Another Part Of me.

di Satyros_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In the Evening. ***
Capitolo 2: *** About A Girl. ***
Capitolo 3: *** Here I Go Again. ***
Capitolo 4: *** Cry Babe. ***
Capitolo 5: *** Stand Up Comedy! ***
Capitolo 6: *** I want to break free. ***
Capitolo 7: *** Strange Days. ***
Capitolo 8: *** 8. Day Tripper. ***
Capitolo 9: *** It Don't Come Easy. ***
Capitolo 10: *** Civil War. ***



Capitolo 1
*** In the Evening. ***


Titolo: Another Part Of me ( canzone del re del pop, Michael Jackson)
Autore: Little Girl Blue
Rating: Arancione
Avvisi: Lime, slash, femslash
Genere: drammatico, Erotico, fluff
Avviso: John W. Lennon non mi appartiene,nemmeno Sir James Paul, neppure George e Mr. Starkey, e tutti gli altri.
Paring: Het/Slash/Femslash.
Side paring: //
Riassunto:

Note dell’autrice: eccomi con un'altra storia sui Fab. Lo so, non vi piaccio. Faccio davvero schifo come scrittrice, e poi sono insistente. Lo so. Però, davvero, mi farebbe piacere avere un vostro parere..
P.s. Audrey Tatou interpreta Melissa Bandinelli.

In The Evening -

In the evening
When the day is done
I'm looking for a woman
Oh, but the girl don't come
So don't let her
{Led Zeppelin.}

 


 



***

Iniziai col contare tutte le stelle che dipingevano la volta celeste. 20… 22… 23… 100.
Era un’impresa impossibile, ma lo avrei fatto in ogni caso. Ero testarda, lo sapevano tutti. E così, ero li, ero sola.
Distesa su di un prato d’erba che di verde non aveva più nulla. Tutto campiava, al calar del sole. Allora ciò che sembrava un dolce cespuglio di mirtilli, si trasformava nella più cupa ed inquietante creatura.
Tutto mutava, cambiava forma. Ed il celo prendeva a tinteggiarsi di blu, ma quel blu talmente intenso da sembrar quasi…nero. Ed eccoli, i piccoli punti di luce, che rendevano quell’inferno più sopportabile: le stelle.
180… 199... 200. Le stelle erano infinite. Eppurre volevo contarle. Tutte, dalla prima all’ultima. Tutte.
L’erba era umida, sentivo il freddo penetrarmi le ossa, eppure restavo li. Non m’importava più di nulla. Non mi importava della gente, di mia madre, mio padre, della vita, dei cibi, i grassi i vestiti.
487… 488… 499… 499… 486... avevo perso il conto. Chiusi gli occhi, e mi arresi. Non c’era più nulla da fare. Mi abbandonai al ghiaccio di un Aprile freddo ed uggioso.
Sentii dei rumori, attorno a me. Non ebbi paura, erano i rumori della natura. Ma tutto peggiorò, quandi concepii che si trattava di passi. Passi mozzati dal vento, e dalla coltre nebbiosa, ma pur sempre passi. Se c’era davvero qualcosa di cui avere paura non era Madre Terra, ma L’uomo. Spalancai gli occhi, e mi sedetti sulle ginocchia, all’erta. Sperai fosse qualche forestiero, nulla di chè.
«Ciao!» Sentii alle mie spalle. Presi un’infarto, anzi, infarto fu dir poco.
Mi voltai, e lo vidi. Un ragazzo alto, snello, in una improbabile tenuta da Smoking.
« Ero al Bar, dovevo andare in bagno…ma c’era troppa coda, così sono passato per il retro, per addentrarmi nel bosco, ma cedo di essermi perso…» Disse grattandosi la nuca, imbarazzato. Guardai i suoi lineamenti, deformati dal buio. Non sembrava avere cattive intenzioni.
« Oh, certo, ti sei perso!» dissi confusa, non volevo velare d’ironia ciò che avevo detto, ma lo feci comunque. Il ragazzo sembrò…imbarazzato.
« Io…non riesco a vederci bene, e per un attimo mi sono preoccupato, ma poi ho visto te, e mi sono detto:  “ forse quella ragazza può aiutarmi! ” Sai, ho bevuto un po’, e mi gira tutto.» Lo vidi, sedersi accanto a me, a fissare le stelle.
« Io sono Paul! E tu?» chiese. Mi convinsi che tutto ciò era decisamente insolito. Doveva aver bevuto parecchio, eppure non emanava alcun odore.
« Melissa, ma puoi chiamarmi Mel!» sorrisi, per quanto si potesse vedere, al buio di quella notte senza luna.
«Mel, eh? Non sei di qui, vero?» abbassai lo sguardo. Mi sentii esplorata dai suoi occhi, lievemente curvati e confusi.
« A dire il vero, no. Sono qui per mio padre…» Ammisi. Non capii perché lo avessi detto. Non sapevo nulla di quel…Paul, non riuscivo nemmeno a vederlo, eppure era il primo a cui avevo detto il motivo del mio arrivo.
« Sta male?» mi chiese, accendendosi una sigaretta. Forse anche per illuminare un po’ di più. Me ne porse una, ma rifiutai.
« No, si è semplicemente separato da Mia Madre, due mesi fa, ed adesso sono qui, a passare il mio mese con lui. Dovrò dividermi da uno stato all’altro, all’infinito.» Tossicchiai, per l’umidità.
« Cosa intendi, Mel?» chiese come se ci conoscessimo da una vita, come se fossi l’unica persona sulla faccia della terra, e potsse chiedermi qualunque cosa.
« Vengo dall’Italia!» Lo sentii tossire. Non capii se fu per la mia risposta schietta, o per via del malsano fumo, mescolpato all’umidità uggiosa di quella serata.
« Italia hai detto? Conosco un mio amico, che pagherebbe per mangiare italiano tutta la vita…» ridacchiò divertito da quel pensiero.
« E così ti tocca fare una lunga traversata dall’italia alla Gran Bretagna due volte al mese, eh? Brutta storia!» commentò. Già, davvero brutta; pensai.
«sei taciturna..» disse voltando il viso verso il cielo, e buttando fuori gli ultimi spifferi di fumo, dal mozzicone rimanente.
« Che ne dici, di riaccompagnarmi verso casa, visto che non ho la più pallida idea di dove  mi trovo?» domandò, tentando di alzarsi in piedi, ma cadde bruscamente. Mi preoccupai, e lo accorsi
« Sean, hey Sean, stai bene?» domandai schiaffeggiandogli lievemente il volto, che, a vederlo da vicino, pareva quasi angelico.
« Paul..» tossì; «Mi chiamo Paul, non Sean!» si schiarì la voce. Solo allora mi resi conto di come fosse peggiorata la situazione. Solo allora iniziai a sentire l’odore dell’Alchool, prendersi redini delle mie narici.
Lo feci alzare, e portai il suo braccio a contornarmi la spalla, con l’altra mano, stringevo il suo fianco destro. Quest’ultima azione mi permise di percepire il suo respiro irregolare. La cosa mi imbarazzo enormemente, nonostante non ci fosse nulla d’imbarazzante.
« Vieni, andiamo a casa!» esclamai. Il ragazzo annuì prepotentemente. A quanto pare la sbornia aveva avuto un effetto tardivo sull’ragazzo, che iniziò a perdere conoscenza.
« Hey! Hey, non svenire, sù! Ti porto a casa!» esclamai, cercando di “tenerlo in vita”.
« Come hai detto di chiamarti?» chiesi per tenerlo sveglio, ma allo stesso tempo per accertarmi che non avesse perso conoscenza seriamente.
«Paul, ti ho detto che sono Paul, Paul McCartney!» aggiunse con voce assonnata.
Lo trascinai fino a casa mia, a due passi dal boschetto di Liverpool. Mio padre non c’era, era dovuto partire tre giorni per Salisburgo.
Feci accomodare il ragazzo sul divano, allora accesi tutte le luci possibili. Lo sentii lamentarsi prepotentemente, e portarsi una mano a gli occhi.
Solo allora mi resi conto di quanto fosse bello e…maledettamente più grande di me.
«Quanti anni hai?» Chiesi, ma questa volta senza l’intento di tenerlo sveglio.
« Diciotto appena compiuti! Più o meno…» disse senza distaccare il braccio da gli occhi. Diciotto, bene! Io ero solo un’insignificante sedicenne, lui era maggiorenne però!
Andai in cucina, e mi misi a preparare un Tea ai frutti di bosco.
« Tieni, sarà un toccasana per il tuo cervello annebbiato!» dissi porgendogli la tazza, che avevo attentamente raffreddato con dei cubetti di ghiaccio, per accertarmi che non si scottasse la lingua.
« Grazie Melissa, sei gentile!» disse bevendo tutto d’un sorso. Melissa, mi aveva chiamata col mio nome intero. Quanto m’infastidiva, ma chiusi un’occhio per la sua tragica situazione.
Tornai in cucina, per sistemare ciò che avevo tirato fuori, ma quando tornai, trovai Paul, completamente addormentato sul mio divano. Sbuffai tra me e me. Tutto ciò puzzava di sbaglio gigantesco.

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Capitolo 2
*** About A Girl. ***


 


 

About A girl -

I'm standing in your line
(I do) Hope you have the time
(I do) Pick a number to
(I do) Keep a date with you
-Nirvana.

Paul McCartney's Point Of View.
Mi girava ancora la testa, mi girava vertiginosamente. Ci ero andato giù, decisamente troppo. Chiusi gli occhi, a contatto con il caldo tepore del piccolo divano sulla quale mi trovavo disteso. Non tiuscivo a riaprirli. Non avevo sonno, ma tenere gli occhi chiusi era l’unica soluzione per dare un taglio alle vertigini. Sentii qualcuno sbuffare. Probabilmente fù Melissa, quella stramba ragazza del bosco, che mi aveva appena salvato.
Sentii un calore che odorava di lana, avvolgermi sino alle spalle, poi le luci si spensero. Allora mi addormentai, ringraziando il cielo per avermi mandato quella stella.
Nonostante la sbronza avesse aiutato il mio sonno, mi svegliai in piena notte, al culmine di un sogno di cui già non ricordavo nulla. Mi alzai, facedo scivolare silenziosamente la coperta di lana per terra. Mi appostai affianco alle braci, ormai spente del camino. Osservai le foto. La ragazza che appariva in ogni foto, sembrava almeno di vent’anni di più di quanti ne avesse realmemte. Sembrava una donna adulta, eppure nel suo modo di parlare, avevo colto che probabilmente non aveva meno di diciotto anni. Tuttavia mi sembrò così diversa da tutti gli altri stereotipi. Aveva corti capelli neri e mossi, e due grandi occhi del medesimo colore dei capelli. I lineamenti delicati, e quelle strane labbra sottili, che le donavano un’aria scheletrica e perennemente contrariata. Forse erano gli zigomi troppo sporgenti, o le scure soppracciglia altezzose. Mi scappò un lieve sorriso, in quelle foto l’avevo vista realmente; Dato che prima la mia vista era offuscata dall’alchool.
Sentii dei rumori al piano superiore. Erano simili a quando qualcuno cerca di scendere le scale silenziosamente, ma viene tradito dal Parché di legno marcio.
La vidi scendere in vestaglia da notte, di un bianco candido. Le gambe slanciate e pallide, completamente nude, e delle ciabatte rosa.
« Che ci fai sveglio alle tre di notte?» mi chiese con voce assonnata
« Potrei chiederti lo stesso!» risposi, con voce meno assonnata della sua. La vidi sbadigliare. Vidi anche ogni dettaglio del suo corpo. La vestaglia bianca correva lungo i suoi fianchi, delineandone i lineamenti esili e scheletrici. Esitai sul rigonfiamento all’altezza del torace. Le stavo guardando le tette, era scortese. Distolsi lo sguardo immediatamente, nonostante quella visione avesse fatto decisamente uno strano effetto in me.
« Io volevo andare in bagno..» disse, rispondendo alla mia affermazione precedente. Non si era accorta di nulla, ringraziai il cielo.
« E tu, perché sei sveglio?» chiese, avvicinandosi. Indietreggiai lievemente, per darle più spazio, fino a finire seduto sul divano.
« Non riuscivo a dormire…» Ammisi, sospirando. Si sedette vicino a me. Un profumo di lavanda invase le mie narici. Mi sentii inebriato, ma cercai di sostenere la situazione. Perché mi sentivo così impotente davanti a lei? La conoscevo da qualche ora, eppure faceva un effetto così straniero su di me. Per una volta nella mia vita mi sentii quasi inferiore, a quell’essere. Quella ragazza tanto strana, tanto diversa, tanto bella.
« Vuoi una valeriana? Mi aiuta sempre con la mia insonnia!» disse, sorridente. Annuii.
Si alzò dal divano, e per un altro attimo, i miei occhi caddero ancora dove non dovevano: sul suo fondoschiena. Mio Dio! Stavo già diventando come John, a son’ di frequentarlo. Scossi la testa per scacciare quei pensieri, e la attesi.
Tornò con in mano una piccola pastiglietta bianca, ed un bicchiere d’acqua.
« mandala giù in fretta, sennò diventa amara!» disse sbadigliando, mostrando dei sottili denti bianchi e lucidi. Chiusi per un attimo le palpebre, e la sensazione di vertigine, che prima avevo avuto ad occhi aperti,si ripresentò ad occhi chiusi. Mi sentii cadere. L’effetto dell’alchool non era ancora svanito. Maledizione, avevo bevuto per colpa di John, di nuovo John! Il mondo non girava attorno a John Winston Lennon!
« Posso farti una domanda, Mel?» chiesi. Mi soffermai per un secondo a pensare al suo nome: Melissa. Era un nome davvero particolare. Avevo un debole per i nomi particolari!
« Va bene, Sean..» aveva sbagliato il mio nome, dinuovo. Ecco cosa mi dava fastidio.
« Mi chiamo Paul, Paul! In ogni caso, quanti anni hai?» domandai, lievemente irritato
« Scusa, non volevo sbagliare il tuo nome… sono un po’ smemorata sai…» rispose. Allora lo era davvero; smemorata! Non aveva neppure risposto alla mia domanda. Ma non la ripetei, era maleducazione chiedere l’erà alle donne, lo sapeva chiunque!
Si alzò dal divano, e si incamminò verso le scale, fece i primi tre gradini, poi si voltò verso di me, con quegli occhi neri socchiusi dal sonno
« Sedici » disse, per poi proseguire la sua scalata verso la camera da letto. Aveva sedici anni, ed io che glie ne davo come minimo Venti!
Per un’attimo mi sentii un pedofilo. Avevo fatto considerazioni sulle sue tette, ed il suo fondoschiena, paragonandola ad una coetanea. Invece era solo una ragazzina indifesa.
Mi sentii uno schifo, decisamente.
Mi riadattai sul divano, attendendo che Morfeo compiesse il suo dovere, senza mai levarmi dal cervello il suo volto scheletrico.

 

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Capitolo 3
*** Here I Go Again. ***



 

3.Here I Go Again.


 

I don't know where I'm going
But, I sure know where I've been
Hanging on the promises
In songs of yesterday.
-Whitesnake.-


 

Melissa's Point Of View.
Tornai nella mia stanza e  chiusi la porta a chiave, istintivamente. Non capii perché lo feci, ma la chiusi in ogni caso. D’altronde non sapevo nemmeno chi fosse, li sotto.
Feci per andare a letto, ma notai un giornale di pochi giorni fa, probabilmente di mio padre. Lo notai perché al di sopra vi erano raffigurati quattro ragazzi, a tra di loro c’era anche Paul.
Lessi il titolo “I Beatles, al Cavern Club”. E così suonava in un gruppo, eh?
Ebbi un lieve ribrezzo istantaneo. Odiavo i musicisti allora. Pensavano solo ad inseguire i loro sogni, e null’altro. Per loro, tutto il mondo girava attorno alla musica ed alla loro carriera. Lo sapevo bene, avevo perso mio fratello per quella ragione. Tuttavia non conoscevo così bene quel Paul, da potermi permettere di giudicarlo in quella maniera. Decisi che lo avrei analizzato l’indomani.
 ***
La mattina mi svegliai presto, lui era ancora li, sul divano, a pancia in giù.
Mi strappò un sorriso, quella visione. Andai in cucina, attenta a non svegliarlo e misi il Tea a scaldare. Tirai fuori la biscottiera, lentamente, e selezionai i più integri biscotti al cacao. Presi delle piccole fette di limone, e del latte. Misi tutto su di un vassoio, che poggiai in soggiorno, sul tavolino nel mezzo fra il divano nella quale sonnecchiava il ragazzo, ed il caminetto.
Lo vidi muoversi, e poco dopo balzare in piedi, imbarazzato.
« Buon Giorno!» sorrisi. Lo vidi portarsi una mano sulla fronte, dolorante. Gli effetti post-sbornia.
«Giorno!» rispose flebilmente. Gli porsi una tazza di Tea, che lui mischiò con il latte. Come avevo previsto. A me quest’usanza disgutava al quanto, infatti bevvi il mio Tea senza aggiunte che non fossero zucchero e limone.
« Come hai passato la nottata, la valeriana ha funzionato?» chiesi accomodandomi accanto a lui, che sorrise. Fissai il suo sguardo, senza mai incontrare gli occhi, però. Aveva dei lineamenti tondeggianti, labbra carnose e rosee, soppracciglia a dir poco perfette, e due occhi verdi-marroni dalla forma affusolata all’ingiù. I greci l’avrebbero definita bellezza ideale. Il canone che avevano cercato di raggiungere per secoli era lì, difronte ai miei occhi. Certo non possedeva biondi ricci ed un corpo in eterna tensione come il Discobolo di fibia. Ma per me era la perfezione. Almeno in fatto di estetica. Nulla nel suo volto stonava, a differenza del mio. Gli occhi neri, a dir poco enormi stonavano di brutto con le labbra troppo fine, ed il naso a punta mi faceva sembrare una francesina educata, invece dell’Italiana ch’ero.  Per non parlare degli zigomi sporgenti. Odiavo il complesso del mio volto. Avrei preferito mille volte quello di Marilyn Monroe, invece mi ritrovavo una semplice Melissa Bandinelli, tutta pelle ed ossa, e dannatamente anonima. Proprio così: ero anonima.
« Cazzo!» Vidi esultare il ragazzo, che poggiò con furia la tazzina al tavolo; si alzò in piedi, in cerca della sua giacca nera da Smoking della serata antecedente. Mi chiesi che diavolo avesse bevuto la sera prima.
« La Scuola!» Esclamò poi. Tutto chiaro. La scuola. Credeva d’essere in ritardo.
« Paul!» lo chiamai, ma era troppo intento ad indossare i mocassini neri e lucidi, in fretta e furia.
« Paul!» Ripetei, ma era troppo intento a cercare la giacca, per sentirmi.
« Paul!» Richiamai. Aveva trovato la giacca, ma non mi badò lo stesso.
« Paul!» Sbottai un’ultima volta. Ottenni la sua attenzione, infatti mi rivolse il suo volto
« Che c’è? Non vedi che sono in ritardo?» domandò indicando l’orologio appeso al disopra della capa del caminetto.
«Rilassati, è domenica!» esclamai in fine. Il ragazzo si buttò a peso morto sul divano. Quella sbronza lo aveva proprio massacrato!
« Grazie a Dio!» sospirò, sbottonandosi la giacca.
« Grazie a Melissa!» Dissi io. Gli strappai un sorriso, che presto si trasformò in una grassa risata. Lo accompagnai sussurrando uno “Stupido Ragazzo” tra una risata e l’altra.
 Forse stavo esagerando, a dargli tutta quella confidenza. Forse era meglio conoscerci più affondo. Nonostante avessi visto un filo trasparente, denominato Amicizia, che ci avrebbe leagti da quell’istante in poi.
« Allora, Paul Mc….Mc… com’era il tuo cognome?» Domandai inarcando un soppraciglio, ed inclinando lievemente la testa
« McCartney, James Paul McCartney! Ricordatelo!» Disse, lievemente seccato. Mi stava simpatico, questo suo lato permaloso.
« Bene Mister McCartney, che ne diresti di dirmi qualcosa di te, visto che ti ho salvato dalla selva oscura, l’altra notte?» domandai, ironizzando. Mi sorrise mostrandomi tutta la perfezione. Quando sorrideva, il labbro superiore formava un arco, creando due piccole fossette al limite degli angoli della bocca. Tutto ciò era a dir poco…edilliaco. Mi sentii avvampare per l’imbarazzo. Era davvero bello! Un deo!
« Mi chiamo Paul, Non Sean. Partiamo da questo presupposto!» rise tra sé e sé; « suono il basso in una band, ci facciamo chiamare i “Beatles”, suoniamo al Cavern Club, quando possiamo, sai, amo la musica! » gli si illuminarono gli occhi. Vidi il “lampo dell’artista”, come lo chiamavo io, zampillare dalle sue pupille. La stessa luce che vedevo in mio fratello, tempo fa. La stessa luce che mio fratello vedeva in me, secoli fa.
Capii subito con chi avevo a che fare: un sognatore.
A volte mi capitava di pensarlo… mio fratello. Ma subito mi affrettavo a cancellare quel ricordo, e buttarlo nel cestino, al più presto possibile, ma adesso che avevo difronte ai miei occhi Lui, quel bellissimo ragazzo, col “lampo dell’artista”, mi vennero in mente tutti i più bui ricordi; Tanto che scese una lacrima dal mio occhio. Subito dopo un’altra, ed un’altra ancora susseguta da singhiozzi innumerevoli.
Paul era in panico. Lo avevo capito subito, che lo stavo metendo a disagio, dovevo smetterla subito di piangere, ma non ce la feci. Mi portai le mani al volto e dissi
« Non è colpa tua..» con voce spezzata dalle lacrime amare. Lo sentii mugugnare, subito dopo compì un atto del tutto inaspettato: mi abbracciò.
Mi aveva abbracciata, non ci conoscevamo, ma mi aveva abbracciata. Era incredibile come lui, la pesona più a me sconosciuta al mondo, fosse già divenuta il fulcro del mio universo. Saremmo diventati buoni amici, ed io gli avrei confidato tutti i miei segreti più insipidi.

Little Girl Blue:
Ave! eccovi il terzo, amati lettori. Vi avverto, che in questi giorni sono andata avanti fino al decimo capitolo :3 quindi, aggiornerò al più presto,
Basta chiedere ;D

 L.O.V.E.,
From Hell,

Little Girl Blue.


 

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Capitolo 4
*** Cry Babe. ***



Cry Baby-

Don't you know, honey,
Ain't nobody ever gonna love you
The way I try to do ?
-Janis Joplin-


Paul's Point Of View
Stava piangendo, tra le mie braccia, disperatamente, senza che io capissi nulla di tutto ciò. Non capivo che cosa avevo fatto, per ridurla in quello stato. Mi aveva detto che non era colpa mia, eppure mi sentivo maledettamente in colpa. Le sussurrai all’orecchio che sarebbe andato tutto bene, e che li c’ero io; un perfetto sconosciuto, con la quale si sarebbe pututa liberare dei mille pesi che affliggevano la sua anima tormentata. Aveva sicuramente avuto un passato difficile, glie lo si leggeva in faccia, che aveva cancellato qualcosa dalle sue memorie. Qualcosa di doloroso, perché i bei ricordi non si resettano mai.
Lentamente si calmò. Eppure era ancora li, fra le mie braccia. Percepivo il suo respiro, e quel profumo di cannella che proveniva dai suoi capelli corvini. Non mi conosceva nemmeno, eppure sembrava non aver intenzione di interrompere quell’abbraccio spontaneo.

« Va meglio?» chiesi sorridendole, anche se non poteva vedermi sorridere, sapevo che lo aveva in qualche modo percepito.
Fece in cenno di diniego, ma almeno aveva smesso di piangere.
« Ti va di dirmi perché piangi?» le chiesi sottovoce. Mi sembrava un essere così flebile, che un tono di voce in più l’avrebbe potuta spezzare. Sembrava fatta di porcellana, e sembrava che da un momento all’altro si sarebbe distrutta in mille piccoli frammenti di bianca ceramica vitrea.
« Tu non c’entri, Paul, perdonami…» rispose. Solo delle scuse. E dire che ero quasi bramoso di sapere qual’era il peso che si portava dietro.
Mi staccai da quell’abbraccio per primo, e la fissai negli occhi, nonostante facesse di tutto per evitare i miei.
« Dimmi perché hai pianto» questa volta non era una domanda. Era un comando, senza veli autoritari nel tono, ma pur sempre un’affermazione.
« è una storia…troppo lunga e complicata…» disse fissando il pavimento. OK, o il tappeto arabico che ornava quella stanza era proprio bello, o Melissa non voleva decisamente guardarmi in faccia. Le alzai il mento con due dita, e la costrinsi a guardarmi negli occhi. Vidi una velatura di azzurro cinireo che spezzava l’uniformità corvina dell’occhio destro. Mi pareva di aver sentito parlare di un fenomeno chiamato Bicromia parziale, o roba simile, in ogni caso, sapevo solo che tutto ciò non aiutava a non renderla dannatamente affascinante e misteriosa. Eppure non sapevo nemmeno chi fosse.
« Ho tutto il tempo dell’universo Mel, ti prego, dimmi cosa ti tormenta!» Le dissi, guardandola dritto negli occhi.
« è che…tu…mi ricoridi tanto una persona speciale, che ho amato per tanto tempo, ma che adesso non c’è più..» doveva esserle morto un fidanzato, o roba simile, pensai.
« Chi?» chiesi senza pudore. La vidi fare un’espressione lievemente contrariata, ma nulla di che.
« Mio fratello Samuel.» disse avvampando di rossore, e tornando a fissare il tappeto arabico. Suo fratello? Aveva amato suo fratello? In che senso Amato? Le domande tempestavano la mia mente contorta da semplice bassista.
« é…che cosa è successo tra voi, ti va di raccontarmelo?» Fece spallucce, ma sembrava non aver intenzione di guardarmi.
« Mi prenderesti per pazza, come minimo!» affermò, sorridendo. Ma era un sorriso pieno di amarezza.
« Siamo tutti un po’ pazzi, no?» le domandai con un velo d’ironia, per rendere tutto più facile. Fu allora che si aprì completamente.
« Mio fratello Sam, ha quattro anni e nove mesi in più di me. Tutto cominciò in terza media, lui era più che intenzionato a diventare un chitarrista, cantante e coreografo solista, di fama internazionale. Fu così che cominciai a perderlo. Sai, non avendo mai avuto una vera e propria figura paterna, io mi attaccavo sempre a lui. All’epoca avrò avuto circa undici o dodici anni, e presi la mia prima cotta.» fece una pausa, la vidi arrossire nuovamente.
« Per mio fratello Sam. Lo so, non è normale, ma io sapevo che il mio sentimento andava ben oltre la fratellanza ed il legame di sangue. Io, sognavo la notte noi due, assieme come coppia, e lui era il centro del mio universo. Quando lo scoprì mi ripudiò, perché sconvolto dal fatto che fossimo fratelli e che non fosse per nulla normale che io provassi un amore platonico nei suoi confronti;
così non appena ebbe compiuto i diciotto anni firmò un contratto con una casa discografica, e partì per Los Angeles. Da allora non l’ho più visto.» OK, dovevo ammetterlo che non fosse assolutamente normale. Un incesto fra fratelli era il rapporto più duro che si potesse avere, non lo avevo mai vissuto in prima persona, ma potevo immaginarlo.
Dovevo ammettere anche di essere rimasto decisamente spiazzato dalla sua confessione. Una volta finita la storia,alzò il volto verso di me, e potei incontrare nuovamente quelle pietre dal color della pece. Mi sussurrò con voce spezzata
« Ti prego non dirlo a nessuno!» e piombò il silenzio. Un silenzio tombale.


Little Girl Blue

Salve popolo che non recensisce :'D eccovi con il nuovo capitolo in tempo record. So che molti seguono la storia, cosa che mi fa davvero piacere, ma ancora più piacere mi farebbe se recensiste ogni tanto é_è
In ogni caso ho una domanda per voi:
Cos'altro ascoltate oltre ad i Fab 4? Ditemi i 4 posti che precedono il primo, in ordine di importanza, per esempio:
1) Beatles
2) Michael Jackson/ Janis Joplin/ Elvis
3) Peggy Lee/ Nancy Sinatra/ Ella Fizgerald
4) Guns N Roses/Alice cooper/Black Sabbath
5) U2, Pink Floyd/ Pat Benatar/ Joan Jett

questa è lam mia Top 5, i nomi che compaiono allo stesso posto è perchè per me sono alla pari :'D
voi, cos'altro ascoltate?


Little Girl Blue.

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Capitolo 5
*** Stand Up Comedy! ***



 

Stand Up Comedy! -

But can you stand up to beauty, dictator of the heart
I can stand up for hope, faith, love
- U2
-
.

 

 
Melissa's Point of View.
Sapevo che mi stava giudicando. Mi sentivo come un criminale sotto questura. Mi sentivo decisamente un criminale.
Mi ero innamorata di mio fratello. Mio Fratello! Sapevo benissimo che fosse una pazzia, eppure avevo coltivato quel sentimento nel modo più segreto che potesse esistere. Non lo sapeva nessuno, non lo sapeva mio padre, nemmeno mia madre. Lui… quello sconosciuto, era il primo. Il primo alla quale avevo raccontato la mia storia. Il perché? Ancora adesso me lo chiedo. Probabilmente quel suo sguardo perso, da cerbiatto impaurito, mi aveva ispirato fiducia. O forse avevo rivisto Sam, nel suo sguardo, nei suoi occhi, e la cosa mi conturbava parecchio.
Sapevo che avrei finito col’innamorarmene, e conoscevo già la fine di quella storia che doveva ancora essere scritta. La conoscevo benissimo. Mi avrebbe lasciata per sempre in un angolo, per seguire la sua musica, il suo unico vero amore. L’unico vero amore di Samuel Bandinelli.
« di qualcosa, ti supplico…» dissi disperatamente. Più se ne stava zitto, più mi rendevo conto che forse avevo commesso l’errore più grande della mia vita.
« Io non so chi tu sia, Melissa. Non so il tuo passato, non so chi siano i tuoi genitori, non so nemmeno il tuo congnome..» disse. Lo sapevo, ero stata delusa. Un’altra volta. Automaticamente mi venne da piangere, ma trattenni i singhiozzi: scesero unicamente le lacrime.
« Ma sappi una cosa…» aggiunse poi, alzandomi il volto, incitandomi a guardarlo negli occhi, cosa che odiavo fare in momenti come questi.
« So che non ci conosciamo nemmeno, ma tutti nella vita hanno sofferto. Chi più, chi meno. Chi non ha ancora provato dolore, e chi lo proverà in futuro. Ma voglio che tu sappia una cosa, anche se sembra assurdo. Ci sarò, sempre. Se mai avrai bisogno di sfogarti, io ci sarò, credimi! Perché tutti hanno bisogno di una spalla su cui piangere, tutti, anche il più potente.» concluse. Spalancai gli occhi: ero sconvolta. Ero già pronta a dimenticarlo, e chiuderlo nell’angolo più remoto delle mie memorie, assieme a Sam. Invece no. Mi aveva sorpresa, dinuovo. Non credevo fosse nemmeno possibile che ci fosse qualcuno davvero disposto a curarsi Melissa Aurelia Bandinelli, eppre era li, danavti ai miei occhi. Era vero, reale, palpabile.
« Sei una persona speciale, Paul McCartney, chiunque ti abbia attorno, è un’uomo fortunato!» gli dissi sorridendo.
« Si sono fatte le nove…» disse fissando l’orologio, dopo aver ricambiato il mio sorriso.
« Hai fame? O preferisci farti una doccia? fa come fossi a casa tua, almeno fino a domani sera, perché tornerà mio parde dall’india…»
« India, eh? Interessante! Credo, in ogni caso che farò una doccia, e poi toglerò il disturbo, ne ho già causato abbastanza!» esclamò scoppiando in una risata pura e critallina. Le sue risa erano come una cascata di perle bianche. Mi sentii inane difronte a cotanta perfezione.
« Non disturbi affatto!» gridai, quando era già entrato in bagno.
 
Lo vidi uscire dalla porta della toilette, coi capelli castani appiccicati al volto, ed un asciugamano bianco, che copriva unicamente la sua vita sottile. L’addome era piatto, non aveva muscoli, ma si potevano intravedere appena accennati. Non aveva un filo di pancia, non aveva una sola imperfezione, nulla. Tutto era al suo posto, in quel corpo, e la cosa mi inquietava assai.
« Hem..» lo vidi arrossire, lo avevo fissato troppo a lungo? Stava pensando già male di me?
« Non è che avresti un asciuga capelli, o roba simile?» mi chiese grattandosi la nuca, imbarazzato. Sorrisi divertita, e mi alzai dalla mia postazione sul divano.
Presi la sua mano, e senza dir nulla, lo accompagnai al piano superiore, lo portai in camera mia, e gli ordinai di starsene fermo li. Penso che nella sua mente, in quel momento, fossero passati i pensieri più strani. D’altronde lui era mezzo nudo, ed io lo avevo portato nella mia camera da letto. Mi curvai per tirare fuori l’asciugatore dal comodino, e glie lo porsi. Vidi un sorriso malizioso morirgli sulle labbra.
« Uffa…» mi disse deluso, fingendosi un bimbo alla quale non era stato fatto il regalo di compleanno
« e io che pensavo che tu, volessi… ecco…» mi disse, facendo gli occhi dolci. Scoppiai a ridere
« dopo neanche un giorno che ci conosciamo? Non sono mica una ninfomane!» ironizzai, letteralmente buttandogli addosso l’asciugatrice.
« Se per caso cambiassi idea, io sono qui, eh!» lo sentii urlare dalla mia stanza, mentre mi allontanavo sorridendo per ciò che era appena successo. La verità era che un po’ mi aveva imbarazzata, ma non lo avrei mai dato a vedere. Ne andava del mio nome!
Tornai al piano inferiore, e ripensai a ciò che era successo pochi attimi fa. Pensai alle sue parole, ed al fatto che mi avesse promesso che lui ci sarebbe stato per me. Scossi la testa per evitare che il pensiero di Samuel riaffiorasse nel prato del mio cervello. Era solo uno stupido, e non m’importava più nulla di lui. Mi aveva delusa, ripudiata, umiliata nei peggiori modi possibili. Non meritava nulla da me, quell’essere. Nemmeno i miei pensieri!
« Hey!» Mi salutò Paul, completamente asciutto e pulito, vestito alla stessa maniera con cui era vestito la serata prima. Certo non era il massimo dell’igene, ma cosa avrebbe potuto farci lui, non si portava certo il cambio occasionale, in caso di perdita per boschi!
« Hey, sei già pronto?» Mi sorrise, accennando. Mi fece l’occhiolino, e scoppiai a ridere
«Sono Mister perfezione, io!» esclamò, risi ancora. Era un ragazzo d’oro, si vedeva. Si sedette accanto a me, su quel divano nella quale avevamo passato le ultime tre o quattro ore.
« Tieni» disse porgendomi una banconota da cinque, « Per il disturbo!» aggiunse, poi.
« Scherzi, vero?» gli chiesi restituendogli la banconota, « ,Non accetto certo soldi da gli ospiti! Non è mica un Bed&Breakfast, casa mia!» aggiunsi fingendomi adirata.
« Sul serio, Mel, davvero. Prendili, non è nulla, lo so, ma è il mio modo per dirti grazie!» Aggiunse. Non so come, ma ci trovammo sulla soglia della porta di casa mia, ed io tenevo stretto l’uscio della maniglia.
« Vuoi davvero ringraziarmi?» gli domandai, incitandolo. Allora mi avvicinai al suo orecchio, e riposi la banconota nella sua tasca
« Promettimi che ci rivedremo!» sussurrai, senza alcuna intenzione di essere fraintesa. Volevo rivederlo, come amico. Null’altro! Detto ciò, mi allontanai ed aprii l’uscio di casa. Lo vidi lievemente scosso, ed imbarazzato. Avevo esagerato?
« Domani.» mi disse una volta fuori. Domani che cosa? Pensai tra me e me. Il ragazzo aprì il canciello ed uscì.
«Domani sera alle sei e mezza al cavern. Il mio gruppo si esibirà verso le Dieci, ci terrei se ci fossi.. anche tu.» Mi sorrise gentilmente, e chiuse il cancello.
« Passo a prenderti io, non ti preoccupare di nulla!» mi salutò in fine, incamminandosi verso la fine della via. Rientrai in casa, e restai a fissarlo dalla finestra fino a che non sparì dalla mia visuale.
Sospirai. C’era qualcosa, in quel ragazzo. Qualcosa che non era suo, ma mio. E lui sel’era portato con se, qualunque cosa fosse, ora apparteneva a lui.

 







 

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Capitolo 6
*** I want to break free. ***


 

I want to break free-


 

I've fallen in love
I've fallen in love for the first time
And this time I know it's for real
I've fallen in love yeah
God knows, God knows I've fallen in love
{Queen}

 

 



Paul's Point Of View.
Camminavo per la strada a passo svelto: non volvevo che la gente mi vedesse con gli stessi vestiti della serata prima. Nonostante nessuno potesse saperlo, per me era un grosso problema. Più che altro lo erano i calzini! Che schifo! Non era pernulla igenico. In ogni caso, nonostante cercassi di pensare al mio aspetto esteriore, qualcuno dentro di me stava sussurrando qualcosa. Anzi lo stava urlando; urlava: “Melissa”. Perché? Era solo una ragazza come tante altre, che si era fidata di me sin dal principio, e mi aveva aiutato nel momento del bisogno. Era una ragazza come altre, certo!
Ma chi diavolo volevo imbrogliare? Me stesso? Tanto non avrebbe funzionato. Ormai quella ragazza mi aveva preso il cervello. Non potevo certo dire di esserne già innamorato perso, ma in ogni caso provavo un interesse spropositato nei suoi confronti. Perché?
I suoi occhi bicromici, oppure i suoi capelli completamente diversi da quelli di ogni altra ragazza mai vista. Per i suoi modi di fare distaccati, ma ravvicinati allo stesso tempo. Per il suo complesso miesterioso che non andava a far altro che riempire di Interesse la sua aura mistica.
Scossi la testa. Dovevo smetterla di pensare a lei, non sapevo nemmeno chi fosse. E tra l’altro ero stato talmente idiota da non leggere nemmeno il numero, o il cognome sul portone di casa sua. Fortuna che c’era la memoria visiva!
« Pauliee!» sentii alle mie spalle: qualcuno stava interrompendo i miei pensieri. John Lennon.
«Hey John!» lo salutai sorridente. « Come mai cosi mattiniero, Paulie?» domandò sorridendomi, senza abbandonare quell’aria maliziosa che aveva in volto da quando l’avevo incontrato la prima volta.
Scrollai le spalle. « Ieri sera eri un po’ preso male, sei scomparso, ci hai fatti preoccupare tutti quanti!» esclamò sgranando gli occhi color nocciola, lievemente dal taglio orientale.
« Sì, cheidi scusa ai ragazzi da parte mia, in ogni caso sto benissimo, no?» domandai, accendendomi una sigaretta, ne offrii una a John che invece, approfittando, ne prese tre; Ringraziandomi con un caloroso “Grazie Paulie!” seguito da una pacca sulla spalla. Ero lievemente infastidito dal suo comportamento. Decisamente infastidito, ma Lennon era fatto così. Non potevo farci nulla, così mi limitai ad un insulto amichevole.
« Sempre il solito Lennon, eh?» Chiesi, voltandomi verso di lui. Con gran sorpresa lo ritrovai con le tre sigarette che mi aveva rubato, in bocca. Tutte e tre contemporaneamente. Ma la sosa più bella fu la sua espressione sconvolta da cane bastonato, che aveva tutta l’aria di dire “ Scusa, dovevo farlo!”.
« Che razza di…?» domandai divertito. Le accese contemporaneamente, e con pieno fare da “uomo di gran classe” se le sfilò contemporaneamente dalla bocca, per espirare il fumo, dopo di che le ripose al posto precedente. Come sprecare tabacco inutilmente, pensai.
« Sei proprio un idiota Lennon!» esclamai, a quel punto non potè resistere nemmeno lui, e scoppiò a ridere, salvando le sigarette, che spense appositamente lanciandole addosso ad un muro. Ecco un altro modo per sprecare il Mio tabacco.
« Allora, ti sei diverito ieri con Mel, eh?» Mi domandò. Come poteva… Come lo aveva scoperto, la conosceva di persona per caso? O era un suo parente?
Impossibile, John non aveva parenti italiani, che io sapessi.
« Mel, chi?» domandai, fingendomi confuso a causa dei residui della sbronza precendente
«Melanie King, la rossa tutta curve che ti sei fatto ieri! Certo che ci sei proprio rimasto, ieri sera, quanto hai bevuto?» Mi chiese tra una risata e l’altra. Melanie, non Melissa. Per fortuna! In ogni caso restava il fatto che io proprio non ricordassi minimamente chi fosse, questa Melanie King. Neppure un po’.
« Io non mi ricordo nulla di ieri sera, cosa vuoi pretendere Johnny, che ti dia il menù delle ordinazioni alcoliche che ho fatto ieri?» domandai prendendolo in giro. Mi titò un pugno affettuosamente alla spalla, anche se a dire la verità, un po’ mi aveva fatto male.
« Allora Macca, domani si suona,eh?» Domandò John, dopo svariati minuti di silenzio, passati a contemplare Liverpool.
« Speriamo ci acclamino come sempre!» sorrisi.
« Ovvio che acclametanno quattro Modelli come noi!» ironizzò Lennon, gonfiandosi il perrto di autostima,
« Credimi, Paul, siamo destinati alla grandezza!» concluse in fine, fissando le nuvole, dopo di che ci salutammo così che ugnuno potesse imboccare la propria strada.

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Capitolo 7
*** Strange Days. ***




Strange Days -

Strange days have found us

And through their strange hours

We linger alone

Bodies confused

Memories misused  

As we run from the day

To a strange night of stone
[The Doors]

 
 

 

Melissa's Point Of View
Mi vestii in fretta, ed uscii. Dovevo assolutamente andare da Angel Rosati, la mia unica amica Liverpooliana con cui avevo stretto amicizia, nell’ultimo mese.
Mi diressi verso casa sua, totalmente intenzionata a raccontarle ciò che mi era appena successo. Di solito odiavo rapportarmi con gli altri, ma Angel era diversa. Aveva la mente aperta, ed era una sognatrice, come me. Una ragazza senza barriere ne frontiere. Un volta mi confessò che se un giorno ci fosse stata una ragazza speciale per lei, non si sarebbe fatta problemi ad avere una relazione con lei. Angel era bisessuale, per questo punto di vista, nonostante non avesse mai avuto rapporti con una donna. Ed io l’ammiravo. Non potevo far altro che ammirarla, perdchè io non sarei mai riuscita ad aprirmi così, al mondo.
Mi ritrovai difronte a casa sua, o meglio difronte alla sua villa. Era un’enorme casa color Avorio, in stile Vittoriano, il marmo che ornava le colonne bianche, era venato di un color lapislazzulo, che si estendeva pittoricamente lungo tutte le colonne in stile Traiano. Sospirai nell’invidiare cotanta magnificenza.
Suonai ripetutamente il campanello, fino a che non spuntò Angel dal portone in Ciliegio della Villa.
« Mel, che ci fai qui?» mi chiese, decisamente felice di vedermi. Una volta nella sua stanza le raccontai di Paul.
«Lo rivedrai domani sera? Oh Mio Dio, Melissa! Dobbiamo subito pensare a conciarti decentemente, è il tuo primo appuntamento con un ragazzo che non sia… tu-sai-chi!» Esclamò felicemente. Ripensai un attimo al fatto di quel Tu-sai-chi, sottointeso. Non ricordavo di averle raccontato mai di Sam. O forse mi era sfuggito.
« Domani, hai detto che viene lui da te verso le sei, vero? E suonano alle dieci. Mi sembra poco ragionevole, sai?» mi domandò. In effetti era vero, ma feci spalluccie, per sentire cos’aveva in mente Angel.
« Bene, vorrà dire che tu sarai a casa Rosati alle quattro in punto, non mi interessa nulla del tuo insegnante privato, digli che hai la febbre e che non venga!» esclamò esuberante. Significava che avrei dovuto annullare ogni appuntamento con Jack, il mio insegnante privato. Proprio così, per il mio effettivo mese a Liverpool, avevo un insegnante privato Italobritannico a mia disposizione, perché io non perdessi lezioni, finchè mi trovavo nel Regno Unito.
« E come faccio ad annullate tutto?» chiesi sconvolta, non potevo certo presentarmi a casa del mio insegnante e digli: “salve, domani avrò la febbre, non venga!”.
« Ho un telegrafo, ci arrangeremo con quello. Voglio che tu ti tenga libera per il tuo primo appuntamento, col ragazzzo più bello di Liverpool!»
« Non era Stuart Sutcliffe, il ragazzo più bello di Liverpool?» le domandai, in base ad un’affermazione fatta tempo addietro.
« Cara Melissa, devi sapere che Stu, è il mio segreto amore; ma se il McCartney che intendi tu, è quello che credo che sia, allora è proprio il caso di dargli il titolo di “Ragazzo più Bello di Liverpool, dopo Stuart e Lennon!”» Concluse incrociando le braccia. Adoravo Angel, sapeva sempre come farmi ridere!
  ***La giornata seguente, alle Quattro e mezza, casa Rosati.***
Angel era femminile, decisa, intraprendente, e con un anno di esperienze in più, alle sue spalle. Proprio così, Angie aveva Dicassette anni, e tra lei, e Paul, mi sentivo davvero piccola. La ragazza dai lunghi capelli castani, e gli occhi verdi, era li, difronte a me, intenta a truccarmi e darmi delle dritte su come mi sarei dovuta comportare. Aveva assolutamente bandito il mio stile Mascolino ma elegante, ispirato a gli anni d’Oro di Coco Chanel, la donna che aveva rivoluzionato il mondo della femminilità, Portando le donne alla pari con gli uomini; Almeno nel campo del vestiario.
« D’accordo, Mel, tu hai un gran bel decoltè che ti invidiamo tutti, ma che tieni sempre nascosto sotto quelle camice a quadri da campagnola, per cui, basta camice, bretelle e calzoni Tartan di stoffa. Non sei un uomo, e non hai nemmeno Quarant’anni, ragazza! Quindi vediamo…» disse addentrandosi nella sua infinita Cabina-Armadio. Se ne uscì con un intimo di pizzo bianco, un vestito in stile Monroe sui toni del blue Navy, e – per mia fortuna – decisamente meno scollato dell’originale indossato da Marilyn Monroe!
« Bene, tu indossera questo intimo, nel caso la serata proseguisse per il meglio, poi, questo vestito Blue Notte, che abbinerai ad un tacco bianco che andrà a riprendere il pizzo del reggiseno, che farà anche da ornamento alla scollatura del vestito, poi ti presterò anche il mio collier di perle, e gli orecchini – di perle anche quelli – così sembrerai una donna di gran classe…in quanto ai tuoi capelli, Ahi mè, non si può far nulla!» esclamò con vero fare da stilista, il suo sogno nel cassetto. Angie aveva un’occhio speciale per la moda, amava lo stile Pin-Up, che aveva regnato durante la seconda guerra mondiale, ai gloriosi tempi di Rosie La Rivettartice.
Amavo questo suo lato rivoluzionario. Ma odioavo quando voleva che la sua rivoluzione interiore, divenisse anche mia. Infatti mi sentivo maledettamente a disagio con quegli indumenti. Soprattutto i tacchi. La storia dei tacchi era nata all’inizio del Milleottocento, i primi tacchi erano indossati dalle Prostitute dei Lupanari francesi. Non volevo sembrare una maledetta prostituta! Tanto meno Francese!
« Angie, apprezzo la tua ottima capacità, ed il tuo infallibile fiuto, nel evidenziare il meglio delle persone, ma… mi sento a disagio con la gonna, e con i tacchi, e… con tutto qusto trucco, mi sento… un prostituta!»
Esclamai, cercando di far cambiare idea alla mia amica, che invece si ritenne offesa.
« Non se ne parla nemmeno, le prostitute non sono minimamente paragonabili al tuo aspetto, Mel, tu emani Charm da tutti i pori, ora non sembri più una donna che vuole lanciare un messaggio di allerta a gli uomini, ma ora sei una donna più sicura, e non dimostri i tuoi insulsi Sedici anni!» Tentò di propinarmi in testa le sue intenzioni, con quel suo Parlar Forbito, capace d’incantare chiunque. Chiunque tranne me! Le conoscevo benissimo anche io, le tecnice del Parlar forbito e della psiocologia inversa!
«no, non se ne parla, non voglio dare l’impressione di essere una…facile!» Vidi Angel stringere i pugni.
« Maledizione, Melissa, non rompere le palle, suvvia! Lamentati ancora, e giuro che ti appesantisco talmente tanto quel trucco da farti apparire come una Geisha Giapponese!» Mi minacciò.
« Fai pure, le geishe non sono prostitute! La Geisha è un’artista intrattenitrice, che fa culto delle sue arti per intrattenere e divertire i…» Non feci in tempo a finire la frase, che Anglie mi tappò la bocca
« Risparmiami la lezione di storia Orientale Mel! non ti lamentare, vedrai che mi ringrazierai!» disse spingendomi letteralmente fuori da casa sua.
« E prenditi questa, ti servirà a non congelare dal freddo!» disse lanciandomi una giacca color avorio con rifinizioni Blue, probabilmente appartenuta ad un completo da Tailleur.
In primo piano, tentati di camminare con quegli stramaledetti trampoli, neanche fossi una trapezista!
Rischiai di slogarmi le caviglie almeno dieci volte, prima di raggiungere casa mia, e chiudermici dentro, attendendo le sei, ed attendendo Paul.


Little Girl Blue:

SALVEE! da quanti secoli che non aggiornavo 'sta noia. Lo so, non vi prende per nulla. Neppure a me piace. Ultimamente sto scrivendo sempre peggio - DAMMIT JANET! (cit. Rocky Horror) - e quindi i miei elaborati fanno mpiangere un cieco.
Non so che dire. Si va di male in peggio, poi ho cominciato il 2013 (BUON 2013 A TUTTI, SCUSATE IL RITARDO!) proprio di merda. E' morto un professore nella nostra scuola, ed ho 4insufficienze da recuperare!!
Fortutanamente nessuna materia artistica. Almeno in quello me la cavo D:
Almeno così credevo.

BUONSALVE A TUTTI.
 

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Capitolo 8
*** 8. Day Tripper. ***


Day Tripper -


She's a big teaser, she took me half the way there
She's a big teaser, she took me half the way there, now
{Beatles}

Paul's p.o.v.
« Hey Paul!» Mi salutò George; come sempre ci eravamo incontrati al parco per discutere amichevolmente, e fumare in santa pace, lontani dai problemi del mondo esterno.
« Geo!» lo salutai. Nonostante John fosse il mio migliore amico, George era quel tipo lievemente più maturo, con la quale si poteva parlare di una ragazza senza fare continue allusioni al sesso, com’era solito a fare John.
Anche se Geo era il più piccolo, era ottimo come psicologo personale.
« Allora Macca, se mi hai chiamato, significa che ti devi sfogare,» mi disse, inivtandomi a sedermi sulla sua stessa panchina
« quindi, coraggio, spara!» concluse sorridendomi, ed offrendomi una sigaretta, che come sempre rifiutai, avendo a portata di mano il mio pacchetto.
 « Questa sera porterò una ragazza con noi, ma non voglio che finisca come con tutte le altre» dissi con aria assente.
«Che cosa vuol dire “come con tutte le altre”?» domandò sorridente; quando sorrideva gli si evidenziavano i solchi naso-facciali, e metteva in evidenza tutti quei denti, perfettamente al loro posto. Adoravo i sorrisi di George, erano davvero magnifici – parlo da amico, naturalmente – .
« La conosco solo da un giorno, non so nulla di lei… eppure mi affascina così tanto, George!» gli dissi, mentre il sorriso si spegneva sul volto, per formulare una domanda o una risposa alla mia affermazione
« Allora deve essere davvero bella!» Esclamò scoppiando in una risata cristallina e lievemente nasale.
« Beh, è diversa. Non so che tipo sia, se sia timida o se ami divertirsi, se sia un tipo da Una-botta-e-via, o un tipo da relazione seria…capisci?» domandai gettando il mozzicone a terra, e mettendo fine al suo fumo, pestandolo più volte.
« Quindi non vuoi giocare coi suoi sentimenti, perché non la conosci ancora, vero?» mi domandò, anche se in realtà più che una domanda, era tutto ciò che pensavo, racchiuso in una frase. Gorge aveva capito tutto.
« iI fatto è che di solito non sono così! Tu mi conosci, Geo, lo sai quanto sono bello, e quanto le ragazze mi vengano dietro!» ironizzai pavoneggiandomi, come al mio solito. Notai che George alzò gli occhi al cielo, lievemente seccato dalla mia piena autostima, ma pur sempre con fare cordiale ed ironico
«  lo sai quanto io usi questo a mio vantaggio, per le tipiche “Una-botta-e-via”, però con lei è diverso. C’è qualcosa, dentro di me, che vuole conoscerla a fondo… forse solo come amica!» Esclamai, in quel momento mi vennero in mente tutte le rispose alle mie domande. Feci un gridolino di gioia, e tirai una pacca amichevole sulla spalla del mio amico dal bel sorriso
«Ci sono!» sbottai, « Grazie Mille Geo, sei sempre il miglior Strizzacervelli di Liverpool!» esclamai in fine, tagliando la corda; Mentre George cercava di orientarsi su ciò che era appena accaduto. Lo avevo lasciato lievemente spiazzato, ma gli avrei chiesto scusa quella serata.
Erano le cinque e mezza, avevo pochissimo tempo! Corsi in camera a prepararmi. La maggior parte di tempo la impiegai alla cura dei miei capelli perfetti, ma naturalmente con l’infallibile aiuto di Gel e Brillantina!
Mi fissai allo specchio e mi incitai «Coraggio Paul, ce la puoi fare! È solo una ragazza, e tu sei un ragazzo, giusto? Oh, ma che cazzo sto dicendo?!» non stava andando per il meglio, l’autoincitamento.
Tentai invano di giustificarmi, il fatto era che non riuscivo ad accettare il fatto di essere… nervoso.
Uscii, correndo, mancavano dieci minuti! Misi in moto la mia auto, azzurro cinireo, e partii.
La mia memoria visiva m’aiutò molto, infatti riuscii a suonare al campanello esatto.
« Oh!» qualcuno aprì la porta, ma poi la richiuse. Sentii dei rumori internamente, che indicavano i chiavistelli che venivano sabotati, subito dopo mi apparve.
E Come una visione edilliaca; Indossava un vestito color notte, e si era anche truccata! Mi sentii lusingato.
« Sono le sei, e tu sei già qua! Incredibile, il tuo tempismo!» mi disse frettolosamente, mentre tentava di tirar fuori qualche coa dalla sua piccola borsetta bianca.
« Io sono perfetto, Miss, cosa credevi? Credevi che sarei arrivato alle sette, per caso?» le domandai, porgendole il mio braccio. Attorcigliò il suo arto al mio, e potei sentire la sua pelle sulla stoffa della mia giacca. Era pallida e fredda – Mi chiesi se si stesse ibernando, o cosa – al contrario, invece aveva due zigomi rossi ed accesi, che la facevano sembrare ancora di più misteriosamente… vampiresca! Pallida come la luna, capelli corvini come la notte, ed occhi neri come la pece, labbra rosso sangue e guance color pesca. Tutto in lei aveva un ordine cromatico preciso, basato sul contrasto dei toni. Mi chiesi quali misteri oscurassero la vita di quella ragazza, che ora era li, davanti a me, tutta sorridente. Il mio occhio cadde nuovamente sulle sue tette. Sarei stato uno stupido a non darci almeno un’occhiata! Mi sentii dinuovo un maniaco. In quel momento mi sarebbe servito George, lo strizzacervelli. Ma invece ero solo, e teso. Per la prima volta, ero teso a causa di una ragazza. Che Stranezza, pensai. Io, che ero così sicuro di me, ora mi trovavo in una situazione sconvenevole, ma avrei finto in ogni caso, di riaccquistare la mia sicurezza. Ne andava del mio onore!

Little Girl Blue:

Chiedo scusa per l'aggiornamento trado.
D'ora in poi aggiornerò ogni mercoledì e sabato.
Se riuscirò a rispettare i tempi con coeerenza.
Mi dispiace di avere pochi lettori e recensori, significa che il metodo che utilizzo per scrivere non rientra negli standard migliori.
Chiedo umilmente scusa per questo, ad ogni modo, ringrazio molto xjonasbeatle, che non manca mai un capitolo, per lasciare il suo prezioso commento.
Lo dedico a lei, questo capitolo, anche se di scarso carattere.
Little Girl Blue.

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Capitolo 9
*** It Don't Come Easy. ***


It Don't Come Easy -
 


I don't ask for much, I only want your trust
And you know it don't come easy
And this love of mine keeps growing all the time
And you know it don't come easy
{George Harrison
}


 


Melissa's Point Of View
Mi stava fissando. Mi sentivo osservata, infatti iniziai ad arrossire violentemente.
Sperai che Paul pensasse che fosse trucco, non io che scalavo le gradazioni del rosso, sempre più voracemente.
« Sei bellissima, Mel!» esclamò strizzando l’occhio. Mio Dio. Stavo per morire, era così.. perfetto!
Mi fece salire in macchina, da bravo gentil’uomo, ed accese la radio. C’era una band poco conosciuta all’epoca, ma che ben presto avrebbe fatto miracoli: I Pink Floyd; pregai Paul di non cambiare. Amavo l’armonia delle loro canzoni!
« Paul…?» Richiamai la sua attenione.
« Mh?» rispose, assente.
« Tu credi… nelle coincidenze?» gli domandai. Avevo, in fatti, notato un porta chiavi a forma di elefante, sul cruscotto dell’auto. Lo stesso che avevo regalato a mio fratello Sam, il giorno in cui si era rotto una gamba.
« Credo nelle coincidenze, ma non nel destino!» Specificò, nonostante non gli avessi domandato nulla riguardo al destino.
« come mai questa domanda?» mi chiese, mentre la macchina s’addentrava in una strada immersa in un bosco. Mi chiesi se davvero fosse così lontanto quel Cavern, di cui mi aveva parlato.
« Nulla…»  tentai di tagliar corto. Il ragazzo si voltò verso di me , per un istante
« Ti sto portando nel Mio  posto speciale. Non lo devi dire a nessuno, del mio posto, chiaro?» mi chiese fissandomi con quegli occhi color bosco-castano.
Anuii prepotentemente, sperando che tornasse a fissare la strada, e non me.
L’odore di pioggia, a contatto con le ruote sull’asfalto e quel profumo di bosco, nel complesso mi davano la nausea. Paul guidava decisamente velocemente. Avevo lievemente paura. Mi strinsi alla mia cintura di sicurezza. Paul svoltò in una stradina di ghiaia.
« Dove stiamo andando?» domandai lievemente preoccupata, ma lui sorrise maliziosamente. Nessuna risposta, nulla. Avevo paura, ed io che pensavo che fosse un bravo ragazzo!
Tutt’un tratto spuntò un laghetto adorabile, ed una piccola casetta di legno abbandonata. Paul si addentrò verso quel luogo, e si fermò difronte la casetta di legno.  Lo fissai, interrogativa. Mi fece scendere, e mi prese per mano. Quel contatto mi spaventò parecchio. Infatti fui tentata dal ritrarre la mano, che per gentilezza, non feci.
 « Questo è il mio universo parallelo, non ne devi parlare con nessuno!» Mi aveva portata nel suo posto speciale.
« Non ci ho mai portato nessuno, apparte John. Mi ha aiutato quando mia madre… quando lei è morta..» Era morta sua madre? Lo guardai negli occhi, aveva l’aria di una persona così allegra, ed invece rinchiudeva un tale dispiacere dentro di se. Lo avrei dovuto abbracciare, come aveva fatto lui con me, quel giorno, ma non lo feci. Non avevo neppure il coraggio di sfiorarlo, figuriamoci abbracciarlo!
« Mi… mi dispiace, Paul» gli dissi. Fissava il terreno, come avevo fatto io l’altro giorno. Ebbi quasi l’impressione che toccasse a lui, sfogarsi, ora. Tuttavia non disse nulla, e, sempre mano nella mano, mi portò all’interno della piccola casetta. Lui solo possedeva le chiavi. Nonappena entrai, notai poster di Elvis appesi dov’unque, un grosso quadro raffigurante una donna, un letto ed un vecchio caminetto. Un basso ed una chitarra, fogli sparsi, ed un gira dischi. Nient’altro. Rabbrividii, percepivo delle presenze all’interno di quella casa. Presenze non più note alla vita terrena. Erano fantasmi, i fantasmi dei rimpianti e delle debolezze di Paul. Tutto il suo io interiore era racchiuso in quella capanna di legno marcio.
« è un po’ stretto, ma ci si può stare. Che dici?» mi chiese tutto sorridente. Un’attimo prima era sul punto di crollare, ed ora era tutto scintillante, pronto a tirare fuori due cioccolate calde dal nulla.
« è bellissimo…ma….il bar, i tuoi amici, il concerto?» gli domandai, lo vidi ridere.
« Tranquilla, con i ragazzi ci troviamo alle otto al Cavern, ora voglio stare solo un po’ in pace.» Mi invitò a sedere accanto a lui sulla piccola branda. Prese la chitarra ed iniziò a strimpellare qualcosa.
« Suoni?» mi chiese. Anuii.
« cosa suoni?» domandò nuovamente tra una nota e l’altra
« Il pianoforte» sorrisi. Si inumidì le labbra. Era concentratissimo, ed aveva un’espressione angelica stampata sul volto.
« E studi?» domandò nuovamente. Mi sentii sotto interrogatorio, ma mi piaceva. Anuii nuovamente
« Studio Arte, a Venezia.» Smise di suonare per un attimo, e si voltò verso di me
« Venezia? Davvero?» Anuii, divertita
« Ma è vero che è stata costruita sull’acqua?» mi chiese sgranando gli occhi affusolati
« Si, e c’è un lungo ponte che la collega alla terra ferma!»
« Ti prego, descrivimela!» Mi implorò, tornando a strimpellare melodie sconnesse, con la sua chitarra
« è fatta di mattoni, è piena di case e di ponti, non esistono le strade, li si deve solo camminare, le macchine e gli autobus si fermano a Piazzale San Marco. L’acqua della laguna è color verde pino. Ogni casa, ed ogni pietra è al suo posto. Come ogni melodia è al suo posto, in una composizione di Beethoven. Come in una fiaba, ogni casa ha la sua storia. Ogni ponte ha visto secoli di uomini che costuivano la loro vita con le loro stesse mani, ed ogni uomo ha visto i miracoli che ci hanno salvati dalla peste, secoli e secoli fa. Venezia è questo.» conclusi poeticamente.


V For Virginia,
Esattamente, ho cambiato nick. Ho pensato che amo da morire V per Vendetta, ed io mi chiamo Virgi9nia, per cui Fondiamo la cosa!
hahahaha non ve ne può fregare nulla.
Ecco a voi Un po' di spam!Giusto per farvi ribollire nell'attesa. Visto che non segue nessuno questa storia é.è (quasi nessuno!)

SPAM!
 
«John.» Lo chiamai serio. Mancava esattamente un’ora all’inizio del nostro turno. Avevo il tempo dalla mia parte.
John si voltò e mi guardò stranito. Lo presi per un braccio, e lo trascinai abbastanza vicino a me, da poter essere udito unicamente da lui.
«Devo parlarti, è urgente!» dissi.
Sentii i suoi muscoli protestare sotto la mia presa al suo avanbraccio destro.
Corrugò le soppracciglia, confuso. «che c’è Paul, non ora!» si lamentò, era intento a far cadere ai suoi piedi un’altra troietta.
Aumentai la presa all’avanbraccio e lo fissai dritto negli occhi, trasudando serietà e frustrazione. Lo vidi annuire, pronto a seguirmi.
Andammo nell’unico luogo isolato acusticamente: il bagno degli uomini.
Le piastrelle azzurre lucide incorniciavano il bagno pubblico, mostrando alcune cabine per la privacy dei tizi che ci andavano a pisciare.
«Che cosa c’è Paul, cosa c’è?? Ero impegnato!» Sbottò John, al quanto infastidito e soprattutto teso.

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Capitolo 10
*** Civil War. ***


Civil War~



My hands are tied
For all I've seen has changed my mind
But still the wars go on as the years go by
-Guns N' Roses -


 





Paul's Point of view.
Era maledettamente affascinante. Posai la chitarra e la guardai. La vidi arrossire e distogliere lo sguardo.
Tutto il mio corpo mi diceva di baciarla, tutto il mio corpo voleva sentire il calore della sua pelle pallida, le pieghe delle sue scapole, il rossore delle sue labbra, il suo respiro sconnesso. Tutto, dentro di me, voleva sfiorarla. Ma mi trattenni, la conoscevo da poco, d'altronde.
« si vede che ami l’arte, eh? » ironizzai, dopo averla avvertita dell’orario tardivo. Ripartimmo in macchina e ci dirigemmo verso il cavern, dove Stu, John e George, ci attendevano. O meglio, attendevano me.
Avrei tanto voluto perdermi in quegli occhi neri, con una lieve bicromia. Avrei tanto voluto continuare ad inebriarmi del suo odore di lavanda e mughetto, cannella e bosco. Avrei voluto danzare con lei e portarla con me per le vie di Amburgo. Avrei voluto camminare al suo fianco a Venezia, mentre mi descriveva con tutta quell’estasi l’arte e la mitologia di quella città. Eppure era solo una giornata come tante altre, avrei suonato fino allo sfinimento, per un buon mese e poi sarei ripartito per Amburgo, assieie ad i miei compagni. Dimenticandomi di Melissa e della sua misticità incredibilmente magnetica.
Forse avrei dovuto dirgleo, che avevo una doppia vita. Avrei dovuto dirgli che non ci saremmo più visti per un sacco di tempo. Ma ci conoscevamo a mala pena da due giorni! Non ne sarebbe valsa la pena. Prima avrei dovuto iniziare ad instaurare un rapporto di amicizia con quella ragazza.
Arrivammo al Cavern, già affollato più che mai. Entrammo dall’entrata privata, in quel momento un mucchio di ragazzine iniziò ad urlare il mio nome. Succedeva ogni sera, e non che mi dasse fastidio – Anzi! – il fatto era che non ero certo abituato a così tanta popolarità. Non c’era che dire, il nostro gruppo era senzaltro il più forte tra tutti, Avevamo anche superato i Rory Storm and the Hurricanes!
Vidi che Melissa era lievemente a disagio, le presi la mano e l’avvicinai a me.
«tranquilla, non ci faranno nulla!» le dissi avvicinandomi al suo orecchio, per farmi sentire meglio.
«E’ con me!» feci cenno al BodyGuard che proteggeva l’ingresso privato. Ormai mi conosceva da un bel po’, per cui non ebbi problemi a portare un’altra delle mille ragazze che entravano, sotto nostro permesso, nei camerini.
Sapevo che si sentiva a disagio. Lo potevo notare dal suo sguardo perlo, e le labbra serrate in un espressione lievemente sconfortata.
«Paulie! Ti aspettavo!» esclamò John, venendomi in contro, ma cambiò rotta velocemente presentandosi davanti a Melissa.
«E tu saresti, Madmoiselle?» domandò facendole il bacia-mano. Lo fulminai con lo sguardo, non mi avrebbe rubato anche Melissa! Non questa volta!
«Lei è Melissa, è con me!» dissi stringendola al mio fianco. Da allora non aveva osato proferire parola, se non qualche sorrisetto, o qualche sguardo spaventato. Avevo quasi l’impressione che quella ragazza fosse fatta di vetro. Se l’avessi esposta troppo, si sarebbe potuta rompere in miliardi di scheggie trasparenti.
«Oh, scusa Macca, era già prenotata!» disse John alzando le mani, come facevano nei western quando lo sceriffo puntava la pistola alla tempia di qualche soggetto malvivente.
«Tu sei Melissa, eh? Io sono George Harrison, molto piacere!» si fece avanti George con tutto il suo Charm, ed il suo sorriso sghembo,per spezzare la tensione. Lo ringraziai mentalmente.
«Ed io, ultimo ma non meno importante, sono Stuart, ma chiamami Stu!» si fece avanti Stu, stringendole delicatamente la mano. Avevano visto tutti come fosse particolarmente bella, Melissa. Lo potevo leggere negli occhi di George, compiaciuto per la mia concquista; In quelli di Stu, stupito dal fatto che esistessero ragazze con una fisionimia tale; Ed in fine John, geloso del fatto che avessi fatto una conquista di qualità più alta rispetto a quella Mora che gli gironzolava attorno. Ma nel suo sguardo notai qualcosa di differente. Qualcosa come… odio, nei confronti di Melissa. Come se non fosse geloso del fatto che fosse incantevole, ma piuttosto geloso di me. Avrei dovuto parlargli al più presto. Non mi piaceva la piega che stava prendendo la nostra amicizia. Si stava trasformando sempre di più in… Rivalità.
«Mel» la presi per un istante in disparte. Mi guardò negli occhi, con aria preoccupata, come se aspettasse che le comunicassi il decesso di un suo caro.
«Senti, lo so che ti senti a disagio, ma ho dei problemi con John, vedi è il mio migliore amico, ed ultimamente abbiamo avuto strane divergenze. Vorrei parlare un momento con lui, ti dispiace se ti lascio da sola?» Non rispose, si limitò a fare un frenetico cenno di diniego, mentre i corti capelli neri svolazzavano leggiadri.
Andai da George e gli chiesi di tenere d’occhio Stu, e anche Mel; Dopodichè mi diressi – lievemente frustrato – verso John.
«John.» Lo chiamai serio. Mancava esattamente un’ora all’inizio del nostro turno. Avevo il tempo dalla mia parte.
John si voltò e mi guardò stranito. Lo presi per un braccio, e lo trascinai abbastanza vicino a me, da poter essere udito unicamente da lui.
«Devo parlarti, è urgente!» dissi. Sentii i suoi muscoli protestare sotto la mia presa al suo avanbraccio destro. Corrugò le soppracciglia, confuso. «che c’è Paul, non ora!» si lamentò, era intento a far cadere ai suoi piedi un’altra troietta. Aumentai la presa all’avanbraccio e lo fissai dritto negli occhi, trasudando serietà e frustrazione. Lo vidi annuire, pronto a seguirmi. Andammo nell’unico luogo isolato acusticamente: il bagno degli uomini.
Le piastrelle azzurre lucide incorniciavano il bagno pubblico, mostrando alcune cabine per la privacy dei tizi che ci andavano a pisciare.
«Che cosa c’è Paul, cosa c’è?? Ero impegnato!» Sbottò John, al quanto infastidito e soprattutto teso. Aveva la mascella serrata, e le vene dei polsi a fior di pelle, le pupille dilatate al massimo ed un respiro sconnesso. Era incazzato, incazzato come una belva. Tentai di non farci caso, e proseguii con il mio “discorso serio”.
«Che sta succedendo John?» domandai, mentre lui si accendeva una sigaretta imputridendo l’aria circostante, ed impregnando la stanza di fumo.
«Non lo so Paul! Non lo so, Cazzo! dimmelo tu, che succede!» sbottò visibilmente nervoso. A quanto pare non ero l’unico che si era accorto di questa situazione al quanto ambigua.
«John non siamo più come eravamo prima. Non lo vouoi accettare, nemmeno io voglio e così continuiamo a lanciarci frecciatine, sfide impercettibili, insulti alla luce del sole, facendoli passare come scherzi, John. Perché non vuoi ammettere che stiamo passando un momento di… crisi
«Momento di crisi!? Parli come se fossimo una fottuta coppietta che vuole prendersi una pausa!» Esclamò John. Tremando si levò la sigaretta di bocca e la buttò a terra, pestandola violentemente.
«Io…Io non capisco che cazzo ti prende Paul! Vuoi sempre essere il migliore! Sono io il Leader dei Beatles! Io li ho fondati, non tu!» Esclamò. In quell’istante calò il silenzio. Si potevano unicamente udire i bassi della musica delle altre Band, provenienti dall’esterno.
Aveva detto l’unica cosa che non avrei mai voluto sentirmi dire; Che lui era meglio di me. La realtà era che John Lennon era solo un ingrato! Gli avevo insegnato Io, come accordare una chitarra, ero stato io ad isegnargli ad non utilizzare solo tre corde di una chitarra. C’ero stato io, al suo fianco, quando sua madre era morta.
Eppure non avevo mai ricevuto un grazie. Mai in vita mia, non da John perlomeno.
«Non voglio essere migliore di te John,» mentii, mentii spudoratamente; «Il mio unico, maledetto interesse, è fare della musica! E i soldi, i soldi, la musica e le donne. Non mi interessa altro John. Apri gli occhi, sono solo pippe mentali, le tue!» conclusi lasciando il cesso, e lasciandomi alle spalle anche John e le sue insicurezze.
Avevo mentito tutto il tempo. Il mio unico scopo era sempre stato superarlo, eppure non ci ero mai riuscito.



Salve POPOLO! So che non vi interessa per niente questa storia, ma per me è importante, molto importante.
Perchè descrivo il rapporto tra John e Paul, perché sapete tutti che c'era molto di più, che semplice amicizia, tra i loro sguardi.
Eppure nessuno ha mai fatto nulla.
Fatemi sapere che ve ne sembra, almeno mi date un motivo in più per continuare D:


SPAM!!!

Mi accasciai al muro del cesso puzzolente, e mi lasciai scivolare sulle piastrelle sino a sfiorare il pavimento.
Tremavo ancora per il nervoso e l’ansia. Era davvero così importante Paul, per me?
Così importante da causarmi reazioni fisiche del genere?
Guardai le mie mani, disgustato. Si muovevano frettolosamente ed involontariamente sotto i miei occhi appesantiti dalla situazione.
Mi venne improvvisamente un gran mal di testa, quel mal di testa che viene quando tenti di trattenere le lacrime con tutto te stesso.
Ma non ce la fai, e scoppi. Infatti scoppiai a piangere come una femminuccia.
Chiuso a chiave nel grande bagno pubblico.
Piansi e singhiozzai per l’ansia accumulata.
 

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