La Partita

di Bale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Week-end (Parte 1) ***
Capitolo 2: *** Week-end (Parte 2) ***
Capitolo 3: *** Scala Reale ***
Capitolo 4: *** Sabato ***
Capitolo 5: *** Ospite inatteso ***
Capitolo 6: *** Il Premio ***
Capitolo 7: *** Appostamento ***
Capitolo 8: *** Il Gioco Comincia ***
Capitolo 9: *** Sospetti ***
Capitolo 10: *** Aaron ***
Capitolo 11: *** Harold Forrester ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni ***
Capitolo 13: *** Il Vincitore ***
Capitolo 14: *** Rinforzi ***
Capitolo 15: *** Dubbi ***
Capitolo 16: *** "Un nostalgico" ***
Capitolo 17: *** Il Colpevole ***



Capitolo 1
*** Week-end (Parte 1) ***



Finalmente il week-end.

Era stata una settimana davvero dura per la squadra di Sam Cooper.

Si erano trattenuti in Ohio per ben venti giorni.

Un caso difficile li aveva tenuti svegli la notte, li aveva resi nervosi, li aveva fatti sentire impotenti; fino a quel tragico epilogo. Un detective era morto, l’SI si era suicidato.

Per fortuna era tutto finito, anche se non nel migliore dei modi.



Il viaggio di ritorno fu spaventosamente silenzioso.

All’atterraggio, i membri della squadra si dispersero senza neanche un saluto.

Un solo ed unico desiderio li univa ancora, quello di fare una bella doccia e lavare via i brutti ricordi.

Non era facile fare quel lavoro, non lo era per nessuno.



Sam Cooper veniva spesso messo in discussione per la sua inquietante capacità di provare empatia per gli assassini più spietati e di immedesimarsi totalmente in loro.

Eppure, quando tornava a casa la sera, si sentiva tutt’altro che bene.

Si ritrovava spesso a desiderare una vita diversa e soprattutto delle capacità diverse.

Avrebbe potuto fare il postino o il cuoco.

Non gli era mai dispiaciuto cucinare. Aveva conquistato molte donne grazie alle sue abilità culinarie.

Da quando era entrato nell’FBI, però, quella vita era stata accantonata in un angolo buio della sua anima.

Da diversi anni, ormai, i suoi sogni erano popolati dai mostri più oscuri, dai ricordi più terribili, dalle immagini più terrificanti.



Quella sera Sam, rientrando a casa, calpestò una busta gialla.

Qualcuno l’aveva fatta passare sotto la porta.

Non ci badò molto. La raccolse e la gettò sul tavolo; poi andò a farsi una doccia.



Mick Rawson non aveva nessuna voglia di tornare a casa, soprattutto non da solo.

Sapeva che, non appena avesse chiuso gli occhi, avrebbe rivisto tutti gli orrori di quel caso.

Non era raro, per lui, trascorrere una notte totalmente insonne.

Conosceva a memoria la programmazione notturna di tutti i canali della tv via cavo.



Quella sera si trattenne a lungo in un pub.

Una ragazza, dal fondo della sala, lo fissava insistentemente.

Era molto bella e anche molto scoperta.

Lo osservava con fare sensuale, mostrando la sua straordinaria disponibilità.

Mick avrebbe potuto provarci, avrebbe potuto tornare a casa con lei.

Non avrebbe dovuto impegnarsi molto per conquistarla, sarebbe bastata qualche insignificante smanceria.

Eppure, stranamente, non si sentiva affatto in vena.

Aveva bisogno di stabilità, non di vane promesse.

Lasciò una banconota accanto al suo bicchiere mezzo vuoto e sparì verso l’uscita.



Stava per aprire la porta di casa, quando la sua vicina lo chiamò.

-Un corriere ha lasciato questa per te-

Teneva tra le mani una busta di carta. Era di medie dimensioni. Era gialla.

Mick la afferrò con noncuranza e ringraziò la sua vicina; poi sparì nel suo appartamento.



Jonathan ‘Profeta’ Simms era già sotto la doccia.

Chiuse gli occhi e lasciò che quella pioggia gelata gli rinfrescasse le idee.

Era entrato dal garage, dopo aver parcheggiato con cura la sua auto.

La stanchezza si era impadronita del suo corpo e della sua mente.

Non riusciva a pensare.

Non aveva fame né sete. Aveva solo bisogno di rimanere sotto quel getto gelido finché non si fosse sentito meglio.

Trascorsero diversi minuti, quasi ore.

La doccia non aveva lavato via quei pensieri, quelle immagini, quei ricordi.

Non si sentiva affatto meglio e non poteva farci niente.

L’esperienza gli aveva insegnato che anche il tempo fallisce.

No, il tempo non migliora le cose; a volte addirittura le peggiora.

Si avvolse nell’accappatoio color crema ed andò in cucina.

Aprì il frigorifero e si versò un bicchiere di latte.

Rimase lì, immobile nell’oscurità, a sorseggiare quella bevanda innocua.

Non ci era riuscita la doccia, non ci sarebbe riuscito il tempo e di certo non sarebbe stato un bicchiere di latte a cancellare quei pensieri.

Soltanto al secondo sorso, si rese conto che qualcosa di voluminoso era stato incastrato nella buca della posta.

Posò delicatamente il bicchiere sul ripiano della cucina, poi andò verso l’ingresso.

Si trattava di una busta gialla, una di quelle per i documenti.

Era bella piena, di medie dimensioni.

Ebbe difficoltà a rimuoverla dalla buca, sembrava entrarci a fatica.

Un brivido gli attraversò la schiena. O forse era un presentimento?

Posò la busta sul tavolo della cucina e decise di andare ad asciugarsi e vestirsi, prima di analizzarne il contenuto.

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Capitolo 2
*** Week-end (Parte 2) ***



Jack aprì la porta a suo padre. Gli corse incontro con un largo sorriso stampato sul volto e lo abbracciò.

Hotch rispose a quell’abbraccio con dolcezza.

 L’affetto di suo figlio era la sola cosa di cui aveva bisogno in momenti come quelli.

Anche la sua squadra si era appena lasciata alle spalle un caso molto complesso.

Non aveva alcuna voglia di pensarci ancora.

Fece una doccia e preparò dei popcorn.

Avrebbe guardato un cartone animato con suo figlio, avrebbe trascorso una serata semplice e tranquilla.



Padre e figlio si addormentarono a metà del film, con la ciotola dei popcorn ancora stracolma.

Erano stanchi entrambi e, a dire il vero, quel cartone non era neanche granché.

Hotch fu svegliato dall’assordante musichetta che accompagnava i titoli di coda.

Trasalì e lasciò cadere la ciotola con i popcorn, che si riversarono sulla moquette azzurra.

Spense la tv con un gesto rabbioso, poi portò Jack in camera sua.

Gli rimboccò le coperte e lo salutò con un tenero bacio sulla fronte.

Tornò in soggiorno e, mentre si chinava per raccogliere la ciotola di plastica, notò che sul tavolo della cucina era posata una busta gialla.

Probabilmente l’avevano consegnata durante la sua assenza.

Non proveniva dall’FBI, non ne aveva l’aspetto.

Hotch, pertanto, non le attribuì molta importanza.

Decise di concludere le sue pulizie prima di aprirla.



Spencer Reid era teso.

La tv stava trasmettendo l’ultimo episodio della sua serie televisiva preferita.

Era entrato in casa come un fulmine, aveva a malapena avuto il tempo di sfilarsi il cappotto e la tracolla.

Non aveva notato, entrando, la busta gialla che giaceva sul pavimento.

Non aveva neanche ascoltato i messaggi in segreteria, né si era accorto di aver dimenticato il cellulare in macchina.

Rimandò tutto ciò che c’era da fare, anche la doccia.

Quello era il momento di godersi il suo telefilm.



Derek Morgan, quella sera, accompagnò Garcia a casa.

Penelope gli chiese di salire e, insieme, finirono ben due bottiglie di vino rosso.

Quel caso li aveva particolarmente turbati, avevano bisogno di una tregua.

Bevvero vino, risero di gusto e si divertirono molto.

Derek, per qualche ora, si concesse di dimenticare le preoccupazioni.

Non pensò a nulla, se non alla sua Garcia; ignaro che una busta gialla attendeva anche lui.



David Rossi spalancò la bocca.

Qualcosa di inquietante e sinistro giaceva sul tavolino del suo soggiorno.

Al suo rientro a casa, ritirando la posta, aveva trovato una voluminosa busta gialla.

Era di carta, di quelle imbottite all’interno.

All’inizio aveva pensato a quell’antico cavatappi che, pochi giorni prima, aveva ordinato su internet.

Aveva aperto la busta con entusiasmo e si era ritrovato davanti ad una situazione surreale.

La busta conteneva delle carte da poker macchiate di sangue.

Erano cinque, tutte nere. Era una Scala Reale di picche.

La busta conteneva anche una lettera scritta a macchina.

Più che di una lettera, si trattava di un biglietto.

Poche righe, delle istruzioni secche e precise per partecipare alla partita di poker del secolo.

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Capitolo 3
*** Scala Reale ***



Quattro Scale Reali.

Quella di cuori era stata inviata ad Aaron Hotchner, mentre Sam Cooper aveva ricevuto quella di quadri.

Le altre due erano toccate a David Rossi e Jonathan ‘Profeta’ Simms.



-Ha senso! Siete i membri più anziani!-



Le due squadre si erano riunite a Quantico, in Sala Riunioni.

Sul tavolo erano state disposte le carte e i biglietti che le accompagnavano.

Le sette buste gialle erano state accantonate in un angolo. Le analisi non avevano dato alcun risultato.



-…senza offesa!- si affrettò ad aggiungere Spencer Reid.

-Nessuna offesa!-   rispose Sam Cooper.



Spencer, Derek e Mick avevano ricevuto cinque carte del medesimo seme: un colore.

Per Spencer colore di cuori, per Mick di fiori e per Derek di picche.



-Ci stanno invitando ad una partita a poker? Perché?-   chiese Mick quasi infastidito.

Detestava esser preso in giro, detestava quegli SI che, con giochetti insignificanti, credono di essere migliori di chiunque altro.

-Reid, leggi il biglietto, per favore-   ordinò Hotch.

Spencer non ebbe bisogno di leggere. La sua era una memoria eidetica.

Sapeva perfettamente che quei sette biglietti erano del tutto identici, salvo che per un particolare.

L’ultima cifra in fondo variava a seconda del destinatario.

Reid prese fiato e recitò:

-La partita del secolo si avvicina. Sei stato scelto per partecipare. Verrò a prenderti a casa sabato sera. Tieniti pronto per le otto in punto.-

In realtà ad ognuno di loro era stato dato un orario differente.

Da ciò si presumeva che l’SI fosse uno solo.

Hotch sarebbe stato il primo, poi Cooper, poi gli altri.

A distanza di un’ora l’uno dall’altro, sarebbero stati tutti condotti alla partita del secolo.

-Che facciamo?-   chiese Cooper interrompendo i pensieri di tutti.

-Che sappiamo del sangue?-   Profeta parlò per la prima volta.

-E’ sangue di maiale-   rispose Morgan prontamente.

-Che facciamo?-   incalzò Cooper.

-Tecnicamente nessuno ha commesso un reato. Siamo solo stati invitati a giocare a poker-   sentenziò Reid, stringendosi nelle spalle.

-E allora? Ci andiamo e basta?-   commentò Mick sarcastico.

-Che idea ti sei fatto, Dave?-   chiese Hotch, stroncando sul nascere il battibecco tra Reid e Rawson.

David Rossi se ne era rimasto in silenzio in un angolo.

Teneva la testa bassa, le mani giunte in grembo.

-Non lo so, ho un brutto presentimento-

Detto questo tornò a fissare il pavimento, assorto nei suoi pensieri.

-E’ evidente che quest’uomo è un maniaco del controllo-   

-…e a quanto pare agisce da solo-  

-Cosa può volere da noi?-   chiese Rawson.

-Oltre al controllo?-    ironizzò Profeta.

Era una situazione surreale. Sembrava di stare in uno di quei film horror in cui il cattivo, attraverso una telecamera, osserva le sue vittime consumarsi lentamente.

In quella stanza c’erano sette menti eccezionali, eppure erano state offuscate e confuse da una semplice e insignificante busta gialla.

-Io dico di accettare!-    propose Morgan alla fine   -Saremo in sette e, se abbiamo ragione, lui è da solo. Potremmo tenerci in contatto con il resto delle nostre squadre. Non potrà farci niente di male-

-Di solito i maniaci del controllo sono anche ben organizzati. Non ci permetterà di mantenere un contatto via radio con altri agenti-   si inserì Profeta.

-Allora che si fa?-    sbottò Mick.

Fu allora che Davi Rossi si alzò.

Abbandonò la sua poltrona e si diresse verso la porta.

-Dormiamoci su-

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Capitolo 4
*** Sabato ***



Beth Griffith era seduta in macchina, in attesa.

Guardò l’orologio: le 19.53.

Due isolati più in là si distingueva chiaramente l’entrata di casa dell’agente Hotchner.

Era strano, per lei, pedinare un suo collega. Tecnicamente si trattava addirittura di un suo superiore.



Era stato Sam Cooper ad ordinarglielo.

Il suo compito sarebbe stato quello di attendere che qualcuno passasse a prendere Hotchner, seguirli e poi comunicare la sua posizione al resto degli agenti.

Sam era stato molto vago, le aveva dato soltanto poche istruzioni.

Le era sembrato molto teso: la sua fronte imperlata di sudore, le sue pupille dilatate, la carotide gonfia.

C’era qualcosa che le era stato taciuto e, da ciò che aveva visto, poteva essere soltanto qualcosa di terribile.



Si sistemò i capelli dietro le orecchie, guardò di nuovo l’orologio.

Fu allora che la vide.

Una berlina nera si era appena fermata in fondo ad un vialetto due isolati più avanti.

Era lui, era il motivo per cui Beth si trovava lì. Era ciò che stava aspettando.

Girò la chiave nel cruscotto, avendo cura di tenere i fari spenti, e attese.

Con un gesto istintivo, portò la mano sul suo fianco destro. Accarezzò la pistola.

Era pronta ad agire.



L’agente Hotchner non tardò.

Alle otto in punto uscì di casa e salì in macchina.

Indossava una camicia chiara e dei pantaloni casual.

Era tutto così strano, compreso il suo abbigliamento.

Beth non lo aveva mai frequentato al di fuori del lavoro, eppure vederlo senza il suo fidato completo scuro e la cravatta, non faceva altro che aumentare la sua irrequietudine.



Attese che la berlina partisse, poi premette sull’acceleratore ed eseguì gli ordini che le erano stati impartiti.



L’autista della berlina sembrava un tipo ben organizzato.

Girò in tondo a lungo, per assicurarsi che nessuno lo seguisse.

Anche Beth fu molto brava. Riuscì a non perderlo di vista senza farsi notare.

Erano le otto e trentadue quando la berlina si fermò.

Si trovavano in aperta campagna. Il luogo era buio ed isolato.

Una baita di legno li attendeva nel bel mezzo del bosco.

L’agente Hotchner scese dell’auto e si diresse verso l’entrata, mentre la berlina ripartiva alla volta di casa di Cooper.

L’agente Griffith, nascosta tra gli alberi, non esitò a fare la sua telefonata.



Rimase lì in attesa abbastanza a lungo per vedere arrivare anche Sam Cooper, David Rossi e Profeta, seguiti da quello strano dottore di cui dimenticava sempre il nome.

Mick Rawson e Derek Morgan furono gli ultimi ad arrivare.

L’autista della berlina scese dall’auto, nascondendosi il volto con il cappuccio.

Beth aveva fatto tutto ciò che le era stato ordinato, eppure si sentiva impotente.

Quel luogo tanto buio ed isolato la metteva a disagio.

Qualcosa di oscuro stava per accadere e, a rincarare la dose, c’era anche lo spaventoso ritardo dell’agente Emily Prentiss.

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Capitolo 5
*** Ospite inatteso ***



-Agente Griffith?-

JJ spuntò dall’ombra. Beth non sussultò.

-Dove diavolo è l’agente Prentiss?-   chiese, con gli occhi infilati nel binocolo infrarossi.

-Sono arrivati tutti?-

-Anche troppi!-

-Che vuol dire?-    si incuriosì JJ.

-Saranno in otto stasera. Dopo Morgan è arrivata un’altra persona. Non sono riuscita a riconoscerlo, ma ho scattato delle foto-

Lasciò andare il binocolo e porse la fotocamera a JJ.

-Dov’è l’agente Prentiss?- insistette.

-Non lo so. Non si è presentata in ufficio stamane. Garcia sta cercando di rintracciarla in tutti i modi-

-Spero si sbrighi. Un agente in più non potrà farci che comodo-

JJ le rivolse un sorriso preoccupato, poi accese la fotocamera.

Si premurò di ridurre al minimo la luminosità del display, per evitare di attirare indesiderate attenzioni.

Iniziò a scorrere le foto con calma.

Vide Hotch con la sua camicia chiara, Cooper con il suo fidato giubbotto di pelle.

Vide l’espressione tranquilla dell’agente Simms, poi Morgan e Mick.

C’era anche una foto dell’SI, ma il viso era totalmente nell’ombra.

Alla fine, in fondo all’elenco, c’era una foto poco chiara.

Si trattava certamente di un uomo, di mezza età, alto e robusto.

Indossava una camicia a quadri ed un giubbotto sportivo.



Anche il suo viso era in ombra, ma JJ, sforzando gli occhi, riuscì a riconoscerlo.

Trasalì e spalancò la bocca, facendo sussultare l’agente Griffith che quasi lasciò cadere il binocolo.

                                                                                     
                                                                                         *


Profeta respirava con calma. Cercava di sembrare tranquillo, mentre osservava attentamente la camera circolare che lo ospitava.

Era arrivato da qualche ora, seguito da Derek Morgan e Mick Rawson.

Si trovavano in una vecchia baita. Le pareti erano di legno, il fuoco ardeva nel camino.

In un’altra situazione, avrebbe anche potuto sentirsi a suo agio.

Mick gli si avvicinò con un sorriso preoccupato, mentre Cooper lo fissava dall’altro capo della stanza.

Nessuno parlò e tutti ne conoscevano il motivo.

Molto probabilmente quella stanza era stata riempita di cimici prima del loro arrivo. Per quanto ne sapevano poteva esserci anche qualche telecamera nascosta.



Anche Derek si guardava nervosamente in giro.

Sembrava cercare qualcosa; un segno, una traccia, un indizio su come sarebbe andata a finire quella bizzarra serata.

Si voltò verso Spencer, chiedendosi se fosse riuscito a notare qualche particolare rilevante a bordo della berlina nera. Forse qualcuno di loro era anche riuscito a scorgere il viso dell’SI prima di scendere dall’auto per entrare nella baita.

Incrociò lo sguardo di Reid, poi riprese a guardarsi intorno.



Aaron Hotchner si tormentava le mani.

Non lo faceva più da tempo, ma quella sembrava proprio la serata ideale per ricominciare.

Non si guardava intorno, bensì fissava il suo collega David Rossi.

Era incredibile: erano capaci di parlarsi e capirsi anche senza proferire parola.

David era visibilmente preoccupato, eppure, con lo sguardo, gli stava chiedendo di stare tranquillo.

Aveva ragione, dovevano essere lucidi.



Sam Cooper era decisamente il più tranquillo di tutti.

Aveva addirittura avuto il coraggio di sedersi in poltrona, di fronte al camino.

Teneva gli occhi chiusi, il capo abbassato.

Forse aveva notato qualcosa di importante, qualcosa che gli avrebbe permesso di entrare anche nella testa di quell’SI.



Mick Rawson, stipato in un angolino poco lontano da Profeta, cercava di far lavorare la mente.

Che cosa sarebbe accaduto?

Sarebbero morti?

O avrebbero semplicemente giocato a poker sorseggiando whiskey?

Forse sarebbero morti solo i perdenti.

E il vincitore? Cosa c’era in palio quella sera?



Spencer Reid dava le spalle alla stanza, dava le spalle a tutti i presenti.

Analizzava con curiosità la parete che aveva davanti.

Era diversa da tutte le altre. Un sottile strato di plexiglass ricopriva il legno per circa sei metri quadrati.

Poteva essere una parete mobile, una di quelle che si sollevano a comando e che mostrano cosa c’è dall’altra parte impedendoti di toccarlo.

Scosse la testa per scacciare quel pensiero. Era vero, si ritrovavano intrappolati in una situazione alquanto surreale, ma non erano di certo in un film horror.

Si voltò, riportando l’attenzione ai suoi compagni e al resto della stanza.



Fu allora che la porta si aprì per l’ottava volta.

I presenti trattennero il fiato per qualche secondo.



Un uomo alto e robusto fu spinto dentro da una forza invisibile.

Indossava una camicia a quadri ed un giubbotto marrone.

Portava scarponi da montagna e un sottile braccialetto gli scintillava al polso.

Sorrise nervosamente e, con la sua voce calda e profonda, salutò i suoi ex colleghi.


Era Jason Gideon.

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Capitolo 6
*** Il Premio ***




-Che diavolo significa?-   sbottò Mick rompendo il silenzio.

-Gideon-   sussurrò Reid.

No, non aveva senso.

Come aveva fatto l’SI a rintracciare Gideon? E soprattutto perché lo aveva fatto? Voleva stupirli?

Nessuno parlò, nessuno sapeva cosa dire, nessuno sapeva come interpretare quell’arrivo tanto inaspettato.


Sam Cooper si era alzato in piedi. Cercava di trovare il lato positivo in quella faccenda tanto bizzarra: l’arrivo di Jason Gideon non avrebbe fatto altro che rivelare nuovi elementi su quell’SI.

Avrebbe voluto andare da Hotch e togliergli quell’espressione stralunata dalla faccia; avrebbe voluto spiegargli ciò che stava pensando, ma non poteva.
 

Perché Gideon? Forse lo conosceva.

Conosceva di sicuro la storia della squadra di Aaron Hotchner.
 

Mick Rawson, dal suo angolino accanto al camino, si chiedeva chi fosse quell’uomo.

Tutti erano trasaliti al suo arrivo. Perché? Forse era lui l’SI.
 

Spencer Reid si avvicinò al suo ex collega, al suo amico. Gli posò delicatamente una mano sulla spalla, lo fissò intensamente. I suoi occhi non erano più tristi e tormentati. Sembrava quasi sereno, nonostante quell’assurda situazione.

Avrebbe voluto dirgli mille cose, ma non lo fece. Non si trattenne per paura di essere ascoltato, ma perché non sapeva proprio da dove cominciare.

Gideon se n’era andato da diversi anni ormai. Gli aveva lasciato una lettera, nient’altro.

Non si erano più visti, non si erano più parlati.

Era così assurdo ritrovarsi in una situazione bizzarra come quella.

Senti gli occhi bruciare, sbatté ripetutamente le palpebre.

Stava per commuoversi, quando una voce interruppe tutti i pensieri.

 

-Benvenuti-

 

Soltanto allora, Morgan, notò la presenza di un piccolo altoparlante proprio sopra il camino.

 

-Siete pronti a giocare?-

 

La voce era chiara e limpida, non sembrava modificata.

La dizione era perfetta, nessun accento particolare.

 

-Prima di iniziare voglio mostrarvi il premio, quello vero. Stasera non ci saranno in gioco soldi, ma persone-

 

David Rossi distolse lo sguardo dall’altoparlante e rabbrividì.

Fu allora che i peggiori timori di Reid divennero reali. La parete alle sue spalle iniziò ad aprirsi cigolando.

Dietro il plexiglas iniziò a scorgersi un’altra stanza. Si vedeva la testiera di un letto, dei quadri, una lampada.

Quando la parete ebbe concluso di aprirsi, Aaron Hotchner si portò una mano alla bocca ed indietreggiò di qualche passo.

 

Sul letto, legata ed imbavagliata, giaceva una tremante Emily Prentiss.

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Capitolo 7
*** Appostamento ***



JJ riattaccò con violenza.

-Che cosa è successo?-   le chiese Beth senza nemmeno voltarsi a guardarla.

Teneva gli occhi incollati al binocolo, in attesa del più piccolo segno che la esortasse ad intervenire.

Aveva discusso a lungo con la sua collega circa l’ospite inatteso.

La bionda le aveva spiegato che era un suo ex collega, un eccellente profiler che aveva lasciato l’FBI qualche anno prima a causa di una brutta storia.

Si erano chieste entrambe quale potesse essere il motivo della sua presenza.

JJ aveva spiegato che Gideon, molto probabilmente, aveva lasciato lo stato per ritirarsi a vita privata.

Non aveva più avuto contatti con i suoi colleghi; neanche con Reid, il suo pupillo.

Forse se ne era andato a vivere in campagna, a contatto con la natura e con i suoi tanto amati uccelli.

-Allora l’SI deve aver fatto una gran bella fatica per trovarlo-

-Già-

-Perché è così importante? Cosa diavolo c’è dietro a questa storia assurda?-

JJ aveva chinato il capo sconfortata.

Erano rimaste in silenzio a lungo, in attesa.

Ma cosa dovevano aspettarsi da quella serata?

Erano entrambe confuse, si sentivano impotenti.


Beth Griffith guardò l’orologio, poi chiese ancora:

-Che fine ha fatto l’agente Prentiss?-

Fu allora che JJ si decise a chiamare Garcia per avere notizie.

-Mi dispiace tanto, ma al cellulare non risponde-

La voce di Garcia, dall’altro capo del telefono, era carica di ansia e preoccupazione.

-A casa?-

-Non risponde neanche lì-

-Bene, manda un agente al suo indirizzo e cerca di localizzare il suo cellulare-

-Sul serio?-   chiese Garcia, sempre più tesa.

-Ho paura che la situazione ci stia sfuggendo di mano-

Aveva riattaccato nervosa.

 

Rimasero lì in silenzio, ancora in attesa.

Faceva freddo, JJ si strinse nel cappotto.

-Che cosa ne pensa?-   chiese timorosa.

L’agente Griffith, finalmente, lasciò andare il binocolo e si voltò a guardare la sua collega.

Sembrava realmente impaurita. Era una donna giovane, eppure, quella sera sembrava invecchiata all’improvviso di cent’anni.

-Ne abbiamo viste di peggiori-   improvvisò Beth.

-Come fa a dire che ne abbiamo viste di peggiori se non sappiamo affatto con cosa abbiamo a che fare? Cosa diavolo stanno facendo là dentro?-   sbottò JJ.

-Agente Jereau, la prego di calmarsi. Capisco la sua preoccupazione, ci sono anche i miei colleghi lì dentro-

Era calma, spaventosamente calma.

-Come fa ad avere tutta questa pazienza?-    chiese JJ, ritornando se stessa.

-Mi fido di Sam Cooper!-

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Capitolo 8
*** Il Gioco Comincia ***




David Rossi sospirò.

La fortuna lo aveva decisamente abbandonato. Continuavano a capitargli delle pessime carte.

Stavano giocando da diverse ore ormai.

 

Mick Rawson, Derek Morgan e Jason Gideon erano stati eliminati.

Uno per uno erano stati condotti lontano dai loro colleghi ancora in gara.

 

Spencer Reid faticava a concentrarsi.

Non avrebbe mai potuto perdonarsi se fosse successo qualcosa ai suoi colleghi.

Avrebbe potuto perdere se solo lo avesse voluto, avrebbe potuto sacrificarsi se solo avesse saputo cosa attendeva i perdenti.

 

Sam Cooper faticava a concentrarsi.

C’era qualcosa di strano in Jason Gideon.

Era stato il primo ad essere eliminato e sembrava quasi averlo fatto di proposito.

Una mente come la sua era perfettamente in grado di reggere almeno tre mani.

Ma allora perché si era fatto eliminare?

Si era sacrificato per gli altri?

C’era un destino tremendo fuori da quella porta ad attendere i perdenti?

 

Eppure Gideon, durante la sua giocata, era sembrato incredibilmente calmo, forse troppo.

Se ne stava seduto con un’espressione forzatamente distesa.

Sembrava sforzarsi molto per riuscire a mantenere la calma.

Ma perché sforzarsi?

Spencer Reid stava praticamente riducendo in poltiglia le sue carte, mentre Aaron Hotchner continuava a tormentarsi le mani.

Nessuno di loro fingeva, nessuno di loro ne aveva motivo.

 

Sam Cooper riportò il suo sguardo alle sue carte.

Era il suo turno, doveva puntare.

 

Un’altra giocata, un’altra mano era andata.

Profeta lasciò la stanza senza fiatare. Ebbe giusto il tempo di rivolgere al suo capo un sorriso di incoraggiamento. Si fidava di lui.

 

Dopo Profeta fu eliminato Rossi.

Lui andò via con il capo chino.

 

L’ultimo ad abbandonare il gioco fu Aaron Hotchner.

Si alzò dalla sua sedia e si diresse verso l’uscita con calma.

Sembrava sereno.

Non avrebbe potuto sperare in una finale migliore.

 

Rimasero in gioco soltanto in due.

Spencer Reid e Sam Cooper erano seduti l’uno di fronte all’altro.

Gli occhi nocciola nei neri, le mani di entrambi strette a pugno.

Il mazziere, un uomo con un passamontagna ed una pistola infilata nei pantaloni, si mosse per la prima volta dopo ore ed ore di gioco.

Lasciò la stanza senza voltarsi indietro, senza parlare.

 

L’ultima mano.

Il gioco presto sarebbe finito ed entrambi temevano di conoscere quale destino li attendesse.

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Capitolo 9
*** Sospetti ***




JJ trasalì.

Alle sue spalle qualcosa si stava muovendo.

Anche Beth parve accorgersene.

Lasciò andare per un attimo il suo fidato binocolo e si voltò verso l’oscurità.

Rimasero immobili, in attesa.

Berth accarezzò la pistola.

Un altro rumore, un ramo spezzato. Qualcuno si avvicinava.

Entrambe trattennero il fiato, JJ si accorse di tremare.

Quei pochi istanti parvero durare ore.

Beth estrasse la pistola e la puntò verso il bosco.

 

All’improvviso Gina La Salle spuntò dall’oscurità.

 

JJ si lasciò sfuggire un gemito, Beth abbassò la pistola.

-Vi siete nascoste bene-   esordì   –Ci ho messo un bel po’ a trovarvi!-

-Stavi per beccarti una pallottola, sai?-   ribatté l’agente Griffith con amarezza.

-Novità?-   chiese JJ con voce ancora tremante.

-Niente di importante. Ho fatto delle indagini sulla baita, ma risulta intestata ad un afroamericano morto da sei anni-

-Eredi?-

-Nessuno-

Erano ad un punto morto.

Per quanto ne sapevano, qualcuno dei loro colleghi poteva anche essere in guai seri.

Beth cominciò a sentirsi irrequieta ed impotente. Avrebbe voluto poter fare qualcosa.

Era assurdo dover eseguire degli ordini tanto strani, senza neanche sapere cosa stesse succedendo.

-Dov’è l’agente Prentiss?-   chiese Gina, aumentando la tensione.

JJ scosse semplicemente la testa.

-Richiami Garcia, forse ha qualche novità-   ordinò Beth, riprendendo il binocolo.

JJ eseguì.

 

Gina La Salle, nel frattempo, si avvicinò alla sua collega.

Notò la fotocamera appoggiata sulla borsa di Beth. La prese tra le mani ed iniziò a scorrere le foto.

Aaron Hotchner, Sam Cooper, Spencer Reid e gli altri passarono sullo schermo ad uno ad uno.

Alla fine, però, in fondo alla lista c’era qualcosa di strano.

-Questi due sono gli SI?-   chiese con naturalezza a JJ che aveva appena concluso la sua telefonata.

-No, lui è Jason Gideon. E’ stato un agente anche lui, faceva parte della nostra squadra-

-Sul serio?-

Il tono scettico dell’agente La Salle attirò l’attenzione di Beth.

-Perché tante domande?-   si incuriosì.

-Beh, guardate bene queste foto. Gideon sembra avere un comportamento diverso rispetto agli altri. Non ha paura, non il minimo timore. Sembra quasi che conosca il tipo che lo ha accompagnato-

JJ strappò letteralmente la fotocamera dalle mani della bionda.

Sembrava indignata, come se quelle accuse diffamatorie fossero rivolte a lei.

-Non è possibile!-   sussurrò, scorrendo le foto.

-Questo spiegherebbe molte cose-   azzardò Beth.

 
JJ era ancora incredula.

Scorreva le immagini con la bocca spalancata e gli occhi carichi di rabbiose lacrime.

 

Gina e Beth, invece, si fissavano intensamente.

Aveva senso. Finalmente le cose iniziavano ad andare al loro posto.

Con un cenno di assenso, Beth Griffith, autorizzò Gina La Salle a fare la sua telefonata.

 

-Garcia? Sono Gina. Voglio tutto quello che riesci a scoprire sull’agente Gideon-

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Capitolo 10
*** Aaron ***




Aaron Hotchner si trovava in una stanza buia. Era solo.

Probabilmente gli altri eliminati si trovavano in ambienti simili a quello.

Fece un respiro profondo. Chiuse gli occhi in una smorfia di riflessione.

Doveva fare qualcosa, doveva salvare Prentiss.

Lavorando sul caso erano arrivati a dedurre che l’SI agiva da solo.

Tutto ciò che doveva fare era riuscire ad uscire da quel posto, dopodiché avrebbe potuto agire indisturbato.

L’SI era impegnato nella partita del secolo, non avrebbe potuto controllare contemporaneamente anche i perdenti.

Aprì gli occhi e si avviò a tentoni verso la porta. Era chiusa.

Eppure non era una porta eccessivamente solida. Una spallata l’avrebbe buttata giù.

Prese la rincorsa, ma all’improvviso si fermò.

Una spallata avrebbe attirato troppo l’attenzione. Troppo rumore.

Doveva trovare un altro modo, un modo più silenzioso e meno teatrale.

Non aveva nulla con sé, solo le sue mani. Eppure doveva farcela, doveva agire prima che potesse essere troppo tardi.

Si avvicinò nuovamente alla porta ed iniziò ad analizzare la maniglia.

La spinse, poi la tirò. Non accadde nulla.

All’improvviso ricordo di avere in tasca un giocattolo di Jack.

L’SI, quando lo aveva perquisito, lo aveva giudicato innocuo e glielo aveva lasciato tenere.

-E’ il mio portafortuna-    aveva spiegato Hotch, cercando di impedire che gli venisse portato via.

Infilò la mano nei pantaloni ed estrasse il giocattolo.

Era un draghetto di plastica dura, alto circa dieci centimetri.

La coda seghettata era lunga e solida.

In un disperato gesto, Hotch la infilò nella serratura e spinse di nuovo la maniglia.

Nulla, non accadde nulla.

Tentò ancora, ma questa volta tirò la maniglia a sé, con tutte le sue forze.

Uno scatto.

Era successo qualcosa. La serratura si era indebolita, ma la porta ancora non si apriva.

Tirò ancora, con più forza, con la forza della disperazione.

La porta si aprì.

“McGyver mi fa un baffo” pensò divertito Hotch, uscendo nel corridoio scarsamente illuminato.

Doveva trovare Prentiss e poi tutti gli altri.

Dovevano assolutamente uscire da lì.

Fece un passo verso la porta bianca in fondo al corridoio, ma non riuscì a raggiungerla.

Qualcuno lo colpì alle spalle facendolo accasciare al suolo.

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Capitolo 11
*** Harold Forrester ***




Gina La Salle si era allontanata dalle sue colleghe.

Teneva l’orecchio incollato al cellulare, in comunicazione con Garcia.

-Cosa puoi dirmi?-   chiese impaziente, lanciando un’occhiata nervosa a JJ che camminava avanti e indietro discutendo animatamente con Beth.

-Non ho scoperto molto-   si scusò la bionda dall’altro capo del telefono.

-Dimmi quello che sai-

-Jason Gideon ha acquistato un vecchio casale in campagna poco dopo aver lasciato l’FBI. Vive lì da anni, a stretto contatto con la natura. Non ha parenti ancora in vita, ma…-

Garcia si bloccò all’improvviso.

-Cosa c’è?-   chiese Gina ansiosa.

-Gideon è…oh mio Dio!-   balbettò Penelope.

-Cosa? Garcia!-   la rimproverò lei, continuando a scrutare JJ da lontano.

-Gideon è Harold Forrester!-

Gina rimase in silenzio per qualche secondo, confusa.

-Chi diavolo è Harold Forrester?-   chiese infine.

-Come sarebbe? Non lo conosci? Ha scritto i più venduti libri gialli degli ultimi anni. Ha iniziato nel 2003 e l’ultimo libro è uscito proprio poche settimane fa-

-Quindi Gideon pubblica libri gialli utilizzando uno pseudonimo?-

-Esatto! Ne ho letti alcuni e…oh mamma!-

-Garcia cosa c’è? Cosa ci trovi di così spaventoso? Dopotutto anche Rossi ha scritto dei libri. Con tutte le cose che vediamo ogni giorno potremmo farlo tutti noi-

-No, aspetta aspetta…-

-Cosa c’è? Garcia, parla per favore!-

-L’ultimo libro, quello uscito due settimane fa-   cominciò lei trattenendo quasi il fiato.

-Sì?-  

Gina sembrava un po’ scettica. Garcia era sempre stata una tipa abbastanza melodrammatica.

-S’intitola La Partita del Secolo-

Gina abbandonò lo scetticismo e sgranò gli occhi nel buio di quel bosco.

-Di cosa parla?-

-Di alcune persone che si ritrovano rinchiuse in una baita, costrette a giocare a poker-

Garcia si fermò un attimo. Il suo cuore accelerò i battiti.

Il suo pensiero volò nel buio di quel bosco fino alla baita, fino al suo Morgan.

La voce dell’agente La Salle la riportò bruscamente alla realtà.

-Penelope, dobbiamo capire cosa sta succedendo là dentro. Solo così potremo aiutarli-

Garcia deglutì, poi riprese:

-Nel libro al vincitore viene data in premio una ragazza. Lui è costretto a stuprarla. Si suicida subito dopo con i vetri di una bottiglia. Si taglia la gola. Non riesce a sopportare il peso di ciò che ha fatto a quella donna-

-Cosa accade ai perdenti?-

Entrambe si sforzavano di mantenere la calma, ma con scarso successo.

-Giocano ancora. Altre partite. Ogni volta al vincitore tocca la stessa sorte, finché non ne rimane soltanto uno-

-Ma alla fine si suicida anche l’ultimo rimasto perché non riesce a sopportare il peso di ciò che ha vissuto-   concluse Gina con amarezza.

-Esatto-   confermò la bionda al telefono   -Sei una brava profiler-

-Stai tranquilla, li salveremo-   tentò Gina, cercando di rassicurare prima se stessa e poi la sua collega.

Garcia annuì e si lasciò sfuggire una lacrima.

-State attenti, tutti-

-Torneremo a casa tutti interi, te lo prometto-

Riattaccò il telefono e dopo aver tentato di calmarsi ritornò dalle sue colleghe.

-Cosa hai scoperto?-   chiese Beth con gli occhi sempre fissi nel binocolo.

-So cosa sta succedendo là dentro-    comunicò con tono glaciale.

JJ le si avvicinò con sguardo apprensivo, mentre Beth si voltava a guardarla con la bocca spalancata.

-Stanno giocando a poker-

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Capitolo 12
*** Rivelazioni ***





Aaron Hotchner si risvegliò all’improvviso. Era seduto su un divano, non era stato legato.

Dietro di lui qualcuno si muoveva.

La stanza era buia e lui era ancora troppo intontito per capire chi fosse.

All’improvviso lo sconosciuto parlò, rivelando la sua identità.

-Stai tranquillo, Aaron-

Era Jason Gideon.

-Perché mi hai colpito?-   chiese lui dopo qualche istante, prendendo a massaggiarsi la testa.

-Stavi per fare una pazzia. Dobbiamo ponderare bene prima di agire-

Gideon era spaventosamente calmo. Il suo tono era fermo, piatto, disteso.

-Come fai ad essere così tranquillo? Come fai a dire che dobbiamo ponderare?-

Aaron Hotchner balzò in piedi adirato. La sua voce non si era alzata di un tono, ma la sua espressione era incredibilmente severa.

-Conosco questa storia, Hotch. So come andrà a finire-   rispose Jason dal suo angolino nell’ombra.

-Cosa diavolo…?-

Gideon sospirò pesantemente, poi si alzò in piedi ed andò verso il suo collega.

Un flebile raggio di luce illuminò il suo viso.

Hotch per un attimo si chiese se fosse giusto fidarsi di quell’uomo.

-Dopo aver lasciato l’FBI ho iniziato a scrivere dei libri, una serie di gialli. Erano storie inventate, non mi sono ispirato a nulla che la nostra squadra avesse visto, non mi sembrava giusto per le vittime-

Hotch lo guardò confuso. Gli sembrava di vivere in un incubo.

-L’ultimo libro che ho scritto narrava una storia molto simile a quella che stiamo vivendo noi stasera-   proseguì Gideon.

-Sei stato tu a portarci qui?- 

Aaron sgranò gli occhi e indietreggiò di qualche passo.

Jason Gideon scosse la testa.

-E’ stato qualcun altro. Qualcuno che conosce quella storia e che ha voluto metterla in atto-

-Ma io non ho mai saputo di tuoi libri…-

-Li ho pubblicati con uno pseudonimo-   lo interruppe lui, bruscamente    -L’SI è riuscito a scoprire che si trattava di me-

Aaron Hotchner indietreggiò ancora un po’, nascondendosi anche lui nell’ombra.

Non sapeva cosa fare, non sapeva se poteva fidarsi.

Se Gideon stava dicendo la verità, allora poteva essere lui l’SI?

Magari tutti quegli anni di solitudine lo avevano fatto impazzire e alla fine aveva deciso che il miglior modo per rivedere i suoi colleghi fosse quello di coinvolgerli in un gioco perverso frutto della sua mente malata. Magari scrivere quella storia e pubblicarla non lo aveva soddisfatto. Magari aveva avuto bisogno di renderla reale.

-Con cosa mi hai colpito?-   chiese con diffidenza riprendendo a massaggiarsi la testa.

-C’era una mazza di legno nel corridoio-

La risposta non lo convinse.

-Cosa ci facevi nel corridoio? Come sei uscito? Io ero stato rinchiuso a chiave-

-Anch’io. Ero chiuso a chiave qui dentro, ma con una spallata ho buttato giù la porta-

-Perché non sei scappato via? Perché mi hai colpito e mi hai riportato qui dentro? Avremmo potuto chiedere aiuto all’esterno-

Il tono di Hotch era sempre più distaccato e diffidente.

-Chiedere aiuto?-   chiese Gideon, quasi sorpreso.

-Emily è legata ed imbavagliata ad un letto!-   urlò Hotch   -Siamo stati rapiti! Siamo rinchiusi contro la nostra volontà!-

-No, non credo-   rispose l’altro avvicinandosi   -Siamo venuti qui volontariamente-

Nonostante l’oscurità, Aaron giurò di aver visto un lampo di gioia attraversare quei folli occhi scuri.

-Dobbiamo chiedere aiuto-

Hotch si diresse alla porta che dava sul corridoio e la aprì, lasciando entrare un po’ di luce.

-A chi? Siamo in aperta campagna-   disse Gideon, con il volto ancora per metà nell’ombra.

-Qui fuori abbiamo i rinforzi-
 

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Capitolo 13
*** Il Vincitore ***




Spencer Reid aveva vinto il torneo, ma non si sentiva per niente euforico.

Il cuore prese a battergli all’impazzata quando il suo avversario sconfitto, Sam Cooper, fu portato fuori dalla stanza come tutti gli altri eliminati.

Anche il mazziere era andato via, lasciandolo nella sua disperazione.

Era rimasto solo.

Improvvisamente gli ritornò in mente Emily: il premio.

L’SI lo avrebbe portato da lei? E cosa sarebbe successo dopo?

Inspirò profondamente e si impose di rilassarsi.

Era tutto troppo strano.

Chi poteva esserci dietro tutta quella assurda faccenda?

Istintivamente pensò a Gideon e si chiese il motivo della sua presenza.

L’SI aveva voluto anche lui quella sera, ma perché?

Li conosceva tutti fin troppo bene, questo era ovvio. Ma perché organizzare un incontro tanto strano? E soprattutto, cosa attendeva loro fuori da quella porta? Dove erano stati portati gli eliminati?

Inspirò ancora e portò lo sguardo alla parete mobile.

Emily era lì dietro.

Si avvicinò con cautela e posò una mano sul plexiglass.

“Emily, andrà tutto bene”

I suoi occhi si riempirono di lacrime per un attimo, il panico si stava impadronendo di lui.

No, non poteva e non doveva cedere. Doveva rimanere lucido. Sarebbe andato tutto bene. Fuori da quella baita, nascosti nell’ombra, c’erano i rinforzi.

Si allontanò dalla parete e andò verso il camino. Il suo sguardo indugiò per qualche istante sull’altoparlante affisso alla parete. Spencer attendeva istruzioni.

Fu proprio in quell’istante che la porta alle sue spalle si aprì.

Il mazziere con il suo passamontagna esitò per qualche secondo, poi gli fece cenno di seguirlo.

Lui eseguì meccanicamente, si sentiva intontito. La sua mente era offuscata dai pensieri, dal panico, dalla paura.

Non era mai stato un tipo molto coraggioso, spesso si era lasciato sopraffare dalla paura. Eppure Gideon, molti anni prima, gli aveva detto che il coraggio non può definirsi tale se dietro non c’è la paura.

Gideon. Il suo maestro, il suo mentore. Gli aveva insegnato tutto quello che Spencer conosceva, eppure quella sera gli era sembrato diverso.

Era cambiato, un’altra persona.

L’uomo con il passamontagna condusse Spencer in una stanzetta in fondo al corridoio.

-Il tuo premio-    sussurrò con un ghigno.

Gli fece cenno di entrare dopo aver spalancato la porta.

La stanza era buia. Dal corridoio Spencer non riusciva a scorgere né Emily né qualunque altra cosa.

Entrò senza esitare, sforzandosi di rimanere calmo.

La porta gli fu immediatamente richiusa alle spalle e in quello stesso istante si accesero anche le luci.

Si trovava in una camera da letto, ma non era la stessa che avevano visto attraverso il plexiglass.

Sulla destra c’era una porta scorrevole semichiusa. Si intravedevano degli asciugamani, uno specchio e buona parte del lavandino. Era un bagno.

In fondo alla stanza, sul letto a baldacchino era adagiata una donna bruna.

Sembrava priva di sensi.

Indossava una succinta sottoveste nera e biancheria di pizzo. Sugli occhi portava una maschera.

Non c’era dubbio: si trattava di Emily.

Spencer le si precipitò incontro con il respiro sempre più affannoso.

Le si sedette accanto sul letto e le prese il viso tra le mani.

Stava dormendo, era stata drogata.

-Che cosa le hai fatto?-   urlò Spencer a pieni polmoni, rivolgendosi alle pareti.

-Presto si riprenderà-   rispose una voce dal nulla, facendolo sussultare.

Solo allora Spencer notò il piccolo altoparlante posto sopra la porta del bagno.

-Ho vinto e questo è il mio premio. Lasciaci andare-

In risposta ci fu solo silenzio. Un gemito di Emily lo interruppe all’improvviso. Si stava svegliando.

Aprì gli occhi lentamente e faticò molto a mettere a fuoco il suo collega.

-Reid? Che cosa…?-

-Bene, bene. Ora che si è svegliata puoi goderti il tuo premio, agente Reid-   intervenne ancora quella gelida voce indistinta.

Spencer prese a tremare. Aiutò la sua collega a sollevarsi e le prese dell’acqua dal bagno.

-Sei disidratata-   disse con la sua aria sapiente.

Per un attimo ad entrambi parve tutto normale, come se nulla di bizzarro e pericoloso stesse accadendo.

Emily bevve con avidità, poi tornò a distendersi sul letto. Sembrava esausta.

-Va meglio?-   chiese lui preoccupato.

Lei riuscì a malapena ad annuire.

Spencer sentiva gli occhi bruciare dalla rabbia. Lasciò andare Emily e, alzandosi in piedi, iniziò ad urlare contro le pareti.

-Cosa vuoi che faccia? Cosa ti aspetti da me?-

Emily non lo aveva mai visto così fuori di sé. Il suo corpo pompava adrenalina. Era arrabbiato, spaventato, in preda al panico. Quella reazione non era certamente da biasimare.

-Te l’ho detto: goditi il tuo premio-

-Che cosa…?-  

Spencer si voltò a guardare la sua collega con aria confusa.

-C’è del vino lì sul mobile. Sarà tutto perfetto-

-Vuoi che io e lei…vuoi che facciamo l’amore?-   balbettò incredulo.

Seguirono diversi istanti di silenzio e Spencer capì che aveva colto nel segno.

L’SI aveva sicuramente piazzato qualche telecamera per poterli osservare. Improvvisamente iniziò a provare un bruciante imbarazzo.

-Non vedi che non ce la fa? E’ troppo debole e non credo sia in vena di…-   tentò di temporeggiare.

-Non mi importa  quello che vuole lei!-   tuonò la voce interrompendolo.

-Vuoi che lo faccia contro la sua volontà? Vuoi che la stupri?-

Ancora silenzio. La voce non rispose.

Si sentì, invece, un leggero click, come se l’SI avesse messo giù il microfono.

Reid rimase immobile per qualche istante, poi si voltò verso Emily con aria sgomenta.

Lei si alzò dal letto a fatica. Era totalmente in preda al panico.

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Capitolo 14
*** Rinforzi ***




Jason Gideon rimase interdetto per qualche istante.

I rinforzi? Come diavolo era possibile?

Batté più volte le palpebre, poi si precipitò nel corridoio illuminato alla ricerca di Hotch.

Fece qualche passo verso la porta in fondo, poi si fermò a guardarsi intorno quasi intontito.

Dove diavolo era finito Hotch? Aveva già trovato l’uscita?

Impossibile.

Eppure sembrava svanito nel nulla.

Gideon decise di tornare indietro. Forse il suo collega si era avviato dalla parte opposta.

Si voltò e si diresse dall’altra parte, quando una porta si aprì alle sue spalle.

Gideon non fece in tempo a voltarsi. Qualcuno lo colpì alla nuca con qualcosa di molto pesante.

Si accasciò al suolo, ma prima di perdere conoscenza riuscì a scorgere Aaron Hotchner che con un’asse di legno sovrastava il suo corpo sconfitto.

Lo aveva ripagato con la sua stessa moneta: un colpo in testa.

Era troppo confuso, non era sicuro di potersi fidare. Doveva capire bene cosa stava realmente succedendo.

Si chinò sulla sua vittima e prese a frugare nelle sue tasche.

Niente.

Era stato perquisito anche lui? Lo avevano costretto a lasciare all’ingresso tutti i suoi oggetti personali?

Allora forse era davvero uno di loro.

Hotch si sentiva sempre più confuso.

SI alzò in piedi e prese a guardarsi intorno. Doveva trovare l’uscita.

All’improvviso una voce soffocata interruppe i suoi pensieri.

-Cosa sta succedendo lì fuori?-

Sembrava la voce dell’agente Simms. Proveniva da dietro una porta di legno poco lontana dal corpo inerme di Gideon.

Hotch si avvicinò e tese l’orecchio. L’agente Simms prese a picchiare forte sul legno laccato di bianco.

-Agente Simms? Sono Hotchner-

Lui smise di picchiare contro la porta.

-Hotchner? Cosa diavolo sta succedendo?-

-Sono riuscito a liberarmi-

-Beh, allora liberi anche me-   concluse lui semplicemente.

Per un folle attimo Hotch pensò di utilizzare nuovamente il giocattolo di suo figlio, ma poi optò per l’asse di legno con la quale aveva colpito il suo ex collega.

-Stia indietro-   ordinò, prima di iniziare a colpire con forza la serratura.

Stava facendo troppo rumore, ma non gli importava. Erano a un passo dalla fine di quell’assurda serata. Presto sarebbero stati liberi e non avrebbero più dovuto temere nulla.

Dopo diversi colpi la porta finalmente si aprì.

L’agente Simms impiegò qualche minuto per riabituarsi alla luce.

Si strofinò gli occhi più volte, poi mise a fuoco il corpo di Gideon. Si voltò a guardare Hotch con la bocca spalancata.

-Non possiamo fidarci di lui. Mi ha colpito-   spiegò lui.

-Lo ha colpito anche lei, mi pare-    rispose l’altro.

-Si comportava in modo strano. Credo volesse impedirmi di chiamare i rinforzi-

-Crede sia lui l’SI?-   chiese Simms quasi dispiaciuto.

-Non lo so. Dobbiamo sbrigarci-

Hotch consegnò l’asse di legno all’agente Simms e si diresse verso una piccola finestra in fondo al corridoio sulla destra.

-Deve trovare gli altri, io chiamo aiuto-   disse prima di aprire la finestra e infilarsi nell’apertura per uscire da quell’incubo.

Profeta annuì. Deglutì, lanciò un’ultima occhiata a Gideon e infine si diresse dalla parte opposta a quella presa da Hotchner.

Trovò Derek Morgan al centro del secondo corridoio. Era riuscito a liberarsi da solo, buttando giù la porta con una spallata.

Quando lo vide, lì fermo con quell’asse di legno in mano, lo guardò con aria interrogativa.

-Non c’è tempo-   rispose lui a quella domanda inespressa.

-Dove sono gli altri?-

-Hotch è andato a chiamare i rinforzi. Stanno arrivando-

-Troviamo Prentiss-   ordinò Derek con aria severa.

Si diressero verso quello che sembrava un atrio.

Profeta stringeva quell’asse con forza, fino a sentire dolore.

Era teso, sull’attenti.

Derek Morgan, invece, sembrava arrabbiato e molto determinato.

Nell’atrio c’erano dei divani con dei cuscini colorati. Sulla destra c’era invece un bancone.

-Quella è la reception-   disse Morgan, indicandola.

-Siamo in un albergo?-   chiese Profeta confuso, senza abbassare l’asse che stringeva tra le mani.

Seguirono degli attimi di terrificante silenzio.

Dove diavolo si trovavano? Chi li aveva portati lì? E per quale motivo?

-Ci avete messo un bel po’ a capirlo-   tuonò in tono sarcastico una voce alle loro spalle.

Entrambi si voltarono di scatto.

Era lui, il mazziere. Indossava ancora il passamontagna.

Se quello era un albergo, forse i suoi colleghi avevano già trovato il nome del proprietario e da lui erano arrivati all’SI. Eppure non avevano ancora fatto irruzione. C’era qualcosa di strano.

-Dov’è Emily?-   chiese Morgan, carico di rabbia. I pugni stretti lungo i fianchi.

-Con il vincitore, naturalmente-   rispose il mazziere, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

-E noi perdenti?-    azzardo Profeta, stringendo sempre più la sua mazza.

-Oh, non abbiate fretta. Vi aspettano altre partite. Dovrete essere lucidi per affrontarle-

Detto questo estrasse la pistola dai pantaloni e la puntò contro i suoi due ostaggi.

-Ora fate i bravi e tornate nelle vostre stanze-   ordinò quasi con dolcezza.

Morgan stava sudando. Si sentiva incredibilmente irrequieto. Aveva paura.

Cercò di trovare una soluzione. Poteva aggredirlo, dopotutto erano in due contro uno.

Lui, però, aveva una pistola. Loro un’asse di legno.

No, Derek non riusciva proprio a scorgere una via d’uscita.

Chiuse gli occhi e scosse la testa, come per concentrarsi.

Fu proprio in quel momento che l’FBI fece irruzione nell’albergo, disarmando l’SI e salvando la vita di tutti loro.

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Capitolo 15
*** Dubbi ***




Jason Gideon era seduto dietro una scrivania.

La contusione sulla nuca gli era stata medicata qualche ora prima in ospedale.

Si sentiva ancora un po’ intontito e soprattutto molto stanco. Non riusciva neanche più a pensare.

Proprio non riusciva a capire perché si trovava lì. Aveva cercato di aiutare Hotch ed era stato ripagato con un bel colpo in testa. Cosa diavolo stava succedendo?

Inspirò profondamente e chiuse gli occhi per qualche istante. Doveva stare calmo. Si fidava dei suoi colleghi.

Posò le mani sulla scrivania e fece forza per spostare la sua sedia leggermente più indietro.

Avrebbe voluto alzarsi in piedi e picchiare contro il vetro per richiamare l’attenzione di qualcuno. Era sicuro che lo stessero osservando. Eppure temeva di non farcela, era sicuro che le sue gambe avrebbero ceduto.

Inspirò ancora, più profondamente e attese.

Un brivido percorse silenzioso la sua schiena. Faceva freddo nella sala interrogatori di Quantico.


 
 
Aaron Hotchner, dall’altra parte del vetro, scuoteva la testa incredulo.

Stringeva tra le mani un libricino con la copertina rossa, lo guardava sgomento.

No, non era possibile.

All’improvviso entrò Derek Morgan, seguito dalla Strauss.

-Come sta Dave?-   chiese Hotch ignorando la sua superiore.

-Meglio-   rispose lui con tono quasi esasperato.

-Cosa c’è, agente Morgan?-   chiese la donna, cogliendo il suo sconforto.

Lui scosse la testa, lanciò una rapida occhiata al libricino che Hotch stringeva tra le mani e poi si rivolse alla Strauss.

-Francamente, non ci capisco nulla. Non credevo Gideon capace di una cosa simile e poi ci sono delle cose, dettagli, che non tornano-

-Per esempio?-    Hotch fece un passo avanti, con aria interessata.

-Perché ha colpito Rossi in testa? Perché solo lui e non tutti gli altri?-

-Avrà opposto resistenza-   rispose la Strauss, come se fosse ovvio.

-L’agente Rossi lì dentro era il più calmo di tutti, signora. Mi creda-

-Il più calmo dopo Gideon-   intervenne Hotch con aria severa.

-L’agente Hotchner ha ragione. L’unico modo per saperne di più su questa storia è parlare con Gideon-

La Strauss stava semplificando un po’ troppo le cose.

-E l’altro SI? Il mazziere?-   chiese l’agente Hotchner, come se la cosa gli fosse appena ritornata alla mente.

-E’ ancora in ospedale. JJ gli ha sparato ad una gamba, ma pare abbia perso molto sangue. Lei e Reid sono lì con lui. Non appena si sveglierà ce lo faranno sapere-

Hotch annuì con poca convinzione, poi si chinò di nuovo a guardare il libro che stringeva tra le mani.

-Io entro-   disse infine   -Se non riesco a farlo parlare, richiama Reid dall’ospedale. Con lui parlerà sicuramente-

Morgan annuì e si fece da parte per far passare il suo capo, sotto lo sguardo un po’ incerto di Erin Strauss.


 

Aaron Hotchner entrò a testa alta nella sala interrogatorio.

Spostò con calma la sua sedia e si lasciò cadere su di essa.

Anche lui era stanco, distrutto, disorientato.

Le gambe gli facevano male, la testa gli pulsava dopo quel brutto colpo.

Nonostante la stanchezza e la confusione che aveva in testa, non abbassò gli occhi neanche per un istante. Fissava Gideon con sguardo fermo e lui lo sosteneva con decisione.

Senza interrompere quel contatto visivo tanto sicuro, appoggiò sul tavolo un libro rosso.

Gideon, per un istante, abbassò gli occhi sulla copertina.

Harold Forrester, La Partita

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Capitolo 16
*** "Un nostalgico" ***





Spencer Reid camminava su e giù nel corridoio dell’ospedale.

JJ, seduta poco più in là, lo guardava perplessa.

-Cosa c’è?-   chiese all’improvviso, esasperata da quel suo comportamento.

Reid non si fermò, continuò la sua marcia borbottando qualcosa.

-Perché sei così preoccupato?-   chiese la bionda, decidendosi ad alzarsi in piedi per raggiungerlo.

Lo afferrò per le spalle e gli impose di fermarsi e di guardarla negli occhi.

-Quell’uomo è l’unico mezzo che abbiamo per conoscere la verità-

-Beh, ti informo che Hotch sta interrogando Gideon e se non riesce a farlo parlare dovrai farlo tu-

Reid distolse lo sguardo da quello della sua collega.

Se sentiva irrequieto, estremamente agitato.

-Gideon non dirà nulla né a me né a Hotch-    sentenziò riprendendo a camminare.

JJ strinse le palpebre in uno sguardo indagatore.

In quel momento giunse l’agente Simms alle loro spalle.

-Rossi sta bene-   comunicò, facendoli sobbalzare.

-La botta in testa?-   chiese JJ rivolgendosi a Profeta e voltando le spalle a Reid.

Lui non udì la risposta del loro collega. Riprese di nuovo a camminare, senza mai fermarsi, senza permettere ai suoi pensieri di interrompersi.

La sua mente era completamente annebbiata, sapeva solo che non poteva permettere che quell’uomo morisse.

All’improvviso interruppe la sua marcia vedendo arrivare Gina La Salle e Beth Griffith.

-Come sta Emily?-   chiese con occhi sgranati, quando le due erano ancora all’inizio del corridoio.

Beth annuì, come per tranquillizzarlo.

Una volta giunta di fronte a lui, parlò:

-Sta bene. Era disidratata, ma con un paio di flebo risolveranno il problema-

-Cosa ha detto?-   chiese JJ preoccupata   -Le hanno fato del male?-

-Non ha subito nessun tipo di violenza-   rispose prontamente Gina   -L’hanno solo drogata con il cloroformio per portarla nella baita-

Improvvisamente la porta a vetri di fronte a loro si spalancò e ne venne fuori un medico tutto trafelato.

-Siete qui per l’uomo ferito alla gamba-

Annuirono tutti quanti, all’unisono.

-Abbiamo appena fatto una trasfusione di sangue-

-Ma si riprenderà?-   chiese l’agente Simms anticipando la domanda di Spencer.

-E’ molto debole. Lo teniamo sotto sedativi per ora-

-Quando pensa che si riprenderà?-   chiese Beth.

-Non lo sappiamo. Possiamo solo aspettare-

Detto questo, il medico sparì di nuovo dietro la porta dalla quale era venuto.

-Noooo!-   esclamò Reid senza riuscire a trattenersi.

Corse via un’stante dopo, lasciando i suoi colleghi nella confusione più totale.

-Allora, chi è che usa ancora il cloroformio al giorno d’oggi?-   chiese Gina, riprendendo la conversazione interrotta poco prima.

-Qualcuno che rimane ancora legato ai vecchi metodi-   rispose JJ lanciando un’occhiata a Reid che si allontanava di corsa lungo il corridoio   -Un nostalgico-

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Capitolo 17
*** Il Colpevole ***





Spencer era seduto su una panchina di fronte all’entrata dell’ospedale, sotto la pioggia.

Aveva deciso di sfogare lì le sue lacrime, così si sarebbero confuse con la pioggia fitta.

In quel modo gli sarebbe sembrato si non essere l’unico a piangere. Il cielo piangeva con lui.

Si nascose il viso tra le mani e lanciò un urlo. Contemporaneamente un lampo squarciò il cielo.

Era andato tutto male, tutto a rotoli.

Pensò di tornare alla base di Quantico per parlare con Gideon.

Voleva dirgli tutto, non voleva più mentire. Era tutto finito ormai.

All’improvviso sentì la mano di qualcuno appoggiarsi sulla sua spalla. Sobbalzò, ma non si scoprì il viso per vedere chi fosse.

-Chi è quell’uomo? Quello ferito? Cosa rappresenta per te?-   chiese JJ sedendosi accanto a lui.

Lui scosse la testa con il viso ancora tra le mani. Prese a piangere più forte.

-A me puoi dirlo, Spence. Cosa sta succedendo? Sei tu l’unico che può portarci alla verità ora-

Finalmente tolse la mani dal suo viso pieno di lacrime. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi.

-Gideon è innocente?-   chiese JJ con dolcezza, come se si stesse rivolgendo a suo figlio Henry.

-Io volevo solo rivederlo. Ci ha piantati in asso ed è sparito, volevo rivederlo-   balbettò Reid tra le lacrime.

-E’ per questo che hai detto che non parlerà con nessuno? Sai che non sa nulla, vero?-

Reid annuì.

-E l’idea ti è venuta quando hai letto il suo libro?-

Lui annuì ancora, tentando invano di asciugarsi il volto.

-Come hai fatto a scoprire che l’autore era lui? Hai fatto delle ricerche?-

-No, mi è bastato leggere il libro. Quel modo di scrivere, di descrivere le vicende  e i personaggi mi era familiare. Era lui, ne ero sicuro-

JJ gli passò una mano tra i capelli fradici. Era assurdo, ma in quel momento Reid le faceva tenerezza.

-Come lo hai trovato?-   chiese dopo una lunga pausa.

-Lavoriamo all’FBI, JJ-   rispose lui voltandosi finalmente a guardarla e lanciandole un’occhiata quasi di rimprovero.

Un brivido le attraversò la schiena.

-Chi è l’uomo ferito?-   riprovò lei con calma.

-Un amico-

-Qualcosa di più di un semplice amico?-

JJ era sicura di aver ragione. Le reazioni di Spencer erano state eccessive fin dall’inizio.

-Ho detto un amico-   si spazientì lui.

-Va bene, va bene-

Jennifer cominciava a sentirsi leggermente a disagio. Lo sguardo di Reid era diventato inquietante. La tenerezza stava facendo spazio alla paura.

-Torniamo a Quantico, Spence? Fa freddo qui-

Lui non si mosse. SI nascose di nuovo il viso tra le mani.

-Credevo fosse l’unico modo per rivederlo. Se lo avessi chiamato e basta non sarebbe mai venuto. Ci ha abbandonati, dovevo trovare un modo per convincerlo a tornare-   disse all’improvviso rispondendo ad una domanda che nessuno aveva posto.

-Perché hai colpito Dave?-   chiese lei lasciandosi sfuggire una lacrima di compassione. Anche la sua si confuse con la pioggia.

-Per vincere il torneo ho dovuto barare e Rossi è stato l’unico ad accorgersene. E’ diventato sospettoso e ha opposto resistenza quando è stato eliminato. Aveva capito tutto-

-Hai barato? Avevi già pianificato la tua vittoria? Perché? Non potevi lasciare tutto al caso? Volevi Emily?-  

JJ era sempre più irrequieta.

-Lasciare tutto al caso? No, non potevo permettermelo. Dovevo controllare il gioco-

Un lampo attraversò i suoi occhi, mentre si voltava a guardare JJ con uno strano ghigno stampato sul volto.

-Se non ti avessimo fermato avresti continuato all’infinito?-   chiese lei inorridita.

-Probabilmente-

JJ ritirò la mano che teneva appoggiata sulla sua spalla e si allontanò di qualche centimetro.

-Dobbiamo tornare a Quantico ora-

-Sì, devo parlare con Gideon-   disse lui come ipnotizzato.

Si alzò meccanicamente e si diresse al parcheggio seguito da JJ.

-Dì al dottore di comunicarmi qualsiasi novità su Patrick-

-Patrick?-  

Jennifer temeva di non aver capito.

-Ti riferisci all’SI?-

-Patrick-   ribatté lui con più enfasi.

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