Diamante

di Denisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***





DIAMANTE
 
 
1 .VIAGGIO

 



Era un splendida giornata di sole..
Le mamme accompagnavano i loro bambini ai parchi per giocare, anziani signori seduti sulle panchine  giocare a carte, domino o scacchi  e altri che ammiravano i nipotini giocare e nella loro mente ricordi di quando erano giovani..
Tutto questo spettacolo si professava davanti agli occhi impassibili di Giordana. Sembrava come se tutto ciò che vedeva o sentiva non facesse parte della sua vita. Era assente.
L’unica cosa che sembrava le interessarle era il suo lavoro e l’immanente viaggio per Monterrey.
Lavorava nell’azienda di famiglia, la quale era nel campo della moda.
La Fashion Group era un’azienda molto florida che si occupava prevalentemente di abiti di la sartoria e lusso.
Nell’anno trascorso era divenuta persino la presidente dell’azienda surclassando il fratello e la sorella maggiore.
Nessuno era rimasto sorpreso nel sapere che sarebbe stata proprio Giordana a sostituire il padre, per tutti quanti lei era nata per lavorare in quel azienda, e nel primo anno della sua presidenza aveva sorprendentemente meravigliato tutti del suo lavoro e dei miglioramenti venuti nell’impresa.
 
Era tutto pronto per la su partenza.
La sua cameriera privata aveva già preparato la sua valigia.
“E’ tutto pronto signorina Giordana” aveva affermato Letizia quando lei era entrata nella sua immensa camera da letto.
Si era fermata un istante davanti allo specchio a vedere la sua figura.
Era tanto cambiata, pensò, in quel anno?
Che cosa le era accaduto?
Ah sì, si disse era stata ferita come nessuna donna al mondo meritava di essere ferita.
Il suo cuore era divenuto un  pezzo di giaccio secondo Letizia.
Non era la ragazza dolce e affettuosa che lei aveva conosciuto e ammirato per tanti anni.
Era divenuta una donna come tutte quelle donne dell’alta società, che a parere di Letizia erano vuote dentro e fuori.
Le era stato dato anche un nomignolo “Gelida”.
Sì, era adatto a lei si disse, perché era diventata proprio gelida come il giaccio, anzi come il diamante che portava al collo…
“Perché continui a chiamarmi signorina, Letizia?”
“Perché lei è la padrona di questa casa e quindi è mio dovere chiamarla in questo modo.” Rispose la giovane.
“Non mi hai mai dato del “lei” Letizia, e non vedo motivo perché devi incominciare ora. Sei una mia amica.”
 A queste parole le vennero le lacrime agli occhi.
“Mi sembra che non sia più così. Tu sei così diversa, sei diventata un’altra.”
“Secondo te come sono diventata?” sapeva benissimo che cosa intendeva l’amica.
“Prima tu eri piena di vita Giordana, amavi tutto ciò che ti circondava ora malapena ti interressi delle persone a te care.” Era una accusa forte quella dell’amica, ma sapeva che doveva accettare le sue parole, perché erano vere.
“Io direi che sono solo cresciuta, Letizia. Anzi oserei dire svegliata da un sogno che ha durato troppo a lungo.” Cercò di difendersi.
“No. Non è così tu sei quella che sei ora perché tu stessa lo hai voluto. Ti sei creata una corazza intorno a te che nessuna persona è stata in grado di scalfirla in questo anno, e purtroppo anche io ormai mi sono arresa.” Le sue parole divenivano attimo dopo attimo più dure.
Ma aveva troppo sofferto per riuscire a dare fiducia nuovamente a qualcuno.
“Giordana, io so perfettamente quanto tu hai sofferto ma non puoi continuare così. Tu non vivi più.”
Tu non vivi più.
Queste parole lo avevano fatto più male di quanto lei stessa volesse far vedere.
“Non sono in grado di essere di nuovo quella ragazza che tu hai conosciuto Leti, devi accettare che ormai io sono questa, ma la nostra amicizia è una delle poche cose a cui ancora credo e per questo che non ti voglio sentire più chiamarmi a quel modo.” Era una scusa e un rimprovero allo stesso tempo pensò Leti, ma era da Giordana fare così,è per questo che le voleva bene.
Ci fu un lungo abbraccio tra le due giovani, a suggellare la ritrovata amicizia antica.
 
Giordana salutò tutti quanti con affetto prima di recarsi all’aeroporto dove avrebbe preso l’aereo per il Messico.
Aveva instaurato una nuova collaborazione lavorativa con un’azienda Messicana che produceva stoffe di alta qualità, a cui le sarebbero servite per la sua nuova collezione che voleva mettere sul mercato con il suo nome.
Era un nuovo progetto a cui aveva tanto lavorato ed ora era sul punto di realizzarla.
Né era entusiasta e fiera.
 
Il viaggio si rivelò sereno e tranquillo.
Ad attenderla all’aeroporto vi era un’autista che l’avrebbe accompagnata al hotel.
Si era appena accomodata sulla vettura quando l’autista la mise i moto e partirono.
Poco distante vi era stato un incidente, e si trovarono bloccati per un po’, quando l’autista fece una nuova manovra.
A questa manovra Giordana chiese che cos tesse facendo.
L’autista le rispose che conosceva abbastanza bene queste stradine e sapeva come uscirne senza attendere che la strada principale fosse sblocca.
Alle parole dell’uomo Giordana si rilassò.
Aveva proprio bisogno di un buon bagno e un po’ di riposo prima di incontrare i suoi nuovi amici Messicani, e la strada bloccata era solo grattacapo per lei, quindi decise di fidarsi del suo autista.
Erano riusciti a passare per due stradine quando sentì un urto.
Non capiva che cosa fosse.
Aveva gli occhi chiusi, non voleva aprirli, aveva timore, ma disse che lei non era codarda così piano  aprì gli occhi e capì cosa era accaduto.
Scese dall’auto con fatica.
Nessuno aveva visto e sentito quello che era accaduto.
Il suo autista era immobile al posto di guida come l’altro conducente, così decise che sarebbe stata lei stessa ad andare a chiederle aiuto.
Iniziò a correre così tanto che pensò che avrebbe potuto vincere la maratona di New York.
Correva e correva senza fermarsi e senza sapere dove andare.
Aveva appena sboccato una stradina quando sentì un dolore lancinante al fianco destro.
Era caduta per terra riuscì a pensare.
Ma cosa stava accadendo?
Era stata trafitta da un toro come in una corrida o semplicemente la sua maratona terminava qui?
Non sapeva cosa stesse succedendo, ma di una cosa era sicura non riusciva più ad aprire gli occhi, e per la prima volta dopo quel interminabile anno davanti ai suoi occhi comparve la figura di Franco.
Franco..

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2. The awakening of the diamond 
 
Un donna pose sul comodino un vaso, dove vi depose dei fiori, affinché quella stanza prendesse un po’ di colore e calore.
Proprio in quel istante qualcuno entrò nella stanza insignificante dell’ospedale.
“Non dà ancora nessun segno?” La dona fece no col la testa.
Erano passati ormai una settimana dal fatidico incidente e quella bellissima donna non dava ancora alcun segno di vita.
I dottori continuavano a dire che sotto il profilo clinico stava migliorando e non notavano alcun danno, ma per esserne sicuri dovevano sempre aspettare il suo risveglio.
Era un vero mistero quella donna.
Non sapevano la sua identità, purtroppo la donna non aveva avuto documenti di riconoscimento quando era stata trovata, e sinora nessuno aveva denunciato la sua scomparsa.
Alis si sedette accanto a lei e le prese la mano tra le sue.
Era venuto a visitarla ogni giorno assieme a Zoraide dal giorno in cui l’avevano ricoverata all’ospedale.
Aveva persino pagato i migliori medici affinché la visitassero e le fossero date le migliori cure ospedaliere possibili.
Si sentiva in colpa per il stato in cui quella giovane vita si trovava.
La sua mano strinse quella sua, una stretta quasi impercettibile, ma Ali se ne accorse ugualmente.
Si stava risvegliando.
Nell’istante in cui i medici fecero capolino nella stanza lei aprì gli occhi.
Erano come un cielo pieno di stelle i suoi occhi.
Era questo la prima e l’unica immagine che aveva intravisto nei suoi occhi.
I dottori fecero i dovuti controlli, ma la giovane non rispondeva a nessuna delle loro risposte.
Continuava solo a fissare lui, Alis.
Cosa mai c’era di strano in lui si era domandato nell’intimo.
Perché quella donna la guardava a quel modo.
Era come se penetrasse con quei occhi neri tutte le sue difese meticolosamente erette per tutti.
Che cosa stava accadendo.
C hi era lei.
Uno dei dottori richiese la sua attenzione.
“Che cosa c’è dottore.”
“Non sono ancora sicuro della prognosi definitiva, prima bisogna accertarsene tramite delle analisi accurate, ma pensa che lei aver ricevuto un trauma, direi alla testa.”
“Di che genere di trauma si tratta, dottore?”
“Potrebbe aver perso la memoria, ad esempio o le corde vocali, ci sono innumerevoli traumi c he possiamo considerare, ma non ci fasciamo la testa prima di avercela rotta, quindi attendiamo l’esito dei esami che le faremo fare.”  Con questa spiegazione il dottore lasciò Alis lì attonito nei suoi pensieri.
I medici si allontanarono tutti.
Nella stanza erano rimasti ormai solo tre persone.
Lui, la sua fidata Zoraide, e lei. La donna tanto misteriosa.
Per qualche minuto nessuno emise un suono.
Fu Zoraide a spezzare quel imbarazzante silenzio.
“Spero che ti piacciano le rose.” Quelle parole erano riservate a quella donna.
E per la prima volta da quando aveva aperto gli occhi, fece intendere a loro che lei capiva cosa loro dicevano.
Quando Zoraide aveva nominato i fiori, aveva girato la testa nella direzione del vaso dove vi erano stati deposte un mazzo di rose rosse.
“Dove mi trovo?” erano le sue prime parole.
Come un bimbo che ha appena emesso il primo suono.
Era così strano.
Il suo accento era così diverso da una donna Messicana, e Alis se ne accorse subito.
Anche se aveva sempre vissuto lì, sapeva con esattezza che persino il suo accento veniva ancora notato dai abitanti di quella terra.
Era come un marchio.
“Si trova in un ospedale di Monterrey, signorina.” Iniziò a spiegarli Alis la dinamica di come era finita lì.
“Hai avuto un incidente con la machina e tu sei rimasta incosciente per alcuni giorni.”
Non aveva battuto ciglio a ciò che lui le stava dicendo.
Fece una seconda domanda, sempre rivolta ad Alis.
“Voi chi siete?”
“Io mi chiamo Alis, e sono l’uomo che la soccorsa e portata qui. Ad essere sincero è stato il mio autista ad averti investita. Purtroppo non ti ha visto quando sei sbucata da un vincolo correndo.” Suonavano come delle scuse.
“Lei invece è Zoraide, la mia domestica nonché la mia amica e confidente di fiducia.”
“Come può essere possibile che una domestica posa essere anche una sua amica e confidente?”
Era una domanda tutta inaspettata per entrambi.
Di tutto il racconto era l’unica cosa che le era interessata?
Nessuno prima di allora aveva mai posto una domanda del genere ad Alis e Zoraide.
Che cosa riusciva a vedere quella donna pi degli altri?
Alis decise di non risponderle.
Chi era lei per spiegarle il rapporto che univa lui e Zoraide?
Era semplicemente una sconosciuta.
Le porse invece una domanda a sua volta. “Come ti chiami, piccola?”
Piccola?
Perché era stato così tenero con lei?
Quasi paterno? Inspiegabile.
“Il mio nome?” Aveva nuovamente risposto con l’ennesima domanda.
“Potreste dirmelo voi?” Un’altra domanda, ma questa volta era riferita solo ad Alis.
Rimase nuovamente sorpreso.
Fu Zoraide a risponderle questa volta. “Come potremmo saperlo noi mia cara? Perché non c’è lo dici tu stessa il tu nome?”
“Mi piacerebbe darvi e darmi una risposta, ma… io non lo so.” Aveva esitato un istante.
Zoraide ed Alis si guardarono nei occhi confusi ma con la certezza che quella ragazza era impaurita.
Aveva rimosso ogni suo ricordo persino il suo nome.
Come avrebbe potuto aiutarla se non sapeva neppure come si chiamasse.
Era davvero un grattacapo pensò Alis.
Ma di una cosa era sicuro.
Se quella donna tanto bella quanto misteriosa era entrato nella sua vita come un fulmine a cielo sereno per un motivo, ed era intenzionato a scoprirne il perché.
 
Erano passati diversi giorni dal suo risveglio, e lei ancora non riusciva a capire chi fosse e cosa ci facesse lì.
Perché aveva avuto quel incidente?
Si ricordava che quel signore che tanto buono le sembrava le avesse detto che stava correndo quando è avvenuto l’impatto.
Ma perché correva?
Cosa stava facendo?
Dove stava andando?
Quante domande affioravano nella sua testa, ma nessuna risposta.
Qual era il suo nome?
Poteva non esistere?
No, si disse era impossibile.
Da qualche parte lei esisteva ma dove?
“Non torturarti figliola.” Era il signor Alis.
“Ti prometto che ti aiuterò a trovare tutte le risposte che necessiti.” Era una promessa.
“Dobbiamo darti un nome però cara.”
“Un nome?”
Era tanto confusa.
“Non avevi nulla con te. Solo…”
La sua curiosità riaffiorò.
“Solo cosa?”
“Solo questo ciondolo.”
Le porse il ciondolo nelle sue mani.
Lei lo accarezzo.
“È un diamante.” Spiegò Alis.
Diamante” esclamò Alis.
“Come?”
“Si cara, Diamnte. Ti chiameremo Diamante.”
Lei fece un sorriso.
Le piaceva questo nome.
Diamante  

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