Another time

di llAmortentia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Another time ***
Capitolo 2: *** Il Sedicesimo compleanno ***
Capitolo 3: *** La bambina immortale ***
Capitolo 4: *** Fratello,amico,protettore ***
Capitolo 5: *** I licantropi portano guai ***
Capitolo 6: *** Sospensione ***
Capitolo 7: *** Colpo basso ***
Capitolo 8: *** Assestamento ***
Capitolo 9: *** Diario di prigionia ***
Capitolo 10: *** Riposo,soldato ***
Capitolo 11: *** Cuore pesante ***
Capitolo 12: *** Emmett. ***
Capitolo 13: *** Nuove paure ***
Capitolo 14: *** Prima guida ***
Capitolo 15: *** Benvenuta nel club! ***



Capitolo 1
*** Another time ***


Another time.

 
La morte è spaventosa, ma ancor più spaventosa sarebbe la coscienza di vivere in eterno e di non poter morire mai.” 
 
PREFAZIONE

Seth prese un sasso piatto dalla sabbia dove eravamo seduti, scaldati dal caldo sole di luglio, e lo lanciò nel fiume di la Push facendolo saltare gioioso tra le calme acque che si increspavano leggermente.
Il ragazzo mi lanciò un'occhiata non troppo convinta, ma dopo pochi istanti ritornò con lo sguardo su quella vasta distesa azzurra che sembrava infinita.
-"Non sto scappando da quello che sono, Seth. Vorrei solo prendere una pausa" presi un respiro e quell'inspiegabile senso di soffocamento si fece sentire, di nuovo.
Non era la prima volta che mi mancavano le parole per descrivere ciò che sentivo, non era la prima volta che avrei solo preferito non dover più muovere le labbra per dare spiegazioni.
-"Sai, da me, da tutte queste sfighe, da quest'immortalità. Vorrei essere normale, per un po'. Non dover sapere niente di tutto questo" continuai sconsolata abbassando la testa.
-"Allora andiamocene" propose lui d'un tratto. "Io e te, una meta sperduta. Non importa dove, ma saremo lontano da qui".
Continuai a setacciare la sabbia dalla mano sinistra a quella destra, trattenendomi dal confessare la mia intera vita.
-"Emily" mi chiamò dolcemente,dopo qualche minuto di silenzio e mi alzò il viso delicatamente,mettendo il mio sguardo in parallelo al suo "saresti disposta a prenderti una pausa e affidarti totalmente a me?" i suoi occhi brillavano, mentre mi ci rispecchivavo dentro.
-"Si,lo voglio" annuii sorridendogli.
 
 
 
Dietro le spalle di una ragazzina di 16 anni, incombe un tragico destino. Due realtà contrapposte si mescolano con la sua vita, e stare in bilico per non cadere nel suo segreto diventa sempre più arduo. Quale prezzo dovrà pagare Emily Sarah Black, figlia della primogenita di casa Cullen,  Renesmee, e del discendente di Ephraim
Black, Jacob, per restare in vita?
-Vi piace la storia? Fatemelo sapere con un commentino,non mangio nessuno!
 
BUONA LETTURA! :)
 
-Carols

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Capitolo 2
*** Il Sedicesimo compleanno ***


- CAPITOLO 1-


Era il mio sedicesimo compleanno,il mio sedicesimo anno di vita,ma la cosa non mi pesava. Avevo un buon rapporto con il tempo. Zia Alice aveva insistito,come sempre,ad organizzare una di quelle sue feste esagerate da dove è difficile scampare. L'avevo lasciata fare,mi faceva piacere vederla cocciutamente felice. Il pensiero di lei intenta nei preparativi senza l'aiuto delle sue visioni,poichè ero la perfetta combinazione tra due creature fuori dalla sua portata,era buffo.

-“Buon compleanno Emily!” canticchiò Alice abbracciandomi non appena varcai la soglia di casa Cullen.
-”Grazie zia Alice” risposi sporgendomi in avanti per ammirare i vari ornamenti in casa.
L'atrio era addobbato con ghirlande d'argento brillantinate attorcigliate ovunque. Alcuni palloncini colorati infestavano il pavimento rendendo la camminata difficoltosa e le scritte di buon compleanno erano praticamente ovunque.
-”Mamma mi aveva detto che avresti esagerato” le dissi ridendo.
-”Sciocchezze! E' stato difficile ma,è uscita bene” fece un piccolo movimento quasi impercettibile e mi afferrò il braccio.
-"Alla fine hai messo il vestito che ti ho consigliato" notò raggiante.
La parola 'consigliato' non era la più adatta al contesto. Mi aveva obbligato a indossare un vestito blu con la gonna ampia lunga fino al ginocchio. Questo capolavoro di vestiario era a mezze maniche in pizzo decorato.
-"Zia,adoro questo vestito" dissi lisciandomelo addosso "ma avrei preferito stare in jeans,mi sarei sentita più a mio agio" finii abbassando la testa imbarazzata.
-"Hai preso tutto da tua nonna devo dire. Sei la copia perfetta di Bella riguardo alla moda" disse esasperata.
Si sentì un risolino collettivo provenire dal piano di sopra che mi fece rimanere insospettita. Alice notando il mio corpo sporgersi automaticamente verso le scale,mi accompagnò.
Salii tutta la scalinata mentre Alice dietro di me iniziava a spingermi euforica. Quando girai l'angolo rimasi esterefatta. Tutti i miei parenti vampiri erano schierati davanti a me con sorrisi contagiosi e smaglianti.
-”Auguri Emily!” dissero quasi tutti in coro.
Ero felice,era da tanto che non li vedevo. E soprattutto era da tanto che non sentivo un atmosfera così calda nonostante i molti corpi freddi presenti nella stanza.
Ringraziai un po' imbarazzata per tutta l'accoglienza e iniziai a abbracciare tutti quanti.
Ero abituata al freddo delle loro pelli,non era una novità,perciò non mi feci problemi a stringerli.Capitarono,nelle tante morse fredde,un paio di braccia calde quasi roventi,così alzai lo sguardo e vidi tutto quello poteva mandare in tilt il mio cuore. Un ragazzo alto e abbronzato mi sorrideva con un sorriso accecante, da fare invidia alle stelle. Come non riconoscere il mio lupo preferito? Come non riconoscere il mio adorato Seth?
-”Buon compleanno principessa,scusa il ritardo ma..sai,il branco chiama” disse passandosi una mano tra i capelli imbarazzato.
-”L'importante è che sei qui e accidenti,che eleganza!” gli feci notare facendo un passo indietro per ammirarlo meglio.
Lui fece una smorifia “E' stata Alice” e sorrise di nuovo togliendomi il fiato. Solo dopo essere riuscita a riprendermi contraccambiai.
-”Dov'è papà?”
-”Jake sta arrivando,è andato a prendersi dei vestiti puliti” “e a prendere il tuo regalo” sussurrò quest'ultima frase giocando con le mie mani.
-”E che cos'è questo regalo?” cercai di persuaderlo
Sebbene fosse Maggio inoltrato nella stanza si sentiva lo scoppiettio del camino acceso coperto dai dialoghi degli ospiti. Erano tutti così concentrati nei loro discorsi che nessuno guardava né me né Seth e di questo fui felice.
-”Ovvio che no,non posso! Fai la brava stasera” mi sussurrò all'orecchio. Rabbrividii.
Feci appena in tempo a sorridergli che Esme si avvicinò a noi.
-”Cara è ora dei regali” mi strinse con delicatezza il braccio.
La seguii di malavoglia verso un tavolo poco distante dove erano ammucchiati pacchettini di ogni forma. Ne presi uno quadrato,incartato con una carta color azzurro acqua,il mio colore preferito.
-”E' solo un pensierino,niente di che” dissero sorridenti Carmen ed Eleazar “spero ti piaccia”.
Iniziai a scartarlo impaziente e curiosa ,ogni centimetro di carta sembrava essere stata appiccicata e questo non mi aiutava per niente.
-”Ehi grazie! E' fantastico” urlai euforica.
Tra le mie mani luccicava un braccialetto d'argento con un ciondolo nel quale era incastonato un piccolo diamante con inciso il mio nome. Carmen ed Eleazar mi sorrisero di nuovo. Passai al secondo regalo,era una scatola piccolina,forse la più piccola di tutte,così lessi il mittente: Bella e Edward. 
Perlustrai la stanza alla ricerca dei miei due nonni e infine li trovai vicino ai miei genitori. Tutti e quattro mi facevano cenni di saluto con la mano e sorrisi buffi. Risi della scena e ritornai a concentrarmi sulla strana carta nera. La agitai e dentro effettivamente c'era qualcosa. Li guardai perplessi, loro con un sorriso stampato in faccia mi incoraggiavano ad aprirlo. Ubbidii e scartai.
-”Delle chiavi?” chiesi confusa senza realizzarne l'utilità.
Le sollevai davanti agli occhi; Volvo.
-”No,non ci credo!” iniziai a saltellare sul posto. “una volvo,mi avete regalato una volvoo!”
Corsi verso di loro e li abbracciai mentre i risolini degli altri invadevano la stanza,Edward mi prese al volo.
-”E' veloce?”gli chiesi  eccitata
-”Altro che tesoro” disse con un ghigno
-”Non vedo l'ora di provarla,dov'è?”
-”Giù in giardino,seguimi” disse avviandosi alle scale e facendomi strada tra i miei parenti vampiri.
Mentre mi allontanavo dietro Edward incrociai Carlisle diretto dalla parte opposta. Aveva un aria preoccupata e triste. Perchè il giorno del mio compleanno?
Volevo saperne di più,così sgattaiolai vicino a lui per osservarlo meglio e notai una lettera nelle sue mani,meccanicamente la presi.
-”E' per me?” chiesi mentre stracciavo l'apertura
-”No Emily..” iniziò lui ma era troppo tardi.
-”Arriva dall'Italia!” osservai.
Riuscii a catturare tutta l'attenzione,tutti mi fissavano impietriti. Avrei giurato che avessero smesso di respirare se non avessi saputo che i vampiri non respirano.
-”Cara signorina Emily Black,solo poche ore fa abbiamo saputo di che giorno importante sia per lei e volevamo scusarci vivamente del ritardo.
Volevamo inoltre augurarle un buon compleanno e una vita lunga e felice. Sperando in un nostro incontro il prima possibile,i nostri saluti. Volutri.” finii rimanendo perplessa.

Alzai lo sguardo e feci una panoramica della situazione. Papà aveva abbracciato mamma che tremava,pallida come una foglia. Tutti si guardavano atterriti,come se si potesse ghiacciare un pensiero con delle occhiate. Un silenzio copriva l'allegria della festa,persino gli addobbi sembravano cupi in quell'istante.

-”Chi-chi sono i Volturi?” chiesi intimidita dalla loro reazione.
Volevo sapere,dovevo sapere! Chi erano i Volturi? Perchè erano così tanto temuti? Perchè quelle loro reazioni spaventate?
I Cullen si scambiarono un cenno d'assenso e mi guardarono,come se sei aspettassero comprensione da me. Forse si aspettavano che io capissi ma la cosa non avvenne. Il mio cervello era un calderone unico,stava scrivendo la ricetta senza conoscerne l'origine.

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Capitolo 3
*** La bambina immortale ***


-CAPITOLO 2-

Ancora nessuna risposta alle troppe domande che mi ronzavano per la testa e quella situazione non faceva altro che rendermi nervosa.
-”Chi sono questi Volturi?” ripetei rivolta a mia mamma.
Ma nessuno si degnava di guardarmi,erano tutti agitati troppo indaffarati per darmi retta.

-”Dobbiamo portarla via,non possiamo permettere che loro la tocchino.” propose Carlisle avanzando verso di me per prendere la lettera che ancora tenevo sospesa a mezz'aria.
-”Un'altra battaglia? Come l'ultima volta?” bisbigliarono tra loro il clan dei Denali con quello Egiziano.
Benjamin mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla.
-”Cosa potrebbero mai vedere da lei? E' un umana,non una bambina immortale e questo lo sanno anche loro”
Lo guardai sconvolta. Io non ero umana!
-”E' proprio per questo,non capisci? E' umana,sa troppo di noi.” replicò Zafrina.

Ero confusa e spaesata,e iniziavo ad aver paura. Tutte quelle affermazioni non facevano altro che farmi rabbrividire e la voglia di non aver mai aperto quella lettera mi colpì forte come un pugno in piena pancia.
Calò di nuovo il silenzio,tutti riflettevano sul da farsi perchè nessuno riusciva a farsi una ragione di tutto questo.

-”Ma io non sono umana” i miei pensieri divennero parola.
-”Ma nemmeno vampira. Credono che tu sia un pericolo” rispose Rose così affettuosamente,da rendere la frase tetra,ma aveva ragione: Non ero niente,nè una vampira,nè un lupo,nè un umana,in effetti. Ero un miscuglio,una cosa indefinita.
Abbassai la testa,quasi mi sentissi colpevole. Seth si avvicinò e mi strinse a se,appoggiandomi al suo petto caldo. Mi sentii un po' più protetta,ma i miei pensieri non smisero di tormentarmi. La visione di una guerra,una battaglia in piena regola con urla,vittime e distruzione; Non riuscivo a non darmene la colpa,se solo non fossi nata..! Edward mi guardò con aria assente. Probabilmente i miei pensieri avevano fatto breccia in lui,ma era troppo distrutto per parlare.

-”Troveremo una soluzione” mamma si fece sentire per la prima volta. La sua voce era bassa solenne come se quell'affermazione le costasse un certo autocontrollo.
-”Ci sarà un massacro,non ci salveremo questa volta.” sospirò Vladimir
-” O un combattimento epico” rise Stefan guardando Vladimir,che rise al pensiero.

Mi portai le mani a coprire la faccia,non desideravo altro che sparire. Seth strinse ancora di più la presa,forse mi avrebbe fatto male se non fossi stata così insensibile per la paura.

-”Non è detto che moriremo” dissi prendendo un po' di coraggio,il poco che mi era rimasto.
-”Sai chi sono i Volturi Emily?” ghignò Emmett senza euforia.
-”No..ma beh,se mi vogliono conoscere che vengano a prendermi” dissi tranquillamente.

Cos'era questa inspiegabile tranquillità? Forse non riuscivo a digerire la situazione?
-”No!” esclamarono in coro mia madre,Esme e Seth.
-”Non se ne parla. Loro non vogliono solo conoscerti,tu non sai di che cosa sono capaci” continuò Bella.

Si poteva percepire la tensione nell'aria,quasi toccarla. Ed era tutta colpa mia.

-”E' colpa mia,io..” mi mancarono le parole per finire,un futuro troppo orribile mi si parò davanti.
Renesmee ricoperta di sangue,Jacob sopra di lei. Le testa di Rosalie staccata dal corpo,con gli occhi che guardavano ma non riuscivano a vedermi. Fiamme che divoravano gli alberi e io in piedi,inerme e incredula.
Guardai ancora nonno Edward terrorizzata,lui fece un respiro profondo e devastato mi rivolse due pietre in faccia. I suoi occhi potevano essere paragonati ad un buco enorme dove noi tutti saremmo sprofondati dentro.

-”Bene! Il branco ci sarà,come l'ultima volta.” disse mio padre lanciando un occhiata a Seth che sentii annuire.
-”Non ho paura dei vampiri” conclusi alzandomi in piedi.

Jacob mi sorrise appena. Tutti i vampiri mi guardarono increduli forse perchè non si sarebbero mai aspettati che una ragazzina avrebbe combattuto. Ma dovevo farlo,per il bene della mia famiglia dopotutto era colpa mia se eravamo in quella situazione. Uscii dal salotto velocemente sotto gli sguardi dei 20 vampiri dagli occhi dorati. Avevo bisogno un po' d'aria,forse la mia ultima boccata d'aria.
Mi fermai in cortile dove riuscivo a scorgere la mia volvo nera laccata e sorrisi del regalo. Era incredibile. Poche ore avrei desiderato vedere quell'auto a costo di picchiare qualcuno,ora l'avevo lì,a 3 metri di distanza e l'avevo degnata solo di uno sguardo.

-”Non mi guardare così! Non sei tu quella in pericolo” sussurrai al mio regalo.

Se la mia vita non fosse stata più importante ci sarei salita immediatamente. Distolsi i pensieri dalla tigre nera che mi guardava e fissai la foresta nelle tenebre. Mi sarebbero venuti a prendere,sicuramente. Da quello che avevo sentito i Volturi erano vampiri pericolosi,l'unica cosa che non riuscivo a capire era il perchè. Sentii dei passi avvicinarsi e mi misi all'erta. Quei passi si fermarono e qualcosa si sedette vicino a me sui gradini di casa.

-”Emily,tutto bene?” mi chiese una voce familiare
-”Si Seth,sto bene”
-”Io non riesco a capire” continuai “perchè i Volturi cel'hanno con me? Perchè tutti hanno paura di loro?”
Seth rimase in silenzio per qualche secondo,poi sospirò. Forse avrei avuto qualche informazione.
-”E' successo tutto quando tu non eri nata. Tua madre era piccola e i Volturi ci hanno dichiarato guerra,in pratica,perchè pensavano fosse una bambina immortale.” mi guardò
-”Una bambina immortale?” chiesi confusa
-”E' una bambina che è stata morsa. Non cresce,ed è pericolosa,secondo loro. Potrebbe rivelare il segreto oppure non controllarsi al sangue umano.” mi prese la mano e iniziò ad accarezzarla dolcemente.

-” Ma Renesmee non è una bambina immortale,è cresciuta. E io non posso esserlo,insomma anche loro hanno detto che è il mio 16esimo complanno” iniziai a sbraitare senza controllare le parole che uscivano dalla mia bocca.

-”Lo so” riuscì a dire. Aveva la voce spezzata,debole.
Doveva essere davvero giù di morale,rivivere ancora la stessa storia non doveva essere facile per lui.

-”Ehi,tranquillo” gli dissi alzandogli la testa che aveva abbassato nel tentativo di nascondere la sua vulnerabilità. “nessuno mi farà del male. Ci sei tu,mamma,papà. E poi sono forte,lo sai”

Mi sorrise debolmente,quasi per darmi in contentino e si immerse di nuovo nei suo pensieri. Appoggiando la testa sulla sua spalla feci lo stesso,'sarà una nottata dura' mi dissi,mentre la poca allegria della festa del mio compleanno che mi era rimasta scomparve definitivamente.

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Capitolo 4
*** Fratello,amico,protettore ***


-CAPITOLO 3-



La mia casa sembrava più vuota e fredda di sempre. Le foto di famiglia invadevano ogni cosa rendendo più pesante la vista. Varcata la soglia Renesmee e Jacob mi guardarono intensamente. Riconoscevo quello sguardo,era lo stesso con cui guardavo loro. Ci fissavamo come se quello fosse il nostro ultimo istante insieme,una quiete dopo il cambiamento. Forse i protagonisti dei film non sarebbero stati capaci di imitarlo meglio. Camminai fino al salotto dove mi venne incontro Seth.

-”Ciao” gli dissi sorridente
-”Ti amo” disse trionfante.

Sorrise come se quella cosa fosse stata tenuta dentro per troppo tempo,sorrise come se se ne fosse liberato definitivamente.
-”Ti amo anch'io” risposi mentre mi avvicinavo a lui.

Lo baciai dolcemente,prima di perdere il controllo. Desideravo tanto immergermi nelle sue braccia e non uscirci più. La stanza diventò di fuoco,mentre anche io dentro bruciavo più che mai.
Il baciò terminò con un suo sguardo terrorizzato.

-”Devi scappare,stanno arrivando!”
I Volturi stavano arrivando per prendermi,quanto tempo mi restava? Dov'erano finiti mamma e papà? Dovevo avvisarli. Girai la casa un paio di volte prima di mettermi a correre disperatamente. Iniziarono a sgorgarmi lacrime e la mia vista si annebbiò rallentandomi.

-”Mamma,papà?” mugulai in preda a una crisi di pianto
Ma non risposero,nessuno dei due fece un suono,la casa sembrava deserta.
Qualcuno bussò alla porta e andai ad aprire la porta. Due figure nere iniziarono ad avanzare verso di me,tutte e due con gli occhi rossi iniettati di sangue. Mi rannicchiai su me stessa nel tentativo di difendermi,uno dei due vampiri mi afferrò e un urlo squarciò il silenzio.
Aprii gli occhi di colpo e mi ritrovai nella mia stanza buia con la faccia piena di sudore freddo.

'Era solamente un incubo,per fortuna' pensai ancora scossa.

Feci per sedermi sul letto,ma qualcosa mi afferrò il braccio facendomi saltare dalla paura.

-”Hai fatto un brutto sogno?” la voce di Seth era turbata.
-”No,perchè?” gli mentii. Non avevo voglia che si preoccupasse per me.
-”Ti agitavi nel sonno” mi accarezzò il braccio lentamente.
-”Ho mangiato pesante oggi” sputai,come se questa scusa bastasse. “e comunque cosa ci fai qui? Papà ti staccherà la testa a morsi domani” lo rimproverai come se la sua presenza fosse sgradita.

-”Gli ho chiesto il permesso. Non potevo lasciarti da sola in queste condizioni,non stasera.”

-”Sto bene,davvero. Se i Volturi” rabbrividii solo a pronunciare quel nome “vogliono conoscermi,non c'è niente di male in tutto questo.”
-”Ma loro non ti vogliono solo conoscere” disse Seth stringendo la presa sul mio braccio “Loro non vogliono qualcosa di pacifico Emily,loro vogliono farci a pezzi,farti a pezzi!” continuò
-”Seth mi fai male!” gli feci notare cercando di liberare il mio arto dalla sua presa.
La lasciò all'istante e si allontanò di qualche centimetro. Sentivo il suo corpo vibrare,come se fosse percosso da milioni di scariche e tremori.

-”Scusa” mi disse a denti stretti.
-”Cambiamo discorso” proposi

Accettò la richiesta e si sdraiò accanto a me cingendomi con un braccio ancora tremante.

-”Mi spieghi ancora questa storia dell'imprinting?” chiesi cercando di scorgere il suo viso al buio.
-”Ancora? Sarà la 100 volta in 16 anni che me lo chiedi” rise
Rimasi in silenzio,n attesa di una sua risposta positiva. Rise di nuovo e iniziò a narrare.
-”Avere l'imprinting con una persona significa che dal momento preciso in cui la vedi lei diventa il tuo tutto” raccontava con tono fiero,facendomi sorridere ogni volta che enfatizzava su qualche concetto “non puoi fare a meno di questa persona,poichè lei diventa il tuo cuore,il tuo respiro,la tua aria. Diventa il tuo tutto e tu saresti tutto per lei,un fratello,un amico,un genitore,un protettore. E' questo l'imprinting,un legame a vita,un legame molto forte” terminò passandomi la mano sulla guancia e sorridendomi.

-”E tu hai avuto l'imprinting con me,giusto?”
-”Si,esatto” disse lui,continuando a sorridere
-”Quindi sarai il mio protettore,fratello,amico e genitore per sempre?” chiesi stuzzicandolo
-”Si,per sempre”

Iniziai a fargli il solletico sulla pancia e mi accorsi che non aveva la maglietta. Smisi subito diventando rossa. Seth mi prese e mi buttò sopra di lui facendomi anche lui il solletico,toccandomi leggermente.

-”Adesso mi vendico! Altro che protettore,sei da rinchiudere in cattività” scherzò mentre le mie risate miste a urla riempivano la mia camera interrompendo il silenzio notturno.

Mi buttai giù dal letto per sfuggire alla sua presa e mi avvicinai alla finestra,rannicchiandomi e lo fissai mentre era ancora sul letto con il respiro corto con gli occhi fissi sui miei. Gli sorrisi e lui ricambiò.
Non avrei mai desiderato un protettore così speciale,gli volevo bene,un bene infinito. Ma forse,la parola fratello non era abbastanza,forse la parola amico,non era associato a quello che era per me. Ripensai al mio sogno,quel pezzettino che lo rendeva adatto per essere ricordato. Il bacio,il suo ti amo..forse non ci sarebbero mai stati. Mi sarebbe bastato?
E alle preoccupazioni di vampiri assetati di sangue pronti a uccidermi si aggiunse la preoccupazione di Seth. Ero innamorata di lui,oppure erano gli scherzi delle 5 di mattina?
Tornai a letto e mi accucciai di nuovo al suo petto. Chiusi gli occhi ormai pesanti e mi lasciai cadere in un sonno profondo mentre il calore della pelle del lupo nero mi faceva sentire a casa,protetta.



 

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Capitolo 5
*** I licantropi portano guai ***


-CAPITOLO 4-                 


La sveglia suonò,ributtandomi nella realtà. Avevo dimenticato di che giorno fosse,la scuola mi attendeva come tutti i lunedì mattina.
Mi stiracchiai cercando la mano di Seth,ma il letto era vuoto. Oltre il mio corpo non c'era nessuno a riempirlo. Mi rattristai un po' all'idea.
Misi i piedi giù dal letto e mi avviai verso la finestra di cui aprii le tende. Un timido sole cercava di farsi strada tra nuvole pesanti,un po' lo invidiavo. Era così temerario,pronto a sfidare qualcosa di più forte per compiere il suo dovere. Mi vestii con un paio di jeans e una felpa con il cappuccio e scesi a fare colazione. Come sempre la tavola era piena zeppa di cibarie varie,nonostante mia madre non toccasse nulla. C'eravamo io e Jacob a spazzare via tutto.

-”Buongiorno amore” mi salutò mamma baciandomi sulla fronte.
Le sorrisi raggiante anche se in cuor mio avevo un po' di domande da porgerle. Prima di tutte: Perchè si comportava come se nulla fosse? Avevo sognato la storia del mio compleanno? Ma non volli rovinare il buon umore che aveva,così ingoiai tutto il malloppo.

-”Emily oggi ti verrà a prendere Seth a scuola” disse mio padre impegnato a corteggiare delle frittelle e dei pancake che teneva sotto gli occhi.
-”Ah,perfetto” sorrisi

Trangugiai la mia colazione,sotto l'euforia della notizia appena udita. Seth avrebbe passato tutto il pomeriggio con me,grandioso! Come non esserne più felice?
Uscii velocemente,presi la moto e iniziai a guidare lungo il perimetro della foresta per raggiungere la Push. Papà aveva insistito a mandarmi dove la generazione Black aveva inizio. Era una scuola principalmente maschile,solo qualche eccezione era ammessa ed io ero una di quelle.
Ad alcuni non andava a genio l'idea che un ibrido come me mettesse piede a la Push,credevano che io fossi una traditrice del mio sangue. Arrivai all'entrata e parcheggiai la moto nera e rumorosa che Jacob aveva riparato per me.

-”Ehi Black,dove sono i tuoi parassiti? Ti hanno messo a digiuno?” una voce mi perforò il sistema nervoso.
Ecco,come dicevo prima. Alcune persone pensavano che non fossi degna di essere al mondo.

-”Sicuramente a dissanguare qualche branco di lupi,Dixon. Ma questo dovresti saperlo,non è stata mica trovato un tuo fratello?” gli risposi a tono mentre mi avvicinavo alla sua faccia sorridente. Jordan Dixon era un ragazzo alto,di corporatura massiccia che si divertiva e darmi nomignoli. Ero vicino a lui e sebbene si notava una certa differenza fra i nostri corpi non mi tirai indietro.

-”I Cullen ti hanno educata bene a quanto vedo. Hai pure il coraggio di scherzare.” mi alitò sul volto.
-” Vedo che Bob nella sua compagnia accetta anche pompati senza cervello,non l'avrei mai detto. Lo facevo meno..compassionevole” finii con un sorriso di sfida.
Discutere con un branco di lupi era sicuramente la cosa che preferivo di più al mondo dopo sfrecciare in moto lungo le strade di Forks.

-”Stai attenta a quello che dici” mi minacciò avanzando ancora di più verso di me,ma lo spazio che ci divideva era già poco.
Inarcai le sopracciglia mantenendo lo stesso ghigno. Cosa mi avrebbe fatto? Staccato la testa? Picchiato? Volevo proprio vederlo.
-”Tranquillo,per questa volta userò io il cervello al tuo posto..” borbottai andandomene.

Ma qualcosa mi afferrò lo zaino e la forza sovra umana mi fece girare. Senza che avessi il tempo di reagire mi ritrovai per terra con un dolore terrificante alla mascella e un fastidioso sapore di ferro in bocca mi portai una mano alla bocca e un velo rosso copriva la mia mano. Mi aveva dato un pugno,mi aveva dato un pungo! Mi alzai lentamente da terra,fulminandolo con lo sguardo. Il suo corpo tremava,ma non sembrava esserne preoccupato,anzi. Sul suo volto un sorriso di sfida misto a soddisfazione dovuta alle tante persone contagiate da risolini che si erano create intorno a noi.

-”Brutto cane che non sei altro!” gli urlai e automaticamente mi proiettai contro di lui presa da un'insolita rabbia adrenalinica.
-”Botte,botte!” incitavano gli spettatori eccitati.

Le risate aumentarono così come il mio nervosismo. Mi ci buttai quasi sopra e gli tirai quanti più pugni potei prima di accorgermi che non avevano prodotto niente. Dixon era ancora in piedi,nessuna espressione di dolore segnava il suo volto tutt'altro. Il suo sorriso si aprì di più e non ci vidi più. Gli sputai sulle scarpe,che si macchiarono anche di rosso per via della botta di prima.

-”Uoohohh” si sentì esclamare dal pubblico.

La faccia del grande ragazzo che mi stava davanti si trasformò. Il ragazzo che un attimo fa rideva ora mi guardava con occhi da bestia e come un armadio gigante durante un terremoto iniziò a tremare spaventosamente. In un batter di ciglia mi ritrovai davanti un grosso lupo nero di cui il ringhio sarebbe riuscito a far venire la pelle d'oca a chiunque. Indietreggiai mentre qualche sano di mente tentava di calmare il cane che procedeva inesorabile verso di me.

-“Black,subito nel mio ufficio” mi ordinò il preside facendosi strada tra la folla di studenti. E prendendomi per una manica della mia felpa macchiata di sangue guardò l'ammasso di peli che si ritrovava davanti che piano piano iniziava a calmarsi. “Dixon,rivestiti. Informerò i tuoi genitori di questo,stanne certo.”
Il signor Wilson non si era mai trasformato in pubblico,ma sospettavo fosse anche lui un licantropo altrimenti come altro faceva ad avere quella corporatura massiccia e a non scandalizzarsi per cose del genere? Afferrai il mio zainetto rosso al volo e mi lasciai guidare a strattoni dal preside.

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Capitolo 6
*** Sospensione ***


-CAPITOLO 5-



L'ufficio del signor Wilson era impeccabile,come sempre. Una decina di statuine erano perfettamente lucidate e messe in mostra nella vetrinetta dedicata ad esse. Jake mi aveva detto che il preside era stato,ai suoi tempi,bravo pugile o qualcosa del genere. La scrivania era di un legno liscio pitturato di verde,coperto di fogli ordinatamente impilati e cartelle anch'esse impilate una sopra l'altra. Le circolari ricoprivano la pareteIn tutto quell'ordine spuntava una targhetta d'oro con inciso 'Victor Wilson',il suo nome e una tazza di caffè a completare il tutto

-”Scusi il disordine” si scusò il preside.
-”Si figuri” tratteni un risolino.

Quello lo chiamava disordine? Non aveva mai visto la mia stanza,pensai.
Victor Wilson era un uomo alto e massiccio con una leggera barba incolta e dei capelli brizzolati. Portava un paio di occhiali rettangolari che gli davano un aria severa. Quanti anni avrebbe potuto avere? Mi chiesi curiosa,poi realizzai che non era il momento. Ero nei guai.

-”Si sieda” mi incitò indicandomi la sedia davanti alla sua scrivania mentre si accomodava.
Mi sedetti senza fiatare stringendo a me lo zaino. Non era colpa mia, glielo avrei spiegato tranquillamente.

-”Vuole un po' di ghiaccio?” chiese freddo come la proposta.
-”Ghiaccio per cosa?” chiesi perplessa.
-”Per la sua faccia,signorina Black.” bisbigliò con tono più che ovvio.
-”Oh,la botta..no,grazie” lo guardai fisso negli occhi anche io fredda.
-”Lo sa che è molto grave quello che è successo in giardino poco fa?” si tolse gli occhiali per lucidarli nella camicia a righe rosse che portava. “Rissa a scuola,rissa a scuola!” ripetè alzando gli occhi al cielo.
-”Non è stata colpa mia! E' stato quel can...ragazzo a cominciare” tenni a freno la lingua,non volevo andare ulteriormente nei guai. Dovevo sembrare rilassata e pacata.
-”Uno studente non si trasforma così per niente,deve perdere sul serio la calma.” mi fece notare
-”Beh,nemmeno io la perdo facilmente” dissi a denti stretti. Quel suono risultò più un ringhio e il preside mi squadrò.
Forse non sarebbe stato così facile stare al mio posto.
Alzò un sopracciglio “non sembrerebbe così”.
-”Posso andare ora?” chiesi gentilmente in tono di sfida
-”Certo che no,devo avvisare i suoi genitori dell'accaduto” rispose lui scettico prendendo un foglio e iniziando a scrivere.
Grandioso,che bella giornata! Mi portai le mani al volto e sbuffai,il Sig. Wilson alzò lo sguardo.
-”C'è qualcosa che non va,signorina Black?”
-”Vorrei andarmene a lezione,tutto qui” sputai ormai spazientita.
Grandioso non pensavo che arrivassi a dire che preferivo una lezione che stare fuori dalla classe.
-”Oh non credo proprio..Oggi lei è sospesa signorina. E questo varrà per i prossimi 2 giorni a partire da domani.” si rimise a scrivere sul foglio.
-”Cosa?!” urlai alzandomi dalla sedia
-”Si sieda prego e si calmi” suggerì ancora con la faccia sul foglio.
-”No,io non mi calmo! Sig. Wilson non è stata colpa mia! Quell'imbecille mi ha aggredito,mi ha dato della traditrice del mio sangue,dell'ibrido!” finii con il fiatane per l'urlata colossale.

Il preside mi guardò calmo e abbassò gli occhiali per guardarmi bene. Il mio corpo tremava anch'esso,un caldo fuoco m'invadeva. Le mani mi prudevano,così le strinsi in un pugno e le appoggiai sulla cattedra.

-”Aspetti un attimo qui” mi disse tremendamente tranquillo.
Si alzò e uscì dall'ufficio chiudendo la porta.

Rimasi in piedi a bocca aperta a seguire tutti i suoi movimenti. Com'era possibile che fosse rimasto così calmo a quella dichiarazione? Perchè non me n'ero già andata? Chiusi gli occhi e respirai a fondo.
Dopo 10 minuti il sig.Wilson tornò in stanza.

-”Bene sigorina può andare. Si ricordi i 2 giorni di sospensione ci vediamo giovedì”
Lo guardai sconvolta,possibile che non avesse un briciolo di cuore?
-”Si,arrivederci” risposi con furia e preso il mio zainetto uscii dal suo ufficio sbattendo la porta.

I corridoi erano deserti per fortuna,così mi ci avventurai per raggiungere l'uscita.

-”Ehi Black,bei destri.” rise un ragazzo biondo che sostava all'armadietto.
-”Sta zitto” gli borbottai di rimando.
-”No seriamente” continuò il biondo rincorrendomi “hai una bella tattica. Ti andrebbe di venire a vedere il nostro club?”
Lo guardai scettica
-”Qui ci sono dei club?”
-”Si ovvio! Io faccio parte del Club BlueHit.”
La mia faccia sperduta lo incitò a continuare
-”Si tratta di lotta libera.” sorrise,come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-”Scusa ma,sai..ne ho già avuto abbastanza con i licantropi dopati” gli sorrisi indicandogli la mia mascella probabilmente fratturata. “facciamo alla prossima”

Mi allontanai dal ragazzo e proseguii ripensando alla proposta. Che scherzo era? Mi avrebbero ucciso sicuramente! Risi del mio corpo in un'ambulanza pieno di lividi.
Aprii la porta e sbattei contro qualcosa di duro.

-”Ahi” la mia mascella non aveva proprio tregua!
-”Emily,stai bene? Mi hanno avvisato di una rissa,ti hanno fatto male?”
-”Seth sto bene,solo una botta. Aiutami ad alzarmi” gli tesi la mano e lui mi aiutò.
-”Non si direbbe 'solo una botta'..fammi vedere” si avvicinò con il dito premendo lievemente sul livido che si stava espandendo.
-”AHI,SETH” mi ritrassi di colpo.
-”Scusa” si scusò “Tuo padre è furioso,meglio se ti riporto a casa!” continuò mordendosi il labbro.
-”Cosa? Hanno chiamato papà?” alzai la tonalità di voce nel panico.

Chiusi gli occhi e mi abbandonai al mio destino ingrato. Se proprio dovevo morire sarebbe stato per mano di mio padre e non me la sarei cavata con poco,sicuramente.

-”La moto?” chiesi riemergendo dall'immaginaria morte sanguinolenta notando che l'avevamo oltrepassata a furia di camminare
-”Torno a prenderla dopo,tranquilla. Tu sali in macchina”
-”Quanto vorrei essere sotto una macchina a questo punto” imprecai sconsolata mentre chiudevo lo sportello della jeep bianca arrugginita.

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Capitolo 7
*** Colpo basso ***


 -CAPITOLO 6-


La macchina rallentò e Seth spense il motore. Nel suo volto potevo leggere un misto di emozioni tra cui spiccavano ansia e dispiacere. La casa di Sam era tranquillamente al suo posto, mentre io ero agitatamente nel posto sbagliato. Durante il viaggio gli avevo raccontato cos'era accaduto,ne avevamo discusso e lui indignato mi aveva dato ragione.

-”Sono tanto nei guai con Jake?” chiesi guardando fuori dal finestrino.
-”Un po'” mi accarezzò la mano per attenuare la sua risposta.
-”Non puoi venire dentro con me?” gli volsi uno sguardo supplichevole.
Se fosse stato al mio fianco,per lo meno,Jake non mi avrebbe fatto a pezzi.
-”Temo di no. Tuo padre mi ha dato l'ordine” enfatizzò su quella parola “di andare a riprendere la moto” abbassò la testa mortificato.
-”Dovrò cavarmela da sola,perfetto” alzai gli occhi al cielo e scesi dalla macchina con molta energia,troppa forse poiché Seth ci restò dentro immobile.

Forse si era offeso,forse era solo preoccupato per me. Me ne importava poco in quel momento,mi aveva lasciata sola. Cosa diavolo pretendeva?
Mi incamminai verso il patibolo d'esecuzione,mentre dentro il mio corpo nessun organo voleva stare fermo. Gridavano tutti 'scappa!',ma come scappare da quello che avevo fatto? Mi sarei procurata solo altri guai.
Bussai timorosa alla porta prima di entrare.

-”Sam? Emily?” li chiamai ma nessuno rispose.

'Brutto segno Emily,brutto segno.' pensai mordendomi il labbro inferiore.

Avanzai incerta verso il salotto dove appena entrata vidi una folla radunata che mi aspettava con ansia. Sam,Emily,mamma,papà,e alcuni dei miei 'fratelli' lupi erano seduti sul divano,con occhi di rimprovero.
Mia madre non appena notò la mia mascella gonfia e livida sgranò gli occhi preoccupata e si addolcì leggermente. Abbassai lo sguardo intimidita e dispiaciuta. Jake si alzò per venirmi incontro,ma si fermò per ammirare fuori dalla finestra e scrutare il vuoto. Della sua espressione,che intravidi a mala pena,non riuscivo a prevedere niente,era duro,di pietra,un muro indecifrabile. Era la mia fine.

-”Mi ha chiamato la scuola” iniziò duro.
-”Lo so” risposi con un filo di voce
-”Ti rendi conto di quanto sia grave,Emily Sarah Black” pronunciò il mio nome per intero “un comportamento del genere?” si voltò verso di me distogliendo lo sguardo dal bosco lontano.
-”Si ma..”
-”Sei una Black,ricordatelo bene. I Black non sono bulletti della scuola che vanno in giro a fare risse” iniziò a scaldarsi.
Feci per dire qualcosa ma le parole non mi uscirono,ero pietrificata dalla paura e dal disgusto. Cosa aveva raccontato quell'idiota del preside? A cosa aveva creduto mio padre? Alla menzogna?
-”Emily quello che hai fatto è stato molto stupido e azzardato” mi rimproverò Renesmee con un pizzico di dolcezza nella voce. “Perchè l'hai fatto? Non ti abbiamo insegnato che alzare le mani non serve a niente?”
-”Mamma io,io non volevo. Mi ha insultato e io non ci ho visto più” misi le mani trai capelli mentre anche io cercavo di trovare una spiegazione al mio gesto di ribellione nei riguardi di Jason Dixon.
-”Sei una discendente di Ephriam Black,arrivi a la Push e infanghi il suo nome? Hai idea di quante generazioni ci siano state prima di te,prima di me? Non ti permetterò di rovinare tutto.”

Iniziò con la solita ramanzina,quella imparata a memoria sul 'manuale dei perfetti genitori',quella che non riesci a scampare indipendentemente dalla tua età. Dovevo mantenere la calma o avrei dato ragione al sig. Wilson. Perchè non mi davano retta?

-”Posso parlare?” chiesi scocciata dalla voce di mio padre.
-”No” rispose secco “sei in punizione per un mese”
-”Cosa?!” mi avvicinai a lui.

Un flashback mi colpì. Era la stessa cosa che avevo detto al preside! Il mio corpo iniziava a pizzicarmi e tenere a freno la lingua diventava sempre più un'impresa eroica.
In casa non volava una mosca; Solo il mio respiro affannato e quegli degli altri,sembravano regnare senza limiti.

-”Hai capito bene” puntualizzò e incrociò le braccia in segno di autorità.
-”Papà quello mi ha dato dell'ibrido! Mi ha detto che sono una traditrice del mio sangue” mi giustificai alzando la voce,ma Jake non voleva ascoltarmi.
-”Non uscirai per un mese,non vedrai Seth per un mese” iniziò con un elenco,come se lo avesse imparato a memoria.
-”Perchè devo pagare io le conseguenze se è stato quello stupido ammasso di pulci a iniziare? Pensi che io mi diverta a far scambiare la mia faccia per una bistecca?!” gli urlai addosso allo stremo.

La mia faccia iniziò a cambiare colore e a scaldarsi. Le vene del mio volto sembravano scoppiare,le potevo sentire ingrossarsi sempre di più dallo sforzo.
Jake si girò e non ci pensò due volte prima di colpire con una manata lo stesso lato 'scassato' dall'altro lupo.
Mi ritrovai di nuovo a terra con la testa che girava terribilmente dal doppio dolore. Perchè oggi ce l'avevano tutti con la mia mandibola? Non c'era scritto 'colpitemi,tanto non sento nulla!'
Sentii,in quella poca lucidità mentale che mi era rimasta,mi madre trattenere il respiro e scattare velocemente verso di me per proteggermi.

-”Avevi promesso che non l'avresti fatto!” urlò indignata guardando Jacob con gli occhi lucidi.

Papà ci osservava,tremante senza trovare una parola.
Lo immobilizzai con lo sguardo e sostenni le sue occhiate,carbonizzandolo.

-”Andiamo a prendere del ghiaccio,vieni” mamma mi aiutò ad alzarmi.

Con la guancia che pulsava dal dolore lanciai un'ultima occhiata all'uomo che mi aveva creata,maledicendo il giorno in cui aveva progettato una mezza di niente.

'Grazie per avermi ascoltato e difeso' gli rinfacciai mentalmente.
Mamma agitata mi trascinò in cucina,da dove non uscii fino a quando non si fu accertata che la mia mascella non fosse rotta.

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Capitolo 8
*** Assestamento ***


 -CAPITOLO 6-


Quella sera a cena,l'atmosfera era avvolta nel silenzio con qualche cenno di rabbia e tensione. Non si sentiva altro che il tintinnio delle posate che sfioravano il piatto e lo scrocchiare del cibo sotto i denti; nessuno se la sentiva di parlare.
L'orologio scoccava ogni secondo che passava,spostando la propria lancetta lentamente.
Sgattaiolai in camera mia non appena ebbi svuotato il piatto,dovevo rifugiarmi in un posto sicuro e pensare un po'.
Dopo essermi chiusa a chiave mi buttai sul letto. Da lì si potevano ammirare le pareti di un viola spento tappezzate di poster e scritte,poiché quel colore spento mi dava un'aria malinconica. L'anno scorso l'avevo abbellita un po' con qualche graffito e a mamma e papà la cosa non era piaciuta. Dicevano che avevo rovinato il lavoro di un estate passata a imbiancare. Davanti al letto,su una scrivania nera,poggiava un computer bianco con stampante annessa. Quello era stato il regalo per il mio 14esimo compleanno da parte dei miei zii,Emmet e Rosalie. Papà era contrariato all'idea, sosteneva che mi avrebbe fatto diventare ritardata a quell'età,ma il motivo secondo me era un altro; A Jake non andava a giù l'idea che i Cullen spendessero soldi per sua figlia,non gli andava di sentirsi..inferiore,forse? Chiusi gli occhi dal disgusto. 'Inferiore a che cosa?' pensai furiosa. Hanno anche loro tutto il diritto di farmi un regalo,no? Perchè doveva essere tutto così complicato? Perchè tutti mi detestavano e dovevano per forza rovinarmi la vita?

'Non hai fatto assolutamente niente!' ruggì il mio ego.

Eppure mi odiavano tutti.. Aprii di scatto gli occhi presa da una collera incontrollata e mi alzai velocemente tanto da farmi venire un capogiro,ma nemmeno quest'ultimo riuscì a calmarmi. Tirai un calcio alla scrivania che si spostò di qualche centimetro. La voglia di urlare inondava il mio corpo salendo sempre di più,riuscendo quasi a tenere testa al dito del piede destro che pulsava. Urla soffocate raschiavano la mia gola prepotenti dalla voglia di uscire. Qualcuno alla porta bussò ma non mi curai di rispondere avevo di meglio da fare,ma il bussante non dava segno di cedere così mi rassegnai e andai ad aprire.
Mio padre restò sulla soglia guardandosi attorno,spaesato.

-”Ho sentito dei rumori e sono venuto a vedere se stavi bene” spiegò avanzando.
-”Da quando ti interessa se sto bene o meno?” gli chiesi pungente guardandolo in faccia
-”Smettila” alzò gli occhi al cielo “sempre,da sempre. Sei la mia..bambina.”

Cosa udivano le mie orecchie? Ma se non sapeva nemmeno qual'era il mio piatto preferito!

-”Questo pomeriggio non sembrava così” gli diedi le spalle e finsi di cercare qualcosa nel cassetto.
Volevo solo che se ne andasse,volevo rimanere da sola. Perchè tutti mi tormentavano?
-”Ti fa ancora male?” cambiò discorso dopo una breve pausa.
-”Tu che dici?” lo sfidai
Sollevai la testa immersa nei vestiti e gli lanciai un'occhiata di sfuggita.

Jacob si guardava ancora intorno spaesato mentre una ruga gli attraversava la fronte dandogli un aria concentrata. Probabilmente si stava preparando un'altra ramanzina da farmi sull'essere responsabili,tenere in ordine la camera e blablabla.
Prese in mano i cd messi in fila sullo scaffale vicino all'entrata e iniziò a leggerne i titoli. La sua espressione mutava da 'questa roba è orribile',a 'passabile',a 'hai dei buoni gusti'.

-”So che è un periodo difficile..l'adolescenza..il tuo corpo sta cambiando,il tuo carattere e..” iniziò ma lo interruppi bruscamente.
-” Se è mamma che ti ha mandato qui potresti farmi il favore di andartente?” il mio tono era secco e autoritario o meglio glaciale. Si,glaciale: Un iceberg sarebbe stato più morbido e più caldo.
-”Sto solo cercando di fare il padre!” mi rinfacciò lui “ma tu non me lo permetti più”.
-”Forse ho preso da qualcuno,papà!” gli feci notare sarcasticamente.
Mise giù i cd e si avvicinò al margine invisibile che mi ero creata per stargli lontana.
-”Perchè?” chiese esasperato.
-”Perchè,cosa?” il mio tono era un misto di irritazione e confusione.
-”Bevi alcolici?” chiese insospettito
-”No” risposi confusa doppiamente.
-”Frequenti cattive compagnie?” alzò un sopracciglio
-”Cosa?” risi esaspetata
-”Ti droghi?” chiese anche lui confuso
-”No!” eruttai come un vulcano “e ora se il tuo interrogatorio è finito,ho da studiare” dissi snervatamente mentre mi avviavo alla porta,facendogli segno di uscire.
Ma lui non dava segno di volersene andare,ma si impuntò e rimase fermo dov'era.
-”Solo un'ultima cosa” mi disse lui

Gli lanciai un'occhiatina incoraggiante. Tutto pur che se ne andasse.

-”Domani alle otto ti porterò da Emily. E' la tua punizione,ma te la spiegherà lei domani.” continuò con voce ferma e aspra.
-”Ok” riuscii a rispondergli freddamente prima che mi rendessi conto che aveva lasciato la stanza.

La mia camera rimase calma e rilassata mentre le ultime ore di sole svanivano dietro gli enormi pini verdi. Aprii la finestra e un'aria calda e umida mi accarezzò il viso,annusai l'aroma degli alberi. Erano un misto di muschio,mugo e erba fresca. Così come la notte si preparava a calare,anche io mi preparavo all'imminente punizione di cui mi aveva parlato poco prima mio padre. Non sapevo se preoccuparmi o meno,poichè Emily era una sorpresa unica. Mi avrebbe portato a tagliare legna? A quello potevo sopravvivere.. pensai. Così lasciai vagare la mia immaginazione mentre pian piano la mia vitalità si spegneva e un sonno profondo mi abbracciava.

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Capitolo 9
*** Diario di prigionia ***



-CAPITOLO 8-

La mattina arrivò presto,forse anche troppo,perchè in quel momento il letto sembrava possedere una forte forza attrattiva. Ma non potevo dormire,dovevo scontare la mia punizione con zia Emily a la Push.
Nonostante tutte le motivazioni del mondo,le mie palpebre non davano segno di voler restare alzate,così per non addormentarmi durante il viaggio,iniziai a parlare con mio padre. Era davvero l'ultima sponda per riuscirci.

-”Cosa farò da Emily?” chiesi senza interesse.
-”Non lo so,quello che ti chiederà lei” rispose facendo terminare la conversazione.

Sbuffai scocciata dal suo tono e dal modo in cui mi faceva pesare la punizione.
Il sole splendeva già alto riscaldando ogni cosa. Tutto sembrava risplendere sotto i suoi raggi,che rendeva più bella ogni cosa. Le pietre ai bordi della strada sembravano brillare di vita e la strada creava quell'effetto lucido che ricordava tanto uno specchio d'acqua. Il fruscio del fiume segnalava che eravamo quasi arrivati alla riserva dei Quileute e dunque alla nostra meta; La casa di Sam.

Scesi dalla macchina con Jake e insieme ci avviammo verso la piccola scatola rossa che si intravedeva attraversando l'enorme prato verde.
Jacob bussò,aprì la porta e la tenne spalancata per farmi entrare. Rimasi basita del suo gesto.
'Da quando ti comporti da galantuomo?' pensai ridendo.

Lo sorpassai senza degnarlo di uno sguardo e marciai in direzione della cucina,dove vi trovai Emily,Sam,Leah,Paul e Quil. Da quando ero piccola molti componenti di questa grande famiglia si erano distaccati per seguire i propri amori o per essere solo indipendenti. Alcuni si erano creati famiglia da quanto ne sapevo,poichè non avevo loro notizie da un bel pezzo.
Il mio naso si riempì di aromi diversi; Dolci,pancetta,uova e caffè danzavano spensierati i fra i miei polmoni.

-”Ciao Emily” mi sorrise zia Emily con in mano un cucchiaio,mentre correva goffamente ad abbracciarmi.

La strinsi a me,e mi sentii stranamente bene. Emily era una donna bellissima,nonostante avesse una certa età; Il grembiulino che indossava,il suo viso solcato da rughe allegre,rughe di una vita vissuta e una grossa cicatrice che tentava di nascondere nonostante le avessi ripetuto miliardi di volte che tutto questo la rendeva ancora più bella,mi diedero il benvenuto. Lei sorrideva sempre alle mie parole,forse non troppo convinta della veracità di esse.
Zia Emily era sempre stata molto affettuosa nei miei confronti,riuscendo quasi a scavalcare il mio caratteraccio che tutt'ora mi perseguita. Il nome l'avevo ereditato da lei,Jake aveva deciso di chiamarmi così perchè quella parola rappresentava quasi tutta la sua infanzia,ed anche la mia.

-“Vuoi qualcosa?” aggiunse indicando il tavolo pieno zeppo.
-”Oh no,grazie! Ho già fatto il pieno” dissi battendo una mano sul ventre.
-”Ehi Emy,cos'hai fatto alla faccia?” mi stuzzicò Paul.
-”Seth ci ha raccontato che hai sbattuto contro un albero” rise Quil mordendo un muffin.
Gli feci una smorfia.

-”Dov'è Seth?” chiesi dopo essermi stancata dell'esplorazione.
-”Dorme ancora” rispose Leah non curante mentre imburrava una fetta di pane.
-”Diritto per il corridoio,terza porta a sinistra.” mi precedette Quil prima che potessi domandare qualcos'altro.
-”Grazie” gli sorrisi.


Iniziai l'avventura esplorando quella casa che conoscevo come la mia. Ci ero cresciuta dentro,ma Seth non mi aveva mai permesso di andare in camera sua,nemmeno in presenza di qualcuno. Attraversai il salotto e continuai dritto per il corridoio bianco come mi aveva detto Quil.
Allontanandomi dalla soglia,riconobbi che le pareti erano addobbate con quadri astratti e pergamene antiche,riguardanti la leggenda dei Quiluete. Più di una volta mi ci ero persa completamente dentro quelle storie. Billy era solito raccontarmele intorno al fuoco in autunno mentre dei marshmallows abbrustolivano su stecchi. Mi mancavano quelle serate con lui,mi mancava anche lui. Billy,purtroppo,ci aveva lasciato cinque anni fa per un tumore allo stomaco e ho il sospetto che papà da quel giorno non si fosse mai ripreso. D'altronde come me. Arrivai a destinazione: Quella doveva essere assolutamente la terza porta a sinistra,altrimenti la mia matematica doveva essere rispolverata. Entrai senza bussare,non mi andava di svegliarlo erano solo le 8 e 30 di mattina!

Così varcai la soglia furtiva,chiudendomi la porta alle spalle e feci una panoramica. Forse avevo capito perchè la sua stanza era rimasta un segreto fino ad allora. Quella cameretta era in condizioni peggiori della mia; Molti dei suoi vestiti ricoprivano una sedia sbattuta in mezzo alla stanza e da essa i restanti capi d'indumento cadevano dolcemente a terra. La scrivania era sommersa di sacchetti di patatine,biscotti e succhi di frutta. Mi stupiva il fatto che avesse un fisico così slanciato e snello,per tutto quello che mangiava doveva essere un ippopotamo dell'India! Detti un'altra occhiata e mi immobilizzai su una foto attaccata al muro,vicino al comodino. Raffigurava un Seth più bambino,sorridente come sempre,che reggeva una neonata infagottata in una copertina rosa. Da quel panno colorato sbucavano due occhi marroni scuro,curiosi della fotocamera. Ci misi qualche minuto per capire che si trattava proprio di me! Sorrisi di quella mia espressione buffa,cercando di ricordare per quale occasione era stata scattata. Ma non ci riuscii,forse ero troppo piccola per ricordarmi.. Mi convinsi di spostare la visuale su di un letto dove giaceva un corpo dormente. Seth respirava piano,regolarmente. Sonnecchiava a pancia in più con la testa rivolta verso di me,i suoi capelli nero corvino spettinati. Sul suo viso un'espressione beata percorreva tranquilla la bocca rosata. Il cuscino penzolava,minaccioso, di cadere e una coperta copriva quel che poteva del grande corpo del piccolo ragazzo che conoscevo come le mie tasche.
Era bello vederlo dormire,era bello lui e basta.

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Capitolo 10
*** Riposo,soldato ***


-CAPITOLO 9-


I minuti passavano,ma Seth non dava l'impressione di essere disturbato. Sinceramente iniziavo un po' a scocciarmi,volevo sentire la sua voce,volevo che mi rivolgesse uno di quei suoi sorrisi smaglianti.
Mi inginocchiai a lato del letto,in parallelo all'orecchioal suo orecchio e mi schiarii piano la voce. Restai in attesa con il cuore che batteva frenetico,ma il ragazzo non sembrava muoversi. Sbuffai.

'E se lo svegliassi strattonandolo?” pensai.

Ma i miei pensieri non fecero tempo ad attivare le mani che mi ritrovai subito con una mano appoggiata alla sua spalla calda. Adoravo quel suo tatuaggio che lo rendeva così simile agli altri, eppure allo stesso tempo così speciale. Tutti i Quileute erano riconoscibili da quel marchio,ma il suo,il suo era così unico. Feci scorrere avanti e indietro la mia mano,accarezzando il suo braccio per chiamandolo dolcemente. Seth aprì di scatto gli occhi e si butto su di me senza pietà. Finii a terra,con le braccia strette nella sua morsa d'acciaio,gli occhi assonnati stranamente sgranati. Mi guardava con aria giocherellona con un sorriso appena accennato che mi dava alla testa,ma dopo qualche secondo cambiò espressione.

-”Oh,scusa. Non pensavo fossi tu” si scusò aiutandomi a tirarmi su.
-”Figurati. Scusami tu dell'intrusione” gli sorrisi.

Mi sorrise anche lui,prima di arrossire notevolmente. Mi ero dimenticata che non aveva la maglietta ed era in mutande. Mi voltai dall'altra parte,anche io rossa in faccia,cercando di tenere a bada fantasie varie e la voglia di sbirciare. Ma era come nascondere un pacco di Natale ad un bambino, quasi da far piangere il cuore. Mi rigirai e lui era già vestito.

-”Già fatto?” lo stuzzicai sorridendo per alleviare l'imbarazzo.
-”Già fatto” mi ribadì raggiante.

Si avvicinò e posò una mano sulla mia guancia,accarezzandomela dolcemente.

-”Si è gonfiata ancora di più” notò preoccupato.
-”Mamma dice che non è rotta” feci spallucce.

Forse ero grata di questo,ero grata di non avere la mascella rotta. Non per il dolore, non per le conseguenze; Non volevo che Seth reagisse male, non volevo che Seth perdesse il sorriso.

-”Qualcuno si è svegliato di buon umore a quanto vedo” dissi cambiando argomento.
-”Con un risveglio così? Non chiedevo di meglio” mi scompigliò i capelli e mi passò un braccio intorno al collo. Camminammo fino alla cucina semi abbracciati,poi sciolse il gesto dolce come il miele appena vide mio padre. Del resto come si poteva rimanere in quelle condizioni sotto le occhiate infernali di Jacob?

Mi sedetti di fronte a Seth e tendendo sollevata la testa con una mano,mi incantai a guardarlo ingurgitare più roba che trovava. Un muffin dietro l'altro cadevano nelle sue fauci riducendosi in poltiglia e tra una pausa e l'altra il ragazzo dalla fame da lupo, trovava il tempo per accennarmi qualche sorriso. Dio
quanto era..

-”Emily!” mio padre alzò la voce spazientito.
-”Si,che c'è?” gli chiesi ripiombando nella realtà.
-”Ricordati che sei in punizione e non puoi uscire. E che alle venti e trenta ti verremo a riprendere,ok?” mi ribadì per l'ennesima volta.
-”Si papà,ho afferrato il concetto” gli riposi secca.

E tornai ad occuparmi di quella visione perfetta che mi sedeva davanti. Sentii sbattere la porta,segno che Jacob aveva lasciato l'abitazione.

-”Cosa vogliamo fare oggi?” chiesi a Seth saltellando allegra sulla sedia. Una giornata con lui,cos' altro chiedere?
-”Vorrai dire,cosa farai tu oggi” evidenziò il singolare della frase,che suonava così vuoto e triste.
-”Andiamo!” sbottai “non mi dire che ora seguirai quello che dice mio padre!” alzai gli occhi al cielo. Non era mai stato un 'bravo ragazzo'. Da piccola quando papà gli ribadiva di non farmi guardare la tv Seth mi ci piazzava davanti per ore solo perchè glielo chiedevo io. Ora perchè tutta questa precisione?
-”Da sempre” rise lui.
-”Jacob ha detto che non potevo uscire, non che non potevo passare del tempo con te” gli feci notare puntigliosa.
-”Jacob ha anche detto che sei in punizione” il suo tono si fece più serio.
-”Ok,l'hai voluto tu.”

Mi alzai in piedi e me ne andai dalla stanza per cercare Emily. Glie l'avrei fatta vedere io la punizione!
Trovai Emily intenta a spolverare una vecchia libreria,in piedi su una sedia, poiché l'oggetto della sua attenzione era troppo alto.

-”Ehi Emily” mi salutò tra un movimento e l'altro.
-”Cosa devo fare?” gli chiesi senza complimenti.
-”Per ora niente,speravo potessi mentire a tuo padre in realtà” mi sorrise.
-”Cosa?” le chiesi scettica. “Sul serio? Ho capito bene?”
-”Certo” disse con tono quasi offeso scendendo gradino per gradino. “so quello che è successo Emily,è stato davvero scortese. Nessuno dovrebbe dire quelle cose ad una persona,tanto meno ad una ragazza. Non trovo giusto nemmeno che tu sia in punizione,per questo ho insistito per farti rinchiudere da me. Ti capisco e ti voglio aiutare,un compromesso” continuò.

Emily riusciva sempre a cogliere ogni mia piccola sfaccettatura di pensiero,era strabiliante come riuscisse a non giudicarmi mai.
L'abbracciai mentre la polvere catturata dal piumino si espandeva per tutto il salotto.

-”Grazie,davvero. Sei la migliore.” le sorrisi.
Anche le mi sorrise e ritornò seria per qualche minuto.

-”Però mi devi aiutare a preparare il pranzo. Ho 10 lupi da mantenere.” mi rimproverò.
-”Sissi signora” mi misi sull'attenti portando teatralmente una mano alla nuca in segno di rispetto,come facevano i militari.

Lei rise di nuovo. Era davvero una gioia vederla sorridere. La lasciai da sola a combattere contro lo sporco domenicale dimenticato.
Entrai di corsa in cucina,dove avevo lasciato Seth,dovevo raccontargli tutto! L'avrebbe presa bene,avevo un permesso ufficiale per stare con lui tutto il pomeriggio; Ma di lui non c'era traccia. Non rimanevano che i resti della sua colazione e una sedia spostata. Così niziai a sparecchiare sconsolata e arrabbiata,non l'avrebbe passata liscia quel lupo.
 

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Capitolo 11
*** Cuore pesante ***


-CAPITOLO 10-



Come si può combattere qualcosa di cui si ha paura? Come si può affrontare una situazione con spavalderia e ammettere che si ha ragione? Il fatto è che non lo si fa. Forse è più comodo rinchiudersi nella propria realtà e non guardare il futuro né tanto meno quello che ci circonda. Essere spaventati da un evento inevitabile nel tempo,non era da me. Non doveva esserlo,non ci avrei guadagnato niente. Inutile tentare di scappargli,inutile nascondersi,se ogni notte quei pensieri mi tormentavano. Ma trovarsi in uno stato confusionale non era il massimo che si potesse desiderare.

-”Ti sei messa ai fornelli,vedo” Seth rise e mi abbracciò improvvisamente da dietro,dandomi un bacio sulla guancia.
Sobbalzai come una gazza ladra scoperta a rubare qualcosa,mentre il coltello che tenevo in mano mi ferì il dito. Gocce di sangue cadevano insistenti sul tagliere,dove giaceva del pane mezzo tagliato.

Squadrai,per qualche secondo,la vittima di quel delitto senza capire cosa fare poiché il gesto in aspettato di Seth mi aveva mandato in fumo il cervello.
Come si poteva essere così stupidi da lasciarsi distrarre?

-”Mettilo sotto l'acqua” disse afferrandomi la mano e eseguendo gli ordini che si era dettato da solo. “mi spiace tanto,non sapevo ti saresti spaventata!” si scusò.
-”Non avevo una presa salda in quel momento,tutto qui.” risposi fredda.

-”Che c'è? Ti sei già stufata di essere una Emily due?” scherzò.

Dopo essersi assicurato della mia incolumità,si appoggiò al mobile della cucina,mettendosi in una posa alquanto gradita ai miei occhi. Una mano sosteneva il suo peso mentre piccole vene gli coprivano il braccio,i suoi pettorali erano in bella vista con una prospettiva ottima. La mia bocca si aprì per dire qualcosa. Ma cosa avrei potuto dirgli? 'Sei bellissimo?' o 'Perchè non ti togli anche la pelle intanto che ci sei?' Sarei risultata solamente ridicola.
Così mi girai dall'altra parte,asciugando la mano bagnata. Non lo degnai di una risposta. Ma perchè lo stavo facendo? Paura? Timidezza? O ero ancora arrabbiata per la fuga di prima?

-”Ehi” si offese lui. “avanti andiamo! Cosa ti prende?” cercò la mia faccia,ma ogni volta che provava a voltarmi verso di lui,scansavo la sua presa. Alla fine mi arresi e mi feci acchiappare entrando nel suo potere di persuasione.

-”Non mi è piaciuto il modo in cui mi hai evitato stamattina” spiegai con sguardo basso e mantenendo una voce dura.
-”Come? Lo sai che sei in puniz..” iniziò ma gli tappai la bocca con la mano sana,prima che potesse finire di parlare.
-”Non so cosa ti è successo,non so chi sei,non so chi e cosa ti hanno fatto. Rivoglio il mio Seth” un tuffo al cuore mi si stanziò nel petto alla parola mio.

Non era mio,eppure avrei tanto voluto che lo fosse. “perchè non è questo,quello con cui si poteva giocare per ore.”
Il ragazzo non oppose resistenza,ma rimase lì,in quella posizione,imbambolato. Mi guardava,mi scavava con i suoi occhi neri,in cerca di qualcosa. Ma non glie lo feci trovare. Me ne andai dalla cucina di corsa: Un po' delusa,un po' soddisfatta,mentre un cuore impazzito tamburellava incessante. La confusione di sempre ritornò a ronzarmi in testa. Avevo fatto bene o era stato un grandissimo errore? Non ero più scappata dalla situazione,l'avevo affrontata come mi ero premessa di fare..com'è che non mi sentivo ugualmente a posto? Perchè due grossi massi avevano preso il posto dei miei polmoni?

Uscii da casa di Sam,sapendo di non averne il permesso,e mi diressi nel bosco,che sembrava così lontano. Intrapresi correndo il sentiero non appena raggiunsi i due pini che segnavano l'inizio della foresta, per scacciare i pensieri che mi perseguitavano,ma nemmeno l'aria fredda e la velocità sembravano scoraggiarli a rimanere indietro. Invece mi seguivano,arroganti di dire la propria. Accelerai la maratona contro me stessa,il fiatone si fece sentire dopo poche cavalcate,così fui costretta a rallentare. Rimbombi violenti,come casse enormi dalle quali veniva emessa musica assordante,mi riempirono la testa,che doleva.
 

'Ti va di andare a fare una corsa?' illuminato dalla luce che penetrava tra gli alberi Seth mi porse la mano.
Feci per afferrarla,ma la visione sparì.

'Chi credi che ti guarderebbe,Emily?' la mia voce mi fece tremare.
'Sarò il tuo protettore,fratello,amico,per sempre.'

La risata di Seth mi invase il cuore,fermandomelo per qualche decimo di secondo.

-”Basta!” urlai esasperata.
La foresta divenne rumorosa tutto d'un tratto. Le mie parole echeggiavano violente fra i rami che chiudevano il cielo,gli uccelli presero il volo velocemente,cinguettando spaventati. Il mio respiro non riusciva a calmarsi,così come il mio animo. Iniziai a contare uno,due,tre,quattro,cinque..venti, ma nemmeno saltellare sul posto sembrava funzionare. Mi sedetti su un tronco umido,pieno di muschio,chiusi gli occhi e ascoltai. La foresta era ritornata di nuovo silenziosa, se non per il mio cuore che batteva.

-”Ecco! Mi sembrava la tua soave voce” ridacchiò una voce vicino a me.
Sobbalzai,aprendo di scatto gli occhi e mi ritrassi dal lato opposto dell'albero. Con il cuore in gola e una faccia pallida mi voltai velocemente,fino a quando scorsi una figura pallida come me,massiccia per essere un umano.

-”Emmett!” lo rimproverai “sei impazzito? Mi hai fatto venire un infarto!” gli urlai contro ancora spaventata.
-”Si,si è visto” sorrise. “guarda,sei pallida come me” mise i nostri bracci a confronto,avvicinando di qualche centimetro il suo e in effetti,aveva ragione.
-”Che ci fai qui?” chiesi cambiando discorso.
Ci fu un minuto di pausa nel quale vidi Zio Emmett scrutare la foresta attentamente.

-”Stavo cacciando,ho visto un grizzly enorme” disse mimando la sua grandezza con le braccia divaricate “ma poi tu l'hai fatto scappare” mi fece notare scocciato.
-”Scusa,non era mia intenzione” risposi irritata.
-”Lo troverò” si convinse con un sorriso “tu che ci fai qui tutta sola? Pensavo fossi in punizione”
-”Lo sono,avevo solo bisogno..di respirare” sbuffai abbassando lo sguardo.

Emmett rise di gusto “Non posso dirti che ti capisco” riuscì a dire a stento.
Lo guardai stranita dalla sua battuta,ma bastò incrociare i suoi occhi ambrati per curvare le mie labbra in un sorriso, impossibile rimanere impassibili con il riso contagioso che emanava.

-”Mi vuoi dire che cosa ti succede?” tornò serio,quasi preoccupato.
-”Vuoi davvero saperlo?”
-”Si” annuì

Presi un respiro e mi preparai alla verità. Speravo soltanto che parlarne con qualcuno rendesse tutto più facile,speravo che parlarne con Emmett non facesse così male come mi immaginavo. 

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Capitolo 12
*** Emmett. ***


-CAPITOLO 11-


-”E' complicata la cosa,Emmett” lo avvisai giocando con i piedi ad alzare il terriccio.
-”Stai mettendo in dubbio le mie capacità di comprensione?” rise.

Alzai le mani innocentemente, trattenendo a stento una risata. Emmett finse di offendersi e iniziò a scortecciare un pino mugo vicino a me,per poi aggrapparcisi e arrampicarcisi come una scimmia.
Delle gocce di rugiada mi caddero sulla fronte per via del movimento delle foglie che Emmett scrollava con la sua scalata verso la cima.
Mi alzai da dove sedevo e mi misi sotto l'albero in questione cercando di scorgere mio zio,ma oltre l'enorme aggrovigliamento di verde la visuale era completamente coperta.

-”Tu parla pure,io ti sento” la sua voce creò eco nella foresta.
-”A la Push credono che io non sia adatta a frequentare una scuola di licantropi” ne feci un riassunto comprensibile,persino per me era fin troppo complicato.
-”Perchè mai? Tu sei un mezzo licantropo” la sua voce era confusa,ma ancora sul tono scherzoso.

Meglio così,alleggerire la conversazione mi sembrava davvero una buona idea. Fui grata di quell'incontro, forse era l'unico che avrebbe capito sul serio e sarebbe riuscito a non dare troppo peso a quello che avrei detto o avrei fatto.
-”Appunto,mezzo” gli feci notare e iniziai a girare intorno a quell'enorme tronco dubitando che fosse così solido da reggere un orso come Emmett.
-”Ah,per quello” la sua voce si fece cupa per qualche istante.

Un tonfo mi avvisò che era sceso dalla sua perlustrazione in cerca di qualcosa che mi restava ignoto.

-”Sai,quando sei nata mi immaginavo una cosa del genere. Nessuno ci ha mai dato peso perchè ti conoscono,ma credo che a quei gattini non piaccia l'idea di avere una “mezzosangue”nei paragi.”
si pulì sulla camicia le mani sporche,che aveva appoggiato al suolo per attutire l'impatto.
-”Già” risposi cupa.

Mi guardò dispiaciuto e si avvicinò,per abbracciarmi? Mi chiesi convinta. Sorrisi di quel segno d'affetto insolito quanto confortante e aprii leggermente le braccia per stringerlo. Ma,una spinta alla spalla mi atterrò lasciandomi basita.

-”Credevo volessi abbracciarmi!” gli urlai confusa e irritata.
Emmett non rispose. Si mise a ridere,invece, più forte che mai. 'Perchè l'hai fatto?' chiesi a me stessa,convinta che lui potesse capire la domanda dal mio sguardo.

-”Avanti,alzati” m'incoraggiò.
Obbedii ,pulendomi la schiena dalla terra umida.
-”Andiamo, colpisci” sorrise invitante.
-”Cosa?” gli chiesi sgranando gli occhi.
-”Dammi un pugno” ripeté lui.

Rimasi ancora più stupita. Credevo di non aver capito bene,la prima volta,ma evidentemente non era così. Mi guardai attorno cercando Edward , Jasper o chiunque altro potesse ridere di quel gioco. Una telecamera che saltasse fuori gridando: “Ehi,sei su candid camera!” ma non vidi nulla di strano,niente che potesse prevedere qualche risata diabolica. Emmett non poteva fare sul serio,mi avrebbe spaccato la mano come minimo!

-”Ok” gli risposi calma sfoderando un sorrisetto innocuo.
Lo fissai negli occhi per qualche secondo,mentre un gufo bubulava sopra un ramo. Aspettai ancora qualche momento,chiudendo gli occhi,prima di sferrare un pugno alla probabile faccia di Emmett. Probabile perchè sapevo benissimo che si sarebbe spostato prima che avessi provato a muovermi e quando la mia mano colpì l'aria vuota, ne ebbi la conferma. Aprii di nuovo gli occhi e lo trovai a pochi centimetri dal mio pungo che rideva,divertito.

-”Che hai da ridere?” gli chiesi offesa.
-”Non faresti del male ad una mosca,ci credo che tu ti sia presa quel pugno in faccia. Ricordati,mai abbassare la guardia,figuriamoci chiudere gli occhi” rise ancora di più.
-”Errori da principiante” sminuii
-”Manuale base di sopravvivenza” mi fece,invece notare lui.
-”Come vuoi” sbuffai rassegnta.
-”Riproviamo” m'incitò di nuovo, mettendosi in guardia.
-”Non credo che papà lo approverebbe. Se torno a casa con un altro livido o anche solo un piccolo graffio, sarò di nuovo in punizione.” lo sgridai.

In realtà non mi curavo del parere di mio padre,cercavo soltanto qualche pretesto per andarmene da quella scomoda situazione. E un pretesto per non finire nei guai, di nuovo. Avevo già dato per quella settimana.

-”Da quanto t'importa di quello che tuo padre pensa? Non eri tu quella che pensava solo a divertirsi?” mi stuzzicò. “o forse sei debole? Hai paura? Vuoi che chiami papino?”
Gli occhi neri di Emmett brillarono alla luce del sole che filtrava leggermente dal tetto naturale sopra di noi.
Speravo per lui che scherzasse o avrebbe fatto una brutta fine. Un grizzly arrabbiato sarebbe stato più docile di me all'udire quelle parole che risuonavano viscide e sporche.
Avanzai sfidando il suo sguardo, portando le mani a difendere il viso e sferrai un altro pungo,un altro e un altro ancora.

-”Così iniziamo a ragionare” le sue parole tuonarono a per tutta la foresta.
Uno stormo di uccelli volò freneticamente spaventato, mentre una manata involontaria di Emmett si appoggiò con poca delicatezza alle mie costole.

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Capitolo 13
*** Nuove paure ***


-CAPITOLO 12-



In 16 anni, quella fu la punizione più dolorosa di sempre. Emmett, senza mai perdere il tono giocoso, che sinceramente iniziava a stancarmi, aveva presentato delle scuse per l’accaduto ed io le avevo accettate. Avevo l’impressione che per un po’ non mi sarei mai dimenticata di quella mattinata.
Oltre alla difficoltà a sopportare il dolore che ogni respiro mi provocava, era difficile, anzi quasi impossibile farlo passare in osservato. Sdraiata sul letto, massaggiando le costole intorpidite pregavo perché esse non fossero rotte o inclinate. Non era il momento giusto per un ricovero da Carlisle, non potevo permettermi più errori con la mia famiglia. Non ero la figlia perfetta, non ero stupida, l’avevo capito. Sono sempre stata grata di essere figlia unica, non perché pretendevo tutte le attenzioni o tutti i giocattoli per me, in cuor mio sapevo che sarebbe stato ingiusto non proteggere una così piccola creatura da un mondo così complicato, proteggerla da mio padre, da La Push, dal casino che stavo diventando.
Il telefono di fianco a me si illuminò, guardai l’ora sul display. Le 23.50.

“Non fa così freddo stasera da tenere la finestra chiusa. Seth”.

Il cuore iniziò a tamburellarmi nelle dita, creando violente scosse alla mente stanca.
Guardai la finestra, era chiusa. E sarebbe rimasta tale a lungo. Come il mio cuore. Seth mi aveva evitata tutto il giorno ed io avrei continuato quello che aveva iniziato. Non ero troppo orgogliosa per smettere, ero solamente troppo ferita per ammetterlo. Una cerbiatta impaurita non piace a nessuno, nemmeno a Rosalie, lei preferiva di gran lunga quelle combattive, pronte a correre per salvarsi la pelle. Io ero molto più di questo, ero un lupo e solitario era l’aggettivo più azzeccato.

“E’ appena iniziata una tormenta. Dormi bene. Emy”  e con quelle parole, gli spedii anche il gelo che invadeva la mia anima.

In quel preciso momento entrò Renesmee in camera.

-“Allora, com’è andata dalla zia?” chiese sedendosi sul letto vicino a me.
-“Bene” risposi secca guardando il soffitto ricurvo, tentando inspiegabilmente di trattenere le lacrime che raschiavano l’iride, vogliose di uscire.
-“Qualcosa non va?” chiese notando il mio evidente sforzo di mantenere la completa calma. Non risposi, una parola in più e sarei crollata ed io ero saldamente convinta a non farlo.
Stavo correndo con la mia moto, con i capelli al vento nel pieno sole di maggio. Tutto era luminoso, ed ero salva dal buio che minacciava di prendermi di sorpresa dietro l’angolo, perchè la mia strada sterrata piena di abeti e cipressi, non possedeva angoli, né curve.

 -“Amore mio” mi chiamò dolcemente. Da quanto tempo non sentivo più quel nomignolo associato a me.. “lo sai che lo stiamo facendo per il tuo bene. Per favore non ci odiare” mi accarezzò la fronte, spostando una ciocca di capelli ribelli, come era solita fare una folata di velocità.
-“Non vi odio. Lo so che è per il mio bene, la mia formazione e tutto il resto” un piccolo sbuffo uscì a fine frase. La moto stava per sbandare. “ Domani ancora da Emily?”
-“ No” sorrise come solo una mamma sa fare “ Alice ti ha prenotato per tutta la giornata”
-“ Forse è meglio l’inferno” scherzai accennando una risata ed una fitta intercostale.

Abbozzò un sorriso, uno dei suoi sorrisi dolci quasi zuccherini prima di avventarsi su di me, come se fossi una preda. Mi fu addosso prima che potessi realizzare dove fosse finita tutta la sua dolcezza, iniziò a solleticarmi come era solita fare quanto ero bambina, dopo un discorso serio. Mamma era fatta così, tendeva a liberarmi delle pressioni di una conversazione da adulti, riportandomi ancora più indietro l’età. Più mi dimenavo e urlavo, soffocandomi ogni tanto per il poco ossigeno che ricevevo, più se la prendeva con la pancia, che provava con tutta se stessa a sfuggire dalle sue grinfie. Il mio petto bruciava e doleva allo stesso tempo, le fossette sul volto suo volto non davano segno di volersi distendere. E fu il silenzio a distendersi raggelante sulle nostre teste. Le urla cessarono improvvisamente, un accenno di tosse prese il suo posto, poi un tonfo sordo. Tenevo le mani tese davanti a me, con un’ insolito tremolio fastidioso. Il respiro affannato, il cuore che batteva come un amplificatore da stadio, la vista leggermente offuscata. Ma quella nebbia calda poi, si dissolse, e l’orrore mi avvolse come un lenzuolo appiccicoso. Mamma era appoggiata alla grossa libreria di legno, comprata per nascondere la parete pasticciata da pennarelli per bambini. Era seduta, immobile sotto il peso dei libri caduti dalla mensola anch’essa ceduta. La sua espressione indecifrabile, mi dava la nausea.

-“Nessie?” mio padre urlò dal piano di sotto tra un annuncio televisivo e un altro, allarmato dal frastuono.
Non salire, non salire, non salire. Fu il mio unico pensiero, che mi fece odiare profondamente me stessa. L’unica mia preoccupazione, in quel momento, era di non finire ancora in punizione? L’egoismo mi stava prendendo a braccetto.
Un rigo di sangue le accarezzò la fronte, le sue braccia rimasero innaturalmente al loro posto, senza curarsi di quello che stava accadendo.

-“Mamma!” gli ribadii io, preoccupata fino alle viscere. Mi fiondai accanto a lei, combattendo contro la rigidità dei miei arti. “Mamma, io..” provai di nuovo, nell’incredulità, a darle una spiegazione.

Ma che spiegazione avrei mai potuto darle? “Mamma, è stata una scarica di adrenalina non ti preoccupare.” ? Oppure avrei potuto dirle che non era stata colpa mia, ma che qualcuno l’aveva spinta al posto mio? E mentre la guardavo negli occhi, aspettando una sua risposta, le affermazioni non mi sembravano così tanto stupide. Messe insieme formavano la verità e cioè l’unica spiegazione plausibile. Era stata davvero una scarica di adrenalina, un’auto difesa spontanea, involontaria, non mia. O forse lo volevo dal profondo questo sfogo.

-“Renesmee, tutto ok là sopra?” urlò ancora mio padre per il volume troppo alto.

Nessuna delle due rispose. Provai a scavarle l’animo, in cerca di qualcosa, di una parola, di un suo gesto, ma niente. Era più scioccata di me,e questa volta non riusciva a capacitarsi del fatto che sua figlia l’avesse aggredita. La comprendevo, detestandola per quel silenzio che mi uccideva. Sarei finita nei guai, fuori casa se fosse salito Jacob.

“Andiamo, rispondi..” la supplicai con un’ultima occhiata.

Ci fu uno scricchiolio di parquet. Guardai la porta di camera mia semi aperta. Il tonfo degli scarponi di Jacob si facevano vicini gradino dopo gradino, sussultai quando vidi la sua ombra e da vigliacca , mi allontanai dal corpo del reato. E il seguito fu un rapido susseguirsi di azioni, troppo dettagliate perché io riuscissi a coglierle tutte. La faccia di mio padre alla vista delle condizioni di mia madre, un nuovo suono oltre alla voce del presentatore dei cereali per la colazione, una voce da donna, più melodiosa, calda e affettuosa. Una voce piena di ninna nanne e raccomandazioni, che tentava di spiegare l’accaduto. La paura m’invase ancora di più, quando capii che non riuscivo più a sentire quello che la voce stava sussurrando. Le mie gambe leggere, si presero una pausa lasciando che mi appoggiassi al suolo, insieme alla mia mente che dopo tante preoccupazioni smise finalmente di farsene. La stanchezza che mi sbriciolava il corpo fu l’ultima cosa che sentii prima del vuoto.

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Capitolo 14
*** Prima guida ***


-CAPITOLO 13-

Erano solo le dieci di mattina e dalla macchina di Alice, la sua meravigliosa Lamborghini blu notte, straripavano già borse su borse.
Quella mattinata era stata davvero un inferno e sapere che non era ancora finita, mi faceva impazzire. Le giornate con Alice le ricordavo meno dolorose, ma evidentemente non c’era limite alla follia. Le ore in coda alle le casse, le ore in piedi a scegliere capi che sarebbero stati chiusi nell’armadio per secoli, la musica frastornante tenuta ad un volume esageratamente alto per fare concorrenza ai negozi circostanti, la serie di commenti falsi che si scambiavano le commesse..avrei preferito il patibolo. La mia testa scoppiava, incapace di formulare pensieri concreti che non comprendessero il desiderio di tornare a casa. I piedi mi bruciavano, così come l’ego. Avevo imparato la lezione. Mio padre si era evoluto per quanto riguardava le punizioni, superandosi brillantemente. Odiavo la sua genialità sfacciata.

-“ Su, su. Non abbiamo mica finito!” mi incitò Alice camminando lungo il corridoio affollato del centro commerciale.
-“ Cosa?!” un lamento troppo aggressivo cercò di liberarsi dal guinzaglio troppo stretto.
-“Rilassati leoncino. Ci mancano esattamente cinque negozi e un abbigliamento decente per te. ” aggiunse guardandomi con il suo repentino buon umore.
-“ Promettimi che poi andiamo a casa e di corsa” sbuffai sommersa da borse di carta­, che rendevano ardua la camminata. “Sai che non intendevo quello” aggiunsi con gli occhi al cielo, prima che potesse fare una qualche battuta inumana.

Il mio buon umore, al contrario di quello di zia Alice, mi stava abbandonando, così come l’energia che necessitavo per uscire viva da quella mattinata. Iniziai a pensare che fosse dovuto, in parte, alla sera precedente, al mio totale svenimento che mi fece sbattere la testa al suolo. Mamma non aveva più parlato dell’accaduto, nemmeno papà. Sembravano essersi dimenticati di ogni cosa, io no. Del resto avevano fatto così anche quando la lettera dei Volturi fu il mio regalo di compleanno più gradito. A casa Black non affrontare le situazioni, era il miglior modo di farlo.
Feci per girarmi verso Alice, per sfoderare il più straripante sguardo di pietà della storia, ma lei era sparita senza dirmi una parola. L’ansia si stava già impossessando di me, come diavolo avrei fatto a trovarla nel paese delle meraviglie? Poi sentii quella voce squillante e mi tranquillizzai, quel tanto che bastava a mantenere la calma.

 -“ Da’ un’occhiata qui” Alice sollevò un vestitino senza spalline.

Era di un verde acqua cristallino , le cui pieghe della gonna ricordavano le onde di La Push. Feci cenno di no con la testa, e celai la nausea con un’espressione concentrata. Proseguii diretta senza entrare nel negozio, continuando a sfilare vetrina dopo vetrina. Ma così come la mia immagine riflessa mi seguiva frettolosa, arrivò ben presto il reso conto della mia coscienza. Non l’avrei definito senso di colpa,  nemmeno come la ‘la cosa giusta da fare’. Sapevo che Alice, il bellissimo folletto esasperante, non si sarebbe data per vinta facilmente. Era una guerra persa in partenza, così tornai indietro, completamente consapevole dal seguito della giornata. Alla mia vista, le si illuminarono gli occhi e un sorriso le abbellì il volto perfetto. Si chinò per prendere qualcosa da terra e sollevò un paio di stivaletti, anfibi credo.

-“Emily, questi stivaletti si intonano perfettamente con la tua persona” osservò.
-“Ma sono neri” replicai. Solitamente erano i colori a scegliere mia zia, non viceversa.
-“Appunto. Portare in giro te è come portarsi dietro degli avvoltoi” il suo tono divenne scenico, rassegnato al punto giusto.
-“ Almeno con loro puoi farci merenda” abbozzai ispezionando un paio di scarpe argentate, tacco 12, che posai delicatamente, esterrefatta dell’altezza.

La guardai e entrambe accennammo un sorriso, mentre un maglione color cachi mi raggiungeva a tutta velocità, schiantandosi contro un manichino. Come avrei voluto che anche il tempo avesse fatto la stessa fine.
Non contai i minuti durante i quali stetti sdraiata sul grande divano bianco di Esme con un cuscino che copriva la faccia, ad occhi chiusi perdendomi nella mia stanchezza. Alice e Rosalie avevano iniziato a spulciare gli acquisti appena fatti, a provarli e progettare modifiche ad una gonna troppo lunga a parere di Rose. Io avevo iniziato a perdere coscienza e rifugiarmi in quel luogo caldo e accogliente che aspettavo tutte le notti, quando la voce di Edward irruppe nel mio dormi e veglia risanante.

-“ Non dirmi che stai dormendo” trattenne a stento una risata.
-“ Facciamo finta che tu non me l’abbia mai chiesto” strinsi il cuscino sulla faccia, in modo da scacciare ladri di sonno vari.
-“Peccato che tu sia troppo impegnata per..guidare” continuò lui, avvicinandosi alla spalliera del divano.

Scattai in piedi, ed anche se la testa giocò brutti scherzi, afferrai le chiavi al volo.
“Andiamo” pensai eccitata. Edward trattenne un ghigno.
In garage venne scoperchiata da un telo nero la mia Volvo C70. Mia. Come suonava bene quell’aggettivo. Era nera anch’essa, aveva una forma schiacciata e bassa, perfetta per sfrecciare ad alta velocità. Il tetto cabriolet le dava quel tocco classico.  La misi in moto ed un rombo aggressivo riempì l’abitacolo. I cavalli del motore erano delle tigri. Applaudii estasiata e su di giri per l’esibizione del mio nuovo cucciolo mentre Edward saliva di fianco a me.

-“Bene” disse lui, nascondendo la preoccupazione  “spero non vorrai ucciderci entrambi”.
-“Tranquillo, non sono io quella a qui si staccherebbe la testa” sorrisi accarezzando il volante. Le mie dita passarono in rassegna tutto il cuoio nero, apprezzandone ogni singola venatura.

Misi la cintura, un piede sull’acceleratore e la macchina schizzò via dal vialetto. Le nostre schiene erano incollate al sedile, gli alberi sfrecciavano a gruppi di macchie verdi, indefinite. Indefinita come la mia natura. Il rombo di motore al cambio di marcia era una melodia epocale. Se a Forks i matrimoni fra uomo ed auto fossero stati possibili, non avrei avuto dubbi sul mio coniuge. L’amavo con tutta me stessa.

-“Dove hai imparato ad usare una macchina?” mi ricordò Edward dopo che la macchina, insieme al mio entusiasmo rallentarono.
-“Uno dei tanti pomeriggi passati con Seth.” gli sorrisi e  accesi la radio.

Ma quel nome, che inizialmente sembrava non aver scalpito niente di me, improvvisamente arse di nuovo e la confusione tornò più agguerrita che mai. Mi era quasi impossibile distinguere quale di tutti i sentimenti che provavo in contemporanea stava avendo la meglio. La rabbia?  L’ipocrisia? Oh no, c’era anche della gelosia che si scontrava con l’orgoglio. Cercare di spegnere quella rissa, fu più difficile che disinnescare una bomba a mano ed alla fine, tutti i film d’azione e di guerra erano stati tempo sprecato e venni travolta dall’esplosione. Feci una violenta inversione a U, incapace d’altro. Incapace di mettere in ordine i pensieri o per lo meno filtrarli. Seppure ormai Edward aveva visto ciò che avevo visto io, la sua reazione fu estremamente docile, quasi inesistente. Forse che il bellissimo ragazzo cresciuto troppo in fretta, non sorrideva ad entrambi? Dannazione. Di nuovo. Tenevo gli occhi fissi sull’asfalto, il volante stretto tra le mani, i muscoli contratti e la lingua pronta a sputare scusanti a raffica. Ne avevo una decina nel mio arsenale, tutte pronte per essere sfornate, ma niente. Nessuno parlava, nessuno respirava. Persino l’auto sembrava emettere meno ruggiti.

-“ Non dire niente” ruppi il ghiaccio, sentendomi stretta nella morsa della vergogna pochi istanti dopo.
Chiusi gli occhi e respirando per la prima volta profondamente, attesi una sua risposta
-“Wow.  E’..” era scioccato quanto me.
-“..folle” finii la sua frase, rassegnandomi.
-“Decisamente folle” mi corresse lui.
-“ Ok, non parliamone più. Tu non hai visto nulla. Chiaro?”
-“Si” promise, ancora scosso mentre cercavo con tutta me stessa di mantenere la calma. “torniamo a casa. Guido io.” aggiunse nel silenzio.

Di nuovo le macchie verdi ci sfrecciavano a fianco, ricordando il tragitto fatto in precedenza. Ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, che la rendeva pesante da respirare. Ti stingeva i polmoni e ti svuotava così tanto da farti sentire male.
“Certi segreti è meglio non dissotterrarli, i segreti portano guai” 

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Capitolo 15
*** Benvenuta nel club! ***


                                                                  -CAPITOLO 14-

Ero fuori casa prima che il sole iniziasse a sorgere e ad avvolgere, con il solito rosa pallido, la notte. Era come se ogni volta, l'oscurità avesse bisogno di non così sentirsi vuota, di non sentirsi da sola. Perché a nessuno piace il buio. Forse perché è proprio di notte che i nostri pensieri vengono rapiti, forse è perché il buio ci rende ciechi o forse spaventa l'ignoto che comporta, quando essa cala inesorabile. E' sempre buio prima dell'alba, dicevano. Ma nonostante tutto, quasi come un'eroe, arriva sempre la fine. 'Ogni impresa, passata, presente o futura sarà compiuta guardando la fine, perché la fine ci salva, ci da speranza, ci conforta.' avrebbero razionalizzato così i grandi filosofi.
La Push iniziava a emergere dalla notte, e ad abbozzare delle lievi sagome a distinguere il paesaggio. Per la prima volta l'aurora di un nuovo giorno mi spaventava, senza una averne una motivazione ragionevole. Giacendo seduta sulla sabbia umida, ammiravo le onde si alzavano sempre più potenti, urlando all'orizzonte che erano loro la metà dominante ed i primi raggi caldi del sole presero a danzarmi sulla pelle, provocandomi dei brividi. Presi un sasso nero e piatto dal terreno e lo rigirai tra le dita; Era uno di quelli rari da trovare, con i quali, fin da bambini si giocava ad increspare la schiena del mare, facendoli saltare. Dopo aver ispezionato la spiaggia deserta, mi alzai e mi diressi verso riva; la schiuma bianca mi corse incontro, come contenta della mia vicinanza. Lanciai la pietra, che dopo un ultimo sguardo, sfrecciò attraverso due onde ed affondò miseramente. Non servì neppure qualche passo in più per scorgerlo di nuovo, il mare se l'era portato via. Anche lui aveva trovato il suo destino. Così come la sospensione. Anche quel piccolo momento tutto per me finì, voltandomi maleducatamente le spalle e sebbene avrei voluto tanto scappare dalla realtà per non rimetterci più piede, decisi di fare l'opposto e scappare dal mio mondo. La' fuori era già abbastanza triste, senza che lo confrontassi con altro. Scrollarmi la sabbia di dosso e montare di nuovo in sella fu l'unico comando che mi diedi.

Nemmeno le solite facce alla riserva, sembravano trasmettermi il bentornata a casa perché quella non era casa mia. Parcheggiai rumorosamente nel solito posto, assicurandomi di aver posto in equilibrio perfetto la moto sul cavalletto. Le diedi un'ultima occhiata scrupolosa, ma in fondo non potevo mentire a me stessa; prendere tempo non avrebbe facilitato il tutto.

“Via il dente, via il dolore” e ripetute le parole di Edward, presi un respiro profondo e avviai le gambe verso un posto sicuro.

-”Passate bene le vacanze, Black?” il mio cuore ebbe un tonfo silenzioso.
Distolsi l'attenzione dal ritmo frenetico degli stivali pieni di sabbia, percossi sul suolo e sollevai lentamente il capo.
Dixon era dinanzi all'entrata dell'edificio, appoggiato alle assi di legno orizzontali ed intorno a lui i suo branco di gattini troppo cresciuti fissavano divertiti la scena. Un invito coi fiocchi, ma non potevo permettermi di lasciarmi tentare dalle troppe parole che si accalcavano ad uscire dalla bocca, non quel giorno. Gli sorrisi sfilandogli davanti, anche se l'indifferenza mi costò qualche bruciatura. Odiavo stare alle regole, detestavo ricevere ordini, ma quando si trattava della mia incolumità una volta rientrata a casa, sarei stata disposta a passarci sopra.

-“Ehi” mi salutò un ragazzo raggiungendomi a grandi passi. Era alto, quasi quanto Seth. Corporatura massiccia, pelle prevalentemente scura, capelli e occhi neri. Il classico lupachiotto da manuale.
-”Ciao” risposi fredda, mantenendo un cordiale sorriso.
-” Wow, la tua faccia va decisamente meglio” avvicinò la mano al mio viso, come per sfiorarlo.

-” Già. I miracoli della medicina” mi sottrassi al suo gesto, continuando a sorridere.

La campanella suonò e il ragazzo si guardò attorno smarrito mentre venivamo travolti da un gregge di studenti.
-”Scusa, farò tardi a lezione” mi congedai, scansandolo, ma la sua voce mi perseguitò ancora, sovrastandosi ad altre cento e mi si parò di nuovo davanti.
-”Aspetta!” gli rivolsi uno sguardo caritatevole “non ti ricordi di me,vero?” accennò un sorriso.
-”Dovrei?”
-”Mi chiamo Alex, Alex Davis.” tese la mano, che strinsi in una mia presa scettica. “tu devi essere Emily Black, giusto?” continuò.
-” E' così evidente?” sputai fuori acida, come se fosse davvero evidente. Poi mi ricordai che il ragazzo davanti a me era uno sconosciuto, che eravamo entrambi in una scuola dove le voci si spargevano, dove tutti conoscevano tutti, dove tutti conoscevano me. “Si, si giusto” mi corressi con il sorriso più dolce che quella mattina sarei stata in grado di sprigionare.
Ricambiò anche lui quella dolcezza, mostrandomi 32 bellissimi denti bianchi.
-”Bene Alex” indugiai sul nome, mordendomi le labbra e corrugando la fronte nel tentativo di stamparlo in testa. “ci si vede allora”.

Sorrisi di nuovo e mi voltai, dandogli le spalle.
La sua presa però, fu più veloce del mio cervello, e il suo viso sorridente si sostituì al lungo corridoio deserto.

-” Ehi! Aspetta, aspetta, aspetta. Dove credi di andare?” cercò di trattenere una risata, mentre i suoi occhi neri trattenevano i miei in una morsa. Iniziai a sentire caldo, a sudare. Il suo calore mi filtrava attraverso i vestiti, ed io mi stavo sciogliendo.
-”Che altro c'è?” gli risposi leggermente scocciata.
-” Non mi hai ancora dato risposta.” disse con aria interrogativa.
-”A cosa non ho ancora dato risposta?” la sua espressione, rifletteva la mia. Di che cosa stava parlando?
-” L'altro giorno, BlueHit, club delle scuola..ti ricorda niente?”

Alex continuava a asfissiarmi, riempiendomi di sorrisi. Se non aveva ancora pensato che ero un caso disperato, si sarebbe ricreduto a momenti.


-” Oh, il club. E' vero!” mi passai nervosamente una mano tra i capelli, abbassando lo sguardo “credevo che il mio fosse un no categorico”.
-” Lo era infatti” il suo tono assunse una sfumatura maliziosa. “ma sono sicuro che con un po' di incoraggiamento ci ripenserai” .
-” Mi stai per caso ricattando?” alzai un sopracciglio.
-” Non lo farei mai” ammiccò, lanciandosi un'occhiata intorno.

Lo stava facendo. I minuti passavano. Le lezioni lezioni erano già iniziate ed io ero stra maledettissimamente in ritardo. Era forse questo il suo obbiettivo? Tanto di cappello.
-” Ok va bene, hai vinto tu!” esasperata alzai gli occhi al cielo.
-”Grande!” esultò, alzando le mani in un pugno e corse via, fiero del suo risultato “ci vediamo oggi, dopo scuola in palestra!” urlò prima di dileguarsi.

 

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