The Unforgiven

di Jo_The Ripper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The unforgiven ***
Capitolo 2: *** New York ***
Capitolo 3: *** Joe's cafè ***
Capitolo 4: *** La tela del destino ***
Capitolo 5: *** Meeting Gil ***
Capitolo 6: *** Debiti da ripagare ***
Capitolo 7: *** Lontananze della memoria ***
Capitolo 8: *** Scacchi ***
Capitolo 9: *** Ground Zero ***
Capitolo 10: *** La Stark Tower ***
Capitolo 11: *** Lei è mia ***
Capitolo 12: *** Hallo spaceboy ***
Capitolo 13: *** Processo di eliminazione ***
Capitolo 14: *** L'Orlando Furyoso ***
Capitolo 15: *** In your room ***
Capitolo 16: *** Innocenti bugie ***
Capitolo 17: *** Lo strano caso del dottor Banner, il signor Hulk, e gli agenti dello S.H.I.E.L.D. ***
Capitolo 18: *** Rettile ***
Capitolo 19: *** Il re del niente ***
Capitolo 20: *** Il traditore ***
Capitolo 21: *** Behind blue eyes ***
Capitolo 22: *** Iron Man ***
Capitolo 23: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 24: *** Losing my religion ***
Capitolo 25: *** Il nostro tempo sta finendo ***
Capitolo 26: *** Il solstizio d'estate ***
Capitolo 27: *** L'uomo che voleva essere re ***
Capitolo 28: *** Perdono ***



Capitolo 1
*** The unforgiven ***


Dedicato a coloro che hanno fiducia in me

 

What I've felt
What I've known
Never shined through in what I've shown
Never free
Never me
So I dub thee “Unforgiven”
 
[Quello che ho provato/ Quello che ho conosciuto/ Non è mai brillato in quello che ho mostrato/ Mai stato libero/ Mai stato me stesso/ Quindi ti ho definito l'imperdonato]

 
Si dice che quando stai per morire la vita ti scorra veloce davanti agli occhi. Ed è davvero strano, perché a me non accade niente del genere. Nessun flash di eventi passati, nessuna immagine sovrapposta, nessun ricordo che si palesa prepotente…nulla. Ma in fin dei conti non ha importanza, sto per morire, non avrebbe senso ricordare la prima parola che ho detto, la prima magia che sono riuscito ad eseguire, o la prima volta che ho impugnato una spada. Avrebbe più senso ricordare gli eventi che mi hanno portato qui, al benedetto giorno della mia esecuzione, ma non credo di avere abbastanza forza per ripercorrerli. Forse qualcuno lo farà per me. O forse no.
L’unica cosa che voglio è vedere i suoi occhi, quegli occhi azzurro-grigi che non mi hanno mai giudicato, che hanno saputo vedere l’uomo dietro mille maschere. La leggera brezza mi scompiglia i capelli, li vedo sollevarsi ma non posso scostarli dal viso. Le mani legate strette dietro la schiena me l’impediscono. Le sento intorpidite e fredde, i saldi nodi hanno bloccato la circolazione sanguigna. Cerco di muoverle per far riprendere il flusso, ma ci ripenso. Ad un morto non servono le mani.
Voltandomi ad osservare il sole, noto che ha quasi toccato l’orizzonte con i suoi bagliori aranciati. Quando scomparirà dietro le montagne, il mio sangue macchierà la terra.
La piazza è gremita, il popolo è accorso al richiamo dell’esecuzione di un traditore. Perché per loro è quello che sono: un rinnegato, subdolo, falso doppiogiochista senza possibilità di redenzione.
Qui, in piedi sul patibolo, posso leggere i loro sguardi. Nonostante il mio destino sia scritto, hanno ancora paura di me. Questo pensiero mi fa sorridere, ero davvero riuscito a crearmi una terrificante reputazione. La cosa dovrebbe farmi piacere, ma in realtà non sento niente.
Voglio solo che tutto finisca al più presto.
Di fronte a me, sullo scanno più alto, siede la mia famiglia.
Mia madre piange sommessamente, la vedo stringere il fazzoletto, tamponandosi poi qualche lacrima che si fa strada sul suo viso, mentre le altre scivolano come piccoli cristalli, raccogliendosi nel suo grembo. Mio padre mi fissa inflessibile con il suo sguardo d’acciaio, la sua è una maschera di imperturbabilità, una corazza che non si scalfisce. Non deve mostrare alcuna emozione, lui è il grande re ed io l’ingannatore, ed anche se figlio suo, merito questa punizione. So che starà soffrendo, ed un tempo mi sarei beato di questa sofferenza, ma ora non mi interessa.
E poi lì, accanto a mia madre, mio fratello. Il mio odiato ed affezionato fratello. Il mio disprezzato amico, la mia amata nemesi. Il mio ostacolo da superare, colui con il quale mi sono sempre misurato, sperando solo di arrivare ad essergli più vicino; la verità è che volevo essere come lui, avere ciò che lui aveva: l’affetto dei nostri genitori, la devozione del popolo, l’amore di una donna. Cinge le spalle di nostra madre, diventa la sua ancora di salvezza. Mi guarda tristemente mentre io abbozzo un sorriso. Sicuramente si sentirà frustrato, non è abituato a restare impotente di fronte a qualcuno che potrebbe salvare, ma non è il mio caso.
Io non sono qui per essere salvato.
Sono qui perché ormai non ho più niente da perdere.
Sono qui per fare ammenda per le mie colpe e debolezze, per i miei peccati.
Il boia mi spinge sulle assi di legno costringendomi ad inginocchiarmi. Cado, ma non mostro alcun segno di cedimento. Resto comunque un principe ereditario, e l’orgoglio fa sempre parte del bagaglio di cose che ti insegnano da piccolo.
Il sole è ormai tramontato del tutto.
Il mio carnefice mi afferra per la testa e mi spinge in avanti, facendomi urtare contro il blocco di pietra che tra poco si tingerà di rosso.
Ispiro profondamente l’aria della notte che sta per sopraggiungere, gettando un ultimo sguardo alla città intorno a me, la mia patria. Strano come la bellezza di certi luoghi ti colpisca proprio nel momento della fine.
Il boia solleva l’ascia, riesco a scorgere l’affilata lama scintillante. La brandisce sopra il mio capo, ed aspetto inerme che cali. Non posso fare altro che abbassare meccanicamente le palpebre.
Si dice che quando stai per morire la vita ti scorra veloce davanti agli occhi.
Non è vero.
Quando stai per morire, l’unica cosa che vedi è il buio di una vita che non vale più la pena di essere vissuta.
Smetti di ribellarti al destino infausto, smetti di sperare in un miracolo. E ti lasci andare.
 

Throughout his life the same
He's battled constantly
This fight he cannot win
You labeled me
I'll label you
So I dub thee “Unforgiven”
Metallica – The unforgiven
 
[Per tutta la sua vita sempre lo stesso / Ha costantemente combattuto/ Questa battaglia che non può vincere/ Mi hai etichettato/ E io ti etichetterò/ Così ti ho definito l’imperdonato]

 

***
Ciao a tutti! 
Sono una new entry della sezione, piacere di conoscervi!
Dunque vi dirò, il film non l'ho ancora visto al cinema (non picchiatemi, ci vado la settimana prossima, promesso!!!), questi sono gli eventi che ipotizzo possano accadere come eventuale sequel. Il protagonista principale della storia sarà Loki, visto che ho scoperto avere una passione per l'ambiguo mago asgardiano :D
Inoltre saranno presenti anche altri riferimenti alla mitologia norrena, che personalmente amo tantissimo <3
Un altro piccolo avviso, il continuo di questa fanfiction dipende esclusivamente da voi lettori. Sembrerà il solito ragionamento banale, ma è così, poichè ero molto incerta anche sul pubblicare questo singolo capitolo. Se non dovesse andare lo lascerò come one shot, però ci tengo che sappiate che la storia ha già preso vita nella mia mente :D Purtroppo credo non sarò puntualissima con gli aggiornamenti, dato che sto portando avanti anche un'altra fanfiction nella sezione Labyrinth, e quindi quella ha l'assoluta precedenza. Ma mi porterò avanti con i capitoli, così da non farne mai mancare :D Per quanto riguarda il raiting, comincerò con l'arancione, ma non escludo la possibilità che si passi al rosso, in tal caso vi avviserò :D
Bene, mi sembra di non dover aggiungere altro, se non un divertitevi, ed un enorme grazie a coloro che leggeranno e commenteranno!!!
Baci!!!

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Capitolo 2
*** New York ***


Don't be so forlorn, 
it's just the payoff

It’s the rain before the storm
David Bowie – Battle for Britain
 
[Non essere così disperato/ è solo la resa dei conti/ è la pioggia prima della tempesta]

 
Un anno prima…
 
Tuoni, lampi, fulmini, il mio amato fratello deve essere veramente arrabbiato.
Credo si siano accorti della mia fuga…Ops, mi dispiace davvero tanto!
L’angolo della bocca si tira in un sorriso maligno. Mi staranno sicuramente cercando ovunque, quei maledetti vendicatori.
Credevano di avermi battuto, di avermi rinchiuso, di aver limitato il mio potere. Speravano inconsciamente che me ne stessi buono buono a leccarmi le ferite, che meditassi sulle azioni che avevo commesso, che mi pentissi.
 
Quali nobili sentimenti! Non ho davvero tempo per queste sciocchezze. Sono un mostro conclamato, perché dovrei fuggire dalla mia vera natura? Per quale motivo dovrei cambiare?
La pioggia comincia a scendere fitta bagnando i marciapiedi di New York.
Le persone corrono, si rifugiano nelle loro auto, cercano un taxi, trovano riparo sotto ai portoni. Qualche coraggioso apre un giornale per proteggersi, altri previdenti hanno invece un piccolo ombrello nelle loro borse.
 
Umani, li adoro! Una massa brulicante in attesa di essere dominata, facili da ingannare, si vendono per poco, disperati al punto giusto, pronti alla guerra in un attimo. Si chiudono a chiave nelle loro belle casine fatte di pareti di cartone e porte di legno, convinti che dentro quelle quattro mura siano al sicuro. Ma in realtà il male striscia per le loro strade, li spintona alla fermata dell’autobus, li attende predatore nel vicolo di casa, in agguato, e paziente aspetta di fare la sua mossa. Oppure si lascia andare ad un raptus di follia improvvisa. Quelli sono i peggiori, così disorganizzati!
 
E poi i cari amici umani sono convinti che il male sarà sempre sconfitto, senza sapere che il loro mondo ne è già dominato. Vogliono davvero illudersi, coccolarsi in una bolla fatta di bei pensieri, arcobaleni, e supereroi in calzamaglia dai poteri straordinari. La cosa che non sanno è che non ci saranno i super a proteggerli sempre dagli orrendi mostri come me.
Le strade di New York poi sono le più pericolose: stupratori, borseggiatori, drogati, ladri, ubriachi al volante, gangs e tagliagole, sono pronti a farti fare ciao ciao al mondo in un battito di ciglia.
 
Un barbone seduto a terra mi afferra la gamba, implorando per una moneta.
 
“Carità, carità per un povero diavolo” supplica. Spera di intenerirmi, pessima mossa. Quegli occhioni da cucciolo bastonato su di me non hanno effetto.
“Cosa ti fa pensare che se avessi qualcosa, te la darei?” rispondo sprezzante. Una donna con l’ombrellino aperto mi guarda con disprezzo.
“Lei è davvero senza cuore, come fa a non provare pietà per un uomo nelle sue condizioni?” mi dice mentre estrae un dollaro e glielo porge, sorridendo solidale al disgraziato.
“Come se il dollaro che gli ha dato potesse cambiargli la vita” le do le spalle e proseguo il cammino, lasciandola senza parole, basita. Tra poco si accorgerà che fare la carità non sempre paga. Un uomo grosso e nerboruto mi urta.
“Fa’ attenzione a dove cammini, idiota!”
 
Newyorkesi, ho già detto quanto li amo? Lo fisso intensamente, il mio sguardo sembra davvero disturbarlo. Certo, ci ho messo tutta la freddezza di cui sono capace, condito anche con un sorriso da psicopatico. Penso che se mi facessero una foto adesso, somiglierei a quell’attore…ah sì, Jack Nicholson in Shining.
 
Ecco i soggetti perfetti, la mia vendetta contro quei due maleducati sta per compiersi: una gang ispanica, intenta ad ascoltare musica a tutto volume nella loro auto. Sicuramente sono degli spacciatori, ed hanno bisogno di una piccola spintarella per movimentare la serata. Mormoro un incantesimo, vedo uno di loro uscire dalla macchina, è ipnotizzato come uno zombie. Corre dritto verso l’obiettivo, afferra la donna, colpendola violentemente all’addome. Lei urla di dolore, cadendo al suolo, sento i colpi ritmici che quel ragazzo le sta dando sulla cassa toracica. Non riesco a trattenere un sorriso. Se lo meritava. Altre persone accorrono, la liberano dalla morsa del ragazzo, chiamano l’ambulanza e la polizia. Sicuramente penseranno ad un tentativo di rapina. Quanto all’uomo, mi ha dato dell’idiota, sento che la punizione arriverà presto sottoforma di autobus dai freni rotti. Si creerà un po’ di disordine, ma che male c’è? Mi limito a mantenere l’entropia nell’Universo. Reco un servizio pubblico, niente di più.
 
Mi piace camminare per le strade di New York, sotto la pioggia. La gente non ti guarda, ti ignora completamente. Potrei stramazzare al suolo, e forse troverei qualcuno disposto a chiamare per me il 911. Sono abbigliato con vestiti che per i loro standard sarebbero sicuramente strambi, e nemmeno se ne accorgono.
Scommetto che pensano sia soltanto un altro di quei poveri reietti della società, un aborto vomitato da un malfamato vicolo del Bronx, che non vale la pena di essere guardato.
E credono ancora di essere al sicuro, senza sapere che il caos vaga libero proprio in mezzo a loro.
 
***
Rieccomi qui!
Come prima cosa ci tenevo a ringraziarvi del sostegno e dell'appoggio, sono davvero contentissima!!! Quindi grazie, grazie, grazie! Oggi ho pensato di proporre un giretto nei pensieri del nostro amato mago asgardiano, mentre nel prossimo capitolo cominceremo ad entrare nel "vivo" della storia :D Io intanto continuo a scrivere, ormai mi sono gasata, e questa storia nata per caso mi sta appassionando sempre di più.
Bene, allora vi lascio alla lettura, spero come sempre che vi divertiate, e vi auguro un buon primo maggio!

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Capitolo 3
*** Joe's cafè ***


I'm cold as ice, 
Get out of my way, 
Step aside 
Or pay the price 

What I want I take 
What I don't I break 
And I don't want you 
With a flick of my knife 
I can change your life 
There's nothing you can do 

'Cause I'm a problem child 

AC/DC – Problem child

 
[Sono freddo come il ghiaccio/ esci dalla mia strada/ fatti da parte/ o paga il prezzo/ Quello che voglio lo prendo/ quello che non voglio lo rompo/ e non voglio te/ con un colpo del mio coltello/ posso cambiare la tua vita/ non c’è niente che tu possa fare/ perché sono un ragazzo difficile]

Per vendicami di quei due ho usato troppa magia, e mi sento debole. Dannazione! Scosto una ciocca di capelli che mi si è incollata al viso, ho bisogno di un posto dove passare la notte. Rendermi invisibile mi ridurrebbe all’ombra di me stesso, mi toccherà condividere il vicolo con quale vagabondo, ma con questa pioggia non mi sembra la migliore opzione. Tornare ad Asgard è escluso, Heimdallr mi starà già cercando, devo camuffarmi per celarmi ai suoi potenti occhi. Avrei davvero bisogno di bere alla fonte dello Yggdrasill per rifocillarmi del tutto, ma sono bloccato qui. Almeno per adesso.
Passo davanti ad una vetrina, guardo la mia immagine riflessa. Indosso ancora i miei sigilli, ma il colorito cereo parla da solo. Non avevo mai notato quanto fossero grandi i miei occhi, risaltano con i loro bagliori verdi sul viso pallido e stanco.
La vetrina è quella di una tavola calda.
 
“Joe’s cafè, che nome originale” sbuffo facendo spallucce. Dovrei avere abbastanza magia per creare qualche spicciolo. La porta si apre facendo tintinnare una campanella. Mi scrollo l’acqua dalle spalle, togliendo il lungo soprabito, che adagio sulla poltroncina in pelle rossa dove mi siedo. Calore, una piacevole sensazione. Do' un sguardo all’ambiente, niente di speciale: una rustica tavola calda a gestione familiare, oserei dire. Una decina di avventori seduti tra tavoli e bancone, alcuni intenti in una fitta e vivace conversazione, mentre guardano un servizio trasmesso alla televisione.
Il rumore di pale di elicottero, e sirene della polizia, lascia intendere che qualcosa sia successo.
 
“Ah, questi super, se ne vanno in giro deturpando la nostra città! Hai idea di quante bandiere abbia bruciato la Torcia Umana, e di quante ragnatele lasci attaccate sui vetri dei palazzi Spider man?” comincia a commentare un uomo anziano seduto davanti alla tv.
“Via Marv, contribuiscono a rendere la città più sicura, possiamo concedergliela una bandiera bruciata, e qualche ragnatela sul vetro di casa” ride l’altro divertito.
“Penso che tra poco potranno anche far andare in pensione tutti i poliziotti, di loro non ci sarà più bisogno” il suo tono burbero fa sorridere l’uomo che sistema le stoviglie dietro al bancone.
“Ci sarà sempre bisogno della polizia, Jeff. I super non hanno il dono dell’ubiquità, dell’onniscienza, e quant’altro”
“Qualcuno sì. Ho sentito dire di alcuni super in grado di generare cloni di se stessi, o di altri in grado di creare delle loro copie tramite illusioni”
“Non c’è limite al peggio, no no!”
“La verità Marv, è che da poliziotto in pensione ti manca il brivido dell’avventura!” l’uomo dietro al bancone scoppia in una fragorosa risata.
“Stai zitto, Joe!” lo rimbecca.
 
Sorrido, io sono uno di quelli, di quelli che riescono a creare cloni di se stessi. Questi discorsi umani mi divertono sempre, riesco a trovarli…educativi. Se non altro sanciscono definitivamente la loro ignoranza in materia.
 
“Non ci faccia caso, si comportano sempre così” una donna in grembiule mi sorride dolcemente. Per un attimo mi ricorda mia madre, quel sorriso speciale che aveva per me quando vivevo ancora ad Asgard. Ricaccio indietro quel pensiero sdolcinato.
“Mio Dio, ma lei è bagnato come un pulcino! Le porto qualcosa per asciugarsi, si prenderà un malanno!” preoccupata fugge via, lasciandomi lì.
“Perdoni mia moglie, spero che il suo interessamento non le crei disturbo” mi dice Joe.
Scuoto debolmente la testa, non ho una gran voglia di interagire con loro. La donna torna indietro porgendomi un telo, sempre con quel sorriso sulle labbra. Cos’è che devo fare? Ah sì, ringraziarla.
“Grazie…”mormoro prendendolo, ed asciugandomi il viso. Lo passo sui capelli, strizzandoli.
“Le porto una tazza di qualcosa di caldo, cosa preferisce, tè, caffè?”
“Faccia lei” cerco di non apparire scontroso, ma la mia natura ha il sopravvento. Non la guardo negli occhi quando presa l’ordinazione si dilegua dietro al bancone. Mi metto a fissare fuori dalla finestra il via vai di persone, mentre la pioggia continua a battere incessante.
 
“Prego, ecco a lei” la donna è tornata, ha tra le mani una tazza ricolma di quella brodaglia marroncina che chiamano caffè, ed un piatto con una fetta di torta alla frutta.
“Ha l’aria di chi non mangia da un po’…è uno di quei patiti del lavoro, vero?”
“Non immagina quanto” le rispondo con il mio migliore sorriso finto.
“Questo lo offre la casa” mi batte piano la mano magra sulla spalla, e va’ via.
 
Mi porto il liquido caldo alle labbra, ed il primo sorso equivale ad ambrosia. Taglio un pezzettino di torta, ed è come se fossi finito nel Valhalla. Devo essere veramente ridotto male se i cibi umani sortiscono questo effetto con me.
 
“Avanti Joe, alza il volume, voglio sentire!”
 
La tv trasmette una notizia
“…ed i passeggeri dell’autobus sono stati portati in salvo, sfuggiti alle fiamme che l’hanno travolto dopo lo scontro con un tir. Le vittime potevano essere numerose, se non fosse intervenuto Thor…”
 
Spalanco gli occhi, sento il sangue ribollirmi nelle vene. Il possente, grande Thor, che salva onesti cittadini dagli autobus in fiamme. Lo inquadrano mentre sorvola con il suo martello scarlatto i cieli di Manhattan. La rabbia mi invade come un potente acido corrosivo, sento il caffè risalirmi in gola. Stringo forte la tazza per avere una valvola di sfogo, vorrei alzarmi, e far esplodere quel dannato apparecchio. La tazza si rompe, il caffè cade sul tavolino, e sui miei pantaloni, macchiandoli.
Schegge di ceramica si conficcano nella mano, mente il sangue comincia a fuoriuscire dalla ferita.
 
“Oh mio Dio, che è successo, sta bene? Aspetti, le prendo un fazzoletto. Kat! Katherine!”
“Sì?”
La signora di prima era uscita dal retro, allarmata dal tono di voce del marito.
“Porta qualcosa per ripulire qui, una tazza si è rotta! E chiama Gil, facciamo dare un’occhiata alla mano del nostro ospite! Sono estremamente mortificato, non so come possa essere successo”
“Non fa niente…deve essere stata la pressione, e doveva esserci già qualche crepa sottile, allargatasi con il calore” biascico mentre con calma estraggo i frammenti dalla mano.
“Eccomi, santo cielo, che disastro! Può mandarci il conto della tintoria…” la donna comincia a ripulire il caffè, raccoglie i pezzi della tazza ridotta in frantumi.
“Gil! Gil!”
“Arrivo!”
 
Dal retro vedo uscire una ragazza sui 25 anni, dai capelli castano dorato, ricci, raccolti sul capo. Mi si avvicina, e mi afferra la mano, esaminandola.
“Stia fermo, le rimuovo la scheggia più grande. Dopo afferri questo asciugamano, e stringa forte. Probabilmente le farà male, ma cercherò di essere delicata.”
Fa scivolare le dita sottili afferrando il coccio, e comincia a tirare. Dalla ferita fuoriesce più sangue, ma lei prontamente prende il fazzoletto, e chiude la mano in un pugno.
“Continui a stringere, prendo del disinfettante.” Mi guarda come se mi dovesse un’altra spiegazione “La ferita non necessita di punti.”
Si alza e torna poco dopo con del disinfettante, ed un kit di primo soccorso.
Mi riapre la mano, il taglio sta cominciando a rimarginarsi, ma non dice niente. Vedo solo i suoi occhi azzurro – grigi saettare dalla ferita a me. Poi li riabbassa, e disinfetta, dopodiché fascia la ferita con la manualità di chi svolge queste operazioni frequentemente.
“Cambi la fasciatura una volta arrivato a casa, e ci versi della polvere cicatrizzante. Se dovesse avere problemi, o nota che il taglio comincia ad infettarsi, vada in ospedale” mi ordina. Abbozza un sorriso che le illumina i grandi occhi.
“Bene, adesso devo andare, lei è stato il mio primo paziente oggi, e prevedo che questa sarà una lunga notte. Joe, Kat, ci vediamo” recupera le sue cose, ed esce dalla tavola calda, alla volta di chissà dove.
“È un dottore, e come lei, vive di lavoro”
 
Umani, credono che ogni piccola cosa li autorizzi a raccontare vita, morte e miracoli di qualcuno. Sono accadute troppe cose per un solo pomeriggio, e direi che è ora di andar via da questo posto squallido. Senza degnare di uno sguardo i due proprietari, afferro il soprabito, ed esco di nuovo, esponendomi alle intemperie.
Quell’umana sa cosa sono. Devo trovarla, ma non ho tempo di setacciare gli ospedali di New York. L’unica cosa che mi resta da fare è provare a tornare qui, e scoprire se ha rivelato la mia presenza. Solo questa ci mancava, maledetto Thor! Ancora una volta devo vivere con il suo fiato sul collo.
Ma non esistono problemi senza soluzione, ed infatti la mia è alquanto semplice: qualora dovessi scoprire che ha parlato di me a qualcuno, la ucciderò.

***
Lode a voi, fanciulle! RIeccomi qui con il nuovo capitolo fresco di giornata. Non è granchè, infatti l'avrei dovuto curare meglio, ma è solo una piccola introduzione al nuovo personaggio, quindi siate buone :D
Detto questo mi eclisso, e vi lascio alla lettura! Un bacione grande, ed un enorme grazie a tutte voi che avete commentato, recensito, e che seguite i deliri mentali di una povera pazza!<3

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Capitolo 4
*** La tela del destino ***


I was born with the wrong​ sign in the wrong​ house
With the wrong
​ ascen​dancy
I took the wrong
​ road
That lead to
The wrong
​ tende​ncies
Depeche Mode – Wrong

 [Sono nato con il segno sbagliato nella casa sbagliata/ con l’ascendenza sbagliata/ ho preso la strada sbagliata/ che portava a tendenze sbagliate]

 
Il grande frassino sorregge i nove mondi, sprofondando sin nel regno degli inferi, mentre i suoi rami sostengono l'intera volta celeste. L’albero è attorniato da diversi animali, che lo proteggono, che ne traggono vita, o che lo minacciano. Sulla sommità stanno un’aquila ed un falco. Quattro cervi balzano tra i rami, mangiandone le foglie: Dáinn, Dvalinn, Duneyrr, Duraþrór. Le radici sono tormentate da diverse serpi, e tra questi vi è Níðhöggr, costantemente in conflitto con l’aquila che sta sul vertice dell'albero. Emissario tra i due animali è un velocissimo scoiattolo, di nome Ratatoskr.
Sulla cima dell’Albero della vita sta Víðópnir, gallo dorato il cui canto annuncerà il Ragnarök, la fine del mondo. Alla sua base vivono le tre Nornir(*), che attingono argilla bianca e acqua fresca con cui cospargono il tronco dell’Albero del cosmo, per impedire che si secchi e muoia. Le tre divinità che dimorano alle radici di Yggdrasill hanno il compito di tessere l’arazzo del destino. Con abile maestria intrecciano i sottili fili delle vite umane, compiendo il loro dovere.
 
“Il nato Jötunn sta ancora giocando con la tela di ragno”
“Urðr,sorella mia, tranquillizzati. Stiamo ancora tessendo il suo avvenire”
“Sembra così semplice per te, Verðandi.”
“Quel figlio di Odino è davvero tenace, devo riconoscerlo” sorrise l’ultima sorella.
“Skuld, non vorrai mica rivelargli il futuro?”
“Il futuro…certo che no! Ho guardato il suo, ed è proprio quello che mi aspettavo.”
“E allora cosa hai intenzione di fare?”chiese Urðr
“Vedrete. Stavolta il figlio di Odino imparerà una grande lezione, e compirà il suo destino”
“Però, furbo a comunicare tramite il ragno. Heimdallr non lo riuscirà a scoprire”
“A meno che tu non glielo dica, Verðandi.”
“Non è il mio compito, Skuld. E poi adesso sono curiosa di vedere cos’hai in mente”
Skuld sorrise. Lei aveva visto il futuro che attendeva il giovane principe di Asgard.
 

***

I capannoni abbandonati sono l’ideale per trovare rifugio sicuro, specie quando sono dismessi a causa dell’amianto. La polizia non viene a controllare, e qualche vagabondo si incontra, ma solitamente restano per una notte, e poi vanno via. Ho quasi ultimato la costruzione della ragnatela, ho bisogno di un portale di comunicazione. Legare insieme i fili mi è costato tre giorni di lavoro, se non mi fossi indebolito con la magia sarebbe stato molto più semplice.

A mali estremi, estremi rimedi. Ho dovuto costruire una ragnatela con la lenza. Altro che fili di seta! Se non altro l’aspetto complessivo è passabile, ed il materiale poi non ha tutta questa importanza. La forma quasi circolare è mantenuta, sviluppandosi poi a spirale verso il centro. Ma a me piace fare le cose con un certo stile, e trovo questo arrangiamento mediocre. Purtroppo però ho una certa urgenza, e richiamare il ragno(**) è di vitale importanza.
Tendo le mani dinanzi a me, concentrandomi. La formula mi riecheggia con le sue parole arcane nella mente. La tela comincia a risplendere dei colori dell’arcobaleno, ed il suo centro si illumina. Il ragno sta arrivando, il portale è aperto.
 
“Figlio di Odino, perché mi hai convocato?”
È arrivato, l’emissario delle tre Nornir. Il suo corpo è cangiante come una perla, le otto zampe sottili e scintillanti come l’argento. Mi fissa con i suoi quattro occhi d’onice lucenti, riflettenti la luce come quelli del più aggraziato felino.
“Ho bisogno di interrogare le dìsir”
“Sai benissimo che a nessuno è concesso conoscere il futuro”
“Ma io non voglio conoscere il futuro, voglio solo porre qualche domanda sul prossimo presente”
“Il che è la stessa cosa. Nato Jötunn, non riuscirai ad imbrogliarmi con i tuoi giochi di parole.” Fa scattare le potenti chele, come segno di avvertimento.
“Non è mia intenzione. Ho solo bisogno di risposte” mi inchino ossequioso.
“Allora poni le tue domande”
“Thor, immagina dove possa essere?”
“Il dio del tuono ti sta cercando”
 
Una buona notizia, non ha ancora nessuna pista. Un po’ di fortuna anche per me a quanto pare.
“Bene, è tutto”
La bestia mi fissa sorpreso “ Come mai sei così accondiscendente, lingua dolce?”
Gli sorrido amabile “Perché mi hai detto che non mi rivelerai nulla, e per questo non chiedo altro”
Posso leggergli negli occhi il sospetto, non è un novità, è un sentimento che accomuna tutti quelli che parlano con me.
“Davvero, non c’è altro” rispondo quieto “Puoi tornare allo Yggdrasill. Porta i miei saluti alle Nornir, ringraziale del loro tempo”
Per un attimo chiude gli occhi, come in trance, poi li riapre
“La padrona Skuld ha un messaggio per te: dice che stavolta sarai tu a crearti il tuo nemico”
Aggrotto la fronte, che significa?
“Potrebbe essere più specifica?” ho bisogno di sapere cosa si cela dietro queste parole.
“Significa che mentre crederai di star agendo per il tuo bene, starai invece spianando la strada verso la disgrazia”
“Continuo a non capire” stringo i pugni, serro la mascella nervoso.
“Capirai quando…”
“…quando?” ansioso cerco di spronarlo a parlare, ma la magia si sta esaurendo, ed il portale si sta richiudendo. “Non te ne andrai bestiaccia, non fino a che non avrai parlato” mi precipito alla tela, cercando di afferrare il ragno per trattenerlo. Ma ormai è cominciato a diventare evanescente, e le mie mani stringono aria.
“…incontrerai…due strade” è l’ultimo eco che giunge alle mie orecchie.
“Incontrare chi? Quali strade?” grido, ma non ottengo alcuna risposta, la tela è svanita.
 
Frustrato sollevo una delle casse sparse in questo capannone, e la scaravento contro il muro con tutta la forza  di cui sono capace. Mi sento avvilito, impotente, tremendamente arrabbiato. Scoprire che il mio destino è vincolato ad un incontro. Ma con chi?
Colpisco con un pugno la parete, un piccolo fosso e delle crepe si aprono. Non ho mai avuto una forza paragonabile a quella di mio fratello, ma ne ho abbastanza da sollevare qualche tonnellata, e crearmi un varco in una parete a pugni. Avevo chiamato per avere delle risposte, ed invece mi sono rimaste solo altre domande. E dire che il mio piano stava funzionando così bene! Skuld ha sempre avuto un debole per me, se non fosse stato per la mia debolezza avrei potuto mantenere il portale ancora aperto…basta, devo calmarmi, in questo stato iracondo non concluderò niente di buono.
Mi siedo su una delle casse, gambe incrociate, ho bisogno di riflettere.
Un incontro: per evitarlo potrei starmene chiuso qui, a meno che non si tratti di uno di quei barboni che mi hanno incrociato…no, è escluso, alcuni di loro erano troppo ubriachi per badare a me. Mi avranno preso per un’allucinazione. D’altra parte restare confinato in questo magazzino come un volgare ratto non è tra i miei piani.
So con certezza che Thor mi sta cercando, espormi vistosamente non è nemmeno consigliabile. L’incontro…un incontro che deciderà la mia sorte…con chi? Mi sfrego la mano, ed il mio sguardo ci cade. Era la mano che mi ero ferito con la tazza rotta.
“La ragazza, ma certo!” esclamo. Il collegamento deve essere lei, è l’unico umano che sa cosa io sia, e che potrebbe crearmi problemi.
Devo ritrovarla.

***

 
“Tuo fratello è scappato di nuovo”
“Non so come abbia fatto” Thor era mortificato.
“Avremmo dovuto tenerlo intrappolato in una delle nostre prigioni…”
“Calmati, Banner. Non siamo preparati a vedere una tua esplosione.”
“Stark, non provocarmi…”
“Smettetela entrambi! Dobbiamo cominciare le ricerche, non possiamo lasciare libera quella mina vagante” comandò Capitan America.
“Dove potrebbe essere andato?”
“Non ne ho idea, Heimdallr non riesce a trovarlo, ma non è una novità. Loki è stato sempre bravo ad eludere la sua sorveglianza”
“Ok, io stavolta me ne chiamo fuori. La responsabilità è tua, Thor”
“Banner smettila di dire sciocchezze, ci siamo tutti in questa storia” Tony era seccato, a volte quell’atteggiamento del dottore lo innervosiva.
“No, ha ragione. Sono io che l’ho riportato ad Asgard, e me lo sono fatto scappare”
“Allora vallo a cercare, e riportalo indietro. E stavolta saetta, se non lo ucciderai tu, lo farò io” Nick Fury fissò con sguardo deciso il biondo ed annuì.
 
Lasciò la compagnia mentre il mantello vermiglio gli svolazzava intorno.
“Perché Loki, perché…stupido fratello mio” mormorò sconsolato mentre si accingeva a partire alla sua ricerca.
 
Note
(*) Le Norne nella mitologia norrena sono tre dìsir chiamate Urðr, che presiede il passato, Verðandi il presente, e Skuld, il futuro. Vivono alle radici dell’Albero del cosmo, dove hanno il compito di intrecciare il fili del destino. La vita di ogni persona è una corda nel loro telaio, e la lunghezza della corda è la lunghezza della vita dell'individuo.
(**) Mentre facevo qualche ricerca, mi sono imbattuta nella simbologia legata al ragno, ed ho trovato che la sua tela era considerata presso molte civiltà alla stregua di un ponte, un portale tra quei mondi che normalmente non comunicano tra di loro. Il ragno poi, secondo diverse fonti della mitologia norrena, era legato al dio Loki, quindi mi sono detta “Perché non usarlo?” XD. Il bello è che sono un’aracnofoba di prima categoria, ma soprassediamo. I ragni finti non mi turbano :P.
 
***
Salve ragazze! Spero di non avervi annoiato con queste note di fine capitolo, ma vi avevo detto che mi sarei affidata alla mitologia norrena, quindi mi faceva piacere condividere queste piccole curiosità insieme a voi :D
Parliamo di cose serie: sabato ho visto il film. Che ve lo dico a fare, sono stati 140 minuti nei quali mi sono vista proiettata nel Valhalla, estasi e contemplazione mistica. Sono uscita dal cinema con gli occhi a cuoricino, ed un sorrisetto ebete dipinto sul volto. E’ stata un’esperienza ascetica. Tom Hiddleston interpreta un Loki fantastico, io lo amo, stimo e rispetto *O*
E dopo l’ennesimo vaneggiamento, vado a scribacchiare qualche altra cosetta, giusto per tenermi in allenamento :P
Un bacione a tutte voi, che mi seguite e supportate!!! Grazie ^^

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Capitolo 5
*** Meeting Gil ***


È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria.
José Saramago – Cecità

 
Due settimane. Sono passate due settimane e di quell’umana non c’è traccia.
Possibile che sia scomparsa nel nulla? Ormai mi sono completamente ristabilito, la magia scorre di nuovo forte in me. Ho abbandonato quel capannone e mi sono trasferito in un bell’appartamento a Manhattan, niente di troppo vistoso, qualcosa nella media. L’ultima cosa di cui ho bisogno è attirare l’attenzione sulle mie mentite spoglie umane.
La casa è sigillata, schermata agli occhi indagatori di Heimdallr, e a meno che qualcuno dei Vendicatori non ci cada dentro, sono al sicuro. Forse mi troveranno il giorno che setacceranno tutte le case di questa metropoli.
Tengo d’occhio quella tavola calda da giorni, è l’unico posto dove è probabile che l’umana si faccia viva, ma niente. Ormai ho stabilito una routine: ogni mattina vado al cafè ad inscenare il rituale della colazione. Visto che ho avuto poca fortuna con la sorveglianza, non mi resta che ingraziarmi i proprietari, e portare il discorso al punto che mi preme.
 
“Buongiorno caro” mi sorride radiosa Katherine.
“Buongiorno signora Russell, come sta?” le rispondo sorridendole di rimando.
“Molto bene, il solito?”
“Certo, grazie.”
 
Mi accomodo ad uno dei tavolini, posando una valigetta in pelle piena di niente accanto a me, e comincio a sfogliare il giornale, senza veramente leggere. I miei occhi scattano ogni qual volta la campanella d’entrata tintinna, ed ogni volta è un buco nell’acqua.
 
“Oggi non verrà” mi sussurra Katherine riempiendomi la tazza di caffè.
“Come?” la guardo dubbioso
“Gil. Oggi non verrà, ha dei turni in ospedale che penso la uccideranno presto”
“Mi dispiace, ma credo davvero di non capire”
Mi regala un sorriso complice “Allora il fatto che tu l’abbia seguita fuori dal negozio incurante della pioggia, e poi sia cominciato a venire qui tutti i giorni, non c’entra assolutamente niente con lei, giusto?”
“Giustissimo”
“Chissà come mai non ti credo”
“Sono andato via perché mi ero appena ricordato di una faccenda urgente, e torno qui perché questa calda atmosfera familiare mi piace”
Mi batte la mano sulla spalla, condiscendente “Certo, certo. Quindi, non ti interesserà sapere che non ha un fidanzato attualmente…”
Sollevo gli occhi al cielo. Donne anziane: cercano sempre di accoppiare le proprie simili che ritengono ormai in età da marito. Che cosa seccante. E poi con chi vorrebbe sistemarla? Con me? Davvero, è una delle cose più assurde che abbia sentito in tutta la mia vita, ma a quanto pare mi tocca reggerle il gioco.
“E va bene, mi ha scoperto: vengo qui perché in realtà vorrei ringraziarla” lei inarca un sopracciglio “Ringraziarla per la mano.”
“Oh, capisco. E non c’è davvero altro?”
“Sono una persona beneducata, se qualcuno fa qualcosa di gentile verso di me, lo ringrazio” Stavolta l’ho davvero detta grossa, ma la convinzione delle mie parole sembra bastarle.
“Allora, signor ringraziamenti in ritardo, credo sia il caso che tu venga a fare un giretto qui domani. Penso che potrai portare a termine la tua missione.” Con l’ennesimo sorriso si dirige verso gli altri clienti.
Aggrotto le sopracciglia, pensieroso. Domani. Posso aspettare un altro giorno per scoprire se qualcuno sa della mia vera natura. In effetti non credo che abbia parlato, ma la prudenza, a questo mondo, non è mai troppa.
 

***

Sembra che io sia destinato ad incontrare quell’umana nei giorni di pioggia. Le piccole gocce si infrangono ticchettando sulla stoffa impermeabile dell’ombrello. Come al solito il popolo di New York è preso da una fretta costante, non mi guardano nemmeno presi come sono dalla corsa contro il tempo. Correre a pro di che, poi? Per arrivare prima al lavoro, per meritarsi una promozione, per raggiungere l’irraggiungibile…correre, correre, correre, questa è la regola. Chi si ferma è perduto. Si affannano a rincorrere il tempo, scoprendo poi troppo tardi che hanno bruciato tutte le tappe della loro miserabile esistenza. Io invece procedo con incedere lento e passo flemmatico verso la mia destinazione. La campanella della porta mi riserva la sua tintinnante accoglienza, ed è allora che la vedo.
Se ne sta con il capo chino e lo sguardo triste, perso, mescolando meccanicamente del caffè che a quanto pare non ha intenzione di bere.
Katherine le passa accanto, posandole una mano sulla spalla e sospira scuotendo la testa. Il mio sguardo è una muta domanda mentre mi siedo alla solita poltroncina.
 
“Non è una buona giornata per lei”
Do’ un’occhiata alle spalle curve della ragazza, e poi a Katherine. “Ha perso un paziente” mormora andandosene.
Perfetto, ci mancava solo il lutto, adesso mi sarà impossibile avvicinarla. Però c’è qualcosa che posso fare, qualcosa che potrebbe far in modo che si fidi di me. Frugo nella tasca, ed estraggo un fazzoletto di stoffa. Mi alzo e mi avvicino a lei, porgendoglielo.
Non da’ segno di avermi notato, fissa ancora intensamente il nulla, mentre una lacrima le solca lenta il viso.
“Lo prenda” le faccio cenno con la mano.
Sembra destarsi dal sonno, si volta come un automa nella mia direzione. I grandi occhi sono velati di lacrime, rossi, e gonfi. Tira su con il naso debolmente, ed afferra il fazzoletto con le sottili dita.
“Grazie” mugugna tamponandosi gli occhi. Poi mi fissa studiandomi, e mi afferra la mano. Ci passa sopra l’indice, incuriosita.
“Si è totalmente rimarginato. Lo sapevo che non era una persona comune”
“Lo sapeva?”
Annuisce, ed alcuni riccioli sfuggono dall’acconciatura. Torna a mescolare il suo caffè “Deve essere bello avere qualche dote particolare”
 
Mi stringo nelle spalle. Avere doti particolari? Sì, è bello. Usarle per uno scopo? Ancora meglio. Solo che a volte i tuoi scopi non rispecchiano il pensiero perbenista, e si crea una falla nel piano.
 
“Oggi ho perso un paziente, un ragazzino di 13 anni. È arrivato al pronto soccorso con un grave trauma addominale. Un incidente, loro lo hanno definito così. Coinvolto in un incidente che vedeva protagonisti uno dei super di cui non ricordo il nome, ed un malvivente. Se non fossi stata la semplice umana che sono, se avessi avuto qualche dote, l’avrei salvato, ma non ci sono riuscita. L’ho perso, è spirato tra le mie braccia. Avevo le mani lorde del suo sangue, mentre cercavo di bloccargli l’emorragia”
 
Ascolto il suo sfogo paziente, mentre lei piange. La faccenda dovrebbe toccarmi in qualche modo, ma non riesco ad empatizzare con lei. Per me veder morire qualcuno è normale amministrazione.
“Hai fallito, caso chiuso, passa oltre.” Vorrei dirglielo, ma non credo che accetterebbe questo rovinoso commento. Cos’è che dovrei fare? Rifletto serio. Forse dovrei fare quello che nessuno ha mai fatto con me: consolarla nel momento di difficoltà, dirle che tutto andrà bene, che tutto si aggiusterà, che è un medico fantastico. Dovrei darle speranza, ma mentirei. Il fatto è che qualsiasi cosa le dica, la vita adesso le sembrerà ugualmente spenta. Eppure è un dottore, non dovrebbe aver già fatto i conti con la morte? Non è una cosa alla quale dovrebbero essere preparati? Lo sa benissimo che non tutti sopravvivono al tavolo operatorio, sa benissimo che gli incidenti capitano, eppure è qui a struggersi per una vita. La trovo patetica, non ha ancora imparato la lezione che il mondo non è un posto delizioso, e che la vita sa essere davvero meschina.
 
“So cosa sta pensando” biascica rivolgendomi di nuovo un penetrante sguardo “Sta pensando che dovrei essere abituata alla morte, che dovrei essere già venuta a patti con questo”
 
Il mio sguardo si indurisce, mi irrita notevolmente che qualcuno sia capace di leggere i miei pensieri. Nessuno dovrebbe esserne capace, l’imperscrutabilità è una delle caratteristiche che ho da sempre sfruttato. Ma lei per una strana ragione ha indovinato. Un caso fortuito, fine della storia.
Eppure una piccola spia si accende dentro di me, ed i miei sensi si allertano. Quest’umana ha  qualcosa di particolare, ed è qualcosa che spregio, ma nel contempo ammiro.
 
“Non pensavo a questo” le rispondo
“E allora a cosa?”
“Pensavo di dirle che tutto si sistemerà”
Tira le labbra carnose in un mezzo sorriso quasi di scherno “Lei è un bugiardo, non è questo quello che pensa”
“A quanto pare conosce i miei pensieri meglio di me, mi illumini” le rispondo sprezzante, vediamo se ha il coraggio di fare la saputella.
“Lei crede che dovrei metterci una pietra sopra, e proseguire la mia vita”
Faccio per replicare, ma mi blocca alzando la mano.
“Il bello è che ha ragione, ma ci sono cose alle quali non ti abitui mai, cose che non riesci ad accettare. Vorrei tanto avere la sindrome del chirurgo…” sospira a lungo. Inclino la testa di lato, e lei continua  “…mancanza di sentimenti”
Non riesco a trattenere un sorriso, devo essere affetto da questa patologia, almeno per quanto riguarda quei tanto decantati sentimenti di amore e carità verso il prossimo.
“Posso insegnarglielo io” le parole mi sfuggono prima che possa controllarle.
“Cosa?”
“A non avere sentimenti”
Mi alzo, e senza degnarla di un ulteriore sguardo vado via, sentendomi il peso di quegli occhi sorpresi dietro le spalle.
 
 
***
Eccomi qua, di ritorno su questi schermi!
Dunque, oggi non ci sono note particolari, quindi tranquille non vi annoierò XD Spero solo di star tenendo vivo il vostro interesse, con questo nuovo personaggio, ed i pensieri del buon Loki, sempre molto gentili XD
Ok, allora vi auguro un buon inizio di settimana, e grazie come sempre a tutte voi per la pazienza ed il supporto!

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Capitolo 6
*** Debiti da ripagare ***


Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna. La gente ha sempre fatto così.
Fëdor Michajlovic Dostoevskij

 
Ho commesso un errore ad andare via quel giorno, non sono riuscito a scoprire nulla di ciò che mi ero prefissato, quell’umana mi ha spiazzato. La sua struggente agonia, il suo senso di colpa, sono cose che non sono mai riuscito a provare, non con la stessa intensità. La verità è che ormai sono arido, in questo piccolo cuore non c’è spazio per altro se non per odio e vendetta.
Io non ho famiglia, sono sempre stato quello di mezzo, quello senza una destinazione, sospeso nelle dimensioni, tra la bellezza eterna di Asgard e la glacialità di Jötunheimr.  Il punto credo proprio che sia il fatto che il mio è un cuore Jötunn, aspro e freddo come le terre che mi hanno dato la vita. L’incontro con l’umana mi ha incuriosito, voglio vedere fin dove i suoi pensieri possono spingersi, fin dove il dolore può portarla. Mi sembra un interessante soggetto di studio, magari potrà essermi utile apprendere come sfruttare le debolezze umane per ottenere ciò che voglio.
Stavolta sarà bene conoscere il proprio nemico prima di affrontarlo, non devo commettere frettolosi errori come quello di fidarmi di altre entità, e via discorrendo.
Sarò un tarlo che piano piano minerà le fondamenta del sistema fino a farlo crollare.
Sì, stavolta funzionerà.
 

***


Siedo al tavolo, sorseggiando tranquillamente un tè e leggendo il giornale. Ovviamente cerco di non rompere la tazza quando leggo di mio fratello, comincerebbero a trovare la pratica sospetta, e poi non credo sia un bene macchiare questi fastidiosi jeans e ferirmi le mani. Da quando non ho più il mio scettro devo affidarmi completamente alle mani per veicolare la magia, sono la cosa più preziosa che ho. E poi le macchie di sangue possono essere molto fastidiose da cancellare. Dopo aver risposto a qualche domanda di routine di Katherine e Joe, comincio a riflettere su un piano. Non posso semplicemente starmene qui a gozzovigliare mentre mio fratello si gode la bellavita e la gloria. La pena che lo aspetta non sarà nemmeno paragonabile alla mia, quando quell’ottusa creatura di un mostro verde radioattivo mi ha sbattuto come un tappeto sul pavimento di pietra. Fortuna che sono resistente, se fossi stato umano a quest’ora sarei ridotto ad un invertebrato e starei  qualche metro sottoterra con i vermi che banchettano delle mie carni.
Se non altro però non sto marcendo in  prigione, il che mi risolleva il morale.
 
Sì, ricordo il mio arrivo, gli sguardi, i mormorii, il processo sommario, la condanna, i volti sconfortati di Odino e sua moglie.
Ho perso il diritto a rivolgermi a lui come mio padre, perché adesso sono soltanto colui che ha gettato fango sull’evoluta Asgard, faro di speranza in questo triste universo popolato da creature inferiori.
Quasi mi diverte questa affermazione: loro hanno condannato me perché mi ritenevo superiore alle altre razze, una cosa che ovviamente mi hanno insegnato loro. L’ipocrisia non ha confini! Se sono stati loro a farmi apprendere questo, possono biasimarmi se volevo mettere in pratica le mie verità? Mi hanno condannato per delle cose che sono i primi a predicare! Davvero incredibile.
Ed il beato Thor poi, con quello sguardo triste, i begli occhi velati di lacrime…non ha speso una parola in mia difesa durante il processo. Che caro fratello!
Le dita si piegano in un gesto di stizza sul giornale, accartocciando le pagine ai margini. Mi sforzo di mantenere la calma, ma questi pensieri mi rimbombano nel cervello, usandolo come una cassa di risonanza. Mi pizzico il naso, scacciando l’istintivo impulso che ho di sfogare la mia rabbia uccidendo qualcuno, immaginando di torcere il collo a Thor.
 
“Mal di testa? Ho un’aspirina in borsa se le serve”
Spalanco gli occhi sorpreso. Davanti a me siede l’umana, che mi sta rivolgendo uno sguardo indagatore. Ma quand’è che è arrivata?
 
“Ehi, si sente bene?” mi chiede preoccupata.
“Da dove salta fuori?”le domando brusco, e lei corruccia la fronte, risentita.
“Però, mi era parso un tipo socievole al mattino” risponde sarcastica “Sono arrivata qui da poco e l’ho vista, ma mi era sembrato davvero molto assorto nei suoi pensieri, e così mi sono seduta qui”
“Si è seduta qui per…”
“…per osservarla” puntualizza
“E che bisogno ha di osservarmi?”
“In realtà nessuno, solo che mi sembrava stesse pensando a qualcosa di estremamente importante, aveva un’espressione così seria e concentrata…pensavo fosse carino ripagare il debito”
“Quale debito?” mi sento uno sciocco a porre tutte queste domande, ma davvero non capisco questa qui dove voglia andare a parare. Fino a prova contraria dovrei essere io quello a condurre i giochi. Sbuffa leggermente. “L’altro giorno è stato così gentile da restare con me ad ascoltare il mio sfogo, mi sembrava giusto ascoltare il suo, dato che qualcosa sembra darle pensiero. Allora, sono tutta orecchie” sistema meglio la schiena contro la poltroncina, incrociando le braccia sotto al petto.
 
Ma come mi è saltato in mente di usare questa donna come soggetto di studio? Impertinente ed impicciona, se ne sta qui ad osservarmi come se le dovessi qualche spiegazione. Le sorrido cercando di non far trapelare la voglia che ho di liberarmi di lei in fretta.
 
“Riservi le sue orecchie per altri sfoghi, i miei non sono importanti”
“Oh, secondo me sì, ma se proprio non vuole…”
“No, non voglio” rispondo deciso.
Arriccia le labbra abbassando il capo “Ok, mi dispiace averla disturbata, la lascio ai suoi pensieri di odio verso il mondo” fa per alzarsi, ma le trattengo la mano automaticamente.
Odio verso il mondo, come fa a saperlo?
“Aspetti, cosa le fa pensare che stessi pensando a qualcosa di odioso?”
“Ah, adesso le interessa? Pensavo volesse liberarsi di me”
“No, mi sento all’improvviso molto curioso” le dico mellifluo
“Una lingua sciolta, bene bene. Dunque, è stato facile intuirlo, il suo corpo parla per lei: vene del collo tese, mani che fremono impercettibilmente, labbra tirate, e piccole rughe sulla fronte. Poi la scena madre è stata quando ha quasi strappato il giornale.” Lo indica ghignando. Si sente furba la ragazza.
“Quindi lei studia il linguaggio del corpo?”
“Diciamo che sono un’acuta osservatrice”
“E c’è altro che ha osservato?” abbasso il tono di voce, modulandola su una frequenza più melodiosa e sensuale. Arrossisce impercettibilmente, le guancie dell’ovale si imporporano per un attimo, donando al viso una sfumatura rosea, che le fa risaltare i grandi occhi. È uno spettacolo divertente, e siamo pari. Lei vuole scavare nei miei pensieri, ma io sono altrettanto capace di farlo nei suoi, e da come ho capito si imbarazza facilmente. Potrei continuare fino a farla diventare rossa come una supernova.
 
“N-no, come dicevo ero qui solo per offrirle supporto, e per dirle grazie. E per ridarle questo” mi porge il fazzoletto di scatto, voltandosi a guardare fuori dalla finestra.
 
Sta agendo come una bambina piccola, mi irrita, ma allo stesso tempo mi diverte. Allungo la mano per prendere il fazzoletto, ed intenzionalmente sfioro la sua con le dita. Arrossisce ancora più vistosamente, e quando la ritiro non posso fare a meno di ghignare. Un soggetto interessante.
 
“Si figuri, in realtà miravo a ringraziarla per aver curato la mia mano…” le rispondo. Lei si volta, mordendosi il labbro inferiore. “Sì beh, alla fine non c’era molto bisogno del mio aiuto, no?” sorride e poi continua avvicinandosi, abbassando la voce “Con me il suo segreto è al sicuro, non capita tutti i giorni di incontrare un super, e spifferarlo ai quattro venti non è una buona idea.” Mi dice complice.
Lode agli dèi, non ha parlato. Ha del sale in zucca a quanto pare.
 
“Non ha idea di quanto abbia ragione” le rispondo.
“Sa, alla fine parlare con lei mi ha aiutato”
“Davvero?” non nascondo la sorpresa a quelle parole. Qualcuno che si sente aiutato da me, inverosimile.
“Sì, mi ha spinto a non piangermi addosso, e mi sono ancora più concentrata sul lavoro per svolgerlo al meglio. E poi l’ospedale voleva mandarmi dallo strizzacervelli, ma non avevo la benché minima intenzione di fare qualche seduta settimanale. Il mio cervello è in perfetta forma.” Solleva il mento sdegnata. Io non credo che abbia tutte le rotelle al loro posto, ma evito di commentare.
“Lei invece di cosa si occupa signor…”
“Lok…Logan Laufeyson, e sono solo un contabile in un’azienda” mi freno in tempo dal darle il mio vero nome. Un’identità falsa è la copertura più affidabile.
“Piacere di conoscerla signor Laufeyson, dottoressa Gillian Russell al suo servizio” sorride serena, poi continua. “Strano però, non ha il viso del contabile. Non so perché, ma ho avuto la sensazione, quando l’ho vista, che lei facesse parte della nobiltà. Bizzarro, eh?”
“Non ritiene possibile che possa avere discendenze nobili, dottoressa?” le chiedo inarcando un sopracciglio.
“No, no, assolutamente, non intendevo questo, ecco io intendevo solo che…oh…mi dispiace…” dopo aver gesticolato animatamente, abbassa lo sguardo intrecciando le mani in grembo.
Non posso fare a meno di sorridere, questa dottoressa è davvero un caso disperato, anche se forse non dovrebbe avere accesso a determinati medicinali.
“Non si dispiaccia, non è successo niente, è solo che le sue osservazioni mi incuriosiscono, tutto qui”
Sembra riacquistare coraggio, e torna a guardarmi con quegli occhi azzurro ghiaccio, e sorridendo.
“Mi dispiace, sono una frana, non sono brava nei rapporti interpersonali, commetto sempre qualche gaffe…solo la mia amica Jane mi capisce, ma lei è un astrofisico, e quindi tra appassionati di scienza c’è una certa sintonia…”
Una lampadina si accende, no, non è possibile. Jane l’astrofisico. Quante possibilità ci sono che sia solo una coincidenza? Ma se non fosse…
“La sua amica si è trasferita da poco in città?”
“Beh sì, ma come fa a saperlo?”
“Intuizione” sorrido serafico.
“In effetti adesso dovrei proprio scappare, ho appuntamento con lei. A presto signor Laufeyson, mi ha fatto piacere parlare con lei”
“Altrettanto, dottoressa Russell” mi tende la mano, che stringo anche se con una certa riluttanza.
“Mi chiami Gillian, o Gil, mi chiamano tutti così. Dottoressa lo trovo estremamente formale.”
“Allora Gil, alla prossima occasione”
 
Mi sorride ed esce.
 
Mi risistemo nella poltrona, non posso ancora crederci: il ragno aveva ragione! L’incontro con questa Gil era davvero un segno! Lei conosce Jane, l’amata mortale di Thor! Non posso essere più soddisfatto, stavolta so di certo dove colpire. Ma ho ancora bisogno della collaborazione della dottoressa, per arrivare a lei.
E poi arriverò a lui.
Me la pagherà, mirerò dritto al cuore e farò fuoco. Oh stavolta lo colpirò, e soffrirà. Lo costringerò a guardare la sua lenta agonia, poi la ucciderò, dopodiché toccherà a lui, ed infine alla dottoressa, il mio unico effetto collaterale.
Con Thor fuori dai piedi, sia Asgard che i Vendicatori saranno sfiduciati ed abbattuti, mentre io avrò il pieno potere su di loro e su questo mondo di scarafaggi.
Nemmeno Odino potrà niente per avere indietro il suo amato figlio.
Sì, ho bisogno di pianificare tutti i dettagli e, questa volta, nessuno strafalcione.
 
***
Buona domenica, gentili fanciulle!
Oggi ritorniamo ad esaminare i diabolici piani del nostro asgardiano preferito. Cattivo eh? Aspettate e vedrete! Volevo dargli una vena più malvagia e subdola possibile, spero di esserci riuscita :D
Ma ora passiamo alle cose importanti: io vi amo tutte, siete in tante a seguirmi, ad aver posto la mia storia tra le preferite e le ricordate, ed io non potrei essere più soddisfatta! Siete la mia gioia, non smetterò mai di ringraziarvi <3
Allora, adesso datemi la carica per cominciare una nuova settimana (visto che questa che si è appena conclusa ha fatto un po' schifo O_o), fatemi sapere cosa pensate della storia con una bella recensione, nella buona e nella cattiva sorte!
P.S: Ho optato per il nome Logan perchè mi sembrava quello più "vicino" a Loki, e poi è un piccolo omaggio ad un altro dei personaggi Marvel che amo, ossia Wolverine :D I Love u girls!

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Capitolo 7
*** Lontananze della memoria ***


Lontananze della memoria,
desideri di gioventù,
sogni dell’infanzia,
brevi gioie e vane speranze
di tutta la lunga vita
vengono in vesti grigie,
come nebbie della sera
quando il sole è tramontato.
Novalis -  Inni alla notte

 
Asgard, la città illuminata mi saluta immersa nella notte. Sono dovuto tornare, attraverso i sentieri oscuri nascosti anche agli occhi del guardiano. Mi è costato uno sforzo, ma necessito di trovare quel libro.
Magia, la cosa che so fare meglio, la mia arte, il mio essere, la mia compagna per la vita, colei che non mi tradirà mai. E dire che cominciai per sopperire alle mie mancanze fisiche, perché i buoni asgardiani, cittadini evoluti in un Universo di feccia, rispettavano solo la forza di spada e il valore in battaglia, doni che non mi erano stati concessi. A me, figlio dei giganti di ghiaccio, temuti per la loro brutalità e ferocia! Ero nato diverso anche da loro…e così abbandonato a morire, nascosto a tutti, ancora in fasce, finché il mio caro padre non mi ha trovato.
Lui ha detto di avermi sempre amato senza distinzione di carne e sangue, ma tutti gli altri mi detestavano e pregiudicavano, dicendo che da me non sarebbe derivato altro che male.
Che destino diverso avrei potuto avere, quando ormai avevano deciso per me?
 
Nella tranquilla notte sento solo l’eco dei miei passi sul Bifröst, in lontananza dormono le cime dei monti, ed e i mostri negli abissi del mare. Le stelle spariscono e ricompaiono coperte dalle nubi che si rincorrono e lì, di fronte a me, le vette lucenti nell’oro del palazzo di Asgard.
È strano tornare a casa. Tutto ha lo stesso aspetto, lo stesso odore, da’ la stessa sensazione di sempre. Ti rendi conto che l’unico ad essere cambiato sei tu.
 
Evito con abilità delle guardie, muovendomi agile, diretto alla mia vecchia stanza. L’oscurità è mia alleata, devo muovermi con cautela, ed utilizzare meno magia possibile. Il palazzo è quieto, la sala del trono immacolata, riesco a specchiarmici dentro, mentre sento dentro di me una rabbia crescente. Dovrei esserci io seduto su quel trono, ed invece mi ritrovo a dovermi comportare come un ladro in quella che avrei dovuto considerare casa mia.
Prendo il passaggio dietro alla parete, spingo leggermente e la porticina si apre. Striscio nel corridoio diretto alla mia stanza, sperando che non abbiano sprangato la porta, ma conoscendo quel sentimentale di Odino, sicuramente non avrà toccato nulla. Magari ogni tanto ci ritorna, per rimembrare i bei momenti passati insieme, se così si può definirli.
Torna in quell’antro malinconico per piangere il suo amato figlio perduto.
La maniglia cede sotto il peso della mano, dentro è ancora tutto come quando sono andato via. Il letto in ordine, il balcone aperto, la grande libreria con i miei tomi di magia. Tutto così squallido e deserto.
Le dita si fermano sulle pagine ingiallite di un libro che tenevo aperto: rune, origine stessa di ogni conoscenza e di ogni potere. Uno strano senso di nostalgia e di inquietudine mi pervade, ma non posso abbandonarmici.
Ricordo quando studiavo con impazienza, apprendendo tutto ciò che potevo, solo per potermi misurare con il mio perfetto fratello, per raccogliere una briciola di approvazione da mio padre, ed anche da quei disgustosi altri dèi che vivono alla sua corte.
Un successo di Thor era una vittoria su scala globale.
Un successo di Loki era una pacca sulla spalla, ed un mezzo sorriso.
Ma quante volte da bambino me lo facevo bastare, dicendomi che la prossima volta avrei fatto meglio, che sarei migliorato, sarei diventato un mago potente ed acclamato da tutti.
Ed invece ho imboccato la strada sbagliata, a detta loro.
Le tenebre mi hanno circuito, mi hanno deviato.
Il figlio malvagio di Laufey, il mostro dal cuore di ghiaccio. Un marchio impresso a fuoco sulla mia pelle, sulla pelle di un bambino senza colpe.
Poi vengono a parlarmi di giustizia!
Mi metto alla ricerca di quel prezioso tomo di magia, gli insegnamenti di Odino se non altro mi sono tornati utili. Particolari incantesimi che siamo gli unici a conoscere, strumenti di potenza oltre l’immaginabile.
Forse dovrei provare a recuperare anche il mio scettro…no, meglio non rischiare.
 
“E così sei tornato…” la forte voce di Odino mi fa scattare, interrompendo i miei pensieri.
Lo fisso con astio, incurvando le labbra in un mezzo sorriso di dispregio.
“Salve, padre” metto nell’ultima parola tutto il livore possibile.
“Come stai?” chiede rattristato
Tutta questa commovente preoccupazione la detesto “Come vuoi che stia?” gli rispondo schernendolo. Lui scuote la testa, sospirando.
“Con quello non ti sentirai meglio” mi dice indicando il tomo che stringo tra le braccia.
“Oh, io dico di sì. Ma non credo che tu sia qui per fare conversazione. Stai per chiamare le guardie?”
“No, volevo solo vederti. Sei mio figlio”
“Io.non.sono.tuo.figlio” sillabo guardandolo truce.
“Sei così cieco…perché ti ostini a velare gli occhi con questa rabbia senza senso?”
Scoppio a ridere, una risata isterica, fredda, priva di gioia “Perché, che altre possibilità ho?”
“Resta qui, possiamo aiutarti, possiamo ricominciare…”
“Certo, ricominciare, con me rinchiuso in una segreta, torturato, e magari anche privato di tutti i poteri…”
“Lo sai bene che non permetterei mai che…”
“…che cosa?” sbotto “Che non mi giudichino, che non mi rinchiudano? Pensi davvero, padre dei déi, che la tua corte sia propensa a credere alla redenzione di questo tuo figlio?” il mio disprezzo nei suoi confronti è palese, il petto mi si alza, scosso dall’ira. Abbassa lo sguardo, contrito.
“Non hai dato motivo di credere a niente di diverso”
“Io sono diverso, vuoi capirlo una buona volta!”
“Dimostra che c’è del buono in te, da’ modo agli altri di vedere oltre”
“…buono in me. Questa conversazione mi ha stancato.”
 
Mi avvicino a lui, sfiorandolo con la spalla, e parlandogli in un sussurro.
 
“Vai dal tuo amato Thor, fonte di ogni soddisfazione esistente…tanto so già che è partito per darmi la caccia, chissà, magari la prossima volta che ci incontreremo avrà la mia testa chiusa in un sacco…o io la sua. Oppure tornatene a dormire.”
Odino mi fissa, stavolta posso vedere un lampo di rabbia negli occhi.
“Torna su Midgard, chissà che finalmente non impari una lezione. Quando i fati vorranno, ci rivedremo.” Mi dice altero.
 
Lo lascio immobile nella stanza, non si volta a guardarmi, né tantomeno lo faccio io.
Come si permette di farmi certi discorsi così ipocriti, da buon padre che si preoccupa del suo figlioletto, quando non ha fatto altro che usarmi come pedina, mostrando che lui, il grande Odino, sovrano eccelso, ha un cuore talmente grande da adottare lo sporco rifiuto del nemico?
Cosa posso dirgli, ha cresciuto una serpe in seno, non è di certo colpa mia.

***

 
“Buonasera signor Laufeyson, di ritorno da una bella serata?”
Il portiere mi saluta allegro. Con un sorriso tirato gli rispondo affabile.
“Certo, una serata proficua” imbocco le scale, e torno nel mio appartamento.
Umani, si mostrano così gentili ed interessati anche quando la verità è che non gli importa minimamente cosa tu abbia fatto.
Gentile modo di fare conversazione, domande di rito, abitudini che vanno rispettate.
Convenzioni ridicole, secondo il mio modesto parere.
 
Apro la porta, accendendo la luce della piccola lampada.
Mi siedo sul letto, gambe incrociate, e comincio a sfogliare il libro. Quello è che cerco è proprio…qui.
La magia sciamanica, il Seiðr.(*)
 
“Per assumere il più grande potere. Con la pratica del Seiðr è infatti possibile privare un individuo della sua forza per trasmetterle a qualcun altro. Permette, se utilizzata secondo certi canoni, di prevedere il futuro, ma anche di dispensare morte, sventura e malattia. La magia necessita di un tramite tra il mago e la vittima: una donna” leggo il passo corrucciando la fronte. “Inoltre l’incantesimo può essere eseguito solo secondo determinate coordinate spaziali, in particolari allineamenti planetari…Meraviglioso, ora ho anche mappe celesti da dover stilare!” chiudo il libro con stizza, arrabbiato. Va bene, riflettiamo con calma, una soluzione ad ogni problema si trova sempre.
Di chi posso servirmi?
…Oh, ma certo, come ho potuto non pensarci prima? Adorabili umani, nuove conoscenze propizie!!!
Il piano ormai ha preso forma nella mia mente, un ghigno malvagio e soddisfatto si disegna sul viso. Facciamo la conta dei presenti:
Thor, il mio caro fratellino, la vittima prescelta.
Jane, la sua adorabile astrofisica, l’esca.
Gillian, la cara dottoressa, il mio contatto e tramite per il Seiðr.
Sì, una splendida idea, un piano perfetto! Ora non mi resta che farmi calcolare le mappe, quella sciocca umana non mi rifiuterà un favore…e poi al momento opportuno mi disferò di tutti loro…pochi i coinvolti, agirò subdolamente…le parole di Odino mi ritornano alla mente. Potrei mostrare di avere in me qualcosa di buono. Certo! Posso fingere di essere migliore di come in realtà non sia, guadagnarmi la loro fiducia e poi utilizzare…questo. Cerco con gli occhi l’ultima parte dell’incantesimo.
“L’aquila di sangue” mormoro compiaciuto.(**)
 
Quello sarà l’atto finale, il coronamento di un’indiscussa vittoria.
Richiudo delicatamente il libro e mi affaccio al balcone, nel cuore della notte senza luna di Manhattan. Sorrido nell’ombra.
La partita è aperta.
 
Note
(*) Il Seiðr è una sorta di magia sciamanica di tradizione antico nordica e germanica, che consentiva di assumere "il più grande potere". Secondo i miti questa era una pratica di origine Vanir che fu insegnata da Freya ad Odino. È una pratica stregonica o di cura utilizzata da singole individualità, quasi sempre di sesso femminile. Infatti sebbene le attestazioni riguardanti i caratteri e le tecniche rituali non risultino essere facilmente reperibili, sembra che gli "atteggiamenti femminili fossero tanto numerosi che gli uomini si vergognavano di praticarla; allora si insegnò quest'arte alle sacerdotesse" (cit. Lanczkowski). Nella Lokasenna, Loki viene accusato dagli altri dèi di praticare il Seiðr e quindi di tenere atteggiamenti effeminati, Loki risponde facendo notare che anche Odino in molte occasioni si è accostato al Seiðr. Tradizionalmente Seiðr non distingue tra magia buona o cattiva, e non concerne la pratica magica delle rune. Ho voluto giocare appunto sul fatto che Loki fosse identificato come una divinità ambigua e bisessuale, solo che stavolta al posto di far praticare a lui la magia, avrà bisogno di un tramite propriamente femminile.
(**) L' aquila di sangue è stato un metodo di tortura e di esecuzione che è a volte menzionato nelle saghe norrene. Consisteva nel separare le costole della vittima dalla spina dorsale, rompendole in modo tale da farle assomigliare ad un paio di ali insanguinate, ed estrarre i polmoni dalla cassa toracica. Del sale era spruzzato sulle ferite. Vittime di questo metodo di esecuzione sono menzionate nella poesia scaldica e nelle saghe norrene. L'atto di effettuare questo supplizio è descritto come "tagliare l'aquila di sangue".
 
***
Ciao a tutte mie care, e buona domenica!
Avete mangiato? Io oggi ho una fame spaventosa, penso che se avessi un Chitauro tra le mani, lo divorerei... O_o
Vabbè, torniamo a noi. Ecco qui i piani definitivi del caro Loki, si è davvero organizzato alla grande eh? Magia, torture...è un piccolo, diabolico mago <3
Come al solito perdonate la pignoleria delle note, ma credo servano a dare un quadro più completo della situazione, quindi passatemele XD *fa occhioni dolci*
Ok, detto questo vado a cercare un po' di gelato, questa fame va domata!
Al prossimo appuntamento, love u!!!

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Capitolo 8
*** Scacchi ***


Che dirne? Che cosa dire della sinistra COSCIENZA,
quello spettro sul mio sentiero?
William Chamberlayne – Pharronida

 
“Stai imbrogliando”
“Come posso imbrogliare Marv, sei tu che non sai giocare!”
“Hai fatto fuori la metà dei pezzi!!”
“Oh, piantala di brontolare! Avevi detto che eri bravo, che colpa ne ho io se invece sei una schiappa?”
 
È pomeriggio inoltrato quando un vociare chiassoso mi aggredisce aprendo la porta del cafè. Vedo Marv seduto di fronte a Gillian, con la sua solita aria imbronciata.
“Signorina, non ti permetto di parlarmi così…” si imporpora.
Lei sbuffa incrociando le braccia. Katherine assiste sconfortata a quello spettacolo, scuote leggermente il capo, i suoi occhi incontrano i miei, ma poi mi sorride, come sempre. Credo che questa confusione, questo chiacchiericcio, le piacciano. Portano una ventata di movimento nella sua piatta esistenza umana. In fin dei conti lei non ha dei piani di vendetta che vanno ultimati entro il Ragnarök.
 
“Via Marv, non comportarti come un bambino…”
“Ti dico che lei ha imbrogliato!”
Gil alza le braccia al cielo, incredula “Come si fa ad imbrogliare a scacchi?”
Mi avvicino curioso, tenendo le braccia dietro la schiena, dando un’occhiata alla scacchiera.
“Oh Logan, ciao! Non mi aspettavo di vederti qui, come stai?” la mia presenza sembra stranamente rallegrarla.
“Bene. Che succede?”
“Vedi, qualcuno a caso non accetta la parola sconfitta, e tenta di accusarmi di aver ingiustamente barato…” il tono derisorio di Gil irrita ancora di più l’uomo.
“In realtà Gil non ha imbrogliato. L’errore è qui.” Indico uno dei pezzi neri di Marv “Avrebbe dovuto sacrificare l’alfiere per darle scacco, invece ha preferito conservare la torre.”
“Ecco, vedi? Colpa della tua incompetenza, grazie Logan”
“Figurati”
“Allora, che nascondi dietro la schiena?” mi chiede mentre comincia a metterei via i pezzi della scacchiera. Poi rivolge uno sguardo a Marv, che era interpretabile solo con ‘Adesso cedi il posto’. L’uomo si alza andando via bofonchiando, mentre io prendo posto al tavolo.
“Vi andrebbe qualche biscotto, Gil?” chiede cordiale Katherine.
“Mmmh, sì dai, un po’ di dolce nella vita non può far male”
La donna si dirige al bancone, prendendo degli enormi biscotti e portandoceli. Gil ne afferra uno, e lo assapora chiudendo gli occhi. Un sorriso le si dipinge sul viso.
“Ti conviene far presto, potrei non lasciarne nel piatto”
Ne prendo uno, addentandolo debolmente. Non è male, mi sorprendo a pensare. Lei mi guarda compiaciuta.
“Buono eh? Comunque, dicevamo, cosa nascondi dietro la schiena?”
“Un libro”
“Ed è un libro misterioso che non posso guardare? Ti stai dedicando alla magia nera?” mi chiede pungente.
“No, affatto, ma ammetto che sono estremamente tentato dall’iniziare a studiare la magia nera” glielo porgo, commentando satirico.
Lei incuriosita lo apre, cominciandolo a sfogliare. Aggrotta la fronte concentrata.
“A cosa ti serve calcolare gli allineamenti planetari?”
“Sono solo appassionato…” rispondo quieto, non dando importanza alla cosa.
“Ma ti ci vorrà un bel po’, forse potrei esserti d’aiuto…”
 
Prevedibilità, questa umana ne è la dimostrazione più concreta e tangibile. La sua natura portata ad aiutare il prossimo la condurrà al punto di non ritorno, ma finché posso approfittarne, ben venga.
“No, non preoccuparti”
“Dai, non mi costa niente, posso chiedere a Jane, lei potrà farti avere questi calcoli in un lampo…”
Sorrido soddisfatto “Ti ringrazio”
“Hai da fare adesso?” mi chiede a bruciapelo.
“No, non direi” rispondo colto alla sprovvista.
“Ah, perfetto, allora puoi venire con me” si alza infilando il leggero trench.
“Come scusa?” questo suo tono arrogante mi irrita.
“Hai detto che non sei impegnato, che ne dici di andare a fare una partita a scacchi a Central Park? Consideralo come questo favore ripagato” mi guarda furba, agitandomi davanti agli occhi le coordinate celesti.
“Ha tutta l’aria di essere un ricatto”
Si porta una mano al cuore in un gesto teatrale “Oh, cosa mai te lo fa credere?”
 
Joe assiste alla scena ridendo, ed anche il resto della compagnia soffoca una risata. Ed il soggetto della loro beffa sono io, ridicoli, sporchi umani! Come osano prendersi gioco di me, di un dio! Cancellerò quei ghigni dalle loro facce, li ridurrò alla schiavitù più completa…ma non oggi. Recupero la compostezza, ed orgoglioso esco dal negozio seguito da Gil.

 ***

Central Park ci saluta vestito dei suoi colori autunnali. Le foglie rosse, dorate e marroni volteggiano sui viottoli mossi da raffiche di vento fresco. Il parco è popolato, gremito di vita: bambini con i genitori, ciclisti, persone che portano i cani al guinzaglio, artisti che intrattengono il pubblico…una città in un’altra città, e come tutte le cose, oltre alla scintillante facciata, nasconde del marcio dentro di sé.
Il parco, con la sua estensione, è il rifugio di parecchia della feccia che abita questa metropoli, scenario di efferati delitti che vengono consumati ogni giorno, al calare della notte.
Attraversiamo un ponticello di ardesia e ci andiamo a sistemare sotto una fila di gazebi. Gil si guarda intorno entusiasta, come se non avesse mai visto niente di più bello in tutta la sua vita. Non so davvero cosa le dica il cervello, è l’umana più strana che abbia incontrato.
 
“Amo l’autunno di New York!” esclama stirandosi, poi mi indica un tavolino e si siede. Estrae la scacchiera dalla busta, cominciando a disporre i pezzi.
“Bianco o nero?”
“Nero”
“Come desidera, oscuro signore!” il suo commento ironico. Cerco di non badarci, mi ha trascinato in questo luogo, ed è già tanto.
“A te la prima mossa”
“Sono un gentiluomo, prima le signore” elegantemente indico la scacchiera, e lei abbassa lo sguardo, arrossendo.
Cominciamo a giocare.
Gli scacchi mi sono sempre piaciuti, gioco di strategia troppo complesso per quel troglodita di Thor. Purtroppo non ho mai avuto compagni di gioco, tranne mia madre Frigg, che mi concedeva il privilegio di giocare con lei, quando ne avevo voglia.
Diceva che giocare con me la rilassava, ed io non perdevo occasione per competere con lei, anche se molte volte mi faceva vincere di proposito.
L’umana è assorta, studia una strategia per mettermi in difficoltà. Sono spiacente, ma con me non ha speranze.
Attacco doppio, predilige questa strategia che mira all’attacco contemporaneo su due pezzi nemici con una sola mossa. Vuole aumentare molto la pressione su di me, costringendomi a rafforzare la difesa. Ecco, usa spesso il cavallo, che può attaccare gli altri pezzi senza esserne attaccato a sua volta. Questo tema è particolarmente efficace se uno dei due pezzi attaccati è il re: l’avversario deve forzatamente riparare allo scacco, perdendo tempo prezioso e spesso cedendo l’altro pezzo all’attaccante. Io preferisco un attacco di scoperta. Muovendo un pezzo, apro la strada ad un altro, che attacca il nemico. Posso aumentare la pressione offensiva perché il pezzo mosso, a sua volta, ne può minacciare altri. 
La partita procede senza esclusione di colpi, e mi sorprende, non gioca per niente male. Ma è imprudente, ed infatti si è appena accorta di un errore che ha commesso. Ho visto i suoi occhi allargarsi impercettibilmente, e quindi sono propenso a credere che adesso proverà a…
 
“Allora, tu non sei di queste parti, giusto?”
“…distrarmi” affetto un mezzo sorriso passando alla mossa successiva. “No, non proprio”
“Me ne sono accorta, sei inglese? Sembri essere spuntato fuori da Cambridge”
“La mia è una famiglia particolare…sangue misto”
“E come mai sei arrivato qui?”
“Lavoro”
“Questo sì che è strano…” mormora, ed io sollevo gli occhi, cercando di capire cosa ci sia di tanto strano. “Beh, sei un contabile, non pensavo che insomma, voi vi spostaste per lavoro…”
“Ti sorprenderesti delle cose che accadono sotto il tuo naso… e questo è scacco matto.” Commento mordace.
Lei china il capo. “Molto bravo, sapevo che saresti stato un valido avversario!”
“Non sei stata male nemmeno tu, a parte qualche frettoloso errore…” le dico con sufficienza.
“Oh sì, me ne sono accorta troppo tardi, sono una persona impulsiva a volte…” si morde il labbro. “Concederesti la rivincita a questa sciocca dottoressa?”
Vincere di nuovo, perché no.
“D’accordo, ma al vincitore la prima mossa”
 
La seconda partita è molto più concentrata di prima, la sconfitta deve averle bruciato. Non lascia falle nella difesa, studia, progetta, posso sentire il suo cervello lavorare da qui. Me ne compiaccio, stracciare un avversario debole non mi darebbe la giusta soddisfazione.
Continuiamo, ed attorno a noi comincia a crearsi un capannello di persone, appassionati, oserei dire. Quelle loro occhiate curiose mi disturbano, non credo che alla fine comprendano a dovere la sottigliezza di una strategia ben studiata…ma non devo cedere al nervosismo.
Gli sguardi miei e di Gil si incontrano: parità, sulla scacchiera sono rimasti solo i nostri due re. Dal pubblico si leva un piccolo applauso, la partita è chiusa.
“Ed anche stavolta non ho vinto” commenta stringendosi nelle spalle.
“Ma non hai neanche perso” puntualizzo
“Vero, ma credo che dovrai concedermi l’ultima partita, poi potrai liberarti di me”
 Soppeso le sue parole, l’ultima posso concedergliela, ma sarò veloce, non ho voglia di tergiversare ancora qui, circondato da queste amebe.
 
“E bravo Kasparov!” Gil applaude, per niente scontenta di aver perso per la seconda volta.
Non so chi sia questo Kasparov, ma credo che mi abbia appena fatto un… complimento…strana sensazione, sono in pochi quelli ad avermi riconosciuto superiore in qualcosa. Impercettibilmente sorrido, appagato da questa vittoria finale.
Il cielo si sta oscurando, e lei fissa l’orologio sbuffando.
“Maledizione, si sta facendo tardi…”
“Per cosa?”
“Turno di notte, tra poco dovrò essere in ospedale.” Recupera le sue cose, ed insieme ci avviamo verso l’uscita del parco.
“Allora, ti sei pentito di essere uscito questo pomeriggio? So di non essere un genio in tattica, ma almeno non ti avrò annoiato”
La scruto in volto, sembra davvero felice di aver impegnato queste ore.
“No, non mi sono annoiato” rispondo sinceramente “Ma vorrei sapere come mai hai chiesto proprio a me di accompagnarti”
“Mi era sembrato che avessi bisogno di respirare, e che avessi bisogno di un po’ di compagnia…essere soli può purificare la mente, ma non troppo a lungo. La solitudine rischia di pesarti troppo sulle spalle…”
Non capisco se si riferisca a me, o ad una sua esperienza personale. Io sono abituato alla solitudine, il discorso non attacca, ed ho reso la cosa chiara come il sole.
“A volte la solitudine è l’unica scelta che ti resta”
Lei scuote la testa “Non è così, e tu lo sai”
Inarco un sopracciglio, la sua aria di sicurezza è snervante.
“Comunque, potresti riportare la scacchiera a zia Kat? Io devo proprio scappare!”
Annuisco, prendendole la busta dalle mani.
“Ah, e… Logan?”
Sollevo gli occhi guardandola. “Grazie per questo pomeriggio, mi ha fatto piacere. A buon rendere”
“Mi devi sempre le mappe celesti” le dico astuto.
“Certo Kasparov, vediamoci dopodomani al cafè, ed avrai le tue preziose mappe” chiama un taxi, e la vedo allontanarsi nel labirinto stradale.
 
Mi ha ringraziato, è la seconda volta che lo fa.
Perché questa umana si interessa così tanto a me? Le sembro davvero un caso disperato di quelli che assiste in ospedale? Una sorta di trovatello da accudire, un cucciolo abbandonato?
In poche parole mi considera uno scarto del mondo, solo che per lei vale la pena salvarmi…non capisco, e sono stanco di arrovellarmi il cervello adesso.
Dopodomani, altre risposte arriveranno dopodomani
 
***
Buona domenica gente! Rieccomi qua con un nuovo, noiosissimo, capitolo di passaggio! Ebbene sì, non so voi ma io Loki che gioca a scacchi ce lo vedo, e poi il nostro amico non si lascia mai sfuggire la possibilità di insultare noi poveri midgardiani…Spero di non essere stata troppo noiosa con le descrizioni delle varie tecniche che utilizzano durante la partita…dovete perdonarmi sempre, con me ci vuole taaaaaaaaanta pazienza :D
Ok, dopo il solito sproloquio di sciocchezze vi lascio, un bacione grande, ciao belle!^^

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Capitolo 9
*** Ground Zero ***


As my memory rests,
But never forgets what I lost,
Wake me up when September ends.

Green Day – Wake me up when September ends
 
[Come la mia memoria si riposa/ Ma non dimentica mai quello che ho perso/ Svegliami quando settembre è finito]

 
Una delle qualità che mi sono sempre state riconosciute è la pazienza, ma da quando sono qui i suoi livelli si sono decisamente assottigliati, e la colpa è di un’umana a caso. Diventa introvabile quando si impegna, ed io ho bisogno di conoscere altri dettagli riguardanti ciò che mi aveva accennato il giorno prima al caffè, mentre facevamo colazione, quando mi aveva riconsegnato le coordinate celesti calcolate.
Ancora non si è nemmeno presentata all’appuntamento che lei stessa mi aveva dato. E dire che avevo fatto tanto affidamento, ma la tempistica è stata del tutto sconvolta. Mi torna in mente la nostra conversazione, mentre mi faccio strada verso la mia nuova meta.
 
“…allora, le mie mappe astrali?” le dico placido senza staccare gli occhi dal giornale.
“Ciao Logan, buongiorno anche a te- commenta pungente- eccotele qua, così la smetterai di tenermi il broncio” le prende e me le restituisce. Le leggo, ed un’ombra fosca mi cade sul viso.
“Non erano le notizie che aspettavi?” chiede preoccupata
“No” rispondo secco, e molto nervoso. Prendo i fogli, posandoli con stizza sul tavolo. Lei timidamente si avvicina, e comincia a leggere concentrata.
“Pare che il tuo allineamento ci sarà tra 9 mesi esatti”
Annuisco.
“Era una cosa importante per te?”
“Sì” rispondo con stizza.
“Nove mesi passeranno in fretta, vedrai” abbozza un sorriso impacciato
“Sarà un vero e proprio parto, con tutti i suoi contro” commento sarcastico.
“Sempre il solito catastrofico… Faresti meglio ad andare al lavoro, io passerò dalla mia amica Jane, sai si è trasferita a lavorare alla Stark Tower! Ora che ci penso, la prossima volta che farai l’imbronciato potrei farti venire a prendere da Iron man in persona!” Mi dice divertita, ma questa nuova scoperta mi fa bollire il sangue nelle vene. Questa umana sa di certo come mantenere viva la mia attenzione.
“Come mai la tua amica si è trasferita?”
“Beh, le hanno dato una nuova mansione, deve studiare una sottospecie di oggetto celeste che il signor Stark ha reperito non so dove…qualcosa che non è di questo…”
“…pianeta?” concludo la frase.
“Esatto”
“E ti ha detto che tipo di oggetto è?” le domando fingendo indifferenza.
“Sì, qualcosa che sembra molto simile a…” il telefono comincia a squillare
“…a cosa?” chiedo impaziente. Lei mi fa cenno con la mano, rispondendo al telefono “…Sì sono qui, certo, arrivo subito.” Termina la telefonata, rivolgendosi a me “Logan mi dispiace, devo scappare, un’emergenza al pronto soccorso, scusami tanto, approfondiremo la questione la prossima volta, vediamoci qui domani, ok? Ciao!” scappa via dalla sala, correndo alla volta della sua emergenza.
 
Vero è che dovrò attendere per ben nove mesi, ma ho bisogno di pianificare, e mi sembra di star buttando via del tempo prezioso. La fortuna almeno ha voluto che oggi i suoi zii sapessero dove è andata a cacciarsi.
Ground Zero, mi hanno detto che è lì, alla North Pool. Ci torna ogni giorno di Ognissanti.
Una volta sceso dal taxi, mi ritrovo in uno spiazzato lastricato d’asfalto grigio, circondato da alberi dalle foglie ingiallite. In lontananza gli alti grattacieli svettano come stalattiti di cristallo. Mentre avanzo per il viale, scorgo due enormi voragini, tramutate in fontane. Posso sentire chiaramente lo scorrere dell’acqua in queste due enormi piscine. Mi dirigo verso nord, ed è lì che la vedo, poggiata al parapetto della fontana, che regge in mano una rosa bianca, con aria mesta ed angustiata. Guarda nel vuoto delle acque, triste. Chiude gli occhi, sospirando. Mi affianco a lei con calma.
 
“Ciao Gil”
Lei sobbalza, sorpresa “Logan, che ci fai qui?”
“Turismo”
Tira le labbra in un mezzo sorriso.
“Già, sei venuto a vedere il nostro magnifico National September 11 Memorial? Hai visto che belle fontanelle sorgono laddove c’erano le torri gemelle? Davvero è il tipo di turismo ideale questo.” Dal tono della voce direi che sta facendo del sarcasmo.
“Credo sia abbastanza comune visitare un luogo toccato da un evento che ha segnato la storia”
“Certo, ringraziamo i terroristi per averci regalato questo bel monumento allora!” sbotta sdegnata, voltandomi le spalle.
I suoi modi sempre gentili e pacati stanno lasciando spazio ad una personalità molto irascibile, e non capisco proprio cosa abbia detto per suscitare tale reazione. Si volta di nuovo, ha gli occhi velati di lacrime trattenute, e schiarendosi la voce parla.
“Scusami, non volevo essere così brusca. Ma sai com’è, quando perdi tua madre in un attacco terroristico ti riesce molto difficile considerare il luogo della sua morte come meta turistica”
E così è questo che la innervosiva, la perdita di sua madre, e la mia presunta mancanza di rispetto nei confronti del luogo. Ho letto qualcosa in passato riguardo questi luoghi della memoria dei midgardiani…hanno l’abitudine di fare la guerra e poi erigere monumenti alle vittime, per commemorarle. Una cosa che trovo ipocrita oltre ogni dire.
“Non lo sapevo”
“Non potevi. Scommetto che il tuo essere qui non è una coincidenza”
“Non proprio”
Sorride “Sei un libro aperto, Logan Laufeyson”
“Così ti piace credere” le rispondo, e lei si volta di nuovo a guardare l’oscuro fondale della fontana, chiudendo gli occhi al rumore dello sciabordio ritmico dell’acqua. Ora che noto con più attenzione, i bordi della piscina sono costituiti da placche di bronzo, sulle quali sono incisi moltissimi nomi.
“Beh, direi che dato che sei qui, posso presentarti a mia madre”
Inarco un sopracciglio a questa strana affermazione. Mi prende la mano, e mi conduce poco avanti, dinanzi ad un’altra placca di bronzo. Leggo il nome: Diane Russell
“Mamma, lui è il mio amico Logan. È un ghiacciolo taciturno, ma è a posto. A quanto pare riesce a sopportarmi…” sorride, e posa la rosa che aveva tra le mani alla base del pannello. “Le rose bianche le sono sempre piaciute, gliene porto una ogni anno” si allontana di nuovo, andandosi a sedere su una panchina circondata da alberi ormai spogli. Mi fa cenno di seguirla, e prendo posto accanto a lei.
“Avevo 14 anni il giorno dell’attentato. Ero a scuola quando sentimmo la notizia che i due aerei dirottati si erano schiantati contro le torri. Ricordo il sangue che mi si ghiacciò nelle vene, ricordo il battito impazzito del cuore, ricordo che avevo talmente tanta paura da non riuscire nemmeno a pensare…”
Parla tenendo lo sguardo fisso sulle mani intrecciate, quasi avesse bisogno di rievocare gli eventi per superare una sua paura, piuttosto che raccontarli a me per chissà quale altro motivo.
 Io sono qui solo per scoprire cose ne è stato del mio scettro, questo toccante racconto di una ragazzina impaurita è solo un effetto collaterale.
“La torre nord fu la prima ad essere colpita, l’aereo impattò distruggendo ogni via di fuga. Crollò due ore dopo, trascinando con sé vite innocenti. Quel giorno una parte di me è morta assieme a loro. Mio padre tornò a casa, disperato, mia madre era dispersa tra le macerie, ma sapevamo in cuor nostro che non c’era possibilità che si fosse salvata. Ci facemmo forza, e trovammo il coraggio di dirle addio. Da quando il Memorial è stato progettato, costruito, ed ultimato, vengo qui nel giorno di Ognissanti, mi sembra un modo come tanti per sentirla ancora vicino a me.”
Si prende un’altra pausa, mentre io osservo le persone sfilare dinanzi al monumento. Si fermano, osservano, scattano foto, ma nessuno potrà mai capire il vero significato del dolore, non come lo sente lei.
“Ho odiato tutti i super, sai?” mi volto ad osservarla, mentre ride piano “Sì beh, sai com’è, quando ce n’era bisogno non si sono fatti vivi. Dopo l’attentato sono cominciati a spuntare fuori uno ad uno, finché poi non si è raggiunta la massa critica con l’attacco di quei cosi alieni pochi mesi fa”
Intende il mio attacco, quello scatenato dai Chitauri. Lei non sa che ci sono io dietro quella storia. Scuote la testa, e due riccioli le cadono dinanzi al viso.
“Altri pazzoidi che non hanno nient’altro di meglio da fare che mettersi a conquistare mondi. Ma che avrà poi il nostro pianeta da essere così speciale? Avresti dovuto vedere il delirio che si è scatenato…qualcosa di terribile” rabbrividisce leggermente al ricordo.
“Vediamo, forse siete soltanto una razza inferiore, nata per essere dominata, senza doti degne di nota, fondamentalmente sciocchi incapaci, e facili da raggirare? E sì, ricordo con esattezza l’ondata di panico furioso che ho scatenato, l’unica soddisfazione impagabile che ne ho tratto. Ricordi di terrore impressi a fuoco nella mente delle persone” penso senza però dare voce a questo pensiero.
“Non ho idea del perché vogliano tutti conquistare questo pianeta. Forse vedono in…noi qualcosa di speciale” mento
“Hai davvero una risposta sempre pronta, non c’è che dire. E noi non siamo poi chissà quanto speciali” poggia le mani sulle gambe, inclinando il busto in avanti.
“Faccio quello che posso, e poi ognuno non si ritiene a modo suo un essere speciale a questo mondo?”
“Ti manca la tua famiglia da quando sei qui?” ignora la mia domanda, rispondendo con un’altra che mi coglie alla sprovvista. Sollevo gli occhi verso di lei, che mi restituisce uno sguardo interessato.
“No” affermo deciso
“Come mai?”
Ecco che torna all’attacco con le sue domande impertinenti “Non ci siamo lasciati in ottimi rapporti, quando sono partito”
“Capisco. Ma vedi, secondo il mio modesto parere, potreste provare a riappacificarvi”
“Non ci scommetterei” commento pungente.
“Va bene, va bene ho capito” mi agita la mano dinanzi al viso “Quando ti andrà di parlarne, a disposizione”
Certo, come se avessi voglia di mettermi a parlare di Odino, Thor, e tutta l’allegra combriccola di Asgard con lei! Aspetta e spera, umana!
“Visto che sono un turista, potrei anche andare alla Stark Tower, sai se è aperta al pubblico?” devio il discorso sul punto principale.
“Sì, almeno credo…dovrei chiedere meglio a Jane, lei lo saprà sicuramente. Sempre che riesca a parlarci, ormai da quando ha quel nuovo aggeggio tra le mani è felice come una Pasqua!”
A questa donna basta dare il la, e poi canta come un uccellino a primavera, non devo nemmeno sforzarmi troppo per circuirla.
“A cosa somiglia con esattezza?”
“Mah, è qualcosa che sembra molto simile ad una lancia, o uno scettro, cose così…ma come mai ti interessa?”
Spalanco gli occhi sorpreso. Allora il mio scettro è qui, e non ad Asgard come credevo! Posso finalmente riprendermelo! Probabilmente Odino deve aver detto della mia visitina a casa, e Thor deve averlo portato qui per sventare un mio possibile piano per riappropriarmene. Ma lui non sa della mia piccola, gentile informatrice…
Questa umana è davvero di un’utilità sconfinata nella sua ingenuità.
“In realtà sei stata tu a cominciare a parlarne al caffè, ricordi?”
“Già” risponde inarcando un sopracciglio, sospettosa.
“E a proposito, hai detto alla tua amica Jane che servivano a me questi quadri astrali?”
“Le ho detto che era un favore per un amico appassionato, tutto qui.”
“Eccellente. Adesso credo proprio di dover andare”
“Sì, credo sia ora anche per me di tornare a casa”
In silenzio ci avviamo verso l’uscita del Memorial, e quando siamo fuori, chiama un taxi.
“Grazie ancora per la compagnia, mi ha fatto davvero piacere.”
“No, grazie a te” commento ironico. La vedo impacciata, mentre tenta di farsi coraggio per continuare a parlare
“…e comunque se hai bisogno di una guida turistica, posso sempre accompagnarti io”
“Ti terrò in considerazione allora” le rispondo facendo un cenno con il capo.
Sorridendo mi saluta, ed entra nel taxi.
Passeggiando piano, mi avvio verso il mio piccolo antro, mentre la folla di newyorkesi mi sfreccia accanto.
Devo studiare un modo per poter entrare nella Stark Tower, devo davvero andare a prendere quel drink che l’uomo di latta gentilmente mi aveva offerto.
 
 
***
Buona domenica gente!
Bene, oggi ho dedicato un po’ di spazio a parte del passato di Gil, giusto per far capire che non è solo una povera pazza, ma un persona con una storia molto sofferta alle sue spalle. Gli eventi dell’11 settembre li ricordiamo tutti, e credo siano stati una delle pagine più terribili della storia contemporanea.
Per darvi un’idea dell’ambiente in cui si muovono i personaggi, vi lascio delle immagini:
 National September 11 Memorial
North Pool
Parco
Loki intanto sta macchinando qualcosa di cattivo nella sua testolina, la settimana prossima prevedo un capitolo molto più “attivo”…
Grazie ancora a tutti voi che seguite e commentate, mi rendete davvero felice.
Baci!!!

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Capitolo 10
*** La Stark Tower ***


I don’t know how it happened
it all took place so quick

but all I can do is hand it to you
and your latest trick

Dire Straits – Your latest trik

[Non so come sia successo/ è accaduto così in fretta/ ma tutto quello che posso fare/ è fare i miei complimenti a te/ e al tuo ultimo scherzo]

 
“Buongiorno, turista!” Gil allegra mi saluta da lontano, sfoggiando un sorriso smagliante.
“Buongiorno”
“Allora, tutto pronto? Oggi farai lo scolaretto alla Stark Tower…” nasconde una risata dietro la mano.
Inarco un sopracciglio, infastidito “Posso sempre andare da solo, se ti annoia fare da balia ad uno scolaretto. Ma la cosa curiosa è che l’altro giorno, quando ci siamo incontrati al caffè, proprio tu mi hai chiesto di accompagnarmi…” prendo a camminare con le mani in tasca, tranquillo. Tre secondi netti e me la ritrovo di fianco, imbronciata.
“Piantala di fare il musone, dovresti imparare a divertirti di più!” mi spinge leggermente con la spalla.
Davvero, non capisco come faccia ad essere sempre e costantemente così di buon umore, riesce ad irritarmi con una facilità impressionante.
“Non faccio il…musone, mi limito ad assumere espressioni facciali idonee al contesto che mi si presenta”
Mi guarda storcendo la bocca in una smorfia sospettosa “Quindi stai dicendo che è colpa mia se metti il muso?”
“Non mi permetterei mai di dire una cosa del genere…” le rispondo pungente, continuando a camminare.
“Oh, ho scoperto il tuo gioco, carino, non puoi imbrogliarmi tu!” mi sventola l’indice davanti agli occhi.
“Davvero? E quale sarebbe il mio gioco, di grazia?”
“Non lo so con certezza, ma stai macchinando qualcosa in quella tua testolina” incrocia le braccia al petto, continuando a camminare con aria solenne.
“Bene, quando lo scoprirai, premurati di informarmi” commento graffiante, schernendola. Lei mugugna qualcosa, ma non approfondisco la questione. Questa battaglia l’ho vinta io, con sommo piacere, aggiungerei.
Dopo aver camminato tra la folla dei marciapiedi newyorkesi e le loro caratteristiche esalazioni fumose, scorgo finalmente l’edificio che solo pochi mesi prima era stato sfondo di una caduta vertiginosa dal successo, alla disfatta. Quel ricordo mi riempie il cuore d’ira, quanto vorrei fare esplodere tutto qui e adesso, dentro di me la vocina  che ha preso il posto della fantomatica coscienza grida a pieni polmoni vendetta. Ed io voglio seguirla, voglio lasciarmi condurre da lei, riprendermi la rivincita su queste creature, scarti dell’universo.
“Tutto ok?”
“Come?”
Gil mi fissa, incerta. “Ti ho chiesto se è tutto ok. Ti sei irrigidito, e stai lanciando occhiate alla torre quasi volessi incenerirla”
“Bruciarla…con tutti i vendicatori sigillati all’interno… sì, è un’idea da prendere in considerazione…” scuoto la testa in diniego, non è il momento.
“No, niente di tutto questo. Mi limitavo ad osservare con ammirazione questo esempio di architettura moderna” abbozzo un sorriso cercando di mettere quanta più convinzione possibile in quelle parole del tutto finte.
“Ok…” lei non sembra completamente certa, ma accetta senza fare storie.
Siamo dentro, lo spettacolo è iniziato. Ho letto abbastanza da apprendere nozioni di base su questo posto, ora non mi resta solo che studiarlo attentamente. La Stark Tower è uno degli edifici con i livelli di sicurezza più avanzati esistenti su questo pianetucolo. L’interno dell’azienda è completamente gestito da una rete informatica, con una sorveglianza praticamente ininterrotta. Infatti il vigile occhio onnisciente delle telecamere è ben fisso su di noi. Ho dovuto alterare impercettibilmente la mia fisionomia, quel tanto che basta a non far scattare i meccanismi di difesa dei programmi di riconoscimento facciale. Non sono così stupido da credere che l’uomo di metallo non mi abbia inserito in ogni database esistente nella speranza di riuscire a scovarmi.
Le porte si aprono solo con appositi tesserini e codici di riconoscimento, che io non possiedo. Gli unici esterni che possono entrare negli altri livelli, sono gli addetti alla manutenzione e alle pulizie, scortati sempre da membri dello staff di Stark.
La nostra guida ci conduce alle ascensori, ce ne sono due: per dipendenti, e per turisti, infatti lei non ha bisogno di inserire un codice.
“…ed al livello superiore, dove siamo diretti, si trovano l’ufficio del signor Stark, ed i laboratori di ricerca e sviluppo…”
“Non è dove lavora la tua amica Jane?” chiedo piano a Gil.
“Sì, esatto. Prima ho provato a chiamarla per avvertirla che ero qui, ma è scattata la segreteria, e quindi non potrò incontrarla” dispiaciuta torna a fissare le porte dell’ascensore che si sono aperte.
La nostra guida ci fa segno di seguirla, passando dalla sala conferenze.
“Chiedo scusa, il signor Stark sarà presente al nostro giro?” domando cortese.
“Oh no, lui è sempre molto impegnato, non esce molto dai piani superiori…ma è normale il desiderio di voler incontrare un uomo nella sua posizione…qui è pieno di suoi fans” commenta come se avessi detto la più grande sciocchezza del mondo, assumendo un’aria trasognata.
“Non avevo dubbi” rispondo. Un’altra donna dal quoziente intellettivo di un anellide, ma la notizia che Stark non ci sia mi serviva solo da conferma, un megalomane come lui che si mischia con la volgare plebaglia non è ammissibile. Troppo misantropo per comportamenti da umano normale.
 
E poi d’improvviso lo sento, il mio scettro, è qui. La sua magia mi richiama a sé, non posso trattenermi ancora per molto prima che vedano la sua reazione nel laboratorio dove lo stanno passando al microscopio. Ora che so dove trovarlo non mi resta altro da fare che venirlo a riprendere, ho appreso abbastanza oggi da capire come muovermi in questo labirinto. Devo solo mettere in scena un piccolo diversivo.
“Ho bisogno di uno spuntino, mi accompagni? Dai, ti offro qualcosa”
Non posso negare che necessito anche io di sostentamento, quindi mi conviene accettare la proposta dell’umana post gita alla torre.
 

***

“Allora, ti è piaciuta la Stark Tower?” mi chiede prendendo della sottospecie di cibo che chiamano hot dog.
“Sì, è stata un’esperienza molto istruttiva” rispondo guardando con una certa riluttanza l’alimento che invece lei addenta avidamente.
“Spero che ti sia servito a trovare ciò che cercavi”
Mi volto a guardare nella sua direzione, serena continua a mangiare il suo panino. Non capisco come faccia a capire certe cose, è un essere inferiore a me per intelligenza, ma ha un intuito davvero spiccato. Fin troppo spiccato.
“Tu invece non hai potuto incontrare la tua amica…” devio l’attenzione su altro.
“Sì, ma la incontrerò in questi giorni, grazie per l’interessamento”
Guarda poi l’orologio, visibilmente spazientita “Per me è tempo di andare, mi avrebbe fatto piacere rimanere ancora un po’…”
“No vai, non voglio essere causa del tuo ritardo al lavoro”
Sorride contenta “Oh non preoccuparti, non se la prenderebbero se sapessero che arrivo in ritardo a causa tua. Forse…”
“Cosa?” chiedo, ma lei veloce mi stampa un bacio sulla guancia, strizzandomi l’occhio, e poi corre via salutandomi.
Non so davvero cosa pensare, oltre al fatto che quella ragazza sia indiscutibilmente una persona molto disturbata.
 

***

Sembrerà il banale cliché di un criminale qualunque, ma le operazioni notturne sono sempre le migliori. Di certo non avrei potuto colpire la Stark Tower in pieno giorno, con il massimo della sorveglianza attiva. La notte è mia alleata, e adesso devo iniziare il mio piccolo show. Le porte della Torre sono sigillate dall’interno, ho bisogno quindi di qualcuno che le apra per me, inoltre devo far saltare la corrente quel tanto che basta per disattivare momentaneamente i sistemi di sicurezza, e devo infine accertarmi che la lattina che abita al piano di sopra, ci resti. Anche se avendo inquadrato il soggetto, starà sicuramente combinando qualcosa nel suo laboratorio privato. Chissà, magari sta proprio cercando di costruire qualcosa per bloccare me. Sarebbe estremamente ironico!
 
Fase 1: diversivo
 
Nei vicoli trovi le migliori risorse di tutta New York, sono infatti raggruppati vari senzatetto, tossicodipendenti, e qualche ladruncolo. So bene che senza scettro la magia ipnotica non durerà a lungo, ma un tempo limitato mi basta.
“Voi adesso verrete con me” comando tendendo una mano davanti a me, ad un gruppo riunito attorno ad un fuoco improvvisato in un barile vuoto. Uno membro della comitiva si stacca, e viene verso di me tracotante.
“E tu chi diavolo saresti?” domanda spavaldo.
“Qualcuno di cui non avrai memoria”
La fiamma comincia a sollevarsi facendo diventare l’aria una massa tremolante. Un caldo oppressivo si diffonde tutti’intorno, creando un’immagine ondeggiante e distorta dinanzi agli occhi dei miei nuovi servi, come un miraggio dovuto al troppo calore nel deserto. Li vedo portarsi le mani alla testa, cercando di combattere la mia influenza, ma non sono forti abbastanza, falliscono miseramente. Si rialzano e i loro occhi sono inespressivi, il loro sguardo è spento, vitreo, vacuo. Sono completamente assoggettati al mio volere.
Cominciano a camminare come zombie, è stato veramente facile.
Quando il mio piccolo esercito è ben nutrito e completamente sottomesso, ritorno alla torre. I miei schiavi cominciano a tirare pietre contro i vetri, provando ad aprire a spalla le porte ermeticamente chiuse. In disparte assisto all’attacco, posizionandomi in un punto cieco della telecamera esterna. Vedo i guardiani uscire e tentare di sedare la rivolta, ma uno dei miei riesce a rubare la pistola dalla fondina di un custode, prendendo a sparare alla cieca, colpendo infine un uomo. L’eco degli spari è coperto dal solo rombo del tuono del temporale che si sta avvicinando.
Le porte sono aperte, velocemente aggiro quel gruppo di uomini intenti ad azzuffarsi, scavalcando con eleganza il cadavere della guardia che giace stesa sul marciapiede ormai tinto di rosso. Posso vedere la macchia cremisi che gli si allarga sul petto. Mi abbasso, e prendo il suo pass.
“Grazie Kevin” sorrido mentre varco la porta della torre.
In lontananza sento il suono delle sirene delle auto della polizia.
 
Fase 2: trasformismo
 
Sento la magia come una morbida carezza calda e voluttuosa sulla mia pelle, piano il mio corpo sta cambiando. Il buon Kevin mi sarà d’aiuto anche da morto, ormai ho assunto le sue sembianze, ma la trasformazione non durerà a lungo. Adesso devo fare in modo che il mio scettro non reagisca troppo alla mia vicinanza, e per questo devo disattivare il sistema di sicurezza. Se vedessero la sua strana attività potrebbero insospettirsi, e andare a chiamare l’ammasso di ferraglia. Con il pass del custode apro le porte per i livelli superiori, dopo aver recuperato i codici appena cambiati.
Fuori comincia ad infuriare una tempesta.
La torre è deserta, troppo silenziosa, ma io sono solo un sorvegliante impegnato nel suo giro di ronda, che cammina per corridoi dall’anonimo colore beige. Giunto alle ascensori, digito il codice di sicurezza, e premo per i piani superiori. Bene, è giunto il momento di togliere la visuale.
Si dice che un fulmine non colpisca mai due volte nello stesso punto, vediamo se questa teoria è scientificamente provata. Sorrido malvagio:
“Chissà se i sistemi reggeranno a delle scariche elettriche da 200 kiloampere, ad una velocità di 50.000 km al secondo” una risata tagliente mi nasce spontanea mentre mi preparo per il prossimo incantesimo.
 
Fase 3: recupero
 
Esco fischiettando dall’ascensore nell’esatto momento in cui la scarica elettrica si abbatte sulla torre. Tutti i sistemi saltano, le luci si spengono una ad una, e le porte automatiche si aprono per consentire la fuga del personale. Ma a questo livello non c’è nessuno, solo io, che con passo cadenzato percorro il corridoio dei laboratori.
Finalmente rieccolo, il mio scettro, il mio alleato. La magia si dissolve, sono tornato alle mie vere sembianze. Adesso posso anche uscire dalla torre senza essere visto, ma prima voglio lasciare un piccolo ricordino a tutti i Vendicatori.
Un promemoria, oserei dire.
 

***

“Ma che diavolo sta succedendo stasera?” Tony Stark sbuffò visibilmente all’improvvisa mancanza della corrente. “Jarvis, situazione”
“Signore, a parte dei disordini al livello base, pare che una scarica di fulmini abbia arrecato danni ai generatori”
“Impossibile, la torre è autoalimentata, ha riserve energetiche, ho controllato io stesso! E poi quali disordini ci sono stati? Perché non mi hai chiamato?”
“Mi dispiace signore, ma è così. Abbiamo avuto problemi all’esterno con un gruppo che ha assaltato la torre con pietre ed altri oggetti. Lei mi aveva ordinato di non disturbarla.”
Tony sbuffò: quell’interfaccia virtuale prendeva troppo seriamente i suoi ordini. Si poggiò al tavolo pensieroso.
“Non è una semplice coincidenza, qui sta succedendo qualcosa. Ripristina il sistema”
“Sì signore”
Un bussare alla porta fece sobbalzare il magnate, i cui nervi erano tesi come la corda di un violino.
“Signor Stark, polizia, apra la porta”
“E adesso che altro c’è ancora!” brontolò impaziente aprendo la porta “Buonasera agenti, cosa posso fare per voi?” di fronte a lui c’erano due uomini visibilmente provati da un eccessivo sforzo fisico. “Corrente saltata, ascensori bloccate, scale” intuì l’uomo di metallo.
“Era un suo dipendente Kevin Mckid?” disse uno dei due uomini, con voce ancora pesante.
Il respiro gli si gelò in gola
“Jarvis…”
“Sì signore, è un nostro dipendente”
“Cosa è successo” chiese in un sussurro, intuendo la tragica notizia in cuor suo.
“È stato assassinato poc’anzi in quella specie di rivolta avvenuta in strada”
“Mio Dio…”
“Possibile che lei non abbia sentito niente? Questo posto è più controllato del Pentagono…” chiese sospettoso l’altro agente.
“Io… avevo disattivato i sistemi per non essere disturbato, stavo lavorando…” colpevole Tony strinse i pugni, chinando il capo.
“Controlli i suoi sistemi di sicurezza, noi andiamo a risolvere questo casino”
“Aspettate, scendo con voi”
 
Quando i sistemi furono ripristinati, e la situazione al livello inferiore placata quasi come per magia, Tony tornò al livello superiore, molto inquieto. Sentiva che quell’ evento non era una coincidenza.
La battaglia in strada, i sistemi impazziti, la scarica di folgori…la consapevolezza di ciò che era accaduto gli strinse lo stomaco, stringendolo in una morsa di gelo. Quanto sperava di sbagliarsi.
Corse nei laboratori di ricerca con la gola secca, il cuore aveva ormai accelerato i battiti quasi volesse fuoriuscirgli dal torace.
Ma Tony non trovò quello che stava cercando.
Lo scettro era sparito, ed al suo posto vi erano solo un bigliettino, ed un bicchiere con qualche goccia di whiskey all’interno.
“Sono tornato, grazie per il drink” lesse con un groppo alla gola che si tramutò presto in un grido di rabbia e frustrazione.
Accartocciò il foglio scaraventandolo con violenza al suolo.
“Maledetto figlio di puttana” ringhiò tornando ad ampie falcate nel suo studio.
Doveva chiamare a raccolta i Vendicatori, Loki era definitivamente tornato in pista.
 

***
Signore e signori, oggi Loki è tornato in sé, ha smesso di giocare a scacchi e fare il turista l’ha annoiato presto. Ha preferito andarsi a riprendere il suo scettro delle meraviglie XD
Ma ditemi, sto diventando noiosa, la tiro troppo per le lunghe? Vi ho visto meno partecipi nel precedente capitolo, quindi mi chiedevo se vi andrebbe di dirmi se c’è qualcosa che non va, in modo da non ripetere gli errori :D ci tengo a fare le cose perbene ;-)
Detto questo non mi resta altro che augurarvi buona domenica, e vedervi la settimana prossima!
Nel frattempo vi lascio un bel ricordino(anche se sono convinta che come me, avete una cartella di immagini strapiena nel pc): un dio ed il suo scettro
 
 

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Capitolo 11
*** Lei è mia ***


Somewhere, someone's calling me
When the chips are down
I'm just a travelling man
Maybe it's just a trick of the mind, but
Somewhere there's a morning sky
Bluer than her eyes
Somewhere there's an ocean
Innocent and wild
David Bowie – Move on
 
[Da qualche parte qualcuno mi chiama/ Quando il gioco è fatto/ Sono solo un viaggiatore/ Forse è solo un inganno della mente, ma/ In qualche posto c'è un cielo al mattino/ Più blu degli occhi suoi/ In qualche posto c'è un oceano/ Innocente e selvaggio ]
 
Nick Fury fissava la compagnia riunita alla Stark Tower con espressione seria. La sua posa impettita, le mani dietro la schiena e le gambe divaricate, gli conferivano un aspetto imponente e minaccioso. In quel momento era impegnato nell’ascoltare il racconto di Tony, ancora furioso per ciò che era successo.
“…e mi ha lasciato questo” il magnate posò con stizza il bigliettino sul tavolo. Natasha si alzò e lesse ad alta voce.
“Sono tornato, grazie per il drink. Beh, possiamo dire che il senso dell’umorismo non gli manca” nessun altro aveva presenza di spirito da riuscire a commentare.
“Dobbiamo riuscire a trovarlo”
“Capitano Rogers, non credo che la cosa sia così facile. Loki sa nascondersi bene”
“Infatti è per questo che tu eri incaricato di trovarlo, giusto Thor?”
Alle parole del magnate, il dio abbassò lo sguardo.
“Ci sono cose che richiedono il loro tempo”
Tony si alzò di scatto, fronteggiando adirato l’asgardiano, nonostante quest’ultimo fosse decisamente più aitante di lui.
“Il tuo tempo costerà altre morti? No dimmelo, perché così avviso i miei dipendenti, nel contratto inserirò anche la clausola pericolo di morte per mano di alieni psicopatici!”
“Tony, è inutile arrabbiarsi così, dobbiamo convogliare tempo e risorse nella ricerca”
“Bruce, tu che mi fai la ramanzina sull’essere arrabbiato meriteresti il primo volo giù dalla finestra” sibilò a denti stretti.
“Io non credo che Loki colpirà nell’immediato futuro. Ha recuperato lo scettro, ma da solo non basterà per assoggettare quante più persone possibile al suo volere. Dovrà assicurarsi una fonte di energia maggiore, ed il Tesseract è al sicuro ad Asgard” capitan America guardò Thor che annuì.
“Perché, voi credete che il suo scopo sia quello di asservire tutti? Credetemi, non auguratevi mai che quel suo scettro vi tocchi. Non è piacevole essere intrappolati nel proprio corpo, con la consapevolezza di star facendo qualcosa di male, ma non poter far nulla per impedirlo” Natasha strinse la mano di Clint, l’unico ad aver avuto esperienza diretta dei trucchi ipnotici di Loki.
“Indubbiamente il suo scopo è sempre quello di diventare signore di qualcosa. Ovviamente dopo aver provato a far fuori tutti noi” commentò pacatamente il dottor Banner.
“E tu non sembri eccessivamente preoccupato” intervenne Occhio di Falco.
“Perché dovrei esserlo? Una volta tanto l’altro ne ha combinata una giusta inchiodandolo al terreno. Potete sempre mandare avanti me, male che vada accoglierò la morte come un’amica”
“Piacerebbe anche a me infilargli una freccia in mezzo agli occhi…”
“È di mio fratello che state parlando! E lui subirà la giustizia di Asgard” sbottò Thor.
“Questa è una canzone già sentita, Thor. Ti era stato affidato il compito di trovarlo, e non ci sei riuscito. A questo punto desidero che tu ti faccia da parte nelle ricerche, Loki se la vedrà con noi”
Il dio rise, una risata isterica, fredda.
“Vogliamo giocare? Chi lo trova prima lo uccide? Quante volte devo ripetervelo che Loki non uscirà allo scoperto così facilmente?”
“Beh, in primis è te che vuole, quindi potresti anche attirarlo fuori dalla sua tana” commentò sarcastico Tony.
“Non hai davvero capito, uomo di metallo. Solo quando avrà studiato un piano con più vie alternative di fuga rivedrai il muso di mio fratello.”
“Ed è per questo che noi stavolta riusciremo a rintracciarlo. Stark, Banner, voglio che vi trasferiate nuovamente nei nostri laboratori, e collaboriate con il dottor Henry Pym per un nuovo progetto sulla localizzazione del nostro nemico” comandò Fury.
“Henry Pym,(*) lo scienziato del progetto di intelligenza artificiale Ultron?” Bruce inarcò un sopracciglio incuriosito.
“Proprio quello. Le sue doti nel campo della cibernetica e della biochimica si stanno rivelando estremamente utili. Quindi Stark, ti consiglio di tenere a freno la lingua, e prepararti la valigia. Quanto a te asgardiano, sarai reso partecipe dei progressi. Quando riusciremo a mettere le mani sul quel pazzo, decideremo a quale giurisdizione appartiene.”
Thor scosse la testa rassegnato, quegli umani erano veramente testardi. Speravano di riuscire a trovare Loki avvalendosi di mezzi fantascientifici. Suo fratello era un mago potente, e non sarebbe stato così sciocco da farsi scoprire. Si sarebbe rivelato al momento giusto, avrebbe lui cercato loro.
 
***

Dopo il tiro mancino giocato alla Stark Tower suppongo che avrò tutti i riflettori puntati contro. Sicuramente staranno macchinando qualcosa per farmi uscire allo scoperto. Ce li vedo: tutti riuniti attorno alla tavola rotonda, a progettare. Poveri illusi!!! Come se la mia priorità fosse quella di farmi venire a prendere e riportare ad Asgard, o chissà dove.
Da quando sono rientrato con lo scettro però, ho la costante impressione che qualcuno mi stia osservando, qualcuno che non ha niente a che fare con i Vendicatori. È una sensazione decisamente sgradevole, risvegliarmi nel cuore della notte e sentire uno sguardo fisso sul collo, come un coltello sospeso sulla mia testa che aspetta solo una piccola vibrazione, un movimento imprudente, un fruscio di vento, per cadere. Mi alzo sciacquandomi il viso e tamponandolo con l’asciugamano. Fuori c’è l’ennesima tempesta. Pare proprio che qui, quando si avvicina l’inverno, il cielo non smetta di piangere. Seccante. Provo a prendere uno dei libri che sto collezionando durante la mia permanenza qui, se non altro mi aiutano a fare un quadro più dettagliato e completo della razza di Midgard. Ma nemmeno la lettura mi aiuta a scacciare questa sensazione. Guardo fuori dalla finestra la notte di New York, resa luminosa dalle luci, e da lampi nel cielo.
Magari una passeggiata potrebbe aiutarmi, potrei sgranchirmi le gambe, e soprattutto le idee. Eppure sono certo che la mia difficoltà a dormire, la sensazione di essere osservato, non siano eventi casuali. Impercettibilmente è come se avessi captato della magia intorno a me. Eppure è un qualcosa di talmente flebile da non farmi ben comprendere se sia vero, o solo la mia immaginazione sovreccitata dagli eventi.
In fin dei conti ho sempre quella questione in sospeso, e prima o poi dovrò rifarci i conti.
Sì, uscire mi farà bene.
 
***

Non ho preso con me l’ombrello, mi piace camminare sotto la pioggia. Riesce a placare la mia rabbia, in un certo senso la lava momentaneamente via. Le goccioline si infrangono sulla pelle, mentre il vento sferza contro le guance. Mi sento improvvisamente sveglio come non mai, mentre i miei occhi vagano sulla strada percorsa dalle automobili. Anche se è tardi la vita in questo luogo non si ferma mai, almeno in strada.
Da uno dei vicoli sento provenire dei rumori, e una volta passatoci davanti scorgo la sagoma di tre uomini, che fanno da muro a qualcosa che non riesco però a vedere.
“Avanti, smettila di tremare”
“Non potrai andare lontano, il vicolo è cieco”
Parlano e ridacchiano come delle comari. Non è affar mio, inutile che stia qui a guardare, meglio non interferire con le faccende dei midgardiani, qualsiasi esse siano. Proseguo calmo, ma dopo pochi metri mi blocco, colpito da una strana consapevolezza.
No, in quel vicolo sta per accadere qualcosa che so di certo essere affar mio.
Torno sui miei passi, e li rivedo. Loro sembrano non accorgersi di me, mentre continuano a parlare a quel qualcuno ancora nascosto.
 
“Lasciatemi andare, subito!”
Una voce, femminile. Ha una nota…familiare.
“Oh no piccola, tu adesso resti un po’ con noi, vero?”
Vedo l’uomo muoversi e poi con una mossa afferrare la donna, e sbattendola contro il muro violentemente. La sento gemere di dolore, e riesco a scorgerla meglio. Non può essere, quella è…
“Guarda la micetta come mi guarda male. Questi begli occhioni blu dovrebbero solo guardare dolcemente un uomo…” lo vedo umettarsi le labbra e prenderle le braccia, sollevandogliele sopra la testa. Lei continua a dimenarsi, ma con il suo corpo l’altro la schiaccia.
“Avanti, fai la brava, vedrai che tra poco questo incontro prenderà una piega piacevole…” dice l’altro che comincia a passarle le mani sul corpo, fermandosi sulla camicia, e strappandogliela con una mossa secca. La vedo chiudere gli occhi ermeticamente, mentre le lacrime si mischiano alla pioggia.
“Non è un mio problema”, è quello che continuo a ripetermi. E allora perché non riesco a schiodarmi da qui, e a riprendere il cammino? 
Perché come dicevano gli amici di Thor ho sempre provato piacere nelle disgrazie altrui?
Il terzo uomo prende una lunga sorsata dalla bottiglia che aveva tra le mani, si asciuga le labbra con il dorso della mano, poi si dirige verso il muro, dove  la ragazza tremante è ancora imprigionata tra gli altri due. Spacca la bottiglia contro il muro, i cocci cadono al suolo, mentre tiene ancora il collo della bottiglia tra le mani, diventato una tagliente arma. Lo avvicina a lei, che volta il viso, impaurita.
“Possiamo altrimenti decidere di farti collaborare a questo modo…” e leggermente incide la sua pelle, a livello della clavicola. Lei trattiene un grido, mentre un taglio si apre sulla sua pelle.
“Brava, finirà tutto presto, vedrai…ti piacerà” il secondo uomo le accarezza i capelli ormai bagnati, e poi lo vedo portarsi le mani al bacino, e slacciarsi la cintura.
“Sì, ti piacerà…” le si attacca al collo, tormentando la tenera pelle.
“No, vi prego, lasciatemi andare…” mormora come una preghiera, con voce roca rotta di pianto. Li implora, ma loro sono sordi alla sua richiesta. Quante volte le mie orecchie hanno dovuto sentire quel tono lamentoso? Eppure cosa c’è di diverso adesso che mi impedisce di abbandonarla al suo triste destino? Perché sento che la vita di questa creatura umana è…importante? Perché la cara dottoressa Gillian è un’anima pia che salva vite di bambini?
No, non è questo. Lei mi è utile, è un contatto all’interno, un tramite prestabilito. La sua morte rovinerebbe i miei piani.
Lei mi serve.
Lei è mia. 
 
Le gambe cominciano a muoversi spontaneamente, un movimento assecondato da buona parte del mio cervello.
Afferro per la maglia l’uomo con la bottiglia rotta, sollevandolo da terra e scaraventadolo lontano, facendolo impattare con forza contro il muro. Cade al suolo, senza rialzarsi. Gli altri due si voltano sorpresi.
“E tu chi cazzo sei?”
Non rispondo alla domanda, mente mi disfo anche dell’altro, colpendolo con il palmo della mano aperta dritto alla punta del naso, spingendo verso l’interno. Lo vedo accasciarsi dal dolore, mentre il liquido cremisi comincia a scorrergli copioso. Lo vedo toccarsi, e poi svenire. 
Che patetico, è bastata la sola vista del sangue a metterlo fuori gioco.
Ma è per l’ultimo che ho i progetti migliori. Lascia le braccia di Gil provando a colpirmi, miserabili tentativi che schivo con facilità. Riesco a bloccarlo contro il muro, come poco prima lui aveva fatto con lei.
 
“Chi-chi sei tu?” chiede balbettando dalla paura.
Gli sorrido “Ha importanza?”
“Ti prego, ti prego non uccidermi!!!”
I suoi tentativi di implorare pietà mi stringono lo stomaco in una morsa di nausea, mentre sento una rabbia sempre più crescente montare.
“E perché non dovrei? Cosa volevi fare alla ragazza?” chiedo astioso.
“Ah, è per lei! Non volevamo farle nulla, solo divertirci un po’. Non le avremmo fatto del male…” Gli stringo più forte i polsi, sentendo quasi le ossa scricchiolare, mentre il mio sguardo si indurisce.
“Non mi sembra che le abbiate fatto del bene. Ma io non voglio farti del male, dimmi semplicemente la verità”
“No, no, non volevamo farle male!” la frase gli si spegne in mezzo a nuove grida.
“Interessante oggetto di studio l’anatomia umana. Sai quant’è fragile una clavicola?” le guance dell’uomo si rigano di lacrime. Prova a rispondermi, ma dalla sua bocca esce solo un gemito.
“N-no” singhiozza.
“In tre contro una ragazza indifesa. Volevate usarle violenza, ammettilo…”
“Lo giuro davanti a Dio, no!”
Il rumore di ossa spezzate è una musica celestiale. Rotea gli occhi, il dolore gli ha quasi fatto perdere i sensi.
“Allora, riconsideri la tua posizione?”
Farfuglia qualcosa mentre la saliva gli cola sul mento.
“Sì, sì, volevamo abusare di lei, è così!!! Ma ti prego, ti scongiuro, basta, per favore…”
Lo riabbasso al suolo, avvicinando il mio viso al suo.
“Niente paura, non soffrirai più. E soprattutto non toccherai mai più ciò che è mio. Perché vedi, mio buon amico, lei è mia” gli dico dolcemente.
Le mie dita raggiungono il suo collo.
Nei suoi occhi leggo una paura agghiacciante.
Non sente l’ultimo, secco crac.
 
Note
(*) Il Dottor Henry Pym è uno scienziato, personaggio appartenente al mondo Marvel. La sua più grande invenzione sono le "Particelle Pym" che gli permettono di ingrandirsi o rimpicciolirsi a proprio piacimento. Durante la sua carriera, crea il robot chiamato Ultron, e inventa la maggior parte dell'equipaggiamento dei Vendicatori.
 
***
Hola gente!
Visto, oggi Loki ha anche fatto una buona azione, completamente disinteressata…XD 
Povera Gil, ha davvero trascorso un brutto quarto d’ora!
E i Vendicatori, cosa stanno progettando?
Quale sarà mai la questione in sospeso del nostro principino preferito?
Questo ed altro se resterete sintonizzate qui! ^^
Dunque vi dirò, ho immaginato Loki con questa espressione, quando inchioda l’ultimo disgraziato al muro, sussurrandogli il ‘Lei è mia’:
Inoltre ci terrei a sapere se è il caso di alzare il raiting per la scena di violenza, anche se da come ho letto nel regolamento dovrei essere ancora in arancione…ma mi farebbe piacere conoscere il vostro parere, per sicurezza, e non offendere nessuno XD
E comunque, sapete bene dove mettere la bella immaginetta che vi ho postato, giusto? La famosa cartella! :D
Alla settimana prossima! Ciao!

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Capitolo 12
*** Hallo spaceboy ***


Hallo Spaceboy, 
you're sleepy now 
Your silhouette is so stationary
You're released but your custody calls
And I want to be free
Don't you want to be free

David Bowie – Hallo spaceboy
 
[Ciao ragazzo spaziale/ sei addormentato ora / La tua sagoma è così stazionaria/ Sei stato liberato ma il tuo custode chiama/ E io voglio essere libero/ Tu non vuoi essere libero?]

 
Il corpo si affloscia contro il muro, per cadere definitivamente al suolo con gli occhi ancora spalancati in un grido di muto terrore. Mi avvicino all’unico sopravvissuto, ancora svenuto, e con una mano gli tocco la fronte.
“Non ti ricorderai di me, né della ragazza. Ti costituirai alla polizia confessando di aver ucciso i tuoi amici in una lite.”
Mi alzo, anche questa è sistemata. Sono contento di averne lasciato almeno uno vivo che possa addossarsi la colpa di tutto questo.
Sotto la pioggia battente mi dirigo verso la figura che se ne sta rannicchiata in un angolo, la causa di tutto questo macello. Mi abbasso al suo livello, lei ha le ginocchia strette contro il busto, le stringe con le esili braccia, tenendo la testa posata su di esse.
“Gil, è tutto finito”
Lei non da’ segno di avermi sentito, rintanata com’è nella sua paura.
“Gil, se continui a stare sotto la pioggia ti prenderai un malanno” le poso la mano sulla spalla e scatta, come se il contatto con la mia pelle l’avesse ustionata.
“Non toccarmi!” grida, sollevando la testa, fissandomi con occhi sbarrati ed impauriti.
Deve essere ancora sotto shock. Ottimo, potrò manipolarla meglio, non opporrà troppa resistenza.
“Gil, calmati, sono io. È finita”
Sembra razionalizzare ciò che le ho detto, battendo le palpebre due volte.
“Logan?…” sussurra “Dio, Logan, sei proprio tu!” si alza lanciandomi le braccia al collo, un gesto che mi coglie alla sprovvista.
“I-io… non sapevo cosa fare… loro…loro volevano…” non riesce a pronunciare le ultime parole, abbassa gli occhi smarrita, e poi la sento singhiozzare.
“Non ti faranno più del male”
Solleva lo sguardo, piantandomi quei due pugnali di ghiaccio negli occhi.
“Dobbiamo chiamare la polizia, devo denunciare l’accaduto, e…” interrompo quel fiume di parole posandole una mano sulle labbra. Si acquieta.
“Devi tornare a casa, non puoi continuare a stare qui sotto la pioggia. A loro ho pensato io”
“Sì, ho visto…ma tu li hai…loro sono…”
Scuoto la testa “Sono solo svenuti” mento. Non credo che sopporterebbe l’idea di avere intorno un assassino a sangue freddo, anche se è così.
“Ma io, devo…”
“Non devi far niente, solo tornare a casa, e riposare. Non ripeteranno due volte il loro errore, non dopo stanotte. La polizia si occuperà del resto”
Annuisce, guardando i corpi al suolo ancora scossa.
“Potresti salire a casa mia un attimo, ti do dei vestiti asciutti” mormora.
“Va bene”
“Casa mia è a due isolati da qui, non ci metteremo molto ad arrivare” con un gesto nervoso la vedo stringersi la camicetta strappata e macchiata di sangue. Mi sfilo la giacca e gliela porgo.
“Copriti con questa, anche se è zuppa”
Lei mi guarda dolcemente, e sorride. La sfila dalle mie mani, le sue sono gelide.
“Grazie Logan. Grazie davvero di tutto. Non so cosa mi sarebbe successo se…” le parole le muoiono sulle labbra.
“Avanti, andiamo via da qui” affermo prendendola delicatamente per il braccio, facendole capire che se non comincerà a camminare, non riuscirà mai a lasciarsi quel vicolo alle spalle.
 

***

Sotto la pioggia scrosciante ci incamminiamo verso casa della dottoressa; lei è silenziosa, ogni tanto il viso è solcato da qualche lacrima, che prontamente asciuga. Credo le dia fastidio continuare a farsi vedere così spaventata. Finalmente arriviamo ad uno dei grandi palazzi della metropoli, estrae un mazzo di chiavi dalla tasca del pantalone, ed apre il portone. Entriamo nell’atrio bagnando il pavimento, e lei si dirige verso l’ascensore.
“Almeno il portiere non avrà da ridire, l’acqua si sarà asciugata per domattina” abbozza un sorriso, e poi preme il tasto per il quinto piano.
Il marchingegno si mette in funzione, e saliamo. Le porte dell’ascensore danno su un lungo corridoio, costeggiato da ambo le parti da porte numerate.
Sì avvicina al numero 18, ed apre la porta. Entra accendendo le luci.
“Eccoci arrivati. Prego, accomodati.” Mi fa cenno di entrare. Ad occhio e croce la casa non è eccessivamente grande: c’è un piccolo salone con cucina, un tavolo circolare ed un divano, e poi un corridoio laterale con altre tre porte chiuse.
“Ok allora, prima di tutto devi toglierti questi vestiti zuppi, o ti prenderai un raffreddore…se aspetti un momento cerco degli abiti di mio padre, e poi potrai cambiarti, fare una doccia…sarai congelato…” si muove freneticamente, come se il trovare qualcosa da fare, il preoccuparsi per qualcun altro, le impedisse di pensare a ciò che le è appena accaduto.
“Aspetta, non vorrai svegliare tuo padre a quest’ora…si preoccuperebbe di sapere cosa ti è successo, e poi si ritroverebbe me, un perfetto estraneo in casa sua.” Cerco di fermarla, non ho certo bisogno di essere bombardato dalle domande di un padre midgardiano estremamente apprensivo e geloso della sua “bambina”. Lei mi posa una mano sul braccio, guardandomi con fare condiscendente.
“Non preoccuparti, mio padre non è in casa. Non recherai disturbo a nessuno, e poi a me non dispiace se continui a sgocciolarmi sul pavimento” apre la porta della stanza ed entra.
Nel frattempo guardo incuriosito le foto incorniciate al muro. Ci sono lei ed una donna abbracciate al parco, foto di lei con la stessa donna ed un uomo, con strani cappelli rossi in testa davanti ad un albero colorato, altre foto con delle strane forme rotonde, con delle candele sopra…
Sono più che sicuro che questi siano i suoi genitori. Li osservo attentamente: lei ha il sorriso di sua madre, e gli occhi di suo padre. Chissà dove sarà, forse al lavoro…ma che domande mi pongo, come se la cosa mi riguardasse! Scuoto la testa, deve essere lo stress della serata. Lei esce dalla stanza, reggendo tra le braccia i vestiti.
“Ecco tieni, il bagno è in fondo, fai con calma”
Prendo ciò che mi sta porgendo, e la guardo inarcando un sopracciglio.
“Credo sia bene che vada tu per prima”
“No, sto benissimo, e tu sei mio ospite, nonché salvatore. Quindi hai la precedenza. Su, marsh!” mi spinge nel corridoio, senza darmi la possibilità di replicare, e sinceramente non ne ho nemmeno voglia. Se vuole rimanere ancora zuppa non è un mio problema.
Apro la porta del bagno, accendo la luce, e comincio a svestirmi. Ripongo i vestiti nel piccolo mucchio del cesto. Lo sguardo mi cade sulle mani, che si sono macchiate dell’ennesimo delitto. Ma quegli uomini meritavano la morte.
Entro nella doccia, ed apro il getto dell’acqua calda.
Sì, meritavano di morire. Per una volta qualcuno che ho ucciso era colpevole di qualcosa. Non che altri fossero innocenti, ma a volte, quando provi a conquistare un altro mondo, qualche sacrificio va’ fatto, anche se ci sono onesti cittadini sul tuo cammino.
Ma con lei è stato diverso, nonostante sia una donna esasperante, ho sentito la necessità di intervenire. Lei mi serve, e questo è un dato di fatto, ma è anche l’unico umano qui che mi sia in un certo qual modo vicino… intuisce i miei pensieri, mi capisce…forse più di chiunque abbia incontrato in vita mia.
Che la mia quindi sia stata una dimostrazione distorta di gratitudine nei suoi confronti? No, è una sciocchezza, decisamente da escludere. Io che mi lascio andare a questi svenevoli sentimenti…no!
Eppure lo so, c’è qualcosa di diverso in lei, qualcosa che mi sfugge, ma che sento sia importante…una persona che riesce a leggere così a fondo nelle mie emozioni e stati d’animo deve avere qualcosa di particolare.
Comincio a credere che il nostro incontro non sia stato casuale.
Esco dalla doccia afferrando uno dei grandi asciugamani riposti sullo scaffale, e comincio ad asciugarmi.
Però è strano: guardo incuriosito gli oggetti riposti sui mobili, e sugli scaffali. Niente da’ segno che in questa casa viva un uomo.
Ma allora se non è qui, suo padre dov’è?
Sospiro. Di nuovo questa curiosità che si infiltra indesiderata nella mia mente, come se non avessi altro a cui pensare. Mi rivesto, dopo aver sommariamente asciugato i capelli, che cadono in una massa disordinata sulle spalle.
Abiti midgardiani, decisamente strani. Mi osservo allo specchio storcendo il naso. Beh, meglio di niente, i miei vestiti ormai sono fuori gioco.
Riapro la porta, e a piedi nudi mi avvio verso la cucina, dove vedo Gil che si affanna ad aprire i mobili, a preparare qualcosa.
“Ma dove diavolo è finita quella ciotola…” dice con la testa ficcata nel mobile.
“Che stai facendo?” le chiedo.
Lei sobbalza, fissandomi, e sorride incerta.
“Ecco vedi, cercavo una ciotola dove mettere dei biscotti, poi non sapevo cosa ti piacesse, e quindi ho praticamente preso tutto…”
“Vedo…” le rispondo osservando il tavolo sul quale sono sistemate bottiglie d’acqua, quella cosa frizzante che chiamano pepsi, una bottiglia di latte, e dei succhi di frutta.
“Ma se preferisci posso prepararti del caffè, o una tazza di latte caldo, o magari anche qualcosa di più forte…”
Ma quanto parla? Sbuffo.
“Gil”
“Ho del whiskey invecchiato che è una vera bomba, oppure…”
“Gil!” dico alzando il tono di voce, e lei finalmente smette di sproloquiare.
“Va’ a cambiarti, penserai a tutto questo…-indico con un gesto della mano il mucchio sul tavolo- dopo.”
Si strofina le mani sul pantalone.
“Sì, credo che tu abbia ragione, ma nel frattempo serviti pure da solo, casa mia è a tua disposizione.”
La vedo imboccare il corridoio, e poi sento la porta chiudersi.
Ho notato che aveva cambiato i vestiti, liberandosi di quelli ormai rovinati. Li vedo infatti ammucchiati nel contenitore per i rifiuti.
Lo strappo sulla camicia sarà uno strappo alla sua anima per sempre. La violenza non è qualcosa che si riesce a cancellare, di qualsiasi tipo sia, lascia sempre un segno. Guardo l’orologio, sono le due del mattino, prendo un paio di biscotti dalla scatola, e mi siedo sul divano in pelle.
È stata una lunga giornata, sento un torpore invadermi le membra. Ma non posso addormentarmi qui e adesso, devo andarmene, tornare a casa mia. Questa è l’ennesima volta in cui l’umana mi ha messo in difficoltà. Ma che ci faceva in giro a notte fonda? Devo ricordarmi di chiederglielo, appena esce da lì dentro. Ora potrei chiudere gli occhi per un attimo; chiuderli solo per un po’.
 

***

“Logan, ehi Logan svegliati…ti farà male la cervicale se continui a dormire in quella posizione…” una voce morbida, gentile, mi richiama alla realtà. Apro gli occhi, e trovo il viso di Gil a pochi centimetri dal mio, e la sua mano posata sulla mia spalla.

“Quanto ho dormito…” chiedo cercando di riprendermi.
“Circa venti minuti. Mi è dispiaciuto svegliarti, ma quel divano è scomodissimo per dormirci…vuoi che ti prepari qualcosa di caldo? Una tazza di tè magari…”
“Sì, non è una cattiva idea” le dico. In effetti dentro di me si è instillato una sorta di gelo, a causa di tutta quella pioggia. Qualcosa di caldo mi farà bene.
“Ottimo” risponde lei, sempre sorridendomi, e cominciando a mettere dell’acqua nel bollitore, disponendo poi due tazze sul piano cucina. Nel frattempo sistema di nuovo il resto della roba nei vari scaffali, e nel frigorifero.
Ha di nuovo cambiato vestiti: indossa una specie di abito lungo fino a metà gamba, di un profondo blu, sorretto da piccole spalline. La scollatura mostra il taglio sulla clavicola, sul quale ha applicato una sostanza rossastra, che se non vado errato risponde al nome di mercurocromo.
La pelle chiara risalta con quella tonalità di rosso.
È la prima volta poi che la vedo con i capelli completamente sciolti. La massa riccia ricade opulenta sulle sue spalle.
Adesso non faccio fatica a capire perché quegli uomini la volevano.
Il piccolo abito, che credo qui sia noto come ‘camicia da notte‘, le si aggrappa alle curve, il collo delicato, i lineamenti fini del viso…la bocca piena, e quegli occhi di ghiaccio nei quali la freddezza non esiste, nemmeno per i suoi aggressori…nemmeno per me…una creatura che può apparire fragile, ma che in realtà nasconde in sé una forza tale da farla reagire alle difficoltà. Tutto questo la rende estremamente…desiderabile.
 
No, no, no! Non ho tempo, non posso cominciare a pensare a lei in questo senso. È un mezzo, uno strumento, non c’è di più in questo guscio. Devo continuare a vederla come sempre: una donna noiosa, irritante, saccente, impicciona, e prolissa.
Ma è anche vero che è una bella donna noiosa, irritante, saccente, impicciona e prolissa. Ed io sono pur sempre un uomo, non un essere asessuato, quindi posso permettermi di divagare un po’…
“Ecco fatto” si volta interrompendo i miei pensieri. “Gradisci latte, limone, zucchero nel tè?”
“Un cucchiaino di zucchero, grazie” no, sta provando ad abbindolarmi con la sua gentilezza, la verità è questa.
“Tieni” si avvicina porgendomi la tazza, e sedendosi accanto a me sul divano. Prendo la tazza fumante, e dopo aver soffiato piano all’interno, bevo una sorsata. La vedo fare altrettanto, con lo sguardo però perso nel vuoto.
“Che ci facevi fuori così tardi?”
Mi risponde prontamente “La stessa cosa che ci facevi tu”
“E sarebbe?”
“Pensare” ha indovinato di nuovo.
Prende un altro sorso di tè, sistemandosi sul cuscino.
“Doveva essere estremamente importante per spingerti ad uscire così tardi”
“In effetti sì. E tu invece, avevi qualcosa di importante su cui riflettere?”
Annuisco, ma continuo a parlarle “Hai corso un bel rischio per la tua passeggiatina di salute notturna…”
“Già, sono stata una vera imprudente. Ma credo che anche per un uomo come te, le strade di New York non siano sicure”
“Io so badare a me stesso” affermo.
“Ed io no, giusto?” mi guarda sfidandomi. Ma poi si addolcisce “Non fraintendermi, ti ringrazio davvero per quello che hai fatto per me, anche se non sono il tipo di persona che crede che con la violenza si risolvano i problemi. Ma a quanto pare in certe circostanze sembra non esserci altra alternativa… ed io odio sentirmi così…”
“…debole” completo per lei.
“Debole” ripete stringendo con la mano l’orlo della camicia da notte. “Sai, non è stata una buona giornata, e volevo passeggiare sotto la pioggia. È qualcosa che riesce a calmarmi”
“Cos’è successo?” chiedo stranamente interessato a ciò che ha da dire.
Si alza e ripone la tazza sul tavolo, poi si risiede, portando le gambe lateralmente, poggiando il gomito alla spalliera del divano e la testa sulla mano.
“Io vivo sola da tre anni, da quando mio padre è stato ricoverato”
Si prende una pausa, e poi continua “È malato di Alzheimer. Ed oggi non ha riconosciuto nemmeno me, Logan. Per questo motivo non è stata una buona giornata” gli occhi si ricoprono di una patina lucida, ma trattiene le lacrime.
“All’inizio ha cominciato con il dimenticare piccolezze della giornata, come ad esempio dove aveva lasciato le chiavi di casa, cosa aveva mangiato a pranzo…poi la situazione è cominciata a peggiorare con confusione, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, e perdita della memoria a lungo termine. Non credevo però che il tutto potesse precipitare così repentinamente…e da medico credimi, è una cosa terribile conoscere tutto di una malattia, ed avere la consapevolezza di non poter far niente, solo tamponare gli effetti, poiché una cura non esiste. Finché ho capito che da sola non avrei potuto più continuare, ed ho dovuto prendere la decisione di portarlo in una struttura adeguata. Cerco di andarlo a trovare tutti i giorni, lavoro permettendo, ma oggi, quando non mi ha riconosciuta…davvero non credevo di poter più provare un dolore così forte, tale da mozzarmi il respiro. Quindi, ora conosci tutta la mia triste storia, bella eh? Ho quasi sperato che quei tizi mi uccidessero. Mio padre ha sofferto per la perdita di mia madre, ma ora ha dimenticato. Io vivo in una casa di fantasmi, circondata da ombre del passato, senza nient’altro al quale aggrapparmi.”
Ascolto in silenzio il suo racconto.
“Ma poi quando pensavo che fosse giunta la mia ora, sei arrivato tu. Il che vuol dire che magari c’è ancora qualcosa che devo fare, qualcosa al quale posso appigliarmi. Quindi ti ringrazio, per essere stato colui che mi ha portata indietro, anche se con metodi poco ortodossi…”
Non mi ero accorto durante, il suo discorso, che aveva portato la sua mano sulla mia.
Io vivo, respiro, solo per la vendetta, è l’unico sentimento che mi tiene ancora in vita. Il sapere che un giorno potrò avere la mia rivincita su tutto e tutti. Non provo sentimenti così nobili come i suoi. Pietà, compassione, perdono…cose delle quali conosco la definizione da vocabolario, niente di più. Credo si aspetti che le dica qualcosa, ma non so cosa di preciso.
“L’avrebbe fatto chiunque” improvviso.
“No, qualcun altro avrebbe continuato a tirare dritto, ignorandomi. Ma tu non l’hai fatto”
“Volevo farlo” penso. Poi il mio sguardo viene attratto da qualcosa di rosso vivido.
Il taglio si è riaperto, ed una goccia di sangue le sta scivolando nella scollatura.
“La ferita, sta sanguinando di nuovo” le dico.
Si porta una mano alla clavicola, macchiandosi la punta delle dita.
“Maledizione” sibila. “Logan per favore, mi prenderesti il disinfettante dal mobiletto sulla sinistra in bagno, mentre io cerco la polvere cicatrizzante? Non pensavo fosse così profondo…”
Annuisco, e torno poco dopo con la bottiglietta in questione. Lei prende del cotone idrofilo, e versa il contenuto. Poi lo pone sulla ferita.
“Ahi, brucia…” storce la bocca in una smorfia di fastidio, e continua a tamponare.
Oh, tante storie, per un taglietto! Se non mi sbrigo la porterà per le lunghe. Ormai sa già che non sono normale quindi posso approfittarne.
“Aspetta, aspetta, faccio io” le dico riprendendo posto sul divano.
“Cosa vuoi fare?” domanda sospettosa.
“Rimarginare la tua ferita. O preferisci continuare con il tuo metodo e guaire come un animaletto, con quell‘aria spaurita?” le rispondo pungente.
“Ok…” dice poco convinta.
Traggo un bel respiro, e poi comincio a passare la punta dell’indice per tutta la lunghezza della ferita. Piano il taglio comincia a rimarginarsi sotto le mie dita, e sotto il suo sguardo stupito. Quando termino sono soddisfatto, è la prima volta che uso la magia per guarire qualcun altro oltre me stesso.
Rialzo il viso dalla mia opera, incontrando i suoi occhi, a pochi centimetri dai miei, sorride contenta.
“Grazie! Non è nemmeno rimasta la cicatrice!”
“Che ti aspettavi, un trucco da salotto?” inarco un sopracciglio, beffardo.
“Cavolo no, servirebbero anche a me i tuoi poteri…”
“Cos’ hai provato mentre ti guarivo?” le chiedo curioso.
Lei arrossisce, ma continua a guardarmi.
“…caldo. Una sensazione di tepore che si è espansa per tutto il corpo”
 
Un sorriso lieve increspa anche le mie labbra, ed i nostri sguardi si incontrano ancora, mentre cade un pesante silenzio, carico di una strana tensione, sottolineata dai nostri respiri più lenti, profondi, e pesanti.
No, le distanze vanno aumentate, questa vicinanza non è un bene per nessuno.
Potrebbe essere fonte di qualche sciocchezza irreparabile.
Eppure perché non riesco ad allontanarmi da quegli occhi così gentili? Basterebbe poco per colmare lo spazio…dovrei lasciarmi andare…così vicina…
No!
 
“Io dovrei andare adesso” mi alzo in piedi, ponendo distanza tra di noi.
“No! Per favore, non andartene…” mi dice ancora impaurita. “Per favore, stanotte non voglio rimanere sola…non andare via. Ho paura di risvegliarmi e sentire ancora le loro mani su di me…” implora con le parole, e con lo sguardo.
Sospiro, non posso dirle di no, non stavolta.
“Va bene, resto”
Il viso le si illumina, rivolgendomi l’ennesimo sorriso di gratitudine.
“Allora vista l’ora tarda, direi che potremmo anche andare a dormire”
“Sì, non è un’idea malvagia” le dico ironico.
“Ok, beh però…ecco, la stanza dei miei genitori non ha il letto rifatto, e il divano è scomodo…quindi, insomma, ti creerebbe fastidio dormire con me?”
“Alla luce di poco fa, forse sì” mi dico, ma no, ho abbastanza autocontrollo da non fare mosse azzardate. “No, nessun problema”
“Ottimo, allora vieni.”
Spegne la luce in cucina, mi fa strada verso la sua camera da letto, una volta entrata accende la lampada sul comodino, e mi guarda, mentre faccio vagare lo sguardo sulla quantità di libri presente in questa camera.
“Sì, beh, non a tutte le ragazze piace collezionare scarpe. Mi piace leggere.” ride nervosa, sollevando la coperta dal letto.
“Lo vedo…” rispondo flemmatico. Ma mi colpisce un pensiero, e aggrotto le sopracciglia.
In realtà solo adesso capisco che mi aveva incastrato: gli abiti che indosso, sono abiti da notte. Sapeva che non le avrei detto di no. Mi ha ingannato! Piccola volpe dalla finta aria ingenua!
Ormai però sono qui, e non posso tirarmi indietro, ma quando meno se l’aspetta mi vendicherò di questo tiro mancino. Mi sdraio sotto le lenzuola profumate, poggio la testa sul morbido cuscino, e sento la stanchezza sopraffarmi.
“Allora, buonanotte” mi dice Gil spegnendo poi la luce, e lasciando la camera nell’oscurità.
“Buonanotte” replico pacato.
 
La sento però continuare ad agitarsi, credo sia ancora nervosa, e scossa; certi ricordi con il buio della notte diventano ancora più mostruosi. Si muove piano, avvicinandosi a me di più, in cerca di calore umano. Non ho forza nemmeno per imbarazzarla, la lascio fare. Mi si accoccola al fianco, emettendo un sospiro soddisfatto. La sua mano si avvicina, e l’ultima cosa che sento prima di chiudere gli occhi, sono le sue dita che si intrecciano alle mie.
 

***

“Ciao ragazzo spaziale, sei addormentato ora? La tua sagoma è così stazionaria! Sei stato liberato, ma il tuo custode chiama. E io voglio essere libero. Tu non vuoi essere libero?”
Il canticchiare di una voce sconosciuta mi arriva alle orecchie, destandomi dal sonno. Apro gli occhi, trovando sopra di me il viso di una donna dalle pupille verticali come i felini, e gli occhi gialli.
“Ciao Cheshire, che ci fai qui?” la riconosco, e mi alzo, facendo piano per non svegliare la ragazza.
“Salve, dio degli inganni. Sono qui per conto della mia padrona” la mutante scompare in una folata di fumo viola, per riapparire seduta sulla sedia della scrivania.
“La tua padrona che mi tiene d’occhio da qualche giorno, giusto?” ecco spiegata la spiacevole sensazione.
“Esatto. Vuole sincerarsi che tutto proceda secondo i piani”
“Tutto procede senza intoppi” affermo sicuro di me.
“Ed inoltre, si complimenta per la scelta del tuo nuovo giocattolino” dice indicando con le dita artigliate Gillian, che continua ignara a riposare.
“È solo il mio tramite magico, niente di più” le dico tranquillo.
“Ma voi state costruendo un…legame. La padrona dice che è una cosa buona, perché aumenterà la potenza della magia, quando dovrai usarla come tramite.”
“Capisco” rispondo pensieroso. “Ma tu sei qui anche per un’altra ragione, vero?”
Il sorriso della donna dai capelli rosa si allarga. In questi momenti assomiglia davvero ad un felino, con i suoi denti appuntiti.
“Ti ho portato questo” mi lancia un foglio, sul quale sono scritte delle annotazioni.
“E cosa sarebbe?”
“Ti servirà nel prossimo futuro, per la seconda parte del piano”
Lo piego, e lo ripongo nella tasca del pantalone.
“Bene, adesso devo ritornare nella nostra dimensione, essere un teleporta tra le dimensioni mi permette di rimanere per poco. Ricorda asgardiano che noi ti teniamo d’occhio, sapremo se ci starai tradendo. E la signora non sarà felice di appurare che ha stretto patti con un traditore…ha altri mezzi per uscire dalla dimensione, il tempo necessario per ucciderti” ghigna malefica.
“Andrà tutto secondo i nostri piani, dormite notti tranquille”
“Anche tu, dio degli inganni” mi dice scomparendo.
Mi risistemo nel letto, nervoso.
Alla fine la mia questione in sospeso è tornata, credevo di avere ancora tempo, ma a quanto pare il secondo atto deve avere necessariamente inizio.
 

***
Rieccomi qui!
Allora prima di cominciare magari ad alcune di voi la reazione di Gillian potrà sembrare innaturale, ma vi spiego: lei è ancora sotto shock, ed è normale che veda nella figura di Loki il suo salvatore. Di fronte al rischio di morire vige la legge della sopravvivenza, della preservazione.
Mors tua, vita mea.
E poi Loki, da gran paraculo che è, ha sistemato già tutta la situazione, svicolandosela come sempre :D
Stava persino lasciandosi andare al lato rosa della vita…
E inoltre, chi sarà la signora nominata da Cheshire? (personaggio inventato da me, e ispirato appunto al Cheshire Cat di Carroll)
Cosa c’è scritto sul foglio?
Quali sono gli altri piani di Loki e della sua alleata?
Questo ed altro prossimamente sugli schermi di efp!
A presto! ^.^

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Capitolo 13
*** Processo di eliminazione ***


They hated every part of me
Expect me to forget it
They tried so hard to bury me
But I survived it every time
Convicted of every crime
Silently doing time
But when I get outta here
I wanna make it clear
Vengeance is mine
Vengeance is mine, mine, mine
To forgive is divine
But vengeance is mine, mine, mine
Alice Cooper – Vengeance is mine

 [Hanno odiato ogni parte di me/e si aspettano che lo dimentichi/ hanno provato così caparbiamente a seppellirmi/ ma sono sopravvissuto ogni volta/ colpevole di ogni crimine/ agendo silenziosamente nel tempo/ ma quando esco fuori da qui/ voglio che sia chiaro/ la vendetta è mia/ la vendetta è mia, mia, mia/ perdonare è divino/ ma la vendetta è mia, mia, mia]
 
“Un comportamento gentile verso una vita umana” la Nornir soddisfatta continuava a tessere l’arazzo della vita.
“Skuld, tu sei troppo comprensiva con il nato Jötunn”
L’altra scosse la testa “No Urðr, mi limito semplicemente a constatare i fatti”
“E quali sarebbero i fatti?”
“Verðandi, avete visto cosa ha fatto, no? L’ha salvata, ha provato un’emozione…”
La Nornir sospirò “Sorella, l’ha fatto solo per un suo scopo, dovresti davvero smetterla di appoggiare quel piccolo ribelle”
Skuld sorrise, più che decisa a mantenere la sua posizione.
“E poi lei è tornata, sa cosa succederà, è nostra nipote…”
“Dovremmo fare qualcosa, avvisare Odino” le due divinità erano allarmate.
“Sorelle, calmatevi. Sapete benissimo che non possiamo intervenire, possiamo farlo solo in caso di estrema necessità”
“Ma Skuld…” obiettò la sorella.
“No, Urðr, noi non interverremo” affermò decisa. Le sorelle la guardarono scettiche, e lei sorrise dolcemente.
“Non guardatemi così; è vero, lei ha visto il futuro, sa cosa accadrà. Ma sapete anche qual è la cosa bella del futuro?” le due Nornir scossero il capo.
“Che può sempre cambiare”
E tornarono a tessere.
 

***

“Ma dai, puoi restare ancora un po’ non mi dispiace avere compagnia” la ragazza cantilena petulante.
“Te l’ho spiegato, oggi ho qualche servizio da sbrigare” affermo sufficiente.
“Ma dai Logan, è domenica!”
“…e quindi?”
“La domenica ci si riposa…”
Un lungo respiro è ciò che mi serve. Dopo la visita notturna di Cheshire ho proprio bisogno di lasciare questa casa, e pensare anche ai miei affari. Non sapevo che quando si facesse una buona azione per loro, questi umani si prendessero il dito con tutta la mano. Ecco perché adesso più che mai mi pento di ciò che ho fatto precedentemente.
“Purtroppo non si può dire che oggi io mi possa rilassare. E poi tu sei di riposo, solitamente lavori sempre, no?”
Incrocia le braccia al petto, guardandomi severa.
“Beh, sì…E va bene signor zelante tutto obblighi e doveri, vai pure, ma bada bene a non sparire nel nulla” sorride accompagnandomi alla porta.
“Chissà perché ma sento che probabilmente mi ritroveresti…” le rispondo prendendola in giro.
“Certo che sì, puoi scommetterci! Ritroverei il mio salvatore in capo al mondo!”
Inarco un sopracciglio aprendo la porta.
“Ah, e hai programmi per il Ringraziamento? Potresti unirti a me e agli zii, ne sarebbero contenti…” la vedo giocherellare con le dita nervosamente, guardandomi speranzosa.
Non ho la benché minima idea di cosa sia questo Ringraziamento, ed è meglio quindi darle una risposta evasiva.
“Vedremo, controllerò i miei impegni”
“D’accordo come vuoi tu” agita la mano davanti ai miei occhi, sorridendo. “Allora ci vediamo in giro, ancora grazie per…beh, per tutto” sorride mentre io mi volto, con le mani in tasca.
“Ci vediamo in giro” le dico, e sento poi la porta chiudersi.
 

***

Mentre ripercorro sotto il tiepido sole del mattino la strada per tornare a casa, la mia mente torna agli eventi della notte scorsa. Dopo l’arrivo di Cheshire, Gillian ha cominciato ad avere incubi, stringendo il lenzuolo, mormorando nel sonno, agitandosi. Credo fosse ancora a causa dello shock, dato che d’improvviso si è alzata di scatto con il respiro affannoso, gli occhi sbarrati, ed un rivolo di sudore sulla tempia.
Ha abbandonato il letto senza nemmeno darmi il tempo di chiederle come stesse, rifugiandosi in bagno, dove ho sentito l’acqua scorrere poco dopo. Erano le sei del mattino.
Credo che a questo punto sia stata la reazione più normale quella di chiedermi di restare, era ancora impaurita. Ma non posso cambiare i miei piani per puro spirito di cortesia. Mi viene da sbuffare, già il fatto che ci stia ripensando non è un buon segno. Che mi senta in colpa per averla…abbandonata? No, questo è davvero il pensiero più assurdo e sciocco che mi abbia sfiorato in queste ore.
 
Finalmente torno a casa mia, è giunto il momento di partire per una nuova gita fuoriporta. Riprendo il foglio che lei mi ha lasciato.
“Va’ suSvartálfaheimr(*), saprai cosa fare lì, dio degli inganni. Devi cominciare con la punta della piramide: processo di eliminazione” e per firma un’elaborata A.
So benissimo cosa fare nel paese degli elfi neri, mi devono qualche favore. Processo di eliminazione…ho capito a cosa di riferisce, molto astuta, io avrei fatto esattamente la stessa cosa. Indosso le mie vesti regali, ed armato di scettro, sono pronto a varcare la dimensione.
Il viaggio non è che un battito di ciglia, e mi ritrovo nel regno oscuro di Svartálfaheimr, situato nel sottosuolo.
Tutto è un enorme intreccio di gole e gallerie umide e soffocanti, simile ad un enorme formicaio, rischiarato dalla sola luce delle fiaccole.
Gli Svartálfar sanno ormai del mio arrivo, mi spiano con i loro occhi da quando sono entrato nella prima galleria. Sono assassini feroci e spietati, si muovono veloci come fatti di pura essenza della notte. Eppure non sono dotati di quantità elevate di magia, possono compiere solo deboli sortilegi, fanno molto più affidamento sulle loro agilità ed astuzia.
Arrivo ad una gigantesca caverna, davanti a me un piccolo sentiero di pietra grigia si snoda attraverso un lago dalle acque torbide e buie, specchio di onice riflettente la luce delle torce simili a fuochi fatui. Altezzoso e con passo sicuro proseguo il mio cammino, fino ad arrivare all’altra sponda, dove scolpito nella parete c’è un enorme viso, con occhi vuoti minacciosi, naso prominente, ed una larga bocca. Sul trono di pietra è seduto il re degli Svartálfar, Dvergar.
 
“Salute a te, Dvergar, Re del popolo oscuro”
“Salute a te, figlio di Odino” risponde con voce sottile, tenendo il viso coperto dal cappuccio della sua veste purpurea. “I miei mi hanno avvisato del tuo arrivo. Per quale motivo sei venuto a Svartálfaheimr?”
“Sono qui perché è ora che ripaghi qualche debito che hai con me”
Lo vedo sistemarsi sul trono di pietra, unendo le punte delle mani bianche, scarne, ed ossute.
“E come vorresti che ripagassi il mio debito con te, dio degli inganni?” calca l’ultima parola con una nota di disprezzo nella voce.
“Via non essere così ostile, eri molto più amichevole quando ti ho aiutato a sottomettere i nani che hanno scavato queste gallerie dove sorge la tua casa…”
“Sì, figlio di Odino, so bene cosa hai fatto per noi”
“Eppure sento che sei reticente a darmi ciò che mi spetta” rispondo minaccioso.
“No, ti darò quello che vuoi, a patto che tu consideri il nostro debito estinto”
“Sono qui appunto per questo…”
“Allora fa la tua richiesta”
“Ho bisogno del migliore tra i tuoi trasformisti”
Lo vedo sollevare il busto dalla spalliera, interessato alla richiesta.
“Un trasformista? E a cosa ti serve?”
“Il nostro accordo non prevedeva domande indiscrete, ma visto che voglio essere cortese con te ti dirò: processo di eliminazione”
Una piccola scossa scuote la terra, vedo le increspature sulla superficie dell’acqua allargarsi in cerchi sempre più grandi. Dvergar è nervoso.
“Gylfi!” chiama alzando il tono della voce. Dall’aria si materializza in ginocchio uno degli elfi oscuri.
“Eccomi signore, ai vostri ordini”
“Tu seguirai il dio degli inganni su Midgard, e farai tutto ciò che ti ordinerà, sono stato chiaro?”
“Sì signore”
L’elfo si alza, la pelle sembra carta velina, tanto è bianca ed evanescente. La lunga chioma corvina gli arriva alla cintola, solo gli occhi, verdi, somigliano a tizzoni ardenti.
“Bene Dvergar, è stato un piacere. Ti riporterò Gylfi non appena la missione sarà conclusa”
“Bada a riportarmelo intero, Loki. E assicurati anche di tenere la tua testa ben attaccata sul collo. Se farai qualcosa che possa mettere in pericolo Gylfi, lo autorizzo a staccarti quel tuo bel capo asgardiano”
“Amico mio…” mi avvicino a lui parlandogli all’orecchio “Tra noi due tu sei l’ultima persona che può dettare legge qui” gli scosto velocemente il cappuccio dal capo, esponendo il suo volto diafano sormontato da una chioma bluastra, e con un incantesimo la sfera nel mio scettro si illumina di una luce talmente intensa da rischiarare ogni angolo della caverna. Sento un grido stridulo di dolore echeggiare tutt’intorno.
I due elfi oscuri si proteggono gli occhi, mentre sulla pelle bianca compaiono ustioni rosse dovute alla forte luce che loro proprio non tollerano. Il che è normale, dopo aver vissuto un’intera vita sottoterra. Fortuna che Gylfi sia un trasformista, mutandosi non subirà gli effetti del sole su Midgard.
“Che tu sia maledetto, figlio bastardo di Odino!” esclama con disprezzo il re, scostando il braccio dal viso, e guardandomi con i suoi occhi iniettati di sangue.
Rido beffardo “Arrivi tardi, amico mio. La mia maledizione me la porto dietro da tempo ormai. Vieni Gylfi, torniamo su Midgard” il trasformista si ricompone, riacquisendo compostezza, seppur ancora dolorante, e si mette al mio seguito.
Lascio il re degli elfi oscuri a leccarsi le ferite nel suo bel mondo notturno, provando un dolce senso di soddisfacimento, come quello di un bambino che vede esaudito dopo tanta pena ed insistenza, il suo capriccio.
 

***

Ho tenuto le finestre chiuse, in modo da dare al trasformista modo di non bruciarsi ulteriormente.
“Benvenuto su Midgard, elfo” gli dico una volta rimesso piede in casa mia.
“Grazie signore”
“Adesso seguimi, ti mostrerò in chi dovrai mutarti”
Gli mostro le immagini di un capitano dei marines con accesso a livelli di sicurezza elevati del Pentagono. Una cosa che mi è stata davvero utile nella mia precedente operazione, è stata quella di entrare nella mente di Clint Barton, dove ho potuto non solo schiavizzarlo servendomi della sua abilità, ma ho potuto dare una sbirciatina a tutte le personalità di spicco nel loro settore, e a tutte le basi segrete dello S.H.I.E.L.D. al mondo. Ed ho giusto bisogno che il mio amico oscuro impersoni uno di questi uomini, per attirare la mia preda fuori dalla tana.
“Capitano James Kepner. Ti tramuterai in lui, e poi condurrai ad una delle basi segrete qui a New York l’altro ospite…” gli dico mostrandogli una foto del mio vecchio conoscente Nick Fury. “Preparerò appositamente una stanza per lui, dove potremo lasciarci andare ad allegre memorie”
“È tutto signore?”
“Per ora sì. Ti avvertirò quando la tua missione sarà conclusa, e potrai tornare a casa. E… fai davvero onore al tuo popolo!”
L’elfo si era già mutato nel capitano.
“Ti manderò alla base S.H.I.E.L.D., devi chiedere espressamente di Fury, dicendo che è richiesta la sua presenza immediata per una svolta nel caso Loki di Asgard…e lo porterai qui, al deposito abbandonato tra l’ottava e la nona. Niente scorte ufficiali, solo voi due, sono stato chiaro? Qualora dovesse insospettirsi, agiremo di conseguenza”
“Di conseguenza, signore?”
Mi stringo nelle spalle “Per quanto la prospettiva di torturarlo mi intrighi e diverta enormemente, se dovesse darci noie, lo uccideremo. Un semplicissimo processo di eliminazione”
“Sì, signore”
“E adesso il tocco finale” gli dico porgendogli un pass per la struttura “Gli umani sono fissati con i codici di sicurezza, facilmente bypassabili con la magia. Sii autoritario, non accettare un no come risposta”
L’elfo annuisce, ed io sorrido serafico.
“Bene, è ora di andare”
 

***

Lascio Gylfi allo S.H.I.E.L.D., mente io mi avvio al luogo dell’appuntamento. Saprò se c’è qualcosa che non va,  anche se il mio nuovo amico può cavarsela benissimo da solo contro i midgardiani.
Ma qui c’è molto da fare, sto per ricevere un ospite molto gradito.
 

Note
(*) Svartálfaheimr è, nella cosmologia della mitologia norrena, uno dei Nove Mondi (Nío Heimar), individuato nel sottosuolo, dove dimorano gli Svartálfar o Døkkálfar, elfi oscuri. Il termine deriva dal norreno, significa letteralmente Paese degli elfi neri, in antico inglese Sweartælfaham. Esistono pareri discordanti del rapporto dei Svartálfr con i nani, alcuni studiosi affermano che essi coabitavano, altri che si trattasse dello stesso popolo.
 

***
Ok, lo so, sono un’imperdonabile ritardataria, chiedo perdono!!! T_T
Inoltre questo non è un granchè di capitolo, quindi avete tutto il diritto di lanciarmi pomodori, cavoli, e uova marce!
Ma torniamo a noi, ho finalmente trovato il volto della mia protagonista femminile, e ve lo lascio qui : Gillian
E per farmi perdonare vi lascio un’altra foto da aggiungere alla famosa cartella : il buon Tom
Alla prossima!!! :D

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Capitolo 14
*** L'Orlando Furyoso ***


Che ben fu il più crudele e il più di quanti
mai furo al mondo ingegni empi e maligni,
ch'imaginò sì abominosi ordigni.
Ludovico Ariosto – Orlando Furioso

 
Gylfi strisciò il pass nell’apposito apparecchio, e la porta si aprì dinanzi a lui.
“Accesso consentito” disse l’atona voce elettronica.
“Capitano Kepner”
“Riposo soldato. Ho bisogno di parlare urgentemente con Fury”
“Mi dispiace signore, ma il generale Fury in questo momento è molto impegnato e…”
“Non accetto un no come risposta, vai a chiamarlo, subito. Ordini dall’alto” disse autoritario l’impostore.
“S-sì signore” rispose l’altro balbettando intimorito.
Pochi minuti dopo il passo pesante di Fury risuonava nel corridoio illuminato dai neon.
“Spero per te che sia importante, Jim, ero nel bel mezzo di una riunione con i cervelloni per via di quel dannato apparecchio che non è ancora messo a punto…”
“È maledettamente importante, Nick. Una svolta nel caso Loki di Asgard”
Il capo lo guardò incuriosito, e sospettoso.
“Perché non ne sono stato informato subito?”
“Hanno mandato me ad informarti personalmente, ma mi hanno espressamente chiesto di parlarne in privato, non qui. C’è l’altro asgardiano che potrebbe sentire tutto, e partire alla caccia di quello scellerato del suo parente”
“E così quelli del Pentagono hanno scomodato te per darmi la notizia? Bastava una telefonata”
“Cosa vuoi che ti dica, Nick? Anche io sono felice di rivederti?”
L’altro sospirò.
“Bene, allora andiamo”
Con un mezzo sorriso il capitano Kepner fece strada al suo collega.

***


La vecchia base segreta sorge in un complesso di hangar utilizzati per il deposito di rimorchi per navi. I tetti cadenti sono ormai arrugginiti, i vetri rotti da qualche balordo vagante, mentre i graffitari ne hanno decorato la superficie; ci sono poi parecchi container aperti e polverosi nello spazio antistante l’hangar. Vedo da un monitor Fury scendere alla debole luce delle lampadine le scale in ferro battuto, fino ad arrivare ad una pesante porta metallica.
“Accesso consentito” dichiara la solita voce dopo il riconoscimento del finto capitano.
Eccoli qui, in questa enorme sala sotterranea piena di apparecchiature in disuso, con una struttura centrale, che Fury non fatica a riconoscere. Leggo la sua espressione: ha capito di essere finito in una trappola, facendosi imbrogliare come un novellino.
 
“Gylfi…” do l’ordine all’elfo che afferra il mio conoscente in una morsa salda, e prima che possa ribellarsi lo scaraventa nella prigione pronta ad accoglierlo.
Lo vedo tamponarsi con il dorso della mano il labbro spaccato a causa dell’impatto con il suolo ed il vetro rinforzato. Guarda astioso dinanzi a sé.
“Loki” pronuncia il mio nome con disgusto.
Emergo dall’ombra, con la sola luce del neon ad illuminare la scena.
“Tu guarda chi è venuto a trovarmi…il generale Fury, il capo dello S.H.I.E.L.D., un uomo con un addestramento tale che mai sarebbe potuto cadere in una trappola” lo derido.
“A quanto pare la svolta nel tuo caso era reale”
“Sì, eccomi qua!” allargo le braccia affettando poi un inchino. “Sai, sono davvero molto deluso, mi aspettavo che opponessi un po’ più di resistenza…ma in fin dei conti sei soltanto un patetico omuncolo…”
“Cos’è che vuoi?” fa la voce grossa. Pallone gonfiato fino in fondo.
“Mmmh, le solite cose…ma dimmi, che effetto fa trovarsi dall’altra parte, adesso? Ti sei divertito quando hai creduto di ingabbiare me?”
“Tu sei un pazzo, avremmo dovuto ucciderti quando ne abbiamo avuto l’occasione!” sbraita.
“Sì, forse…ma lascia che adesso ti spieghi alcune cosette essenziali, vediamo se ricordo bene la nostra vecchia conversazione: cerca di fuggire, o prova solo a scalfire quel vetro” premo un pulsante del pannello di controllo, attivando velocemente il processo di risucchio dell’aria dalla cella  “E morirai soffocato in questo posto dimenticato da tutti. Hai capito come funziona?”
Fury si accascia al suolo tenendosi le mani alla gola, strabuzzando gli occhi, emettendo suoni strozzati, ed annaspando alla ricerca di ossigeno.
Interrompo il processo ripristinando la libera circolazione dell’aria, e lui scatta veloce, inspirando avidamente a pieni polmoni.
“Formica, stivale” sorrido indicando prima lui, poi me.
“E tu devi essere davvero disperato se ricorri a tante creature smarrite per difenderti” mi dice con voce ancora roca, inginocchiato al suolo, indicando l’elfo oscuro.
“Creature smarrite non è l’espressione esatta, mi dovevano un piccolo favore” commento scuotendo l’indice davanti al vetro in segno di diniego.
“Quanti altri, quanti altri hai ingannato e sedotto con le tue bugie?”
“Non credo che siamo qui per discutere di etica e di comportamenti civili, no?” prendo a girare attorno alla gabbia.
“Oooh, ti brucia esserci andato così vicino, di nuovo” lo punzecchio beffardo.
“Sai vero, che verrai catturato?” sguardo da duro, cerca ancora di intimorirmi con le sue parole.
“Certo, con l’affarino che state costruendo per rintracciarmi…ma durerà poco questo vostro progetto”
“E come pensi di porre fine a tutto, schizofrenico paranoide?”
Sorrido sardonico “Beh, qualcuno può dettare ordini al posto tuo…” faccio un cenno a Gylfi, che comincia a trasformarsi in lui. Compiaciuto della sua reazione di sgomento e sorpresa, continuo.
“A quanto pare non ti hanno insegnato molto a scuola, giusto? Non prestavi attenzione, eri troppo occupato a metterti in mostra e pavoneggiarti, vero Fury? Ebbene credo che tu sappia che per creare scompiglio tra le truppe, basta eliminare il loro leader”
Lo vedo inarcare un sopracciglio.
“Non hai ancora capito? Quando il generale scompare, l’esercito si ritrova alla mercé dell’avversario, senza nessuno che gli dia ordini precisi, solo puro caos. Ma se arriva qualcuno pronto a riprendere le redini in mano, qualcuno facciamo…dalla parte dell’avversario…allora tutto si risolve per il meglio.” Gli spiego la lezione con aria leggermente annoiata. Vedo la consapevolezza dipingersi sul suo volto, finalmente ha capito!
“Tu credi che facendo prendere il mio posto a quel mutaforma i tuoi problemi si risolveranno?”
“Non lo credo, lo so. Ho acquisito abbastanza conoscenza dal tuo sottoposto Barton per sapere come far muovere Gylfi nelle basi operative. Quel cervellino è la cosa migliore che mi sia mai capitata, elementare nella sua logica, ma c’era molta più materia grigia che in quello di Thor, se è per questo”
“Allora si può sapere cosa vuoi da me, perché non mi uccidi e la fai finita?” chiede nervoso, avvicinandosi al vetro.
“Ucciderti adesso non mi darebbe alcuna soddisfazione! Mi hai preso per un cavernicolo?”
“No, tu sei solo un povero maniaco”
“Un maniaco che ti ha incastrato, però”  curvo le labbra in un sorriso “Sai, da quando sono qui mi sono dato alla lettura istruttiva. Ho letto di recente due poemi epici, intitolati l’ Orlando Furioso e la Gerusalemme liberata, e credo che con qualche piccola modifica siano un mix adattabile alla nostra situazione.”
Mi schiarisco la voce, e con aria solenne comincio a proclamare.
“C’era una volta un generale valoroso che combatteva senza tregua contro potenti nemici. Era coraggioso, senza macchia, leale, e fedele. Ma un giorno un mago proveniente da molto lontano, con uno stratagemma, riuscì a rinchiudere il valoroso generale ed i suoi migliori eroi in un castello incantato. Il generale che amava la sua patria e le sue truppe più di ogni altra cosa al mondo, non resse il colpo, ed impazzì dal dolore ”
“Quindi è questo quello che vuoi fare, tenermi qui, farmi impazzire, mentre tu ti diverti a giocare con le vite degli altri?”
Faccio un piccolo applauso di scherno “Molto bravo”
“Mi fai davvero schifo” sibila velenoso.
“Via via, avete avuto il vostro momento di gloria, ora tocca a me. E voglio che tu assista alla disfatta del piccolo circo di pagliacci che avete messo su”
“Non vincerai” afferma deciso. Non cede, la sua volontà glielo impedisce. Faccio spallucce.
“…disse l’uomo rinchiuso in una prigione! Sai è stata una vera fortuna per me scoprire che la gabbia dove mi avevate rinchiuso non era l’unica esistente. Bene, adesso goditela, non tutti sanno cosa si prova! Io ti lascio, ho molto da fare.”
“Bastardo…quando uscirò da qui…” ringhia battendo un pugno sul vetro.
“Sì sì, certo. Fammi sapere se il valoroso guerriero vuole una rivista da leggere, o qualcos’altro” gli rispondo sprezzante mentre lascio la stanza con il nuovo Nick Fury al seguito.
Crudele ironia, nettare degli dèi.

***


“La tua missione per adesso sarà prendere il posto di Fury nella base dello S.H.I.E.L.D. Sai come comportarti, e la prima cosa che voglio che tu faccia è dire che il progetto di ricerca di Loki è stato annullato, devi farti riconsegnare il prototipo, e portarmelo. Ti opporranno resistenza, ma devi dire loro che sono ordini dall’alto” spiego a Gylfi una volta tornati indietro.
“Ho capito signore”
“Ottimo. Non farmi attendere troppo, ho altre cose da organizzare. Adesso vai”
 

***


“Generale Fury”
Gylfi fece un cenno di assenso al membro del personale che lo salutò. Si diresse a passo svelto verso i laboratori, dal quale proveniva un vociare chiassoso. Quando entrò nella stanza trovò tutti a ridacchiare, con Tony che si pavoneggiava, come sempre al centro dell’attenzione.
“Bene, vedo che qui si fa salotto…” tutti ammutolirono alla voce autoritaria del generale.
“Signore, stavamo solo…”
“So quello che stavate facendo, capitano Rogers. E credimi se ti dico che adesso avrai molto più tempo per farlo”
“Che significa?”
“Significa, dottor Pym, che il progetto di rintracciare Loki di Asgard è stato accantonato, per inciso, va’ abbandonato subito.”
“Cosa? Sta scherzando?” Tony sorrise nervoso.
“Ti sembra che stia scherzando, Stark?”
“E come mai questa decisione? Loki è un obiettivo di priorità massima!”
“A quanto pare al Pentagono non la pensano così, agente Romanoff”
“No, non è possibile, dopo tutto quello che ha fatto non è un obiettivo primario? Dopo quello che ha fatto alla mia Torre!!” esclamò arrabbiato il magnate.
“Calmati Stark. Gli ordini sono ordini. Da quando ti ha giocato quel tiro non abbiamo più notizie di lui, per quanto ne sappiamo con lo scettro di nuovo in suo possesso potrebbe aver lasciato questo sistema solare”
“E noi quindi abbiamo lavorato per niente? Che senso ha avuto tutta questa faccenda?”
“Banner, io eseguo gli ordini, e se mi dicono di accantonare il progetto, così sia”
“No, io non ci sto, questa è una cazzata bella e buona!”
Tony si alzò di scatto, e uscì dalla stanza nervoso, sbattendo la porta.
“Capo, lei è stato sempre una persona ragionevole, sa bene quali pericoli si corrono con Loki libero. E così facendo non sapremo mai come trovarlo”
“Lo so Clint, e ho fatto tutto il possibile, ma non hanno voluto ascoltarmi”
“Sciocchi ottusi…” mormorò Henry, deluso. “Mesi di lavoro buttati” posò gli occhiali sul tavolo, massaggiandosi gli occhi verdi. Poi scuotendo la testa uscì.
“Agente Romanoff, voglio che tu predisponga questo laboratorio per l’immediato sgombero. Fa’ portare via le attrezzature in magazzino. Quanto a voi altri, tornatevene a casa. Dirò all’asgardiano di continuare le ricerche per conto suo in qualche altra dimensione”
Tutti annuirono sconcertati e delusi da quella così avventata e stupida decisione. Come potevano smettere di dare la caccia ad un criminale intergalattico? Eppure dovevano farlo, anche se la cosa non era di loro gradimento.
Ordini superiori.
Il falso Fury si mostrò comprensivo con tutti, sospirando. Ma quando furono andati via si diresse alla postazione del marchingegno, facendoselo scivolare in tasca.
 

***


È ormai il tramonto quando Gylfi torna dalla base S.H.I.E.L.D.
“Allora, sei riuscito a metterli fuorigioco?” chiedo ansioso.
“Sì signore, ho fatto come mi ha detto” afferma riprendendo la sua forma originale.
“Eccellente, e adesso dammi quell’aggeggio”
Me lo porge, e l’apparecchio si attiva registrando le onde magiche.
“Peccato, tanta tecnologia sprecata” fingo afflizione.
Lo scaravento al suolo, pestandolo con il tacco della scarpa fino a ridurlo in un ammasso di circuiti sparsi sul pavimento. Adesso ho davvero un problema in meno, non dovrò temere che mi cerchino ancora.
Posso dedicarmi agli altri componenti di quell’allegro gruppo, mi basta solo decidere con chi voler cominciare. Ed ora che ho un contatto ‘vero’ all’interno, non ho nemmeno più bisogno della ragazza. Lei mi tornerà utile al momento dell’atto finale, nonché come copertura per gli eventi futuri che sto progettando.
Tutto procede secondo i miei piani.
“Torna alla base, se dovessi sentire qualcosa di strano avvertimi. Comportati nella maniera più naturale” ordino all’elfo.
“Sì signore”
Sparisce lasciandomi solo.
Sei.
Adesso ne mancano solo sei.
 

***
Bene, ci crediate o no, ma quando ho scritto questo capitolo ridevo come una scema XD Non so perché, ma l’ironia del riportare parte della conversazione originale del film mi ha fatta sorridere. Ah, e poi Fury mi sta antipatico, era il primo che dovevo eliminare, questione di principio! u_u
Comunque, colgo l’occasione per dirvi che malauguratamente gli aggiornamenti rallenteranno, ho da poco saputo di essere stata convocata per un concorso, e devo studiare disperatamente O_o
Ne approfitterò anche per mettere insieme altre idee, e continuare ad intrecciare la trama, quindi non temete, tornerò! Non lascio di certo l’opera a metà!
Quindi, a tutte voi che andate in vacanza, auguro di divertirvi, e di tornare con qualche sosia di Loki (magari ditemi dove lo beccate, che poi vi raggiungo!)
Baci!!!

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Capitolo 15
*** In your room ***


In your room
Where souls disappear
Only you exist here
Will you lead me to your armchair
Or leave my lying here?
Depeche Mode – In your room
 
[Nella tua stanza/ Dove le anime scompaiono/ Solo tu esisti qui/ Mi condurrai alla tua poltrona/ O mi abbandonerai disteso qui?]

 

 

Oscurità. Un’oscurità senza fine, crogiolo del caos(*), brodo primordiale dal quale tutto ha avuto origine. Suoni ovattati, brontolii cupi e distorti giungono alle mie orecchie.
I miei sensi sono ottenebrati, intorpiditi; apro gli occhi che sento ancora pesanti come macigni, e provo a mettere a fuoco lo spazio attorno a me, ma il mondo esterno sembra essersi circondato di un grigiore nebbioso innaturale e sfocato.
Dove mi trovo? Che cosa è successo? Devo concentrarmi. Faresti meglio a tenere gli occhi chiusi, Loki, ed inspira profondamente, qualcosa ti verrà in mente; focalizzati sulle sensazioni: cosa ricordi?
Ricordo il dolore, e poi…il caldo. Sì, qualcosa di caldo su di me, caldo e viscoso. Provo a muovermi ma mi sento troppo debole, e resto inchiodato nella mia posizione, gemendo per il fastidio. Quanto durerà tutto questo? Mi sento intrappolato nel mio stesso corpo, prigioniero di pena e sofferenza…ma non devo cedere, anzi devo sforzarmi di ricordare l’accaduto. Ricapitoliamo, e vediamo di aggiungere qualche dettaglio: una sostanza calda e viscosa, dall’odore…ferroso. Ma non è l’unico odore che distinguo, c’è nell’aria un sentore di bruciato, ed anche una nota metallica più pesante…forse piombo. Perché ho pensato proprio a quell’elemento? Piombo…piombo che associato a sostanza calda e viscosa su di me fa…
 
Ecco svelata l’incognita nella mia equazione: mi hanno sparato.
 
La puzza di bruciato derivava dal colpo esploso, la sostanza viscosa era sangue, più precisamente il mio sangue. Bene, una prima lacuna è stata colmata, ora non mi resta che scoprire chi abbia osato farmi questo, e restituirgli il favore con i dovuti interessi. Accenno un altro movimento, ed il dolore ritorna. Con il braccio destro provo a tastarmi il capo, ma l’arto traditore si solleva solo di pochi centimetri senza venirmi incontro. Non sono padrone né del mio corpo, né degli ultimi eventi. Meraviglioso, un regalo migliore di un biglietto di sola andata per le prigioni di Asgard, magari nuovamente imbavagliato, ed al guinzaglio dell’angelico Thor. Provo a riaprire gli occhi; ecco, il mondo ha assunto una tinta meno sbiadita, riesco a distinguere i contorni degli oggetti intorno a me. Sono in una stanza da letto, che però non mi appartiene.
 
Come ci sono finito nella camera di uno sconosciuto?
 
L’ambiente è spoglio e neutro, e non ci sono le suppellettili tipiche di una stanza d’ospedale, come il campanello per chiamare i soccorsi. Noto solo varie boccette di medicinali, garze, ed altri oggetti accumulati sui comodini laterali. Mi prendo un momento per placare quell’accenno di malore che sento arrivare su di me come un’onda venefica. Stavolta provo a sollevarmi, e con qualche sforzo riesco a tirarmi un po’ più su. I muscoli ancora rigidi non mi consentono altro. Le lenzuola bianche mi coprono dalla cintola in giù, mentre il torso è coperto di bende. Ottimo, mi hanno sparato al torace, non volevano certo essere colpi di avvertimento, miravano seriamente ad uccidermi. La luce aranciata del tramonto colpisce una poltroncina posta di fronte al letto accanto alla finestra, sulla quale è appallottolata una coperta con sopra poggiato un libro. Qualcuno ha almeno vegliato su di me, e posso anche dirlo con certezza dal tubicino che collega il mio braccio con quella che i midgardiani chiamano flebo.
Lo scatto della porta mi fa trasalire, interrompendo le mie riflessioni, e mettendomi sull’attenti. Se fosse un nemico? Non ho alcuna possibilità di difendermi, non ho nemmeno il mio scettro…dove sarà finito? Se dalla porta dovesse entrare qualcuno chiamato a completare l’opera, per me sarebbe la fine. Sono totalmente e completamente vulnerabile.
 
E poi la vedo entrare, silenziosamente, con passo leggero convinta che io stia ancora dormendo. Solo allora riprendo a respirare, dopo aver trattenuto il fiato in preda ad un’incontrollabile ansia mista a panico. La prospettiva della morte non alletta nessuno, che sia umano o un dio. Gli occhi azzurri di Gillian si posano su di me, sono cerchiati da occhiaie, come se non avesse dormito da giorni. Ha un viso pallido e stanco. Tira un sospiro di sollievo, rilassando i lineamenti del volto, prima tesi.
 
“Ti sei svegliato. Come ti senti?”
“Stordito, ed ho uno strano sapore amaro in bocca” la mia voce è flebile e arrochita.
“È un effetto collaterale della morfina”
“Capisco”
Si avvicina al letto, guardandomi ancora preoccupata.
“Ero tornata per cambiarti le fasciature, e controllare gli altri parametri”
Prende il fonendoscopio, e lentamente mi soleva il busto. Alla mia smorfia di disagio mormora delle scuse. Misura poi la pressione, e la febbre.
“Ok, la pressione è buona, e non hai febbre, sei stabile. Devo solo cambiare queste, e sei apposto” accenna un timido sorriso.
“E questa non la togli?” accenno alla flebo collegata al mio braccio.
“Sì, perdonami, è l’abitudine. Ho dovuto usare le flebo per nutrirti, visto che ho provato a farti mangiare qualcosa di liquido facendoti deglutire per riflesso condizionato, ma avevi le labbra sigillate. Letteralmente sigillate, sembrava ci avessero passato sopra del cemento a presa rapida”
 
Dopo aver scollegato quell’affare mi sistema i cuscini per tenere il torso più sollevato, e poi prende posto accanto a me, cominciando a togliere le fasce. Io ho una fastidiosa arsura alla gola che mi sta innervosendo.
“Potrei avere dell’acqua?”
Lei interrompe il suo lavoro alla mia richiesta, ed annuisce. Lascia la stanza e torna poco dopo con un bicchiere d’acqua con un aggeggio di plastica dentro. Me lo porge piegandone la punta. Inarco un sopracciglio.
“Cosa dovrei fare con questo?”
“Bere. So che sei ancora debole per tenere in mano il bicchiere, e se ti facessi bere io finiremmo col rovesciare tutto sulle lenzuola. Non dirmi che hai paura di una cannuccia! Avanti, bevi” afferma risoluta.
Prendo la cannuccia tra le labbra e succhio avidamente la salutare acqua. Quando sono soddisfatto lei ripone il bicchiere sul comodino, riprendendo poi a sciogliere le fasce. Cade un silenzio pesante, e mi sento quasi in dovere di dirle qualcosa, se non altro saprà cosa mi è successo.
“Quanto ho dormito?”
“Cinque giorni. Ti ho dovuto dare dosi di morfina per il dolore che probabilmente avrebbero ucciso un essere umano normale” calca l’ultima parola, continuando diligentemente il suo lavoro.
“Questa non è la tua stanza”
“No, è la camera dei miei genitori. Sapevo che saresti stato più comodo su un letto più grande”
 
E così questa è la camera dei suoi genitori, quella che custodiva gelosamente chiusa agli occhi del mondo…
Le fasce cadono, e solleva poi le garze, disinfettando le ferite. Mi sfugge un sibilo di fastidio, questa maledetta roba brucia.
“Scusami non posso essere più delicata di così. Bene i punti tengono, ma hai ancora bisogno di riposo per evitare che le ferite si riaprano. Riposo assoluto”
Questa è una brutta notizia, non ci voleva.
“No, non posso stare fermo a riposo” scuoto il capo.
“Certo, hai ragione. Devi andartene, così potrai farti sparare di nuovo” è il suo commento pungente e scontroso, mentre comincia a rifasciare la zona.
Di nuovo quel silenzio imbarazzante, e di nuovo quella sgradevole sensazione di doverlo rompere, anche se la dottoressa mi sembra poco incline alla conversazione oggi. Anzi pare alquanto nervosa, e lo nasconde davvero male.
“Dove hai preso tutte queste cose? Non sono medicinali e strumenti che solitamente si hanno in casa. Credo li abbiano al massimo i dottori che tengono uno studio privato”
“No, infatti” queste risposte secche mandano all’aria i miei tentativi di interagire con lei.
“E quindi da dove arrivano?” la incito a rispondermi.
“Da dove vuoi che arrivino? Li ho presi in ospedale”
Aggrotto le sopracciglia, qualcosa non mi torna. Non è la classica dotazione che puoi portar via.
“Tu li hai…rubati?” ma no, non l’avrebbe mai fatto!
Alza lo sguardo su di me, rossa in viso per lo sdegno.
“Sì, li ho rubati, hai intenzione di denunciarmi? E comunque intendo fare una donazione all’ospedale”
 
Ecco qui la nostra pia, incorruttibile Gillian, sempre pronta a fare la cosa giusta…davvero trovo questa sua onestà quasi arrogante, quasi volesse imporla a tutti con il suo sguardo limpido, che vuole dirti “Ehi tu laggiù, essere disonesto e spregevole, io sono buona e la notte dormo divinamente sul mio bel cuscino”. Ma stavolta questa sua limpidezza è stata resa torbida, sta soltanto cercando di alleviare il senso di colpa, e mettere a tacere la coscienza ribelle con una buona azione. Devo ammettere che con questo comportamento è riuscita a cogliermi di sorpresa nella sua umana prevedibilità.
“Che c’è, mi sembri sorpreso” non mi ero accorto che stava studiando la mia reazione.
“A dire la verità lo sono. Non mi aspettavo che facessi una cosa del genere, non mi eri sembrata il tipo” ammetto stranamente con sincerità. I suoi occhi si accendono come braci.
“Ti stupiresti di cosa ho fatto per te, Logan. Non era certo così che intendevo trascorrere il giorno del Ringraziamento” replica sferzante.
“E cos’ altro avresti fatto, di grazia? Non hai salvato tutti i bambini della Cambogia?”
“Vedo che ti è venuta voglia di fare dello spirito, davvero divertente, ah ah ah” fa una finta risata, terminando il suo lavoro di fasciatura. “Ho detto al lavoro che mi servivano dei giorni di permesso per occuparmi di un ‘problema personale’, e agli zii che dovevo lavorare”
“Hai mentito allora” le rispondo pacato. Nella mia scala dei peccati questo è il più banale, che pratico assiduamente.
“Che acuta osservazione!” ironizza.
“Smettila di fare del sarcasmo” la guardo bieco.
“Smettila di dire cose ovvie”
“Hai mentito, e quindi? Io sarei il tuo problema personale, no? Ebbene avresti potuto risolverlo in altra maniera, così non avresti dovuto fare tutte queste cattive azioni che a quanto pare tanto ti turbano, e non ti saresti rovinata il giorno del Ringraziamento” è la mia risposta fredda ma tagliente. Questa umana sa come tirare fuori il mio disprezzo per la sua razza in maniera molto naturale.
Si alza in piedi fronteggiandomi, puntellandosi la vita come le mani.
“Sì, mi da’ fastidio aver dovuto mentire, e sai perché? Perché volevo portarti in ospedale e non hai voluto, perché sei arrivato alla mia porta coperto di sangue colpito quasi a morte! Perché prendermi cura di te era molto più importante di un pranzo, o di rubare medicinali e tutto il resto!” respira quasi affannosamente. “Ricordi cosa ti è successo? Come hai fatto a ridurti così?” mi chiede.
“Non lo so, non ricordo niente” ed è la verità, la mia mente è ancora annebbiata.
“Chissà come mai non ti credo, ma ora ti dirò quello che so io: cinque giorni fa hai bussato alla mia porta, e quando ho aperto avevi i vestiti completamente zuppi di sangue, ti reggevi a malapena in piedi, eri pallido come un cadavere. Ti ho fatto entrare e ti sei accasciato sul pavimento, e quando ho tagliato i vestiti avevi cinque proiettili in corpo! Dio solo sa come tu abbia fatto ad arrivare da me! Sta di fatto che quando volevo chiamare l’ambulanza tu me l’hai impedito con il fiato che ti rimaneva in gola. Io non sono un chirurgo che opera in Afghanistan, ed anche lì hanno un minimo di attrezzatura…ma ho dovuto estrarti le pallottole con un bisturi che avevo qui in casa, e usando le mani! Avevo una boccetta di morfina ma non ti ha fatto effetto, pare che il tuo corpo smaltisca velocemente gli antidolorifici. Quando ho estratto il primo colpo hai dato un urlo lancinante…ed io che potevo dirti? Di farti coraggio, che avevo quasi finito…per l’amor del cielo, quel grido mi risuona ancora nella testa. E sì, quando ho finito c’era talmente tanto sangue che casa mia sembrava una maledetta scena del crimine. E tu” punta il dito accusatore contro di me “Lassù hai davvero qualcuno che ti ama, sei fortunato che i colpi si trovassero superficialmente. Come, non me lo spiego, visto che la ferita presentava margini paragonabili ad un colpo esploso da distanza ravvicinata. Sarebbero dovuti penetrare molto più in profondità, magari anche trapassandoti”
Termina il discorso stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche, voltandosi poi di scatto verso la finestra. Non vuole che veda il suo sguardo lucido di lacrime.
A quanto pare ho fatto perdere la pazienza ad un santo.
 
“C’è altro?” domando calmo e lei si risiede sul letto, incrociando le braccia.
“A dire la verità sì. Avrei giusto un paio di domande per te: perché non sei voluto andare in ospedale, e come fa un contabile a farsi sparare cinque volte e a sopravvivere? Ok, è chiaro come il sole che sei in possesso di un elevato fattore di rigenerazione, ma questo…è davvero tanto. Quindi Logan, in che cosa sei immischiato? E soprattutto, cosa sei? Non sei come gli altri”
Mi scruta in volto cercando una risposta, che sa probabilmente non arriverà. Ed io mi sento ancora debole anche per ascoltare altro da lei.
“Sono stanco, vorrei risposare”
Storce le labbra in un mezzo sorriso.
“Sì, lo immaginavo. Allora io vado, se hai bisogno di qualcosa chiamami, sono di là”
Si alza e va’ verso la porta, la apre, ma poi si ferma e sospirando si volta di nuovo verso di me.
“Prima, quando ho detto che sei un mi problema non lo intendevo in senso negativo. Ero solo preoccupatissima per te, non sapevo cosa fare, ero terrorizzata al pensiero che potessi avere qualche complicanza, che la febbre non sarebbe scesa, che non ti risvegliassi…cinque giorni mi sono sentita impotente e sul filo del rasoio, cinque giorni ho creduto di aver fatto qualcosa di sbagliato, cinque giorni ho temuto per la tua vita. Volevo solo che lo sapessi”
Va’ via mesta, chiudendosi la porta alle spalle.
 
E così era preoccupata per me, e questo era il suo modo per sfogare la frustrazione, il nervosismo di cinque giorni di attesa.
Avrebbe fatto bene a lasciarmi dissanguare, in molti sarebbero stati felici della mia dipartita, primi tra tutti quei maledetti Avengers. Forse ad Asgard avrebbero finto di piangermi per un po’, e poi mi avrebbero dimenticato. Sarei stato un problema in meno.
Ma no, la mia volontà di vivere è forte, devo compiere la mia vendetta, prendermi la mia rivincita.
Non avrei scelto di arrivare a casa di un medico, una donna che ha giurato di salvare vite, di chi non importa.
La piccola, cara, generosa affabile Gillian, che mi ha sempre guardato con occhi sinceri e gentili, e che adesso mi guarda come mi hanno sempre guardato tutti in vita mia: con sospetto.
E la cosa divertente è che non so per quale arcano motivo senta una fitta di dolore al petto. Saranno sicuramente le ferite.
 
Note
(*) Incipit di Devil may cry
 
***
Eccomi qua, finalmente di ritorno! Lo so, merito di essere linciata, ma tra concorsi, formattazione del pc, e vacanze estive, non si è capito niente XD Sta di fatto che alla fine sono ancora qua!
Bene, tornando al nostro amato Loki, vi starete sicuramente chiedendo cosa gli sia successo, chi gli abbia sparato, e soprattutto come faccia un dio come lui ad essere ferito quasi mortalmente…continuate a seguirmi e lo scoprirete!
Grazie per la pazienza, d’ora in poi sarò più celere!
Baci!

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Capitolo 16
*** Innocenti bugie ***


Bisogna ingannare gli uomini per asservirli;
ma si deve loro almeno la cortesia della menzogna.

Madame de Stael

 
Una delle cose che contraddistingue il genere umano è la curiosità: ha permesso l’evoluzione in forme di vita dominanti sul pianeta e lo sviluppo delle facoltà intellettive; la capacità di ragionamento, il porsi domande per scoprire perché un fenomeno avvenisse a quelle determinate condizioni. E con il passare del tempo le spiegazioni sono andate evolvendosi, da banali attribuzioni di tutto ad entità fittizie, fino a teorie scientificamente provate e dimostrabili. Io un tempo ero una spiegazione sommaria per giustificare gli abili mentitori e tessitori d’intrighi, i protetti da Loki, il dio degli inganni, mentre mio fratello era il dio del tuono e delle folgori. Ma non eravamo diversi da divinità di altre civiltà, stesse funzioni, magari con qualche piccola variante, nomi diversi.  Siamo nati come spiegazione a qualcosa, altrimenti gli umani non avrebbero mai conosciuto la nostra esistenza, saremmo sempre vissuti separati da quei milioni di anni luce. Eppure gli umani, con l’avanzare dei secoli, hanno trovato risposte per conto loro, non affidandosi più agli déi, e tutt’oggi continuano la loro affannosa ricerca. È nella loro natura conoscere, come è insita nella parte più primordiale del loro cervello, una natura ferina ed aggressiva.
 
Ormai vivo in una specie di prigionia, dato che la dottoressa mi ha impedito di far ritorno a casa mia finché le ferite non si saranno completamente rimarginate: pare che i proiettili abbiano infettato il mio sangue, rendendo il processo di guarigione molto più lento rispetto al solito. Normalmente un proiettile umano non avrebbe sortito alcun effetto su di me, ma questi erano particolari. Quando ho chiesto alla mia aguzzina di farmeli vedere ha storto il naso, chiedendomi come facevo a sapere che non li avesse buttati. Ed io le ho risposto che l’avevo intuito. E così me li ha portati, fissandomi curiosa mentre me li rigiravo tra le mani. Non c’era dubbio, non erano proiettili costruiti con i soliti materiali, ma fatti di una lega speciale, chiamata metallo Uru (*), e credo proprio di sapere chi sia stato a spifferarne l’esistenza.
Caro fratello, credeva forse che le pistole contro di me si caricassero a tranquillanti?
 
Un lato positivo è che da quando mi sono svegliato, Gillian non mi ha più chiesto come abbia fatto a farmi sparare, né io ho introdotto il discorso con lei. Con la sola differenza che io ho ricordato tutto, eccome se l’ho fatto! Lei crede che la mia difficoltà nel ricordare derivi da uno shock post traumatico, e che quando sarò pronto le racconterò come è andata. Sta di fatto che sono qui da troppo tempo, tanto che la neve è scesa sula città. La cosa, però, in un piccolo recesso della mia mente, non mi infastidisce. Io e la dottoressa abbiamo stabilito una sorta di pacifica routine, anche se la maggior parte del tempo lo trascorro in solitudine, dato che lei è quasi sempre al lavoro. Mi è capitato parecchie volte di sentire il suo cellulare squillare nel cuore della notte, costringendola ad alzarsi, e a correre in ospedale. Ma prima di uscire entra cauta nella mia stanza, sbirciando se sto dormendo, mi lascia un bigliettino attaccato al frigorifero, e va’ via.  Devo inoltre dire che  è una piacevole compagnia, acuta, veloce , mi sta involontariamente insegnando parecchie cose sugli umani, anche se non la smette di trovarmi nomignoli assurdi, come ‘L’esperto Kasparov’ o ‘Il contabile che amava le pallottole’ e ride alle mie espressioni contrariate;  il più delle volte però, mi rivolge sguardi penetranti, come volesse indagare nelle profondità della mia anima.
La sopresi a guardarmi sottecchi sorridendo, quando a Natale cercavo di trovarmi un angolino appartato lontano da tutte quelle canzoncine, e quell’euforia che sembrava pervadere il mondo, mentre a Capodanno, intenti ad osservare i fuochi d’artificio, aveva detto calma:
“Speriamo sempre che il nuovo anno ci porti una svolta, anche se il più delle volte non cambia mai niente, o se cambia lo fa molto spesso in peggio. Chissà, forse stavolta sarà diverso…”
 
La notte di Capodanno, a sua detta, è una delle peggiori dell’anno, insieme al 4 luglio, dato che al pronto soccorso dove lavora arrivano molti casi di incidenti stradali, o persone che si feriscono con i petardi. Infatti poco dopo avermi detto quella frase sibillina, schizzò via alla volta dell’ospedale.
Per lo meno, nonostante questa permanenza forzata, altre due pedine sono andate a far compagnia alla prima.
 
È una fredda notte di gennaio e me ne sto in piedi vicino alla finestra, a guardare la neve che scende. A volte mi domando cosa ne sarebbe stato di me se fossi rimasto su Jötunheimr…probabilmente non sarei sopravvissuto al suo eterno ghiaccio o chissà, Laufey si sarebbe ravveduto e mi avrebbe accettato come suo figlio. Oppure mi ritrovo a pensare a come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasto ad Asgard; forse avrei avuto qualche piccolo incarico a corte, sempre guardato dall’alto in basso da tutti, e nella più remota possibilità avrei potuto avere una mia famiglia, ma avrei comunque dovuto sottostare a Thor…no, non avrei potuto accettarlo. Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso, come cita un libro di Gil che ho letto: il Paradiso perduto.
 
“A che pensi?” la sua voce mi riporta alla realtà. “Ciao, come è andata oggi?” continua posando sul tavolo le buste della spesa.
“Bene, e non pensavo a niente in particolare”
“Mmm…mi stai mentendo, eri talmente assorto che non ti sei nemmeno accorto del mio arrivo. Come stanno prendendo al lavoro la tua prolungata assenza?”
“Hanno fatto storie, ma sono assente per motivi di salute, quindi non hanno potuto ribellarsi più di tanto”
“Hai dovuto dire cosa ti è successo, no?” chiede con nonchalance mentre ripone i vari alimenti nei mobili. Ecco dove voleva andare a parare, la subdola. Non ha rinunciato a scoprire l’accaduto e prova a cogliermi di sorpresa con le sue domande e la sua curiosità.
“Ci tieni così tanto a saperlo?” rispondo sedendomi sul divano con poca grazia.
“Odio quando ad una mia domanda rispondi con un’altra domanda, sei fastidioso” storce le labbra “Però credo che parlarne ti farebbe bene, per affrontare ed esorcizzare l’esperienza. Ma se non te la senti ti capisco, ognuno ha i suoi tempi” Sorride ed io sospiro rassegnato.
“E va bene, dopocena avrai le tue tanto agognate risposte” gesticolo teatralmente  e lei assume un’espressione compiaciuta.
“Ok, cosa ti andrebbe?”
“Nessuna preferenza, quello che vuoi” rispondo annoiato riprendendo a guardare fuori.
“Va bene, però se poi non ti piace non lamentarti eh!” inarco un sopracciglio rispondendole pungente.
“Dovresti essere più accomodante con me se vuoi sapere cosa è successo…”
“E va bene, detti pure le sue condizioni, maestà” replica ironica mentre comincia poi a preparare.
 

***
 

Dopo aver sistemato le ultime stoviglie, e controllato per l’ennesima volta lo stato delle mie ferite, tenendo in mano una tazza di tè fumante, Gil si siede sul divano incrociando le gambe.
“Allora sono tutt’orecchi” mi rivolge uno sguardo curioso mentre soffia sulla bevanda calda.
Prima parlo, prima chiuderò l’argomento.
“Va bene, ma ti avverto che non sarà niente di entusiasmante, anzi è una banalissima storia” lei mi fa cenno di continuare. “Devi sapere che nell’azienda in cui lavoro mi occupo di tutta l’area fiscale, e mentre revisionavo dei rendiconti, ho notato delle incongruenze, e così ho scoperto che alcune persone, influenti tra l’altro, stavano derubando l’azienda, e così sono andato a parlargli, a chiedere di costituirsi altrimenti mi sarei visto costretto a consegnare le prove del loro operato ai superiori, e poi alla polizia. Ma a quanto pare hanno preferito l’opzione B, cioè quella di chiudermi la bocca per sempre facendo passare il tutto per una rapina finita male. Sono una presenza davvero scomoda”
Gil mi guarda costernata, ha completamente perso interesse nel suo tè.
“Mio Dio, ma è terribile! Logan, stiamo parlando di tentato omicidio! Devi assolutamente denunciarli alla polizia!” dice con veemenza.
“Sì, l’ho già fatto. La sera della sparatoria un loro sicario mi ha colto di sorpresa poco prima che arrivassi a casa mia, stordendomi, e lasciandomi a dissanguare in un vicolo, portando via il cellulare e i documenti”
“Ed essendo a New York nessuno ha sentito niente” commenta con amarezza, ed io annuisco.
“Ok, ma perché non hai voluto che ti portassi in ospedale? Avresti avuto una migliore assistenza”
“Se tu fossi nei panni di un assassino, e non sentissi al notiziario un servizio su una misteriosa morte in un vicolo, dove andresti a cercare un eventuale sopravvissuto?”
Si blocca colpita dalla consapevolezza.
“Ti avrei cercato in ospedale!”
“Esatto”
“Santo cielo, ora capisco la tua reticenza”
“E poi posso ritenermi fortunato, se non avessi saputo della tua professione sarei stato nei guai fino al collo”
Abbassa lo sguardo tingendo il viso di una leggera sfumatura rosata.
“Non è stato niente…mi hai spaventata a morte in un primo momento, ma sono contenta di esserti stata utile”
“Non immagini nemmeno quanto” a questa mia affermazione prende a giocherellare con il bordo della sua maglia del college.
“Posso chiederti una cosa?” domanda dopo un breve attimo di silenzio, ed annuisco. “La tua famiglia sa cosa ti è successo?”
Aggrotto le sopracciglia disegnando sul mio viso un’espressione di disappunto.
“No” rispondo secco, e lei non insiste nel voler indagare oltre anzi, si alza stiracchiandosi e sbadigliando, ed anche io sono abbastanza stanco.
“Bene è tardi, direi che per me è ora di andare a dormire. Comunque ho una buona notizia per te. Dato che le ferite si sono completamente rimarginate, e non hai più avuto sintomi di spossatezza o nausea, direi che puoi tornare a casa”
“In effetti mi chiedevo quanto ancora sarebbe durata questa prigionia” la canzono, e lei si abbassa a colpirmi una spalla.
“Antipatico, ti ho trattato veramente come un principe! Bene, andrò a dormire profondamente amareggiata, buonanotte”
Anche se il suo è un tono scherzoso mi alzo e la seguo, diretto alla mia stanza, ma le parole escono dalla mia bocca prima che possa fermarle; le prendo la mano, e si volta.
“Grazie di tutto” dico d’un fiato ed i suoi occhi si illuminano. Di slancio mi abbraccia.
“Sono contenta che tu sia vivo. Mi mancherà averti in giro per casa” farfuglia con il capo poggiato sul mio petto. Istintivamente la cingo anche io, posando il mento sui suoi capelli profumati.
“Mi mancheranno le tue prodezze culinarie” sento le sue spalle sollevarsi scosse da una risata, ed anche io sorrido.
“Sei sempre il solito antipatico, ma è stato bello tornare a casa ed avere qualcuno al quale dire buonanotte” afferma allontanandosi.
“Allora buonanotte, Gillian”
“Buonanotte Logan” apre la porta ed entra in camera sua, mentre io chiudo la mia alle spalle. È strano, mi sento a disagio, contrariato a dirla tutta. Per quanto lo stare qui abbia comportato una botta d’arresto ai miei piani, non posso dire che mi sia effettivamente dispiaciuto. È stato l’avere la compagnia di una persona che non mi ha giudicato né come il figlio dei mostri di ghiaccio, né come il deplorevole e subdolo principe di Asgard, scatenatore della furia dei Chitauri. Per lei sono solo Loki.
No, non Loki, sono il contabile dai superpoteri Logan, il buon samaritano che denuncia gli imbroglioni. Questa è solo l’ennesima maschera che ho dovuto indossare; il vero me è ancora bel lungi dal mostrarsi.
Corrugo la fronte consapevole di quale sia il sentimento che serpeggia nella mia mente: è uno strano surrogato di senso di colpa, per averle mentito su una cosa che aveva preso una piega del tutto diversa.
 

Un mese e mezzo prima
 

Gylfi si muoveva a passo sicuro in uno dei corridoi illuminati dalla neutra luce dei neon della base S.H.I.E.L.D.
I pesanti anfibi risuonavano sul pavimento, accompagnati dal frusciare dell’impermeabile di pelle. Entrò in una stanza dove le uniche luci erano quelle delle lampade da scrivania per illuminare le tastiere dei computer.
“Generale Fury” lo salutò il soldato.
“Cosa abbiamo?”
“Siamo stati contattati dalla C.I.A. signore, pare che i guerriglieri iraniani stiano progettando un attacco nucleare. I loro agenti non sono riusciti ad individuare con esattezza la localizzazione dell’ordigno, ma affermano con certezza che si trovi da qualche parte sui monti Zagros ”
“C’è una stima della sorveglianza, qualche attività insolita?”
“No signore, ma sicuramente la zona sarà tenuta sotto controllo da guerriglieri armati”
“Voglio una scansione topografica satellitare dell’area, richiamate gli agenti Romanoff e Barton e mandateli da me” rivolgendo uno sguardo duro all’agente, il falso Fury ritornò in sala operativa.
 
Gylfi attendeva i due agenti dando le spalle alla porta, con le mani intrecciate dietro la schiena. Il suo sguardo indugiava sulla skyline della grande mela.
“Signore” esordì Clint.
“Agente Barton, agente Romanoff, siete stati richiamati per una nuova missione: il vostro compito sarà quello di recuperare un ordigno nucleare in possesso dei terroristi. Ho appena ricevuto un rapporto dove i nostri hanno individuato sui monti ad ovest di Teheran un’area schermata; partirete domattina con il jet, l’equipaggiamento vi sarà fortino a bordo”
“Approssimativamente con quanti uomini avremo a che fare, signore?”
“Non è facile dirlo con esattezza, visto che la zona è isolata, agente Romanoff”
“Allora avremo bisogno di ulteriore supporto”
“Questa è un’operazione congiunta di C.I.A. e S.H.I.E.L.D., dato che sono stati loro ad avere la soffiata. Hanno richiesto la nostra particolare professionalità, dato che per introdursi nella base hanno bisogno di mezzi particolari, ed una preparazione che non forniscono all’intelligence. Altre domande?”
“No signore” risposero i due agenti.
“Allora contattatemi all’arrivo. Potete andare”
“Sì signore”
Quando i due agenti si furono congedati, Gylfi tornò alla finestra focalizzando il suo sguardo su un indefinito punto lontano. Avrebbe saputo cosa riferire al suo padrone.

 

***
 

“E così saranno mandati in missione…”
“Sì signore”
“Interessante, mi hanno risparmiato la faticadi ordire un piano appositamente per loro” affermo soddisfatto.
“E come pensa di introdursi in quella base, signore?”
“Quello non sarà un problema” stringo più forte il mio scettro “E nessuno farà caso più di tanto a due agenti scomparsi in missione, se hai beninteso il mio pensiero, elfo”
“Perfettamente signore”
“Torna alla base S.H.I.E.L.D., io sono in partenza”
“Sì signore”

L’elfo oscuro sparisce lasciandomi solo con i miei pensieri. Che piacevole coincidenza questa missione del mio ex servo Barton, e la sua amichetta lamentosa dai capelli rossi…pare che la ruota del fato si stia finalmente decidendo a girare dalla mia parte.
 

***

“Avanti Mr. Universo, hai chiesto tu di incontrarci tutti qui, a cosa dobbiamo l’onore?”
“Risparmia il sarcasmo, uomo di metallo”
Con un sorrisetto malizioso, Tony bevve un sorso del suo drink, posandolo poi sul bancone, e facendo cenno a Thor di sedersi. L’asgardiano aveva espresso il desiderio di riunirsi con gli Avengers per poter parlare loro di qualcosa di importante. Sapeva che lo S.H.I.E.L.D. aveva accantonato le ricerche di suo fratello, ed anche se l’oneroso compito gravava solo sulle sue spalle, non aveva rinunciato; la responsabilità era anche sua se Loki era riuscito a liberarsi e, visto che gli Avengers lo consideravano ancora una minaccia primaria, anche se silente, era andato da loro nutrendo ancora la speranza di un aiuto.
“Sono qui per chiedervi di collaborare nuovamente con me nella ricerca di Loki”
“E scommetto che sei ancora dell’idea di applicare la tua giustizia asgardiana” lo rimbeccò il capitano Rogers. Thor sospirò, e portandosi la mano alla cintura ne staccò un sacchetto che vi teneva legato, e ne rovesciò il contenuto sul tavolino d’ebano. Il dottor Banner inforcò gli occhiali prendendo in mano un pezzo di quella che sembrava essere pietra. Lo soppesò esaminandolo, ed anche gli altri curiosi si erano avvicinati.
“Che cos’è?” chiese.
“Questo, dottore, è il mistico metallo Uru, lo stesso che compone il mio martello”
“E cosa vuoi che ne facciamo? Vuoi che lo studiamo? Posso mandarlo ai miei laboratori”
“No, so esattamente cosa fa, Stark” allo sguardo dubbioso che gli rivolse il gruppo, l’asgardiano continuò “So che non avete rinunciato alle ricerche di Loki, nonostante Fury abbia ordinato che fossero sospese, ignorando i suoi ordini” il capitano e i due agenti si rivolsero uno sguardo colpevole.
“Tu come…?”
“Non devi preoccuparti di sapere come ne sono venuto a conoscenza, arciere. Non vi tradirò. Sono venuto a portarvi questo perché è l’unica cosa che voi possiate usare per fermare Loki, ed applicare la giustizia asgardiana in merito”
“Cosa vorresti che facessimo, dei piccoli martellini da portare in giro? Sono scomodi suppongo”
“Vorrei potermi divertire quanto te, uomo di metallo” ed i suoi occhi vagarono lontani, e Natasha capì.
“Tu vuoi che ne ricaviamo un’arma. È metallo, fondendolo ne ricaveremmo punte di frecce, lame, proiettili” Thor annuì “Esatto. Il metallo uru ha la capacità di assorbire l’energia, in particolar modo quella magica. Se dovesse essere colpito, Loki subirebbe le stesse ferite di un uomo qualsiasi, e diventerebbe vulnerabile ai vostri attacchi”
“Quindi fammi capire, tu sapevi questa storiella del metallo magico fin dall’inizio, e vieni a raccontarcela solo oggi?” domandò Barton risentito.
“Le cose su Asgard sono cambiate” replicò l’altro “Hanno emanato la sentenza capitale” concluse.
“Ora capisco, vogliono ucciderlo” intervenne il dottore.
“Ci hai appena consegnato nelle mani la chiave per eliminarlo. A te questa cosa sta bene, Thor? Resta sempre tuo fratello”
Thor sorrise mestamente all’affermazione della donna.
“Non è più mio fratello, in fondo credo non lo sia mai stato. Pensavo di riuscire a riportarlo sulla via del buonsenso, ma la sua mente è ottenebrata dalla vendetta. Forse se io e Padre avessimo agito diversamente tutto questo non sarebbe accaduto” rispose sconfitto. “Quindi c’è poco da fare, prendete l’uru, e fatene ciò che volete” concluse.
Tutti tacquero vedendo quanta pena provocavano quelle parole all’asgardiano.
“Allora mi metto subito al lavoro, vediamo cosa posso ricavarne” Tony prese il metallo, e stava per andare alla volta del suo laboratorio quando Clint lo bloccò.
“Ehi Stark, noi siamo in partenza, facci un regalino da portare in viaggio con questa nuova roba…”
“Partite per la luna di miele?” chiese innocente.
“Quanto sei spiritoso! Missione antiterrorismo. Stavolta siamo nel suo campo, dottor Banner, visto che dobbiamo trovare un ordigno nucleare”
Il dottore si strinse nelle spalle “Se avete bisogno della mia esperienza professionale nel campo della radioattività, sono a vostra disposizione”
“Beh, non sarebbe una cattiva idea se venisse, che ne dici Clint?”
Occhio di falco valutò l’ipotesi. “Sì, non dovrebbero esserci problemi, il dottore sa decisamente badare a se stesso. E poi abbiamo bisogno di altro supporto…anche se verde e terribilmente nervoso”
“Ottimo, allora verrò in gita con voi. Porterò anche l’altro con me. Mi sta sempre appiccicato”
“Bene, e adesso che vi siete organizzati, che ne dite di pensare alle cose serie?” Tony era impaziente di divertirsi con il suo nuovo giocattolino.
“Io torno su Asgard, se dovessero esserci delle novità ve le comunicherò”
“Grazie Thor” Steve gli batté piano sulla spalla, e l’altro fece un cenno del capo andando poi via.
“Allora che sono quei musi lunghi? Ehi oh, ehi oh, andiamo a lavorar!” canticchiò il magnate al settimo cielo.
“Quello lì è davvero un folle” commentò basito il capitano.
“A volte il confine tra genio e follia, capitano, è molto sottile” concluse saggiamente il dottore.
 
Note
(*) L'uru è un metallo immaginario presente nell'Universo Marvel. Si trova unicamente su Asgard. Assomiglia alla pietra ma possiede anche proprietà magiche. Sembra essere in grado di assorbire la maggior parte dell'energia, specie quella magica. L'uru è un materiale altamente resistente, sebbene in alcuni casi si sia dimostrata la possibilità di distruggerlo. Anche se è molto difficile forgiarlo, armi e oggetti costruiti in Uru sono resistenti alla maggior parte delle forme di danno. Una delle poche leghe in grado di distruggerlo è la Dargonite. L'uru è stato utilizzato per forgiare diverse armi, fra cui:
Il martello Mjolnir di Thor;
La lancia di Odino;
La spada di Heimdall.
 
***
Salve gente! Eccoci qui con la prima parte delle spiegazioni sulla brutta esperienza di Loki…
Ma torniamo a noi, il nostro ghiacciolo preferito sembra essere riuscito a dire la parola ‘Grazie’ miracolo miracolo!
O forse no, niente è quello che sembra! E che dire di Thor, che ha fornito l’arma per fargli del male?
Che altro sarà accaduto?
Attendete per sapere! Baci baci e buon appetito :D
 

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Capitolo 17
*** Lo strano caso del dottor Banner, il signor Hulk, e gli agenti dello S.H.I.E.L.D. ***


Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m'ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.
Robert Louis Stevenson – Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde

 
Il jet sorvolava sulle sue ali silenti  il cielo plumbeo che si rispecchiava nelle acque blu cobalto del Golfo Persico, per addentrarsi nella regione del Fars, diretto all’aeroporto internazionale civile e militare di Shiraz. Sobbalzò un paio di volte prima di cominciare la discesa aprendo il carrello, e facendo perdere quota alla macchia volante. Il dottore si portò una mano allo stomaco stringendo gli occhi, e reprimendo un conato.
“Via dottore, è solo un po‘ di turbolenza, non si innervosisca” sbuffò Clint.
“In effetti hai un colorito pallido, Bruce” Natasha gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte.
Lo scienziato inspirò profondamente, cercando poi di focalizzare la sua attenzione su un punto fisso davanti a sé , e farsi passare la nausea.
“Non sono nervoso, però il mio stomaco risente delle differenze pressorie che provoca la discesa, e il balletto di poco fa non aiuta”
“Mi meraviglia che un tipo grande e grosso come lei si faccia mettere k.o. da un po’ di mal d’aria…ma sì, deve esserci brutto tempo a Shiraz” constatò l’arciere, beccandosi un’occhiata di avvertimento dalla sua compagna.
“Tra poco saremo a terra, ti sentirai meglio” lo rassicurò stringendogli la mano. Lui annuì, contando i minuti che lo separavano dall’atterraggio.
La discesa fu dolce e morbida.  Dopo aver atteso qualche minuto affinché fosse sistemata la scala, aprirono il portellone e scesero.
Ad attenderli sulla pista di atterraggio c’erano tre agenti, di cui due sicuramente della C.I.A., ed uno dall’aspetto più medio-orientale.
“Agenti Barton e Romanoff, giusto?” uno dei due uomini in completo nero si avvicinò a loro tendendo la mano per salutarli. Era un uomo robusto, dai lineamenti marcati con duri occhi scuri e capelli rasati. Magari un ex marine con una spiccata attitudine al comando e allo spionaggio.
“Affermativo signore”
“Bene, sono io l’agente Smith, e loro sono gli agenti Taylor e Hafez, che è il nostro tramite ed interprete nelle operazioni” disse indicando gli altri due. L’agente Taylor strinse loro la mano leggermente, distogliendo i suoi occhi acquosi che nervosamente saettavano dall’uno all’altro membro della compagnia. Non doveva essere certo un tipo con molta vita sociale. Probabilmente era un analista informatico.
“Benvenuti a Shiraz, agenti” li salutò l’altro, in persiano.
“Grazie” replicarono i due.
“Vedo che parlate la mia lingua, sono molto onorato” si complimentò.
“E il signore con voi chi è? Ero informato dell’arrivo di solo due agenti”
“Mi scusi, sono il dottor Banner, sono qui come consulente sulle armi atomiche. Sono un fisico”
L’agente Smith si strinse nelle spalle, come se la cosa non gli facesse né caldo, né freddo.
“Piacere. Ora se non vi spiace andrei via da qui, e vi accompagnerei nella zona sicura”
“Sì, sarebbe un vero sollievo” confermò il dottore impaziente di dare l’addio all’aeroporto.
“Da questa parte” gli fece strada l’agente, mentre il vento sferzava i loro volti.
 
Dopo aver guidato per una serie di vicoletti, l’agente Smith fermò l’auto in un piccolo albergo situato nella zona dell’elegante bazar coperto. Dopo aver modificato la prenotazione, essendosi aggiunto il dottor Banner, gli agenti si recarono nella ristorante. Nessuno avrebbe fatto caso ad un gruppo di turisti che cenavano conversando al tavolo.
 

***

“Presumo che abbiate ricevuto dalla vostra base operativa ulteriori informazioni” cominciò l’agente Smith mentre si accomodava il fazzoletto sulle gambe.
“Sì, il capo ci ha inviato le mappe topografiche dell’area schermata, ed ha confermato che questa operante sia una piccola cellula terroristica. Magari intendono farsi un nome, e un po’ di pubblicità sganciando questa bomba in un paese alleato, o proprio in America” continuò Clint, mentre guardava sottecchi il cameriere che stava arrivando al tavolo con del tè. E lui odiava il tè.
“Non mi meraviglia che siate riusciti a scoprire più cose di noi. Sapete benissimo che la nostra agenzia non gode di buona fama in questo paese”
“Per l’operazione Ajax del 1953, quella che mirava alla destituzione e all'arresto di Mohammad Mossadeq che aveva nazionalizzato l'industria petrolifera, certo”
L’agente annuì alla donna “Sì, quel poco che sappiamo lo dobbiamo alla collaborazione di Hafez”
L’uomo fece un cenno col capo a mo’ di ringraziamento.
“E cosa l’ha spinta a collaborare con gli americani?” chiese il dottore curioso.
Hafez sospirò, quasi volesse farsi coraggio.
“La mia famiglia è stata una delle vittime della rivoluzione Islamica iraniana, morirono per dei colpi di mortaio sparati sulla folla, mentre tornavano a casa. Da allora ho cercato di collaborare con gli americani, in modo tale che la situazione nel mio paese si stabilizzasse, e potesse tornare la pace. Abbiamo così tante cose da offrire…”
“In effetti sarebbe molto bello poterci trattenere a fare del turismo, e poter ammirare il giardino Bagh-é Eram…” riflettè Natasha, ed Hafez si sorprese piacevolmente.
“L’agente conosce il nostro giardino? Lei ama i giardini persiani?”
Lei sorrise “Molto”
“Posso assicurarle che è davvero un giardino del Paradiso” affermò orgoglioso.
“Allora brindiamo al Paradiso” Natasha sollevò la sua tazza ricolma di tè fumante.
“Al Paradiso” continuarono gli altri.
Clint ingollò la bevanda di malavoglia storcendo le labbra, cosa che ricordò alla compagnia un bambino capriccioso che ha appena ingoiato uno sciroppo amaro.
“Non si può brindare con del tè, proprio no”
“Barton, piantala di fare il bambino” gli intimò la rossa.
“Ma Nat…”
“L’agente Barton non gradisce il tè? La prego, si rifaccia assaggiando questo nostro gustoso piatto di koresh”
“E…cosa sarebbe esattamente?” disse rigirando con la forchetta l’intingolo nel suo piatto.
“Carne cucinata con frutta fresca, o anche secca”
Titubante, e sotto lo sguardo indagatore di tutti, Clint si portò la forchetta alla bocca, ed assaggiò. Dopo qualche secondo, ingoiò soddisfatto.
“Ehi, buono questo koresh, con che tipo di carne è fatto?”
“Frattaglie di agnello” rispose l’agente Smith, valutando poi la reazione del collega.
Barton si bloccò con la forchetta a mezz’aria.
“Cosa?”
“Agente Barton, mi meraviglia che un tipo grande e grosso come lei si faccia mettere k.o. da un po’ di carne!” ironizzò il dottore mangiando placidamente.
“Spiritoso dottor Banner, davvero molto spiritoso. Il mio regno per un hamburger di carne normale!”
“Siamo sicuri che sia un agente addestrato?” mormorò Hafez all’orecchio di Natasha. Lei lo rassicurò “Senz’altro uno dei migliori”.
 

***

Il mattino seguente si presentava nebbioso e piovoso. Una pesante coltre di umidità era scesa raso terra, avvolgendo la città in una coltre biancastra, soverchiata da un cielo altrettanto plumbeo, scosso di tanto in tanto dal rombo di tuono in lontananza. L’agente Smith aveva noleggiato una seconda auto per i suoi ospiti, e si erano ritrovati nella hall dell’albergo per poter partire.
“Vi accompagneremo ai piedi di un villaggio non molto lontano da Shiraz, dopodiché la missione sarà totalmente in mano vostra. Qualora dovesse accadervi qualcosa, la C.I.A. non si assumerà alcuna responsabilità”
“ Chiaro” risposero gli agenti, mentre Banner inarcava un sopracciglio, poco felice di quel commento.
Natasha si sedette al posto di guida, ingranando la marcia e seguendo l’altra auto. Una volta che furono usciti dalla città, Clint si abbandonò nel sediolino, stirandosi come se fosse stato in una spiaggia tropicale, pronto ad una giornata di divertimenti.
“ ‘Cause nothin' lasts forever, and we both know hearts can change. And it's hard to hold a candle in the cold November rain”
“Clint ti prego, non metterti anche a cantare adesso”
“Nat, ho mangiato cose alle quali avrei preferito un pasto liofilizzato, ho dovuto bere del tè…lasciami almeno cantare un po’! If we could take the time to lay it on the line, I could rest my head. Just knowin' that you were mine, all mine. So if you want to love me, then darlin' don't refrain; or I'll just end up walkin' in the cold November rain”
“Sì ma…i Guns n’ roses?”
“Quale titolo migliore di November rain se è novembre, e piove?”
La donna rise continuando a guidare.
“Agente Barton, è sicuro di non aver sbagliato mestiere? Avrebbe avuto successo come cantante”
“Grazie dottore, ma poi sarei dovuto scappare dagli eserciti di fans, e quindi tanto vale continuare ad essere un fighissimo agente dello S.H.I.E.L.D.”  rivolse un sorriso a quarantacinque denti al dottore, mettendo su un’arietta soddisfatta.
“Ma fa sempre così?” chiese lo scienziato.
“Più o meno. A volte si improvvisa anche cantante lirico”
“Non oso immaginare la gioia…”
“Voi non capite la mia arte. Ogni genio è incompreso!” incrociò le braccia, mettendo il broncio.
“Infatti Stark non lo capisce proprio nessuno” ridacchiò Natasha.
“Comunque a parte gli scherzi…non è molto confortante che neghino di aver avuto a che fare con noi…e soprattutto che ci diano già per spacciati…”
“Purtroppo gli equilibri tra i vari governi sono precari, specie in questi paesi. Come ha già sentito, dottore, la C.I.A. non è ben vista in Iran…il nostro compito è quello di fermare questi terroristi, e tornarcene a casa”
“Possibilmente in tempo per la cena” aggiunse Clint.
“Sempre il solito” scosse la testa Natasha sospirando.
 

***

La strada asfaltata stava lasciando spazio ad uno sterrato polveroso, una volta superati i confini di un piccolo villaggio.
Il SUV si era coperto di polvere sollevatasi in nube dalla strada, e sobbalzava sotto la ghiaia. Giunti in uno spiazzato, l’agente Smith fece inversione, pronto a tornare indietro. Abbassò il finestrino per poter parlare all’altra auto.
“Siamo arrivati, la strada sterrata continua fino al secondo tornante su per la montagna, dopodiché diventa troppo ripida da attraversare. Spero di riavere presto vostre notizie, agenti”
“Buona fortuna” continuò Hafez.
“Grazie, e arrivederci” li salutò Natasha.
Il SUV dei loro accompagnatori svanì in lontananza, lasciando dietro di sé una scia di polvere.
Dinanzi a loro si stagliavano i monti Zagros, percorsi da sinuosi solchi, come se fossero stati originati da depositi di colate laviche, e le cime spruzzate da un primo accenno di neve.
“Allora, secondo la pianta che ci ha inviato il capo, la zona schermata è a tre chilometri dalla fine della strada sterrata” affermò Clint riguardando la piantina.
“Direi che per una questione di praticità, ci convenga lasciare l’auto prima, in modo da non destare eventuali sospetti. Potrebbe esserci qualcuno sparpagliato per i monti come vedetta” continuò Nat. Il dottore li ascoltava interessato.
“E se dovessero dare l’allarme?” chiese.
“Non lo faranno. Glielo impediremo”
Natasha fermò l’auto dietro una parete rocciosa sporgente, e quando furono scesi, lei e Clint si sincerarono di aver preso le armi necessarie, e gli strumenti di ricerca. L’arciere mise in spalla l’arco di precisione e le sue frecce, mentre la Vedova caricava le sue pistole.
“Stai usando il made in Tony Stark?”
“Beh, ci ha regalato nuove armi, è anche ora di usarle” poi si voltò a guardare il dottore, posandogli le mani sulle spalle. Era ora di fargli quel discorsetto.
“Bruce, stiamo per addentrarci in territorio nemico, ascoltami bene…”
“Lo so” la interruppe “Tu temi che l’altro arrivi e cominci a far danni” abbassò lo sguardo sconfitto.
“Bruce, non disprezzare così te stesso, sei quello che sei, e non puoi cambiarlo. Ti chiedo solo di mantenere la calma. Se proprio non dovessi farcela, e l’altro dovesse prendere il sopravvento, esci fuori dalle caverne più veloce che puoi”
Lui annuì, e lei gli sfiorò la guancia gentilmente “Sono sicura che non accadrà. Io e Clint ci occuperemo del resto”
“Ma per ogni necessità, ecco a lei” l’agente gli porse una pistola. “Sa sparare, dottore?”
“Purtroppo sì” la prese, e la strinse tra le mani. Era solo ferro, eppure era capace di generare morte. Si sentì improvvisamente colpevole. L’emozione dovette trasparire, perché Natasha lo rassicurò nuovamente.
“Andrà tutto bene Bruce, te lo prometto”
“Sì, andrà tutto bene” ripeté poco convinto.
 

***

Camminando con passo felpato, cercando di inerpicarsi su per la montagna, nascondendo la propria visuale e sfruttando il paesaggio roccioso, gli agenti ed il dottore giunsero ad una grotta scavata nel massiccio. La cosa strana era che questo varco non era sorvegliato da nessuno.
“Che sia la caverna giusta?” chiese Clint guardandosi attorno.
“A meno che le spelonche di qui non abbiano tutte l’illuminazione, direi di sì…” replicò Natasha indicando la serie di cavi che serpeggiava sulla parete.
“Saranno di certo collegati ad un qualche generatore…” riflettè Banner.
“Bene, allora ci conviene continuare ad addentrarci nella montagna” continuò Barton, avanzando cautamente.
L’unico corridoio era deserto, i loro sensi all’erta, potevano udire il ticchettare delle gocce di umidità condensata giù per le stalattiti. L’ultimo tratto era scarsamente illuminato da lampade, alcune delle quali funzionavano ad intermittenza.
Si ritrovarono in una grotta dall’alta e ampia volta cementificata, nella quale erano ammassati tavoli di acciaio con contenitori per scorie radioattive, ampolle, provette. Ed ammassate sul pavimento c’erano casse di legno ancora aperte. Non vi era però un’anima viva, tutto era abbandonato.
“Dobbiamo trovare la bomba” Natasha cominciò ad esplorare la zona. Clint si guardava attorno ancora sospettoso.
“Non abbiamo incontrato nessuno, la cosa non mi piace. Non possono aver abbandonato tutto il materiale qui in fretta e furia. A meno che non siano stati avvisati del nostro arrivo”
“Impossibile, e poi di certo ci avrebbero attaccato” disse sicura Natasha.
“Potete fare tutte le supposizioni che volete, ma qui non troverete nessuna bomba atomica” affermò il dottore, che si era fermato dinanzi ad un tavolo, e rovistava tra i materiali. Gli agenti si avvicinarono.
“Vedete questo?” i due annuirono “È piombo. Ce n’è una quantità larghissima, e poi ho trovato questi…” disse indicando vari contenitori segnati da simboli chimici.
“Uranio -238, cesio-137, iridio-192, plutonio-239. Sono tutti radioisotopi che vengono utilizzati per creare armi radiologiche”
“Quindi non stanno fabbricando una atomica. Questa è una fabbrica di bombe sporche” disse Clint sollevando un paio di guanti rivestiti di piombo.
“Il che è anche più probabile. Non vedo come potessero mettere a punto un’arma di quel tipo in questo bunker. Mi perplime solo il fatto che quelli della C.I.A. siano stati informati male”
“Non credo sia così. Probabilmente questa cellula terroristica ha esagerato nel vantarsi, magari dando ai sottoposti notizie false, in modo da tenere alla larga i curiosi” replicò l’agente Barton.
“Sta di fatto che non miravano ad una strage di massa con i danni che avrebbe potuto causare un’atomica, o una bomba all’idrogeno”
“Esatto dottore. Credo sia stato più per una guerriglia interna, che per un attacco estero. A quanto ne so una bomba sporca del tipo che i terroristi potrebbero costruire danneggerebbe solo alcune centinaia di persone e non sarebbe molto più letale rispetto ad un'arma convenzionale o una chimica. D'altra parte poche sarebbero le vittime risultanti dall'esplosione iniziale, perché i materiali emettitori di raggi alfa e beta devono essere inalati o ingeriti per danneggiare profondamente il corpo umano, altrimenti il danno sarebbe superficiale.”
“Senza contare poi che il materiale emettitore di raggi gamma è così radioattivo  che è altamente rilevabile, e non può essere dispiegato senza avvolgerlo con una quantità considerevole di piombo che faccia da scudo ai raggi, fatto che renderebbe molto pesante l'ordigno, non trasportabile in aereo, e molto pesante all'interno di un'auto. Inoltre, prima dell'esplosione il materiale schermante dovrebbe essere rimosso, a meno che lo scudo sia rimosso poco prima della detonazione. Èimprobabile la possibilità che i terroristi trasformino la sostanza radioattiva in un gas oppure un aerosol radioattivo senza un complesso lavoro chimico per ottenere lo scopo, e qui non vedo l’attrezzatura necessaria. Evidentemente volevano provocare panico e vittime in aree densamente popolate, oppure rendere inutilizzabili dei territori per lunghi periodi, a meno di non effettuare bonifiche molto costose.”
“Allora avvisiamo il capo, e quelli della C.I.A. che hanno preso una svista, e che in questo laboratorio-deposito non c’è nessuno”
“Proprio nessuno? Ne sei così sicuro, agente Barton?”
Quella voce. Si voltarono tutti come girasoli che seguono la luce solare. Era lui, in piedi davanti a loro, con quel ghigno arrogante stampato sul volto: Loki.
 

***

“Tu…dovevamo immaginarlo che ci fossi tu dietro tutto questo” la donna mi guarda dura.
“Sono solo venuto a trovarvi, anche se non mi aspettavo che con voi ci fosse anche il dottor Banner…” rispondo gentilmente, quando loro sfoderano le armi, puntandomele contro. “Mettete giù quelle armi, no mi farete niente, umani. Oh, agente Barton, è un vero piacere rivederti. Come va’ la testa?” lo vedo fremere impercettibilmente, tendendo la corda del suo arco.
“Va all’Inferno” sibila contro.
“Ci sono già stato, e per colpa vostra aggiungerei…”sibilo avvicinandomi.
“Stai indietro o sparo” cerca di intimidirmi lei.
“Dottore, è una piacevole coincidenza l’incontrarla qui. Ha portato un po’ di scompiglio tra i chitauri, ma io apprezzo quella sua capacità di perdere così sfrenatamente il controllo…” ignoro gli altri due concentrandomi sull’altro. Non sapevo della sua presenza, ma posso trovare il modo di sfruttarla a mio vantaggio. E perché no, posso colpire esattamente nel suo precario equilibrio mentale.
Il dottore cerca di ignorare le mie parole, concentrandosi sulla respirazione.
“Non ti conviene farmi perdere la pazienza, Loki. L’ultima volta non ti è andata molto bene…ricordi il tuo incontro ravvicinato con il pavimento della Stark Tower?” si fa beffe di me, crede di essere furbo.
“Non creda che stavolta sia altrettanto stupido. Deve essere pesante per lei portarsi dentro il peso delle colpe di quando perde il controllo di se stesso…”
“Lascia stare Banner, e dimmi come hai fatto a trovarci”
“…diventare una bestia senza razionalità, uccidere e distruggere tutto quello che le sta intorno, e poi dopo tornare normale, e covare quella disperazione, sapendo di non poter far niente per scacciarla, nemmeno morire …”
Lo vedo indietreggiare, fino a toccare uno dei tavoli, facendo cadere una delle ampolle di vetro che si frantuma in mille pezzi taglienti al suolo.
“Ti ho detto di lasciar stare Banner, e dimmi cosa ci fai qui!” grida l’altra. Mi volto verso di lei con sufficienza.
“E cosa ti fa credere che lo direi a te, cara la mia lamentosa?”
“Bruce, vattene, ci pensiamo noi a lui”
“Oh certo!” rido senza emozione “Penserai a lui quando non sei stato in grado di difendere nemmeno te stesso, Barton? Sai, devo ringraziarti, è proprio perché ho sbirciato nella tua mente che sono venuto a conoscenza di tante cose utili, specie le schede di valutazione degli Avengers…Dimmi, Clint, hai ancora un cuore? ” la punta dello scettro si illumina di una intensa luce azzurra, e faccio per poggiarlo sul suo cuore. Mi guarda impietrito, bloccato dal ricordo di quando quell’onda di energia l’ha assoggettato completamente alla mia volontà. È lei a prendere il controllo della situazione: con occhi fiammeggianti, duri come la pietra, spietatamente, preme il grilletto, sparandomi.
L’eco dei colpi rimbalza nella caverna. Sfortunatamente per lei, questa è solo una copia. I proiettili si conficcano nel muro.
“Sei così codardo, Loki? Mandare una tua copia invece che mostrarti di persona? Affrontaci, o hai paura?” grida credendo di pungermi nell’orgoglio.
Con una mossa veloce mi porto alle spalle di Banner, circondandogli il collo con il gomito, e cominciando a stringere. Lui porta le mani al mio braccio, cercando di farmi allentare la presa, dimenandosi come un pesce attaccato all’amo. I due si voltano, con le armi ancora puntate.
“Ah-ah non vorrete mica sparare al nostro povero amico scienziato. Provate a colpire me, e colpirete lui…” sogghigno.
“Avanti, sparategli, io non mi farò niente, muovetevi…” cerca di incoraggiarli con voce strozzata. Ed io gli sussurro all’orecchio.
“Forse i proiettili e le frecce non avranno effetto su di te, ma se ti spezzo il collo l’altro lo potrà riaggiustare?” smette di tremare, ed io continuo a sussurrargli all’orecchio, irretendogli i sensi. “Dai qual è l’unico modo per liberarti di me…trasformati, scatena la tua forza…”
“N-no” geme.
“Bene, come vuoi. Allora agenti, abbassiamo queste armi, o no? Volete assistere alla morte del vostro amico verde?” stringo ancora più la presa, e leggo le loro espressioni di timore. Sono disorientati, non sanno come agire.
Lentamente vedo la donna abbassare le pistole al suolo, senza staccare lo sguardo truce dai miei occhi. Non ho calcolato l’imprevisto: Barton tende l’arco velocemente, scagliando contro di me una freccia che mi colpisce di striscio il braccio. Il dolore è acuto e pungente, e questo non dovrebbe accadere con un’arma normale. C’è qualcosa che non quadra. Lascio la presa sul dottore, che si accascia al suolo mettendosi carponi, mentre io trovo rifugio dietro i tavoli, inseguito dai due agenti che hanno aperto il fuoco contro di me.
“Banner vai fuori di qui, ora!” sento impartire ordini alla donna.
Intorno a me è un’esplosione di polveri, vetri, e schegge di legno.
“Loki, esci fuori, vediamo se riesco a fare 100 punti prendendoti al cuore” sento i suoi passi muoversi facendo scricchiolare i cocci sotto il suo peso. Ho ancora una possibilità per disarmarli. Studio l’ambiente circostante, richiamando la magia. Ferite si cominciando ad aprire nelle pareti cementate, facendo fuoriuscire spessi cavi elettrici che cominciano a muoversi sul pavimento come serpenti. Non se lo aspettavano. Gli si attorcigliano attorno alle caviglie tirandoli indietro, fino a farli impattare contro la parete. Altri cavi fuoriescono attorcigliandoglisi alle mani, e intorno alla gola, ed ora posso uscire allo scoperto.
“No no, così proprio non va. Speravate davvero che uccidermi fosse così semplice?” li guardo soddisfatto mentre tentano di liberarsi da quei fili animati. “Che c’è, ora non fate tanto gli sbruffoni senza le vostre preziose armi non è così?” chiedo mordace.
“Cosa vuoi? Vuoi vendicarti? Uccidici e falla finita”
“No, no mio caro amico, non è semplicemente la vostra morte che voglio, ma la vostra sofferenza mentre siete qui impotenti contro un essere superiore come me!”
“Ti detesto” replica lei a denti stretti, strappandomi un sorriso.
“Sei davvero una piccola impertinente, non ho fatto niente di diverso da quello che fate voi due: siete due agenti che non si fanno scrupolo ad uccidere, ditemi tra me e voi cosa c’è di diverso. E poi posso dirti con sicurezza che nemmeno tu desti le mie simpatie. Ora, volevo uccidervi personalmente e farla finita, ma ho un’idea migliore…siete proprio degli sciocchi, cominciare a sparare in una fabbrica di bombe…volevate saltare in aria per caso?” mi volto a cercare lo scienziato.
“Dottor Banner la prego, si unisca a noi…volevo parlare un po’ con lei della sua famiglia…che dire, davvero esemplare”
“Cosa ne sai tu della mia famiglia, della mia vita!” si risolleva con gli abiti coperti di polvere, stringendo nervosamente i pugni. Compiaciuto della reazione che sto suscitando in lui, continuo.
“Io so tutto, e non mi sorprende che sia sempre così nervoso…deve essere davvero una gran dimostrazione di volontà quella che ha per non esplodere”
“Tu non sai niente di me, mostro!” continua, mentre mi avvicino a lui.
“Mostro, a me? Non siamo poi così diversi…solo che io non ho abbastanza forza per fare quello che fa lei…so della sua infanzia infelice, quando suo padre, alcolista, assassinò sua madre in un ultimo atto di violenza…”
“Stai zitto, smettila!” comincia a portarsi le mani alla testa, cambiando inflessione nella voce.
“Un duro colpo, e poi l’incidente della bomba gamma, quando per salvare Rick Jones è stato esposto alle radiazioni che l’hanno resa quello che è…voleva salvare il ragazzo, e ha ridotto la sua vita in pezzi”
“Bruce, Bruce ti prego, ignoralo!”
Ma l’altro non sente le suppliche della sua amica, continua a muoversi convulsamente, mentre il suo corpo scatta in preda agli accessi della trasformazione. Mi basta dargli ancora una piccola spinta.
“E poi è arrivata lei, il suo angelo, la figlia del suo nemico, il generale Thaddeus Ross…Betty…”
“Non osare dire il suo nome!” la voce ormai è totalmente cambiata, più grossa, fa tremare le pareti.
“Lei, che le ha donato amore…uccisa da Abominio. E poi da allora una vita fatta di fuga, sempre braccato, sempre cacciato, senza nessuno al quale affidarsi, senza un amico”
Urla, e la camicia comincia a lacerarsi, mentre lui cresce, si gonfia, si erge nella maestosità della sua furia distruttrice.
“La vita di un mostro”
È finita, con un ultimo, lacerante grido, la trasformazione è completa, così come il mio piano. Raderà al suolo la struttura, intrappolandoci i due all’interno, e quando si riprenderà, vivrà con la colpa di aver ucciso due dei suoi amici. Non si farà vedere per un bel po’ tenendosi alla larga da me.
“Bruce, no!” esclama la ragazza, mentre io mi volto verso di lei, altero.
“Arrivi troppo tardi mia cara, sta per distruggere tutto! Fossi in te userei questi ultimi istanti per dichiarare il tuo patetico sentimento verso quest’altro omuncolo” deglutisce, mentre Hulk, folle di rabbia, solleva i tavoli rovesciando tutto. Dal soffitto cominciano a cadere calcinacci, ed io mi avvio verso l’uscita. Ed è allora che un pesante blocco di piombo, lanciato come un fuscello dal gigante mi colpisce, facendomi scivolare al suolo, e stordendomi.
Le brecce nella parete rocciosa diventano varchi sempre più ampi, fino ad aprirsi, e a liberare i due agenti dello S.H.I.E.L.D. dalla prigionia.
“Natasha, dobbiamo andarcene subito!” sento i loro discorsi mentre provo a liberarmi del blocco di piombo.
“E Bruce, Loki?” chiede lei, ancora a terra, tentando di difendersi dai calcinacci.
“Al dottore non succederà niente, Loki che resti intrappolato qui dentro, presto alzati e scappa!” cerca di afferrarla per un braccio, quando una roccia cade dal soffitto, schiantandosi al suolo. Con fatica riesco a liberarmi dal piombo, e malfermo mi rimetto in piedi. Il gigante sfoga l’ira della sua psiche scagliando pugni alla parete. Tra poco verrà giù tutto. Afferro lo scettro, andando verso l’uscita, quando sono costretto a fermarmi. Tra le grida di Hulk non ho avvertito i colpi esplosi.
Mi tocco il torace, e quello che vedo sulle mie mani è sangue. Il dolore delle ferite comincia a spandersi per tutto il corpo, mettendomi prima in ginocchio, e poi facendomi cadere supino. Sento il sangue caldo che si accumula sotto di me, e respirando a fatica mi volto, incrociando lo sguardo di fuoco dei due agenti, che con pistole alla mano ancora fumanti, mi guardano soddisfatti.
“Se dobbiamo morire qui, tu verrai con noi, maledetto bastardo” scandisce lei a denti stretti.
“E con questo siamo pari, Loki. Tornatene all’Inferno che ti ha sputato” continua l’altro.
Hulk nel frattempo si volta verso di noi continuando a distruggere tutto, dopodiché, con un alto balzo, apre un varco nella montagna, e le pietre cominciano a cadere sottoforma di pioggia battente. Mi rifiuto di credere che questa sia la fine di Loki, il dio della discordia. Richiamo quel poco di energia che mi resta, devo cercare di trasportarmi lontano. Afferro con dita tremanti per lo sforzo il mio scettro, e mi concentro. Sento gli agenti che cercano riparo, ma sanno che non c’è speranza, tutto è perduto: sono destinati a restare schiacciati da metri cubi di roccia, uccisi da quello che credevano fosse un loro amico. Li sento ancora parlare, ma le loro voci mi arrivano indistinte, dato che ormai sto perdendo i sensi.
Comincio ad innescare un processo di guarigione, stringo lo scettro, e con le ultime forze mi trasporto via da lì, andando da chi può aiutarmi, e lasciando gli agenti al loro triste destino.
 

***

Mi reggo a malapena in piedi quando mi trasporto di fronte alla porta di Gillian. Con una mano mi stringo il torace, con l’altra cerco il sostegno dello stipite della porta. Trovo a malapena la forza di bussare. Sento i suoi passi, sta arrivando.
“Logan ciao…mio Dio, che ti è successo? Sei ferito!” spaventata spalanca la porta, ed io mi accascio su di lei, costringendola a far forza per sostenere il mio peso.
“A…aiutami” sussurro piano, sono sfinito.
E poi è il buio.
 
Note
Shiraz è una citta realmente esistente, che si trova appunto ai piedi dei monti Zagros, in Iran. L’operazione Ajax della C.I.A., e la rivoluzione islamica iraniana, sono eventi realmente accaduti, così come è vera l’esistenza delle “bombe sporche” delle quali ho descritto gli effetti. Per questo capitolo ho letto la biografia di Banner, gli eventi che Loki nomina sono appunto citati lì.
 
***
Buona domenica, people! In questo lieto giorno finalmente riveliamo chi sia stato l’autore del “ricovero” di Loki in casa di Gil: i nostri due cari amichetti dello SHIELD.
Spero non abbiate trovato eccessivamente pesante l’ambientazione in questa fabbrica nascosta di bombe sporche…
Come avrete notato, il tema del terrorismo è ricorrente in questa storia, e l’ho scelto sia per vere e proprie esigenze narrative, sia perché è una problematica che ritengo molto attuale. Assistiamo ai suoi effetti devastanti quasi ogni giorno, e ci tenevo a provare a descrivere le sensazioni, la tristezza, di qualche abitante delle zone colpite, ed anche il coraggio di coloro che, come i nostri eroi agenti dello SHIELD, riescono a carpire informazioni, e sventare piani per poter garantire anche un minimo di pace.
Detto questo, quando ho letto la biografia di Banner mi sono intristita parecchio, ha davvero avuto una vitaccia…c’è molto di più dietro quella massa di muscoli verdi nevrotici…un uomo che soffre, e che non può liberarsi dalla sua maledizione. E mi è stato meno antipatico, nonostante abbia spiattellato Loki al suolo con poca grazia.
Loki invece è sempre Loki, psicotico, manipolatore e maleficamente subdolo <3 almeno credo di renderlo tale XD Anzi, ci terrei a chiedere la vostra opinione in merito, soprattutto di coloro che non si sono ancora fatti sentire :D Anche se dovete farmi qualche appunto, fatevi avanti, e non createvi problemi ^^
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** Rettile ***


She leaves a trail of honey to show me where she's been
she has the blood of reptile just underneath her skin

Nine Inch Nails – Reptile

 [lei lascia una traccia di miele per mostrarmi dove è stata/ lei ha sangue di rettile appena sotto la sua pelle]

 
“Loki, Loki, Loki…amico mio. Non sta bene dormire quando qualcuno richiede la tua presenza ”
Una voce alle mie spalle. Una voce morbida e melodiosa di donna  pronuncia il mio nome come il delicato sussurro che si dedica ad un amante, richiamandomi dall’assopimento. La sento come la dolcezza del miele sulle labbra, come una carezza vellutata di seta sulla pelle. Apro lentamente gli occhi che cercano di abituarsi alla penombra, provando a cogliere dettagli in quell’atmosfera. Mi volto, e la vedo.
“Ah, sei tu” mi guardo attorno “E questa non è la mia stanza”
“Sempre molto acuto, vero Loki?” mi sorride seducente “Siamo in un varco spazio-temporale”
“L’avevo intuito. Questa sensazione di galleggiare in un luogo fatto di assoluto niente è difficile da dimenticare. Ma suppongo tu sappia anche quale sarà la mia prossima domanda, giusto?”
Si porta una mano nei capelli, passando le dita affusolate in una ciocca di sottili fili d’oro. Il suo sguardo fino a poco prima cordiale, si tramuta in un dardo azzurro di irritazione.
“Stavi per mandare all’aria il nostro piano, Loki. Farti quasi ammazzare non era compreso nel pacchetto”
“Purtroppo non potevo prevedere l’imprevedibile, Amora” replico piccato “Sono comunque riuscito a sfruttare la rabbia del dottore a mio favore, e sono ancora vivo e vegeto. E poi per una cosa accaduta più di un mese fa, ti presenti solo adesso a recriminare?”
“Ti ricordo, dio degli inganni, che io sono relegata qui, ed il mio margine di magia è ridotto all’osso” curva la bella bocca in una  smorfia sdegnosa. “Non mi sto certo divertendo in questo mio esilio”
“Saresti dovuta essere più furba, mia cara”
“Furba, come te? Chi è venuto a sedurmi con belle parole affinché stringessimo un’alleanza dopo la sua caduta dalla grazia di Asgard?” riesce ad essere velenosa nonostante  i suoi modi aggraziati. “Chi ti ha fatto conoscere l’esistenza di altri mondi fuori dai nove regni? Chi ti ha indirizzato verso Thanos?”
Thanos, già. Suppongo che da qualche parte nell’universo mi stia ancora cercando. Anzi, secondo i miei calcoli proverà ad impadronirsi nuovamente del Tesseract, ma questo non è attualmente un mio problema.
“Sei stata tu, mia gentile amica bandita. Ma non farmi credere che l’hai fatto perché mossa da impeti di generosità improvvisa, sai bene che avevi, ed hai, ancora bisogno del mio aiuto. C’è anche la tua parte di interessi in questa storia”
Corruga la fronte, accigliata. Poi comincia ad avvicinarsi muovendosi delicata, con la stessa andatura lenta di una pantera che sta per attaccare la sua preda. Bella, pericolosa, determinata ad ottenere ciò che vuole.  Si ferma a pochi centimetri da me, e comincia a passarmi la punta delle dita sul petto, i suoi occhi diventano due pozze cristalline ammalianti.
“Sì, ho anche io il mio interesse, che guarda caso coincide con il tuo”
“La mia è una vendetta per motivi diversi” le afferro le mani impedendole di continuare il suo gioco, scostandole.
“Vero, vero. Ma il bersaglio è lo stesso, e tu lo stai perdendo di vista commettendo errori da principiante” incrocia le braccia sotto al petto, ammonendomi.
“Credo che tu sappia che non posso mirare direttamente a lui se non mi sbarazzo prima di tutti gli altri alleati. E poi ho dei conti in sospeso anche con loro”
“Il gigante verde ti crede morto”
“Tanto meglio, no? Smetteranno di darmi la caccia, e potrò agire indisturbato” scrollo le spalle.
“No, ti sbagli. Non smetteranno finché non avranno un cadavere da riconsegnare ad Asgard”
“E questo dove l’hai visto, nel futuro? Dovresti stare lontana da quell’arte, o riservarla per soggiogare i mortali quando verrai liberata dalla prigionia, e potrai manifestarti con un corpo tangibile. Scherzare con la preveggenza ti è costato l’esilio, non ripetere lo stesso errore”
“Sei sempre la solita lingua tagliente pronta a rivangare il passato” sbuffa.
“Non è stata una mossa di brillante intelligenza quella di trovarti in una situazione in cui sapevi esattamente cosa sarebbe successo, e infilartici lo stesso. E poi, quando è accaduto proprio quello che temevi, ti sei vista sconfitta e sopraffatta. Ma è così che sei, e hai voluto tentare ugualmente la sorte. Non ho scelto io di comportarmi a quel modo per cercare di appropriarmi del trono. Avresti dovuto saperlo che la donna che avevi visto nella visione non eri tu”
“Non sempre il futuro è chiaro come il passato, Loki, e non ti permetto di parlarmi a questo modo! Non esiste una scelta che non comporti una perdita, e tu dovresti saperlo. Dimmi, come ti sei sentito quando hai perso la tua identità? Quando hai scoperto di non essere il figlio di Odino? Hai scelto di ribellarti, e guarda anche tu cosa ne hai ottenuto. Sei solo un reietto, come me”
“Io l’ho fatto per qualcosa di più grande, le mie motivazioni sono diverse dalle tue”
“Tu non le consideri diverse, le consideri migliori, perché devi assumere sempre i tuoi atteggiamenti di superiorità. Da questo punto di vista non sei diverso dagli asgardiani che tanto declami di odiare”
“Non capisco le ragioni di questa discussione, mi sembrano inutili e puerili. Siamo cresciuti entrambi ad Asgard, sei stata educata dalle Nornir, sei un’abile maga, e condividiamo lo stesso proposito, che bisogno c’è di dire che il fatto che io voglia vendicarmi di Thor derivi dalla vendetta per avermi fatto vivere una vita d’ombra, e il tuo derivi da un amore non corrisposto?” mi fissa serrando la bocca, le mani fremono impercettibilmente.
“Tu non sai cosa voglia dire amare qualcuno e vedere che non godi minimamente della sua considerazione, che sei invisibile ai suoi occhi”
“Ah, non lo so? Sei davvero una stupida, che ha sprecato il suo tempo a cercare di vendicarsi per un nonnulla come quello. Una capricciosa al quale è stato sottratto il giocattolo, potevi avere tutti gli uomini di Asgard, e invece la tua fissazione insana per quel troglodita ti è costata l’esilio. E adesso mi hai stancato, rimandami su Midgard”
“Calma il tuo sdegno, dio degli inganni, con te non ho finito”
“Che altro vuoi ancora? Provare una delle tue malie di seduzione su di me? Sono un seduttore a mia volta, le tue tecniche non funzionano”
“Oh no, non ho intenzione di sedurti, principe di ghiaccio. Non per ora, almeno” inclina la testa maliziosa. “Volevo solo dirti che una tua proprietà è ora sotto la mia custodia”
La luce azzurra del mio scettro apparso nelle sue mani rischiara quel luogo nel quale galleggiamo, quella frazione di spazio trapunto di stelle.
“Come ha fatto ad arrivare qui?” chiedo allungando la mano, e lei si ritrae, con un ghigno malevolo disegnato sul viso.
“Mi meraviglio di te, astuto ingannatore. Il tuo scettro è a modo suo senziente: quando capta un pericolo innesca i suoi poteri di autoconservazione. Deve avere accumulato energia dall’ambiente circostante l’ultima volta, e poi si è trasportato qui”
“Perché non da Thanos?”
“Thanos è sempre in movimento tra i mondi, invece questa è una dimensione stabile”
“È un varco creato da te con la magia…sarebbe potuto capitare ovunque”
“Allora consideriamola una fortunata coincidenza…” dice sorridendo, ma io sento che qualcosa non quadra.
“Io non credo alle coincidenze”
“È una vera fortuna che tu non ci creda, perché è una delle ragioni per le quali ti ho richiamato qui”
Le rivolgo uno sguardo interrogativo, facendole cenno di continuare.
“Possibile che tu non capisca? La ragazza, l’umana che ti ha salvato! Svegliati, Loki” schiocca le dita per richiamare la mia attenzione.
“Cosa c’entra Gillian?” lei mi guarda sorpresa, addolcendo la sua espressione, ma lasciando trasparire la sua vena arrogante.
“Ora è diventata Gillian, non più umana…bene, me ne compiaccio. Sarà la vittima perfetta per la magia sciamanica, quando la userai come tramite incanalando l’energia di Thor in lei”
“Di questo ne ero già a conoscenza” mi stringo nelle spalle.
“Sì, lo so. E adesso condividete un debito di vita tra di voi. Ricorda Loki, che più forte sarà questo legame, maggiore sarà il potere del Seior”
“E quindi cosa dovrei fare?”
“Ma le solite cose, ovvio! Devi fare in modo di guadagnarti la sua fiducia: fa che diventi tua amica…lusingala, attirala, seducila, e infine schiacciala. Sarà talmente succube della tua volontà che farà qualsiasi cosa per aiutarti”
“Compreso farsi uccidere?” scuoto la testa “Nessuno sarebbe così stupido”
“Hai ragione, sono stupidi quelli che come lei hanno un innato spirito di sacrificio. Pensaci Loki: chi altro le è rimasto a questo mondo? Sua madre è morta, su padre ormai non sa più lei chi sia…si sta legando a te come ultima ancora che la trattiene dall’abisso. Se dovesse per un momento sospettare che quello in pericolo sia tu, non esiterebbe a salvarti”

In quel momento mi tornano alla mente le parole di Gillian la notte che la salvai dall’aggressione: “Quando pensavo che fosse giunta la mia ora, sei arrivato tu. Il che vuol dire che magari c’è ancora qualcosa che devo fare, qualcosa al quale posso appigliarmi”

“Vedo che ci sei arrivato da solo”
“Ridammi lo scettro, posso renderla mia schiava anche subito”
Lei agita l’indice davanti ai miei occhi.
“Questo è meglio che lo tenga io, come promemoria, anzi garanzia che tu non faccia scherzi, e non perda di vista il tuo compito, poi lo riavrai a tempo debito. E poi non è così che funziona; il legame deve essere sincero, non dettato da una manipolazione mentale, senza contare che questo scettro fa emergere la negatività insita nella mente di chi viene toccato, e a te non serve. Hai bisogno di un’anima pura, candida, innocente. E al momento opportuno, la immolerai alla causa, passando la sua energia a me, così potrò uscire da questo buco” le ultime parole sono pregne di rabbia.
“Questa non è un’alleanza, è un ricatto” le faccio notare. Ma lei continua a parlarmi ostentando noncuranza.
“Consideralo come vuoi, ma pensa che tu avrai la possibilità di vendicarti di tutti gli Avengers, ed io potrò assistere alla disfatta di Thor, dopodiché ti approprierai di Midgard, e in seguito anche di Asgard. Io ti chiedo solo il piccolo prezzo di condividere questo tuo sconfinato potere con me, una volta che sarai proclamato Re…”
“E per diventarlo devo avere il mio agnello sacrificale…”
“Esatto. Si sacrifica sempre qualcosa per ottenere dei risultati, è una lezione che noi due abbiamo imparato molto bene, e a nostre spese” non mi sfugge la nota di rammarico nella sua voce. “Poi non credo che sia un destino così triste quello di avere come compagna e regina una donna come me, no?”
“Dovrei sempre dormire con un coltello sotto al cuscino, subdola come sei. Potresti tradirmi in qualsiasi momento, se non lo stai facendo già adesso…” le afferro il mento tra le dita, facendo in modo che i nostri sguardi si incontrino. Lei si irrigidisce, ma non si ribella. Ci scrutiamo per diversi minuti, l’uno impegnato a sondare la mente dell’altro, poi la lascio andare.
“Ora, se la lezione è finita, vorrei che tu mi rimandassi indietro”
“Quanta fretta, sei già così smanioso di metterti all’opera? Non hai voglia di restare ancora un po’ qui con me per…conoscerci meglio?” chiede ironica.
“Ho comunque altri otto mesi prima dell’allineamento planetario, e devo ancora eliminare qualcuno dalla mia lista. La nostra conoscenza può essere rimandata”
Lei sorride, ma poi assume l’espressione di chi ha appena ricordato qualcosa di molto importante.
“Ah, certo. Bene Loki, ti consiglio di far leva sullo stesso sentimento che ha spinto me dove sono adesso, per eliminare uno dei tuoi avversari”
“La vendetta?” chiedo, e lei scuote la chioma d’oro.
“L’amore. Quando ho guardato nel passato, ho notato che uno di loro è un uomo dotato di saldi principi morali, che crede fermamente in valori incrollabili, e possiede una fede cieca. Ecco, far leva sull’amore per coloro al quale tiene, o per il paese, sortisce sempre il suo effetto. Anche se tu viaggi sul binario opposto al suo, saprai bene come premere su questi tasti per…diciamo creare scompiglio in quella mente così ben ordinata”  Lei è spietata, fredda, calcolatrice, eppure il solo pensare a quella strategia la porta ad assumere l’espressione voluttuosa di chi sta provando un immenso piacere.
“Certo, avevo già una piccola idea di come fare a disfarmi di lui” affermo avendo intuito di chi si tratti. “Sei sicura che nelle tue vene scorra sangue di donna?” domando sarcastico.
“No, credo scorra il sangue freddo di un rettile. Allora ricorda Loki, concentrati sul piano. Se dovessi avere altre notizie da darti, manderò Cheshire. Oggi necessitavo di parlarti a quattr’occhi”
“Sì, è stato meglio così”
“Alla prossima occasione, mancato Re”
“Certo, Incantatrice”
Un lampo di luce bianca, e sono via.

***


Quando mi sveglio la luce solare lambisce con i suoi raggi i tetti dei grattacieli della metropoli. Sento Gillian che in cucina è intenta a prepararsi la colazione, prima di andare al lavoro. Scosto le coperte, mettendomi a sedere al centro del letto. È stata una lunga notte, e la visita di Amora mi ha messo sotto pressione. Mi alzo e apro piano la porta, camminando nel corridoio. Lei è in piedi, impegnata a sorseggiare un cappuccino. Si volta verso di me, e sorride.
“Ehi Logan, ti sei alzato presto, buongiorno”
“Buongiorno” scosto una sedia dal tavolo, e mi siedo.
“Vuoi che ti prepari qualcosa?”
“No, grazie”
Lei si avvicina a me preoccupata, comincia a toccarmi la fronte e le guance con le mani.
“Ti senti bene? Non sei caldo, non hai la febbre...”
“Sì, mi sento bene”
“Hai un’aria strana…Hai dormito stanotte?”
“Certo, oggi poi è il gran giorno” lei continua a scrutarmi in volto sospettosa.
“Guarda che se vuoi puoi rimanere ancora un po’, non mi dai fastidio”
“Ci hai preso gusto ad essere il mio secondino?”
“Ignorerò questo tuo fallimentare tentativo di umorismo” replica guardandomi con sufficienza “L’offerta comunque è sempre valida”
Annuisco, e cade il silenzio, mentre lei finisce di bere dalla sua tazza.
“Allora io devo andare, tu organizzati come meglio credi, se hai bisogno di qualcosa, e non hai voglia di fare la spesa, prendi pure quello che vuoi dal frigo e dalla dispensa, o passa dagli zii alla tavola calda”
“Sì, lo farò”
“Bene, allora ci vediamo” si avvia verso la porta, infilandosi la giacca che teneva ripiegata sullo schienale della sedia.
Cos’è che mi ha detto Amora? Ah sì, cerca di guadagnarti la sua fiducia.
“Sì ecco, a questo proposito ci terrei davvero molto a non perdere i contatti con te, una volta andato via” lei mi guarda sorpresa. “In fin dei conti mi hai salvato la vita” continuo cercando di infondere veridicità in quelle parole.
“Oh beh ecco io…ma sicuro! Senti, facciamo così, che ne dici di venire a cena qui una di queste sere? O possiamo andare a farci un giro… Devo ancora sistemare i turni, ma se vuoi posso lasciarti un bigliettino nella tua cassetta della posta, tanto conosco il tuo indirizzo. Almeno finché non avrai ripreso un cellulare”
“Sì, non è una cattiva idea”
“Bene, allora ci si vede in settimana! Buon ritorno a casa, Logan”
“Grazie”
Se ne va chiudendo la porta, negli occhi ancora la scintilla di un sorriso.

Io mi siedo sul divano, abbandonando la testa all’indietro, e fissando il soffitto. Odio dover fare le cose sotto costrizioni e ricatti; guadagnare la sua fiducia, rafforzare il maledetto legame per poi troncarlo di netto al momento della resa dei conti. Che senso ha? Posso evitarla e poi con una banale scusa convincerla a seguirmi e portare a termine l’opera. Il piano dell’Incantatrice richiede un dispendio di tempo ed energie che non sono disposto a concedermi. A meno che tutta questa storia della ragazza non sia una scusa per distrarmi… per farmi abbassare la guardia, e magari eliminarmi…Amora è una viscida traditrice, è come un serpente infido e tentatore: ti abbaglia con la bellezza dei suoi colori accesi e squame iridescenti per poi avvelenarti mortalmente con un singolo morso. Non posso fidarmi di lei, ma non posso nemmeno escludere che abbia ragione su Gillian. Che motivo avrebbe poi quell’esiliata di tradirmi? Potrebbe dire di aver organizzato tutta questa messinscena per catturarmi e assicurarmi alla giustizia, e così riabilitare il suo nome e tornare ad Asgard per riprendersi Thor…
Un lungo sospiro esce dalle mie labbra, troppi pensieri si accavallano nella mia testa. Gli Avengers non credono che io sia morto, ma non avendone la certezza saranno più vulnerabili. D’altronde adesso sono rimasti l’ammasso di ferraglia, il capitano ridicolo, e la bestia verde da eliminare per poi passare a mio fratello. E la sua dipartita è quella che richiede un’organizzazione perfetta, e per averla mi serve anche la dottoressa, anche se per la prima volta si tratterebbe di tradire qualcuno che mi ha veramente aiutato quando ne avevo bisogno, senza nulla a pretendere.

“Non dirmi che ti dispiace, Loki…” sussurra cosa? Ah, dovrebbe essere la mia coscienza. Ero abbastanza sicuro di non averla più.
“Ho i miei buoni motivi per continuare su questa strada”
“Non è una risposta quella che mi hai dato”
“No? Allora ascolta: non mi dispiace sacrificare una piccola pedina. Che differenza dovrebbe esserci tra lei e gli altri umani che ho ucciso? L’agente Coulson ad esempio era un valoroso dedito a salvare il pianeta dalle minacce come me, potrebbe essere considerato un uomo dal comportamento esemplare, un modello per tutti. Eppure sotto tutto quel rivestimento d’onore si nascondeva un meccanismo ben oliato pronto ad uccidere, in questo non era poi così diverso da me. Solo perché invece lei è una donna la cosa dovrebbe intenerirmi, rendermi uno sciocco sentimentale? Anche la vulvetta lamentosa era una donna, e non mi sembra che le abbia riservato un trattamento di favore. No, io porterò a termine il mio compito”
“Sei così sicuro di tutto…sembra quasi che tu stia cercando di grattare il fondo per convincerti che quello che stai facendo sia giusto”
“Non esiste una scelta che non comporti una perdita, ed io ho scelto”
La mia coscienza tace, non ribatte più. La mia strada è tracciata, non si torna indietro. No, non si torna.

Note
Amora, alias l’Incantatrice, è un personaggio Marvel. Le sue origini sono sconosciute, si sa che entrò a far parte della corte di Asgard, diventando un’abile maga.

***
Perdono, perdono, sono in vergognoso ritardo, e mi merito la vagonata di pomodori marci che sicuramente avrete intenzione di scagliarmi contro.
Allora, tornando a noi, Loki oggi l’ho presentato come combattuto nel dover prendere le sue decisioni, nonché restio anche a fidarsi degli alleati che si è scelto…è un personaggio abituato a dover stare almeno dieci passi avanti al nemico, lui…Ma ovviamente questa è la visione che ho io del personaggio, anzi, vi chiamo in causa per conoscere le vostre osservazioni in merito. Per quanto riguarda la questione scettro, è una cosa che avevo notato anche nel film, e della quale ho discusso abbondantemente con la paziente darkronin, da poco iniziata al culto Avengers, o meglio, al culto Tony Stark XD. L’oggetto sembra avere un potere a sé, capace di sottomettere la volontà, e far emergere la malvagità delle persone. Il suo meccanismo di difesa, credo si sia mostrato nella scena in cui tutti sono riuniti nell’Helicarrier dopo aver intrappolato Loki, e iniziano a litigare. Ma qualora dovessi aver preso un granchio, consideratela come un' interpretazione personale :D
E Amora invece cosa avrà intenzione di fare? Tradire o aiutare Loki? E lui fin dove si spingerà? Lo scoprirete nelle prossime puntate!
Grazie ancora a chi ha la pazienza di seguire e commentare! :D
See you soon! ^^

 

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Capitolo 19
*** Il re del niente ***


Ci sono, certe volte che 
Lo sai vorrei essere un re perché 
Sentirmi il primo in qualche cosa anch'io 
Ma il re del niente sono io 
E se va bene ecco, sono qui 
Non ci son trucchi ma l'inganno si 
Sono le parole che m' invento 
Che sono come foglie al vento
 
Gianluca Grignani – Il re del niente

I suoi passi  ticchettavano veloci sul lustro marmo delle sale di Asgard. Frigga correva mossa da un’incontrollabile ansia che la dominava: la gola secca, il tremore, i palmi sudati delle mani, gli occhi ciechi alla vista di chi, incontrandola in un corridoio, si inchinava alla sua presenza. I dettagli  di quella notte erano ancora vividi, impressi a fuoco nella sua mente. Un sogno. Ma non un sogno come tanti: una chiara, nitida, inconfutabile visione del futuro. E adesso doveva sapere, sapere se quella premonizione avrebbe davvero messo in pericolo un ormai già precario equilibrio. Solo tre persone potevano confermare o smentire quel disegno, ossia, chi lo stava tessendo.
Sellò velocemente il suo cavallo partendo al galoppo sulla via che conduceva al Bifröst, lasciando dietro di sé le impronte luminose dell’animale, che svanivano poco a poco spegnendosi tenuamente. Il vento le sferzava il viso, mentre con colpetti decisi al fianco dell’animale lo incitava alla corsa. La figura imponente e fiera di Heimdallr vegliava il ponte tenendo la spada con le mani salde intrecciate sull’elsa, e ben fissato alla cintura Gjallarhorn, un corno portentoso il cui suono aveva il potere di raggiunge ogni luogo. Questo avrebbe trasmesso per l'intera Asgard, e fino alle sale del Walhalla, il segnale dell'arrivo del nemico per la battaglia finale di Ragnarok. La regina dovette arrestare la sua corsa, scendendo da cavallo e fronteggiando il guardiano.
“Signora del cielo” la salutò.
“Dio bianco” contraccambiò lei il saluto, continuando “Ho bisogno di raggiungere le Nornir allo Yggdrasill”
“Sì, conosco ciò che ti affligge, mia regina. Il passaggio è aperto, possano la tua mente e il tuo cuore trovare conforto”
Lei gli sorrise riconoscente “Così parlò Heimdallr, il più candido fra gli Æsir, come gli altri Vanir anche lui conosceva  bene il futuro…” Heimdallr fece un cenno di assenso, e con la sua spada il passaggio fu aperto.

***

Frigga venne risucchiata e spinta verso la sua destinazione in pochi attimi. Il Bifröst era ancora in fase di riparazione dopo la distruzione che ne era conseguita dallo scontro tra Thor e Loki, ma alcune vie erano di nuovo aperte, come quella diretta verso l’albero della vita.

“Ti stavamo aspettando, signora degli dèi” disse Urðr mentre prendeva a grandi mani dell’argilla bianca dalla fonte del Destino, cospargendo la corteccia dell’albero sacro. Lei era l’unica delle tre sorelle a potersi allontanare dall’arazzo. Un leggero vento scosse le fronde, senza però sollevare i capelli della divinità. Tutto in lei rifletteva l’immutabilità, la stazionarietà di ciò che ormai è passato e non può essere cambiato. Capelli grigi come i ricordi che nella mente cominciano ad essere avvolti dalle nebbie, che sbiadiscono con l’avanzare del tempo. Teneva gli occhi quasi argentei fissi sulla regina.
“Possiamo leggerti l’apprensione in viso” continuò Verðandi, intrecciando sapientemente un filo della sua tela. Stava seduta scostando poi i lunghi capelli scuri delicatamente dietro la schiena. I suoi occhi ambrati si voltarono brevemente per studiare la donna.
“E conosciamo la tua domanda, dunque ponicela” concluse Skuld, la dea in continua trasformazione, i cui capelli cambiavano colore e non erano mai fermi. Ondeggiavano come mossi da una brezza perenne, così come i suoi occhi cangianti. Tutto in lei era mutabile e imprevedibile, come il futuro.
Frigga si torse le mani, provando a parlare. Dalla sua gola secca fuoriuscì solo un suono arrochito
“Ho avuto una visione del futuro. Lo sa. Ho visto cosa succederà quando la verità verrà rivelata e…” dovette interrompersi per schiarirsi la voce, ricacciando indietro le lacrime che le pizzicavano gli occhi “…e questo porterebbe solo allo sfascio della mia famiglia, quindi vi chiedo: è possibile che ci sia stato un errore, che quello che ho visto non si avvererà? Deve esserci stato uno sbaglio, lo so, è così…” una lacrima cadde infrangendosi al suolo.
“Non c’è stato nessun errore, la tua è una chiara visione del futuro, signora del cielo”
A quelle parole Frigga si sentì avvolgere da un freddo innaturale. Se ne stava rigida, congelata sul posto, il cuore che le batteva all’impazzata nel petto.
“Quindi mi state dicendo che…è condannato?” si rifiutava di credere a quelle parole.
“Potresti sempre far intervenire Odino, e impedire che ciò accada” intervenne Verðandi.
“No, il padre degli dèi è all’oscuro di questa faccenda” affermò Urðr.
“E così resterà. Non puoi impedire che il futuro faccia il suo corso”
Alle parole di Skuld, Frigga si adirò “Tu non capisci, ti rendi minimamente conto di cosa succederà? Dovrò assistere inerme alla perdita di mio figlio? Io non posso starmene a guardare sapendo a cosa andrà incontro!”
“Placati, regina. Tu hai visto un singolo evento, ti manca il quadro completo. Hai pensato alle altre possibili implicazioni? Che magari quell’atto porterà alla salvezza, e non alla condanna?”
L’ammonimento di Skuld fece calmare la donna.
“Non avevo pensato a questo…”
Urðr le si affiancò, posandole una mano sulla spalla, guardandola dolcemente “Fidati delle parole di mia sorella, signora del cielo. Lei sa quel che dice più di tutti noi”
Verðandi confermò con un cenno del capo.
“La tela che io intreccio è solo un’indicazione, non sono io a decidere cosa succederà. Tranne che per alcuni eventi predestinati, sono le singole scelte che rendono il futuro vero e realizzabile, e quella che hai visto è solo una delle tante sfaccettature. La decisione che prenderà sarà quella che riterrà più saggia, ma finché non arriverà il momento, possiamo solo aspettare, e soprattutto, non interferire. Abbiamo atteso a lungo il ritorno della divinità perduta”
“Quindi c’è ancora speranza?” chiese la donna con occhi ancora lucidi, ignorando le ultime parole della dea.
“Probabilmente sì” rispose Skuld.
Frigga si sentì più sollevata, probabilmente era sempre meglio che nessuna speranza alla quale aggrapparsi. Quello che aveva visto, quel sangue…le grida…avrebbe voluto strappare dalla mente tutto, avrebbe voluto non vedere. Sospirò pronta a congedarsi dalle Nornir.
“Vi ringrazio, divine disir”
“La buona sorte sia con te, signora degli dèi”
“Così sia” replicò Frigga tornando al Bifröst “Così sia”

***

L’auto sportiva si fermò nello spiazzato antistante un complesso militare. Soldati in divisa armati sorvegliavano l’entrata con lo sguardo perso in lontananza.  Quando i tre uomini varcarono la soglia, trovarono un agente ad accoglierli. Era dal giorno che avevano saputo della scomparsa dei due membri dello S.H.I.E.L.D. e della fuga del dottore che non si erano più rivisti. Le circostanze erano ancora oscure, e solo lo scienziato sembrava avere le risposte necessarie. Attraversarono i tipici corridoi angusti, illuminati dalle neutre luci di neon, scortati fino a quella che sembrava essere una cella di prigione.
“Dottore, ci sono le visite che aveva richiesto al generale Fury” disse l’uomo armeggiando con i codici di sicurezza per aprire la spessa porta d’acciaio rinforzato. Una porta che in caso di perdita di controllo dell’uomo all’interno, sarebbe comunque risultata un’ inefficace protezione. Dalla stanza non venne alcuna risposta se non un gemito di assenso.
“Da quanto tempo è chiuso là dentro?”
“Da una settimana, signor Stark. Quando l’abbiamo trovato che vagava completamente svestito nel deserto del Rub’ al-Khali nello Yemen, era in evidente stato confusionale, e fortemente disidratato. Quando l’abbiamo identificato come civile americano  è rimasto due settimane fermo in Ambasciata per le cure mediche, dopodiché l’abbiamo rimpatriato dopo aver saputo che era un agente in missione congiunta per lo S.H.I.E.L.D. e la C.I.A. Quando siamo tornati ci ha chiesto di barricarsi in una cella, e non ne è voluto più uscire. Non ha pronunciato parola, oltre alla richiesta di vedere voi tre”
La porta si aprì con uno sferragliare metallico. La camera era poco più grande di una cella, un tavolo di plastica poggiato contro la parete, la sedia riversa sul pavimento a tratti sconnesso. Sul letto, somigliante ad una branda d’ospedale, era rannicchiato in posizione fetale quello che un tempo era il dottor Bruce Banner. La luce filtrava da una minuscola finestra  occlusa da sbarre di ferro, illuminando quello che sembrava essere un piccolo lavaggio attaccato al braccio dell‘uomo, che pendeva al di fuori del letto.
“Bruce…” quella visione strinse il cuore di Steve.
Il dottore si voltò, aveva gli occhi rossi, cerchiati da profonde occhiaie violacee. Si muoveva come un automa, a scatti; con gesti meccanici chiuse la manopola che faceva scorrere il liquido all’interno del tubicino.
“Cosa gli state dando?” chiese Thor.
“Calmanti” rispose l’agente atono.
“Vuol dire che lo tenete qui e lo state anche drogando?” l’astio nella voce di Tony era palpabile.
“Non lo stiamo drogando, signor Stark” replicò l’altro piccato “Ha chiesto lui di essere tenuto sotto sedativi per evitare di…perdere il controllo di se stesso”
“Non avevate detto che aveva smesso di parlare?”
L’agente inarcò un sopracciglio seccato dalla domanda del capitano “Vi lascio soli con lui, chiamatemi quando avrete finito” fece un cenno all’interfono sulla parete, ed andò via.
“Bruce, guardami, ti senti bene?” Tony afferrò lo scienziato per le spalle, fissando i sui occhi vacui. Ma all’improvviso vennero scossi come da una scintilla interna, e si rianimarono
“Tony, Steve, Thor, siete venuti!” esclamò con un moto di entusiasmo.
“Ehi amico calma, certo che siamo venuti! Com’è che hai deciso di startene qui? Fai le valigie, ti porto immediatamente a casa” il magnate si alzò prendendolo per un braccio, ma lo scienziato si ritrasse rapidamente fino ad urtare con la schiena contro la testiera metallica del letto.
“NO! Io non posso uscire da qui, è pericoloso…” abbassò lo sguardo.
“Perché è pericoloso?”
“Per voi, per tutti voi! Credimi Steve, è meglio che io me ne resti qui, in questo modo posso solo aiutarvi, non metterò in pericolo nessuno”
“Non può vivere in un mondo al confine tra sogno e realtà, dottore”
“Eppure tu vieni da un mondo dove la magia è una cosa normale, asgardiano” replicò mestamente, con un sorriso amaro.
“Bruce, raccontaci cosa è successo. Per questo ci hai chiamati qui, no?”
Risollevò gli occhi incontrando quelli scuri di Tony che lo fissavano preoccupati. Annuì con il capo, facendo cenno agli altri due si avvicinarsi.
“Ho chiesto davvero io di vivere in questo stato quasi catatonico per evitare di scoppiare, di arrabbiarmi con me stesso per quello che è successo in Iran…” si fermò raccogliendo i pensieri, cercando di scuotersi dal torpore indotto dai farmaci quel tanto che gli bastava per ritrovare la lucidità necessaria. ”Eravamo appena arrivati in una fabbrica nascosta di bombe sporche senza trovare un uomo a fare la guardia, o qualcuno a sorvegliare l’interno…era tutto abbandonato, o almeno così appariva ai nostri occhi”
Il dio del tuono sentì un brivido scorrergli lungo la spina dorsale, intuendo quel racconto a cosa avrebbe portato. Il dottore sollevò lo sguardo incontrando i suoi occhi.
“C’era tuo fratello lì ad attenderci, una trappola senza dubbio ideata per noi, anche se non so come abbia fatto a scoprire della missione” tacque. Tutti gli sguardi si volsero in direzione di Thor, che rispose a quella tacita domanda con un nervoso
“Loki è disposto a tutto pur di ottenere le informazioni che desidera”
“Sì, informazioni…c’è stata una violenta colluttazione, Clint e Natasha si sono difesi, ma poi lui ha preso me, e loro si sono visti impossibilitati a contrattaccarlo, e poi quel maledetto ha cominciato a dirmi quelle cose…” parlava di fretta, una smania quasi ossessiva.
“Calmati Bruce, va tutto bene, continua…cosa è successo a Clint e Natasha?” lo rassicurò Tony.
“Ha cominciato a sussurrare delle cose…sul mio passato, la mia famiglia, l‘incidente…e Betty. Non ce l‘ho fatta a controllarmi, schiacciato com‘ero dal peso di quei ricordi che ancora oggi hanno il potere di suscitare in me le più devastanti emozioni…”afferrò un lembo di lenzuolo stringendolo tra le mani in un moto nervoso. “E così mi sono trasformato, e la furia distruttiva dell‘Altro ha imperversato in quella caverna. Ricordo di aver visto Clint e Natasha bloccati da Loki, dopodiché si sono liberati e si sono messi al riparo…ma nella foga ho scatenato una frana” tacque sospirando amaramente. “L‘ultima cosa che ho visto è stata Loki accasciato al suolo con una pozza di sangue che si allargava sotto di lui, e poi la pioggia di pietre ha sigillato l‘antro quando sono saltato fuori. Il crollo ha schiacciato tutti, nessuno è sopravvissuto. E gli agenti sono morti per causa mia, è successo tutto per colpa mia…”
Thor deglutì a fatica. E così le armi forgiate con il metallo Uru avevano funzionato, Loki non era sopravvissuto. Aveva trovato la morte in una caverna, sepolto da una frana, e con il corpo perforato da proiettili.
“Non è colpa tua, Bruce. È stato Loki, e adesso non c‘è più, ci siamo liberati di un criminale, di un mostro”
“Ma a quale prezzo, capitano? La vita di due validi agenti, due ottime persone, due amici…”
“Erano addestrati, sapevano a cosa andavano incontro. Sarebbero potuti morire centinaia di volte in altre missioni”
“Ma non per causa mia! La colpa è solo mia, lo volete capire?! Se non mi fossi trasformato, se non avessi ceduto alla rabbia, loro avrebbero messo fuorigioco Loki con l‘uru e a quest‘ora sarebbero vivi!” sbottò lo scienziato.
“No Bruce, sai bene che non è così”
“Credi quello che vuoi, Stark. Se non ci fossi stato io con loro, la missione avrebbe preso una piega del tutto diversa” voltò lo sguardo in direzione del sole che proiettava le ombre della grata sul pavimento. Nessuno parlò finché non fu proprio lui a riprendere “Ora se non vi dispiace, vorrei restare da solo. Dite a Fury che interrompesse le ricerche dei suoi agenti; ditegli che sono entrambi morti assieme a Loki”
“Dottor Banner…”
“Grazie della visita, addio”
Lo scienziato riaprì la manopola facendo scorrere il liquido, in pochi attimi si addormentò. Thor andò all’interfono richiamando l’agente per uscire. Quando furono di nuovo fuori, entrarono in auto stando in silenzio. Un silenzio carico di tensione e di dispiacere per il dottore, il cui equilibrio psicologico era stato messo per l’ennesima volta a dura prova, aggravato da quel pesante fardello di colpe che si trascinava dietro.

“E così pare proprio che sia finita” disse Tony stringendo il volante con molta più forza del necessario.
“Andrò io ad informare Fury dell’esito della missione, anche se sono sicuro che aveva intuito la sorte capitata a Clint e Natasha” continuò il Capitano.
“Io devo fare ritorno su Asgard, devo informarli dell‘accaduto. Abbiamo parecchie cose da sistemare adesso” fece mesto Thor.
Tony svoltò rapidamente, fermandosi ad un’area di servizio con un piccolo bar.
“Io ho bisogno di qualcosa di forte, chi mi ama mi segua” scese dalla macchina e si avviò dentro. Gli altri due si guardarono incerti, ma concordarono nel seguirlo.
Iron man oltrepassò la soglia con fare sicuro, si sedette al tavolino accavallando le gambe. Si tolse gli occhiali da sole e li posò sul tavolino, massaggiandosi poi le tempie; Thor e Steve entrarono e presero posto accanto a lui. Li guardò sottecchi
“E così mi amate tanto se mi avete seguito” ironizzò.
“Non farti illusioni, Stark, siamo qui per impedirti di fare qualcosa di immensamente stupido” lo rimbeccò Rogers.
“Qualcosa di immensamente stupido come questo? Oste! Portami una bottiglia della tua roba migliore!” gridò facendo voltare tutti gli avventori. Steve divenne paonazzo per l’imbarazzo, mentre Thor distoglieva lo sguardo facendo finta di niente.
“Ecco a te, dolcezza” una cameriera di mezza età gli portò una bottiglia di whiskey e tre bicchieri.
“Grazie mille…Sally” disse leggendo la targhetta con il nome. “Sei la donna della mia vita. Vuoi sposarmi?”
“Stark, piantala!”
“Sei solo geloso del mio essere schietto, Rogers”
La cameriera scosse la testa, ed andò via. Probabilmente era abituata a molto peggio. Tony aprì la bottiglia, e ne versò il contenuto nel bicchieri, porgendoli agli altri.
“A Clint e Natasha” lo sollevò e i due lo imitarono.
“A Clint e Natasha” esclamarono, bevendo poi tutto d’un fiato.
“Oh turista, per favore non rompere niente. Conosco la vostra mania di spaccare innocenti bicchieri o tazze al suolo”
Thor non riuscì a trattenere un sorriso “Tranquillo, uomo di metallo, non ci saranno cocci sparsi oggi, vedi? Tutto intero”
Per un po’ stettero in silenzio, ciascuno con i propri pensieri. L’ultima volta che si erano ritrovati uniti ad un tavolo la squadra era al completo, ed avevano appena salvato il mondo.
“No, io non me la bevo. Non possono essere morti”  affermò Tony scuotendo energicamente il capo.
“E cosa ti fa credere il contrario? Hai sentito Bruce cosa ha detto? Li ha schiacciati dalla frana, mentre Loki se non è stato sommerso dai detriti sarà sicuramente morto dissanguato”
“Non pretendo che tu capisca, nonnetto. È solo una sensazione, il mio…sesto senso di genio che sta formicolando. Come quando sei a scuola e mentre il professore scorre il registro sai che quello che sarà interrogato sei tu. E proprio quando non hai studiato, per giunta”
“Però, ti basi davvero su dei grandi metodi scientifici, Stark. Le tue sensazioni fanno invidia a Spiderman”
“Non ti si addice il sarcasmo, Capitan Obsoleto”
“No, quello è prerogativa dei miliardari arroganti”
“Bingo! Miliardari, geni, playboy e filantropi”
“Sempre con questa manfrina, eh?”
“La tua è tutta invidia, perché sei vecchio e non hai nessuno di questi titoli all‘attivo. Hanno anche creato un fanclub di Iron man su facebook” lo guardò con sufficienza facendogli vedere la pagina internet tramite il tecnologico apparecchio cellulare.
Continuarono a battibeccare ancora, ma Thor non intervenne nella conversazione, se ne stette invece pensieroso. Era forse possibile che Loki fosse sopravvissuto? No, era una domanda sciocca, non dopo essere stato colpito dall’uru. Avrebbe perso la sua magia, e si sarebbe ridotto ad un semplice mortale. No, era decisamente da escludere. Eppure ci sperava. In un piccolo angolo del suo cuore pregava che suo fratello fosse ancora vivo, nonostante fosse stato lui a fornire l’arma che, a quanto sembrava, l’aveva ucciso.

***

Ed eccomi di nuovo davanti alla porta di casa della dottoressa. Avevo trovato il suo invito nella cassetta della posta due giorni prima. Diceva di venire a casa sua alle 8 per la cena, e aggiungeva di mettere anche il nome sulla cassetta. Sempre la solita pignola.
Mi apre la porta trafelata, piazzandosi davanti all’entrata.
“Ehi Logan, ciao, sei in anticipo”
“Non credevo che ti desse fastidio anticiparmi di dieci minuti”
“No, no assolutamente, è solo che…”
“Non mi fai entrare?” getto un’occhiata curiosa alle sue spalle, guardando il fumo all’interno. Le finestre sono spalancate “ Che cosa stavi facendo? Stavi provando a cucinare qualcosa di velenoso e l‘esperimento ti si è ritorto contro?”
Lei infine si scosta liberandomi il passaggio, e inarca un sopracciglio.
“Davvero spiritoso come sempre. Comunque mi sono distratta per rispondere ad una telefonata, e ho carbonizzato la mia crostata. Per stasera siamo senza dolce, mi dispiace”
“Così non invogli le persone a venire a cena a casa tua, mia cara”
“Ma quei ghigni sarcastici ti vengono naturali, o fai le prove davanti allo specchio?”
“Secoli di allenamento”
Lei ridacchia, poi apparecchia e mentre ceniamo fa la cosa che di solito le riesce meglio: parlare. Così comincia a raccontarmi, tra un boccone e l’altro, della sua settimana, dei casi, dei colleghi e via discorrendo. Ma allora è questo che fanno gli amici? Subiscono ore ed ore di chiacchiere inutili e dispersive senza fiatare? Più che aggiungere qualche cenno di assenso non so davvero cosa fare. Io e Gillian non abbiamo mai trascorso tanto tempo insieme, anche se ho vissuto a casa sua lei era spesso al lavoro, mentre ora è diverso.  È come se stesse facendo degli straordinari, bombardando il mio cervello con degli extra indesiderati. Ormai continuo a credere che il piano di Amora stia facendo acqua da tutte le parti, anche se devo ammettere che la dottoressa ha una capacità polmonare davvero notevole. Si può parlare così tanto? In effetti a pensarci bene solitamente le persone non si fermano molto a conversare con me, specie ad Asgard, dove le chiacchierate più lunghe sono quelle che ho intrattenuto con…non riesco a ricordare. Quando eravamo bambini io e Thor eravamo soliti parlare tanto, specie dopo una giornata particolarmente interessante, anche se la sua attività preferita era fare progetti su cosa avrebbe approvato quando sarebbe diventato Re. Perché lui già sapeva di essere destinato, mentre io ero solo l’intralcio sulla strada. A volte mi chiedo perché Odino mi abbia illuso, facendo credere anche a me di avere una chance.
“Siete destinati entrambi ad essere re” così diceva. Ed io ci credevo. Poi alla fine ho capito che se non avessi conquistato un posto da sovrano da solo, non l’avrei mai avuto. Sarei stato solo il re del niente. Di tutta quella vita passata ad Asgard mi sono rimaste solo bugie. Ed è ad un amico che si confidano questi pensieri, queste preoccupazioni? Credo di sì, almeno così mi sembra di ricordare…
“E così ho deciso di cominciare a spacciare droga ai minorenni, vendere armi, e prestare soldi a strozzo. Ti sembra una buona idea, Logan?”
La sua voce interrompe il filo dei miei pensieri. “Come?”
Mi guarda incrociando le braccia al petto “Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto”
“Certo che ho ascoltato, non essere sciocca”
“Ok, forse hai ascoltato per un po’, ma alla fine hai perso il collegamento. Sei pensieroso, se avevi problemi a venire qui stasera potevi anche dirmelo, avremmo rimandato”
“No, non sono particolarmente pensieroso”
“Negheresti anche l’evidenza, vero? Allora se non sei pensieroso, sei di poca compagnia, e a me faceva piacere averne un po’”
“A te fa piacere essere in mia compagnia?” le chiedo con una punta di sospetto. Non capisco se voglia fare dell’ironia o meno.
“Certo che mi fa piacere, perché dovrebbe essere il contrario?” sbuffa ridacchiando. “La domanda è se fa piacere a te essere qui stasera”
Questa è un’acuta osservazione. Mi fa piacere essere qui stasera? Non lo so, la cosa non è cominciata nel migliore dei modi, anzi. Però devo compiacerla.
“Certo, mi fa piacere”
“Sono contenta, anche perché mi hai chiesto tu di continuare a vederci…” mi lancia uno sguardo indagatore, al quale non voglio concedere niente. Mi sorge piuttosto una domanda.
“Se non l’avessi fatto ci saresti rimasta male?”
Arriccia le labbra pensierosa , e poi mi risponde “Beh, un po’ sì. Abbiamo praticamente vissuto insieme, sei quasi morto in casa mia…non è una cosa da ‘Ciao ci vediamo’ e basta. Due persone che condividono questo non possono semplicemente sparire l’uno dalla vita dell’altro. Però se anche non me l’avessi chiesto, avrei accettato la tua scelta, non sono il tipo che vuole imporre la sua presenza agli altri. Ma posso ammettere con serenità che mi fa piacere averti ancora qui. Sei mio amico!” dice sorridendo.
“Anche tu sei la mia unica amica, qui” le dico, e quella parola ha uno strano effetto sulle mie labbra. Non ricordo di aver definito qualcun altro a quel modo.
“Allora tu sai bene che tra amici ci si aiuta, vero?”
“No, credo di aver capito quello sguardo, e sento che sta per arrivarmi una richiesta noiosa. Fai i tuoi occhioni da cucciolo a qualcun altro”
“Logan dai, ti prego! Devi solo accompagnarmi ad una festa di beneficenza per l’ospedale, non è niente di particolare…per favore!!!” blatera implorante.
“La tua non è amicizia, è un continuo ricatto” osservo.
“Sarà divertente, è una festa! Mi raccomando, vestiti elegante. Poi ti farò avere i dettagli” cinguetta felice. Per essere la mia prima amica non è di certo normale. Gli amici dovrei scegliermeli meglio, a quanto pare.
“Va bene, va bene. Però non farti strane idee, del tipo trascinarmi a ballare o cose del genere” le dico agitandole la mano verso il viso.
“Oh, allora è un sì! Grazie, grazie, grazie! No, assolutamente, sarà una cosa sobria, e appena avrai voglia di andare via, ce ne andremo, promesso” si segna una croce sul cuore.
“Smettila di fare la boyscout, sei pessima. E non hai nemmeno preparato un dolce”
“Touché. Però sono previdente, e quindi ho preso il gelato, quello che ho notato che mangiavi lentamente per non farlo finire”
“Ah, non credevo ci avessi fatto caso…” ed è vero. Devo ricordarmi di quanto sia brava nello studiare i comportamenti. La cosa potrebbe sempre tornare a mio favore.
“Io noto tutto” afferma orgogliosa.
“Benissimo, e io invece quanto dovrei aspettare? Su, servimi”
“Sempre il solito viziato, e la colpa è solo mia…” bofonchia mentre prende il gelato.
Dopocena ci fermiamo a giocare un po’ a scacchi, e scambiare qualche chiacchiera. Devo sempre deviare i suoi tentativi di intrufolarsi a fondo nella mia mente, ma non so per quanto posso evitare di rispondere alle sue domande. Un giorno pretenderà di sapere, specie se adesso c’è la storia dell’amicizia in ballo. Ma finché posso tenerla a bada, ben venga. Ora però mi sono accollato anche quest’incombenza della festa. D’altra parte il tempo è lungo fino al giorno della fine e del nuovo inizio, quando verrò ripagato di tutti questi sforzi. Ma c’è una domanda che si è infiltrata come un tarlo nel mio cervello, e continua a martellarmi mettendomi in guardia, stimolando sempre i miei sensi a stare all’erta, e non posso fare a meno di scacciarla, anche perché non ho trovato una risposta adeguata: “In che razza di situazioni ti stai cacciando, Loki?” mi ripeto. Forse la sola risposta possibile è: “Mi sto cacciando nell’unica situazione che mi consentirà un vantaggio” Deve essere proprio così.

Note
(*)Nel mondo norreno, gli Æsir sono gli dèi, signori assoluti del cielo. Vanir è una delle due stirpi della mitologia norrena (l’altra è appunto quella degli Æsir), rappresentano gli dèi legati alla fecondità. Le Dísir invece sono delle divinità femminili minori delle quali si sa molto poco eccetto che sono menzionate in occorrenza della morte.
(**)Secondo la mitologia, Frigga è dotata del dono della chiaroveggenza ed è a conoscenza di alcuni dettagli del presente e del futuro che sfuggono persino al marito, pur non rivelandoli mai.

***
Un parto. Questo capitolo è stato un parto plurigemellare senza epidurale. Non garantisco nemmeno della qualità, dato che più lo rileggo, più mi sembra immensamente…stupido. Ok, aldilà delle mie tribolazioni mentali, torniamo a noi. La faccenda Bifrost è stata alquanto complessa, dato che nel film Thor il ponte è stato completamente distrutto, e in  The Avengers, Loki dice al biondino “Quanto potere oscuro ti ha donato Padre per farti arrivare qui?” il che mi metteva in difficoltà, visto che lo Yggdrasill è raggiungibile solo tramite il suddetto Bifrost. Così ho pensato che prima o poi avrebbero dovuto cominciare a ripararlo, magari non aprendo tutte le strade verso i mondi, ma cominciando da quella più utile, ossia verso l’albero. Spero di aver dato una spiegazione sufficiente XD
Per il resto attendo solo voi, ai lettori l’ardua sentenza! A presto! ^^

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Capitolo 20
*** Il traditore ***


And if I stop for a minute
I think about things really I don’t wanna know

Keane – Stop for a minute

[E se mi fermo per un minuto/ Penso a cose che in realtà non voglio sapere]

 
Fare promesse non è mai stato il mio forte. Non ho mai ritenuto indispensabile legarmi ad una sorta di giuramento per compiere un determinato atto, o tenere un determinato comportamento. Infatti il più delle volte si sono rivelati fallimentari tentativi. A discapito di altri, ovviamente. D’altronde ho sempre pensato che le promesse esistano solo per non essere mantenute, eppure da solo, con le mie abili mani da ingannatore, mi sono ritrovato in una situazione in cui non mantenere la parola data mi causerebbe enormi svantaggi. Ed un bel mal di testa a furia di chiacchiere random da parte della mia nuova amica. O dovrei dire la mia unica amica, ma tutto ciò non ha alcuna importanza. Ormai siamo  in febbraio inoltrato, e le nostre cene sono state molto più sporadiche, dato che Gil è stata impegnata con il suo lavoro più del solito. Non che la cosa mi dispiaccia, ho avuto anzi modo di organizzare le prossime mosse insieme con Gylfi. E poi è arrivata, la nota con l’appuntamento per la festa. Pensavo se ne fosse dimenticata, liberandomi da questa fastidiosa incombenza, ma a quanto pare gli umani prendono molto sul serio la parola data.
“Ogni promessa è debito” cinguetto con lo stesso tono della dottoressa. Ed io non voglio essere debitore di qualcosa. Finisco di annodarmi questa sorta di cappio he chiamano cravatta, prendo il soprabito, e scendo. Il portiere mi rivolge uno sguardo ed un sorrisetto malizioso.
“Appuntamento galante?”
“No, cena di lavoro” lui scrolla le spalle alla mia risposta, scoccandomi un’occhiata complice.
“Spero che allora alla sua cena di lavoro sia presente anche una bella signorina”
“Certo, speriamo” gli dico andando via.

 


***
 


Il complesso enorme del Presbytherian Hospital di New York apre le sue porte automatiche a me, nuovo visitatore. Scorgo Gil da lontano, che si avvicina a passo veloce, evidentemente agitata.
“Ma dov’eri finito?” a quella domanda guardo dubbioso l’orologio, ma l’ora dell’appuntamento è quella concordata.
“Sono in perfetto orario, di che ti preoccupi?” lei sospira, stringendosi la sciarpa attorno al collo.
“Scusa, sono un po’ nervosa…”
“Non pensavo che le feste ti creassero questi problemi, mi eri sembrata entusiasta”
“Sì beh, ne ero entusiasta finché non mi hanno riferito che il nostro primario sta per scegliere lo specializzando capo, e dovrebbe fare l’annuncio stasera…”
“Dovresti tranquillizzarti, questa tua tensione potrebbe portarti a fare qualche gaffe”
“Sì, hai ragione, devo calmarmi. Sei autorizzato ad avvisarmi appena mi vedi troppo inquieta. Dai seguimi, la sala congressi è al terzo piano” si dirige verso l’ascensore, premendo il pulsante.Saliamo con altre persone invitate alla festa, presumo dal vestiario elegante. Le porte scorrevoli si aprono, e ci ritroviamo in un ampio atrio,  di fronte l’entrata della sala congressi rivestita in pannelli di vetro che permettono di guardare all’interno. Gil prende un corridoio laterale, aprendo poi con la chiave magnetica una porta. La seguo in uno stanzino fornito di un letto a castello, un armadietto, ed un paio di sedie. Si sfila il cappotto appendendolo nell’armadio, e resta con un semplice abito nero. Quando si volta per prendere il mio cappotto posso osservarla meglio:  l’abito le arriva al ginocchio, la scollatura a V non è profonda da risultare volgare, l’unico tocco di particolarità è il piccolo nastro di raso sotto il petto. Ha una collana con una piccola pietra azzurra a forma di goccia, le scarpe hanno aggiunto altri dieci centimetri alla sua altezza. Tiene i capelli sciolti in una massa ordinata sulle spalle, e gli occhi sono resi più luminosi da una sfumatura leggera di trucco.
“Non mi fido degli armadi lì fuori, ho la sensazione che si mettano a frugare nelle tasche. Le nostre cose stanno meglio qui” mi dice richiudendo l’armadio, e aprendo la borsa per estrarne un rossetto.
“Ti sembra questo il momento di truccarti? Non potevi farlo a casa? Sei così irrequieta?”
“Piantala di fare domande, ho visto che mi stavi facendo una radiografia prima” mette il rossetto sulle labbra sistemandosi poi la chioma riccia, e mi lancia un’occhiata sorridendo “Anche tu non sei poi così male in abito da sera”
“Infatti direi che mi dona non poco, vero?”
“Certo ma…” si avvicina piano sfilandomi la sciarpa “…questa la togliamo, non mi piace”
“E da quando decidi tu cosa deve piacerti o meno del mio vestiario?”
“Da quando sei diventato un esperto di moda con libertà decisionale?” risponde sedendosi poi sulla sedia e sollevando i piedi “Queste scarpe mi uccideranno”
“Ti sei chiusa qui dentro per nasconderti, altro che storia dell’armadio…sei davvero coraggiosa, dottoressa. Ti diverti a scappare?”
A quella domanda solleva lo sguardo di scatto, fissandomi seria. I suoi occhi hanno perso la scintilla gioiosa, sembra sinceramente irritata.
“Non lo so Logan, da quanto tempo invece stai scappando tu?”
“Non sono io quello chiuso in una stanza d’ospedale” rispondo pungente.
“Infatti tu sei scappato direttamente in un posto più spazioso come New York” non mi da modo di replicare che si alza dalla sedia, camminando con sicurezza su quelle scarpe.
“Allora, andiamo?” mi rivolge un sorriso di sfida.
“Prima le signore” le dico indicando la porta.
Siamo appena rientrati nell’atrio, che una voce stridula ci costringe a fermarci. Dalla porta di ingresso del salone esce una donna dal lungo abito blu cobalto, decisamente scollato. I capelli neri che ricadono in onde si sollevano al suo passo.
“Gil, tesoro, finalmente sei arrivata! Cominciavo a pensare che ti fossi persa…”
“Ma no, ho solo posato il cappotto di là” le risponde.
“Ah capisco, e chi è il tuo amico?” le chiede scoccandomi un’occhiata lasciva.
“Oh sì certo, Logan lei è la mia amica e collega Angela Beatch, Angela, lui è Logan Laufeyson”
“Piacere di conoscerti Logan” mi tende la mano sfoggiando un sorriso seducente.
“Piacere mio” le rispondo mimando un po’ di cordialità.
“Bene, perché non entriamo dentro, la festa si sta scaldando. Il dottor Delly ha cominciato a raccontare barzellette illustrando per l’ennesima volta la veridicità del metodo Patch Adams”
“Certo ma tu perché sei uscita? Cercavi qualcuno?”
“Ero venuta per cercare te, sciocchina! Ed ho fatto proprio bene a quanto pare” continua a fissarmi con i grandi occhi scuri, ed un sorrisetto furbo. Gil storce le labbra, come se le azioni dell’amica fossero qualcosa alla quale è abituata.
La sala è gremita di persone che chiacchierano tra di loro, seduti ai tavoli, o in piedi nelle vicinanze del buffet. In questo differisce dalle feste di Asgard, con le lunghe tavolate nella sala del trono. Gil comincia a dispensare saluti e sorrisi a tutti, mentre la seconda dottoressa si attacca al mio braccio.
“Scusa, ma sai…le scarpe…avere vicino un sostegno può essere davvero d’aiuto”
“Di cosa ti occupi, Angela?” le chiedo cercando di sviare i suoi tentativi di flirt.
“Sono un’oculista, e tu, Logan?”
“Contabile in un’azienda”
“Ah Gilly, devo avvisarti che ho visto…”
 “Dottoressa Russell, eccola qui! Davvero elegante stasera!” ci interrompe una voce che non fa terminare la frase ad Angela.
“Grazie, capo” risponde Gil timidamente. L’uomo di mezza età si rivolge a noi “ Vi dispiace se vi rubo la dottoressa per un po’?”
“No, assolutamente” risponde l’altra. Qualcosa mi dice che è contenta di questo insperato colpo di fortuna.
“Devo parlarle di una questione importante” continua il dottore posandole una mano dietro la schiena. Gil si volta in mia direzione con lo sguardo un po’spaurito. Forse è per quella promozione nella quale tanto sperava. Io le faccio un piccolo cenno del capo, per darle un po’ di coraggio. Un gesto meccanico che non mi sono nemmeno reso conto di star facendo. Intanto io e Angela ci allontaniamo, e lei continua a parlarmi.
“Tornando alla questione del tuo lavoro, te ne sei scelto uno che non ti permette molta…azione” osserva.
“No, è molto tranquillo, a meno che l’azione non me la vada a cercare”
“E sei alla ricerca adesso?” domanda quasi in un sussurro. Una midgardiana davvero disponibile, potrei anche accettare il suo gioco.
“Può darsi…” le sue labbra si aprono in un ampio sorriso, e poi si volge lo sguardo in direzione di Gil.
“Tu e piccola Gilly…state insieme?”
“No, è mia amica, nulla di più”
Sembra proprio che le abbia detto ciò che voleva sentirsi dire, sfatando la convinzione ormai di tutti che tra noi ci sia qualcosa.
“E come vi siete conosciuti? Lei non ha mai parlato di te” prende una piccola pausa e poi continua “A dire la verità è una persona riservata con chi sente di non potersi aprire, dedita al suo lavoro come pochi, però è sempre disponibile e gentile con tutti. Gil credo non abbia ancora capito che al mondo non tutti sono come lei, e che in certe persone il buono proprio non esiste; fino ad ora il suo istinto ha fatto cilecca una sola volta però” si porta le dita alle labbra in un gesto pensoso.
Quest’ultima affermazione mi fa riflettere: dunque lei crede che in tutti ci sia del buono, tanto da pensare di averne scorto anche in me. Angela ha ragione, questo mondo non è fatto per gli onesti e buoni come lei. Per andare avanti bisogna essere molto più furbi e astuti. Ma è anche vero che lei con le sue osservazioni indovina il più delle volte. Deve avere sicuramente un istinto più sviluppato del normale.
“L’ho conosciuta alla tavola calda dei suoi zii, da pochi mesi. Cosa intendi dicendo che ha fatto cilecca una sola volta?”
La dottoressa sospira “Prima che il capo di chirurgia ci interrompesse, stavo giusto per dirle che avevo visto il suo ex fidanzato qui in sala. Un vero stronzo”
La cosa si fa interessante, e mi incuriosisce.
“Perché, cos’è successo?” chiedo, e lei inarca un sopracciglio.
“Non dovrei essere io a raccontarti questa storia. Ti basti sapere che l’ha fatta soffrire” risponde sedendosi ad uno dei divanetti nella sala.
“Sei stata tu a tirare in ballo il discorso, ed ora non puoi lasciarmi a metà del racconto” le dico sedendomi accanto a lei, e facendo in modo che la mia gamba ed i nostri fianchi aderiscano perfettamente.
“Stavano per sposarsi l’anno scorso, quando al rientro a casa dopo un’emergenza l’ha trovato a letto con un’altra”
E così la dottoressa Russell si è già scontrata con la dura realtà del mondo.
“Capisco”
“No credimi, le cose, finché non ci sei dentro, non le capisci. Ora che ne dici di prendere qualcosa da bere?”
Con lo sguardo sondo la sala, alla ricerca del suo viso amico, ma non la scorgo. Sento una ruga formarsi sulla fronte, mi sento quasi...preoccupato.
“Sì, è una buona idea” due passi mi faranno bene.

 


***
 


Io e Angela seduti sul divano continuiamo a parlare ancora, del suo lavoro, di come mi trovi a New York dopo il trasferimento, ed altre banalità. Non c’è dubbio, la donna che mi sta di fronte è il perfetto opposto di Gil: sfrontata e audace, si vede che è determinata ad ottenere ciò che vuole. Èuna cacciatrice, e stasera pare aver scelto me come sua preda. La mia accompagnatrice ormai è stata inghiottita dalla folla, e non siamo più riusciti a vederla da nessuna parte, anche se di tanto in tanto do un’occhiata alla sala facendo vagare lo sguardo. Trovo strano però come i midgardiani si facciano la guerra tra di loro, siano pronti a qualsiasi genere di tradimento e cattiva azione, e poi si ritrovino per questi grandi eventi a staccare assegni con cifre a sei zeri. Alla voce incoerenza dovrebbe esserci il rimando a Midgard.
Mentre siamo ancora presi a conversare, lo stridio di un microfono attira la nostra attenzione. L’ uomo in completo da sera, che deve essere il direttore dell’ospedale, fa un nuovo annuncio, dopo il precedente di benvenuto.
“Signori e signore, in questa occasione particolare di raccolta fondi, diamo il benvenuto ad un ospite speciale, il signor Anthony Stark!”
Stark, Iron man è qui. I miei sensi si allertano mentre lo vedo entrare salutando gli ospiti, e sorridendo. Mi alzo in piedi assieme agli altri, arretrando per confondermi nella folla, in modo tale che non mi veda. Non ero preparato a questa eventualità, e Gillian non mi aveva avvertito. Probabilmente sarà stata un’improvvisata, o lei è stata talmente presa da dimenticare di dirmelo; ma questo non ha importanza, devo necessariamente uscire di qui e non farmi vedere. Valutiamo le alternative: non posso andare via direttamente perché mi vedrei costretto poi a dover dare spiegazioni alla ragazza; non posso rischiare di restare qui pur confondendomi tra la gente. L’unica alternativa è uscire dalla sala, e trovare un altro posto dove trascorrere un utile lasso di tempo prima dell’ora di uscita. C’è lo stanzino…ma si apre solo con una chiave magnetica che io non possiedo, e Gil nel momento del bisogno si è dileguata. Non mi resta che…
“Angela, mi sono appena ricordato di aver lasciato il cellulare nello stanzino, ma io non possiedo la chiave magnetica, e Gil è persa in questa bolgia…” le mie parole sembrano per lei davvero una proposta interessante.
“Oh, non preoccuparti, è una chiave che viene data a tutti i medici, e si da il caso che anche io ne possegga una…” la sfila dalla borsa scuotendola con uno scintillio malizioso negli occhi.
“Ottimo, allora andiamo?” le chiedo porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
“Con piacere” mi risponde, e ci allontaniamo mentre il superbo Stark sta per cominciare il suo illuminante discorso di ringraziamento.
Apre la porta con la carta, ed entriamo, e mi siedo sulla sedia con noncuranza.
“Non c’è nessun cellulare da prendere, vero?” mi dice incrociando le braccia sotto al petto, ed inclinando la testa. Non mi sembra però che sia arrabbiata.
“Un piccolo inganno per poterci allontanare dalla folla. Avresti preferito che un cellulare ci fosse stato veramente?”
Lei si avvicina, venendosi a sedere sulle mie gambe, allacciandomi le braccia attorno al collo. Mi studia per un attimo, dandomi la possibilità di respingerla qualora lo volessi, ma non lo farò. Le sorrido di rimando, e lei risponde “No, preferisco di gran lunga le cose in questo modo” sussurra per poi premere le sue labbra sulle mie.

 


***
 

Gil era stata appena congedata dal suo capo dopo una lunga conversazione assieme ad altri medici, e aveva cominciato a cercare Logan e Angela nella grande sala, e poi era arrivato Stark rendere il luogo ancora più affollato. Decise quindi di fermarsi a bere qualcosa, e tornare alla ricerca dei suoi amici. Aveva appena preso il calice tra le dita che una voce le fece gelare il sangue nelle vene.
“Troppo tardi per offrirti da bere?” impercettibilmente le sue dita si strinsero attorno al vetro, ma si voltò con sicurezza.
“Purtroppo sì, ho già provveduto, adesso se vuoi scusarmi…” fece per andarsene ma lui le sbarrò la strada.
“Quanta fretta, Gilly. Non mi dai nemmeno un bacino in memoria dei vecchi tempi?”
“Se vuoi un mio bacio cerca nei tuoi ricordi. E ora lasciami passare, Michael”
“Sei sempre stata così…sfuggente. Avanti sediamoci e parliamo un po’” le indicò il divano.
“Questa era una bella serata finché non sei comparso tu. Io non ho più niente da dirti” sdegnata si fece spazio nella folla, ma lui la inseguì prendendole la mano.
“Avanti, non fare la ritrosa, comportiamoci come due adulti…sei davvero uno schianto stasera”
“Io non capisco questa tua ostinazione, sei venuto qui a vendere i tuoi apparecchi? Lasciami in pace Michael, torna dalla tua nuova ragazza”
“Il punto è questo, Gilly: non c’è una nuova ragazza. Da quando noi due dovevamo…e poi è successo quello che è successo, io non sono riuscito a legarmi ad un’altra donna, ci sei sempre stata solo tu”
La dottoressa cominciò a ridere nervosamente.
“Ma chi vuoi prendere in giro? Credi davvero che io sia così stupida? Va a raccontare queste tue storie a qualcun altro. Non riesci nemmeno a dirlo che dovevamo sposarci…e ti ricordo, che tutto è successo per colpa tua. Non sono stata io quella a farsi trovare nel letto con un altro uomo”
“Tu non c’eri mai, il tuo lavoro veniva prima di me! Cosa avrei dovuto fare? Avevo dei bisogni…”
“Bisogni? Ma ti ascolti quando parli? Tu mi hai tradita, io non tornerei con te per tutto l’oro del mondo. Sei solo una persona meschina, ed io che credevo di aver visto del buono in te. Ti ho dato tutto, e mi hai ripagata così”
“Smettila di sputare veleno, Gil. Non ti si addice. Ti stai comportando da sciocca, il passato è passato, mettiamoci una pietra sopra, e andiamo a divertirci”
“Io ci ho messo una pietra sopra, e non voglio vederti più. Addio”
“Che c’è, devi andare a cercare il tuo nuovo fidanzatino?” le urlò dietro, facendo voltare altri ospiti. Gil tornò sui suoi passi, rossa di vergogna e rabbia.
“Dove vado e chi cerco non sono affari tuoi” sibilò.
“Ti ho vista sai, con il moro spilungone, bel modo di comportarti, davvero”
“E quindi? Èun mio amico e non vedo come la cosa ormai possa riguardarti”
Gil fissava con astio gli occhi grigi di Michael, che un tempo aveva tanto amato, ma che ora erano solo vuote lastre metalliche. Risentito l’altro ghignò in modo poco amichevole.
“Certo Gil, non mi riguarda, e vattene pure. Alla fine si sa come andrà a finire, no? Resterai sempre sola, ti abbandonerà e ti tradirà anche lui. Come tutte le persone che erano attorno a te. Prima o poi tutti se ne vanno. Impara a convivere con la solitudine, perché è così che ti ritroverai”
Gli occhi della dottoressa si riempirono di lacrime, senza riflettere si voltò e corse fuori. Aveva bisogno di un posto dove stare sola, e dar sfogo a quel pianto trattenuto. Strisciò la carta magnetica per chiudersi nello stanzino, ma era impreparata allo spettacolo che le si parò dinanzi agli occhi.

 


***
 

Il fresco delle lenzuola mitiga il caldo del corpo. Da tempo ormai non ero più dedito a questo genere di piaceri. Un bacio, un tocco sulla pelle morbida, l’inebriarsi dei profumi o. Un gemito sommesso, la sensazione di passare le dita tra una soffice massa di capelli. E poi il calore, quella sensazione pulsante nel corpo, come un fuoco costruito su braci di paglia. Divampante, ma, come ogni gioia della vita, di breve durata. Tutto era accaduto in fretta, liberandoci delle vesti, finite sparpagliate sul pavimento, anelando entrambi a spegnere quella sete, per poi ritrovarci ansanti e soddisfatti in quella branda d’ospedale. Una volta mia madre mi disse che il mio nome poteva significare ‘fiamma’, ‘aria’, o anche ‘ragno’.  Io credo sia un po’ l’unione di tutto questo: paziente come il ragno che tesse la sua tela nella quale intrappola gli avversari, la libertà dell’aria, e la passione alimentata dal fuoco, che anche sotto la cenere non sopisce. E mentre sono perso in questi pensieri, con Angela che si diverte a disegnare cerchi concentrici sul mio petto, che sentiamo la porta aprirsi. Lei scatta tirando il lenzuolo per coprire entrambi. Gil apre la porta e resta impietrita. Schiude leggermente la bocca come volesse parlare, senza riuscirci. Ha gli occhi lucidi, e l’espressione di chi ha davvero passato un brutto momento. Due lacrime le rigano il viso, cadendo al suolo.
“I-io, ero venuta solo a prendere…scusatemi” borbotta imbarazzata distogliendo velocemente lo sguardo, e scappando via.
“Ops, siamo stati proprio pizzicati” commenta Angela.
“Vestiamoci, e torniamo di là” le dico mentre riprendo la camicia. Quell’espressione sul volto di Gil, era di una profonda tristezza, e non di certo a causa di quello che ha visto nella stanza. Cosa sarà successo mentre eravamo qui? Non credo che sarà in vena di darmi spiegazioni, anche perché vorrà sapere comesono finitoqua dentro con la sua amica. Una volta che ci siamo rivestiti, usciamo dalla stanza, e troviamo Gil nell’atrio, affacciata alla finestra, con lo sguardo perso tra i palazzi di New York. Mi premuro di controllare che Stark sia andato via, a quanto pare i miliardari non si trattengono mai a lungo con la plebe.
“Gilly, tesoro tutto bene?” le chiede Angela posandole una mano sulla spalla. Lei trasale, e si volta verso di noi. Ha gli occhi meno rossi di prima, ha cercato di ridarsi un po’ di compostezza.
“Sì, va tutto bene” commenta in un sussurro.
“Oh no, non dirmi che l’hai incontrato!”
“Già” sorride debolmente all’amica.
“Capisco, se ti va di parlarne…”
“Certo, grazie” riprende a fissare il panorama fuori. Credo sia un buon momento per intervenire.
“Se vuoi possiamo anche tornare a casa” lei si volta di nuovo a guardarmi. C’è qualcosa in quello sguardo che mi mette momentaneamente a disagio.
“No, ti stai divertendo, e poi devo rimanere ancora un po’, non posso andarmene sparendo nel nulla adesso”
“Gilly dai, andiamo a farci un giro, che ne dici?”
“No Angie, sto aspettando Jane, mi ha detto che verrà a salutarmi, anche se si tratterrà per qualche minuto. Se vuoi va a fare un giro insieme a Logan, non c’è bisogno che rimaniate qui con me. Ti ringrazio”
“Ehi, Gil!”
“Jane, sei arrivata!” si volta in direzione dell’amica, arrivata mentre stavamo parlando.
No, questo è un altro problema. Questa è la Jane di Thor, e ora come ora non posso farmi vedere anche da lei. Sembra proprio che stasera tutti abbiano deciso di riunirsi.
“Scusatemi, dov’è la toilette?” l’unica scusa che riesco a elaborare.
“Aspetta che ti mostro…Gil, torno subito”
“Certo, vai pure” risponde lei, e così, per la seconda volta questa sera, sono costretto a scappare per nascondermi.

 


***
 

“Jane, finalmente sei arrivata, non credevo venissi più!”
“Lo so, ho fatto spaventosamente tardi, ma ci tenevo tanto almeno a salutarti…mi tratterrò poco, devo tornare alla Stark Tower per un esperimento che sto conducendo. Sto aspettando anche un’altra persona…ho chiesto di venirmi a prendere qui…”
“Esperimenti notturni? Tu e quei calcoli matematici…e scommetto che è il famoso lui di cui mi hai parlato…spero di poterlo conoscere con calma” disse la dottoressa.
“Beh, i calcoli sono calcoli! Eh sì, è proprio lui…piuttosto chi era il moretto che si è allontanato insieme all’altra donna? Era affascinante, anche se l’ho visto per quanto, cinque secondi?” ridacchiò.
“Sono due miei amici, Angela Beatch, e Logan Laufeyson”
“Mmm Logan, che bel nome!”
“Sì, è carino”
“Ma Gil, mostrami un po’ d’entusiasmo! Cosa ti è successo?” in quel momento l’arrivo di un sms fece squillare il cellulare di Jane. La scienziata lo lesse, e poi guardò la sua amica “Io devo andare, ma mi racconterai tutto poi! E voglio sapere come andrà a finire con il signor bel nome”
“E come dovrebbe andare a finire? Siamo amici!” Gil abbozzò un sorriso, e dopo averla salutata tornò nella sala.

 


***
 

Jane scese di corsa, sentendosi in colpa per non essersi potuta trattenere di più. Ma purtroppo il lavoro era davvero una priorità necessaria, dopo che lo scettro che era stato rubato. Il viso sorridente di Thor la attendeva fuori dalle porte automatiche del complesso ospedaliero.
“Ehi, ciao, sono scesa di corsa!”
“Lo vedo. Hai salutato la tua amica?”
“Certo, anche se mi è sembrata molto giù di tono. Spero che le si risollevi la serata con Mr. Bel nome”
“Mr. Bel nome?” chiese Thor inarcando un sopracciglio.
“Sì, un tale Logan Laufeyson. L’ho visto da lontano e mi è sembrato un tipo interessante”
Thor si bloccò a quel nome. Laufeyson. Non poteva essere una coincidenza.
“Com’era questo Logan?”
“Alto, con capelli scuri lunghi, vestito elegante, viso sottile…da lontano mi è parso che avesse gli occhi chiari…e sai la cosa buffa? Sembrate avere lo stesso portamento”
Il dio si sentì colpito da un pugno in pieno stomaco, in una tempesta di emozioni: meraviglia, stupore, sollievo. Logan Laufeyson era Loki.
Loki era vivo, ed era a pochi passi da lui. La situazione si era decisamente complicata. Cosa avrebbe fatto adesso?
 
***
Rieccomi qua, come al solito in vergognoso ritardo! Purtroppo sono state settimane di fuoco, quindi abbiate pazienza >_<
In compenso ho terminato la trama di tutti i capitoli, e il conto alla rovescia può partire! -8 e vi libererete di me. Torniamo alla storia. Loki: non pensavo che stavolta mi venisse fuori così calcolatore e approfittatore, ma insomma che dio degli inganni sarebbe altrimenti? :D Ora è anche stato pizzicato da Thor! I guai sono appena ricominciati *risata sadica* bene, come sempre vi ringrazio per la lettura, e per le opinioni che mi lasciate, mi aiutate davvero tanto, e mi fate contenta :D
Alla prossima puntata! ^.^

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Capitolo 21
*** Behind blue eyes ***


No one knows what it's like
To be the bad man
To be the sad man
Behind blue eyes
No one knows what it's like
To be hated
To be fated
To telling only lies


[Nessuno sa come ci si sente/ ad essere l'uomo cattivo/ ad essere l'uomo triste/ dietro gli occhi azzurri/ Nessuno sa come ci si sente/ ad essere odiato/ ad essere accusato/ di dire solo bugie]

 
Di ritorno su Asgard, nei giorni seguenti, Thor era molto malinconico: aveva lo sguardo perso, era pensoso, distratto nell’adempimento dei suoi doveri. Il più delle volte bisognava ripetergli qualcosa poiché dava segno di non aver minimamente ascoltato. E sua madre era preoccupata, specie dopo la visione che aveva avuto; non potendo ignorare oltre quel sentimento di oppressione che le lacerava l’animo, decise di interrogarlo. Thor se ne stava seduto sulle scale della stanza dove soleva riunirsi con i suoi amici. La lunga tavola di legno pesante era vuota, e dalle arcate dietro di sé proveniva una fresca brezza; se ne stava curvo puntellandosi le ginocchia con i gomiti, le mani intrecciate dinanzi a sé. Frigga lo vide sospirare sconsolato e volgere la testa di lato, dove si sedeva Loki. Piano si avvicinò, sedendosi al posto che un tempo era occupato dal principe, posando una mano sulla spalla di suo figlio.
“Ti manca, vero?”
Thor sollevò lo sguardo guardando sua madre, ed annuì.
“Manca anche a me” continuò lei, stringendogli poi la mano.
Cadde un silenzio pesante, nel quale ognuno di loro rimase a scandagliare i propri pensieri. Entrambi nascondevano qualcosa all’altro, ed entrambi avevano bisogno di sapere. Fu Frigga a ricominciare a parlare.
“Ti ho visto in questi giorni, figlio mio. Da quando sei tornato da Mirgard c’è qualcosa che ti angustia. Ti va di parlarne?”
Thor si morse impercettibilmente l’interno della guancia. Come poteva dire a sua madre che sapeva che Loki fosse ancora vivo? Sicuramente avrebbe fatto pressione per ricondurlo a casa, e per suo fratello avrebbe significato una sola cosa: morte certa. E lui non era disposto a correre di nuovo quel rischio, non dopo aver convissuto con i pesanti sensi di colpa che lo tormentavano per aver fornito ai midgardiani l’arma che avrebbe dovuto ucciderlo. Si era rassegnato a perderlo, ne aveva cominciato a relegare il ricordo in un angolo, per non soffrire. Eppure il passato era tornato, e Loki era sopravvissuto. E adesso viveva sulla Terra, in una maniera così stranamente…normale. Che avesse perso la memoria a causa del trauma subito? Che la magia gli fosse stata totalmente risucchiata dai proiettili di uru rendendolo un comune umano? Come si sarebbe potuta spiegare la sua presenza a quell’evento di beneficenza? E soprattutto, chi si era preso cura di lui? Tutte queste domande gli vorticavano frenetiche nel cervello, e prima o poi avrebbero trovato una risposta. Ma come poteva confidare queste preoccupazioni a sua madre senza turbarla?
“Sono solo un po’ stanco. Tutta questa storia di Loki si è abbattuta su di me con tale forza, Madre”
“Siamo tutti distrutti, Thor. Tuo padre sembra impassibile, ma in realtà dentro il suo cuore è infranto. A volte lo sorprendo a vagare per i corridoi del palazzo, fermandosi alla porta della stanza di Loki. La guarda, e sospira mestamente. Quello è l’ultimo posto dove l’ha visto l’ultima volta”
Il dio inarcò un sopracciglio “Padre aveva visto Loki? Credevo che l’ultima volta fosse quando si è lasciato cadere nel vuoto…”
“Sì, è stato qui qualche mese fa. Era tornato a prendere uno dei suoi libri di magia”
Libri di magia. Allora Loki stava di certo progettando qualcosa prima di essere messo fuorigioco dagli agenti. Ma la rivelazione fu accolta con irritazione dal dio.
“Perché non mi avete detto nulla di tutto questo tenendomi all’oscuro? Avrei potuto…”
“…far cosa? Tentare di fermarlo? Conosci tuo fratello, e sai bene quanto me come possa essere risoluto”
“Perché allora Padre non l’ha semplicemente catturato e messo in prigione? Avrebbe evitato...” le ultime parole gli morirono sulle labbra. Sua madre si strinse a lui.
“Non l’avrebbe evitato comunque, Thor. Tuo padre ha pensato che fosse meglio lasciarlo andare, non è riuscito a fare altro contro di lui. Non ne ha avuto la forza, e credo si senta più di tutti responsabile”
“Ed io non sono meglio di lui. Se solo potessi tornare indietro cambierei tutto…aveva uno sguardo così folle negli occhi quando lo portai fuori dal veicolo volante degli umani…trasudava disprezzo, e se si era ridotto così, la colpa è stata anche mia”
“Abbiamo tutti un rimpianto. Ma adesso alzati, non lasciarti dominare dalla tristezza. Devi vivere anche per tuo fratello” Frigga si alzò, avviandosi verso la porta. Ma la domanda di Thor la colse a bruciapelo.
“Madre, cosa faresti se Loki fosse ancora vivo?” la regina sentì la terra mancarle da sotto ai piedi.
Thor la vide fremere, e poi voltarsi verso di lui, ma non riuscì a decifrare le emozioni che si specchiavano negli occhi di sua madre. Dopo una pausa riflessiva gli parlò con dolcezza.
“Andrei da lui e gli chiederei perdono per tutto: per non essere stata la madre che avrei dovuto essere, per non avergli detto la verità quando potevo, per non avergli mai concesso quell’occasione che tanto desiderava. Lo riporterei a casa, ricomincerei tutto daccapo. Ma è inutile perdersi in questi pensieri, no? Non fanno altro che accentuare il nostro dolore, figlio mio” con voce incrinata la madre degli déi si congedò, lasciando Thor ancora confuso e incerto nella grande sala. Rifletté ancora sulle parole di sua madre, adesso lui aveva la possibilità di rimediare, di recuperare suo fratello. Una nuova determinazione si fece largo in lui: non avrebbe denunciato Loki, ma anzi, avrebbe fatto di tutto per incontrarlo, scoprire cosa gli era accaduto, e poi chiedergli scusa, sperando che lo perdonasse. Sarebbe andato contro tutte le regole di Asgard questa volta.
 
Frigga si rifugiò nei giardini antistanti il palazzo, sedendosi sul bordo di una fontana. Immerse la mano nella cristallina acqua fredda,  provando a riacquistare contatto con la realtà. Se c’era qualcuno che aveva più colpe, quella era di certo lei, poiché sapeva bene di aver ingannato entrambi i suoi figli, e Loki era l’unico, oltre Odino, a conoscere la verità. L’aveva sognato, l’aveva previsto. E quando Thor l’avrebbe scoperto, allora la sua famiglia si sarebbe definitivamente sfasciata.
Come poteva biasimare Loki per quello che era diventato, dopo aver vissuto una vita costruita su delle bugie?

 
***
But my dreams
They aren't as empty
As my conscience seems to be
I have hours, only lonely
My love is vengeance
That's never free

 
[Ma i miei sogni non sono così vuoti/ Come sembra essere la mia coscienza/ Ho ore, in totale solitudine/ Il mio amore è una vendetta/ Che non è mai libera]

 

Il cielo di questo inverno rigido e aspro è coperto da nubi grigie, pesanti, cariche di neve. Un piccione becchetta delle briciole di pane sulla scala antincendio, in strada la vita frenetica continua. Il mio respiro caldo si infrange sul vetro della finestra, appannandolo. Mi sono esposto troppo a quella festa, commettendo errori che persino un principiante avrebbe evitato, ma non potevo prevedere che avessero deciso di riunirsi tutti lì. Fortunatamente, quando sono uscito la famosa Jane era andata via, lasciando Gil di nuovo sola con i suoi pensieri. Proprio non capisco cosa ci abbia trovato Thor in lei: mi sembra una sciocca, un po’ isterica. Il classico stereotipo di scienziato pazzo che mi è capitato di leggere in alcuni libri che mi ha prestato la dottoressa.
Il pensiero della ragazza mi fa corrugare la fronte. Non l’ho più vista da quando abbiamo lasciato la festa quella notte. Nel taxi di ritorno non mi ha rivolto la parola, taciturna, silenziosa come mai prima di allora. Solo un debole ciao a mo’ di saluto, ed io mi sono ritrovato a controllare la cassetta delle lettere alla ricerca di un suo messaggio, ma niente. Meglio così, alla fine era quello che volevo, disfarmi di lei senza provocare danni eccessivi.
Ma ovviamente quando penso di essermene liberato una buona volta, scorgo dalla finestra la sua figura muoversi a passi lenti sul marciapiede. Mani nelle tasche del cappotto, sciarpa rossa al collo con cappello in tinta. Questa non è la strada per casa sua, sicuramente sta venendo qui per lasciarmi uno dei suoi messaggi. D’impulso prendo la giacca e scendo, senza curarmi del portiere che mi saluta, apro la porta del palazzo, restando fermo sullo scalino più alto. Lei è poggiata con la schiena contro l’alto lampione che illumina l’entrata, con i piedi incrociati davanti a sé, ed un abbozzo di sorriso che le increspa il viso. Piccoli riccioli sono sfuggiti al cappello, e non fa nessuno sforzo per scostarli dagli occhi.
 
“Si direbbe che mi stavi aspettando” esordisco. Lei si stringe nelle spalle.
“Qualcosa mi diceva che saresti sceso”
“Ti ho vista dalla finestra, in che altro posto potevi andare se non qui?”
“Tanti posti” risponde pacata, volgendo lo sguardo prima alla strada e poi di nuovo verso di me “Questo non mi serve più” estrae il solito bigliettino, appallottolandolo, e gettandolo poi nel contenitore dei rifiuti.
“Sei sparita” ormai ho sceso le scale, e sono di fronte a lei. Alza lo sguardo fissandomi in un modo quasi accusatorio.
“Tu non sei venuto a cercarmi”
“Credevo avessi bisogno di stare un po’ per conto tuo dopo quello che è accaduto alla festa. Ho ritenuto più opportuno non disturbarti”
“Èvero, avevo voglia di stare da sola, ma se fossi venuto a casa mia non ti avrei cacciato”
“Non capisco, cosa avresti voluto che facessi? Dici che volevi stare da sola, ma al contempo avevi bisogno di compagnia. Cos’è che cercavi veramente?” chiedo con una nota di risentimento nella voce. Sembra sia venuta qui per farmi la paternale.
“Non lo so. Non ti capita mai di non sapere cosa vuoi? Di vivere sentimenti ed emozioni contrastanti? Sei sempre così freddo e sicuro di tutto?” stavolta la avverto chiaramente l’insolenza nella sua voce.
“Hai abbastanza indecisione per entrambi, Gillian. Allora, sei qui per dirmi che?” replico con sdegno, incrociando le braccia sul petto.
Lei si prende una pausa, ma poi risponde “Andavi da qualche parte?”
“No” affermo scuotendo il capo.
“Ti va’ di venire a Central Park con me? Facciamo un giro, ti devo anche qualche spiegazione”
“D’accordo” in realtà sono davvero curioso di sapere cosa ha da dire. Il discorso precedente sembra essere stato accantonato.
“Però stavolta facciamo uno scambio” continua con aria solenne “Io ti racconto cosa è successo, se anche tu mi parli un po’ di te”
Ecco, l’ha rifatto. Ancora con questa tattica di ricatti, e la sua aria furba mi fa solo venire voglia di lasciarla qui e tornarmene a casa mia.
“Mi riservo il diritto di scegliere cosa non dirti” sottolineo.
“Certo” replica. Questa per lei deve essere davvero una piccola conquista.
 Mi ritrovo a pensare a quanto sia strano il piccolo mondo nella testa di Gil.

 
***

No one knows what it's like
To feel these feelings
Like I do
And I blame you
No one bites back as hard
On their anger
None of my pain and woe
Can show through

 
[Nessuno sa come ci si sente/A provare questi sentimenti/ Come faccio io/ e me la prendo con te/ Nessuno si trattiene così tanto/ dalla sua rabbia/ Nessun mio dolore né disgrazia/ Può trasparire]

  

Nonostante il cielo plumbeo e il freddo, il parco di New York è sempre popolato. Gil sceglie una panchina di legno tra gli alberi ormai spogli, mettendosi a sedere. Sorseggia il suo tè traendo calore dal bicchiere plastificato. Io prendo posto accanto a lei, guardando il via vai di mortali per i vialetti. 

“Suppongo che tocchi a me cominciare” esordisce, ed io le faccio un cenno col capo.
“Benissimo. Allora, la sera della festa, dopo che il capo mi ha sequestrata e fatto parlare con altri medici delle migliorie al reparto di pronto soccorso e cose varie, sono venuta a cercare te e Angela in quella bolgia infernale, non trovandovi” mi guarda come se si aspettasse una risposta al sentir nominare la sua amica, ma il mio viso non tradisce alcuna emozione, anzi, devio il discorso.
“Non hanno detto nulla della promozione? Credevo ti avesse portata via per questo” ed è vero.
“No, non mi è stato accennato nulla, credo se ne riparlerà più in là. Comunque, dicevo, quando sono venuta a cercarvi, voi due vi eravate volatilizzati, e così ho deciso di prendere un drink, ed è lì che ho sentito la voce di Michael che si offriva di prendermene uno” arriccia le labbra come se quel nome le avesse lasciato l’amaro in bocca, e beve un generoso sorso di tè. “Com’ era prevedibile la nostra conversazione è degenerata; lui ha finto di essere un uomo nuovo e pentito, ma io so che dentro è rimasto la stessa serpe. Vedi, Michael ed io stavamo insieme dall’ultimo anno del liceo, è stato il mio primo, ed unico ragazzo. Abbiamo frequentato la stessa università, prendendo però percorsi diversi, e all’inizio era tutto bello, dopo la morte di mia madre sentivo che finalmente qualcosa nella mia vita stava prendendo il verso giusto, ma non sapevo di star prendendo un granchio da show dei record” si ferma di nuovo, ricomponendosi. Noto dalle sue reazioni che la rabbia sta tornando. “Mi chiese di sposarlo poco prima che cominciassi a lavorare al Presbytherian, due anni fa. Ero così felice di poter finalmente avere una mia famiglia…non pretendevo una cerimonia in grande stile, pochi intimi, raccolta…l'importante eravamo io e lui. Ma poi sono cominciati i problemi. Il mio lavoro come vedi mi sottopone a turni stressanti, il suo lo portava a viaggiare di continuo. Ci vedevamo poco, ci siamo cominciati ad allontanare, ma quando eravamo insieme sembrava tornare tutto come prima. Ma una sera, di ritorno da lavoro, aprii la porta e trovai lui e quella donna insieme, nel nostro letto. Rimasi a fissarli imbambolata, il mio cervello sembrava non collegare i pensieri, avevo la sensazione di non essere nemmeno lì, di essere intrappolata in un incubo senza uscita. Addusse come scusa il fatto che io non c’ero mai, e che avevo anteposto il mio lavoro a lui. E sai qual è la cosa divertente?” mi guarda sorridendo con nervosismo, ed io scuoto il capo. “Che io ci avevo anche creduto! Era persino riuscito a farmi sentire in colpa, quando poi ho scoperto che quella non era la prima volta. Io ero quella ufficiale, poi c’era tutta la schiera delle sue amichette. Ancora oggi non posso credere di essere stata così stupida da pendere dalle sue labbra, da perdonargli ogni stranezza. Avrei dovuto saperlo che mi nascondeva qualcosa, ma quando si è innamorati la mente si offusca, e vedi solo quello che vuoi vedere. E alla festa, quando l’ho allontanato, lui mi ha detto che il mio destino è quello di rimanere sola. Sono state quelle parole a farmi scappare, svuotandomi dentro”
Ora capisco come mai ce l’avesse con me: aveva paura che anche io l’avessi abbandonata, non facendomi vivo in questi ultimi giorni, facendo avverare la previsione di questo Michael. Perché lo so, la sua più grande paura è proprio questa. Non riesco a non provare un sentimento di antipatia verso questo umano, anche se da parte mia dare giudizi in merito è davvero poco corretto.
“Ma tu provi ancora qualcosa per lui?” chiedo con strana curiosità.
“L’odio e l’amore sono sentimenti di un’intensità devastante, e facilmente mutano l’uno nell’altro. Talvolta ci facciamo prendere dalla compassione per creature incapaci di provare sentimenti sia per se stessi che per altri”
“Quindi la tua era solo compassione?”
“Ma no che non lo era…è solo che oggi vedo la cosa con occhi diversi, e mi dico che odiarlo mi risulterebbe anche più facile. Ma la verità è che ormai oltre alla momentanea rabbia e alla delusione, non sento niente. Si è portato via anche le mie emozioni. Sta di fatto però, che ho trovato inopportuno il suo volersi impicciare della mia vita privata”
Inarco un sopracciglio in muta domanda.
“Ti ha visto insieme a me, e ha creduto che fossi il mio nuovo fidanzato”
Distendo le labbra in un sorriso “Sono in molti a crederlo ultimamente, anche la tua amica Angela mi ha chiesto conferma”
“Già chissà come mai hanno tutti quest’idea nella testa”
“Forse perché guardandoci sembriamo una bella coppia. Facciamo una bella figura, o almeno io che sono decisamente più elegante, sofisticato, affascinante…”
“…modesto soprattutto…ma per favore!” mi spinge amichevolmente la spalla, questo mio commento l’ha messa di buon umore, ed anche io mi sento meglio ad aver alleggerito la tensione.
“All’inizio credevo che fossi arrabbiata per avermi trovato insieme alla tua amica…” non riesco a trattenermi dal provare a stuzzicarla.
“Eh? Certo che no! Insomma ero abbastanza sconvolta di mio che voi due eravate l’ultimo dei miei pensieri”
“Quindi non sei gelosa…”
“E perché dovrei esserlo? Sì beh, mi ha sorpresa trovarvi insieme ma no, non sono gelosa, insomma noi non stiamo insieme, perché dovrei esserlo, giusto?” dice tutto d’un fiato.
“Sì, giusto…” riprende a bere il tuo tè, guardando fisso davanti a sé, ma è innegabile l’imbarazzo che le leggo in volto.
“Gil…”
“Sì?”
“Sei arrossita”
Mormora qualcosa con la bocca coperta dalla sciarpa, un borbottio incomprensibile che devo chiederle di ripetere.
“Colpa del freddo, mi fa diventare le guance rosse”
“Il freddo, certo” ridacchio.
“E insomma, tu e Angela vi siete rivisti, avete intenzione di rivedervi…”
“Vuoi sapere se mi sono trovato una fidanzata? No, lei non è il mio tipo. Per me ci vorrebbe qualcuno diverso, qualcuno come…”
Come chi? Mi fermo a metà della frase, senza nemmeno sapere bene come concluderla. Non mi sono mai soffermato a riflettere su quale tipo di donna sarebbe più indicato per me, non ne ho mai visto il motivo, ma sicuramente non sceglierei come compagna la sua amica.
“…non so come, ma sicuramente una persona diversa da lei”
“Capisco, bisogna essere certi di tornare a casa e augurare la buonanotte alla persona giusta”
Stiamo per un po’ a rimuginare l’uno sulle parole dell’altro, quando poi parlo.
“Ed ora credo che sia il mio turno”
Lei sorride e annuisce.
Da dove cominciare…non è una storia facile da raccontare, e suppongo di doverne fare un sunto, e modificarla in alcuni punti. Ma come faccio a confidarle pensieri che ho taciuto per così tanto tempo? Lei non potrà certo capire cosa ho provato, come mi sia sentito in tutti questi anni. Ma devo provarci.
“Sono andato via per dei dissapori con mio padre e mio fratello. Mio padre mi ha sempre fatto credere di avere una possibilità di poter gestire…l’azienda di famiglia, quando invece aveva da sempre avuto intenzione di darla a mio fratello, uno sciocco senza cervello, pronto alla rissa e alla bevuta in compagnia dei suoi rozzi amici ai quali io non sono mai piaciuto. Mi hanno sempre fatto vivere alla sua ombra, lodando i suoi traguardi, sminuendo i miei. Dicevano semplicemente che ero geloso ed invidioso dei suoi successi. Sarà anche che non ero il loro vero figlio…”
“Sei stato adottato?” chiede tranquilla.
“Sì, sono un trovatello sperduto. Mio padre mi ha trovato, e portato a casa. Ma non me l’aveva mai detto prima , l’ho dovuto scoprire io per puro caso. Mi ha sempre e solo mentito e usato” le dita stringono il cappotto stropicciandolo.
“Sei a New York per cercare la tua vera famiglia allora?”
“No, so per certo che il mio padre biologico è morto, di mia madre non so nulla” evito accuratamente di accennare ad altri particolari sulla morte del mio vero padre, che ho causato io. E lei non fa ulteriori domande per approfondire.
Sento la sua mano posarsi sulla spalla, i miei muscoli tesi tradiscono il nervosismo che provo, lo sento nello stomaco, come un gatto che ringhia con quei suoni bassi e gutturali.
“Mi dispiace”
“E di cosa sei dispiaciuta? Non è certo colpa tua se ho vissuto in una famiglia di bugiardi e palloni gonfiati” sbuffo.
“Tuo fratello sa che il vostro non è un legame di sangue?”
“No, anche lui non ne era al corrente, l’ha scoperto dopo, quando sono andato via. All’inizio ci ho provato, a farmi accettare, a compensare. Ma alla fine la voglia di avvicinarmi a loro è svanita, soppiantata solo dalla volontà di dimostrare che non sono una pedina nelle mani di mio padre che pretende di decidere come gestire le vite di tutti” sputo le ultime parole come veleno.
“Non hai più sentito nessuno di loro?”
“Ho rivisto mio padre pochi mesi fa, ha prima cercato di rabbonirmi, ma poi la sua vena presuntuosa ha prevalso, e sono andato via di nuovo. Con mio fratello non è andata meglio quando ha provato a farmi cambiare idea”
Ripenso alle parole di Thor che mi implorava di tornare a casa, di impedire l’attacco dei Chitauri, e il giorno della partenza per Asgard imbavagliato, e circondato dai quei bellimbusti.
“Non cambierai mai ciò che è passato, Logan. La vita è troppo breve per non perdonare. Puoi serbare rancore, ma non ti lascerà vivere”
“Un po’ contraddittorio questo discorso fatto da te che odi palesemente il tuo ex” commento pungente. Da che pulpito mi tocca ascoltare la predica.
“Non è la stessa cosa, la famiglia è un altro settore. E poi te l’ho spiegato anche prima, non odio Michael. Però i tuoi hanno cercato di rimettersi in contatto con te, perché non provi a dargli un’altra possibilità? Almeno a tuo fratello…”
Dare un’altra possibilità a Thor, rimettere insieme i pezzi di un rapporto fraterno distrutto. Lei suggerisce questo. Perché dovrei farlo? Sarebbe di certo una buona occasione per imbrogliarlo facendogli credere di essere cambiato, spingerlo a fidarsi di me e poi colpire anche lui. Tutto sommato non è una cattiva idea. La dottoressa sembra si stia divertendo a sondare la mia espressione meditabonda.
“Potrei anche fare un tentativo…”
“Ottimo, poi fammi sapere cosa succede, mi raccomando” dice compiaciuta. In quel momento un fiocco di neve cade posandosi sulla punta del naso di Gil, seguito poi da tanti altri che cominciano a depositarsi al suolo. Poco dopo lo spettacolo bianco si trasforma in una fitta pioggerella, e noi siamo senza ombrello. Gil si tira su, e comincia a correre.
“Sbrigati, lumaca!” mi incita cercando un riparo contro la pioggia. Si volta a guardarmi mentre corro, con un sorriso che le illumina il viso.


***

When my fist clenches, crack it open
Before I use it and lose my cool
When I smile, tell me some bad news
Before I laugh and act like a fool
If I swallow anything evil
Put your finger down my throat
If I shiver, please give me a blanket
Keep me warm, let me wear your coat


[Quando i miei pugni si stringono, riaprili/ prima che li usi e perda la calma/ quando sorrido, raccontami qualche brutta notizia/prima che inizi a ridere e comportarmi come un pazzo/Se ingoio qualcosa di dannoso/ cacciami le dita in gola/se tremo, ti prego dammi una coperta/ tienimi caldo, lascia che indossi il tuo cappotto]

  
Quando rientro a casa sono bagnato fradicio. La chiacchierata con Gil questo pomeriggio devo ammettere che non è stata inconcludente, ora sono più che determinato a rimettermi in contatto con Thor, con quel suo buon cuore non mi chiuderà una porta in faccia, specie se vede che sto rigando dritto, cosa che tecnicamente sto facendo…potrebbe avercela con me per la questione degli agenti dello S.H.I.E.L.D., ma non sono stato io a far crollare la caverna, e ho rischiato ugualmente di morire là sotto, grazie al suo brillante suggerimento di proiettili di uru. Quella è stata come dicono gli umani ‘legittima difesa.’ Prendo uno dei miei tomi di magia, e trovo un antico incantesimo di evocazione, creato dagli umani per invocarci secoli fa. Sarà di certo la via migliore per comunicare con Thor, passando inosservato. Ma non posso farlo qui, ho bisogno di un posto più isolato…uno come i magazzini abbandonati che già un tempo si sono rivelati provvidenziali.
 

 
***


Thor avvertì quel richiamo e si sorprese; era da tempo immemore che nessuno lo richiamava. Un solo nome si formò sulle labbra pensando a chi potesse essere l’autore, e sentì un brivido di impazienza scorrergli lungo la spina dorsale mentre si lasciava condurre dalla magia. Quello era il momento della verità.
 
Lo sguardo negli occhi di Thor tradisce l’emozione che prova nel vedermi.
“Fratello…” la sua voce è poco più di un sussurro.
“Salute a te, dio del tuono” affetto un inchino.

“Ti credevo morto”
“Questo sa tanto di déjà-vu, Thor” commento sarcastico “Ma sì, sono vivo, e non grazie ai tuoi consigli” lo vedo abbassare lo sguardo per la vergogna.
“Prima che cominci con le domande, voglio proporti un patto: tu non mi riporterai ad Asgard, ed in cambio io ti rivelerò qualcosa sulla nostra bella e felice famiglia”
“Loki…come posso fidarmi di te, ancora?” scuote la testa mesto. È evidente che crede che lo stia ingannando.
“Perché non dovresti? Sono tuo fratello, dopotutto. Se avessi voluto avrei di certo messo in atto un nuovo piano, ti pare? E invece me ne sono stato qui, senza alzare un dito”
“E gli agenti? Il furto dello scettro? No Loki, io non posso lasciarti andare” stringe nervosamente il suo martello.
Il mio sguardo vorrebbe incenerirlo, invece mi limito a sorridergli ironico “Mi hai quasi ucciso. Mi devi un’altra occasione per mostrare quanto sono cambiato”
Vedo la battaglia interiore che sta combattendo, ma alla fine un lungo sospiro esce dalle sue labbra.
“Va bene fratello, ripagherò così il mio debito con te. Non ti denuncerò e non ti riporterò ad Asgard, ma ti terrò d’occhio, sappilo”
“Certo, come vuoi tu” le cose si sono messe davvero bene, sapevo di poter far affidamento sulla sua buona fede nei miei confronti.
“Cos’è poi che dovresti rivelarmi?” sapevo che quell’accenno non gli sarebbe scivolato addosso.
“Pazienza fratello, ti lascerò del tempo per decidere se fidarti delle mie parole, non credo che ora come ora mi crederesti” ci ho visto giusto, perché annuisce.
“Mi devi delle spiegazioni, Loki. La magia sta terminando, ma tornerò l’ultimo giorno di questa settimana su Midgard, e per allora voglio vederti al parco, vicino all’entrata sud. E non farmi pentire della decisione che ho preso” mi ammonisce con sguardo duro.
“Assolutamente” rispondo ostentando un’aria perfettamente innocente.
Mi fa un cenno del capo, e poi svanisce, la magia di richiamo si è interrotta.
Sono soddisfatto della riuscita del mio piccolo piano, e non posso fare a meno di andar via fischiettando un’aria leggera, andando incontro alla notte della metropoli.

 
***

Guardava avidamente il susseguirsi di fotogrammi sullo schermo al plasma. E così Thor aveva incontrato suo fratello, mettendo da parte la sua missione per conto degli Avengers, mettendo in pericolo tutti con la sua decisione di lasciarlo andare. Ma lui era un passo avanti, come sempre.
“Sapevo che dell’asgardiano non bisognava fidarsi, ma no, nessuno vuol dar retta al vecchio Tony”
“Devo mandare il filmato alla sede dello S.H.I.E.L.D., signore?”
“No Jarvis, salvalo nei nostri server, quel branco di mammolette non alzerà un dito, questa faccenda è meglio sbrigarla da soli. Devo ammettere che ho avuto davvero una brillante idea con quel congegno che ho ideato per il nostro caro semidio, che si attiva ogni volta che torna qui sulla Terra. Quali sono i progressi per il siero invece?”
“Servirà ancora qualche giorno, signore”
“Ottimo, prima sarà pronto, meglio sarà per tutti. Dobbiamo disfarci di quel piccolo cervo che ha preso New York per la sua foresta personale”


No one knows what it's like
To be the bad man
To be the sad man
Behind blue eyes

The Who – Behind blue eyes
 
[Nessuno sa come ci si sente/ad essere l'uomo cattivo/ad essere l'uomo triste/dietro gli occhi azzurri]

 


***
Ben ritrovati, voi tutti coraggiosi che ancora seguite la mia ormai lunghissima storia! So che anche questo capitolo non è particolarmente ‘attivo’ ma consideratelo come preparatorio ai prossimi eventi... *ammicca alla ‘If you know what I mean’*
E Tony che piano avrà in mente? L’hanno fatto innervosire, povero caro! Lui, il nostro genietto preferito…
Come sempre vi ringrazio tantissimo per essere ancora qui, spero di non annoiarvi eccessivamente XD
Alla settimana prossima! ^.^

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Capitolo 22
*** Iron Man ***


Nobody wants him
They just turn their heads
Nobody helps him
Now he has his revenge

Black Sabbath – Iron Man
 
[Nessuno lo vuole/ Girano la testa e basta/ Nessuno lo aiuta/ Ora ha la sua rivincita]

 
“E così questi sono i fascicoli che lo S.H.I.E.L.D. ha raccolto su Stark” guardo la pila ordinata di cartelle che Gylfi mi ha fornito.
“Tutte, signore. Pare che lo S.H.I.E.L.D. tenesse d’occhio suo padre, prima di lui”
“Vedo” dico aprendo una cartella e leggendo un vecchio dossier “E così la sua è un’ex fabbrica esportatrice di armi, armamenti di alto calibro e tecnologia superiore…” scruto l’elfo oscuro dinanzi a me, rigido ed impettito: ha il viso pallido e tirato. Credo che allo stato attuale stare troppo lontano dal suo mondo stia cominciando ad indebolirlo, ed io ho bisogno che resti fino alla fine dei giochi.
“Puoi andare Gylfi, riposati, o non mi sarai di alcun aiuto qui”
Lo vedo tirare un sospiro “Sì, signore” senza accennare ad altro si dilegua. Getto un’occhiata alle cartelle che attendono di essere studiate con perizia; una buona trappola parte sempre dalla conoscenza ottimale del nemico, sfrutta i suoi punti deboli per farne la tua forza. E tra queste pagine c’è sicuramente ciò di cui ho bisogno.
 
È ormai buio, e sono a poco più di metà dell’opera. Mi massaggio gli occhi che sono leggermente arrossati dal troppo sforzo di lettura, e le tempie che pulsano a causa di rumori provenienti da alcuni lavori in strada. La concentrazione si spezza con il trapanare del martello pneumatico sull’asfalto, magari potrei fare qualche incantesimo di insonorizzazione alla casa…
Il suono del campanello alla mia porta mi distrae. Sono sorpreso, non sono tipo da ricevere visite, sarà sicuramente qualche venditore ambulante, o qualcuno che ha voglia di farmi firmare petizioni o cose del genere. Ma meglio procedere con cautela, anche se non credo che se i Vendicatori mi avessero trovato, busserebbero amabilmente alla porta di casa. Sicuramente preferirebbero un’entrata in scena più…teatrale. Poso la mano sulla maniglia della porta, mentre abbasso la testa per guardare. Sento le spalle rilassarsi mentre le palpebre si abbassano. Avevo ragione, è una seccatura.
 
“Ciao Gil, che ci fai qui?” domando incrociando le braccia davanti alla soglia di casa.
“Sempre felice di vedermi, vero mr. Laufeyson? Ti avevo avvisato che sarei passata per la cena. Non hai controllato la posta?”
Perdo un giorno di controllo, e succede l’irreparabile “No, sono stato impegnato”
La vedo sbirciare l’interno di casa mia curiosa; regge tra le mani una busta.
“Allora, mi fai entrare, o devo fare richiesta formale?”
Sbuffo inarcando un sopracciglio a quella pessima manifestazione di humor, e mi scanso facendola passare. Fa un lungo fischio.
“Però…questa è Sparta?” mi chiede voltandosi verso di me dopo aver poggiato la busta sul tavolo.
“Sparta?” non capisco cosa intenda dire.
“Sì beh, tutto questo…” solleva l’indice descrivendo un cerchio nell’aria “…arredamento essenziale. Spartano, semplice”
“Non saprei cosa farmene dei fronzoli. La casa poi era già arredata, e non ho apportato modifiche ulteriori” mi stringo nelle spalle.
“Oh sì, hai ragione. Suppongo che sia inutile chiederti di fare un tour delle altre stanze, sento che rispecchiano fedelmente l’atmosfera del soggiorno”
“Cosa c’è nella busta?” chiedo sviando il discorso arredamento.
“La cena, mio caro” comincia ad estrarre dalla busta piccoli incarti, disponendoli sul tavolo.
“Non fissarmi con quell’aria così curiosa, prendi dei piatti e dei bicchieri, su” mi fa cenno con le mani di sbrigarmi. Non sono il classico tipo di persona che prende ordini, ma nonostante questo le porto un piatto grande da portata, due più piccoli, due bicchieri, e sto per prendere le posate, quando lei mi fa cenno di rimetterle nel cassetto.
“Quelle non serviranno”
“Hai intenzione di mangiare con le mani da brava donna delle caverne?”
“Ah ah, spiritoso come sempre. Useremo queste” mi sventola di fronte agli occhi due piccole bacchette di legno. Come si potrebbe mangiare con quegli affari infernali?
“Si direbbe che tu non abbia mai provato la cucina giapponese, ho fatto bene allora a sceglierla. Devi essere iniziato a questo culto divino”
“Se lo dici tu…” rispondo sospettoso.
Gil dispone ordinatamente tutto nel piatto grande, poi riempie il mio con ogni pietanza che ha preso, e me lo porge.
“Allora, questi a forma triangolare sono onigiri,involtini a base di riso e alghe crude. Ne ho presi di tre tipi: con ripieno di tonno e maionese, gamberi e maionese, con ripieno di salmone. Poi, queste palline rotonde sono i takoyaki, polpette di polpo, ed infine la specialità più nota del Giappone, il sushi. Anche qui ne ho presi vari tipi, con ripieno crudo, cotto e marinato. Intingili nella salsa di soia per dare un po’ più di sapore, ma non troppo, altrimenti renderai il piatto salatissimo. Buon appetito!” con abilità afferra le piccole porzioni bagnandole nella salsa, e gustandole. Io scruto ancora un po’ il piatto, sembra invitante, ma l’uso di queste bacchette non mi convince. Le prendo, e cerco di imitare la posizione e i movimenti di Gil, ma il risultato è un disastro. Tendono a ricadermi nel piatto, non riuscendo a mantenere la presa a lungo. Tutto ciò è davvero molto irritante. Vedo la dottoressa che mi osserva mordendosi il labbro inferiore per trattenere una risata, facendomi impermalire ancora di più.
“Ti diverte questo spettacolo? Io prendo una forchetta” faccio per muovermi, ma lei mi blocca.
“Sei davvero buffo! Ma ok dai, ti faccio vedere come si fa” si alza e si avvicina, prendendo la mia mano, e le bacchette.
“Allora, questa va qui, mentre l’altra devi reggerla così, capito? Ora prova a muoverle, così, bravo…” le sue mani sono fredde come il ghiaccio, constato mentre con gesti fluidi mi fa prendere il boccone, e poi intingerlo nella mistura di soia. In seguito guida la mano verso la bocca. Valuta la mia reazione tenendo ancora l’arto gelido poggiato sul mio.È buono.
“Ti piace?” domanda.
“Non mi dispiace”
Lei fa un sorriso compiaciuto, ed è il momento per prendermi una piccola rivincita. È ancora vicina a me tanto che posso sentire il suo delicato profumo.
“Hai le mani congelate. Hai freddo?” le chiedo posando le bacchette, e stringendo la sua mano tra le mie, strofinando delicatamente il pollice sul dorso. Vedo il suo viso imporporarsi.
“No, è che d’inverno mi capita sempre di avere le mani fredde…” con un sorriso nervoso tenta di sfilarla.
“Vuoi qualcosa per scaldarti?”
Scuote debolmente il capo, e la libero dalla stretta, divertito. A volte sottovaluto la bellezza di essere un dio degli inganni e della seduzione.
“Allora, hai chiamato poi tuo fratello?” si informa cercando di rilassarsi per far sparire la nota rosa sul suo viso.
“Sì”
“Bene! Hai fatto un’ottima scelta a seguire il mio consiglio” sembra davvero entusiasta.
“Quindi se le cose dovessero andare male, posso sempre venire a porgere a te le mie lagnanze”
“Le cose non andranno male, anzi, vorrei proprio conoscerlo”
Qualcosa fa scattare in me la sensazione che non sia una buona idea.
“Credo sia meglio di no”
“E perché no? Cosa ci sarebbe di male?” domanda inclinando leggermente il capo.
“Nulla, è solo che…”
Che non voglio, risponde la vocina interiore in maniera così subitanea da sembrare irreale.
“Cosa?”
“Niente. Ci vedremo nei prossimi giorni, potrei anche presentartelo”
“Eccellente, mi farebbe davvero piacere. Piuttosto, ti porti il lavoro a casa? Sei sempre così serio e diligente…” ridacchia.
“Sì, purtroppo quando vuoi un lavoro fatto bene, devi fartelo da solo”
Lei annuisce, continuando a mangiare, ma la vedo guardare sott’occhi quella pila di cartelle, sicuramente incuriosita dal contenuto. Si trattiene ancora un po’, ma poi riceve una telefonata dall’ospedale, e quindi in fretta e furia deve andar via.
“Per essere la prima volta che vedo casa tua, è stato divertente! Fammi sapere quando incontrerai tuo fratello!”
“Ti sei solo infiltrata, sei peggio di uno di quei ceppi virali che ti diverti ad illustrarmi quando ci vediamo”
“Oh signor Laufeyson, non merito tali colti complimenti, lei mi lusinga invero! Alla prossima” mi stampa un leggero bacio sulla guancia e corre via, sistemandosi la sciarpa alla bene e meglio mentre scende le scale. Quella donna è un mistero, nonostante cerchi di capirla e di entrarle in testa, sembra sempre che mi sfugga qualcosa, che mi perda un’altra sua sfaccettatura.
 
Non avendo assolutamente voglia di riprendere la lettura interrotta in precedenza, per una volta provo ad accendere il piccolo televisore del soggiorno, sedendomi sul divano. Non so come gli umani possano stare attaccati allo schermo per ore.
Facendo un po’ di zapping, trovo un canale che trasmette un’intervista a Tony Stark. Arrogante, tronfio, presuntuoso, ride e scherza con l’intervistatore, si pavoneggia dei suoi risultati in capo tecnologico, e delle sue opere filantropiche gestite dalla Fondazione Maria Stark. Tutto molto noioso, finché l’intervistatore non accenna all’amministratore delegato, Virginia Potts. Allora la reazione di Stark cambia, perde quella sua sfacciataggine e sicurezza, e diventa goffo, maldestro, mentre balbettando tenta di tessere le lodi della sua collaboratrice.
Il che rende ai miei occhi tutto molto lampante: lei gli piace.
Allora diventa tutto molto più semplice: devo prendere in ostaggio la ragazza, negoziare il suo rilascio a spese di Stark, e ucciderlo. Tanti saluti al caro Iron Man.
Soppeso questo piano, ma non credo che Amora si stesse riferendo a lui però, quando parlava di uomo dai saldi principi morali, dedito al paese…Stark ha gestito una fabbrica di armi, non so quanto possa essere pio ed immacolato. Vendere armi di distruzione di massa non ti fa ottenere buona pubblicità presso il pubblico. Infatti continuano a parlare dei problemi con la giustizia, con il senatore Stern, la rivalità con Justin Hammer…ma no, Anthony Stark ne è sempre uscito senza macchia. Eppure lo S.H.I.E.L.D. lo considerava prima un pericolo, poi un alleato tanto da reclutarlo, seppure non fosse propriamente idoneo, nella squadra degli Avengers. E la relazione è stata addirittura firmata dalla lamentosa, che l’ha definito ‘completamente inaffidabile’. No, non è questa la strada da percorrere, per quanto possa voler difendere quella donna, ci sarà sempre qualcosa alla quale terrà più di tutto. Spengo il televisore, con impressa ancora l’immagine di Stark che esce dallo studio beandosi delle acclamazioni del pubblico.
Ed è allora che trovo risposta alla mia domanda: devo distruggere la sua reputazione, macchiarla e sporcarla fino a che non considerino lui un nemico, di nuovo. Fargli perdere tutto, sfruttando le stesse leggi umane, fargli perdere il rispetto anche della donna alla quale è legato, e dei cittadini. Questo richiederà uno sforzo magico superiore, ma ne sarà valsa la pena, quanto è certo che sta ancora provando a cercarmi. Ma quando avrò finito, sarò io ad aver voglia di essere trovato.
 

 


***


“Come procede la nostra ricerca Henry?”
Il dottor Pym se ne stava tra provette e alambicchi nel laboratorio dove si era trasferito quando Fury aveva accantonato il progetto di ricerca di Loki.
“Direi che ci siamo, Tony. Il siero è stato sintetizzato, ora dobbiamo solo effettuare il test primario”
“Ottimo” Stark prese una delle ampolle nella quale si trovava un liquido dall’aspetto opalescente, lattiginoso. Lo scosse leggermente, e vide muoversi piccoli cristalli che si depositarono sul fondo. Sorrise soddisfatto.
“Quanto credi che ne serva per metterlo k.o.?”
“Non sono sicuro, è difficile fare una stima, anche perché questa è la prima prova sul campo che faremo. Una dose leggera potrebbe privarlo temporaneamente dei poteri, d’altro canto una dose elevata potrebbe anche arrivare ad ucciderlo…non abbiamo dei precedenti da confrontare, e ricorda che avrai un unico…colpo in canna”
“Dopo i proiettili e questo siero, è rimasta ancora una piccola quantità di Uru, per non parlare di come sia difficile reperire la dargonite (*)per trattarlo…non di certo posso chiedere a Beowulf di portarmene altro. Non dopo che l’ho pizzicato a voler stare con due piedi in una scarpa facendo il doppiogioco per aiutare il fratellino psicotico”
Il dottor Pym annuì, continuando “Il siero potrebbe anche non avere lo stesso effetto dei proiettili. Se quelli non l’hanno ucciso, c’è possibilità che questo gli faccia solo il solletico”
“No, è un concentrato, ho la sensazione che funzionerà. Ora devo solo trovargli un posticino nell’armatura, e sono a cavallo. E per quanto riguarda il localizzatore?”
“Ultimato. È stata una bella fortuna che tu abbia salvato il progetto, Tony”
Il magnate scrollò le spalle “Una copia di backup in più non fa mai male. Specie poi quando sai che potrebbe esserci un qualsiasi imprevisto. Posso far accedere Jarvis al programma di localizzazione?”
“Certo, è tutto tuo. Sei davvero la previdenza fatta persona, Stark” ironizzò il dottore.
“Non per vantarmi ma sì, sono un tipo previdente. Ora Henry, ti saluto, vado a mettere a punto la mia piccola cerbottana anti cervo”
Prese la fiala dal tavolo, ed uscì fischiettando.
 
***


Non è stato facile, ma alla fine sono riuscito a trovarle: armi. Messe al sicuro e al riparo da occhi indiscreti nei container di Newark Bay, nella zona portuale di New York. Lo spesso strato di polvere che le ricopre indica che sono qui da molto, alcune probabilmente dai tempi dell’ex amministratore delegato Obadaiah, destinate sicuramente al contrabbando estero. Poi Stark ha deciso di redimersi, e le ha lasciate qui, in attesa di essere dismesse. Ma altri pensieri hanno occupato la sua mente geniale e così tutto è rimasto immobile. Adesso non mi resta che creare dei falsi fascicoli e farli pervenire all’ufficio del Senatore Stern. Sarà su Stark prima ancora che possa pensare di avviare quella sua stupida interfaccia virtuale.
 
I palazzi della zona amministrativa di New York scintillano con le loro vetrate al sole. Nella tasca del cappotto è ben conservata una chiavetta USB contenente dei file manomessi con la magia riguardanti la Stark Industries. Entro nell’ampio androne rivestito di marmo, so che il senatore ha un suo ufficio qui, l’ho letto nei vari rapporti. Ovviamente un tipo come lui non avrà alcun interesse nel voler incontrare me, ma al nome di Stark sicuramente drizzerà le orecchie.
Una donna alla portineria è intenta a far volare le dita allenate sulla tastiera del computer. Mi avvicino a lei, deve trovarmi simpatico, accettare la mia richiesta, e poi dimenticarsi di me.
 
“Buongiorno signorina, sono qui per una consegna per il Senatore”
“Buongiorno a lei, mi dispiace ma non possono salire estranei ai piani superiori a meno che non abbiano un appuntamento. Sa, sicurezza”
“Certo, lo capisco benissimo, non ho un appuntamento, devo solo recapitargli qualcosa di importante. Può chiamarlo e chiedergli se è interessato, in caso contrario tornerò da dove sono venuto” alzo le mani in un simbolico gesto di resa. La donna ci riflette su, ma poi acconsente alla mia richiesta, e compone il numero.
“Gli dica che è qualcosa che riguarda Anthony Stark” sottolineo per essere sicuro di avere la completa e totale attenzione del senatore. Lei annuisce, e riferisce esattamente ciò che ho detto. Devo essere stato convincente, poiché mi viene detto di salire, ma rifiuto cortesemente.
“Può portargliela lei, dica solo al senatore che un bravo cittadino fa sempre il suo dovere” le sorrido posando la penna sul bancone tamburellando con le dita, e facendo un cenno alla donna. Ora non mi resta che tornare alla zona portuale, e tendere la trappola finale.
 
Il senatore dava la schiena alla grande finestra, seduto sull’alta sedia rivestita di morbida pelle nera. Tamburellava nervosamente con la penna sulla scrivania in pesante legno; era ansioso di scoprire se quella era una bufala, o verità. L’uomo non aveva chiesto denaro per le informazioni che, se si fossero rivelate veritiere, avrebbero segnato la condanna di Stark. Non era neanche salito volontariamente, probabilmente una misura precauzionale, anche se l’avevano visto bene in viso al piano inferiore. Non sarebbe comunque stato così sciocco da denunciare il suo benefattore. La sua segretaria entrò porgendogli la piccola unità di memoria. La soppesò tra le mani, congedando la ragazza, e si avviò verso il computer inserendola fremente d’ansia.
E comparvero davanti a lui; centinaia di registri, foto, documenti che attestavano il contrabbando di armi da parte della Fondazione Maria Stark. Con la patetica scusa di importare all’estero medicinali, aiuti umanitari, il miliardario trafficava ogni genere di arma ai guerriglieri in tutte le zone rosse del Medio Oriente, dell’Asia, e dell’Africa. Aveva ingannato tutti con il fatto di essere Iron Man, un difensore della giustizia, creando una copertura pressoché perfetta. Ma cosa ci si poteva aspettare da un uomo che aveva commerciato armi per tutta la vita? Che all’improvviso diventasse un pacifista? No, quello lì era nato guerrafondaio, e così si stava dimostrando, sfruttando a suo vantaggio ilprogramma "green line" della dogana U.S.A., che consentiva a trasportatori che si dimostravano degni di fiducia di avere un minor numero di container ispezionati. Un sorriso gelido tirò le labbra del senatore, finalmente aveva in mano tutte le prove di cui necessitava per riaprire il processo contro il magnate, compreso l’indirizzo dove si trovava la merce accumulata in attesa di essere esportata. Senza ulteriore indugio compose il numero del procuratore, preparandosi a far emettere il mandato di cattura contro Tony Stark. Una cosa era certa, stavolta quella sua armatura non l’avrebbe salvato.

 

 
***

Tony aveva appena finito di apportare modifiche  alla sua armatura inserendo a fiala di siero in uno scomparto del guanto metallico, quando il segnale del suo localizzatore si attivò con il classico bip bip. Fissò quasi meravigliato la mappa sullo schermo olografico, gli sembrava improbabile che Loki fosse uscito allo scoperto così in fretta.
Il punto rosso fisso sulla cartina indicava il porto, Newark Bay.
“Cosa stai tramando al porto, turista? Non di certo progetti una crociera” disse sospettoso.
“Devo preparare il decollo, signore?”
Tony restò a fissare ancora lo schermo, cercando di capire cosa avesse in mente l’asgardiano. “Perché lì? Perché adesso?” pensò.
Il pensiero di chiamare lo S.H.I.E.L.D. o Rogers per un attimo gli sfiorò la mente, ma lo accantonò; poteva anche essere un malfunzionamento nel dispositivo, anche se la competenza di Henry era indiscutibile. Si sarebbe accertato prima di allarmare tutti, ma dentro di sé covava il desiderio che ci fosse davvero il Dio degli Inganni lì. E poi aveva la sua collaudata strategia: l’attacco.
“Sì Jarvis, prepara tutto per il volo, e ricarica le armi”ordinò.
“Prevede uno scontro, signore?”
“Già, prevedo un bel po’ di movimento oggi. Cancella anche la lezione di pilates”
“Vuole che chiami la signorina Potts?”
“Jarvis, ma da che parte stai? Credi sempre che ogni volta il mio viaggio sia di sola andata? Mi dai per spacciato ultimamente” si risentì.
“Mi scusi, signore”
“Poche storie, e prepariamoci”
Dieci minuti dopo il tetto della Stark Tower si aprì permettendo ad Iron Man di prendere il volo nel cielo di New York.

 

 
***


Le navi solcano placide le acque dell’Hudson. Il silenzio viene rotto da una sirena, o dal moto di una gru che con il suo sferragliare metallico solleva quei container per portarli su una nave da carico.
E poi la vedo, la lucente armatura che riflette le luci di una citta che non dorme, i propulsori che con i loro colori caldi disegnano una scia nel cielo crepuscolare. Atterra con un pesante tonfo dinanzi a me.
“Non avrei mai creduto che ti avrei beccato proprio qui, Bambi”
“Com’è strana la vita, vero Stark?”
“Beh, sai cosa dicono i profiler di voi assassini? Che smaniate dalla voglia di farvi catturare per avere poi un posto in prima pagina. E fino ad ora tu sei rimasto nell’ anonimato” mi dice cercando di risultare pungente e sarcastico.
“Non sarò io ad essere catturato qui, Stark” rispondo placido.
“Devo ammetterlo, mi hai giocato un bel tiro alla Torre. Infiltrarti, rubare lo scettro, lasciare il biglietto…”
“Non lo considererei rubare, era piuttosto un riprendermi ciò che era mio di diritto” sottolineo, e la sua voce si inasprisce.
“Hai perso i tuoi diritti da quando hai cominciato ad uccidere senza scrupoli. Gli agenti Barton, Coulson, Romanoff, una delle mie guardie alla torre, innumerevoli innocenti durante l’attacco dei Chitauri…hai spedito il dottor Banner alla neuro per un crollo mentale, tanto che preferisce starsene sdraiato imbottendosi di farmaci…quanto è lunga la tua lista, Loki?”
“Non farmi certi discorsi, che non attacca. La mia lista è lunga quanto la tua ai tempi d’oro della vendita di armi. Non sei certo un esempio da seguire quanto a comportamento retto”
Assume una posa rigida di guardia, posso quasi sentire i click preparatori delle armi, ma se tutto va’ secondo i miei piani, non avrà tempo di sferrare il suo attacco.
“Come hai fatto a sopravvivere? Ti ha aiutato tuo fratello?” devo aver assunto un’espressione sorpresa che muta velocemente in scherno.
“Vi avrebbe prima fornito l’arma per uccidermi, e poi mi avrebbe aiutato? Un comportamento contraddittorio, non credi? E poi non è da Thor elaborare complicate strategie”
“E cosa posso saperne io del vostro cervello alieno? Avanti, ricordi Stoccarda? Arrenditi graziosamente, ed io non sarò costretto ad usare le maniere forti”
“Maniere forti? Forse non hai ancora capito che sei tu quello che deve stare attento. Cosa succederebbe se malauguratamente tu dovessi come dire…perdere la faccia con la popolazione mondiale? Sarebbe un bel peso da reggere, vero? E tu sei solo un comune mortale... Senza la tua armatura sei vuoto, una nullità”
“Pensieri molto profondi e commoventi, in prigione avrai tutto il tempo di scrivere un libro delle tue memorie millenarie” si avvicina puntando la mano a palmo aperto, ma io non mi muovo.
“Mi dispiace ma sta per esserci un’interessante svolta negli eventi. E dove sono i tuoi preziosi alleati? Dov’è la signorina Potts?”
“Pepper…” mormora scagliandosi poi su di me con violenza, facendomi impattare contro l’asfalto, ma non riesco a reprimere una risata.
“Dov’è Pepper, cosa le hai fatto?”
“Io? Assolutamente nulla. Mi chiedevo solo come debba sentirsi adesso”
“Sentirsi adesso per cosa, parla maledizione!”
Alzo il capo per avvicinarmi contro l’armatura, e poter fissare i suoi occhi metallici.
“Come debba sentirsi per aver scoperto che il suo amato è in realtà un losco doppiogiochista”
 
Il cielo si illumina come se fosse giorno grazie alla luce proveniente dai fari di due elicotteri spuntati dal nulla. Sirene di auto della polizia rompono il silenzio. In un attimo la zona diventa un luogo pullulante di poliziotti.
“Anthony Stark, deponi le armi!” gli intima una voce al megafono.
“Cosa? Che volete, che è successo? Sono qui per farvi un favore, idioti! Per prendere lui!” mi strattona facendomi alzare, e sono costretto a coprirmi il viso con il braccio per via della luce intensa.
“Lascia andare quell’uomo e arrenditi!”
I poliziotti sono usciti dalle loro auto e puntano le pistole nella sua direzione. Altri cecchini sono appollaiati sui tetti dei container, siamo praticamente circondati. Dubito che questo piccolo esercito abbia una speranza contro la sua armatura, ma lui non scapperà, non se sarà lei a chiederglielo…e sono sicuro che l’abbiano portata…
“Tony!”
“Pepper!”
Prevedibile e scontato.
“Pepper, cosa sta succedendo?”
“Tony, hanno trovato dei registri, tu hai…lascia andare quell’uomo, e parliamone…ti prego” ha la voce rotta di lacrime, sento la sua presa che si allenta su di me.
“Cosa hai fatto, piccolo cervo?” mi sussurra all’orecchio.
“Gli ho dato quello che volevano: il vero Tony Stark, trafficante di armi, e omicida”
Aspetto che le parole gli arrivino al cervello, imprimendosi per bene.
“Maledetto bastardo!” mi solleva scagliandomi lontano contro una rete metallica. Non reagisco, finché vedono il suo lato animale, questo non farà altro che avvalorare le loro ipotesi, dipingendo me come la vittima, e lui come il carnefice.
“Lascialo andare Stark, o apriremo il fuoco!”
“Tony!” grida la donna ormai sciolta in lacrime.
“Dovresti andare Tony…”
“Certo andrò, ma dopo aver fatto questo”
Apre la mano, e sento il fischio sibilante di qualcosa che viene sparato a velocità. Sento sul collo la fastidiosa sensazione di una puntura, come quella di un insetto. Mi porto la mano estraendo l’ago dal collo; il mio corpo si irrigidisce, e poi si rilassa totalmente, prosciugato delle sue forze.
“Cosa mi hai fatto?” la mia voce è flebile.
“Buon viaggio, piccolo cervo” mi alza e mi scaglia con violenza verso il fiume. Cado inerme come una bambola di pezza, continuando ad inabissarmi nelle acque fredde. Apro gli occhi  e vedo un indistinto e fluttuante mondo di luci colorate, probabilmente quelle degli elicotteri, e del porto. Attorno a me c’è silenzio, c’è pace. Sento la ferita al collo bruciare come immersa nell’acido, in bocca un sapore amaro come il fiele. Forse dovrei lasciarmi cullare dal movimento regolare del fiume, farmi portare via dalla corrente fino a ritrovarmi in mare aperto, finché gli squali non mi dilanieranno le carni. Sarebbe meglio rispetto all’essere trovato gonfio e con le membra imputridite, in qualche canale di scolo attorniato da rami e melma. A poco a poco sento il corpo riacquistare un po’ di forza, nemmeno questa si vede che è la mia ora, ma ho trattenuto a lungo il fiato, ed apro involontariamente la bocca. Posso farcela a scuotermi dal torpore, uno, due, tre bracciate, e poi ancora, finché non riemergo, e quel mondo di luci torna ad essere una realtà tangibile.
La corrente mi ha portato poco lontano, ma fortunatamente ancora nella zona portuale, vedo alcune scalette dove arrampicarmi. Mi lascio cadere sul pontile tossendo acqua, ed inspirando aria a pieni polmoni. Vedo ancora un tafferuglio con andirivieni di agenti che passano sotto il nastro giallo della ‘scena del crimine’. Devo andare via di qui presto, prima che comincino a cercarmi. Probabilmente mi credono già morto e disperso nell’oceano, tanto meglio, così Stark dovrà affrontare un doppio processo, come gli avevo predetto. Riesco a malapena a rimettermi in piedi, barcollante e malfermo sulle gambe, ma ancora tutto intero. Usare la magia è fuori questione, mi sento indebolito fin nelle ossa. Camminerò fino a casa, sperando che il mio corpo non crolli.

 

 
***


Il ritorno è estenuante, uno sforzo fisico immane. Apro la porta e mi lascio cadere sul divano. Ho i palmi delle mani e la fronte madidi di sudore, il respiro accelerato, la gola arsa e secca. Chiudo gli occhi sentendo solo la spossatezza che mi invade, ma devo sapere. Con fatica accendo il televisore, dove i notiziari trasmettono la notizia dell’arresto di Tony Stark, il magnate dell’industria accusato di contrabbando illegale di armi. Inquadrano il senatore Stern, che dice di non aver mai smesso di credere alla colpevolezza di Stark, nonostante apparisse puro come un angelo. Un lupo travestito da agnello, così lo definisce. Era presente anche lui al momento dell’arresto, quando all’apertura dei container hanno trovato le armi, la prova definitiva di cui avevano bisogno. Il senatore si era procurato un mandato di cattura per il miliardario poco dopo la mia consegna, compreso di mandato di perquisizione per la sua Torre. Era stato proprio il suo amministratore delegato, apparentemente innocente, a fornire la posizione di Stark, anche se non si esclude la possibilità di una complicità nel commercio; ritengono possibile che lei fosse a conoscenza di tutto, ma avrebbe taciuto a causa del loro legame. Ed eccolo lì, Iron Man, l’uomo di metallo, preso con forza dagli agenti, spogliato della sua corazza protettiva, e arrestato. Quanto può essere piccolo un uomo quando alla fine non gli resta niente? Quando nessuno ti vuole, quando tutti voltano la faccia, quando nessuno ti aiuta. La sua azienda ed i suoi beni sono sotto sequestro, la Torre verrà sgomberata, la Fondazione bloccata. Gli hanno negato la cauzione, comprensibile.
“Questo si prospetta essere il processo più importante della storia contemporanea” cita il presentatore, e comincia, insieme ad altri, ad analizzare la vita di Stark dagli albori ad oggi, cercando di capire cosa l’abbia spinto a diventare quello che è. C’è chi parla di megalomania, narcisismo, un disturbo dell’abbandono sfociato in complesso del superuomo.
Non sanno che la risposta è molto più semplice, e che ci sono io dietro tutto questo. Spengo il televisore, soddisfatto di ciò che ho ascoltato. Piano mi alzo, afferrando il bordo della sedia per placare un capogiro. Mi avvicino alla cucina per riempirmi un bicchiere d’acqua, dopo aver bevuto un sorso però, la mano viene scossa da un fremito, ed il bicchiere cade a terra frantumandosi. Mi abbasso per raccogliere i cocci quando una scheggia mi ferisce. Guardo il sangue disegnare una spirale ed una goccia infrangersi al suolo. Tra poco il taglio si rimarginerà.
Ma non succede.
Resto a guardare il sangue che continua ad uscire dal taglio, come ipnotizzato da quello spettacolo cremisi.
Chiudo gli occhi e mi sforzo di richiamare la magia. Li riapro, ma il taglio è ancora lì. Sento un freddo instillarsi fin nel midollo, una sensazione di angoscia che mi sovrasta mozzandomi il respiro. Il cuore prende ad accelerare i battiti in un ritmo sempre più incalzante.
Devo calmarmi, tutto questo non è reale.
 Ritento un’altra volta, ma ottengo lo stesso risultato: il niente.
Ed è allora che capisco cosa ha fatto, a cosa serviva quella puntura.
La mia magia è scomparsa.
 
Note
(*)La dargonite è la lega più dura presente nell'universo Marvel. È in grado di perforare l’ Adamantio e anche di distruggerlo. In passato si pensava che fosse la stessa cosa dell'Uru ma recentemente si è scoperto che la cosa è del tutto sbagliata. La dargonite è in oltre in grado di semi-distruggere l'uru.
 
***
Hello gente! Eccoci qui con un nuovo diabolico piano di Loki che ha messo fuori gioco il buon Tony…Perdonate la citazione dei Black Sabbath, è abbastanza abusata, però ci stava bene XD Se dovesse esserci qualche imprecisione chiedo scusa, ho cercato di creare un bell’intrigo internazionale :P
Ok, detto questo vi lascio e vi auguro un buon proseguimento! Alla prossima settimana ^^

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Capitolo 23
*** Questione di fiducia ***


I wanna heal, I wanna feel like I'm close to something real
I wanna find something I've wanted all along
Somewhere I belong
Linkin Park – Somewhere I belong
 
[Io voglio guarire, voglio provare sensazioni, sentirmi vicino a qualcosa di vero/ voglio trovare qualcosa che ho voluto fino adesso / qualche luogo a cui appartenere]

 
Tutto quello che sento è paura. Una paura fredda e strisciante si impossessa di me. Il battito sordo del cuore, i brividi gelidi, le membra irrigidite e i sensi innaturalmente acuiti.
Sono in un bosco frondoso al crepuscolo, posso vedere gli ultimi bagliori aranciati del sole filtrare tra il fogliame dalle intense sfumature di verde, mentre la stella del vespero brilla in lontananza ad ovest, preannunciando la notte.
Cammino per un piccolo sentiero sterrato, la ghiaia scricchiola sotto il peso delle mie scarpe, l’aria fredda ed umida mi penetra nei polmoni. Il cielo si oscura sempre di più, mentre i rapaci notturni fanno la loro comparsa; li vedo planare di albero in albero appollaiandosi, fermandosi a fissarmi con i loro enormi occhi gialli, come se fossero in attesa di uno spettacolo che ha me come protagonista. Mi guardo attorno con circospezione con la sensazione assillante di essere osservato, non solo dagli uccelli. Questa percezione si fa sempre più insistente, mentre i primi bagliori della luna argentea illuminano debolmente il mio cammino. Cerco di mettere meglio a fuoco il luogo per potermi orientare, ma non è un posto che ho visitato prima.
Avverto un fruscio tra le foglie, e poi un rumore di rami secchi spezzati. Istintivamente so che non si tratta di qualche altro animale, ma di una persona. Le gambe si muovono cominciando una corsa che mi fa addentrare sempre di più ne fitto del bosco, facendomi abbandonare il sentiero per il letto di terra cosparso di fogliame; mi fermo solo quando i muscoli mi dolgono al punto di non permettermi di continuare, attorno a me deboli raggi di luna filtrano nelle chiome di rami intrecciati. Vedo un’ombra nera muoversi velocemente tra i tronchi di pioppo e acero, e poi una mano dalla pelle diafana, sotto la quale è facile intravedere il pallido verde delle vene, le dita ossute e nervose, mi artiglia la spalla con forza. Sobbalzo e scrollandomela di dosso mi costringo a riprendere la corsa.
 
“Non puoi scappare per sempre da me, Loki”  avverto la voce roca dello sconosciuto al mio orecchio. Come ha fatto a raggiungermi? Il suo fiato è freddo come solo la morte sa essere, ma io non mi fermo, devo mettere quanta più distanza tra noi, ignorando il dolore bruciante e pungente al fianco sinistro sotto le ultime costole. Continuo a correre, una radice spessa mi fa inciampare, e cado al suolo finendo in un cespuglio di biancospino i cui rami puntuti mi provocano ferite al volto e alle mani, macchiando le bacche bianche di sangue che nel buio della notte risulta nero ai miei occhi. Nel cadere ho strusciato le labbra sul manto erboso, il sapore di terra mista a sangue mi riempie la bocca, ma mi risollevo, arrivando fino al limitare del bosco. Devo interrompermi, ansante e sudato all’orlo di un precipizio. La luna mostra la sua faccia splendente, è innaturalmente grande, o così mi appare. Dal bosco comincia a diffondersi una fitta nebbia, un muro bianco che si palesa dinanzi a me. Studio lo spazio stando bene attento a non mettere un piede in fallo. Il precipizio sprofonda in un abisso nero pronto ad inghiottire ogni cosa.
Ma improvvisamente, con inaspettata forza quell’essere mi coglie di sorpresa alle spalle, costringendo a voltarmi; il respiro mi si mozza in gola alla vista del mio aggressore, il cuore batte convulsamente in tonfi sordi ed irregolari, sono completamente irrigidito.
La figura nata dalle ombre mi sorride: ha il volto emaciato di un pallore spettrale sotto i raggi lunari, le labbra esangui tirate in un sorriso nervoso, la fronte alta imperlata. Potrebbe sembrare un morto, ma i suoi occhi esprimono una vitalità e un ardore inconfutabili.
Occhi verdi di bragia, lucenti, vivi, che conosco fin troppo bene.
Lo sguardo di un folle, pazzo d’odio.
Colui che mi stringe ora la gola in una morsa d’acciaio arrivando a sollevarmi dal suolo, non sono altri che io.
“Ti avevo detto che non potevi liberarti di me, Loki”
“Tu non puoi essere me” dico in un sussurro rauco.
“Io sono te, sono tutto ciò che hai sempre temuto. Sono il frutto di anni d’odio, rancore, vendetta. Sono la parte di te più selvaggia, quella che chiede che ti procuri al più presto il sangue dei tuoi nemici”
“Io non posso scappare da me stesso. Non ho paura di te”
I suoi occhi si assottigliano, rafforza la presa sulla mia gola.
“Io sono l’incarnazione di ciò che temi di più, ed è per questo che stai scappando da me” sonda i miei occhi alla ricerca di un barlume di comprensione, che non trova.
“Tu hai paura di te stesso, del fatto che una volta che ti sarai vendicato, non ti resterà più niente. Sarai vuoto, Loki, dopo aver fatto terra bruciata attorno a te. Cosa farai quando anche il tuo ultimo nemico sarà morto? Cosa farai dopo aver conquistato tutto? Ti ridurrai come me adesso. Io non sono altro che uno spettro di ciò che diventerai: una squilibrata, aberrante, irrazionale, pazza creatura odiata dal mondo”
“No, io sono troppo avanti adesso per mandare tutto all’aria, tu non capisci”
“Capisco benissimo, e sai alla fine dove ti troverai?” si muove lentamente e sento l’aria fredda delle correnti provenienti dal crepaccio. “Ti ritroverai sull’orlo del dirupo e lì aspetterai solo di ricevere la spinta necessaria per l’ultimo atto”
Tende il braccio dinanzi a sé, mentre le mie mani lo artigliano, consapevole di ciò che il mio doppio ha intenzione di fare. Inclina il capo sorridendo.
“Vedo che hai capito. Quando avrai raggiunto l’apice non ti resterà altro che la caduta. E la caduta significa solo una cosa: morte”
La sua mano lascia la presa, ed il mio corpo precipita inerme nel baratro, e l’ultima cosa che sento è  la sua risata di trionfo beffardo.
 
Apro gli occhi di scatto. La luce filtra debolmente dalle tende della mia stanza, i rumori provenienti dalla strada mi aiutano a riprendere la percezione dello spazio. Uno stereo acceso , il rumore di un aspirapolvere, un clacson. Mi metto a sedere al centro del letto, tenendomi la testa tra le mani. La fronte è imperlata di sudore, durante quell’agghiacciante incubo mi sono talmente agitato da aver sfilato le coperte che giacciono ormai in un cumulo sul pavimento, il letto è totalmente disfatto. Mi sento il corpo pesante, spossato, mi rimetto in piedi a fatica, dirigendomi a passi incerti verso il bagno. Mi sfilo di dosso i vestiti traendo sollievo dal rassicurante getto di acqua calda della doccia.
Non so per quanto tempo ho dormito, mi sembra sia passata un’eternità. I miei ricordi sono confusi, probabilmente a causa di quell’iniezione di concentrato d’uru, il mio corpo deve aver lottato per liberarsene, ed ecco spiegato l’incubo. Non è stato altro che frutto della malattia, del delirio della febbre.
Forse allora anche la mia magia sarà tornata…devo fare un tentativo, un incantesimo semplice: provare a chiudere la porta. Ma non appena mi sforzo per richiamare la magia, un dolore lancinante mi sconquassa il petto e mi accascio nella doccia, annaspando alla ricerca d’aria, mentre l’acqua mi bagna la schiena.
Per adesso è meglio evitare, il corpo dovrà liberarsi di questa dannosa tossina, gli effetti saranno sicuramente temporanei, come la cura che diedero ai mutanti. Non puoi cambiare drasticamente quello che sei, nemmeno interferendo in maniera così invasiva.
Avvolgendomi in un morbido telo di spugna cammino a piedi nudi sul pavimento; il tempo sta cambiando, caricandosi di pesanti nuvoloni scuri, e in lontananza odo il rombo del tuono seguito da un’abbagliante folgore. Questa non ci voleva, lui è arrivato, e mi starà aspettando. L’unica cosa che posso fare è andargli incontro e guadagnarmi la sua fiducia, non con una bugia ma con una verità che per lungo tempo gli è stata taciuta.

 

***

Il sole continua a fare capolino tra le nubi plumbee di questa giornata di inizio marzo. L’aria frizzante preannuncia la primavera, ma ha ancora quella nota fredda dell’inverno ancora in corso. Sono davanti alla porta di casa di Gillian e provo a bussare sperando sia in casa. Portare lei con me sarà un pass per risultare credibile agli occhi di Thor, che con tanti umani presenti, più una che testimonia a mio favore, non si metterà certo a fare qualcosa di stupido come ingaggiare una battaglia con me. Cosa che ora come ora non sono pronto a sostenere.
 
“Logan ciao, che ci fai qui?” apre la porta meravigliata della visita.
“Mio fratello è in città”
“Oh, capisco, entra accomodati” spegne lo stereo e mette un segnalibro dove aveva interrotto la lettura. “Vuoi che ti prepari qualcosa?”
“No” scuoto il capo. Improvvisamente penso che essere qui non sia una buona idea. Mi limito a sedermi, con ancora il cappotto addosso, e le mani che tamburellano sul tavolo. Lei mi scruta in volto pensierosa, poi parla.
“Vuoi che venga con te?”
Per un attimo non rispondo, ma dalle mie labbra fuoriesce un sospiro “…avevi detto che l’avresti voluto conoscere”
Sorride “Certo, il fatto che tu sia nervoso non c’entra assolutamente nulla. Sei molto bravo nel rigirare la frittata, ma si vede lontano un miglio che questo incontro ti innervosisce”
“Io non sono nervoso” replico piccato.
“No, no, assolutamente. Ok, dammi un momento che prendo la giacca”
Dopo essersi infilata le scarpe ed il cappotto mi fa cenno di uscire.
“Dove avete appuntamento?” domanda sistemandosi meglio la sciarpa.
“All’entrata sud di Central Park”
 
Continuiamo a camminare fino a raggiungere l’ingresso. Riesco a scorgerlo da lontano, vestito di abiti mortali che sembrano stargli troppo stretti, la sua imponente figura si staglia sulle altre. Fiero e intimidatorio: ecco come appare mio fratello. Mi fermo dall’altra parte del marciapiede e devo aver assunto un’espressione corrucciata, poiché sento la mano di Gillian posarsi sulla spalla.
“Andrà tutto bene” cerca di rassicurarmi.
La mascella mi si contrae, ho passato talmente tanto tempo della mia vita ad odiare Thor che questo cambiamento mi risulta totalmente inconcepibile, ma annuisco a Gillian, attraversando poi la strada.
Thor mi vede, lo sguardo dapprima duro si addolcisce, e poi inarca un sopracciglio curioso scrutando la dottoressa che cammina al mio fianco.
“Ti stavo aspettando” esordisce.
“Ciao, fratello”
Il suo sguardo torna a Gillian “Questa è la mia amica Gillian, ci teneva ad accompagnarmi qui” vedo  gli occhi di Thor manifestare stupore a quelle parole, ma tende la mano alla dottoressa
“Piacere di conoscerti Gillian, io sono Donald (*), ma puoi chiamarmi Don”
Questa poi mi incuriosisce parecchio, gli umani con cui ha interagito conoscono tutti la sua identità, ma deve essersi trovato un nome alternativo per gli altri.
“Ero davvero ansiosa di conoscerti, Logan mi ha parlato di te” gli sorride entusiasta.
I nostri sguardi si incrociano “Ti ha detto tutte cose vere immagino…giusto, Logan?” calca il nome con una nota di derisione.
“Verissime, Donald” gli rispondo a tono.
“Bene, voi avrete di certo tante cose da dirvi e non voglio esservi d’impiccio, quindi adesso me ne vado”
“Sei sicura? Se hai accompagnato mio fratello sei libera di rimanere ancora con noi…” le dice Thor, ma lei scuote la testa.
“No, l’ho accompagnato per assicurarmi che non scappasse. Eccotelo, è tutto tuo”mi da un colpetto spingendomi avanti e poi, facendomi l’occhiolino, aggiunge “Io devo vedermi con Jane, da quando i laboratori di ricerca delle Stark Industries sono stati chiusi ha molto tempo libero…il che la sta facendo impazzire”
Il viso di Thor assume un’espressione meravigliata che lo rende davvero ridicolo.
“Tu sei la dottoressa Gillian Russel, amica di Jane…Foster?”
“Eh? Sì, ma tu come la…” si blocca con le labbra dischiuse in un silenzioso ‘oh’ e poi continua “Tu sei il ragazzo di Jane! Santo cielo, ma quanto è piccolo il mondo! E dire che stavo insistendo tanto per conoscerti, non avrei mai immaginato che fossi il fratello di Logan!”
“Il mondo è davvero piccolo, non c’è che dire”
“Altroché, sembra che il destino abbia creato un giro terribilmente complicato per farci incontrare tutti quanti”
Le parole della dottoressa mi fanno riflettere: quante possibilità c’erano al mondo che incontrassi proprio lei quella sera al caffè, e che fosse amica proprio di Jane? Le probabilità rasentavano lo zero, eppure eccoci qui, un cerchio che si è chiuso, protagonisti di un intreccio del destino.
Loro lo sapevano, sapevano che questo incontro non era casuale, ora ne sono ancora più convinto. Skuld mi deve una spiegazione, che so già non mi darà.
“Bene, allora adesso io vado. Don, una di queste sere dovete venire tutti a cena da me, così potrai raccontarmi qualcosa di più del piccolo ghiacciolino taciturno”
“Non c’è bisogno che tu sappia altro, Gil” rispondo incrociando le braccia.
“Avrò la mia dose di racconti che tu lo voglia o no. Don, è stato davvero un piacere conoscerti, alla prossima!”
Thor la saluta sorridendo e poi si volta di nuovo verso di me “Ragazza vivace”
“Testarda, presuntuosa, estremamente chiacchierona” puntualizzo.
 
Cominciamo a camminare addentrandoci nel parco, che ormai sembra essere diventato la sede principale di tutte le mie confidenze. Per un tratto nessuno di noi due parla, finché Thor non vede una panchina davanti al lago e si siede, fissando la folla brulicante.
“Questo scorcio di paesaggio mi ricorda Asgard”
Valuta la mia reazione, che è stare in silenzio con le mani in tasca. Tace ancora. Questa situazione posso solo definirla…imbarazzante. Cosa hanno da confidarsi due persone che dicono di essere fratelli, ma che in realtà sono sempre stati ai poli opposti?
“Cosa ti è successo dopo la fuga?”
Questa domanda mi spinge a sorridere, in fondo me l’aspettavo “Ha davvero così tanta importanza?”
“Per me sì. Tu non sai come sia stato vederti sfuggire…di nuovo”
“Quindi parli solo per orgoglio ferito? Perché ti sei lasciato sfuggire la tua preziosa preda?”
“Non intendevo dire questo” la sua fronte si corruga in un moto di stizza “Tu te ne sei andato, hai cominciato a…”
“A far cosa?” lo incito.
“A delirare. Tutta questa storia della vendetta, ti rendi conto che non ha senso, vero?”
“Ti sembra che ora me ne stia qui a vendicarmi di qualcuno? Non lo vedi?” apro le braccia con un gesto teatrale “Ora conduco una vita serena e tranquilla come midgardiano qualunque”
Lui inarca un sopracciglio, palesemente incredulo “Vuoi dirmi che non c’entri niente con le morti degli agenti, e con l’arresto dell’uomo di metallo?”
Mi stringo nelle spalle assumendo una posa beffarda “Volevo solo creare un po’ di scompiglio, non pensavo che il dottore esplodesse. E ti ricordo che per poco non sono morto anche io, fratello. Per quanto riguarda Stark, la cosa ha sorpreso anche me. Credevo fosse davvero uno dei buoni, evidentemente ha ingannato tutti meglio di me”
Thor annuisce, non pensava che Stark potesse macchiarsi di un crimine, specie dopo aver rischiato la vita trasportando una bomba nella lotta contro i Chitauri.
“Sicuramente deve esserci stato un malinteso. Un uomo nella sua posizione deve avere parecchi nemici”
“Tutti hanno un nemico al mondo, alcuni lo sanno, alcuni no”
“Quindi è questo che siamo, Loki? Nemici? Lascia che ti dica una cosa: tu hai cominciato questa competizione con me, e va bene, hai ragione. Padre ha sbagliato a mentirti su una cosa tanto importante, ma voleva proteggerti, voleva che la sua fosse una famiglia unita…”
“Il principio che tiene unite le famiglie sono le bugie infatti” rispondo pungente, e Thor mi guarda truce.
“Ti sto dicendo che ha sbagliato, sto concordando con te se non l’avessi capito. Ma io…sono stato uno sciocco; con arroganza volevo impossessarmi del trono, sono stato così cieco ed egoista nel metterti da parte, senza curarmi di sapere cosa ne pensassi davvero. Senza sapere che quel mio comportamento ti stava arrecando sofferenza, dando per scontato il fatto che mi rimanessi accanto nonostante la scelta di nostro padre”
“Hai davvero dato per scontate troppe cose”
“Ma tu non hai nemmeno parlato una volta!” sbotta.
“Forse perché non me ne hai mai dato modo! Eri sempre circondato dai tuoi amici, ti fidavi più di loro che di me. Continui a tenere più in considerazione loro…mi avresti ascoltato se ti avessi parlato? Ovviamente no. Ti ci è voluto l’esilio su Midgard per cominciare a ragionare, così come per me c’è voluta la tua assenza per scoprire la verità, o meglio, per farla ammettere a Odino”
“Loki…”
“No, tu non capisci, tu non sai. Una vita vissuta all’ombra dei tuoi successi, scoprire di valere meno di un oggetto, di essere una pedina nelle mani di un gioco che faticavo a comprendere. Io volevo solo quell’approvazione che non c’è mai stata”
Avverto una sensazione di sollievo a quelle parole. Dopo averle taciute così a lungo ora mi sento…leggero. Thor non risponde, cova i suoi pensieri guardando fisso davanti a sé.
“La prima volta che sei andato via, quando ti sei lasciato cadere nel vuoto, sono sprofondato con te. In quei giorni pensavo e ripensavo a mio fratello, a cosa gli fosse accaduto, se fosse ancora vivo. Ho avuto modo di riflettere su tante cose, e alla fine ho capito. Ho cercato di sviscerare i motivi che ti avevano spinto a quel folle gesto. Ricordo ancora le lacrime nei tuoi occhi, uno sguardo così differente…eri ferito nel profondo, e sapevo che uno squarcio del genere non poteva sanarsi, ma io avevo intenzione di provarci comunque. Poi, quando ti ho rivisto dopo averti prelevato dalla macchina voltante umana, ho notato il tuo cambiamento: così freddo, non sembravi nemmeno più umano, solo un folle, ostinato, corrotto. Non c’era traccia di mio fratello in quella creatura d’odio, ma credo che in parte fosse imputabile allo scettro…però a parte questo, la verità è, Loki, che come tu ti sentivi messo da parte da me, io mi sono sentito allo stesso modo. Tu eri quello intelligente, tu eri il mago potente, ed io…solo bravo nell’uso delle armi, bere e fare rissa. Ho capito solo dopo, troppo tardi che avremmo dovuto imparare l’uno dall’altro, non provare ad essere i migliori per superarci a vicenda”
Ascolto il suo discorso in silenzio, una parte di me è visibilmente irritata, mentre l’altra è…trionfante. Non so come altro definire questa sensazione, perché il fatto che lui abbia ammesso di provare invidia nei miei confronti mi conforta, mi fa sentire meno colpevole.
“Tutte queste cose le hai davvero comprese in mia assenza? È sicuramente più facile ammirare le qualità di qualcuno quando è sparito dalla faccia della terra. Come si dice, apprezzi il valore di qualcosa solo quando la perdi. Ma dubito seriamente che il popolo di Asgard mi abbia mai stimato”
“Ti sbagli, c’era davvero chi ti riteneva più capace di governare rispetto a me”
“Non ho avuto la fortuna di incontrare questi miei sostenitori”
“Perché non ti sei mai soffermato a parlare con gli altri. Io sapevo che non avevi il carattere più espansivo del mondo e non eri la persona più chiacchierona ma quel tuo atteggiamento è stato preso da molti per superbia ed alterigia. Se la tua amica ti chiama ghiacciolino non è certo una coincidenza”
“Mi affibbia ogni genere di soprannome, a dirla tutta”
Nonostante la conversazione non verta su argomenti divertenti, sorrido. La cosa sembra far piacere a Thor, che si trova suo malgrado a sorridere di rimando, un sorriso che si fa più ampio, fino a tramutarsi in una risata genuina. Gli rivolgo un’occhiata curiosa.
“Scusami, pensavo che deve essere davvero un bel tipo quella ragazza”
“È insopportabile” puntualizzo.
“Come l’hai conosciuta? Tu e lei…” dalla frase interrotta capisco dove voglia andare a parare.
“No, non è come credi. Non viviamo insieme, non stiamo insieme. L’ho conosciuta quando sono scappato dalla prigione di Asgard”
“Jane mi ha detto che è un dottore”
“Opera in chirurgia d’urgenza” preciso.
“Quindi è stata lei ad aiutarti quando…” la sua voce si spegne.
“Sì, quando gli agenti mi hanno sparato. Mi ha curato le ferite e accolto in casa sua per più di un mese. Non voleva che andassi via, ma è stato un soggiorno davvero snervante”
“Loki” la sua voce ha una sfumatura di quasi timore e quando mi giro a fronteggiarlo, ha gli occhi puntati nei miei, intensi. “Scusami. Per tutto”
La sincerità di quelle parole è quasi destabilizzante, ma ormai ho ottenuto ciò che volevo: la sua fiducia, la sua ammissione di colpa. Eppure queste scuse, queste tre parole pronunciate in un giorno qualsiasi, dopo tanto tempo, suonano molto più vere di quando ha provato a scusarsi prima.
“Sai, questa è la prima volta che intratteniamo una conversazione civile senza che venga nessuno ad interromperci o che tu e Odino mi gridiate contro, ammonendomi”
Lo sento sospirare e poi distendere le labbra in un sorriso.
“È vero. Ma prima non ero una persona molto disponibile al dialogo. Con le parole non ci ho mai saputo fare quanto te”
“Mi stai di nuovo dando velatamente dell’ingannatore? L’arte oratoria è davvero qualcosa che tu non potrai mai comprendere”
“Come tu non apprenderai mai come azzuffarsi nel migliore dei modi davanti ad un boccale di idromele senza farlo rovesciare” ridacchia.
“Ti tratterrai molto su Midgard?”
“Verrò quando mi sarà possibile, per vedere Jane e controllare te”
“Io non ho bisogno di essere controllato, ho la sorveglianza di Gillian” gli agito la mano davanti agli occhi, sbuffando.
“Sembra che ti abbia davvero preso a cuore” dice alzandosi e riprendendo a camminare, non lasciandomi il tempo di replicare, e dopo tante insinuazioni, vorrei anche far cadere questo discorso.
 
Ci avviamo verso l’uscita e posso dire di sentirmi più rilassato rispetto a quando sono arrivato. Ero sicuro che Thor non mi avrebbe dato problemi, troppo preso a credere che il mio cuore, durante questo periodo, sia cambiato e diventato puro come quello di una colomba. Eppure non posso dire di non aver tratto beneficio da questa conversazione. Ma una parte di me ha bisogno di sapere, anche se con questa domanda potrei giocarmi le mie chance di credibilità, ma ho ancora il mio piano B. E presto, se non addirittura adesso, vorrà sapere cosa avevo da dirgli.
“Thor, posso farti una domanda?” lo vedo annuire e continuo “Perché continui a credermi, nonostante tutti i problemi che ho causato? Non sarebbe più semplice lasciarmi andare definitivamente, rinchiudendomi in prigione? Non hai alcun vincolo di sangue con me, perché ti sei ostinato così tanto?”
Si ferma e si volta verso di me “Ti sbagli Loki. Noi siamo cresciuti insieme e tu resterai sempre mio fratello. Dopo tutto quello che è successo io non ho mai voluto abbandonarti, ho sempre creduto che il tuo fosse un capriccio momentaneo. Dovevi crescere e maturare, così come me, ma abbiamo scelto due strade diverse. Meritavi una seconda occasione, te la dovevo io, te la doveva Asgard. E poi qui ti sei fatto degli amici, il che mi porta a credere che effettivamente del buono in te ci sia” ironizza, ma poi mi afferra per le spalle, guardandomi con intensità “Giurami che non hai niente a che fare con tutto questo che è successo agli Avengers”
Le parole mi si bloccano in gola, le labbra bruciano per dirle, ma il cervello mi invia messaggi diversi, combattuto tra le due scelte. Ma devo dare retta alla voce che fino ad ora ha garantito la mia sopravvivenza, la voce subdola che mi incita “Vai avanti Loki, menti ancora una volta a questo tuo fratello che ha chiesto il tuo perdono”
“Lo giuro, non ho fatto niente” quelle parole scivolano via come trasportate dal vento; dette con la giusta intonazione, con la giusta intensità nello sguardo. Parole che risultano irrimediabilmente vere. E Thor allenta la presa sulle mie spalle, lasciandomi andare, apparentemente soddisfatto, ma poi si incupisce di nuovo.
“Mi hai detto una volta che eri a conoscenza di qualcosa sulla nostra famiglia…”
Assumo un’aria concentrata, fingendo di scavare nella memoria.
“Ah, sì. Ma non è importante che tu lo sappia”
“Perché?” ribatte.
“Perché, fratello, ci sono cose che è meglio non sapere. È per la tua protezione”
“Non ho bisogno di essere protetto, Loki” vuole sapere, il suo sguardo è avido di conoscenza e di irrequietezza.
“Va bene, credo che te lo meriti, così ti renderai anche tu conto di quanto Odino usi tutti coloro che gli sono accanto, mentendo spudoratamente per i suoi piani”
“Loki non…”
“No, Thor lasciami finire. Non voglio che come me tu debba rimanere all’oscuro di cose che per diritto devi sapere. Io qualche tempo fa, durante i miei viaggi, sono venuto a conoscenza del fatto che…”
“Cosa?” mi incita ansioso.
“Che Frigga non è tua madre”
 
Le parole restano sospese nell’aria per un attimo che sembra eterno. Danzano e arrivano scolpendosi nella materia cerebrale. Vedo Thor indietreggiare e poi puntare il dito contro di me.
“Tu menti! Dopo tutto quello che ci siamo appena detti, come puoi tu prenderti gioco di me così?”
“Non ti sto mentendo, fratello, questa è la verità” rispondo calmo.
“Come l’hai scoperto? Da quanto tempo lo sai? No, Padre non può avermi fatto questo”
“Ma l’ha fatto, Thor” mi avvicino a lui, posandogli una mano sulla spalla, ma si ritrae al mio tocco come scottato. La verità brucia sempre.
“Sei un bugiardo ed io uno sciocco a crederti ancora!”
“Se ritieni che possa mentire allora torna su Asgard e chiedi a loro. Scoprirai chi di noi dice la verità” replico indispettito.
“Questa storia è pura follia, non è possibile!” esclama furioso.
“No, non lo è? Dimmi Thor, io ho scoperto per caso che quelli che ritenevo fossero i miei genitori erano in realtà degli estranei e ritieni così improbabile che Odino possa aver mentito anche a te? Lo ritieni così puro? Ammetti la verità prima a te stesso e non darmi del bugiardo. Sai come ricontattarmi”mi giro e me ne vado, lasciandolo lì a riflettere.
So per certo che questa non sarà l’ultima volta che rivedrò mio fratello.

 
***

 Era buio ad Asgard quando Thor fece il suo ritorno. Il dio del tuono si avviava con passi pesanti ed il cuore stretto in una morsa. Le parole di Loki continuavano a risuonargli nella mente, stordendolo con la loro roboante pesantezza. Non voleva crederci, eppure quel tarlo gli martellava insistentemente il cervello. La dorata sala del trono era illuminata grazie ad una tremolante serie di fiaccole che distorcevano le ombre proiettate sul pavimento lucido. Odino e Frigga erano seduti a chiacchierare amabilmente. La determinazione di Thor per un istante vacillò di fronte allo spettacolo della famiglia riunita. Ma quanto di vero poteva esserci nelle parole di Loki? E poi rifletté meglio sul comportamento di sua madre quando avevano discusso di suo fratello. Si comportava quasi come se sapesse tutto…ma ciò non era possibile…o lo era? Era confuso e aveva bisogno di risposte.

“Thor, sei tornato, vieni, siediti con noi” lo invitò Odino.
Si sedette sulle scale, stendendo una gamba dinanzi a sé.
“Cosa c’è figlio mio? Ti vedo turbato” continuò Frigga.
“Figlio mio”, quelle parole arrivarono come una stilettata al cuore del dio.
Fu quando si rimise in piedi che Frigga capì che qualcosa non andava. Tese la mano verso Odino stringendogliela.
“Madre, Padre, voi siete la mia famiglia, non mi mentireste mai, non è così?”
“Ma certo, non capisco proprio il perché di questa tua domanda” continuò il padre degli dèi.
“Allora io sono davvero vostro figlio?”
Frigga trasalì visibilmente. E così l’aveva scoperto, la sua premonizione si era avverata. Sentì il sangue defluirle dal viso, si teneva ad Odino come se fosse l’unico suo legame con una realtà che le stava sfuggendo di mano.
“Che insinuazioni credi di fare, Thor? Smettila di parlare a sproposito!” gli disse rabbioso.
“Non hai risposto alla mia domanda, padre” calco l’ultima parola con intensità.
“Tu sei mio figlio e questo è quanto. Chi ti ha messo in testa questi ridicoli pensieri?”
Frigga rispose con un sussurro flebile “Loki…”
Odino si voltò a guardare prima lei e poi suo figlio battendo un pugno sul trono.
“Loki? Vuoi dire che è ancora vivo?” il suo sguardo dardeggiava in un misto di ira e collera.
“Come se tu non sapessi nulla di tutto questo. Mi hai mentito prima di tutti non rivelando che l’avevi incontrato” replicò Thor aspramente.
“Ti eri rassegnato alla sua scomparsa e ho capito che avevo fatto la scelta giusta quando hai saputo della sua morte”
“Non mi sono mai rassegnato alla scomparsa di Loki, padre. E adesso gradirei una risposta alla mia domanda. Sono o non sono tuo figlio?”
“Modera i toni, figlio! Non ti permetterò di aggiungere un’altra parola…”
“…lascia stare, merita di sapere la verità. Abbiamo taciuto troppo a lungo anche a lui ed io sono così stanca di portare sulle spalle questo peso” Frigga fissò mesta quell’uomo che aveva visto crescere e maturare nella sua lunga vita.
“Tu sei figlio di Odino e di Jörð (**), dea della terra; io sono arrivata quando tua madre è venuta a mancare e ti ho cresciuto come figlio mio. Amo te e Loki come se foste i miei veri figli” la sua voce era rotta dalle lacrime. Thor non parlò, si limitava a guardare prima l’uno, poi l’altra con le mani strette in pugni. Odino si accasciò di nuovo sul trono, posando un braccio attorno alle spalle di sua moglie.
“Avevamo ritenuto opportuno tacerti questo, volevamo solo proteggere te e tuo fratello. Che importanza avrebbe potuto avere? Siete miei figli, vi amo come tali, al di là del sangue”
Usato. Tradito. Ferito.
Ora Thor sapeva come si doveva essere sentito suo fratello alla scoperta della verità.
“Non avevate diritto di tacere una cosa simile, né con me, né con Loki. Vi sembra giusto tenerci all’oscuro come se fossimo pronti a spezzarci? Vi rendete conto che con le vostre bugie avete solo arrecato danno? Chi vi credete di essere per decidere cosa di può o non si può sapere? Io…ho bisogno di andare”
Frigga piangeva lacrime silenziose e a quelle parole il suo petto venne scosso da un singhiozzo.
“Thor, ti prego…”
“No…” stava per dire madre, ma la parola gli morì in gola. “Ho bisogno di tempo per riflettere”
Ma l’orgoglioso Odino non era disposto a lasciarlo fuggire così.
“Se te ne vai, dovrai rinunciare al trono” affermò lapidario. Thor si trovò suo malgrado a sorridere. Non poteva veramente biasimare suo fratello, anzi, ne aveva compreso il punto di vista.
“Non so che farmene della vita in un mondo costruito su promesse di bugiardi”
E se ne andò.
 

 
***

Fulmini, una scarica continua, posso avvertirne la tensione ed il nervosismo.
“Questi improvvisi cambi di tempo non preannunciano niente di buono. Sono del tutto innaturali” Joe posa il bicchiere di vetro sul bancone. Sapevo che Thor sarebbe tornato presto e, visto che devo battere il ferro quando è caldo, sono rimasto nei paraggi del parco.
“Sarà un’altra delle conseguenze dell’effetto serra”
“Wow Marv, da quando sei così scientifico? Quando non sei qua da noi ti piazzi davanti alla tv guardandoti i documentari di Discovery Channel?”
“Sei davvero spiritoso, Joe. Tu invece guardi i varietà, suppongo”
“Smettetela” interviene Katherine ammonendoli. “Saranno anche anziani, ma hanno sempre forza di punzecchiarsi a vicenda” mi dice mentre mi rinfilo il cappotto,lasciando sul tavolo il denaro per la consumazione. La donna mi guarda inarcando un sopracciglio.
“Non vuoi proprio capirlo che per noi ormai sei di casa, vero? Ci fa sempre piacere quando tu e Gil venite a trovarci, quindi, per l’ennesima volta, rimettiti quei soldi in tasca e fila via. Non sarà certo questo a mandarci in rovina” mi batte la mano, leggermente curva per aver sempre lavorato, sulla spalla.
“Grazie, a presto”
“Ciao Logan! Se vedi Gil prima di noi, salutacela” annuisco facendo tintinnare la campanella dietro di me.
 
Thor è dove l’ho lasciato un’ora fa, davanti all’entrata del parco. Mi avvicino a lui che se ne sta poggiato ad una colonna con lo sguardo perso all’orizzonte. Parla senza voltarsi.
“Avevi ragione”
“Lo so” gli rispondo.
“Ho lasciato Asgard” si gira nella mia direzione “Ho rinunciato al trono”
Questa frase mi sorprende: non credevo che vi rinunciasse così facilmente ma, conoscendo Odino, gli avrà sicuramente dato un ultimatum.
“E adesso cosa farai?”
Lui si stringe nelle spalle “Non lo so. Adesso sono libero di fare tutto” annuisco. “E questa libertà non ha un sapore buono come ho sempre immaginato” continua, e poi nessuno di noi due parla. So esattamente cosa sta provando, ci sono passato per primo.
“Sai dove andare?”
“Potrei chiedere a Jane di ospitarmi”
Lo so, non è di Jane che ha bisogno, ma di qualcuno con cui condividere il dolore ed è la mia occasione.
“Donald, andiamo a casa” stende le labbra in un sorriso di sollievo.
“Grazie, Logan”
Mentre gli mostro la strada per il mio appartamento, mi ritrovo a riflettere su ciò che sta accadendo. Ho di nuovo mio fratello con me, una parte della mia famiglia, una parte della vita che mi sono voluto lasciare alle spalle. Accomunati dallo stesso risentimento verso Asgard, dal tradimento, proviamo a colmare un vuoto lasciato nei nostri animi. Siamo alla ricerca della verità, di qualcosa di vero e incrollabile. Io ho ancora il mio scopo e non saranno certo gli incubi a farmi rinunciare, non adesso che sono così vicino dalla meta. Anche se a volte questa mia determinazione sembra quasi vacillare e venire meno. Solo adesso, osservando lo stesso dolore sul dio del tuono comprendo che per quanto possiamo odiarci, alla fine siamo alla ricerca della stessa cosa: un luogo a cui appartenere.
 

Note
(*) Donald "Don" Blake è uno degli alter ego di Thor. Ho omesso il cognome perché si suppone che lui e Loki siano fratelli, non c’era bisogno quindi che lo dicesse. La scelta del nome non è dunque casuale.
(**) Secondo la mitologia e anche la serie Marvel, Thor è figlio di Odino, re degli dèi, e di Jörð, dea della terra, non di Frigga. Essendo però lei la sposa di Odino, ho pensato che questa cosa poteva tornarmi utile per far guadagnare a Loki la fiducia di suo fratello.
 
***
Buona domenica a tutti! Allora, oggi non c’è molto da dire, se non che avrei postato prima ma per via di problemi tecnici con questa insulsa macchina che è il mio pc, non ho potuto. Ringrazio come sempre tutti voi per avere il coraggio di continuare a leggere, in particolar modo cappellaio matto e darkronin per la consulenza tecnica per questo capitolo :D
Alla prossima settimana con un nuovo piano diabolico del nostro asgardiano preferito!

 

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Capitolo 24
*** Losing my religion ***


Every whisper
Of every waking hour I'm
Choosing my confessions
Trying to keep an eye on you
Like a hurt lost and blinded fool, fool
Oh no, I've said too much
I set it up
R.E.M. – Losing my religion
 

[Ogni sussurro/ Di ogni ora in cui sono sveglio/ Scegliendo le mie confessioni/ Tentando di mantenere un occhio su di te/ Come uno sciocco ferito, perduto e accecato/ Oh no, ho detto fin troppo/ L'ho voluto io ]

 
Marzo è passato portandosi via la sua instabilità climatica, identica al periodo di cambiamenti nella mia vita, lasciando spazio ad un aprile tiepido ma ancora incerto. Non ci sono stati eventi degni di nota, a parte la nuova convivenza  con mio fratello, ambientarsi, ricominciare, scendere a compromessi. Avere in casa Thor è come vivere con un bulldozer: ingombrante, rumoroso, fastidioso. Purtroppo lo spazio qui non è certo paragonabile a quello del palazzo reale di Asgard, quindi l’ho sistemato alla bene e meglio sul divano. Era uno spettacolo a dir poco pietoso così, dopo varie lagnanze, abbiamo optato per una branda che comunque sembra essere ugualmente troppo piccola. Gil sta provando a convincermi a cambiare appartamento, dice che ora che la famiglia si è allargata c’è bisogno di più spazio. L’ingenua non ha ancora compreso quanto sia breve questo periodo di permanenza e tranquillità. Eppure a volte mi ritrovo a pensare, ascoltando le risate sue e di Thor, analizzando quella complicità che sembriamo aver creato, che questi momenti mi trasmettono una sicurezza che avevo messo da parte da troppo tempo, inseguendo affannosamente quel traguardo di vendetta. Dopo essermi perso in queste stupide considerazioni mi do mentalmente dell’idiota e persevero nel mio piano.
Perché quella è la vera certezza, tutto il resto è solo mera illusione pronta a disgregarsi in un baleno.
 
Quella mattina trovo, cosa del tutto insolita, Thor, sveglio di buon ora intento a trangugiare biscotti. Dovrò mettergli un freno o mi dilapiderà in cibo tutto il denaro che ero riuscito a fabbricare con la magia in poco tempo. Sta per darmi il buongiorno, quando lo fermo con un gesto della mano.
“No, non salutarmi, non ho certo bisogno di vedere lo spettacolo raccapricciante del cibo roteante in quella spelonca che hai come bocca”
Deglutisce e beve un generoso sorso di latte.
“Sei sempre così socievole al mattino o accade solo quando hai avuto una nottataccia?”
Aggrotto le sopracciglia: in effetti è da un po’ che i miei sogni sono turbati da incubi, ma credo sia una cosa passeggera dovuta solo al cambiamento e allo stress.
“Di nuovo incubi, vero?”
“Capitano, non è un problema”
Thor assume un’espressione preoccupata “Dovresti parlarne con Gil, lei saprebbe certo darti un buon consiglio”
“Credo sia meglio non metterla al corrente anche di questo, non è certo un problema così grande” rispondo con noncuranza.
“Loki, ti farebbe bene parlarne…è un medico”
“Vedo con piacere che ormai siete diventati amici del cuore e dimmi, Thor, sono il vostro assiduo argomento di conversazione?”
“Non vedo cosa ci sarebbe di male nel farti dare una mano per l’insonnia. Comunque no, non sei il nostro argomento di conversazione e non capisco perché sei così suscettibile” risponde leggermente risentito. “Ti crea fastidio quando io e Gil chiacchieriamo?”
Quella domanda mi irrita ancora di più della precedente insinuazione sui miei apparenti problemi legati al sonno.
“No, non mi infastidisce minimamente, potete parlare quando volete, di quello che volete”
Termino la frase e sento il trillo del campanello. Apro la porta e mi ritrovo davanti a Gil che regge un pacco proveniente dalla tavola calda dei suoi zii.
“Buongiorno, ragazzi” esordisce entrando, ma poi sbuffa teatralmente “Don, santo cielo sei ancora in pigiama? E hai anche fatto colazione senza aspettarmi!”
“Non preoccuparti per quello, mangerebbe ininterrottamente se potesse” rispondo pungente.
“Scusa Gil, vado a vestirmi e possiamo andare” detto questo si avvicina alla busta, trovando ciò che desiderava “La crostata di mirtilli di tua zia è la migliore dell’universo…tu sei la migliore dell’universo!” afferma estasiato.
“Sì, sì, poche moine e sbrigati, siamo in ritardo!”
“Dove dovete andare?”
Gil si volta verso di me posando il muffin che aveva preso “Liberty Island, te ne sei dimenticato?”
A pensarci bene ha ragione, qualche giorno prima avevo sentito lei e Thor confabulare di una qualche gita, ma quando mi avevano chiesto se avevo voglia di partecipare, avevo frettolosamente risposto di no. E comincio a pentirmi di averlo fatto, non sono ben disposto a saperli insieme.
Da soli.
Non che tema che mio fratello possa importunarla, ma potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa e non voglio che si parli di me se non sono presente. Almeno quando sono qui posso controllarli, ma da soli…
“Terra chiama Logan, passo!”  mi desta dai miei pensieri.
“No, non l’ho dimenticato” rispondo, ma lei ormai ha assunto la solita espressione indagatrice.
“Avanti, dimmelo” dice.
“Cosa dovrei dirti?”
“Cosa c’è che non va. Hai le occhiaie, il viso stanco. Riesci a dormire? Forse dovresti passare in ospedale per farti dare una controllata”
Il mio unico pensiero è scagliare una maledizione contro Thor. Ovviamente gliene avrà parlato e lei ha colto la palla al balzo facendomi questa proposta.
“Mi sento benissimo, grazie” tiro le labbra in un sorriso che dovrebbe simulare un ringraziamento per l’interesse.
“Non è vero. Vorrei davvero sapere quando la smetterai di essere così bugiardo”
“Che motivo avrei di mentirti?” le chiedo assumendo quella che dovrebbe essere una posa divertita. La realtà è che ho molti motivi per mentire. Lei mi fissa a lungo, sembra quasi delusa, poi parla.
“Non c’è niente di male nel chiedere aiuto, Logan”
“Non trovi che siano discorsi troppo seri da fare di prima mattina?” questa domanda provoca un profondo sospiro.
“Puoi fare tutta l’ironia che vuoi. Sinceramente, io non so più come comportarmi con te”
 
La fortuna almeno sembra essere dalla mia parte, perché dopo quella frase compare Thor, vestito. Sembra accorgersi della tensione creatasi e, quindi, per spezzarla, si affretta a portar via Gil. La sua espressione quando mi saluta è quella di una persona che non vede l’ora di uscire da una situazione di disagio, non rinnova nemmeno l’invito di unirmi a loro per la gita. Mio fratello dice che resteranno fuori tutta la giornata e poi vanno via.
Resto solo sentendo lo sguardo triste della dottoressa aleggiare nell’aria. Sinceramente non capisco cosa voglia da me. Quella sua reazione  mi è sembrata totalmente inappropriata solo per averle detto che non intendevo lasciarmi esaminare al microscopio. Tuttavia, c’è da dire che nel nostro rapporto di…compromessi, io non sto facendo la mia parte. Diciamo di essere amici, ma non mi dimostro tale, fino ad ora è stata lei a cercare la mia compagnia, a darmi consigli, è riuscita a farmi parlare, seppur con reticenza, di argomenti che prima avrei sicuramente evitato.
Ed il fatto che ora sia arrivato anche Thor mi ha rinchiuso di nuovo in me stesso. Vedere come conversano con facilità, come si scambiano battute, come abbiano trovato un equilibrio pur conoscendosi da poco mi ha spalancato gli occhi sul fatto che non potrò mai essere come lui nell’intrattenere rapporti. Ecco, è accaduto di nuovo: mio fratello mi sta portando via l’unica amica che ero riuscito a crearmi.
No, la verità è che da quando lui è tornato sono stato io ad erigere di nuovo un muro di freddezza; la colpa dell’allontanamento di Gil, quindi, non è da scaricare su mio fratello, ma solo su di me. E questa consapevolezza riesce a crearmi un nodo allo stomaco proprio nel momento meno opportuno, ossia quando sto per far crollare anche l’ultimo dei miei nemici. Non ho tempo per focalizzarmi su questo, sono senza magia e dovrò ricorrere all’aiuto di Thor per mettere fuorigioco anche l’ultimo degli Avengers. Gil è un problema che per ora non ha soluzione se non quella drastica alla quale è predestinata.

 


***
 


Gil e Thor avevano preso il traghetto per recarsi a Liberty Island, avevano visitato la Statua della Libertà ed erano sulla via del ritorno. Thor era affascinato da quel simbolo che rappresentava ancora dopo secoli l’ideale di libertà, benvenuto e speranza per coloro che cercavano una vita migliore. In particolare l’aveva colpito il sonetto inciso alla base del piedistallo:
 
« Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata. »(*)
 
Soddisfatto della bella gita e della compagnia vivace e attenta di Gillian, si accorse solo dopo di quanto la sua amica fosse pensierosa. Se ne stava seduta a sbocconcellare il suo hot dog guardando i traghetti solcare la baia di New York.
“Gil, va tutto bene?”
Lei si voltò di scatto “Sì, scusami, ero sovrappensiero”
“C’entra per caso mio fratello?” la vide distogliere lo sguardo imbarazzata. “Vi ho sentiti discutere stamattina”
“Beh discutere è una parola grossa, solitamente ci punzecchiamo a vicenda ma…insomma ormai, ci conosciamo da mesi…ti ha per caso detto se ho fatto qualcosa di sbagliato che l’abbia potuto innervosire?”
Thor scosse il capo “No, non ha accennato a nulla in particolare”
“Allora non capisco. Non capisco proprio perché si comporti in maniera così fredda e distaccata con me”
Era davvero afflitta tanto che si sentì lui in colpa per il comportamento di Loki. “Vedi Gil, mio fratello non è la persona più facile con la quale trattare, è chiuso ed introverso…pensa che per avere una conversazione decente ci abbiamo impiegato secoli!” tentò di sdrammatizzare. “So quello che hai fatto per lui e te ne sono grato. So che anche lui lo è, ma fa fatica ad esprimerlo”
“Ti ha raccontato cosa gli è successo? Io…credo di non aver mai avuto così tanta paura in vita mia”
Thor a quelle parole assunse un’espressione seria.
“Gil, perché hai voluto aiutare Logan? Non lo conoscevi, per te era un perfetto estraneo”
Lei si portò la mano al mento, riflettendo.
“Non ho una risposta precisa per questo. So solo che da quando l’ho visto per la prima volta nel locale dei miei zii ho sentito che irrimediabilmente avrei dovuto conoscerlo. Aveva l’espressione di chi era stato in un mare di guai, il viso di qualcuno che aveva bisogno di aiuto. E non so, ho sentito che se fossi rimasta accanto a lui avrei scoperto qualcosa di importante. Sembra davvero il delirio di una povera sciocca… purtroppo però da quando ci conosciamo mi mente puntualmente”
Thor inarcò un sopracciglio.
“Cosa intendi?”
Lei rise nervosamente “Andiamo, credete davvero che io sia così stupida? Il suo lavoro, le sue origini, le sue capacità di guarigione…ho capito tutto. So che è venuto qui a New York per sistemare qualcosa e all’inizio credevo che fosse solo il problema che aveva con te, ma adesso…non è cambiato di una virgola, anzi, è peggiorato”
Il dio del tuono si sentì pervaso dall’ansia a quelle parole. Possibile che Gillian avesse intuito la loro vera natura?
“Oh non guardarmi così Don, non lo dirò a nessuno. Né cos’è tuo fratello, né cosa sei tu”
Lui la fissò stupito, senza sapere come ribattere e sentendosi sollevato. Anche se questa rivelazione faceva nascere un nuovo interrogativo: come faceva a saperlo? Era anche convinto che Jane non avesse parlato di lui e della sua vera origine.
“Come fai a dire che…”
Si strinse nelle spalle, sorridendo “Lo so, è il mio…sesto senso”
“Sei una…mutante?”
La ragazza scoppiò a ridere “Non che io sappia, ma ho avuto sempre questa particolarità, chiamiamola così. Mi accorgo se in ospedale arriva qualcuno dotato di qualche specialità, credo sia fondamentalmente dovuto all’istinto, sai, come gli animali che fiutano la paura. E poi, dopo l’attacco di quei bestioni ho avuto conferma di una cosa che già sospettavo da tempo, ossia che non siamo soli nell’universo. Ci siete tu, Logan, o altri come voi”
“Perché non hai detto nulla a mio fratello?”
“Perché sto aspettando che si fidi abbastanza di me per rivelarmelo lui stesso. Avevo paura che se avessi confessato di essere a conoscenza della sua natura, allora non avrei fatto altro che allontanarlo ed era l’ultima cosa che avevo in mente di fare”
“Quindi lo stai mettendo alla prova”
“Diciamo di sì, voglio vedere fin dove si spingerà a mentirmi. Per quanto riguarda te, mi fido del giudizio di Jane abbastanza da sapere che siete brave persone e che almeno parte di ciò che mi ha raccontato è vero. Quella riguardante vostro padre ed il vostro rapporto conflittuale, intendo”
Un’ombra calò sugli occhi del dio “Sì, quella è la verità”
“Bene, almeno questo. Per il resto dovrò attendere”
“Perché non chiedi a me?”
“Perché non sarebbe la stessa cosa. Voglio sentire quelle parole uscire dalle sue labbra. Io…gli voglio bene e voglio che si fidi di me”
“È solo questo?”
La vide annuire e decise di non approfondire oltre la questione con lei. Nonostante professasse di essere cambiato, Loki non si era accorto che, con il suo comportamento, stava ferendo l’unica persona che gli era stata vicino. Quella ragazza non meritava questo trattamento. Non dopo tutto quello che aveva fatto e continuava a fare per lui. Non l’aveva giudicato, lo aveva accettato per quello che era ed ora aspettava soltanto che fosse lui a contraccambiare. Gli avrebbe parlato, gli avrebbe aperto gli occhi su quella creatura che gli stava davanti fissando l’orizzonte, tanto determinata e tanto fragile al contempo.
Jane aveva ragione, Gillian era davvero una persona speciale.

 

 ***
 


Mi ci è voluto tutto il pomeriggio per sistemare le ultime cose insieme con Gylfi, data ormai la mancanza della mia magia. Adesso la parte finale è convincere Thor a collaborare, ma sono certo di avere ottime possibilità.
Sento la chiave rigirare nella toppa e mio fratello varcare la soglia. Ha un’espressione decisamente troppo seria dipinta in volto. Non mi da’ nemmeno modo di chiedergli se si è divertito in gita, che esordisce con un perentorio “Dobbiamo parlare”
“Sì, ho anche io qualcosa da dirti”
“No Loki, qui non si tratta di qualche sciocchezza, è una cosa estremamente seria”
“Lo è anche la mia, dato che riguarda il progetto Avengers” puntualizzo.
Inarca un sopracciglio, qualsiasi fosse l’argomento di massima rilevanza, è passato in secondo piano. Si siede sul divano congiungendo le mani.
“Spiegati”
“Ho scoperto, durante le mie indagini sullo S.H.I.E.L.D., che il nostro amico Steven Rogers è stato abilmente raggirato ed usato”
“E come avresti fatto a scoprire una cosa del genere?” chiede con sospetto.
“Barton aveva accesso ad alcune informazioni riservate, ne sono venuto a conoscenza quando lo tenevo sotto controllo all’epoca dei Chitauri” ammetto candidamente.
Lo vedo irrigidirsi per poi continuare “Sei sicuro della veridicità di queste informazioni? Che cosa ne ricavi da tutto questo?”
Sbuffo seccato “Deve sempre esserci un secondo fine? Hai mai pensato che possa agire disinteressatamente?”
Thor scuote il capo, sorridendo debolmente “Non sarebbe da te. Queste tue informazioni devono avere un qualche prezzo”
“Non mi sembra che dopo averti rivelato la verità sulla nostra famiglia io abbia preteso qualcosa da te. Hai un’opinione così bassa di me, fratello?” domando mettendo particolare enfasi sulla parola fratello.
“No, è solo che non so mai fin dove arrivare a fidarmi con questo nuovo te”
“Puoi fidarti totalmente e completamente” affermo deciso.
Sospira quasi rassegnato “Cosa dobbiamo fare?”
Eccellente, sapevo che sarei riuscito a convincerlo giocando bene le mie carte.
“Dovresti solo parlargli di Sharon Carter”(**)
“Chi sarebbe questa donna?”
“Una persona alla quale il Capitano tiene particolarmente e che lo S.H.I.E.L.D. ha dichiarato deceduta in missione solo per fargli accettare il suo ruolo negli Avengers”
“Capisco. E tu vuoi che lui venga a conoscenza della verità, ma sai che non puoi parlargli direttamente perché altrimenti lui non ti crederebbe”
“Vedo che hai perfettamente intuito il problema. Darebbe di certo più credito alle tue parole che alle mie dati i miei trascorsi. E poi tu sai anche dove trovarlo, giusto?”
Annuisce e continua “Gli parlerò, dimmi nei dettagli cos’hai scoperto”

 

 ***
 

Dopo aver istruito mio fratello sui dettagli riguardanti la faccenda che ho scoperto, decidiamo che il giorno seguente avrebbe incontrato Rogers. Io l’avrei seguito per assicurarmi il buon esito della missione.
Thor è riuscito a contattarlo, stabilendo come punto di incontro la cattedrale di San Patrizio, sulla 5th Avenue.
Quando arriviamo dinanzi alla cattedrale c’è un nutrito gruppo di turisti che scatta foto e si appresta a visitare l’interno. L’edificio, rivestito di marmo bianco, riflette la luce proveniente dai vetri dei grattacieli vicini, creando uno spettacolo suggestivo.
Quando entriamo Thor scorge da lontano la sagoma di Rogers seduto su una delle panche di legno disposte per i fedeli nella navata centrale e si appresta ad andargli incontro. Io resto ancora un po’ ad osservare il luogo dove mi trovo: l’alto soffitto di volte a crociera, le vetrate policrome che disegnano giochi di luce sul pavimento, il profumo di incenso, i pilastri polistili che reggono le arcate ogivali che separano le navate, l’altare maggiore rivestito di marmo bianco, le quattro statue di angeli che lo adornano. Non fatico a credere che le persone ammirino rapite questo luogo. Mi siedo a qualche scanno di distanza da mio fratello, nella fila opposta, pronto ad osservare e carpire dettagli della conversazione.

 

 ***
 

“È bello qui” esordisce Rogers “Le chiese mi sono sempre piaciute, sono il luogo ideale dove trovare conforto”
“Sì, è davvero bello” continua Thor.
“Allora, hai detto che dovevi parlarmi di una cosa urgente. Di che si tratta? Di Banner, di Stark?”
“No, nessuno di loro. Si tratta di te”
“Di me?” chiede sorpreso “Pensavo avessi qualcosa in mano per far scagionare quella testa calda di Tony, sai benissimo quanto me che deve esserci stato un equivoco, non farebbe mai quello che dicono abbia fatto”
Thor annuisce, concordando con il Capitano. In fondo, nemmeno lui crede che l’uomo di metallo sia colpevole.
“Ho scoperto che Sharon Carter è viva” gli dice a bruciapelo.
Rogers dilata gli occhi per lo stupore “Cosa?!” esclama ad alta voce facendo voltare alcuni passanti che lo guardano torvi.
“Calmati, l’ho scoperto durante la mia permanenza qui. L’agente 13 che tu hai visto bruciare in missione è ancora viva. In realtà è stata tutta una simulazione dello S.H.I.E.L.D. per convincerti ad assumere il ruolo di capo degli Avengers”
“Ma non è possibile, perché non è venuta a cercarmi?” chiede sconvolto.
“Perché non poteva. Ha dovuto firmare un accordo di segretezza per non essere processata per le sue azioni in territorio nemico”
L’espressione sul viso del capitano è indecifrabile, vi si rincorrono varie emozioni: sollievo di saperla viva, rabbia e frustrazione per il fatto che questo particolare gli fosse stato taciuto. Sgomento nel sentire cosa lei avesse dovuto fare per sopravvivere. E lui non c’era, non era lì con lei, troppo impegnato ad autocommiserarsi e a cercare di adattarsi ai tempi moderni. L’uomo che aveva perso anni della sua vita venendo catapultato avanti nel tempo, perdendo la prima donna che aveva amato ed in seguito anche sua nipote. Ma lei era viva e lui si disprezzava per non averla cercata, aveva dato per buone le parole di Fury.
“Come posso sapere che stai dicendo la verità? Sei solo una creatura proveniente da un altro mondo”
“Non sto mentendo, non ne avrei motivo. Ma chiedi a Fury, lui ti darà la conferma che stai cercando. Meritavi di sapere, nessuno dovrebbe vivere condannando se stesso per qualcosa di cui non ha colpa”
Lo vedo annuire e poi Thor gli batte piano la mano sulla spalla “Se hai bisogno…”
“Sì grazie. Ora vorrei stare un po’ da solo”
Thor si alza e mi fa un cenno. Ci avviamo verso l’uscita della chiesa, gettando un’ultima occhiata al capitano. Ha le mani giunte ed il capo posato su di esse: sta pregando.
“Allora, come è andata?”
“Non l’ha presa bene, se è questo che intendi” replica Thor.
“Non fatico ad immaginarlo, però pensa che ora potrà tornare da una persona che ama” cerco di calmarlo dopo quella risposta secca e superba.
“Sì, direi che è un buon compromesso” e con le mani in tasca ci avviamo verso casa.

 

 
***

 

Thor è andato da Jane, lasciandomi solo. La testimonianza del successo del mio piano è stata la visita di Gylfi con un occhio tumefatto da un pugno del Capitano. Lui doveva confermare questa versione dei fatti. Tecnicamente non ho mentito riguardo Sharon Carter, lei è davvero viva e vegeta, ma durante la missione un forte colpo l’aveva privata della memoria. Per il capitano quindi si prospetta un lungo periodo di vacanza, non credo che intenderà riprendere presto le sue vesti, dato anche questo tradimento dello S.H.I.E.L.D. Gylfi mi riferisce che gli ha detto le parole precise che avevo usato, ossia che l’avevano tenuto all’oscuro poiché era meglio che impegnasse le sue energie nella salvaguardia del pianeta, piuttosto che aiutare una povera smemorata. La sua reazione è stata quindi un’esplosione violenta di rabbia e la partenza per il luogo dove si trova la donna.
Tutto è stato orchestrato a dovere, anche l’ultimo dei miei nemici eliminato. Amora aveva ragione riguardo il fatto di premere il tasto amore, non c’è davvero modo più convincente che ti faccia perdere il controllo. Quindi adesso è finita, non mi è rimasto più nessuno da intrappolare, a parte mio fratello a missione conclusa.
Perché allora non riesco a sentirmi trionfante, entusiasta del mio operato? Avverto solo uno strano senso di vuoto, come se ad un tratto la vita avesse perso sapore e colore. Una desolazione che non avevo mai pensato fosse possibile. Immerso in queste considerazioni non sento l’arrivo di Thor alle spalle.
“Loki” mi chiama.
“Sei tornato presto, pensavo di rivederti domani”
“No, ero stanco e poi avevo anche intenzione di parlarti”
“Sì, non l’ho dimenticato” stancamente mi siedo sul divano reclinando il capo all’indietro. “Di che si tratta?”
“Si tratta della ragazza,” risollevo la testa di scatto.
“Di Gil? Le è successo qualcosa?”
Lui sorride di fronte a questa plateale manifestazione di preoccupazione, facendomi pentire del mio gesto impulsivo.
“Si tratta di lei ma non temere, non le è accaduto niente. Devi dirle la verità Loki, non merita di essere ingannata da te, non dopo tutto quello che ha fatto”
Il fatto che mi stia parlando a questo modo mi provoca disagio.
“Ti ha detto qualcosa? Si è lamentata? Ora che sei diventato suo amico credo sia naturale che tu voglia confessarle cosa siamo, da dove veniamo…certo Thor, devo proprio dirle che il disastro di New York è stata colpa mia. Credi che mi guarderà mai con gli stessi occhi?” sbotto brusco.
“Quindi tu non le hai detto niente per proteggerla? Questo è davvero ammirevole, quel tuo cuore di ghiaccio sembra davvero poter provare qualcosa. Lei sa, Loki. Ha già capito cosa siamo, sta solo aspettando te per una conferma. Non ha detto nulla perché pensava che ti avrebbe perso”
Quelle parole mi bloccano, non pensavo che avesse intuito quanto fossimo diversi. E non ha mai accennato al fatto di sapere, mi ha trattato alla stessa maniera di sempre.
“Vedo che hai capito. Allora Loki lascia che ti chieda un’altra cosa: che hai intenzione di fare con lei? La perderai se continui a perseverare su questa strada” questa affermazione arrogante merita solo un commento caustico.
“Cosa puoi saperne tu? L’avresti detto a Jane cos’eri se non ti avesse trovato delirante nel bel mezzo del deserto? Non farmi la predica Thor, ti saresti comportato esattamente come me adesso”
“Ti accorgerai troppo tardi di quanto ti sbagli quando lei non ti aspetterà più. Ora sono stanco, è stata una giornata pesante. Riflettici su”
E detto questo va’ via, lasciandomi solo con i miei pensieri.
Gillian sa cosa siamo, è un bel problema. Non ha detto niente, questo è un buon vantaggio, potrò sempre fingere che le cose vadano bene, che siano come prima. Eppure so che finirei col deluderla. No, mi sto preoccupando troppo di ciò che pensa, averla intorno mi ha messo in testa strane idee. Che senso ha che mi faccia tanti problemi se la fine di questa storia sarà una sola?
Mi metto a letto tirando la coperta leggera fin sotto al mento. A cosa servirebbe parlarne? A cementificare un legame che mi sembra abbastanza solido? Lei però si è confidata con Thor, mi ha escluso...stringo il lenzuolo con forza in un moto di stizza. Forse farei bene a parlarle, a farle capire che a modo suo mi è stata utile, la sua presenza in certe situazioni provvidenziale, la sua compagnia interessante. Dovrei dirle che a modo suo è stata…
“…Importante”conclude il cervello per me.
Mi ritrovo a sbuffare e a girarmi sul fianco nervoso, stabilendo che questo sia il pensiero più sciocco che abbia formulato finora. Una piccola umana, granello infinitesimale di polvere nell’immensità dell’universo, che con un suo sorriso e con i modi gentili è riuscita a farmi sentire a mio agio, a farmi pensare che diverso non sempre è identificato con cattivo, che mi ha accettato nonostante tutte le bugie. Thor probabilmente ha ragione, non merita davvero questo trattamento. Ma queste considerazioni non cambiano la realtà delle cose: sta tutto per volgere al termine, non dovrei nemmeno pensarci. Una banale chiacchierata e sarà tutto sistemato e potrò procedere con la parte conclusiva del mio piano.
Con questa consapevolezza sento il torpore invadermi e piano il buio mi avvolge facendomi scivolare in un sonno instabile ed agitato, popolato da figure nere con lunghe mani adunche artigliate e da urla agonizzanti di donna.
 
Note
(*) Il sonetto inciso sul piedistallo della Libertà che illumina il mondo è intitolato The New Colossus ed è stato scritto dalla poetessa statunitense Emma Lazarus.
(**) Sharon Carter è un personaggio Marvel, un'agente speciale dello S.H.I.E.L.D., nota anche come Agente 13. Fidanzata storica di Capitan America, nipote di Peggy Carter. Lei e Capitan America hanno vissuto e superato vari abbandoni e gravi vicissitudini, fino a quando non è stata creduta morta da quest'ultimo, quando la vide bruciare viva nel corso di una missione. In realtà si trattava di una simulazione messa in atto dallo S.H.I.E.L.D. affinché Sharon potesse partecipare ad una operazione segreta all'estero. Durante lo svolgimento di questa, Sharon perse i contatti con la base, fu scaricata in un territorio straniero ed ostile e dichiarata morta in azione.

 

 
***
Buona domenica, popolo di EFP! Allora, andiamo subito al dunque. Loki ha ormai eliminato tutti, abbindolando anche Thor per farlo collaborare, ma i ripensamenti cominciano a farsi sentire…Come sbroglierà la questione il dio degli inganni, tenendo anche presente come è cominciata questa storia? -4 e lo scoprirete! Inoltre ho pensato di lasciarvi due immagini della cattedrale di San Patrizio, per farvi un’idea di dove si svolga l’azione:
facciata della cattedrale di San Patrizio
interno della cattedrale di San Patrizio
Bella no? :D Adesso vi lascio, come sempre vi ringrazio tantissimo, specialmente la cara darkronin che mi ha dato una mano per la parte tecnica^^
Alla settimana prossima!

 

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Capitolo 25
*** Il nostro tempo sta finendo ***


And our time is running out
And our time is running out
You can’t push it underground
You can’t stop it screaming out
Muse – Time is running out
 
[E il nostro tempo sta finendo/ e il nostro tempo sta finendo/ non puoi spingerlo sottoterra/ non puoi fermarlo urlando]

 

 
Da quando sono su Midgard conduco una vita fin troppo ordinaria, escluso il tempo che mi è servito per l’eliminazione dei miei nemici. Questo non significa che la cosa mi dispiaccia, anzi, è come se avessi ripreso la routine che avevo su Asgard senza però la spiacevole compagnia di persone che mi volevano più morto che vivo. Perché non ero puro, non ero forte ma figlio di una razza inferiore e primitiva. Tutto ciò che avevo lo dovevo a Odino e alla sua misericordia, ed è andata a finire davvero bene. In quel regno tanto evoluto la popolazione dovrebbe indossare ampie cappe da monaco coperte da un’abbagliante doratura, ma foderate all’interno di pesantissimo piombo. Un contrappasso adatto per degli ipocriti come loro: apparentemente giusti e retti all’esterno, marci e malvagi all’interno.
Per quanto riguarda il tasto Gillian, ho avuto poche occasioni di incontrarla il mese scorso e quelle rare volte il suo atteggiamento si è mostrato molto diverso: niente più sorrisi aperti, scherzi e ricatti, solo frasi di circostanza e mosse studiate. Sembra che riesca ad essere se stessa solo parlando con Thor e con Jane.
Jane…sì, lei mi odia, non riesce a fidarsi di me. La prima volta che mi ha visto ha malcelato il disprezzo nei miei confronti, stringendosi al fianco di Thor.
Ricordo poi quello stralcio di conversazione colto a loro insaputa.
“Come fai a fidarti di lui? Ha cercato di ucciderti!” aveva esclamato puntellandosi i fianchi con le mani.
“Lui è diverso, non intende nuocere a nessuno. Non ha fatto niente di male” mi aveva difeso Thor.
“Credi sia così semplice? Come puoi saperlo? E poi questa storia di Gil…lei non sa quale pericolo corre, potrebbe farle del male, potrebbe…”
“Jane, calmati. Io ho fiducia in Loki, so che non farebbe del male a Gillian. Diventa intrattabile se parlo di lei, ma credo davvero che gli piaccia”
“Perfetto, la mia amica attira degli psicopatici!” aveva esclamato sbuffando. Stavo quasi per dirgliene quattro, quando Thor l’aveva stretta a sé acquietandola.
“Andrà tutto bene, Loki non è uno sprovveduto, le dirà la verità e lei capirà”
“Ha avuto così tante fregature nella vita e non voglio che tuo fratello la faccia soffrire, la tiri in ballo per qualsiasi piano contorto che abbia studiato per vendicarsi di te. Quelli come lui non cambiano”
Non c’è che dire, la perspicace Jane aveva perfettamente indovinato, eppure da quella conversazione avevo appreso che estirpare un pregiudizio, una prima impressione sbagliata dalla mente di qualcuno era una delle cose più complicate esistenti. È molto più semplice ricominciare una vita in un luogo sconosciuto, dove nessuno sa niente di te; io ho trovato New York come nuova patria, lontano da quella gabbia dorata che per secoli mi ha portato a covare un odio senza il quale, probabilmente, non sarei sopravvissuto.
Ma cosa diranno le persone che ho conosciuto qui una volta che avrò rivelato la mia vera natura? Quando scopriranno che quella del ‘bravo ragazzo’ non è altro che una finzione? Deluderò qualsiasi fossero le loro aspettative su di me. Gillian si renderà conto di aver conosciuto un uomo che ha costruito una finta personalità, relegando quella vera in un cantuccio nell’attesa del momento propizio per liberarla.
Eppure il valutare questa ipotesi mi infastidisce. Che mi stia inconsapevolmente trasformando in una nuova creatura abbandonando le spoglie del dio malevolo? Troppi mesi fingendo di essere chi non sono mi hanno portato fuori rotta. Ormai non sto ragionando più come Loki, il dio degli inganni, ma come Logan, l’umano, l’impiegato contabile che non esiste. Devo riacquistare padronanza di me e mettere a tacere la voce interiore che sta facendo di tutto per convincermi alla resa.
“Hai trovato un luogo sicuro, non corri più pericoli perché ti sei liberato dei tuoi nemici. Anche se la magia ti ha lasciato, ritieni sia davvero così devastante vivere da mortale? Se prosegui per questo cammino non avrai altro che guai” continua a sussurrarmi alimentando i miei dubbi.
 
La finestra è aperta, lascia passare un leggero venticello che reca con sé i profumi di giugno. Mi sento inquieto, ho la netta sensazione che stia per accadere qualcosa. Mi porto il braccio alla testa coprendo gli occhi, provando a scacciare quelle sensazioni di allarme e malessere che le mie elucubrazioni hanno instillato nel cervello. Un bussare forte alla porta della mia stanza contribuisce ad accentuare il mio malumore.
“Avanti” dico asciutto.
Sento Thor entrare, riconoscerei il suo passo sgraziato ovunque.
“Scusami se ti disturbo, ma mi ha chiamato Jane, lei e Gil sono uscite stasera e mi ha chiesto se potevo andarle a prendere perché ecco Gil…ha esagerato con gli alcolici”
“Un medico davvero esemplare. E Jane non poteva impedirglielo? È andata insieme a lei per poi lasciare che bevesse senza fare niente? È quasi mezzanotte tra l’altro, ed esistono i taxi” replico sdegnato stendendo il braccio che mi copriva gli occhi lungo il fianco.
“Bastava un semplice no come risposta, potevi risparmiarti questa scenetta” risponde risentito.
“Hai colto ugualmente il messaggio. Ha chiamato te, quindi vai. Buonanotte”
“Sei un testardo Loki, pensavo che mostrarti interessato avrebbe appianato le divergenze che hai con Gil”
“Gentile da parte tua preoccuparti della mia vita sociale, ma farai lo stesso bene senza di me”
“D’accordo, come preferisci. Ci vediamo al ritorno”
E detto questo va’ via lasciando la porta aperta. Mi giro sul fianco e disprezzo nuovamente me stesso per quello che faccio: voglio alzarmi per chiudere la porta e mi ritrovo invece ad inseguire Thor.
“Aspetta, vengo con te”
Il suo sorriso compiaciuto è qualcosa che fingo di non notare prima che il mio umore peggiori ancora di più.

 

 

***

 

Il taxi accosta davanti ad un locale del centro la cui insegna luminosa rischiara con la sua luce intermittente lo spazio antistante. Una lunga fila di persone staziona dinanzi all’ingresso attendendo il proprio turno. E proprio lì, accostate al muro ci sono Gil e Jane. Thor esce dall’auto con la scritta ‘preoccupazione’ stampata sulla fronte.
“State bene?” dice andando incontro a Jane.
“Io sì, è lei che ha esagerato un po’…” risponde scoccandomi poi un’occhiata truce.
“Piantala Jane, non vedi che sto benissimo?” replica Gil spostando il peso da un piede all’altro. I nostri sguardi si incrociano per un attimo, ma è lei a rompere il contatto voltando la testa in un’altra direzione.
“Va bene, allora facciamo così: Logan, prendi il primo taxi e riporta Gil a casa, io accompagnerò Jane”
“Non ho bisogno della babysitter, Don. Me la cavo benissimo da sola” dice acida.
“Se può consolarti avevo altri piani anche io per stasera e accompagnare te a casa non rientrava tra quelli. Ma ti reggi a malapena in piedi e non vorrei che qualcuno ti importunasse, dato quel vestito così sottile che hai deciso di indossare”
Lei sbuffa alle mie parole sarcastiche, avviandosi verso la strada e fermando un taxi. Thor sembra soddisfatto.
“Prenditi cura di lei” mi raccomanda.
“Come se avessi altra scelta”
“Potevi sempre startene a casa” dice facendo spallucce.
Provo a consegnargli una risposta adeguata ma non ne trovo nessuna soddisfacente e non mi resta altro da fare che entrare nel taxi e riaccompagnare a casa la mia ‘amica’.

 

 
***

 

Il viaggio di ritorno è carico di tensione e silenzio. Nell’abitacolo del taxi si avverte solo la radio che ripropone un motivetto country in voga almeno vent’anni prima.
Quando arriviamo a destinazione, dopo aver pagato la corsa, la dottoressa con passo reso ancora più incerto dalle scarpe alte, si dirige verso la porta di casa cercando le chiavi nella borsa, ma quando le infila nella toppa, la porta non si apre.
“Maledizione” farfuglia insistendo.
Questa sua ostinazione nel non volermi parlare e ignorarmi come se non fossi lì è quasi divertente.
“Lascia fare a me”
“No, so aprire la porta di casa mia” si ritrae tirando a sé le chiavi.
“Ne convengo, ma credo che dovresti infilare la chiave giusta nella serratura, non quella che apre la cassetta della posta”
Diventa paonazza per l’imbarazzo, il che da alla scena un che di tragicomico. Si precipita all’interno, accende la luce e getta la borsa sul divano, togliendosi poi le scarpe e la giacca. Ad un tratto si ferma ricordandosi che ci sono anche io. Si volta puntellandosi i fianchi con le mani, regalandomi una panoramica completa del suo vestito.
“Se hai finito di radiografarmi puoi anche tornartene a casa. Sono sobria, sto bene e non c’è nessun mostro nascosto sotto al letto”
“A parte che non c’è niente qui che non abbiano già visto anche altri uomini stasera, devo dire che ritengo sia meglio aspettare che l’alcol in circolo venga dismesso, in modo tale da farti passare anche quest’irascibilità”
“Quindi intendi piantare radici qui e rimboccarmi le coperte? Ma quanto sei premuroso e gentile”
“Preferiresti fosse mio fratello a farlo? Ho notato la tua delusione quando ha proposto che ti accompagnassi a casa. Non sarai mica gelosa della tua amica?” una diretta accusa con parole aspre. Possiamo giocare in due a questo gioco di risposte taglienti. Lei stringe i pugni scoccandomi un’occhiata torva.
“Sembri tu quello ubriaco, non io. Tra me e tuo fratello non c’è assolutamente nulla, quindi puoi anche evitare di comportarti tu da geloso”
“Io non sono geloso” replico freddamente sentendo una rabbia sempre più crescente. Lei inarca un sopracciglio avviandosi poi verso il frigorifero e servendosi poi un bicchiere d’acqua. La sento borbottare qualcosa come ‘vergognosa bugia’ il che mi stizza ancora di più.
Ma nella sua insinuazione c’è un fondo di verità? D’un tratto mi balena davanti agli occhi l’immagine di lei e Thor che ridono e scherzano felici e mi rendo conto che basta solo questa fantasia per serrarmi lo stomaco. Scosta una sedia e si siede poggiando il viso sul dorso della mano. I suoi occhi nonostante siano ancora appannati da un velo di ebbrezza, risultano essere più vigili e non hanno perso la loro intensità indagatrice.
“Perché sei venuto con tuo fratello se la cosa ti seccava così tanto?”
“Perché sei uscita con Jane?” rispondo.
“Ah, ora chi è che risponde ad una domanda con un’altra? Beh, ricordi la promozione per la quale ho sgobbato come un mulo? Ebbene non l’ho ricevuta. Tutto questo perché non sono brava a fare la leccaculo o ad aprire le gambe al primo pezzo grosso di passaggio. Così ho deciso che per una sera volevo solo lasciarmi andare, bere e flirtare con gli uomini, finché quella guastafeste di Jane non ha rovinato la festa. Vedi? Sono anche riuscita a prendere parecchi numeri di telefono, magari quando sarai andato via potrei chiamare qualcuno di loro e riprendere da dove ho interrotto”
Il mio cervello registra quella confessione che mi lascia basito. Questa non è la Gillian che ho conosciuto, è la sua copia irresponsabile, sfrontata e inviperita, una sorta di clone malvagio. E la cosa non mi va per niente a genio.
“Va bene, allora scusami se ho rovinato i tuoi piani di divertimento sfrenato. Me ne vado” rispondo freddo avviandomi verso la porta, quando la sua voce mi blocca.
“Aspetta” dice con il tono gentile e tranquillo di sempre “Non hai risposto alla mia domanda” resto fermo continuando a darle le spalle “Perché sei venuto?”
Mi volto vedendo che si è alzata ed ha cominciato a tormentarsi nervosamente le dita.
“Perché volevo parlarti” ammetto, anche se è una cosa che ho pensato solo dopo.
“Di cosa?” chiede quasi in un sussurro.
Ecco, questo sarebbe il momento cruciale in cui depongo le armi e metto a nudo la mia anima. Allora perché dalle mie labbra non fuoriesce alcun suono?
“Per l’amor del cielo Logan, di qualcosa, qualsiasi cosa!” esclama con voce incrinata dal pianto.
“Scusami per quello che è successo. Tu vuoi da me una rivelazione, ma è una conversazione che non posso affrontare stanotte. Quindi puoi scegliere: aspettare e fidarti di me, o mandarmi via. Ma devi sapere che…mi dispiace”
Vedo due lacrime scenderle lungo le guance.
Se avessi detto la verità lei mi avrebbe abbandonato.
Se avesse sentito cosa sono non mi avrebbe più guardato con gli stessi occhi. Così le ho chiesto di scegliere di pazientare ancora per una verità che probabilmente non ascolterà mai o cacciarmi, mandarmi via per sempre. Mi accorgo solo adesso che questo non è altro che un ennesimo raggiro, avvenuto con naturalezza impressionante. Io so cosa sceglierà, la sua natura me lo suggerisce. Eppure il suo silenzio sembra aver eretto un muro invalicabile tra di noi, uno strano gelo mi pervade. Noi che nel profondo siamo simili nella nostra fragilità, ma così lontani come modo di reagire alle cose. Ed ora ci stiamo allontanando ancora di più.
Poi la vedo aprire la bocca per parlare.
“Resta, non andartene” è una debole vibrazione delle corde vocali, infatti si schiarisce la voce per continuare.
“Tu corri, Logan. Sei sempre davanti a me e ti diverti a lasciarmi indietro. E più corri, più io mi sforzo per raggiungerti. È dalla prima volta che ti ho visto che ho sentito quanto fossi diverso, che in te c’era qualcosa che sapevo di dover scoprire. Come se la mia sorte fosse inesorabilmente legata alla tua e stiamo aspettando solo un segno per poter procedere, per avere qualcosa che cambierà entrambi. Ed in questo tempo ho imparato a conoscerti, ad apprezzarti, a sentirti parte della mia vita, nonostante tu mi abbia mentito e continui a mentirmi. Ma io so che dietro quella maschera di alterigia, orgoglio e presunzione, si nasconde una persona che ha sofferto, che è stata ferita e che ha trovato il coraggio di ricominciare. Ti ho visto riappacificarti con tuo fratello, ti ho visto sorridere, ho visto la tua preoccupazione per me, anche se volevi nascondere i tuoi veri sentimenti dietro uno strato di cinismo. Ma non ti sei mai tirato indietro, anzi, sei sempre stato paziente quando ti ho chiesto un abbraccio, quando volevo un consiglio, quando non desideravo altro che la tua compagnia”
“Tu hai visto quello che volevi vedere. C’è ancora molto che non sai” in realtà sarebbe più corretto dire che ha visto quello che io ho voluto che vedesse, anche se a volte ho agito per istino o perché volevo davvero fare qualcosa.
“No, io ho visto benissimo. Nonostante tu affermi di essere diverso, le cose belle che hai fatto, queste qualità, dovevano essere già dentro di te. Aspettavano solo di poter emergere. Ed anche io aspetterò il giorno in cui vorrai rivelarmi quella parte di passato che stai ancora celando. Aspetterò che ti fiderai abbastanza di me, così come io mi fido di te. Non ti giudicherò, meriti ogni seconda occasione di questo mondo e so che quando sarai pronto parlerai con me”
“Non hai una visione amorevolmente sdolcinata dell’amicizia?” chiedo ironicamente ed i suo volto si apre in un sorriso.
“Beh, cosa c’è di male nell’amorevolmente sdolcinato?”
Un’ombra cala sui miei occhi, riportandomi alla mente parole che ho sentito
“L’amore è per i bambini” rispondo.
La sua espressione si addolcisce.
“È vero. Conosci un amore più sincero e forte di quello di un bambino verso sua madre?”
Ammetto che riesce sempre a spiazzarmi con queste considerazioni.
Siamo ancora in piedi nella luce soffusa della lampada del soggiorno. Lei abbassa lo sguardo per poi incontrare di nuovo il mio.
“Allora puoi dirmi come posso fare?” chiede ed io inarco un sopracciglio.
“A far cosa?”
“A raggiungerti”
L’aria diventa carica di elettricità, dentro di me si fa largo un’agitazione mista a trepidazione. Posso fare qualcosa sulla quale il mio pensiero ha indugiato, ma che ho sempre ricacciato e soppresso.
“Avvicinati”
Lei obbedisce, si avvicina a me non spezzando quel contatto di sguardi. Si ferma a pochi centimetri di distanza. Le prendo la mano fredda stringendola nella mia, mentre con quella libera le scosto un ricciolo dalla fronte, passando poi ad accarezzarle la guancia. Non fugge il mio tocco, negli occhi non vi è paura ma solo attesa. Potrebbe fermarmi in qualsiasi momento ma non lo farà, perché è qualcosa che scommetto ci siamo trovati entrambi a desiderare, anche se poi potremmo pentircene. Mi avvicino e la sento trattenere impercettibilmente il respiro, adesso o mai più.
Chiudo la distanza tra di noi posando le mie labbra sulle sue.
Mesi di conoscenza condensati in un attimo: i litigi, le battute, i sorrisi, sembra tutto misero in questo istante.
Il tempo è fermo, ci siamo solo noi, Gillian e Loki.
No.
Gillian e Logan.
Ma Loki e Logan sono la stessa persona, non è così? Sono le due facce della medaglia. No, Loki è il peccatore sporco, l’assassino, il traditore. Logan è il cinico, pungente, che ha imparato a provare empatia verso una creatura umana. Le labbra di Gil sono morbide e calde, stringe ancora la mia mano, mentre ha portato quella libera suo mio petto stringendo la maglia con le dita sottili.
Persi in questo bacio che ci vede entrambi partecipi posso solo considerare che non ho mai baciato nessun’altra donna allo stesso modo. Le altre mi volevano perché ero il figlio di Odino e quindi avrei potuto farle entrare a corte, alcune perché non potevano rifiutarsi per non offendere il figlio del re, altre perché riuscivo a trarle in inganno con le mie seduzioni; ma non è il caso di Gil. Il nostro bacio ha un sapore diverso. Non è un atto dettato da una momentanea passione, da un desiderio bruciante. Lei ha il sapore della salvezza; profuma di libertà. Sento uno strano calore invadermi ed è quasi destabilizzante, è come una scossa che fa crepitare l’aria. Quando ci separiamo posso guardare le sue gote rosse e le labbra ancora dischiuse, le nostre mani sono ancora unite ed è un contatto molto più intimo e sentito rispetto alle volte precedenti. Un contatto che significa che lei è lì, non ha paura di me, della mia posizione, di quello che sono. Quando riapre gli occhi, questi mostrano qualcosa che non riesco a decifrare. Ora è il momento delle scuse e delle recriminazioni, dire di come tutto questo sia stato solo un errore. Attribuirà all’alcol questo atto. Ma invece non dice nulla, abbozza solo un sorriso.
Non dovevo farlo, non dovevo lasciarmi andare con così tanta leggerezza, è stato uno stupido errore. O forse no. Questo potrebbe definitivamente sancire la sua appartenenza a me. Ora non si tirerà indietro di fronte ad una mia richiesta. Mi scosto da lei bruscamente e sento un vuoto formarsi attorno a me.
“Scusami, non dovevo” le dico.
“Oh sì, certo. Scusami tu, io…devo essere davvero su di giri per i drink…” balbetta quasi.
Non ci guardiamo nemmeno negli occhi.
“È meglio che vada”
“Va bene, ma non sparirai, vero?” chiede ansiosa.
Scuoto la testa in diniego.
“Allora buonanotte Gillian”
“Buonanotte Logan”
Per un attimo i nostri sguardi si incrociano e nel suo leggo tristezza ed una tacita domanda che mi accompagna per il viaggio a casa.
Quando rientro a casa Thor non c’è. Approfitto per gettarmi sotto la doccia lasciando che l’acqua lenisca il mio turbamento. Quando torno a letto spalanco la finestra aspettando che l’agitazione passi e continuando a riflettere su ciò che è accaduto. L’azione di uno sconsiderato. Mi costringo a chiudere gli occhi aspettando un sonno che già so, sarà tormentato da incubi.

 

 
***

 

“Devo ammettere che il bacio è stato un colpo da maestro, Loki”
Di nuovo quella voce melodiosa, di nuovo lei. Quando apro gli occhi mi fronteggia in quella dimensione alternativa, lo scettro stretto tra le sue mani emana bagliori azzurrini nello spazio circostante.
“Le cose vanno fatte seguendo un certo criterio, Amora”
“Certo, ma vedi…” si avvicina con passo lento e misurato “…io non sono incline a tollerare i tradimenti”
“Cosa ti fa credere che potrei tradirti?”
Lei aggrotta la fronte sussurrando la risposta “L’umana”
Comincio a ridere, cosa che la infastidisce.
“Non prenderti gioco di me, Loki”
“Non intendo farlo, ma se hai creduto questo allora ho ottenuto l’effetto desiderato. Non mi importa niente di quella mortale, è solo un tramite, nulla di più” rispondo pacatamente ed i suoi occhi scintillano di malvagità.
All’improvviso ci ritroviamo a casa di Gil.
Lei dorme profondamente, il viso rilassato in un’espressione di pace. Amora avvicina lo scettro al suo cuore, posandovi la punta.
“Quindi se dovessi ucciderla adesso non ti importerebbe” spinge la punta in profondità e Gil mugola di dolore nel sonno, senza svegliarsi. Cerco di dissimulare quella sensazione di pericolo che provo, assumendo una posa calma e disinteressata.
“Potresti farlo, ma rovineresti i miei piani. Non eri tu quella che faceva pressione per il legame?”
Lei solleva la punta dello scettro sorridendo soddisfatta.
“Volevo solo essere sicura che la bambolina non ti avesse fatto il lavaggio del cervello trasformandoti in un sentimentale come Odino e Thor”
“Non osare nemmeno paragonarmi a loro” rispondo minaccioso.
“Certo, come vuoi” dice facendo partire un fascio di energia dallo scettro verso Gil.
“Che stai facendo?” le afferro il polso di scatto interrompendo la magia.
“Oh, come siamo preoccupati…niente, le sto solo modificando qualche ricordo, evitandoti momenti imbarazzanti. Le ho praticamente cancellato dalla testolina il vostro romantico bacio da film”
“Tutta fatica sprecata la mia, quindi” sospiro stancamente.
“Solo un po’” ghigna “Adesso dobbiamo andare, non riesco a stare fuori a lungo, nonostante il potere dello scettro. Ero venuta di sfuggita per dirti che i tempi sono anticipati. Il giorno prescelto sarà il solstizio d’estate. Preparati, Loki”
Mi sveglio di scatto credendo in un primo momento di stare ancora sognando. Mi alzo, sono le quattro del mattino, ho dormito due ore e non credo che riuscirò ad assopirmi nuovamente. Vado in bagno per sciacquarmi il viso più volte. Sapevo che stava per accadere qualcosa, lo sentivo da giorni, eppure non riesco a capire come facessero i calcoli di Jane ad essere errati. Mi sembra che stia per succedere tutto in fretta e non ho molto tempo per prepararmi. Il problema centrale di questa situazione è che sono estremamente disorientato e più di tutto desidero un consiglio.
“Non c’è niente di male nel chiedere aiuto” mi aveva detto Gil.
“Io non riesco a chiedere aiuto perché non so come si fa” avrei voluto risponderle.
Ma vediamo se stavolta riesco ad essere più bravo.
È davvero una fortuna che Thor non ci sia, potrò evocare anche lei alla vecchia maniera, come semplice umano, sperando che risponda.
Tutto è predisposto a dovere, ho recitato la giusta formula, letto le giuste rune, non mi resta che attendere.
Una folata di vento spegne la candela accesa e fa ondeggiare le tende.
Skuld mi fissa con i suoi occhi cangianti, i capelli di seta in moto perpetuo, simboleggianti la mutabilità del futuro.
“Sapevo che mi avresti chiamata, Loki. TI dissi la prima volta che saresti stato posto dinanzi a due strade”
“Sì, lo ricordo bene. Sono successe tante cose da allora”
“Cose che non avevi programmato” sfoggia un sorriso carico di sottintesi che ignoro.
“Ho bisogno di un…consiglio” devo fare uno sforzo immane per pronunciare l’ultima parola.
“Lo so e stavolta voglio aiutarti. Hai due possibilità: o aiuti Amora e speri che lei non decida di ucciderti dopo perché non le sarai più utile, o la relegherai definitivamente nella sua dimensione con l’aiuto di Thor e degli Avengers. Ma sappi che seguendo questa strada sarai riportato ad Asgard e processato per i tuoi crimini. C’è la possibilità di una condanna alla pena capitale”
“Quindi in un caso o in un altro ho un’elevata probabilità di andare incontro a morte certa” è una dura rivelazione da accettare questa.
“Mi dispiace se non è quello che avresti voluto sentire. Devi però ricordare che il futuro è sempre incerto. Solo tu puoi decidere come lasciare questo mondo, se da rinnegato o da redento”
Piano comincia a dissolversi, il tempo è scaduto.
“È una tua scelta Loki, lo è sempre stata”
Scompare lasciandomi ancora tentennante e frastornato dalle sue parole. Il tempo è infine giunto, la scelta spetta a me.
E per una volta so cosa fare.

 

 
***

 

Sdraiato al lato finestrino di un aereo di linea, Clint Barton sgranocchiava un cracker che gli aveva servito l’hostess.
“Clint, stai facendo un concerto e ti prego, attento alle briciole!”
“Nat, sembri mia madre, rilassati! Devo richiamare quell’adorabile creatura e farmi portare del caffè” sollevò il busto, ma Natasha lo spinse di nuovo nel sediolino con una poco gentile gomitata nelle costole.
“Ahi! Si può sapere cosa c’è?”
“Niente eccitanti, sei ancora in convalescenza” gli disse decisa puntandogli contro il dito.
“Anche tu se è per questo…però vedi? Stiamo benissimo e possiamo finalmente tornare a casa e sistemare le cose”
Natasha sorrise.
“Sì Clint, stiamo tornando a casa”
 
***
Ed eccolo qui, il momento che parecchi (quasi tutti) stavano aspettando e che ovviamente complicherà le cose per il nostro amico Loki!
Cosa sceglierà di fare adesso? Quale sarà la domanda che lo perseguita durante il ritorno?
Penso che comunque ormai la personalità di Loki si sia rivelata, è un personaggio estremamente complesso e io provo a renderlo al meglio, magari oggi sono anche finita nell’ OOC ma credo che durante un periodo di permanenza così lungo sulla Terra, anche lui abbia sviluppato delle emozioni. E poi non è così insensibile povero caro XD
Spero oggi di esservi riuscita a dare una panoramica più completa dei sentimenti contrastanti che animano questo personaggio :D
E poi sorpresa, Clint e Nat sono vivi!
Alla prossima puntata e grazie a tutti per il sostegno!

 

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Capitolo 26
*** Il solstizio d'estate ***


There's a hole in your soul like an animal
With no conscience, repentance, oh no
Close your eyes, pay the price for your paradise
Devils feed on the seeds of the soul
Depeche Mode – A pain that I’m used to
 
[C'è un buco nella tua anima come un animale /senza coscienza, pentimento, oh no/ chiudi gli occhi, paga il prezzo per il tuo paradiso/ i diavoli si cibano dei semi dell'anima]

 
L’aereo atterrò dolcemente sulla pista illuminata del JFK. Clint e Natasha si sorrisero complici: erano a casa. Recuperarono il loro bagaglio leggero e si affrettarono a rientrare alla base S.H.I.E.L.D. Avevano saputo dei problemi giudiziari di Tony dato che la notizia era rimbalzata in tutti e quattro gli angoli del pianeta, ma cosa fosse successo agli altri era un mistero. Il vedere la città che aveva conservato lo stesso ritmo caotico e frenetico di sempre non avrebbe dovuto stupirli. Nulla sembrava essere cambiato da quando erano partiti per quella missione insieme a Banner. Si sarebbero aspettati una contromossa, ma forse Loki era davvero morto; dopotutto non sarebbe potuto sopravvivere, data la velocità con la quale la pozza di sangue si allargava sotto di lui dopo che gli avevano sparato. Eppure Natasha aveva quella sensazione che non fosse finita e Clint si fidava ciecamente del suo istinto.
Quando arrivarono alla base rimasero fuori dalle sue porte, osservando il via vai di agenti.
“Non sarà facile convincerli” sospirò Clint massaggiandosi le tempie.
“Invece credo sarà molto più semplice del previsto. Non vedi come ci fissano? Sembrano aver visto un fantasma” replicò calma Natasha.
“In effetti siamo appena tornati dal regno dei morti…tu sai qual è il protocollo che si applica per i sospetti impostori Nat, vero?”
“Certo, e mi meraviglio di come mai ci mettano così tanto”
Non appena ebbe terminato la frase, un drappello di agenti armati li circondò intimandogli di seguirli dal direttore.
“Ehi piano amico, non è il genere di benvenuto che mi aspettavo!”
“Clint…” lo ammonì la donna con una nota petulante nella voce.
I due agenti vennero fatti accomodare “gentilmente” in una delle sale per interrogatori, illuminata da una sola lampada neon. Clint spostò una sedia, si sedette incrociando le dita dietro la nuca e accavallando le gambe sul tavolo, come se fosse al mare su una bella sdraio a godersi una vacanza.
“Sempre irrispettoso delle regole, agente Barton” Nick Fury emerse dall’ombra di un angolo buio della stanza.
“Capo! Sono davvero contento di rivederti! Ti vorrei quasi abbracciare”
Fury storse il naso con disapprovazione “Preferirei di gran lunga essere abbracciato dall’agente Romanoff. Ora, se non vi dispiace, gradirei un resoconto dettagliato sulla vostra sopravvivenza e sul perché non siate riusciti a rientrare prima alla base”
Occhio di falco sembrava non aspettare altro che l’invito a narrare delle loro mirabolanti avventure su come erano riusciti a sfuggire - seppure ammaccati - alla frana che Hulk aveva scatenato, grazie ad una botola che conduceva ad un corridoio sotterraneo. Raccontò di come avessero vagato per quelle province alla ricerca di aiuto; questo perché, durante la fuga, Clint era stato colpito alla testa da un masso che avrebbe di certo preso Natasha se lui non l’avesse spinta lontano. Il risultato era stato una commozione cerebrale e due costole incrinate, di cui una minacciava di perforargli il polmone. Lei se l’era cavata meglio, qualche abrasione superficiale ed una distorsione alla caviglia che le aveva causato qualche problema di deambulazione, dato lo sforzo alla quale l’aveva sottoposta. Parlò della lunga convalescenza, di come si fossero adoperati per sopravvivere, ma purtroppo in quelle zone cercare di rimettersi in contatto con la base era impossibile, senza contare che la loro attrezzatura era andata persa. Non erano muniti di armi e avevano preferito quindi non rischiare; anche recarsi all’ ambasciata americana era un’idea che avevano presto bocciato, così avevano aspettato il momento adatto per rientrare in patria. Natasha non parlò, limitandosi a studiare le reazioni di Fury. Il suo capo, di solito così serio e misurato, freddo quasi, mostrava da quando li aveva visti, una strana agitazione: un guizzo dell’occhio nel sentire di un particolare cruento, un tremito della mano, la fronte imperlata che aveva dovuto tergersi più di una volta. Sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro, ansioso di uscire da quella stanza.
“…e così Loki sembra essere davvero scomparso per sempre” concluse Clint.
“Lo avete eliminato voi due. Dovreste ritenervi soddisfatti del vostro operato” il suo tono sembrava calmo, ma nell’udire il nome di Loki era quasi sussultato.
“Io non credo che sia morto. Non avete trovato alcun cadavere”
“Sarebbe stato impossibile recuperarlo sotto tutti quei metri cubi di roccia, non credi?” le rispose schernendola.
“E questo mi porta a pensare che, come noi, abbia trovato una via di fuga”
“Agente Romanoff, il caso Loki di Asgard è stato archiviato come chiuso e come puoi ben vedere, c’è un’ottima ragione: ti sembra che qualche minaccia gravi su di noi? Vedi qualche alieno che si diverte a scorazzare per le nostre strade?” la derise, ma lei gli scoccò un’occhiata penetrante.
“L’unico alieno che vedo è in questa stanza”
Clint si voltò a guardarla incredulo, poi guardò anche Fury e capì.
Capì che erano stati tutti raggirati ed ingannati da chissà quanto tempo.
“Agente, sei tu quella ad essere tornata dall’oltretomba. Se permetti dovrei essere io ad avere delle remore suo vostro conto!” sbraitò.
“Strano capo, non ricordavo che avesse gli occhi verdi, ma la memoria potrebbe anche giocarmi qualche brutto scherzo”
Fury si voltò in direzione del vetro presente nella stanza e notò che il suo occhio era tornato del colore originale. Non poteva finire così, preso a causa della stanchezza. Doveva uscire e correre ad avvisare Loki, sperando che lo liberasse facendolo ritornare a casa.
Con una mossa veloce Clint gli fu addosso torcendogli il braccio e afferrandolo per il collo, lo tenne schiacciato contro il tavolo d’acciaio. Gylfi sentiva il freddo del metallo a contatto con la sua guancia che scottava di vergogna.
“Ti conviene collaborare e mostrarti per quello che sei veramente” gli ordinò la Vedova.
L’elfo smise i panni di Fury, tornando al suo vero aspetto.
“Quello vero dov’è?” ringhiò Clint rafforzando la presa.
“Io non parlerò, maledetto umano” rispose presuntuoso “Non lo troverete mai, è tardi” si lasciò andare ad una risata isterica e nervosa. Barton lo voltò bruscamente cominciando a colpirlo al volto con violenza.
“Clint, fermati, smettila!” Natasha gli prese il braccio mentre il petto dell’uomo si alzava ed abbassava scosso dall’ira. Gylfi sentì in bocca il sapore ferroso del sangue che gli colava dalla ferita lungo il labbro. Una scia cremisi sulla sua pelle evanescente.
“Parlerà, penserò io a lui” quella minaccia pronunciata con una vena sadica dalla donna intimorì l’elfo oscuro. Si sentì perso, sciocco anche per aver pensato che Loki lo avrebbe salvato. Non c’era niente di umano nel suo padrone, nessun barlume di sentimento o di emozione.
E così si preparò alla guerra psicologica che sapeva, sarebbe stato destinato a perdere.

 
***


Il tempo scorre tanto più veloce quanto più cerchi di rallentarne il corso. È come un torrente di montagna che con le sue acque tumultuose desidera ricongiungersi al grande letto del placido fiume. Anni di allenamento mi permettono di mascherare quel nervosismo che, quando sono solo, aleggia su di me come una coltre densa e soffocante che mi attanaglia le viscere.
L’occorrente per il rituale è ormai stato predisposto, ma ogni volta che mi ritrovo a contatto con la dottoressa, avverto una stretta di malessere allo stomaco. Credo sia dovuto al fatto che non vorrei farle correre questo pericolo, ma è necessario. Amora si stupirebbe di un cambio improvviso di piani e reagirebbe male. Molto male. Cerco di tranquillizzarmi dicendomi che andrà bene, che io e Thor la proteggeremo, o per meglio dire, lui la proteggerà, dato che probabilmente per me non ci sarà via d’uscita. E nei momenti di solitudine ripenso a quel frammento di intimità che abbiamo condiviso, al fatto che lei non lo ricordi, né ricorderà mai. Ripenso alla sua mano nella mia, al respiro leggero, agli occhi azzurri che mi fissavano attraverso il velo di un sogno. Eppure c’è qualcosa nel suo sguardo sfuggente, in un suo tocco casuale, che mi porta a pensare che forse…lo ricordi; o voglio solo illudermi che sia così per aggrapparmi ad un sottile filo di pace.

Il giorno prima del solstizio siamo seduti su una panchina del parco mentre ad ovest il sole tramonta, alla ricerca di refrigerio dall’insolita calura. Restiamo in silenzio, vicini.
E poi le parla, con voce triste e sconfortata.
“Logan…”
“Sì?”
“Dove andrai adesso?” chiede a bruciapelo, costringendomi a voltarmi dalla sua parte.
“In nessun posto, perché me lo chiedi?”
“Tu stai per lasciarmi, lo so. Pensavo che fossi riuscito a trovare ciò che stavi cercando qui, con tuo fratello e i tuoi amici…” quelle parole hanno l’effetto del sale su una ferita aperta. L’unica cosa che posso fare è mentirle per darle un soffio di speranza.
“Non andrò via” lei mi guarda attraverso una patina acquosa di lacrime, facendo cadere la testa sul mio petto, come la corolla di un fiore spezzato.
“Non lasciarmi”
“Non lo farò” la stringo di rimando aspettando che si tranquillizzi. Ed in quel momento un’ondata di rabbia e rimorso mi sovrasta; vorrei non essere stato così ostinato, vorrei non aver stretto alleanze, vorrei aver capito prima quanto mi sbagliassi nel volermi servire di lei, la creatura che non mi ha sbattuto la porta in faccia quando sarebbe stato più semplice farlo. Il disprezzo per me stesso è così grande che mi provoca nausea. Ma cos’altro posso fare?
“Vuoi venire in un posto con me domani?”
“Dove?”
“È una sorpresa”
Lei si solleva con un movimento aggraziato, ed una buffa espressione curiosa sul viso.
“Va bene, ma se non dovesse piacermi, allora pagherai pegno” mi avvisa.
“Sconterò la mia pena”
 

***

Gylfi non sentiva più i suoi arti anche se erano ancora lì, non glieli avevano amputati mentre versava in quel catatonico stato di dormiveglia. Da quanto tempo era confinato lì dentro? Aveva perso il conto dei giorni. Era debole, esausto, confinato in quella cella con la luce neutra del neon sempre accesa. Gli occhi gli ardevano, pungevano come attraversati da punte di spillo; la pelle aveva cominciato a bruciare, riempiendosi di piaghe rosse e pulsanti. Era allo stremo, troppo sfiancato per poter usare anche la magia. Si rese conto che se avesse continuato a quel modo sarebbe morto e la sua vita non valeva certo la salvezza di Loki.
Che lo prendessero pure, avrebbero fatto un favore a tutti.

Quando Natasha varcò la soglia della sua cella, la guardò dritto negli occhi.
“Parlerò, ti dirò tutto quello che so ma per favore…basta”
Lei annuì e prese posto di fronte a lui. “Parla”
L’elfo raccontò tutto sotto lo sguardo vigile della donna, mentre Clint seguiva dalla telecamera di sorveglianza. Gylfi disse di come fosse stato scelto per pagare il debito che la sua gente doveva a Loki, di come si fosse sostituito a Fury, di come avesse fornito al dio le informazioni necessarie per trovare loro, incastrare Stark, far allontanare Capitan America dallo S.H.I.E.L.D., rivelando poi come avesse deciso di vendicarsi di Thor per ultimo. Indicò la predilezione di Loki per i locali abbandonati, in particolar modo hangar e magazzini di stoccaggio.
Senza ulteriori indugi, dopo la confessione dell’alieno, gli agenti si precipitarono a recuperare i loro compagni.

Fury quando li vide entrare fece un debole cenno di ringraziamento col capo: la sua formazione e passata esperienza gli avevano permesso di sopravvivere razionando quelle poche provviste che Loki gli aveva fornito. Insistette per essere riportato allo S.H.I.E.L.D. e riprendere in mano la situazione.
Quando andarono da Banner, quest’ultimo cominciò ad agitarsi credendo di essere ormai del tutto impazzito e vedere gli spettri del passato. Ma le parole dolci e calme di Natasha riuscirono a placarlo e a rassicurarlo che erano davvero vivi e che lui non era colpevole di nulla. Lo convinse a lasciare quella prigione nella quale si era volontariamente confinato e ad uscire alla luce del sole. In poche ore il suo corpo si sarebbe liberato dei medicinali assunti e sarebbe tornato alla vita vera.

D’altro canto Stark si mostrò estremamente felice di vederli. Quando ebbero fornito il filmato di confessione dell’elfo alla difesa, il magnate dovette sforzarsi non poco per trattenere le colorite espressioni ai danni dell’asgardiano. Quei fotogrammi sancivano la sua innocenza e con un ghigno soddisfatto, salutò il senatore Stern ringraziandolo di aver sprecato così i soldi dei contribuenti.
Più difficile fu invece convincere il Capitano a lasciare il capezzale della ritrovata Sharon. Era ancora pieno di risentimento nei confronti dell’agenzia, ma sapeva bene che non avrebbe potuto tirarsi indietro, il suo senso del dovere e dell’onore glielo impediva. Accettò così di riprendere il suo posto.
Gli Avengers erano di nuovo riuniti.
 

***


L’appartamento di Tony alla Stark Tower versava in uno stato pietoso: era tutto sottosopra dopo l’ultima perquisizione e la polvere aveva cominciato ad impossessarsi di ogni angolo. Ma aveva insistito per tornare a casa sua e quindi, per evitare che la sua lagnanza continuasse in eterno, l’avevano accontentato.
“E così non ha rinunciato, vuole ancora continuare a conquistare il mondo. Non gli è bastato essere sconfitto una volta” fece Steve dopo aver ascoltato il resoconto degli agenti.
“Ci ha divisi con i suoi inganni” continuò Banner.
“Ovviamente aiutato da quella bietola di suo fratello” completò Stark nervoso.
“Via Tony, non potevi certo pensare che non l’avrebbe aiutato! Ha cercato di giustificarlo la prima volta, ora sarà stato raggirato in maniera ineccepibile” lo rimbeccò Rogers.

“Thor era l’ultimo tassello, se ritroviamo lui, troviamo anche Loki” disse Clint.
“Sì, ma non possiamo agire così alla cieca. Avete visto stavolta come si sia rivelato più furbo del previsto” sottolineò Natasha.
“Trovare il biondo non sarà un problema, così come far abbassare la cresta a quel galletto”
“Che intendi, Stark?” gli chiese il dottore.
“Intendo dire che mentre voi facevate le pecorelle ubbidienti e lasciavate perdere la missione Loki, io mi sono attivato per tenere sotto controllo il fratellino alieno tenerone, creando un dispositivo di localizzazione che si attiva ogni volta che mette piede nell’atmosfera terrestre” si godette il silenzio carico di sorpresa per poi continuare “Ed ho usato il resto di metallo uru che avevo per sintetizzare un siero che gli ho iniettato durante il nostro ultimo tête-à-tête, che l’avrà privato della sua magia senza ombra di dubbio”
“Ecco perché non mi ha affrontato di persona ed ha fatto in modo che fosse Thor a parlarmi. Lui gli serve! Senza la magia non può sconfiggerlo perché sarebbe una lotta impari”

“Quindi Rogers, secondo il tuo ragionamento Loki sta cercando un modo per riappropriarsi dei suoi poteri, magari facendosi aiutare da qualcun altro o con una sorta di rituale…resta sempre un mago e certe cose potrebbe farle senza l’ausilio proprio della magia. Forse con una sorta di…sacrificio”
“È un’ottima intuizione Bruce. E se volesse usare proprio Thor per riprendersi i poteri? Spiegherebbe perché l’abbia tenuto in vita e perché abbia atteso così a lungo” continuò Tony.
“Un incantesimo deve avvenire a determinate condizioni, per loro poi è importante la componente astrologica e simbolica…” Natasha ebbe un’intuizione, prese uno degli smartphone di cui li forniva lo S.H.I.E.L.D. e cominciò a cercare. “La parola solstizio viene dal latino “Solis statio”: fermata, arresto del Sole. Solstizio identifica il giorno in cui il sole raggiunge la massima distanza dall’equatore e le ore di luce sono maggiori rispetto a quelle di buio. Il Sole e il suo simbolo, il fuoco, sono al centro di tutte le religioni delle antiche civiltà e rappresentano le divinità positive, contrapposte a quelle tenebrose e malvagie. E quale giorno migliore dove si ha il massimo potenziale di una divinità benefica per rubarle i poteri?” confermò la donna leggendo la pagina web.
“Il solstizio d’estate è…domani!” esclamò Barton.
“Allora sappiamo quando colpirà, ma non sappiamo dove” disse il Capitano con una punta di sconforto. New York era una città grande, avrebbero perso tempo prezioso a cercare.
“Datemi qualche ora per ripristinare tutto il sistema e sarò in grado di rispondere a questo interrogativo”
Tony cominciò a lavorare febbrilmente per riportare il suo sistema informatico alla gloria originale, dato che dopo l’arresto avevano ben pensato di smontare tutto, sequestrare i suoi hardisk e sottrargli le copie di backup. Tutti si adoperarono per dargli una mano alla bene e meglio, muovendo apparecchi, smontando e rimontando, riattivando programmi e consolles. Finirono con l’addormentarsi all’alba mentre un Tony trionfante, guardava la spia rossa del localizzatore accendersi e lampeggiare. Svegliò tutti con un’espressione di vittoria sul viso.
“Avanti Avengers, sveglia! Si va a caccia di cervi!”

  
***
 


Il sole splende nel giorno della fine.
Il momento che avevo tanto atteso, per il quale avevo sforzato ogni fibra del mio essere, per il quale avevo combattuto.
Solo lo sguardo sereno negli occhi di Gillian mi fa pensare a quanto tempo sia trascorso, a come mi senta in qualche modo…diverso. Anche Thor, seduto sul sedile anteriore del taxi è tranquillo e rilassato. Si sono mostrati entrambi ben felici di poter uscire a fare questa passeggiata organizzata da me. Quando il taxi si ferma a qualche isolato di distanza da dove dobbiamo realmente arrivare, mi guardano sospettosi, ma li incoraggio a proseguire. Una volta arrivati nella zona dei magazzini in disuso, faccio varcare loro la soglia di uno di essi, portandoli esattamente al centro del capannone vuoto. È ora di dare inizio all’ultimo atto di questa storia.
“Logan, complimenti per lo scherzo, ma qui non c’è assolutamente nulla” dice Gil imbronciata guardandosi attorno.
“È inesatto. Non c’è ancora nulla, ma tra poco ci sarà”
Thor mi guarda e sembra realizzare che la situazione si sta facendo pericolosa.
“Fratello, che cosa hai fatto?”
“Niente che non ti aspettassi già”
Faccio qualche passo indietro nello stesso momento in cui il sole colpisce un punto preciso del pavimento: il cerchio magico si attiva intrappolandoli all’interno.
“Logan, non è divertente, facci uscire subito!” comanda impaurita.
“Mi dispiace mia cara, ma non posso ottemperare alla tua richiesta. Devi restare lì dentro per un po’. Spero non ti dispiaccia” replico con sufficienza, mentre girano in tondo come leoni in gabbia. Per loro sarà più facile odiarmi quando tutto sarà finito.
Thor richiama a sé il martello sotto lo sguardo attonito e stupefatto della dottoressa. Comincia a colpire il cerchio, ma questa non da’ segno di infrangersi.
“Bravo fratello, consuma le tue preziose energie. Finirà tutto più in fretta”
Gil si avvicina alla barriera guardandomi con incredulità “Cosa sei tu?”
Un sorriso minaccioso ma che nasconde molta amarezza fa capolino sul mio viso.
“Io sono il mostro dal quale i genitori mettono in guardia i propri figli prima di andare a dormire, umana” le dico con dispregio. Lei si ritrae come scottata, le leggo il tradimento negli occhi.
“Lasciala andare, è me che vuoi no? Sei un vile a prendertela con lei!” sbraita Thor.
“L’ho detto, fratello. Io sono un mostro”
In quel momento ha inizio il Seiðr; vedo la magia fuoriuscire come una nube argentea dal corpo di Thor, per passare poi in quello di Gil, il mio tramite. Basta un primo contatto con quell’energia a farla cadere al suolo scossa dal dolore. Più magia viene risucchiata da mio fratello, più il piccolo squarcio tra le dimensioni si allarga, finché vedo la lunga gamba bianca di Amora posare il piede  sul cemento grigio dell’hangar. Tiene in mano lo scettro che pulsa di luce azzurra.
“Bravo Loki, vedo che alla fine ci sei riuscito”
Thor solleva lo sguardo osservando la donna che si sta appropriando della sua magia.
“A-Amora?” chiede sofferente.
“Ciao figlio di Odino, è da tanto che non ci vediamo, vero? Più o meno da quando sono stata esiliata…dimmi, com’è stato mettermi da parte per una stupida, patetica, comune mortale?” sputa con livore.
“E così è lei la tua alleata…sei un folle!” grida contro di me, ma quel suono viene smorzato da un rantolo di dolore.
“Ma no, tuo fratello è bravo a scegliersi gli amici. Sei tu che non sai quanto possa essere vendicativa una donna ferita. E qui invece cosa abbiamo? Ah, la nostra cara umana! Tesoro, la tua morte sarà servita ad una nobile causa, pensa a questo mentre ti contorci dal dolore” le dice appagata, con occhi dardeggianti. Gil è distesa prona sul pavimento, la magia filtra da Thor a lei e da lei ad Amora. Tende una mano verso di me, la sua bocca non riesce ad emettere alcun suono. Sillaba soltanto un debole “Aiutami”.
Aspetta Gil, resisti. Devo fare in modo che lei assorba altra energia fino a non poterla più contenere e che arrivino loro. A quest’ora Gylfi avrà rivelato tutto, è solo questione di tempo prima che mettano insieme i pezzi.
“Bene, credo che adesso potremmo anche uccidervi. A te l’onore dell’aquila di sangue, Loki”
Scuoto la testa in diniego “No mia cara, devi continuare a prendere energia. Piuttosto, perché non mi restituisci lo scettro?”
I suoi occhi si assottigliano a due fessure da serpente.
“Non credo che lo farò, mi piace e mi ci sono affezionata. Si direbbe quasi, Loki, che tu non abbia voglia di uccidere questi due. Eppure ci tenevi così tanto, era la tua missione, la tua vita”
“Rivoglio solo ciò che è mio” rispondo minaccioso e la tensione nell’aria sale.
“Tu qui non detti ordini! Anzi, sai che c’è? Credo sia giunto il momento di liberarmi anche di te. L’avrei fatto comunque, ma questo lo sapevi, vero?” mi dice con voce melodiosa.
Punta lo scettro verso di me e ne fa scaturire un potente raggio di energia che mi fa coprire una distanza di tre metri facendomi urtare violentemente contro la parete. Cado a terra, stordito. Lei divora la distanza schiacciandomi il petto con un piede. Solleva la punta dello scettro con il preciso intento di trafiggermi.
Ma quando sta per abbassarlo viene colpita da uno scudo e sbalzata all’indietro.
Si solleva rabbiosa “Sei stato tu Loki, eri d’accordo con loro fin dall’inizio!”
Gli Avengers al gran completo sono arrivati. Finalmente.
Non posso dire che fosse mia intenzione chiamarli ma un po’ d’aiuto in più non mi dispiace.
“Calmati dolcezza, vogliamo solo parlare” le dice Stark.
“Muori, stupido umano!” replica cominciando a scagliare dardi magici contro di loro, costringendoli a cercare riparo. Io nel frattempo corro verso il cerchio magico; Amora ha assorbito talmente tanto potere che lo vedo traboccare, è il momento di porre fine a tutto. L’ho quasi raggiunto quando vengo intercettato da una freccia di Barton che si conficca nel mio braccio. Il dolore mi impedisce di mettere tutto bene a fuoco, mentre la battaglia continua, aprendo crepe e brecce nell’hangar. Tra poco crollerà tutto se non ci sbrighiamo.
“Ti ho colpito” ghigna compiaciuto mentre estraggo la freccia .
“Penserai dopo a me, idiota! Devo liberarli dal cerchio! Levati di mezzo!” in quel momento un grido agonizzante lacera l’aria, esattamente come nei miei incubi: la voce di Gil. Ferito, spintono Barton e mi faccio forza per varcare il cerchio, lasciandomi alle spalle una scia di gocce di sangue. Lui stranamente non mi ferma. Forse crede che così malmesso non andrò lontano.
L’energia che attraversa la barriera è pura e forte tanto che quando mi ci immergo sento bruciare ogni terminazione nervosa. Miracolosamente  riesco ad oltrepassarla; mi stendo sul fianco e sento la bile risalirmi nello stomaco. Espello il liquido acido che mi lascia la gola bruciante e arsa.
Mi avvicino a Thor che se ne sta bocconi al suolo.
“Alzati e attraversa la barriera” gli comando e lui sembra destarsi da un sogno.
“Loki?”
“Poche domande, dammi la mano e oltrepassa la barriera!”
“Perché? Non era questo ciò che volevi?”
“Ciò che voglio è farvi uscire da qui dentro. Amora si è sovraccaricata di energia che non può controllare e che le causerà danni fisici. Ed ora è giunto il momento di interromperne il flusso, così la magia tornerà in te. Distruggi lo scettro e ora, vattene!”
Barcollante si solleva ed io lo aiuto spingendolo fuori. Il travaso di magia si interrompe e sento Amora gridare a lungo portandosi le mani alle tempie. L’abbondanza di magia si starà facendo sentire. Il cerchio però non si infrange, anzi comincia ad assorbire magia da se stesso. Gil giace distesa, il corpo scosso da tremiti ed il sangue che le cola da una narice. È stata troppo a contatto con un potere che il suo corpo non è in grado di tollerare, spero di non essere arrivato tardi. Spossato e stremato, la sollevo preparandomi a riattraversare il cerchio. La sofferenza è dieci volte più forte di quando sono entrato, ma riesco ad uscirne.
La adagio al suolo e scorgo Banner che ormai, in piena trasformazione, coglie l’occasione per frantumare lo scettro di Amora. Lei comincia a perdere la sua magia, mentre il suo corpo si riempie di ferite sanguinanti. Il varco dimensionale dal quale è uscita inverte il flusso risucchiandola, assorbendo le ultime tracce di energia magica. Viene scagliata all’interno da un colpo di Stark, finché tutto ritorna tranquillo.
Sento i passi degli Avengers venire nella mia direzione.
“Amica tua la tizia psicopatica?” mi chiede Stark e stranamente stendo le labbra in un sorriso ironico. È finita proprio come l’ultima volta.
“Non direi. Ma adesso non pensate a me…la ragazza, portatela in ospedale, ha bisogno di cure. Subito”
L’agente Romanoff le tasta il polso e si volta allarmata.
“È debole, portatela via”
L’uomo di metallo la prende in braccio e attivando i suoi propulsori vola nel cielo di New York. Thor mi rimette in piedi; mi pone un’unica domanda.
“Perché?”
“Perché doveva finire” rispondo.
Poi avviene tutto in un attimo: l’adrenalina in circolo mi abbandona, lasciando spazio solo al dolore e alla stanchezza. I miei occhi si chiudono facendomi sprofondare in un oscuro abisso senza sogni.

    

***   


Il mondo è ancora circondato da un alone indefinito e tremolante. Quando riesco a mettere bene a fuoco, riconosco l’ambiente: una cella di Asgard. Le mura che trasudano umidità e la puzza di stantio e muffa, sono inconfondibili. Provo a rimettermi in piedi muovendo qualche passo incerto, ma sono costretto a sedermi poco dopo a causa di un capogiro.
“Ti sei svegliato” la voce di Thor è una conferma del luogo in cui mi trovo. Mio fratello mi parla dal corridoio, alzandosi dalla sedia dove stava aspettando il mio risveglio. Si avvicina alle sbarre illuminato dalla tremolante luce delle fiaccole ed io faccio lo stesso.
Tocco il freddo metallo sospirando; esattamente tutto come è iniziato.
Un perfetto cerchio che ha trovato chiusura.
“Quanto ho dormito?”
“Tre giorni”
“Hanno lasciato che mi portassi via così facilmente?”
“No, ma hanno accettato quando ho proposto loro di testimoniare al tuo processo”
“Non per la difesa, suppongo”
“No” risponde secco.
Questa era un’eventualità che avevo preventivato, non mi stupisce. Ma c’è un’altra questione che mi preme maggiormente sapere.
“Gillian come sta?”
Thor evita il mio sguardo, assumendo un’espressione contrita e addolorata.
Il respiro si mozza nel petto assieme al sangue che sembra essersi congelato nelle vene.
“Ti ho fatto una domanda, Thor”
“Lei è…” deglutisce prima di continuare, cercando le parole adatte “…i medici hanno detto che ha riportato un danno troppo esteso, l’attività cerebrale è minima…”
Ho bisogno di sedermi, sento il sangue defluirmi dal viso.
“Cosa significa questo?” chiedo in un sussurro incontrando gli occhi sofferenti del dio del tuono.
“È in coma, Loki. E non si sveglierà più”
 

***
Nuovo capitolo per una giornata uggiosa e piovosa. Ovviamente le cose non potevano certo mettersi bene per Loki, ma a quanto pare lui ci aveva fatto affidamento…ci sono ancora un paio di cosette da chiarire, prima di tutto il destino finale che attende i nostri protagonisti.
Che dire, aspettate e vedrete! Alla prossima settimana! ^^

 

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Capitolo 27
*** L'uomo che voleva essere re ***


And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am

Goo Goo Dolls – Iris
 
[E non voglio che il mondo mi veda /perché non penso che capirebbero / quando tutto è stato fatto per essere distrutto/ voglio solo che tu sappia chi sono]

 
Sono rinchiuso in questa prigione da due mesi.
I giorni si susseguono sempre uguali, ripetitivi, indistinti e monotoni.
Quella farsa che chiamano processo continua e le uniche volte in cui mi fanno uscire dalla cella sono quelle in cui vengo trascinato, in catene, dinanzi alla corte che mi subissa di domande, guardandomi con disapprovazione e sdegno. Ma io non replico mai alle accuse che mi muovono. Perché dovrei? L’elenco delle nefandezze che ho commesso è talmente lungo che non vale veramente la pena cercare di difendermi, non quando il quadro della mia colpevolezza è così nitido. Mi limito quindi a far vagare lo sguardo nella sala, riconoscendo più o meno coloro che si pronunciano contro di me, osservando gli uccelli che con le loro ali piumate, volano liberi fendendo il cielo e di tanto in tanto mio fratello, l’unico a rivolgermi occhiate di comprensione e preoccupazione per il mio destino.
Odino invece tace, fiero e altero mentre ascolta i capi d’accusa che pendono sul mio capo, o le testimonianze degli Avengers che ad uno ad uno sfilano al banco dei testimoni esprimendo il loro disgusto nei miei confronti con toni più o meno pacati.
So già quale destino mi aspetta, Skuld mi aveva avvisato. La verità è che ormai non mi interessa più di vivere o morire, non dopo aver fallito l’unica missione che mi ero ripromesso di condurre a buon fine.
Ho ridotto Gillian ad un vegetale, tenuta in vita solo da un insieme di tubi e macchinari.  
Sono arrivato tardi, non sono riuscito a salvarla.
I fiumi di parole vomitati sui miei misfatti non vengono minimamente uditi dal sottoscritto.
Voglio solo tornare in prigione e perdermi nell’oblio.
 
Un mattino dei primi giorni di settembre, al mio terzo mese di reclusione, una delle guardie entra nella mia cella, strattonandomi e costringendomi ad alzarmi. Per quanto sia un prigioniero docile e mansueto non esitano ad utilizzare maniere più forti del necessario.
“In piedi, feccia! Oggi ci sarà la tua sentenza definitiva. Spero di vederti con una bella corda intorno al collo” mi dice sadicamente.
“Grazie per l’incoraggiamento” rispondo posato.
 
La sala del trono è gremita di sudditi e cortigiani, tutti venuti ad assistere al verdetto finale. Quando entro ammanettato e trascinato come una bestia pronta per il macello, si leva un forte brusio. Tutti mi indicano, parlottano, scuotono il capo, fissano le mie vesti sdrucite ridotte a cenci che mi pendono larghi sul corpo. Se incontrano il mio sguardo distolgono il loro di scatto, come se il solo guardarmi li rendesse colpevoli quanto me.
I carcerieri mi spingono dietro un bancone di legno intarsiato.
Odino, in piedi di fronte al popolo di Asgard, sta per pronunciare la sentenza. Per quanto possa ostentare fierezza, vedo che ha un viso molto stanco e provato, forse credeva di non dover essere lui a fare l’annuncio. Alla sua destra c’è Thor con un’espressione dura dipinta sul viso. Frigga invece non è presente.
Il Padre degli dèi si schiarisce la voce e tutti ammutoliscono.
“Loki, dio degli inganni, per i delitti di cui ti sei macchiato nel corso degli anni, la corte di Asgard ti condanna a morte per decapitazione”
Ottimo, sarà qualcosa di rapido, almeno ho ottenuto di non soffrire eccessivamente. Nel grande salone si sentono echi di approvazione che il sovrano zittisce immediatamente.
“La sentenza sarà applicata tra un mese a partire da oggi, al calare del sole”
Un mese, ancora così a lungo. Sospiro scoraggiato.
“L’imputato non ha niente da dire?” chiede mio padre lanciandomi un’occhiata penetrante.
Imputato…ormai non sono altro che quello, non più un figlio o un fratello.
No, l’imputato non ha niente da dire, lascio che il silenzio parli per me in una risposta più che eloquente.
Le guardie mi afferrano e costringono a camminare, facendo strusciare le catene di metallo al suolo. Fingo di non vedere i ghigni compiaciuti del popolo, ignoro i loro commenti soddisfatti su come sia stata finalmente fatta giustizia, me li faccio scivolare addosso come pioggia estiva. Persino i miei carcerieri sembrano più gioiosi del solito, contendendosi tra di loro il piacere di brandire la scure che separerà la mia testa dal resto del corpo.
Quando mi gettano di peso nella cella facendo scattare la pesante porta metallica, schiamazzano allegramente decidendo di andarsene a bere.
Mi alzo e mi costringo a sistemarmi sulla branda dal materasso consunto e la rete cigolante. Guardo fuori, dalle inferriate filtra un debole bagliore aranciato di sole. Cosa è rimasto di Loki, il dio astuto e scaltro che non avrebbe smesso di cercare una soluzione per uscire da queste mura di pietra? Non è rimasto altro che un guscio vuoto, una massa informe che tra un mese vagherà nelle profondità oscure degli inferi.
Il suono di passi pesanti mi fa voltare in direzione delle sbarre.
Thor è di fronte a me, rigido, i pugni chiusi e lo sguardo abbattuto.
Da quando mi sono svegliato la prima volta non abbiamo più parlato, adesso sembra aver vissuto cent’anni di dolore.
“Ciao, fratello. A cosa devo l’onore di questa visita? Sei venuto a salutare il neo condannato?”
La mia voce grondante sarcasmo lo irrita.
“No Loki, sono venuto a chiederti perché. Perché non hai spiegato niente al tuo processo di come sono veramente andate le cose? Perché non ti sei difeso in alcun modo? Io ho provato ad aiutarti, ma non ho ottenuto risultati” abbassa lo sguardo, mentre la mia bocca si tira in un sorriso sghembo.
“Sarebbe stato inutile tentare di convincere quelle persone del contrario, non quando sono tutti così ottusamente convinti della mia colpevolezza. Non avrebbe fatto alcuna differenza, mi avrebbero condotto ugualmente dove volevano, ossia, al patibolo” il mio ragionamento veritiero e logico gli fa contrarre i muscoli del viso.
“Avresti potuto evitare la condanna a morte, avresti potuto ottenere una prigionia a vita”
“Thor, ne sei davvero così convinto? Tenermi in vita con la remota possibilità che potessi scappare? Andiamo, ti facevo più furbo” replico con una punta di esasperazione nella voce.
“È solo che…io non riesco a rassegnarmi, non dopo Midgard, quando ho capito che eri davvero cambiato” sospira.
“Non ha davvero peso tutto questo. Dicono che basti una buona azione a cancellarne cento cattive, ma per me questa regola non deve valere. E poi non ho fatto niente di buono per meritare un minimo di indulgenza. Questa, Thor, non è altro che una classica favola dove i buoni vincono ed il cattivo perde. Semplice e lineare”
Thor si accascia al muro, evidentemente il fatto che io mi sia arreso deve averlo sfiduciato ulteriormente.
“Io e Padre siamo riusciti ad ottenere per te un ultimo desiderio”
Questo mi sorprende, non credevo che fossero disposti a concedere ad un condannato del mio calibro un...contentino.
“Capisco. Allora fammi tornare su Midgard. Ho un’ultima cosa da fare prima di andarmene”
“Midgard? Non credo proprio che sarà possibile, dovrai ridimensionare la tua richiesta” scuote il capo.
“Fammi tornare sotto la sorveglianza tua e degli Avengers. Sono ancora senza poteri cosa credi che potrei fare?”
“Non lo so Loki, potresti sempre decidere di scappare”
“Parla con Odino, digli che il mio desiderio è questo. Tu sai perché devo tornare”
“Non ti prometto niente, ma ci proverò”
Gli faccio un cenno con il capo a mo’ di ringraziamento.
Thor si allontana, sulle sue spalle adesso grava il peso di realizzare l’ultima preghiera di suo fratello.

 

***
 


I giorni sono passati più veloci di quanto mi aspettassi, ormai manca solo una settimana al giorno dell’esecuzione. Dalla mia piccola finestra entra una foglia, la vedo danzare nell’aria fino a posarsi leggera sul pavimento. La raccolgo rigirandola tra le dita: è secca, di una tonalità di rosso intenso quasi come il sangue.
Thor non si è più fatto vedere da allora, se ne è andato portando con sé un sottile filo di speranza. L’ultima occasione che avevo per spiegare il mio punto di vista all’unica persona alla quale sarebbe importato davvero. Una persona che però non potrà rispondermi.
Sento un vociare provenire dal corridoio, quando vedo la sagoma di Thor stazionare dinanzi alla mia cella, seguito dalle guardie.
“Aprite immediatamente se non volete contravvenire agli ordini del re!” comanda risoluto.
“Ma Maestà, ci è stato ordinato di non far uscire il prigioniero fino al giorno dell’esecuzione…” balbetta uno di loro intimorito.
“Vi sto ordinando di aprire per ordine del consiglio e mio. Osate mettervi contro di me? Aprite. Subito” ringhia minaccioso.
Aprono e mio fratello si precipita all’interno.
“Alzati, andiamo su Midgard”
 
Vengo condotto al Bifröst, scortato dalle guardie e da Thor. L’espressione sul viso di Heimdallr è impassibile, fa solo un cenno al dio del tuono scostandosi per permetterci il passaggio. Non so come abbia fatto mio fratello a convincere tutti a riportarmi su Midgard, mi riserverò le domande per quando saremo arrivati.
 
La sgradevole sensazione di risucchio sancisce la nostra partenza; il corpo si disintegra in minuscoli frammenti di luce, pronti a ricomporsi poi nel luogo di destinazione finale. E il luogo designato altro non è che la Stark Tower dove trovo gli Avengers al gran completo. Li vedo irrigidirsi e stringere di più le armi quando io e mio fratello facciamo la nostra comparsa: anche se condannato a morte, credono che sfrutterò quest’occasione per tentare una fuga, è palese.
“Siediti Loki” Thor mi indica il divano di fronte ed io mi ci siedo composto.
“Sembra che sia diventato davvero ubbidiente” fischia Barton beccandosi un’occhiataccia dalla collega, ma viene ignorato da tutti.
“Come avrai ben capito, sono riuscito a convincere Padre e gli altri a lasciarti venire qui prima dell’esecuzione. Sarai sorvegliato da noi tutti, così potrai sistemare la tua…faccenda in sospeso”
“Capisco”
“Bene, allora possiamo andare”

 
***

 


Stark mette a disposizione le sue auto con le quali ci dirigiamo all’ospedale dove Gillian lavorava.
L’odore pungente di disinfettante mi investe mentre mi fanno strada verso la stanza dove si trova la dottoressa. Le porte scorrevoli dell’ascensore si aprono permettendoci di salire e Thor preme il pulsante per il settimo piano.
Nessuno mi rivolge la parola, nessuno parla, sono tutti fermi in una strana calma carica di tensione inespressa.
Il corridoio tinteggiato di pallido beige è privo di visitatori esterni, ci sono solo le infermiere insieme al dottore di turno. Pare che la mia visita sia stata predisposta in precedenza, poiché basta un solo cenno dell’uomo di metallo per poter proseguire.
Man mano che camminiamo per il corridoio i battiti del mio cuore aumentano. Quando Thor posa la mano sulla maniglia della porta e la abbassa, sento un crampo allo stomaco.
Con lo sguardo mi invita ad entrare.
“Tu non vieni?” gli chiedo esitante.
“Questa è una cosa che devi fare da solo, no?”
“Ma sicuramente mi sorveglierete in qualche modo, devi assicurarti che io non fugga”
“La stanza è dotata di telecamere interne. Sapremo cosa starai facendo e se tenterai la fuga te lo impediremo” sottolinea Stark.
“Potrete ascoltare cosa dirò?” all’improvviso il pensiero che loro possano sapere cosa io stia per dire mi innervosisce.
“No, vedremo solo le immagini” risponde la Vedova e Thor conferma.
“Ci vediamo quando hai finito” mi dice facendosi da parte e lasciandomi entrare.
Ho bisogno di prendere un bel respiro per affrontare questa prova.
 
Lo spettacolo che si presenta dinanzi ai miei occhi mi causa una sofferenza reale e intensa.
Gil è distesa sul letto coperta fino alla cintola, avvolta in un camice dell’ospedale. Da sotto quest’ultimo vedo spuntare una serie di cavi che si connettono ai macchinari di cui è circondata: uno che le controlla le pulsazioni cardiache, uno per l’attività cerebrale, una flebo che le serve per i liquidi. Il suo volto sembra una maschera innaturale, una strana statua cerea con gli occhi chiusi.
Prendo una sedia e la accosto al letto, sedendomi accanto a lei. Resto in silenzio, tutti i discorsi che avevo preparato sembrano solo patetiche scuse, parole al vento e senza valore. Mi blocco con lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe, mentre il profumo dei fiori freschi comincia a permeare l’aria.
Quando presto maggiore attenzione alla stanza noto che è piena di fiori, biglietti, qualche foto di lei con un paziente guarito che è riuscita a salvare. L’espressione gioiosa del suo sguardo in quelle immagini, la bocca aperta in un sorriso luminoso, la vitalità che esprimeva…sono ormai un ricordo confuso, non appartenente alla figura che giace inerte in questa sterile stanza d’ospedale.
Se fosse sveglia adesso cosa mi direbbe? Mi saluterebbe, credo. Quindi dovrei fare la stessa cosa, se non altro per cominciare a rompere il ghiaccio.
“Ciao Gil” il silenzio è interrotto solo dal fruscio del vento tra le foglie degli alberi di fronte alla finestra.
“Non era così che doveva finire” dico tutto d’un fiato. “Non avrei dovuto permetterlo” sospiro a lungo guardando il suo viso.
“Tu una volta mi avevi chiesto di raccontarti la verità quando sarei stato pronto, ed io ti avevo chiesto di aspettarmi. Il punto è che ormai non c’è più tempo ed io voglio che tu sappia come è andata davvero. Voglio che tu sappia chi sono, voglio raccontarlo a te perché sei l’unica che abbia visto e non mi abbia giudicato. Voglio raccontartelo perché te lo devo”
 
Il tempo delle incertezze è finito, adesso è giunto il tempo per la verità.
 
“Il mio vero nome è Loki. So cosa starai pensando: che sia strano, ma nella mia famiglia d’altra parte non siamo rinomati per essere propriamente normali anzi, eravamo considerati da voi umani degli déi. Mio padre altri non è che Odino mentre mio fratello, che tu conosci sotto il falso nome di Donald, è in realtà Thor, il dio del tuono. Il Logan che tu hai conosciuto non era altro che una maschera, uno dei mille volti che il mio essere camaleontico ha costruito. Io sono noto come il dio della grande astuzia e del caos, ingegnoso inventore di tecniche e diabolico ingannatore. La storia che ti ho raccontato sul fatto di essere stato adottato non era propriamente una bugia: sono il figlio di Laufey, il sovrano di Jötunheimr, il mondo abitato dai giganti di ghiaccio. Devi sapere che Laufey mi aveva rifiutato fin dalla nascita poiché troppo piccolo, gracile e minuto per gli standard della sua specie. Abbandonato a morire, nascosto a tutti, ancora in fasce, fui salvato da Odino, il quale mi trovò e decise di adottarmi. Crebbi così tra gli asgardiani, che però erano nemici da sempre dei giganti di ghiaccio e mi vedevano come un nemico; mi detestavano e pregiudicavano solo perché ero diverso da loro, dicendo che da me non sarebbe derivato altro che male. Ma tutto questo non potevo immaginarlo, visto che Odino aveva ben deciso di celarmi la verità sulle mie origini. Nonostante vivessi in una condizione di privilegiato, non riuscivo a capire davvero quale fosse la fonte di quell’odio gratuito nei miei confronti che mi faceva sentire solo inferiore e fuori luogo. Casa mia non era nient’altro che una gabbia dorata e soffocante, il tutto accentuato dal fatto che, a differenza mia, Thor aveva ereditato la forza e il portamento nobili della sua stirpe, perciò eccelleva in ogni cosa ed era amato da tutti. Ed io così crebbi invidiandolo e odiandolo ogni giorno che passava, solo perché bramavo di avvicinarmi a lui, volevo ottenere quel minimo di considerazione che mi era negata, provare ad essere accettato da quella società che continuava a rifiutarmi. Allo scopo di eguagliarlo, cominciai ad apprendere la magia, della quale sono poi diventato un oscuro maestro. Odino mi diceva sempre che sia io che Thor eravamo destinati ad essere re. Ed io lo volevo, volevo quel ruolo con tutte le mie forze, aspettando il giorno in cui avrei avuto la mia occasione. Ero così pieno di speranze verso il futuro che alla fine, il mio bel sogno si ruppe in affilati cocci che mi si conficcarono all’interno dell’anima, facendomi scontrare con la dura e fredda realtà delle cose. Come sempre accadeva, Odino preferì mio fratello, ed io mi dovetti accontentare di essere solo il secondo. Credo che sia stato anche per queste nostre vicende passate che, quando ho visto te e Thor diventare più affiatati, la cosa mi ha dato veramente fastidio. Avevo il timore che potesse portarti via, che potesse intromettersi nel nostro strano ma piacevole rapporto, che mi spodestasse da quel posto che avevo guadagnato per primo tra le tue amicizie. Che mi sottraesse l’unica persona dalla quale non ero stato rifiutato, odiato, disprezzato o guardato con scherno. E soprattutto l’avevo ritenuto capace di rivelarti la verità sulle mie azioni in passato. Ricordi quando mi parlasti dei disordini che c’erano stati qui l’anno scorso? Sono stati causati da me, che per perpetuare i miei stupidi scopi di vendetta avevo scelto di vendermi di nuovo alle tenebre. Ora ti fidi di me quando dico che Logan era solo una facciata? Io sono questo, un pluriomicida con l’ambizione di conquistare un pianeta. Sono sinceramente colpito dal fatto che il mio male non ti abbia contagiata”
 
Faccio una pausa, cercando di scorgere sul suo volto un qualche segno di cambiamento, ma è una vana speranza. Riprendo quindi il mio racconto.

“Ma lascia che ti racconti della mia ultima permanenza su Midgard, questo tempo che ho trascorso con te e che ha visto l’evolversi del mio ultimo inganno. La notte che ci siamo incontrati ero appena fuggito da Asgard, ed avevo giurato a me stesso che stavolta mi sarei vendicato di tutti quelli che mi avevano imprigionato nella maniera più completa. Cominciai così a darmi da fare eliminando i miei nemici uno ad uno. Ma c’è anche un’altra cosa importante che devi sapere: io intendevo usare te come tramite per incanalare i poteri di Thor nel tuo corpo e farli passare nel mio alleato. Avevo deciso di scegliere te proprio perché ritenevo che il nostro non fosse stato un incontro casuale. Ma per poter aumentare il processo di passaggio della magia, l’officiante del rito ed il tramite dovevano avere un legame tra di loro. Per questo all’inizio mi sono mostrato così incline a fare la tua conoscenza; era solo un modo per poterti avere sotto controllo, sapendo che se fossimo diventati amici non mi avresti rifiutato nulla. Volevo solo ottenere il mio scopo. Almeno era così all’inizio, perché le cose in seguito sono davvero cambiate. Sono cominciate a mutare la notte che vinsi la mia indifferenza e ti portai in salvo da quegli uomini che volevano abusare di te. Non capii perché sentissi il bisogno di soccorrerti, avrei potuto trovare altri cento tramiti come te, ma agii inconsciamente, mosso da un istinto protettivo e possessivo che non sapevo di avere. Non nei confronti di un altro essere vivente oltre me stesso. Quella notte fu la prima volta che sentii qualcosa di diverso dal bisogno di rivincita”
 
Allungo una mano stringendo la sua inerte. La lascio lì, come un unico appiglio alla sanità mentale.
 
“Ti trovavo strana e affascinante, c’era qualcosa in te di sfuggente, qualcosa che mi spingeva a mettere da parte i miei propositi per poterti davvero conoscere meglio. Enigmatica, sincera e leale, onesta, disposta a tutto pur di salvare qualcun altro, cresciuta tra persone che ti avevano sempre sostenuto e incoraggiato, tu eri il mio completo opposto. Ed era questo quel fattore che mi spingeva a continuare a vederti, ad ascoltarti quando avevi qualcosa da dire, anche se molte volte hai messo a dura prova la mia pazienza. Volevo studiarti, osservare fin dove ti saresti spinta con me, visto che eri l’unica a credere che in questo ammasso di carne e sangue ci fosse qualcosa di buono. Seguii il tuo consiglio e decisi di riavvicinarmi a mio fratello, cosa che prima o poi avrei ugualmente fatto. Lo invitai sulla Terra rivelandogli di sapere una cosa sulla nostra famiglia: stavolta non mi serviva mentire, Odino aveva davvero ingannato anche lui. Per quanto fossi animato dalla volontà di regolare i conti, sentivo che Thor meritava di venire a conoscenza della verità, ed il fatto che mi preoccupassi di questo era un altro segnale che le mie precedenti convinzioni stavano crollando. Nonostante ciò  andai avanti ostinatamente inseguendo il mio obiettivo, ed anche se ero quasi giunto al compimento del mio piano, non mi sentivo soddisfatto. Ogni volta che compivo qualche azione studiata rimettendo sul viso la mia maschera impassibile e cinica sentivo le budella torcersi. Anche stare con te, non era più un dovere finalizzato al successo della missione…era diventato piacevole. Aspettavo di poter trascorrere del tempo in compagnia, nonostante le battute sarcastiche e pungenti che riuscivamo a scambiarci, nonostante non ti cercassi in realtà bramavo la tua presenza, ma ero troppo orgoglioso per ammetterlo. Mi ero accorto di non essere poi così incline a volere che quella nuova situazione che avevo creato svanisse. Con Thor ero riuscito a chiarirmi, in qualche modo mi sentivo persino più vicino a lui, anche se avrai notato che per uno come me, cresciuto in una bolla di odio, ammettere i propri pensieri e sentimenti non sia affatto facile. Ho trascorso così tanto tempo ad evitare ogni contatto umano, a chiudermi in me stesso coltivando i miei propositi di vendetta, da essermi reso conto di essermi trasformato in un automa, una macchina fredda e senza sentimenti. Ma la consapevolezza che qualcosa era cambiato è sopraggiunta quando ho cominciato ad avere dei ripensamenti sul fatto di dover usare te come tramite. Non volevo che corressi quel rischio, non volevo metterti in pericolo. Quando sono venuto a prenderti al locale, a casa tua…avrei voluto davvero deporre le armi, sollevare bandiera bianca e arrendermi raccontandoti tutto, ma non potevo, troppo vigliacco per darti una possibilità di scegliere di conoscere la verità ti ho chiesto di aspettare. Non volevo guardare la delusione farsi strada nei tuoi occhi nel momento stesso in cui la storia della mia vita fosse saltata fuori. E poi l’infinito attimo in cui ci siamo scambiati quel bacio…ho realmente desiderato essere Logan, non più Loki. Volevo essere la persona che tu credevi davvero che fossi, volevo trasformarmi in quella maschera che avevo creato. Avevi il sapore della salvezza ed il profumo della libertà. Non mi sono sentito più una persona spezzata, ma integra e consapevole finalmente della strada da percorrere. Purtroppo avevo ancora un accordo di alleanza e così ho dovuto portare avanti la sceneggiata, con un piccolo cambiamento: se fossi riuscito nel mio intento avrei potuto liberarmi del vero nemico e tenere te fuori dai guai. E così, per la prima volta nella mia lunga vita, ho deciso di agire per il bene di qualcun altro e non di me stesso, ed ho cercato di rivoltare il piano inziale contro di te a tuo favore. Sapevo che gli agenti che avevo cercato di eliminare non potevano essere morti nella frana perché ero a conoscenza di quella via di fuga costituita dalla botola dalla quale sono stato tagliato fuori durante il crollo. Almeno uno dei due sarebbe riuscito a salvarsi e ci avrebbe messo poco poi a fare due più due. Un’altra cosa sulla quale potevo contare era l’infedeltà di Gylfi, l’elfo oscuro del quale mi ero servito: sapevo che se avesse avuto l’occasione di liberarsi definitivamente di me l’avrebbe sfruttata senza battere ciglio, anche perché lo stare su Midgard stava avendo effetti devastanti sul suo fisico e non avrebbe retto torture psicologiche. E la mia previsione si è avverata: dopo aver rivelato tutto ai due agenti, questi sono andati a recuperare i loro compagni. Avevo anche immaginato che l’uomo di metallo avesse fabbricato qualche diavoleria delle sue, una qualche specie di localizzatore, quindi il rintracciare me o mio fratello non gli sarebbe stato difficile. Così è stato, ma il mio piano non è filato liscio: sarei dovuto venire a liberarti prima, dovevo saperlo che il tuo corpo non avrebbe tollerato tutta quella magia” ingoio quelle parole amare che creano un nodo soffocante alla gola.
“Ho fatto prima che potevo, ma ho ugualmente fallito. Tu ora sei qui, non puoi parlarmi, non puoi guardarmi, non puoi stringermi la mano” guardo la sua che giace ferma sulle lenzuola e mi sento avvolto da un alone di tristezza.
“Ci ho messo troppo tempo a capire che avevo sbagliato, se potessi tornare indietro a quel giorno probabilmente non scapperei da Asgard. Tu non mi avresti mai incontrato e avresti continuato a vivere circondata da tutte le persone che ti amano. Ma sono venuto anche a dirti che se la cosa può in qualche modo pareggiare i conti, tra una settimana verrò giustiziato. Ho chiesto come ultimo desiderio quello di vederti per poterti spiegare tutto, per metterti al corrente di ogni particolare della mia vita, per raccontarti di come, da ingannatore, io sia diventato vittima del mio inganno, scegliendo liberamente di esserlo, per salvarti. Molte persone durante il processo hanno chiesto perché io abbia fatto quello che ho fatto. Quello che non si sono mai presi la briga di indagare è che c’è una storia dietro ogni persona, c’è una ragione per cui sono quel che sono, una ragione che ho scelto di raccontare a te. Non sono diventato così solo perché lo volevo. L’ho fatto per dimostrare a mio padre che anche io valevo qualcosa, non ero solo un fantoccio nelle sue mani. Ma a quanto pare sono maledetto; questo incubo del gigante di ghiaccio che riemerge dal passato prepotente mi ha resto forse più incline alla malvagità, e magari  è vero che per quelli come me è impossibile cambiare. Non meritavi di incontrarmi, io sono davvero marcio come dicevano ad Asgard. Evidentemente è nella mia natura distruggere, fare del male deve essere l’unica cosa che in realtà so fare bene, mentre tu sei una ragazza troppo buona e pura, innamorata di un mondo così sbagliato” affermo.
“Ora sei intrappolata a causa mia in questo stato di sogno, ed io mi sento così maledettamente impotente… non sono un principe su un cavallo bianco, nessun bacio o parola gentile potrebbe destarti da questo sonno, eppure io spero che tu possa guardarmi negli occhi anche solo per un momento e rispondere ad un’unica domanda”
Traggo un profondo respiro, alzandomi dalla sedia e portando la mano libera sui suoi capelli, accarezzandoli. Mi abbasso sfiorandole il naso con la punta del mio e poggiando poi la fronte sulla sua.
“Puoi perdonarmi?” domando in un sussurro appena udibile.
 
Le sue palpebre tremano e la sua mano stringe la mia. Apre gli occhi e il solo vedere quell’azzurro ghiaccio così intenso mi provoca un brivido lungo tutta la schiena.
“Ti sei svegliata” la mia voce è flebile, mi sembra ancora tutto così irreale.
“Lo…ki” dice con voce roca.
Ha sentito tutto, ha appena pronunciato il mio nome. Una sensazione di sollievo si irradia in tutto il mio corpo.
“Sì, ora aspetta, chiamo qualcuno per visitarti” faccio per andarmene ma le sue dita si serrano con forza attorno al mio polso.
“Lo…ki…io…ti…”
“Me lo dirai dopo, lasciami andare” le dico gentilmente.
“Io…ti…”
 
Accade tutto in un attimo: rovescia gli occhi indietro, la presa su di me si allenta. Uno dei macchinari comincia a suonare con fischi acuti e ripetuti, mentre lo schermo lampeggia con una sinistra spia rossa.
Non capisco cosa sta succedendo fino a quando non vedo la linea delle pulsazioni cardiache completamente piatta.
Lo staff medico irrompe nella stanza con il carrello per le emergenze.
“Si faccia indietro, signore” un’infermiera tenta di spingermi via, ma sono paralizzato, i piedi di piombo, congelato sul posto. Ogni singolo muscolo si rifiuta di eseguire un semplice comando, mentre vedo il medico che comincia ad armeggiare con le siringhe iniettandole una qualche sostanza. Prende poi le piastre del defibrillatore, cospargendole di gel e posandole sul torace di Gil.
“Carica a 200. Libera!” vedo il suo torso sollevarsi ma il macchinario continua a suonare.
“Voi dovete salvarla, salvatela vi prego” cerco di avvicinarmi a lei ma me l’impediscono trattenendomi. Sento che sta scivolando via da me e non posso fare niente per trattenerla. Tutto ciò che posso fare è assistere mentre il medico cerca di rianimarla, di riportare in lei quella vita che sembra si stia spegnendo.
“Maledizione! Carica a 300, libera!”
Nulla.
Il medico mette da parte l’apparecchio cominciando a comprimerle il cuore manualmente.
Continua, continua, ma l’apparecchio non smette di suonare. La speranza si sgretola in tanti pezzi affilati come vetro, che si conficcano nella mia anima deturpandola ancora di più.
Il suo cuore non riprende a battere.
Il dottore si solleva dal corpo di Gil e spegne la macchina.
Nella stanza cala un silenzio assordante.
Solleva la testa in direzione dell’orologio, con voce incrinata di pianto.
“Ora del decesso 21:07”
Si volta verso di lei, le posa una gentile carezza sulla guancia “Addio Gil, grazie per avermi permesso di conoscerti. Perdonami se non sono riuscito a salvarti” una lacrima gli solca il viso mentre esce fuori dalla stanza.
Vedo tutti affannarsi attorno a lei staccandola dalle macchine. Le infermiere piangono, cercano di confortarsi a vicenda. Tutti la conoscevano, tutti le volevano bene.
E la colpa è solo mia se adesso lei non c’è più.
Ma non può essere così, il suo corpo è ancora caldo, mi ha parlato, si è svegliata, l’ho vista.
Non può essere. Perché è tutto finito? Perché è andata via? Credeva che sarei stato io ad abbandonarla, ma alla fine è stata lei a lasciare me.
Resto lì fermo ad una certa distanza dal corpo, incapace di fare un altro passo. Troppo vigliacco per avvicinarmi e scoprire che lei è davvero morta.
Sento una mano che si posa sulla mia spalla, è Thor. Il suo viso è una maschera di dolore.
Gillian Russell, un’altra vittima innocente di Loki, il furente e pazzo dio degli inganni, il cui cuore freddo  gli aveva precluso ogni speranza di redenzione. Il dio che fuggiva da se stesso, da quello che non poteva più essere cancellato, abbandonandosi alla marea del lato oscuro che l’aveva inghiottito tra i suoi flutti.
Gli Avengers entrano nella stanza, vedo le loro espressioni dure, il disprezzo verso di me, verso quello che sono: nient’altro che un mostro. Un mostro ancora troppo incredulo, sconvolto, esausto persino per versare una lacrima.
“Adesso dobbiamo andare”
Thor mi conduce quasi di peso verso la porta mentre con il capo girato tento ancora di cogliere un dettaglio del volto di Gillian. Nel corridoio incrociamo Jane che sta correndo allarmata verso la stanza. Devono averla avvisata di ciò che è accaduto. Quando mi vede i suoi passi si fanno più decisi, accorcia lo spazio tra di noi finché, a pochi centimetri dal mio viso, mi colpisce con uno schiaffo sulla guancia.
“Sei stato tu a ucciderla! Sei uno schifoso, maledetto assassino!”
L’agente Romanoff si fa avanti prendendola per le spalle, cercando di calmarla.
“Te l’avevo detto che quelli come lui non potevano cambiare, ma ti sei voluto fidare lo stesso e guarda che risultato! L’ha uccisa, ha ucciso Gil! Lei non tornerà più!” grida contro Thor accasciandosi poi al suolo scossa dai singhiozzi.
Il mio volto non lascia trapelare il dolore quando mi volto verso mio fratello ponendogli la mia richiesta.
“Riportami ad Asgard”

 

 ***
 


Durante l’ultima settimana di prigionia ho vissuto in un limbo indefinito di suoni, colori, ombre che dal passato si rincorrevano incatenandosi le une alle altre. Dal giorno della morte di Gil, la vita è stata solo una vaga impressione, come se appartenesse a qualcun altro. Nulla ha avuto più importanza se non arrivare alla fine del viaggio.
Ed infine il tempo è giunto.
Mi servono un ultimo pasto che rifiuto, Odino, Frigga e Thor vengono a darmi il loro addio al quale non rispondo.
 
La guardia apre la cella trascinandomi al patibolo. Fischia allegramente come se quella fosse una passeggiata di piacere.
Quando esco all’aperto devo stringere gli occhi, poiché la luce del sole calante mi risulta tanto intensa da farli lacrimare. Nella mia cella ero ormai abituato ad un’oscurità quasi perenne, un buio che viaggia di pari passo con me dal giorno della mia maledetta venuta al mondo.
Sul patibolo inspiro l’aria ormai fredda di ottobre. Penetra gelida nei miei polmoni facendomi rendere conto di essere ancora vivo.
Ma avere un cuore che batte non significa esserlo per forza. Dentro sono arido come un deserto, la mia anima è come il suolo reso arso dalla calura, cosparso di crepe e rocce che si sgretolano sotto il passo di un uomo.
Inginocchiato, con la testa in asse sul blocco di pietra che accoglierà la scure che porrà fine alla mia vita, aspetto con gratitudine l’inevitabile. Guarda, popolo di Asgard, come muore Loki, l’uomo che voleva essere re ed ha perso tutto per inseguire questo suo scellerato desiderio.
 
Si dice che quando stai per morire la vita ti scorra veloce davanti agli occhi.
Non è vero.
Quando stai per morire, l’unica cosa che vedi è il buio di una vita che non vale più la pena di essere vissuta.
Smetti di ribellarti al destino infausto, smetti di sperare in un miracolo. E ti lasci andare.
 
Ed il mondo diventa tenebra.

 

 
***
Ok, diciamo pure che ho attrezzato casa mia per l’assedio che mi aspetta dopo questo capitolo. Ma era cominciata così, con Loki al patibolo, quindi era improbabile che riuscisse a salvarsi…è stato però divertente analizzare come ci fosse arrivato e perché.
Spero che il suo discorso non sia stato troppo noioso, ma la tanto agognata verità doveva arrivare, specie sull’ultima parte del suo piano. Mi auguro anche di non essere andata eccessivamente troppo OOC con Loki, ho provato a mantenerlo il più fedele possibile all’originale J
Bene, allora ci vediamo la settimana prossima con il nostro ultimo –sigh- appuntamento!
Perché c’è ancora qualcosa da dire, nonostante tutto ;-)
Bacio e buona domenica!

 

 

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Capitolo 28
*** Perdono ***


Let's start over again
Why can't we start it over again
Just let us start it over again
And we'll be good
This time we'll get it, get it right
It's our last chance to forgive ourselves

Muse – Exogenesis Symphony Part.III Redemption
 
[Ricominciamo da capo/perché non possiamo ricominciare da capo?/diamoci la possibilità di ricominciare da capo/e staremo bene/ questa volta faremo le cose giuste/ è la nostra ultima possibilità di
perdonare noi stessi]

 
Quando riapro gli occhi mi trovo disteso su un soffice manto erboso, ai piedi di un albero dalla folta chioma. I rami mossi dal vento proiettano giochi di luce ed ombra sul mio viso.
Tutto è così calmo e tranquillo, avvolto da una coltre dalle sfumature iridescenti…
Sollevo il capo e realizzo dove sono, stupito.
Sono ai piedi di Yggdrasill.
“Finalmente ti sei svegliato” Urðr è in piedi vicino a me e mi tende una mano per aiutarmi ad alzarmi. La prendo tirandomi su, ancora confuso da ciò che sta succedendo.
“Io sono…”
“Sì, sei morto” conferma lei.
“Allora perché sono ancora qui?”
“Perché c’è un’ultima faccenda in sospeso che io e le mie sorelle dovevamo portare a termine. Ma ora vieni con me, c’è qualcuno che è veramente ansioso di vederti” mi risponde sibillina accennando un sorriso.
Seguo la donna dai capelli grigi fino ad un punto tra la fonte ed il loro arazzo.
Scorgo le figure di Verðandi e Skuld intente a tessere, ma c’è un’altra presenza con loro.
Capelli dorati che ricadono in una massa opulenta sulle spalle, il corpo flessuoso avvolto in una lunga veste bianca che le dona un’aria eterea e leggera, occhi azzurro ghiaccio che incontrano i miei. Le sue labbra si aprono in un sorriso radioso, Gil muove passi veloci verso di me, facendo un cenno di saluto con la mano.
“Ti stavo aspettando” dice fermandosi a pochi centimetri da me.
“Ti ho raggiunta”
Continua a sorridermi ma la domanda nasce spontanea sulle mie labbra.
“Ma come abbiamo fatto a rivederci, noi siamo…”
“Sì” mi interrompe “Siamo morti”
“Ragazzi vi prego avvicinatevi, mi innervosisce avervi alle spalle” si fa sentire Skuld.
Gil mi prende per mano e mi conduce dalle Nornir, facendomi sedere di fronte a loro su un tappeto di foglie cadute.
“Vi starete chiedendo perché siete qui e non siete già passati dall’altra parte” esordisce la dea del presente distogliendo un attimo i suoi occhi ambrati dalla tessitura.
“Ebbene, siamo qui per raccontarvi una storia, una storia che ha unito te, nato Jötunn, e te, Gillian di Midgard” continua la dea del futuro.
“E così, Skuld, il nostro non è stato un incontro casuale” sottolineo indicando prima me e poi Gil.
“No, è stato deciso dal Fato per riportare indietro la divinità perduta” replica lei.
 
Con un cenno del capo io e la dottoressa le sproniamo a cominciare il loro racconto.
 
“Dovete sapere che molti secoli fa, prima della vostra nascita, alla corte di Odino vi era una divinità chiamata Eir(*). Appartenente alla stirpe degli Æsir, Eir era nota tra le file delle valchirie per la sua abilità di "scegliere i morti" dal campo di battaglia e di risvegliarli. Potete ben immaginare come questo suo talento fosse ricercato da tutti, così Odino, per mettere al sicuro la giovane, la mandò su Midgard, rendendola umana, ma non privandola dei suoi poteri. Eir visse tranquilla in un villaggio della penisola scandinava per due decadi, si sposò e partorì due bambini, un maschio, ed una femmina alla quale trasmise i suoi poteri di guarigione. Purtroppo la dea fu accusata di stregoneria dalla gente del paese nel quale viveva e venne arsa sul rogo. Ma sua figlia riuscì a fuggire” racconta Urðr.
“Fu allora che venimmo a conoscenza della profezia” continua Verðandi “La profezia diceva che un figlio di Odino avrebbe riportato la divinità perduta alla sua dimora e lei avrebbe contribuito alla sua salvezza. All‘inizio pensammo che fosse stato prescelto Thor per questo compito e che la ragazza in questione fosse la midgardiana Jane”
“Ma c‘eravamo sbagliate. Il prescelto eri tu, Loki. E Gillian…tu devi avere dentro di te il maggior potenziale magico da generazioni. Vedete, il potere di Eir si trasmetteva soltanto alle discendenti donne e tu con la tua professione di medico hai coltivato il tuo dono. Sei la sua reincarnazione all’apice dello splendore”
“Ma io non ero capace di salvare tutti i miei pazienti, né tantomeno di resuscitare i morti…” replica lei al commento di Skuld.
“I tuoi poteri hanno cominciato ad attivarsi maggiormente quando hai incontrato Loki, stimolati dalla sua magia. Quella sensazione che ti spingeva verso di lui perché se l‘avessi conosciuto avresti scoperto qualcosa di importante, il fatto che tu sia riuscita a salvarlo dopo che gli avevano sparato, il fatto che da allora tu sia riuscita a guarire anche i pazienti più gravi…era questo. Loki aveva il compito di liberarti dal tuo involucro mortale e riportarti a casa”
Gil soppesa le parole e fa un cenno di conferma con il capo.
“È vero, da quando l‘ho incontrato e ci siamo cominciati a conoscere la mia percentuale di successi nelle operazioni è aumentata. Per non parlare del fatto che ero capace di scoprire una sua bugia ad un chilometro di distanza” mi da un leggero colpo con la spalla.
“Quindi ciò che state provando a spiegarci è che lei sarebbe dovuta ugualmente morire per poter tornare ad essere una dea? Che razza di destino è questo?” esclamo nervoso scattando in piedi. Mi sento pervaso da una frustrazione mista a rabbia che mi irrigidisce le membra. Mi costringo a calmarmi, anche se mi sento preso in giro. Comprendo che tutto questo non è stato altro che un piano nel piano: cercando di mettere Gil in salvo l’ ho invece condotta esattamente verso il suo destino. Ed è stato proprio a Skuld che avevo chiesto consiglio! Lei sapeva già tutto ma la cosa doveva apparire come una mia scelta disinteressata…ed è stato così.
“Lei doveva tornare tra noi e tu hai ottemperato al tuo compito, dio del caos” replica inacidita “Quante cose hai imparato durante il tuo soggiorno su Midgard? Puoi ancora considerarti la stessa persona di prima? Senti che qualcosa è cambiato in te, Loki? Lo sai che è così, altrimenti non mi avresti chiamata per chiedermi un consiglio, e non avresti scelto di tentare il tutto per tutto per salvarla. Per quanto tu possa sentirti raggirato pensa che in realtà hai compiuto un’azione degna di rispetto” mi rimbecca la dea del futuro. Gil inclina il capo verso di me, posando le mani sulle ginocchia e sorridendo.
“A questo proposito, adesso che abbiamo messo un punto a questa strana faccenda della divinità, alla quale mi riesce ancora così difficile credere, vorrei parlare con Loki. Posso?”
“Certo” risponde Urðr pacata, evidentemente intenzionata a placare il battibecco tra me e Skuld. Mentre aiuto Gil ad alzarsi le sento borbottare qualcosa come “Quel piccolo impudente non mi è più così simpatico”.
Pazienza, me ne farò una ragione.

 

 
***

 


Io e Gil camminiamo attorno all’albero del cosmo tenendo le dita intrecciate, quando lei lascia la presa e si posiziona con la schiena contro la corteccia.
“Sai” esordisce “Mi piace qui. Non provavo una tale sensazione di quiete da così tanto tempo. Mi riesce così strano pensare di essere una dea…non so, credo che sia una cosa alla quale devo abituarmi. Tu invece, devi essere già abbastanza allenato, vero? Sei Loki, il dio degli inganni” quelle ultime parole dette con tono giocoso mi portano a distogliere lo sguardo, irrigidendomi. Sento di doverle dire qualcosa.
“Gil, io…”
“Shhh” si scosta dall’albero posandomi le dita sulle labbra “Non c’è bisogno che tu dica niente, ho sentito tutto. Mentre ero intrappolata in quel limbo tra la vita e la morte, sono riuscita ad ascoltare la tua confessione. Io non ti odio per ciò che mi hai fatto, Loki. So che stavi provando a salvarmi, semmai odio ciò che per anni hai fatto a te stesso, questo tuo trasformarti in una creatura senza cuore” scosta le dita dalle mie labbra, abbassando lo sguardo e cominciando a giocare nervosamente con un lembo della sua veste. Indago i suoi gesti, comprendendo che sta cercando di dire ancora qualcosa, infatti sembra scuotersi dall’imbarazzo e ricominciare a parlare. Ed io mi scopro ansioso di udire le sue parole.
“Io ho desiderato di potermi svegliare solo per poter rispondere alla tua domanda, ma ero troppo debole che alla fine beh…hai visto com’è andata. Quindi, se vuoi, chiedimelo di nuovo” smette di torcersi il vestito e con un gesto gentile mi passa le dita sulla guancia con un tocco lieve. Ha uno sguardo così limpido e sereno che sento la mia tensione scivolare via piano, trovando la forza di rifarle quella domanda alla quale non avevo ricevuto risposta.
 
“Puoi perdonarmi?”
Lei sorride “Sì Loki, io ti perdono”
 
Ed è in quel momento che sento qualcosa dentro di me ricompattarsi. All’improvviso mi rendo conto di star piangendo. Ne sono meravigliato ed insieme felice. Da quanto tempo non riuscivo a versare delle lacrime? Non lo ricordo. Pochi attimi fa provavo un’angoscia che mi serrava l’anima, traboccavo infelicità, mentre adesso si è fatto largo in me un caldo guizzo di liberazione. Il dolore è andato scemando, lasciando spazio ad un luminoso fuoco divampante costituito da una nuova forza pulsante nelle mie vene.
Rivedo scorrere davanti ai miei occhi una vecchia storia, taciuta troppo a lungo, e ad ogni immagine, suono, sensazione, il peso della mia anima lacerata dalle colpe, il fatto di essere un reietto, un mostro, viene sostituito da uno spiraglio di pace che si allarga sempre di più, una ferita sanguinante che da tempo mi lacerava l’animo e che è stata finalmente risanata da quelle parole.
Gil si fa avanti e mi abbraccia, mentre insieme le nostre lacrime si infrangono al suolo.
Lascio andare un lungo sospiro, finalmente mi sento leggero, libero, salvo.
“Guarda guarda, il mio ghiacciolino alla fine si è sciolto” scherza Gil asciugando con il pollice una lacrima sulla mia guancia.
“Sei tu ad essere la solita sentimentale” replico sarcastico, ridandomi un contegno.
“Sì, non sono cambiata di una virgola” si puntella i fianchi con le mani orgogliosa.
“Adesso sei una dea, devi comportarti come si conviene. Devi mostrare una forte tempra” la ammonisco.
“Oh no, io continuerò ad essere me stessa, con l’aggiunta di una marcia in più” mi fa l’occhiolino.
“Allora, cosa faremo adesso?” le chiedo dopo una breve pausa. Lei si stringe nelle spalle.
“Non lo so, suppongo potremo fare quello che vogliamo... Quale finale potrebbe esserci per Loki, il dio degli inganni ed Eir, la dea della salvezza?”
Dopo aver riflettuto brevemente le rispondo “Non ci sarà alcun finale, ci sarà un nuovo inizio”
“Non potevo chiedere di meglio” afferma lei prendendomi la mano e cominciando a camminare.
“Ah, comunque ricordo bene della notte a casa mia…sai, il bacio…” dice sottolineando l’ultima parola con finto disinteresse.
“Mi fa piacere che la tua memoria sia così efficiente” rispondo pacato, ma lei continua.
“…e così ho il sapore della salvezza e il profumo della libertà, eh? Mi hai fatto così tanti complimenti mentre ero incosciente…sei stato davvero carino!” esclama entusiasta.
 “Non so di cosa tu stia parlando” rispondo disinvolto, cercando di dissimulare il disagio creato dalle sue parole imbarazzanti.
Lei ridacchia stringendosi a me “Sei un bugiardo, ma mi piaci anche per questo”
Ed un sorriso spontaneo e sincero nasce sul mio viso.
 
Non so quale sia il destino finale delle nostre anime, forse dovremo attendere la fine del mondo, o andare incontro all’infinito, cominciando un nuovo ciclo.
Abbiamo un’eternità a nostra disposizione per scoprirlo, ed è davvero un lungo tempo.
È finito il tempo delle bugie, degli inganni, delle vendette.
È finito il tempo in cui non ero altro che un dio rinnegato, subdolo, falso doppiogiochista senza possibilità di redenzione, odiato ed evitato da tutti.
È finito il tempo del mostro dagli occhi colore del veleno, invidioso e vendicativo, folle ed assassino.
Adesso mi lascio alle spalle la mia vita d’ombra per camminare verso la luce che tanto desideravo.
Ho trovato un porto sicuro che non abbandonerò tanto facilmente.
Ho trovato il luogo al quale appartenere, dove poter ricominciare.
L’imperdonato ha finalmente trovato il perdono.

 

 
FINE

 

 
Note

(*)Eir -che significa "aiuto" o "misericordia" in norreno- è una dea della mitologia norrena. Le si attribuiscono tutte le doti dell'arte medica, della quale era anche nume tutelare, e in particolare di tutte le erbe medicinali; si narra che fosse addirittura capace di resuscitare i morti.
È una delle dee sulla montagna Lyfia. Era buona amica di Frigg ed è menzionata come una delle sue dodici damigelle. Essendo un grande medico, Eir è la patrona di tutti coloro che lavorano nella medicina. Si narra che rigenerasse la salute di tutte le donne che la cercavano e che insegnasse solo alle donne le sue tecniche segrete. Per questo solo le donne potevano intraprendere la via della medicina nella Scandinavia. È soltanto accennata nell'Edda in prosa di Snorri Sturluson e in alcuni kenning.
 
(**) Per questo finale mi sono ispirata al mito di Líf e Lífþrasir. La leggenda narra infatti che al termine del tempo le forze del caos prenderanno il sopravvento, spezzando le loro catene. Guidate da Loki, daranno il via al Ragnarök, la battaglia finale tra la luce e la tenebra. Le due forze contrapposte si annienteranno a vicenda, distruggendo con loro l'intera creazione. Dalle sue ceneri, tuttavia, un nuovo mondo risorgerà, una nuova coppia originaria, Líf e Lífþrasir (salvatisi dal Ragnarök nascondendosi nel bosco di Hoddmímir o nel frassino Yggdrasill a seconda delle varie credenze), ripopolerà Miðgarðr, ricominciando così un ciclo di ascesa e decadenza.
 
***
“E così finisce qui questa commedia!” cantava il Genio della lampada di Aladdin.
Ebbene eccoci qua, siamo giunti alla conclusione di questa storia. Allora, ve l’aspettavate? Diciamo che non potevo lasciare le cose a quel modo, sarebbe davvero stato ingiusto, ed io non sono poi così perfida…
Dovete sapere che secondo la mitologia norrena, tutti sono parte di un piano predestinato, il Fato conduce chiunque esattamente dove vuole, ed è appunto ciò che ho immaginato per i miei personaggi: Loki ha voluto ribellarsi, ma ha ottenuto esattamente la reazione opposta, la libertà viene conquistata solo con la morte, quando il destino è ormai compiuto.
Spero che in questo periodo insieme abbiate apprezzato l’evoluzione che volevo mostrare del mio Loki, come da un ‘mostro’ sia potuto diventare una creatura meritevole di perdono.
Volevo che si potesse vedere oltre il matto che se ne va in giro per New York con i chitauri e che ha voglia di mettersi a conquistare a destra e a sinistra.
Come già detto, c’è una storia dietro ogni persona, ed io ho voluto raccontare la sua.
Se sono andata troppo OOC con il personaggio chiedo venia, ho fatto il possibile per mantenermi fedele all’originale Marvel e mitologico, non volevo mostrarvi un dio che fa piani alla cavolo, ma uno paziente e meticoloso, capace anche di mostrare un lato più umano.(o almeno quella era la mia intenzione XD)
Quanto al suo rapporto con Gil, ho volutamente mantenuto una situazione in bilico tra amicizia e qualcosa di più, molto ambigua; infatti come avrete potuto notare non ci sono grandi dichiarazioni di amore eterno, sarebbe stato fuori luogo e non era quello che avevo in mente, spero non ve ne abbiate a male.
Il finale è però aperto a tutte le possibili interpretazioni, quindi lasciate anche vagare libera la vostra immaginazione! Devo però avvisarvi che questa storia non avrà un sequel, questo sarà il mio glorioso (?) addio alle scene di The Avengers, dove resterò solo in qualità di lettrice.
A tutte/i voi che avete seguito, letto, preferito, ricordato la mia storia, vanno tutte le mie parole di gratitudine, sempre troppo poche per esprimere quanto io abbia apprezzato.
Bene, dopo questo enorme sproloquio, direi che posso anche lasciarvi il compito di sparare a zero su questo ennesimo parto della mia mente contorta. Attendo i responsi finali dai vecchi lettori, ed anche dai nuovi che incapperanno in questa fanfiction e vorranno lasciarmi la loro opinione :D
Se comunque avete apprezzato la mia storia e avete voglia di continuare a seguirmi, sappiate che sto per cominciare a lavorare ad un' originale per la sezione angeli e demoni, quindi…stay tuned!
Grazie mille ancora, di tutto.
La vostra affezionatissima
Jo
 

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