesperienza, qualcosa gli è stato spiegato e vuole evitare guai.
Mei continua a non dire una parola, ma il suo respiro è leggermente più veloce; Zuko le rotola di fianco, passa una mano distrattamente sul corpo di lei, scendendo dalla spalla al fianco, giù per la coscia. Vorrebbe solo chiudere gli occhi ed addormentarsi, per non svegliarsi nuovamente da solo nel grande letto regale la mattina dopo, ma Mei si alza e comincia a raccattare i suoi vestiti. Zuko chiude gli occhi, l’ennesima sconfitta che lo schiaccia sul petto.
“Nei prossimi giorni potremmo fare qualcosa insieme” dice lei all’improvviso. Ha la voce roca, com’è naturale che sia perché la usa con grande parsimonia, ma sembra quasi arrossire mentre continua: “Un pic-nic, o qualcosa del genere, se sei libero.”
Zuko scatta a sedere e la fissa sorpreso. Lei nel frattempo ha sciolto i capelli, perché la pettinatura si è completamente rovinata, e quelli le cadono come una cascata nera fin oltre i fianchi.
Annuisce, e non appena lei distoglie lo sguardo afferra il lenzuolo e si copre: ora che lei è completamente vestita si sente fin troppo nudo.
“Allora… a domani.”
“A domani.”
Accenna un inchino, e se ne va.

La notte dopo, Mei ritorna.



***
Scritta con il prompt “Mei/Zuko, sempre la stessa espressione” del P0rn Fest.
Partecipa al Contest “Anime&Manga&Cartoons” indetto da Moustache sul forum di EFP.


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Capitolo 4
*** Dura vita da Avatar [post terzo libro; Aang] ***


- OLTRE LA LEGGENDA -


Dura vita da Avatar

Post libro terzo



La vita di un Avatar in un periodo di pace non era affatto come l’aveva immaginata.

Certo, non credeva che avrebbe passato tutto il tempo a fare feste, abbracciare persone felici, pronunciare discorsi pieni di speranza, inaugurare luoghi pubblici, essere accolto a braccia aperte ovunque.

O forse sì, immaginava che finalmente sarebbe potuto andare dappertutto, che la folla lo avrebbe sempre accolto con calore e gioia, e che, soprattutto, avrebbe potuto fare ciò che voleva.

Ed invece era uno schifo!

Oh, i pranzi vi erano, senza dubbio. Ed erano pieni di portate, che in suo onore venivano realizzate bandendo del tutto la carne. E duravano molto a lungo, cosicché ognuno avesse la possibilità di ringraziare l’Avatar e dire la sua su come, ora, avrebbe dovuto gestire la situazione. Da sotto il tavolo, non appena Aang tentava di aprir bocca ed esprimere un'opinione, Katara gli tirava un calcio per farlo zittire. Gli aveva detto di ripetere solo ed esclusivamente la frase: “Grazie del suo parere, ne terrò sicuramente conto”, senza promettere nulla. Come potevano sapere cosa sarebbe accaduto? La situazione era davvero delicata.

Era ciò che ripeteva continuamente anche Zuko. Ogni qual volta apparivano in pubblico assieme, e lo facevano spesso, dato che era necessario rafforzare in tutti l’idea che vi fosse la più stretta collaborazione tra la Nazione del Fuoco e l’Avatar, gli ripeteva che non doveva assolutamente far nulla di strano, svolazzare di qua e di là come una farfallina in primavera, mettersi a giocare con i bambini – a nulla valeva protestare che anche lui, dopotutto, era praticamente ancora un bambino -, sparire improvvisamente perché era apparso un esemplare di chissà quale divertentissimo animale. E lo diceva con un tono che esprimeva moltissima disapprovazione.

C’erano così tanto obblighi da tenere a mente da fargli rimpiangere i giorni di libertà a zonzo per il Regno della Terra.

Perfino Sokka, un tempo così stupido e compagno di grandi divertimenti, aveva assunto il ruolo di grande guerriero della propria Tribù, e lo rimbambiva da mattina a sera sul contegno da tenere in ogni occasione; avrebbe voluto scrivere lui tutti i suoi discorsi, ed ogni qual volta Aang era chiamato a dare un’opinione, fremeva dalla voglia di intervenire, gli lanciava occhiatacce e faceva gesti a suo dire molto espliciti con suggerimenti sulla parola corretta, la frase giusta da dire al momento giusto.
Inoltre, in quanto Fratello della Donna Amata dall’Avatar, Sokka era ben preciso anche nel porre i limiti oltre il quale Aang non si poteva spingere con sua sorella. Ad esempio, da quando li aveva sorpresi a baciarsi sulla terrazza della sala da thè, non era loro permesso far un solo passo da soli; e quando Sokka non poteva seguirli spediva Toph a pedinarli, la quale si divertiva immensamente a scovarli ovunque. E non che Aang avesse in mente nulla di più di una chiacchierata con Katara in tutta tranquillità, senza nessuno a commentare ogni singola battuta – e se magari alla fine lei avesse deciso di baciarlo, non si sarebbe certamente tirato indietro -, ma le regole si erano centuplicate, rispetto a quando vi era la guerra. Quante volte avevano dormito tutti assieme? Quante volte era rimasto solo con Katara? A sentir Sokka, avrebbero dovuto aspettare decenni prima di poterlo fare nuovamente.

A Toph, ovviamente, tutto ciò non importava affatto: lei per prima aveva dimostrato quanto poco tenesse alle regole ed alle convenzioni sociali. “Ma io non sono mica l’Avatar” terminava, sputando in terra i noccioli di ciliegia che mangiava. “Nessuno, tranne i miei genitori, si interessa di ciò che faccio. Mentre tu sei sotto gli occhi di tutti e tre i popoli: non si parla che di te, in tutto il globo.” Ridacchiava, mentre terminava il suo sermone, ed Aang si chiedeva, incupito, perché mai si divertisse a torturarlo così.

Tutto ciò che aveva desiderato era riappacificare i popoli, vedere scomparire i confini tra loro, veder compiuta in terra quell’unità che nella sua mente era così semplice ed evidente, e ciò che aveva raccolto era solo una serie infinita di regole a cui tutti si aspettavano si attenesse.

“Voglio andare a fare due passi, vuoi venire?” disse un giorno a Katara, intenta a studiare delle carte. Lei alzò lo sguardo dubbiosa: “Sokka non è in giro?”
“È uscito da ore con Suki, e non credo torneranno tanto presto. E Toph è da qualche parte ad allenarsi al dominio del metallo, e prima che tu lo chieda, Zuko non è ancora rientrato.”
“Siamo da soli in casa?” si stupì allora lei. Si guardò intorno, ancora incredula, come se da un momento all’altro potesse comparire una folla di amici e parenti a porre nuovi veti.
“Escludendo Appa, che dorme in giardino, e Momo, sì, siamo soli” confermò Aang. All’improvviso gli parve di essere al sicuro al di là di un confine invisibile.
“Potremmo anche restare in casa” si affrettò ad aggiungere. “Possiamo fare semplicemente quello che ci va, per un po’, senza che…”
“Senza cosa…?” chiese Katara. Ma non attese la risposta e si levò in piedi. “Allora, cosa ti va di fare?”
“Bagno in piscina e lotta di dominio dell’acqua fino all’ultimo respiro?”
Lei sorrise, congiungendo le sopracciglia al centro della fronte.

La vita di un Avatar in un momento di pace poteva anche essere un grande schifo, ma momenti come quello, in cui una Katara in costume bianco era circondata da una cascata di goccioline brillanti, potevano ber valere tutta la fatica.





***
Scritta per l’Avatar Weekly Fest, primo turno, su Avatar Italia, con il personaggio Aang ed il prompt “Il confine”. Non è niente di troppo originale né movimentato, ma mi ha divertita scriverla. Se vi va, fate un salto in quel blog, vi saranno sicuramente molte altre storie più meritevoli della mia. E, sempre se vi va, lasciatemi un commentino. See ya!

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Capitolo 5
*** Prove [molto nel futuro; Sokka] ***


- OLTRE LA LEGGENDA -

Prove

Molto nel futuro


“Io sono bello, lei è bella. Io sono divertente, lei è divertente. Io sono simpatico, lei è simpatica. Io sono un grande guerriero della Tribù del Sud, il mio boomerang è temuto in tutto il mondo! E lei è la più forte tra le guerriere di Kyoshi: siamo fatti l’uno per l’altra.
Le nostre labbra sono fatte per incontrarsi, perché nonostante quel che dice Katara, ho baciato più ragazze io di quanti ragazzi bacerà mai lei (ough, che noia essere la fidanzata dell’Avatar. Doveri a non finire - tipico di mia sorella), quindi posso dirlo.
Suki è perfetta per me perché, al contrario di me, è elegante e riesce a non farsi male da sola. Ogni vero uomo ha bisogno di una vera donna al fianco, e Suki lo è!
Forse a volte parla un po’ troppo, ma questo è un difetto che Katara rimprovera anche a me (per quanto io non creda affatto che sia così.)
Aang dice che siamo fatti l’uno per l’altra, e se lo dice l’Avatar, allora dev’essere vero!
Suki ed io avremo almeno cinque figli, tutti perfetti guerrieri; non importa che siano maschi o femmine, perché lei mi ha insegnato che l’unica differenza tra uomo e donna è che quest’ultima, di solito, diventa intelligente leggermente prima dell’uomo (ma questo non lo dirò mai a mia sorella, dovessi portarmelo nella tomba).
E non importa quanti figli avrà quello sbruffone di Zuko: i nostri saranno più belli e più forti, e se non altro decisamente più simpatici, con un padre come me!
Toph odia queste smancerie, ed ha ragione, ma quando sono con Suki non posso pensare ad altro che alla sua forza, la sua bellezza, la sua agilità come guerriera; la amo veramente, per tutto quello che è, ed amo ogni suo dettaglio.
Credi le piacerà quest’anello, Appa?”





***
Scritta per l’Avatar Weekly Fest, decimo turno, su Avatar Italia, con il personaggio Sokka ed il prompt “Discorsi da uomini”. È una sciocchezza ma adoro Sokka, e quindi anche scrivere queste robette mi dà un’immensa soddisfazione!

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Capitolo 6
*** Dal diario di Katara [3x17; Katara&Suki] ***


- OLTRE LA LEGGENDA –

DAL DIARIO DI KATARA
I giorni all’isola Ember
(Missing Moment 3x17)



Promemoria numero uno: essere l’unica ragazza del gruppo alla lunga è davvero sfiancante. Credevo che in questo gruppo di maschiacci si sarebbe innescata una qualche gara a farmi da cavaliere; invece, da quando siamo arrivati qui all’isola Ember, nessuno si degna di aiutarmi.
Quando provo a sottolineare che non è affatto gentile da parte loro far fare tutto il lavoro a me, in quanto donna, Sokka normalmente ribatte che io non appartengo affatto al gentil sesso, dal momento che sono solo una ragazzina senza curve, mentre Aang osserva che di femmine c’è anche Toph.
Ah-ah, grazie, davvero un grande aiuto. Preferisco sbrigarmela da me, visti i guai che è in grado di combinare quella lì nel giro di pochi minuti in una cucina.
Aang e Zuko hanno cominciato ad allenarsi il minuto dopo aver messo piede qui, nonostante la casa sia in condizioni pietose. Da quando sono tornati dal loro giretto segreto sembra che ci sia un’intesa speciale tra loro, quasi fossero fratelli. Capisco che Aang sia estremamente abbattuto per come è andata nella Nazione del Fuoco e al Tempio dell’Aria; recentemente sembra che tutti i nostri brillanti piani stiano fallendo miseramente. Abbiamo pochissimi giorni prima che la cometa di Sozin sia di nuovo in cielo.
Toph a sua volta vuole che Aang migliori nel dominio della Terra, e credo anche io che questi due siano ora la sua priorità. Quindi, alla fine, come sempre tutto il lavoro giornaliero ricade su di me, ma in che altro modo posso aiutare se non dandomi da fare affinché tutti siano a stomaco pieno, con cibi pieni di energie, senza doversi preoccupare anche di questo?
Che fatica essere femmina.

Promemoria numero due: come ho potuto dimenticarmi di Suki?! Benedetta donna, la conto sempre nel novero degli uomini perché è una guerriera sicuramente poco incline ai lavori femminili, ma è così indipendente, orgogliosa ed autosufficiente che sarebbe perfettamente in grado di cucinare da sola un pasto per un reggimento! Proprio stamattina, dopo aver riposto il mio diario, mentre con voce sconsolata chiedevo aiuto a mio fratello almeno per andare a rimediare un po’ di provviste in paese, lei è comparsa al suo fianco e mi ha proposto di accompagnarmi. Sokka era estremamente in agitazione perché siamo nella Nazione del Fuoco, e bla bla bla, possono scoprirci, e bla bla bla, finiremo tutti arrostiti prima di qualsiasi cometa, e bla bla bla, ma Suki come al solito l’ha rimesso al suo posto, dicendo che sicuramente moriremo prima di fame: la casa è talmente vecchia e disabitata da anni che l’unica cosa commestibile che vi abbiamo trovato è una patata che ha fatto i fiori ed ora è una pianta che occupa mezzo giardino. Ci siamo camuffati con degli abiti trovati qui negli armadi (secondo me siamo un po’ fuori moda, ma meglio così che con i nostri), e siamo andati, noi tre, in paese. Sokka camminava rasente i muri, strisciando come solo un vero guerriero della Tribù del Sud sa fare (parole sue), gettando occhiate a destra e sinistra convinto che ogni innocente abitante dell’isola sia qui per ucciderci tutti; Suki ed io, così, abbiamo potuto chiacchierare in tutta tranquillità; le ho detto quanto sia stato difficile, in questi mesi, cercare di tenere il gruppo unito e in salute, di tutte le disavventure, e di quanto sia stato terribile l’attacco alla Nazione del Fuoco terminato in maniera così ridicola. Suki ha ringhiato tra i denti qualcosa contro la sorella pazza di Zuko, ed io non ho potuto che approvare in pieno. Avrei voluto chiederle della prigione, ma Sokka ha cominciato a ingiungerci di fare silenzio, ché così facendo di saremmo tradite di sicuro. Effettivamente parlar male della principessa proprio sul loro territorio non è molto intelligente, così abbiamo rimandato la nostra chiacchierata e ci siamo concentrate sugli acquisti.

Promemoria numero tre: ma perché non ho avuto una sorella, invece di quel coso che mi è capitato in sorte? Suki è fortissima. Mi ha aiutata tutto il giorno, rinunciando ai suoi allenamenti con Sokka, ed abbiamo reso questa vecchia casa fatiscente un luogo più abitabile. Mentre pulivamo le verdure, ad un certo punto, mi ha detto che in un qualche modo mi invidia, perché grazie al mio dominio sono molto forte; mi ha stupita, perché io ho sempre pensato che lei non fosse mai gelosa di nulla: né degli uomini né del non avere un dominio, perché è sempre così fiera di se stessa. Gliel’ho detto, e mi ha risposto che lo è davvero, ed è felice di essere quella che è, ma si rende anche conto che nella grande battaglia che dovremo affrontare contro Ozai avere il dominio di un elemento è fondamentale per anche solo sperare di batterlo, e perfino Aang, che addirittura è l’Avatar e li domina tutti e quattro, non è affatto sicuro di farcela.
Allora le ho raccontato di tutte le volte in cui Sokka ha avuto delle idee geniali che ci hanno tirato fuori dai guai, ed anche del suo problema con i nostri domini e l’allenamento speciale che ha fatto con il maestro Piandao; ovviamente non ho raccontato di tutte le volte in cui è stato Sokka a creare difficoltà, ma quella è una caratteristica che prescinde dal dominio: anche Aang è un pasticcione, e Toph è una pazza e io a volte mi impunto e faccio problemi, senza contare Zuko che voleva farci fuori per primo, all’inizio. Le ho assicurato che lei è una grande combattente, che sicuramente sarà in grado di aiutare l’Avatar in questa battaglia e che io sono, personalmente, molto felice di averla nel gruppo. Suki ha fatto un gran sorriso alle mie parole e mi ha tirato un pugno (un po’ troppo forte, devo dire).

Promemoria numero quattro: avere un’amica nel gruppo, una vera donna (non quella roccia informe di Toph) è estremamente utile per poter chiacchierare di questioni di cuore! Dopo quel terribile spettacolo a cui abbiamo assistito stasera in paese siamo tornati tutti a casa molto mogi.
Una volta a letto Toph, unica soddisfatta dalla rappresentazione, si è addormentata in due minuti netti, e confortate dal suo dolce russare Suki ed io abbiamo cominciato a parlare. Ha iniziato lei, veramente, e mi ha chiesto di Yue. Non sapevo quanto Sokka le avesse raccontato, così ho cercato di non scendere troppo nei particolari. Credo che abbia capito che non volevo tradire mio fratello, perché improvvisamente ha cambiato discorso e mi ha chiesto cosa ci sia tra me ed Aang. Io avevo davvero una gran voglia di chiarirmi le idee, perché sono molto confusa e da giorni (da quando Aang mi ha baciata la prima volta, cioè) non faccio che pensarci – quando non veniamo attaccati da dominatori del fuoco decisi a sterminarci, ovvio, o dobbiamo fuggire da pazzi uomini giganti, o trovare un luogo sicuro, od organizzare i pasti per tutti noi, o cercare qualcuno che si è perso o ha deciso di andare a farsi un giro con Zuko in qualche missione suicida – insomma, in ogni momento libero dalla nostra normale vita degli ultimi mesi. Le ho raccontato quindi di cosa è accaduto questa sera. Probabilmente potrebbe sembrare che io abbia rifiutato Aang, ma non è andata proprio così: è che in questo momento non ho proprio le energie per pensare anche a questo. Mi sembra che da un momento all’altro potremmo finire tutti arrostiti veramente, e ho paura di distrarmi e non rimanere concentrata. Però lo so, che mi piace Aang, e oggi quando mi ha baciata di nuovo una piccolissima parte di me era felice, perché avevo paura che lui mi stesse dimenticando, soprattutto dopo la discussione che abbiamo avuto su mia madre ed il perdono.
Quest’ultima frase però l’ho bofonchiata sottovoce, perché mi vergognavo, e Suki ha detto: “Eh?” Io non sono riuscita a ripeterlo, tanto ero imbarazzata, e Suki allora ha detto che sicuramente Aang salverà il mondo, e io e lui avremo modo di vivere il nostro amore come ci meritiamo.
Credo sia una frase bellissima, e mi ha consolata molto. Suki è davvero un tipo in gamba.

Promemoria numero cinque: ritiro quanto detto! Suki, traditrice che non sei altro, come hai potuto farmi questo? Sono ferita, arrabbiata, adirata e infuriata! Dopo aver passato tutto quel tempo ad estorcermi confidenze su Aang, nel bel mezzo della notte, mentre Toph ed io dormivamo, è sgattaiolata via, e dove l’ho ritrovata la mattina dopo? Nel letto di Sokka!
Ero entrata nella sua stanza solo per prendere i vestiti da lavare, perché io sto sempre a preoccuparmi per lui, anzi, per tutti loro, ed avevo in programma di fare un bel bucato, e invece, eccoli lì abbracciati stretti stretti nel lettino, dormivano della grossa come se non ci fosse alcun problema!
Suki mi ha sentita e ha aperto un occhio; non appena mi ha vista è arrossita e ha mormorato qualche sciocchezza, ma io me ne ero già andata sbattendo la porta.
Non le confiderò mai più nulla!

Ho parlato con Zuko, che mi ha vista infuriata. Quando mi ha chiesto cosa fosse successo, non ho potuto far altro che avvampare, credo, perché questa faccenda mi imbarazza alquanto. Così lui ha cercato di tirarmi fuori le parole di bocca con le pinze, ed io alla fine ho bofonchiato qualcosa su Suki che nella notte lascia la stanza delle ragazze. In quel momento lui ha avuto un guizzo negli occhi e ho capito che era perfettamente a conoscenza della faccenda, quindi mi sono arrabbiata anche con lui.
Però anche Zuko mi ha fatto riflettere, alla fine. Mi ha detto che Sokka e Suki sono più grandi di me, Aang e Toph, e che in questo momento probabilmente in qualche maniera si sentono soli e hanno il diritto di sentirsi meno soli insieme. Mi ha anche detto che io non sono arrabbiata, ma solo imbarazzata perché è una faccenda intima ed è la prima volta che mi capita una cosa del genere. Forse ha ragione. Poi ha aggiunto che è normale essere imbarazzati, soprattutto alla mia età (come se loro, invece, chissà quanto sono vecchi e maturi!), ma che purtroppo incidenti di questo tipo possono accadere quando ci si trova a vivere tutti insieme in un ambiente così confinato; ha ridacchiato tra sé e sé che perfino in un grande palazzo è difficile avere riservatezza, ma io in quel momento mi sono tappata le orecchie perché non voglio assolutamente sapere cosa ha combinato lui con quell’altra pazza lancia coltelli.
Zuko ha poi aggiunto: tutti spingono un recinto in rovina. Gli ho chiesto cosa volesse dire; pare sia un proverbio della Nazione del Fuoco che suo zio ripeteva spesso, e vuol dire che in un posto piccolo e stretto, dove ognuno è costretto a convivere con gli altri, è normale sgomitare e calpestarsi un po’, ma bisogna solo imparare a convivere insieme. Ho alzato un sopracciglio, perché mi sembrava davvero una cavolata, e lui ridendo ha ammesso di non aver mai compreso neanche uno dei proverbi di suo zio, per quanto sicuramente siano molto saggi e profondi.
In quel momento è arrivato Aang: lo cercava per allenarsi, e io gli ho fatto un gran sorriso, cercando di fargli capire che gli sono vicina e lo sosterrò sempre. Ho pensato forte con tutta me stessa: quando tutto questo sarà finito, Aang, ti prometto che vivremo la nostra storia.
Non so se mi ha capita, ma improvvisamente mi sono sentita in pace con tutti, in quella casa.
Promemoria numero sei: Suki è più grande di me, e quando sarà il momento (fra migliaia di anni, per quanto mi riguarda), se mai la mia storia con Aang dovesse prendere quella piega lì, potrò chiederle consiglio.

Promemoria numero sette: scusarsi a volte è una buona mossa e può far nascere una grande amicizia.
Quando Suki è venuta a chiedermi se avessi bisogno di una mano, ho fatto un gran respiro ed ho trovato il coraggio di chiederle scusa per essere entrata senza bussare ed essermi arrabbiata questa mattina. Anche lei era molto in imbarazzo, e mi ha rivelato di essersi sentita molto in colpa. Ha riso nervosamente ed ha aggiunto che non c’è proprio nulla di cui sentirsi in colpa, dopotutto, ma che se mi dà fastidio che lei e Sokka passino del tempo insieme da soli, cercherà di non farlo, perché, proprio come le avevo rivelato io la sera prima, in questo momento la priorità è concentrarsi sulla battaglia e lasciar perdere queste stupide questioni amorose.
Questo mi ha fatto sentire molto meschina. Non voglio che Sokka sia infelice a causa mia, dopotutto quello che ha passato, e non voglio che neanche Suki lo sia, perché in fondo ora le voglio bene e la considero quasi una sorella.
Le ho detto quindi che non deve assolutamente smettere di stare bene con mio fratello, se questo li rende felici. Che Sokka ha bisogno di lei e lei deve stargli vicino. Poi, spudoratamente, ho ripetuto le parole di Zuko: è inevitabile che questi piccoli incidenti accadano, visto che abitiamo in così tanti in un luogo così ristretto, e che bisogna solo imparare a trovare ognuno i nostri spazi. Poi sono arrossita, credo, e ho balbettato che io sono ancora piccola e di certe cose non capisco nulla, quindi non dovrei sentenziarci su. Suki è rimasta molto sorpresa: ha risposto che anche lei è completamente ignara di tantissime cose, e sicuramente io sono talmente saggia da saperne più di lei, solo che al momento la mia è tutta teoria mentre lei e Sokka vorrebbero cominciare a sperimentare la pratica. Ha detto tutto ciò molto tranquillamente, a voce alta e scandendo bene le parole, come se stesse parlando di un’altra cosa, preparare lo spezzatino o sconfiggere il Signore del Fuoco. Io credo di essere arrostita, questa volta sul serio, e di riflesso mi sono tappata nuovamente le orecchie: ma perché tutti vogliono rendermi partecipe delle loro avventure amorose? Ma non vedete che sono solo una ragazzina? Tutto voglio fuorché cominciare a immaginare quel pelle e ossa di mio fratello in atteggiamenti simili. Suki ha riso, ma di un riso buono, non mi stava prendendo in giro. Si è scusata e ha detto che confidenze simili erano normali tra le sue guerriere, e probabilmente a me è mancata un’amica della mia età, nella Tribù del Sud, con la quale scambiarmi pettegolezzi sui ragazzi.
Pettegolezzi? Figuriamoci! Da quando nostro padre è partito e sono rimasta sola con Sokka, non mi sembra di aver avuto altro che responsabilità, e paradossalmente questi mesi in giro con Aang, nonostante tutte le avventure e le dis-avventure, sono stati i più divertenti della mia vita.
Gliel’ho detto, e lei allora mi ha guardata negli occhi ed ha detto: “Katara, quando avrai bisogno di parlare di cose da ragazze con una vera amica, potrai sempre venire da me.”
Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere e mi sono quasi commossa. Mentre stava per andar via (perché nel frattempo, tra una chiacchiera e l’altra, avevamo finito di lavare i piatti), l’ho fermata e le ho detto che, se mai dovesse succedermi qualcosa , in questa guerra, se mai non dovesse andarmi bene, lei deve stare vicino a Sokka, perché lui è un incapace buono a nulla e da solo non saprebbe neanche mettersi la camicia la mattina. Lei ha annuito, seriamente, ed ha risposto che non permetterà che succeda nulla a nessuno di noi. Non può assicurarlo, ha aggiunto, ma combatterà fino all’ultimo affinché ognuna di noi due si viva, in pace, la sua storia d’amore così come ci meritiamo.
Suki è davvero una tipa in gamba.



***
Scritta per il “Majhong Contest” di My_Pride, con i seguenti prompt:
- Tessera: Sette
- Coppia: Suki/Katara
- Citazione: Tutti spingono un recinto in rovina [ Proverbio Cinese ]

Non sono sicura di averli rispettati tutti in pieno. In particolare il proverbio non l’ho proprio capito, e sul web non ho trovato alcuna spiegazione utile al riguardo. Per questo l’ho voluto inserire, con uno stratagemma, in maniera tale che neanche i protagonisti (Katara e Zuko) capiscano cosa voglia dire, sfruttando la tendenza dello zio Iroh a dire cose altisonanti ma incomprensibili.
Non ho ovviamente interpretato la coppia Suki/Katara in senso romantico, perché io sono una Canon convinta e non potrei mai, mai e poi mai scrivere di coppie Crack o Fanon. Quindi ho deciso di raccontare la loro amicizia agli inizi; ammiro molto Suki e vorrei senz’altro essere sua amica, se fossi in Katara.

C’è una bellissima fanfic, scritta da emletish e tradotta qui su EFP, dal titolo Stalking Zuko; è la prima e forse unica fanfic con coppie non Canon che io abbia mai apprezzato davvero, perché è esilarante e davvero ben costruita come trama. Mi sono ispirata a quella fanfic nell’ideare queste pagine di diario di Katara, anche se ho deciso di narrare un altro momento della storia (i giorni all’isola Ember) e di mantenermi comunque molto Canon. Leggetela perché è davvero bella!

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Capitolo 7
*** Ruoli [post The Search; Ursa/Ikem] ***


- OLTRE LA LEGGENDA –

Ruoli

post The Search



“Bambini, presto! La rappresentazione comincerà tra poco!”
Fu tutto uno scalpicciare per le scale. Ursa sorrise.
“Bene. Possiamo andare?”
“Non voglio venire se non viene anche nostro padre!”
“Azula, bambina mia,” cominciò con un sospiro. “Tuo padre è molto impegnato e non può farci compagnia. Ma la recita è davvero bella, sono sicura che ti piacerà.”
“Parla dei draghi!” esclamò con un gran sorriso Zuko. Agitò le manine in aria: “I draghi di fuoco! Swiiisssh!”
“Quanto sei stupido…” ribatté acida Azula, voltando la testa.
Sedata la battaglia, poco dopo sedevano al posto d’onore nel piccolo teatro dell’isola Ember. Ursa muoveva silenziosamente le labbra. “La sai a memoria, madre?” sussurrò Zuko. Lei gli sorrise. Zuko pensò che era la donna più bella del mondo, anche se era sempre così triste.
“Ho già visto quelle maschere da qualche parte” mormorò Azula.
“Questo perché tu vai sempre in giro dove non dovresti” la rimproverò la madre. “Ed ora silenzio, arriva la parte più bella.”
Nonostante fossi intrappolato nel corpo di un mortale, mi hai volentieri dato il tuo cuore.
Non posso fare a meno di donarti il mio in cambio.

Ursa cercò la mano del figlio, la tenne stretta.
Solo quando la tua gloria era nascosta in falsa forma, hai potuto finalmente riconoscere la mia devozione.
I due attori sul palco avvicinarono i loro volti. Protette dalle maschere dell’Imperatore e dell’Imperatrice dei draghi, le loro labbra si unirono in un bacio.
Azula imitò un conato di vomito e si mise a ridacchiare. Zuko arrossì e si voltò a guardare la madre: Ursa piangeva, in silenzio, e la mano stretta alla sua tremava.



***
Scritta per il LimitaPrompt con il prompt Avatar - La leggenda di Aang, Ursa/Ikem, Ricordi e la limitazione 3) Una storia composta da un numero di parole con cifre in crescita o decrescita. Ovviamente è ambientata dopo The Search, il secondo fumetto narra di come Zuko andò veramente in cerca di sua madre Ursa. Le due parti recitate sono una mia libera traduzione appunto da quest’opera (che vi consiglio davvero di leggere).


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Capitolo 8
*** Recitare insieme [post libro terzo; la Gaang] ***


- OLTRE LA LEGGENDA –


RECITARE INSIEME

post libro terzo



“Per quale motivo Zuko dovrebbe apprezzare una recita in cui lui passa per un pazzo sanguinario per la metà del tempo?” chiese Toph. Incrociò le braccia al petto.
“Perché è una bellissima idea!” esclamò Aang dalla sua palla d’aria rotante. Gli occhi gli brillavano come due specchi. “Racconteremo come sia cambiato, maturato e divenuto non pazzo!”
“Ma che schifo” ribatté invece Toph, e fece la smorfia di una che ha un conato di vomito.
“Beh” cominciò Katara con tono pacato, “anche io non ero molto convinta, inizialmente. Ma Sokka ha avuto delle belle idee, devo ammetterlo.”
“Ovvio che le ho avute, sono nato per il teatro, io.”
Toph sbuffò.
“Non sono forse il più grande attore che le quattro nazioni abbiano mai conosciuto? Non ho, forse, sempre avuto le idee più brillanti, le intuizioni più geniali, le battute più vivaci di tutti?”
Suki si mise a ridere. “Come no, mio portento!” e gli stampò un bacio su una guancia. Sokka sorrise come un cucciolo di gattopipistrello grattato dietro le orecchie.
“Questa recita mostrerà a tutta la Nazione del Fuoco che si può vivere insieme in pace” spiegò ancora Aang, acceso dal fuoco sacro dell’amore universale.
“E per quale motivo devo fare io lo zio Iroh? Okay, sarò pure cieca, ma tra una dolce fanciulla, quale io sono, e quel panzone ci passa qualche differenza.”
“Perché, nel primo atto, il personaggio di Toph non compare mai, quindi ci servi per questo altro ruolo. Chi altri potrebbe farlo?”
Sconfitta, Toph sbuffò ancora. “Ma non accetterò mai una barba fatta di peli di Appa, sappiatelo.”
Katara sorrise: “Vedrai, Zuko apprezzerà questo regalo di compleanno. Sono secoli che non ne riceve uno decente.”
Questo sembrò convincerla.
“Cominciamo” disse Sokka. Presero posto secondo il copione.
Oh, tu sei dunque, ragazzo dell’icerberg, tu sei davvero colui che il nostro mondo salverà?” recitò Katara, le braccia al cielo, gli occhi rovesciati all’indietro e la voce vibrante per l’emozione.
“Questa recita è ancora peggio di quell’altra” borbottò Toph tra sé e sé, con le carte tra le mani.
“E io, come pensate che dovrei leggere questo copione?” urlò.



***
Scritta principalmente per l’iniziativa GranSorpresa Challenge su maridichallenge con il prompt “[AVATAR: THE LAST AIRBENDER] Dopo che tutto è finito, i personaggi cercano di organizzare uno spettacolo sulle loro avventure migliore di quello che hanno visto. Solo Toph è contraria”.
Spero di aver realizzato, con queste trecento e poco più parole, ciò che la persona che ha promptato desiderava!

Inoltre, sempre perché mi piace complicarmi la vita e cross-postare le mie schifezzuole in mille posti diversi, per il LimitaPrompt su piscinadiprompt questa volta ho scelto:

- Prompt: Avatar, Aang&Katara&Sokka&Toph, Vivere insieme è un'arte. (Thích Nhất Hạnh).
Come sempre l’ho interpretato un po’ a modo mio: il teatro è sicuramente un’arte che può unire molto le persone, e in questa storia viene inoltre utilizzato per mostrare al mondo come vivere tutti insieme in pace. Il solito mio viaggio mentale, insomma! - Limitazione: 10) Una storia in cui ci sia almeno una figura retorica ogni cinquanta parole.
Io ho sempre amato le figure retoriche! Ecco quelle che ho inserito in questa storia, in ordine di apparizione:
Similitudine
Litote
Catafora
Amplificazione
Dilogia
Ripetizione (epanalessi)
Similitudine
Antifrasi
Iperbole
Ripetizione (anafora)
Costruzione latineggiante
Metonimia (la materia per l’oggetto).
Sono un po’ di più di quelle minime richieste, ma ci ho preso gusto. A voi trovarle, se vi va :3

Lasciatemi un commentino su questa schifezzuola, sia che vi sia piaciuta sia che vi abbia fatto storcere il naso. Credo che scriverò una seconda parte sui nostri eroi che si accingono a mettere su una recita per il compleanno del povero Zuko, ho già una piccola idea che mi frulla in testa. See ya!

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Capitolo 9
*** Recitare insieme [post libro terzo; Sokka/Suki] ***


- OLTRE LA LEGGENDA –


RECITARE INSIEME / 2

post libro terzo



Sokka non ebbe neanche il tempo di rendersene conto: un secondo solo dopo aver fatto la proposta, la cinquina di Suki già si era stampata sulla sua guancia con un sonoro paf!
“Ehi!” protestò andando a coprire immediatamente la guancia offesa. “Ma che ti salta in mente?”
Suki, senza aggiungere una parola, gli calò il copione arrotolato sulla testa e Sokka ululò.
“Cosa sta succedendo, qui?” esclamò Katara attirata dalle urla di dolore.
“Oh, non dirmi che non lo sai” ribatté Suki. Incrociò le braccia al petto e la fissò con occhi fiammeggianti.
Katara deglutì. “Sokka ti ha rivelato le nostre idee sull’ultima scena del primo atto?” tentò, la voce piccola per il timore, gli occhi puntati a terra.
“È fortunato che io non abbia i miei ventagli con me, altrimenti l’avrei fatto a pezzi.”
Si avvicinarono anche Aang e Toph: lui cauto, a passi leggeri, lei con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
“Che fortuna dover interpretare un grande mostro blu” ridacchiò.
“Ho provato a spiegarglielo” piagnucolò Sokka. “Ma non ne vuole sapere.”
“Assolutamente no” ripeté allora lei. “La faccenda è conclusa.” Fece pochi passi in direzione della porta, ma ci ripensò e si voltò: “E tu,” disse apostrofando Sokka con un dito, “farai meglio a cercarti un’altra stanza, per stanotte.”
“Ahi ahi” ridacchiò ancora Toph.
“Sei crudele” le disse Katara in un bisbiglio.


Ci aveva messo una pietra sopra.
Aveva cercato di far pace con quell’aspetto di Sokka: l’amore puro e incondizionato che i suoi occhi esprimevano ogni qual volta uscisse fuori il nome di Yue. Poteva accettare quel che lei era stata per lui perché si era ormai sublimato in un sentimento celeste, perché Yue e Sokka avevano passato insieme pochi giorni e sicuramente non paragonabili a ciò che lei e Sokka condividevano da molto più tempo, e perché l’amava davvero, su questo non aveva dubbi.
“Ti prego, fammi entrare” disse la voce di lui da dietro la porta.
Poteva accettarlo, ma non poteva di certo accettare quel che lui le aveva chiesto quel pomeriggio. Non c’era nessun dubbio, su questo.
Si alzò e andò ad aprire. Sokka era in piedi, tra le mani un mazzo di fiori dietro il quale nascondeva la faccia.
Tipregoperdonaminontelochiederòmaipiùtipregononlasciarmi.”
“Non mi piacciono i fiori” rispose lei.
Lui abbassò il mazzo e fece capolino con un’espressione mortificata. “Mia sorella ha detto che tutte le donne amano i fiori.”
“Io non sono come tutte le donne.”
“Lo so.”
Lo fissò ancora per un attimo, poi si fece da parte per farlo passare.
“Per questo credevo avresti capito. Tu sei diversa…”
“Tanto da accettare una cosa del genere? Allora no, non lo sono. Sono una donna normalissima!” e per sottolineare l’affermazione, gli tolse i fiori dalle mani e si diresse verso il tavolo, su cui troneggiava un enorme vaso.
“Come hai potuto pensare che non mi pesasse interpretare Yue nella recita? Proprio io, fare la sua parte, insieme a te?”
Per il nervosismo, parte dei fiori caddero sulla tavola mentre cercava di infilare i gambi nell’apertura del vaso. Lui si avvicinò e li raccolse, e Suki lo lasciò fare.
“Ho pensato che ti avrebbe dato più fastidio se fosse stata qualcun'altra. Per la scena del bacio, capisci.”
“Sokka,” sospirò. Si voltò a guardarlo e anche lui alzò gli occhi. Si fronteggiarono per un momento. “Sono una donna particolare, è vero, e può sembrare che io sia molto noncurante su tanti aspetti che molte altre giudicherebbero fondamentali, compresa tua sorella. E non sono gelosa di Yue in senso stretto. Ma non puoi chiedermi di recitare una scena in cui ti bacio facendo finta di essere lei. È troppo, capisci?”
Lui deglutì e annuì. “Non pensavo avresti accettato facilmente, davvero. Però credevo fosse il male minore, e volevo farti sapere che avrei preferito te a qualsiasi altra attrice, proprio perché mi conosci così bene e sai cosa significa Yue per me.”
“Ti conosco bene” ammise lei, “ma non posso essere anche la tua migliore amica. Sono qualcosa di diverso, non trovi? È una questione che non voglio sottovalutare.”
Sokka l’abbracciò di slancio. “Ti prego, non lasciarmi per questo. Ne morirei.”
Suki si ritrovò a soffocare contro il suo petto – era cresciuto un po’, di recente. Stringeva ancora in mano uno dei fiori e i petali le stavano solleticando una guancia.
Frappose le sue mani tra loro due e lo allontanò: “Non voglio lasciarti per questo. Voglio solo che tu capisca. Se mai un giorno sognerai di baciare di nuovo Yue, puoi raccontarlo a Toph, o a Aang, o a chi ti pare, ma non a me.”
Sokka, impossibilitato a stringerla ancora, cominciò a giocherellare con il gambo tra le mani.
“Ho capito” disse infine, a viso basso.
“O mi costringerai a raccontarti di quando sogno di baciare Dai.”
“Chi è Dai?” esclamò allora lui, con gli occhi spalancati e le sopracciglia aggrottate.
Suki rise piano. “Un tizio che ho baciato tempo fa.”
“E quando lo avresti fatto? Prima o dopo avermi conosciuto?”
“Umh…” mormorò lei mettendo un dito sul mento e alzando gli occhi al soffitto. “Non ricordo bene… forse…”
“Non voglio saperlo!” la interruppe lui. Per farla tacere le stampò un bacio sulle labbra, e non appena capì che lei non si tirava indietro, la strinse nuovamente contro di sé e cercò la sua bocca per stringerla tra i denti. Suki schiuse la sua e accolse volentieri la lingua.
“Non puoi baciare altri che me e sognare altro che i miei baci, chiaro?” sussurrò lui sulle sue labbra. Lei annuì e cercò un altro bacio. Aveva capito.
“L’unico problema resta la recita” disse Sokka, staccandosi all’improvviso. “Se troveremo un’altra attrice, sono sicuro che ti arrabbierai comunque.”
Suki lo squadrò da capo a piedi, mentre lui ancora stringeva il fiore tra le mani. Questo le diede l’idea.


“Sokka è un uomo perso” commentò Toph. “Completamente perso. Ha barattato la sua dignità in cambio di…”
“Sokka è un ragazzo romantico” la interruppe Katara con la sua voce da maestrina. “Un ragazzo innamorato che sa accettare i compromessi di una bella storia d’amore.”
“Sarà…” concesse l’altra. “Ehi, Sokka!” urlò alzandosi in piedi tra i sedili degli spalti da dove seguivano le prove. “Mi spiace di non poterti vedere, ma sono sicura che quel bel vestito ricamato ti stia benissimo!”
Sokka, con tanto di parrucca candida e rossetto fiammeggiante, arrossì; di fronte a lui Suki, vestita come un vero guerriero della tribù del Sud, sfoggiò, assieme all’immancabile boomerang, un sorrisetto vittorioso.


***

Scritta per il LimitaPrompt su piscinadiprompt con:

- Limitazione: 3) Una storia che sia il seguito di un’altra storia postata per questa iniziativa, rispettandone trama e stile.
- Prompt: Avatar, Sokka/Suki, Reazioni ostili
Ed ovviamente è il seguito della storia che trovate immediatamente prima di questa in questa stessa raccolta. Facile, no?

Adoro questi due, potrei scrivere su di loro all’infinito. Suki è il mio modello di vita e pagherei per avere un Sokka accanto a me, così divertente, pasticcione ed appassionato. Mi mancava scrivere su loro, e spero che questa storia vi sia piaciuta.
Fatemelo sapere tramite recensione, commento, LJ, FB, corvo viaggiatore o segnali di fumo. See ya!

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