Presso troni di re incoronati di Melitot Proud Eye (/viewuser.php?uid=1469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doveri ***
Capitolo 2: *** Desideri ***
Capitolo 3: *** Estraniarsi è lasciarsi per metà ***
Capitolo 4: *** Interludio -- Divergenza ***
Capitolo 5: *** Messaggi dal passato ***
Capitolo 6: *** Caso, sentimenti e loro derivazioni ***
Capitolo 7: *** Strategia del dolore ***
Capitolo 8: *** Interludio -- Politica ***
Capitolo 9: *** Frustrazioni ***
Capitolo 10: *** Non si desidera ciò che è facile ottenere ***
Capitolo 11: *** Decisioni ***
Capitolo 12: *** Il mattino venne senza portare il giorno ***
Capitolo 13: *** Creature e destini vecchi di eoni ***
Capitolo 14: *** Interludio -- Visite diplomatiche ***
Capitolo 15: *** Ciò che appartiene ai sogni e ciò che è stato costruito ***
Capitolo 16: *** Interludio -- Destino ***
Capitolo 17: *** La Linea d'Oro ***
Capitolo 1 *** Doveri ***
Nota: scritta per la
Sfida 6 della Staffetta in Piscina @piscinadiprompt, col prompt:
orfano, Diplomazia.
Parte
dodicesima della serie Presso
fuochi di campo e troni di re incoronati. Dopo tutto questo
fluff torniamo alla politica e all'angst. Vi era mancato?
Disclaimer: nope, nada, zilch
- non possiedo né i film, né i personaggi,
né il merchandising. Solo la prosa e la trama di questa fic, a guadagno
zero ;)
Elenco
tag/avvertimenti: Kings & Queens, Duty, Loki Has Issues, Loki
Feels, Thor Feels, Smart Thor, Intrigue, Post Avengers Asgard,
Politics, Established Relationship, Requited Love, Jealousy, Warning:
Loki, Jötunheimr | Jotunheim, Jotun Biology,
Mythological Beasts, Marriage Proposal, Hermaphrodites, Jötunn
Loki, Loki is mostly blue here, Kilts, Mating Rituals, Body
Paint, Shapeshifter Loki, Parent Frigga, Mpreg, Kind of since we're
talking about hermaphrodites, Mating Cycles/In Heat, again kind of,
Wordcount: 30.000-50.000
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Doveri
Sono re, adesso, e
ogni re ha bisogno di una regina. E' sempre stato così.
Alleanze,
discendenza, consiglio privato: dagli albori della storia ogni grande
condottiero è stato affiancato da una grande compagna.
Schematico in
un modo che il dio del caos non può apprezzare, ma, come si
dice a
Midgard, squadra che vince non si cambia.
Loki sa che
è solo
questione di tempo. Sa che Thor non se ne rende conto ma che Asgard
–
nonostante l'incredibile elasticità che ha dimostrato finora
– se
l'aspetta.
Sa che le
casate dei
Nove Mondi educano le loro figlie e le agghindano come se fossero
già
sovrane, aspettando l'apertura dell'asta. E forse, alle feste,
cercando di giocare sporco. (Bocconcini in mostra per ogni dove, a
ronzare come mosche.)
Il solo
pensiero gli
fa digrignare i denti. Guarda Thor e dai suoi polmoni esce gelo che
condensa. Pensa alle loro notti, e il pavimento ghiaccia sotto i suoi
piedi, spaccandogli le suole. Immagina ciò che potrebbe
dargli, lui
e solo lui, e vorrebbe urlare. Non
è giusto.
Ma tace e
resta
calmo, perché Thor non è l'unico a esser
maturato. I re hanno
molto. A molto devono rinunciare, se vogliono mantenere gli impegni
presi.
Pertanto
sarà Loki
figlio di Laufey a organizzare i loro matrimoni; Loki, a trovare la
sposa giusta per il suo–e a preparare il letto nuziale. Non
il
loro, però. Mai il loro. (Il nido che ha scelto, imbottito e
plasmato ora dopo ora, desiderio dopo desiderio, come un povero
stupido Jötun in calore).
Quelle vacche moriranno prima dimettercipiede–
Calmati, si
dice, stringendosi il setto nasale fra due dita. Questo non vi
allontanerà.
Nessuno
può
superare tante difficoltà come hanno fatto Thor e lui,
amarsi
nonostante tutto, come loro, e lasciarsi separare da un ventre che
cammina.
Deve
assicurarsi che
la sposa non sia troppo bella, però. Che non abbia un
carattere
troppo volitivo. Che non possieda magia e cultura elevate; meglio
senza magia, sì. Che sia incapace di divertire il marito con
frasi
argute. E magari sterile...
Oh, Norne.
Loki chiude
gli
occhi. Prende un profondo respiro. Ha più disciplina di
questa, si
dice; ha saputo trionfare su momenti ben più drammatici, ha
gestito
Thor e Heimdall e Odino e persino un po' Frigga. Può
farcela, perché
deve farlo. Asgard non accetterebbe mai una regina Jötun,
benché tolleri, incredibilmente, un alleato Jötun.
E se non sono
le
sottigliezze a rovinargli sempre la vita...
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Capitolo 2 *** Desideri ***
Note: all'inizio
pensavo di lasciare Doveri
come storia a sé, poi mi sono resa conto che i tre pezzi
seguenti mal si sarebbero retti da soli; ecco quindi un secondo
capitolo :)
E torna Thor il poeta! Il primo verso viene dal sonetto shakespeariano
XLIII, il secondo dal sonetto XLVII.
La shot ha
fatto uso anche del prompt orfano: Diplomazia
[piscinadiprompt.livejournal.com]
[editato 2/3/14]
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Desideri
Quando lo scopre,
Thor ha un momento di profonda incredulità. Dev'esserci
un'altra
spiegazione.
Poi le
dissonanze e
la cautela che circondano Loki fugano ogni dubbio. Lo conosce troppo
bene per illudersi: è tutto vero, dolci culle delle Norne.
Quindi,
senza perdere tempo, passa al contrattacco.
Non lo
affronta
perché sarebbe inutile. Al suo testardo, masochista amore
preferisce
dimostrare ciò che vuole dal futuro (e possono avere) coi
fatti;
crede di avere l'idea giusta. Alla prima grande festa del regno
invita a rallegrare la sua tavola
i sovrani di Alfheim, il vecchio amico Freyr e sua moglie Gerð
che, guarda caso, è una – uno
– Jötun. Tiene il tutto discreto per evitare
defezioni verso le
tundre di Jötunheim, e con inatteso successo.
Il
popolo conviene all'annuncio, il Bifröst si apre. Il regno
è uno
splendore.
Loki
lo guarda come se volesse avvelenargli il corno del sidro, poi
sorride a cattiva sorte. Thor finge di non capire. Il messaggio
arriverà.
Al brindisi dell'ultimo
banchetto, dal momento che il
Padretutto manca di regina e Frigga si sente indisposta, aprono le
danze gli ospiti.
«Musica!»
Sono
una coppia armoniosa. Freyr è spiritoso, sensuale, un
incontro di
liuto e spada. Gerð
figlia di Gymir, la più bella di tutte le fanciulle, è
sinuosa, morbida e androgina; vestita di sete argentate, una corona
di vischio nei capelli, danza col tintinnio del ghiaccio nei piedi. A
tratti la sua somiglianza con Loki è fonte di confusione. La
vista
di suo figlio Fjolnir, boschi nella trama dello spirito e neve sulla
pelle, d'impazienza.
Asgard
trattiene il
fiato. Thor osserva e sogna.
E complotta.
Poi le
celebrazioni
sono concluse e la città è immobile, ubriaca di
gioia ed opulenza.
Gli stranieri sono partiti, i lumi spenti sulle tavole vuote; Thor
siede sul suo trono in compagnia di Huginn, osservando il deserto
della sala al riverbero delle fiaccole. E' una luce tremula, intima
come solo il crepuscolo sa essere. (E così un desiderio
vero.)
Vorrebbe che
il suo
amore gli fosse accanto. Ma dovranno ancora farsi guerra prima di
trovarsi in pace, è evidente.
Con un
sospiro, Thor
chiude il libro intorno a un dito e rilassa il capo contro lo
schienale, orecchie piene di voci lontane.
Più
gli occhi
serro e più gli occhi vedono, pensa –
parole che non può
recitare. "Quando
dormo, nel sonno guardan te... che con
l'ombra l'ombre fai lucenti. Notte è ogni giorno
finché non ti
vedo, la notte è luce se in sogno ti svela"...
Mentre la
spina di
cuoio del volume scricchiola, un altro verso affiora alla mente.
"Dei
pensieri più in là non puoi fuggire e sempre io
son con loro, e
loro con te."
Sorride,
mesto.
Loki, catena e consolazione. L'unico che lo capisca veramente,
benché
non sempre accetti quel che scopre. Come potrebbe Thor volere una
vita in cui non siano uniti?
L'ha pensato
da
qualche istante e il fulcro dei suoi desideri compare. Subito il suo
umore si risolleva – e se non è uno sciocco per
questo.
«Eccoti
qui» dice,
sorridendo.
«Eccomi
qui.»
Non sembra sul
piede
di guerra.
«Stanco?»
Thor
posa il libro sulla seduta e sposta Huginn sul bracciolo destro del
trono, indicando lo spazio libero. «Vieni.»
Loki cerca di
scrutarlo in volto senza farsene accorgere; lo raggiunge con passo
sicuro e siede. Thor gli circonda subito il fondoschiena, spostandolo
più vicino, e gli afferra possessivamente una coscia con la
scusa di
riposare il gomito.
Loki esita,
rigido.
Poi, pian piano, si rilassa. Si gira verso di lui e accavalla una
gamba alla sua.
Restano
così,
spalla contro spalla, ascoltandosi vivere a vicenda finché
Thor non
mormora che è stata una settimana intensa.
«Non
avrei saputo
dirlo meglio.» Dita che
tamburellano su un ginocchio ossuto.
«Preferirei che mi avvisassi prima di ospiti così
importanti.
Potrei avere impegni improrogabili a Jötunheim.
E i corteggi chiacchierano d'impreparazione.»
«Il
solito
vanitoso.»
Il solito
evasivo.
Thor si mette
comodo. In lontananza si sente uno zampillo di fontane.
«Gerð
è magnifica, vero?»
«Se
ti piace
definirlo così.»
La corrente di
livore è palpabile.
«E
Freyr è sempre
in forma.»
«Dovresti
dormire,
sai» fa Loki, asciutto. «Digerire tutto quello che
hai inalato.
Toglierti gente strana dalla testa.»
Thor scoppia a
ridere e lo stringe un po' più forte.
«E'
peculiare che
venga da te, quest'osservazione. Sai, mi ha detto un
uccellino»
sull'altro bracciolo Huginn gracchia una risata malefica, agitando le
ali «che hai fatto visita ai cugini reali di
Vanaheim.»
E' solo grazie
a
secoli di pratica che sente Loki irrigidirsi.
Continua,
discorsivo. «Sulle prime ho pensato: accidenti, è
bello che il mio
amato abbia ancora voglia di curare la nostra diplomazia. Le Norne
sanno che io non ho troppo stomaco per quella disciplina. Poi
però
l'uccellino ha aggiunto che c'erano stati discorsi di doti... e doni
ufficiosi alla primogenita di Linden. La cosa, potrai capire, mi ha
insospettito un po'.»
«Thor...»
«Mi
sono chiesto:
perché mai Loki dovrebbe corteggiare una principessa nubile,
visto
che non abbiamo principi da far coniugare e possiede già
me?»
«Thor»
fa lui, più
a disagio.
«Poi
ho scoperto
che c'era stata addirittura una proposta,
e che si estendeva anche alla sorella gemella.»
Loki lo fissa,
tirato in volto. Luce della comprensione negli occhi. «E' per
questo che hai fatto venire
qui quei due pagliacci?»
«Sono
andato dai
genitori, ho chiesto spiegazioni, detto che si trattava di un
equivoco–»
«Ascolta...»
«E
li ho
cortesemente mandati a–»
«Dimmi
che non
l'hai fatto.»
«Perché?
Sono stato impeccabile, pur
avendo davanti gente che voleva raggirarmi. O esser raggirata. Ho
parlato di una promessa–»
«Ascolta.»
Loki sembra indeciso tra l'implorar perdono e lo strangolarlo.
«Non
puoi fare così. Questa è una faccenda seria, Thor
– una faccenda
politica, che tutti si aspettano di veder procedere secondo un certo
copione.»
«Ah.
E lo decidi
tu, tale copione?»
Esita.
«Sapendo che
non sei portato...»
«Di'
pure
"propenso".»
«Le
inclinazioni
personali han poco a che fare con l'arte di governo.»
In un altro
contesto, Thor riderebbe fino alle lacrime. Oh, Loki, l'ironia ce
l'ha davvero con te. Invece si ripresenta
il fantasma del primo
sconcerto.
«Due
sorelle?»
dice, inarcando le sopracciglia. «Sul serio?»
«Le
ha consigliate
nostra madre» fa Loki, sulla difensiva.
«Nostra–»
Non è
possibile. «E' uno scherzo» geme, nascondendo la
faccia in una mano
e strofinando energicamente. «Non può essere
d'accordo con questa
cosa.»
Mentre si
crede non
visto, Loki ha il fegato di alzare gli occhi al soffitto.
«No, Thor.
Intendevo dire che ho intessuto con lei una conversazione del tutto
innocente e portato il discorso sui migliori partiti in circolazione.
Le figlie di Lindel erano nell'elenco. E ad attento esame,
adatte.»
«Innocente.
Guarda che ti conosce.»
«Avrà
pensato che
cercassi moglie per uno dei nostri vassalli.»
«Una
principessa?»
Spallucce.
«Perché
no?»
«Piantala
di
sorridere così» lo avverte.
«Così
come?»
«Come
se stessimo
parlando del tempo!» Thor si raddrizza su Hliðskjálf,
mentre Loki lo fissa di sottecchi, immobile sul suo posatoio.
«Thor,
tu hai
bisogno di una moglie.»
«Io ho già una
moglie» dice lui. «E un marito, e un fratello e un
amico. E sei
tu.» Copre la distanza che li separa, calmo ma implacabile.
«Non ho
bisogno di sconosciuti nel mio letto.»
Gli occhi di
Loki
lampeggiano; in un baleno, cala un velo e Thor ha davanti uno
Jötun.
«Io
sono un gigante
del ghiaccio» sibilano labbra azzurre, emettendo vapore
gelido. «E
il re di un regno che tuo padre e i suoi uomini hanno odiato per
secoli. Lo vuoi capire? Va bene, se dobbiamo parlarne invece che
sottintendere, parliamone.» Allarga le braccia.
«Avanti, illustrami
la strategia. Stupiscimi. E dovrà essere buona davvero per
convincere tutti, perché qui non siamo ad Alfheim! Non
pensare
neppure per un istante che mi accetteranno sul tuo trono con gaudio e
tripudio.»
«Lo faranno
o
resteranno senza famiglia reale» ribatte Thor.
«Ascolta bene ciò
che ti dico, amore mio: non ho intenzione di sposare una figlia di
Lindel, né una figlia di Sól,
né una figlia di questo, codesto o quell'altro. Io
sposerò te o non
sposerò nessuno.» Sorride, al confine tra la
dolcezza e il colpo di
grazia. «Questa non è un'altra incoronazione
precoce. Ho ponderato,
e so quel che faccio.»
Riceve una
smorfia
sarcastica.
«O
non mi ami più?»
Loki
impallidisce.
«Questo mai.»
«Allora,
forse non
ci bastiamo?»
Lui chiude gli
occhi, prende un respiro profondo e, per un attimo, tutta la pena che
prova è palese. Blu sembra ancora più triste.
«Tu mi basteresti
fino al Ragnarök e oltre,
stupido caprone. E' ad Asgard che non bastiamo.»
«Tutte
idiozie.»
Thor gli stringe la vita, forte. «Asgard è rimasta
incantata da
Gerð, Loki. E credi che
non abbiano visto quel che volevo vedessero invitandola qui, ovvero
che hanno già una persona così fra loro?
Intelligente, diplomatica
e pronta solo a–»
«Io
non sono
attraente come Gerð. Non
sono–»
«Sei
molto di più.»
Gli carezza una guancia, di nuovo pallida. «E sei l'unico che
non
vuole capirlo.»
Un sospiro.
«Thor,
Asgard ha bisogno di una regina come tua madre. Anche con
tutta la buona volontà, io non potrei–»
«Ormai
ho deciso»
afferma, baciandolo. «Prendere o lasciare.»
Mentre Loki storce
la bocca, diviso fra rabbia e desiderio, Thor si alza ed esce. Con
l'occhio di Huginn lo vede appoggiarsi allo schienale e stropicciarsi
il viso, occhi lucidi, espressione testarda.
Poi preferisce
non
vedere altro.
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Capitolo 3 *** Estraniarsi è lasciarsi per metà ***
Note: questo
capitolo ha un format a collage. Volevo sperimentare e
comunque è uscito così e cambiarlo
è risultato al di sopra delle mie forze.
Spero vi piaccia comunque. Anche se Thor e Loki non fanno altro che litigare.
[edit 2/3/14]
PS. Dimenticavo di dire che questo capitolo partecipa all'iniziativa Antiautofill di Piscina di Prompt, col prompt: Avengers, musi lunghi >:}
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Estraniarsi
è lasciarsi per metà
I
Con quelle
montagne
selvagge e la neve perenne, Jotunheim sarebbe piaciuta ai suoi amici
di un tempo. Thor vede – come se li avesse davanti
– Stark,
Rogers e Barton sfidare le discese, Banner perdersi a studiare ogni
stranezza, lady Natasha scoprire segreti col semplice sguardo.
Ma il loro tempo è passato da così
tanto che, a volte, i particolari dei loro visi sfumano; le loro voci
si confondono nel suono bianco di una cascata. E lui è solo.
Gli amici che ancora possiede non hanno
inclinazione per il freddo. E, altrove, le porte della camera reale
sono chiuse in tributo alla più stupida delle ostinazioni.
Sospira,
guardandosi intorno: se non altro Utgarða
è tranquilla. (Indifferente, nella sua derisione.)
Vorrebbe i Vendicatori al suo fianco.
Riuscirebbero a complicare le cose fino a semplificarle, ne
è
sicuro.
II
La Sala dei Re è un ambiente lungo,
spoglio, alto quasi come una montagna, e poco illuminato. Ha
colonnati e pareti massicce prive di aperture, tranne che in fondo,
dove un oculo proietta un fascio di luce sui supplicanti. Oggi
è
anche una caverna silenziosa, perché non si tengono udienze;
il
corpo di Loki traccia una curva indolente fra le guglie del trono.
Non dorme. Thor sa di esser stato
notato nel momento in cui ha passato il grande arco.
Mentre si avvicina riflette, alla
ricerca di una strategia che non finisca nel solito scontro a colpi
di corna. Sovrano, diplomatico, Padretutto per nove mondi con
successo, sì – ma ancora giovane, e alcune cose
non smetteranno
mai di risvegliare i suoi istinti peggiori. Il vero io di Thor
è
vento e tempesta: una tormenta costretta sotto una fragile patina di
civiltà. Lui e Loki si somigliano molto più di
quanto si creda.
E insieme, tuttavia, trovano
l'equilibrio per forgiare un'altra via, lontano dalla violenza e
dalla solitudine. E' per questo che Thor ha bisogno di Loki. E' per
questo che Loki ha bisogno di Thor. Separati, tornerebbero ad
autodistruggersi.
Si ferma vicino allo scranno, né
davanti né a fianco. In riconoscimento al clima e alla
tradizione
del suo regno, Loki è Jötun
e poco vestito: sopra il kjálta di pelliccia nera indossa
solo due
bracciali d'oro che gli serpeggiano fino alle spalle e un rubino,
scuro come sangue al centro della fronte. Tutto il resto è
magnifica
pelle nuda.
Quando l'asta di Gungnir preme sul
ghiaccio battuto, picchettando quella terra di mezzo, parte e si
espande una ragnatela di crepe bianche. Loki solleva una palpebra.
«È così che sarà,
d'ora in poi?» chiede Thor.
«Di che stai parlando?» La sua aria
di perplessità è quasi convincente.
«Sto parlando delle tue porte.»
«Oh, quelle.»
«E del fatto che non mi cerchi più,
né ti fai trovare quando ti cerco.»
Loki rotea due dita, vago, sollevandole
appena dal bracciolo. «Sono un sovrano in cerca di moglie con
tanti
ospiti in casa, non posso dar l'impressione sbagliata ai possibili
acquirenti. Il permafrost è piccolo e le bestie
mormorano.»
Sorride. «Dovreste saperlo meglio di me, Padretutto...
considerata
la fila che attende alle vostre porte.»
Thor stringe i pugni. «Sto parlando
sul serio.»
«Oh, ma anch'io.» Loki lo fissa,
disinvolto. Questo è Linguadargento, la
personalità meno
apprezzabile di lui – e purtroppo una delle più
ostinate.
«Considerate la nuova discrezione delle mie sale un favore
del re al
suo gradito ospite, presto fidanzato.»
Thor piomba sul trono in due falcate.
Le sue mani si abbattono sui braccioli
e ghermiscono gli intagli di ghiaccio, incrinandoli. Costretto a
ritirare i gomiti, Loki tentenna, poi si irrigidisce e guarda nel
vuoto.
«Tu puoi illuderti che questo piano
avrà un seguito se ti ostini abbastanza. Ma non
succederà, te lo
assicuro. Ascoltami bene – guardami.»
Lentamente, Loki gira la testa. Il
rosso dei suoi occhi è così intenso da sembrare
nero. Pare pietra,
ma Thor riesce a sentire il correre del suo cuore anche senza
toccarlo.
«Te lo dico di nuovo: o tu o nessun
altro. Resterò solo, se non mi sposi.»
«Non ti suona come un ricatto?» fa.
«E le tue porte chiuse, la tua
freddezza non lo sono?»
«Forse non ti voglio più.»
«O forse non sei più un bugiardo
abbastanza bravo.»
Thor aspetta, respiro affannoso.
Nell'impeto del movimento, il mantello gli è scivolato oltre
il
fianco e gli ricade contro una coscia; scende contro il polpaccio
sinistro di Loki, accumulandosi intorno alla sua caviglia, quasi
attorcigliato. In un'altra situazione sarebbe divertente: nemmeno i
suoi abiti possono fare a meno di lui. Per un attimo, quella caviglia
tradisce. Trema, e Thor intravede una breccia.
«Allontanati.»
«Deciditi, una buona volta–»
«Ho già deciso.»
E uno strattone libera la stoffa del
suo mantello, spingendolo bruscamente indietro. Thor si riprende
subito, ma non torna all'attacco; si limita a fissare Loki attraverso
palpebre socchiuse. Poi si passa una mano sulla faccia e recupera
Gungnir.
«Perché devi fare così?
Perché
incaponirsi proprio su questo–su questo–»
«Tu sei un sovrano
che sta prendendo moglie, Thor. E anch'io.»
Oh, agli inferi
tutto. Se continua così ne uscirà pazzo. Ha
bisogno di un piano di
sfondamento, adesso.
«Continua a
sognare» sillaba, e se ne va in un bagliore d'oro.
III
Repetita iuvant,
dicevano gli antichissimi di Midgard. Ripetere le cose fa bene:
sedimentano. E Loki non ha mai dovuto applicare tanto quella
prescrizione come con Thor, dall'infanzia alla maturità. Maturità...
Un barlume di
sconsolata ironia deve trapelare, perché gli occhi di Thor
mandano
un lampo.
«Se vuoi parlare
ancora di quello» dice, chino su alcune tavolette di pietra
«puoi
anche uscire. Sto riflettendo.»
Ha ha. «Su come
sembrare più idiota?»
«Attento, Loki.»
Gli siede di fronte
e accavalla le gambe. «E' la mia biblioteca. Ho diritto di
passare
qui il pomeriggio, se mi aggrada.»
«Ma non
d'insultarmi ancora. Non avete udienze, augusto cugino?»
«Questa è la più
importante, Padretutto.»
Thor lo fissa per
tre attimi. Poi sbatte il volume sugli altri, lascia la scrivania e
va a piazzarsi davanti a una finestra, tra due scaffali di ghiaccio
–
spalle rigide, fiato che sale in lunghi sbuffi. Loki non si nasconde
che, in tutta quella deprecabile faccenda, rivedere episodi della sua
vecchia impulsività è un piacere. Con le pellicce
richieste dal
clima di Jotunheim sembra un orso, pronto all'assalto; risveglia in
Loki un istinto selvaggio di caccia, sangue e accoppiamenti.
Dev'esser stagione
di cucciolate.
Loki stringe le dita
sui braccioli della sedia. «E ho diritto di dire
ciò che penso.
Potremmo considerarla una trattativa privata?»
Thor si gira,
lentamente. «Hai nuove proposte?»
«Se per proposte
intendi "partiti"–»
«No.»
Loki alza le spalle,
attingendo a secoli di finzione per apparire disinvolto. «Io
elenco
lo stesso... non si sa mai. Vediamo, c'è la nipote
del–»
Thor torna e afferra
a casaccio una pila di tavole. «Divertiti, perché
sarà un
monologo.»
«Dove vai?»
«Devo consultare
questi, maestà. Dopodiché vi
toglierò il disturbo di un
ospite sgradito.»
«Non si possono
portare fuori documenti antichi da questa sala» risponde
Loki, in
mancanza d'altro.
«Sono sicuro che
farete un'eccezione. Ho bisogno di pensare mentre leggo, e qui tira
un'aria che distrae.»
Loki sa riconoscere
una battaglia persa. Inghiotte la risposta istintiva (e il desiderio
di lasciar perdere tutto, una buona volta, riportare la pace e la
passione con due sole parole – anzi, due mosse), si alza e lo
guarda passare, vibrando d'energia repressa.
Thor
raggiunge il cancello di ghiaccio ed esce, sbattendoselo dietro.
IV
Dai
bastioni, l'arena cittadina è
invitante: un ampio quadrato bianco punteggiato di combattenti,
veterani o nuove promesse pronte alla sfida. Puro movimento, sangue
che romba nelle orecchie. Il peso familiare di Mjölnir nel
pugno.
Nessun pensiero, solo istinto.
Eccetto per il fatto che è non è così
semplice; Thor non è un guerriero qualunque, e quel campo
è più un
mattatoio che un luogo di civili confronti. Immaginare le conseguenze
di una sua vittoria (o sconfitta, perché la distrazione
è un nemico
infido) in questi frangenti gli dà già il mal di
testa.
Preferisce stare a
guardare, quindi. Dando le spalle al parapetto, vi appoggia i gomiti
e si crogiola al poco sole di Jotunheim. Ben presto i suoi pensieri
precipitano in una spirale di pessimismo. Un altro giorno, nessun
avanzamento, nessuna idea. I tempi cominciano a restringersi e sa di
avvicinarsi al momento in cui, volente o nolente, dovrà
tirare le
somme sul proprio futuro.
Sono passi di una
cadenza familiare a distrarlo.
«Perché
quella faccia, sire?»
Gira
il capo verso destra, sorpreso. «Tu
qui?»
«In carne ed ossa» sorride Sif, coi
capelli neri che ondeggiano sulle pellicce screziate della mantella.
Dev'essere salita dal torrione nord. «Sono giunte voci di
naufragio,
e il bastoncino corto è toccato a me. Non dovresti venir qui
senza
di noi, comunque.»
Le va incontro, sentendosi risollevato.
«Se ricordo bene» dice, abbracciandola
«siete voi quattro a
disdegnare i cimenti invernali.»
«Sappiamo bene qual è l'unico
ghiacciaio sul quale ti piace scivolare,
Padretutto.» Sif
arriccia il naso con un misto di orrore e divertimento. «Non
saresti
di grande compagnia neppure se ci mettessimo d'impegno.»
Thor accenna suo malgrado una risata.
Occupano insieme il punto dove lui oziava da solo e restano contro il
parapetto, attenzione puntata sugli allenamenti di ghiaccio e spada,
finché Sif non sospira.
«Davvero, Thor, perché il muso
lungo?»
«C'è da domandarlo?» risponde lui,
muovendo un braccio in una poco caratteristica, sebbene giustificata
mancanza di educazione.
Sif si sporge per vederlo meglio,
giocherellando col medaglione che contiene una ciocca dei capelli di
suo figlio.
«Stento a credere che tu non riesca a
convincerlo. Ce l'hai sempre fatta... anche per le imprese
più
stupide.»
«Forse perché gli faceva comodo. E
grazie per il sostegno. E' bello sapere che mi considerano tutti un
idiota per volerlo sposare.»
«Non dire così, Thor» protesta lei.
«Lo sai che non intendevo in quel senso!»
«Davvero?» Poi vede la sua faccia e
lascia perdere con un altro cenno. «Ebbene, ognuno ha diritto
alle
proprie opinioni. Il problema è che c'è anche
Loki, nel numero che
mi considera un idiota.»
«Sciocchezze» dice Sif, esasperata.
«Loki ti ama. E per favore non farmi sprecare altro fiato per
difenderlo.»
«Lo so che mi ama. Il fatto è che non
stima la mia intelligenza. Crede che parli per ideali.»
Su di loro scende il silenzio,
interrotto soltanto da lontane grida d'incoraggiamento e dalle folate
di vento che spazzano gli interstizi di Utgarða,
spolverando nevischio vecchio nell'aria.
«Che cosa farai?» chiede Sif.
Thor sbuffa una nuvola di condensa. «Al
momento ho una mezza idea di prenderlo, legarlo e riportarlo a casa
appeso a Gungnir. Come un pentapalmo pronto allo spiedo.»
«Non credo sia una buona idea.»
«Perché? Rapire principesse per
forgiare alleanze impossibili è una lunga e onorata
tradizione,
amica mia.»
Stavolta il ghigno
c'è. «Ti consiglio di non farti sentire da lui. O
da suo fratello.»
Sif gli appioppa
una pacca sul braccio, a malapena percepibile attraverso le pellicce.
«Avanti, mio re.
Se vuoi tornare ad Asgard, ti scorto io.»
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Capitolo 4 *** Interludio -- Divergenza ***
Note: rileggendo in
ordine i capitoli, la comparsa di
Jarnsaxa mi è sembrata un po' brusca e ho sentito il bisogno
di creare un passaggio intermedio. Spero che l'aggiunta di questo interludio faccia
il suo dovere.
Non
preoccupatevi, è corto ma tra pochi giorni dovrebbe
finalmente arrivare il capitolo 7. Baci
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- INTERLUDIO -
Divergenza
Thor
Odinson non è nato per vivere solo.
Espansivo, allegro,
cerca la compagnia
di anime affini con cui condividere la vita – cui donare il
meglio
di sé, e chiedere il consiglio che un principe
non dovrebbe in realtà deferire ad alcuno – fin da
quando era
bambino. Stare con gli altri è una gioia, per lui. Sono i
pochi
amici sinceri che ha a costituire i pilastri della sua esistenza.
Doni
di un'indole serena che neppure la
politica ha saputo piegare.
Ma
le cose cambiano, oh se cambiano.
Nuovi amici trapassano, vecchi amici proseguono. Non è
l'unico ad
aver nuove responsabilità, oggi: i figli di Volstagg
crescono e
richiedono l'attenzione del padre, Hogun ha allievi da istruire,
Fandral viaggia orgoglioso con Sif e il loro primo bambino. Sono
divenuti adulti. Conclusi i tempi delle ragazzate.
E
non si possono cercare nuovi legami
in libertà con una corona sul capo.
Thor
potrebbe sopportarlo di buona
grazia, se il compagno di sempre fosse suo; se nel fiume infinito
della storia avesse accanto – sentinella incrollabile
intoccata
dalla corrente – colui che racchiude tutto il suo passato e
il suo
futuro.
Ma
Loki piega le promesse. Si ritrae.
Thor
sospira,
aspetta con pazienza.
Poi, suo
malgrado,
inizia a guardarsi intorno.
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Capitolo 5 *** Messaggi dal passato ***
Note
doverose.
Qui
trovate
riferimenti agli episodi V e VI della serie, le benedette shot
che ho plottato da una vita e speravo tanto di concludere, ma
ancora non riesco a finire. Per cui, due spiegazioni veloci in modo che
il capitolo non sia privo di senso.
Nel mio
headcanon, lasciando perdere i fumetti
Marvel Thor, Loki e compagnia dei film sono
le reincarnazioni dei Thor, Loki e compagnia mitologici; mi spiego
così il fatto che abbiamo un Loki fratello di Thor e non di
Odino, principe di Asgard senza figli mostruosi ecc. ecc. *handwave*
Con "sonno delle Norne" intendo un esperimento magico che in Presso fuochi di campo
blocca Loki in una sorta di coma connesso alla coscienza delle Norne,
permettendogli di vedere quel passato e lasciandogli intendere che il
ciclo si sia ripetuto più di una volta. Vai con l'angst, le
recriminazioni, il senso di colpa e la paura di finire con l'ammazzare
di nuovo Thor; Loki ripete l'incantesimo e fa
vedere tutto a Thor, ma lui lo convince che non si
ripeterà. Ora si tratta solo di verificare, muhaha.
Járnsaxa,
secondo la mitologia, diede a Thor due figli ;>
Kaunan
è una runa - e mi riferisco alla sua grafia più
antica.
[edit 2/3/14]
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Messaggi
dal passato
I
Ci sono i Guerrieri
Due e Sif che lo fissano dall'ansa di un pilastro. Non ci sarebbe
nulla di strano se lo guardassero storto – secoli di
ragazzate, la
questione
con Thor
– ma l'atmosfera è diversa. Incerta.
Ansiosa.
Loki corruga
la
fronte. Si fida del suo fiuto, per cui abbandona il suo seguito alla
distesa dorata della piazza e raggiunge il colonnato che la
racchiude, immerso nei riflessi di Asgard. Vedendolo arrivare, i tre
si scambiano un'occhiata. I saluti che riceve sono un rimbombo del
suo nome, un cenno del capo e un mezzo sorriso – l'unico
spontaneo
è Hallbjorn, il mostriciattolo rubicondo premuto contro il
fianco di
Sif: gli fa una boccaccia.
«Com'è
andata ad Álfheim?» chiede
Loki.
Sono appena
tornati dal viaggio
diplomatico. Il viaggio che avrebbero dovuto fare lui e Thor, soli.
«Bene»
risponde Volstagg, gaio.
Loki lo
scruta. «Thor è ancora là?»
«Sì»
risponde Sif, impegnatissima ad
aggiustare il peso del figlio. «Mi dispiace, Loki-Re, non
troverai
che tua madre su Hliðskjálf.»
«Oh.»
Vorrà
dire che saluterò lei,
vorrebbe aggiungere. Ma non vede Thor da un mese e quelli gli
nascondono qualcosa, ne è sicuro. Nel rimuginarvi sopra la
frase va
persa.
«Gaaa»
miagola il moccioso di Sif,
preparandosi a un'urlata da piccolo Jötun.
Che le Norne
se lo prendano. Con un
ultimo sguardo sospettoso, Loki li saluta e prosegue.
II
Járnsaxa
è alto, ceruleo e forte. Ha un profilo orgoglioso, con due kaunan
sinuose per corna; capelli neri raccolti in tiare di rame, sete Vanir
al collo. E Thor non avrebbe mai pensato di incontrarlo qui, baluardo
rassicurante in un mondo cosmopolita.
Lo riconosce
subito, benché in questa
vita non l'abbia mai visto. Segue il suo portamento elegante e
riassapora il sonno delle Norne, con tutti i suoi "furono"
e "forse saranno". Dov'è stato, per questi secoli?
Come hanno
potuto – domanda colpevole
– non incrociarsi prima?
Lo Jötun
lo vede e s'avvicina per un inchino, attraversando la corte
straniera. Indossa pelli di volpe bianca. Sorride, e suo malgrado
Thor lo rivede in un altro luogo, in un altro tempo, con due
bambini in braccio.
«Padretutto.»
Thor sente la
trama del nuovo presente
sfrangiarsi, curvando verso il vecchio destino.
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Capitolo 6 *** Caso, sentimenti e loro derivazioni ***
Note: Loki vs Járnsaxa, round 1 >:)
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Caso,
sentimenti
e loro derivazioni
I
Non
è grosso, come Jötun:
lo supera a malapena di una spanna. Thor si chiede se sia considerato
anomalo anche lui, fra la sua gente (e non sta pensando a Loki, Loki
sempre più lontano, sempre più contrario). Di
sicuro Járnsaxa
ha belle proporzioni, con ossa sottili e muscoli poco pronunciati; il
suo petto ha marchi così chiari da sembrare il
più fine dei nielli.
E Thor deve
smetterla di pensarci.
Dannazione.
«...non
credete, Padretutto?»
Torna alla
realtà con un sussulto.
«Cosa?»
Járnsaxa
sorride, tra il divertito e il lusingato. «Sembra sia un
giorno
benedetto, questo.»
Alza il capo e
guarda il cielo
limpidissimo, bella gola che si arcua all'indietro.
Quella notte
Thor lo sogna, e sogna di
tenere Magni fra le braccia.
Se solo...
II
L'ha fatto.
Non avrebbe dovuto, ma l'ha
fatto: ha esteso il viaggio diplomatico di tre giorni, fino al
solstizio d'estate. E il motivo è tutto tranne che la
politica. Che
sta succedendo?
(Lo sai, lo sai.)
«Sembrate
assorto, Padretutto. Il
cuore sacro della nostra biblioteca vi lascia insoddisfatto?»
Járnsaxa
si china sul tavolo e scorre
con lo sguardo le costole punzonate dei codici. I suoi occhi sono
rosso garofano, più scuri della norma, e quando tornano su
di lui
sorridono.
«O
forse vi spingono alla
meditazione?»
Thor strappa
lo sguardo al suo petto.
Poi scuote la testa e si abbandona contro lo schienale dello scranno.
«Piuttosto,
mi fan rimpiangere il sole
sulla vostra bella arena» ride, perché non
è capace di sentirti a
disagio troppo a lungo. A meno che non ci sia di mezzo Loki.
«Dovrò
affidarmi alla tua esperienza, qui, amico mio.»
Se la
familiarità urta Járnsaxa, è
difficile dirlo.
III
Non passa
molto tempo prima che Loki lo
sappia, e ancora meno prima che faccia la sua comparsa.
Thor non
è stupito della prima – il
suo tormento ha sempre avuto occhi e orecchie dappertutto; della
seconda, però, sì. E non sa se disperarsi
dell'animosità che li
separa, spingendolo a meravigliarsi, o sentirsi rincuorato dal fatto
che Loki sia venuto a marcare il territorio. Se questo è
quel che è
venuto a fare.
Potrebbe esser
lì per scoprire com'è
il famoso Járnsaxa, gioiello d'eruzione di Alfheim.
O per far
vedere il suo arcigno, caro,
caro volto. Mentre viene maestosamente verso di loro Thor lo guarda,
sentendo familiarità e passione salire come un fiume di
rosso
dolore.
Sposami, gli ha chiesto,
ancora
e ancora. Ordinato. Implorato.
E ora che
inizia a credere sia
impossibile, naturalmente, Loki decide di venire a intorbidare le
acque.
Un mezzo
sorriso fa breccia sulla bocca
di Thor, incurante delle sue preoccupazioni.
IV
Il Primo
Erudito dell'accademia di
Ýdalir è slanciato e, sotto gli abiti
reminiscenti di Jotunheim,
mostra un portamento altezzoso. Oltre a parecchia pelle scoperta.
Quando Thor
– riluttante – li
presenta e inizia la conversazione, Jarnsaxa sorride; titoli e
convenevoli devono essere solo seccature per l'informale corte di
Freyr. In quell'istante, incidentalmente, Loki nota pure che ha una
bocca da puttana. Troppo piena e scura, con un sorriso invitante.
Lo fissa.
Thor ha
un'aria colpevole. Qualcosa nel
petto di Loki s'infiamma di rabbia e dolore.
«E'
un onore conoscervi, Loki-Re. Ho
sentito molto parlare di voi.»
«Ci
mancherebbe altro.»
Può
immaginare in quali termini.
L'opposizione non muore quando il pretendente indossa la corona; se
mai, si fa ancor più decisa a ostruire, complottare, scavare
– e
nel suo passato ce ne sono, di filoni interessanti.
La faccia di Járnsaxa
è perfetta, non lascia trasparire nulla. Ma Loki ha visto
abbastanza.
Piccolo arrivista, pensa, con
l'alone dorato di Thor che gli scivola sotto la pelle. Ti pentirai
di esser rinato.
In quel
momento tutto il resto, tutte
le considerazioni e i piani di mesi svaniscono.
V
Loki
è rigido e aguzzo come un
ghiacciaio. Per un attimo Thor crede che passerà Járnsaxa
da parte a parte; conosce quello sguardo: stanno danzando sul filo
della lama.
Járnsaxa
dal canto suo sembra calmo, ma è un cortigiano esperto. E
subito
dopo, infatti, la situazione comincia a precipitare.
«Non
credo di averti mai visto a
corte, suddito» dice Loki.
Jarnsaxa
s'inchina.
«Maestà.»
Le luci della sala
baluginano sulla sua magnifica schiena e Thor non crede che la mossa
sia casuale neanche per un attimo. «Questo perché
non appartengo
più alla corona di Jötunheim.
Dal giorno della mia maturità, siedo alle tavole del colto
Freyr.»
«Ah,
capisco. Un'ancella di Gerð.»
I denti di
Jarnsaxa sono bianchissimi e
aguzzi. «Mi lusingate, ma non sono così
importante. Solo un umile
erudito.»
E che erudito, pensa Thor. Non
ha paura di Loki.
(Pessima idea.)
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Nella
mitologia norrena Ýdalir è un luogo
di Alfheim, ricordato nell'Edda poetica (XIII sec.) come sede
della casa del dio Ullr. Qui la considero una città
importante :)
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Capitolo 7 *** Strategia del dolore ***
Nota: eccomi
finalmente! Doveri era partita in quinta
e ora mi fa disperare.
Piccole
note:
- Þrymheimr
(in antico norreno
"casa del tuono"),
Glæsisvellir e la città-fortezza di Utgard erano
luoghi importanti di
Jötunheim,
tutti ricordati dai testi antichi;
- tigliegi, cetride
e patronimico di Jarnsaxa sono inventati. Per l'ultimo ho
cercato in lungo e in largo, ma la mitologia non lascia
notizie sulla sua ascendenza;
-
nel mio headcanon, come si sarà capito, Jarnsaxa
è nato quasi piccolo come Loki (è più
alto) e possiede un po' di magia;
-
...sì, mi piace dare a Gerð una voce un po' isterica
XD
Va bene, vi
lascio proseguire
alla seduzione di Thor. Haha, una rosa, Jarn? Really?
Ne approfitto
per ringraziare tutti coloro che seguono questa storia :) mi farebbe
molto piacere sapere cosa ne pensate!
[edit 2/3/14]
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Strategia
del dolore
I
«Meditate ancora» esclama
Járnsaxa, scherzoso,
quando lo trova sulla terrazza.
Thor
è alla Biblioteca Sovrana. Seduto
sul parapetto monumentale, un dito nel libro che dovrebbe leggere, si
gode lo splendore degli alberi di tigliegio in fiore, i colossi
maestosi del parco di Ýdalir. Tutto è bianco,
verde e azzurro.
Sereno.
Non si rende
davvero conto di chi ha
parlato finché Járnsaxa
non continua.
«I
poemi e i veterani vi cantavano
uomo impetuoso. Ora invece vi scopro riflessivo. La vita è
davvero
generosa, con me.»
Torna in
sé e si gira, sorpreso. Poi
scuote la testa.
«I
veterani mi ammirano anche troppo,
per loro bontà» dice, mettendo definitivamente da
parte il volume.
«E i poemi – perdonami, ma son quasi tutte
panzane.»
Il sorriso di Járnsaxa
si allarga, e finiscono per ridere insieme.
«Ah,
ora vi riconosco.» Si avvicina.
«Refrattario al fronzolo. Amante delle cose terrene e delle
forze
selvagge.»
Appoggia un
fianco alla balaustra di
marmo Vanir, venato di viola, incrociando le braccia. Oggi non
indossa volpe bianca: solo trasparenti sete color zafferano e monili
in corallo – bracciali, collane, pettini per capelli; perle
di
tormalina occhieggiano alle sue caviglie. Davanti a tanto rosso Thor
non può che ricordare un'altra gemma, un grande rubino, e
alla
fronte che spesso illumina nel grigiore di Jötunheim.
La sua allegria si fa forzata.
«Forse
un tempo, amico mio. Ma sono
cambiato. I principi avventati ereditano troni oberati
d'impegni.»
Járnsaxa
annuisce, senza mai distogliere gli occhi da lui.
«Gerð-Regina
se ne lamenta spesso.»
Scende il
silenzio. La biblioteca è
tranquilla; dal parco provengono voci di bambini.
«Qualcosa
vi turba» osserva Járnsaxa,
alla fine.
La sua
sollecitudine è un piacere e un
disagio.
«Riflettevo
soltanto» dice Thor,
riprendendo il libro in mano. A un suo cenno aggiunge:
«Questioni
noiose, te l'assicuro. Governo, leggi, diplomazia. Il destino. Il
fatto che regno da molte, molte estati ma ancora non ho dato una
regina al mio regno, né un erede alla mia casa.»
«Queste
non mi sembrano cose noiose»
afferma Járnsaxa,
sorridendo. «Anzi, sarei felice di saperne di
più.»
Poi sembra
colto da un pensiero e, con
le guance scure, volge lo sua attenzione ai tigliegi. La brezza porta
fino alla terrazza un profumo dolcissimo, intenso come quello dei
mughetti e dei fiori d'arancio.
Nonostante
navighino un argomento
infido, Thor si scopre curioso.
«Su Jötunheim
i figli sono un bene prezioso» dice.
«Il
più grande.»
«E
tu non hai figli?»
«No»
risponde Járnsaxa,
malinconico, afferrando un petalo in volo e posandoselo sulla lingua.
«Tra gli Álfar non sono in molti ad esser attratti da queste
lande
gelate.» Mostra il braccio, marchi azzurri, pelle blu.
«O pronti ad
affrontarle.»
Poi sorride,
incontrando gli occhi di
Thor.
«Dicono
invece che gli Aesir siano un
popolo di guerrieri temerari, con un'inspiegabile amore per il
ghiaccio.»
Una delle sue
cosce infinite fa
capolino fra i lembi della veste di seta. Thor deglutisce,
distogliendo lo sguardo.
«È
così. Forse avrai più fortuna,
se visiterai Asgard.»
«Lo
spero.»
E la voce di Járnsaxa,
a scapito dei legittimi sospetti, è sincera.
II
È
una sensazione familiare, risorta
dal passato: il più profondo senso d'inadeguatezza; la
certezza di
venire per secondo agli occhi di tutti, ma soprattutto di Thor.
Risveglia in
lui una rabbia che ha sete
di sangue.
E un'altra
cosa: la consapevolezza
latente ma non dimenticata che mai Thor fa le cose a metà.
Se
prenderà qualcun altro al suo fianco, lo farà
completamente, nel
rispetto e nell'amore.
Loki ricorda
allora la solitudine di un
tempo – la perdita della fiducia e la dura strada percorsa
per
riconquistarla. Il silenzio di Thor.
L'attesa
davanti a porte chiuse.
Cose che non
vuole rivivere, e che non
credeva possibile rischiare ancora. Eppure, con l'ostinazione
perversa che avvelena il suo carattere, vi sta tornando. Se ne rende
conto solo ora.
Loki spia
Járnsaxa con occhi che
vedono e arrivano ovunque; immagina di avvicinarlo e aprirgli quella
bella gola con le unghie. Lo spruzzo del suo sangue blu sulle guance
di Thor.
Stringe i
pugni per fermarsi.
Non
è più quel tipo di persona, si
dice. Non lo è più.
Ma non te lo
lascerò prendere, a
qualunque costo,
pensa. Mi
dispiace, ho cambiato idea.
III
Thor ama
profondamente il compagno
della sua vita, ma le illusioni giovanili l'hanno abbandonato da
tempo.
Loki resta
Loki. E la gelosia sarà
sempre il suo più feroce piacere.
A distanza di
secoli, davanti alla
prospettiva dell'abbandono, il veleno torna ad accumularsi: Thor lo
avverte nelle sue parole, lo vede nei suoi occhi. Un disastro in
avvicinamento, qualunque forma
deciderà di assumere. Ma stavolta Thor non è
impreparato. Se Loki
ama ancora nutrire la propria rabbia per aspergerla sugli altri, si
dimostra prevedibile; e quindi manipolabile. Se è
manipolabile, può
esser guidato nella direzione giusta.
Da mio padre non
ho preso solo la
forza del braccio, pensa Thor.
E' diverso da
loro due, perché
complottare non gli darà mai alcun piacere. Tuttavia, nella
vita ha
concluso abbastanza compromessi da accettar questo come inevitabile.
Nient'altro che vittoria, su questo campo di battaglia. Non
esiterà,
né lascerà che la tenerezza lo tradisca.
(Ha
già funzionato una volta.)
Forse Loki non
aveva idea di cosa gli
stesse facendo, cercando di mettere qualcuno fra loro –
quanto Thor
si sia sentito tradito, rifiutato, ridicolizzato.
Ora lo sa.
Thor guarda
dentro di sé ed è
tranquillo. Il suo cuore non è cambiato: vuole la stessa
cosa di
sempre.
Se tentenna...
se talvolta si
confonde... è perché ogni creatura vivente
è fallace.
IV
«Vi
voglio, Thor.»
Infila le dita
nelle pieghe della
sua mantella e stringe la presa. Il punto d'equilibrio lo aiuta nel
movimento: aggira lo scranno, solleva una gamba e gli si arrampica in
braccio.
Thor inspira con
asprezza e alza le
mani. Per un attimo, Járnsaxa crede che lo
colpirà.
Invece resta
così, a bocca aperta,
corpo che non sa cosa fare. Járnsaxa ne approfitta
per
circondargli il collo con le braccia e sedersi più in alto.
Quello che sente non
è
armatura.
Thor gli afferra
i fianchi e
Járnsaxa ride, estatico, offrendo la bocca.
Járnsaxa
Jønirson
è stato fortunato, nella vita.
Nato minuscolo
in un inverno durissimo,
appena prima della guerra che avrebbe devastato Jötunheim, era
destinato ad essere esposto; ma l'amore dei suoi genitori e la
generosità del suo villaggio lo hanno salvato. Quel pugno di
vecchi,
consumati dal desiderio di nuove generazioni, lo ha curato, protetto,
nutrito con la delicatezza che solo un infante debole e piccolo fra
gli Jötnar
può richiedere.
Bambino
estremamente curioso, ha avuto
nonni pazienti in contadini, pescatori, cacciatori – e in un
cantastorie, in un veterano delle guerre durante le quali Borr
Búrison ancora gattonava. È stato ben nutrito a
pesceargento,
muschi e leggende.
Sveglio,
libero come un drago bianco.
E poi,
quand'è stato il momento, i
suoi hanno capito che vivere in un villaggio avrebbe finito per
svilirlo. Hanno preso, fatto fagotto e l'han portato in ciò
che
restava delle grandi città – un atto di coraggioso
sacrificio del
quale sarà loro sempre grato.
Járnsaxa
ha così avuto il privilegio
di vedere Glæsisvellir, di vivere a lungo in Utgarð;
di apprendere tutto quanto Thrymheimr poteva dargli. Ha conosciuto
elfi poeti e discorso di magia con Vanir di furtivo passaggio.
Ha conosciuto
Gerð, la prima mente in
cui risuonasse il suo stesso desiderio di modernità. E
infine,
durante un'escursione spericolata, insieme a Gerð ha incontrato
Freyr.
Járnsaxa
era appena divenuto adulto
quando loro due hanno deciso di unirsi. Gerð gli ha chiesto di
andare con loro, e abbandonare il relitto che era la loro terra.
«Pensa
alla vita, alla cultura di
Álfheim» gli ha detto. «Prendi e porta
anche i tuoi genitori, se
vuoi. Non voglio farti sentire in colpa. Ma parti e vieni via con
noi.»
Ha accettato.
Anche se i suoi genitori
non han voluto lasciare il mondo che scorre nel loro sangue e nelle
loro ossa, è partito, con la nostalgia nel cuore.
Via, lontano
dalla miseria che
l'entusiasmo giovanile non poteva più smorzare.
La ricchezza
opulenta di Álfheim l'ha
stordito. E' un mondo di foreste verdi e praterie solcate da strade
di pietra, caldo, colorato, accecante. Già allora tra le sue
fronde
stridevano uccelli variopinti, lungo i suoi viticci fiorivano
infinite corolle. Aveva frutte succose per ogni dove e piante
aromatiche in abbondanza. Branchi di animali pasciuti. Aveva
città
di palazzi altissimi, con botteghe, biblioteche, statue e monumenti,
fiere chiassose. Un magnifico, eterno caleidoscopio.
La fatica del
caldo costante è un
piccolo prezzo da pagare per tutto questo, e mitigabile con la magia.
Non molto
tempo dopo il loro arrivo,
Járnsaxa ha ottenuto di entrare come apprendista
all'accademia di
Ýdalir, invidiata da
tutti i mondi. La sua vita è stata molto diversa da quella
di tanti
suoi coetanei, dunque – di tanti vecchi e giovani di Jötunheim.
Abilità,
perseveranza, ma anche tanta
fortuna.
E questa,
pensa, è la fortuna più
grande di tutte: Thor Odinson, biondo e bello come il sole, che gli
sorride parlando delle cose che Járnsaxa ama di
più.
Abbastanza
vicino da poter essere
toccato. Preso, conquistato.
Járnsaxa
non ha un carattere propenso
al riso, perché la desolazione di Jötunheim
gli è rimasta dentro. I suoi sorrisi son più
diplomatici che
sentiti; il suo cantato fascino è una facciata per
l'ambiente
capriccioso della corte. Ma con Thor... con Thor sente emergere
un'allegria che non credeva gli appartenesse.
Járnsaxa
ha conosciuto Odino, e avuto
paura di lui. Suo figlio è diverso. E' tutto luminoso, tutto
calore.
Anche ai
prodromi di una tempesta.
Forse
è davvero destino che Járnsaxa
e Gerð siano regine insieme.
Ma Thor, come
tutte le rose, non manca
di spine. I difetti di un grand'uomo – dicono –
sono grandi, e
lui ne ha di notevoli. Innamorato, Járnsaxa fatica a vederli
finché
di essi non si rivela il più temibile.
Thor ha
un'ombra che non segue le leggi
del sole. È il principe di cui una volta nessuno sapeva, la
fenice
che ha incenerito Jötunheim
per risorgerne e farla risorgere. Loki, figlio di Laufey, l'ultimo
re. Colui che è cresciuto accanto a un altro scettro e ne ha
assorbito tutta la pompa, ridando vita, quando nessuno se l'aspettava
o lo desiderava, al trono dei suoi antenati.
Di Laufey ha i
lineamenti, di Odino lo
sguardo penetrante. È il re padrone del ghiaccio e del Seiðr.
E del cuore di
Thor.
Loki
è arrivato prima... Loki ha
millenni di storia condivisa con lui.
Che importa?, si chiede
Járnsaxa. Lo sta umiliando. Lo
ferisce deliberatamente. Rinuncia
a lui.
Corruga la
fronte, cercando di non
pensare al modo in cui lo ha guardato trovandolo insieme a Thor. Al
fatto che si sia presentato ad Álfheim senza preavviso.
Non lo merita.
Osserva il
figlio di Odino, che sorride
con la tristezza negli occhi ma riesce ugualmente a vedere il suo
desiderio; Thor, che non lo rifiuta.
Forse non
è solo illusione. Forse c'è
davvero speranza, e Járnsaxa decide di continuare.
«Non
ti vedevo legger poesia dalla
nascita di Fjolnir. Sei innamorato?»
Sotto l'arco
che dà accesso alla sua
biblioteca privata, accanto alla tenda di velluto verde, c'è
Gerð-Regina. Indossa una
tunica ambrata che vela i seni in crescita ma offre il ventre alla
vista; dalla tiara d'argento scendono nei suoi capelli cascate di
perle e topazi. E' bello e raffinato, come sempre. E
Járnsaxa
dovrebbe pensarlo al femminile, ora: dopotutto, questa è
l'usanza
della loro vecchia terra per chi è gravido.
«Devo
preoccuparmi del tuo silenzio?»
chiede Gerð con un sorriso
beffardo,
piedi che scivolano sul tappeto.
«Forse»
gli risponde.
Si alza dal
triclinio, s'inchina e, al
suo gesto, riprende il suo posto e il suo libro. Gerð
va alla gabbia degli uccelli.
«Quindi
il nostro Jarn è innamorato»
canticchia. «E chi è il fortunato?»
«Non
ho detto che lo sono–»
«Ma
interessato?» fa Gerð,
malizioso. «Arrapato?»
Járnsaxa
si passa una mano sulla
faccia, sentendosi scurire. «Vorrei che non foste
così volgare...»
Un cetride
azzurro gorgheggia.
«Oh,
perdonami: titillato?»
Finisce per
ridere. «Sì. Oh, sì.»
Gerð
smette di carezzare una cresta gialla per voltarsi.
«Inevitabile: è
un uomo straordinario, e non lo dico perché è
figlio di Odino e
siede sull'Alto Trono.»
«Voi
lo conoscete meglio di me.»
«Non
saprei. L'ho visto più volte
negli anni, certo, ma non abbiamo parlato a lungo. Sì,
è bello. Sì,
è forte e intelligente, anche se talvolta un po' ingenuo. E
indossa
bene la corona di suo padre. Credo che pochi non vorrebbero
farselo»
dice. Poi, dopo che hanno riso come ragazzine, il suo sorriso si
smorza. «E che pochi ci siano riusciti. Nessun avventuriero,
negli
ultimi quattro secoli.»
Járnsaxa
storce la bocca, sfogliando
il suo codice a tempo perso. Gerð
sembra allarmato.
«Tu...
non stai facendo sul serio,
vero?» chiede. «Sai quel che si dice di un suo
possibile
matrimonio?»
Járnsaxa
annuisce. Gerð
fa qualche passo verso gli scaffali, tocca una costola di cuoio
rosso, una verde smeraldo.
«Io
non so a che gioco stiano
giocando, ma...» lo guarda dritto negli occhi, con un
tintinnio di
perline. «Il re di Jotunheim è potente, Jarn. E possessivo.
Non sfidarlo.»
Lui finisce
per deglutire. Ha la forza
del desiderio dalla sua, ma è pur sempre un erudito, non un
guerriero.
«Credo
che sia troppo tardi.»
Gerð
gira su se stesso, imprecando sottovoce. «Che hai
fatto?»
«Non
gli ho mancato di rispetto, ve lo
giuro. Non sono un suicida. Ho solo mostrato interesse per l'uomo a
cui sta cercando di trovare moglie da mesi.»
«Oh,
Norne.»
«E
Thor–»
Al nome, Gerð
spalanca gli occhi. «Thor? Norne, aiutateci! Ti
rendi conto–»
«Sono
uno Jötun
libero» fa Járnsaxa, un po' offeso da tutto quel
melodramma. «E
lui mi ha dato il perme–»
«Sei
un pazzo» strilla la sua regina.
«Vuoi distruggerci?»
«Calmatevi»
implora, «pensate al
bambino.»
«Stai
dicendo che sono isterica?»
soffia Gerð, puntandogli contro
un dito. «Perché se anche fosse, avrei ottime
ragioni.»
Járnsaxa
alza le mani per placarlo,
poi inarca le sopracciglia. «Dove andate?»
«A
chiamare Freya, per amor di
buonsenso!»
E Gerð
svanisce, inghiottito dal
palazzo buio.
Járnsaxa
si riappoggia allo schienale,
stringe la mascella e riprende a leggere, cercando di ignorare il
vago senso d'inquietudine lasciatogli dal volto di Gerð,
serio, col nome di Loki sulla bocca.
Si assopisce
in biblioteca, quella
sera. Gli scaffali hanno molte ali e molti piani, ricchi di nicchie;
bastano un lume schermato e una coperta contro gli spifferi per
sentirsi le uniche creature rimaste al mondo. Lì si
può sempre
trovare un po' di pace – e sperare in un incontro amoroso.
Non
è Thor a raggiungerlo, tuttavia.
Járnsaxa sta dormendo con la fronte sui polsi e le braccia
incrociate sulle ginocchia, come faceva da apprendista, quando un
fruscio lo disturba. Una veste femminile. Un profumo di gelsomino.
Il dorso di
una mano bianca gli sfiora
la guancia, poi scende sotto il mento, sollevandogli il capo con
gentilezza. Járnsaxa riconoscerebbe quelle efelidi fra mille.
«Cosa
ti affligge, mio carissimo
amico?»
E quella voce,
vellutata come foglie di
salvia. Alza gli occhi sul volto limpido di Freya.
E' venuta
davvero.
«Desidero
Thor Odinson» mormora.
La dea inclina
il capo. Una cascata di
luce scorre giù per i suoi capelli, rame vivo e vibrante
sotto i
trafori di una lampada d'ottone.
«Per
la tua regina? Per un'alleanza?»
Járnsaxa
pensa a Gerð
e ai giochi di potere della sua corte. «E per me
stesso» confessa.
Il bel viso di
Freya intristisce.
«Come
temevo» dice, lasciando
ricadere la mano fra le sete cangianti del vestito.
«Mi
aiuterete?» chiede, girandosi
sulla panca. «Voi conoscete bene Loki Laufeyson.»
«E
l'allievo ha da molto superato la
maestra.»
«Ve
ne supplico...»
Freya lo
guarda a lungo, in silenzio.
Intorno a loro, la biblioteca è una caverna dalle
profondità
insondabili.
«Ti
aiuterò» dice alla fine. «Come
posso. Proprio perché lo conosco bene.»
Járnsaxa
cerca di non sentire quel che
non dice: perché
è già troppo tardi.
L'equinozio
passa senza che nessuno
commenti il ritardo sul programma, però Thor non
può restare oltre
un quarto lunare – della luna più grande,
purtroppo. I Nove Mondi
chiamano, mentre Álfheim trattiene i suoi eruditi. E' una
situazione
incerta.
Per fortuna i
mesi passano svelti:
quando l'estate vira in autunno, da Asgard annunciano un'altra visita
e il cuore di Járnsaxa si rianima, abbandonando progetti di
espatrio. Thor sta cercando qualcosa, nella loro biblioteca; forse
non solo libri. E lo avrà, oh se l'avrà.
Nonostante i
propositi, tuttavia, non
si vedono all'arrivo della delegazione. Gerð è molto
vicino al
parto: fremono i preparativi, abbondano gli impegni e i capricci. E'
nel tardo pomeriggio che Thor richiede la sua assistenza in
biblioteca, proprio quando Járnsaxa stava per scappare
urlando. (A
cercarlo.)
Entra,
splendente in armatura leggera e
manto scarlatto. La sala s'illumina.
Agli inferi la
dignità. Járnsaxa gli
va incontro quasi a balzi, bracciali e collane che tintinnano.
«E'
bello riavervi qui.»
Thor gli
stringe il polso nell'antico
saluto, ricambiando il suo sorriso. La sua mano è caldissima.
«Il
piacere è reciproco, amico mio.»
Poi si
guardano, senza separarsi, e per
un attimo l'aria è greve di aspettativa. Parole non dette.
Una
decisione dalle conseguenze inscrutabili.
Járnsaxa
è il primo a ritrarsi. Si
scosta i capelli dal viso, cercando di sistemarli intorno al collo, e
fa cenno a Thor di seguirlo. Lo conduce al tavolo più grande
della
biblioteca, dove sono sistemati codici, rotoli di pergamena, vecchie
mappe acquerellate e qualche lastra di marmo.
«Quando
abbiamo avuto notizia del
vostro ritorno, Padretutto, mi sono permesso di selezionare per voi
documenti che rispondessero alle esigenze della vostra
ricerca»
dice, indicando la raccolta. «Spero non vi
dispiaccia.»
Risparmierete
tempo per altro,
pensa, incontrando i suoi occhi.
Gli porge un
volume senza neanche
controllarlo.
Thor sorride,
spontaneo, e si siede
sullo scranno intarsiato di Freyr.
«Dispiacermi?
Ti sono debitore!»
Come l'acqua
liberata dalla morsa
dell'inverno, a quella risata il corpo di Járnsaxa si
risveglia.
Non può produrre calore,
ma le linfe crescono, sgorgano, chiamando vita; chiamando Thor. Lo
vuole.
Lo vuole.
Lo guarda
negli occhi, ignora quanto
dice e protende una mano. «Venite con me» mormora.
Lui sembra
perplesso. «Dove?»
«Nelle
mie stanze.»
La mano che
stava per raggiungere la
sua si ferma; torna indietro.
«Vi
ho aspettato col fiato sospeso,
per tutti questi mesi» confessa Járnsaxa,
abbandonando ogni
prudenza. «Volevo disertare i miei doveri e scappare ad
Asgard.
Venire da voi.»
Thor distoglie
lo sguardo. D'improvviso
sembra riluttante. «Amico mio–»
«Solo
amico?» Járnsaxa avanza, e sa
di osare molto. «Io vorrei essere di più. Vorrei
venerarvi ogni
giorno, con tutto me stesso, per tutta la vita.» Lentamente,
gli
posa un palmo sulla spalla sinistra e scende fin quasi al polso.
«Vedo solo voi, Thor. Voglio solo voi» sussurra,
abbassandosi. «E
vedo come voi mi guardate.»
Thor, che
seguiva con ambiguità i suoi
movimenti, s'irrigidisce.
Járnsaxa
diviene cosciente del proprio
cuore. Corsa folle, una stretta.
«O
forse mi sbaglio?» dice, tirandosi
indietro per chinare rispettosamente il capo. «Se
è così vi chiedo
perdono.»
Ciò
che segue è poco più di un
mormorio, riluttante e forse involontario.
«No,
non sbagli.»
Non
può che respirare e vivere quella
confessione. La sua mano formicola.
Poi si muove.
Tocca le incisioni che
decorano le fibbie d'oro sulle spalle di Thor; infila le dita nelle
pieghe della sua mantella e stringe la presa. Il punto d'equilibrio
lo aiuta nel movimento: aggira la sedia, sollevando una gamba, e gli
siede in braccio.
Thor inspira
con asprezza e alza le
mani. Per un attimo, Járnsaxa crede che lo
colpirà.
Invece resta
così, a bocca aperta,
corpo che non sa cosa fare. Il suo respiro sa di idromele; la
sua pelle di cuoio e grano. Járnsaxa approfitta
dell'esitazione per
circondargli il collo con le braccia e sedersi più in alto,
stringendogli le cosce intorno alla vita (sia lodato Freyr col suo
gusto per la comodità).
Quello che
sente non
è
armatura.
«Vi
voglio, Thor» sussurra.
«J–»
È a
disagio. Rigido, ma non nel punto
giusto.
Non l'ha
ancora buttato a terra, però.
Járnsaxa si morde l'interno di un labbro, vibrando come la
corda di
un'arpa.
«Sono
troppo audace, Alto Sovrano?»
I capelli gli
scivolano oltre la spalla
destra in una cascata nera e lucida. Sa di essere attraente. Sa di
avere le qualità per conquistarlo. Le loro bocche potrebbero
baciarsi, ora–
Ma Thor
distoglie lo sguardo,
rivolgendo le mani verso chissà cosa. «Non...
necessariamente, ma–»
Járnsaxa
gli tocca il viso, passa le
dita nella sua barba.
«Allora,
forse inopportuno?»
Il momento
passa, e lui lo scruta con
una calma che ha qualcosa d'inquietante. Járnsaxa curva la
schiena,
avvicinandosi, respirando la sua aria.
Thor, Thor, Thor.
«Vi
voglio con tutto me stesso.
Prendetemi.»
Le cosce sotto
le sue natiche sono
roccia, e Járnsaxa non indossa niente sotto il
kjálta. Basterebbe
scostarlo un poco, aprirgli i calzoni. Si unirebbero lì, nel
luogo
che ama di più – veloce, intenso e bestiale. I
libri non
tradirebbero il loro segreto.
«Sono
vostro.»
Abbassa il
capo, abbassa una mano.
Thor gli
affonda le dita nei fianchi e
Járnsaxa ride, estatico, offrendo la bocca.
(Vorrebbe
chiedergli quanto bene
conosce il corpo Jötun –
chiedergli di farlo godere sfruttando ogni più fine segreto
della
sua esperienza. Vorrebbe insegnargli quali sono le differenze di
specie e quelle individuali, mostrandogli cosa gli piace di
più e
ricambiando con scrupolosità. Non si è portato a
letto molti
asgardiani. Ma Járnsaxa è un animale di corte,
oltre che un poeta
istupidito dalla passione: non alludi ai rivali mentre cerchi di
sedurre l'oggetto del tuo amore. Soprattutto in questo caso.)
Ma prima che
possa accadere qualcosa,
qualsiasi cosa, nella biblioteca risuonano un'esclamazione e un
tonfo.
Si voltano con
un sussulto per vedere
il primo consigliere di Freyr che cerca di fingersi ignorante di
quanto ha visto. Accanto a lui, uno dei piccoli scaffali da
consultazione è riverso in terra, circondato di volumi
deformati.
Dannato, pensa
Járnsaxa, preso
fra due risentimenti.
Thor lo
solleva di peso e si alza.,
spiccio
«Padretutto»
dice Aslak, con
ammirevole disinvoltura. «Il mio sovrano mi invia a domandare
se
gradireste unirvi alla gran caccia, prima di partire.»
«Sarà
mio piacere, figlio di Gudrik.»
Avuta la
risposta, Aslak non perde
tempo a sparire. Non corre perché è un politico
di lunga
esperienza, e ha una dignità da salvare; ma di certo non se
la
prende comoda. Járnsaxa dubita che fosse venuto solo per
quello –
un primo consigliere non esegue commissioni da paggio. Comunque non
può lamentarsi del suo giudizio: davanti a una scena come
quella che
hanno offerto lui e Thor, l'opzione migliore è levarsi dai
piedi.
Si chiede
piuttosto se e come userà
quella conoscenza. Aslak è un intrigante. E Gerð,
con le sue paure
eccessive, è diventato peggio di un segugio. Potrebbe esser
difficile trovare un'altra opportunità.
Maledizione.
«Perdonatemi»
dice, deluso e un po'
scosso. «Credevo di aver chiuso tutte le porte.»
Thor accenna
un gesto. Sembra
rimuginare qualcosa, mentre impila l'uno sull'altro tre libri
rilegati in pelle. Nonostante la sua praticità della corte,
Járnsaxa
non sa come procedere.
«Mi
domandavo, Járnsaxa...»
Oh, non
promette bene.
«Sì?»
«Gradiresti
venire ufficialmente in
visita ad Asgard? Credo che Gerð e Freyr non avrebbero alcuna
obiezione.»
Per un attimo
crede di aver sentito
male.
Poi guarda
Thor, che aspetta una
risposta accanto al tavolo, e capisce di averlo sentito davvero. Gli
si mozza il respiro, il calore di Álfheim soffonde il suo
corpo.
Può
significare una cosa sola.
Ci sono
obblighi e impegni di cui
occuparsi, forze contrarie alla sua inclinazione. Ma, con tutto il
cuore, sì. Sì, vuole andare.
«Più
di qualunque altra cosa.»
|
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Capitolo 8 *** Interludio -- Politica ***
Note: minor edit 2/3/14
Buona lettura
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- INTERLUDIO -
Politica
Freyr ha visto e
vissuto parecchio, in
fatto di passione.
Quando pensa
ai suoi anni di gioventù
con Freya capisce quali impulsi guidino le scelte di Odinson e
Laufeyson; gusto del proibito, la familiarità di secoli
vissuti
insieme, e forse qualcosa di più, un vuoto che nessun altro
può
riempire. Ma avendo scelto Gerð come suo compagno di vita, alla
fine, oggi considera le cose da un altro punto di vista. E cogliere
sentore dei traguardi di Járnsaxa non può che
destarlo dal torpore
del suo pomeriggio libero.
Quello, e uno Jötun
che pattuglia il Boudoir Celeste lanciando invettive.
Beata pace.
«Pazzo!
E' uscito di testa, e solo per
un bel fondoschiena!»
Freyr inarca
le sopracciglia, alzando
il calice dell'idromele per un brindisi d'apprezzamento.
«Direi un
po' più di un bel fondoschiena, amor mio.»
Il commento
ottiene un attimo di
silenzio, seguito da una smorfia.
«Va
bene, d'accordo. Thor è il
banchetto del Valhalla, e non ti perdonerò mai di non averlo
convinto a entrare nel nostro letto» sbotta Gerð.
Voltandosi urta
una cascata ornamentale di vetro soffiato. Bolle e perline vanno a
sbattere contro il separé di legno bianco, con uno scroscio
che lui
ignora. «Però è questo il punto: un
boccone del genere lo assaggi
una, due volte. Non cerchi di tenerlo per sempre in dispensa
chiamando in casa i tarli.»
Freyr sa che
non dovrebbe – a
gravidanza avanzata, il suo compagno è sempre sensibile
(oltre che
un tantino pericoloso). Ma è più forte di lui:
scoppia in una
risata fragorosa, lasciando cadere il calice e ansimando fino alle
lacrime.
Quando
riemerge è esausto, riverso sul
canapé.
«Finito?»
fa Gerð, stizzito.
«Tu
e le tue metafore da
mercantessa...»
«Non
c'è niente da ridere, marito.
Tu non ti rendi conto in che guaio si sta cacciando Járn.»
«Io
penso che sappia quel che fa. E penso che a Thor farà bene
svezzarsi
dal fratellino.»
Freyr
allunga un braccio, carezzandogli la gamba dal polpaccio alla coscia,
mossa che calma e distrae sempre. Se non può dormire, che
almeno
occupino il loro tempo in attività più piacevoli
del discutere.
Gerð
sbuffa, scuote la testa e riprende a camminare.
«Stiamo
parlando di matrimonio. Járnsaxa non deve neanche
provarci.»
«Non
mi sembra una cattiva idea, sai»
commenta Freyr, deluso. Gerð
si gira a bocca aperta. «Soprattutto se Thor sembra
già a metà
strada. Confesso che il pensiero di vederlo unito per sempre a Loki
mi dava qualche ansia, e me ne dà ancora.»
«Stai
scherzando, spero.»
«Niente
affatto» risponde, col suo
sorriso più convincente.
«Non
vorrai sostenere pubblicamente la
cosa» sussurra Gerð,
piegandosi con una mano sul ventre enorme. «Ufficializzarla?
Sarebbe
la rovina per lui e per noi!»
«Credevo
che volessi bene a Járn.»
«È
proprio per questo, imbecille!»
Freyr non se
la prende. Resta sui suoi
cuscini di velluto e stacca acini d'uva dal grappolo che troneggia
sulla cornucopia d'oro del tavolino accanto, lanciandoseli in bocca.
«Thor
ne sarà lusingato» dice,
succhiando. «E noi avremo un caro amico nel suo letto.
Politica,
amore mio.»
Gerð
incrocia le braccia. «Come si
vede che non lo conosci bene.»
«E
tu sì?» chiede Freyr, inarcando
le sopracciglia.
«Non
rinuncerà mai a Loki-Re. Basta
un minimo di spirito d'osservazione.»
«E
per caso l'hai applicato anche a
Laufeyson? Sai, è sempre stato un
piantagrane.»
«Sì»
dice lui, stringendo le labbra.
«Immagina allora cosa farà quando verrà
a sapere quel che vuoi
fare. Sarà già sulla strada della furia, dopo le
imprudenze di
Járnsaxa. Io non voglio
rischiare. Álfheim perse già molto combattendo
contro gli Aesir:
non provocare Jötunheim ora.»
Freyr si
risparmia di dover trovare una
risposta che sia conciliante e al contempo ferma grazie all'arrivo di
un paggio. E' la figlia minore di Aslak, boccoli di capelli biondi e
vesti tutte in disordine; una delle ancelle più giovani
della sua
regina.
«Vostre
maestà!» strilla, poi guarda
Gerð a occhi sgranati.
«Vostra
maestà! Un disastro–!»
Freyr si
raddrizza di botto, mentre
Gerð si porta una mano al
petto.
«Che
accade?»
«Il
nobile Járnsaxa... avevate detto di
controllarlo–»
«Controllarlo?»
ripete Freyr, pieno di disapprovazione.
«Ma?»
fa Gerð alla bambina, ignorandolo.
«Ma
il Padretutto ha chiesto di parlargli in privato e, oh, ci dispiace
tanto–»
O-ho.
«Cosa.
E'. Accaduto» sillaba Gerð, fosco.
«Il
Bifröst è sceso e li ha presi in un turbine di
luce! Il nobile
Járnsaxa è partito!»
Senza
lasciar messaggi o provisioni per la biblioteca, o per la stanza del
prossimo principe reale, immagina Freyr; cose di scarsa rilevanza al
momento, comunque.
Nel
silenzio che sa già di strida furibonde, si risiede
lentamente sul
canapé e afferra il fiasco di idromele dal pavimento di
marmo.
Quanto
odia il dodicesimo mese di gravidanza.
|
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Capitolo 9 *** Frustrazioni ***
Nota:
frustrazioni... quelle di Loki, e quelle di chi ha voluto scriverne XD
Questo capitolo mi ha fatto im-paz-zi-re. Come se non bastasse il lavoro di riempimento buchi,
l'ispirazione mi ha dato un abbozzo della battaglia
(all'inizio non prevista) per lasciarmi da sola nel bel mezzo dei
giochi *ride* Finire tutto è stato un esercizio di
volontà e masochismo. 6K di sofferenza XD;
Thrymheim,
Glaesisvellir e Gastropnir sono tutti luoghi di
Jötunheim ricordati dagli scritti mitologici scandinavi;
stesso dicasi per tutti i nomi di Jötun. Sono inventati
invece Könungsheim,
Pugnale di Hel, Ittik e il Blárhnöggr
(quest'ultimo ottenuto dalle parole vichinghe per "azzurro" e "avaro"),
così come la geografia, le creature varie, gli specchi e
*snort* la condizione di Loki.
Hjörtr
significa invece "cervo"; volevo un nome con un suono "da
Jötunheim" senza inventarmi altro.
[edit 2/3/14]
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Frustrazioni
Si sveglia di
soprassalto, tempia che
pulsa, sangue che corre.
L'intensità
del sogno si disperde in
vapore. Loki rimane fermo a guardare la volta di ghiaccio della
camera, con le sue nervature di lucori organici, respirando dalla
bocca. E' notte. E' solo. Non c'è pericolo.
Lo scorrere
del seiðr
che protegge il palazzo è quieto, regolare. Lentamente,
fronte corrugata, si solleva sui gomiti e siede sulle pelli del suo
giaciglio. I capelli gli si riversano sul collo.
Benché
sia un mutamento ancora
istintivo per le situazioni incerte, non torna al suo aspetto
asgardiano. In tutta sincerità dubita che potrebbe farlo:
è come se
l'avessero trasformato in un fiume: ogni più piccolo angolo
della
sua carne vibra, prepotente e inarrestabile, chiamando. Con un
profondo respiro, allarga le gambe e piega il collo per guardare.
Quando si
tocca viene scosso da un
tremito.
Stringe i
denti su un'imprecazione. Si
accorge che la sua mente è piena di Thor e si costringe
orgogliosamente a svuotarla di ogni pensiero.
Con cautela
solleva il bacino, sfila
via la pelliccia di hjörtr
fradicia e la butta in terra. Poi, piegando la bocca in una smorfia,
stringe le cosce e si gira dall'altra parte, tornando a dormire.
Ciò
che libri, ballate e pettegolezzi
del bel mondo non spiegano agli aspiranti re è che dietro la
sovranità si cela un ineluttabile, disarmante destino: le
scartoffie. Un principe d'ambizione coscienziosa crede di sapere cosa
lo aspetta, ma è un povero illuso. Quando sarà il
suo turno, i
sogni di gloria svaniranno sotto una montagna di papiri, tavole e
memoranda che lo schiacceranno fino a prosciugarlo.
Loki credeva
di potersi risparmiare
queste torture grazie a un'intelligenza fatta di memoria infallibile,
intuito e brillante abilità organizzativa, ma la
realtà l'ha
disilluso da tempo. Non serve neanche distruggere le carte. Gli
scarabocchi della burocrazia sono una piaga che neanche il fuoco
può
purificare.
Magra
consolazione, il fatto che
compensino la noia estrema del gestirle con la loro utilità.
Loki alza gli
occhi senza sollevare la
testa dal pugno destro e guarda crescere la pila di lavoro con
tignosa rassegnazione. Potrebbe ribattezzare il suo scrittoio col
nome della peggior catena montuosa di Jötunheim, tanto
è stipato di
montagne: blocca persino la visuale della stanza.
Per un attimo
si chiede se conquistare
Midgard non sarebbe stata la conclusione migliore della sua carriera,
poi sbuffa, derisorio. Se una landa ghiacciata come questa riesce a
radunare tante scartoffie in un giorno solo, nessuna corona di
Yggdrasill è al sicuro.
In quel
momento, un altro segretario
bardato di sigillo rosso entra a lasciargli due plichi di foglia
d'argento. Loki lo fissa con tanta malevolenza che quello, nonostante
la mole, se ne esce rapido come un ladro.
Perlomeno ho
collaboratori che non
sono del tutto idioti. Fissa la missiva
d'argento. Ci
mancavano anche i Ljosálfar. Che vogliono ancora?
Che vogliono
tutti quanti da lui, si
trova a chiedersi. Non basta che abbia smesso di causare conflitti?
Vogliono farlo impazzire di nuovo? Forse è un piano ribelle.
La prospettiva
di un complotto sta
giusto iniziando a svegliarlo quando il suo corteggio di consiglieri
barra contabili barra aguzzini sfila nello studio, chiedendo
umilmente una riunione amministrativa d'emergenza. Loki sente le
energie abbandonarlo.
Poi si
chiedono perché Odino da
giovane fosse un guerrafondaio. Tutto pur di sfuggire alla
burocrazia.
Norne,
vorrebbe solo prendere Thor e
andar con lui a distruggere qualcosa – possibilmente di
grosso,
coriaceo e sanguinario.
Thor.
Andare da lui
e coinvolgerlo in
un'impresa folle.
Accendere il
fuoco della sfida nei suoi
occhi, con qualche parola appena. Stuzzicarlo e sentirsi dire che è
una pessima idea, ma per te questo e altro, Loki.
Poterlo fare.
(Senza perdere la
faccia.)
Da quando
mantengono le distanze lo
sogna ogni notte, come non accadeva neppure dopo la caduta dal
Bifröst. Ogni notte, in ogni modo. Giovane e vecchio, in
battaglia,
sul trono, nell'intimità di una stanza buia. Sorridente,
pensieroso.
Corrucciato.
Con una mano
intorno alla sua gola e i
loro corpi uniti.
A volte Loki
dimentica quanto sia
ossessionato da Thor; altre ne ricorda tutti i motivi, nutrendoli di
adorazione e risentimento. In questo particolare periodo l'astinenza
fa la sua parte, a quanto pare.
Riesce a
pensare quasi soltanto al
sesso. Non è mai stato uno spensierato amante dell'unione
fisica
come Thor, men che meno tarlato dal baco della monta come Fandral il
Cornuto. Certo, avere Thor ha cambiato un po' di cose; ma Loki
preferirà sempre il lato cerebrale di un rapporto a quello
carnale.
Non appena trova il tempo di rifletterci sopra – complimenti
dello
scorrere inarrestabile della burocrazia – la situazione lo
insospettisce.
Medita,
ascolta il proprio corpo.
Visita il capo guaritore di palazzo per discorrere di forniture e
osserva come un'aquila i suoi atteggiamenti, i suoi sguardi.
Teme di sapere
cosa sta succedendo. Ha
letto troppo sulla sua gente per poterlo ignorare. E' il suo corpo
che chiama, e i pensieri faticano a emergere dal sottofondo di quel
fragore. Il suo organismo manda segnali ambigui; la calca di
guerrieri alle adunanze, i suoi collaboratori stretti, i visitatori,
tutti sembrano sentirlo e tutti lo mettono a disagio. Ci sono momenti
in cui gli sembra di essere sul ciglio di un precipizio, sul punto di
fare qualcosa. Di perdere il suo
autocontrollo. Di
conseguenza, è continuamente teso, irritabile e sferza
chiunque gli
capiti a tiro.
E' una
situazione che corteggia il
disastro. Pace o meno, coi nemici personali che si è fatto
negli
anni e un regno da mandare avanti deve essere sempre nel pieno delle
sue facoltà. E' già durata troppo.
Ancora
più preoccupante, nessun
incantesimo calmante carpito a Eir negli anni ha risolto il problema.
Il suo metabolismo è cambiato. Dovrà trovare il
tempo di consultare
grimori e inventarsi un rimedio da solo.
Una mattina di
inizio inverno siede al
suo scrittoio di ghiaccio, curvo, con una pergamena incantata per
resistere agli elementi e pile di corrispondenza cui pensare, e
invece di lavorare rimugina sulla lontanza di Thor.
Fra meno di un
mese sarà Mezzinverno e
Jötunheim
festeggerà l'apice della sua forza. Che gli importa di
approvare i
documenti per l'organizzazione? Da quando si sono ritrovati e Loki ha
ottenuto la corona, Thor non è mancato a un Mezzinverno. Se
quest'anno non sarà presente sarà un'umiliazione
terribile e, per
forza di logica, non ci sarà neppure il festeggiamento privato
cui prendono sempre parte solo loro due. Nelle condizioni in cui
è,
siano accecate e azzoppate le Norne, la prospettiva quasi lo rende
incoerente per la furia.
Magari
Thor se n'è già scordato.
O
forse non se n'è scordato. Forse ha intenzione di onorare il
solstizio con qualcun altro, quest'anno. Qualcuno di docile e
accondiscendente.
L'anima
d'osso della pergamena gli si spezza in mano. Nello stesso istante,
un gong profondissimo annuncia l'ingresso del suo generale in
comando, lo jarl Thrym.
«Loki-Re»
saluta, inginocchiandosi.
Mobili
e vetri di ampolle vibrano. La sorpresa di vederlo è
sufficiente a
distogliere Loki dalla collera: lo fissa in silenzio per un po',
chiedendosi se sia arrivato al punto di non ricordare una
convocazione.
«Dovresti
essere nel Glæsisvellir»
dice, piatto.
L'enorme
Jötun annuisce,
incurvando le spalle per non sfiorare gli scaffali dello studio.
«Chiedo udienza al mio sovrano. Sono venuto per avvertire di
un
grande pericolo.»
Dopo
averlo considerato con calma, Loki accenna un gesto e abbandona la
scrivania. Spera finisca in fretta: ha del lavoro da ignorare e piani
geniali da curare.
«Problemi
nell'alto nord. Antica
magia.»
Loki si volta,
stringendo gli occhi. È
da qualche giorno che percepisce una disturbanza nel tessuto
cristallino del seiðr
di Jötunheim.
«Spiegati.»
«I
vecchi pastori parlano di...
un'idra. Un'Idra del Blárhnöggr.
E io gli credo.»
Loki lo guarda
fisso, indeciso sulla
reazione più appropriata. «Sareste polvere se
fosse vero.»
«Ho
visto il suo corpo, con questi
occhi» vibra la voce profonda di Thrym.
«Prigioniero nei ghiacci,
ma non ancora a lungo.»
Per un attimo,
Loki immagina di
sollevarlo con un vortice e appenderlo al soffitto della sala del
trono, per i piedi. Fare della sua menzogna un esempio. Ma Thrym non
è quel genere di suddito – è rozzo e
diretto, non artificioso e
inaffidabile. Un vero militare.
«Se
non è completamente visibile
potrebbe essere solo un drago del ghiaccio, jarl. Non esser
così sicuro dei tuoi sensi.» Poi si fa pensieroso.
«Il Gastropnir
non ha bisogno di un drago, tuttavia. E io non voglio problemi a
Mezzinverno.»
Thrym sembra
offeso. Il suo volto
scavato indurisce. «Loki-Re, so quel che ho visto. L'ho
riconosciuto. Ricordo le storie.»
Le Idre del Blárhnöggr
sono leggenda dai tempi del padre di Borr. Anche se sarebbe magnifico
vederne e vincerne una, Loki pensa che sia impossibile trovarne: in
secoli di regno avrebbe percepito un'energia di quella portata, anche
quiescente. Quando ricorda che anche un drago del ghiaccio non
è
avversario da poco, sorride mostrando a Thrym tutti i denti aguzzi.
«Bene
dunque. Andremo a vedere.»
Niente di
meglio che sbudellare un
mostro poderoso per togliersi certe frustrazioni.
Il viaggio
è lungo e dura tutta la
notte. Si muovono sulle bestie che gli Jötnar
cavalcano da millenni, i temibili dragoni grigi del
Könungsheim, la
Terra dei Re, abituati alle tundre e veloci sulle rocce.
Jötunheim
è divisa in cinque regioni
da vertebre aguzze di ghiacciai, dalla Grande Faglia e dalla zona
morta del Deserto Bianco. Del suo disco bitorzoluto, il Gastropnir
rappresenta la calotta superiore all'opposto di Utgarð;
un coperchio utile ma trascurabile, che fa da cuscinetto fra il ricco
Thrymheim e l'oceano nero dell'estremo nord. Non ha molte ricchezze
né attrattive, pensa Loki, tirando le redini per rallentare
la
propria cavalcatura alla sommità di una scarpata. In
realtà è più
un inconveniente di cui occuparsi il meno possibile.
Osserva
l'ampia valle piatta che si
stende sotto la scarpata, ai piedi della sua compagnia, e le montagne
ammassate in fondo, più a nord. Qui finisce il Thrymheim.
Laggiù,
in quell'alveare di gole e pareti ripide, inizia la barriera. Ora
ricorda perché non visita il Gastropnir da secoli.
Thrym gli si
affianca, manovrando
abilmente le redini di catena con una mano sola. Il dragone di Loki
schiocca le mandibole verso il suo, che si scosta a cresta bassa.
«Dove?»
chiede Loki, alzando la voce
per farsi sentire.
Si sta alzando
un vento nevoso.
Thrym abbassa
il cannocchiale. Indica
un punto a nordest, facendo contemporaneamente cenno a due
ricognitori, che proseguono scendendo a valle.
Loki segue il
braccio teso del
generale, stringendo le palpebre. È quasi l'alba, ma il
pallido sole
di Jötunheim sorge ad ovest e quella zona è ancora
avvolta dal buio
azzurrino dei ghiacciai. Mormora un incantesimo, dandosi una vista
più acuta. Subito dopo, tra le fila serrate dei picchi,
intravede
una breccia.
«Non
sembra una valle» dice.
«È
un valico, mio re. Non molto alto,
ma lungo e stretto.»
Trappola
perfetta. Rimangono a
considerare il terreno, le condizioni atmosferiche, il percorso.
Qualche tempo
dopo, uno dei due
ricognitori torna indietro attraversando la piana al galoppo. Dietro
di sé, fra le spine ossee del dragone, porta uno
Jötun vestito di
pelli consunte e segnato in volto da mille durissimi inverni.
«Il
capovillaggio di Íttik»
dice Thrym. «Ci accompagnerà al nuovo
crepaccio.»
Gli occhi di
Loki scattano verso di
lui.
«Nuovo?»
Thrym appare
sinceramente inquieto. «I
ghiacci si muovono molto, mio re.»
Come se la
montagna fosse disturbata. O
come se sotto ci fosse qualcosa.
Loki corruga
la fronte, annusando
l'aria carica di magia. Davanti a loro, il vecchio pastore indica il
dente grigio che domina anche da lontano, e gracchia:
«Pugnale di
Hél.»
Il nome della
montagna. Un nome
appropriato.
All'imboccatura
di una valle a forma di
mandorla, molto in alto, Loki osserva i suoi soldati mentre
sguinzagliano i segugi – gli stessi dragoni che hanno montato
durante il viaggio.
Con
sé ha portato i migliori delle
truppe di palazzo: svegli, agili, robusti, montagne in movimento
sulla neve disturbata. Brillano fra i più rozzi soldati di
Thrym.
Vengono dalle più importanti casate di Jötunheim, e
da botteghe di
mercanti, da capanne di pastori – nessun compromesso in fatto
di
talento. I suoi stessi ricordi glielo impedirebbero.
Loki li studia
e pensa che potrebbe
avere ognuno di loro, al minimo cenno. Anzi, potrebbe averli tutti.
La Jötunheim dei vecchi conservatori gioirebbe alla notizia di
avere, se non un re normale, almeno consorti tradizionali: giovani
del miglior sangue e non il figlio di un antichissimo nemico.
Loki pensa
tutte queste cose ma resta
immobile, in silenzio, attendendo gli sviluppi dell'avanscoperta.
In fondo
è facile resistere alla
tentazione. La carne gelida degli Jötnar non possiede
attrattive ai
suoi occhi; i corpi enormi e aguzzi dei suoi colossi risvegliano solo
la sua mente di guerriero. Per l'amore, lui vuole sangue caldo e
capelli biondi. Vuole tempeste estive sui campi gravidi per la
mietitura, mani forti che lo tengano fermo, e appassionata
caparbietà.
Vuole, sembra,
sempre ciò che gli è
quasi impossibile avere.
Nell'aria
c'è odore di magia, e quando
alza la testa verso la cima della montagna si levano grida lamentose.
La coorte produce lame e scudi di ghiaccio, sguaina spade, brandisce
scuri.
«Troll»
mormora Thrym, scendendo dal
suo dragone.
Loki inarca il
collo e traccia il
suono, lasciando vagare lo sguardo fra le nebbie che avvolgono le
vette. Vanno infittendosi, benché il crepuscolo promettesse
un'alba
serena.
Un altro
richiamo attraversa la valle.
Si interrompe e riprende, incalzante. A Loki tornano in mente le
scimmie delle grandi foreste di Midgard.
«Non
salgono mai così in alto»
osserva. «Ecco la sorgente del problema, a quanto
pare.»
Il volto di
Thrym è bieco. La coorte
si compatta, cessando le ricognizioni a tappeto. Prima che sia in
perfetta formazione difensiva, dalle profondità che li
circondano
emerge un rombo, un tremore, un poderoso scuotimento. È un
suono che
gli Jötnar conoscono bene e di solito amano.
Con
un'esclamazione e un gesto secchi,
Loki richiama i due seiðrmadr
minori che accompagnano la coorte. Quasi alle estremità del
dispiegamento, due soldati in armatura leggera e kjálta
verde alzano
le braccia, stendendo le mani coi palmi rivolti al cielo. Loki sente
la loro magia accendersi, convergere su di lui alla ricerca di un
fulcro. Rapido, tende le braccia ed entra in triangolazione.
Al di sopra
della coorte si
materializza una calotta luminosa. Poi le nebbie si squarciano e una
valanga immensa si abbatte sullo scudo.
Il peso
è psicologico più che
effettivo, ma altrettanto immenso.
Quando cessa
ogni movimento, Loki
impartisce una nuova istruzione con un altro comando in codice,
modulato dalle aspre cavità craniali degli Jötnar.
Lenta ma
inesorabile, la montagna di
neve sospesa sopra le loro teste inizia a sciogliersi, sino a
scorrere via. Loki rilassa le braccia.
La calotta di
energia svanisce.
«Skymir,
devi migliorare il tuo
controllo» dice. «Il tuo angolo stava per
collassare.»
Guardano verso
le cime, in attesa. Non
devono aspettare molto: con un roboare crescente di tonfi – e
l'avvertimento di Thrym – i troll calano su di loro.
Sono un branco
di bestie bitorzolute,
grosse quasi quanto i dragoni del Könungsheim,
ma grigio antracite e tozze quando i dragoni sono bianchi e sinuosi.
Emergono confusamente dalla nebbia di neve che sollevano, spingendo
la compagnia a serrare i ranghi in previsione dell'impatto. Ai
fianchi della formazione i dragoni spalancano le fauci e sibilano,
riconoscendo un nemico naturale.
Sei,
dieci, una ventina. Le teste dei troll di
montagna sono
triangolari, attaccate a colli corti; dalle loro bocche abnormi
emergono denti seghettati. Scendono controllando a malapena la loro
avanzata, svantaggiati dalle gobbe poderose delle loro schiene, ma
stabilizzati dalle braccia sproporzionatamente lunghe.
A un segnale,
i dragoni vengono
liberati e spiccano il volo, stridendo. Si avventano a due e a tre
sui troll, deviandone il corso. Grovigli di zanne e scaglie affondano
nella neve.
I soldati di
Thrym lanciano il loro
grido di battaglia. Poi mulinano le armi, animano il ghiaccio e li
seguono.
L'aria
ovattata della valle si riempie
di clangori, urla e guaiti. Loki resta sulla sella del proprio
dragone, che freme all'odore del primo sangue, e fa un cenno a Thrym.
Quando il generale va alla carica Loki intesse protezioni e offensive
dal filato tagliente della propria magia per aiutare la coorte,
quindi arma se stesso, pronto a difendersi mentre controlla lo
scontro.
Sembra che il
suo contributo non sarà
fondamentale: molti di quei soldati vengono dal Thrymheim e hanno
esperienza coi troll, anche se in numeri minori.
Un movimento
cattura la sua attenzione
– appena in tempo.
Un troll balza
fuori da un cratere di
ghiaccio, lasciandosi dietro la forma spezzata di un dragone, e lo
carica. Il suo ululare impazzito attira una seconda bestia.
Il dragone di
Loki stride, alzando la
coda spinata. Loki osserva i troll.
Non
riconoscono il loro re. Non
riconoscono alcun re; sono a malapena senzienti. Non prova rimorso
nel troncare la loro avanzata, anche se di certo prova
curiosità.
Quell'imboscata in massa è un comportamento più
che atipico.
La battaglia
è breve e selvaggia. I
troll dei crepacci sono avversari resistenti, ma non astuti. Prima
che il sole abbia superato la cornice delle montagne hanno abbattuto
l'ultimo.
Per alcuni
lunghi istanti, nessuno si
muove. I soldati si guardano intorno. Alcuni dragoni schioccano le
fauci, fiutandosi le ferite.
Loki rimane
pronto, seiðr
che sfolgora intorno al suo corpo come una fiamma, ma la gola
è silenziosa. I troll sono a terra, in pozze di ichor verde
scuro.
Pian piano, tutti abbassano le armi e riassorbono le placche, gli
aculei di ghiaccio; rimane loro addosso un disgustoso pantano.
Thrym appunta
sentinelle ai due
ingressi dell'avvallamento e inizia a rivoltare corpi insieme agli
Jötnar rimasti. Distratto, Loki allunga un braccio davanti a
sé.
Ichor viscoso gocciola sulla neve disturbata del terreno.
Perché
l'armatura magica non l'ha
tenuto lontano?,
si chiede.
Benché
assuefatto alla vista dei campi
di battaglia, Loki arriccia il labbro superiore per il disgusto. Poi
qualcosa cattura la sua attenzione. Stringe le palpebre,
allontanandosi dalla massa di soldati: più lontano, sul
versante di
un picco alla fine della valle, forma a malapena distinguibili di
troll rotolano giù e scompaiono nelle nebbie.
I loro versi
allarmati li raggiungono
distorti dall'eco delle montagne. I troll potrebbero aver sentito
odore di morte e deciso di stare alla larga, ma Loki ha la sensazione
che ci sia di più. Ripensa alla carica di quelli che hanno
ucciso e
torna accanto al gruppo degli ufficiali, per osservare le carcasse.
Sopra di loro, verso la cima, le scie tracciate dalla discesa
inarrestabile dei troll hanno un andamento zigzagante che gli ricorda
qualcosa.
«Non
stavano attaccando» osserva,
lentamente. «Stavano fuggendo. In masse disordinate, come gli
antichi troll di Álfheim.»
«Da
quale pericolo, Loki-Re?» chiede
un secondo ufficiale. Più in là, il figlio di
Olvaldi sta
comunicando il numero dei feriti a Thrym, che si gira ad ascoltare
loro. «Col dovuto rispetto, vento, rocce e ghiaccio non li
spaventano.»
Loki inarca un
sopracciglio, poi guarda
il suo generale.
«Un
drago?» fa Thrym, voce profonda
come quella della valanga.
Loki trattiene
un sospiro. «Mostrami
dov'è, allora.»
Quando lo
Jötun resta in silenzio,
Loki scuote la testa e lascia ricadere il braccio sinistro contro il
fianco.
«Riorganizzatevi
e ripulite» ordina,
puntando a un gruppo di massi scoperti dallo scontro.
«Perlustreremo
fino allo zenit del sole. Poi ci dirigiamo alla volta del
Könungsheim.»
Thrym risponde
con un inchino
puntigliosamente formale.
«Thrym-jarl,
un caduto» annuncia un sottoufficiale, chino sul corpo di un
compagno.
Un altro si
avvicina. «È Menglað.»
Thrym li
raggiunge, osserva in
silenzio.
«Inevitabile»
dice Loki, dopo qualche
attimo di considerazione. Raggiunge la parete frastagliata della
gola. «I troll fanno sempre vittime. Non hai commesso errori,
generale.»
A parte credere
nell'Idra,
ma
lascia correre; voleva allontanarsi da palazzo e il pericolo
dell'Idra gliel'ha permesso. Siede pesantemente sul masso
più vicino
e chiude gli occhi, sostenendosi la fronte. Il rumore e la sensazione
di colla gli fanno subito ritrarre la mano.
Sibila,
scrollandola. Aveva invocato
una barriera protettiva; è evidente che, a un certo punto,
ha
ceduto. Perché? Non gli capita mai. Non quando mancano
stregoni
pericolosi nelle vicinanze.
Scrolla il
braccio con più forza, e
quel movimento acutizza un vago malessere, trasformandolo in una
pugnalata di emicrania. Loki si prende la testa fra le mani con un
gemito.
«Mio
re?»
Si accorge che
la terra trema, e
l'oscillazione cresce. Dalla sua armata si levano esclamazioni di
allarme, tutti gli occhi guardano in alto, temendo un'altra valanga.
Ma Loki sa che
non è quello. In un
lampo di sensazione, riconosce il ronzio potente del seiðr.
Una tempesta di seiðr.
Ecco il
motivo, pensa. Quella corrente
è cresciuta disturbando sempre di più la sua
magia. Riapre gli
occhi. Ha appoggiato una spalla alla parete: la sente spaccarsi. Si
aggrappa alla solidità del terreno con artigli di ghiaccio,
mentre
il caos erompe nella sua armata. Davanti a loro si apre un crepaccio
verticale, che corre e raggiunge le vette nebbiose in un unica,
assordante spaccatura.
Alle sue
spalle, Thrym corre verso di
lui.
Loki non vi
presta attenzione. Vede una
cosa sola – il crepaccio, i suoi bordi affilati, il buio
imperscrutabile nel cuore della montagna.
E in fondo a
quella breccia cinque
immensi occhi argentati, che lo fissano con la luce
dell'intelligenza.
Quanto accade
dopo è nebuloso, e così
resterà nella sua memoria.
Sa cosa ha
fatto: ha richiuso e
risigillato il Pugnale di Hel, imprigionando sotto il peso della
montagna la bestia che si era svegliata. Ma non ha idea di come
l'abbia fatto. Forse gli spiriti dei
suoi padri
l'hanno posseduto durante la tempesta, guidandolo verso la vittoria.
Per quanto l'idea ferisca il suo orgoglio, ammette con se stesso di
provare sollievo. Non possedeva le conoscenze per affrontare quella
minaccia.
Un'Idra del Blárhnöggr.
Un immane, incommensurabile mostro, una delle più antiche
creature
di Yggdrasil, nate dai vortici primordiali di Ymir. Sopite
così a
lungo da esser quasi dimenticate...
Loki
può solo immaginare quali forze comandino. Ciò
che ha sentito è
bastato a infondergli gelido orrore. Se non ha mostrato paura, ha
certo desiderato ardentemente di avere Thor al suo fianco.
Lo
desidera ancora adesso. Il suo lavoro ha un qualcosa di incompleto;
l'Idra vive ancora.
Thrym
aveva ragione: serviva davvero un seiðrmaðr
potente. Quel che non poteva sapere era che persino Odino al culmine
della sua potenza magica avrebbe vinto un'Idra solo col favore della
fortuna.
Mentre respira
l'odore nevoso della
vita, Loki pensa che ne ha avuta molta, oggi. E si chiede cosa stia
facendo ancora lì.
Loki lascia
Thrym e il suo contingente
a ripulire il Gastropnir. Prima che il sole sia calato, riporta se
stesso e le sue guardie a palazzo, aprendo un passaggio dimensionale
nel tessuto della realtà di Jötunheim.
Si
è sfogato, un po'; è pronto per una lunga notte
di macchinazioni.
Utgarð è tranquilla, il genere di atmosfera che
più lo ispira.
Ma
non ha fatto un passo oltre i portali che ci sono disposizioni da
dare e consiglieri da placare, così, quando finalmente si
libera,
Loki è quasi di nuovo pronto a mozzare teste. E' nell'atrio
dei suoi bagni privati quando la sentinella fa passare il secondo in
comando di Thrym, Iði,
coperto di sporcizia. Come al solito pavimento cristallino,
suppellettili e quant'altro a misura di sovrano tremano.
«Il
resoconto finale che avevi
richiesto, Loki-Re.»
E' l'unica
cosa che lo salva. Loki si
passa le mani davanti al corpo – la sporcizia gli scivola via
di
dosso con un bagliore verde – e gli strappa il dispaccio di
mano.
Lo
scorre velocemente.
«E
le loro famiglie?»
«Nessuna.
Orfani, scapoli.»
«Ordini,
Loki-Re?»
Iði
aspetta, flettendo i muscoli sporgenti dell'addome. Considerato che,
per ragioni indipendenti dalla volontà, la testa del suo
sovrano
arriva a quell'altezza, è un movimento difficile da non
notare.
Loki volge
deliberatamente lo sguardo
dall'altra parte.
Una volta
credeva che
quell'atteggiamento fosse un tic nervoso dell'ufficiale. Un re
seiðrmadr
è qualcosa che i bruti guerrieri di Jötunheim hanno
imparato a
temere e la tensione si sfoga come si può. Poi ha notato
che, in
assenza di Thor, dappertutto si sprecavano le dimostrazioni di
avvenenza o prodezza fisica. Il loro re non ha neppure un consorte:
ogni casa, soprattutto l'antico lignaggio di Iði,
vorrebbe mettere in gioco le proprie pedine. Poco importano i
pregiudizi.
Sarebbe
divertente, se durante le feste
della fertilità non gli toccasse vedere cose che non ha mai
desiderato vedere.
Ai confini
della sua visuale, Iði
lascia perdere gli addominali per piegare in avanti una gamba, coscia
da tirannosauro che si gonfia con la possanza di venti secoli di
guerra. Loki sospira.
Chissà
come, si sono convinti che gli
piacciono grandi, grossi e invadenti.
Ma
c'è un solo zotico che possa fargli
girare la testa, e non per quelle caratteristiche.
Rimane a lungo
nelle polle dei bagni,
immerso nella penombra, osservando i barlumi riflessi dalle acque
sulle pareti di roccia viva. Sono fonti quasi termali per il clima
del luogo e l'aria è pervasa da un piacevole tepore.
L'assoluta
tranquillità della caverna
gli ha sempre favorito la meditazione: a poco a poco, Loki si
rilassa, ritrova l'equilibrio.
O
così crede finché non ne esce. Si
posa una mano sul petto, sulla fronte, ascoltando quello che prima
l'acqua soffocava. Il suo corpo è pervaso da uno strano
ronzio. Non
saprebbe definirlo; non ha mai provato qualcosa del genere. Ripensa
alla tempesta di seiðr,
alla terribile volontà dell'Idra, e corruga la fronte. Forse
dovrebbe fare qualche ricerca già stanotte.
Ma quando
lascia i bagni e si getta una
pelliccia grigia sulle spalle, è alle stanze di guarigione
che
dirige i propri passi, non alla biblioteca. Il capo guaritore che ha
scelto, Angantýr Skrímirson,
ha molti secoli sulle spalle e un'esperienza quasi infinita.
Entra nella
lunga sala a volta senza
esitare, attraversando la parete di ghiaccio che gli apprendisti
erigono ogni notte per proteggere il riposto dei pazienti. Nelle
pareti sono ricavate nicchie rettangolari più o meno
profonde, più
o meno lunghe, il cui fondo è ricoperto di neve fresca o
pellicce
per rispondere alle diverse esigenze delle tribù di Jötunheim.
Un'occhiata rivela che quattro alcove sono occupate: gli ospiti si
sono chiusi dentro con uno strato di ghiaccio. Forse la discrezione
non sarà un problema.
Loki imbocca
l'uscio che ha di fronte,
entrando nelle stanze di Angantýr. Mensole di pietra
resistono
stoicamente sotto il peso di tavole, strumenti curiosi e ampolle. Una
boccetta vicino al suo gomito è catalogata come "Capelli di
vergine Aesir".
«Ah,
Loki-Re. Ho udito della tua
vittoria e del tuo ritorno» intona una voce. «Mi
congratulo per la
tua grandezza. Ma cosa posso fare per te? Mi dicono che sei
illeso.»
Angantýr
emerge da un tendaggio in
fondo alla stanza senza fare rumore. Non è molto
più alto di lui,
benché più muscoloso; è nato in una
condizione a metà fra il
guerriero e l'ívidja, e il seiðr
scorre potente in lui.
Si incontrano
a metà strada. Dopo
questo riconoscimento al suo rango, Loki gli porge un polso con tutta
la dignità di un sovrano.
«Ciò
che ho affrontato è un'Idra del
Blárhnöggr,
semisepolta sotto il Pugnale di Hel. Questo te l'hanno
detto?» Sotto
i complessi tatuaggi neri del viso, gli sembra di vederlo
impallidire. «Cercando di liberarsi, ha scatenato una
tormenta
magica. E ora io mi sento...»
Non
riesce a trovare un aggettivo. Irrequieto. Elettrizzato.
Il
capo guaritore osserva il suo volto, poi il suo polso, che stringe
con una deferenza che sa di affascinata esitazione. Ha un lieve
sussulto.
«La
senti anche tu?» chiede Loki. «Ho assorbito
qualcosa della sua
energia?»
«Io...
non credo, mio re.»
«E
cos'altro? Riconosco la sensazione del seiðr.»
Angantýr
espira lentamente, poi lo
lascia e gli fa cenno di seguirlo. Lo conduce sino alla grande tavola
di pietra, dove posa un baule di legno impervio. Dal baule estrae uno
strumento fatto di leggerissimi bracci d'argento, che si sollevano e
iniziano a fluttuare nell'aria. Lo avvicina a Loki tenendolo
all'altezza del suo capo, del petto, poi dell'addome, attento a
controllare quali bracci si alzino e quali tendano all'opposto.
Quando lo posa, se ne allontana e piega le mani l'una sull'altra,
mormorando qualcosa. Infine le passa davanti a Loki.
Non accade
nulla.
Sicuro, scuote
la testa. «La bestia
non ti ha lasciato nulla di nocivo, maestà. Forse sarebbe
riuscita
se la tua magia fosse debole, ma non così. Sei pienamente
padrone
del tuo seiðr.»
Loki si
osserva i palmi delle mani e
stringe i denti per la frustrazione. «Eppure io
sento–»
Non finisce la
frase; Angantýr è
sempre stato accurato nelle sue diagnosi.
«Mio
re, ti assicuro che la tua
afflizione è assai lieve e di natura del tutto
interiore.»
Sorpreso,
umiliato, furioso, Loki si
ritrae. Il sospetto è sufficiente. Punta all'uscita
– sta per
imboccarla quando, finalmente, il bisogno di sapere lo ferma.
Con un respiro
fortificatore, si gira e
scruta il fondo caotico della stanza per non dover guardare il
guaritore negli occhi.
«Cosa
mi affligge? Parla
liberamente.»
Angantýr
risponde senza esitare,
unendo le punte delle dita in una piramide.
«Il
tuo corpo, maestà, ha raggiunto
la maturità piena, quel momento in cui ogni Jötun
cerca un compagno e dà vita a un nucleo familiare.» Un
movimento del braccio è captatio benevolentiae per quanto
prevedibilmente segue: «In ritardo rispetto al nostro normale
sviluppo, ma tu sei un ívidja, non c'è
da stupirsi. Sei sano
e forte.»
Loki stringe
le labbra. Lo sapeva, lo
sapeva, dannazione.
«E
non cè da stupirsi che un ívidja
debba
ridursi a poco più di un
animale in calore?» sibila fra i denti.
Angantýr
sembra molto allarmato da
quella definizione; forse fa bene, perché dopo mesi la
pazienza sta
esaurendo su tutti i fronti. Per distrarsi, Loki solleva una coppa di
metallo dalla mensola più vicina, rigirandola fra le dita.
«Queste
reazioni» si costringe a
dire. «Questo stato insopportabile. C'è rimedio?
Quanto dureranno?»
La fronte di
Angantýr si distende un
poco. «Oh, non molto–»
«Bene.»
«–se
avrai un figlio.»
La coppa quasi
gli cade di mano.
L'espressione del guaritore è di pietra.
«Se
mi permetti, mio re, la prima
volta è la più difficile. La tua condizione mi
spinge a
sconsigliarti di ignorare le naturali necessità del tuo
corpo. Col
dovuto rispetto, perché dovresti? Sei all'apice del tuo
potere:
ragione vuole che tu dia un erede a Jötunheim.»
È
anche troppo perfetto. Con un
sorriso che dev'essere una smorfia orribile (e una strana desolazione
nel petto), Loki pensa che le coincidenze della sua vita sono sempre
artisticamente azzeccate. Se le Norne vogliono vendicarsi di lui, non
stanno mettendo molto impegno nel mascherarlo.
La coppa di
bronzo si accartoccia fra
le sue dita. La calma di Angantýr vacilla.
«Non
indietreggiare» lo apostrofa
Loki. «Inizia a spremerti le cervella per porre rimedio a
questa
seccatura, piuttosto.»
«Ma
non c'è rimedio, maestà. O un
figlio o l'attesa che passi...»
Loki, che fino
ad ora aveva tenuto lo
sguardo puntato sui ripiani stracolmi di ampolle e strumenti, lo
sposta su di lui. A questo punto, vorrebbe solo una scusa per un po'
di violenza. «Davvero.»
«Io
sono qui solo per servirti. Non
parlerò oltre di questo se incontra il tuo
dispiacere.»
«No,
continua. Meglio sapere.
Continua» ripete.
«So
cosa pensi. So che sei un grande
stregone e potresti trovare un modo per sopire il tuo corpo, ma ti
prego di riflettere. Ho curato tuo padre, suo padre e il padre di suo
padre prima di te, e ho visto molte cose... ascolta il mio consiglio.
Segui le esigenze della tua natura.»
Loki scaglia
la coppa sul pavimento di
ghiaccio battuto.
«Generare
figli? Io?» urla. Il
cartoccio rimbalza fra gli stipetti che fiancheggiano l'ingresso.
«E
con chi? Con
quale consorte dovrei generare quest'erede?»
Quando tace,
negli occhi si Angantýr
c'è un brillio di anticipazione.
«Forse
è il momento di mostrare la
Linea d'Oro, mio re.»
La Linea
d'Oro. Una cerimonia polverosa
delle origini, quando le tribù si distinguevano tra loro
dipingendosi il corpo; spettacolo di stato che la storia ha
consegnato ai libri con miniature di clave e colossei. Sarà
dannato
prima di consegnare il proprio destino agli istinti barbari degli
Jötnar.
Loki Laufeyson non lascia nulla al caso.
(Idealmente.)
Si scruta nel
riflesso di una colonna.
Nel barlume sottomarino del corridoio, la composizione cristallina
sotto la superficie lucida distorce la sua immagine. Per un attimo
non si riconosce.
E poi
l'impressione solidifica.
Cos'è
quell'esitazione? Che sta
facendo?
Perché
è ancora lì?
Questo non
è lui. Dovrebbe essere ad
Asgard da mesi – a casa, per mettere in moto
gli eventi che
realizzeranno i suoi obiettivi e pacificheranno Thor. Che
riporteranno l'accordo fra loro. In qualche modo ha perso di vista i
metodi che gliel'hanno sempre consentito.
Vorrebbe
distogliere lo sguardo, ma
l'orgoglio lo costringe a fissarsi negli occhi. Di cosa hai paura?
E' solo, quasi
alla deriva, e per
niente. Il corridoio echeggia intorno a lui, deserto. Ora basta.
Nella sua
camera, scopre lo specchio di
uru lucido il cui gemello
risiede ad Asgard. Con una parola di
potere lo attiva; è una via di comunicazione a due sensi:
l'altro
brillerà e, una volta toccato, creerà un
passaggio magico per la
luce e il suono a distanza di mondi. Una delle migliori
eredità del
suo trono, onore di chissà quale antico seiðrmaðr.
Non ci
sperava, ma Thor è nelle sue
stanze. Dev'essere tornato in anticipo da Álfheim.
Sembra
sorpreso, poi reticente, poi
felice.
«Loki.
A cosa devo quest'incontro?»
Vada per
l'approccio diretto. «Voglio
che ci ritroviamo in pace.»
Thor non
cambia espressione, per cui il
suo tono lo stupisce. «Parli bene, per esser quello che ha
dato
inizio alle ostilità.»
«Non
parlo sempre bene?»
Un cenno
d'assenso. «Vero.»
Si guardano il
silenzio. Loki trattiene
un sospiro.
«Hai
capito quello che ti sto
chiedendo?»
«Oh»
fa Thor, illuminandosi. «È
davvero una resa quella che sento? Vuoi finalmente sposarmi?»
E che la
lingua di Loki sia maledetta,
perché a volte precede il suo buonsenso, e stavolta risponde
a mezza
voce: «A qualcun altro, dovrei–»
«Magari
si può arrangiare. Non dovrai
insistere ancora molto.»
Il suo sangue
di ghiaccio si ferma. E'
quello che voleva, no? Ma c'è qualcosa che solletica la sua
furia –
non fatica a capire cosa. Scruta Thor con la sensazione di osservare
tutta la scena dall'esterno.
«Parli
di quella vulvetta.»
«Járnsaxa
non è quello che pensi.
Non dovresti parlare così di lui.»
A Loki scappa
una risata incredula. «Ma
ti ascolti, Thor? E' un cortigiano di Freyr, una pedina, uno Jötun!
Assolutamente inadatto–»
«Io
non la penso così.»
La sua
frustrazione vira fulmineamente
in collera. «Sei un idiota. Stai rovinando tutto, come al
solito.»
Nonostante la
fronte corrugata, le
sopracciglia di Thor si sollevano con notevole agilità.
«Io?»
Scuote la
testa e posa il tagliacarte
con cui giocherellava sul piano d'appoggio dello specchio, con l'aria
di qualcuno che sta per andarsene. Cosa che ha intenzione di fare,
perché un attimo dopo solleva una mano a mezz'aria, in segno
di
saluto, e dà le spalle dirigendosi verso la doppia porta
della
camera.
«Sei
serio allora?» sibila Loki. «Fai
davvero sul serio, Thor? Non essere stupido!»
«Non
essere manipolatore.»
«Non
è questo che voglio per te!»
Thor si gira
lentamente. «...Che
vuoi?»
Loki sta per
continuare, ma chiude la
bocca. Passa qualche istante ponderato a studiarlo. «Lo
sai.»
«No,
io non lo so.»
In quel
momento, le porte della camera
si aprono.
«Perdonate...
oh, disturbo?»
Gli occhi di
Loki scattano verso il
fondo della stanza, si spalancano.
Non
è possibile. Quella è Asgard, non
Álfheim. Ma quello è senza dubbio il Primo,
maledetto Erudito di
Ýdalir. Nella camera da
letto di Thor – nella loro camera, a
interromperli come se
ne avesse il diritto. Per un attimo Loki è incredulo,
perché può
significare una cosa sola nel linguaggio dei cortigiani (o dei
suicidi). Poi i suoi occhi si riducono a fessure. Se non fosse
all'altra estremità del loro ramo di Yggdrasil, sarebbe
già chino
su un corpo.
Questo non
è bene, ma come tante altre
volte prima d'ora, attraverso il rosso della furia può
vedere
soltanto tradimento e umiliazione.
«Loki?»
chiama Thor, preoccupato.
E per le Norne
se ne ha ragione.
«Ne riparleremo.»
---
Se avete visto
errori e ne avete voglia, fatemeli pure notare ;)
|
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Capitolo 10 *** Non si desidera ciò che è facile ottenere ***
Nota: alleluia!
Ho
editato i capitoli finora pubblicati; cose minori, a parte il
cambiamento Vanaheim -> Alfheim. Chiedo perdono alla mitologia
norrena. Non so perché mi fossi convinta che Freyr era re di
Vanaheim. Ugh.
Sökkvabekkr:
palazzo di Sága (forse Frigga), interamente di vetro, nei
cui pressi scorreva una
cascata dal cui suono si traevano presagi. Io l'ho considerato una zona
del Valaskjalf, tanto per dare un po' più d'importanza alla
"terrazza" da cui guarda Jane in TDW.
Buona lettura.
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Non
si
desidera ciò che è facile ottenere
I
Il Bifröst è un fiume di luce
mozzafiato. Agile e turbolento nel moto del viaggio, al di
là del
tempio del Guardiano diventa un ponte cristallino, screziato di tutti
i colori del mondo. E' il capolavoro dell'Alta Magia. Il miraggio che
pochi poeti son riusciti a descrivere, nessuno stregone a imitare.
Járnsaxa si ferma a guardarlo sotto la
volta stellata del tramonto. Lo ha usato qualche volta, in passato
–
Asgard è aperta su una galassia pacifica, e lui ha sempre
rincorso i
saperi per le biblioteche di Yggdrasil. Ma mai è entrato nel
suo
vortice insieme al suo padrone, né il suo piede ha vacillato
sulla
soglia dell'Osservatorio mentre il suo braccio veniva sostenuto dalla
mano di Thor Odinson.
È come se un po' della sua energia gli
fosse rimasta dentro. Il Regno d'Oro sembra più vivido.
O forse è la consapevolezza del nuovo
presente: esplorerà l'Asgard sconosciuta ai più,
accanto alla
persona più straordinaria che conosca. E lo farà
in sicurezza.
Le rune di Freya sembrano nastri di
velluto. La sua mano le ha tracciate in oro e köhl
sulla pelle di Járnsaxa, soffermandosi sui punti vitali del
corpo –
fronte, collo, cuore, ventre. L'oro per la difesa, il nero per
l'elusione del pericolo. Sono rune morbide che assecondano il
movimento, ma possiedono la tenacia del metallo, la fibra delle liane
velenose di Vanaheim.
Járnsaxa flette le dita. Il seiðr
gli scorre addosso. Con le piante dei piedi percepisce il
respiro che sale dal mare e le forze della terra sottostante: sono
amici che rafforzano le sue protezioni. È avvolto da magia
sacra,
pura come le energie primordiali del Grande Albero.
Non si è mai sentito più in pericolo,
e più vivo.
Sa a cosa va incontro. Affrontare un
lupo di Jötunheim significa tornare alla giovinezza selvaggia
del
suo villaggio. Il sangue degli Jötnar non dimentica la
violenza
della lotta. Lui sarà all'altezza della sfida.
O almeno spera.
Si guarda intorno, mentre il vento gli
spinge i capelli contro il collo. «Non ci sono
cavalcature.»
Ce ne sono sempre, fuori
dall'Osservatorio; secoli fa, accanto al globo dorato del cancello fu
eretto un avamposto di trasporto con una stalla, stallieri e vari
tipi di bestie. Non tutti i viaggiatori possiedono il dono della
smaterializzazione, dopotutto, e il Bifröst è
lungo. Forse
l'assenza di cavalli è dovuta all'ora.
Thor gli sorride, sganciando il
martello Mjölnir
dalla
cintura.
«Non importa. Andiamo?»
II
Non vede Loki dal solstizio d'estate,
quand'era in viaggio diplomatico ad Álfheim.
In cinque mesi e mezzo si son parlati solo via lettera, o via
emissario, unicamente per ragioni di stato. La sua assenza è
un
pensiero che accompagna Thor passo dopo passo, tangibile anche quando
non ne è consapevole. Porta con sé tanti ricordi.
Con sé oggi ha Járnsaxa. Il suo
aspetto gli ispira una familiarità che lo tranquillizza, ed
è
proprio lo stato d'animo che Thor dovrebbe evitare.
Se ripensa alla biblioteca che hanno
lasciato, rivede un'espressione estatica a un respiro di distanza dal
suo volto e sente un corpo avvinghiato al suo. Forse
è stato
avventato. Sono partiti in fretta e furia – è
esattamente così
che apparirà agli occhi della corte di Freyr, a quella di
Asgard.
Una scappatella.
Nel peggiore dei casi, una fuga
d'amore.
Nella discrezione dei suoi pensieri,
Thor può anche ammettere di aver battuto in ritirata davanti
alle
effusioni di Járnsaxa; ma non può sfuggire alla
consapevolezza
dell'effetto che quel piccolo scandalo avrà su Loki, e di
esserne
stato cosciente già nel momento in cui lo iniziava.
Trattiene un sospiro. La sua mente è
un groviglio confuso. C'è senso di colpa, lì
dentro.
Non sa se rallegrarsene o disperarsi.
Si avvicina a Járnsaxa e gli cinge la
vita con un braccio, roteando Mjölnir. Quando spiccano il volo
è
alla sua esclamazione di spavento.
(La prima volta Loki lanciò un grido
estatico.)
Lo Zaffiro di Ýdalir
si rivela un'attrazione.
Ormai un
gigante del ghiaccio nella sua vera pelle non è
più cosa inusuale,
ad Asgard, ma è difficile trovarne di proporzionati da
Aés,
attraenti, portati in volo da Mjölnir
e – diversamente da Loki – cordiali.
Sono
appena atterrati alla fine del Bifröst che la gente per strada
nota,
indica. Mentre ottengono due cavalli da una guardia si forma una
piccola calca. Curiosi e sfaticati che dovrebbero trovarsi a palazzo
(Fandral) li seguono, dando un sorpreso bentornato a lui e gridando
domande all'ospite inatteso. Qualcuno lo scambia per Loki.
Jársaxa
inarca le sopracciglia e saluta dall'alto della sella, bracciali di
rame e d'oro che tintinnano, stola di volpe che scivola dalle spalle
nude ai gomiti col movimento del braccio. Sembra divertito. Si
presenta come ambasciatore e risponde alle domande, ignorando i
commenti audaci.
Thor
conosceva le sue qualità, ma questa prova di padronanza
è un'opera
d'arte pensata, pur nella sua spontaneità, per gli Aesir,
per gli
Álfar
e per lui.
Jársaxa
ha davvero la stoffa di una regina.
Vuole
che lo riconosca.
E
Thor ha appena reso più pubblica una situazione che lo era
anche
troppo. Uscirne senza incidenti d'immagine diventa più
improbabile
ogni ora che passa.
Risalgono lentamente il pendio che
conduce a palazzo, fra torri e residenze illuminati da fiaccole
sempre più vivide. Quando entrano nella Piazza d'Oro trovano
un'accoglienza non meno curiosa. Servi, qualche funzionario, nobili
in residenza. Le voci si spargono in fretta.
Thor scende da cavallo e affida la sua
bestia a uno stalliere. Sospira, guardandosi intorno. Sono tutti
impazziti?
Un baluginio cattura la sua attenzione,
distraendolo dal chiasso. In piedi accanto alla stele degli Antichi
Patti, dove le colonne si aprono per dare accesso alla sala del
trono, c'è sua madre.
Nonostante la posizione è in disparte.
Indossa una bella veste verde, informale, e le sue rughe s'increspano
intorno a un sorriso perplesso.
«Madre» la saluta, andandole
incontro.
Lei lascia che le prenda le mani, ma
quando Thor si china a baciarle non gli posa le labbra sulla fronte.
Thor si raddrizza e vede che i suoi occhi osservano la creatura al
centro della piccola folla.
«Che cosa stai facendo, figlio mio?»
sospira.
Per un istante, si sente di nuovo un
ragazzino colpevole. Poi si ricorda che la colpa di quella situazione
non è sua.
«Rimedio alla mia solitudine.»
A giudicare dal movimento della sua
bocca, sua madre non approva né tono né
proposito. Ma è sempre
stata prudente nell'interferire, per cui si limita a corrugare la
fronte, continuando a studiare Járnsaxa.
«Spero tu sappia cosa fai.»
Thor non sa come rispondere.
Lei scuote appena il capo. Gli stringe
il braccio.
«Presentami il nostro ospite, Thor.»
Poco dopo, gli impegni che Thor ha
trascurato li dividono. Si vedono un'ora dopo alla cena ufficiale,
ricca e chiassosa.
Alla sua conclusione Thor mostra a
Járnsaxa il palazzo, dalle sale celebrative ai piani degli
ospiti,
promettendo una visita estesa per l'indomani quando la luce
è
migliore e i burocrati dormono. Intende lasciarlo lì, nel
sontuoso
appartamento preparato dalle dame di sua madre. Solo puro caso vuole
che accennino a un libro raro, e che al desiderio di poterlo leggere
espresso dallo Jötun
Thor ricordi di averne una copia nelle sue stanze. Che proponga di
offriglielo in prestito.
Senza riflettere Thor devia verso l'Ala
Sovrana, situata nella corona slanciata del Válaskjálf.
Mentre Járnsaxa ammira i bassorilievi sulle pareti della
prima
anticamera, osservando i suoi movimenti con la coda dell'occhio (non
è stata un'idea saggia portarlo lì, non la
è stata affatto), Thor
entra in camera da letto e si chiude le porte alle spalle. Si guarda
intorno. Trova il volume.
Nel momento in cui si china sulla
poltrona, lo specchio magico accanto allo scrittoio s'illumina.
È Loki. Alla sua espressione il cuore
di Thor accelera, si alleggerisce per l'anticipazione. Forse
è il
momento. Forse ha già vinto. Si avvicina, e si dice di
tenere saldo
il timone per cementare quella vittoria.
«Voglio che ci ritroviamo in pace.»
Loki è penitente.
Ma non abbastanza. C'è ancora troppa
testardaggine, in lui, e rabbia. Manipolazione. L'arroganza di cui
per lunghissimo tempo ha accusato lui. Quello che voglio per
te.
Quello che voglio–
I loro animi si accendono, alzano la
voce. Poi entra Járnsaxa e lo sguardo di Loki si posa su di
lui,
accendendosi di incredula gelida furia. Non lo sapeva.
L'ha saputo nel modo peggiore.
Se Thor intendeva provocare una
risposta, c'è riuscito meglio di quanto intendesse, e forse
non
otterrà la risposta che desiderava. Deve assicurarsi che la
situazione non precipiti: accompagna Járnsaxa fuori dai suoi
appartamenti e lo affida alle cure di sua madre, cui può non
piacere
ma che lo terrà al sicuro.
Dopo quello, Thor se la sente di
cercarlo soltanto la mattina dopo.
III
Quando lo trova, Járnsaxa
è affacciato alla terrazza del Sökkvabekkr,
sguardo intenso sulla città. Da lì i riflessi
dell'insenatura
costiera che diventa canale e si protende verso il palazzo,
incuneandosi nella città fra prati e torri, sono un miraggio
che
dipinge luce su ogni cosa. Il viso e gli abiti asgardiani di
Járnsaxa
ne sono accesi. Porta i capelli sciolti sulle spalle, lunghi e
lucidi.
Thor si ferma sulla linea ariosa del
colonnato, colto da un ricordo. Per un istante le epoche si
annullano, le persone si sovrappongono: Thor rivede Jane Foster e
viene sopraffatto dalla nostalgia. Lei aveva la stessa espressione.
Quasi la stessa postura.
Oltre il profilo di Járnsaxa si stende
lo splendore di Asgard e, per un attimo, lasciandovi vagare lo
sguardo, a Thor sembra di scorgere qualcosa... un'ondulazione
dell'atmosfera sopra il mare, come quelle che si producono quando
l'aria è molto calda, ma alta e lunga. Corruga la fronte.
Poi Járnsaxa parla.
«Non ho paura di Loki-Re» dice,
voltandosi a fissarlo coi suoi occhi rosso garofano.
Dovresti, pensa Thor, distratto.
Ma non lo dice perché crede che lui,
proprio come Jane, si rifiuterebbe di seguire quel consiglio. Quelle
menti brillanti hanno abbastanza spregio del buonsenso. Scuote la
testa.
Due persone, due geni così diversi, ed
entrambi – per qualche inspiegabile ragione – gli
hanno donato
nel tempo il loro cuore. Un moto d'orgoglio gli gonfia il petto. Ha
ricevuto molto dal destino.
La situazione è incerta, ma in ricordo
di quegli amori e dei loro frutti, diversi ma ugualmente cari,
userà
a Járnsaxa la stessa cortesia che usò a Jane. Per
il tempo che sarà
concesso, lo condurrà per le scorciatoie e i panorami
segreti di
Asgard, lontano dalla corte, svelandogli le scoperte fatte quand'era
ragazzo. Mostrandogli i segni che hanno lasciato lui e i suoi amici.
Gli rivelerà l'Asgard maestosa e quella semplice, l'Asgard
cui pensa
con maggior piacere.
Sarà la celebrazione di un amore non
complicato, i cui echi continuano a raggiungerlo attraverso il tempo
e sanno ancora guarire il suo spirito.
Cara Jane, ricevi quest'omaggio
sincero, pensa Thor. E per favore perdonami se lo
offro anche
a Járnsaxa... guastato da un secondo fine.
Sorride. «Cosa ne dici di una piccola
gita?»
«Più che volentieri.»
Lo sta usando. E anche se Járnsaxa
sospetta, conosce i rischi – perché non
è un ingenuo – questo
fatto non cambia.
Ma non significa che Thor non gli
voglia bene, e non si penta.
IV
Ha mentito a Thor. Non è vero che non
teme Loki. Solo uno sciocco non lo farebbe, dopo aver visto l'ira nei
suoi occhi.
Ma è facile non pensarci camminando
per la Città d'Oro. Thor l'ha resa più simile a
sé, bella e piena
di gioia per la vita. Ovunque c'è movimento. Ovunque
speranza per il
futuro.
E, anche se è difficile ammetterlo,
anche la mano di Loki-Re. Può aver odiato a lungo la sua
vecchia
patria, ma quell'odio era destinato alla polvere perché al
suo trono
era destinato Thor Odinson.
In tutta onestà, si chiede perché non
sia già lì. Difenderà il suo
territorio, anche se ieri era pronto
a gettarlo alle ortiche. A parte quanto concerne Thor – e in
verità, sotto qualche aspetto anche in quello –
è davvero
impossibile capire Loki Laufeyson.
Járnsaxa non sa cosa aspettarsi.
Niente di buono, ma in che forma? Ludibrio? Ridicolo? Violenza
fisica?
Può solo aspettare e restare vigile.
Anche perché sembra che Loki-Re non
sia l'unico rischio alla sua incolumità.
Járnsaxa è piccolo per uno Jötun, ma
alto per un asgardiano. Torreggia su molti dei guerrieri e degli
uomini di corte che incrocia, e questo senza tener conto delle corna.
Lo fa sentire esposto – vulnerabile. Non ha dimenticato le
storie.
Non ha dimenticato la miseria portata a Jötunheim da Odino (e
dai
suoi stessi padri); della sua generazione rimangono ancora stimati
epigoni che lo guardano fisso, tracciando i suoi movimenti
finché
non scompare.
Sa di cosa sono capaci gli Æsir.
Pertanto, nei due giorni che seguono,
cerca di non dare eccessivamente nell'occhio quand'è solo, e
nota
che Thor raramente lo lascia senza scorta di qualche amico, paggio,
fanciulla, assistente.
V
C'è un libro aperto, sullo scrittoio
di Thor.
Járnsaxa è entrato nello studio
sperando di trovare compagnia dopo il simposio letterario, ma non
c'è
nessuno, e poi l'ha visto. Un tomo come non ne vedeva da tanto, tanto
tempo.
Si avvicina lentamente, riconoscendo la
rilegatura, le pagine di lamina di uru rilegate in
pelle e
osso di drago, le discrete ma preziose pietre dure che si estraevano
nelle cave di Jötunheim quando il ramo del suo vecchio mondo
era
ancora fiorente. Le pagine riflettono un barlume di luce. Accanto
all'unica colonna di rune, incise a puntello, rifulgono due
miniature. E' un'opera d'arte. Un codex della
Biblioteca di
Mímir.
Ma
come può trovarsi lì? L'antica biblioteca
andò distrutta durante
la guerra per Midgard, e tutti sanno che non ne rimane traccia.
Járnsaxa stesso, nei secoli, ha setacciato abbastanza collezioni
e depositi del mercato nero da
sapere che non sono sopravvissute copie.
Eppure
i suoi occhi non lo ingannano. Tutto corrisponde – la
fattura, il
materiale, la vetustà dell'oggetto. E c'è una
sensazione...
Si
ferma ad alcuni passi di distanza.
C'è
qualcosa, in quel libro. Qualcosa di magico e minaccioso che non lo
vuole vicino.
Si
diceva, in passato, che molti volumi della Biblioteca di Mímir
fossero solo per gli occhi dei re; in quell'istante si trova propenso
a credervi.
La
distanza, in ogni caso, non è sufficiente da impedirgli di
vedere
cosa raffigurino le miniature. Con qualche difficoltà, e
costeggiando il fianco del massiccio scrittoio, Járnsaxa
vede guglie
altissime, un corpo dipinto in polvere d'oro e di zaffiro. Un Re
d'Inverno sul suo trono. Sul suo corpo...
Le
linee sacre.
Trattiene
il respiro, mentre il cuore gli batte all'impazzata.
Perché
quel libro si trova lì? Perché è
aperto su quella pagina? Come
se...
Stringe
i pugni, invaso da un profondo senso di reverenza.
È
un segno. Lo sente.
Sul suo petto si posa una pietra.
---
Nel prossimo di nuovo un po' d'azione seria ;) Prometto che lo avrete
presto. Voglio finire la storia e andare avanti
con la serie (che è quasi 50K in totale. Quand'è
successo?).
|
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Capitolo 11 *** Decisioni ***
Nota: questo capitolo
doveva introdurre la sostanza del prossimo... come no *ride*
Sarà che amo tormentare questi due... I
regret nothing
Scritto
utilizzando il prompt Avengers,
Loki, Jötnar e pittura rituale del corpo @piscina di prompt.
Breve
glossario:
- bera e geta sono termini molto
usati nelle fic estere per indicare "padre" e "madre" fra gli Jotnar;
sono forme norrene antiche dei verbi "to bear" (portare,
generare) e "to get" (ottenere, procurare) e non hanno vero genere,
indicano piuttosto chi partorisce e chi ha iniziato la vita nel corpo
dell'altro. Ahem.
- kýn = kin ("gente",
"popolo")
La Linea d'Oro
è farina del mio sacco, anche se la scintilla è
partita dalle pitture di Avatar.
Buona lettura!
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Decisioni
I
Dal momento che Asgard è il regno
dell'eterna primavera, svegliarsi coi brividi lascia Thor
disorientato.
È steso sul suo letto, sopra le
coperte; ha un braccio di traverso sul torso e le altre membra
spiegate a volo d'aquila, la postura dei suoi sonni profondi.
Sopra di lui si innalzano le volte
della camera reale. Nota distratto che qualcuno ha tolto la copertura
del suo baldacchino, forse per pulirla. Non sta affatto male senza:
con l'ultima lanterna viva, c'è un bellissimo gioco di luci
sulle
tarsie dorate del soffitto. Batte le palpebre. I suoi pensieri si
focalizzano.
Non ha ricordo di essere andato a
dormire.
Ripensa alla serata, e gli tornano
impressioni di un sorriso, di suggestive schermaglie verbali. La
profferta di Járnsaxa, esplicita in tutto tranne che in
nome.
Rammenta di aver preso degli incartamenti dallo studio per declinarla
con giusto pretesto, questioni in sospeso da giorni...
Dev'essersi messo a leggere a letto invece che alla scrivania.
Sì, è
andata così. Poche cose sono tanto soporifere.
Járnsaxa è impaziente; lo vuole ed è
abituato a essere esplicito sui propri desideri – come del
resto
tutti ad Álfheim, dove non c'è vergogna
nell'aperta sensualità.
Presto la sua perspicacia avrà la meglio sull'infatuazione.
Lo
affronterà, e Thor non è pronto per fargli il
torto di quel
rifiuto. I bei giorni trascorsi insieme pugnalano la sua coscienza,
il passato di un'altra vita gli sussurra promesse.
Ha la pelle d'oca. Da dove entra quel
freddo?
Con un grugnito, si alza a sedere. Dal
suo petto cade una cascata di papiri che planano qua e là.
Sospira, poi si stropiccia la faccia e
si guarda intorno. Corruga la fronte. Prima si è sbagliato,
non ci
sono lumi accesi: i riverberi che ha osservato sul soffitto non hanno
sorgente visibile; si muovono dolcemente, come la luce di una luna. E
quel freddo...
Apre la mano e Mjölnir è con lui.
Che si tratti di un agguato teso con la
magia?
È allora che, oltre l'arco d'accesso
all'anticamera, vede le vetrate della terrazza socchiuse, e si chiama
stupido per non aver guardato prima. Lo spiffero viene da fuori,
benché sembri assurdo. Da quando suo padre ha lasciato il
regno le
antiche magie con cui costruì le difese si sono indebolite,
è vero,
e Loki rafforza sempre meno quelle che cristallizzano le stagioni in
una lunghissima tarda primavera; ma Asgard è ancora il mondo
dei
giorni tiepidi. Non dovrebbe fare gelate.
Raggiungendo il vestibolo coglie un
baluginio.
Avanza, sale con circospezione gli
scalini che danno sull'esterno, protende un braccio e spalanca la
porta a vetri. Mentre lo investe una folata d'aria pungente, i suoi
occhi si alzano verso uno spettacolo inatteso.
Aurora, pensa.
Esce col capo gettato all'indietro.
Aurore boreali. Vivide e brillanti e
alte su tutto il cielo di Asgard, come e più di quelle che
ha visto
a Midgard nella sua giovinezza. Là sono provocate dal potere
di Sól.
Ma qui... qui non esistono. Non dovrebbero
esistere.
Jötunheim ha qualcosa di simile, un
fenomeno che si manifesta quando le tempeste di seiðr
incontrano i cristalli di ghiaccio sospesi nella sua atmosfera. Molti
lo credono un segno di buona fortuna, o di cambiamento imminente.
Possibile che...?
Oh, ne sarebbe capace.
Avanza sino al centro della terrazza,
rilassando il braccio che tiene Mjölnir. Sul blu profondo del
cielo,
screziato d'argento, danzano festoni di luci: nascono fievoli
sull'orizzonte marino per serpeggiare sopra le onde fino alla
città,
dove si dispiegano in pieno fulgore, proiettando colori su ogni
palazzo, canale e giardino. Sul Válaskjálf
rifulge la più bella,
una corona degna della grandezza del regno. Thor inarca il collo per
ammirarne tutta l'estensione, mentre il suo fiato sale in un soffio
effimero verso il firmamento.
La gloria azzurra di quell'aurora muta
dal verde in turchese, in acquamarina, per baluginare d'oro e rame
verso le grandi montagne.
È uno spettacolo mozzafiato. Un
messaggio venuto dal freddo insieme al freddo.
Thor inspira profondamente e si sente
sorridere.
II
È pronto, ma non è pronto.
Vuole e non vuole. È il suo vecchio
estenuante paradosso.
Angantyr ha ragione per più motivi di
quanti non pensi; Loki deve prendere l'iniziativa, a beneficio del
suo corpo, del suo trono, della sua salute mentale, ma soprattutto
della sua felicità eterna, per la quale è
indispensabile
riprendersi Thor e metter fine a quell'inutile tortura.
(Oh, cosa gli era venuto in mente?
Perché si è preoccupato della politica?)
Basterà presentarsi a Thor con le
carte giuste. È per questo che gli ha lasciato quel
manoscritto
sulla scrivania: perché nel momento della verità
sappia fino a che
punto Loki fa sul serio e lo riaccolga a braccia aperte. Thor lo ama
ancora. Lo amerà per sempre.
L'ha giurato.
Ma... ma. La Linea d'Oro sarebbe molto
più di un simbolo, se chiusa ora – Loki sa che il
capo guaritore
dice il vero. Il suo corpo concepirà.
C'è poco da scherzare.
Loki osserva il suo riflesso nel
ghiaccio solido delle pareti e si vede tirato in volto. È
terrorizzato. Non è pronto per avere un figlio, non lo
sarà mai, e
quella paura è complicata da un groviglio inestricabile di
vecchie
percezioni, preconcetti e tradizioni. Quello che diranno i suoi
vecchi nemici. (Argr. Ergi.) Quello che accadrebbe
se la vita
mostratagli dal Sonno delle Norne lo raggiungesse attraverso il tempo
e le incarnazioni. (Madre di mostri.) Quello che dirà un
giorno suo
figlio, quando l'avrà deluso per l'ultima volta...
Non può generare nessuno ora, pensa.
Probabilmente non ne ha neanche il diritto.
Ed è un uomo, non ha mai veramente
smesso di considerarsi tale–
Ma allora come fare con Thor, come
convincerlo senza usare la Linea? A meno che...
Alza la testa, muovendo lo sguardo
sugli spazi e il mobilio sparuto del vecchio studio mentre pensa
freneticamente.
Thor non sa niente della sua
situazione. Non sa neppure quale sia il rituale intero della
cerimonia, perché sul volume non ne è contenuto
che un accenno. Lui
soltanto lo conosce, poiché è lui il solo a
custodire codici
creduti persi.
Loki si sente risollevare l'animo. Può
temporeggiare. Mostrerà a Thor la Linea, si unirà
a lui davanti
all'universo intero, ma gli impedirà di prenderlo come si
prende una
donna finché farlo non sarà sicuro. Usare la
magia come prevenzione
potrebbe non esser sufficiente, e non vuole correre rischi.
Sarà necessaria una buona forza
d'animo, considerato lo stato in cui è, ma ha fatto cose ben
più
difficili e ci riuscirà, perché così
avrà vinto. Niente più
Járnsaxa intorno, un'unione anelata e niente figli. Thor non
sospetterà.
È un piano perfetto.
III
Jàrnsaxa vede il libro, e al calare
del buio il cielo è striato di luci eteree.
Pensa che sarebbe il momento perfetto
per cercare Thor. E' l'atmosfera ideale, intima e romantica. Ma il
tempo passa veloce mentre lui osserva dal balcone, pervaso da uno
strano presentimento.
La seconda notte la sua risoluzione è
più forte. Ignora la stranezza delle aurore e decide di
andare,
perché la fortuna favorisce gli audaci. Sgattaiola via per i
tetti e
rintraccia a memoria l'architettura degli appartamenti reali,
arrampicandosi sui cornicioni e sulle spire lisce del
Válaskjálf
(chi impara a scalare i ghiacciai di Jötunheim
non dimentica più come ci si arrampica senza cadere). Non
è un
viaggio lungo, in ogni caso. E quando arriva ha persino una gradita
delegazione d'accoglienza.
Thor l'ha sentito arrivare. E' sotto
l'arco centrale della terrazza, Gungnir in pugno e un'espressione
esterrefatta sul viso. Lo guarda saltare sul pavimento, poi poggia la
lancia contro il muro e si fa avanti, aprendo la bocca.
Jàrnsaxa lo bacia prima che possa
rimproverarlo. E prima che qualsiasi cosa possa interromperli lo
spinge dentro la camera, goffamente giù dagli scalini.
È il quarto
giorno da quando Loki-Re li ha visti attraverso lo specchio: se sono
ancora vivi vale la pena approfittarne.
Alza le braccia e circonda il collo di
Thor, gomiti sulle sue spalle poderose, petto contro il suo petto a
premerlo contro una delle colonnine che sostengono l'arcata interna.
Per pochi istanti il suo bacio viene ricambiato. Il suo corpo prende
vita.
Poi Thor lo scosta con gentilezza.
Quando apre gli occhi lui sta guardando
fuori, oltre la terrazza. Járnsaxa segue il suo sguardo e
trattiene
il fiato, perché le aurore si si stanno moltiplicando;
sfolgorano
con intensità quasi abbagliante. Ci sono fiaccole per le
strade e
sagome affacciate alle finestre.
Anche il freddo è aumentato,
abbastanza da esser percepibile sulla sua pelle di Jötun. Il
fiato
di Thor è visibile.
«Siete voi?» chiede Járnsaxa.
Fortuna o cambiamento. Gioia o
sgomento, diceva il suo geta guardando le aurore, e
in un modo
o nell'altro aveva sempre ragione.
Thor scuote la testa.
«Cosa accade, allora? Credevo che le
Chiome di Ýmir non
comparissero su Asgard.»
«Infatti» dice Thor, fronte
increspata. «È molto inusuale. Molto.»
Prende un respiro profondo,
e quando continua il suo tono è quello risoluto di chi ha
preso una
decisione. «Járnsaxa» lo guarda,
posandogli una mano sulla spalla
«andresti a chiamare mia madre, per favore? Io
andrò dai seiðrmaðr
di palazzo. Abbiamo bisogno del loro consiglio.»
Adesso?, vorrebbe rispondere,
deluso.
Ma Thor sembra preoccupato. Járnsaxa
abbassa lentamente le braccia, lasciandolo andare.
«Dove volete che la conduca? Qui?»
«Il vecchio osservatorio. Te l'ho
mostrato, ricordi la strada?»
«Sì.»
È il prototipo dell'osservatorio di
Heimdall, una torre aperta millenni fa su tutte le direzioni, alla
sommità del Válaskjálf. Per fortuna
non ne sono lontani.
«Ti ringrazio.»
Járnsaxa lo scruta un istante, corpo
che fatica a calmarsi sotto la semplice tunica color rame; poi
annuisce e si avvia, uscendo stavolta – orgogliosamente
– dalla
porta principale.
Qualcosa non va, e non è solo il cielo
di Asgard.
IV
E' la seconda notte di aurore, e fa
molto più freddo. Le galassie sono nascoste alla vista.
Ai sensi di Thor l'atmosfera risulta
pacifica. Ma se tenta di prenderne il controllo e disperdere le
aurore, non risponde e rivela... un brusio di energia. Un potenziale.
Per cosa? In attesa di quale scintilla?
Sta osservando il fenomeno con
preoccupazione crescente dall'uscio della terrazza quando sente un
rumore, e un attimo dopo Jarnsaxa entra nella sua visuale, saltando
da un cornicione all'altro del palazzo con l'agilità di un
equilibrista.
Thor si libera di Gungnir e a malapena
ha il tempo di aprir bocca, allarmato. Járnsaxa lo raggiunge
di
slancio, gli prende il viso fra le mani e lo bacia, usando
quell'impeto per spingerlo indietro, nell'anticamera. Inciampano nei
gradini. Distratto, Thor dedica tutta la sua attenzione a tenere in
piedi entrambi e gli ci vuole un po' di tempo per rendersi conto che
sta ricambiando il bacio con un certo trasporto, Járnsaxa
appeso al
suo collo nonostante la discreta statura.
No.
Deve fare uno sforzo per non scostarlo
bruscamente.
Se Loki sapesse. Se Loki vedesse –
lui che ha occhi dappertutto...
E il suo sguardo scivola di nuovo verso
il cielo.
«Jàrnsaxa...»
Quando lui è uscito in cerca di sua
madre Thor si passa le mani sul viso, stanco. Spera che non ci siano
cattive notizie. Spera sia solo un fenomeno passeggero
dell'atmosfera, nata da un errore benigno delle rotazioni di
Yggdrasil. E spera con tutto, tutto il cuore che Loki torni presto da
lui.
La sua mente è sempre un aiuto
inestimabile, e la sua compagnia un conforto che gli manca.
Ha appena finito di pensarlo che un
rumore di carta fruscia per la stanza. Là, sulla mensola
dello
scrittoio. Un piccolo rotolo di pergamena sta finendo di arricciarsi
sul legno d'ebano, volute di magia che si estinguono sui bordi con
bagliori blu. Thor si avvicina, riconoscendo l'incantesimo. Dovrebbe
essere inutilizzabile con le barriere di Asgard attive... a meno che
non ci sia una breccia o, più probabilmente, che Loki non
abbia
trovato una scappatoia. Ma perché contattarlo in quel modo
quando
hanno gli specchi?
Gli basta toccare la pergamena per
sapere che non viene da lui. Quella magia ha un'altra
identità.
Fronte aggrottata, apre il messaggio;
sono poche parole.
Il mio re e signore deve conoscer
primavera, Padretutto. Usate questa informazione con saggezza, quando
gli parlerete. A.
Non si sofferma neanche sulla firma.
"Conoscere primavera". È una
vecchia espressione della Jötunheim nomade per indicare il
periodo
di figliatura delle mandrie. Se non fosse per il senso completo della
frase Thor scoppierebbe a ridere, perché è
anacronistico e
assolutamente ridicolo, considerato a chi si riferisce. Ma le sue
implicazioni...
"Deve", dice, non "può".
Thor appoggia le reni contro i cassetti dello scrittoio e riflette,
facendosi strada tra confusione e stanchezza.
Deve. Pensa a quel che sa degli
Jötnar, della loro natura e delle loro tradizioni. Nella loro
terra
la fertilità è un dono ricoperto di toni sacri.
E' anche una sorta
di compulsione, a volte... perlopiù al disgelo, se le voci
sulle
feste delle tribù orientali sono vere. Dicono che non
assecondare il
bisogno di generare sia una tortura, per il corpo. Dicono.
Thor ha sentito anche troppe battute
volgari quand'era una recluta di caserma, ma gli Jötnar sono
riservati su questi argomenti e, per amor di diplomazia, non ha certo
indagato. E non ha mai avuto l'impressione che Loki... a meno che
finora non–
Scuote la testa, sconcertato. Loki non
è un ragazzo, è un uomo da molto tempo, non
può trattarsi della
prima volta.
Ma è anche un'ívidja,
ribatte il suo lato deduttivo, diverso. E ha trascorso secoli
in
un'altra forma.
Inoltre, quel "deve" potrebbe
alludere alla necessità di cementare una volta per tutte
l'alleanza
fra gli Aesir e gli Jötnar. Quale pegno migliore di una
discendenza
comune?
Abbassa il messaggio.
Se davvero gliel'ha inviato Angantýr,
il capo guaritore di Utgarð, è
veritiero. Per un attimo il suo sangue si accende di gelosia,
pensando a Loki in quello stato in mezzo a fior di guerrieri, gli
stessi che vorrebbero eliminare Thor dal futuro di Jötunheim.
Poi
cerca di calmarsi e di riflettere.
Come dovrebbe usare quell'informazione?
Trattare? Metter Loki alle strette?
(Come se non fosse pronto a volare da
lui e marcare il territorio a qualsiasi prezzo.)
La pergamena gli si stropiccia fra le
dita. Thor si stupisce che Angantýr
sia riuscito a mandargliela a distanza di mondi, ma di sicuro gliene
è grato. E' una conoscenza preziosa.
Un presagio di rivoluzione in mezzo
alle mareggiate, come al solito.
Il messaggio gli brucia contro il
palmo, arricciandosi fino a scomparire. Thor non ha più
tempo di
farsi domande. Sa di non essere solo ancor prima che i rumori del
mondo esterno attutiscano, smorzati dalla magia. Si gira, lasciando
cadere la cenere a terra.
La stanza è tutta un bagliore di
aurora e lanterna. Il suo cuore accelera.
«Mostrati, Loki.»
Loki emerge dalle ombre che
fiancheggiano l'armoire delle asce. Indossa il suo
mantello di
piume nere, chiuso dalla gola ai piedi, e ha il suo aspetto
Jötun,
il volto... macchiato?
Si guardano senza proferire parola. Poi
Loki alza il mento e con un gesto altero si getta il mantello oltre
le spalle.
Al riverbero delle lanterne, il suo
corpo si accende di luce.
È quasi nudo: un kjálta di
pelliccia argentata gli fascia il bacino sotto il ventre, ha gioielli
a ogni dito e ogni più piccolo angolo del suo corpo
è dipinto
d'argento. L'incoronazione a re di Jötunheim aveva messo in
mostra
le linee del suo kýn,
i segni coi quali gli Jötnar si identificano e che trasmettono
alla
progenie, per glorificare il suo diritto al trono. Queste invece sono
linee della Vita. Seguono le forze e i flussi cardinali del corpo, e
solo un seiðrmadr
è in grado di tracciarle. Si chiede chi abbia avuto l'onore
di
assistere Loki. Forse le ha tracciate lui stesso.
Il suo busto cattura in pieno il
bagliore e Thor la vede. Parte dal centro della fronte, sotto il
rubino circondato di simboli, scende fra gli occhi, lungo il naso e
sulla bocca, fino alla gola, e poi più giù, sul
petto, dove si
allarga. La sua traccia pura termina al centro del ventre,
fiancheggiata da nastri d'argento.
Thor conosce quei segni. Li ha già
visti miniati.
E' la Linea d'Oro dei re.
«Valoroso guerriero e sovrano» dice
Loki, voce bassa e occhi ardenti. «Thor, figlio di Odino e di
Frigga, noi ti salutiamo.»
Avanza lentamente. Thor trattiene il
fiato.
«Noi, Loki-Re, siamo qui per farti
grande onore. Noi ti offriamo il privilegio di esserci compagno, il
dovere di esserci sostegno, e il diritto di darci eredi... senza
competizione.» Frasi rituali. Loki inspira, unico
segno del suo
nervosismo. «Questo abbiamo detto, a questo attendiamo e
pretendiamo
risposta.»
Non ci saranno lotte, nessuna cerimonia
pubblica. Solo il fatto compiuto: il sovrano che compare davanti ai
suoi sudditi in piena panoplia d'accoppiamento reale, già
avvenuto,
linee distorte sul corpo.
In quel preciso istante, Thor vuole.
Vuole Loki e un figlio. Era un desiderio senza nome
lontano
nel futuro finché non ha decifrato quel messaggio e visto
coi propri
occhi la Linea d'Oro – la linea che le sue mani rovineranno
cingendo i fianchi del consorte. È a portata di mano.
Può avere
tutto: deve solo accettare.
Non può impedirsi un moto d'affetto al
pensiero che Loki non smetterà mai di violare le regole. Al
consesso
degli anziani di Jötunheim
verrà un colpo apoplettico per la sorpresa. Non ne
sarà felice
neanche il concilio di Thor, visto che prende i matrimoni di stato
molto sul serio, soprattutto quelli interplanetari, soprattutto
quelli del sovrano di Asgard. In particolare se sono col sovrano di
Jötunheim.
Thor incontra lo sguardo di Loki, ma
qualcosa lo trattiene. Attraverso le nebbie del desiderio ha
abbastanza lucidità da capire che Loki progettava questa
sortita da
qualche giorno. E' stato lui a lasciare quel codice miniato sulla sua
scrivania... tre giorni dopo che Járnsaxa è
arrivato ad Asgard, il
giorno dopo che si sono visti allo specchio. Angantýr
doveva saperlo, ecco perché ha mandato il messaggio. La
Linea d'Oro
è un passo notevole, incredibile, quindi Thor cerca sotto il
luccichio dell'oro.
La mossa tattica è facile da vedere.
Loki non gli sta offrendo tutto, sta solo facendo
la mossa più
forte nel momento in cui la minaccia di Járnsaxa
è maggiore. Deve
ammettere che ne ha scelta una sconvolgente, nel suo stile migliore.
E' impossibile che sia passato dalla
loro separazione politica alla celebrazione più totale e
indissolubile della loro unione.
Da un lato, Thor è felice di averlo
portato ad accettare il matrimonio; dall'altro deve combattere
un'irritazione crescente.
«Mi stai dando tutto?» chiede.
L'esitazione di Loki è infinitesimale.
«Sì.» E poi, mordente:
«È abbastanza?»
Thor sorride. «È ciò che ho sempre
desiderato. E riceverai altrettanto da me. Vieni qui.»
Protende un braccio. Lentamente, quasi
incredulo, Loki si avvicina alzando la mano destra.
«...E dacci un figlio.»
È come se Loki pietrificasse. La sua
mano resta a mezz'aria sopra quella di Thor, dita contratte, mentre
il suo viso diventa una maschera.
Thor chiude il pugno sul suo.
«È il momento, vero? Ora sarà
facile. Il tuo corpo è pronto.»
Non si accontenterà di un simbolo. Se
Loki offre tutto, dovrà dare tutto. Posa
gli occhi sul suo
ventre e il cuore gli galoppa nel petto.
Loki impallidisce sotto uno strato di
brina. «Come lo sai?»
E' vero, tutto vero.
«Importa? L'importante è non
accetterò di meno... anche per la tua salute.»
«Presuntuoso bastardo» sibila Loki,
livido. «Cosa credi di sapere?»
«O così o niente» ripete Thor,
più
gentile, cercando di attirarlo vicino. «Dico sul serio. E'
tempo che
ci apparteniamo come dovremmo: completamente.»
Dopo una lunga, silenziosa guerra di
sguardi, Loki sussurra: «Sei crudele.»
E forse ha ragione, ma Thor non ha mai
conosciuto altro che vittoria in battaglia. Questa –
soprattutto
questa – sarà sua. Perché in
verità sarà loro.
«Non puoi chiedermi questo. Non sono
pronto.»
Forse non lo sarò mai, è
quello che non dice.
«Sei secoli sul trono di Jötunheim e
ancora non ti sei riconciliato con la natura degli
Jötnar?»
«Non è solo quello – anche se
vorrei vedere te partorire piattole» sbotta Loki.
«La verità è
che non sono stato un buon fratello, tanto meno un buon figlio, e se
vogliamo parlare di buoni esempi–non ho avuto neppure
quelli!»
«Stai parlando di mio padre.» La sua
risposta è un ghigno amaro che Thor non vedeva da tempo.
«Ma
dimentichi che nessuno di noi due è lui.» Cerca di
attirarlo più
vicino. «E io sarò al tuo fianco ogni giorno, per
impedirti di
commettere errori, per far sì che tu m'impedisca di
commettere
errori...»
«Come se avessimo il potere di
scongiurarli tutti!»
«Allora rimedieremo.»
Ma Loki indietreggia, guardandolo con
l'aria di un cervo messo alle strette.
«Non chiedermelo.»
Thor esita.
«Non te ne senti degno» dice. È una
rivelazione che avrebbe dovuto avere molto prima, in fondo. Scuote la
testa. «Perché? Le mancanze di mio padre non si
riflettono su di
te, Loki, e quanto dovevi risolvere l'hai risolto molto tempo
fa.»
Loki lo guarda col volto deformato.
«E se fallissi? Se rovinassi tuo
figlio?» chiede. «Se partorissi un mostro? Hai
già dimenticato
cos'ero in quella vecchia vita, i figli che ho avuto?»
«Non si ripeterà» dice Thor, e la
sicurezza nella sua voce è tanto forte che in un'altra
situazione
Loki sarebbe convinto.
«Desiderare qualcosa non lo rende
vero.»
«Non si ripeterà.»
Loki lo fissa, occhi dilatati, petto
che si espande e contrae affannosamente. I pugni che stringe contro i
fianchi tremano e Thor è sicuro che lotteranno con ferocia,
qui,
subito, distruggendo ogni cosa come ai vecchi tempi.
Ma sebbene dalla gola di Loki erompa un
grido di pura frustrazione, è su se stesso che muove. Si
volta
bruscamente e rientra nella linea d'ombra della camera.
«Loki–!»
Troppo tardi. È già svanito,
assorbito dall'oscurità.
Thor lascia ricadere il braccio e
sospira. Poi si passa una mano fra i capelli, tirando. Maledizione.
Maledizione.
Fuori, l'aurora boreale danza su Asgard
fino all'alba.
V
Come fa Thor a sapere–chi ha tradito
il segreto–
Davanti a Loki, una fiaccola squarcia
l'oscurità bronzata del corridoio. Ricorda la camera di
Thor. Rivede
il suo volto amoroso e implacabile, la mano profferta.
Perché è finita così?
Si ferma, e l'ira battagliera lo
abbandona insieme a un respiro. Resta solo lo shock dell'esser stato
colto di sorpresa, con la sua sensazione pungente
di vulnerabilità.
La detesta. Ogni volta se ne crede immune e immancabilmente qualcuno
o qualcosa lo riporta coi piedi per terra, deridendo la sua superbia.
Lo scopo di Thor non era deriderti,
dice una voce nei recessi della sua mente. Ti ha offerto un
futuro...
Alle sue condizioni, pensa,
ringhiando. Sempre e solo alle sue condizioni–
E tu non hai cercato di fare lo
stesso? Su una questione così importante...
Era una decisione ponderata.
Ma quale delle due scelte è la più
ragionevole?
Dalla gola gli sale un altro ringhio.
In quel momento non vuole esser
derubato della sua rabbia; è l'unica difesa che ha, in
questo corpo
che freme per il tocco e il seme di–
Si gira verso il muro e taglia l'aria
con un movimento del braccio, aprendo un passaggio nel tessuto di
Asgard. Tornerà a Jötunheim, si sfogherà
e quando sarà stanco
forse, finalmente, rifletterà su tutto a mente fredda. Ma i
suoi
propositi hanno breve durata. Si infila nella breccia
interdimensionale a passo sicuro – e sbatte la faccia contro
una
barriera.
Barcolla indietro, tenendosi una mano
sul naso. La sua schiena incontra il muro bronzato del corridoio.
«Ugh.»
Cos'è? Una barriera – lì?
Da secoli controlla insieme a Thor le
protezioni di Asgard; lo riconoscono e non possono rivoltarglisi
contro. E se... fosse quell'imbecille di Thor che lo vuole
trattenere? Ma non ha mai avuto finezza nel controllare barriere e
affini; non ci riuscirebbe.
Apre gli occhi, continuando a
massaggiarsi il naso. Le lacrime che gli son rimaste sulle ciglia
rifrangono la luce delle torce, confondendo il punto dove aveva
aperto la breccia.
Riprova più avanti, poi cambia piano,
poi esce dal Válaskjálf.
Niente. E' impossibile passare: l'accesso è sbarrato.
Che sta succedendo?
Lo coglie un pensiero: forse è colpa
sua; forse la sua magia è impazzita per regalargli l'ultima
umiliazione di quella pazzia. Di sicuro Asgard non è isolata
–
Heimdall se ne sarebbe accorto.
Forse dovrebbe andare all'Osservatorio,
partire da lì e farla finita. Ma c'è una strana
disturbanza nel
tessuto magico di Asgard. Una disturbanza familiare, che gli asperge
la bocca d'amaro nonostante non sia in grado di darle un nome. Che
cos'è? Come ha fatto a non sentirla prima?
Poi i suoi occhi, finalmente, vedono.
Si guarda intorno, cerca l'orizzonte.
Lo sovrasta un cielo infuocato di verde e viola.
---
Magnifiche foto by Trichardsen @
trichardsen.deviantart.com
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo - siete in tantissimi a seguire, e le recensioni sono il carburante che velocizza gli aggiornamenti! ;)
|
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Capitolo 12 *** Il mattino venne senza portare il giorno ***
Note: eccolo qui!
Finalmente un po' d'azione, e alla fine si innescano gli avvenimento
che ci porteranno alla conclusione di questa long (mooolto
più long di quanto non avessi progettato! Aiuto
ç_ç). Spero di potervi dare il prossimo capitolo
senza farvi aspettare mesi. Incrociamo le dita.
Ah, Loki mette
quasi le mani su Jarnsaxa. E' abbastanza come antipasto?
Fatemi sapere
cosa ne pensate!
Titolo da un verso de L'oscurità
di Byron.
--------------------------------------------------
Il
mattino venne e
svanì senza portare il giorno
I
Il cielo è luminoso quasi
quanto il Bifröst; la
notte invecchia e le aurore continuano a ondeggiare su Asgard come
vessilli su un vasto accampamento.
Per le strade si aggirano persone
curiose, altre si affacciano alle finestre coi figli, circondati da
aloni di respiro. Fa un freddo magnifico. Loki lo apprezza con
sollievo istintivo, ma ne percepisce l'anomalia: non si tratta delle
Chiome di Ýmir né delle
aurore boreali di Midgard – intanto perché non
sono né sull'uno
né sull'altro mondo, e poi perché la sensazione
che gli danno non
somiglia a niente di quello che ha provato in secoli di esplorazioni.
Il suo sguardo corre lungo i confini
del giardino che circonda il Válaskjálf, verso
uno dei bastioni,
quindi sale e cerca oltre i tetti e le torri della capitale. Il mare.
Qualcosa gli dice che è verso il mare che deve guardare.
In quel momento lo raggiunge la voce di
Thor.
Non lo sta chiamando; viene dall'alto,
sembra impegnato in una discussione. Ma il corpo di Loki vibra come
la corda toccata di un cembalo e i suoi passi s'arrestano
bruscamente, accompagnati da una consapevolezza altrettanto brusca.
È
ancora tutto dipinto.
Con un'imprecazione, si ritira
nell'ombra e chiude i lembi del mantello sul petto, sussurrando un
incantesimo per deflettere gli sguardi. E' così distratto
che quasi
non se ne rende conto: la magia funziona. È lo spazio
interdimensionale ad essere bloccato, allora; e che sia solo intorno
ad Asgard o per tutto l'Albero, comunque non è una bella
cosa.
Dovrebbe verificare subito usando le
vie segrete di terra, ma ci vorrebbe troppo tempo. Ci sono cose
più
importanti da fare prima. Deve prioritizzare.
Invia un messaggio d'allerta a
Heimdall, poi si rigira verso il palazzo misurandolo come si misura
un avversario sgradevole. Con quell'atmosfera Thor sarà
attivo, e
l'idea di incrociarlo gli provoca rabbia ansiosa. Deve parlare con
sua madre, però, avvertirla e indagare con lei sugli eventi.
E
soprattutto deve lavarsi via quella stupida pittura.
Guardandosi intorno, imbocca il
sentiero che porta agli ingressi nascosti della reggia.
II
«Una tempesta di seiðr
entrata in collisione con la nostra atmosfera. Ci sono correnti di
energia pura, fra i rami di Yggdrasil... Odino le conosceva
bene.»
E' la conferma che Thor voleva sentire;
collima con le sue sensazioni e alcuni racconti di Loki. Il
riferimento a suo padre gli provoca una fitta di combattuta
nostalgia.
«Potrebbe essere il motivo per cui non
ho effetto sugli elementi che provoca.» Si tratta di energia
allo
stato grezzo, estranea. «Ma non ho ricordo di fenomeni
simili.»
«Sono rari. E' accaduto una volta da
quando sei nato. Fu meno intenso di questo, ma...»
«Sicura che fosse lo stesso?»
Frigga sorride con un po' di mestizia.
«La mia magia non è più
quella di una volta, figlio mio –
ma sì, ne sono abbastanza sicura.»
Intorno a loro, fra i pilastri che
sostengono la campata e il tetto della torre, strumenti astronomici
d'oro scrutano il regno oscillando e orbitando su bracci snelli, tra
modelli di pianeti, epicicli e metalli lucidi. Sul lato della
città,
le loro superfici incise catturano i barbagli di luce rimandati dalle
strade e dai canali, trasformandosi in caleidoscopi di rune. Un
seiðrmaðr
di palazzo, Vanir, osserva il cielo dall'obiettivo graduato di un
telescopio.
«Nulla da Heimdall?» chiede Járnsaxa,
uscendo dal suo rispettoso silenzio.
Thor annuisce. «All'Osservatorio tutto
tranquillo, e così oltre i nostri confini. Solo...»
«Solo?»
Thor blocca il movimento delle braccia
a metà, sperando non sembri l'alzata di spalle cui stava per
lasciarsi andare, e vorrebbe non aver introdotto l'argomento.
«Soltanto qualche turbolenza a
Jötunheim» dice, evitando accuratamente lo sguardo
di sua madre; si
schiarisce la voce. «Niente di nuovo... è
periodo di tempeste.
Terremo il cielo sotto osservazione e, per prudenza, faremo attivare
da Heimdall il Grande Scudo.»
I seiðrmaðr
che sono con loro approvano; quando è evidente che nulla
verrà
aggiunto alla discussione, cominciano a discorrere fra loro per
decidere i turni di sorveglianza.
III
Sua madre non c'è. Potrebbe essere in
meditazione sotto i pergolati del Fensalir, ma a quell'ora è
più
probabile che sia in piedi per l'emergenza astronomica. La
cercherà presto.
La sua assenza è una fortuna in cui
non aveva pensato di sperare (altra disattenzione): potrà
ripulirsi
senza dover spiegare perché gira conciato così.
Si fa strada verso
i bagni, slacciandosi il mantello. Invadere i suoi spazi personali
non lo fa sentire in colpa; quanto è visibile in quelle
stanze è
solo quanto è permesso vedere, anche ai suoi figli.
Soprattutto a
quei ficcanaso dei suoi figli.
Mentre si lava via i pigmenti dal corpo
cerca di non pensare a niente.
Il suono della voce di Thor, com'è
naturale, è la prima cosa che ricorda.
«E dacci un figlio–»
Colpisce l'acqua della vasca con un
pugno, schizzandola dappertutto.
Avrebbe dovuto sapere che si sarebbe
arrivati a questo. Avrebbe dovuto saperlo. Thor non ha mai
saputo
rinunciare agli eccessi.
Le cose dovranno cambiare, perché Loki
ha avuto anche troppi risvolti folli nella vita. Oh, cambieranno. Ma
prima l'emergenza più pressante.
Si alza, esce dall'acqua e asciuga i
bagni con un gesto efficiente. Dopo essersi controllato e rivestito
è
fuori dagli appartamenti, nei corridoi semibui, mantello di piume che
guizza alle sue spalle e seiðr
che ascolta tutto, scivolando su ogni superficie, attraversando gli
spazi vuoti.
Tutto è normale, salvo per il ronzio
di sottofondo che ha sentito anche dai giardini. Si ferma a
riflettere. Forse non è davvero un'emergenza. Forse
è solo una
nuova manifestazione di Asgard; in fin dei conti invecchia e si
evolve anche lei.
O forse è un'interferenza dagli spazi
interplanetari, come dice sua madre.
Trova il piccolo concilio di magia alla
fine delle sue indagini, su alla torre degli astronomi, l'antico
Osservatorio di Asgard. Scruta i presenti e ascolta attentamente,
invisibile fra le ombre. Sembrano tutti tranquilli. Potrebbe davvero
essere un falso allarme... lo saprà quando vedrà
la reazione di sua
madre alla notizia del blocco interdimensionale, se ci sarà
ancora
quando glielo dirà. Loki ha il presentimento che ci
sarà. Forse.
E' confuso.
Cerca di ignorare la presenza di
Járnsaxa, così vicina e vulnerabile da tentarlo,
e lascia che il
consesso abbandoni la torre senza rivelarsi.
Osserva l'orizzonte. È quasi l'alba:
inizia a distinguersi la linea dell'orizzonte. Lentamente, le aurore
svaniscono per lasciare il posto a un cielo terso e caldo.
Poco dopo, a confermare i suoi
sospetti, lo spazio interdimensionale è ancora
inaccessibile. E sua
madre è addormentata.
Nella sua esistenza Loki ha trascorso
anche settimane senza domire, preso dalla frenesia della scoperta,
del complotto e del pericolo; è così che ha avuto
successo dove
tanti altri hanno fallito. Potrebbe ignorare la stanchezza e
continuare le ricerche mentre gli altri dormono. Ma quando s'infila
in un appartamento deserto e siede per riflettere, la battaglia e lo
stress degli ultimi giorni lo raggiungono come lupi nella notte. Il
ronzio di sottofondo lo stordisce.
La sua tempia tocca il muro e il mondo
si spegne prima che lui possa reagire.
IV
Thor conquista le sue stanze al sorgere
del sole.
Sbarra le porte, chiude i tendaggi,
butta Gungnir sul sofà e si spoglia con un gesto, lasciando
che la
magia sbottoni e slacci per lui. Poi si butta di schiena sul letto,
esausto.
Dev'essere passato un quarto d'ora
quando si rende conto di fissare il soffitto. Il baldacchino manca
ancora. Ha deciso, non lo farà rimettere.
Si costringe a chiudere gli occhi e
rivede la Linea d'Oro, l'opulenta magnificenza del corpo di Loki,
grondante di luce e allettanti propositi – come sempre. E
come
sempre ingannevole. Vorrebbe poter parlare con lui.
Si stropiccia il viso. È troppo stanco
per dormire; ha troppi pensieri per la testa.
Loki è sparito dalla circolazione,
ovviamente. Lo ha avuto vicino per qualche istante al vecchio
osservatorio, quando la conversazione stava per concludersi –
è
tanto che Thor ha imparato a riconoscere la sua presenza, anche se si
nasconde col seiðr.
Pratica e sesto senso. Se Loki sapesse fino a che punto ha
perfezionato quell'intuito sarebbe irritato, orgoglioso e poi
spronato a trovare nuovi sotterfugi.
Ovviamente non ha intenzione di
dirglielo.
Ormai sarà a Jötunheim; oppure indaga
da solo sulle aurore. In entrambi i casi, Thor dovrà
studiarsi un
approccio vincente prima di andare a cercarlo. (Perché ne
è sicuro,
stavolta la sua non è una ritirata strategica.)
Senza che se ne accorgesse, la sua vita
è tornata un disastro.
Pian piano, desideri e preoccupazioni
si trasformano in un vortice labirintico che lo trascina in
profondità, consegnandolo al sonno.
V
I bambini corrono via nella luce del
primo pomeriggio, ridendo. Járnsaxa li guarda scomparire in
fondo al
corridoio con un po' di tristezza.
Si alza i capelli sul collo per darsi
sollievo, facendo tintinnare i fermagli di corallo. Fa molto caldo,
soprattutto dopo la notte insolitamente fresca, e l'umidità
aggrava
la sua stanchezza. Ha vegliato fin quasi all'alba, dormito poche ore.
Forse dovrebbe tornare a riposare. Oggi non sembra esserci molto da
perdere (a parte Thor – forse il peso della nottata
sarà la cosa
che lo convincerà a entrare nel suo letto, anche solo per
dormire.)
Sospira, pensando che hanno un po' di
domande e risposte da scambiarsi.
Mentre è lì che riflette,
sbadigliando accanto alle colonne con le battaglie di
Svártalfheim,
un'eco gli manda voci di burocrati. Sembrano appena oltre la curva, e
vengono verso di lui.
«Erudito Járnsaxa? Avete visto
l'Erudito di Ýdalir,
c'è una postilla della massima
importanza–»
Spalanca gli occhi, imprecando
sottovoce. Gli studiosi di Asgard sono persino più noiosi
dei
patriarchi Ljosálfar. Járnsaxa si guarda
velocemente intorno,
riconosce una porticina e vi si infila con la massima discrezione,
richiudendosela alle spalle.
Dall'altra parte lo accoglie la
grandezza silenziosa della piattaforma dove, in una massa lucente,
troneggia Hliðskjálf Che
Tutto Vede. Gli torna il sorriso. Thor è lì: da
quella posizione
riesce a vedere il suo braccio. Con un'ultima occhiata alla porta lo
raggiunge, piedi nudi che proiettano aloni blu sul pavimento. La sala
è un sollievo, fresca e quasi buia alle estremità
dei colonnati. A
uno sguardo più attento non ci sono guardie né
attendenti.
«Buongiorno, Thor.» Supera la
barriera dello schienale. «Passata una bella
mattina?»
Thor mugola e sprofonda nel trono,
occhi chiusi, gambe aperte in modo quasi osceno; ai suoi piedi
languiscono carte spiegazzate.
«Hmm» fa Járnsaxa, divertito,
proseguendo verso il bordo della scalinata che scende verso il corpo
della sala. «Se non altro è finita... tempo di
meritato riposo. E
ora che guardo meglio» aggiunge, decidendo di ritentare la
sorte
«siamo qui liberi e completamente, meravigliosamente
soli...»
Sente lo sguardo infuocato di
Thor sulla schiena.
«Sì» risponde lui. E poi, con
un'altra voce: «Completamente soli.»
Non è la voce di Thor.
Járnsaxa fa in tempo a voltarsi per
vedere le sembianze di Thor sciogliersi e lasciar emergere le
fattezze affilate, le corna e la pelle blu di Loki Laufeyson. Della
creatura onesta e luminosa che ama è rimasto soltanto il
mantello
cerimoniale, esibito come la pelliccia di un trofeo. Sulle spalle del
re di Jötunheim sembra una cortina di sangue.
In lontananza scattano i catenacci
degli ingressi. Loki poggia il mento al dorso di una mano e sorride,
privo di calore.
Sembra nato per sedere su quel trono.
Suo malgrado, Járnsaxa si scopre incapace di muoversi.
«Mutaforma.»
Lo sapeva, in un angolo della mente, e
tuttavia vedere coi propri occhi una capacità
così rara–
Pericolosa.
Loki-Re continua a sorridere. «Molto
perspicace.»
Il cuore gli si dibatte nel petto. Ma è
al sicuro, si dice. Quello è il cuore di Asgard, caro a Thor
e
Frigga Fiörgynnsdottir, e Laufeyson non oserebbe toccarlo dove
loro
potrebbero scoprirlo.
(Ha osato ben di peggio in passato.)
«Salve, Jønirson. Che coincidenza
ritrovarsi qui.»
Loki non ama frequentare Asgard nella
sua vera pelle. Da Áes il
clima è più sopportabile, la gente lo conosce, si
risparmia una
quantità di sguardi ostili; e certi condizionamenti
psicologici non
si superano mai davvero. Ma stavolta la esibirà con
ostentazione,
perché c'è uno Jötun
senza collare che gira nei corridoi del
Váláskjalf.
Se Loki era pronto a svendere il letto
dinastico del Padretutto a una figura di rappresentanza – se
era
deciso a non piegarsi, su questo, e vincerla – non
lascerà mai
Thor alla creatura che l'ha già avuto per chissà
quante altre vite.
Járnsaxa, l'intelligente, affidabile Járnsaxa
l'ha amato e reso
padre nel sogno fumoso delle Norne. Lo guarda ancora con occhi
ardenti, senza venir rifiutato. Potrebbe prenderselo ancora.
Ora basta.
«Che coincidenza ritrovarsi qui»
mormora, stravaccato sul trono. «Non credevo che le visite
diplomatiche durassero tanto.»
L'intruso capisce, esita; forse
immagina di sfidarlo apertamente. Loki prega che lo faccia.
Ma Járnsaxa si riprende, offrendogli
un inchino che lo porta in ginocchio a testa china.
«Loki-Re. L'onore che mi fate
ricordandovi il mio nome è grande.»
La lingua di certo non gli manca. Loki
alza il mento e abbassa la mano, contemplando la possibilità
di
strappargliela. Chissà cosa non ha promesso a Thor... e fatto.
«Non dimenticherei mai un inviato del
caro Gerð» dice. Inarca
le sopracciglia. «Perché questo silenzio? Il mutar
forma ti
sconvolge tanto? O forse ti sorprende trovarmi qui?»
«I vostri poteri mi lasciano
ammirato.»
Loki stringe le palpebre. Poi spinge
con la magia per buttarlo a terra.
Ma incontra una barriera e Járnsaxa
riesce a tenersi dritto piegandosi sul ginocchio, un grugnito sulle
labbra.
Oh.
Loki ride, seguendo con gli occhi le
rune che si rivelano sul suo corpo.
«Freya, che cara» dice. «Le è
sempre piaciuto lasciare in giro qualche giochino per me.» Lo
considera. «Un lavoro molto raffinato. Ma cosa succede se
sciolgo
tutti i bei nodi della sua cotta di maglia?»
Si alza in piedi con un movimento
fluido, lasciando ricadere il mantello di Thor sul trono. Nessuna
risposta, tranne un crescere della tensione. Si muove tenendosi alla
giusta distanza e gira lentamente intorno a Járnsaxa.
«Ma tu pensi davvero» sussurra,
abbassandosi «che io rinuncerei al nodo con Thor Odinson per
lasciarlo a uno come te?»
Lui deglutisce e non riesce a
dissimularlo. «Thor appartiene a se stesso. Non ha bisogno
del
permesso di alcuno.»
Come osa?
Loki si ferma di colpo e dal suo corpo
trabocca una fiammata di seiðr.
Gli incantesimi di Freya lo proteggono
dallo sfogo, ma Járnsaxa non vuole più restare
inginocchiato. La
situazione sta degenerando. Si alza in fretta, mettendo fra loro una
certa distanza.
Laufeyson è più basso di lui, meno
muscoloso anche da Jötun, e non indossa corone; non dovrebbe
mettergli paura. Appena oltre la superficie di quell'involucro,
tuttavia, sotto il manto di piume che assorbe la luce, si agitano il
vuoto caotico del seiðr
che qualsiasi stregone dell'universo può solo sognare, e una
mente
tortuosa che sa farne buon uso.
Lo sta guardando con ira.
«Come osi mancargli di rispetto
chiamandolo per nome?» sibila.
Non dovrebbe rispondere. Lo sa, ma per
quanto mite anche lui ha un orgoglio suscettibile alla competizione.
«Ho il suo permesso, naturalmente.»
La luce che si accende in quegli occhi
lo gela. «Capisco.»
«Loki-Re–»
La bocca di Járnsaxa si richiude di
scatto, contro la sua volontà. Non riesce a muoversi. Fatica
a
respirare. Il panico cerca di sopraffarlo.
«Che cosa vuoi?» chiede Loki, dopo
averlo considerato. «Scoprirai che so essere molto generoso
quando
lo desidero.»
«Se me ne andrò senza una parola,
immagino.»
«Avrai ciò per cui sei venuto.
T'importa poco dell'amore, vero? Lo usi per nascondere obiettivi
ambiziosi. Conosco quelli come te.»
Járnsaxa stringe le dita intorno alla
stoffa del proprio kjálta.
«Perché siete lo stesso?»
Zitto. Sta zitto!
Loki si apre al sorriso, bianco e
aguzzo fra le linee tribali e le pitture che gliele attraversano.
«Un tempo. E ho la memoria lunga.» Si
avvicina. «Che cosa cerchi ad Asgard, avventuriero? Potere,
ricchezza? Segreti? Posso fartene dono in abbondanza.»
E' il momento. Se non morirà qui,
forse avrà successo.
«Posso averli con Thor» risponde a
fatica. «E io voglio Thor.»
Il sorriso condiscendente di Loki
svanisce. Gli si avvicina, chinandosi finché i loro volti
quasi non
si sfiorano.
«Potresti avere la morte, invece.»
Aloni di seiðr
scivolano intorno a loro, addensandosi in un miasma verde che si vede
e non si vede.
«Credete... che questo vi gioverebbe
ai suoi occhi?»
«Credo che esistano una moltitudine di
morti diverse e una moltitudine di modi per farle accadere»
dice
Loki, riprendendo il suo giro per parlargli sul collo, sulla nuca,
nell'altro orecchio. «Non sopravvalutare il mio
cambiamento.
Non gioco pulito, solo un po' meno sporco, e del mio senso dell'onore
beneficiano pochi.»
La luce delle vetrate balugina sulle
sue guance. Le pitture s'illuminano, formando linee e rune leggibili.
Rune sacre d'argento. Linee vitali.
Quella linea.
All'improvviso Járnsaxa ricorda e gli
si mozza il respiro.
Járnsaxa smette di tremare e lo guarda
fisso, quasi ipnotizzato.
«Quelle rune...»
Loki corruga la fronte. «Quali rune?»
«Quelle sul vostro viso.»
Loki si ritrae di scatto. Norne.
Impossibile.
Ma lo sfacciato non sta mentendo: ha
dimenticato di lavarsi il viso, proprio la parte più esposta
del
corpo. Si tocca d'impulso e viene invaso da una profonda
mortificazione.
«Mai viste pitture cerimoniali?»
chiede, cercando di usare un tono disinvolto.
«Non quelle» risponde Járnsaxa.
«Non
la Linea d'Oro.»
La conosce davvero.
Le cose che deve sapere. Le cose che
deve intuire adesso. Loki non ci vuole pensare.
«Cosa puoi saperne tu di
tradizioni sacre.»
Davanti alla sua difficoltà Járnsaxa
sembra riprendersi. Lo apostrofa con un'audacia ammirevole.
«Dimenticate che vengo da una tribù
dell'estremo nord? Tramandiamo la storia di molte pitture.»
Si
avvicina. Loki lo squadra e inarca le sopracciglia,
ricevendo
un mezzo sorriso. «Siete imprudente a mostrarvi. Le persone
sono
imprevedibili... potrei spezzare io la vostra Linea, non ci avete
pensato? Siamo soli, non c'è competizione. In un attimo
avrei voi...
e con voi anche Thor. Per sempre Thor.»
Loki resiste un istante, poi scoppia a
ridere.
«Tu avresti me?» esclama,
sogghignando. «Io avrei te,
Jønirson. Saresti molto
più lontano da Thor di quanto tu non sia adesso –
supponendo che
fossi in grado di cogliermi impreparato» e con un gesto
vagamente
osceno si indica il ventre, aprendo il mantello di piume. Non
c'è
alcuna Linea dipinta, lì.
«Chiunque può esser colto di
sorpresa.»
Deve concederglielo: ha fegato da
vendere, anche se poco giudizio.
«Non ho paura di voi.»
Con un movimento di polso Loki sgancia
Laevateinn dalla cintura del suo kjàlta
e la risveglia.
Laevateinn è una spada e un bastone cerimoniale, un cimelio
imbevuto
di magia che fu forgiato nei tempi andati dai maestri del seiðr
di Vanaheim, e che è passato di generazione in generazione
seguendo
l'albero genealogico di Frigga Fyörgynnsdottir sino ad
arrivare a
lui. È una mutaforma. Sono fatti l'uno per l'altra.
L'innocuo cilindro di uru che
portava al fianco si allunga con la fluidità dell'acqua e,
un attimo
dopo, incide con la punta a picca il pavimento ai piedi dello
sfrontato. Járnsaxa diventa azzurro cenere.
Quanto poco durano gli eroismi degli
arrivisti.
«Non potete uccidermi» balbetta. «Sto
per essere adottato dai sovrani. Sarò principe di
Álfheim.»
Ah, per favore.
«Puoi fare di meglio, cortigiano.»
«Non sto mentendo, Loki-Re. Non
mento!»
No, non sembra mentire. Ma sarebbe una
mossa politica inequivocabile – inequivocabilmente stupida
– da
parte di Freyr.
«Davvero.»
Járnsaxa ha il buonsenso di annuire
soltanto. Loki inclina la testa.
«Allora sono necessarie delle
congratulazioni» commenta, e non sa neanche lui cosa stia per
fare.
«Permettimi di offrirti un dono.»
Járnsaxa reagirà, lo legge in ogni
suo muscolo. Sarà vilipendio della persona reale.
Per fortuna qualcosa li interrompe.
L'ingresso ovest della sala rimbomba con forza una, due volte,
tremando, e i cardini della porta cedono con un fragore. I suoi
pannelli di legno intarsiato si schiantano sul pavimento in una
pioggia di schegge, scivolando a metri di distanza dal muro.
Dall'uscio emergono Gungnir, Thor e Fandral, che avanzano
accompagnati da una guardia.
In un baleno Loki ritira Laevateinn e
la fa sparire.
«Cosa accade, qui?» chiede Thor,
minaccioso, poi sorpreso. «Loki?»
Lui sente caldo, freddo, poi di nuovo
caldo, ma non si scompone. Thor ha visto Járnsaxa e si
è adombrato.
«Che sta succedendo?»
«Discorrevo con Járnsaxa-suddito.»
«Di cosa, se è lecito?» Si lascia
indietro i compagni. Fandral ne sembra felice; ha l'aria di chi
vorrebbe essere all'altro capo della città. «E
perché tutti gli
ingressi sono sbarrati?»
«Oh, pettegolezzi. Vero, Járn?»
Járnsaxa sorride e annuisce a denti
stretti.
«Lui non è più un suddito della tua
corona» dice Thor, stanco e accusatorio in parti eguali. Li
raggiunge e si rivolge all'intruso. «Stai bene?»
Mentre Járnsaxa annuisce ancora Loki
guarda l'uno, poi l'altro, e si avvicina lentamente puntando Thor. E'
incredibile. Solo poche ora prime gli ha detto–gli ha
chiesto–e
ora lo ignora mentre consiglia a quella vulvetta di andare a
riposare–
La temperatura della sala precipita.
D'improvviso Thor gira la testa per parlargli in faccia, mascella
contratta.
«Puoi anche smetterla» sbotta, a
bassa voce.
«Smettere cosa?» chiede Loki
inclinando il capo, tutto miele e cicuta.
«Lo sai.»
«Di farmi incantare dal primo venuto?»
Thor lancia un'occhiata furtiva agli
altri. «Di dare spettacolo.»
«Qui l'unico che dà spettacolo sei
tu» fa Loki, gelido e chiaro. «Come un ragazzino
con le lenzuola
ancora bagnate di seme.»
Járnsaxa indietreggia tenendoli in
vista. Ma Thor non ha occhi che per Loki adesso. Dilata le narici,
occhi azzurri accesi d'ira, e la collera di Loki sorge come un
incendio ad accoglierla, piena di gioiosa violenza.
«Loki–»
L'esplosione di un tuono scuote il
palazzo.
Non era un tuono.
Si guardano l'un l'altro, fra pareti e
suppellettili che vibrano: l'espressione di Thor è
ciò che conferma
i sospetti di Loki. Poi arriva il senso d'oppressione.
Scontro messo da parte, si girano e
corrono verso il fondo del corridoio sfociando nella terrazza che
marca in altezza la metà del
Válaskjálf. Si sporgono dal
parapetto. Sopra la costa il cielo è attraversato da un
tremolio
simile a quello di un miraggio: ondulazioni palpabili dell'atmosfera
che distorcono la percezione dello spazio, e che intensificano a
vista d'occhio – si alzano e all'improvviso curvano verso lo
spazio, rilasciando energia.
L'onda d'urto raggiunge le prime dighe
e i bastimenti all'ingresso dei canali come una mareggiata,
danneggiandoli. Nell'aria si diffonde un brusio crescente. Diventa
una vibrazione violenta.
E poi, nel giro di pochi attimi, il
cielo intorno al vortice scurisce.
Dalle strade s'innalzano grida, inizia
un fuggifuggi intersecato da una frenetica corsa alle armi. Decollano
le prime navette da ricognizione, seguite da quelle blindate. I laser
magici delle torri cambiano coordinate verso il mare.
Il nero tempestoso si allarga a macchia
d'olio, inarrestabile. Presto Asgard sarà al buio se i seiðrmaðr
non fanno qualcosa. Testa gettata all'indietro, Loki osserva col
cuore in gola, lottando per capire.
Non ha mai visto niente del genere in
vita sua, eccetto–di recente–
«Non è possibile» dice, strozzato.
Thor lo afferra per un braccio, Gungnir
coruscante di luce nell'altro suo pugno. «Che
cos'è?»
«Nostra madre–che la portino al
sicuro! È un–»
Il cielo si spacca in due con un boato
sferzante.
Dall'immane occhio nero che si allarga
emergono sei teste cornute di serpente.
|
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Capitolo 13 *** Creature e destini vecchi di eoni ***
Cinque minuti liberi sono da prendere al
volo! Volevo rivedere ancora le parti nuove, poi mi sono detta "basta",
e voi avete (finalmente!) il nuovo capitolo. Scusate per gli update
lenti, ma la vita di tutti i giorni è tanto impegnativa
quanto stancante. Un super grazie a tutti coloro che continuano a
leggere e sostenermi! Questa storia sarebbe ancora nel cassetto se non
fosse per i vostri incoraggiamenti :)
Precisazioni per lettura scorrevole:
- Widi: secondo il Grimnismal era il palazzo di
Víðarr ad Asgard, dove si forgiavano le armi
più terribili.
- Su Ymir: non seguo il canon dei comics ma, in parte, la mitologia
norrena; le circostanze della nascita dello Scrigno sono invece un mio
headcanon (quel poco che accenna Loki)
PS. Sto pensando di cambiare il titolo di tutta la storia in Presso
troni di re incoronati, perché credo che ormai Doveri
non rifletta più la totalità di questo piccolo
mostro. Per cui, se un domani vedete un titolo diverso, non
preoccupatevi, è sempre Doveri ma col
cappotto nuovo ;)
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Creature
e destini
vecchi di eoni
I
Per un attimo,
Asgard si ferma.
Poi il suo
tessuto dimensionale si
deforma. Sotto la spinta poderosa della creatura, accompagnata da
un'onda d'urto che raggiunge e scuote il primo Scudo difensivo sulla
costa, la spaccatura creatasi nel cielo si allarga. Dalle
profondità
oscure del suo vuoto origina un vortice plumbeo le cui correnti
congelano le onde. Con le lunghe corna argentate, le squame bianche e
le creste grigie sui profili vertebrali, il rettile riflette la luce
morente. Protende i sei colli sinuosi oltre l'occhio della breccia e
ulula con voci di tifone.
Thor alza
Gungnir, stupefatto.
«Cos'è
quello?»
Loki sa che
cos'è. Non vorrebbe, ma lo
sa. E' un'idra.
L'Idra, il
flagello del Blárhnöggr.
L'immane
bestia ruggisce contro le
navette che l'attaccano, incurante della magia e dei proiettili che
le scagliano contro. Poi, con un movimento che fa tremare tutta
Asgard, afferra i bordi della breccia e si riversa in mare,
sfondandone i ghiacci.
Subito si
formano mulinelli profondi,
dal cielo nero calano tornadi. Lampi, tuoni e fulmini spaccano
l'orizzonte.
Nelle strade
il popolo fugge, diretto
alle case fortificate e ai rifugi di emergenza. E' il panico.
«Alle
armi! Alle armi!» ordina Thor,
mentre l'armatura da guerra si materializza sul suo corpo.
«Dispiegate le truppe d'emergenza, chiamate i seiðrmaðr
e le Valchirie!» Si volta verso Fandral. «Da'
l'ordine di mettere
al sicuro vecchi e bambini, e trova Sif! Dille di proteggere mia
madre!»
Fandral
annuisce,
poi corre via.
Thor
protende Gungnir, fronte che s'imperla di sudore mentre cerca di
riportare il tempo del regno sotto il suo controllo. In cielo
la breccia si restringe, iniziando a chiudersi.
L'idra srotola il suo corpo imponente.
Nonostante
l'istinto gli dica di reagire, Loki non può che assistere al
disastro. Esposta l'Idra è dieci volte più
imponente di quanto
sembrasse su Jötunheim,
semisepolta dalla neve e dalle nebbie: è immensa. Risuona di
energia
così forte da interferire con la magia urbana di Asgard. Pur
spente,
le torce magiche dell'impianto d'illuminazione mandano sprazzi di
fiamma, mentre i trasporti autonomi su acqua perdono la rotta.
«Loki!»
Interferenza.
La barriera che gli
impediva di aprirsi un passaggio verso Jötunheim.
Ecco la ragione. Era l'incendio di quel seiðr
primitivo a bloccare lo spazio interdimensionale... perché
l'idra lo
aveva invaso. In qualche modo è riuscita a spaccare il fondo
insondabile del cuore di Jötunheim
ed è fuggita attraverso gli spazi di Yggdrasil, sottraendosi
al
sigillo che doveva tenerla quiescente sotto la montagna per altri
millenni. La sola idea della forza necessaria per riuscirci gli mozza
il fiato.
Asgard non
è più stata così in
pericolo dai tempi di Malekith. Non è in grado di affrontare
una
minaccia di quell'entità.
Ma in qualche
modo dovrà farlo, e la
colpa è di Loki, che aveva giurato a se stesso di
non portarle
mai più disgrazia. Forse è sempre solo questione
di tempo, con lui.
Forse ha sempre avuto ragione, e quello è l'inizio del
Ragnarök. Ha
mancato alle sue promesse.
Thor
lo afferra per un braccio. «Loki!»
Ma non hanno
tempo per parlare.
L'idra emerge
dalla cortina di
cristalli che la sua discesa ha causato e punta su Asgard. Avanza
rapida, rapidissima, nuotando con moto poderoso mentre il pack di
ghiaccio che la separa dalla costa si frantuma al suo passaggio. Le
navette in mare aperto la inseguono, altre le vanno incontro.
Il mostro
raggiunge i bastioni costieri
in pochi attimi e si schianta contro il Grande Scudo innalzato da
Heimdall, provocando un tremore che scuote la terraferma fino alle
colline.
La seguono
onde di mareggiata alte come
palazzi, torbide di detriti. Lo Scudo trattiene anche quelle,
lasciandole ridefluire in mare.
Non
riuscirà a sfondarlo. E' rimasto
inespugnato per secoli, da quando Loki è tornato a casa e ha
unito
il suo seiðr
a quello di Thor, di Heimdall e di dieci seiðkonur
per erigerlo a difesa della città intera. Non può
cedere.
Ma l'idra non
è sola nel suo cammino
di distruzione. Mentre indietreggia intontita, sfiatando aria
glaciale, trombe grigie di tornadi si deformano contro la cupola
brillante della barriera. Le bocche del drago congelano lo Scudo, e
sotto lo sforzo la sua superficie di incrina. Poi cede all'assalto di
sei crani corazzati.
Non
più contenuta, la tempesta che
infuria in mare si espande. Il cielo si fa nero sino al Válaskjálf,
sfiorandone la calotta protettiva, nubi e tornadi corrono verso le
montagne di Asgard. La visibilità cala.
A ovest,
decine di navi da guerra
decollano dagli hangar del Widi. La
popolazione continua a fuggire, separandosi dai guerrieri, tutti
diretti alla zona del cedimento.
In un baleno,
Thor ha Mjölnir in pugno
e la brandisce insieme a Gungnir.
Loki sa che
volerà ancora prima di
vedergliela mulinare. E' abbastanza da strapparlo allo smarrimento.
«Aspetta!»
Ma Thor
è già andato. A una parola di
potere, il mantello di piume che Loki indossa viene attraversato da
un tremito. Poi Loki è falco e spicca il volo dal parapetto
della
terrazza.
Insegue Thor
attraverso raffiche nevose
e vortici di detriti, cercando di tenere d'occhio anche l'idra. Non
è
facile, e stanno sbagliando completamente strategia, ma alla fine
riesce a raggiungerlo.
Gli si
affianca con uno stridio irato.
Sorvolano il naviglio principale, veloci, diretti verso il mare. Thor
non dà segno di averlo sentito, e Loki teme che voglia
andare
direttamente all'attacco. Il suo cuore si riempie di angoscia. Non
deve farlo, è troppo pericoloso.
Per fortuna,
quando sono vicini al
punto in cui l'idra ha sfondato la difesa costiera, Thor atterra sul
tetto traballante di un palazzo.
La temperatura
è molto più bassa
rispetto al centro della città. Ghiaccio e neve sono
abbarbicati su
ogni superficie del quartiere, dai muri alle macerie. A poche gittate
di lancia da loro il mare si è ricongelato; ad est, la
città è
avvolta da una tempesta bianca. Uno sguardo veloce alle loro spalle
rivela che i seiðrmaðr
di palazzo lavorano alacremente alle difese ausiliarie, ergendo
contrafforti di energia all'interno dello scudo che protegge il
Válaskjálf.
Loki si
ritrasforma non appena tocca
terra, indeciso tra un'invettiva e un piano d'emergenza. Thor lo
guarda, capelli sferzati dal vento – poi gira di scatto la
testa
dall'altra parte.
«Barriera!»
grida, alzando entrambe
le braccia.
La tormenta
è su di loro, e dalle sue
raffiche emerge l'idra, colli grossi come torri protesi mentre le
navette la mitragliano senza darle quartiere. Loki alza le
mani
e unisce la sua magia a quella di Thor.
La barriera
non durerà.
«Lascia,
Loki!» urla Thor.
«Ritirata!»
Ma Loki
insiste, riversandovi più
forza, e quando l'idra la sfonda è Thor a tirarlo via per il
mantello.
Le teste
cornute ululano, guardandoli.
Forse percepiscono il loro seiðr.
«Non
di là» grida Loki.
Thor muove
istintivamente verso il
palazzo. Sebbene cerchi subito dopo di virare, la mole dell'idra li
blocca: è talmente larga da impedirgli la manovra e, per
evitare le
sue sei bocche, deve schizzare all'indietro protendendo
Mjölnir
oltre la spalla.
Loki emette un
verso frustrato e si
ritrasforma in falco, scivolandogli via da sotto il braccio. Qualche
attimo dopo è in quota grazie alle correnti. Si concentra
– in
forma animale è più difficile –
e attingendo all'energia dello Scrigno degli Antichi Inverni
materializza fra Thor e il drago uno, due, tre scudi abbaglianti.
Le teste
dell'idra serrano gli occhi,
accecate. Le loro strida sono assordanti.
Mentre Thor
approfitta del diversivo
per guadagnare una posizione migliore, fuori dall'ingorgo di venti e
nevischio, due navette d'assalto si affiancano alla bestia e riaprono
il fuoco. Subito dopo convergono sull'obiettivo altri velivoli,
comprese alcune navi alate delle Valchirie.
«Insieme!»
grida Thor, puntando
Mjölnir contro la bestia.
Uniscono i
loro attacchi di fulmine e
magia a quelli dell'armata. Da vicino, le teste del rettile sono
ancora più minacciose (e pericolose). Ognuna ha una spezza
corazza
di placche bianco-azzurre sulla fronte e sulla giugulare,
inframmezzate da spuntoni coriacei di quello che sembra ghiaccio ma
dev'essere osso, e una vera foresta di corna che proteggono tutta la
parte posteriore del cranio, prima di trasformarsi nelle creste
grigie della linea dorsale. Mozzarne anche solo una sarà
un'impresa
titanica.
I loro
tentativi riescono solo a farle
inferocire. L'idra gira su se stessa e sputa getti d'aria
cristallizzata, coi cui colpisce otto navette e crea ponti di
ghiaccio fra i tetti delle case. La sua mole negozia spazio nel fitto
abitato cittadino abbattendo mura, sfondando facciate e inclinando
torri – e più si avvicina al cuore di Asgard
più le strade si
restringono, più la sua furia aumenta. Si porta dietro una
nebbia di
legni e calcinacci. Stucchi pregiati si staccano dai palazzi,
piovendo sui soldati in ritirata.
Thor e Loki si
ritirano e atterrano
sulla torre ovest dei Cancelli, appena fuori dal perimetro del
Válaskjálf e dello scudo a cupola che lo
protegge.
Thor si ripara
il viso con Mjölnir,
finalmente in grado di prendere fiato. Sembra incredulo.
«Cos'hai
combinato stavolta?» chiede.
«Cosa accidenti è quello?»
Loki storce la
bocca. «Non ho
combinato niente. Quella è l'Idra del Blárhnöggr
che dormiva nel Gastropnir.»
Thor si volta.
«A Jötunheim?»
«Sì.
Credevo di averla sigillata.»
La linea di
difesa delle Valchirie sta
cedendo, la città è in preda al panico. In mezzo
a tutto questo,
Thor trova il tempo di parlare.
«Non
sterminato?»
«Le
Idre del Blárhnöggr
sono creature antiche e potenti, Thor» sbotta.
«Più vecchie del
padre del padre di Odino, legate alla terra e alla magia elementale
più pura.»
Qualcosa della
conversazione lo riporta
indietro – oh già, alle mille e una spiegazioni
che doveva
recitare un tempo per colmare le lacune di un fratello. Naturale che
Thor, efficiente ora in tutto, debba scoprirne un'ultima sul
più
bello.
«Sta
venendo qui. Davvero un'ottima
traiettoria quella che le hai suggerito!»
«Non
mi sembra che accetti
suggerimenti» è la risposta di Thor, irritato.
«E le Valchirie
devono cambiare strategia.»
«Non
riuscirai a comunicare con loro
da qui, c'è interefenza.»
Loki indica la
collina sovrana e Thor
risponde con un cenno secco.
Atterrano
stavolta sulla Torre d'Oro,
il magnifico obelisco che segnala e difende la piazza trionfale di
Asgard. Se l'idra la raggiungerà avrà
libertà di movimento per
attaccare il palazzo. In cima trovano anche Fandral e alcuni
seiðrmaðr,
pallidi come latte. Ora che le difese del Válaskjálf
sono rafforzate stanno coordinando l'evocazione di un corridoio
magico che impedisca all'idra di spostarsi dall'attuale traiettoria,
per poi sbarrarle il passo. Gli altri punti focali dell'incantesimo
(mura e torri e osservatori) ne proiettano già le
fondamenta, ma ci
vuole tempo.
«Dobbiamo
fermarla» dice Loki. «O
almeno ricacciarla indietro.»
«Tu
sai come combatterla?» chiede
Thor.
«Credi
che sarebbe qui se lo sapessi?»
risponde, inacidito dal senso di colpa.
Thor annuisce
in modo vago, poi corruga
la fronte.
«Non
importa» afferma, deciso,
brandendo Gungnir e Mjölnir. «Abbiamo affrontato di
peggio. Dovremo
solo improvvisare.»
A Loki scappa
una risatina sarcastica,
ma l'effetto è rovinato dall'idra, che fa crollare un
palazzo a un
isolato da loro. Le navi da guerra la circondano come un nugolo di
mosche, e ora sembra davvero infastidita dalle loro bordate –
ma
anche distratta.
«Hai
con te lo Scrigno?» chiede Thor.
«Sempre.»
«Allora
attacchiamola insieme.»
Loki tende la
mascella, poi annuisce.
Mentre i loro
corpi iniziano a
corruscare di luce azzurra e dorata, osservano l'avanzata del nemico
misurando il respiro, contando i secondi. Presto le Valchirie
dovranno interrompere il fuoco per non colpirli. Saranno l'unica
barriera tra la bestia e il palazzo.
L'idra avanza
senza perdere impeto.
Poi, all'improvviso, uno dei suoi colli si piega e cala fulmineo tra
gli edifici di un quartiere, riemergendo con un cavallo terrorizzato
tra le fauci. La testa mugghia, vittoriosa, e inghiotte l'animale. Le
altre teste si avvicinano, eccitate, fiutando il sangue.
«Norne
misericordiose» mormora
Fandral mentre l'idra inizia a tracciare i movimenti di prede a loro
invisibili. «Non oso immaginare quanta carne possa stare in
quel
colosso. E quale.»
«Non
abbiamo intenzione di scoprirlo»
afferma Thor, tra i denti.
L'idra afferra
un altro cavallo,
stavolta con cavaliere.
In cielo, le
navette si disperdono in
tutte le direzioni. Loki afferra Gungnir posando la mano sul pugno di
Thor e la magia che scorreva tra loro confluisce sulla punta della
lancia.
Avanzano
insieme di un passo. Una
colonna di energia erompe dall'arma, inondando di luce l'intera torre
e tagliando l'aria sino a colpire il petto dell'idra. La bestia
ruggisce, colli che si inarcano. Quando il fascio di energia
esaurisce, Thor solleva Mjölnir e chiama a sé il
fulmine,
dirigendone i molti bracci sul bersaglio.
Questo lo
sente. L'idra ruota su se
stessa, cercando di sfuggire all'assalto. Mentre sputa grandine
contro le Valchirie, la sua coda colossale compie un arco parallelo
alla terra e frusta verso la Torre d'Oro.
«Via
via!»
La sua base
viene quasi sventrata.
Devono abbandonarla al volo.
In quel
momento, dai baluardi
fortificati di Asgard proviene il suono del corno da guerra di Týr.
Subito dopo, quattro raggi di energia pura esplodono dal cuore delle
loro merlature e convergono sull'idra, così intensi da
bruciare
l'aria. Sono le Grandi Difese, finalmente pronte.
L'idra stride,
poi scompare nella
caligine di un'esplosione.
Thor, Loki e i
seiðrmaðr
non impegnati proteggono quanta più città
possono. I due re
atterrano dentro lo Scudo del palazzo.
Quando il
polverone dirada, tuttavia,
le loro speranze subiscono un duro colpo.
Non ha
funzionato. Non
ha
funzionato.
L'idra
è ancora in piedi. Gli attacchi
hanno spaccato la sua corazza, lasciando profonde voragini che
fumano, ma sul suo corpo si stanno già formando a chiudere
le ferite
scaglie e speroni di ghiaccio. Barcollando solo per qualche passo,
occhi troppo intelligenti che riconoscono le sorgenti del suo dolore,
cambia direzione. Per grazia delle Norne non si avvicina al
Válaskjálf.
Thor guarda
Loki e ritira Gungnir. A
Loki non piace la sua espressione angosciata. «Dobbiamo
ritentare.»
«E
come?» chiede, rispondendo
istintivamente al suo pessimismo.
«Non
potrà resistere a lungo a quegli
attacchi. Con la buona mira di Týr
e le nostre armi riusciremo ad abbatterla.»
Quella frase
rimette in moto il
cervello di Loki. «Thor. E se svuotassimo la
Tesoreria?»
Lui corruga la
fronte, riflettendoci;
la situazione è abbastanza grave da meritare l'uso dei
tesori di
Asgard, ma sembra riluttante.
«E'
solo un drago, maledizione.»
Loki ride.
«Non è solo un
drago.»
Thor prende un
respiro profondo e
annuisce. «Sì. E forse è proprio
quello. Non lo so, Loki. C'è
qualcosa in quella creatura che mi fa desiderare di tenerle il
palazzo e i suoi segreti ben chiusi.»
Sulla
città la tempesta va
affievolendo.
In quel
momento, sempre incalzata dalle
bordate delle Grandi Difese, l'idra scorge il limpido percorso del
Bifrost. Con un ruggito lo raggiunge, saltando o demolendo le
costruzioni. La sua via verso il palazzo è completamente
libera,
ora.
Thor esce e
chiama altri fulmini,
mentre Loki tesse tutte le magie protettive che conosce, il lungo
processo di pronuncia e impostazione in contrasto con la tensione che
vuole spezzargli le parole.
L'idra
rallenta, ma è inarrestabile.
«Che
cosa facciamo?» esclama Thor,
voce che si perde nel vento.
Loki non
riesce a pensare.
«Loki,
che
cosa facciamo?»
«Non
lo so!» gli urla contro.
L'idra
però non sta caricando il cuore
di Asgard. Si ferma. Due delle sue teste fiutano l'aria, e una ad una
tutte le altre seguono il loro esempio, inclinandosi verso
l'entroterra.
E' una strana
danza, minacciosa e
incomprensibile. E' come se ascoltasse stimoli che vanno oltre il
fisico e il magico, e quasi certamente è così.
Nonostante il
pericolo, al pensiero delle sue capacità primordiali Loki
non può
reprimere un brivido di esaltazione.
Poi accade
qualcos'altro. Sembra che
sulla schiena bitorzoluta dell'idra ci sia uno smottamento.
«Che
diamine–» fa Thor.
Con un rumore
di cuoio, la bestia apre
due ali incrostate di sale e le distende. Sono nere, larghe quasi
quanto il Válaskjálf. Gli speroni che le
percorrono tagliano l'aria
con un sibilo, graffiando gli edifici che fiancheggiano il Bifrost e
liberando una pioggia di detriti.
Spicca il volo
con una spinta
impressionante per una creatura così goffa, colli protesi
come
frecce. Lo spostamento d'aria scoperchia alcuni tetti e rimescola le
nubi più basse, schiarendo parte del cielo. La sua ombra
corre sulla
città dirigendosi a est.
«Norne»
mormora Thor.
II
Járnsaxa
non crede ai suoi occhi.
Quello che ha
davanti, quello che vede
nella luce nitida e inconfutabile di Asgard è un'eco del
mito di
Yggdrasil, un frammento primordiale della creazione che fino ad oggi
persisteva soltanto nella leggenda. È impossibile, ma, pur
non
avendone mai vista una prima d'ora, non dubita. È un'idra
dalle sei
teste (Ghiaccio,
Neve, Grandine, Tifone, Bora, Disgelo).
È
una supernova di potere. Calpesta
Asgard come un demiurgo coi simulacri del mondo, appena sfiorata
dagli attacchi della difesa; almeno finché non compaiono
Thor e
Loki-Re.
Nella gelosia,
Járnsaxa non può
reprimere un moto di ammirazione. La sintonia in battaglia dei due re
lascia senza fiato. Sono due furie della natura. Neppure un'Idra del
Blárhnöggr può
sperare
di resistere.
Eppure,
incredibilmente, resiste. Una
spira colossale urta la base della Torre d'Oro e l'altissimo edificio
trema, geme, s'inclina. Mentre la sua ombra aguzza si allunga sul
viale, Loki e gli altri seiðrmaðr
della capitale uniscono le loro forze per rallentarne il crollo,
mentre Thor li copre.
Poco dopo, con
una spinta tremenda,
l'Idra approfitta della distrazione per staccarsi dal terreno e
spiccare il volo.
III
L'idra si
ritira su una delle colline
periferiche, ai piedi delle montagne
bagnate dal lago Aerinmund. La tempesta la segue,
tramutandosi
in foschia densa, dalla quale fuggono alla spicciolata persone,
trasporti e animali.
Thor e Loki
tornano sulla terrazza
dalla quale sono partiti, presso la sala del trono, decisamente
più
sporchi e ancora più esausti. Mentre riprendono fiato
vengono
raggiunti dai primi ingranaggi della macchina da guerra asgardiana.
«Sta
sterminando la mandria degli
Haraldir al Folkvangar»
annuncia un uomo di Týr,
trafelato.
«Meglio
i buoi che la gente» commenta
Loki.
Thor fa una
smorfia, perché conosce
bene gli Haraldir.
«Il
generale propone di accerchiarla
con tutta la nostra forza bellica e abbatterla approfittando della
posizione» continua l'uomo.
«Non
basterà» dice Loki. «Ci vuole
una potenza di fuoco diversa.»
L'ufficiale lo
guarda con una curiosità
non del tutto rispettosa. Ex-principe del regno o meno, sembra voler
dire, il re di un altro mondo non ha voce in capitolo sulle strategie
di Asgard. Non per niente è della scuola di Týr.
Anche
se Loki non dà segno di farci caso, Thor sente montare
l'irritazione.
«Di'
a Týr
di venire qui» fa, senza troppe cerimonie.
«Riunione d'emergenza
del consiglio di guerra.»
L'ufficiale
esita un istante, poi saluta e corre verso il suo trasporto. Loki
scambia alcune parole con i tre seiðrmaðr
che lo hanno raggiunto, indicando vari punti della città.
Dopo una serie
di messaggeri più o
meno urgenti rimangono soli. Il palazzo è intatto, la
città molto
danneggiata ma ricostruibile, e i morti sorprendentemente pochi.
L'idra è una nube lontana. I suoi stridii gutturali si
confondono
col suono del vento, gelido come quello di Jötunheim; al di
là dei
danni fisici provocati dal suo passaggio, lo sbalzo di temperatura
sta iniziando a uccidere le piante, i piccoli animali della campagna
cittadina. Devono agire, e subito.
«Ha
fame» osserva Loki, cupo. «È
rimasta sopita per eoni. Ora che è libera e si è
sfogata vuole
nutrirsi, crearsi uno spazio, recuperare le forze.»
A Thor scappa
una risata ironica.
«Recuperare le forze?»
Loki non
può che rispondere con un
sorriso simile.
«Il
ghiaccio si espande e stabilizza.
Si sta creando una tana confortevole.»
Il volto di
Thor indurisce. «Non
dobbiamo permetterglielo.»
«Esattamente
quello che pensavo.» Un
battito e: «Se non vuoi usare il Tesoro, forse c'è
un'alternativa.»
«E
quale?»
Loki si gira
verso di lui, rotea i
polsi all'altezza della vita e tra le sue mani si materializza lo
Scrigno degli Antichi Inverni. Alla luce pulsante del suo cuore, il
viso di Loki sembra coperto di brina.
«Si
dice che le idre del Blárhnöggr
siano nate dalle gambe di Ymir, quando partorì dalle braccia
il suo
primo figlio e la sua prima figlia*. E si dice che lo Scrigno fu
creato poco dopo dal suo respiro. Storielle a parte, se davvero
è
antico quanto loro, forse sarà in grado di uccidere quella
bestia...
o almeno di fermarla.»
Thor
non è sicuro di approvare quel piano. «Quanto
vicino dovresti
trovarti?»
«Almeno
sulla riva del lago. Senza interferenze.»
Scuote
la testa. «E' troppo pericoloso. Se non
funziona–»
«Scapperò
in gran fretta» interrompe Loki, con un sorriso acuto.
«Non
dimenticare che l'ho già affrontata.»
Ricordarlo
provoca a Thor una fitta d'angoscia. È successo quando non
si
parlavano da settimane; Loki ha avuto bisogno di lui e non si
parlavano.
«Ma
cosa è accaduto su Jötunheim?»
«Te
lo dirò dopo. Ora non c'è tempo.»
Quando
arrivano al lago, tuttavia, hanno una pessima sorpresa. La via
è
sbarrata. Dove poco prima si innalzava una delle più belle
colline
di Asgard si erge ora un piccolo ghiacciaio, cristallino e
impenetrabile. Sotto la sua superficie si intravedono le spire
dell'idra;
sembra finalmente provata dalla lotta, dal calore
di Asgard, e Thor non stenta a credervi perché, nonostante
il suo
immenso potere, quella bestia ha attraversato lo spazio oscuro che
separa i mondi. Anche le energie di un colosso prima o poi scemano.
«Heimdall,
puoi contenerla?» chiede.
Loki lo guarda
e capisce. «Aspetta.»
Mentre dal
lontano Osservatorio si
protende il fascio di uno scudo, richiama lo Scrigno e lo apre.
L'energia che ne emana si riversa scintillante sul ghiacciaio,
scendendo e scivolando sotto la superficie della terra, oltre le
rocce, le radici e le falde acquifere. Quando è chiusa come
un
globo, Loki chiude lo Scrigno. Lo scudo di Heimdall si posa sul suo,
coprendo d'oro l'azzurro, e all'improvviso i venti gelidi cessano di
soffiare.
Lentamente, il
cielo schiarisce, la
temperatura sale. Sembra quasi che la natura tiri un sospiro di
sollievo.
Thor di sicuro
non ha remore a farsi
sentire.
«Aspetta
a cantar vittoria» commenta
Loki. «Abbiamo ancora un'idra viva da affrontare e poco tempo
per
decidere come. Questa è solo una tregua.»
«Già.
Manderò tutti i seiðrmaðr
a
posare altre barriere. Finché non abbiamo una soluzione non
deve
uscire di lì.»
«Prega
che tenga più della barriera che avevamo creato a Jötunheim.»
Thor
annuisce, esausto. Resta a fissare l'enorme problema che si
è
trovato per le mani, poi offre a Loki la mano e solleva
Mjölnir.
«No,
grazie. Torno da solo.»
Già...
l'idra non è l'unico problema da risolvere.
IV
Ora che la
catastrofe è scongiurata,
almeno nell'immediato presente, Loki ha il tempo per assorbire tutto.
Asgard avrebbe potuto essere rasa al suolo, e potrebbe esserlo
ancora. Non sa di cosa sia capace un'idra al massimo del suo potere,
ma se n'è fatto un'idea. Dopo la notte quasi insonne, il
combattimento vigoroso e la creazione dello scudo si sente mancare le
ginocchia.
Per non
rinunciare alla sua dignità,
si sposta tra le colonne che abbelliscono il passaggio aperto del
Sökkvabekkr e si appoggia al fusto di un pilastro portante, in
mezzo
all'architettura decorativa. Chiude gli occhi, respirando
profondamente contro la pressione dell'emicrania. Il caldo la sta
peggiorando; alla fine cede e torna al suo aspetto asgardiano,
materializzandosi addosso una tunica e calzoni verdi. Non ha molto
tempo da sprecare; re straniero o no, Asgard ha bisogno di lui.
Ma la zona
è tranquilla e fresca e lui
rimane più del dovuto. E' lì che Thor lo scova,
provando ancora una
volta che il suo fiuto non ha eguali. Non ha Gungnir – deve
averla
lasciata nel cuore del Válaskjálf,
dopo aver decongestionato le prime fasi
dello stato di
emergenza.
«Come
stai?» chiede, occhi azzurri
che corrono sul suo viso.
Loki si sfrega
i residui di pittura
dorata sulla fronte, evasivo. «Dovrei cercare nostra madre.
Vedere
se sta bene.»
«Sta
benissimo. E' col capo
seiðrmaðr...
sotto
la sua direzione
sembrano
tornati tutti scolaretti.» Un sorriso storto.
«Non
vorrà combattere!»
È
lo spavento a renderlo brusco – lo
shock ancora vivo del pericolo. Thor non ci fa caso.
«Vuoi
spiegarmi ora cos'è successo? Perché quella
bestia è qui?»
C'è
poco da spiegare, alla fine. Le
voci sospette, l'allarme nel Gastropnir, i troll – e
all'improvviso
un segreto della vecchia Jötunheim
che si risveglia, uscendo dall'oscurità che l'aveva
strappato alla
memoria.
«Credevamo
di averla sopita di nuovo» finisce Loki, spalle cascanti
sotto il
mantello di piume. «Non era riuscita a liberarsi dal peso
della
montagna, perché nei millenni il ghiacciaio era cresciuto,
ed è
stato possibile attaccarla in triangolazione. Invece...»
Invece,
in qualche modo, hanno fallito e non potendo smuovere il peso
colossale del ghiacciaio l'idra ha scavato, e scavato, sfruttando
chissà quali crepe e correnti magiche, fino ad aprirsi una
breccia
sugli spazi oscuri della galassia. Fino a scorgere in lontananza il
faro dorato di Asgard.
«C'erano
segni del suo arrivo.»
Il
viso di Thor s'illumina di comprensione. «Le aurore. Il
freddo.»
«Non
solo. Fino a stamattina, forti interferenze negli spazi di Yggdrasil
impedivano qualunque viaggio interdimensionale. E' per questo
che»
Loki esita «che non sono tornato a Jötunheim.
Era impossibile.»
Thor aggrotta
la fronte, poi sembra
assorbito da altre considerazioni. Alla fine gli scappa una mezza
risata, che si trasforma presto nella sua magnifica risata di petto.
È il suono che Loki ama di più al mondo.
«Una
vita a cacciare mostri di ogni
tipo, forma e dimensione» dice Thor, posandogli una mano tra
la
spalla e il collo, stringendo per avvicinarlo. «Solo tu
potevi
trovarne uno nuovo, Loki, e il più colossale di
tutti.»
«Non
è stato intenzionale» è la sua
stordita protesta.
«Non
ho detto il contrario» fa Thor,
toccandogli la guancia sinistra col pollice. «Questo lo rende
ancora
più eccezionale.»
Loki espira
fra i denti; Thor lo sfiora
con maggior delicatezza.
«Sei
ferito... una scheggia?»
«È
solo un graffio.»
Loki
è stanco, teso, sa che resta
un'infinità di cose di cui occuparsi, ma non può
farne a meno.
Continua a fissare Thor che lo tocca con amore, scarruffato e
meraviglioso sotto la nuova luce del sole. Un dito preme sulla sua
guancia tagliata per fermare il sangue; poi Thor lo sta baciando con
trasporto. Loki chiude gli occhi e gli afferra il polso, gli passa il
braccio libero dietro il collo, cozzando di schiena contro il
pilastro.
Sì,
questo. Questo. Quanto gli è
mancato. Quanto–
Thor gli
affonda le dita in un fianco.
In un lampo rivede la Linea, le loro stanze, il suo sguardo. Gira la
testa dall'altra parte.
«No.»
«Loki?»
«Sono
ancora in collera con te.»
Thor esita,
sbilanciato, poi sfiata una
risata. «Tu sei in collera con me?»
Proprio in
quell'istante qualcuno esce
dall'ala che collega il Sökvabekkr al resto del palazzo, li
vede e
si avvicina con trafelata circospezione. Oh, di tutti i
seccatori–
«L'idra»
esordisce Járnsaxa,
spettinato ad arte. «Vi ho cercato ovunque per diverlo,
Thor–credo
di sapere come–»
«Vattene»
fa Loki.
L'intruso si
rivolge a Thor, il quale
siano lodate le Norne lo congeda.
«Dopo,
per favore.»
Járnsaxa
risponde con un sorriso di
circostanza, s'inchina e si allontana, lanciando loro qualche
occhiata.
Loki osserva
la ritirata di Jàrnsaxa e
poi Thor, e poi ancora Járnsaxa, sdegnoso.
«Non
credevo che lo avresti cacciato
via. Pensavo ti fossi abituato alla simbiosi con quella
piattola.»
Thor stringe i
denti, sospirando.
«E'
ragionevole e intelligente. Credo
che potrei anche farne la regina di Asgard.»
«Che
bell'affare concluderesti» dice
Loki, pieno di sarcasmo. «E che faccia tosta a dirmelo, dopo
la
proposta di ieri.»
La sua faccia
ha una contrazione, come
quando gli sfuggono parole che non voleva dire. Oh, non è il
momento, Thor non ha energie per ricominciare questa discussione:
è
pesto e sudato e sporco di sangue, terra, intonaco, di bava di drago;
vuole solo lavarsi e chiudersi in intimità col concilio di
guerra.
Ma a questo punto sa che se vincerà, vincerà per
pura resistenza.
La goccia scava la pietra, si dice.
Con uno
sguardo critico alla città,
dove si stanno muovendo le prime squadre di soccorso, osserva:
«La
mia non è l'unica proposta che ricordo.»
Loki inspira.
«Lascia perdere quella.»
«Perché
mai?»
«Non
ne parlerò qui.»
«Non
è più sul tavolo delle
trattative? Oppure hai solo paura di concedere quell'ultimo
punto?»
Gli occhi
verdi di Loki si dilatano e
lo trapassano.
«Lo
è o no?»
«Come
osi sminuire una cerimonia
sacra–»
«Come
osi tu mercificarla? Come osi
ricattarmi
con la promessa del tuo amore?» ribatte
Thor, muso
a muso con lui.
Basta basta
basta.
«Non
ti ho mai ricattato!»
«E
ti offendi se considero altri–»
«Ovviamente.»
«–quando
tu non hai fatto altro
negli ultimi mesi!»
«Non
ho fatto niente del genere!»
«Ah
no?» esclama Thor, con un sorriso
che è più smorfia ferale. «Ma che
bugiardo. Neghi, neghi sempre,
perché dovrei crederti?»
«Perché
non è questo che voglio per
te!» sibila Loki.
Thor si passa
le mani fra i capelli.
Diventerà grigio molto prima di suo padre, ormai
è una certezza.
«E
cosa vuoi, allora?» chiede,
disperato.
«Lo
sai benissimo.»
«No,
non lo so, Loki. Dimmelo tu. Ti
ho offerto me stesso, il mio regno, la mia
discendenza–»
Lui ride.
«Quante volte devo
spiegartelo?»
«Comincio
a credere che in realtà
siano tutte scuse.»
Loki si sente
gelare, e per lui non è
mai stata una bella sensazione. «Scuse per cosa?»
«Per
liberarti di me, concludendo la
tua vendetta con anni d'incertezza e tormento.» Thor smette
di
fissarlo e respirare è meno penoso. «Io ti
conosco, Loki. Non ho
mai sottovalutato la tua capacità di mantener vivo il
risentimento.»
Questa
è la pugnalata peggiore, perché
in questi secoli Loki gli ha dato tutto – la sua fiducia, il
suo
amore e perdono e penitenza. Non c'è velo che non abbia
strappato.
«Sei
ingiusto» dice.
«Lo
sono?» chiede Thor.
Un silenzio
troppo lungo.
Thor sospira,
avanzando e
indietreggiando con l'indecisione di chi non sa se restare, ma vuole
farlo. Alla fine resta.
«Cos'è
che vuoi per me, Loki?»
Lui stringe i
pugni. «Pace. Un regno
di pace e prosperità, alleati fedeli.»
«Questo
è collaterale.»
«Belle
parole in bocca a un sovrano!»
Thor lo
guarda, penetrante. «Politica,
politica, politica» dice. «Che cosa farai quando le
famiglie di
Jötunheim premeranno per farti rispettare la tradizione?
Prenderai
un hrimthurs come Secondo
Consorte?»
Loki lo
fulmina con gli occhi. Oh, che
idiozie.
«Questo
mai.»
«Davvero?»
«A
cosa mi servirebbe un hrimthurs,
a parte farmi aprire in due quando cercasse di scoparmi?»
Qualcosa di
quella volgarità sembra
attenuare la frustrazione di Thor, che inarca le sopracciglia.
«Già»
fa Loki, acido.
«...E
dunque? Che cosa vuoi davvero
per me?»
Loki stringe i
denti, i pugni, gli
occhi.
«Che
cosa?»
China il capo.
Non può che dire la
verità, alla fine. Nessuno ha mai saputo strappargli la
verità come
sa farlo Thor, perché Loki non desidera niente
più di quanto
desidera la sua stima.
«Me.»
Il vento passa
fra le colonne ariose
del cortile, inghiottendo qualsiasi risposta. Loki rialza il mento.
«Me,
per sempre, a qualunque costo. E
agli inferi tutti gli altri.»
Thor lo fissa
senza dire niente. Loki
si sente infinitamente stupido. Ha rovinato tutto.
E'
ciò che sapeva e voleva sentirgli
ammettere, e lo spirito di Thor gioisce. Ma non lo mostra. La
vittoria non è ancora sua.
«Se
è così» dice «se è
così,
perché esiti? Come puoi non
essere grato
alla fortuna che ci è stata concessa–avere dei
figli nostri–»
«Sì,
che dovrei partorire io!»
ringhia Loki, mostrandogli i denti e puntandosi violentemente un dito
contro il petto.
Con lentezza,
Thor posa il palmo sul
suo pugno e glielo abbassa; Loki lo guarda come un animale sul punto
di attaccare, ed era tanto, tanto tempo che Thor non lo vedeva
così
vulnerabile.
«Io
non sminuirei mai il tuo
sacrificio, Loki.» Gli occhi verdi si dilatano. «E
farei sì che
nessuno potesse provarci.»
«Non
puoi controllare la mente dei
tuoi sudditi e compagni d'arme, Thor. Se è per quello, non
potresti
controllare neanche la mia. Io sono cresciuto da principe!
Sono un mutaforma che si sente uomo nella pelle di un lupo, di un
falco o di uno Jötun. Non
posso neanche considerare l'idea di andarmene in giro a governare con
la pancia gonfia come quella di una fornaia!»
Quando finisce
ha il respiro affannoso.
«Allora
li avrò io» dice Thor.
Qualsiasi
risposta si aspettasse Loki,
non era questa. Lo guarda come se avesse parlato farneticando.
«Cosa?»
«Li
avrò io» ripete Thor,
riconoscendo i meriti dell'idea a ogni secondo che passa. «Tu
e
nostra madre siete i migliori seiðrmaðr
del millennio. Troverete il modo, e io sarò regina di Asgard
per il
tempo necessario.»
Loki
è rimasto a bocca aperta.
«Tu
sei completamente pazzo» dice,
quando ritrova la parola. Un sorriso incredulo gli tira gli angoli
della bocca, ma la sorpresa è ancora troppo grande.
«Dici sul
serio... e sei pazzo da legare. Ti rendi conto di quello che hai
detto? Sai cosa significherebbe veder sparire il
Padretutto–»
«Non
sparirei di certo.»
«Oh
sì, garantiresti la sicurezza dei
nove regni rimbalzando ovunque.»
Un rumore di
sirene li riporta alla
realtà. La luce del pomeriggio allunga le ombre delle
colonne,
ricordando loro che il tempo corre e c'è molto da fare, e
persone da
consolare, oltre a un'idra da sconfiggere.
«Pensaci»
dice Thor, muovendosi per
lasciare il cortile soleggiato.
Loki lo guarda
in silenzio, ma la sua
espressione è cambiata. E' come se il senso dell'ultima cosa
che gli
ha detto lo avesse raggiunto solo ora. Lo fissa come se lo vedesse
per la prima volta, e anche questa è un'espressione che non
gli
mostrava da tanto. Poi distoglie lo sguardo.
«Andrò
a Jötunheim a radunare
combattenti esperti» dice. «Tornerò
stanotte, se non ci sono
emergenze. Del resto parleremo dopo.»
E'
già qualcosa.
V
Nessuno ha
notato la sua assenza.
Prima di
lasciare Jötunheim Loki ha
sospeso tutti gli impegni formali, non solo perché quel
mattino
contava di festeggiare privatamente ad Asgard, ma anche
perché è
usanza mettere in pausa i procedimenti della cosa pubblica nei giorni
che precedono il Solstizio d'Inverno.
La festa cade
alla fine della
settimana. Durante quella lunghissima notte lo Scrigno
raggiungerà
il picco del suo potere, e così Jötunheim, che
rinnoverà le
proprie forze per l'anno venturo. Utgarð
e il regno si preparano alle celebrazioni, organizzando le cerimonie,
creando giardini di ghiaccio per gli spazi aperti e sculture,
bassorilievi, colonnine e guglie e sottilissimi coronamenti aerei per
gli edifici. Al Solstizio il potere dello Scrigno li
illuminerà
tutti, innervandoli di luce interiore come di solito innerva il cuore
del palazzo reale.
Gli
Jötnar sono nel pieno dei lavori.
Quindi nessuno ha avuto tempo di notare la breve assenza di Loki,
né
ha tempo di accorgersi del suo ritorno – nessuno tranne una
persona. Angantýr lo intercetta in un passaggio secondario
del
palazzo, quando la sua mente è già proiettata sul
discorso che
dovrà tenere per convincere i generali che combattere
un'idra è una
necessità.
Quando non
trova traccia della Linea la
sua espressione, già sospettosa, si fa tragica.
«Niente
melodrammi» ordina Loki.
Per tutto il
suo competente sussiego,
Angantýr sa essere una
vera lagna quando le cose non vanno "secondo buonsenso".
«Mio
Re...»
«C'è
stato un contrattempo, tutto
qui.» Loki lo oltrepassa con fare spiccio. Poi non resiste e
si gira
a guardarlo, sorriso che mostra troppi denti. «Sono certo che
persino tu troverai giustificato il ritardo.»
Quando
saprà dell'idra gli verrà un
colpo.
La riunione
coi generali disponibili va
nel solo modo in cui poteva andare: accoglienza mista fra sete di
gloria, preoccupazione e rifiuto. L'emergenza scoppia in un momento
poco propizio, Loki lo sa bene; salvo guerre inevitabili, gli
Jötnar
non amano combattere nella settimana del Solstizio d'Inverno. E qui
si tratta di affrontare un nemico eccezionale per aiutare Asgard. Non
tutti hanno dimenticato il passato; sono ancora in vita Jötnar
cui Odino ha distrutto le esistenze, e che ora vorrebbero distruggere
quella di suo figlio "e della sua puttana". Loki ha cercato
di rimediare al dolore, e schiacciato la ribellione quando non
ciò
non era possibile. Il suo non è un trono compassionevole. In
un modo
o nell'altro esce sempre vittorioso. E oggi Thor avrà
i suoi combattenti esperti.
Loki
restituisce lo Scrigno al suo
plinto, posto alla sommità del palazzo, e mentre il cuore
del
pianeta pulsa si gira a osservare la piana di Utgarð,
incorniciata di spire azzurrine.
Le lune di
Jötunheim sono sette,
piccole e inanellate di crateri. Durante la notte riflettono la luce
gialla di un sole che scompare troppo spesso dietro le tormente. In
quel momento cavalcano l'orizzonte sereno, sospese sulle montagne, e
paiono cavalieri in fuga a lume di lanterna.
Gli ricordano
Thor.
Loki
è re e padrone dell'Inverno, il
Cuore dello Scrigno. Con intuito e lungimiranza ha salvato
Jötunheim
dalla rovina, quella stessa rovina che un tempo avrebbe elargito
senza esitare. L'ha fatto pagando il prezzo dei suoi errori; l'ha
fatto scoprendo, una volta sfatata la demonizzazione di un'antica
guerra, le qualità della terra in cui è nato, e
meritando il
rispetto di gran parte dei suoi sudditi.
Loki fa il suo
dovere con orgogliosa
dedizione, perché non è più l'uomo di
un tempo. L'esperienza gli
ha dato nuove prospettive.
Ma non
dimentica com'è arrivato a
tanto e, se in passato questo gli avrebbe provocato risentimento, ora
può solo accettare la verità. Senza Thor, il suo
regno è grigio.
Thor sa animare Jötunheim come ha animato il cuore di Loki;
è il un
porto sicuro di cui ha bisogno, l'unico che possa capire.
E
verità ha detto Loki al Sökkvabekkr.
Ciò che vuole per Thor è tutto ciò che
vuole per se stesso – che
si appartengano sino alla fine dei loro giorni, senza compromessi.
Resta da vedere se avrà il coraggio di provarlo.
La ridicola
proposta di Thor (oh, che
idiozia) non attenua
le sue paure. Il problema va ben
oltre il lato materiale. Lo terrorizza l'idea che il benessere e la
crescita psico-fisica di creature che non sanno ancora distinguere il
bene dal male dipendano da lui.
E poi... poi
non ha mai dimenticato le
visioni rivelategli dal Sonno delle Norne. Quell'incantesimo creato
per svelare il futuro gli aprì invece le porte di un passate
trascendente ere e incarnazioni, mostrandogli cos'era lui, che
cos'era Thor, e la loro storia; il loro orribile destino, di cui
restano echi nelle leggende scritte dai bardi di Álfheim e
Midgard,
certo dotati della Vista.
Non l'ha mai
scordato. Da allora vive
nel timore di vederlo ripetersi. Secoli orsono, appena compresa la
natura delle visioni, fu sul punto di andarsene per proteggere Thor e
Frigga dal pericolo. Ma allora si lasciò convincere a
restare,
perché desiderava troppo ciò che Thor gli
offriva, e perché era un
debole. Lo sarà sempre, quando si tratta di lui.
Può ribellarsi,
antagonizzarlo, combatterlo, sminuirlo in pensieri e parole... ma il
risentimento non supererà mai l'amore. Mai.
E anche se
adesso ha prove molto
tangibili del pericolo...il suo desiderio è più
forte della paura.
L'amore che lo ha cambiato per sempre lo sprona a perseverare.
C'è
solo una cosa che deve scoprire.
Una persona che deve vedere, prima di decidere.
Sarà
anche l'occasione per fare giuste
rimostranze.
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Capitolo 14 *** Interludio -- Visite diplomatiche ***
Note: vi avevo promesso un
nuovo capitolo presto, ed eccolo qui. Corto, lo so, ma è un
interludio! E ho cambiato il titolo alla storia, come anticipato~
Chiarimento
lampo: Gerð è Jotun e, come spiegava
Jarnsaxa qualche capitolo fa, tra gli Jotnar è tradizione
pensarsi/riferirsi al femminile quando aspettano un figlio (mio headcanon). Per i
significati di béra e geta vi rimando alle note del cap. 11.
Buona lettura!
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- INTERLUDIO -
Visite
diplomatiche
Gerð
è seduta al tavolino da
toeletta, fra cuscini di piume e velluto, gambe sollevate su un pouf
(Valhalla per i suoi piedi gonfi).
Il suo tempo è vicino. Una stanza
buia e candele aromatiche la rilassano ancora, ma nel suo corpo
scorre una tensione sotterranea che conosce bene. Al travaglio
potrebbero mancare giorni come poche ore.
Posa la spazzola, stanca. Se quello
sciocco di Járnsaxa fosse lì potrebbe pensare ai
suoi capelli, e
alle sue spalle, e alla schiena che la sta uccidendo. Invece l'ha
abbandonata per correr dietro a due gambe asgardiane, lasciandola con
guaritrici ansiose e un marito anche troppo rilassato. Per colmo di
affronto, Gerð non sa neanche cosa stia facendo il disgraziato.
Járnsaxa non la contatta da una settimana, evento raro
quando è in
viaggio diplomatico, e lei comincia a sospettare
che sia
chiuso nella camera di Thor Odinson a sfondare il letto con lui;
oppure sei metri sottoterra, mentre Thor ignaro sfonda il letto con
l'esecutore.
Oh, il mal di schiena la rende sempre
volgare. Non importa – è comunque colpa di
Járnsaxa.
Prende uno stupido barattolo di crema
dal ripiano, disturbando boccette e gioielli. Poi alza gli occhi
sullo specchio e il barattolo le cade di mano.
Dietro di lei ci sono due occhi rossi.
Lentamente, dalle ombre della camera
emerge la sagoma di Loki Laufeyson, mantello che lambisce
l'oscurità.
Gerð socchiude le labbra, mani sul ventre. C'è solo
un pensiero
nella sua testa, in quel momento. Il suo bambino. Il suo bambino,
vulnerabile nel suo corpo.
Norne.
«Credevo ci fosse amicizia tra noi»
sussurra l'apparizione.
«...È così.»
«Allora perché hai lasciato partire
quell'intrigante? Perché non l'hai riportato qui? Si
farà strane
idee.» Mentre dalla pelle di Gerð cresce una corazza
di ghiaccio,
Loki-Re la raggiunge e si china sulla sua spalla, continuando a
guardarla nello specchio. Il loro fiato condensa in sbuffi azzurrini.
«Crederà che Asgard sia un luogo sicuro.»
«Non osare toccarmi.»
Loki sorride e le carezza una guancia
col dorso della mano sinistra.
«Riportalo qui e tieni stretto il suo
guinzaglio. Non è più il benvenuto. Qualsiasi
cosa stiate tramando,
non vincerete.»
Gerð vorrebbe insultarlo, colpirlo,
perché se lui è un re lei è una
regina. Non può trattarla così, e
in casa sua. Ma ha il cuore in gola, una corazza
protettiva
non formata e ancora qualche speranza di risolvere la situazione in
modo civile.
«Non stiamo tramando niente» dice,
attingendo a tutta la compostezza di cui è capace.
«Ogni cosa che
Járnsaxa
fa, la fa di sua volontà, per suo piacere e ora contro il
mio
volere.»
«Eppure mi ha detto un uccellino che
state per adottare un principe.»
Il cervello di Gerð si blocca. Cosa?
«Che cosa?»
«Forse pensate già di sostituire
questo?»
Un dito aguzzo di Loki scende e punta
verso il basso, indicando il suo ventre.
Le pupille di Gerð si dilatano, e
dalla sua gola sale il soffio gutturale che soltanto gli
Jötnar
sanno produrre. Mentre la stanza risuona di magia nascosta, creata
per rispondere alle sue emozioni, dalla sua schiena erompono speroni
di ghiaccio. Torce il busto e trasforma le dita in lame, tagliando
l'aria.
Loki le evita senza batter ciglio, con
superiore economia di movimenti. Gerð vorrebbe poter balzare in
piedi, ma in queste condizioni non ne è in grado. Finisce
per
annaspare nel più disgraziato dei modi, cercando sulla
poltrona una
presa che le consenta di fare leva ed alzarsi.
Mostra i denti, affilati dal ghiaccio.
«Non sono
indifesa. Bada
a quello che fai!»
«Che paura.»
«Stai commettendo un errore. Qualunque
cosa Járnsaxa
ti abbia detto, ha mentito!»
E questo è difficile da ammettere,
difficile da accettare – che Járn
sia stato così egoista e imprudente da farsi schermo di lei,
soprattutto quando è così vulnerabile.
Loki sfrutta la sua breve distrazione e
le insinua una mano fra i capelli, bloccandole la testa. Il suo
sguardo le corre addosso in modo strano.
«Trovo molto difficile crederlo.»
«Non voglio adottarlo, dannazione!
Perché dovrei? Ho già due figli.»
Poi Gerð solleva un braccio, spingendo
all'indietro la spalla fitta di speroni. Si separano con uno
strattone e si fronteggiano, lei ansante e armata fino ai denti, lui
calmo ma cupo in viso, avvolto da un leggero alone di seiðr.
«Se Thor Padretutto non danza più al
suono del tuo flauto la colpa è tua, Laufeyson»
dice Gerð,
maligna. «E forse lo sai. Altrimenti saresti là a
dominare la
situazione e non qui, a sfogarti come un volgare cornuto.»
Lo specchio alle sue spalle esplode. Il
volto di Loki è di nuovo una maschera.
«Io non ho gettato via niente. Thor è
ancora mio.»
Gerð si aspetta qualcos'altro,
qualcosa di terribile – e dove sono tutti, dove sono le
guardie e
le sue dame, Freyr–seiðr o no gli
allarmi sarebbero dovuti
scattare, il rumore–
«Non farlo» ringhia. «Non farlo,
Laufeyson.»
Non hai ragione né diritto di
accusarmi.
Ma lui non si muove più. Fissa ancora
il ventre di Gerð, e sul suo viso passa qualcosa. Una delle sue
braccia ha un guizzo, come se volesse toccarsi nello stesso punto.
Poi dalla sua bocca esce quella domanda.
«Com'è?»
Gerð stringe le palpebre. «Com'è
cosa?»
«...Partorire un figlio.»
Per un attimo Gerð non sa che pensare.
E' una trappola? Vuole farla parlare per ritorcerle contro ogni
frase? Le prometterà un dolore ancora più grande
se lo asseconda,
un dolore inutile perché suo figlio non nascerà?
In un'altra epoca e altre circostanze ne sarebbe sicura.
Ma Loki è tornato ad Asgard, da Thor.
E c'è quell'esitazione, quell'espressione che neppure la sua
esperienza di bugiardo riesce a nascondere. Gerð lo osserva con
più
attenzione e ciò che prima era una consapevolezza inconscia
sale in
superficie. Loki ha gli occhi leggermente lucidi, i capelli lustri,
la pelle luminosa... una postura...
Oh.
Quando capisce rimane più sconcertata
di lui. E' passato così tanto tempo senza che mostrasse quei
segni
da convincerla, in qualche modo, che non sarebbe mai successo. Ma
è
ovvio che era solo questione di tempo. L'allarme di Gerð
affievolisce. Lentamente, si raddrizza.
Questo spiega molte cose – anche,
forse, il vero motivo della sua visita. A parte la sua innata
antipatia.
«È la cosa più naturale del
mondo»
risponde, cauta.
La sua risposta è uno sguardo di
sprezzante scetticismo misto a fascinazione.
Palle di Ýmir.
Sta davvero considerando di–ah, certo che sì. In
tutta onestà,
anche lei si lascerebbe convincere da Thor. E anche se il pensiero di
Laufeyson che si riproduce le dà i brividi, se è
rassicurazioni che
è venuto a cercare lei sarà ben felice di
dargliele, pur di vederlo
andare via. La parte della sua mente non impegnata a fremere di
rabbia si sente vanitosamente lusingata, e anche un po' in
soggezione. L'orgoglio di Loki è noto, e lui deve averne
ingoiato un
bel po' per venire lì con quel secondo fine.
«Tu non sei un uomo» dice Gerð,
tastando il terreno. E' questo il problema? Vorrebbe seguire il suo
istinto, ma educazione e identità lo bloccano?
«Sei un ermafrodito,
come me. Mi stupisce che un mutaforma del tuo talento trovi
sconvolgente questa fluidità.»
«Essere mutaforma è una capacità
molto diversa, in principio e applicazione» ribatte, brusco.
Gerð
inclina la testa, concedendo il punto.
«Non posso dire di conoscerla.» Si
posa le mani sulla pancia. «Ma la naturalezza della tua
identità
non cambia: sarai geta e sarai béra;
il tuo corpo
sentirà entrambi i bisogni. Se puoi accettare un consiglio
da me,
è inutile convincersi del contrario. Accogli questa nozione
e
risparmiati molta sofferenza.»
Loki le rivolge un sorriso di scherno.
«Come si vede che non conosci la parola
"condizionamento".»
«Se ora segui il tuo istinto sarai
felice. E' così che mi sento ogni volta che guardo
Fjolnir.»
Il sorriso gli scivola via dalla
faccia. Guarda altrove.
«Felice» ripete. Una risata piatta.
«Sembri quasi sincero.»
Il sorriso di Gerð
è tagliente. «Potrei stupirti, Loki-Re.»
Ma sembra che dovrà aspettare un altro
giorno. Con un bagliore di seiðr,
Loki è sparito.
Quanta grazia.
«Freyr» strilla Gerð
quando si è ripresa. «Freyyr!»
---
Per il
prossimo ci vorrà un pochino di più -
farò del mio meglio, perché
vorrei terminare questa storia prima di Natale e mancano ancora tre
capitoli. Se volete aiutarmi, ricordate che i commenti nutrono la mia
musa ;)
|
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Capitolo 15 *** Ciò che appartiene ai sogni e ciò che è stato costruito ***
Note:
eccolo!
Che faticaccia. Parto con capitoli da 3k e me ne ritrovo da 6k O_o
c'è il lievito dentro.
Qualche
brevissima nota prima di lasciarvi alla lettura. Ricordo che i hrimthurs sono gli Jotnar
guerrieri, grandi e grossi, contrapposti agli ividjur come Loki,
piccoli ma dotati di magia (e rari, secondo molti headcanon del fandom
estero). Eiskaltheimr è un
termine inventato da me come nome antichissimo di Jotunheim,
dal tedesco eiskalt "ice cold", "freddo come
ghiaccio".
Credo sia
tutto. A parte: povero Jarn...
Alla prossima!
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Ciò
che appartiene ai
sogni e ciò che è stato costruito
I
Lo Zaffiro di Ýdalir
sa mentire bene.
Ammettere
di esser stato ingannato non è facile, per Loki, soprattutto
se
ricorda che ieri aveva la situazione in pugno. Járnsaxa ha
mentito
guardandolo in faccia, disinvolto e incurante del fatto
che
metteva i suoi
sovrani in una
posizione difficile.
Loki
non può negarsi un sorriso malevolo. Chissà cosa
direbbe Thor se lo
sapesse. Il luminoso Járnsaxa del suo passato non
è poi così senza
macchia come lo ricorda. Ben lontano dal soccombere al panico, ha
tirato Gerð in mezzo al fuoco incrociato senza pensarci troppo.
Loki
potrebbe dubitare di Gerð Gymirson e della sua parola,
perché
conosce la loro storia. Ma Gerð era sincero. Loki lo sa
perché
lui–lei
governa con l'acume economico, non con l'intrigo, ed è
troppo
sensata per mettersi in mezzo a una situazione del genere. Non ne
ricaverebbe alcun beneficio.
Inoltre
il tipo di sdegno che gli ha mostrato è
difficile da
contraffare: è come quello di Thor.
Così come la sua nuda franchezza.
«La cosa più naturale del
mondo.»
Naturale... certo.
Forse per lei.
Buone Norne, come l'ha capito? Il suo
stato è così evidente?
Loki si passa una mano sulla bocca,
irrequieto, e ricorda il modo in cui Gerð
l'ha guardato. Quasi compassionevole.
Sulla pelle gli si rizzano cristalli
acuminati. Quell'impudente si sente così superiore solo
perché è
nata e cresciuta da Jötun,
mentre lui ignaro veniva abituato a un aspetto, ad abitudini e
strutture di pensiero antitetici?
«Tu non sei un uomo, Loki.»
Gli scappa una
risata amara.
Già, è quello il nocciolo del
problema. Da sempre, per una ragione o per l'altra.
Credeva di averlo accettato. E'
impossibile non cambiare quando si ascolta con obiettività
un corpo
alieno e quel corpo è il proprio, in tutte le sue stranezze
–
colore, temperatura, sessi. Ha visto e fatto pace
con molte
cose, imparando a identificarsi come Jötun.
Il suo centro di gravità si è spostato.
Poi Thor ha dovuto tirar fuori la
storia dei figli e lui ha scoperto che non aveva fatto pace con
tutto. Com'è sensato, del resto.
Alle volte crede che Thor viva solo per
tormentarlo. Loki pensa alle sue proposte e scuote la testa.
Chiedergli cose simili. Come se fossero adatti... quando di due non
fanno neanche mezzo utero degno di questo nome.
Ma pur pensandolo con convinzione non
può fare a meno di rivedere il corpo di Gerð,
prima asciutto, ora pieno di curve e di vita. E' così che
Loki
sarebbe–è così che diventerà
se–
Deglutisce. Sarà come il mutare forma?
Influenzerà la sua magia, cambieranno i suoi bioritmi? E'
quasi
certo. Come è certo che molti non lo guarderanno
più con gli stessi
occhi; ci saranno conseguenze non ritrattabili. Riesce già a
sentire
quello che diranno i suoi nemici – gli Jötnar che lo
considerano
solo la serva del conquistatore, gli occhi e le bocche ostili ancora
trincerati ad Asgard – oh, soprattutto gli epigoni della
possanza
Aesir, che fin dalla sua prima giovinezza l'hanno guardato storto per
il suo aspetto e le sue inclinazioni, criticando ogni suo risultato,
chiamandolo anormale sospetto ed ergi quando non
poteva
sentire (e qualche volta quando poteva). Scoppieranno di gioia
a
saperlo gravido. Era solo questione di tempo. Non
è mai stato un
uomo.
Da un certo punto di vista avranno
ragione. Loki sente montare l'ira... ma anche un inspiegabile senso
di indifferenza. In fondo, non è più un
adolescente immaturo.
Loro sono solo insetti. E' Thor la
persona importante.
Quando torna ad Asgard va in segreto da
sua madre, per deporre ancora una volta ai suoi piedi i propri
dolori.
Frigga sembra pensierosa. Non dovrebbe
più tormentarla con i suoi "se" e i suoi "ma"...
negli anni le ha dato troppe notti insonni. Deve ricordarsi
che,
nonostante la clemenza del tempo, sua madre non è
più la donna
instancabile che lo ha cresciuto indossando una corona.
Ma ha sempre tenuto nella massima
considerazione i suoi consigli, e sentirà sempre il
bisogno di
affidarsi al suo solido discernimento. Di quello che è
accaduto fra
lui e Thor non hanno ancora parlato. Loki ha ignorato la situazione,
evitando Frigga per non sentirsi dire cose che il suo orgoglio non
avrebbe accettato.
È con umiltà e sollievo che le si
avvicina. Quando le si inginocchia davanti, stringendo le sue mani
per baciarle, lei sorride con indulgenza.
«Eccoti, finalmente.» Gli pettina i
capelli via dalla fronte, dalle tempie. «Come stai, figlio
mio?»
Il suo tocco è caldo contro la pelle
Jötun.
«Come stai tu, madre? Ti ho
molto trascurata.»
Le brillano gli occhi. «Mi basta
sapere che state bene. Ho avuto anch'io la vostra
età.» Ritira la
mano. «Anche se complicata come voi non la sono mai
stata» sospira.
«E avevo Odino tra i piedi.»
Condividono una mezza risata.
«Dimmi tutto, tesoro. Cos'è che ti
spaventa?»
Loki distoglie lo sguardo, sedendosi
accanto ai suoi piedi, schiena contro la poltroncina. Non lo fa da
quand'era ragazzo. Parte di lui detesta quanto ancora lo fa sentire
al sicuro.
«Il nostro destino» risponde, a mezza
voce. «No... il mio. Le sue conseguenze.
Tu sai cosa abbiamo
visto io e Thor, tanto tempo fa...»
Sua madre torna a posargli una mano
sulla testa.
«Credevo non lo temessi più, ormai»
dice, gentile. «Ne avevamo parlato.»
«Lo so. Ma l'idra... un'idra del
Blárnhöggr,
madre. Una bestia primordiale come non se ne vedeva dalle Guerre dei
Fiordi – di cui si ha memoria solo nelle leggende. Proprio
ora che
Thor» s'interrompe di nuovo, respiro affannoso.
«Proprio ora. Sai
come la chiamano gli skáld
del Gastropnir? Le Sei Morti.»
«Skáld
e leggende dicono molte cose. Non significa che siano vere. Se l'idra
fosse il nemico fatale che sostengono, tu e Thor non sareste riusciti
a contenerla. E in ogni caso, non siamo più le genti
primitive dei
tempi di Búri.»
Sembra troppo rassicurante per essere
vero – anche se Loki non dimentica che sua madre possiede la
Vista
e la usa. Ora che la diga ha ceduto, ogni
insicurezza che ha
si affolla nella sua gola cercando di uscire.
«Non lo so. Non lo so. Può darsi, o
può darsi che io non sia una buona idea,
dopotutto.» Le carezze
hanno un'esitazione. «E poi... ammesso che riuscissimo a
liberarcene
senza causare il crollo di Yggdrasil, ci sono molte altre cose. Forse
non sono fatto per essere un consorte, un–» si
blocca. «Non
saprei neanche da dove iniziare. Come amante e alleato sono
competente, ma di più? E posso davvero unire Jötunheim
ad Asgard per sempre?»
E' stanco di tutta quell'incertezza.
Vorrebbe solo placare i suoi desideri conflittuali e prendere una
decisione.
«Che cosa dice Thor?»
«Non è così
semplice.»
«Perché no?»
«Con la storia che
c'è fra i due regni–»
«Ma è il passato.
Un passato remoto, ormai.»
«Le persone hanno
la memoria lunga. Potrebbe essere l'inizio della fine. Thor potrebbe
perdere favore, credibilità e–»
Frigga sorride.
«Potrebbe. Oppure no.»
«Dovrei correre
questo rischio?» esclama, girando la testa per guardarla.
«Dopo
tutto quanto? Non è questo che voglio per lui!»
Lei lo guarda, per
un attimo imperscrutabile. «Credo che dovrebbe decidere
insieme a
te, sai.»
Loki scrolla il
capo. «Certo. È questo che mi preoccupa.»
«Ah, bambino,
ascoltati! Non puoi avere tutto» ride lei. Gli stringe una
mano,
gentile. «E di certo due matrimoni fondati sul nulla
difficilmente
porteranno armonia. Ascolta il tuo cuore: è quella la scelta
giusta.»
La bocca di Loki
diventa una linea. «Nel mio caso. Ma, forse...»
prende un respiro
profondo «il cuore di Thor è cambiato.»
Frigga annuisce.
«Parli di Járnsaxa Jønirson.»
«Sì»
sibila lui. «Lo Zaffiro di Ýdalir.»
«Credi che Thor
voglia lui?»
«Forse. Un tempo
lo scelse. E quando gli ho offerto–ha trovato il modo di
rimandare
la risposta.»
«Forse per Thor
manca ancora qualcosa» suggerisce lei.
Loki si ritrova ad
annuire a labbra strette. «Già.»
«Sarebbe un
sacrificio per te, Loki? Te lo chiedo sinceramente. Non voglio
più
vederti infelice.»
Lui ride.
«Sacrificio sarebbe rinunciare a Thor. No... non sarebbe
insopportabile.» Deglutisce, facendosi maliconico.
«Io non voglio
perderlo.»
«Allora hai la tua
risposta» dice Frigga.
Recupera i suoi
ufficiali dalla caserma di palazzo e li porta al tormento della sua
esistenza. Thor è al piano di Hliðskjálf,
in uno dei salotti usati per le trattative diplomatiche; alla luce
delle lampade, Loki trova con lui pochi einherjar,
un
consigliere impegnato a scribacchiare col taccuino contro una colonna
e Sif, con giubba di cuoio e capelli raccolti. Thor ha l'aria
affaticata. Forse non si è neppure cambiato, solo svestito
dell'armatura.
Ma la cosa più peculiare è il fatto
che Sif abbia al traino non solo suo figlio, ma anche un'amichetta
del piccolo pentapalmo. La bimba non avrà più di
tre anni, è
bionda, ed è finita ovviamente in braccio a Thor. Lui un po'
la
consola un po' la distrae, forse per farle dimenticare che i suoi
genitori sono nelle case di guarigione, dondolandole davanti dei
talismani mentre discorre con Sif.
A un certo punto la bambina ne prende
uno, nasconde la faccia contro la sua spalla e agita le gambette.
Thor alza le sopracciglia e ride, ed è bellissimo. E' con
quell'espressione che alza lo sguardo e vede Loki.
Due teste bionde
vicine, pugnetti e un senso di completezza. Loki non crede neppure
per un istante che sia tutto casuale, ma non può staccargli
gli
occhi di dosso.
Percezioni
alterate, pensa, ironico.
Poi pensa che
quella magnificenza deve essere sua. Sarà soltanto sua.
Si chiede, distrattamente, cosa gli sia
preso il giorno in cui ha deciso di cercare un matrimonio politico
per Thor e per sé. Quando mai si è preoccupato di
tradizione e
prudenza? Ha ragione
Thor. A volte
non può fare a meno di combattere la propria
felicità.
Lo raggiunge in
pochi passi, seguito dagli ufficiali della sua piccola armata. Il
sorriso di Thor si attenua ma diventa più personale.
«Ho portato i tuoi
soldati, Thor» dice Loki. Sif nota la loro vicinanza e alza
gli
occhi al soffitto. «Come promesso.»
«Grazie.»
La
bambina li osserva con intensità, poi tende una manina e
tocca un
corno di Loki. Lui non sa cosa fare. A
Thor brillano gli occhi.
Per un attimo sono
tutti così vicini da sembrare un microcosmo perfetto. Lo
stomaco di
Loki fa una capriola.
«A quando il
consiglio?» chiede, con voce che assolutamente non trema.
Le cose che gli
stanno succedendo.
«Fra mezz'ora,
nella Sala di Borr.»
Loki annuisce. Apre
delicatamente le dita del cucciolo, gira sui tacchi e fa segno ai
suoi ufficiali.
«Vi consegno a
quel brutto muso di Tyr. Venite.»
Non riuscirà più
a togliersi quello scambio dalla testa.
II
Il regno è in tale stato di agitazione
che, dopo aver parlato con Loki, Thor non ha più un attimo
di
respiro fino a sera. Appena rientrato abbraccia sua madre e si
assicura che stia bene, accettando di buon grado un rimprovero per
l'imprudenza mostrata in battaglia.
«E Loki?» chiede lei, preoccupata.
«Tornerà presto.»
Sono a un punto di svolta. Loki
deciderà e, se ha fortuna, Thor saprà come prima
di dover
affrontare l'idra una seconda volta.
Mentre si reca al consiglio di guerra,
dopo ore di sopralluoghi e l'accoglienza agli Jötnar,
si consola col fatto almeno possono vedersi liberamente. Ora non ci
sono più difficoltà di spostamento
interdimensionale, né silenzi
carichi di ostilità.
Avere l'idra intrappolata nello spazio
avrebbe provocato una crisi estesa a tutti i Regni. Gli Aesir
sarebbero stati i più colpiti, per posizione e ricchezza. E
non solo
per opera della bestia: è sempre più convinto che
la presenza
dell'idra interferisse con gli scudi che filtrano la magia diretta
verso Asgard, creando con la sua tempesta una distorsione a favore di
Jötunheim. Una scia facile. Solo questo spiega – ora
che ci pensa
– come sia potuta entrare; come il messaggio del guaritore
Angantýr
abbia potuto raggiungerlo. Solo la magia di pochi viene riconosciuta
e fatta passare.
Col tempo quella vulnerabilità avrebbe
potuto essere fatale. Ci sono ancora molti nemici che infestano le
profondità oscure oltre i confini della galassia. Spera solo
che non
sia rimasta traccia del punto debole. Lui e Loki avranno molto da
controllare, una volta sconfitta l'idra.
Imbocca un corridoio che dà accesso a
una scala segreta. La scala è a chiocciola e scende di
quattro
piani: lo porta nei pressi della Sala di Borr, uno degli ultimi
ambienti rimasti dal regno di suo nonno. È quasi al centro
del
Válaskjálf, poco più che al
pianterreno. A Loki non è mai
piaciuta, ma Thor trova confortante la sua solidità, calda
grazie a
pannelli di quercia intarsiata e permeata degli odori che associa
agli accampamenti – cuoio, metallo, pergamena, bardature
equine.
A giudicare dalle voci, il Consiglio è
quasi al completo.
Prima che possa raggiungere la porta
però i suoi passi vengono interrotti.
L'ha atteso lì perché era l'unico
luogo dove era sicuro di incrociarlo. Altrove, per tutto il giorno,
è
arrivato sempre in ritardo; sempre dopo che Thor se ne era andato.
«Thor! Thor.»
Lui si gira, mantello scuro sul braccio
e viso segnato dalla stanchezza. Ha comunque un sorriso da offrirgli.
Per questo Járnsaxa sarebbe tentato di rimandare, ma poche
ore non
cambierebbero nulla.
«Avrei due cose da chiedervi» dice.
Thor deve notare la sua inflessione,
perché torna indietro, allontanandosi dalla porta della Sala.
«Stai bene? Non ti ho più visto
dall'attacco.»
«Lo so. La città aveva bisogno di
voi» risponde Járnsaxa. «Ma ora che
siamo qui vorrei chiedervi due
cose importanti.»
«Non potremmo–»
«Una sull'idra... e una personale.»
«Quella sull'idra sarà la benvenuta
al consiglio» risponde Thor, gentile ma fermo.
«Partecipa anche tu.
Consulteremo guerrieri e studiosi prima di approntare una strategia.
Potremo unire le nostre conoscenze a quelle degli Jötnar di
Loki.»
Quel nome. Járnsaxa l'ha udito spesso
nella sua vita, e ascoltato con indifferenza; non credeva che un
giorno gli avrebbe fatto così male.
Lentamente, non visto, chiude le mani a
pugno.
«Perché sono qui?» chiede a
bruciapelo, anche se gli spezza il cuore. «Perché
mi avete invitato
ad Asgard?»
Provavate davvero qualcosa? O
volevate solo per usarmi?
Thor distoglie lo sguardo e Járnsaxa
gli afferra un braccio.
«Il vero motivo, per favore.»
In quel momento dalla Sala proviene la
voce del vecchio corno, bassa e vibrante attraverso le cannule di
risonanza nelle pareti. Dall'espressione di Thor, Járnsaxa
ha il
sospetto che sia opera di Loki-Re.
«Dopo. Ci aspettano.»
Thor sa che è stato fortunato a
conoscere tante brave persone, nella sua vita. Amarle ed esserne
riamato ha arricchito il suo spirito, lo ha reso una persona migliore
nonostante i suoi difetti. Anche Járnsaxa è fra
loro, ed è grato
di averlo potuto conoscere di nuovo.
Per un attimo, davanti al suo volto
addolorato la determinazione di Thor sembra vacillare. La memoria
fantasma di Moði
e Magni è forte – la possibilità di
rivederli a pochi passi.
Ma
ancora più forte, perché reale, è la
memoria di mille e un secolo
al fianco di Loki, con i suoi intrighi, il suo sorriso e il suo amore
esigente a riempirgli le giornate.
Mi
dispiace, Járnsaxa. Abbiamo fatto il nostro tempo.
III
Le proposte al Consiglio sono tante e
tutte diverse. Ne manca però una definitiva.
C'è chi propone di aprire sul rifugio
dell'idra tutti i boccaporti delle Grandi Difese, come il vecchio
Tyr, fiducioso nella potenza di fuoco asgardiana. C'è chi
propone un
assalto locale con ghiaccio e magia, secondo le antiche tradizioni
della caccia al dragone bianco, come i hrimthurs di
Jötunheim,
curvi e austeri sotto l'ampia volta della Sala di Borr. C'è
anche
chi ricorda la presenza di formidabili tesori nel sancta sanctorum di
Asgard, come alcuni membri del concilio di Thor. L'idea degli
Jötnar
è l'unica intentata, tuttavia ha una pecca considerevole: il
loro
nemico è cinque volte un dragone delle nevi.
Nel complesso sono tutte proposte
interessanti, ma prive di quel margine di forza o astuzia che
garantirebbe la vittoria – con l'eccezione delle armi
custodite dal
Distruttore. Il rischio che l'uso di queste causi danni imprevedibili
è elevato, però. In qualunque modo, Asgard non
deve essere esposta
una seconda volta alla furia degli elementi.
Il problema di base, nella riunione, è
che nessuno dei presenti ha mai affrontato un'idra del
Blárnhöggr.
(Inconcludente eccezione sono il Padretutto e Loki-Re.) Di
conseguenza nessuno ha segreti da svelare per far accadere un
miracolo. Le possibilità di successo dei seiðrmaðr
e degli accademici di Asgard e Jôtunheim, impegnati fino
all'ultimo
disgraziato apprendista a rivoltare archivi e biblioteche, sembrano
sempre più scarse.
Gli uomini e le donne intorno alla
grande tavola si guardano, tenendo ferma le cartine o lisciandosi la
barba.
Sono presenti la regina madre, Loki e
due dei suoi, i tre massimi seiðrmaðr
della città, Tyr e il suo primo ufficiale per l'esercito,
cinque
senatori anziani dal concilio di governo di Thor, nonché
Járnsaxa,
Hogun e Sif per la divisione delle Valchirie. Soltanto Frigga non ha
ancora parlato. Legge la cartina, ritta nel suo vestito color miele,
e rigira la fede nuziale sul dito. Ha la fronte aggrottata.
Forse, pensa Thor, le manca suo padre.
Odino è sempre stato un'ancora di salvezza nelle situazioni
estreme.
Poi Járnsaxa si schiarisce
discretamente la voce e Thor gli dà la parola. Ignorando gli
sguardi
diffidenti dei vecchi e di Loki, lo Jötun accenna ai suoi
studi
passati. Nelle sue ricerche ha consultato molti volumi rari e alcuni
di questi contenevano passaggi che, ne è sicuro,
descrivevano le
idre del Blárhnöggr. Secondo quello che ricorda
meglio, l'unico
luogo dove le si poteva uccidere era Múspelheim. Secondo un
altro,
lo Scrigne degli Antichi Inverni poteva controllarle.
Com'era prevedibile, il suo intervento
scatena un putiferio di obiezioni.
Non è neanche sicuro del vero
argomento di quei passaggi. Gli scritti più antichi sono
noti per la
loro ambiguità. La sua è solo interpretazione di
qualcosa che
oltretutto non ha neppure sottomano. E se anche avesse ragione, cosa
propone di fare – chiedere gentilmente al mostro di farsi
trasferire? Con ogni probabilità il Bifröst non
è in grado di
muovere quell'essere. E per quanto riguarda lo Scrigno, come spera
che possa funzionare, visto che condivide lo stesso principio magico?
Járnsaxa sopporta e risponde in modo
civile, finché non viene tagliato fuori dalla discussione,
che
degenera tra consiglieri e seiðrmaðr
e ufficiali.
Alla fine Thor posa pesantemente
Mjölnir sul tavolo.
I litigi si interrompono. Ma non è lui
a parlare.
«So io qual è il modo» afferma Loki,
sommesso.
Tutti si girano a fissarlo.
«Quale?» chiede Thor.
Loki non guarda nessuno, immobile e
inespressivo.
«Usiamo il Bifrost.»
Sif inspira bruscamente; è evidente
che Loki si costringe a ignorarla. Thor sente il pavimento
inclinarsi, deformato dal ricordo viscerale del passato. Ma Loki sta
continuando.
«La portiamo allo scoperto, sulla cima
di una montagna, e diciamo ad Heimdall di puntare il raggio su di
lei.»
«È troppo pericoloso» esclama
Frigga, mani strette al petto.
«Ha ragione» fa Sif. «Dirigere il
Bifrost su Asgard? Se Heimdall perdesse il controllo sarebbe il
disastro!»
«Heimdall non ha mai perso il
controllo in vita sua» sbotta Loki, protendendosi sul tavolo
con un
gesto aggressivo «e nient'altro può uccidere
quell'essere. Un'idra
è quasi seiðr
puro!»
«È questo il problema» azzarda
Járnsaxa. «Se la sua magia e quella del ponte
dovessero unirsi e
innescare–»
«Cosa vuoi saperne tu della natura del
Bifrost? Ho considerato bene questa soluzione.»
«Come l'ultima volta?» fa Sif,
inarcando un sopracciglio.
Thor si frappone tra loro prima che il
confronto possa degenerare; passa un braccio intorno alle spalle di
Loki e lo tira via.
«Abbiamo ancora tempo» dice a tutti.
«Prendiamoci una pausa.»
Járnsaxa sembra sul punto di dire
qualcosa, e anche Sif – ma Frigga annuisce e li distrae. Thor
porta
via Loki, chiudendosi con lui nello studio adiacente alla sala.
Possono essere in disarmonia, ma è molto tempo che le
decisioni
importanti spettano solo a loro due.
A scapito di quel che è successo e di
quel che discuteranno, Loki si sente rincuorato.
IV
Finisce così: la mattina seguente
circondano il piccolo ghiacciaio al Fölkvangar
in fila organizzate per l'attacco, prima i veterani hrimthurs
portati da Loki, in grado di smorzare e deviare la forza del freddo,
poi i sette seiðrmaðr
di Asgard insieme ad alcuni Vanir accorsi in aiuto, e infine
squadroni su squadroni di einherjar esperti nel
combattimento
veloce, posizionati in un semicerchio molto più largo e
distante con
l'ordine di impedire che l'idra raggiunga l'abitato. Le navette delle
Valchirie hanno la stessa missione e sorvolano la zona in ranghi. A
completare il contenimento aereo, le Grandi Difese sono puntate sulla
zona, così come l'occhio di Heimdall.
Alle loro spalle, Asgard è blindata.
Thor e Loki atterrano davanti agli
Jötnar, che offrono un inchino al loro re, impassibili come
rocce.
Studiano la tana dell'idra, vibrante di energia. Poi Thor dà
il
segnale e dall'Osservatorio viene dissolto il primo scudo che la
isolava.
La collina rabbrividisce. Nel piccolo
ghiacciaio si formano crepe zigzaganti, dietro alle quali si agitano
ombre grigie.
I hrimthurs iniziano a costruire
una barricata a nido d'ape, mentre i seiðrmaðr
tracciano rune di resistenza, contenimento e confusione del nemico.
In un altro momento Loki sarebbe con
loro, ma adesso ha ben altre responsabilità. Aprendo le
mani,
richiama lo Scrigno degli Antichi Inverni e lo impugna. Guarda Thor,
poi guarda il cumulo di ghiaccio e apre l'artefatto.
Anche il suo scudo si solleva.
L'idra irrompe dalla sua prigione
sfondandola con le creste. Le sue teste scrollano via terra e massi
di ghiaccio che piovono sulle difese degli Jötnar,
dissolvendosi
solo laddove arriva l'energia dello Scrigno.
L'emergere della bestia è accompagnato
da un freddo profondo, che stavolta viene contenuto grazie a barriere
di isolamento termico.
I dodici occhi dell'idra riconoscono le
Valchirie e le teste rombano, seguendone gli spostamenti.
Thor manda un altro segnale, al quale i
seiðrmaðr
gettano catene magiche oltre la fila degli Jötnar, mirando ai
colli
del rettile. Devono immobilizzarlo, e poi i hrimthurs
potranno
avanzate su di lei, indebolendola mentre Loki prepara lo Scrigno.
Ma l'idra apre le ali, riversando su di
loro i detriti che ancora la circondano. La frana costringe
l'avanguardia ad arretrare e i due re a spiccare il volo con
Mjölnir.
Bloccati dalla mole dei hrimthurs, che arretrano, i
seiðrmaðr
mancano il tiro. Solo una catena fortunata centra il bersaglio,
avvolgendosi intorno alla gola di una testa che si era piegata troppo
in basso a guardare. Quella inizia a dimenarsi, furibonda, aiutata
dalle altre.
Franano altre parti di ghiacciaio,
fermate dalla barriera a nido d'ape. Poi quella viene abbattuta da un
blocco alto dieci metri.
La falla costringe gli Jötnar a
interrompere i loro preparativi per stabilizzare il punto con getti
di ghiaccio. I perni dell'incantesimo iniziano a deformarsi, e
l'idra sta per liberarsi.
Loki fa segno alle Valchirie di non
intervenire. I seiðrmaðr
si riprendono e gettano altre catene, aiutati da Thor che distrae la
bestia opponendole il potere di Gungnir.
Gli Jötnar partono alla carica,
corazzati, e scalano quel che resta della piccola montagna come lepri
delle nevi. Azzopperanno l'idra prima ancora che possa vederli, e
l'antica magia di Ymir farà il resto.
Ma qualcosa va storto.
Dalle gole dell'idra sale uno strano
richiamo, e un attimo dopo la collina è coinvolta in
un'eruzione
fredda.
Il campo di battaglia e il rettile
scompaiono nella nebbia. Loki si ritrova spinto via e sbattuto in
volo contro qualcosa. Per fortuna è Thor.
«Loki!»
Vorrebbe chiedergli cos'è successo, ma
gli rimbomba ogni angolo della testa.
«Loki, devi usare lo Scrigno! Aprilo e
io ti coprirò con Mjölnir!» gli urla Thor
nell'orecchio. «Loki!»
«E dove lo apro se non vedo niente!»
grida, furioso.
Potrebbe distruggere i loro uomini.
Thor non può muovergli la testa perché con un
braccio lo tiene
stretto e con la mano dell'altro è aggrappato a
Mjölnir, Gungnir
bloccata fra loro; ma con un colpo di reni gira entrambi di alcuni
gradi, enfatizzando la direzione.
«Là!»
E Loki la vede. La sagoma dell'idra
appare e scompare, muovendosi come se stesse aprendo le ali.
Non c'è tempo da perdere: con un
ringhio, Loki materializza lo Scrigno e glielo punta contro.
La tempesta rallenta, si fa immobile.
Come in un giardino d'inverno, l'aria pungente è limpida e
silenziosa. Di sotto le forze d'attacco sono sparpagliate. Solo gli
Jötnar, abituati a vedere e spostarsi nelle tormente, hanno
ancora
una parvenza di formazione. Ma la cosa più sconcertante di
tutti è
l'idra.
Sta guardando Thor e lui.
Tutte le sue teste sono inclinate verso
il cielo. Fissano lo Scrigno e poi Loki, con una luce senziente negli
occhi. Una e sei voci rimbombano nelle sua mente.
Padrone dell'Inverno.
Thor ha uno scarto, ma il suo controllo
tiene. Il suo braccio si stringe intorno alla vita di Loki, che di
riflesso solleva lo Scrigno all'altezza del petto. Non può
essere.
Le creste dell'idra si distendono,
distendendosi come mantici.
Loki, figlio di Laufey, discendente
di Ymir... Ladro del nostro regno.
E' lei. E' davvero lei. Loki inarca il
collo per incontrare gli occhi di Thor, e nella sua espressione
sgomenta vede la propria.
Ma sono gli unici a sentire. La bestia
parla loro attraverso... attraverso lo Scrigno, il cui cuore pulsa
come l'occhio di una tempesta, mentre di sotto le truppe sembrano
confuse.
Le fauci della testa più grossa si
spalancano.
Restituiscici Eiskaltheimr!
Un nome quasi dimenticato. Feudi
cancellati dal tempo. Il sangue Jötun
di Loki ribolle.
«Come
osi?» sussurra.
Le
mandibole si chiudono di scatto, spruzzando ghiaccio. Aurgelmir
rubò la nostra terra e ci seppellì sotto una
montagna.
Le voci sono un riverbero di suoni come luce su specchi, profonde,
vicine e lontane. Ora
che la sua clava è nelle mani di un bambino Eiskaltheimr
tornerà a
noi, e tutto l'Albero con essa.
«Non
hai diritti su Jötunheim»
grida Loki, sollevando lo Scrigno. «Né su
Asgard!»
L'idra
ruggisce con l'impeto di un tifone e spalanca le ali, avventandosi su
di loro.
Thor ruota Mjölnir
davanti a loro. Loki fa per aprire lo Scrigno.
All'ultimo
istante, la bestia li evita. La sua coda poderosa compare dal nulla e
li colpisce di lato.
Vengono separati con violenza. Loki
turbina fuori portata. Thor grida e perde il controllo su
Mjölnir,
braccio inerte, precipitando nella polvere di neve che ricopre la
superficie della collina. Gungnir precipita lontano da lui. L'idra
abbatte la coda sulla loro scia.
Il cuore Loki si ferma.
«THOR!» urla.
No... no no nononono.
Non ora. Non Thor! No–
Evita una testa dell'idra, e poi
un'altra, cercando di scendere. Quando non ci riesce, furioso, si
gira e apre lo Scrigno con tutta la forza del suo seidr.
Gli spiriti dell'antica Jötunheim gli
rispondono. Asgard è inghiottita da un bagliore gigantesco.
Quando svanisce la grande idra è
sospesa a mezz'aria, ali trafitte, imprigionata nella ragnatela che
lo Scrigno alimenta. Il volto di Loki è striato di ghiaccio.
Gli tremano le mani.
Thor...
Come l'ha pensato, e prima che possa
reagire, andare a cercarlo, dalla collina innevata tuona un fulmine
immenso. Si divide in molti bracci e colpisce l'idra, stracciando le
sue ali nere.
La bestia ruggisce e cerca di sfuggire,
ma non può. Quando finalmente, finalmente abbassa le teste,
sconfitta, sulla neve in fondo alla collina sventola un mantello rosso. Thor spicca il volo
e raggiunge Loki, armatura intaccata, una spalla immobilizzata dalla
magia, ma vivo e vegeto e illuminato da un sorriso feroce.
Loki modula il suo seiðr
e gli va incontro, cuore che rivive. Gli pulisce il sangue su una guancia, lo esamina, poi
gli stringe spasmodicamente un braccio intorno al collo.
«Thor.»
Per alcuni attimi aveva temuto il
peggio. Aveva temuto–
«Sto bene. Sono stato fortunato.»
Si separano per guardarsi, poi si
rivolgono insieme all'idra.
Sotto alla bestia, i hrimthurs
di Loki e i seiðrmaðr
stanno lavorando a indebolirla con lame di ghiaccio e incantesimi. Ci
vorrà ben altro per renderla inerme, ma non è
quello lo scopo.
Considerando la minaccia con obiettività, Loki e Thor hanno
capito
che ucciderla è un obiettivo utopico.
Ci sono altri modi per liberarsi di un
nemico.
L'esilio in terra ostile, per esempio.
Negli occhi argentati dell'idra ci sono
sfida e dolore.
Loki impugna saldamente lo Scrigno.
«Il tuo re ha deciso la tua condanna»
dice, forte. «Sarai accolto nel Nornheim e là
resterai sino alla
fine della tua esistenza, venga essa per il Ragnarök o per
mano di
un nemico più forte. Non potrai lasciarlo né
turbare in altro modo
la pace di Yggdrasill. Altrimenti torneremo–»
«E questa volta» continua Thor,
posando le mani su quelle di Loki, parlando con lui, «ti
distruggeremo.»
L'idra apre le bocche, mostrando le
zanne.
«Nel Nornheim potrai vivere. Qui
morirai.»
«Lascia Asgard, o affronta la tua
distruzione!»
Alla fine, quella volontà selvaggia è
costretta a riconoscere la loro autorità.
V
Quando la nebbia dirada, l'immensa
bestia è svanita.
Le truppe si riorganizzano lentamente,
soccorrendo i feriti, e alcune delle Valchirie atterrano nei pascoli.
Dalla città iniziano ad accorrere cittadini a piedi o a
cavallo;
molti erano rimasti a osservare appena oltre la zona di pericolo, col
fiato sospeso.
Járnsaxa è uno di loro. La sua
condizione di dignitario estero lo ha relegato alle aree sicure.
Non gli ci vuole molto a trovare gli
artefici della vittoria. Sono atterrati sul cratere lasciato
dall'idra e ne pattugliano il perimetro, calpestando le squame cadute
della sua corazza. Gridano ordini e istruzioni. Quando sono sicuri
che la breccia sul Nornheim sia chiusa, lasciano che i normali
seiðrmaðr
si occupino dell'area disastrata.
Si raddrizzano al boato crescente dei
soldati e degli asgardiani – fiato corto, occhi luminosi,
sorrisi
affilati. Salutano, riconoscendo la dimostrazione di stima.
Poi parlano fra loro, ignorando il
mondo.
Hanno vinto, senza spargimenti di
sangue. Thor quasi non riesce a crederci. Ma la breccia è
chiusa,
l'idra andata, e i Regni salvi. Finalmente Loki lascia perdere
polvere e neve e lo raggiunge, ritto, fiero, occhi brillanti nel viso
indurito dalla battaglia.
Non è mai tanto bello quanto in questi
momenti.
«Qual possente martello, Thor»
scherza. «Gloriosa battaglia. Siamo gli eroi dei Nove Mondi
oggi.»
Thor lo guarda e sorride. «Tu lo sei.»
Un'espressione fragile sul viso di
Loki, subito svanita. «Come
stai?»
«Un po' acciaccato... ma intero.»
Poi Thor compie due passi, lo agguanta
per la nuca e lo bacia.
Loki non ha un attimo di esitazione.
Ricambia con trasporto, afferrandogli il polso.
Járnsaxa distoglie lo sguardo. Conosce
il proprio valore, ma non è questo. Non è questo.
Non ha mai visto tanta gloria. Ed è
incredibile la sicurezza con cui sanno di possedersi, l'inconsapevole
arroganza dei gesti e delle attenzioni che hanno l'uno verso l'altro;
come se quel legame fosse intessuto nella fibra loro essere. E forse
lo è.
Járnsaxa li invidia entrambi. Avere
l'amore di un uomo come Thor è un trionfo, ma avere la
fedeltà di
una creatura come Loki Laufeyson non è da meno. Anzi, forse
è una
vittoria ancora più grande.
Col dolore nel cuore, capisce la
verità. Odinson e Laufeyson non sono mai stati veramente in
rotta;
hanno solo attraversato uno dei deserti che costellano il loro
rapporto. È questo quello che fanno – il loro
destino è un legame
che li vede fratelli, amanti e nemici senza soluzione di
continuità.
E lui lo sapeva, in fondo. È stato uomo di corte troppo a
lungo per
ignorare i segni. Ha soltanto...
Li guarda. Il sole irradia luce su
Thor.
Ha soltanto ceduto al fascino di un
sogno, troppo bello da lasciar svanire nella notte.
Sorride, disprezzando le proprie
illusioni. L'inferno è la verità appresa troppo
tardi.
VI
Járnsaxa ha l'aria abbattuta. Quando
crede di non esser notato, guarda Thor e lui con fare sperduto. Loki
conosce intimamente quello stato d'animo; il senso di inadeguatezza
è
un suo vecchio demone, mai esorcizzato del tutto.
Ma lo Zaffiro di Ýdalir
ha una visione limitata degli eventi. Se solo sapesse
quant'è stato
vicino a vincere...
Loki è molto più indegno di lui,
davanti al destino di Thor. Facendosi da parte prenderebbe la
decisione più sensata.
E tuttavia…
«Il futuro è in continuo
movimento, figlio mio.»
Tuttavia non lo farà. Loki sente
ancora nelle ossa il brivido che l'ha gelato quando Thor è
precipitato a terra, colpito dall'idra. In quel momento ha creduto di
aver perso tutto. E ora che l'ha di nuovo, vuole tutto.
Immagina che sia una stupida reazione
naturale e irrazionale al pericolo.
Non gliene importa niente.
Che le Norne lo aiutino, lo farà. Lo farà, vuole farlo.
Non può dimenticare il dono che è
Thor; è un miracolo che, in fondo, si ripete ogni giorno.
Loki sa di
non essere una persona con cui è facile vivere. Ancora oggi
non
riesce a spiegarsi come Thor ci riesca. Il ricordo dei giorni in cui
era chiuso fuori da Asgard e dal suo cuore è ancora vivido.
Come ha
potuto giocare ancora con quel fuoco? Thor lo vuole sposare, vuole
unire i loro regni con una discendenza? È più di quanto Loki abbia
mai osato sperare.
Quello che diranno i suoi nemici... non
importa. Loki non è un Aés,
non è neppure solo un uomo, ma
è re incontestato. E' la
persona che Thor ha scelto per la vita, e sarà suo il figlio
che
porterà.
(Lo saranno tutti.)
Prende la sua decisione e, come molte
altre volte, non si guarda indietro.
VII
Thor deve delle risposte e delle scuse
a Járnsaxa. Mentre Loki parla ai suoi soldati, si libera del
proprio
corteggio e va a cercarlo.
Lo vede a poca distanza dal luogo della
battaglia, solo. Oh, non sarà facile.
Ma Járnsaxa lo sa già. Thor glielo
legge negli occhi, nell'espressione di desiderio amareggiato.
«Mi avete ingannato» dice Járnsaxa,
e la sua voce è malferma. «Usato. Come avrebbe
fatto vostro
padre... o vostro fratello.»
È dolore sincero quello che accusa
Thor; ma non china la testa. Questo è il fardello dei re.
«Sono cresciuto con loro, dopotutto.»
Il sangue glorioso di Odino gli scorre
nelle vene, e lo spirito di Loki è da sempre, e per sempre,
intrecciato al suo.
«E tu, non eri pronto a spezzare il
cuore di Loki?»
Járnsaxa alza la testa. Si lascia
andare a una smorfia.
«Cuore...»
«Anche Loki ne ha uno – più vivo di
quanto credano tutti. Solo chi lo lo conosce da tanto tempo e gode
della sua confidenza può saperlo.»
Járnsaxa lo scruta in volto e accenna
un sorriso, pieno di amarezza. «Ora vedo perché ha
bisogno di voi.
Thor, voi riuscireste a ottenere il buono anche nel buio più
profondo.»
Thor scuote la testa. «Io ho bisogno
di Loki quanto lui ha bisogno di me» dice,
«perché non sono
perfetto, e nessun altro riuscirebbe a mostrarmi l'errore dei miei
modi.»
Járnsaxa annuisce. Thor lo rivede con
Moði
e Magni fra le
braccia un'ultima volta, nebuloso. Un destino passato.
«Mi dispiace» dice alla fine.
«Anche a me. Vi avrei amato con
tutto–»
La sua voce si spezza.
«Lo so... lo so.»
«Non sono vendicativo» mormora
Járnsaxa, senza guardarlo. «Ma vi prego, non
cercatemi per un po'.
Non bussate alla mia porta.»
La sua voce si affievolisce fino a
spegnersi. Chiude gli occhi, e dalle sue palpebre scendono
ramificazioni cristalline. Sulle guance, sul mento. Senza rumore.
Sono le lacrime degli Jötnar, il cui
dolore è asciutto e pungente.
Thor gli dà l'onore che merita:
annuisce, china il capo in saluto e lo lascia solo.
Thor è un sole splendente, ma Járnsaxa
non ha un cuore di guerriero. Ha provato a combattere: non
andrà
oltre, poiché la vita gli è troppo cara per
consegnarla alla
vendetta di Loki-Re.
E, in ogni caso, Loki aveva vinto sin
dall'inizio.
VIII
Si ritrovano al limitare del
Fölkvangar, in mezzo a una fiumana di gente che li ignora per
andare
a vedere il cratere.
Thor gli sorride e gli stringe un
braccio. Loki pensa che dovrebbe dirglielo ora, prima di ripensarci.
Apre la bocca, ma non riesce a parlare.
Non riesce a dirlo, non riesce, anche se è proprio
lì.
Ha... paura. Forse non riesce a
nasconderlo, perché Thor lo scruta e gli lascia il braccio
per
cingergli la nuca.
«Tutto bene?»
Loki annuisce.
Thor continua a fissarlo, lo guarda da
capo a piedi e poi, in uno di quei momenti di intuizione brillante,
lo soccorre.
«Stai meglio in oro» dice.
Il cuore di Loki si muove in modo
strano – Loki se lo ritrova in gola. Esita. Dice sul serio?
Che
senso avrebbe ora la Linea d'Oro? Non crede nelle antiche tradizioni,
come non ci crede Thor, e sanno entrambi che quella era una mossa
tattica. Un lustrino per vincere le sue attenzioni. Solo quello.
Ma Thor sorride, e il suo sorriso è un
invito.
«Ti aspetto sveglio.»
---
Ancora due!
Yay!
|
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Capitolo 16 *** Interludio -- Destino ***
Note: speravate in
altro Thunderfrost... e invece vi tocca l'ultimo interludio ;)
Forse spezza un po' il pathos del finale, ma ci tengo e non volevo
sprecarlo. Dedico questo capitolo a Kiki, che adora Jarnsaxa!
Di solito non consiglio "soundtrack", ma se volete sapere
cosa ha ispirato la scena principale -> LINK
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- INTERLUDIO -
Destino
Con secoli di guerra
e incursioni
nemiche alle spalle, Asgard ha imparato a ricostruirsi in fretta.
Mentre carpentieri e seiðrmaðr
finiscono di riparare o imbragare gli edifici danneggiati, le strade
vengono appianate, gli alberi abbattuti rimossi, le colline intorno
al lago Aerinmund scongelate e ripulite. Il rumore di pietre, marmi e
macchinari è costante. Quella sera, in tutto il regno si
potranno
onorare degnamente i caduti e festeggiare la vittoria.
Il
balcone della sua stanza si affaccia
verso ovest, su una panoramica del Fölkvangar.
Járnsaxa
non ha voglia di vederlo.
Dopo aver vegetato per ore sul suo letto, in un dormiveglia riposante
solo per il corpo, si alza e si guarda intorno. La camera di un
diplomatico è ricca e curata. E non ha niente che lo
interessi.
Esce
con una stola incrociata sul
petto.
I
corridoi del suo piano sono deserti.
Bene. Non vuole vedere– nessuno.
E
per questo è meglio scendere
piuttosto che salire. Sopra ci sono tutti gli appartamenti di corte.
Istintivamente imbocca i passaggi usati dal personale di palazzo,
trovando la scala secondaria. La illuminano nicchie con lume magico.
Scende gli scalini a chiocciola per uno, cinque, dieci pianerottoli,
sino a farsi girare la testa.
A
quel punto si aggrappa al passamano e
barcolla fuori, ritrovandosi fra pareti tappezzate di arazzi. Il
piano sotto Hlíðskjálf.
Non
gli interessa.
Torna
indietro e spiraleggia per altri
piani, senza contarli. I pochi servitori che incrocia gli lanciano
occhiate distratte, facendosi da parte con l'agilità
dell'abitudine.
Sono impegnati nella preparazione del banchetto; troppo da fare per
dar peso a uno Jötun
eccentrico.
Járnsaxa
torna nei corridoi nobili
quando ha raggiunto la parte inferiore del palazzo. Evita
accuratamente la Sala di Borr e si lascia distrarre dalle storie di
alcuni arazzi, dita che sfiorano le nappe dorate e creano onde.
Quelle
stanze sono silenziose.
Pacifiche. Vaga, alla deriva... ogni passo un sussurro di suole, un
segreto rivelato sottovoce.
Quando
intravede due rune graffiate
nell'intonaco di una nicchia, però, si ferma. (Scarabocchi
di
bambini.)
Laguz e thurisaz.
Ride
dal naso, secco. Non c'è terra
franca su questo suolo.
Asgard
rifulge ancor più dorata perché
ogni fascio di luce getta un'ombra profonda. Ogni suo luogo porta i
segni di Loki. Járnsaxa non aveva idea di quanto profondo
fosse il
suo possesso, e questo in fondo è un altro dei suoi
fallimenti:
Laufeyson è stato principe, diplomatico e quasi-consorte del
regno
per secoli di vita. E presto anche...
Anche
molto di più.
Si
volta, pensieroso. Non è mai stato
passionale come Gerð, pensa.
Si riprenderà presto.
Presto.
Continua
lento, senza una meta,
attraversando il vecchio cuore del Válaskjálf.
Nella luce del tardo
pomeriggio, i corridoi diventano stretti e tortuosi, i muri di
intonaco grezzo; ci sono scale e scalini di pietra che hanno visto
scendere migliaia di suole. I suoi piedi nudi fanno presa sui bordi
consunti.
Quando
arriva in una parte che non ha
visitato con Thor il pavimento diventa di terra battuta, protetta da
magia. In fondo al corridoio, poco più di un budello,
intravede una
rotonda che funge da incrocio con altri tre passaggi. E' piccola. Ha
mazzi di erbe e un arazzo appesi sulle pareti concave, fra gli usci,
e un senso di segreto che porta Járnsaxa a esitare.
Deve...
aver oltrepassato una porta di
solito è chiusa, finendo in un'ala privata. Forse dovrebbe
tornare
indietro.
Quando
gira su se stesso lo raggiunge
un rumore d'acqua. Un gocciolio che cresce in sciacquio sommesso.
Járnsaxa ascolta.
Sembra
quasi una voce, e lo chiama.
Si
è mosso prima di rendersene conto.
Una volta al centro della rotonda guarda un corridoio spoglio, poi un
altro, ma l'acqua è vicina – adesso scorre come un
rio di
montagna, proprio a pochi passi. Sull'arazzo una fanciulla bionda
versa acqua da una brocca, circondata da creature della foresta. Gli
orli della stoffa lasciano passare uno spiffero. Járnsaxa
alza il
braccio e lo scosta.
Oltre
c'è il luogo più... non ha
parole per finire.
Il
polmone segreto di Asgard,
pensa. Forse è la magia di quel luogo a dirglielo.
In
segno di rispetto si ferma sulla
soglia, cuore che corre.
La
sala è di roccia viva: è buia,
profonda e fresca come una grotta, con stalagmiti sottili che si
avvitano verso la volta irregolare. Uno stillicidio di falda ne
illumina a tratti le venature, intersecate da incisioni runiche; luce
senza sorgente soffonde ogni superficie, rivelando per terra un
mosaico i cui rami frondosi guidano i passi. Dev'essere a livello del
terreno, forse anche più in basso. Voci femminili mormorano
canzoni,
riverberando sulle pareti e mescolandosi al sottofondo acqueo.
Il
pavimento del sacrario è in salita.
Al centro, lungo il tronco fittile di Yggdrasil, sette polle
circolari affiancano come grappoli tre vasche scavate nella roccia.
Le
polle sono grandi calici di marmo,
metallo, pietra, forse anche osso, coperti di rune o nudi. Quattro a
sinistra, tre a destra – alcune leggiadre altre solide, e si
riversano nelle vasche grazie a bracci che si volvono e convolvono.
La
fontana scende verso Járnsaxa,
sviluppandosi in profondità più che in altezza. E
tuttavia lui si
sente sovrastato.
Sembra
non esserci nessuno. Trattenendo
il fiato, avanza di un passo.
Il
mosaico è fresco e leggermente
umido. D'improvviso si sente creatura acquatica (lontra, salmone
guizzante) e pianta di sottobosco, con radici aggrappate nelle
profondità del terreno. Lì dentro la vita vibra
con una potenza
diversa.
Tra
le stalagmiti alla sua destra
compare la regina madre. Sorride, maniche del vestito verde che
ondeggiano sfiorando il pavimento.
«Benvenuto
alla Fontana di Mímir,
Járnsaxa figlio di Jønir.»
Mímir.
«Non
può essere» mormora, scettico,
guardando le vasche e dimenticando di scusarsi, dimenticando
qualsiasi buona maniera.
«Hai
ragione.» Gli va incontro,
aprendo le braccia in segno di accoglienza. «Non è
quel luogo, se
mai è esistito. Ma è così che lo
chiamiamo noi» Járnsaxa la
guarda, agitato da sentimenti confusi «perché
mostra molte cose a
chi sa osservare.»
«Mia
regina?»
«Oh,
chiamami Frigga, bambino» dice,
gentile, posandogli le dita di una mano nell'incavo del braccio.
Járnsaxa
non sa cosa dire. Si
accontenta di un: «Io non ho quel dono, mia
signora.»
Lei
continua a sorridere.
«Vieni
con me?»
La
segue. Frigga Fyörgindottir ha
l'eloquio di un diplomatico e la grazia di una madre. E' difficile
non accontentarla.
Quando
sono accanto alla fontana,
circondati da colonne ruvide e dal brillio delle pareti umide, da cui
erompono figure di ninfe e strane creature, Frigga alza una mano dal
bel polso.
«Questo
è il luogo dove molte cose
possono essere taciute, e molte rivelate. Un tempo vivevo qui gran
parte dei miei giorni, alla ricerca di una risposta. Ho imparato
molto. Mi parlava e parla ancora attraverso l'acqua.»
Járnsaxa
viene attraversato da un
tremito. «Chi parla? Dove
siamo?» sussurra.
La
regina lo guarda un istante. «In un
luogo sacro senza storia e senza età, che io ho trovato e
tenuto al
sicuro.» Si ferma a riflettere. «Potremmo chiamarla
una convergenza
di energie quasi infinite, di natura insondabile. Forse un luogo dove
ci parla il destino.»
Járnsaxa
deglutisce.
«Il
destino non esiste» azzarda.
Frigga
sorride ancora. «Non come lo
intendono i più, è vero. Non esiste una strada
inevitabile»
risponde. «Ma esiste una traccia in continuo movimento, in
cambiamento costante, che può essere conosciuta.
Guarda.»
Lei
indica le vasche. La prima a monte
è rettangolare.
«Una
per il passato» dice. Poi indica
la seconda, ellissoidale. «Una per il presente.» E
la terza,
dodecagonale: «Una per il futuro. Ognuna con significati ed
eventi
importanti per chi chiede, che interagiscono con quelli delle polle,
mostrando la via. Ma l'acqua può anche restare nella polla
dove
viene versata, e anche questo dirà qualcosa.»
«Che
cosa dicono le polle?» chiede
lui, incapace di stare zitto.
E
dovrebbe. Dovrebbe. Quella conoscenza
è pericolosa.
Frigga
indica la prima e l'ultima polla
a sinistra delle vasche, in fila proprio davanti a loro .
«Vita,
morte» la sua mano si sposta
«e in mezzo a loro gioia e dolore, i fratelli che si tengon
per
mano.» Si rivolge alle restanti tre, dall'altra parte delle
vasche.
«E dopo i tempi e le essenze della vita, ecco le circostanze
che la
influenzano: i luoghi dove andiamo o veniamo condotti, ciò
che
creiamo – discendenza fisica o spirituale – e la
magia che
incontriamo, sia dentro sia fuori di noi.»
«Voi»
Járnsaxa esita. Lei sorride,
incoraggiante. «Credevo che la Vista fosse un dono... diverso
per
voi.»
«Non
è solo il filato a rivelarmi
segreti, Járnsaxa. Ogni creatura e creazione può
esser tramite di
quella voce. Luoghi come questi – foci come questo
– sono
una porta spalancata per chi è in grado di aprirla. Da sola,
la
Vista interiore è spesso un mero spioncino.»
La
sua mente assetata di conoscenza
assorbe ogni parola, gloriandosene. Nell'animo, Járnsaxa si
sente
profondamente incerto e affascinato.
La
regina madre gli offre una mano.
«Vieni, bambino: ti mostrerò il tuo futuro, se
vuoi.»
Il
suo cuore si colma di paura.
«Credevo
che non poteste parlare di
quanto la Vista vi rivela, pena disgrazie terribili.»
«Non
posso dirti ciò che vedo. Ma in
una di queste polle tu potresti vedere
qualcosa, e
comprenderlo. Non manchi di talento.»
È
un onore immenso. Un mistero
sconosciuto ai più.
«Davvero?»
«È
già accaduto.»
Non
dovrebbe cedere alla tentazione,
ma... ora che può, vuole sapere. Vuole sentirsi dire che il
dolore
che prova non durerà per sempre.
E
Frigga Fyörgindottir è una donna
benevola. Sarebbe stato bello averla come seconda madre.
Lentamente,
Járnsaxa avanza. Frigga lo
conduce a monte, davanti alla vasca del passato. A un suo gesto, dai
recessi della grotta emergono sette ancelle vestite di bianco, che
portano brocche d'argento e intonano un nuovo canto. Un'ottava porge
alla regina una brocca d'oro, che lei consegna a Járnsaxa.
«Immergila
e attingi alla fonte»
mormora.
Poi
si unisce al canto delle donne,
inginocchindosi e immergendo le mani nella vasca del passato.
Mentre
i suoi gesti tracciano percorsi
a lui illeggibili, Jársaxa obbedisce. La sorgiva zampilla
sul fondo
della grotta, alle loro spalle, raccogliendosi in una cavità
liscia
e grigia.
Quando
ritorna gli tremano le mani.
«Pronto?»
chiede la bocca della
regina.
Annuisce.
Gli
guida la mano, stringendo il manico
insieme a lui.
Quando
spinge verso il basso, quando
cade la prima goccia, il canto delle ancelle cambia.
Le
ragazze inclinano le brocche e acqua
pura si riversa nelle sette polle. Mulinando in un brillio di
cristallo, si incanala e serpeggia con grazia nelle volute dei
canali, sfocia nelle vasche insieme alla sua – alcune in una
soltanto, altre in tutte, mescolandosi ai bivi dei bracci senza
apparente scopo.
Járnsaxa
la segue. Guidato
dall'istinto, percorre la sala fiancheggiando il bordo delle vasche e
osserva.
Nella
vasca del passato nevi e
fantasmi. Nella vasca del presente foreste, Gerð
e un guizzo di capelli biondi nella tempesta.
Nella
vasca del futuro, una promessa.
---
L'idea della fontana è mia, vagamente ispirata dal
mitologico stagno di Mimir, ma tutta originale.
Il prossimo capitolo è l'ultimo, e tutto
OTP! Smut and feels, chi sale a bordo? ;D
Dai che ce la faccio prima di Natale!
|
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Capitolo 17 *** La Linea d'Oro ***
Note:
Ce l'ho fatta!! Quasi non ci credo /cry
Quando ho iniziato questa parte (non parliamo della serie intera), non
avrei mai immaginato di metterci così tanto a finirla; anni!
E soprattutto che diventasse un mostro da quasi 50K. Poco per alcuni,
lo so, ma per me che perdo facilmente il filo sono tanti O_o La strada
è stata difficile ma piena di soddisfazioni, non ultima
quella di aver concluso, per cui non me ne pento; ma è anche
un sollievo mettere la parola "end". Fiuu. Dai che si può
continuare con la serie!
Voglio ringraziare
tantissimo tutti voi recensori, che mi avete sostenuto e
incoraggiato quando credevo che nessuno leggesse. I vostri commenti mi
hanno riempita di gioia, fatto riflettere e condividere il vostro
divertimento :D grazie!
Grazie anche a tutti coloro che hanno solo letto; spero abbiate passato
qualche ora piacevole. Se è così, ho restituito
al fandom almeno una parte di tutto il divertimento avuto in questi
anni :)
Ecco a voi l'ultimo capitolo, un (bel) po' in ritardo rispetto a quello
che avevo promesso... ma sicuramente meglio di quel che sarebbe stato
tre settimane fa. Spero renda giustizia alle vostre aspettative!
Versione
con smut su AO3.
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La
Linea d'Oro
I
Sua madre indossa una cintura che Loki associa alla Fontana di
Mìmir. Lo abbraccia nello spiazzo del
Válaskjálf, in mezzo ai passanti e alle guardie,
incurante del suo stato disgustoso.
«Sono orgogliosa di voi.»
Lo bacia sulla fronte, tirandosi sulle punte dei piedi. Quando li
riappoggia sul pavimento i suoi occhi brillano.
«Veglierò io sui mondi per voi,
stanotte.»
Loki si sente (brinare) arrossire. Non c'è bisogno di
chiedere cosa intende... solo da scrollare Thor, se è stato
lui a dirglielo. Le madri non dovrebbero sapere certe cose.
Frigga sorride e gli dà un colpetto malizioso sulla guancia,
smuovendo qualche cristallo di ghiaccio. Poi se ne va con passo allegro.
L'imbarazzo si è trasformato in impazienza quando Loki
finisce di rastrellare i suoi hrimthurs per
palazzo e cittadella. Non ha tempo da sprecare.
Eppure altro va buttato chiarendo quali Jötnar torneranno con
lui e quali rimarranno per gozzovigliare ad Asgard. L'impazienza
diventa frustrazione. Con un gesto secco ordina a... ha perso il
conto... a chi è interessato, e sarà
meglio che le idee siano chiare in questo preciso istante,
di correre al Bifröst per partire. Li segue dall'alto come
falco per farli rigare dritto.
A Jötunheim la notizia della vittoria è
già arrivata. In assenza pro-bellum
del re, i burocrati hanno avviato i preparativi per una celebrazione
autonoma, come Loki immaginava, e alcuni degli operai che lavoravano
alle decorazioni per il Mezzinverno sono stati dirottati sul progetto.
Il preavviso è troppo breve perché possano creare
chissà cosa, ma almeno una (inaccurata, pacchiana) statua
con l'idra sconfitta e lui grande il doppio del reale darà
caratterizzazione a quella che, di fatto, sarà la solita
orgia cittadina. Gaudio e tripudio.
Comunque Loki ha intenzione di tenere solo un brevissimo discorso, in
apertura del banchetto approntato per le strade. Il resto non lo
riguarda.
Prima di quel momento, mentre silava nelle sue
stanze, parla con messaggeri e proiezioni di seiðrmaðr.
Senza la mole dell'idra a sostenerlo, il Pugnale di Hel
è imploso: i suoi seiðrmaðr
lavorano da qualche ora per stabilizzarlo e una falange di Thrym
ripulisce le zone più colpite del Gastropnir. Loki
dà qualche direttiva, qualche consiglio. Poi caccia via
tutti.
Ancora poche ore – meno di tre. Le lune calano in fretta.
Esce dalla vasca di acqua tiepida, fa dissipare la cortina di nebbia
che lo celava. Grazie al piccolo balcone si gode la vista di
Utgarð, scintillante sotto i suoi festoni di neve. Si asciuga
ghiacciando l'acqua che ha sul corpo e pensa a quello che
farà stanotte.
Senza rendersene conto, pian piano diventa un groviglio di nervi.
Si veste con semplicità, scegliendo pochi gioielli: il suo
sigillo, alcune cose significative che sono state regali di Thor. Sono
le stesse che indosserà per lui.
Meno due ore e un quarto.
Scende nella sala dei banchetti, parla ai suoi nobili e cortigiani.
Accetta lo schiocco secco dei loro corni di idromele con un sorriso
compiaciuto a ogni brindisi. (Un'ora e mezza.) Poi, dopo qualche
boccone che fatica a deglutire, li lascia a ingozzarsi ed esce, accolto
dalle voci levate e dagli sguardi un po' increduli del popolo. Un altro
discorsetto, semplice ma efficace. Quello che conta è mandar
tutti alla baldoria.
Baldoria che condividerà, anche se non come credono.
Un'ora.
Per tutto il tempo, ogni respiro è una tortura. Ora che ha deciso
il suo autocontrollo è sparito. Gli tremano le mani, ha il
respiro corto e un fremito costante nel sangue; un calore freddo
spiraleggia e si concentra nel suo ventre. Il suo corpo oscilla come le
grandi maree, pronto a crescere...
Vuole andare da Thor, subito.
Entrare nel suo abbraccio e prenderlo senza esitazione.
Non mostrarlo richiede fino all'ultima goccia del suo autocontrollo. Ma
non dovrà resistere ancora a lungo; resta solo una cosa da
fare. Non ha dimenticato la meraviglia e il desiderio di Thor alla
vista della Linea d'Oro, il piacere viscerale che ha provato sentendo
il suo invito quand'erano al Fölkvangar. Dopo tutto quello che
ha fatto per allontanarli, vuole donargliela – e, certo,
sarà anche un omaggio all'ossessione Jötnar per la
tradizione. Il re di una Jötunheim fiorente dovrebbe
trascorrere questi giorni chiuso nelle sue stanze col suo compagno, a
generare eredi sani. Gli Jötnar sanno indurirsi sino a
prosciugarsi, nei momenti di povertà; occasioni come queste
non vanno sprecate.
E chi vuole sprecarla?
Rivedrà la fame sul viso di Thor. Sentirà di
nuovo i suoi occhi, le sue mani su ogni linea del kýn.
Tre quarti d'ora.
Il sospiro che manda Angantýr quando Loki entra nel suo
studio-bottega non potrebbe essere più trasparente. Il
guaritore si volta, rabatta sul suo piano di lavoro, afferra le giare
delle polveri d'oro e argento e fa mostra di cacciarle nell'armadio
alle sue spalle. Poi si ricorda l'inchino.
Loki inarca un sopracciglio.
«Pensavi di non vedermi per un po'?» chiede,
buttando il mantello di piume su una sedia. L'unica superficie libera.
«In tutta onestà, Loki-Re?»
«Hm.»
«No. Speravo di vederti tornare per quelle»
accenna all'armadio «prima di partire per Asgard, ma potevo
riconciliarmi col fatto che non fossero indispensabili. E
invece...»
«E invece, eccomi qui.»
Loki vorrebbe sapere perché il suo stato civile (o anche
solo riproduttivo) sta tanto a cuore a quel vecchio zitello. Non
è stato la sua balia né un tutore né
un mentore. Prima di poter elaborare il pensiero, nota che
Angantýr sta scuotendo la testa con aria da martire.
«Sono qui per la pittura adesso»
fa Loki, spiccio. «E non ho intenzione di
aspettare.»
Angantýr alza lentamente la testa e lo fissa come se avesse
assistito a un miracolo. O a un massacro. Poi diventa un ciclone di
operosità, afferrando ciotole e pennelli. Loki non sa se
trovarlo ridicolo oppure offensivo.
Chiude gli occhi e intinge un dito nella pasta d'oro. Si lascia
immaginare.
Guarda al passato, poi rivolge la mente al futuro.
Thor fa la sua comparsa al banchetto solo per protocollo, ma non se ne
pente. L'atmosfera è allegra e nella sua sala siedono alcuni
tra i migliori guerrieri dei Nove Mondi, insieme a sua madre e ai suoi
amici. Manca soltanto Loki.
Quando l'orologio ha compiuto due giri, uno dei suoi collaboratori si
sporge dall'uscio di servizio e gli rivolge un cenno discreto. Thor si
alza e offre un ultimo brindisi alle sette tavolate, questa volta in
onore degli alleati Jötnar. Tracannato il sidro fra grida di
approvazione, annuncia il pezzo forte del banchetto: sette barili di
frutta macerata nel più forte liquore prodotto dai nani,
direttamente dalle cantine del Válaskjálf. E
mentre si scatena il caos, sparisce con un'occhita complice a Sif,
Hogun e Volstagg.
Nel bagno degli appartamenti reali lo attende una vasca fumante.
L'acqua è degna del Valhalla. Reclinato all'indietro,
schiena che sfiora un bordo marmoreo, abbassa le palpebre e lascia che
i sali allevino gli ultimi dolori lasciati dalla battaglia.
Non può fare a meno di contare i mesi che l'hanno visto
separato da Loki. I minuti che mancano al loro ritrovarsi.
Se Loki verrà.
Scuote la testa. Verrà.
Quando ha finito si veste con abiti comodi ma ricchi, in rosso, oro e
camoscio, e s'intreccia i capelli sulle tempie. Non li porta
più lunghi come un tempo, ma questo lo può ancora
fare. Soprattutto, a Loki piacciono.
Tornato nella sua camera recupera la chiave-sigillo che ha preso dalla
tesoreria prima di salire e la infila in una catenina, indossandola al
collo. Poi siede sulla sua poltrona preferita con qualcosa da leggere.
Gli orologi segnano quasi la mezzanotte.
Passati i suoi rintocchi, un barlume attira il suo sguardo. Thor guarda
per terra.
Qualcosa si sta arricciando contro lo zoccolino del muro che confina
con l'anticamera, vicino alla porta. Luccica. Da quella voluta spuntano
gentilmente virgulti di ghiaccio bianco-azzurrini, che crescono, si
arrampicano, fioriscono con grazia sino a trasformare la camera in una
pergola bianca, baciata dall'inverno. La chiave di volta contiene
effigi di Mjölnir e Laevateinn. Thor espira e sorride con
tutto se stesso.
Loki bussa una volta contro lo stipite, suono attutito dai cristalli.
Il suo mantello di piume è aperto. La pittura che abbraccia
il suo corpo magnifico cattura subito la luce, brillando insieme al
pergolato. Loki non ha il suo rubino né altre gemme, solo
familiari anelli intrecciati alle dita e un kjálta
di lupo grigio. Sul viso, occhi febbricitanti e un mezzo sorriso.
Nonostante la Linea d'Oro il suo aspetto è essenziale e
semplice e vero.
«Eccomi.»
«Loki...»
Esitano. È il momento del passo che cambia tutto (o forse
non proprio tutto).
«Credevi che non sarei venuto?»
Thor chiude il suo libro e si protende, puntellando i gomiti sulle
ginocchia, cuore che batte all'impazzata.
«Pensavi davvero che avrei potuto amare un altro?»
Loki distoglie lo sguardo prima di riuscire a controllarsi.
«Immagino» risponde dopo un po', distante
«che dubitare sia una parte troppo radicata della mia natura,
nonostante i miei sforzi.» Poi aggiunge, eloquente:
«Sono accadute molte cose in questi mesi.»
Thor fa una smorfia. «E' vero. Accetto le mie
responsabilità... ma hai iniziato tu, Loki.»
Invece di ostilità ottiene un sospiro. Quando è
chiaro che Loki non risponderà, Thor appoggia il mento al
dorso della mano destra, guardandolo in tralice.
«Dovrei renderti le cose difficili, ora... Tu hai sempre
imparato solo così.»
Non sa perché lo ha detto. È felice, e non
è il momento, e si sono puniti già abbastanza.
(Ma essere sovrano gli ha insegnato la durezza.)
Loki accusa il colpo ma non rinuncia all'ultima parola. Nei suoi occhi,
il fuoco che Thor ha sempre amato.
«Vedi? Siamo fatti l'uno per l'altro.»
Si guardano, e un accenno di riso cresce lentamente in sogghigno sulle
loro bocche. Thor annuisce di buon grado.
Poi osserva con occhio obiettivo e, all'improvviso, si rende conto di
quello che sta facendo. Loki sembra sicuro di sé, ma il suo
corpo lo tradisce: i suoi lineamenti sono tirati, i suoi muscoli
contratti. Non è pronto. Non è pronto, e Thor non
deve–Thor lo sta–
La sua bocca si asperge di amaro. Si alza e va ad abbracciarlo.
Loki si chiude il mantello sulla pittura, un po' rigido. E' liscio e
fresco. Odora d'inverno, piume e pigmenti dolci.
«Non tremare così» implora Thor, invaso
dal senso di colpa. «Mi dispiace.»
«Per cosa?» chiede lui, affondando le mani nella
stoffa della sua schiena.
«Ho ceduto ai cattivi consigli della guerra. Non avrei dovuto
darti quell'ultimatum.»
Una bassa risata. «Io ho fatto lo stesso, Thor. E non
è forse tutto lecito in guerra e in amore?»
«No. Non voglio che sia così
fra noi.» Thor tira indietro la testa. L'espressione di Loki
è ammorbidita. «Non voglio più dover
contrattare per la nostra felicità. Perciò, se
non sei pronto... e non lo sei... c'è tanto tempo,
possiamo–»
Loki lo spinge via.
«Che cosa?»
Thor accenna un gesto pacificatore. Loki scopre i denti.
«Quante volte te l'ho detto? Non spetta a te stabilire cosa
sono o non sono.»
«Hai ragione. Comunque sia, possiamo aspettare.»
Per un attimo Loki è senza parole. Poi emette un ringhio
incoerente. «Oh, questo–questo–»
«Ti ho sorpreso di nuovo?»
«Thor» sibila
«quello che mi hai fatto passare–»
«Me lo renderai triplicato, lo so.»
Loki lo spinge ancora, poi lo afferra per la tunica, lo scuote e preme
le corna contro la sua clavicola. Thor gli passa le mani sulle braccia,
attraverso le piume. La calma torna così, tra un respiro e
l'altro e la reciproca vicinanza.
«Sai qual è la parte peggiore? O la
migliore» dice Loki, alla fine. «Ora voglio davvero
un bambino.»
Il petto di Thor si espande con forza.
«Mi fa paura. Ma... quando ti ho visto precipitare...
ho temuto che–ho capito... di esser stato uno stupido.»
Gira la testa per parlargli contro il collo. «Se possiamo
avere tutto, finché sarai qui con me voglio tutto
ciò che possiamo avere insieme. Tutto.»
Thor lo stringe forte tra le braccia, respiro veloce.
«Lo vuoi ancora?»
Quando alza il capo, Thor lo sta guardando con la gioia e il dubbio
negli occhi. «Ma tu non devi–»
«Lo vuoi ancora? Uno, e forse altri?» ripete Loki,
tirando la stoffa della tunica.
Sì, dicono le labbra di Thor.
«Sì» ripete la sua voce.
«Li avrai. Quanti ne vorrai.»
«...Quanti ne vorremo.»
Si baciano con trasporto. Quando si separano, senza fiato, Loki
appoggia la fronte sulla gola di Thor e Thor posa una guancia sulla sua
tempia. Ridono, un po' ubriachi.
«Il prossimo toccherà a te, naturalmente. Ma non
questo.»
«Sei sicuro?»
«Sono pronto.»
«Allora–»
Huh. Già.
«Vuoi sposarmi?» chiedono all'unisono, e poi
sbuffano una risata, fronte contro fronte.
«Sì» dice Loki.
«Sì» risponde Thor.
«Sì. Finalmente.»
Quando si sono separati, riluttanti, Thor infila una mano nello scollo
della propria tunica e solleva la chiave per la catenina. Gli occhi di
Loki vanno subito al monile. Thor può quasi sentire la sua
mente perspicace lavorare mentre segue i contorni della chiave,
analizza le rune e, soprattutto, riconosce il seiðr
intrecciato al suo uru.
«Quella–»
«Una sorpresa per te» dice. «Per
noi.»
Tende la mano libera, la destra, e dopo un momento di scherzosa
perplessità Loki la afferra.
«Come, non qui? E io che ho decorato la stanza.»
«E' bellissima» dice Thor, inarcando il collo per
guardare. «Durerà? Potremo reinaugurarla al
ritorno?»
«Sì, certo.» Loki si lecca le labbra.
«Mi è mancato farlo qui dentro... ma deduco dalla
tua impazienza che hai ben altro in serbo per la nostra
notte.»
Thor sorride da un orecchio all'altro. «Tieniti
forte.»
Poche parole di potere e l'aria che li circonda implode, risucchiandoli
nel buio.
La prima cosa che Loki vede passato il disorientamento –
Tesseract, quella chiave è connessa al Tesseract –
è il vuoto. Nero, deserto, stelle.
Il respiro gli si mozza in gola. Barcolla e collide con qualcosa. Thor,
che lo afferra e lo tiene dritto.
«Loki, stai bene?»
Sopra di loro, l'immensa distesa di galassie si offusca. La sostituisce
un soffitto a crociera, basso e chiaro come quello di un salottino.
Gli ci vuole qualche secondo per raccapezzarsi.
«Sì... credo.»
Gira la testa. Thor gli bacia una tempia.
«Forse non è stata una buona idea. Avrei dovuto
pensarci–»
La sua solidità lo rilassa.
«Smettila» fa Loki, con un mezzo sorriso.
«Sbaverai la pittura.»
Thor lo lascia andare. Ha un'aria davvero troppo preoccupata per
l'occasione: Loki è andato da lui per fare la pace e
soprattutto l'amore, non per ricordare gli orrori che si nascondono
nelle profondità della galassia.
«Sto bene» lo rassicura, posandogli le mani
nell'incavo caldo dei gomiti. «Solo un capogiro. Non mi
aspettavo di viaggiare via Tesseract.» Gli lancia
un'occhiata. «La prossima volta avvisa, per favore? Avrei
potuto reagire e mandarci chissà dove.»
Thor offre uno dei suoi sorrisi impenitenti.
«Scusa. Ero impaziente.»
«Chissà come mai?»
Thor indietreggia fino a poterlo prendere per le mani.
«Sicuro di star bene?»
«Sì, Thor.»
«Allora sei pronto per la sorpresa...»
Loki non ha finito di annuire che le pareti tornano trasparenti.
Inconsciamente credeva fossero nella stanza che occupa la cima di una
torre. Ciò che vede lo lascia senza fiato.
Sono a bordo di un... avamposto sospeso fra le stelle. Vetro e magia ed
energia pura, e metallo, ramato e dorato. Gli ambienti sono due, a
cupola, collegati da una passerella coperta che si apre proprio accanto
a loro, stretta come un tunnel e trasparente oltre il pavimento e il
parapetto. Nessuna area è davvero illuminata, per consentire
un'agevole osservazione dell'esterno buio, ma emana comunque una luce
tenue e calda.
Loro si trovano nella struttura più piccola, paragonabile a
una camera. E' il punto di collegamento con Asgard, il portale di
viaggio, capisce Loki. Sotto i loro piedi ci sono tarsie geometriche in
leghe e pietre speciali, incise con rune di viaggio,
solidità, protezione e simboli legati al cuore del
Tesseract; quattro circonferenze si dispongono ai punti
cardinali del pavimento, il cui cuore a stella irradia strisce di
ideogrammi.
L'altra struttura è almeno tre volte più grande,
coronata da una cupola i cui spicchi sfaccettati sono rinforzati da
nervature di metallo. Come una coppa senza stelo, col suo fondo a
cappuccio rovesciato, resta sospesa nel vuoto ruotando
dolcemente, stabilizzata da una raggiera di bracci lunghissimi che
terminano in sfere o punte. Al suo interno, Loki intravede quella che
sembra un'isola di comando. Anche se le strutture portanti sono
concluse, sono visibili ovunque parti incomplete. E' un cantiere senza
detriti, tirato a lucido e ammobiliato per un'occasione speciale.
Lascia che Thor, camminando all'indietro, lo conduca fino a
metà passerella. La visuale è mozzafiato.
Col cuore in gola, riconosce le galassie della loro infanzia. E quando
guarda giù, giù, fino all'isola luminosa che
è Asgard, sa immediatamente dove sono.
«Il nuovo osservatorio» sussurra.
Il loro progetto segreto, sospeso da tempo perché
impossibile. O forse non così impossibile. Si accorge di
stringere forte le mani di Thor.
«Come ci sei riuscito?»
«Ti piace?»
«È magnifico.»
«Un giorno ho riletto le nostre vecchie carte. E nelle ore di
noia ho avuto un'intuizione davanti al Tesseract...»
Che Loki immagina seguita da molti tecnicismi.
Thor ricambia la stretta senza smettere di fissarlo – anche
se lui non può smettere di spaziare con lo sguardo sui mondi
ai loro piedi... conosciuti e sconosciuti.
«Potremo continuare insieme, ora.»
Lentamente, Thor lo conduce nell'Osservatorio vero e proprio,
incompleto e bellissimo. Al centro si trova un albero maestro che
raggiunge il soffitto della cupola; alla sua base, una piattaforma a
scalini reca i comandi e le coordinate astrali, oltre a spazi che
saranno riempiti da strumentazioni e mappe. Tutt'intorno,
l'architettura pulita dell'ambiente è stata ammobiliata con
un tavolino di rinfreschi, due poltrone, cuscini, tendaggi e un letto
sontuoso. Nell'area ridotta creano l'atmosfera di una casa.
Respirano e ascoltano. Non c'è silenzio lì,
nonostante le distanze che li separano dal resto di Yggdrasil. Sotto la
cupola riverberano echi dei mondi – acqua, vento, il brusio
della vita, le voci pacifiche ed eteree degli alberi.
Dalle galassie scende una pioggia di stelle.
«Come ti sembra, come talamo nuziale?»
Loki gira la testa verso Thor, senza parole. Si muovono come una cosa
sola, per baciarsi con tenerezza.
Poi Loki lo fa cadere sul letto e gli si arrampica addosso.
«Prendimi ora» sussurra. «Prima che
decida di fare da solo.»
Thor ride, perché è una minaccia vuota. Loki lo
fissa con occhi dilatati, mezzo sogghigno che scompare per lasciare il
posto al desiderio. La luce senza sorgente dell'Osservatorio anima le
linee di pittura d'argento come se fossero onde su acqua.
Nel momento che li divide da quell'ultima cerimonia, Thor si sente
sopraffatto dalla gratitudine.
«Credevo fosse già accaduto... ma è la
prima volta che mi offri tutto di te.»
«Sai che non lo farei per nessun altro, vero» dice
Loki, slegandogli i lacci della tunica. «A parte me
stesso.»
Ridono sommessamente. Poi Thor gli passa il polpastrello del pollice
sul collo, lisciandogli la pelle e una linea del kýn; il suo
gesto sbava un po' di pigmento. Scuote la testa senza distogliere lo
sguardo.
«Se me l'avessero detto quando eravamo giovani e
stupidi...»
«Parla per te.»
«Se mi avessero detto come cambiano la vita e le
persone–»
«Già.» Loki lo bacia, interrompendo le
malinconie. «A chi lo dici.»
Forse si sarebbero risparmiati molta sofferenza. O forse non sarebbero
qua. Importa poco ormai, in fondo.
L'importante è che si siano ritrovati, ancora e ancora, per
arrivare a congiungersi in questo momento. Thor lo spinge un po'
indietro, scosta il suo mantello e avvicina le mani al suo ventre,
palmi avanti, dita aperte verso la Linea d'Oro.
Loki inspira con asprezza, assecondando per un attimo l'istinto di
ritrarsi, e Thor sorride. Poi, lentamente, le sue mani lo raggiungono
per toccarlo dal centro del ventre ai fianchi – grandi, calde
– dita che scivolano oltre il suo bacino per unirsi sulla
schiena, sfumando la linea dei re. Creando la Cintura dell'Unione.
Loki non può che guardarlo negli occhi, sentire il suo corpo
caldo e pronto. L'antica magia cristallizza i colori perché
restino invariati fino al giorno in cui mostreranno la sua
fecondità. Non è più un sovrano solo,
ora. E domani, vedendolo, nessuno potrà ignorarlo.
Siamo uniti.
«Guardati le mani.»
Thor ruota i polsi. I palmi delle sue mani sono coperti di polvere
d'oro che, al tatto, non sfuma.
«Lo saprano tutti» fa, divertito.
«Che sei mio?» fa Loki, abbassandosi
finchè i loro petti non si sfiorano. «L'idea
è questa...»
Gemono. La pittura finisce di cristallizzare con uno scintillio.
«Eccoti, finalmente» gli mormora Thor all'orecchio,
dopo averlo baciato.
Loki chiude gli occhi, nascondendo il viso nel suo collo.
«Eccomi.»
È il momento. Lo sente come sente il seiðr
che scorre in tutte le cose, sicuro e inarrestabile. Saprà
esattamente quando accadrà, perché l'impulso che
domina il suo corpo alla vicinanza di Thor – così
vicino ora, oh, vicino e suo, soltanto suo, per sempre –
quell'impulso affievolirà sino a scomparire, lasciandolo di
nuovo padrone di se stesso. O forse non il solo padrone.
Loki deglutisce. Non è stato cresciuto per affrontare
questo... ma, forse, la libertà che ha sempre cercato sta
anche in quello.
Sarà il figlio di Thor, quello che avrà.
«Thor... Thor.»
La sua mente e il suo corpo sono pieni di lui, può soltanto
tenersi aggrappato, tenerlo vicino. E per questo non sa da dove origini
la coscienza di cosa accade.
È breve e fuggevole, ma nitida. Avvinghiati l'uno all'altro
sotto lo sguardo silenzioso delle stelle, come i sovrani che li hanno
preceduti, lui e Thor stanno creando il futuro dei mondi.
II
Mentre le galassie ruotano intorno a loro, Thor ricorda vecchi amici e
pensa a tutte le cose e le persone che la mano della vita gli
ha portato via. Poi guarda Loki e pensa alle cose che invece non ha
perduto, ma conservato o ritrovato. Oggi lo rendono un uomo migliore.
La più importante è lì, accanto a lui
– sempre accanto, ormai, nel bene e nel male. La persona con
cui condivide ogni giorno la sua vita, con lui sentinella inamovibile
nel fiume eterno del tempo.
Con la benevolenza del destino, e la determinazione di Thor, saranno
insieme fino alla fine.
Sorride e Loki gli si fa più vicino.
III
Loki si sveglia al riverbero di mondi lontani, ovattati nella cupola
dell'Osservatorio. Thor dorme contro di lui, un braccio proteso oltre
il suo petto, capelli biondi sparsi sul cuscino. Per qualche tempo Loki
guarda la nave. Poi gira la testa verso di lui.
Si sente... felice. In pace.
Credeva che questo tipo di felicità non potesse esistere
oltre l'infanzia, che le realtà ciniche dell'età
adulta ne sgretolassero l'idea un po' ogni giorno, lasciandola a
splendere come miraggio soltanto nella mente degli ottimisti. Credeva
che, soprattutto nella vita di persone come loro, non potesse
realizzarsi. Ma Thor l'ha resa possibile. Gliel'ha donata con testarda
generosità, creandola dal sole che è la sua
mente. Oh, non sarà sempre così pura, certo. Dove
la luce è più forte, più nere sono le
ombre. Ma Loki, nel guardarlo, sente il suo cuore scoppiare ugualmente
di mille emozioni.
Non vuole più che debba essere Thor a dare tutto. Potrebbe
dare e dare fino a prosciugarsi, e Loki si rende conto che non
può permetterlo. È completo, ora...
farà la sua parte senza sottrarsi.
E se avrà paura (oh, ne avrà), trarrà
forza dalla nozione che il suo amore è il cardine del mondo
di Thor.
Loki guarda su, e il peso di Thor lo àncora
contro l'oceano di galassie che li sovrasta. Sente che
potrebbe perdersi di nuovo se lo lasciasse andare; ma Thor non lo
farà. Non l'ha mai lasciato davvero andare, per tutte le
loro vite, ed è grazie alla sua ostinata perseveranza che
oggi hanno vinto.
Tutto ciò che hanno vissuto, pensa – tutto
ciò che hanno accolto e rifiutato, appreso, rinnegato
– tutto conduceva lì, a quel momento.
Le vie del destino sono imperscrutabili.
Ti amo, pensa, premendo il viso contro la sua
fronte. Mi avrai sino alla fine dei nostri giorni.
Questo giuro una volta, questo giuro due volte, questo giuro
tre volte.
Loki cinge le spalle di Thor e si tiene stretto, stretto.
oo FINE oo
--------
[Bonus]
Quando glielo dicono, Fandral ha un sussulto di singhiozzo. Poi si
piega in due e ride, ruggisce – si sgola. I Guerrieri Due e
Sif si scambiano un'occhiata.
«Non dirci che non te l'aspettavi» fa Hogun.
E Sif: «Non c'è niente da ridere.»
«Oh, non sono d'accordo, moglie mia» boccheggia
Fandral, tirandosi su a fatica. «C'è molto, molto
da ridere. Non credevo che Thor fosse così pazzo! Loki? Loki
il Possessivo? Loki dalle Mille Risorse? Thor si sta condannando a una
vita di monogamia terminale!»
Si ferma a riflettere.
«Non che mi dispiaccia veder diradare la
concorrenza.»
Sif gli assesta un cazzotto sul muso. Volstagg scuote la testa, poi
sorride.
«L'amor non è bello...»
Non ho saputo resistere XD era un siparietto che avevo scritto da
più di un anno. Sentitevi liberi di ignorarlo se vi rovina
la sacralità del finale.
*La frase sulla monogamia terminale è un omaggio al
bellissimo film Sliding
Doors. Se non l'avete visto, dovreste farlo.
Ee... basta. Questa parte della serie è finita. Le prossime
le saranno collegate in modo abbastanza stretto, comunque, quindi non
temete, ritroverete ancora questa atmosfera. Non credo che sarano
altrettanto lunghe però, anche se non si può mai
sapere.
E se avete tempo, mi farebbe un gran piacere sentire le vostre
opinioni! ❤
Sniff... bye Doveri!
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