Girl and Wolf

di Fre95xD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** New School ***
Capitolo 3: *** A New Friendship ***
Capitolo 4: *** The Wolf ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Quella notte la luna era alta nel cielo nero, senza stelle. Quella notte i rumori erano attutiti dal forte e irrefrenabile scrosciare della piaggia; i tuoni rimbombavano nell’oscurità di quella landa desolata e i fulmini sconvolgevano il cielo, illuminando le poche casupole al limitare della Foresta Proibita a nel cui interno  la lotta si svolgeva in segreto. Il sangue usciva copiosamente dalle ferite di un corpo stanco ma ancora capace di non arrendersi e  combattere. La paura di morire s’insinuò nella mente della creatura che iniziò a scappare, allontanandosi dal suo assassino; ma l’amore non le permise di gettare la spugna. Si voltò  e lo vide avvicinarsi velocemente, nonostante  le ferite. Un balzo, bastò un balzo, per ritrovarsi faccia a faccia. Gli occhi, azzurri e gialli, si fissarono per attimi eterni; quando all’improvviso il giallo atterrò l’azzurro che cadde sul terreno fradicio e coperto di foglie. Il dolore fu acuto, nel momento in cui i denti, sporchi del suo sangue, le trafissero la gola con una potenza inaudita.
Quella notte il rumore dei  tuoni, dei fulmini e della pioggia fu lacerato  dall’ululato di una creatura tra le mani della morte.


Salve a tutti, questa è la mia prima ff, volevo scriverla da tempo, ma siccome i miei voti in italiano fanno pena non ho mai avuto il coraggio… Questo è il prologo spero che vi piaccia, e che vi incuriosisca almeno un po’ xD Recensite se vi va sennò leggete e basta solo fatemi sapere se continuarla o lasciare perdere. Grazie a tutti. Vostra Fre <3

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Capitolo 2
*** New School ***


Un raggio di sole, sfuggì alle persiane della finestra e iniziò a riscaldare un corpo minuto, ancora arrotolato tra le lenzuola candide di un enorme letto, posto in una stanza dalle pareti nere. All’improvviso un rumore fece sobbalzare quel corpo dalla pelle ambrata e subito dopo uno sbuffo uscì da due labbra rosse e carnose. La ragazza si crogiolò ancora nel  suo caldo nido, ma la sveglia ruppe per la seconda volta il silenzio di quel luogo. –Cazzo!- urlò, appena si accorse dell’orario che quell’aggeggio infernale segnava. Non poteva fare tardi il primo giorno nella sua nuova scuola! Si alzò di scatto buttando all’aria le lenzuola e si diresse a passo spedito verso il bagno. Si fece una doccia veloce, si sistemò sulle spalle i suoi capelli corvini e si mise un leggero filo di matita, per contornare i suoi occhi neri e profondi. Uscì con addosso solo un completo intimo nero e indossò un paio di, altrettanto neri e attillati, pantaloni. Si mise una semplice t-shirt bianca e indossò le sue converse grigio scuro. Alzò le persiane per far entrare aria e luce e si avvicinò alla porta della sua camera, prese il suo zaino e scese le scale alla velocità della luce. Si diresse in cucina, ovviamente i suoi genitori non c’erano, a dire il vero, per lei, non c’è stato mai nessuno. Guardò l’ora, 7.50, -Mierda!- esclamò. Non si concesse di gustare neanche la sua dose extra large del suo caffè, prese una felpa e uscì di corsa da quella casa. Si diresse alla sua BMW grigio metallizzato, un piccolo regalo che i genitori si sono ricordati di farle per i suoi 17 anni, salì a bordo e partì. La giornata era calda per essere ad inizio settembre, il sole le piaceva anche se non si sarebbe mai detto, a causa del suo comportamento chiuso e scorbutico, ma le piaceva essere baciata da quei raggi così belli e rassicuranti. Arrivò davanti all’entrata della scuola, il liceo William McKinley, notò l’ora sul suo orologio da polso, le 8.00. –Ora che sono in ritardo, tanto vale prendermela comoda- disse. Entrò e osservò i soliti corridoi, armadietti verdi, scuola banale e comune come le altre. L’unica cosa positiva è che a quell’ora tutto era silenzioso, gli studenti erano tutti nelle loro aule. Vagò un po’ per i corridoi alla ricerca della segreteria e dopo una buona mezz’ora la trovò. Aprì la porta e incrociò il suo sguardo con quello di una donna alta, magra, con occhi azzurri e biondi capelli corti.

 –Ciao novellina, primo giorno e già in ritardo? Ti dovrei punire, ma oggi sono di buon umore, quindi dimmi quello che devi dirmi e poi vattene a riscaldare il banco.- le disse la segretaria che la guardava minacciosamente.

La ragazza si trattenne, e non le rispose per le rime, perché cacciarsi subito nei guai il  primo giorno? Quindi semplicemente si presentò.-Salve, sono Santana Lopez, 17 anni e vengo da New York, volevo prendere il mio orario e riuscire a riscaldare il banco prima dell’inizio della seconda ora.- La donna la osservò intensamente e affermò- Mi piaci, piacere mio sono Sue Sylvester, e dirigo questo schifo di segreteria e la squadra delle cheerleader. Ecco questo è il tuo orario, la tua chiave dell’armadietto e questa- le porse un foglio- è la tua iscrizione alle cheerios.- Santana la guardò con aria di sufficenza, prese i fogli e la chiave e si voltò senza degnarla di una sua risposta. La donna, dopo che la ragazza uscì le urlò- Mi piaci sempre di più, sarai un ottimo acquisto!- Santana fece finta di non sentirla e si diresse svogliatamente alla lezione di chimica. Camminò ancora un po,’ seguendo le indicazioni sulla mappa che le era appena stata consegnata. Mentre osservava il disegno, lo sguardo le cadde sull’iscrizione per quel corso dopo scuola. Lei, Santana Lopez, cheerio, mmmh… forse non sarebbe stata una brutta idea; ci sarebbero state molte ragazze, con gonnelline striminzite che svolazzavano al più piccolo spostamento d’aria. Per una come lei, trovarsi la puttanella che l’avrebbe soddisfatta, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Si era promessa di non combinare guai quest’anno, ma è una cosa impossibile per lei. Lesse che i provini per entrare a far parte della squadra si tenevano alle 14.00. Questa volta si sarebbe presentata puntuale, aveva un’ obbiettivo. Mentre pensava a questa perversa idea, si trovò proprio davanti all’aula di chimica in perfetto orario. Dall’interno sentì dei rimproveri e risatine sommesse dei ragazzi, appoggiò la mano sulla maniglia, prese un bel respiro ed entrò.

 

Grazie per le recensioni :) continuerò a scrivere questa storia spero vi divertiate a leggerla. Vostra Fre <3

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Capitolo 3
*** A New Friendship ***


Appena mise piede dentro all’aula, la classe ammutolì. Tutti i presenti si voltarono verso la porta, con sguardi curiosi e affascinati. Santana era abituata a quegli sguardi, data la sua incredibile bellezza latina. Tutti i ragazzi che aveva avuto gli dicevano sempre che una persona non poteva essere umanamente bella come lei; e Lei, lo sapeva. Fin dalle medie è sempre stata desiderata da tutti, ragazzi e ragazze; ma all’inizio delle superiori iniziò a capire che i ragazzi la stavano annoiando così decise di farsi lesbica per provare nuove esperienze, che a quanto pare, le sono piaciute molto.

All’improvviso un ragazzo alto, con la pelle abbronzata, occhi marroni ed una strana cresta sulla testa, le si avvicinò,  ignorando i richiami di una professoressa piccolina, con capelli rossi e occhi da cerbiatta.- Ciao!- le disse il ragazzone, offrendole la mano -piacere bellezza io sono Noah Puckerman, ma tu puoi chiamarmi semplicemente Puck o Puckzilla, o come ti pare, basta che mi chiami.- Detto questo si avvicinò ad un ragazzo con dei grandi occhiali, seduto su una sedia a rotelle, gli prese la penna che stringeva tra le dita, strappò un pezzo di carta dal quaderno dello sfortunato, che intanto lo guardava malissimo, e scrisse il proprio numero. Porse il foglietto a Santana, che con riluttanza, lo prese e lo buttò direttamente nel cestino vicino alla cattedra. A quel gesto, nella classe, si alzò un brusio stupito e scioccato, anche la professoressa, la guardava con fare sconvolto, mentre il ragazzo sulla sedia a rotelle la ringraziava con un sorriso appena accennato. Puck guardò la ragazza che spostò lo sguardo dal disabile su di lui.-Spero che stai scherzando ragazzina, non vedi cosa ti potresti perdere?- sbottò incazzato il ragazzo, indicandosi gli ampi pettorali -tutte le ragazze in questo schifo di posto si ammazzerebbero pur di stringermi la mano! E tu… Che fai? Rifiuti il mio numero?!- L’ispanica continuò a fissarlo, come se stesse guardando una mosca spiaccicata a terra, non gli rispose e lo superò, sussurrando vicinissima al suo orecchio- Io non sono come le altre ragazze, sono molto meglio di tutte quelle che ti sei fatto; e ti assicuro che non riuscirai mai ad infilare le tue manacce nelle mie mutandine.- Puck rimase paralizzato, ancora con la mano a mezz’aria. Subito dopo si riscosse e con una faccia di uno a cui è appena morto il gatto e si diresse verso il suo posto. Si sedette affianco al suo compagno di banco, un ragazzo un po’ più alto di lui, con occhi e capelli marroni e una faccia un po’ da scemo, che per consolarlo gli diede delle piccole pacche sulla spalla.

Nel frattempo l’ispanica s’avvicinò alla cattedra guardando attentamente la professoressa e la targhetta posta sopra il banco con il suo nome. –Allora… Signorina Philsburry, che dice mi presenta alla classe o devo farlo io?- Subito la donna si risvegliò, come se fosse caduta in trance, fissò la ragazza e disse:- Ragazzi, questa è Santana Lopez, è di origine spagnola, ha 17 anni e viene dalla Grande Mela. Cercate di fare amicizia con lei e farla sentire a proprio agio.- Poi chiese:- Santana, vuoi aggiungere altro?- La latina negò e domandò alla sua nuova prof dove potesse sedersi. La donna le indicò un posto in ultima fila vicino ad una ragazza bassissima, con un naso enorme, occhi grandi e vestiti che facevano veramente pena. Sembrava si fosse vestita al buio.  Santana non fece in tempo ad appoggiare il suo fantastico fondoschiena sulla sedia, che subito la piccoletta le parlò.- Ciao! Io sono Rachel Barbra Berry, sono figlia di due papà gay, Leroy e Hiram, sono ebrea e il mio mito è Barbra  Streisand; beh questo lo avrai sicuramente capito dal mio nome. Il mio sogno è diventare una grandissima stella di Brodway e sono sicura che ci riuscirò; infatti faccio già parte di un club fantastico si chiama Glee Cl… -BASTA!- urlò Santana a bassa voce per non farsi sentire dalla prof – ma che hai al posto della bocca? Una radio? Quanto parli, Nasona! Non me ne frega niente dei tuoi sogni e blah blah blah… Stai zitta!- .

Rachel la fissò con uno sguardo molto arrabbiato, si girò verso la finestra facendo la finta offesa e si mise a guardare le nuvole nel cielo chiaro. C’era abituata ad essere trattata così, per questo aveva pochi amici, sapeva di essere logorroica ma in fondo non era così male… aveva solamente un ego spropositato, manie di protagonismo, diceva la prima cosa che le passava per la testa, non aveva peli sulla lingua, non stava mai zitta, era una pettegola di prima categoria… bah piccoli difetti che una stella nascente come lei deve assolutamente avere. Così decise di ignorare per un po’ quella bellissima ragazza e seguire la noiosissima lezione di chimica.

Santana era allibita, nessuno le aveva mai parlato cosi tanto e a lungo, pensò che le orecchie stessero sanguinando. Madre de Dios! Quella ragazza aveva la bocca più grande del suo mega naso! Però doveva ammettere che in fondo non le era dispiaciuto quel monologo, sicuramente non potrebbe mai farci l’abitudine; lei era una Lopez, e i Lopez dovevano essere senza pietà. Ma ora, che con lo sguardo seguiva il profilo di quella tappetta dagli occhi marroni, iniziava a capire che forse avere un’amica vera per una volta nella sua vita, senza secondi fini, sarebbe stato fantastico. La osservò ancora un po’… Grandi labbra tirate in un sorriso che indicava una finta offesa e occhi che tentavano di seguire una lezione impossibile. Santana Lopez decise di aprirsi un po’ a quella ragazza, le ispirava fiducia e il suo istinto non si sbagliava mai. Forse con il tempo le avrebbe svelato anche tutti i suoi problemi e crisi interiori che le attanagliavano la mente in qualsiasi momento. Così allungò una mano e le sfiorò la spalla esile, Rachel si girò stupita e Santana disse:- Scusa per prima, colpa dello stress di questa schifosa scuola e di questo orribile posto… Ohio, stavo decisamente meglio a New York… Che dicevi a proposito del Glee Club? Cos’è?-

Rachel si girò verso di lei e sentendo quelle parole, le sue labbra si aprirono in un sorriso a 32 denti. Nessuno si era mai scusato con lei, era sempre stata presa di mira dai bulli e trattata malissimo. Capì che Santana era una persona affidabile e dolce, che si nascondeva dietro una maschera da stronza. Non capì come riuscì a smuovere un po’ quella corazza, ma una star inizia sempre con piccoli passi. Questa amicizia sarà molto forte e tenterò di farla durare per sempre.-Non ti preoccupare, lo so che sono logorroica a volte,- disse Rachel sorridendole- e so anche che questa scuola fa schifo. Infatti mi devi assolutamente spiegare come diavolo hai fatto a lasciare New York per rintanarti in questo paese!- DRIIIIN…! La campanella indicò la fine della lezione.-Finalmente!- esclamarono Rachel e Santana unisono. Si guardarono e scoppiarono a ridere come due bambine,-Te lo dirò mentre mi porti a fare un giro di questa scuola labirintica, stamattina ho impiegato mezz’ora per trovare la segreteria! Ah… e mi devi anche spiegare cos’è il Glee Club… il nome m’incuriosisce.- disse Santana.

Rachel annuì vigorosamente e si avvicinò per abbracciarla, ma Santana si scostò,- niente smancerie Hobbit, prima devi cambiarti quei vestiti con le renne, mica siamo all’asilo!- le disse la latina. Sicuramente le sarebbe piaciuto ricevere un abbraccio, ma ne aveva ricevuti così pochi che ormai non voleva essere toccata da nessuno.

 Rachel si fermò ancora con le braccia aperte, senza perdere il sorriso e borbottando qualcosa come- prima o poi ti stritolerò in un  mio abbraccio spaccaossa, contaci mia bella latina.- E insieme si diressero verso la famosa aula del Glee.

Per la prima volta Santana capì cosa voleva dire avere un’amica vera.

 

Ecco qui il nuovo capitolo nel prossimo, in teoria, arriveranno Brit e Quinn. Se vi piace la storia fatemelo sapere. Grazie a tutti. Vostra Fre <3

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Capitolo 4
*** The Wolf ***


L’aria fresca di settembre mi pizzicò il naso infreddolito, puntato verso il cielo alla ricerca di quella particolare scia di profumo che da due giorni non voleva lasciare in pace le mie narici. La prima volta che la percepii faticai a mantenere il controllo del mio corpo che, come guidato da qualche sconosciuto istinto, iniziò quasi subito a mutare. Fortunatamente riuscii a dominare quell’onda di potere che mi travolse, quel fuoco che bruciava ogni nervo e distruggeva la ragione in pochi attimi. Controllavo la creatura in me da poco tempo, quindi ancora non riuscivo a eliminare del tutto i miei istinti primordiali. Per questo motivo io e il mio branco ci eravamo trasferiti in un posto poco abitato e non molto conosciuto. Il nostro passato era popolato da cadaveri su cadaveri, eravamo, siamo e saremo per sempre assassini; e questo posto, Ohio, così il nostro Alfa lo chiamava, sembrava essere creato apposta per noi. Gli abitanti erano pochi e durante la notte le strade isolate erano l’ideale per sgranchirsi le zampe in lunghe e mozzafiato gare di corsa con i miei fratelli . Diversamente dagli altri clan presenti nel mondo, noi cercavamo di controllare la nostra sete di sangue e carne umana, anche se molti cedevano. Sentire il sangue caldo bagnare la gola e la carne morbida tra i denti affilati era così eccitante e appagante che difficilmente si riusciva a farne a meno. Ma in questo luogo, il richiamo della fame non era l’unico pericolo.
Trascorrevo la mia vita nelle foreste, da quando ero un cucciolo. Sono stata protetta da qualunque pericolo per molti anni, i miei genitori mi hanno insegnato a non uccidere gli umani, anche se quell’istinto era sempre in agguato. Fin da piccola io e mia sorella, Lucy, giocavamo lontane dal mondo civilizzato, non conoscevamo il significato di paura perché non l’avevamo mai provata; ma prima della paura conobbi una sensazione ancora più forte e incontrollabile: Rabbia.
La provai, quella vera, un’unica volta in tutta la mia vita. E quella volta io spezzai delle vite, ma, ancora oggi, non me ne pento. La tragedia successe dieci anni fa. Avevo sette anni ed insieme a mio padre stavo cacciando un esemplare di cervo, era bellissimo, enorme, quindi molto appetibile. Avevamo appena lasciato mamma e Lucy, insieme al branco. In quel periodo vivevamo nella calda Spagna, e le giornate passavano serenamente. Alla mattina mi svegliavo tra le zampe di mia madre con il muso della mia sorellina appoggiato sullo stomaco e nostro padre che ci osservava con amore. Durante il giorno facevamo delle nuotate in un piccolo torrente in mezzo alla foresta e ci divertivamo in compagnia dei piccoli delle altre famiglie.  Alla sera tutto il branco si riuniva per ululare alla luna. Essa era colei che ci aveva creato; noi eravamo i figli della Luna.
Le nostre origini erano molto antiche. Le leggende raccontavano che la Luna si sentiva trascurata dal Sole perché veniva venerato da molti uomini, mentre lei era considerata un brutto presagio, soprattutto quando era piena ed alta nel cielo. Proprio una di quelle notti, un piccolo indigeno, si perse nella fitta foresta. Si racconta che fu bandito dal villaggio a causa dei suoi istinti e della sua rabbia, che lo portò ad uccidere tutta la sua famiglia. La Luna, lo osservava dall’alto del cielo, nascosta dietro una nuvola oscura. Sentiva le sue urla d’aiuto, le preghiere che, l’indigeno,  rivolgeva al dio Sole e chiedeva perdono per aver ascoltato i suoi istinti di rabbia e malvagità. La Luna si sentì ferita, nonostante fosse notte l’indigeno pregava il sole, così gli lanciò una maledizione: sarai costretto a vivere cibandoti del sangue e della carne che hai tolto alla tua famiglia, non riuscirai mai più a controllare i tuoi istinti primordiali, il desiderio di uccidere ti consumerà. Diventerai una belva, senza pietà e senza ragione; loderai per sempre la Luna mostrandole la tua vera forma. Il corpo dell’indigeno mutò in quella notte. Le ossa iniziarono ad allungarsi e a cambiare forma, le unghie diventarono artigli e i capelli coprirono tutto il corpo trasformandosi in una morbida e lucente pelliccia. Il viso scomparve, e si trasformò in un muso. La bocca divenne enorme  e i denti affilati come uncini. Così i Figli della Luna vennero al mondo, di notte lupi e di giorno umani. L’indigeno grazie al suo fiuto tornò al villaggio e lo rase al suolo. La sua forze era enorme, la sua velocità triplicata e tutti i suoi sensi erano amplificati. Con il passare dei secoli i lupi mannari impararono a controllare i loro istinti e la loro mutazione. Molti non tornavano più alla forma umana, altri cercavano di non mutare; ma inutilmente. Il richiamo della Luna e della carne era troppo forte.
Per tutta la notte il mio branco raccontava queste storie. Io sapevo tornare ancora alla forma umana, anche se preferivo di gran lunga essere lupo.
Le giornate di caccia  mi piacevano un sacco; a turni portavamo il cibo ai nostri simili e quel giorno toccava alla mia famiglia. Mio padre mi portò con sé per la prima volta, dicendomi che ormai ero grande e quindi dovevo imparare a cacciare. All’inizio ci accontentavamo di conigli, tassi, scoiattoli, animali di piccola taglia; ma presto il desiderio di sangue aumentò e passammo alle prede più grandi. Ero affianco a mio padre, con il suo manto nero e lucente, quegl’occhi gialli, profondi ma pieni d’amore. Aveva le orecchie tese nel tentativo di captare la corsa del cervo. Io avevo sempre ammirato mio padre, era un licantropo degno di questo nome, non aveva mai ucciso esseri umani nonostante la sua forza straordinaria. Trattava tutti con rispetto e non si fermava davanti a nulla. Era severo, ma giusto. All’improvviso si girò verso di me e mi fece segno di accucciarmi e fare silenzio. Mi nascosi dietro un cespuglio e con il naso basso lo osservai mentre entrava in azione.
Spinse con le zampe posteriori,tutti i suoi muscoli si tesero e con un balzo raggiunse la creatura che ignara di tutto si stava abbeverando da un piccolo ruscello. Mio padre gli atterrò sopra e con una zampata molto forte lo buttò a terra. Il cervo fissò i suoi occhi marroni in quelli affamati del lupo nero che senza indugi aprì le fauci e addentò il morbido collo dell’animale spegnendo così la sua vita. Dentro di me sentivo crescere la fame, e il desiderio mi mangiare, a quella visione, mio padre lo percepì. Trascinò il corpo inerme del povero animale, vicino a me, che con occhi lucidi di ammirazione, fissavo. Appena fu abbastanza vicino addentai la carne e li sentì il mio stomaco ringraziarmi. Erano giorni che non mangiavo molto, perché gli animali erano sempre di piccola taglia e quello non era un vero e proprio pasto. Peccato che mi dovetti fermare, dopotutto il cibo non era solo per noi due ma anche per la nostra famiglia. Così, dopo aver assopito la mia sete per un po’, aiutai mio padre a riportare il cervo al nostro rifugio. Il ritorno fu più veloce dell’andata, io avevo in bocca le zampe, mentre mio padre teneva il resto del cervo tra le fauci. Camminavamo l’uno di fianco all’altra,  lui mi guardava con uno sguardo di sufficienza, dall’alto al basso.
Mi aveva sempre guardata così… ho sempre saputo di essere considerata la pecora nera della famiglia; il motivo era semplice; ero considerata stupida, perché avevo un’idea del mondo diversa da quella che avevano gli altri. Io non riuscivo a vedere il lato cattivo ne nei lupi ne negli umani, molte cose non le capivo, o forse le capivo ma in maniera diversa; e questo mio difetto non era mai stato perdonato da mio padre. Per lui essere ignoranti era il peccato più grande, i lupi dovevano essere creature intelligenti e a maggior ragione i licantropi. Preferiva infatti Lucy che era sempre attenta e sveglia, al contrario di me, impacciata e con i riflessi lenti. L’unica cosa che avevo era forza bruta e velocità. In forma umana ero forte come mio padre e quindi in forma di lupo nessuno mi poteva fermare. Questo era l’unico lato che mio padre amava di me. Io lo sapevo, l’avevo capito, ma lui comunque tentava di amarmi come amava Lucy. Perciò nonostante tutto volevo bene a mio padre. Per fortuna, mia sorella mi stava sempre vicino e nonostante fosse più piccola di me mi proteggeva e mi insegnava un sacco di cose. Anche mamma, cercava di capirmi e sostenermi ma con molte difficoltà.
Ero immersa ancora nei miei pensieri, quando un ringhio mi bloccò di colpo. Alzai lo sguardo verso quello di mio padre, e mi accorsi che il verso proveniva da  lui. Era arrabbiato e spaventato. Gli occhi gialli erano puntati sulla nostra caverna, la nostra casa, erano sbarrati e sconvolti, mi voltai verso la sua direzione e vidi la scena più orribile di tutta la mia vita. Una frase mi disse mio padre, prima di ululare come non aveva mai fatto, -Brittany, lascia il cervo a terra, fai silenzio e seguimi Dobbiamo spargere molto sangue-.
 

Rieccomi, scusate dell’assenza, ma queste vacanze sono state un po’ movimentate…  zii, parenti, cene, regali *.* ecc.. Insomma questo è il capitolo, punto di vista della nostra Brittany, cosa avranno mai visto lei e suo padre?
Lasciate qualche recensione, esprimete quello che pensate sulla storia Jringrazio chi segue, ricorda, mette tra i preferiti ecc.. Vi faccio gli auguri di Natale e Capodanno in ritardo :* Ora con l’inizio della scuola, non so quando aggiornerò ma cercherò di fare il prima possibile se la storia piace ad almeno un po’ di gente. Vi ringrazio ancora. Vostra Fre <3

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