nobuyuki dove mormora il vento

di ravencraw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** yanagi ***
Capitolo 3: *** sukorito to hoki ***
Capitolo 4: *** haiiro no asufaruto ***
Capitolo 5: *** nomikomu ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era appena trascorsa la notte tra il 20 e il 21 di marzo, la primavera era giunta con un dolce balzo nella piccola regione di Nikko, ubicata nella rurale e montuosa prefettura di Tochigi;

sebbene chiazze di nevischio persistevano a rinfrescare l'aria e a dare un tocco pittoresco alla zona, gli stagni e i rigagnoli cominciavano a svegliarsi dal loro torpore, un tenue profumo di gelso si dipanava titubante per le vie del paesello e su, fino al tempio.

Le querce mormoravano gelose al vento, i fratelli peschi di lì a poco avrebbero dato i fiori, trepidanti anch'essi frusciavano in attesa di quel giorno in cui avrebbero omaggiato le ninfe e le genti allegre avrebbero goduto della loro bellezza.

Il grande miracolo della vita stava uscendo dalla coltre farinosa di ghiaccio in cui Fuyu l'aveva confinato per 3 lunghi mesi, in una delicata e timida danza anche i primi animali cominciavano a far capolino: le rondini e i cardellini planando nella volta celeste cantavano alla Dea.

Un giorno speciale in fin dei conti, e per Izumi lo era ancora di più, era il suo compleanno e per questo motivo il padre decise di chiamarla primavera, non credo ci sia un nome più appropriato;

Izumi splendeva di vitalità nei suoi 16 anni, una mente molto matura si fondeva alla perfezione con un animo curioso e bambinesco, una ragazza a modo e molto affettuosa anche se dotata di una personalità ribelle incline a volte all'insubordinazione verso le rigide regole di galateo e portamento nipponico, amante della natura la si vedeva spesso fin da quando era piccola saltellare per i prati e spostare delicatamente una ciocca dei lunghi capelli neri per osservare meglio ciò che la circondava con i due zaffiri che aveva al posto degli occhi, il fisico slanciato ma tuttavia aggrazziato risaltato dai colori pastello che indossava sempre, fata pandizzucchero la chiamavano ironicamente gli abitanti del paesino, per la miriade di campanelli che portava indosso e che tintinnavano mentre correva leggiadra nei boschi, ella aveva tutto ciò che potesse desiderare, viveva perfettamente a suo agio a Nikko, e per nessuna ragione al mondo l'avrebbe mai abbandonata.

 

 

Anche a vari chilometri di distanza, nella grigia e frenetica periferia di Tokio, arrivava la primavera, ma pareva che nessuno ci facesse caso, tutti così presi dai loro problemi quotidiani, dalle loro carriere e dai loro obblighi sociali e lavorativi, i quasi 14 milioni di persone che brulicavano quel bigio formicaio, marciavano dritti, sguardo fisso e passo svelto.

Una foresta di cemento armato con una scala cromatica molto vasta, ma che spaziava tra soli due colori, il bianco e il nero, sempre che questi possano essere definiti tali, i rumori roboanti e improvvisi e gli odori forti talvolta acri, simili al piombo fuso aleggiavano nell'aria.

Niente cielo, niente prati, solo qualche piccione in mezzo ad una enorme popolazione di automi, a primo acchito può sembrare freddo e invivibile, ma per gli eddoko era sicura e soprattutto era "casa".

Anche Suzume la pensava così, quel piccolo "passero", compiva proprio oggi 18 anni, ma non gliene importava un gran che a dire il vero, tutto preso dai suoi libri e dal suo protocollo, le sue giornate passate sui libri e sui computer a calcolare, progettare e scrivere, centellinava qualcosa a pranzo e poi ancora via nella sua ferrea e perfetta routine.

Aveva anche una passione per la poesia e per i fiori, ma questo nessuno lo sapeva, di certo il figlio di un importante manager non poteva permettersi di deludere il padre, lui doveva dare il massimo per rispettare le aspettative degli avi, doveva impegnarsi molto, studiare sodo per un giorno prendere parte all'immeno impero finanziario del padre, era tutto ciò che voleva o almeno quello che pensava di desiderare con tutto sè stesso fino a quel momento.

Suzume era il tipico ragazzo modello secondo gli standard eddoko, il figlio che tutti i genitori vorrebbero avere: serio, responsabile e disciplinato, con i piedi ben saldi sull'asfalto.

Fisicamente era magro, quasi ossuto, capelli neri in un taglio classico e formale, zigomi alti risaltati da una montatura molto professionale, medesimo anche nel vestiario, uniforme pacata nei giorni feriale e da cerimonia nei festivi, collo serrato e maniche inamidate.  

 

Questa era solo l'introduzione, per capire se come cronotopo possa piacere o meno, presto posterò il primo capitolo, sono ben accetti commenti, critiche e consigli, ringrazio in anticipo coloro che spenderanno un po' del loro tempo per leggerla.

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Capitolo 2
*** yanagi ***


CAPITOLO 1 YANAGI

 

Il canto del gallo della vicina fattoria svegliò Izumi insieme al Sole, era un giorno importante:

era il suo compleanno...

Velocemente come in preda ad una incontrollabile euforia, ella si diede una rinfrescata e si vestì, mise il suo maglione preferito, color cobalto, un paio di pantaloni color pesca, e il berretto; anche se era a tutti gli effetti primavera, il clima non era certo clemente, mise poi gli stivali di velluto, il regalo di compleanno dell'anno passato, niente trucco, non era come le altre ragazze, che seppur vivevano in una vallata rurale si tenevano al passo con le mode occidentali con capelli tinti e viso colorato, e la maggior parte dei ragazzi avrebbe sostenuto che non ne avrebbe avuto bisogno.

Scese velocemente le scale di camera sua, spinse la porta cerata scorrevole e salutò i nonni con un sincero inchino, prese la colazione e si fiondò animatamente ad aiutare suo padre nell'orto.

Aprì il cancello di legno della staccionata e oltrepassò la guaina posta a protezione del raccolto, abbracciò affettuosamente il padre, dimenticandosi come di consueto di fare l'inchino, lui l'avrebbe perdonata, v'era un rapporto speciale tra loro due e entrambi lo sapevano, soprattutto in questi ultimi mesi in cui la madre era ricoverata al Tokio Central Hospital.

Entrata nel campicello, salutò come al solito il suo amico pesco, mettendo i palmi delle mani sulla corteccia, in segno di risposta le fronde frusciarono gioconde sotto un alito di vento;

lavorò con impegno per circa tre ore, curando meticolosamente ogni singola piantina e nonostante lo sforzo, aveva sempre il sorriso sulle labbra.

Tornò a casa, dove i suoi parenti le avevano preparato la cerimonia, ricevette alcuni regali, maglioni, e altri capi di vestiario, le fu dato inoltre un pacchettino in carta lucida, il mittente: sua madre.

Congedò tutti secondo la tradizione, poi corse ad abbracciare i nonni incurante del galateo, infine prese il regalo della madre e si avviò in camera sua contemplando l'incarto e cercando di indovinare cosa vi fosse al suo interno, non senza rattristtarsi, in quanto il pensiero volò subito alla madre stessa, in quella camera bianca da cui da giorni riceveva notizie non rassicuranti, persino suo padre che ogni qual volta lei gli chiedeva informazioni sullo stato di salute della madre, lui la rassicurava e le sorrideva, ora aveva smesso di farlo, ora sospirava e annuiva al vuoto.

Aprì l'involucro con estrema delicatezza, assicurandosi di non danneggiarlo, al suo interno vi era un quadernetto foderato con una stoffa morbida color lilla, Izumi la accarezzò amorevolmente; la sua famiglia non poteva certo permettersi sfarzosi regali ma le piccole cose lei le sapeva apprezzare, il suo amore per la scrittura e per la poesia erano noti anche alla madre, bastò quel piccolo dono a farle spuntare nuovamente il sorriso.

 

Pioveva a dirotto quel pomeriggio, ma c'era da aspettarselo, la primavera porta un aumento delle temperature e quindi anche a modesti acquazzoni, ma Izuma sapeva apprezzare anche quelli, facendo disperare i parenti, infischiandosene dei malanni, usciva scalza a danzare sull'erba cercando di schivare le gocce, una giocosa danza molto intima, tra lei e la natura, chiudendo gli occhi e vedendo con il cuore, andava per i campicelli annacquati come incantata da una dolce nenia.

É ben appurato però, che le cose cambiano e non sempre in meglio;

tutto si svolse in un attimo, come la scena di uno di quei film drammatici che a lei piacevano molto, Izumi sotto la pioggia, suo padre le corse incontro la strinse forte, le sussurrò qualcosa all'orecchio e tutti e due iniziarono a piangere sotto la pioggia, sua madre si era spenta nel pomeriggio;

lacrime, lacrime sincere si unirono al pianto della foresta, il cielo si incupì per lutto e lamenti di tuoni riecheggiarono tutt'intorno, l'unica differenza con il film, è che stavolta era vero.

Izumi era una ragazza forte questo è certo, ma questa era una prova da superare difficile anche per lei, abituata all'allegria e alla pace della natura, si trovò catapultata in un istante nel mondo reale, quel mondo grezzo e ruvido, inadatto per la sua delicatezza, ma volente o nolente doveva imparare a conviverci, ora come ora, sola.

Ed è così che volle stare per tutta la serata: sola, in camera sua, sdraiata su quel variopinto materassino che lei stessa e sua madre avevano confezionato anni prima con fiori secchi e essenze profumate; i singhiozzi si chetarono lasciando spazio alle reminiscenze e ai ricordi di un passato non troppo lontano, nella sua mente vedeva immagini nitide di lei e sua madre in mezzo ai prati a coglier gigli, gli correvano per la mente le canzoni antiche che sua madre le cantava prima che la piccola prendesse sonno, e che Izumi stessa muovendo le labbra cercava di riprodurre...

Per la prima volta aveva paura, soprattutto di dimenticare, fu allora che prese il quadernetto lilla, e come se fosse l'ultima cosa che la legava a sua madre, con l'innocenza di un bambino decise di scriverle.

 

" Cara mamma, non so perchè te ne sei andata così all'improvviso...

Papà è molto triste, e anche io lo sono, so che tu non lo vorresti..ricordi le poesie che mi cantasti prima di...insomma...sai no?, erano tutte allegre, scrivo queste poche righe cercando di spiegarti a parole quanto mi manchi, anche se non credo di riuscirci...vorrei che tu mi rimanessi accanto e so anche che lo farai...tutto qui continua normalmente, anche se è brutto senza di te,...Volevo dirti anche che ho apprezzato molto il tuo regalo, questo quadernetto, ti scriverò spesso, nella speranza che tu possa leggere...mi manchi...la tua Doki"

 

 

Izumi riuscì a stento a finire i suoi pensieri, ancora scossa, si addormentò.

 

 

Ecco il primo capitolo, come al solito sono ben accetti commenti, critiche, opinioni, consigli ecc..

 

è la prima volta che scrivo un racconto sentimentale, ma sopratutto ambientato in Giappone, e so che sul sito ci sono molti amanti del genere, quindi chiedo scusa anticipatamente se ho dato per scontato qualche aspetto della cultura orientale o ho banalizzato in qualche modo...

 

vorrei poi aggiungere che i capitoli sono dedicati in alternanza ai due protagonisti fino a che...(non ve lo dico ora XD)...e chiedo scusa se in questo capitolo la protagonista sembra immatura o superficiale, da un lato volevo rendere l'idea di crescita personale, dall'altro so di aver trattato un tema delicatissimo e forse troppo spesso palesemente utilizzato, ovvero la morte della madre, che non vorrei fosse solo un aggancio per la trama o una storia per intristire, quindi ancora mi scuso se non ho dato la giusta impronta di sensibilità alla cosa, ma sta in base all'emotività di ognuno compiere osservazioni, ringrazio ancora in anticipo coloro che dedicheranno il loro tempo per leggerla.

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Capitolo 3
*** sukorito to hoki ***


 

CAPITOLO 2 SUKORITO TO HOKI

 

La pioggia batteva sui vetri della camera di Suzume al dodicesimo piano di un enorme grattacielo nella periferia di Tokio, il ragazzo stava studiando un libro di analisi economica sulla sua scrivania, o almeno ci stava provando...era distratto in quegli ultimi giorni, non sapeva nemmeno lui cosa gli fosse preso, come un calo di attenzione istantaneo.

Aveva fatto varie ipotesi al riguardo, forse per il clima, o forse non gli era andato giù il fatto che nessuno gli aveva fatto gli auguri per il suo compleanno, non che la cosa lo stupisse più di tanto visto che i suoi genitori rientravano la sera tardi e partivano la mattina presto, a volte non li vedeva per giorni, senza che si giustificassero, ma almeno una telefonata...

Cominciò a giocherellare con la matita sul tavolo producendo un piacevole ticchettio in sintonia con quello della pioggia sull'ampio finestrone d'avanti a lui, prese un momento di pausa, un momento per riflettere, cosa che non faceva da tempo;

estrasse dal cassetto dello scrittoio il suo ultimo acquisto, un quadernetto foderato in tessuto lilla, lo aveva acquistato due giorni prima nella cartoleria vicino alla scuola, se lo ricordava bene per il semplice fatto che quando entrò nel negozio, d'avanti a lui c'era una signora accompagnata da un'infermiera che voleva acquistarne uno, però non aveva denaro a sufficienza e Suzume si offrì di pagarle la differenza, la cosa non era strana, Suzume in fondo era di buon animo, spesso quando poteva cercava di aiutare chi aveva bisogno, ma la cosa che lo colpì fu l'enorme, forse esagerata gratitudine della signora che tra i singhiozzi disse qualcosa riguardo ad una certa sua Doki e riguardo al compleanno della medesima, quindi per ricordare il fatto e anche perchè necessitava di un quadernetto dove fermare i suoi pensieri più o meno poetici, decise anch'esso di acquistarne uno.

Cominciò a scrivere quello che sentiva, aveva uno stile molto flessuoso ed era di una sensibilità innata, anche se questo non lo avrebbe mai ammesso, non che ce ne fosse bisogno in quanto non avrebbe mai mostrato a nessuno i suoi scritti.

Si stupì di quello che riuscì a scrivere in un quarto d'ora, dopo quella strana trance che pervade gli scrittori appassionati, la mente i ferma e le mani paiono scrivere da sole, poi ci si "risveglia" e ci si incanta d'avanti al risultato, come se non fosse opera nostra, ebbene, questo è quello che provo Suzume, scrisse di montagne, scrisse di primavera e scrisse di amore, un sentimento che troppe volte gli dissero che è debolezza di carattere, e che conta la carriera, ma se prima era mera curiosità, ora era proprio un fabbisogno biologico, necessitava di affetto, non aveva amici, forse per la timidezza, forse perchè suo padre era il superiore di quasi tutti quelli che avevano più o meno la sua età, oppure perchè semplicemente gli ricordavano costantemente che non occorrono amici e affetto.

Cominciò anche a fare lunghe passeggiate durante le belle giornate per distrarsi e lo sorprese come sempre più spesso, si fermasse a guardare i gruppi di ragazzi che discutevano allegramente o le coppie di giovani tenersi per mano per le vie brulicanti di gente.

Quel giorno, non essere potuto uscire per la pioggia lo rattristò non poco, così cominciò a scrivere.

Dopo circa un paio d'ore, la stanchezza delle mani e degli occhi, cominciò a farsi sentire anche per il giovane, così decise di infischiarsene della pioggia e preso un ombrello, si recò in strada per fare comunque una breve camminata, e fu stupito, nonostante la pioggia, di vedere comunque le solite coppiette farsi largo sorridendo, la cosa gli sembrava si dolce, ma quando gli passavano accanto provava una certa stizza che gli faceva serrare i pugni e proseguire dritto sbuffando.

Certo non lo si può biasimare, Suzume entrò in un pub, per prendere una tazza di tè, e vi rimase finchè il cielo non cominciava ad arrossarsi, uscito fece per imboccare la strada per casa, passando per il solito tragitto:

scuola, parco, cartoleria, ospedale...e proprio d'avanti a questo la sua attenzione fu attirata, gli rivenne in mente della signora che aveva incontrato nel negozio, doveva alloggiare lì dato che era accompagnata da un infermiera che la aiutasse nei movimenti, si fermò dunque da un fioraio lì nelle vicinanze per acquistare qualche calla o ginestra per augurarle di rimettersi presto oppure per scambiare due chiacchiere, non conosceva il nome della donna, ma aveva un aspetto particolare, molto dolce a suo modo, ed era certo una forestiera per la pronuncia, intuì che venisse dalle parti di Tochigi...

Entrato nell'edificio, fu preso da cupi ricordi, di quando la nonna, l'unica persona alla quale tenesse, fu ricoverata e poi morì in quell'ospedale dodici anni prima, si ricordò dell'orribile sensazione di come un bambino di sei anni, potesse perdere l'unico suo punto di riferimento, e proprio al suo capezzale gli fece la promessa che sarebbe diventato un medico, per riuscire ad aiutare le persone ed evitare che essi provino quello che provò lui in quel momento, la promessa sincera di un bambino, che non sarà facile da dimenticare, una promessa sussurrata per evitare che il padre o chi per lui la udisse, infrangendo completamente il suo sogno.

Mentre vagava per i suoi ricordi, raggiunse il banco del chek-in, dove chiese informazioni riguardo ad una signora dai capelli neri, dagli occhi azzurri, probabilmente del distretto di Tochigi che due giorni addietro uscì per fare compere accompagnata da un' inserviente.

Nonostante quello fosse uno dei centri ospedalieri più imponenti della zona, la donna si ricordò della signora Inamoto:

"Mi dispiace ragazzo, la persona che stai cercando è deceduta stamattina, è per caso una tua parente?" domandò quella...

"No..emh..io...devo andare..." biascicò Suzume ancora scosso per la notizia appena ricevuta.

Gli dispiacque molto che la signora fosse morta, ma cercò tuttavia di non pensarci, per evitare di deprimersi ancora di più di quanto fosse già.

Uscito dallo stabile gettò i fiori a malincuore, in quanto avrebbe voluto tenerli come ricordo in camera sua, ma non poteva correre il rischio di farsi scoprire dal padre, già severo in condizioni normali, gli avrebbe impedito di uscire per giorni, e si sarebbe perso la cerimonia funebre della donna e l'occasione per rendergli omaggio...Anche se fu l'ennesimo colpo a vuoto, dato che venne a sapere che le esequie si sarebbero svolte nella casa natia della donna...

 

 

 

Ecco qui il secondo capitolo, spero vi piaccia....

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Capitolo 4
*** haiiro no asufaruto ***


 

CAPITOLO 3 HAIIRO NO ASUFARUTO

 

Era ormai passato un mese dalla morte di sua madre, le esequie si svolsero in modo formale nel piccolo villaggio di Nikko, a cui presero parte quasi tutti gli abitanti; Izumi si trovava in prima fila sulle eburnee gradinate del tempio, vicino al padre...già, il padre...

Non era più lui in quel periodo, aveva smesso di chiamarla Doki, era molto più rigido e spesso non tornava a casa.

La nonna gli diceva che era normale, e che sarebbe stata solo questione di tempo, prima che le cose avessero ripreso il loro corso, ma non fu così;

Le ingenti tasse ospedaliere avevano risicato fino all'osso le finanze della famiglia Inamoto, aggravate dal fatto che il padre di Izumi preferiva uscire a bere piuttosto che a curare l'orto e la ragazza non poteva di certo mandare avanti una famiglia di quattro persone da sola e contemporaneamente sanare i debiti fiscali, decise a suo malincuore di dover partire verso una metropoli, per trovare un lavoro e magari continuare gli studi, per migliorare la propria condizione di vita e un giorno tornare così tra le sue amate montagne.

Sarebbe partita da lì a due giorni, prese il tempo necessario per salutare i parenti, e si raccomandò alla nonna perchè stia vicino a suo padre, ne aveva bisogno in quel particolare momento...

Salutò le sue colline, i suoi fiori e i suoi alberi, ad uno ad uno invocandoli e poggiando i palmi sulla grezza corteccia, con quel gesto che tanto amava fare, non si dimenticò nemmeno di salutare i suoi animali, ce vivevano nelle radure limitrofe, e che col tempo e con la dolcezza innata della ragazza, avevano imparato a non averne paura.

Fatti i bagagli, non restava che partire, camminò lungo la valle per il piccolo sentiero battuto dal tempo, sotto i peschi in fiore, che con la loro pioggia di petali auguravano la buona sorte alla piccola che dovette diventare grande.

Il viaggio fu abbastanza piacevole per Izumi, non era la prima volta che prendeva un treno, anche se l'ultima volta che lo fece era molto più piccola e sua madre era..ancora in vita.

Si accordò per sistemarsi in casa con una sua prozia da parte di padre, nella periferia della capitale, dove, visto l'accaduto, si premurò anche di trovarle un lavoretto nella sua tavola calda, cosa che non dispiacque affatto a Izumi, felice di non doversi occupare di burocrazia come facevano i "grandi".

Il treno sferragliò sui binari un'ultima volta prima di posarsi dolcemente sul lastricato di acciaio della stazione centrale di Tokio, Izumi fu travolta da una marea di persone che fluivano all'interno del mezzo e cercò di evitare di scontrarsi con quelli che invece cercavano di salire, scusandosi ad ogni piccolo urto, cosa che passò inosservata agli eddoko e che li infastidiva in qualche modo, loro dopotutto erano avvezzi alla mera ipocrisia dell'ideale gerarchico, e non avevano tempo per le buone maniere.

La ragazza stonava completamente con quella flotta di camice grige che pervade le strade asfaltate con una crescente frenesia, fin da subito capì che non c'era posto per il suo berretto rosa, per il suo maglione cobalto e per i suoi stivali con i pon-pon, tutto doveva essere lobocotomizzato e conforme alla "carriera", ma lei cercò di non pensarci, non avrebbe mai permesso che le portassero via il suo "io".

Sembravano tutte uguali le persone in quel luogo dal suo punto di vista, cercò vanamente di salutare e augurare buona giornata senza che nessuno la degnasse di uno sguardo, si chiese se avesse trovato qualche albero in mezzo a tutto quel cemento e catrame, istintivamente cercò anche il cielo, grigio, spento, visibile solo per alcuni tratti, dato che il campo visivo era coperto da quei mastodonti dell'architettura; Izumi non si era sentita mai così smarrita.

Arrivò con fatica al palazzo dove abitava sua zia, dato che non c'erano piante o colline per orientarsi, non c'erano suoni o odori che permettessero di camminare ad occhi chiusi, come faceva spesso a casa quando giocava con i sensi, c'era sempre qualche brezza al profumo di loto, che le facesse capire che si trovava nei pressi del ruscello, o il tipico odore di incenso e oli del tempio...

Sistemò i bagagli, sua zia non era in casa ancora, ma questo lo sapeva, doveva lavorare molto;

Izumi era stanca e spossata per il tragitto, ma ebbe la forza di scrivere a sua madre, estrasse il suo quadernino viola, lo accarezzò amorevolmente un paio di volte e scrisse:

scrisse della città, scrisse degli eddoko, e scrisse delle sue speranze di trovare qualcuno con cui parlare o fare amicizia, cosa che la spaventava molto...rimanere da sola.

 

 

Ecco il terzo capitolo,...spero sia di vostro gradimento, se c'è qualcosa che non va, o semplicemente avete dei consigli scrivete pure, grazie in anticipo per la lettura.

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Capitolo 5
*** nomikomu ***


CAPITOLO 4 NOMIKOMU

 

Le giornate passavano nella più totale tranquillità, la primavera con tutti i suoi doni, anche se titubante, si fece sentire anche nella grande metropoli, capitale del Giappone; lo si capiva non dagli alberi carichi di gemme, non dal canto degli uccelli venuti da est a svernare...lo si capiva dalle persone, vestite in modo più leggero anche se formale, lo si capiva delle grandi pubblicità lampeggianti sulle schermate degli edifici e dai negozi che puntualmente modificavano l'ordine dei loro prodotti inneggiando al naturale.

Suzume saltellava come un cardellino tra gli angoli della biblioteca civica, con le braccia cariche di saggi e volumi di analisi economica, nascondendo nell'incavo del braccio, un libro di scienze farmaceutiche, che lesse voracemente e con attenzione in un angolino appartato adiacente agli scaffali, nascosto alla vista; indisturbato, passò così le ore della mattinata ed anche quelle del primo pomeriggio, quando poi capì che aveva bisogno di una pausa, sistemò i libri e prese in prestito il libro di medicina, accertandosi che nessuno lo vedesse, uscì dall'edificio e imboccò la via verso casa, fermandosi prima per un tè al solito locale in cui si fermava, c'era sempre poca gente ed era l'ideale per fermarsi a riflettere qualche momento.

Entrato, si sedette al medesimo posto dove sedeva ogni volta che veniva;

"Il solito, grazie" disse il ragazzo, dall'altra parte del bancone, una giovane e allegra voce gli giunse in risposta..."Mi scusi,...cosa prende di solito?"

Il ragazzo che si aspettava la vecchia commessa si stupì di vedere invece una giovane ragazzina indaffarata nella gestione del bar.

"Un tè verde per favore" si chiarì Suzume, la ragazza dopo qualche minuto giunse al suo tavolo saltellando e porgendogli il suo ordine.

"Ti occupi di medicina?" disse la ragazza osservando il piccolo volume sporgere da sotto le ginocchia del giovane.

"Ecco io...cioè..non" Suzume cercò velocemente una scusa per giustificarsi, quando la ragazza proseguì:

"Deve essere bello,..dico..impegnarsi per aiutare gli altri, ti fa onore"

Detto ciò ritornò ai suoi compiti lasciando il giovane alquanto sbigottito e perplesso...

Tra se e se pensava dove avesse già incontrato quella ragazza, era un volto familiare anche se non ricordava affatto di averla già incontrata...aveva una voce dolce e cristallina, non era sicuramente della zona, aveva un accento molto più rurale e forte...come quello che si usa nelle località montuose più a ovest...simile a quello parlato nella prefettura di Tochigi.

Tochigi...questa parola risuonò come un mantra estatico nella mente del giovane, e cominciava a farsi largo una serie di connessioni...vedeva in lei la signora della cartoleria, lo stesso sguardo delicato, gli stessi zaffiri al posto degli occhi, la stessa voce dolce...

Suzume! Smettila!...cercò di ricomporsi e di non fare pensieri sciocchi in quel momento anche se non riusciva a smettere di fissare la ragazza che era evidentemente in difficoltà, ma ciò nonostante continuava a sorridere, era un sorriso contagioso, tendeva le labbra color pesca formando due buffe fossette sulla pelle chiara, delineando ancora di più la dolcezza di quel viso.

Qualcosa pervase Suzume, lo prese e lo scosse dalla sua monotonia, un sentimento che non aveva mai provato..era incuriosito da quella ragazza voleva saperne di più...avrebbe voluto parlare con lei, ma non ci sarebbe mai riuscito la sua timidezza era troppo forte.

"Ehy..scusa...ho qualcosa che non va?"

Suzume si svegliò bruscamente dalla sua trance e venne riportato alla realtà:

"Ehy dico a te...come mai continui a fissarmi?...c'è qualcosa che non va?..."

Il ragazzo divenne rosso dall'imbarazzo e le sue gote avvamparono al richiamo inaspettato della ragazza, riusci a farfugliare qualcosa di incomprensibile continuando a fissare la giovane, che venne verso di lui, si sedette al suo tavolo stendendo i gomiti in una posa non troppo conveniente e guardandolo negli occhi, e continuando a sorridere...

" Piacere Izumi"

"S..suzume" biascicò il ragazzo,

"Bhè avrei dovuto aspettarmelo"

"Cosa?"

"assomigli davvero ad un piccolo passerotto"...rise.

Quella risata...era..era dolce...

Non era conveniente...non era...formale..Suzume si sentiva a disagio...ma qualcosa lo sbloccò...

Parlarono, parlarono delle loro passioni, lei le raccontò delle sue montagne, dei suoi alberi e di sua madre, lui si aprì e le raccontò delle sue passioni e dei suoi timori...non capiva cosa avesse quella ragazzina per convincerlo a spogliarsi del suo carapace impenetrabile...alla fine raccolse tutto il suo coraggio, fece un grande respiro e chiamò:
"Doki?"

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